Shades Of Wrong

di Cryblue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** ch1- The unicorn and the wasp ***
Capitolo 3: *** ch2 - Love and monsters ***
Capitolo 4: *** ch3 - Voyage of the damned ***
Capitolo 5: *** ch4 - Kinda ***
Capitolo 6: *** ch5 - Empress of Mars ***
Capitolo 7: *** ch6 - 42 ***
Capitolo 8: *** ch7 - The idiot's lanter ***
Capitolo 9: *** ch8 - World war three ***
Capitolo 10: *** ch9 - The brink of disaster ***
Capitolo 11: *** ch10 - The sound of drums ***
Capitolo 12: *** ch11 - The family of blood ***
Capitolo 13: *** ch12 - Flesh and stone ***
Capitolo 14: *** ch13 - The powerful enemy ***
Capitolo 15: *** ch14- The reing of terror ***
Capitolo 16: *** ch15 - Listen ***
Capitolo 17: *** ch16 - Flatline ***
Capitolo 18: *** ch17 - The woman who lived ***
Capitolo 19: *** ch18 - Smile ***
Capitolo 20: *** ch19 - The girl who died ***
Capitolo 21: *** ch20 - The forest of fear ***
Capitolo 22: *** ch21 - Closing time ***
Capitolo 23: *** ch22 - The times of angels ***
Capitolo 24: *** ch23 - The fires of Pompei ***
Capitolo 25: *** ch24 - The end of the world ***
Capitolo 26: *** ch25 - Partners in crimes ***
Capitolo 27: *** ch26 - Thin ice ***
Capitolo 28: *** ch27 - Sleep no more ***
Capitolo 29: *** ch28 - Fear her ***
Capitolo 30: *** ch29 - The almost people ***
Capitolo 31: *** ch30 - The survivors ***
Capitolo 32: *** ch31 - Night terrors ***
Capitolo 33: *** ch32 - The Satan pit ***
Capitolo 34: *** ch33 - The edge of destruction ***
Capitolo 35: *** ch34 - Conspiracy ***
Capitolo 36: *** ch35 - The escape ***
Capitolo 37: *** ch36 - The end of tomorrow ***
Capitolo 38: *** ch37 - The girl who waited ***
Capitolo 39: *** ch38 - The name of the Doctor ***
Capitolo 40: *** ch39 - The woman who fell to heart ***
Capitolo 41: *** ch40 - Silence in the library ***
Capitolo 42: *** ch41 - Heaven sent ***
Capitolo 43: *** ch42 - The final phase ***
Capitolo 44: *** ch43 - The beast below ***
Capitolo 45: *** ch44 - The lie of the land ***
Capitolo 46: *** ch45 - Cold war ***
Capitolo 47: *** ch46 - Deep breath ***
Capitolo 48: *** ch47 - The ghost monument ***
Capitolo 49: *** ch48 - Before the flood ***
Capitolo 50: *** ch49 - Father's day ***
Capitolo 51: *** ch50 -It takes you away ***
Capitolo 52: *** ch51 - The curse of the black spot ***
Capitolo 53: *** ch53 - Doomsday ***
Capitolo 54: *** ch53 - Oxygen ***
Capitolo 55: *** ch54 - The Christmas invasion ***
Capitolo 56: *** ch55 - Human nature ***
Capitolo 57: *** 56 - Twice upon a time ***
Capitolo 58: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Prologo.
 
La porta si apre e una ragazza dal passo deciso si guarda attorno con testa alta e aria sicura, indossando un completo giacca-pantaloni sotto il quale sfoggia con orgoglio la maglietta di una rock band anni 70. Non avresti mai notato com’era vestita se non fosse stato per quella stranezza che, incredibilmente, ha un suo perché.
La guardi andare via decisa e sai che ha appena avuto il posto per il quale anche tu ti sei candidata, insomma c’è poco da fare, nonostante l’assurda maglietta, è assolutamente più carina e professionale di te.
Sistemi per la centesima volta la giacca di pelle e guardi la punta degli stivaletti, che hai lucidato mezza dozzina di volte, e speri di dare un’impressione buona almeno la metà della ragazza che ti precedeva.
Il cellulare ti vibra in tasca, non vuoi che il responsabile delle risorse umane ti trovi con il telefono in mano, ma non resisti e gli dai comunque un’occhiata veloce.
“Stendili, Pi.”
Non puoi trattenere un sorriso, sai perfettamente che Rossella sia nel mezzo di una lezione e che sta fingendo di ascoltare un suo studente che storpia l’inglese, mentre in realtà la sua attenzione è tutta per il messaggio di supporto che ha appena mandato a te.
Fai sparire il telefono in tasca e la porta si apre di nuovo.
“Martina Pastorelli?”
Ti alzi in piedi e cerchi di fare il respiro profondo più discreto che ti riesce, continuando a ripeterti che è solo un colloquio, che ne hai fatti a decine nella tua vita e che hai già lavorato per loro, con buoni risultati, quindi non dovrebbe essere una cosa difficile. Il che è vero solo in teoria, dato il bisogno che hai di ottenere questo lavoro, e non solo economicamente.
L’uomo tatuato sulla porta ti tende la mano e ti sorride.
“Ciao, io sono Alessandro, ma mi chiamano tutti Alex. Prego, entra pure.”
Entri nella minuscola e soffocante stanzetta nella quale non si respira per il caldo, e lui ti fa cenno di sedere su una sedia dall’altra parte della piccola scrivania, obbedisci e ne approfitti per osservare i suoi capelli grigi e i suoi occhiali da vista alla moda, avrà più o meno una cinquantina d’anni, ma sono solo i suoi capelli a dimostrarlo, i suoi occhi e il suo sorriso sembrano quelli di un ventenne.
Un ventenne furbetto.
Il suo forte accento romano non lo aiuta per nulla dal punto di vista della credibilità.
Ha davanti a sé il tuo curriculum vitae ma lo ignora completamente, tu studi i suoi movimenti mentre attendi con ansia la domanda che odi con ogni fibra del tuo corpo ma sai che ti verrà inevitabilmente posta.
“Allora, Martina, vedo che hai già lavorato per Ikea, nel nostro negozio di Firenze. Ganzo.” Forzi un sorriso nel tentativo di nascondere il disgusto per la sua imitazione dell’accento fiorentino. “Coraggio, parlami di te.”
Ed eccola qui, l’odiosa domanda o richiesta, che dir si voglia.
Nope, non sei per nulla brava a venderti e speri sempre come una perfetta idiota che il tuo curriculum parli per te.
Scruti il più velocemente possibile la sua figura e noti con immenso sollievo che porta un’adorabile spilla a forma di brugola appesa al laccetto porta badge: sarà una distrazione più che sufficiente per te. Mentre parlerai, lo guarderai il più possibile negli occhi come sai essere indispensabile in un colloquio di lavoro, o in confronto a due in generale, ma nel momento in cui il contatto visivo per te diventerà troppo, avrai quella meravigliosa scappatoia.
Infili la mano tra i capelli e forzi un altro sorriso.
“Si, ho lavorato al bar del negozio di Firenze cinque anni fa. Sfortunatamente l’apertura del negozio di Pisa ha causato un calo della clientela tale che noi stagionali non siamo stati rinnovati.”
“Meglio, almeno ora sei qui con noi. Daje Martì.”
Il tuo volto è molto espressivo, la poker face non rientra neanche lontanamente tra le tue caratteristiche o capacità, quindi fai battere i canini gli uni contro gli altri per nascondere l’enorme disagio che la persona che hai davanti ti sta facendo provare e apparire rilassata.
“Quindi poi hai lavorato per…”
“L’esselunga.”
“Si ok.” Sposta il curriculum come se non avesse nessun valore e la cosa ti infastidisce un pochino, insomma vai fiera di aver lavorato per grandi aziende e vorresti che a questa cosa venisse data l’importanza che merita.
“Come mai sei tornata a Cagliari?”
Il respiro ti muore nel petto.
“Problemi personali.”
È l’unica domanda per la quale hai preparato una risposta davanti allo specchio, ma riesci a malapena a bisbigliarlo mentre il tuo pensiero torna a Claudia, alla casa e alla vita che condividevate, prima che lei decidesse di volere quella vita, si, ma non con te.
La porta si apre di scatto, strappandoti dai tuoi pensieri. “Scusate, un cliente pretendeva capissimo che cassettiera volesse senza darci altre informazioni che il colore. Come se avessimo doni psichici”
La nuova venuta si mette a sedere accanto al tatuato e ti sorride, e se pensavi che lui avesse lo sguardo da furbetto, beh, ti sbagliavi di grosso.
“Ciao, io sono Leila.” Leila. Esattamente scritto così, all’italiana, o almeno così dice la targhetta che porta appesa al laccetto del badge.
“Lei è Martina, abbiamo appena iniziato, non hai perso nulla.”
Tutta l’agitazione che stavi provando sparisce davanti alla donna appena entrata perché, malgrado la ridicola polo gialla a strisce blu della divisa, è indiscutibilmente affascinante.
Non ha l’aspetto canonico della strafiga, o della MILF, visto che è palese abbia passato la quarantina, eppure non riesci a non provare uno strano imbarazzo sentendoti i suoi profondi occhi castani addosso. Giustifichi questa stranezza perché si chiama esattamente come uno dei personaggi che hai creato. Come coincidenza è abbastanza assurda in realtà: quante Leila mai ci saranno in Italia? È vero che la tua si chiama Layla, è scritto in modo diverso, ma è lo stesso identico nome.
“Daje Martì, dicci tutto.”
Strappi letteralmente via i tuoi occhi da lei e racconti loro dei tuoi 33 anni, dei tuoi studi alla scuola alberghiera, dei tuoi 10 anni lavorativi, cercando di essere più coincisa possibile e di enunciare solo i lati positivi di ogni singola esperienza, anche se a molti posti daresti fuoco se potessi.
I successivi, interminabili, minuti, sono riempiti dalla voce di Alex e dai suoi astrusi racconti su quello che ha visto di Firenze e dei vari negozi Ikea nei quali ha lavorato, ti spiega con troppe parole che stanno cercando qualcuno che lavori al bar, perché una delle ragazze che ci lavorano si è licenziata. Una qualsiasi persona adulta lo ascolterebbe attentamente, anche perché è da lui che dipende il tuo futuro, ma tu non sei una persona adulta, nonostante la tua età, e la tua attenzione passa senza pudore dalla spilla a forma di brugola, alla donna che lo guarda senza il minimo interesse, senza nascondere che essere li la sta annoiando a morte.
I vostri sguardi si incontrano una sola volta e si, non ha il fisico statuario, ha i capelli spettinati e la vita ha lasciato diversi segni sul suo volto, eppure distogli gli occhi e arrossisci come una scolaretta.
“Perché dovremmo assumerti?” L’ha interrotto a metà frase e questa volta cogli l’accento nella sua voce, non sai se milanese o torinese. Hai sempre fatto pena nel riconoscere gli accenti, a parte quello romano e napoletano, per ovvie ragioni.
Questa volta non sfuggi al suo sguardo, non cerchi un’ancora di salvezza.
“Perché sono una persona puntale, precisa e dedita al lavoro. La sera, quando torno a casa, devo essere certa di essermi guadagnata ogni centesimo del mio stipendio.”
Fa un breve cenno di assenso con la testa, Alex riprende subito il monopolio della conversazione e tu lo lasci parlare, sperando di non dover pronunciare più mezza parola. Venti minuti dopo sei fuori da quella tenera imitazione di un negozio Ikea, dal “pick up point”, come lo chiamano loro, con l’assoluta certezza che sarà la ragazza rock a preparare i loro caffè, non tu.

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Capitolo 2
*** ch1- The unicorn and the wasp ***


 
ch.1 – The unicorn and the wasp.
 
“Un caffè decaffeinato, in vetro ghiacciato, macchiato tiepido con latte di vacche tibetane munto durante la terza notte di luna piena da un bambino con gli occhi viola.”
Infili le tazzine nella lavastoviglie con un grugnito e giri su te stessa con tutta la velocità che le scarpe antinfortunistiche ti permettono: il volto soddisfatto e ghignante di Giorgia è ciò che trovi ad aspettarti.
Devi trattenerti dal non grugnire ancora, anche se sei felice sia lei e non un vero hipster.
“Cosa vuoi, rompipalle?” sei talmente abituata a vederla con la divisa gialla e blu che vederla in abiti borghesi ti fa strano, anche se le onnipresenti magliette di gruppi rock sono una divisa per lei, in un certo senso.
Il suo volto diventa subito triste. “Non essere cattiva con me.”
Alzi gli occhi al cielo, apri il forno e ne estrai una cinnamon roll calda “Sono talmente cattiva che li ho solo fatti solo per te.” In teoria dovrebbero essere per i veri rompipalle, quindi i clienti, ma in fin dei conti l’importante è che ci siano, non per chi tu li abbia fatti.
Il suo volto si apre in un sorriso e tu le porgi il dolce “Non ti bruciare che è caldo…”
“Va bene mamma.” Parla con la bocca piena e dondola da un piede all’altro, è talmente iperattiva che ti chiedi come riesca ad affrontare i suoi interminabili turni in cassa, in cui è chiusa in quella specie di tristissimo cunicolo, che ha il permesso di lasciare solo per aiutare un cliente alle casse automatiche.
Ti appoggi alla lavastoviglie e incroci le braccia al petto guardando il suo viso felice, Giorgia è sicuramente la persona con cui hai legato di più in questi primi tre mesi di lavoro, probabilmente perché siete state assunte contemporaneamente, anche se tu per il bar e lei per la cassa. O magari sei sempre stata particolarmente gentile e disponibile con lei a causa dei sensi di colpa che provi nei suoi confronti per esserti presa di gioco della sua mise il giorno del colloquio.
Guardi l’ora nell’orologio del forno e ti viene quasi da piangere perché mancano ancora quaranta minuti alla fine del tuo turno.
“Perché schifo sei già qui, Giò?”
Scrolla le spalle e manda giù metà roll “Come se tu non arrivassi tanto in anticipo quanto me.”
Ti fingi oltraggiata “Io? Non è per nulla vero.”
Arrivano dei clienti da servire, salvandoti dalla sua risposta, lei gira sui tacchi e ti fa ciao ciao con la mano, tu sorridi e ti concentri sui nuovi arrivati e sulla loro ordinazione che, sorpresa sorpresa, sono due caffè. Li servi e non te ne accorgi nemmeno, i tuoi movimenti sono diventati talmente automatici che potresti tranquillamente servirli nel sonno.
Mentre i due bevono e iniziano a chiacchierare, occupando il tuo minuscolo bancone, tu ti perdi a guardare il “negozio” che è diventato una seconda casa per te. All’inizio ti sembrava strano chiamare Ikea un posto del genere, abituata com’eri alle centinaia di metri quadri dei negozi canonici, trovarti in questo minuscolo negozietto era quasi paradossale, ma poi è stata proprio la dimensione ridotta del pick-up point a farti innamorare di lui, delle sue esposizioni di stanzette minuscole e straripanti, dei cestoni pieni di pupazzi e, odi ammetterlo, della piccola area bimbi colorata e in perenne disordine. Ma la cosa che ami di più, tu come tutti quelli che mettono piede al bar di questa mini Ikea, è l’enorme vetrata che si apre sullo stagno di Molentargius, oltre il quale si scorge un piccolo scorcio del Poetto e della tanto adorata sella del diavolo. Una visuale senza pari in tutta Cagliari e dintorni, impreziosita ulteriormente dalla presenza costante dei fenicotteri rosa, che hanno scelto la tua città come loro colonia da quasi dieci anni ormai, ma non mancano mai di affascinarti con la loro presenza così regale ed esotica, certo, se non rovinano tutto emettendo il loro verso grottesco e ridicolo.
Vale la pena fare il turno di apertura del bar solo per vedere il sole sorgere e la baia tingersi di un poetico rosa tenue, e pensare che il rosa nemmeno ti piace.
“Martina, posso farti una domanda?”
Fai un piccolo saltello e ti porti una mano al petto per lo spavento: Francesco, detto anche testa di lampadina, tanto per la forma del suo cranio, tanto perché non brilla particolarmente per acume, è apparso davanti al bancone praticamente dal nulla. Anche solo il fatto che sia al bar davanti a te e non in cassa, rischiando come minimo un richiamo formale, la dice lunga sul suo conto.
“Tua mamma maiala ho perso dieci anni di vita. Mi vuoi far morire?” diciamo pure che vivere tanti anni in toscana non ti ha aiutato a diventare una ragazza fine e posata.
Scrolla le spalle e sorride, alzi gli occhi al cielo e gli fai cenno di parlare.
“Fammi ‘sta domanda.”
Fa il giro del bancone e si avvicina all’ingresso del tuo regno, sta per aprire la porticina che separa il bar dal mondo esterno, ma il tuo sguardo assassino lo ferma sul posto, per sua fortuna, visto che rischiava di avere un braccio della macchina del caffè sbattuto violentemente contro la fronte, quello doppio e dalla parte dei beccucci.
Si china con fare cospiratorio e tu non puoi fare a meno di chinarti verso di lui, ti fa cenno di avvicinarti e tu obbedisci senza nemmeno volerlo.
“È vero che ti piacciono le ragazze?”
Scoppi a ridere e non capisci il motivo di tutto questo mistero: sei out and proud al lavoro come nella vita.
Mano a mano che ti avvicinavi ai 30 anni, perdevi sempre più la voglia di inventarti un nome maschile per la tua ragazza o di nascondere d’essere fidanzata con una donna: eri fin troppo fiera di Claudia e del vostro rapporto. Anche ora, che non c’è nessun rapporto da difendere, ti rifiuti di fare passi indietro. Ne hai passate così tante prima di poter ridere quando ti viene rivolta questa domanda, che non vuoi assolutamente smettere di farlo.
Vuoi poter guardare il tuo interlocutore negli occhi, a testa alta e senza paura.
Ammetti senza vergogna che un’azienda come l’Ikea rende le cose molto più facili da questo punto di vista, dato che invita a esprimere le proprie diversità, reputandole punti di forza. Non sei una perfetta idiota e sai che se tu lavorassi per un privato non sarebbe così semplice, anche se no, non ti nasconderesti comunque.
Non credi di aver nulla di cui vergognarti.
Inizi a riordinare il retro del bancone continuando a ridacchiare. “Si Francesco, sono gay.” Vedi con la coda dell’occhio che si è irrigidito e ti prepari a dover discutere con lui di qualcosa che non sono assolutamente affari suoi, ma d’altronde non è e non sarà né la prima né l’ultima volta che dovrai difendere te stessa e la tua vita da qualcuno incapace di pensare agli affari propri.
“Non si dice gay. Gay si dice per i ragazzi, per le ragazze si dice lesbica.” Come tutti, quando dice la parola lesbica abbassa la voce, come se fosse una sorta di insulto molto volgare.
In questo momento sei particolarmente felice che i coltelli siano a due metri e mezzo da te, al sicuro dentro un mobile e non a portata del tuo istinto assassino.
“Scusami?”
“Si, si. Per le ragazze omosessuali si dice lesbica.” Ha la faccia di uno che ti ha appena spiegato una cosa fondamentale per la tua sopravvivenza.
Scoppi a ridere, perché la situazione è così assurda che non sai cos’altro fare.
“Ok, grazie per avermelo detto, Francesco.”
Lui fa un piccolo inchino “Grazie a te per aver risposto sinceramente alla mia domanda.”
Lo guardi andare via e continui a sbattere gli occhi per l’incredulità, comunque non ti puoi dire offesa dal suo comportamento, alla fine è un bravo ragazzo e sei sicura il suo atteggiamento nei tuoi confronti non cambierà di una virgola, non che tra voi al bar e tra chi sta in cassa ci siano chissà quali rapporti: il vostro rapporto si limita ai saluti quando arrivate; fatta eccezione per te e Giorgia che vi chiamate dalle vostre postazioni tutte le volte che potete, anche solo per insultarvi, per tenervi sveglie o per avvertire l’altra che un dato cliente è un rompicoglioni indeciso o un caso umano. Ci sono giornate buone in cui la chiami per segnalarle la presenza di un bel ragazzo e lei chiama te in caso di ragazze interessanti. Purtroppo per voi, le due cose succedono molto, molto raramente.
Riordini il bar, lavi le arance di scorta per la spremuta, riempi la vetrina di donut e sistemi le tazzine pulite nel ripiano sopra la macchina del caffè, quando l’amato e odiato orologio del forno segna le 14:30 saltelli sul posto, corri alla tua cassa e vai alla schermata di fine turno, pronta a sloggare e sloggiare appena vedrai il tuo cambio all’orizzonte, cambio che, ovviamente, sarà rimproverato a dovere per il ritardo.
È una regola non scritta di chiunque abbia una cassa che si cerca di arrivare almeno tre minuti prima per poter dare il cambio a chi ci precede. Non farlo è molto scortese.
Quando vedi che tale cambio, ossia Valentina, sta arrivando con Leila e l’idea di rimproverarla sparisce in qualche parte imprecisata del tuo animo. In realtà sai perfettamente dove: nel terrore irrazionale che provi per la responsabile delle vendite dall’ormai lontano giorno del tuo colloquio. Non sai se sia il suo carattere forte o il suo malcelato odio per la stupidità e il genere umano, o il suo sfrontato disinteresse per quello che gli altri pensano di lei, sta di fatto che ogni volta che lei è nei paraggi, diventi una perfetta idiota e riesci appena a spiaccicare parola. Figurarsi dire qualcosa di sensato o acuto, mai nella vita proprio.
Evidentemente hai paura delle donne forti e sai relazionarti solo con le persone, le ragazze, più giovani di te.
“…quindi hanno il compito di matematica la settimana prossima?”
“Mercoledì.”
“Ecco, mi tocca metterlo nuovamente in punizione.”
“Ciao.” E infatti, tutti gli altri li saluti con insulti o battute di qualsiasi genere, come la buffona che sei, ma se c’è Leila diventi una patata lessa di proporzioni bibliche.
“Ciao Martinetti.” Valentina entra nel bar e ti da un bacio sulla guancia.
“Ciao Vale.”
“Ciao Pastorelli.” Leila è l’unica che ti chiama per cognome in tutto il negozio, in più sei l’unica alla quale non ha ancora affibbiato un soprannome. È possibile il tuo cognome sia usato in modo canzonatorio, ma ti tiene comunque sull’attenti.
“Leila.” Abbassi anche la testa quando la saluti.
Sei l’imperatrice delle patate lesse.
“Quindi mercoledì hanno matematica?”
“Si Vale. Devo mettertelo per iscritto, così mi credi?”
Leila e Valentina sono entrambe madri single e i loro figli condividono lo stesso banco in una seconda classe del liceo artistico, anche se il primogenito della barista è decisamente più indirizzato verso il calcio che verso gli studi.
Non è la prima volta che senti le due discutere di affari scolastici, discussioni che porteranno uno dei due ragazzi a ricevere punizioni inaspettate ma assolutamente meritatissime.
“È solo che non lo voglio punire.” C’è un momento di silenzio, poi si gira verso di te e ti colpisce su una spalla con la mano aperta. “Allora, te ne vai?”
“Veramente sei tu…” Ti spinge verso la cassa del bar, senza darti modo di dire altro e sinceramente non hai altro da dire, stacchi il tuo cassetto dei soldi e le dai le indicazioni di rito, tra cui quando scadono i prodotti della vetrina o dove hai messo i sacchetti di carta o il fatto ci siano le cinnamon in forno che attendono di essere posizionate nella briochera, dopo di che, saluti e vai via. Passando davanti alla cassa insulti Giorgia, ormai in postazione, corri a versare il denaro, togli l’orribile divisa grigia e blu, ma soprattutto la stramaledetta cuffietta, infili gli auricolari e vai alla fermata dell’autobus. Nella tua mente non ci sono più caffè, clienti o scontrini, tutto quello a cui riesci a pensare è il tuo letto, la tavoletta grafica e il computer che ti aspettano posati sul tuo comodino.

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Capitolo 3
*** ch2 - Love and monsters ***


ch.2 – Love & Monsters.
 
 
Disegni i dettagli del volto da drago di Layla e ripensi con nostalgia a quando era solo un drago cucciolo e quindi poco più di una neonata nella sua forma umana, in entrambi i casi era una magnifica cosetta paffuta, rotondetta e tenera. Ti manca così tanto disegnarla piccina che valuti la possibilità di lavorare su qualche tavola in cui racconti i missing moments, qualcosa che la storia non ti ha concesso di mostrare, ma vale la pena vedere comunque.
Ok, ammetti che sei talmente innamorata della protagonista del tuo fumetto che per te vale la pena vederla sempre, ma questo è un dettaglio irrilevante.
Stai definendo i contorni delle zanne, quando il tuo telefono inizia a vibrare. Se stai disegnando, tendi a non considerare proprio il telefono, ma quando leggi che è Rossella è scontato farai un’eccezione alla regola, anche perché lei è l’eccezione a moltissime tue regole. Abbandoni le cuffie e rispondi.
“Ciao Pi.”
“Piiiiiiiiii” Ti basta questa sola parola per capire diverse cose: che è in macchina e sta tornando a casa dal lavoro; che è stata una delle sue giornate interminabili; che ha letto le ultime tavole che le hai mandato.
Arrossisci di piacere e sei felice non ti possa vedere, perché ti prenderebbe in giro senza pietà.
“Ciao Pi.”
“Piiiiiii…..Piiiiii….ha detto che….ha detto che….” Sta cercando di trattenere le risate, senza successo. “…ha detto che è lei è solare e non si lamenta mai….lei!!!! Ti rendi conto??!?!?!?”
Sorridi e camera tua ti sembra improvvisamente più calda, affondi la testa tra le spalle e ti sforzi di essere più convincente possibile. “Beh, Layla È solare e non si lamenta mai!”
“Mah!!! Il fatto che sfotta la povera Sidney ogni due parole e le faccia pesare che per salvarle la vita si sia graffiata una squama e si sia dovuta alzare la presto la mattina, non è proprio indice del fatto che non si lamenta mai.”
Ovviamente ha ragione lei, la tua protagonista passa la maggior parte della sua giornata a lamentarsi di qualcosa e a trovare il modo per sprecare meno energie possibili, nel tempo che le rimane mangia e sfotte la sua madre adottiva, Sidney, la povera ragazza che ha avuto la sfortuna di trovare l’uovo dalla quale la tua adorata drago-donna è nata, o più precisamente, si è reincarnata. Ma al momento sei l’unica a sapere il dettaglio della reincarnazione.
“È un’imbecille. SIETE due imbecilli.”
“Grazie.” Ridacchi perché è il suo modo di complimentarsi con te e di amare la tua protagonista. Stacchi il jack delle cuffie dal computer e scegli una canzone che sai piacere anche lei, abbassi il volume al minimo e parlate ancora delle tavole che le hai mandato e del capitolo che sta scrivendo. Lo scrivere è la colonna portante della vostra amicizia, anche se lo fate in modi diversi e se lei è assurdamente talentuosa, la vostra passione in comune è quello che vi ha reso amiche nonostante tutto: Rossella è una vecchia amica di Claudia ed è stato abbastanza strano quando hai capito che nel post rottura si stava avvicinando a te e non si era automaticamente schierata dalla sua parte.
Prima della rottura, prima di Rossella, non disegnavi più, troppo presa dalla vita, dal lavoro, dalle difficoltà, non avevi il tempo o la testa per creare nuove storie, o anche solo disegnare, e pensavi fosse giusto così, fosse esattamente così che dovesse andare la vita di una persona adulta. Poi tutto quello che definivi vita ti è crollato sotto i piedi e senza il disegno saresti affogata, senza il supporto e il sostegno della tua Pi, diminutivo di Rossella Prandoni, saresti affondata nella depressione senza avere la più pallida idea di come uscirne o di come chiedere aiuto.
Sei grata che, come dice sempre lei, nel divorzio tra te e Claudia hai ottenuto il suo affidamento esclusivo.
“Allora, mi dici cosa succede ora? Chi è quella brunetta che Sidney vede sempre? Lei e Carol tornano insieme? Si può sapere cosa le attacca?”
Ridi e scuoti la testa “Sai perfettamente che non ti dirò nulla, Prandoni. Smetti di chiedere.”
“Smetto di mandarti i capitoli, Pastorelli.”
C’è un lieve bussare alla porta, fai girare la sedia e inviti la tua coinquilina a entrare.
“Oh, sei al telefono, scusami.” Laura fa mezzo sorriso e sistema la frangetta.
“Ma no figurati, dimmi tutto.”
“Nulla di urgente, possiamo parlarne dopo…” lascia la tua stanza prima che tu possa dire altro.
“È Laura?”
“Si.”
“Dille ciao da parte mia.”
“È già andata via. Non voleva disturbarci.” Alzi gli occhi al cielo perché Laura, esattamente come tutti quelli che sanno della tua amicizia con Rossella, è convinta che la vostra sia una relazione, o che lo diventerà a breve.
“Tsz, dille che le dico ciao, anche se non lo merita.”
Rossella è tua amica da quasi due anni, non tantissimo quindi, ma è l’unica che legge quello che crei e quindi conosce e ha intuito cose di te sconosciute a molte persone, addirittura alla stessa Claudia; Laura ti conosce da quando avevi sedici anni, da prima che tu ammettessi la tua omosessualità, da prima che il tuo cuore venisse spezzato. In un certo senso vede la tua vera essenza, quello che sei sotto le difese che tempo, delusioni e dolore ti hanno portata a costruire.
Sono le tue due migliori amiche e sono molto diverse tra loro, dunque insieme ricoprono l’intero spettro della tua personalità.
Non si sono mai conosciute, visto che Rossella vive a Milano e di solito se tu ad andare da lei (mille grazie continuità territoriale) e non viceversa, eppure provano rispetto e simpatia l’una per l’altra.
“Vai pure a sentire cosa vuole, tanto io sono arrivata a casa e devo cucinare qualcosa…”
“Va bene, mandami il capitolo, mi raccomando.”
“Si Pi, si.” Finge di essere infastidita, ma sapete entrambe che te lo manderà non appena metterà il punto nella frase finale del capitolo.
Vi scambiate gli ultimi saluti, e insulti, guardi l’immagine di Layla-drago non ancora terminata sul monitor del pc e decidi che può aspettare, Laura no. Esci dalla stanza e vai nel salotto del piccolo, ma accogliente ci tieni a precisarlo, appartamento che condividete e la trovi sdraiata sul divano con il portatile sul ventre e l’aria distrutta.
“Tutto ok Stronzetti?” le afferri le caviglie e le sollevi, ti siedi sul divano e le posi sul tuo grembo.
Lei sbuffa, lancia un’occhiata al suo telefonino e guarda di nuovo te.
“Si solo…mi chiedevo se ti andasse di fare due passi.” Il che, tradotto nella vostra lingua, significa mangiare molto e camminare ancora di più. È una delle cose più belle dell’essere tornata nella tua Cagliari: non importa che ora sia, due donne possono passeggiare per strada senza rischiare di essere derubate o violentate ogni tre passi.
“Mc?”
Ti sorride e annuisce, mandando la frangetta in tutte le direzioni.
“Mc e crêpes!”
Vi alzate contemporaneamente, ma tu non hai l’impedimento del portatile e sei più veloce di lei, ti infili in bagno per darti una rinfrescata e mezz’ora dopo siete entrambe pronte per uscire. Il viaggio in macchina è abbastanza tranquillo, vi aggiornate sulle novità leggere, quelle che non hanno nessuna importanza e che sono solo l’antipasto per le cose serie, ossia il motivo per cui ti ha chiesto di uscire.
Benché viviate insieme da quasi due mesi, hai spesso la sensazione che vi vedevate molto di più prima: tra il tuo lavoro al bar e i suoi lavori da cameriera e fotografa, il tempo da trascorrere insieme spesso non va molto oltre il “ciao” o il “posso usare il tuo bagnoschiuma?”. Avresti accettato il suo invito a uscire anche dovendoti trascinare sulle ginocchia insomma.
Arrivate al vostro Mcdonad’s, quello sul viale Poetto che a Marzo è meravigliosamente vuoto, ordinate e paghi, vi andate a sedere e attendi con pazienza che arrivino i menù, certa che alla prima patatina Laura svuoterà il proverbiale sacco.
Il fatto continui a lanciare occhiate al telefono ti da un’idea di cosa aspettarti, comunque.
Come da manuale, una ragazza poggia il vassoio davanti a voi, Laura afferra maionese e patatine e sospira.
“Marco si è fatto di nuovo vivo.”
Alzi gli occhi al cielo e ti chiedi due cose: com’è che i ragazzi di oggi si rifiutino di crescere e com’è che una ragazza del calibro di Laura Floris possa perdere tempo con un inetto, vanesio e narcisista come quello li.
“Cosa schifo vuole ancora?” inutile specificare che tra i due non sia finita benissimo.
“Propormi una collaborazione…”
“Fotografia e idiozia?” non puoi trattenerti e non puoi farci nulla, quando vuoi bene a qualcuno, diventi iperprotettiva, ipercritica e…iperstronza. Fortunatamente Laura ci è abituata e non da peso alle tue parole.
“Fotografia e musica, mi ha chiesto di fare da fotografa a un evento-concerto.”
“Questa volta ti paga, almeno?” Non è carino da parte tua ricordarle che ha fatto un servizio fotografico a quel chitarrista da quattro soldi e alla sua band senza venire pagata e venendo scaricata subito dopo, ma è tuo dovere di amica ricordarglielo, non vuoi nemmeno correre il rischio che lei perda tempo con un elemento tale.
Ti lancia un’occhiataccia e ti rendi conto che ha ragione, che questa volta hai esagerato, tuttavia non riesci a mollare la presa. “Gli hai detto di no.” È un’affermazione, non una domanda.
Giocherella con una patatina tenendo la testa basta.
“La’?”
Il suo telefono cinguetta, segnalandole che ha appena ricevuto un messaggio, lei lo guarda senza troppo interesse e fa una smorfia che non sei in grado di decifrare.
“C’è un’altra lesbica nella tua vita di cui non mi hai detto nulla?”
Scuote la testa e non alza gli occhi dalle patatine, ma sorride e quindi il tuo obiettivo è raggiunto. “Callonetta.”
“Grazie.”
“Sono uscita con uno.”
“Conosciuto su Tinder?”
“Si.”
Dai un morso al tuo panino e aspetti sia lei a parlare, capendo che sia inutile metterle fretta.
“Siamo andati a fare due passi al Poetto e a bere una birra al…”
“È inutile tu mi dica il nome del chiosco, per me sono tutti uguali, lo sai.”
Sorride, mangia un’altra patatina e tu continui con il tuo panino.
“Dalla chat sembrava uno interessante, che ha viaggiato molto: è appena tornato dal Sudafrica.”
“Ma?” Ovviamente c’è un ma, c’è sempre un ma.
“MA il suo solo scopo era quello di girarsi le DISCOTECHE PIÙ FAMOSE.”
Emettete entrambe un suono che è a metà tra il disgusto e il dolore.
Siete tutte e due dolorosamente attratte dal cervello e dall’intelligenza delle persone: il fatto che per qualcuno il massimo del divertimento (o peggio, l’aspirazione più grande) sia fare serata in tutte le discoteche più grandi o conosciute al mondo, vi rattrista, per non parlare dell’effetto alla vostra libido.
“Che tristezza.” Scuoti la testa e non capisci perché sembri vergognarsi lei.
“Mi manca Marco.”
Sospiri “La’.”
“Lo so, lo so. Ma almeno con lui ci potevo fare una conversazione di un certo livello, potevo parlarci di tutto: musica, libri, arte, attualità. Potevo parlarci.
Capisci perfettamente cosa voglia dire e vorresti schiaffeggiare questo Marco, che per sua fortuna non hai mai incontrato, fino a farlo rinsavire e fargli capire che meravigliosa ragazza sta perdendo per “la sua incapacità di avere una relazione stabile”.
Ti viene la nausea al solo ripensarci.
“Tu?”
“Mhm?” hai una crocchetta per metà in bocca e probabilmente hai un’espressione stupidissima sul volto. La butti giù in tempo record “Io cosa?”
“Qualcuna interessante su Tapa?”
“WAPA. Si chiama WAPA. W.A.P.A.”
“Si si, quello.”
Ti chiedi se sia tanto difficile per un’eterosessuale ricordare il nome di una stupida app per lesbiche, ma poi ti sorride socchiudendo gli occhi e sai che lo fa solamente per infastidirti.
“Allora?” Infila una patatina in bocca facendoti l’occhiolino e temi di aver fatto involontariamente una smorfia.
“Boh c’è una che non mi dispiace, ma è strana.”
Veloce come un fulmine, Laura afferra il telefono che hai poggiato sul tavolino e va dritta all’app, con lei è inutile il tuo codice di sicurezza, li conosce tutti a memoria. Apre wapa e poi le chat. “Questa? Marghe? Che nome di merda.”
“In realtà si chiama Daisy.”
“Ew. Ancora peggio. Mh, non è nulla di che, puoi avere di meglio.”
La ignori, perché per lei nessuno è alla tua altezza.
“Legge molto e parla l’italiano corretto, visto che è una giornalista freelance.” La cosa dell’italiano, purtroppo per voi, non è una cosa così scontata.
“E come si mantiene, scusa?”
“Non ne ho idea.”
“Ci uscirai?”
“Non ne ho idea.” Scrolli le spalle perché al momento l’ultima cosa di cui hai voglia è imbarcarti in una cosa così stancante, anche se si tratta solo di un nuovo incontro con una conosciuta in chat.
Detesti queste cose e continui a pensare che la vostra sia davvero una generazione sfortunata, da quel punto di vista e non solo. È tutto telematico, tutto costruito sulle apparenze, è un gioco continuo a chi si dimostra più figa e meno interessata ed è un gioco che tu non hai mai saputo o voluto giocare: sei espressiva come una bambina dell’asilo e non ti piace fingere di essere qualcuno che non sei. L’hai fatto fin troppo nella tua vita e sei tanto folle da pensare di dover essere accettata per quella che sei. Amata no, non sei così tanto folle.
“Dovresti uscirci secondo me. Sei troppo selettiva.”
Ha ragione, lo sai che hai ragione, così come sai che probabilmente darai una possibilità a questa Daisy solo perché Laura e Rossella ti convinceranno a farlo.
Continuate a mangiare e, prima ancora che arriviate alla vostra creperia di fiducia, gli argomenti e l’umore si sono molto alleggeriti. Ti ritrovi come sempre a pensare che non sarai mai stata un gran che fortunata in amore, ma a livello di amicizia?
Hai vinto almeno due lotterie.

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Capitolo 4
*** ch3 - Voyage of the damned ***


ch.3 – Voyage of the damned.
 
Spalmi il terzo, o il decimo, oro saiwa con una dose generosa di marmellata e Laura si siede davanti a te con uno sbuffo.
“Nella puntata di oggi di Super Quark: Martina Pastorelli e le sue ossessioni.”
Cerchi di guardarla male, ma hai infilato l’intero biscotto in bocca e non credi sia uno sguardo particolarmente cattivo, soprattutto perché, appena ha nominato super quark, hai iniziato a mormorare l’aria sulla quarta corda.
Non puoi resistere, non puoi semplicemente resistere.
Solo dopo aver ingoiato il biscotto, aver terminato la canzone e aver leccato via la marmellata dalle dita, le rispondi.
“Io non ho ossessioni.”
Afferra il barattolo di vetro davanti a te e finge di scrutarlo intensamente. “Dunque vediamo, questo è il terzo barattolo di marmellata di camemoro in quanto…una settimana?!”
“Dieci giorni!!” Non credi di essere suonata molto aggressiva in questa risposta, ma dovrai pur difenderti, anche se per finta.
“Ah si. In più non hai una vera e propria ossessione per Doctor Who, Lena Headey, Cate Blanchet, Dianna Agron o P!nk…”
Porti la tazza di te alla bocca con aria sognante. “Sono così belle…”
“O per Carrie Fisher…alla quale hai…” ti sfila da sotto il naso il blocco sul quale stavi scarabocchiando varie versioni di Layla. “…dedicato la protagonista di una storia. Che tra parentesi, VOGLIO leggere Marty, non passarti.”
Recuperi il tuo quaderno con aria indignata e offesa, ma sotto-sotto sei perfettamente consapevole di essere arrossita. Mormori una risposta molto simile al “quando sarà finito”, ma non sei sicura nemmeno tu di aver pronunciato quelle parole.
Quando qualcuno ti parla dei tuo lavori entri in modalità panico totale, ti senti fin troppo esposta e nuda, perciò porti velocemente l’argomento su altro, ossia sui waffle che ha davanti e che è riuscita a bruciare anche oggi.
“Lo sai vero, che posso tranquillamente prepararteli io, si?” Anche perché si tratta solo di infilare quei cosi congelati nel tostapane e aspettare che saltino fuori da soli, come lei faccia a bruciarli è un vero mistero.
No, la cucina non è decisamente uno dei suoi talenti.
Scuote la testa e arriccia il naso. “No, vanno benissimo così.” Gratta via la parte bruciata, ci versa sopra una dose massiccia di sciroppo d’acero e sorride: quel sorriso è più che sufficiente per dirti che è una cosa che ha a che fare con gli anni che ha vissuto in Inghilterra e che ci tiene a mangiarli così per conservare il ricordo di quello che è stato.
Per lei, esattamente come per te, il ritorno a Cagliari, dopo aver vissuto tutti quegli anni fuori, non è stato semplice, è stato come tornare “al via” e spesso vi siete confidate a vicenda di provare la sgradevole sensazione sia stato tutto solamente un sogno, che non siate mai uscite dalla Sardegna e abbiate ancora 20 anni o giù di lì. È molto sgradevole e capisci dunque il suo bisogno di attaccarsi a una cosa piccola, piccola come i waffle bruciati, tu d’altronde ti sei attaccata a un drago che esiste solo nella tua mente.
Il tuo telefono vibra ma appena vedi che è tua madre a chiamarti decidi che non risponderai.
“Hai marmellata anche nelle orecchie e non senti che squilla?”
Ti strappa un sorriso, ma la sgradevole sensazione che provi quando hai a che fare con i tuoi genitori ti ha avviluppata come sempre e odi te stessa per non aver ancora imparato a difenderti.
34 anni sprecati.
“Da quanto non li vedi?” Laura Floris, la ragazza che ti capiva al primo sguardo.
Stringi le labbra e scuoti la testa.
“Non saprei, un mese? Due mesi? Sei mesi? Ah no, dal mio compleanno. Tre mesi quindi.”
“Marty…”
“Lo so, non posso scappare all’infinito.” Chiudi gli occhi e senti le sue braccia avvolgerti e la sua testa posarsi sulla tua. Non siete mai state particolarmente fisiche nella vostra amicizia e quindi i tuoi occhi si riempiono di lacrime e il cuore trema nel tuo petto, pieno d’affetto e riconoscenza.
“Posso venire a fare la tua finta fidanzata se vuoi.”
Scoppi a ridere e annuisci, ma puoi scuoti la testa. “Non saresti credibile come mia fidanzata nemmeno sa ne dipendesse la tua vita, Floris.”
“Ehi!! Stronz…” la sua frase finisce in un urlo, lanciato a pochi centimetri dal tuo orecchio.
“Maremma maiala La’!!!! Sei impazzita????”
Indica il barattolo di marmellata e indietreggia finché la sua schiena non tocca il muro, alzi un sopracciglio e guardi il barattolo e poi lei.
“Laura?”
“C’è…c’è…”
“Che? Cosa?”
Squittisce ed esce dalla cucina. “C’è qualcosa nella marm…” non senti il resto perché è scappata via, ma credi di aver afferrato il concetto. Prendi il barattolo e noti solo ora che c’è una grossa formica incastonata nella marmellata, un pochino la invidi per una morte così dolce, un pochino ti fa rabbia non poter mangiare quella goccia di marmellata in cui quella sfacciata ha trovato la sua dolcissima fine.
Fai una smorfia di ammirazione e decidi di far ridere i tuoi colleghi, perciò fai una foto alla tua ospite e la mandi nella chat del bar.
Non avevi idea che avresti scatenato l’inferno con una cosa così innocente.
Si sono agitati tutti dicendo che è una cosa gravissima e pericolosissima e che probabilmente dovranno bloccare l’intero stock di marmellate e cose simili. Ovviamente ti ordinano di portarla al lavoro per i dovuti controlli.
Guardi la marmellata rimanente e ti maledici per il patetico bisogno che provi sempre di far ridere gli altri.
Due ore più tardi sei davanti ad Alex e all’intero management con il barattolo di marmellata in mano e la faccia rossa come un peperone. Tutte le colleghe presenti in negozio sono accorse per vedere la famosa formica e hanno più o meno tutte la stessa reazione che ha avuto Laura quando la vedono.
Tu ti limiti a scrollare le spalle e a dichiarare un semplice:
“Se fosse stato per me, avrei mangiato la marmellata attorno a lei.”
Le tue colleghe nascondono il volto tra le mani e ti dispiace che Giorgia non sia presente perché lei avrebbe capito, avrebbe fatto lo stesso. Ridacchi e usi sempre lo stesso trucco per distogliere l’attenzione da te, o comunque da qualcosa di cui ti vergogni.
“Ragazze non ci posso fare niente. Non mi fanno schifo gli insetti, mi piace il calcio e gioco con i videogiochi, sono il cliché di una lesbica.”
Qualcuno ridacchia, Alex, che è il tuo superiore e colui per il quale hai sottolineato questa cosa, fa un commento sul fatto che un giorno devi assolutamente partecipare a una partita di calcetto tra colleghi, Silvia la stagista, e quindi la tua collega più giovane, ti guarda come se tu ti fossi appena denudata davanti a tutti, ma la cosa più strana è Leila, per la quale tendenzialmente non esisti ma che ora ti sta guardando, dandoti la strana sensazione di starti studiando.
“’Nnamo ragazzì, che è ora di andarvi a guadagna’ la pagnotta. Annate a lavora’. Di questa formica ce ne occupiamo subito Pastorelli. Ma hai imparato a Firenze a fare ‘sti casini Pastorelli? Non è bello chiamarla Pastorelli come se fossimo a scuola?”
Alzi gli occhi al cielo, perché si diverte fin troppo a ribadire il fatto tu abbia vissuto a Firenze e davvero, non capisci cosa ci sia di tanto ilare in questo fatto, in più non è che tu impazzisca di gioia nell’essere chiamata per cognome.
Ti dirigi verso lo spogliatoio accompagnata da coloro che devono entrare in turno con te, vi cambiate in massa, ma tu rimani indietro per prendere le monete necessarie a comprarti l’acqua, quando qualcuno tossisce alle tue spalle.
Ti giri e Silvia evita il tuo sguardo guardandosi colpevolmente attorno: “Non hai paura?”
Non ha bisogno di specificare di cosa, hai saputo che era gay nel momento esatto in cui ha posato gli occhi su di lei: è il tipo lievemente androgino e spaccone, classico delle ventenni d’oggi. Le sorridi intenerita e scuoti la testa.
“No, non ho paura.” Sarebbe più preciso dire che non hai più paura, perché ne hai avuto fin troppa e sei stanca di averne ancora, ovviamente lavorare per un’azienda che reputa la diversità dei propri dipendenti un punto di forza, lo rende più facile.
“Non so se io sarò mai in grado di farlo.”
Le sorridi ancora perché ha ventitré anni e la sua paura è più che giustificata, è praticamente fisiologica. Sospiri e ti metti a sedere, aspettando lei ti dica qualche altra cosa o anche solo per accertarti che lo sforzo di averlo ammesso non sia troppo per la sua giovane psiche.
Questa è una cosa che vorresti riuscire a spiegare agli eterosessuali, il motivo per cui sbandieri ai quattro venti che sei lesbica e che lo ribadisci più o meno ogni cinque minuti: non si smette mai di fare coming out.
“Non sei costretta a farlo, sono affari tuoi.” Ed è così, sono affari suoi, vostri.
“Mi sembra di prenderle in giro però.”
Sai che stai parlando delle colleghe con le quali sta instaurando un rapporto di amicizia. “È solo che non so come reagiranno, e se non mi vogliono più nello spogliatoio? Se non mi invitano più a bere?”
“Non lo faranno. Non cambierà nulla.” Sono tutte colleghe giovani e hanno preso bene la tua omosessualità, non vedi perché debba essere diverso per lei. Ancora una volta non la puoi biasimare però: è come se ci fosse una piccola finestra di tempo quando conosci qualcuno di nuovo, passata la quale, dire loro di essere gay diventa strano, inappropriato o ingiusto. Brevissimi attimi di tempo in cui non solo devi capire chi hai davanti, se sia omofobo o meno, ma devi anche capire che tipo di rapporto avrete, se sarà così profondo da dover giustificare una condivisione simile, condivisione che nella maggior parte dei casi acquista molta più importanza quando non viene fatta, che viceversa.
Non si smette mai di fare coming out.
“In fin dei conti nessuna di loro mi dà le spalle quando ci cambiamo.”
Lei ride, ma è una cosa che ti è successa veramente in altri spogliatoi e non è piacevole.
“Puoi…può rimanere tra noi?”
“Certo.”
“Martina è gentilmente pregata di mettersi in contatto con il bar.”
Scatti in piedi e corri verso l’uscita, avevi completamente dimenticato che devi entrare in turno e prendere il cassetto con i soldi, o chiunque ci sia al bar non può andare via. Tuttavia arrivi alle scale e poi torni indietro, apri la porta dello spogliatoio e urli:
“Se posso fare qualcosa, sono qui.” Hai appena il tempo di sentirla ridere e poi scappi via, preparandoti psicologicamente per un altro pomeriggio di caffè in vetro e cappuccini tiepidi, chiedendoti che fine farà la tua amica formica e invidiandola ancora per la sua dolcissima fine.
 
 

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Capitolo 5
*** ch4 - Kinda ***


ch.4 – Kinda.
 
Sei a metà strada nell’infilarti la parte superiore del pigiama con l’unicorno, quando il tuo telefono inizia a squillare: Ti agiti senza nessuna motivazione plausibile e impieghi il doppio del tempo rispetto a una persona normale, e adulta, per trovare il buco per far uscire la testa, saltelli fino alla scrivania e rispondi prima ancora di infilare le braccia nelle maniche.
“Cia…”
“Piiiiiii non puoi fare così, non puoi!!!”
“Eh?” Gratti la testa e hai un brivido di freddo, anche se è l’inizio di aprile, stare mezza nuda per casa non è una cosa particolarmente saggia da fare.
“Pi! Ho provato a chiamarti almeno 20 volte e non hai mai risposto!!! Ho pensato ti avessero rapita o violentata, ti avessero drogata e ti avessero tolto i reni per venderli al mercato nero…”
“Non sono sicura ci sia un mercato nero a Cagliari.”
“MARTINA!”
Nascondi la testa tra le spalle e ridacchi a disagio: quando usa il tuo nome non è mai una buona cosa.
“Mi stavo solo lavando i denti e struccando prima di andare a letto Pi…” Sempre che lavar la faccia per togliere quel poco di matita che metti dentro l’occhio si possa definire struccare.
“E ti costava molto mandarmi un messaggio per dirmi che eri arrivata a casa sana e salva?” Far capire a una persona che è nata e cresciuta a Milano che Cagliari non è una città pericolosa, è molto, molto difficile. Per stare al sicuro è sufficiente evitare certe zone, tu vivi nel quartiere degli studenti e quindi puoi tranquillamente permetterti di tornare a casa a piedi dopo una cena.
Per di più, non sei tornata da sola.
Tuttavia decidi sia il caso di scusarti perché l’hai fatta preoccupare e ti dispiace.
“Scusami Pi.”
“Bussa alla porta di Laura e fatti schiaffeggiare per favore.”
Sorridi e ti rilassi. Apri il portatile e cerchi gli auricolari per non essere costretta a tenere il telefono in mano. “Non c’è, è al lavoro.”
“Fatti picchiare domani allora.”
Mormori un assenso privo di parole, apri Photoshop e ti metti più comoda sulla sedia. “Non sono tornata a casa da sola comunque. Mi ha accompagnata lei.” Ti sei lasciata convincere dalle tue amiche e hai accettato l’invito a cena di Daisy, la ragazza con la quale stavi chattando su wapa, perché, a parte qualche commento fastidioso qua e là, le chattate con lei si sono sempre rivelate piacevoli.
“SEI SALITA IN MACCHINA CON UNA SCONOSCIUTA MARTINA PASTORELLI?!?!?!?”
Togli gli auricolari dalle orecchie perché il volume di questo era davvero alto.
“Ma scusa, ci sono uscita, non è più una sconosciuta, no?” Hai paura della sua risposta e non le dai il tempo di parlare “No comunque, abbiamo fatto due passi fino a casa.” Il ristorante distava si e no quindici minuti a piedi. Il fatto ne abbiate impiegato trenta è un dettaglio irrilevante.
Rossella sbotta ancora, ma poi si lascia vincere dalla curiosità e cambia tono. “Allora, racconta. Com’è questa Daisy?”
Questa domanda ti blocca la mano poco prima che la punta del pennino tocchi la superficie liscia della tavola grafica. Sembrerebbe una domanda semplice ma non lo è affatto.
Stropicci il naso e dondoli la testa.
“Pi?”
“Si?”
“Ti ho fatto una domanda?”
Fai quello che fai sempre quando parli con Rossella, levi il filtro e le dici semplicemente quello che pensi. Ci sono solo due persone al mondo in grado di capire questo tuo modo di comunicare e nessuna di loro è un tuo parente.
“È carina. Ma solo quando non è particolarmente truccata.” Ok, forse questa ti è uscita male.
“Come sarebbe a dire scusa? Non l’hai vista oggi per la prima volta?”
“Si, l’ho vista oggi per la prima volta. E a inizio serata era truccata, ma poi il trucco è semplicemente sparito mano e mano che si procedeva e devo ammettere che era molto meglio.” Appena l’hai vista hai pensato che il trucco su di lei stonasse in qualche modo, hai avuto la sensazione che fosse una forzatura, come se volesse dimostrare di essere femminile a tutti i costi.
Personalmente non hai mai pensato che il trucco fosse sinonimo di femminilità, ma questo non ha nulla a che fare con il fastidio che hai provato: era come se qualcosa non fosse ben definito in lei e il trucco sottolineava questa disarmonia.
“Ohm…che cosa strana.”
Inizi a tracciare i contorni degli occhi di Layla, lieta di non stare affrontando questa conversazione con Laura, perché lei ti avrebbe chiesto della tua prima impressione, sapendo perfettamente che per te è l’unica che conta, visto che non hai sbagliato una sola volta nella tua vita.
“Lo struccamento a tempo o che stesse meglio senza trucco?”
“La prima. Vorrei potermi struccare anche io così, sai che bello. Andrei dritta a letto senza dovermi sbattere tutte le sere.”
Commenti ancora con un mormorio indistinto mentre lasci che Layla stessa decida come la disegnerai.
“Ma la cena com’è andata?”
“Ben…”
“Avete mangiato giapponese?” Puoi immaginare la sua espressione sognante. Ogni volta che una di voi due va al giapponese, l’altra patisce fisicamente.
“Si, abbiamo mangiato giapponese.”
“Mangia bene? Composta?”
Ridacchi. “Si, mangia bene, composta. La serata è stata molto piacevole, abbiamo parlato di molte cose e il tempo è praticamente volato.”  Rivivi nella tua mente gli argomenti di cui avete parlato, del suo coming out, del tuo, del lavoro, della famiglia, dei suoi studi, di libri. Avete parlato moltissimo di libri e la cosa ti ha deliziata.
“Pi?”
Alzi di nuovo il pennino dalla tavoletta grafica perché la voce di Rossella era abbastanza inaspettata, persa com’eri nei tuoi pensieri.
“Si?”
“Cosa ha fatto che non va?”
“Perché pensi che…”
“Pi!”
Vorresti dire che Rossella ti conosce molto bene e che non ci sia bisogno di molte parole tra voi, ma mentiresti, la verità è che sei uno strafottuto libro aperto.
“Non è nulla…”
“Ti ha rubato cibo dal piatto?”
“Ehi!!! Non sono mica un cane!!!”
“Si che lo sei Pi.”
“No che non lo sono.” Si che lo sei, sei leale, fedele ed eccitabile come un cane, e non ti piace tocchino il tuo cibo. Non ti piace per nulla.
Ma quel briciolo di dignità che hai ti spinge a negarlo, inutilmente.
“Seh, seh. Ha sbagliato i verbi?”
“No.”
“Ha fatto battute sul fatto che non bevi?”
“No, Pi.” Non credi se ne sia accorta, ma il suo tono si è fatto infastidito, decisamente protettivo. Sorridi e noti che la tua mano ha deciso che Layla sarà nella sua versione drago dolce, quindi scodinzolante e affettuosa, il che significa che dovrai disegnare anche la sua Sydney. Magari puoi farle dire ancora che lei è solare e non si lamenta mai: quando esce dalla sua bocca, è una delle frasi più ilari che tu abbia mai scritto o letto.
“Ha parlato troppo delle sue ex?”
Tossisci e gratti la testa. Prima di stasera non avevi idea di cosa significasse parlare troppo delle proprie ex, oggi temi di averlo scoperto.
“Credo di si. Oddio, anche io ho parlato di Claudia, ovviamente ho parlato di Claudia, ma non…” prendi un respiro profondo perché le parole ti si sono ingarbugliate sulla lingua e non sai più come districarle. Batti la punta del pennino sulla scrivania e ti sforzi di non pensare a quanto sia finita male, ti sforzi di non pensare a Marvin, il vostro…il suo cane, e di come tu gli abbia dovuto dire addio.
Addio.
Forzi la tua mente su qualcosa meno doloroso, sei un vero genio ormai a farlo, non hai fatto praticamente altro nei due anni passati.
“Ho parlato brevemente di Claudia, di come l’ho conosciuta, di quanto siamo state insieme, della convivenza e di come sia finita la storia.” Hai dato una versione molto, molto light di come sia finita la storia, dicendo solamente che l’amore è finito.
Decisamente un eufemismo.
“Oh, non le hai detto quanto sia stata stronza e crudele Claudia e di quanto sia un bene che vi siate lasciate, perché non ti meritava ed era solo una sanguisuga?”
Il soprannome Pi, tra le altre cose, sta anche per protettiva.
Sorridi e riprendi a disegnare. “No, non gliel’ho detto.” Hai deciso semplicemente che non valga la pena dire o spiegare certe cose agli altri, o forse stai solo scappando, ed evitare di parlarne nel dettaglio significa anche non pensarci. Non lo sai, non hai mai capito se sei una persona molto riservata, o se sei semplicemente una codarda molto brava a evitare le cose e inventare scuse.
Senti uno “stronza” mormorato dall’altra parte della linea, seguito da molte altre parole poco gentili e scuoti la testa intenerita.
“Lei invece si è soffermata parecchio a descrivere come e perché le sue ex siano state delle stronze, ha pronunciato almeno una cinquantina di volte sempre la stessa frase, una roba tipo: dopo che si mettono con me, diventano tutte psicopatiche.”
L’ha detto praticamente alla fine di ogni racconto su un’ex e tu non hai potuto fare a meno di pensare la frase: “La bellezza sta negli occhi di chi guarda.”
Credi non valga solo per la bellezza, ma anche per molte, molte altre cose.
“Figa Pi,  non è ancora in grado di avere una relazione se parla così tanto delle sue ex.”
“Beh, buon per lei.”
“Perché, non la vuoi rivedere più?”
Noti solo ora che sul telefono hai un messaggio di Daisy che ti dice di aver passato una bella serata e ti chiede di rivedervi ancora. In realtà l’idea di rivederla non ti dispiace, perché la serata è stata piacevole.
“Boh si, credo di si.”
“E allora?”
“E allora vederla non significa averci una relazione?” Sai cosa dirà prima ancora che le esca dalle labbra.
“Pi. Devi almeno provarci.”
“Ci sto uscendo, no? Ci sto provando.” Non credi minimamente nell’amore così come non credi che questa persona potrà provare interesse per te. Sai perfettamente di non essere una strafiga, ma non è quello il punto, il punto è che sei consapevole di essere strana, e ti aspetti che chiunque scappi appena se ne renderà conto.
O che si annoierà nel constatare quanto tranquilla sia la tua vita, o quanto poco ti piacciano i drammi in generale.
D'altronde hanno creato il detto “chi dice lesbica dice dramma” su basi assolutamente solide.
“La settimana prossima hai la cena aziendale?” Capisci dal suo tono che vorrebbe dirti altro ma che non lo fa perché non crede sia il momento, che tu non voglia sentire altro. Accetti con gratitudine la via d’uscita che ti sta offrendo.
“Yep.” Cena aziendale per festeggiare i 75 anni Ikea, con la speranza che ne duri altri 75, o abbastanza da poterti mandare in pensione.
“Hai trovato come vestirti?”
Ovviamente Ikea non fa le cose normali, quest’anno c’è un contest per l’outfit più strano, ovviamente a livello mondiale e ovviamente le foto dei primi cinque saranno postate sul sito interno dell’azienda, quello a cui potete accedere solo voi dipendenti, e avrà un premio in denaro, che andrà in beneficenza.
Ikea.
Assurdo, ma almeno non devi impazzire per vestirti elegante per una stupida cena aziendale. Non hai nemmeno un capo d’abbigliamento che possa svolgere una funzione del genere.
Ghigni felice e sollevata “Laura ha un maglione di Darth Vader che ha preso in Inghilterra e che mi presterà.” E dentro il quale speri di non morire squagliata.
“Anche se star wars non ti è piaciuto poi così tanto?”
Sta citando fedelmente le tue parole e tu abbassi la voce e ti pieghi su te stessa con la paura che qualcuno vi possa sentire e toglierti l’appellativo di nerd.
“Il merchandising è perfetto e non è che mi faccia schifo.” Alzi la voce e ti metti a sedere più dritta. “D’altronde ho chiamato la protagonista del mio fumetto in onore della loro principessa.”
Puoi quasi sentirla alzare gli occhi al cielo. “Solo perché ti sei innamorata di Carrie Fisher. Ti HO fatta innamorare.”
Non puoi vincere una discussione del genere con una che conosce tutti i tuoi sotterfugi, o con una che sa perfettamente che sei innamorata della signora Fisher come scrittrice e come essere umano, non come attrice.
“Whatever.Latuagiornatacomeèandata?” Lo dici tutto d’un fiato, in modo che non possa dirti altro e tu sia salva.
Iniziate a parlare della sua giornata e dei vostri lavori, di nulla e tutto, come siete bravissime a fare.
È quasi l’una quando Rossella ti chiede che orario farai l’indomani o meglio, più tardi, e ti accorgi che hai una strafottuta riunione con un nonsochi al lavoro e che dovrai essere lì alle nove e mezza.
Vi salutate e chiudete, non senza che prima tu le prometta di aggiornarla su qualunque novità ci sarà con Daisy, non credi ce ne saranno parecchie, ma lo prometti comunque.
Quando ti metti a letto, l’alba sta accarezzando il cielo e tu sbatteresti la testa al muro perché sei una perfetta idiota. Ma come potevi andare a letto senza finire di disegnare Layla e Sydney? Non potevi.
Avevi bisogno di schiarire la mente, e disegnare il tuo amore cartaceo, o digitale, è l’unico modo che conosci per farlo.

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Capitolo 6
*** ch5 - Empress of Mars ***


ch5 – Empress of Mars.
 
Varchi l’ingresso dipendenti e litighi come ogni giorno con la porta, perché la stronza non si chiude, la guardia ti sorride ma non fa nulla e tu lo maledici fingendo di rispondere al suo sorriso. Non hai idea di come tu faccia, ma alla fine risulti vittoriosa e la porta si chiude, fai pochi passi e infili subito le mani in tasca perché non hai la minima idea di cosa fare delle tue braccia quando cammini se non tieni le mani nelle tasche.
Come facciano le persone normali, è sempre stato un mistero per te.
Saluti le colleghe del servizio clienti senza togliere occhiali e auricolari, sei troppo assonnata per poter affrontare chiunque o qualunque cosa non sia il tuo protettissimo mondo.
Prendi l’ascensore e vai verso il bar, perché la riunione nonsosaicosa con nonsaichi sarà tra più di mezz’ora, e hai tu hai già sviluppato un amore quasi materno per il piccolo bar nel quale lavori, e non resisti alla tentazione di andarlo a controllare appena metti piedi in negozio, o pick-up point, o quello che è.
Valentina è al bancone e ti avvicini per farle un silenzioso cenno di saluto, non puoi fare nient’altro visto che è assediata dai clienti, sono così tanti che provi pena per lei. Guardi il suo volto stanco e il suo sorriso tirato e decidi che clienti o no, rimarrai per dirle due parole gentili, per farla ridere, magari le chiedi come stanno i suoi figli, così le rendi le forze.
Ti pianti davanti alla porta basculante, nell’aria sacra in cui i clienti non possono stare, sfili gli auricolari e lei ti guarda, chiedendoti silenziosamente se hai bisogno di lei, scuoti la testa per dirle di stare tranquilla, che sei solo in visita. Non sai se abbia capito o meno, sta di fatto che annuisce e riprende a servire, per fare i due caffè che le ordinano si avvicina alla macchina e a te, riesci quindi a chiederle come stia: avete solo i 40 secondi che quella maledetta bevanda impiega per uscire dalla macchina, dopo di che lei si allontana e serve il cliente successivo. La vostra conversazione continua a singhiozzi per qualche minuto, finché una donna esordisce con un: “Vorrei un cappuccino senza caffè.”
Mordi le labbra per non ridere, anche se potresti farlo, visto che non indossi la divisa, ma è sempre meglio allenarsi a non farlo.
“Dunque vuole un latte caldo schiumato?” Valentina ha la voce dubbiosa ma gentile e educata, come sempre. Non credi sia capace di essere scortese.
“NO! Voglio un cappuccino senza caffè, perché il caffè non mi piace.” È la risposa irruenta e scortese che riceve in cambio.
Infili la mano sotto gli occhiali di sole per coprirti gli occhi, un facepalm sarebbe pari al ridere. La tua collega fa pagare la signora a cui non piace il caffè e poi si gira verso di te con gli occhi sgranati, tuo scuoti la testa, perché sai perfettamente che un cappuccino senza caffè è un latte caldo con la schiuma e che la signora pagherà lo stesso tanto solo per averlo servito in una tazza più piccola e apparire più figa. Il voler apparire più figa ordinando un cappuccino al posto di un latte caldo è l’unica spiegazione che sai darti per un’insistenza simile.
Qualunque sia la motivazione della donna, questa scenetta è più che sufficiente per farti scappare a gambe levate dalla pazzia della gente.
Non riesci ad allontanarti troppo però, gironzoli per la bottega e ti prendi il tempo per studiare i nuovi prodotti che vi sono arrivati, tipo il sale colorato del quale non hai la più pallida idea delle caratteristiche e delle particolarità.
“Mi scusi?” Un uomo te lo urla all’orecchio, sbucando da non sai dove e quasi ti fa venire un infarto. Ingoi il “tua mamma maiala” che stava sfuggendo dalle tue labbra e ti giri con un sorriso forzatissimo.
“Si?”
Lui indica il frigorifero dei surgelati “Mi sa dire cos’è questo?”
Certo che lo sai, è il vostro prodotto di punta, praticamente è lui da solo a pagarti lo stipendio.
“Salmone marinato.”
“Aaaah! Marinato.” D’improvviso sembra che la marinatura sia il suo forte, che lui sia un grandissimo esperto della marinatura. Stai per scivolare via e lasciarlo a quella che sembra essere la sua più grande passione, ma lui parla ancora.
“È surgelato?”
Guardi l’enorme cella nella quale è racchiuso e inspiri profondamente prima di rispondere un semplice “Meno venti gradi.”
Ti giri per andare via, ma lui ti poggia una mano su un braccio:
“Aspetti aspetti, questi invece?”
Giri su te stessa molto velocemente e sei lieta di avere ancora la mano in tasca o rischi di spaccargli la faccia con un pugno, o di impersonare l’imperatore Kuzco, agitare le mani davanti a lui e indietreggiare dicendogli che no, non si tocca.
Questa volta fai una smorfia e ti allontani di almeno cinque passi da lui. “Si?” Non puoi evitare di mostrarti infastidita, ma non puoi rispondergli male perché i clienti hanno uno strano sesto senso e riescono a percepire che siate dei dipendenti Ikea, anche se non state indossando la divisa e il vostro badge sia nascosto in borsa, sotto strati e strati di oggetti personali.
Devi essere professionale, anche se nessuno ti sta pagando per farlo.
“Questi cosa sono, come si cucinano?”
Gli spieghi che quelli sono tranci di salmone e che possono essere cotti in forno o in padella, ti fa mille altre domande alle quali non sai rispondere perché, a differenza di quello che pensano loro, nessuno vi ha fatto un corso sulla cottura dei prodotti che vendete, a malapena vi lasciano il tempo di leggere le etichette che vi spiegano cosa siano. Il tizio viene chiamato da qualcuno e tu ne approfitti per andare verso l’area dipendenti.
Si, per fuggire.
Timbri il cartellino e vai dritta nella sala relax, qualche tuo collega ha già preso posto, e tu adocchi il lettino e Whatever, l’enorme e magnifico peluche squalo che ha più o meno la tua stessa voglia di vivere, ma poi entra Leila e tu capisci che devi fare la persona adulta, la lavoratrice seria, e quindi sederti come tutti gli altri, non rotolare su un lettino con un pupazzo, magari grattandolo sotto il mento e ripetendogli all’infinito quanto sia bello.
Scambi due chiacchiere con tutti, ma più che altro con quelli che turnano al bar, perché ti senti più a tuo agio con loro che con quelli che lavorano in vendita: siete come due fazioni separate e ti dispiace, soprattutto perché molte delle ragazze sembrano dolci e simpatiche, ma non ti riesce mai scambiarci più di due parole. Di tanto in tanto capti la voce di Leila che si lamenta per il caldo o che, con evidente ironia, sottolinea quanto si senta fortunata per “essere stata scelta per questo incontro” e non puoi che trovarti d’accordo con lei.
È seduta su una delle poltrone della sala relax, dopo aver fatto sloggiare testa di lampadina senza troppe cerimonie, e dà ordini a tutti affinché abbassino ulteriormente la temperatura del condizionatore o smettano di far casino, o si spruzzino meno profumo la mattina.
La guardi di sottecchi perché ti terrorizza, come sempre, sprigiona forza e carattere da ogni poro, eppure è seduta in modo scomposto su una poltrona più bassa delle altre: è chiaro sia di un livello superiore del vostro, e non solo lavorativamente parlando.
Qualcuno ti ha detto che prima di Ikea lavorava nei cantieri e che comandava squadre e squadre di operai uomini senza la minima difficoltà e non fai nessuna fatica a crederci.
Hai un brivido perché se è terrificante così, seduta e rilassata, ti chiedi come sia quando si arrabbia davvero.
Alza la testa a guardarti, a studiarti quasi, con quei suoi occhi castani perennemente maliziosi e scrutatori, sempre attenti e alla ricerca di qualcosa. Distogli subito lo sguardo e giocherelli con il porta-badge arrotolando e srotolando tra le dita, quando la guardi di nuovo ha ripreso a parlare di lavoro con i suoi minion della vendita e tutti ridono con lei per qualcosa che ha detto e tu li invidi perché sono così rilassati.
Non sai nemmeno tu perché.
Nonsochi entra nella stanza chiudendosi la porta alle spalle, ha un enorme sorriso stampato in faccia e si presenta come Stefano qualcosa, vi racconta della sua esperienza Ikea e di come sia cresciuto e sia finito a fare quello che fa, e più parla, meno capisci di cosa si tratti, afferri solo che viaggia molto.
Tra un fiume di parole e l’altro, credi di capire che sia un incontro per conoscere la vostra opinione sul negozio e sul lavoro che svolgete, sottolinea più volte che è un’occasione per conoscervi meglio e dare loro consigli su come migliorare il vostro piccolo pick-up point.
In una parola: Ikea.
“Bene, ora che abbiamo rotto il ghiaccio, chi di voi si vuole presentare per primo?” Stefano Qualcosa si guarda attorno speranzoso e tutti vi fate più piccoli nelle vostre sedie, tu trovi improvvisamente interessante il laccetto del porta-badge, che non hai mai smesso di attorcigliare tra le dita.
Il vostro ospite tossisce più volte e con la coda degli occhi vedi che la sua attenzione si sposta su Leila, chiedendole silenziosamente aiuto, ti trovi d’accordo con lui per la sua scelta, visto che è la più alta in grado presente nella stanza.
Lei sbuffa, incrocia le gambe e sbuffa di nuovo, dopo di che si alza e si mette a sedere su di uno sgabello, vi guarda tutti e ha il volto annoiato, come sempre.
“Siete delle piccole merdine.”
Ridono tutti, ridi anche tu, perché sai che lo pensa davvero, ma che vi vuole bene, o almeno, vuole bene ai suoi minion.
“Ciao a tutti, io sono Leila.”
“…e non bevi da 20 giorni.”
Lei incenerisce con lo sguardo il collega che ha parlato, ossia sempre Testa di Lampadina, Silvietta però le impedisce di distruggerlo anche a parole:
“Morirei se non bevessi per più di 48 ore.”
Ci sono altre varie battute del genere e Stefano è costretto a intervenire per ripotare calma. Questo dovrebbe essere un incontro di due ore, ma se continua così durerà molto, molto più a lungo: il bello di essere un gruppo di ragazzi quasi coetanei.
“Avete finito? Ecco bravi.” Solo il suo intervento fa calare nuovamente il silenzio. “Bene, stavo dicendo: io mi chiamo Leila, ho 42 anni e lavoro in Ikea da 15.”
Apprezzi il fatto abbia dichiarato la sua età senza battere ciglio, senza l’irragionevole vergogna di quelle donne che vogliono apparire a tutti i costi più giovani. Non puoi dire che scoprire la sua età ti abbia stupita più di tanto, dimostra l’età che ha, ma non per questo hai mai pensato fosse brutta, al contrario, hai sempre pensato che fosse molto affascinante, fin dal primissimo momento un cui l’hai vista, al colloquio. Apparire affascinanti indossando pantaloni da lavoro e una polo gialla a strisce blu, non è una cosa da poco.
“Ho iniziato come venditrice nel reparto cucine, part-time di 20 ore, come tutti voi.”
“In che negozio?”
“Carugate.” La sua voce non rivela nostalgia nel ricordare il suo vecchio negozio, la sua città, la famiglia e tutto quello che probabilmente si è lasciata alle spalle. Riprende a parlare come se nulla fosse, come se Stefano Qualcosa non l’avesse interrotta “Ho cambiato più volte reparto, rimanendo sempre in vendita, sono diventata una specialist, ed è esattamente quello il ruolo che avevo quando sono arrivata qui, a Cagliari.”
“Cosa ti ha spinta a venire qui?”
A questo non reagisce bene, lo guarda dritto negli occhi e ha l’aria infastidita. Ha un volto molto espressivo e non sembra minimamente interessata a nascondere le proprie emozioni, buone o cattive che siano.
Ti viene da chiederti se si rilassi mai, se lasci mai la presa.
“La possibilità di crescita, cosa che è avvenuta pochi mesi dopo.” È più che chiaro che non sia la sola motivazione ed è palese che lei non abbia alcuna intenzione di approfondire l’argomento.
C’è un momento di silenzio in cui i due si guardano aspettandosi qualcosa l’uno dall’altra, come ti aspettavi, è lui a distogliere lo sguardo per primo.
“Bene, dici qualcosa di te Leila, qualche tu pregio o punto debole.”
“Posso lavorare anche venti ore di fila senza battere ciglio.”
Annuite tutti, tu compresa, perché l’hai vista più volte passare giornate intere in ufficio, o in vendita con i clienti.
Si gira verso di voi con il volto rilassato e un ghigno malizioso.
“Sono una persona molto solare, non mi lamento mai.”
È come se il mondo si fermasse di colpo e poi accelerasse e si fermasse di nuovo. Lasci il porta-badge e sgrani gli occhi, incapace di credere alle tue stesse orecchie.
Tutti attorno a te ridono, ma tu continui solo a guardare Leila senza capire bene cosa sia successo, se hai sentito quello che hai sentito.
Ok, è una stupidaggine, una mera coincidenza, la seconda stupida coincidenza, ma comunque una coincidenza.
Ti ripeti che non è nulla di che, che Leila, la donna che porta il nome del personaggio che hai creato e di cui sei follemente innamorata, ha appena pronunciato la stessa frase che ha pronunciato lei, nello stesso modo ironico e canzonatorio e lievemente strafottente.
Nulla di che, continui a ripeterti che non è nulla di che, ma il tuo cuore si rifiuta di rallentare i battiti e ti è difficile sentire qualcosa che non siano i suoi commenti ironici, le sue lamentele o le sue frecciatine.
Ha la sgradevole sensazione sia aperta una crepa nel tuo protettissimo mondo e che tutti i presenti, che Leila, vi possa vedere dentro.
Rimanere seduta li e non scappare a gambe levate è una vera e propria impresa.

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Capitolo 7
*** ch6 - 42 ***


ch.6 – 42.
 
Le persone attorno a te ridono e tu ti rendi conto di aver messo il muto e di esserti chiusa in te stessa, di nuovo.
Guardi le facce delle colleghe che sono sedute attorno al tuo tavolo e sorridi con loro, benché tu non abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo. Guardi con tristezza Giorgia, che è seduta molto lontana da te, in un altro tavolo, e sorride e parla con Giovanni. Sai che ha una cotta per lui e vuoi che ci passi più tempo possibile, nella speranza che nasca finalmente qualcosa, ma vorresti anche averla al tuo fianco e avere un appiglio, qualcuno che non ti faccia sentire così fuori posto, invece sei sola, circondata dalle colleghe della vendita con le quali scambi si e no due parole al giorno. Cerchi di capire i loro discorsi, di ridere ai loro racconti, di interessarti alle loro storie, ma per te diventa più difficile ogni minuto che passa.
Il tuo telefono vibra e sei lieta di avere una distrazione, seppure momentanea. È un messaggio di Daisy che ti chiede se ti va di vedervi stasera, senti le tue sopracciglia aggrottarsi perché fa il bello e il cattivo tempo, decide sempre lei quando vi vedrete e se da una parte ha un senso, visto che studia e fa tre lavori per mantenersi, dall’altra pensi che lo faccia per metterti alla prova. Per essere completamente onesta, hai sempre la tendenza a sentirti messa alla prova dalle persone, quindi sai che non è tutta colpa sua.
Grazie mille paparino caro.
Rispondi che sei alla cena aziendale, ma che non credi durerà molto e ti farebbe piacere vederla dopo. 
“Martinettis sta rimorchiando!!!” Carlotta, l’unica ragazza dai capelli naturalmente rossi che tu abbia mai conosciuto, ti mette un braccio sulle spalle e ti attira a se.
Cerchi di darti un contegno ma sei arrossita e non sai spiegarti nemmeno tu il motivo, probabilmente è dato solo dal fatto che per esporti così, devi essere psicologicamente preparata o scegliere tu di farlo: è sempre una questione di controllo.
Qualcuno direbbe che dipenda dal fatto tu sia un capricorno, quello, così come la tua incapacità di cambiare.
Vorresti spingere via il volto della rossa, ma ti trattieni dal farlo.
“Non sto rimorchiando.”
“Probabilmente l’ha già rimorchiata!” Silvietta alza e abbassa ripetutamente le sopracciglia e tu la guardi con rimprovero perché da una della family, come direbbe Rossella, ti aspetti un certo tipo di sostegno.
Non ti fermi nemmeno per un minuto a pensare che una persona normale non avrebbe bisogno di sostegno per una stupidata del genere.
Volente o nolente ti è comunque di aiuto, Carlotta si sgancia subito da te, mette la mano sulle sue spalle e le si avvicina troppo al viso, facendoti domandare se sia ubriaca dopo solo due bicchieri di vino rosso.
“Tu invece Silvietta?” Ha un sorriso sadico sul volto “Tu quante te ne stai portando a letto?”
La risposta della vostra giovane collega è un sibilo “Carlotta!!!!” La poverina si guarda subito attorno per capire chi abbia sentito quella sconsiderata frase, e non si limita solo al tavolo, ma anche allo spazio circostante. Sembra immediatamente sollevata dal fatto che il vostro tavolo da otto sia vuoto per metà, finché il suo sguardo non si poggia su Leila e il terrore ritorna a piena forza. La sua responsabile continua a giocherellare con il suo accendino come se nulla fosse successo, posando senza fretta lo sguardo dall’una all’altra.
La rossa sembra sempre più divertita. “Eddai Si’, cosa c’è di male a dirlo? Anche Martina ha fatto outing, non saresti mica l’unica.”
Stringi i denti per evitare di correggerla e spigarle la differenza tra il coming out e l’outing: tecnicamente tu hai fatto coming out al lavoro, mentre lei sta facendo outing alla piccola Silvia, sputtanandola allegramente.
La sputtanata diventa più rossa in volto e muove la testa verso la loro superiore per farle capire che un conto è dirlo ai colleghi, un conto è dirlo a qualcuno del management.
Leila smette di giocare con l’accendino “Non è assolutamente nulla di che, ti stupiresti di sapere quanti gay ci sono nei negozi grossi. Padova è un vero e proprio covo.” Silvia cerca di parlare ma lei non le permette di interromperla. “Capisco che in un ambiente così piccolo e intimo sia più spaventoso, ma non è nulla di che.”
Ti irrigidisci sulla sedia, perché non ti piace che una persona eterosessuale sminuisca così il dover fare coming out, la guardi con quello che credi essere uno sguardo freddo, perché sosia di Layla o meno, non le perdoni una presunzione simili. Ti stupisci profondamente quando ti accorgi che lei sta guardando te, quasi come se stesse aspettando quel tuo sguardo omicida. Ti sorride fugacemente e i suoi occhi sono meno freddi del solito.
Non sai bene cosa stia succedendo, ma ti lascia l’impressione che stia sminuendo il tutto per fare in modo che Silvietta riprenda un colorito normale, e magari respiri come un essere umano.
La sua frase successiva ti toglie ogni dubbio.
“Io sono bisessuale ma non...”
Gli occhi della giovane lesbica diventano il doppio della loro grandezza normale, così come quelli della sua sputtanatrice, e i tuoi.
“Sei bisessuale?!?!?!?!” La rossa sembra non sapere pronunciare le frasi senza urlare stasera.
Leila si lascia andare contro lo schienale annuendo e poi riprende in mano l’accendino. “Non escludo che potrei provare attrazione per una donna, è già successo in passato.”
Un messaggio ti salva dalle immagini mentali che ti sono esplose nel cervello e devi trattenerti dal baciare ripetutamente il cellulare.
Le colleghe sono colleghe, nel tuo immaginario sono chiuse nelle loro scatoline blu, come tante carinissime barbie, non esistono al di fuori del lavoro e sono perfettamente asessuate. Sul fatto di non esistere fuori dal lavoro non sei particolarmente ferrea e Giorgia ne è la dimostrazione pratica con cui passi volentieri le serate con lei con davanti pizza e coca, ma sul loro essere asessuate, su quello non si transige.
Il fatto che Leila a tratti, a enormi, immensi tratti, impersoni la tua Layla, ti confonde un pochino le idee.
Daisy ti ha risposto che farebbe piacere anche a lei e tu sorridi, pentendoti subito dopo di averlo fatto.
“Martinelli!!!! Stai rimorchiando…”
“Non sto…” esageri un sospiro. “Non ho bisogno di rimorchiarla, è la terza volta che esco con lei.”
La rossa avvicina la sedia a te. “Te la sei portata a letto.”
Da regina delle patate lesse quale sei, arrossisci senza pudore. “Non…non ci…” passi la mano tra i capelli. “Non l’ho praticamente nemmeno baciata.” Un bacio stampo, poco prima che tu salissi sull’autobus, è tutto quello che è successo tra voi.
“Dopo tre appuntamenti?”
“Io me le porto a letto subito.” Da 0 a 100: la giovane Silvia è decisamente passata oltre la sua vergogna.
“Io non saprei.” Carlotta si mette più comoda sulla sua sedia e guarda il cibo nel suo piatto senza il minimo interesse. “A volte si, a volte no. Certo, preferisco sapere subito se uno è bravo a letto. Una volta sono uscita per un mese con uno che durava si e no 30 secondi.”
“Veramente ci esci ancora.” Silvietta le ruba una patata arrosto dal piatto e la infila in bocca con aria soddisfatta, tu fai una smorfia di disgusto perché non capisci come le eterosessuali possano sopportare certe mancanze dagli uomini.
“Io non riesco a…midevofidareperfaravvicinarefisicamentequalcuno.” Passi le patate, che non hai alcuna intenzione di toccare, a Silvia, sperando nessuno si accorga quanto ti sia costato fare questa affermazione.
“Non sarete ancora di quelle che credono all’amore o che confondono certe cose con l’amore, mi auguro.” Leila vi guarda come se foste bambine dell’asilo che credono ancora a babbo natale.
Le tue colleghe più giovani annuiscono felici, tu scuoti la testa.
“No grazie, ho già dato e mi è bastato.”
La rossa ti è di nuovo addosso. “Cosa ti è successo Martinettis? Diccelo, raccontaci.”
Incontri i suoi sinceri e innocenti occhi verdi e non hai la più pallida idea di come possa apparire il tuo viso in questo momento, se tu stia sorridendo o meno.
“Ero fidanzata, mi dovevo sposare.”
“E poi cos’è successo?” Ora anche Silvietta si è avvicinata a te, sporgendosi più avanti sulla sedia e infilando i capelli nel piatto, li guardi sfregare sul cibo e provi un vago disgusto, ma non sei sicurissima sia legato solo a quello che vedi e non a quello che stai per dire.
“Lei ha cambiato idea.” Speri che la tua voce sia suonata fredda come nella tua testa, perché non vuoi che pensino ti importi ancora qualcosa di Claudia, non vuoi che pensino che tu ci stia ancora male o cose del genere.
Le tue colleghe più giovani trattengono il respiro, Leila socchiude gli occhi e ti senti nuda sotto il suo sguardo, ti concentri sul fatto che per una donna divorziata e madre single la tua storia sembri una sciocchezza.
D’altronde hai perso solo un lavoro sicuro, una casa e un cane.
Ricambi il suo solito sguardo indagatore, sforzandoti di andare oltre l’irragionevole paura che provi per lei e la soggezione che il suo somigliare a Layla ti fa provare, guardi i segni sul suo viso e la durezza dei suoi occhi e ti chiedi attraverso cosa sia dovuta passare lei, se sia sempre stata così o se stata la vita a renderla così dura, così forte.
“Quanti anni hai Pastorelli?”
“34. 1984.” Non sai perché hai detto l’anno di nascita, a volte le parole ti sfuggono semplicemente di bocca.
Il suo sguardo si intenerisce molto, d’improvviso. “Sei piccina.”
Ti irrigidisci ancora. “Non sono piccina!” speri di non essere arrossita e di non aver fatto nessuna smorfia dicendolo, di essere quindi risultata credibile, anche se ne dubiti. “Sono molto più vicina alla tua età che alla loro.” Lei ha 42 anni, tu 34, non ti sembra ci sia tutta questa distanza tra voi.
Leila ti sorride ancora più intenerita “Si, si Pastorellini.”
Senti due braccia avvolgerti e un mento poggiarsi sulla tua testa “Cosa mi sto perdendo?” Giorgia deve aver notato la confusione ed è venuta immediatamente a curiosare.
“È successo che sono capitata al tavolo della materna.” Vi ribellate tutte contemporaneamente e lei riprende a giocare con l’accendino con l’aria soddisfatta ma affettuosa.
In un modo o nell’altro riesci a sopravvivere al resto della cena senza che qualcuno ti faccia altre domande difficili o troppo imbarazzanti. Quando indossi la giacca in pelle, almeno sei persone ti chiedono se hai bisogno di un passaggio, ovviamente la tua Giorgia è in pole position, ma tu rifiuti tutte le proposte, perché hai preso appuntamento con Daisy a cinque minuti da dove sei.
Più o meno dieci minuti dopo la vedi venire verso di te con il suo passo dondolante, i capelli raccolti e gli occhiali da vista. Provi un vero e proprio sollievo quando vedi che non è truccata e che è vestita in modo semplice, quasi trasandato, è come se avesse tolto una maschera e la cosa ti piace a tal punto che non fai nessuna resistenza quanto di spinge contro il muro e ti bacia ripetutamente, sulle labbra, su tutto il viso e poi ancora sulle labbra.
Ti sfugge una risata incredula e lei ti guarda con un sorriso da monello “Scusami, non ho resistito.”
Si, questa versione di lei ti piace decisamente di più, anche se è evidentemente stanca.
“Hai finito l’articolo?”
Scuote la testa e fa una smorfia, ti prende la mano e intreccia le vostre dita. “No, ma non ne voglio parlare, ora sono con te e voglio pensare solo a te.”
Ridi ancora, anche se il tuo passato di impedisce di credere a quelle parole, non ti impedisce però di provare piacere nel sentirle, il che ti infastidisce parecchio, risvegliando la sensazione che hai provato sotto lo sguardo intenerito di Leila che ti chiamava Pastorellini.
Daisy ti sistema un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
“Cosa vuoi fare?”
“Due passi?” Anche se siete uscite solo due volte è diventato una sorta di scherzo interno tra voi. Lei ti guarda intensamente negli occhi per capire se sei seria o no, poi inizia a camminare trascinandoti con sé.
“Dove andiamo?” Non che ti interessi davvero, la sola idea di camminare, respirare l’aria fresca che profuma di mare, sta cancellando tutto lo stress di quella stupida cena.
“Villanova. Non ti piacevano le lucine?” annuisci e lei ti strizza scherzosamente la mano. “Bene, allora venga con me signorina Martina.”
Ti ruba un altro bacio e tu ridi ancora, inizia a camminare e parlate di tutto, se uno scorcio le piace particolarmente si ferma e ti bacia, soprattutto sotto le lucine delle case che non vogliono rinunciare al Natale anche in primavera, ed è una bella serata, sarebbe stato uno spreco passarla al chiuso, davanti al computer.
Daisy è il tuo opposto, sembra avere il bisogno di andare a tutta velocità qualsiasi cosa faccia, mentre tu hai bisogno di andare piano, di goderti il paesaggio, di apprezzare i dettagli e la cosa ti lascia sempre un senso di insoddisfazione ma, tolto quello, sei lieta di aver dato retta a chi ti ha spinta ad accettare il tuo invito: questo si può facilmente definire uno degli appuntamenti più belli della tua vita e, per la prima volta dopo Claudia, speri di poter conoscere meglio questa ragazza che te lo sta facendo vivere.

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Capitolo 8
*** ch7 - The idiot's lanter ***


ch.7 – The idiot’s lantern.
 
Non hai idea di quanto tempo sia passato, hai il vago ricordo di aver risposto al messaggio, di aver posato il telefono sul comodino, di esserti girata dall’altra parte e di esserti rimessa a dormire.
Il delicato e ritmico bussare alla porta ti sta però costringendo a uscire dal tuo coma indotto.
“Marty?”
Grugnisci e la porta si apre molto, molto lentamente, subito dopo appare la testa di Laura con gli occhi impossibilmente stretti. “Posso?”
Le lanci un cuscino. “Smettila, scema.”
“Sei presentabile?” Continua a tenere gli occhi chiusi, ma ha un sorriso enorme sul volto.
“Certo che sono presentabile, stupida.” Stai per aggiungere che non sei mica un uomo, o un ragazzino di 13 anni, ma sarebbe come negare che anche le donne, anche tu, ti masturbi, e sarebbe come minimo infantile.
Apre gli occhi, ti fa l’occhiolino ed entra lentamente nella stanza. “Scusami è che…è mezzogiorno e non sei ancora venuta a fare colazione…temevo che stessi male.” Lancia una maledizione a mezza voce e ti accorgi solo ora che ha in mano una tazza di tè fumante.
Ti si scioglie il cuore.
“Grazie La’.”
Annuisce ma non distoglie lo sguardo dalla tazza, la poggia sul tuo comodino e si mette a sedere sul bordo del tuo letto.
“Sicura di stare bene?” Ti poggia la mano sulla fronte e poi ghigna “Sembra che io sappia cosa sto facendo, vero?”
Ridacchi e ti senti una perfetta imbecille perché stai provando quello che stai provando, più imbecille di come ti sentivi prima che lei entrasse insomma. Prendi il telefono alla cieca e glielo dai.
“Devo leggere?”
Rotei gli occhi. “No genio, volevo tu lo infilassi nel microonde e me lo scaldassi….” La afferri per un braccio perché stava già andando a farlo, per il solo gusto di prenderti in giro, o farti ridere.
La tua Laura sa sempre quando deve farti ridere.
Si rimette a sedere “Bevi, prima che si sfreddi! Bestia!!!” Ti porge il tè e poi sblocca con gesti veloci il tuo telefono. “Cosa devo cercare?”
“Whatsapp.”
“Mmmmh…uhm, hai un sacco di messaggi non letti. Chi di preciso?”
“Daisy.”
Ti guarda con occhi infuocati. “Cosa ha fatto sta stronza?”
Le fai un vago gesto verso il telefono, sapendo che capirà perfettamente quale messaggio dovrà leggere, visto che più che un messaggio è un tema.
Un vero monologo.
Impiega qualche minuto a leggerlo, e rileggerlo, tu sorseggi il tuo zuccheratissimo tè e aspetti con ansia e vergogna la sua reazione.
Laura sbatte più volte gli occhi e ti guarda di nuovo, scorre su e giù e sistema la frangetta. “Allora fammi capire, perché non sono sicura di aver capito bene. Dunque: dice che non vuole più vederti perché sei troppo perfetta. Ho capito bene?”
“Si.” risposte brevi per nascondere la vergogna, la rabbia e l’umiliazione che stai provando. Sei uscita con Daisy un totale di due settimane, nelle quali ci sono stati baci e poco altro, eppure questa cosa sta avendo un effetto su di te che non vorresti avesse.
“Sta cogliona ha davvero scritto una cosa del genere? Pensavo che ‘ste stronzate le dicessero solo nei film.”
Sbuffi una risata “No, evidentemente no. Evidentemente sono troppo perfetta e se continua a uscire con me si innamora e andiamo a convivere e poi ci lasciamo e lei soffre e non è pronta per quello.” Stai citando il messaggio praticamente a memoria e l’hai letto una sola volta.
“Ma che grandissima cogliona è?”
Possibile lei non sia un gran che, ma la cogliona ti senti tu a esserti fidata di una così, a non aver capito, o non aver dato retta alla vocina che ti diceva che qualcosa non andava, che qualcosa stonava.
Maledetto il tuo sesto senso.
“Ti assicuro che, anche solo per la risposta che le hai dato, fossi stata in lei sarei venuta da te in ginocchio, implorando pietà e chiedendoti di sposarmi.” Scoppi a ridere perché tale risposta è una gif di Carrie Fisher che fa i pollici in su. Non hai trovato in te la voglia di rispondere in nessun altro modo, soprattutto perché da una persona di 33 anni, che continuava a dire di essere adulta e matura, ti saresti aspettata come minimo una telefonata, o un’uscita, non sicuramente un messaggio su whatsapp. Avere quella conversazione via chat non aveva nessun valore o attrattiva per te, quindi hai preferito murarla così.
L’arte del muramento l’hai imparata da Laura: è un vero talento nel murare le persone.
Passate i secondi successivi a imitare la gif come le perfette imbecilli che siete, poi Laura sospira e ti prende la tazza vuota dalle mani.
“Io mi chiedo che problemi abbia la nostra generazione.”
“E lo chiedi a me?”
“Pensavo fossero solo i ragazzi ma…”
“Oh no, fidati, anche le ragazze hanno i loro problemi.”
Ha un’espressione triste in volto, tu ti fai da parte e lei accetta il tuo invito a sdraiarsi accanto a te senza nemmeno guardarti. Poggi la testa sulla sua spalla.
“So di non essere perfetta neanche io eh, sono una pazza isterica come mia madre.”
Alzi la mano “Martina Pastorelli, maniaca del controllo. Presente!”
Ridacchiate e lei poggia la testa sui tuoi capelli. “Possibile non ci sia qualcuno la fuori i cui problemi mentali siano compatibili con i nostri? O che abbia voglia di affrontarli?”
Non siete due perfette imbecilli, sapete che a 30 non si è più ragazzini, che si è vissuta quasi la metà della propria vita e che si è passati tutti attraverso la merda, più o meno alta. Sapete che tutti hanno le proprie cicatrici, le proprie ombre e i propri demoni, ma trovare qualcuno che avesse anche solo la voglia di conoscere questi spettri, o avesse voglia di cercare di sfidarli, non sarebbe affatto male.
Probabilmente siete due perfette imbecilli e credete ancora nelle favole.
“Ci sposeremo noi due, piccola Martina.” Si stacca da te e ti fa pat-pat sulla testa con la mano aperta. “Ci prenderemo 45 cani e vivremo insieme tutta la vita.”
Annuisci, ma non credi che lei rimarrà single ancora per molto, non una persona con il suo enorme cuore gentile. “Brucerai i waffle per me, Floris?”
“Assolutamente si. Ti lascerò anche un pochino di sciroppo d’acero e qualche patatina fritta.” Rimane perfettamente seria mentre lo dice e ti fa venire voglia di piangere. Pensi ancora una volta di essere una perfetta idiota perché lasci che una che hai a malapena conosciuto abbia il potere di farti sentire così, ancora di più perché non avrai una vita sentimentale, ma hai gli amici migliori del mondo.
Si alza e ti batte ancora la mano sulla testa “Vado a bruciare qualcosa per pranzo, ti proporrei di andare a cena da Mc, ma stasera lavoro. Ti porto una cheesecake però se vuoi?”
Il suo tono è dolcemente interrogativo e tu scuoti la testa. “No grazie, tranquilla, sto bene.”
“Martina!”
“Sto bene, davvero.”
Stringe le labbra, segno che sia poco convinta, prende il telefono e lo sblocca di nuovo, ridacchia per la risposta-gif e poi ci maneggia un pochino.
“Direi che ora che questa è caduta così, possiamo tranquillamente passare alla prossima, almeno ti sei tolta Claudia di dosso. Forza e coraggio! Next Please!!!”
Ha il terrore stia di nuovo giocando con il tuo profilo di wapa, ma poi ti mette il telefono tra le mani e dalla serietà del gesto capisci che non ha fatto nulla del genere.
“Tieni, so che con lei parlerai di più.” La guardi andare via senza capire ma poi dal telefono risuona la voce di Rossella.
“Pi?Pi? Piiiiiii?”
“Pi!” Hai di nuovo voglia di piangere perché sei circondata da donne stupende.
“Che succede? Hai la voce strana.”
“Mi sono appena svegliata.” Non ci credi nemmeno tu che l’hai detto, figurarsi se ci credere lei.
“Pi!”
“Ho appena…sono stata scaricata. Suppongo si possa dire così.”
“Che…oh…quella stupida Margheritapisciatadaicani. Che è successo? Che ti ha detto?”
“Che hai scritto, vorrai dire.” Riprenderai a fare la ragazza matura tra qualche ora, dopo aver lasciato che le tue amiche sfottano e parlino male di Daisy, ora hai bisogno di essere un pochino compatita.
“Oh ti prego, non via messaggio.”
Metti il viva voce, fai gli screenshot e glieli mandi. “Guarda con i tuoi occhi.” Seguono pochi secondi di silenzio, nei quali ne approfitti per rileggere quello che Daisy ti ha scritto.
“Non mi è mai piaciuta. ‘Sta cretina.”
Pi sta anche per protettiva.
“Come stai, Pi?”
“Bene, non è…non è nulla. La conoscevo appena…non è…”
“Io sono eterosessuale e mi piacciono i piselli.”
Scoppi a ridere. “Come scusa?”
“Pensavo dovessimo dire cose palesemente false.” A questo rotei gli occhi. “Mi dici come stai?”
“Mi sento una perfetta idiota.”
“Per?”
Apri e chiudi la bocca: controllo e fiducia, i tuoi più grandi problemi.
Sai perfettamente di poter mettere la tua vita nelle mani di Rossella, così come di Laura, ma farlo quando hai l’orgoglio ferito è tutta un’altra storia. Stringi il lenzuolo tra le mani e butti fuori tutto d’un fiato “Peressermifidatadilei”. Per te è una cosa seria, le hai fatto leggere una tua tavola, hai valutato la possibilità di andarci a letto, le hai fatto intravedere il tuo mondo.
“Pi, non c’è nulla di male. Non hai fatto nulla di male. Non potevi sapere…”
Sbuffi una risata, perché ti suona un pochino ipocrita. “Pi, mi hai appena detto che non ti è mai piaciuta.”
Emette uno strano suono, a metà tra uno sbuffo e un grugnito “Non deve piacere a me.”
“Come no? Io voglio che la tua ragazza mi piaccia….oddio…non in quel senso…”
“Figa Pi, sei proprio una patata lessa.” Fa una breve pausa, ti da giusto il tempo di vergognarti un pochino “Comunque…quella che deve vergognarsi è lei, non tu. Tu non hai fatto nulla di che, nulla di sbagliato.”
Speri che un giorno, magari non troppo lontano, la tua vita sentimentale non abbia più a che fare con le cicatrici che ti ha lasciato Claudia, perché l’ultima parte della frase è riferita al mondo in cui vi siete lasciate, a come abbia scaricato tutto su di te, dando la colpa della fine del vostro rapporto ai tuoi difetti, ai tuoi comportamenti sbagliati. Rossella ha paura che tu stia rivivendo quello, che Daisy abbia riaperto una ferita.
Forse è così, non lo sai nemmeno tu.
“Beh, quella troppo perfetta sono io.”
“E lei è una cretina che parla male delle sue ex al primo appuntamento.”
“Quindi la stupida sono io.”
Ti ignora magistralmente “Tu sei un cane perfetto Pi, e chiunque sarebbe fortunata ad averti come fidanzata.”
Aggrotti le sopracciglia perché anche questa frase suona male. “Come scusa?” è chiaro perfino dalla tua voce che stai sorridendo, che non avresti potuto trattenere questo sorriso nemmeno volendo.
“Sai cosa dovresti fare Pi? È un’idea geniale, sono un genio Pi.”
“Ah si? Sentiamo.”
“Scrivi un AU.”
“Un che?”
“Un AU. Un universo alternativo in cui Layla non è un drago, ma un essere umano saccente, acido, petulante e che si lamenta sempre. Uh, magari con dei figli che maltratta bonariamente e da loro dei soprannomi improponibili.”
L’idea ti travolge come una valanga, ti vengono in mente mille immagini, mille frasi, mille possibilità.
“…e potresti fare in modo maltratti il personaggio di Daisy, mi piacerebbe un sacco vederlo Pi. Fallo Pi. Fallo. Take your broken heart, make it to art.”
Registri vagamente la sua voce, ma solo perché sta citando la signora Carrie Fisher e perché pensi che potresti davvero farlo, mettere in pausa Flying dragons e iniziare un piccolo racconto con Layla umana che maltratta la gente.
“Ma Piiiii, ti prego Pi, falle dire che lei è solare e non si lamenta mai. Ti prego Pi.”
La tua mente fa una frenata brusca, molto brusca e il volto malizioso di Leila ti appare violentemente davanti.
Chiudi gli occhi per cercare di cancellarlo, ma fai solo peggio.
“L’ha detto anche lei.”
“Cosa? Chi? MargheritaSecca?”
“Che? No…lei…ti ricordi la mia collega…Leila?”
“Uh si, me la ricordo. Come potrei dimenticarmi una che si chiama come il nostro drago preferito.”
Hai un veloce brivido di gioia nel sentirle dire che un tuo personaggio è il suo drago preferito, ma ti riprendi subito.
“Beh lei, Leila, la mia responsabile…o va beh, la responsabile di vendita…”
“Vai avanti Pi.”
“Ha detto che…l’altra volta…alla riunione….ha detto che, ha dettocheleièsolareenonsilamentamai.”
“E?”
Non credi abbia capito il punto e sai di dover fare qualche sforzo in più per spiegarti. “È una persona molto cupa che si lamenta sempre, Pi. È come la mia Layla.”
“È come la tua Layla? Figa Pi, hai incontrato la tua Layla?”
Ingoi più volte, perché è un pensiero che hai accuratamente evitato di fare da quando ha detto quella frase e hai iniziato a notare le similitudini tra loro, ma ora che è un’altra persona a dirlo, non puoi più sfuggire.
“Oh merda.”
“Piiiii hai incontrato la tua Layla!!!”
Rimani in silenzio e lasci che questa frase spaventosa si depositi nel tuo cervello, mentre Rossella riprende a dire cattiverie su Daisy, ma sei felice lo faccia, perché ora il pensiero di quella margherita secca è decisamente più piacevole rispetto alla possibilità di aver davvero incontrato il tuo amore cartaceo in forma umana.

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Capitolo 9
*** ch8 - World war three ***


ch8 – World war three.
 
“Pastorelletti, vieni qui e goditi questa meravigliosa lezione sulle unghie.”
Ovviamente il giorno in cui decidi di mangiare al lavoro prima di entrare in turno, Leila ha deciso di fare lo stesso. La tua solita fortuna. Sempre se ignoriamo il fatto lei mangi quasi sempre al lavoro, dato che è una delle poche persone lì dentro ad avere un contratto full time, quindi non si tratta di fortuna o sfortuna, ed è stato un vero miracolo tu sia riuscita ad evitarla per due settimane, dunque dal giorno in cui hai avuto una rivelazione sul fatto sia la versione umana della tua Layla.
Certo, non ti avrebbe fatto schifo se l’unico posto libero non fosse proprio quello davanti a lei.
Ti metti a sedere e apri il tuo pranzo-panino con tutta la finta nonchalance di cui sei capace. “Una lezione su cosa?”
La sua espressione è per metà annoiata dal discorso che è costretta ad ascoltare, per metà divertita dal poter sfottere qualcuno.
“Eleonora ci sta illuminando sui pregi e difetti del gel sulle unghie.” Ruba una patatina dal pacchetto che Silvietta ha sventrato davanti a se senza che la proprietaria si accorga di nulla, intenta com’è a messaggiare con qualcuno.
Ti fingi schifata per l’argomento e apri il panino che ti sei rigorosamente portata da casa, perché quelli del bar sono immangiabili.
“Non siete d’accordo da me? Come sono le tue unghie Marty?” Ti chiedi come Eleonora faccia a non capire che Leila la stia prendendo deliberatamente per i fondelli. Credi sia perché, lavorando al servizio clienti, non abbia molto a che fare con lei, e quindi con la sua ironia.
Alzi la mano libera dal panino e agiti le dita verso di lei con un sorriso soddisfatto sul volto.
“Corte e non smaltate, esattamente come richiede l’HACCP per poter lavorare al bar.” In realtà il regolamento permette che le unghie siano smaltate di colori neutri o trasparenti, ma l’unica volta che ti messa lo smalto ti hanno paragonato a un puffo muratore e non vuoi ripetere una seconda volta l’esperienza, anche se sai che se tu non avessi scelto il color puffo, probabilmente non sarebbe andata a finire in una risata generale.
Sei sollevata che nessuno sappia il reale motivo per il quale preferisci tenere le unghie corte.
Il discorso va avanti praticamente solo tra Eleonora e Carlotta, tu e Leila vi limitate a mangiare e a scuotere la testa. Hai finito il primo panino e ti stai accingendo a mangiare il secondo, il tuo immancabile pane e nutella, che ti accompagna in ogni pausa da quando hai fatto il tuo primo lavoro da cassiera, quando Silvia alza la testa dal telefono, guarda perplessa le poche patatine rimaste nella busta e ascolta la conversazione delle vostre colleghe. Le basta qualche frase prima di girarsi verso di te con gli occhi pieni di gioia e un sorriso da ragazzino pervertito stampato in volto.
“Tu come le hai le unghie Martinettis?”
Alzi gli occhi al cielo perché lei sa.
Sorridi, le mostri il dito medio della mano sinistra, un po’ per farle vedere come porti le unghie, un po’ perché ha meritato il gestaccio. Lei scoppia a ridere attirando l’attenzione della sua superiore.
“Cosa significa?”
Guardi la tua complice nella speranza che risponda, ma lei scuote la testa e si nasconde, costringendoti a rispondere per entrambe.
“N…nulla.” Dai un morso al panino, sperando che Leila desista, ovviamente non sei così fortunata.
“Pastorelli, cosa significa questa cosa che avete fatto?” Ha la voce infastidita e autoritaria ed è chiaro non smetterà di chiedere finché non otterrà una risposta credibile ed esaustiva.
“Vado a fare pipì.” La traditrice si alza e va via, ottimo modo di tirare il sasso e nascondere la mano.
Sei indecisa su cosa fare, perché è un discorso sul sesso particolarmente esplicito e molte persone, tra cui la stessa Laura, trovano sia troppo rivelatorio, d’altra parte però non vuoi che la donna davanti a te pensi che tu sia una ragazzina immatura come Silvia, ma che capisca che tu sei una donna di 34 anni in grado di parlare di sesso senza problemi, anche se non è completamente vero.
Supplichi il tuo corpo di non tradirti adesso e non arrossire violentemente, il tempo di questa risposta sarà più che sufficiente e poi potrà arrossire quanto vorrà, ma non ora.
“Uhm…per motivi…diciamo tecnici. È risaputo che le lesbiche non possano tenere le unghie lunghe.” Guardi ovunque tranne lei finché non termini la frase, a quel punto credi che affrontarla aiuterà il tuo tentativo di dimostrarti matura, perciò l’affronti. L’intensità del suo sguardo ti spinge a nasconderti dietro la prima cosa stupida che ti viene in mente. “Molte lesbiche particolarmente camionar….maschili…” Ti correggi prima di dover dare altre spiegazioni sull’omosessualità femminile e sulle varie categorie “…hanno un tagliaunghie come portachiavi, per le scopate di emergenza.”
Nella stanza è sceso il silenzio, Eleonora e Carlotta vi stanno guardando in un mix di emozioni tra l’interessato, lo schifato e il curioso, Leila si mette a sedere più comoda e i suoi occhi non lasciano i tuoi. Vorresti poterti nascondere dietro il panino ma la tua salivazione si è appena azzerata e rischi di affogare o masticare all’infinito.
“Non capisco.”
Purtroppo ti aspettavi questa risposta e ogni volta ti infastidisci, perché non è possibile le donne conoscano così poco il proprio corpo, o il sesso, da non capire certe dinamiche del sesso tra donne.
Solitamente la risposta più semplice è mostrare il perché con un gesto esplicativo, ma è abbastanza volgare e non puoi e non vuoi farlo davanti a persone che conosci così poco, benché siano loro a chiedere.
“Oh perché nel sesso tra donne si potrebbero far male.” Eleonora sembra avere appena avuto l’illuminazione della sua vita e vorresti alzarti e baciarla per averti appena tolto da quella situazione, ma credi sia più saggio evitare, anche perché Carlotta ha il volto disgustato.
“Ancora non capisco. È capitato io avessi le unghie lunghe, ma non mi sono mai fatta male.”
Un grosso pezzo di panino scende nel tubo sbagliato, i tuoi occhi si riempiono di lacrime ma ti rifiuti di tossire, ti rifiuti di far capire a Leila quanto quella sua frase abbia avuto effetto sulla tua immaginazione iperattiva, e quindi sul tuo corpo.
Manuela sceglie di entrare nella stanza proprio in quel momento, e si siede nel posto che prima occupava Silvia, sparita chissà dove.
“Di cosa parlate?” Apre il tupperware con il suo pranzo e inizia subito a mangiare l’insalata.
“Del fatto che Martina non possa tenere le unghie lunghe per poter fare sesso con una donna.”
“Perché?” Manuela e Leila lavoravano insieme nel negozio di Carugate, benché la prima sia sarda quanto te, si conoscono e sono amiche da più o meno 15 anni, non ti dovrebbe stupire che parlino tra loro senza filtri, ma preferiresti non lo facessero e non morire soffocata.
Vorresti anche che tra le tue gambe non si fosse scatenata la terza guerra mondiale.
“Dice che rischia di farle male. Non riesco a capirne il senso però, visto che non è una cosa a cui bado quando faccio da sola.”
Manuela annuisce con aria assorta, ingoia il boccone che ha in bocca e la indica con la forchetta. “Forse è perché tu sei come me, sei clitoridea, non hai bisogno di penetrazione, nemmeno quando fai da sola.”
“Ah si, assolutamente si.”
Hai smesso di sperare di non arrossire almeno sei frasi fa, ora tutto quello che vorresti è non avere un aneurisma, vista la violenza con la quale stai disperatamente cercando di non immaginare tutto quello che Leila ti sta gentilmente sbandierando in faccia.
Per una che dovrebbe essere una barbie asessuata in una scatolina blu, sono troppe informazioni sul sesso e su cosa le piace.
Troppe.
Silvia appare praticamente del nulla e annuisce con fare sapiente. “Esattamente.”
Sei indecisa se strozzarla o se cercare di ucciderla con il coltello in plastica che qualcuno ha abbandonato sul tavolo, vista l’orribile situazione nella quale ti ha infilata, scappando via subito dopo.
“Ah Carlotta, alla fine il cliente della cucina rossa è tornato?” Potresti baciare Manuela per aver appena cambiato discorso così bruscamente e senza nessun preavviso: se iniziano a parlare di vendita non finiranno più, tagliandoti piacevolmente fuori e permettendoti di nasconderti nel tuo mondo, sostituire tutte le immagini inappropriate che hai nel cervello con qualcosa di innocuo e innocente. Il prossimo combattimento di Layla con una viverna non sarebbe male come opzione.
Prima o poi dovrai anche far apparire qualche altro drago, non uno qualunque ma Agatha, la sua compagna di vita. L’idea ti dà i brividi: stai disegnando Flying dragons solo per arrivare a quel momento topico, in cui si scoprirà tutto sull’identità della tua Layla.
Come la perfetta idiota che sei, ti illudi di essere al sicuro e abbassi la guardia.
“Ancora non capisco.”
Benché le vostre colleghe si stiano parlando da una parte all’altra del tavolo, la voce di Leila ti arriva chiaramente, e dal suo sguardo fisso su di te, sei certa che non stia prestando loro la minima attenzione e che sia focalizzata solo su di te.
“Cosa?”
“Non basterebbe semplicemente….” Fa il gesto di svitare qualcosa con le dita, e solo in un secondo momento capisci che stia mimando l’accensione di un vibratore, o almeno credi, non hai grosse conoscenze nel campo.
“Si, certo che si. Sipotrebberousare…” gesticoli goffamente “…giochierotici.” Per quanto tu abbia cercato di rimanere seria e distaccata, sempre per dimostrare di essere una persona adulta e non Pastorellini, temi di esserti un pochino incartata prima di pronunciare le parole “giochi erotici.”. La soluzione come sempre è quella di continuare a parlare per non farglielo notare “Ma molte preferiscono farne a meno.”
Socchiude gli occhi “Perché?”
“Perché niente è più bello ed eccitante della sensazione di essere dentro una donna, di sentirla godere attorno alle tue dita.” È la prima risposta che ti viene in mente, quella che vorresti urlare.
Il senso del sesso tra donne, secondo te, sta tutto lì.
Ecco spiegata la tua scarsissima conoscenza di vibratori e simili.
Stringi i denti e ti censuri, capendo non sia né il luogo né il momento, né tantomeno il pubblico adatto alla tua ode alle donne e al loro meraviglioso sesso.
Optare per una risposta più soft è la cosa più saggia.
“Perché è più intimo senza.”
Ti guarda a lungo con i suoi occhi castani, tanto profondi quanto imperscrutabili, e tu vorresti alzarti a scappare per quanto sono belli, per quanto lei sia bella ora, così spettinata e indecisa per quello che ha appena sentito.
Ti chiedi dove stia viaggiando la sua mente in questo momento, cosa stia immaginando, che argomentazioni stia affrontando.
Non hai idea di quanto duri il suo silenzio, forse è stato breve quanto un battito di ciglia, forse è durato per ore, persa come sei nei suoi occhi, non farebbe nessuna differenza per te.
Ruota vagamente la testa a un lato e le sue labbra si increspano a formare un minuscolo, sensualissimo sorriso, sufficiente a far sciogliere tutti i tuoi organi interni contemporaneamente, e non solo perché è il classico sorriso che hai sempre immaginato fare a Layla, ma perché è la cosa più sexy tu abbia mai visto in tutta la tua vita.
“Hai ragione.” È poco più che un sussurro che sai aver sentito solo tu. Ci sono varie esplosioni a varie altezze del tuo corpo e l’aria ti sembra improvvisamente rarefatta.
Qualcuno parla, Leila si alza e lascia la sala relax, tu sei dolorosamente consapevole di ogni suo più piccolo movimento, anche quando non la puoi più vedere perché è nella stanza accanto. Sorridi e annuisci quando le tue colleghe ti parlano, ma tutto quello che puoi davvero capire è che sei in preda al desiderio e non per una persona qualunque, ma per una responsabile più grande di te, con un figlio adolescente, eterosessuale.
No, non hai mai creduto alla storia della bisessualità, hai idea fosse una cosa buttata lì solo per far calmare Silvietta.
Rifuggi da qualsiasi immagine la tua mente stia proiettando, cercando disperatamente di rinfilare Leila nella sua scatolina blu, ma più ci provi, più i pezzi della sua scatolina diventano piccoli.
Chiudi gli occhi e sospiri, perché Leila Ferreri ha appena smesso di essere una barbie asessuata ed è diventata una sensualissima, bellissima donna.

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Capitolo 10
*** ch9 - The brink of disaster ***


ch.9 – The brink of disaster.
 
Non sei più tanto sicura ci sia qualcosa al di sotto delle tue ginocchia, al momento ti sembra di no, ma temi che tra qualche ora, a letto, il dolore sarà tale che sarai certa di avere polpacci e piedi senza il benché minimo dubbio: saranno incendi di puro dolore.
Il bello di servire orde di clienti affamati indossando le scarpe antinfortunistiche.
Ti strascini fino allo spogliatoio delle donne e sei accolta da un’ Eleonora in lingerie che balla felice, le sorridi e scuoti la testa, perché vederla così svestita ti fa lo stesso effetto che ti farebbe vedere tua sorella.
“Martinina, ci sei anche tu.”
Come tutta risposta riesci solo ad emettere un suono molto simile a un muggito, alzi le mani verso di lei.
“Eleeeee, mi spogli? Ti do 10 euro.”
Ti prende tra le braccia e ride contenta, temi la sua felicità sia data dalla fine del turno, il che è inversamente proporzionale alla giornata che ha appena passato: più è felice, peggiori sono stati casi che le sono capitati.
Il suo umore è contagioso ed è più forte della tua stanchezza, ridacchi anche tu, finché non svolti l’angolo creato dagli armadietti e ti imbatti in Leila che si cambia, e lei non ti fa l’effetto che ti farebbe tua sorella.
Intravedi appena la sua schiena semi nuda e hai flash della conversazione avuta qualche giorno fa nella sala relax, della sua mano che accennava determinati movimenti e del suo sorriso malizioso, il tutto è più che sufficiente affinché tu decida di cambiarti dandole le spalle. Non sei un uomo, vedere una donna nuda non ti fa eccitare, ovviamente, soprattutto in certi contesti, ma fai fatica a controllare la tua mente perché certe immagini sono troppo fresche e per te è una questione di rispetto nei suoi confronti, perciò inizi a fissare l’interno del tuo armadietto come se fosse la cosa più interessante del mondo.
Sei perfettamente consapevole di ogni suo movimento però o del fatto non abbia emesso un solo fiato.
Eleonora continua a parlare felice dei suoi progetti per la serata e sai che stai perdendo l’autobus, eppure rimani con lei, la fai sfogare, d’altronde i tuoi progetti anche oggi sono di stare davanti al pc e disegnare, magari guardare un film o anche riguardare tutto doctor who in preparazione all’uscita della nuova serie, non suona affatto male come progetto.
Uscite dal negozio e vi scambiate i soliti saluti, Leila fa un vago gesto con la mano ma ancora non parla, e ti dispiace perché il suo modo di scherzare ti diverte sempre. Infili gli auricolari e fai partire la musica, ma prima ancora di arrivare alle strisce pedonali per attraversare, la canzone si interrompe e parte la suoneria del tuo telefono, rispondi senza guardare chi sia.
“Si?”
“Bestia, sto suonando il clacson da mezz’ora, sembro una pazza isterica. Mi caghi o ti devo mollare qui?”
Ti giri alla ricerca della macchina di Laura e la trovi parcheggiata davanti al cancello dal quale sei appena uscita. Ti chiedi come accidenti hai fatto a non vederla. “Stavo ascoltando…”
“Muoviti, scema.” Ti chiude il telefono in faccia senza troppe cerimonie.
Il tuo desiderio è quello che di correre verso di lei, per non farla aspettare ulteriormente, ma c’è ancora quel piccolo dettaglio della parte inferiore delle tue gambe che è diventata di legno, quindi il tuo è un trotterellare goffo, probabilmente più lento del normale camminare.
Ti apre lo sportello dall’interno.
“Scusa La’.”
“Seh, seh. Mc?”
“Non dico mai di no al mc, lo sai.”
Annuisce soddisfatta e parte, accende subito la musica quindi non hai modo di indagare su questa gradevolissima sorpresa che ti ha appena fatto, ti lasci semplicemente guidare del momento e ti accodi a lei nella vostra personalissima versione di Bohemian Rapsody, seguita da una Somebody to love anche peggiore, per poi ripartire quel breve ciclo da capo, fino ad arrivare al vostro fast food preferito, probabilmente pochi minuti prima di perdere la voce.
Ormai non vi chiedete nemmeno più cosa volete, tu vai al computer, ordini e paghi, mentre lei cerca in un posto in cui sedervi, quando la raggiungi non iniziate subito a parlare, e anche quello fa parte del rituale, aspetti sempre che vi portino il menù del quale mangerà tutte le patatine. Aspetti ne infili in bocca una decina e decidi di averle dato abbastanza tempo.
“A cosa devo questa graditissima sorpresa?”
Sistema la frangetta e fa una smorfia, nel frattempo i tuoi piedi hanno iniziato a pulsare, ma hai deciso che in questo momento hai di meglio a cui pensare.
Avevo voglia di vederti non è credibile, vero?”
Ti fingi pensierosa e la guardi con sospetto “Viviamo insieme?” e lei ha le foto di un battesimo da sistemare e da consegnare tra due settimane, non ha propriamente molto tempo da perdere in serate libere ed è la seconda che si prende di seguito. Il solo pensiero ti illumina sul perché di questa uscita estemporanea.
“L’uscita di ieri! Il tipo…il…”schiocchi le dita, che non fanno nessun rumore perché sporche di salsa. Le pulisci con una smorfia schifata e ti concentri ancora su di lei. “Il medico. Ci sei uscita ieri sera, no? Com’è andata?” Hai aspettato di vederla di persona per chiederlo, ma lei aveva il turno del pranzo e tu quello pomeridiano e non vi siete nemmeno incrociate e l’argomento è scivolato nel secondo piano dei suoi pensieri. Ti senti una merda per questo.
Fa una smorfia che esterna tutta l’amarezza che sta provando e capisci che la risposta non è positiva. Ti chiedi per la millesima volta che schifo di problemi abbiano gli uomini per non vedere quanto meravigliose siano certe donne.
Chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti.
Durante il suo racconto della serata, nella quale il simpaticone ha pagato la cena ma appena ha incontrato una sua “amica” ha scaricato Laura senza pensarci una seconda volta, hai più volte voglia di alzarti e andare a spaccargli la faccia, anche se non hai la più pallida idea di che faccia abbia questo, visto che si sono conosciuti su instagram ed era la prima volta che si incontravano di persona. O potresti magari spaccargli gli specchietti della macchina, o bucargli le ruote, o qualcosa di cattivo, dargli fuoco alla macchina al momento non ti sembra esagerato.
Alla fine del racconto la tua amica è così triste che proponi un secondo giro di patatine, annuisce con un sorriso poco convinto e va lei a prenderle, mentre lei non c’è, non resisti alla tentazione di prendere una penna e disegnare sulla tovaglietta.
“Scusa, ci ho messo una vita.”
Scuoti la testa e non alzi gli occhi dal tuo disegno. “Posso dirlo Floris?”
“Cosa?” Ha il tono un po’ incuriosito e un po’ divertito e sei lieta di constatare che stia già meglio.
Alzi lo sguardo per dare più pathos alla frase “Che problemi ha la nostra generazione?”
Quasi si strozza con le patatine, le ingoia e continua a ridere. “Assolutamente molti, troppi.” Riprendi a disegnare fiera di te stessa per averla fatta ridere.
“Oh strano, non stai disegnando un drago.” Solo ora realizzi che no, non stai disegnando un drago, ma una donna dai capelli castani che non esiste nei tuoi fumetti ma che è pericolosamente simile a colei che hai evitato di guardare negli spogliatoi. Appallottoli la tovaglietta con un gesto veloce, come se avessi davvero il potere di cancellare l’esistenza di quel disegno.
“Noooo, perché l’hai fatto. Era carina.”
Guardi la tua coinquilina e pieghi la testa da un lato, indecisa sul da farsi: da una parte temi che dicendole quello che sta succedendo lo renderai più reale, dall’altra pensi che non dirglielo darebbe alla cosa un’importanza che non ha.
I suoi dolci occhi castani, ancora tristi per la giornata di ieri, ti convincono a parlare, a dirle di questo minuscolo tarlo che si è insinuato nel tuo cervello, con la speranza che il racconto sia sufficiente a schiacciarlo ed eliminarlo del tutto.
“Sai che, da quando sono tornata da Firenze io ho…ripreso a disegnare.”
“Sii?!?” Lo pronuncia socchiudendo gli occhi.
“Io ho…”giocherelli con la penna che hai in mano. “Mi ha aiutato a…”sai che il continuo scattare della penna è fastidioso, ma non riesci a smettere di farlo. Devi concentrarti con qualcosa che non sia quel periodo, che non sia il ritorno a casa o la perdita di…del cane. “Ad affrontare le cose, a rimanere a galla.”
Annuisce e questa volta non dice nulla, forse per paura che tu smetta di parlare. È il prezzo da pagare per conoscervi da così tanto tempo, lei sa quanto poco ti piaccia metterti a nudo, sa che hai imparato una tecnica tutta particolare grazie alla quale riveli le cose solo per poterti nascondere meglio.
“Ho fatto qualche piccola storiellina qua e la, ma il vero…la vera opera.” Ridacchi imbarazzata perché tutto pensi tranne che sia un’opera “È la storia di una ragazza, Sidney, che è stata lasciata dalla ragazza e si lascia trascinare dagli amici in montagna per farsi distrarre, ma lei è così depressa che va via da loro e…” gesticoli perché ti sei lasciata trascinare dal racconto e non è quella la cosa importante, ancora meno lo è che l’idea fissa di Sidney sia quella di inciampare casualmente e cadere in un burrone. “…ok, non è importante. L’importante è che trova un sasso strano, lo porta a casa e da questo nasce un drago.”
“Aaaw, che carino.” Batte le mani felice e nel tuo cervello nasce l’idea di farglielo leggere.
“Sidney è così sola che decide di tenerla, di darle un nome e di crescerla.”
“Layla.”
“Layla, esatto.” Non ti stupisce che ne conosca il nome, ha spesso riempito le telefonate tra te e Rossella, i fogli che hai sparso per caso o la lavagnetta della vostra cucina.
Il suo sguardo ora è confuso e ha più che ragione, dato che stai facendo un giro enorme per poter spigare una cosa stupida.
“Layla è…” non ti eri accorta nemmeno tu di aver disteso la tovaglietta e aver iniziato a disegnare il tuo adorato drago nella sua versione umana. “È il MIO personaggio, quello che adoro, che amo senza nessuna riserva.”
“Non dovrebbero essere tutti uguali i personaggi? Tipo i figli agli occhi dei genitori?”
Sbuffi una risata “Oh no, assolutamente no. Layla è Layla.”Stringi le labbra e ti costringi ad andare avanti, è una cosa sempre più stupida ma devi imparare a condividere. “Sarà perché è tutto quello che io non sono o perché è il riassunto di tutto quello che amo in una donna, sta di fatto che la adoro…” arricci il naso “Sidney è…è troppo come me.” Goffa, corretta e pateticamente fedele e leale.
“Credo proprio che questa Sidney mi piacerebbe molto di più.”
“Se ti interessa potrei…” Arrossisci sino alla punta dei capelli, gesticoli, riprendi a disegnare. “Se vuoi leggerlo…”
“CERTO CHE VOGLIO, che domande stupide sono?”
“E che ne so, se non me lo dici?”
Poggia entrambe le mani sul tavolo e ti guarda con odio “IO non ti ho chiesto nulla per RISPETTARE i tuoi SPAZI, Pastorelli!!! Ma certo, CERTO che lo voglio leggere.”
Alzi le mani in segno di resa. “Ok, ok….scusa…”
Indica i suoi occhi e poi i tuoi e ti guarda con fare minaccioso, poi il suo sguardo diventa di nuovo dolce ed è chiaro stia aspettando tu finisca. Speravi come una perfetta idiota non si fosse accorta ci fosse dell’altro, ma non funziona così, non con lei.
“C’è una responsabile al lavoro…che…mi sono accorta che in molte cose mi ricorda lei…Layla.”
“Uhm. Strano. Come si chiama?”
“Leila.”
“No…dico…l’altra…la responsabile.”
Alzi entrambe le sopracciglia e sorridi, annuendo. “Leila.”
“Si chiama Layla anche lei?”
“Strano, vero?” Spaventosamente strano, soprattutto per qualcuno che ha creato quel personaggio.
“Quindi hai una cotta per lei.”
Il tuo volto prende fuoco e il cuore ti esplode nel petto. “NO! Io non…”
Alza un sopracciglio “È propria una reazione da no questa. Credibile, assolutamente credibile.”
Sbuffi, alzi gli occhi al cielo e stringi troppo forte la penna. “Non è…non è una cotta. Non…non almeno ancora…solo…”
“Ha smesso di essere una collega da scatolina?”
Annuisci, non hai bisogno di spiegarle altro, siete amiche da sempre ed è una delle pochissime ragazze eterosessuali che conosci che non hai mai pensato tu fossi innamorata da lei, ha sempre saputo che per te le amiche sono amiche, le colleghe sono colleghe e gli uomini sono inutili.
Annuisci senza affrontare il suo sguardo “Ha iniziato a essere una donna.”
“Magari è una cosa buona.”
“Certo, provare potenziale interesse per una donna più grande di me, con un figlio adolescente, mia responsabile ed eterosessuale, è una cosa buona. BUONISSIMA.” No, non hai creduto nemmeno per un istante alla cosa della bisessualità.
Laura scrolla le spalle, ti offre l’ultima patatina rimasta e tu scuoti la testa perché ti è passata la fame, lei sorride contenta e credi non se ne accorga nemmeno.
“Beh, magari dopo quella stronza di Claudia, dopo quella stupida margheritasecca, il tuo subconscio sta solo riempiendo il vuoto? Trovandoti qualcosa di bello, una donna che non sia una completa merda.”
Non sai se questa possibilità sia un sollievo o se ti faccia sentire una pazza visionaria, cosa che in realtà ti sei sempre sentita, se devi essere sincera.
“È tutto nella mia testa, non so nemmeno chi sia in realtà.” e soprattutto non hai più l’età per prenderti una cotta per una eterosessuale che non ti vede nemmeno, che magari giocherà con i tuoi sentimenti per accrescere il suo ego e poi andrà via senza voltarsi indietro, senza vedere il casino che ha fatto.
Hai giurato molti anni fa che non avresti permesso mai più a nessuna di farlo, tantomeno lo permetterai adesso a una che hai notato solo perché è la copia sbiadita di un personaggio creato da te.
Ma questo è un discorso che non puoi fare a lei, è un discorso che solo chi ci ha passato può capire, è un discorso che devi fare con Rossella.
“Ed è quello il bello, così lo puoi controllare, no? Sono certa tu riesca a distinguere la realtà dalla fantasia. Prendi il bello e molla il resto.”
“Mhm.” Come suono affermativo è un pochino fiacco, ma fate entrambe finta di nulla. “Non è nulla di che.”
“Bene allora. Crêpe!” Mentre lei sparecchia il tavolo canticchiando somebody to love, tu pensi che ha ragione lei, che non è nulla di che, che sei una persona adulta e puoi mantenere il controllo della situazione, che incontrare la versione reale di un proprio personaggio è una fortuna che non capita a tutti e che puoi sfruttare questa cosa per migliorare flying dragons, puoi caratterizzare meglio Layla, e solo questo vale la pena del disagio che provi stando nella stanza con Leila. Puoi mantenere il controllo e lo farai.
Speri che continuare a ripeterlo tutta la sera, finché non andrai a dormire, lo renda più credibile.

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Capitolo 11
*** ch10 - The sound of drums ***


ch.10 – The sound of drums.
 
Appena metti piedi nello spogliatoio grande delle donne vieni investita da una serie di urla e chiacchiericci eccitati tali che fai un passo indietro e richiudi la porta per accertarti di non esserti sei teletrasportata in un mercato o robe cosi. Studi ogni dettaglio della porta grigia con le scritte blu e rientri solo quando sei sicura di essere ancora al lavoro e che quello sia lo spogliatoio giusto.
Quando svolti l’angolo formato dagli armadietti, vedi le tue colleghe sventolare diversi capi di lingerie e la cosa ti incuriosisce e ti spaventa molto. Ti spaventa, ma non non ti stupisce perché ormai hai capito che sono tutte delle adorabili pazze esaurite e che sono capaci di questo e molto, molto altro.
“…eeeeh venti chili fa potevo permettermi sta roba, ma ora non più, quindi potete prendere tranquillamente tutto quello che volete. Credo che questo ti starebbe particolarmente bene Giorgia.” Manuela continua a estrarre roba dalla sua borsa e tu la guardi farlo con interesse e chiedendoti se sia una moderna Mary Poppins. Giorgia va verso di lei e prende quello che le viene offerto, credi sia un babydoll o qualcosa simile, ti guarda e ti sorride.
“Marty perché non lo provi tu?”
Alzi un sopracciglio incredulo e indichi te stessa e poi la proprietaria di tutti quegli indumenti. “Perché se non stanno a Manu, non stanno nemmeno a me.”
Manuela ride e ti batte una mano sulla spalla. “Le tettone di Martina non entrerebbero mai la dentro.”
Ghigni e annuisci perché il tuo seno è praticamente un’entità a sé stante, il che lo rende spesso molto doloroso, ma a 8 anni avevi già la seconda, a 12 la terza abbondante e a quindici la quarta, ora hai 34 anni e una sesta. Siete cresciute insieme, non le metti mai in mostra, ma fanno talmente tanto parte di te che pensi influiscano anche sulle tue scelte di vita.
Veronica guarda la generosa proprietaria della lingerie con aria triste.
“Manu è davvero un peccato tu non le usi più, dovresti ricomprartele della tua taglia e riprendere a indossarle.”
La risposta è immediata e accompagnata dal sorriso amareggiato di una donna di quasi cinquant’anni, divorziata da quasi dieci.
“Non ho più l’età o il corpo per indossare certa roba e nessun interesse a conquistare un uomo.”
Parte il classico “Dovresti farlo per te stessa” e tu stringi i pugni perché rischi di partire con una delle tue serenate alle donne.
Manuela sorride ancora.
“Ormai sono passata ai pigiamoni in pile antisesso.”
Qui è dove perdi la capacità di trattenerti, perché sta cosa dell’antisesso del pigiama in pile è stata costruita dagli uomini che pensano che le donne debbano essere sempre perfette e sexy per loro. La moglie trofeo degli anni 50, uscita da un telefilm americano o da una rivista patinata e non esiste proprio.
“Che stronzata.” Lo dici con tanta foga che le tue colleghe smettono di guardare i vari indumenti e si girano a guardare te.
 “Sta cosa che i pigiami in pile siano l’antisesso o che qualcosa che indossate vi possa rendere meno sexy, è una stronza pazzesca.” Indichi davanti a te senza motivo “Tanto per iniziare riuscite a essere belle e attraenti anche con questa ridicola divisa giallo senape e pantaloni da pagliaccio ubriaco.” Il tuo pensiero sta ovviamente andando verso Leila e il suo essere sexy anche in divisa, che per tua fortuna non è presente e sei molto felice per questo, non potresti assolutamente fare un discorso del genere con lei davanti. “In più avere un pigiama o più strati quando si va a letto in inverno e fa un cavolo di freddo polare, non vi rende meno sexy, al contrario: l’atto di potervi spogliare pezzo per pezzo e di accarezzare e baciare la pelle che piano piano viene scoperta, è molto più sexy di qualsiasi lingerie possiate mai indossare e…e…permettedifarelecoselentamente, diprendersiiltemponecessarioperdedicarel’attenzionenecessariaaognicentimetrodimorbidapelle.” Ti fermi e metti a fuoco le facce stupite attorno a te, solo allora ti accorgi di aver perso troppo il controllo di te stessa. Il volto ti va a fuoco, anche perché ti accorgi di aver alzato un pugno davanti a te nella foga.
Ci sono diversi attimi di silenzio imbarazzati e poi Manuela inizia ad applaudire a rallentatore, come se fosse un film di serie B, altre colleghe si uniscono e lei annuisce soddisfatta.
“Hai capito Martinettis, la guru del sesso.”
Arrossisci ancora di più perché tutto sei tranne una guru del sesso, le tue esperienze sessuali si riducono a due sole persone e il tuo discorso nasceva solamente dal tuo amore per il così detto sesso debole, per le sue forme, le sue morbidezze e la sua delicatezza.
“Pastorellini, com’è che quando ci sei tu si finisce sempre col parlare di sesso? Sembri cheta cheta e invece…” Ovviamente Leila ha assistito a tutto, probabilmente era in bagno quando sei entrata e ovviamente è uscita nel momento esatto in cui tu ti sei resa ridicola con il tuo comizio sulle meraviglie del corpo femminile.
Balbetti parole senza senso e arrossisci ancora di più, anche perché quel suo mezzo sorriso sexy è ancora una volta sul suo volto e per te potrebbe anche vestirsi da orsacchiotto di peluche o da spalatore di letame, rimarrebbe comunque la donna più sensuale presente nella stanza.
Ti giri su te stessa con tutta la velocità che le scarpe antinfortunistiche ti permettono, le tue ginocchia schioccano senza pietà e Giorgia ti chiede se stai bene, annuisci e inizi a cambiarti, senti solo parte dei discorsi che avvengono attorno a te, perché sei così imbarazzata che il cuore ti sta pulsando nelle orecchie a tutta forza, impedendoti di sentire qualunque cosa avvenga all’esterno del tuo corpo.
Odi di imbarazzarti così facilmente.
Non hai fatto nulla di male, non è successo nulla di che, hai solo fatto un’osservazione, espresso un’opinione.
Non sarebbe nulla di che se Leila non fosse stata tra il pubblico, ora sicuramente non ti saresti chiedendo cosa pensa di te per averti sentito dire quelle cose, se al suo posto ci fosse stato chiunque altro, non ti saresti chiedendo perché abbia fatto quell’osservazione e il perché di quell’espressione tra il divertito e non sai che altro.
Ti calmi ripetendoti che non aveva la faccia schifata e che non ti deve importare nulla di quello che pensa di te, perché non è nessuno e la sua opinione non ha nessun impatto nella tua vita.
“…castello san Michele?” Queste parole di Manuela attirano subito il tuo interesse, infili la felpa e ti giri verso di lei.
“Castello san Michele, cosa?” è uno dei tuoi posti preferiti di Cagliari, probabilmente del mondo intero. Fin da quanto eri adolescente, quel ridicolo castello ha fatto parte della tua vita: era il posto in cui ti recavi se eri triste, se eri felice, se avevi bisogno di pensare e stare sola, se avevi bisogno di condividere qualcosa con Laura.
Ti sei sempre sentita stranamente a casa lì e la vista che si gode dal colle è assolutamente spettacolare, da li si domina non solo tutta Cagliari, ma anche i comuni dell’Hinterland, il Poetto, lo stagno di Santa Gilla e grossa parte della pianura del basso Campidano. Nei giorni di sole, quindi praticamente sempre, sembra che l’orizzonte non esista.
Manuela sistema la lingerie rimasta nel suo armadietto, probabilmente a disposizione delle colleghe che saranno in turno domani e vorranno approfittarne. “La settimana prossima c’è una visita guidata del castello, racconteranno la storia di…”
“Violante Carroz, la sanguinaria.” Sei tu a finire la frase, perché è ovvio che al castello parleranno di lei, visto che è stata la sua ultima abitante e si sia prodigata nel fare molti casini. È uno dei personaggi storici di Cagliari che ti ha sempre affascinata di più, l’unico ad esser completamente sincera.
Non sei mai stata una cima in storia, ancora meno in quella locale.
La tua collega ti sorride “Ti interessa?”
“Ovvio che mi interessa. Quand’è? Se non lavoro potrei….”
“Giovedì.” Leila risponde per lei.
“Lavorolamattina.” Lo dici senza pensarci, più sei agitata, più le parole ti sfuggono di bocca senza controllo e non eri psicologicamente pronta a sentire rispondere lei.
“L’incontro inizia alle 15, quindi vieni con noi Pastorellini. Allora siamo noi tre più….?”
“Simone.”
Vorresti poterle direi che non hai accettato e che hai un impegno, perché non sei sicura di reggere un pomeriggio fuori dall’ikea con lei, anche se in compagnia di altre due persone, ma non hai nemmeno il coraggio di dire di no perché quella donna ti spaventa come nessuno.
“Possiamo anche andare a pranzo insieme.”
“Per me va bene.” Manuela annuisce tranquilla e tu vorresti avere la sua nonchalance.
“Pastorellini?”
Ti chiedi se esista qualcuno in grado di dire di no a quello sguardo autoritario.
“Io finisco all’una, a seconda di dove andiate impiegherei almeno mezz’ora ad arrivare.” In realtà finisci all’una e mezza, quindi chiederai mezz’ora di permesso solo per non affrontare il suo disappunto.
“Perché?”
“Non ho…non ho macchina. Non guido.”
Leila sbuffa e scuote la testa “Mi chiedo come sia possibile che nel 2018 ci siano ancora donne di trent’anni che non guidano.”
Alzi la testa a guardarla e sorridi, perché hai imparato a capire che quelle che reputa debolezze o mancanze la infastidiscono, soprattutto se le reputa facilmente risolvibili. Il problema è che per te non è facilmente risolvibile, considerato che la patente è sempre stata una cosa legata a tuo padre, camionista, qualcosa che vi avrebbe reso simili.
Il solo pensiero ti fa venire i brividi di schifo.
Affronta il tuo sguardo senza parlare, siete rimaste solo voi due e Manuela nello spogliatoio e sei grata che la vostra collega non si accorga di questo momento tra voi.
“Si potrebbe andare a pranzo in via Roma, ci sono molti locali carini.”
“Per me va bene.”
Ti guardano entrambe, in attesa del tuo verdetto.
“Va bene anche per me, ma ripeto, io esco all’una.”
“Ti vengo a prendere io Pastorellini.”
Apri e chiudi la bocca alla ricerca di qualcosa da dire, come se il cuore che ti sta battendo all’impazzata nel petto e nelle orecchie lo rendesse possibile. Speri di non essere diventata un pomodoro umano mentre e biascichi un “Non c’è bisogno…posso…”
Ti ignora e riprende a parlare con Manuela, stai per obiettare di nuovo ma il tuo telefono vibra, lo prendi e il tuo cuore rallenta di botto.
 
“Mercoledì riesci a venire a cena? Compro la carne per fare lo spezzatino di patate.”
 
Tua madre sa perfettamente come raggirarti e far leva sul tuo senso di colpa, il suo messaggio sembra innocuo, ma ti sta ricordato che sono quasi quattro mesi che rinvii o annulli e non li vai a trovare. Tu e lei vi sentite telefonicamente almeno una volta a settimana ed è al corrente di tutto quello che succede nella tua vita, perfino di Daisy e ti manca tua madre, ma l’idea di passare due ore in quella casa con tuo padre ti fa venire il volta stomaco.
Devi fare la persona adulta e andare, in qualche modo lo devi a tua madre, o almeno così continui a ripeterti.
Rispondi al messaggio dicendole che ci sarai e te ne penti subito dopo, ma non puoi fuggire per sempre.
“Pastorellini? Ti sei addormentata?”
Dai un’ultima occhiata al telefono, infili la divisa nell’armadietto e lo chiudi facendolo sbattere.
Leila ti aspetta sulla porta con lo sguardo annoiato e stanco di chi è stato dentro quel negozio per troppo tempo.
“Andiamo Pastorellini che devo tornare a casa per guardare Dragon Ball con mio figlio.”
Sgrani gli occhi. “Guardi Dragon Ball?”
“A mio figlio piace…” il suo sorriso si raddolcisce molto, come sempre quando parla del suo adorato bambino di 15 anni. “E non è male. Goku le sta prendendo da Majin Bu e voglio vedere se riesce a sconfiggerlo.”
Ti stupisce sempre come le espressioni di questa donna cambino in base all’argomento trattato o alla persona che ha davanti. In questo momento sembra una bambina innocente e ti strappa un sorriso.
Mercoledì sarà una serata molto, molto lunga e difficile, talmente difficile che dovrai comprare del gelato da tenere il freezer e dovrai chiedere a Rossella di tenerti compagnia finché Laura non tornerà a casa, ma Giovedì? Giovedì sarà sicuramente una giornata interessante e sei felice di avere qualcosa di bello su cui concentrarti, qualsiasi cosa pur di non pensare a lui.

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Capitolo 12
*** ch11 - The family of blood ***


ch.11 -  The family of blood.
 
“…basta uno squillo, un sms, un whatsapp, un piccione…un bambino orfano vittoriano, qualsiasi cosa e sono subito qui.”
Alzi gli occhi al cielo per la drammaticità del momento, o meglio, per quanto Laura lo stia rendendo drammatico.
“La’, è solo una cena con i miei genitori.”
“APPUNTO!” Sistema la frangetta e stringe più forte la tua cintura di sicurezza, che hai sganciato almeno cinque minuti fa ma che lei si ostina a non lasciar andare.
Si ostina a non lasciarTI andare.
Il suo broncio ora è assurdamente tenero, è sempre lo stesso da quando era adolescente e sembra uscita da un manga giapponese, a volte sembra la versione umana di un Jygglipuff molto arrabbiato.
“Sto bene, starò bene.” o almeno ci stai provando e non per te stessa, ma non far preoccupare lei e Rossella, per non essere un disturbo per loro, visto che non è poi un gran che quello che sta succedendo.
Ti senti una merda anche per il solo fatto che la tua coinquilina si sia vestita e sia uscita di casa solo per accompagnarti dai tuoi, le hai detto mille volte che non c’era nessuno bisogno, che ti sarebbe stato sufficiente un autobus per venire da loro, ma lei non ha voluto sentire ragioni, ti ha seguito in macchina, andando a passo d’uomo finché non è arrivata una vettura alle sue spalle e ha iniziato a suonare il clacson furiosamente, a quel punto hai desistito e hai accettato il suo passaggio.
Le comprerai un libro ridicolmente costoso di fotografia per sdebitarti, o magari uno di Terzani, ti chiedi se esistano le due cose combinate.
“Se ti fanno una cosa qualunque…” Sbuffa, rendendosi sempre più Jigglypuff.
“Non faranno nulla, lo sai.” La tua famiglia è la rappresentazione più classica della definizione passivo-aggressivo, non faranno mai qualcosa di diretto, potrebbe infastidire tuo padre e non si può infastidire tuo padre.
Annuisce quasi timidamente, probabilmente si è accorta di aver mescolato i suoi problemi di famiglia con i tuoi, ma è normale, lo fai spesso anche tu. Le schiocchi un bacio sulla guancia e batti dolcemente sul suo pugno chiuso, lei lascia andare la cintura di sicurezza e gioca con la frangetta. “Vengo a prenderti per le undici…”
“Non c’è…”
“VENGO A PRENDERTI PER LE UNDICI.”
“Ok…”pensi ancora alle foto del battesimo sulle quali deve lavorare e al fatto di essere un peso per lei, ma il suo sguardo sollevato ti costringe a pensare come una persona normale, non come la figlia di Egisto Pastorelli.
Scendi dalla macchina e usi le tue chiavi per entrare nel portone, senti che non parte finché non te lo richiudi alle spalle e tu fai un sospiro perché è davvero arrivato il momento, devi salire le scale e andare a condividere uno stupido pasto con la tua famiglia.
Tre ore, tre lunghissime ore, e poi potrai andare via da li, tornare alla tua vita normale, concentrarti sull’uscita che domani farai con e tue colleghe, alla visita guidata al castello san Michele, a Leila.
Sei talmente agitata per la cena che ti aspetta che non ti importa nemmeno di alimentare la tua cotta per una responsabile, se questa ti aiuterà a sopravvivere.
Suoni il campanello perché non è più casa tua, ma nessuno ti risponde, il che è abbastanza strano. Usi la tua chiave per entrare ma lo fai comunque con estrema cautela.
“Mamma?”
La porta della cucina è chiusa e, esattamente come temevi, il suono della tv che ti ha accompagnata fin dal piano terra proviene dal salotto, il che ti suggerisce che tuo padre è li e ti da la possibilità di ritardare ancora l’incontro con lui.
Entri nel regno di tua madre, lei ti da le spalle e canta e balla la canzone che fuoriesce dalla cassa del suo telefono.
“Ciao mami.” Provi tenerezza per questa donna, per tutte le canzoni che conosce e che vi ha sempre cantato, in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa. Tranne quando lui imponeva il silenzio del terrore, il suono che ha riempito la tua infanzia era quello della voce di tua madre che cantava.
Fa un piccolo saltello e si gira, tenendo una mano sul petto, mentre l’altra agita un coltello tra voi. “Martina! Mi hai fatto spaventare!” Si rilassa subito e apre le braccia verso di te, ti ci butti dentro e la stringi a te, chiedendoti quand’è successo che è diventata così piccola e fragile.
Hai un tuffo al cuore e poi un altro, ancora più forte se possibile, quando vedi tutto quello che ha cucinato per questa cena, ovviamente non c’è la minima traccia dello spezzatino di patate, abbandonato in favore dei piatti preferiti di tua sorella, ma la cosa ti strappa un sorriso quasi nostalgico.
“Come stai mami?” Affondi il volto nei suoi capelli spettinati, che ha smesso di tingere e stanno diventando velocemente bianchi, ha sempre lo stesso profumo di mamma, di coccole, dolci e speranze spezzate.
“Bene bambina mia. Tu come stai?” ti allontana da sé e ti studia. “Stai mangiando vedo.”
È il suo modo carino di dirti che dovresti dimagrire e anche questo ti provoca quasi nostalgia. Quasi.
“Si mamma.”
Ti chiede come va il lavoro, ti chiede come stia Laura, ti chiede se tu stia vedendo qualcuno, tutto questo mentre riprende a tagliare le verdure e lancia qualche insulto qua e la a Daisy, tu le chiedi della sua vita, che è sempre uguale e monotona. Provi il bisogno di trascinarla via di li, di darle una vita migliore, quando lei si gira a guardarti con rimprovero, aggiustando i suoi spessi occhiali da vista.
“Sei andata a salutare tuo padre?” E così, con una sola frase, tua madre ti ha ricordato perché la sua vita è così monotona, perché è così stanca, perché non puoi porre fine a l’eterna giostra sulla quale vive: è stata lei a decidere di rimanerci, è lei a rifiutarsi di scendere.
Chiudi gli occhi e cerchi di non farti invadere dalla rabbia, non hai diritto di giudicare la sua vita e sei certa che abbia fatto, e stia facendo, del suo meglio e non sta a te giudicare.
“No, sono venuta prima a salutare te.”
“Vai allora. Altrimenti si offende.”
Fai questo, altrimenti tuo padre si offende; non farlo, altrimenti tuo padre si arrabbia; tuo padre è stanco per il lavoro, non disturbarlo; hai visto cosa hai fatto? Hai fatto arrabbiare tuo padre; va bene, ma non diciamolo a tuo padre perché non sappiamo come potrebbe reagire.
Forse sono questi i suoni che hanno riempito la tua infanzia, la tua vita.
Vai in salotto con passi volutamente lenti, guardandoti attorno come se non avessi mai visto quell’ingressino o la porta del salotto, alla fine cedi, perché sei una persona adulta e non puoi lasciare che qualcosa abbia questo effetto su di te.
Ti basta vederlo di spalle, seduto storto sul divano, solita sigaretta in una mano e bicchiere di vino nell’altra, mentre ride per qualcosa sulla tv, e perdi tutta la tua fermezza, il tuo stomaco si contorce di rabbia e di disgusto, hai di nuovo tredici anni e hai paura di fare qualcosa che lo infastidisca o disturbi e che lui spacchi qualcosa o non vi parli per settimane o non torni a casa la sera, lasciando tua madre preoccupata e in lacrime.
Odi te stessa perché gli permetti di farti sentire così.
“Ciao.” Non sei sicura ti abbia sentito, visto quanto è alto il volume della televisione, passano pochi secondi però, porta la sigaretta alla bocca e i suoi occhi si posano su di te, ti irrigidisci in attesa di una risposta qualunque, ma non ne hai nessuna, si gira ancora una volta e riprende a ridere come se tu non fossi mai entrata nella stanza.
Espiri il respiro che non ti eri nemmeno accorta di stare trattenendo, inspiri con forza e ti sale la nausea per il fumo che si fa largo nei tuoi polmoni, ti costringi però a mantenere il controllo su te stessa e non fuggire via, anche se sentirlo ridere e vederlo ancora una volta bere e fumare ti sta facendo venire voglia di spaccargli una sedia sulla testa e mettere fine a tutto.
Credi che la familiarità della stanza attorno a te ti potrebbe aiutare a calmarti, perciò passi lo sguardo sui vecchi libri, sui soprammobili che probabilmente sono bomboniere dei vostri mille familiari, sui quadri che appartenevano a tuo nonno, sui quadri di ricami che ha fatto tua madre, sulle foto di famiglia che tua madre ha sistemato qua e la. Sono quasi tutte foto di te e Federica, tua sorella maggiore, in età e umori diversi, in qualcuna c’è tua madre, ma sono molto rare, in nessuna c’è tuo padre e sei grata per questo, significa che in quelli erano i momenti tranquilli in cui lui non c’era, in cui lavorava o fingeva di lavorare, preferendo invece far visita a qualche puttana in qualche viale allo stare con voi.
Allontani il pensiero stringendo i pugni, cerchi disperatamente di aggrapparti a qualcosa, a qualsiasi cosa non siano quei pensieri o quei ricordi e la porta d’ingresso si apre, lasciando entrare una sorridente e saltellante Federica.
“Sono a caaaasaaaaa.”
Ti giri a sorriderle attraverso la porta aperta del salotto, il suo sorriso si fa più grande, saltella verso di te e ti prende tra le braccia. “Ciao Cacca Puzza.”
“Ciao Stronzona.”
Ti da un bacio molto bagnato e schifoso sulla guancia e poi si dedica a vostro padre. “Ciao Egy.”
Lui poggia il bicchiere di vino e la guarda sorridente “Ciao amore di babbo, come stai?”
Federica va verso di lui, gli da un bacio sulla guancia e gli si siede accanto, cercando di avere un qualsiasi tipo di conversazione con lui, ma ricevendo in risposta solo grugniti e poi la totale assenza di attenzione.
Tu e tua sorella avete avuto la stessa identica infanzia, anzi, vostro padre è stato molto più severo con lei che con te, lei era follemente innamorata di lui e tra le due è stata lei a riceve il colpo più duro quando certe cose sono venute a galla, eppure l’ha perdonato, in nome del fatto che fosse vecchio e malato e non gli rimanesse molto da vivere, lei l’ha perdonato, continua a perdonarlo tutti i giorni.
La cosa ha creato una crepa enorme tra voi.
Vostra madre vi chiama a pranzo e ti dispiace che abbia fatto anche questa volta tutto da sola, senza chiedervi aiuto per apparecchiare la tavola. Deve chiamare tuo padre due volte prima che lui le presti attenzione, si alza, afferra il bicchiere di vino e le sigarette e fa un passo incerto, seguito da un altro, barcolla violentemente e riprova a camminare, questa volta arriva in cucina ma tu sei di nuovo sopraffatta dalla nausea perché ha solo 68 anni, ma è messo così male perché si è sempre rifiutato di curarsi, non vuole fare una dieta adeguata o diminuire il numero di sigarette fumate. Avete provato molte volte a parlargli, a convincerlo, ma l’unica risposta che ottenete ogni volta sono la sua rabbia, la sua aggressività e il suo accusarvi per le malattie che lui ha trascurato fino a ridurlo in questo stato.
Le sue orrende abitudini non sono cambiate negli anni, si siede a tavola e inizia a mangiare e bere senza nemmeno aspettare che ci siate tutti, accende la tv e si isola nel suo mondo in cui voi siete solo un sottofondo senza importanza. D’altra parte durante la tua vita con lui tu hai imparato a escluderlo dalla tua vista, e i suoni che emette dal tuo udito, e quindi riesci a goderti la chiacchierata leggera con tua sorella e tua madre.
La cena è sopportabile, quasi piacevole, tua madre è sempre un’ottima cuoca, anche se assaggi a malapena quello che ti passa davanti, mentre tua sorella divora tutto senza pietà. Siete ai pasticcini che hai portato, quando Federica afferra il telecomando e abbassa il volume della tv.
“Mamma devo darti una cosa.” Sparisce nell’ingressino per qualche minuto e poi torna con una scatolina, la da a tua madre e ha la stessa espressione che aveva sul volto quando marinava la scuola e aveva il terrore di essere scoperta.
Tua madre apre la scatolina e ci trova dentro un gomitolo di lana giallo tenue e un uncinetto nuovo di zecca, guardate entrambe tua sorella in attesa di una spiegazione.
“Leggi il biglietto.”
Tua madre obbedisce e i suoi occhi diventano di ghiaccio, ti sporgi per vedere cosa contenesse il biglietto, fingendo di ignorare tuo padre che infila in bocca due pasticcini per volta, ti alzi in piedi di scatto quando ti accorgi che non è un biglietto, è un’ecografia.
“Sei incinta?” Tua madre ha la voce molto fredda e Federica scoppia a piangere subito, incapace come sempre di trattenere ulteriormente la tensione. Tu la prendi tra le braccia e lei sbuffa una risata, ti allontana e ti asciuga le lacrime, fai lo stesso con le sue e sei felice, sei così felice che continui a piangere, fregandotene di tutto il resto. Vostra madre vi abbraccia subito dopo e piangete come tre sceme.
Non sai quanto va avanti, ma quando vi staccate, vi accorgete che il volume è di nuovo altissimo e sono rimasti solo 3 pasticcini sul tavolo.
“Egisto! Egisto!!” Lui la guarda con occhi vuoti e la bocca aperta. “Hai capito cosa è successo?”
“Si…si….” di nuovo la sua attenzione è per l’apparecchio televisivo e non per voi, tua madre gli strappa il telecomando di mano e spegne la tv, lui fa la smorfia di disappunto che quando eri bambina temevi più di qualunque altra cosa al mondo. “Cosa c’è?”
“Federica è incinta!”
“Ah, l’amore di babbo.” Fa una smorfia tra una risata e il pianto, una cosa che gli hai visto fare spesso in vecchiaia, ma solo verso qualcosa che vede in tv, torna subito in se però, afferra il pacchetto di sigarette e ne accende una. Ti sporgi in avanti per strappargliela di bocca chiedendoti come si permetta di fumare davanti a una donna, sua figlia, incinta, ma tua madre ti fulmina con lo sguardo e ti costringe a fermarti: non dire nulla, non fare nulla, la pace è l’unica cosa che conta.
“Nonno Egisto.” Federica asciuga gli occhi e sorride del sorriso più bello tu le abbia mai visto fare.
Lui ruba l’ennesimo pasticcino e annuisce felice e tu hai un flash di quando eri bambina e ti soffiava il fumo sul viso anche se stavi male; in cui ti costringeva ad andargli a comprare le sigarette o il vino anche se conoscevi a malapena il valore dei soldi; in cui ti sfregava la barba incolta contro il volto e poi rideva; in cui ti ordinava di dargli un bacio sulla guancia, anche se tu non volevi.
Chiudi gli occhi e senti la mano di tua sorella posarsi sul tuo braccio. “Andiamo zia Marty, vediamo se riusciamo a trovare i nostri vestiti da neonate e a iniziare a pensare a qualche nome.”
Zia Marty non suona affatto male.
Segui tua sorella fuori dalla stanza e la riempi di domande su come l’ha scoperto, su come l’abbia presa Enrico, il suo compagno, su come l’abbia presa lei e se abbia già vomitato, risponde a tutto con fin troppi dettagli e poi vi perdete a immaginare come sarà, mentre tu le accarezzi la pancia invisibile e la serata diventa improvvisamente perfetta.
Basta solo fingere non esista nulla oltre la porta della vostra vecchia cameretta, basta solo chiudere bene i compartimenti stagno.
Ormai sei una maestra nel farlo.

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Capitolo 13
*** ch12 - Flesh and stone ***


ch.12 – Flesh and stone.
 
La cena di ieri è ancora una palla di sentimenti confusa nella tua testa, lo è stata dal momento in cui hai messo piede fuori dal letto, e lo è rimasta per tutto il turno di lavoro. Hai risposto vagamente ai messaggi che ti sono arrivati durante la mattinata, qualcuno l’hai addirittura ignorato, hai macchiato caffè che dovevano essere lasciati semplici, hai fatto cappuccini decaffeinati random e dato donut al cioccolato al posto dei cornetti: il turno è passato in una nebbia confusa e sei felice di poterti togliere questa stupida divisa di dosso, tornare a casa e dormire tutto il pomeriggio.
“Cosa ci fa Leila qua fuori?”
Sgrani gli occhi e ti blocchi con i jeans tirati su per metà, ti giri verso Veronica che è affacciata alla finestra e guarda verso la strada.
“È venu…venuta a prendere me. Andiamoapranzoprimadellacosa…” ti si ingarbuglia la lingua perché, nel ricordare questo fatto, hai ricordato anche che più o meno a metà turno Manuela vi ha scritto che non riusciva a raggiungervi per pranzo, e che quindi sareste state solo voi due. Malgrado la nebbia emotiva in cui ti trovavi, hai pensato di inventare una scusa qualsiasi, ma il messaggio in cui Leila ti chiedeva conferma per l’orario non ti ha lasciato molto spazio per le fughe.
Non che avresti mai avuto il coraggio di deluderla.
“Ah, a quella cosa a San Michele?...la…la visita guidata?”
“Si esatto.”
“Oooooh…è tipo la tua ragazza che ti viene a prendere per andare a pranzo insieme.”
Nonarrossirenonarrossirenonarrossirenonarrossire.
Ti chiedi se abbia sempre fatto così caldo nello spogliatoio, eppure è Novembre ormai, non fa caldo, non fa freddo, ma non fa nemmeno caldo.
Veronica viene attratta dal tuo silenzio. “Non ti piacerebbe?”
La tua voce esce fuori più alta di almeno 3 ottave. “Certo che si…è…è unadonnamoltointelligente…” e bella e sensuale, ma non puoi dirlo a voce alta, lo renderebbe più reale. “Chiunque sarebbe fortunato ad averla accanto, o un perfetto idiota a non volerla.”
“Sareste una strana coppia. Stranissima, ma tenera in un certo senso. Si, mi piacereste moltissimo.” Annuisce soddisfatta della sua trovata o dall’idea di voi due come coppia, tu perdi completamente la speranza di non arrossire, quindi accetti il tuo destino di patata lessa stoicamente. Infili il semplice maglione nero e sei grata alla te stessa emotivamente confusa di stamattina per aver scelto qualcosa semplice e non troppo nerd o strano…o nerd.
Finisci di cambiarti e fai la pipì più o meno sette volte prima di trovare il coraggio di scendere le scale e affrontare un pranzo a due con la tua cotta indesiderata.
Perché ormai è una cotta, non c’è modo di negarlo.
Quando passi il cancello d’uscita e vedi che macchina ti sta aspettando, il tuo corpo ha un brivido violento e devi costringerti a continuare a camminare nel modo più normale possibile. Non ti sei mai interessata troppo alle macchine, o ai motori in generale, a parte il periodo in cui leggevi il manga “Mars” e pensavi che le Ducati Monster fossero le moto più belle mai create dall’uomo, passato quel breve periodo, qualunque cosa su ruote per te è solo un mezzo di locomozione del quale fai tranquillamente a meno. Tu e Claudia avete comprato una vecchia Punto azzurrina ed eri più che felice così, ma ora, ora che hai davanti Leila dentro una macchina di un certo tipo, ti stanno tremando le ginocchia.
Quel traditore del tuo corpo sta reagendo in modi a dir poco inappropriati per uno stupido pezzo di lamiera.
Non ti soffermi troppo a guardare che modello sia, hai visto solo che era nera e ti è sembrata molto potente, era ovvio che una con il suo carattere avesse una macchina del genere e non una stupida monovolume, eppure non eri pronta a tale, meravigliosa visione.
Hai la certezza che sarà un pranzo molto, molto lungo, e ancora non le hai nemmeno rivolto la parola.
“Allora ti muovi Pastorellini? Muoio di fame.”
“Ciao Leila, scusa per…l’attesa…ecco…” Ti chiedi perché per te sia così difficile dire qualcosa di sensato in sua presenza.
“Stavi lavorando?” Non ti guarda nemmeno, si immette subito in strada e inizia a guidare.
“Si, certo.”
“E allora non dire cavolate.” Non ti da il tempo di rispondere “Ti va bene se mangiamo in via Roma? È pieno di locali, qualcosa troveremo.”
Audi, i cerchi sul volante ti stanno suggerendo che sei seduta su un Audi, non hai la più pallida idea di che modello sia, ma almeno sai la marca.
Il viaggio verso la vostra destinazione è breve e allo stesso tempo lunghissimo, scambiate due parole sul lavoro e tu cerchi disperatamente qualcosa di cui parlare, una cosa qualsiasi, anche se lei sembra perfettamente a suo agio nel silenzio.
In un modo o nell’altro sopravvivi in quel silenzio fino al vostro arrivo nei pressi del centro. Parcheggia assurdamente lontano e tagliate per il porto, rallenta appena passate l’enorme fontana e si gira a guardarti attraverso gli occhiali da sole scuri che indossa.
“E se mangiassimo al porto Pastorellini?”
È una bella giornata, il freddo è ancora un ricordo lontano e irreale, non c’è vento e il sole è piacevolmente caldo, l’idea di mangiare davanti al mare e alle barche a vela di qualcuno non ti dispiace, perciò accetti subito.
Sceglie un tavolino sotto uno degli ombrelloni del localino, tu ti siedi accanto a lei e togli gli occhiali da sole, in nome dell’educazione che tua madre ti ha impartito, anche se bastano pochi secondi e i tuoi occhi bruciano come matti. Decidi di ignorare il bruciore, sperando che così passi, prendi in mano il menù ma non lo leggi nemmeno, studi le barche attorno a te e il modo in cui dondolano impercettibilmente sulla superficie del mare liscio.
Decidete di dividere un grosso tagliere di salumi misti, e più il tempo passa, più rilassarti sembra una cosa impossibile, soprattutto quando la cameriera viene a prendere la vostra ordinazione e lei chiede un bicchiere di vino bianco. Hai vissuto questa scena molte, troppe volte nella tua vita, semplicemente sai che dirà qualcosa sul fatto che prenderai una Coca, sai che dovrai ammettere di essere astemia e dovrai subire la conseguente tiritera.
Non sei mai stata una che segue le mode o che si adegua al branco, non sei mai scesa a compromessi per farti accettare, nel bene e nel male, sei sempre te stessa e la storia del bere non fa eccezione, senza contare il fatto che devi avere il controllo di te stessa, del tuo corpo e della tua mente, non potresti mai bere o drogarti.
Hai una vaga idea che non sia davvero quello il problema però, ma che sia l’alcolismo di tuo padre, e di conseguenza il vostro rapporto, la vera causa del tuo disgusto per gli alcolici, disgusto che sfiora spesso la fobia.
Sei abituata alle battutine sul tuo essere diversa, eppure ti innervosisce l’idea che sia lei a farle.
Il pensiero che ti importi di quello che Leila pensa di te ti sfiora la mente, ma lo allontani con tutta la forza di cui sei capace, perché non puoi permetterti una cosa del genere, non puoi e non vuoi darle tutto questo potere.
Ordini la tua Coca Cola e la cameriera va via, guardi la tua compagna di sottecchi e aspetti pazientemente la tua esecuzione, lei sostiene il tuo sguardo senza battere ciglio, mettendosi il burro cacao sulle labbra.
“Che c’è?”
“Non dici nulla? Nessuna battuta sul fatto che io non beva e che sia una brutta malattia?”
Si sistema meglio sulla poltroncina, allontana il menù da sé e inizia a giocherellare con l’accendino. “Perché mai dovrei dire una cosa così stupida? Sei libera di bere quello che vuoi, fin tanto che non vieni a rompere le scatole a me, puoi bere anche l’acqua di mare.”
È esattamente quello che pensi tu, che hai sempre pensato, e che credi dovrebbero pensare tutti, eppure è raro avere una risposta così semplice. È la chiave che ti permette di rilassarti, quello e lo sguardo compiaciuto che lei fa scorrere sui palazzi al di là di via Roma.
Sorridi e la imiti, facendo vagare gli occhi su ogni più piccolo millimetro di città che puoi vedere dal punto in cui ti trovi, quella merda di palazzo della Regione escluso, ovviamente.
“Voi cagliaritani non avete idea di quanto siate fortunati.”
Annuisci. “Oh io lo so, fidati lo so. Prima di andare a vivere fuori ero convinta che Cagliari fosse uno schifo, una merda, una prigione.” In parte lo pensi ancora, pensi che la Sardegna sia una prigione dorata, una gabbia stupenda dalla quale sia molto difficile scappare, ma è esattamente come per tua madre: ha i suoi difetti, ma non smetti di amarla per questo, al contrario, probabilmente la ami ancora di più.
“Dove hai vissuto?”
“Milano e Firenze.”
Fa una smorfia quando parli della sua città, fa un vago gesto con la mano “A Milano non avrei mai potuto fare una cosa del genere, decidere una settimana prima di partecipare a una visita guidata esclusiva a un monumento, passare a prendere una collega a pranzo e poi andare direttamente lì, senza dover impazzire per i parcheggi, per gli orari, per la gente. Qui? Qui in dieci, massimo venti minuti arrivi ovunque, d’estate puoi uscire dal lavoro e andare al mare, o fare una passeggiata in centro.” Non hai bisogno che specifichi che il discorso non è incentrato sul mare, ma sia molto, molto più profondo.
Continui ad annuire e rincari la dose. “Chi non è mai uscito da qui non sa davvero cosa significhi aver paura di uscire da solo con il buio, o cosa significhi dover impiegare più di quaranta minuti di macchina per arrivare al lavoro, o il vero traffico.”
“Qui avete una qualità di vita migliore e mio figlio ne è la dimostrazione pratica: quando vivevamo a Milano non era così felice, non aveva così tanti amici, non era così indipendente.” Il suo sguardo si raddolcisce quando parla di suo figlio, ma dura poco. “Voi sardi non avete idea.”
Ridacchi perché sai esattamente di cosa sta parlando “Quando sento i nostri colleghi dire che vogliono andare via, che fuori da qui è molto meglio, mi verrebbe voglia di schiaffeggiarli.”
“Probabilmente non sanno nemmeno quante meraviglie storiche nasconda la loro città.”
Ti emozioni come una perfetta imbecille, come se avesse fatto un complimento a te e non alla città in cui sei nata e che ami, ma è raro trovare qualcuno che apprezzi davvero Cagliari, che capisca davvero Cagliari, qualcuno il cui sguardo si posi sulla città del sole abbastanza a lungo da vedere che non è solo un punto d’appoggio per andare a visitare spiagge bianche e mari cristallini, ma che è un luogo intriso della storia di molti popoli diversi, di passaggio e non.
“L’unico problema sono i cagliaritani e la loro mentalità.”
Non puoi darle torto, per molte cose l’isolamento non è affatto una cosa positiva: la mentalità dei cagliaritani, isolati non solo dagli italiani, ma anche dagli altri sardi che ancora oggi non li vedono di buon occhio, è spesso chiusa o bloccata su convinzioni inutili o antiquate.
Se davanti avessi un continentale qualsiasi, una qualunque persona proveniente dalla penisola, ti sentiresti offesa da questa frase, mentiresti, dicendole che non è così, ma davanti hai una donna che ha scelto Cagliari come casa dove crescere suo figlio e credi non esista al mondo dichiarazione d’amore più sincera e profonda, mentirle ti sembra profondamente sbagliato.
Dividete il pasto e continuate a chiacchierare di Cagliari, di lavoro e di altre cose superficiali, quando vai in bagno, paghi il conto e quando torni indietro lei ti fulmina con lo sguardo.
“Quanto ti devo?”
Non le hai pagato il pranzo per qualche ragione stupidamente romantica o simili, ma solo perché ti fa piacere, l’hai fatto anche con Giorgia la prima volta che siete uscite insieme o con Rossella quando siete andate in montagna, anche loro hanno provato a renderti i soldi, ma non ci sono mai riuscite. Qualcosa nello sguardo di Leila ti fa capire che per lei è una questione seria e capisci sia più saggio fare un passo indietro, figurativamente, e dirle quanto deve darti.
“15 euro.” Cerca nel suo zainetto in pelle il portafoglio e vedi solo ora che la borsa è molto simile alla tua, ti da cinque euro e ti dice, accendendosi una sigaretta “Pago la visita e siamo pari.”
“Non c’è bisogno di…”ti fulmina ancora, ma ora hai già indossato gli occhiali da sole e il suo sguardo fa meno paura. Ringrazi silenziosamente chiunque abbia inventato quel meraviglioso strumento di difesa. “Ok…va bene.” Non sapevi nemmeno quanto sarebbe costata la visita, non hai mai chiesto.
Il ritorno verso la macchina è decisamente più lento dell’andata e anche più silenzioso, hai paura di averla infastidita e passi tutto il tragitto a cercare un argomento sicuro di cui parlare, quando arrivate all’Audi hai l’illuminazione.
“Avresti potuto chiedere a tuo figlio di venire con noi…”
“Non gli sarebbe interessato, in più suo padre è qui ed è giusto passi il tempo con lui.” Ha di nuovo il burro cacao in mano e lo sta applicando velocemente sulle labbra, il che ti ricorda che hai bisogno di comprarlo anche tu, visto quanto le tue labbra si distruggono con gli sbalzi di temperatura tipici dell’inverno.
“Ah.” Ti è capitato più di una volta di sentire frammenti di conversazioni in cui Manuela o Valentina invitavano Leila a trasformare la separazione in divorzio, per evitare di venir invischiata nei debiti dell’ex, perciò hai più o meno intuito che i rapporti tra i due non siano dei migliori. “Mi dispiace.”
Ognuna di voi ha raggiunto il proprio sportello e vi guardate da sopra il tettuccio della macchina, non sai bene perché, ma appena il suo sguardo si è posato su di te ti sei messa in punta di piedi.
“Perché ti dispiace?”
“Perché suppongo tu sia costretta a vederlo, se è qui.”
“Direi di si, visto che sta da noi.”
Spalanchi la bocca e lei sorride soddisfatta. “Cos’è quella faccia Pastorellinetti?”
“È che…non so se io riuscirei…”apre la bocca per risponderti “so che è per tuo figlio…”sei quasi stupita di essere tu quella che non la fa parlare, una volta tanto, così come sei stupita che lei abbia obbedito a quella tua imposizione e sia rimasta in silenzio. “…ma io non credo che riuscirei.” Guardi ovunque attorno a lei e il tuo pensiero accarezza solamente il ricordo di Claudia e Marvin, ma sprofonda velocemente in quello di tuo padre. Lei apre lo sportello e sta per entrare in macchina, il fatto sia uscita dal tuo campo visivo permette alla frase successiva di scivolarti debolmente tra le labbra.
“Io sono fisicamente incapace di perdonare, o dimenticare.”
Leila si ferma e ti guarda, ruota leggermente la testa a un lato e corruga la fronte “E chi dice che sia una cosa negativa?”
Vieni attraversata da un’emozione perfettamente opposta a quella che hai provato mentre ordinavi la Coca e non sai come definirla se non come la sensazione di essere appena stata capita senza il bisogno di spiegarti.
L’esserti esposta così tanto senza nasconderti dietro una battuta e l’aver dato a qualcuno accesso, seppur brevissimamente, alla parte più oscura e fragile di te, ti sta facendo sentire come se l’aria si fosse diradata all’improvviso.
“Andiamo Pastorellini-ini, non penserai che perdere tempo mi farà dimenticare del mio debito.”
Sbuffi una risata e sali in macchina, per il resto del breve viaggio continui a sorridere mentre Leila si lamenta più o meno di ogni altra vettura che incontra.
Manuela e Simone vi aspettano al cancello di ingresso e tu potresti dire loro che passando dall’altra entrata potete salire in macchina fino a sotto il castello, ma non lo fai perché sei curiosa di sentire che lamentele fantasiose riuscirà a creare la tua Layla-in-carne-ed-ossa.
Simone allarga le braccia appena ti vede, ci sparisci dentro e respiri il suo profumo ormai familiare, mentre lui finge di averti persa. Anche lui è un cassiere e lo vedi poco e nulla, ma ogni volta che lo vedi ti abbraccia e ti dice che sei bella, non importa che tu venga da una notte insonne al pc o da un turno domenicale di sei ore al bar, lui non manca mai di farti un complimento. È un ragazzo gentile, educato e disponibile e sei felice si sia unito a voi e di avere la possibilità di conoscerlo meglio.
Saluti anche la quarta persona della compagnia e iniziate la faticosa scalata verso la cima del colle, come da copione Leila trova i modi più colorati e strani di lamentarsi e tu e Simone siete più volte costretti a fermarvi per il troppo ridere, mentre Manuela la ignora come se nulla fosse, evidentemente più avvezza di voi ai modi della sua vecchia amica.
Una volta arrivati ai piedi del castello il tuo respiro si calma e il tuo volto si fa largo un sorriso, mentre una pacifica tranquillità si propaga in te. Studi ogni dettaglio delle sue tre torri asimmetriche, le sue finestre scure, i suoi mattoni in tufo che sembrano dover cedere da un momento all’altro, il suo fossato vuoto dal quale dovrebbero partire le famose gallerie che conducono fino al quartiere castello, ed è tutto così familiare, goffo e semplice che dopo due anni senti di essere finalmente a casa.
Approfitti del momento anche per godere del panorama stupendo e il tuo sguardo viene attirato da Leila e dall’espressione adorante e felice sul suo volto, mentre applica un nuovo strato di burro cacao. Per la seconda volta sei invasa da quello strano sentimento, ma questa volta si tramuta in pensiero molto chiaro, nella sensazione che lei possa capire.
È il pensiero più pericoloso tu potessi formulare, perché è una forma di speranza e illusione molto più potente della tua sola volontà e molto, molto pericolosa per il tuo cuore e la tua anima feriti.
Stai per girarti e andartene, mettere più distanza possibile tra te quello che stai pensando, ma la guida arriva e Leila va subito a pagare e tu vieni trascinata dagli eventi senza poter fare nulla per impedirlo.
Puoi solo sperare che non succeda anche con questa stupida cotta.

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Capitolo 14
*** ch13 - The powerful enemy ***


ch.13 – The powerful enemy.
 
 
“Allora Pi, come è andata la fantomatica uscita? Sei sopravvissuta al pranzo?”
Grugnisci e batti la testa contro la tua scrivania, sono passati tre giorni dalla gita e no, non ti sembra di essere sopravvissuta, visto che la tua cotta è ormai fuori controllo.
“Ok, lo prendo come un: “Benissimo, grazie.””
Grugnisci di nuovo e poi emetti un suono che rende palese tutta la tua frustrazione.
“Pi?”
“Passoiltempoaguardarla.” Lasci il volto premuto contro il foglio del tuo blocco da disegno e non credi di essere stata particolarmente comprensibile.
“Cosa?”
Appunto.
“Passo il tempo a gua…a guardarla. Se passa…se passa dalle parti del bar, passo il tempo a guardarla.” E hai notato molte cose, come il fatto che quando parla con Alex è spesso tanto nervosa da non riuscire a rimanere ferma, piega un piede e ci dondola sopra; se beve o mangia, poi rimette subito il burro cacao; sono più le volte in cui sta zitta e studia la situazione che quelle in cui parla, ma quando parla è sempre a proposito, a meno che non debba fare una delle sue particolarissime battute.
Ogni più piccolo dettaglio che impari di lei te la fa apprezzare ancora di più.
La voce di Rossella diventa la stessa che ha quando parla con il suo adorato gatto: “Piiiii!!!!PIIIIIIII!! Hai una cotta little Pi! Hai una cotta!”
Batti la testa contro la scrivania, colpendo la matita che quasi rovina a terra, fortunatamente la prendi al volo perché l’hai pagata un occhio della testa e non vuoi rischiare si spezzi la mina. Guardi il ritratto che stavi facendo, che ovviamente è Leila di spalle che dondola sul piede piegato di lato, ossia quello che hai visto stamattina. Ne accarezzi i contorni appena accennati con dita leggere.
“Ho una cotta, si.”
“Che bello Pi! Che bello.”
Ti alzi di scatto per allontanarti dal disegno, un po’ per prendere le distanze da quello che provi, un po’ perché non vuoi che quello che stai per dire impregni la tua creazione, rovinandola.
“Non è bello Pi, come può essere bello? È stupido, immaturo e…”
“Ma perché…GUARDA QUESTO IMBECILLE!!! Ma ce la faiiiii? Come guidi, coglione? Figa, certa gente non dovrebbe uscire di casa.”
“Trovano la patente nelle merendine, Pi.” Sorridi perché lei ridacchia, ti butti sul letto e giocherelli con la nuovissima action figure del tredicesimo dottore che tieni sul comodino.
Inutile dire che Jodie Whittaker è il tuo dottore preferito nella storia di Doctor who.
“Nelle patatine! Comunque, perché non dovrebbe essere una cosa bella Pi?”
“Mmmmh…perché è ETERO? Perché è una mia responsabile? Perché ha un figlio adolescente? Perché è una donna adulta…”
“Anche TU sei una donna adulta.”
Scoppi in una risata piena di amarezza e agiti l’action figure davanti al volto con maggior vigore, come se Rossella potesse vederla. Non ritieni di essere una ragazzina, non puoi dopo tutto quello che hai passato, ma non ti reputi nemmeno una persona matura.
È un po’ la storia della tua vita, hai sempre guardato tua sorella Federica e le sue amiche pensando che crescendo saresti diventata come loro, che con il passare del tempo saresti diventata femminile, ti sarebbero interessati i ragazzi e i trucchi, avresti indossato gonne e avresti smesso di giocare a videogiochi e disegnare, invece non è mai successo, ancora non ti trucchi se non il minimo indispensabile e solo se è strettamente necessario, idem per le gonne, non hai mai imparato a camminare sui tacchi e con i ragazzi ti piace solo parlare di videogiochi o film di supereroi, ma quella è un’altra storia, ovviamente.
“Non sono una donna adulta, in più…” alzi la voce per farle capire che non vuoi sentire ragioni, che nulla al mondo ti farà cambiare idea “è ETERO.”
“Ti rendi conto che ti sei ripetuta, si?”
“Si, perché è importante Big Pi, è fondamentale.” Sospiri e temi lei dica qualcosa, ma aspetta tu finisca il concetto e ti chiedi se ci fosse qualcosa nella tua voce che glielo abbia suggerito. “Ci sono già passata, fin troppe volte Pi, a 34 anni vorrei potermi controllare e non prendermi la cotta da adolescente per la prima eterosessuale che passa e che non mi considererà mai.”
Sospira anche lei, perché ci è passata, così come tutte le lesbiche probabilmente.
“Pi, non è detto che non te la darà mai…”
“Non ho detto quello…”
“E PI, anche a me piace una mia collega. Te ne sei dimenticata?”
“Tu Rory te la vuoi solo scopare.” Ti esce di bocca con una risata che non riesci a controllare.
“È davvero figa Pi. Non è colpa mia.”
Sorridi ancora, ma scuoti la testa “Te la vuoi solo scopare Pi, è diverso.”
“In che modo sarebbe diverso, scusa? In che modo io sarei meno stupida di te?”
Poggi il tredicesimo dottore con cura reverenziale, le accarezzi i capelli e le sorridi, ma non rispondi a Rossella, non riesci a dirle che è perché a te importa davvero di Leila, ti importa cosa pensa di te e sei stupidamente convinta che possa capire la tua parte oscura e malinconica, quella che di solito ti chiedono di nascondere perché è troppo.
Nel silenzio che segue senti che l’assenza di sottofondo è quasi totale e che quindi la tua amica è probabilmente arrivata a casa. “Pi, non è stupido, è normale. Soprattutto visto quanto lei è simile alla tua Layla.”
In qualche modo ha ragione, non hai mai avuto la più piccola speranza di resisterle.
“Non è stupido, Pi.”
“Lo è, certo che lo è. IO sono una stupida.”
Sospira e si accende una sigaretta, soffia via la prima boccata di fumo e puoi quasi vedere il suo volto serio e concentrato mentre lo fa. “Pi, è una donna, è una bella donna ed è anche intelligente, è il tipo di donna che ti fa perdere la testa e sono stracerta tu sia in grado di gestire la situazione in modo maturo e professionale.”
Pensavi non avesse colto il tuo appunto sul suo essere la tua responsabile, invece l’ha fatto.
“E non ha detto di essere bisessuale? Magari ci sta. Dovresti provarci Pi, doverti scopartela.”
“Che?” Guardi verso la finestra, aperta anche in pieno novembre, in attesa che i cani inizino a ululare, ma non succede nulla. Schiarisci la voce sperando di abbassare il tono dagli ultrasuoni a qualcosa di più umano. “Big Pi, una come lei nemmeno mi vede. Pensa che io sia una ragazzina.” Hai il flash del suo sorriso malizioso nella sala relax, quando avete parlato di sesso e il solito calore si propaga per il tuo volto.
“Magari invece si. Non è divorziata? Magari passare da uno che manco la fa venire a una donna attenta e con un cervello non le dispiacerebbe.” Rossella e il suo disprezzo per il sesso eterosessuale.
Sei arrossita di più, ne sei certa.
“Sei arrossita, vero little Pi?”
“….no.”
“Lo sento dalla voce Pi. Che patata lessa sei.”
Il fatto lo dica con così tanto affetto nella voce non migliora il fatto tu ti stia vergognando di te stessa, e quindi che tu sia arrossita di più.
“Sei un ottimo partito Pi, non sminuirti solo perché vieni da una famiglia di merda che ti ha fatto credere il contrario per tutta la vita.”
Arricci il naso e annuisci, ma questo discorso sta andando avanti da troppo tempo, così come l’attenzione su di te, e continuare di questo passo significherebbe aprire ferite che stanno bene chiuse, perciò è meglio fare una virata veloce.
“La tua giornata Pi?”
Soffia ancora il fumo “Bene Pi, tutto come sempre.”
“Hai rimbalzato per la città come una pallina impazzita per insegnare l’inglese ai poveri stolti quindi.”
“Esatto Pi. La prossima vita voglio nascere ricca, riempire la casa di gatti e passare il tempo a scrivere.”
Questa sarebbe una cosa che non ti dispiacerebbe per nulla, ami leggere quello che scrive. “Hai scritto Pi? Hai scritto?”
“Qualcosina, si. Ma oggi è arrivata una nuova tipa al corso di scrittura e ha creato un pochino di trambusto.”
“Mh? Ma oggi non era uno di quegli incontri dedicato solo alla produzione?”
“Si, ma con il fatto che si è unita oggi abbiamo parlato un po’, le abbiamo spiegato le cose.”
“Non capisco, no.” Non vedi come l’arrivo di una persona nuova possa aver creato del trambusto. Ti affacci alla finestra e guardi le luci di un aereo attraversare lentamente il cielo notturno.
“Boh Pi, è una svedese e non capisce praticamente nulla di italiano.”
“Oh come mamma Ikea.” E ora la immagini con la divisa gialla e blu, o con un vestito fatto con i famosi bustoni blu.
“Pi.”
Come faccia a sapere che la tua mente stia divagando, è un vero mistero.
“Si Pi, ci sono. Quindi come fate?”
“Eh, ci parlo io in inglese…”
“Povera Pi, ti tocca lavorare anche a scrittura. Almeno è figa?” Rimane un secondo in silenzio, il che può essere un buonissimo segno, così come un pessimo, orribile segno.
“Ha i capelli castano chiaro.” Il che di solito non le piace. “Gli occhi tipo blu, ma blu grigio verde.”
“Ecchecosè!!!!” Ti chiedi se esistano veramente degli occhi di questo colore.
“Ed è molto, molto, molto alta.” Alzi un sopracciglio e poi aggrotti la fronte, perché sai che Rossella è gay e debole, soprattutto se si tratta di un paio di lunghissime gambe, e che quindi questa è la risposta affermativa alla domanda che le hai fatto. È strano lei non abbia risposto un semplice “Si Pi, è altissima e figa.” ma che te l’abbia descritta così, ti chiedi se se ne renda conto, ma conoscendola la risposta è no.
“Non sembra male.”
“No Pi, non è brutta, ma ha un accento veramente terribile, faccio fatica a non correggerla.”
Ed ecco spiegato perché non ti abbia detto subito che è figa, il fatto che non la corregga però non è da Rossella, vista la deformazione professionale che la spinge a correggere praticamente tutti in qualsiasi momento.
“La correggerai molto presto, ne sono certa. Che nome astrusissimo ha questa fantomatica svedese dal pessimo accento? Rabbla? Lagrad? Sommar?”
“Ti prego, dimmi che non sono nomi di roba Ikea.”
Ridi, non rispondi, perché ovviamente sono oggetti che avete in vendita.
“Figa se sei un’imbecille Pi. Sei una patata lessa imbecille.”
“Grazie Pi, insomma, come si chiama?”
“Lene.”
“You know where you’ve sent heeer, you should know where you aaareeee…”
“Pi.”
“Si?” Hai l’espressione più innocente possibile sul volto.
“Non mi hai appena cantato unforgivable sinner, vero?”
“NO?”
“Daaaaaai!!!! Pi! Ora ci penserò ogni volta che la vedo.”
“Almeno non penserai a scopartela, come io farò con Leila a causa TUA!”
“Tu pensavi GIÀ a scopartela Pi, anche prima che te lo dicessi io.”
“Ehi! Non è vero!” La trovi una stupida mancanza di rispetto nei suoi confronti, quindi non hai mai pensato a lei da quel punto di vista, o meglio, non ti sei mai soffermata troppo su quel pensiero, ti sei sempre censurata.
“Sei davvero una patata lessa Pi.” Senti il suo finestrino chiudersi e lei canticchiare la canzone che ha portato al successo Lene Marlin, sbuffare e mormorare qualcosa che non capisci.
“Boh Pi, comunque me l’hanno appioppata e ora le devo spiegare cosa abbiamo fatto fino ad oggi.”
“Le farai leggere una delle tue scene di sesso Pi?”
“Ovviamente, Pi. Chissà cosa scrive lei…Va beh, sono arrivata a casa, è meglio se salgo.”
“Ok Pi, fai le coccole a Sirius per me.”
“Va bene Pi. Grazie. Anche per la compagnia.”
“È stato un piacere, lo sai.” E lo è sempre, è sempre una piacevolissima distrazione da qualsiasi cosa la vita ti sta mettendo davanti.
“Little Pi?”
“Big Pi?”
“Non sei una stupida.”
Mentre vi scambiate la buona notte sorridi e ti giri a guardare dentro la tua stanza. Non puoi vedere il ritratto da dove sei, ma riesci a immaginarlo finito e ti prudono le mani, perciò accosti la finestra e torni a sederti alla tua scrivania, fai partire la musica, impugni la matita e sei pronta a riprendere a disegnare, prima di farlo però guardi un disegno della tua Layla appeso al muro.
“Si che sono una stupida, ma è anche vero che non ho mai avuto la benché minima speranza.”
Non chiudi occhio finché il ritratto non è finito.

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Capitolo 15
*** ch14- The reing of terror ***


ch.14 – The reign of terror.
 
“Quindi, due caffè macchiati, una torta della nonna e un muffin al cioccolato.”
Il cliente ha iniziato a parlare con la moglie, o la compagna, o l’amante, o quello che è, più che parlarle se la sta spogliando con gli occhi e tu ti chiedi se dovevano proprio venire al tuo bar a farlo. Metti i caffè a fare e quando ti rigiri, i due sono passati dagli sguardi ai fatti e si stanno divorando la faccia a vicenda, non trattieni l’espressione disgustata e borbotti un “trovatevi una stanza”. Valuti l’idea di riempire un bicchiere d’acqua fredda e gettarglielo addosso, come si fa i con cani, ma decidi che non sarebbe un comportamento ben visto dai tuoi superiori e che la cosa migliore sia ignorarli e continuare a preparare la loro ordinazione, magari evitando di sputare dentro i caffè, anche se lo meriterebbero eccome.
Afferri la torta della nonna e la poggi sul ripiano esterno della vetrina, ti allunghi per prendere il muffin e senti uno “splotch” che non ti piace per nulla. Chiudi gli occhi e rimani perfettamente immobile, nella vana speranza che non sia successo quello che temi, li riapri, prendi il muffin e indietreggi con molta, molta cautela, ma il risultato non cambia: il tuo seno destro ha appena schiacciato la fetta di torta della nonna.
Guardi di sottecchi i clienti che l’hanno ordinata, ma i due si stanno ancora sbaciucchiando e non si sono accorti di nulla, la torta è solo lievemente schiacciata perciò pulisci la maglietta dallo zucchero al velo con tutta la nonchalance di cui sei capace, quindi nessuna, e sistemi i dolci su un vassoio, macchi i caffè e ti appiccichi addosso il sorriso più gentile e innocente che riesci.
“Ecco le vostre ordinazioni signori. Grazie e buona giornata.” Fortunatamente fai pagare sempre prima di preparare la roba.
I due afferrano il vassoio e non ti degnano di uno sguardo.
“Tsz, abbiamo fatto bene a schiacciare la loro torta.” Continui a pulire il seno destro mentre scuoti la testa e li guardi sparire dietro l’angolo.
“Martinettis!!!”
“Panzerottina!!!” A Giorgia non andava bene che tu la chiamassi con il suo nome, quindi le hai trovato un soprannome sperando lo odiasse, lo adora invece.
“Che è quella faccia? Cosa hai combinato?”
Ti guarda con sospetto, tu spolveri ancora la maglietta e ghigni. “Nulla, assolutamente nulla. Vuoi un caffè?”
“Un ginsé, grazie.” Siete due stronzette a cui piace usare gli errori dei clienti per divertirvi un po’, è politicamente molto scorretto, ma in qualche modo dovete pur sopravvivere al rapporto con il pubblico.
“Perché non un orzetto?”
Fa la faccia disgustata. “Che schifo, è come bere tabacco masticato da qualcun altro, lasciato seccare al sole e poi disciolto in acqua.”
Ridi anche se non hai idea di che sapore abbia, ma l’odore è assolutamente quello.
“Vuoi davvero un ginseng?”
“Eia Martinettis.”
Lo prepari e glielo servi, fa il gesto di pagarlo ma tu alzi gli occhi al cielo. “Che ci fai qui? Non è il tuo giorno libero?” guardi la sua giacca di pelle e ti chiedi a quale gruppo musicale appartenga la maglietta che indossa oggi.
“Sono venuta a prendere Silvietta, andiamo a pranzo insieme.”
“Di già? Non è presto per pranzo?” guardi l’ora sul display del forno e vedi con sollievo che sono le 12 e 20, e che anche oggi sei sopravvissuta al turno infuocato delle colazioni.
La vostra giovane collega arriva di corsa e con un sorriso enorme sul volto.
“Avete sentito l’ultima?” è la gazzetta ufficiale del negozio, qualsiasi cosa succeda dentro la scatola blu, lei è la prima a saperlo e a divulgare la notizia senza la minima vergogna o pudore.
Tu e Giorgia scuotete la testa all’unisono, la pettegola si avvicina a voi con un fremito d’eccitazione e con il volto illuminato dalla gioia più pura.
“Hanno sentito Alex e Leila discutere in saletta.”
Accarezzi le labbra screpolate dal caldo del bar, il cuore ha iniziato a battere all’impazzata al solo sentire il suo nome, ma stai cercando di mantenere un comportamento professionale e di capire perché una cosa comune come un litigio tra i due responsabili dovrebbe essere un gossip succulento.
“E quindi? Litigano sempre, no? È un gossip deludente Silviettis.” È Giorgia a esternare il pensiero di entrambe.
“Pare che Alex voglia passare allo spezzato e Leila no.” Questa non è per niente una bella notizia, l’idea di non fare più l’orario continuato non suona affatto bene e dentro di te speri che Leila abbia avuto la meglio, e non solo perché è lei.
“Fantabosco dalla parte di chi sta? Alla fine è lei a decidere, no?” Anche se ti spremi le meningi, non hai proprio idea di come si chiami la vostra store manager, a essere sincera non ricordi nemmeno bene che faccia abbia.
Silvia si avvicina a voi con la faccia ancora più divertita “Alex.”
Voi ascoltatrici vi guardate con gli occhi sgranati perché la notizia non è per niente buona, ti chiedi cosa si inventeranno con gli orari per farvi fare le 20 ore che avete da contratto.
Una volta sganciata la bomba, la vostra pettegola di fiducia sembra molto soddisfatta di sé, si impettisce tutta, batte le mani e annuisce “Bene, direi che è arrivata l’ora e posso andare a cambiarmi.”
“Marty tu non vai? Perché non vieni a pranzo con noi?” Giorgia si sporge oltre il bancone e poggia la tazzina in vetro dalla tua parte, le indichi la cassa con un sopracciglio alzato perché è una cassiera e di recente ha iniziato anche lei a turnare al bar e quindi sa perfettamente che non puoi andare via senza che il tuo cambio arrivi. Lei sbuffa e alza gli occhi al cielo. “Va beh, il tuo cambio starà arrivando, ti aspettiamo, vieni con noi. Andiamo al Poetto!”
“No, grazie. Ieri ho fatto tardi e voglio solo tornare a casa a dormire.” Sei sveglia dalle sette, hai dormito un gran totale di cinque ore e devi tornare a casa e dormire, o continuare a disegnare l’incontro tra Layla e Agatha, o magari giocare a Skyrim, o fare la torta allo yogurt che piace tanto a Laura, insomma, vuoi tornare a casa e fare qualcosa che non coinvolga altre persone, soprattutto non vuoi rischiare di iniziare a parlare a ruota di Leila e far capire alle tue colleghe che hai una cotta per lei.
Ti senti già abbastanza patetica così.
La ragazza del gossip va a cambiarsi e Giorgia rimane con te finché Valentina non arriva a darti il cambio dandoti la tanto attesa libertà, corri e versare il cassetto e a cambiarti anche tu. Nello spogliatoio trovi Eleonora e Veronica e iniziate subito a parlare di cibo, suggerendovi a vicenda cosa preparare per pranzo, siete tutte chiacchiere e battutine sceme fino a quando Leila entra nella stanza: l’aria si gela e cade un pesante silenzio, continuate a cambiarvi senza emettere un solo fiato e fissando ovunque, tranne la nuova arrivata.
È inutile specificare che l’oggetto della tua cotta indesiderata è tanto rispettata quanto temuta da tutti in negozio, non solo da te.
Veronica vi fa cenno di dire qualcosa una cosa qualsiasi, tu scuoti la testa terrorizzata, Eleonora sistema gli occhiali sul volto e lega i capelli, come se si preparasse a un combattimento, schiarisce la voce e dice un “Io non devo cucinarmi nulla…” fa una pausa, in attesa che la vostra responsabile abbia una reazione qualsiasi, quando viene ignorata continua con maggior convinzione. “Oggi vado fuori con la famigghia.”
Fai una smorfia quasi senza volerlo, soprattutto quando procede dicendo:
“Il mio paparino ci porta a mangiare tutti in ristorante.”
“Beata te.” Ti stai riferendo al fatto lo chiami paparino e sembri provare piacere all’idea di passare del tempo con lui, tu diventi nervosa se solo lo senti parlare in sottofondo quando sei al telefono con tua madre.
“Pastorelli non hai voglia di cucinare? Mi stai invidiando moltissimo?”
“No, mi riferivo alla cosa in famiglia, cucinare mi piace.” Forse ti è uscito più acido di come volevi, ma il tuo self control o la tua capacità di nasconderti coprono solo un argomento per volta e con Leila nella stanza non riesci a nascondere anche il disprezzo per tuo padre.
“Non ti piacciono le cose in famiglia?”
Inspiri profondamente e fai una smorfia, cercando il modo più carino possibile per rispondere alla domanda di Veronica.
“Diciamo che non ho un buon rapporto con mio padre.”
La tua collega ride “È perché avete lo stesso carattere scommetto. Di solito non si va d’accordo con il genitore a cui si somiglia di più.”
“No, è perché mio padre è un benemerito coglione.” È molto infantile da parte tua, ma non ti piace essere paragonata a lui, benché tu sia consapevole di aver preso diverse cose da lui, tra cui il modo di mangiare il gelato o quello di sorridere, eppure ti crogioli nel fatto di essere la fotocopia sputata di tua madre, di essere l’unica di aver ereditato la carnagione perlacea di lei, tipica degli abitanti dell’entroterra sardo, e non quella olivastra di lui. Nei momenti in cui vi paragonano, anche se lo fa qualcuno che non vi conosce, il bisogno di prendere le distanze da quell’individuo prende il sopravvento su tutto il resto e rispondi senza pensarci e senza censuranti, oggi non fa nessuna eccezione.
La tua collega smette di allacciarsi le scarpe e ti guarda con rimprovero.
“Pastorelli non si dice così. Il sangue è sangue, la famigghia è la famigghia e sono gli unici che ci saranno sempre per te.”
Non ti fa arrabbiare che ti risponda così, al contrario le sorridi perché non capisce quanto è fortunata nel poter fare tale affermazione e poterci credere. Sai che nonostante le differenze tra voi, tua sorella Federica ci sarà sempre per te, anche ora che avrà una famiglia sua e le cose cambieranno, purtroppo non puoi dire lo stesso su tuo padre o su tua madre che, consapevole o no, sarà per tutta la vita condizionata da suo marito e lo metterà al primo posto.
Eleonora sta per lanciarsi in una ramanzina nei tuoi confronti, guardandoti come se tu fossi un’adolescente capricciosa.
“Se Martina dice una cosa del genere, ha le sue ragioni, Veronica.” Il gelo scende di nuovo nella stanza appena Leila parla, sia perché la sua voce è inaspettata, sia per la serietà e la fermezza con cui parla. Ti lancia una brevissima occhiata e il tuo cuore si ferma per la dolcezza che li leggi dentro, dura un battito di ciglio ed è così veloce che non sei sicura si avvenuto davvero.
La tua collega abbassa la testa e non spiaccica più parola, così come tutte voi. Leila fa sbattere lo sportello del suo armadietto e va via senza aggiungere nulla, le tue colleghe aspettano qualche secondo prima di imitarla, anche se si sono cambiate e sono pronte a tornare a casa. Tu rimani indietro con la scusa di andare in bagno, quando sai di essere sola ti siedi sulla panca e guardi l’armadietto semichiuso della tua responsabile, intravedi le sue scarpe all’interno e sorridi, perché l’armadietto numero 13 è l’unico che non si chiude bene e ha tutta l’aria di essere molto incasinato al suo interno.
 Ti alzi dalla panchetta con un sospiro, sfiori lo sportello dell’armadietto senza avere il coraggio di toccarlo veramente e, mentre lo fai, ripensi alle sue parole, rivedi il suo sguardo nel quale non era la minima traccia di rabbia e il cuore ti si stringe dolorosamente. Se fino a stamattina era una cotta adolescenziale, spinta dalla somiglianza con un tuo personaggio e dall’idea che avevi di lei, ora è diventata tutt’altra cosa, spinta dalla certezza che lei possa capire.
Devi assolutamente tornare a casa, dormire e smettere di pensare a lei.

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Capitolo 16
*** ch15 - Listen ***


ch.15 – Listen.
 
Hai perso traccia di Laura almeno un’ora fa, ossia da quando avete messo piede in libreria, almeno credi sia un’ora, potrebbero anche essere otto o nove ore fa, sei talmente felice di essere tra i libri e fumetti che il tempo diventa una cosa di scarsa importanza.
Trotterelli tra i classici, accarezzi la copertina del “Conte di Montecristo” e poi quella di “Cime Tempestose”, senti nella tua anima che c’è qualcosa di meraviglioso e vedi subito dopo “Villlette”, un libro di una sorella Brönte che non hai mai letto. Lo afferri e lo aggiungi ai tre che tieni stretti al petto con il tuo braccio sinistro, accantonando il pensiero che di questo passo dovrai comprare un’altra libreria.
Fortuna che lavori in un negozio di mobili.
Come tuo solito ti sei lasciata i libri d’arte alla fine, come ciliegina sulla torta e ora ti ci dirigi e quando vedi la tua coinquilina china sui libri di fotografia sorridi, perché è talmente tipico vostro che stupirtene è decisamente sciocco.
“Ciao straniera.” Non ricevi risposta, persa com’è ad ammirare i lavori dei suoi idoli, la spingi per farla sbilanciare e lei ti guarda come se non sapesse chi sei per una decina di secondi buoni.
“Callona mi hai fatto paura. Dove eri finita?”
“Accanto a te, sei tu che non mi hai vista.” Non è vero, da quando siete lì non l’hai mai incrociata, ma nulla ti vieta di prenderla un pochino in giro.
“Scema.” Riprende a guardare i libri ma dura pochissimo, si gira praticamente subito dopo verso di te con gli occhi sgranati. “Non sei sempre stata accanto a me, vero?”
Scoppi a ridere per la sua innocenza e la sua eterna capacità di credere a qualsiasi cosa le venga detta.
“No, cretina. NO.” Ti colpisce e tu ti scappa un “Maremma maiala, mi hai fatto male.” Lei ti fa la linguaccia e riprende da dove tu l’avevi interrotta, decidi di imitarla e affondare nel magico mondo delle tecniche di disegno digitali e non, ti giri per andare finalmente nella tua parte preferita del negozio ma cogli qualcosa con la coda dell’occhio e non puoi fare a meno di guardare con più attenzione di cosa si tratti: è così che pochi secondi dopo ti ritrovi a fissare lo scaffale di storia e letteratura sarda.
Fai una smorfia perché dopo aver letto “Canne al vento” della Deledda e “Paese d’ombre” di Dessì, non è che tu muoia dalla voglia di affrontare una lettura regionale, diciamo pure che lo eviti volentieri, eppure la parte storica ti trattiene lì. Accarezzi con lo sguardo la “Vita di Eleonora D’Arborea”, che ti ha sempre incuriosita e hai sempre voluto leggere, ma sai che non è quello che ti tiene inchiodata lì, ma è il bisogno di scoprire se ci siano libri che parlano della storia di Cagliari per poterli leggere e parlarne con Leila, o magari poterli regalare a lei.
Appena il tuo cervello formula questo pensiero inizi ad accarezzarti le labbra screpolate dal freddo e dondoli la testa, chiedendoti da dove nasca l’idea imbecille di farle un regalo qualsiasi. Sai perfettamente che, per quanto tu possa reputare imbecille l’idea, ormai ha fatto radici nel tuo cervello e non avrai pace finché non troverai un libro che faccia al caso tuo.
Scorri i vari titoli velocemente, persa in questi tuoi pensieri e senza leggere davvero ciò che i tuoi occhi stanno mettendo a malapena a fuoco, ma poi focalizzi le parole “Cimitero” e “Bonaria” e sai di aver appena trovato il regalo perfetto.
È un libricino ridicolmente piccolo, dedicato completamente agli occupanti del cimitero Monumentale di Cagliari e sai, sei stracerta che Leila lo apprezzerebbe, visto i suoi studi artistici, la passione per la storia e l’interesse per i cimiteri, che condividete, grazie soprattutto alla passione con cui si è espressa durante la vostra visita guidata al Castello San Michele.
“Marty, tutto ok?” La mano di Laura ti si poggia sul braccio.
“Eh? Si…si…”
“Sicura? Stai fissando quel libro da almeno venti minuti.”
Arricci il naso “Davvero?”
“Si, davvero. Cos’è?” Ti strappi il libro di mano prima che tu possa rinfilarlo a casaccio tra gli altri e far finta che non sia successo nulla. “Oh, un libro su Bonaria? Ok i cimiteri, ma pensavo tu odiassi la storia.”
Recuperi il libriccino dalle sue mani con molta veemenza, pentendotene subito dopo e controllando di non aver fatto danni.
“Io non odio la storia.” Ti fissa con rimprovero e la odi per conoscerti da così tanto tempo “Ok, non impazzisco per la storia ma sono curiosa di conoscere quella di Cagliari.”
“E da quando, sentiamo?”
“Da quando sono tornata a vivere qui?” Il che non è completamente una bugia, vivere in altre città ti ha fatto apprezzare particolarmente quella in cui sei nata e cresciuta e ti ha fatto capire che sottovalutarla, soprattutto dal punto di vista storico e monumentale, è un errore grossolano che non hai più intenzione di fare. Ma è anche vero che l’essere una passione in comune con la tua responsabile, rende una spinta verso la storia molto più potente del tuo semplice amore per la città.
Laura ti guarda con sospetto, fa una smorfia e ti sfila dolcemente il libro dalle mani.
“Ok, allora perché non lo prendi e basta?”
Non hai mai parlato con lei della tua cotta indesiderata, nemmeno un vago accenno e ora non sai cosa fare: continuare a far finta di nulla equivarrebbe a mentirle e non più il semplice omettere qualcosa che provi.
“Perché è stupido.” Lo mormori appena, poggiando il mento sul petto e arrossendo come l’adolescente che non sei più da molti anni.
“Stupido? C’è qualcosa che non so!”
Ora o mai più, non le vuoi più mentire, non puoi più mentirle, non dopo averle tenuto nascosto per anni che eri gay, anche se ne eri perfettamente consapevole. Hai giurato a te stessa che non sarebbe successo mai più, e hai intenzione di mantenere la promessa.
“Hounacottaperunamiaresponsabile.”
Laura rimane ferma e ti fissa, apre e chiude la bocca più volte, socchiude gli occhi e li passa da te al libro, torna alla sezione dedicata alla fotografia, poggia i libri che ha scelto, ti prende la mano e ti trascina al piano inferiore, man mano che passate le varie zone lascia uno dei libri che avevi scelto tu. Ha capito subito che è una cosa di cui dovete parlare con calma e non nel mezzo di una libreria, così come ha capito subito che è una cosa della quale dovete parlare senza la distrazione dei libri che morite dalla voglia di leggere. Quando arrivate vicino alla cassa, alza un sopracciglio e guarda te e il libro ridicolmente piccolo ed è una cosa stupida, è solo un libro, eppure hai la sgradevole impressione di essere davanti a un bivio e che quel gesto significhi molto più di un semplice regalo.
 Lo poggi tra i libri per ragazzi che hai accanto, odiandoti perché stai facendo una cosa da cliente-medio-irrispettoso, ma ti brucia tra le mani e non hai i mezzi per affrontare tutto insieme e la conversazione con la tua amica di una vita ha la priorità su tutto il resto.
La tua coinquilina ti trascina via, raggiungete il Largo Carlo Felice e lo salite in silenzio, finché lei si ferma e ti sorride.
“Ti va una pizzetta al taglio?”
“Ovvio.”
Andate fino alla pizzeria sul fondo di Pizza Yenne e aspettate che preparino la vostra ordinazione, uscite di lì stringendo il vostro bottino e la pizzetta calda tra le mani nel tardo pomeriggio di metà Dicembre non è affatto male.
Si siede su una panchina libera “Chi è?” da’ il primo morso senza guardarti, scrutando le persone che vi passano davanti cariche di sacchetti dei negozi del centro.
Svuoti il scacco, tutto, fino a non lasciarci dento nemmeno la più piccola briciola di tutto quello che è successo e che provi per Leila, quando finisci lei ti sta guardando attentamente e non sai se siano le lucine di Natale che vi circondano, ma ti sembra che stiano luccicando.
“Erano anni che non ti sentivo parlare così di qualcuno. Con questa emozione e questa luce negli occhi.”
Grugnisci e nascondi il volto tra le mani, incurante della pizzetta praticamente intatta che stai tenendo. La sua frase ha smosso gioia nel tuo cuore e non è un bene perché non c’è nulla di bello in tutto quello che sta succedendo.
Ti tocca una spalla e tu smetti di nasconderti “Non è necessariamente una cosa brutta.”
“No certo, ho solo una cotta per una donna molto più grande di me, eterosessuale, mia responsabile e che non mi ved….” Non finisci la frase perché non sei sicura che non ti veda, anche se non nel modo in cui vorresti tu, tutto sommato ti vede eccome.
“Sa che esisti se non altro.” Alzi gli occhi al cielo perché questo è un chiaro sfottò alle tue ossessioni, Laura però torna subito seria. “Sei sicura-sicura che non ci sia nessuna speranza?”
Annuisci. “Certo che sono sicura. Ha un figlio adolescente e la responsabilità di un negozio, avrà millemila spasimanti che le fanno la corte…e…”
“Non voglio sentire una mezza parola di disprezzo per te stessa, Martina Pastorelli.”
Sbuffi, ma obbedisci. Infili quasi metà pizzetta in bocca per farle capire che non dirai nulla ma che non lo fai con piacere, per tua fortuna la salsa di pomodoro non è più lava, altrimenti la scena drammatica che hai appena messo su, sarebbe finita in modo davvero drammatico.
“Non voglio tu vada al macello Marty.”
Fissi gli occhi sulle lucine che si accendono e si spengono, perché è una frase breve e semplice, eppure ha risvegliato così tanti ricordi dolorosi che ti manca il fiato in corpo.
“Non sono più una ragazzina.”
“Ma pensi sempre che ne valga la pena, che ci sono donne per cui valga la pena soffrire.”
Mugoli perché sotto sotto sai che ha ragione, che sei talmente stupida e patata lessa da pensare che a volte valga la pena soffrire, sia in amicizia che in altri ambiti: sei sempre la solita stupida che non sa fare le cose a metà e che da tutto senza difendersi.
Speravi che la storia con Claudia ti avesse spezzata al punto da cambiarti, eri sicura di non essere più la stessa, eppure appena hai visto un qualcosa che poteva interessare a Leila, l’hai afferrata senza pensarci due volte.
Laura sospira e ti prende la mano libera, ti giri a guardarla e lei ti sta sorridendo con dolcezza e comprensione.
“Hai una cotta per questa Leila, potrebbe non essere una cosa brutta, puoi prendere il bello da quello che provi per lei e usarlo per creare qualcosa, per la tua arte.”
Annuisci perché detto così sembra meno stupido, non sembri una perfetta imbecille.
“Ma…” chiudi un occhio per prepararti alla botta. “Ma non è reale e non lo sarà mai Marty ed io non voglio tu vada al patibolo…”
“Non ho più 19 anni e lei non è Alessandra.” La ragazza eterosessuale che ti baciava e poi ti diceva che ti eri inventata tutto, che ti eri illusa.
“Quella stronza, non nominarmela mai più. Comunque si, sei adulta, ne hai passate di tutti colori e sei sopravvissuta. Per questo sono certa che te la caverai perfettamente anche ora, che vedrai il confine tra la realtà e la finzione e che ti proteggerai.”
Tu non ne sei così sicura, in questo momento non sei più sicura praticamente di nulla.
“Suggerimenti?”
“La mangi quella pizzetta?”
Scuoti la testa e gliela porgi, lei ti lascia la mano e la afferra tutta contenta, sistema la frangetta e la cuffietta di lana che ha in testa dondola teneramente. “Il mio suggerimento è: esci con qualcuna di squapa.”
La spingi via ma sorridi perché trova modi davvero stupidi di chiamare wapa. “Sei una cretina, Laura Floris.”
“Stai chattando con qualcuna?”
“Mh, si un paio…”
“Qualcuna di interessante?”
Prendi il telefono dalla tasca e lei stranamente non te lo strappa di mano, entri nella chat e guardi senza interesse i profili delle due ragazze in questione.
“Ti rifaccio la domanda perché sei nel tuo mondo di cuoricini e arcobaleni.”
Alzi gli occhi al cielo “Stronza.”
“Qualcuna di interessante?”
“Mh…Maria non sembra male.”
“Com’è?”
“Mai vista.”
“Perché non sembra male?”
Ha già finito la seconda pizzetta e per questo la ammiri e ti spaventa “Perché parliamo di libri, è una che viaggia, studia lettere.”
“Viaggia per discoteche?” Fate una smorfia e poi scoppiate a ridere, non è una mossa intelligente perché alle tue labbra screpolate non fa particolarmente piacere, ci passi sopra la lingua per alleviare il dolore.
“Ok, dimmi che hai comprato il burro cacao per le tue povere labbra!”
“Mh?” Ripeti il gesto quasi inconsciamente “No, mamma.”
Si alza e ti trascina con sé. “Andiamo nella parafarmacia e te lo compro, stupida figlia.”
Cerchi di ribellarti, ma alla fine lei ti compra il burro cacao classico, te lo apre e ti costringe a metterlo. È un po’ il riassunto della vostra serata in cui stavi per farti molto, molto male e lei ti ha riportata sulla retta via, prendendosi cura di te come tu non sei in grado di fare.
“Hai ancora spazio per il mc?” Evidentemente farsi del male non è una cosa negativa, se a farlo siete in due e a soffrirne è il vostro apparato digerente.
Quando arrivate alla macchina, hai già chiesto a Maria se le va un caffè uno di questi pomeriggi.

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Capitolo 17
*** ch16 - Flatline ***


ch.16 – Flatline.
 
Passeggi su e giù davanti al Mupis e ti sforzi di non guardare per la centesima volta l’ora, ma soprattutto di mantenere la calma, fallendo miseramente entrambi i propositi. Il punto è che non puoi mantenere la calma con una persona che sposta l’appuntamento due volte, che decide luogo e ora, e poi fa venti minuti di ritardo senza una giustificazione valida, non puoi semplicemente farlo, soprattutto se questa persona dovrebbe cercare di fare su di te una buona impressione.
Continui a mandare avanti le canzoni, ancora e ancora, nella speranza di trovare qualcosa che ti rilassi un pochino, ma una ragazza attira la tua attenzione con un timido gesto della mano e sei costretta a togliere gli auricolari e a mostrarti come minimo interessata a volerla conoscere, cosa che al momento non potrebbe essere più lontana da te.
Maria si presenta con una battuta sul suo ritardo, non delle scuse, tu forzi un sorriso che non provi e le apri la porta per entrare nel pub, vuoto a quell’ora del pomeriggio, vi sedete in uno dei tavoli in fondo alla sala e nessuna delle due guarda il menù.
“Il tuo invito mi ha fatto molto piacere, non me lo aspettavo, visto che non mi hai nemmeno chiesto una foto.”
Non le hai chiesto una foto perché non ti interessava farlo, e non perché vuoi fingere di essere superiore alla massa asserendo che per te l’aspetto fisico non conti, ma per il semplice fatto che la tua mente è completamente altrove e le hai chiesto di uscire solo perché Laura ti ha convinta a farlo.
O costretta.
“Ero curiosa di conoscerti di persona.” Bugia bella e buona, ma nella realtà non c’era nulla di carino da dire.
“Oh si, anche io, tanto. E lo dimostra il fatto io abbia accettato di uscire anche se è inverno e fa freddo.”
Alzi il sopracciglio destro, l’unico che sei in grado di sollevare, e forse non è carino farlo, ma è una frase strana da sentire e non sei particolarmente in vena di nascondere quello che pensi.
La cameriera arriva e Maria ordina un negroni sbagliato, mentre tu opti per la classica Coca solo ghiaccio, il tuo appuntamento ritardatario non aspetta nemmeno che la ragazza lasci il tavolo con le ordinazioni, scoppia a ridere appena tu chiudi bocca.
“Una coca? Davvero?”
“Sono completamente astemia.”
“Ah, non bevi nemmeno birra?”
Non ti è mai stato chiaro perché se uno dichiara di essere astemio, è scontato beva birra.
“No, nemmeno la birra. Mi fa senso l’alcool.” Non ti sforzi nemmeno di nascondere il fastidio che stai provando, non trovi una sola motivazione per farlo.
“Che brutta malattia, ma sono certa ci sia una cura, tu possa guarire.”
Mordi le labbra per non sbuffare e ti accorgi così di aver già leccato via tutto il burro cacao, pensi che potresti rimetterlo ma non vuoi lasciare il segno nel bicchiere, in più non vuoi questa qui pensi che stai cercando di sedurla, dato che al momento vorresti solo prenderla a colpi di borsetta in faccia.
“Com’è questa cosa del freddo?”
Ride, ma da come abbassa lo sguardo a guardare le scritte sui tavoli, credi sia una risata imbarazzata.
“Non ho un buon rapporto con il freddo. Subisco molto l’influenza delle stagioni, io vivo davvero solo dall’inizio della primavera fino a metà autunno. D’inverno non esco di casa se non sono costretta.”
La cameriera vi porta le ordinazioni e tu vorresti alzarti e baciarla sulla bocca perché ti ha appena impedito di dire alla persona che hai davanti di farsi curare.
Si, sei molto infastidita.
Bevi un sorso e lei fa altrettanto, chiude gli occhi contenta e ti porge il bicchiere.
“Dovresti assaggiarlo, sono certa ti piacerebbe.”
Ed ecco un’altra cosa che non capisci, a parte l’ovvio, ossia perché le persone pensano che non bere alcolici sia sbagliato, ma non capisci nemmeno perché siano tutti convinti di poterti “guarire”, di poterti portare sulla retta via semplicemente offrendoti quello che stanno bevendo loro e affermando sia buono.
Buon per loro se sono così influenzabili, tu non lo sei e non sei certo arrivata ai 34 anni senza aver mai bevuto nulla di alcolico per puro caso.
Forzi l’ennesimo sorriso della serata, appena iniziata oltretutto, e ti senti come ti sentivi quando alle cene di famiglia ti chiedevano perché non avevi il fidanzatino.
Ripensi al primo appuntamento con Daisy e quasi ti mancano lei e i vostri gradevolissimi appuntamenti, sfortunatamente il silenzio che segue il tuo sorriso è tanto lungo da permetterti di ricordare anche l’altro appuntamento, ossia il pranzo con Leila e, di conseguenza, come lei abbia reagito al tuo disgusto per gli alcolici.
Decidi che non abbia senso subire questa tortura se poi ti metti a pensare a lei, devi sforzarti di conoscere la persona che hai davanti e magari trovare qualcosa di apprezzabile in lei.
“Dunque, cosa fai nella vita?”
“Studio.”
Qualcosa in questa brevissima risposta stona profondamente, cerchi di fare mente locale di quello che sai di lei: si chiama Maria e fin qui è semplice; vive a Cagliari con la sorella perché viene da un paesino sul quale ha voluto mantenere il più profondo riserbo, non ti è piaciuto un gran che tutto ‘sto mistero, ma anche tu non hai mai specificato in che bar lavorassi, anche se solo per evitare casini al lavoro e non perché hai qualcosa da nascondere; frequenta la facoltà di lettere e le piace molto leggere; ha 32 anni. Non credi di sapere altro.
È abbastanza per iniziare una conversazione.
“Lettere, no?”
“Si, si.” sorseggia felice il suo drink e capisci cosa stona tanto: anche Daisy aveva più o meno la tua età e studiava ancora lettere moderne, ma nel frattempo lavorava a tempo pieno come cameriera e faceva la giornalista freelance, la ragazza che hai davanti invece non accenna a nient’altro.
Giocherelli nervosamente con il bicchiere perché il fastidio ti sta portando a pensare cose cattive.
“Ogni tanto faccio qualche lavoretto.”
“Ah bello, tipo?” Bevi per nascondere l’eccessivo sollievo che stai provando.
“Mi è capitato di fare la baby sitter, ma non spessissimo, un paio di giorni al mese massimo.”
Quindi hai davanti una persona che non ha lavorato un solo giorno in vita sua.
Il tuo pensiero va a Leila e alle sue 48-50 ore settimanali, al suo volto stanco e al suo dispiacere per non riuscire a guardare la puntata di Dragon Ball con suo figlio.
“Ti piace il locale?”
Annuisci senza dare troppo peso alla domanda e decidendo di non volerti sprecare con una risposta. Conoscevi già il Mupis, che è il pub preferito di chiunque abbia frequentato il liceo scientifico Pacinotti, Laura in primis.
“Bene, anche se vivo da più di dieci anni a Cagliari, non sapevo proprio cosa scegliere. Ho optato per qualcosa di vicino e tranquillo.”
Il tuo cervello è molto pigro, ma in certi casi ti stupisce con effetti speciali, come ora che calcola velocemente che la persona davanti a te sia iscritta alla facoltà di lettere da dieci anni, senza aver lavorato un solo giorno nella sua vita.
La cosa ti disgusta a vari livelli.
Rispetti profondamente le persone che hanno avuto la costanza di laurearsi, le ammiri.
Eri al secondo anno della facoltà di Biologia Sperimentale quando tuo padre ha guardato te e tua sorella e vi ha chiesto quando vi sareste levate dalle scatole perché era stanco di mantenervi. Nel giro di due mesi Federica era fuori di casa, tu hai impiegato quasi un anno a imitarla, ma non sopportarvi più l’idea di stare a Cagliari e sei andata molto, molto più lontana di lei. È stata un’ottima scusa per vivere liberamente la tua omosessualità, quindi non è stato propriamente un male, ma da quel momento in poi hai sempre lavorato, hai fatto di tutto, dal call center, alla cassa, alla donna delle pulizie e sentire una persona che ha la fortuna di poter studiare e non ne approfitta, ti infastidisce molto.
Sei con Maria da poco più di mezz’ora e sai già che non la rivedrai mai più.
Comunque ora sei qui e non puoi tirarti indietro, anche se preferiresti essere al lavoro, circondata da clienti maleducati e tazzine sporche, ma con la possibilità di vedere Leila.
Devi sforzarti di fare conversazione, parlate un pochino di tutto, della musica che passa in sottofondo, ai libri, telefilm e film, del coming out, di come l’ha presa la vostra famiglia, o meglio, la tua famiglia, dato che la sua non sa nulla.
A quest’affermazione sei molto, molto tentata di mandare l’sos a Rossella così da farti chiamare da lei con una scusa qualsiasi che ti tiri fuori da li.
Maria prende il secondo negroni sbagliato e quando arriva te lo porge di nuovo.
“Dovresti provarlo, sono certa sia meglio della tua coca.”
Le pianti gli occhi addosso e valuti l’idea di dirle che il tuo odio per l’alcol nasce dal disgusto per l’alcolismo di tuo padre. Ti perdi a immaginare come sarebbe la sua reazione, se le toglierebbe il sorrisetto compiaciuto che ha tutte le volte che beve un sorso di quella cosa orribile, o che fa una battuta sulla tua Coca.
Non ne vale la pena, sai che non ne vale la pena e ti limiti a maledire lei e te stessa per aver perso quest’ora e mezzo della tua vita.
Bevi l’ultimo sorso e decidi che le lascerai il tempo di quell’ultimo drink, dopo di che andrai via e la cancellerai dalla tua memoria e da quella del tuo telefono.
Passa tutto il drink a raccontarti del suo Erasmus in Spagna, che come ogni altro Erasmus di cui hai sentito parlare, aveva come unico scopo quello di bere e fare ragazzate tipiche di chi non ha responsabilità alcuna, una parte di te ascolta, l’altra analizza i come e i perché sei arrivata a questo appuntamento.
Non impieghi molto tempo a sprofondare nel pensiero di Leila, sprechi tempo a paragonare la ragazzina troppo cresciuta e irresponsabile che hai davanti con la donna per la quale hai una cotta indesiderata, si, ma assolutamente comprensibile e giustificabile. Pensare a Leila ti porta inevitabilmente a ripensare al libro che hai abbandonato tra gli scaffali della libreria e un’idea stupida si forma lentamente nella tua mente.
Guardi l’ora e scopri che non è poi così tardi, che hai più o meno una cinquantina di minuti prima che i negozi chiudano, lanci un’occhiata al bicchiere di Maria, che continua a chiacchierare beatamente inconsapevole della tua irritazione e del fatto tu non voglia nient’altro che andare via di lì e comprare un regalo per un’altra donna.
All’ennesimo sorso troppo piccolo ti alzi in piedi di scatto.
“Tutto ok?”
“Si io…” Devi trovare una scusa plausibile, una qualsiasi. “Devo tornare a casa prima che la mia coinquilina esca per andare al lavoro, perché abbiamo solo un mazzo di chiavi.” alzi gli occhi al cielo, sperando di essere una brava attrice “Quella cretina ha perso le sue dentro un tombino.” D’altronde Laura ha parte di colpe per questo appuntamento, è giusto farle fare la figura della stupida.
“Ah, si certo.” Butta giù il suo drink insieme alla tua menzogna e andate a pagare, ovviamente in cassa non evita di farti l’ennesima battutina sul fatto che tu abbia preso una coca cola e lei invece due negroni, come se la cosa la rendesse migliore di te.
No, non la vuoi rivedere mai più nella tua vita.
La scarichi praticamente appena metti piede fuori dal pub, ti senti vagamente in colpa per questo, ma poi pensi che sia inutile fingere interesse per qualcuno che non vuoi più rivedere o sentire, che non puoi farti una colpa se non ti piace e che illuderla sarebbe solo da stronza.
Corri verso la fermata dell’autobus, prendi l’M e vorresti poter costringere l’autista a saltare tutte le fermate per arrivare il prima possibile alla tua meta, quando finalmente ci arrivate voli giù dal mezzo e corri fino alla libreria nella quale hai abbandonato il libriccino assurdamente piccolo.
Smetti di correre appena entri, ogni passo che fai diventa più lento e pensate del precedente e sei fin troppo consapevole del peso di quello che stai per fare. Arrivi allo scaffale della storia e della letteratura sarda e ti sembra di averci impiegato secoli interi, non sei nemmeno sicura di essere stata al Mupis con Maria.
Il libriccino è esattamente dove l’hai trovato la prima volta che sei venuta, piccolo e insulso tra molti altri libri più grandi e imponenti di lui, lo afferri e vai a pagare con la testa alta e il passo malfermo di chi si sta dirigendo a patibolo.
Perché in cuor tuo sai che il patibolo è esattamente quello che ti aspetta.
 

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Capitolo 18
*** ch17 - The woman who lived ***


ch.17 – The woman who lived.
 
L’orologio sul forno segna le 8.35, il sole brilla pigro sopra lo stagno di Molentargius e il bar è pronto per accogliere l’orda di clienti affamati. I tuoi occhi sono piantati sull’ultima infornata di cornetti, mentre alterni enormi sbadigli e microscopici morsi al croissant alla marmellata di albicocca che tieni in mano. Piccoli e cauti perché suddetta marmellata non ne vuole sapere di sfreddarsi e ti sei già ustionata almeno sei volte, non che questo ti impedisca di continuare a mangiarlo: non hai tempo di perdere, hai molta, molta fame ed è assolutamente delizioso.
Il timer del forno suona e tu apri lo sportello per dare un’occhiata dal vivo alle tue opere d’arte, tue si fa per dire, visto che sono cornetti congelati. A quelli cereali e frutti di bosco non farebbero male altri due minuti di cottura, perciò decidi di sfidare la sorte, spegnere e chiudere il forno e impostare suddetti due minuti di cottura, mentre tu vai a fare pipì e a prendere il cassetto con i soldi: la speranza è che non brucino miseramente, spezzando il tuo cuore e rendendo vano il tuo sforzo. No, la tua non è improvvisa dedizione alla cucina, semplicemente da quando hai saputo che Leila ha una passione per quegli orribili croissant cereali e frutti di bosco, quando sei in apertura li prepari sempre e sempre fai tutto il possibile affinché alle nove siano ancora caldi, in modo lei possa goderne appieno.
Sei una patata lessa senza speranza, ma non è questo il tuo peggio, il tuo peggio l’hai fatto stamattina, quando ti sei cambiata in tutta fretta per poi fissare il suo armadietto per più di cinque minuti nell’indecisione di lasciarci il libro o meno. Alla fine l’hai aperto, ci hai lanciato dentro la busta come se contenesse una bomba e non quel ridicolo libriccino, e sei scappata dallo spogliatoio.
Infili in bocca la punta del croissant priva di marmellata ustionante, apri e chiudi lo sportello del forno, nella stupida speranza di far abbassare un pochino la temperatura e non rischiare di bruciarli, pur sapendo che così rischi solo di farli sgonfiare e nient’altro, sbuffi e ti allontani, fai altri due caffè a vuoto, giusto per essere sicura che i primi che servirai siano davvero buoni, e poi decidi di essere soddisfatta e di poter andare in bagno e a prelevare il cassetto.
Che la mattinata di inferno abbia inizio.
Entri nello spogliatoio e senti Carlotta ridere, ti affacci oltre gli armadietti per salutarla e vedi che non è sola, ma che è con Leila, lanci un buon giorno farfugliato e ti rifugi in bagno, lieta di poterti nascondere dalla loro vista. È durato tutto quattro secondi in croce, ma sono stati più che sufficienti perché tu vedessi la busta della libreria abbandonata a terra accanto alle scarpe della tua responsabile. Se tu non fossi così agitata, probabilmente ti congratuleresti con il tuo cervello per aver colto tanti dettagli in così poco tempo.
Svolgi ciò per cui sei entrata in bagno ma la tua attenzione è completamente rivolta alla conversazione che sta avvenendo negli spogliatoi, sei molto stupida di sentire che le due stanno parlando del cavallo di Carlotta e della sua ultima escursione e non del regalo dimenticato a terra. È molto, molto strano non stiano commentando un regalo misterioso, eppure decidi di seguire la corrente, lieta di poter fingere di non essere tu la responsabile di quel regalo, lieta di non dover affrontare la tua cotta in una posizione di svantaggio.
Sei consapevole che fare un regalo a qualcuno senza palesarsi non ha senso, è un pochino uno spreco, soprattutto se quel qualcuno vorresti corteggiarlo, ma al momento ti importa solo che a lei piaccia e magari anche mantenere la testa attaccata al collo, o entrambe le braccia attaccate al corpo, non ti farebbe poi così schifo.
Ti stai accuratamente lavando le mani quando senti la voce di Leila provenire dall’altra stanza, e dista solo due metri o poco più, eppure ti sembra lontana chilometri.
“E questo?” Non sai distinguere se il tuo tono sia stupito o infastidito e la cosa ti sta terrorizzando a morte. Ti concentri sulle tue mani insaponate che scivolano veloci l’una su l’altra, sui movimenti che devi fare per lavarle accuratamente.
“Che ne so Lei, l’hai tolto tu dal tuo armadietto.”
“Figa davvero?”
“Eh si.”
“E cos’è?”
Se tu non fossi in preda alla paura e all’agitazione più furiose, troveresti questo scambio molto divertente, ma l’inconfondibile fruscio della carta che si muove sta riempiendo il silenzio e tu sei davvero, davvero spaventata.
Sei certa di aver fatto una cavolata enorme.
“Cos’è Lei? Un regalo di compleanno?”
“State scherzando?!!??!!??!!” Ci siamo un’altra volta, le parole ti sono uscite di bocca per l’agitazione e non hai fatto in tempo a fermarle. Risciacqui in un baleno il sapone e strappi via tanto rotolo di carta da poter asciugare un centinaio di mani, ti affacci nello spogliatoio ma rimani sulla porta: Leila sta sfogliando il ridicolo libriccino e sembra emozionata.
“È il suo compleanno?” Non sai perché non lo chiedi direttamente a lei, forse per non interrompere il suo momento di gioia.
“Si, non lo sapevi?”
“È bellissimo.” La sua voce è commossa e stupita. Rigira il libro tra le mani e lo guarda con occhi amorevoli e contenti e tu sei felice ed emozionata di vederla così per un tuo pensiero, ma anche perché sta amando così tanto un libro.
“È solo un pensiero.” Maledici cento, mille, volte la tua stupida bocca e il tuo scarso controllo.
Si gira di scatto verso di te “Sei stata tu?”
Ti poggi allo stipite della porta perché non l’hai mai vista così, è come se quel libriccino avesse aperto un varco nelle sue solidissime difese e tu potessi vedere la sua fragilità. È una visione così bella che le gambe non ti reggono più.
“Buon compleanno, Leila.” Ti sembra l’unica cosa sensata di dire in questo momento, suona un pochino da telenovela o da libro classico, ma non è la prima volta che ti comporti come se tu fossi scivolata qui da un’altra epoca, quindi non ci fai troppo caso.
Cogli vagamente un mugolio intenerito in sottofondo, sei certa non provenga da Leila perché il suo volto si è indurito nuovamente, i suoi occhi castani sono diventati due braci ed è rimasta perfettamente immobile per un’eternità intera. Quando finalmente si muove per poggiare il libro sulla panca, i suoi movimenti sono molto lenti e controllati, viene fino a te con passo fermo e ti guarda negli occhi fino all’ultimo secondo, sei pronta a ricevere un ceffone, o degli insulti, data la sua postura, anche se nei suoi occhi c’è qualcosa che non è rabbia, ma che non sai definire.
Dimentichi tutto nel momento in cui ti prende tra le braccia e ti sospira un “Grazie.” tra i capelli e collo.
Tutto il tuo io va letteralmente in tilt, sei certa di avere il colorito di un’aragosta bollita e di stare balbettando, mentre le sue mani scorrono su è giù per la tua schiena in un intimo abbraccio di riconoscenza.
“Non…è….non è nulla…è solo….è solo un…un pensiero…io….ho…”
“Che bello, che bella cosa.” Vorresti strozzare Carlotta perché sta buttando benzina sul fuoco e dando importanza a qualcosa che non ce l’ha per nulla, o che vorresti passasse per qualcosa di poca o scarsissima importanza.
“L’ho visto…e…e sapevo che ti piacciono i libri…e che volevi vedere…che ti piacciono i cimiteri…e quindi…monumentali…Bonaria…e quello è un libro…e Cagliari…e la storia.” Ti stringe più forte e tu ricambi l’abbraccio ma sei troppo agitata per capirci qualcosa o per godere del momento appieno. Ti senti una cretina perché non siete mai state così vicine, non avevate mai avuto un contatto fisico prima d’ora, eppure non sei agitata per quello, sei agitata perché lei sembra genuinamente felice e tu non speravi in nulla di così straordinariamente bello.
Si stacca da te e ti da un bacio sulla guancia “Grazie Martinetti.”
“Di nien…b…buon….buon compleanno.”
Torna al suo armadietto e tu ti lasci cadere ancora contro lo stipite e riprendi a respirare e non avevi nemmeno idea di stare trattenendo il respiro.
“Posso vederlo?”
“Certo.” Lo alza e glielo mostra, da lontano e senza che Carlotta lo possa toccare, e tu scopri con divertimento che non scherzava quando ha affermato di essere morbosamente gelosa dei suoi libri.
Accarezza la copertina con un sorriso molto dolce sulle labbra “Hai visto? C’è qualcuno che pensa a me.” Dal sorriso che ha sul volto, capisci che il suo era un tentativo di battuta, ma ci sono una tristezza e un’amarezza nel suo tono di voce che vorresti uscire di lì e comprarle una libreria intera, o dirle che pensi a lei, molto, molto spesso. Che pensi a lei ogni volta che vedi qualcosa di bello e che vorresti continuare a causare quel sorriso dolce sul suo volto all’infinito.
Mordi le labbra e non dici nulla per paura che lei capisca che hai una cotta colossale e ti giudichi per questo, o si allontani da te, distruggendo quel fragile e minuscolo rapporto che avete. Non che sia un gran che, non puoi nemmeno definirlo amicizia, eppure non vuoi finisca, vuoi continuare a conoscerla, a vedere le meraviglie che questa donna sorprendente nasconde sotto quei meravigliosi occhi castani.
Torni in bagno a sciacquarti mani e volto, sperando che l’acqua fredda aiuti a dissipare più velocemente l’agitazione, ma non succede finché Leila non lascia lo spogliatoio, solo allora sei in grado di lasciare il tuo nascondiglio e andare verso il tuo armadietto per continuare la routine che ti aiuterà ad affrontare al meglio la terrificante ondata di affamati mattutini. Cerchi nello zaino il burro cacao e lo applichi, Carlotta fa un profondo sospiro e attira la tua attenzione, ti giri a guardarla con un sopracciglio alzato.
“Che c’è?”
“È stato un momento bellissimo. Mi sono molto emozionata.”
“Che?” Addio fragilissima calma, bentornato rossore al volto.
“È stato così romantico…quanto le hai detto buon compleanno, quando ti ha abbracciata…volevo quasi lasciarvi sole!”
“Cos…cosa…?!?!?!?!?!?!?”
“Ti giuro. Mi sono sentita in più.” Vorresti risponderle qualcosa, tipo chiederle se sia impazzita o una cosa così, ma quello che dice dopo ti lascia pietrificata. “L’hai resa felice, l’hai resa molto felice e non se ne dimenticherà.”
Aggrotti la fronte e la studi per capire se ti stia prendendo in giro, invece Carlotta sembra molto seria, i suoi occhi grigio verdi sono pieni di lacrime e tu non sai bene come interpretare il tutto, sai che è stato un bel momento, uno dei regali meglio riusciti in assoluto, un vero e proprio successo, eppure tutto ha assunto un gusto dolceamaro, perché hai visto che Leila ha costruito la sua indipendenza su delusioni e ferite profonde e, per quanto normale possa essere, ti ha spezzato il cuore.
“Martinettis, dove sei finita? Vieni a prendere il cassetto.” L’annuncio irrompe con forza nello spogliatoio facendovi saltare entrambe per la paura.
“MERDA!!!!” Scappi via e senti Carlotta ridere alle tue spalle.
È il momento di lavorare seriamente, di affrontare la ressa e sopravvivere tutta intera, senza lasciarti distrare dalla sensazione di tristezza che provi.
Di una cosa però sei assolutamente certa: sono i 9 euro e 90 meglio spesi della tua vita.
 

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Capitolo 19
*** ch18 - Smile ***


ch.18 – Smile.
 
Stai lavando le ottocentomila tazzine che hai utilizzato per preparare la colazione ai colleghi della logistica, che appaiono inspiegabilmente davanti a te per fare colazione nel momento esatto in cui parte l’annuncio di apertura negozio e, come tutte le volte, li maledici perché non ti lasciano il tempo di fare le cose a dovere: arrivano in massa e sono peggio di una scolaresca in gita, un pochino ricordano i Backstreet boys.
Metti l’ultima tazzina nel cestino, prima di infilarlo nella lavastoviglie, e quasi rischi di buttare tutto a terra quando senti quella meravigliosa voce canzonatoria alle tue spalle.
“Martinellini, mi faresti un buonissimo caffè con le tue manine dorate?”
Ti giri a guardarla e lei ti sorride maliziosa, come sempre “Hai visto come sono brava a lecchinare?”
Alzi gli occhi al cielo ma le prepari il caffè con molta cura, come se ne dipendesse la tua stessa vita, scegli il piattino più nuovo e il cucchiaino più lucido e glieli sistemi davanti.
“Come stai Leila?” pronunciare il suo nome ti piace molto e lo fai ogni volta che puoi. Adori come scivola sulla lingua e ovviamente adori sia lo stesso del tuo draghetto, e pensare che prima non ti piacevano i nomi inglesi italianizzati.
“Benissimo Pastorellinetti.” Fa una brevissima smorfia, talmente veloce che se al suo posto ci fosse stato chiunque altro non l’avresti nemmeno notata, intuisci che quel benissimo non si avvicini nemmeno lontanamente alla realtà, ma sei abbastanza saggia da sapere che non è il caso di indagare, anche se vorresti aiutarla in qualche modo.
Tutto quello che puoi fare al momento è servirle un ottimo caffè e rimetterti a lavorare, facendo finta di nulla e possibilmente senza fissarla mentre se lo gusta. Sei fiera di te stessa quando riesci in questa difficilissima impresa, non solo, riesci anche a compilare i moduli della mattina senza disegnare cuoricini o il suo affascinante profilo.
“Era buono Pastorellini, grazie.” Poggia la tazzina sul piattino e va via, bastano pochi passi e la sua postura cambia, si irrigidisce ed è chiaro che sia entrata nella sua modalità di responsabile delle vendite. Aspetti giri l’angolo e inizi a fissare la tazzina, la prendi con mani tremanti e ne guardi i bordi con invidia, ti senti una stupida-stalker-maniaca-senza-speranza, quindi la infili in lavastoviglie con le altre e fai finta non di non aver appena pensato di conservarla, afferri i moduli e allontani i pensieri da pazza ossessiva, passeggi da un frigorifero all’altro per controllarne il corretto funzionamento e registrare le temperature sulle schede giornaliere, cercando di passare alla tua versione professionale.
“Io me ne sono andata così con nonchalance, senza pagarti il caffè e tu non mi dici nulla?”
Nonchalance è una delle parole che reputi più sensuali al mondo, non sai nemmeno tu perché, e ora che è Leila a pronunciarla ti sono tremate le gambe. Scuoti la testa e torni dietro al bancone.
“Quant’è? 50 centesimi?”
“Nulla, Leila.”
“Come nulla?”
“Nulla.” Ti rifiuti di farle pagare il caffè, non potresti mai accettare i suoi soldi per aver preso il caffè da te, anche se sono solo 50 centesimi e se tecnicamente il bar non è tuo. Muovi la mano per scacciarla, fingendo una tranquillità che non stai minimamente provando, lei stringe gli occhi e ti guarda, poi alza entrambe le spalle.
“Vuol dire che ti devo un caffè Pastorellinetti.” Ti sorride il suo sorriso malizioso e per un attimo ti chiedi se siate in inverno o in piena estate.
“Se lo dici tu...”
Ultimamente ha questo strano modo di fare con te, come se ti stesse stuzzicando e non hai la più pallida idea se l’abbia sempre fatto e tu sia diventata più sensibile al suo fascino solo ora, o se abbia iniziato a farlo dopo il tuo regalo, il che significherebbe che ha capito che hai una cotta per lei.
Non vuoi pensare sia possibile una tragedia del genere, sarebbe un vero disastro.
Va via e tu senti di essere rossa in volto come un peperone, aspetti ancora pazientemente che svolti l’angolo e ti scaraventi con così tanta foga nel retrobar che rischi di buttare giù la porta automatica, troppo lenta per la tua attuale agitazione. Predi il telefono e scrivi con dita frenetiche un messaggio a Rossella:
 
“Pi, secondo te posso farmi pagare un caffè con un bacio?”
 
Passano pochi secondi, durante i quali ridacchi come una scolaretta delle scuole medie.
 
“Dipende da chi lo deve pagare Pi.”
 
È questo che adori di Rossella, non devi stare a giustificare le tue stranezze o le mille frasi senza senso, per un buon 98% le accetta semplicemente per quello che sono, ossia parti sconclusionati della tua mente iperattiva.
 
“LEILA.”
 
Non fai nemmeno in tempo a sperare di non dover aggiungere altro, perché la risposta è immediata.
 
“Allora va bene il bacio Pi, ma non specificare dove. Sit on my face.”
 
L’immagine ti esplode nel cervello e tu nascondi subito il telefono in tasca, il più lontano possibile della tua vista. Per quanto tu possa avere una cotta, non vuoi pensare a lei dal punto di vista sessuale, ti sembrerebbe una mancanza di rispetto ed è stupido e infantile da parte tua perché è una donna e a te piacciono le donne e dovresti poter fantasticare su di loro senza sentirti una maniaca pervertita, ma non riesci, con lei non riesci.
Espiri profondamente per eliminare l’immagine dalla mente, poi però ridacchi, cerchi di riprenderti e di ricordarti che sei al lavoro e dovresti lavorare. Afferri un pacco di preparato per ginseng per fingere di essere entrata nel retrobar per qualcosa di produttivo e utile, nel caso ci sia qualcuno ad aspettarti al bancone, è sempre meglio essere preparati a ogni evenienza. Non eri minimamente preparata a quello che ti aspetta quando apri la porta e rimani di stucco alla vista dell’intero gregge di pensionati che si estende davanti a te, e sembrano tutti abbastanza spazientiti.
Forzi un sorriso e inizi automaticamente a prendere le ordinazioni, far pagare e servire, scusandoti personalmente con ciascuno di loro per averli fatti aspettare. Saranno anche stati pochi minuti, ma è sempre meglio tenerli buoni quando ti è possibile.
Questa si rivela presto essere una di quelle mattinate, quelle in cui hai sempre la fila e in cui i clienti ti fanno elencare i gusti dei cornetti, benché ci siano le targhette, per poi ordinare qualcosa che non hai. C’è talmente tanta gente che hai un attimo di respiro solo quando sono ormai passate le 11 e 30 e Giorgia sta saltellando verso di te con il cassetto sotto il braccio e un sorriso felice sul volto.
“Martinettis!”
Ti chiedi se qualcuno mai ti chiamerà mai con il tuo nome senza storpiarlo.
“Giorgettini!” Non che tu possa lamentarti, visto che sei peggio di loro.
“Sono la tua pausa Martinettis! Hai visto che lusso?”
Ridi, anche se non ci sarebbe assolutamente nulla di ridere, dato che per voi del bar le pause sono molto, molto, molto, molto, rare.
Ti da un bacio sulla guancia, ti sfila la cuffietta dalla testa e ti da una pacca sul sedere.
“Prestamela, che non ce l’ho. Vai via Martinettis, vai via e prenditela pure con calma.” Che è il suo modo di dirti che sei libera di fare una pausa un po’ più lunga.
La ringrazi mandandole un bacio e ti dirigi come uno zombie putrefatto verso gli spogliatoi e la tanto agognata sala relax.
Ti trascini fino al lettino e ti ci lasci cadere a pancia in giù con uno sbuffo e un tonfo.
“Mattina difficile?” Dal tono di voce capisci che Simone sia molto divertito, mugoli una risposta sofferente e non alzi la testa dal tuo adorato pupazzo-squalo, pensando che solo lui può capirti e migliorare la tua pausa. Il tuo collega si siede vicino alla tua testa e ti scuote, ma tu non hai la forza di alzarti o di reagire.
“Così tanto brutta?”
“Non mi sento più i piedi, non ho più la forza di nulla. Lasciatemi morire qui.” Piagnucoli senza dignità, lui ridacchia ancora, poi smette all’improvviso e senti qualcosa posarsi sulla tua testa. Dal peso e dalla consistenza pensi sia un cuscino, ma non ne sei sicurissima.
“Smettila…” non sei molto convincente e o spaventosa, anche perché non ti importa del cuscino, finché ti lasciano sdraiata, possono fare di te quello che vogliono.
Altri pesi si aggiungono al primo, fino a coprirti tutta la schiena, ma non è mai nulla di troppo pesante.
“Questa la devo mostrare al gruppo!” Lo senti ancora ridacchiare e poi senti il telefono vibrarti in tasca.
“Mi hai fatto una foto?”
“Certo che si.”
“Bravo.” Ancora una volta, non ti importa di nulla, purché ti lascino sdraiata. Vedi un’ombra avvicinarsi e poi senti un peso completamente diverso sul tuo sedere, non ti ci vuole molto a capire che qualcuno si è seduto su di te, questa volta ti importa perché la sensazione è eccessivamente intima, talmente intima che riesci a capire si tratti di una donna.
Grugnisci nella speranza recepisca il messaggio e vada via, lei semplicemente ride
“Pastorellini non ho resisto, eri troppo invitante e devo dire che sei davvero comoda.” Si alza appena finisce la frase.
“No, no, aspetta, fammi fare una foto anche di questo.”
Fai per alzarti, perché trovarti consapevolmente in una posizione tanto intima con Leila è rischioso, il tuo corpo potrebbe reagire in modi molto inappropriati, ma sei stanca e sei lenta e lei è sicuramente in una posizione di vantaggio e si siede su di te prima che tu possa muoverti. Stringi occhi e denti ma peggiori la situazione perché senti con molta più chiarezza ogni parte del suo corpo sul tuo e senti anche che la sua mano si è poggiata sulla tua schiena e va avanti indietro lentamente.
Il tuo telefono vibra di nuovo e Leila si alza con un saltello, ti batte la mano sulla spalla una volta e sulla testa due.
“Grazie Pastorellinettini.”
Ti issi sulle braccia e lei è già andata via, ti giri verso Simone e lui sta ancora ridacchiando, probabilmente guardando le foto in cui vieni ridicolizzata che ha mandato a tutto il negozio.
Vorresti strappargli quello stupido cellulare di mano ma fa una strana espressione e blocca tutta la tua rabbia vendicativa.
“Che c’è?”
“Boh mi fa un pochino strano vedere Leila così rilassata. Soprattutto in questi giorni.”
“Perché?” Lavorare al bar significa essere tagliata fuori dal resto del negozio, se la gente non viene fisicamente a riportarti le notizie, non ha la più pallida di quello che sta succedendo, se non quando è già successo. È abbastanza frustrante.
“Dopo la cosa dello spezzato.”
“Che stiamo già facendo…”
“…Alex l’ha avuta vinta anche su un’altra cosa che a Leila non piace per nulla.”
“Sarebbe?” Il tuo odio per Alex è appena accresciuto di molto.
“Sarebbe che cambiano il look al negozio, cambiano il mood…”
Alzi gli occhi al cielo perché queste cose del mood e della customer experience per te sono tutte cose stupende in un negozio normale, ma ridicole in una struttura piccola come la vostra, completamente estranea a tutti gli standard Ikea di tutto il mondo.
Siete un prodotto unico al mondo e come tali dovreste essere trattati e comportarvi.
Simone ride della tua reazione. “Lo so, lo so, è una cosa stupida anche per me. Comunque, cambiano di nuovo il negozio e riducono il cash and carry.”
A questo reagisci con molta meno diplomazia, emetti una sorta di urlo di incredulità.
“Cosa?” Avete fatto un sacco di sondaggi tra i clienti e avete suggerito più volte che aumentassero il più possibile gli oggetti disponibili per l’acquisto diretto, il cash and carry appunto, questo cambio di gestione esattamente opposto a quello che tutti avete consigliato ti lascia a dir poco allibita.
“Lo so, lo so. Leila è a dir poco nera.” Il che spiega la sua espressione stamattina quando le hai chiesto come stesse.
“Devo tornare dalla pausa e mi sa che hai finito anche tu.”
In effetti sei arrivata prima di lui. “Si, faccio pipì e torno al lavoro.”
“Non mi interessava sapere del bagno.”
“Sei un bruto. Dovresti interessarti alla mia diuresi.”
Ti da un colpo di cuscino e torna al lavoro, prima di imitare il suo esempio guardi le foto che ha spedito al gruppo dei colleghi, quello per le cazzate, non quello serio, salti le prime foto, quelle in cui sei sommersa dai cuscini, ma quella in cui Leila è seduta su di te la studi nel dettaglio, soprattutto il suo sorriso che sembra sinceramente divertito e più la conosci, meno la capisci.
Rinfili il cellulare in tasca e ti alzi con un lamento, quando passi davanti all’ufficio butti un occhio e la vedi fissare il monitor del suo pc con aria corrucciata, il tuo corpo ha un brivido nel ricordare il calore del suo corpo sul tuo e scappi via, improvvisamente piena di energia.
Passi il resto del tuo turno a escogitare altri modi per farla sorridere, sperando di riuscire a trovarne uno che non ti sputtani troppo.
 
 
 

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Capitolo 20
*** ch19 - The girl who died ***


ch.19 – The girl who died.
 
Fino ad ora hai ricevuto: un vinile da parte di Laura, un libro e un’assurda cuffia per la doccia a forma di narvalo da parte di Giorgia e il giradischi da parte tua, con molto, molto affetto.
I tuoi 35 anni non sono iniziati affatto male, se ignori il fatto che ieri sera hai deciso di uscire anche se avevi la sveglia alle 6, e hai dormito un gran totale di quattro ore, puoi definirlo un buon compleanno.
Lavi le arance canticchiando e parte l’annuncio della chiusura.
“Sono le ore 13:00 e il negozio Ikea è chiuso. Vi ricordiamo gli orari di apertura: dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 20:00 dal lunedì alla domenica. Vi ringraziamo per averci scelti e vi auguriamo una buona giornata.”
Hai praticamente fatto il lip-sync con l’annuncio di Veronica e non te ne vergogni nemmeno un pochino, sei troppo felice per vergognarti, altri trenta minuti e sarai diretta al tuo ristorante giapponese preferito con gli amici di sempre, quelli pochi ma assolutamente buoni.
Ti dispiace solo che Rossella non sarà tra i presenti.
Ti dai un’ultima occhiata attorno per controllare di aver sistemato il bar in modo tale che chi è in turno stasera abbia tutto in ordine e pronto per il lavoro: riempire la vetrina con nuovi prodotti, fatto; lavare le arance e riempire il cassetto, fatto; sciacquare la spremiagrumi, fatto; rifornire il latte, fatto; pulire le superfici del bar, fatto; riempire le ciotole dello zucchero fino a farle strabordare, fatto. Sei certa di aver dimenticato qualcosa, come sempre, ma non credi sia qualcosa di fondamentale e hai fatto molto più del tuo dovere, quindi ora sei libera di staccare la cassa, versare il cassetto e leggerti le email arretrate.
Ovviamente in questa ultima parte di turno, esattamente come nelle ore cinque ore e mezza passate, non mancherai di sottolineare a tutti che è il tuo compleanno e che devono baciarti, o meglio, lo sottolineerai a tuttE, dai maschietti basterà un abbraccio, se proprio devono farti gli auguri
Scendi le scale praticamente saltellando, arrivi in fondo e senti qualcuno chiamarti.
“Pastorellini.”
Ti giri con un enorme sorriso sulle labbra perché, da brava patata lessa quale sei, hai imparato che la sua macchina è una sportback, non solo, ne hai memorizzato anche la targa e i graffi sulla carrozzeria e quindi sai se è in negozio nel momento esatto in cui scendi dall’autobus, non speravi però di avere tanta fortuna e incontrarla oggi.
“Ciao Leila.”
“Buon compleanno Pastorellinettini.”
Ti senti minuscola ai piedi delle scale mentre lei ti parla dalla cima, affacciata come una moderna Giulietta.
“Grazie mille.” Ti fanno male le guance da quanto profondamente stai sorridendo, ti verrebbe quasi da chiudere gli occhi e ridacchiare per quanto sei felice.
“Ti devo il bacio di compleanno.”
Annuisci, fingendo sia solo un bacio della collezione che hai fatto stamattina e non il possibile bacio di una che reputi una vera e propria dea, una Donna con la D maiuscola.
Valuti l’idea di far le scale e prenderti il bacio sulla guancia da Leila, ma hai il cassetto dei soldi in mano e la tua cotta è già abbastanza visibile così, eviti volentieri di renderla PALESE.
“Assolutamente s…”
“Dalle un bacio con la linguaaaa.” Manuela passa alle tue spalle per andare via, probabilmente era sull’ascensore e non l’hai vista prima per questo, vorresti girarti e strozzarla o baciarla, ma forse più strozzarla e chiederle perché ha detto una cosa del genere.
Trovi il coraggio di alzare lo sguardo verso la tua cotta solo perché lei parla di nuovo.
“Quello glielo darò quando saremo da sole in una stanza. Solo io e lei senza voi scocciatrici.” Quello stupendo, maliziosissimo sorriso è al suo posto su quel viso meraviglioso e sei quasi certa di poter vedere i suoi occhi luccicare di divertimento, ti fa l’occhiolino e sparisce dalla tua vista.
Il cuore ti sta battendo a mille e ti senti piena di energia, malgrado la mattinata d’inferno al bar, arricci il naso e stai di nuovo sorridendo come una scolaretta, saltelli e vai all’ufficio casse, esegui le procedure di chiusura canticchiandoti da sola “tanti auguri a te”. Mentre aspetti che il macchinario conti le monete, decidi cosa mangerai per pranzo, di sicuro i soba alle verdure perché da Kyoto li fanno in modo divino, e forse anche i maki fritti con il philadelphia sopra, sei consapevole che per un giapponese sarebbero come la pizza all’ananas per voi, ma non puoi resistere, ti piacciono troppo.
Termini il versamento denaro ed esci dalla stanza, Veronica ti è addosso subito, ti prende tra le braccia e ti riempie il viso di baci.
“Martina! È il tuo compleanno!!! Perché non mi hai detto nulla?!?!?!?”
“Perché ero certa te l’avrebbero detto gli altri.” Quando sei arrivata Carlotta ha fatto l’annuncio al microfono, in modo tutti i tuoi colleghi lo sapessero e prendendosi una sonora cazziata da Alex, nonostante il negozio fosse chiuso.
“Quanti anni compi? 28?”
Scoppi a ridere  “Certo, per gamba.”
Lei sgrana i suoi enormi e truccatissimi occhi castani. “30?”
“Compio 35 anni Vero.”
“Cosa? No dai, non ci credo. Non li dimostri affatto. Non hai una ruga.”
Hai il forte dubbio che il non avere rughe sia causato dal tuo rifuggire il sole praticamente da quando eri bambina, ma credi sia anche una sorta di premio consolazione per l’avere molti capelli bianchi, praticamente da quando eri adolescente.
“Non è che non dimostro 35 anni, è che mi vesto ancora come una ragazzina nerd.” E dubiti fortemente smetterai mai. Veronica ti prende di nuovo tra le braccia, premendoti il volto contro la sua spalla.
“Non è vero che ti vesti come una ragazzina nerd, sei bellissima.”
Non sai come le due cose siano collegate, ma apprezzi il fatto voglia a tutti i costi farti un complimento e la sua dolcezza purissima.
Tu sei bellissima Vero, il raggio di sole di questo negozio.” Se anche lei non fosse la bellissima ragazza che è, glielo diresti comunque perché è una delle ragazze più dolci, solari e gentili ti sia mai capitato di incontrare. Speri sempre che abbia la forza di sopportare le delusioni della vita senza cambiare, ma ne dubiti altamente.
“Ooooh, come sei carina, sei sempre così carina con me. Dammi un bacio.” Ti prende il volto e se lo preme contro la guancia, obbedisci per essere liberata da quella presa orribilmente ferrea. Funziona, anche se lei si stacca con più veemenza del dovuto. “Hai le labbra screpolatissime.”
La tua reazione è banalmente quella di leccarle e non imparerai mai: più le labbra si seccano più le lecchi e più le lecchi più si seccano, in un infinito giro dell’asino.
Veronica ti afferra il volto e guarda le tue labbra da vicino. “Dovresti mettere qualcosa!!! Ho un rossetto rosso molto idratante, se vuoi…”
Fuggi dalla sua presa con un movimento secco, infili la mano in tasca, ne estrai il tuo fedele burro cacao e mai nella tua vita sei stata così veloce nell’applicarlo, lei sembra soddisfatta, annuisce e ti accarezza la testa, ed è una cosa che le persone più alte di te fanno spesso e che altrettanto spesso ti fa sbuffare perché si tratta di persone più giovani di te.
“Brava, brava.” Ti stampa un bacio sulla fronte e riprende il suo lavoro come se nulla fosse.
Tu apri e chiudi gli occhi per riprenderti dall’assurdità di quello che è appena successo e poi scappi da Veronica e dalla sua voglia di truccarti e di trattarti come se fossi una bambina dell’asilo.
Ti fermi ai piedi delle scale e guardi verso l’alto, ma i tuoi piedi hanno iniziato a pulsare e l’ascensore sembra un’opzione molto più amichevole al momento: ascensore sia dunque.
Lo chiami e nel frattempo leggi tutti i messaggi che ti sono arrivati durante la mattina e non sei riuscita a leggere prima, sono molti, o almeno a te sembrano molti e sono tutti di persone che ti vogliono bene e non hanno bisogno di leggere su facebook sia il tuo compleanno. Non ti aspetti di certo ce ne sia uno di tuo padre, ma c’è quello di tua madre che ti strappa un sorriso tremolante e commosso, l’ascensore arriva e tu ci sali, apri anche il messaggio di tua sorella e qui non piangere è più difficile perché c’è allegata la foto dell’ultima ecografia che ha fatto. È solo una macchia bianca sullo sfondo nero e non ci hai mai capito una mazza delle ecografie, ma quella maledetta di Federica ci ha scritto sotto “Tanti auguri zia Marty” e quindi sei certa quella cosa minuscola sia tuo nipote, o tua nipote, comunque il piccolo fagiolino che amerai con tutto il cuore e che vizierai. Lo vizierai senza vergogna.
Quando l’ascensore si blocca sei al massimo dell’euforia, sei tanto felice da essere spavalda e non ti senti nemmeno arrossire quando ti trovi davanti Leila.
“Perché tanto felice, Pastorellini?”
“Divento zia.” Sei orgogliosa di questa cosa, come se avessi un qualsiasi merito al riguardo.
“Ah si? Che bello. È il primo?”
Ghigni e annuisci, mentre i vostri ruoli si invertono, lei sale sull’ascensore e tu scendi.
“Si è il primo.”
“Scommetto che diventerà subito più alto di te, Pastorellinettini-ini.”
Alzi gli occhi al cielo perché sei alta un metro e sessanta, è un’altezza assolutamente dignitosa, soprattutto in Sardegna.
“Ah, sta zitta Ferrari” Aspetti quell’istante in cui sai si chiuderanno le porte dell’ascensore e sarai al sicuro, perché spavalda si, ma comunque patata lessa. Le porte che iniziano a chiudersi sono il tuo via. “E non dimenticarti che mi devi un bacio.”
Ti senti afferrare per la polo e il sorriso ti muore sul volto, vieni tirata verso l’ascensore e spinta contro una delle pareti, prendi un respiro per dire qualcosa ma due labbra, le sue labbra stanno premendo contro le tue e non vuoi più parlare.
Le sue labbra si schiudono sulle tue e puoi quasi sentire il suo sorriso canzonatorio e malizioso, ma non hai la più pallida idea di come reagire, di cosa pensare, di cosa provare, è tutto così assurdo che sei sopraffatta dalla situazione, l’unica cosa chiara è che è il bacio più appiccicoso tu abbia mai dato.
L’ascensore si ferma e lei si stacca da te, ora quel suo sorriso malizioso di qualcuno che adora stuzzicarti è lì, davanti ai tuoi occhi. Leila si sfiora le labbra con la punta delle dita e non smette di sorridere.
“Non devo nemmeno rimettere il burro cacao.”
Rimani perfettamente immobile, non sai più cosa dire o cosa fare, non sai nemmeno più come articolare le parole e come muoverti. La tua cotta avvicina ancora il volto al tuo, senza smettere di guardarti negli occhi nemmeno per un secondo e man mano che si avvicina tu pensi che sia davvero figa, in modo completamente diverso da quello che intende la società moderna, e poi ti chiedi come sia possibile che una fumatrice accanita come lei non puzzi di fumo, poi il suo fiato sfiora le tue labbra e non pensi più a nulla, se non a quelle morbidissime labbra.
“Buon Compleanno Martina.” Ti bacia l’angolo della bocca e tu chiudi gli occhi e ti sporgi in avanti, seguendola quando si allontana da te, per far in modo che quel secondo, e probabilmente ultimo, contatto non finisca tanto presto.
La senti sbuffare una risata e lasciare l’ascensore, ma anche quando senti le porte richiudersi non hai il coraggio di aprire gli occhi, ti lasci scivolare verso il pavimento e rimani seduta lì a rivivere tutte le sensazioni di quei due brevissimi baci e a chiederti se li hai vissuti davvero o li hai solo sognati.
Veronica ti trova così molto tempo dopo.
“Marty, tutto ok?” Ha l’aria molto preoccupata e tu ti limiti a estrarre il telefono di tasca e mostrarle lo schermo nero.
“Sto per diventare zia.” È la prima cosa che ti viene in mente, ma sembra funzionare perché parte in quarta a farti domante, ti aiuta ad alzarti in piedi e sei felice si risponda da sola e non debba rispondere davvero tu, ma ti basti buttare qualche monosillabo o qualche suono qua e la.
Tornate agli spogliatoi e tu ancora ti chiedi se hai sognato o se Leila ti abbia davvero baciata, Carlotta ti accoglie con un:
“Martinettis, come sta procedendo il compleanno?” Per poi aggiungere subito dopo “Ma come ti sei messa il burro cacao?”
Ti accarezzi sotto il labbro inferiore e sorridi come un’idiota sentendo la pelle appiccicosa.
“È il miglior compleanno della mia vita.”

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Capitolo 21
*** ch20 - The forest of fear ***


ch.20 – The forest of fear.
 
 
Sei seduta davanti alla tua scrivania con i piedi poggiati sul ripiano in legno, accanto alla tavoletta grafica che non sfiori da diversi giorni, e batti la matita contro il bordo del tuo blocco in preda all’insoddisfazione. Il tuo progetto iniziale era di riprendere a disegnare Flying dragons e andare un pochino avanti con la storia, magari far fare qualcosa di stupido a Layla, qualcosa che mettesse a profondo disagio la povera Sydney. Ma i tuoi occhi sono caduti sul tuo blocco da disegno, l’hai preso e hai iniziato a sfogliarlo, arrivare agli schizzi su Leila ha fatto crollare una diga e il bisogno di ritrarla ha preso il sopravvento.
L’unico problema è che tu non sei una ritrattista, il tuo stile è molto minimalista e giapponesiggiante, il classico tratto da fumettista, hai studiato praticamente tutto da autodidatta, brevissimi corsi a parte, e non senti di avere i mezzi necessari per poter fare qualcosa che vada oltre lo schizzo di un ritratto. Peccato che la tua mente non ti dia tregua e continui a deviare verso i flash dei due baci in ascensore, ancora e ancora, inondandoti di dettagli che devi a tutti i costi mettere su carta, ne va della tua sanità mentale. Ormai sono più o meno tre ore che continui a disegnare labbra in ogni modo in cui ti riesce immaginare o ricordare, cercando di riprodurre le sue labbra e quel suo sorriso malizioso, sei già consapevole che, quando sarai minimamente soddisfatta dalle labbra, passerai agli occhi e quella sarà una serata molto più lunga e frustrante di questa.
Ti chiedi quanti tutorial esistano che ti possano aiutare nella titanica impresa di riprodurre gli occhi più misteriosi e maliziosi che tu abbia mai visto, e il tuo telefono squilla, interrompendo la musica che usciva dagli auricolari.
“Si?” Non hai guardato chi fosse e non ti ho occorre farlo, dato che le persone che solitamente ti chiamano si possono contare sulle dita di una mano, soprattutto quelle che lo fanno a quest’ora della sera.
“Non ho nessun nuovo capitolo nella casella di posta e oggi avevi il giorno libero.”
Non smetti di disegnare, anche se il tuo tratto si è fatto più leggero. “Ciao Pi.”
“Ciao Pi. Come stai Pi? Come è andato il compleanno? Mi sembra di non sentirti di giorni Pi, invece ti ho chiamata per il tuo compleanno ed erano solo due giorni fa!!!!”
Passi la mano sinistra sul volto e ti senti in colpa perché se Rossella sente di non parlarti da giorni, è perché hai deciso di non raccontarle la scena dell’ascensore.
“Bene Pi, il compleanno è andato bene.”
“Ok, ti devo assolutamente dire una cosa che mi è successa, ma non posso se tu sei così, non riesco. Quindi dimmi cosa è successo Pastorelli.”
“Non è null…”
“Non mi dire che non è nulla perché vengo fino a Cagliari e ti prendo a calci nel sedere.”
Sai che non verrebbe mai in Sardegna solo per prenderti a calci, ma sai anche che potrebbe tranquillamente ricordarselo e farlo la prossima volta che vi vedete.
“È lo stronzo? Ha fatto qualcosa lui? Ti ha rovinato il compleanno?” Lo stronzo è tuo padre, ormai lo chiamate così e credi che lei lo faccia soprattutto per tenerlo lontano da te, è il suo modo di non riconoscergli alcun legame con te, tantomeno quello di sangue.
“No, mio padre non c’entra nulla.”
“Allora cosa? Chi devo picchiare? Chi ha osato fare del male alla mia piccola patata lessa.”
Ti senti una perfetta imbecille perché più il bacio si allontana nel tempo, più tu ti senti una stupida sia per quello che provi (e quello che hai provato), sia per desiderare così tanto che accada ancora, anche se sai perfettamente che Leila si stava prendendo gioco di te e nient’altro.
“Il giorno del mio compleanno…mentre uscivo da lavoro…”
“Sii?”
“Leila mi ha…Leilamihabaciata.”
“Ah, ti ha fatto gli auguri! Sei arrossita Pi? Sei arrossita, vero?”
“No…non hai capito…mi ha baciata-baciata.” A quanto pare dirlo non lo rende più reale nemmeno per sbaglio. Senti lo stridere dei freni, il motore della macchina rombare in sottofondo, poi di nuovo i freni. “Pi stai bene? È successo qualcosa?” Ti metti a sedere composta, pronta a correre in soccorso della tua amica.
“Pi! Sei impazzita a dirmi ste cose mentre guido? Ho rischiato di schiantarmi!!!”
Rossella è una drama queen, non ci sono dubbi. “Scusami…non credevo fosse una cosa così scioccante.”
“Certo, la versione umana della tua Layla, nonché tua cotta, ti bacia e non è una cosa scioccante? Figa, mi è quasi venuto un infarto.”
“Esagera un pochino di più, ti prego.” Poggi ancora i piedi sulla scrivania e cambi pagina al tuo blocco.
“Zitta, anzi no, non stare zitta. RACCONTAMI TUTTO NEI DETTAGLI!!!!”
Togli un auricolare perché il volume della voce era decisamente troppo alto per i tuoi gusti. “Ma non mi hai appena detto che non devo dirti certe cose mentre guidi?”
“Ho parcheggiato, of course. Dimmi tutto adesso.”
“Non c’è molto da dire, ero felice perché Federica mi ha mandato la foto dell’ecografia…”
“Oh davvero?” Senti il suono dell’accendino in sottofondo e poi senti Rossella soffiare via la prima boccata di fumo “Poi me la mandi Pi, e non ho capito perché non me l’hai mandata prima, comunque ne parliamo dopo, ora va avanti.”
La mente umana è una cosa assolutamente stupefacente, ora la tua si sta concentrando sulla mina che scorre veloce sulla carta ruvida, contemporaneamente riesce a sentire con quale regolarità Rossella soffia il fumo e nel frattempo rivive a colori vivissimi quello che è successo due mattine fa.
“Sono scesa dall’ascensore, Leila c’è salita, io le ho detto che mi doveva il bacio di compleanno e lei mi ha attirata in ascensore e mi ha baciata.”
Il silenzio è rotto solo dal suo espirare il fumo. “Fai davvero schifo raccontando le cose, Pi. Comunque….YAY.” Fai una smorfia perché ha urlato di nuovo “Ma era un bacio-bacio? Ha usato la lingua? Tu hai risposto o sei rimasta ferma come una patata lessa? Le hai chiesto di uscire? Quando te la scopi Pi?”
“Pi, respira.”
“Sei arrossita anche ora, non è vero?”
“Iononsono…” sbuffi, certo che sei arrossita. Prendi un respiro profondo e cerchi di rispondere nel modo più coerente e adulto possibile alle domande che ti sono appena state fatte. “Si Pi, era un bacio-bacio ma non ha usato la lingua…”
“Peccato.”
“…E…SI!!! HO RISPOSTO…non sono rimasta ferma come una patata lessa.” Non ne sei certissima, ma ricordi le sue labbra contro le tue con molta chiarezza e le era impossibile baciarti come ha fatto se tu fossi rimasta immobile.
“Sei diventata rossissima però, ne sono sicura.”
Schiarisci la voce, lieta non ti possa vedere “E non le chiederò di uscire Pi, mi stava solo stuzzicando, nulla di più.”
“Aspetta, non ho capito, ti ha baciata o no?”
“Si, certo che si.”
“Allora perché dici che ti stava stuzzicando e basta…”
“Perché…”
“Non osare nemmeno pensare quello che stai pensando Martina. Giuro che se mi ripeti ancora che una come te non la vede nemmeno chiudo il telefono e non ti parlo per mesi.” Questa è una cosa che non ti piacerebbe per nulla. “E non ti mando il nuovo capitolo.”
Nel sentire questo smetti di disegnare e alzi il volto, allarmata. “Non dico nulla, ok. Non dico nulla.”
“Ecco brava.”
“Ma Pi, credo davvero che mi stesse solo stuzzicando, un po’ per la situazione, un po’ perché ha capito perfettamente che ho una cotta per lei.”
“Questo è probabile Pi, non sei particolarmente brava a nascondere le cose, soprattutto se diventi un semaforo rosso tutte le volte che ti parla. O un’insegna al neon.”  Non puoi ribattere assolutamente nulla a questo. “E ci sta sia stato un…tease. Non mi viene in italiano…ci sta sappia che hai una cotta per lei, ma comunque resta di fatto che ti ha baciata. Io non bacio qualcuno che non mi piace e credo nemmeno lei sia il tipo, quindi almeno un pochino le piaci. Non fare quella faccia.”
Hai fatto la smorfia di una che è poco convinta di quello che ha sentito, e non smetti di farla nemmeno quando lei ti rimprovera. “Non lo so, Pi.”
“Io si, un pochino le piaci, come minimo. L’hai più rivista?”
“Si, stamattina.”
“E?”
“E mi ha fatto l’occhiolino da lontano, non abbiamo parlato e non si è avvicinata a me.”
Rossella ridacchia “Such a tease.”
Per un po’ l’unico suono che senti è quello della grafite contro la carta.
“Perché se è successa una cosa bella, sembri triste Pi? Qualunque sia il motivo che l’ha spinta a farlo, è una cosa positiva, no?”
“No, non lo è. Non lo è perché sono una cretina con una cotta per la solita eterosessuale che gioca con me, perché a 35 anni perdo ancora tempo con ste cose e sono troppo vecchia per continuare a farlo Pi. Non dovrei continuare a illudermi con queste stupidaggini e dovrei cercare qualcuno di reale, o stare sola con dignità.”
“Pi!! Smettila!!! Sei un essere umano e lei è una bella donna, in più è intelligente e somiglia alla tua Layla, che tu prendessi una sbandata era perfettamente normale, e se lei ti ha baciata, non è un’illusione, è la realtà. E da come me ne hai parlato, Pi, non mi sembra tipa da prendere per il culo le persone così. Magari non era nulla, magari ti ha baciata perché le andava di farlo e nulla di più, magari sapeva che era il tuo compleanno e voleva farti un regalo innocente, perché sa che hai una cotta per lei, magari non ha idea del fatto tu abbia una cotta e voleva provare a baciare una donna, magari le piacciono le patate lesse e nessuna è una patata lessa migliore di te.”
“Non sono sicurissima che questo sia un complimento.”
“Sta di fatto che ti ha baciata, ed è una cosa carina e tu non dovresti esserne triste.”
Sorridi e di ti chiedi perché non ne hai parlato subito con la tua Pi, perché hai lasciato che i tuoi demoni rovinassero anche una cosa carina che ti è successa, perché Rossella ha ragione, qualunque siano le motivazioni, Leila ti ha baciato ed è stato un bacio appiccicosissimo e troppo breve e inaspettato, ma ti è piaciuto molto.
“E Pi, non sei patetica, provi attrazione per una figa con i controcoglioni, non sei patetica. Una patata lessa si, un cane scodinzolante si…ma non…cosa stavo dicendo?”
“Cretina. Dimmi quello che mi devi dire tu va’.”
“Mi sono scopata Lene nei bagni del teatro.”
Ti si spalanca la bocca e la matita ti scivola di mano, la riafferri quasi subito, perché ti è costata un occhio della testa, ma non riesci più a disegnare, sei troppo sconvolta per farlo.
“Credo di aver capito male.”
La senti ridacchiare allegramente con il motore della sua macchina in sottofondo “Vero? Non ci credevo un gran che nemmeno io…certo tranne quando l’ho sentita venire attorno a…”
“Ok no, non lo voglio sapere, grazie.” Parlare di sesso teorico non è un problema, ma sentire qualcuno parlare del sesso che fa lui, soprattutto se è qualcuno a cui vuoi bene, quello ti viene un pochino più in salita.
“…attorno alla mia lingua, lì Pi, lì ho capito che è vero.”
“Oh merda.” Nascondi il volto tra le mani e lei ridacchia, sempre più felice.
“Vuoi sapere il resto o no?”
“Non ne sono molto sicura Pi, non ne sono affatto sicura.”
È ovvio tu lo voglia sapere e lei lo sa perfettamente, quindi inizia il racconto di come lei e Lene abbiano flirtato spudoratamente per giorni e di come la svedese abbia insistito con forza per leggere le scene più spinte dei racconti di Rossella e di come siano finite a riprodurne qualcuna nei bagni del teatro in cui fanno corso di scrittura.
Il passato di una delle tue due migliori amiche è talmente tanto travagliato e il suo cuore è stato spezzato così profondamente, che sei felice lei abbia fatto questo incontro, anche se si tratta solo di una scopata unica, sei felice abbia avuto qualcosa di bello, quindi continui ad ascoltarla e non la interrompi nemmeno quando scende troppo in dettagli che non volevi sentire, ti limiti solo a commentare qua e la, mentre continui lo schizzo di Leila, impedendoti di sperare che ci sia un seguito al vostro bacio in ascensore.
 

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Capitolo 22
*** ch21 - Closing time ***


ch.21 – Closing time.
 
 
“Il suo caffè macchiato.” Poggi la tazzina sul piattino e usi il manico per farla ruotare affinché sia perfettamente allineata con il cucchiaino.
“Grazie mille signorina.”
“Grazie a lei.” è la prima volta da quando hanno aperto le porte del negozio che non hai clienti al banco da servire. Non hai mai avuto la fila, ma non hai mai avuto nemmeno un momento di tregua, il fatto che l’uomo davanti a te sembri aver voglia di parlare, non ti dispiace poi tanto.
“Aaaah che bello vedere qualcuno gentile e sorridente ogni tanto in questo negozio.”
Aggrotti le sopracciglia perché non ti piace parlino male dei tuoi colleghi o meglio, ti piace e spesso sei d’accordo con chi lo fa, ma “Togetherness” è una delle parole chiave dell’Ikea, quindi devi difendere i tuoi colleghi, ma devi anche fare in modo che il cliente associ il marchio a qualcosa di positivo e lasci il negozio il più soddisfatto possibile.
Per dirla in breve: sei tra due fuochi.
“Oh mi dispiace abbia avuto un’esperienza negativa.” Quando parli così, sembri quasi professionale e ti daresti una pacca sulla spalla da sola. Il volto del cliente si illumina e capisci ti basterà una minuscola spinta per farlo andare via con il sorriso. “Se vuole posso offrirle…”
“Signor Lai…” Leila arriva a passo deciso e la testa alta verso di voi, i suoi occhi lanciano fiamme e non vorresti essere al posto del poveretto verso il quale si sta dirigendo.
Il signor Lai, ossia l’uomo al quale stavi per offrire un dolcetto al cocco, si gira ad affrontarla e sembra meno spavaldo di pochi secondi fa. “Si.”
“Ho saputo che si è lamentato del mio lavoro con i miei colleghi e vorrei chiarire le cose tra noi.”
L’omuncolo quindi stava parlando male di Leila, vorresti avergli sputato nel caffè e sei più che felice di non avergli dato il dolcetto al cocco.
“Lei non mi voleva accontentare e il cliente sono io.”
“Non è questione di accontentare o meno, è questione che quello che voleva fare lei era impossibile da realizzare. Se non sbaglio lei e sua moglie siete tornati oggi per ordinare quello che avevo progettato io, vero?”
Non vorresti ascoltare, ci stai provando con tutta te stessa, ma è impossibile perché la tua responsabile è un vero spettacolo, è una Donna come ce ne sono poche al mondo, ha una tale forza che attira l’attenzione senza esserne minimamente consapevole.
“No…io volevo ancora…” l’uomo diventa più piccolo ogni secondo che passa, una donna gli posa una mano sul braccio, ma sembra vergognarsi di lui, quindi supponi lo voglia fermare, non consolare.
“Si, è vero signora, siamo venuti qui per acquistare la soluzione proposta da lei.”
“Che era l’unica possibile.” Il tono della voce di Leila è molto più rilassato quando pronuncia questa frase, poi pero è di nuovo gelido. “Al piano inferiore c’è un computer in cui potete inserire lamentele e suggerimenti, il mio nome è Leila Ferrari e lei è liberissimo di lasciare una critica sui miei modi, ma non sul mio lavoro.”
Se prima avevi una cotta, ora è pura adorazione, e ovviamente il tuo corpo sta reagendo a quello che hai appena sentito.
Il gruppo si allontana e tu stai valutando l’idea di entrare nella cella -20° per calmare i tuoi bollenti spiriti, ma non hai il tempo di agire perché Silvietta arriva saltellando verso il tuo bancone, ha appena rubato uno dei biscotti che hai messo in degustazione e i suoi occhi stanno brillando di gioia.
“Hai sentito?”
“No, cosa?”
Continua a infilare biscotti in bocca uno dietro l’altro e sotto sotto le sei grata, perché se li finisce potrai sbarazzare e lavare tutto, portandoti avanti per la chiusura.
“Leila e Alex hanno litigato tanto forte che si sentivano anche se avevano la porta chiusa.”
“Cosa? Perché?” Se fosse stato chiunque altro sarebbe stato un gossip succulento, ma a quanto pare Leila sta avendo una giornata pesante e ti dispiace per lei.
“Perché Alex vuole trasformare il negozio nel più grande recovery d’italia. Del mondo.”
“Nel più grande che?”
Ingoia i biscotti e si ripete. “Recovery.” Scuoti la testa per farle capire che non hai idea di cosa sia, lei si sente in dovere di continuare a mangiare, visto che non era quello il problema. “Tutti i resi e i mobili da esposizione verranno venduti scontati qui.”
Questa cosa ti suona sbagliata in molti, troppi modi diversi. “Ma questo non…non ci renderebbe una specie di negozio dell’usato? Una sorta di cinese-svedese.”
Silvia annuisce soddisfatta. “È esattamente quello che ha detto Leila, che così roviniamo l’idea del marchio ai sardi.”
“E ha ragionissima. Mi auguro Alex non riesca a…che è quella faccia?”
“Ha fatto partire le email ai capoccia, con il benestare di Fantabosco.”
La soddisfazione di aver appiccicato addosso alla vostra store manager quel soprannome dura molto poco, la preoccupazione impiega pochissimo a prendere il sopravvento.
“Ma come fa a pendere dalle labbra di quel cretino?”
“Non ne ho idea Martinettis, non ne ho idea.”
“Povera Leila.”
“Poveri noi.” Prende l’ultimo biscotto e mette il broncio, le dai un bicchierino di cioccolata calda, con il solo scopo di finire anche quella e lavare il macchinario, e lei ti dichiara il suo amore eterno e saltella oltre il muro che vi hanno issato davanti prima di Natale, verso il magico mondo della pianifica.
Sbuffi e scuoti ancora la testa perché stai vedendo una successione di scelte sbagliate e non ti piace, soprattutto non ti piace che ci sia una persona competente e capace che viene sistematicamente ignorata solo perché il cretino di turno è più bravo a vendersi, o forse semplicemente il cretino di turno è un uomo e come tale è più facile per lui risultare credibile agli occhi dei piani alti. Non lo sai e non ti fa differenza, tanto è comunque uno schifo e tu non puoi fare nulla per cambiarlo, puoi solo continuare a fare il tuo lavoro nel miglior modo possibile e sperare per il meglio.
Una nuova ondata di clienti ti trascina via dai tuoi pensieri, sono talmente tanti che tutto il resto sparisce dalla tua mente, probabilmente c’è una regola non scritta da qualche parte che invita le persone ad affollarsi davanti al tuo bancone nel preciso momento in cui devi iniziare le operazioni di chiusura, costringendoti a dividerti tra la pulizia dei macchinari e il servizio. Fortunatamente più vai avanti, meno macchinari rimangono utilizzabili, quindi ben presto ti ritrovi a doverti dividere tra le pulizie e il malcontento dei clienti, non ci perderai il sonno però, sei certa che possano sopravvivere senza il caffè delle 19:30.
Ti stupisce sempre quanto velocemente passi l’ultima ora, dopo aver pulito tutto, hai svuotato la vetrina, hai versato il cassetto dei soldi e hai letto le email, lasciando all’impresa di pulizie l’onore di finire il tuo operato.
Ora sei in bagno per fare pipì e ripercorri mentalmente tutto quello che hai fatto, stracerta di stare dimenticando qualcosa, ma finché non sei davanti allo specchio e ti stai lavando le mani, non ricordi di non aver controllato la maledettissima cella -20°: quella stronza ha la sgradevole tendenza a rimanere aperta se non si fa abbastanza pressione.
Non hai nessuna voglia di riattraversare il negozio e di andare a controllarla, ma il tuo senso del dovere è più forte della tua leggendaria pigrizia, in più questo dubbio è qualcosa che può davvero toglierti il sonno, giacché se la cella resta aperta, tutto quello che c’è dentro si scongela e avete tre giorni per venderlo prima che vada a male, passati i tre giorni la merce va buttata e tu non vuoi e non puoi essere la responsabile di tale spreco di soldi e ti cibo. Quindi metti le gambe in spalla e torni indietro.
Incroci la ragazza delle pulizie, che ti augura buona serata, e sbuffi mentre usi il tuo apriporte per entrare nel retrobar, non accendi la luce, perché ti piace la luce blu che fa l’orribile attira-insetti e perché così hai l’illusione di impiegarci meno tempo. Per lo stesso ridicolo motivo impedisci alla porta automatica di chiudersi, bloccandola con il carrello, ma finisci con il controllare non solo la cella -20°, ma anche le due celle frigorifere positive, non paga le apri e richiudi tutte, tanto per essere sicura.
Stai guardando i display delle temperature per vedere se c’è qualche cambiamento e qualcuno ti chiama.
“Pastorelli, sei qui?”
“Retrobar.” Spingi la maniglia della stronza -20° e la guardi con sospetto.
“Che fai?”
“Controllo che questa stronza sia ben chiusa.” Ti giri ad affrontare la nuova venuta e ti stupisci di non aver capito subito di chi si trattava. “Leila. Pensavo tu fossi andata via.” Come sempre non sai cosa dirle. Le prime frasi sono sempre le più difficili e il suo volto stanco e tirato di sicuro non aiuta in questo frangente.
Leila ti guarda solo molto intensamente, facendoti sentire sotto esame, anzi, facendoti sentire come se l’esame l’avessi appena fallito.
Ti ripeti che probabilmente è l’unica responsabile rimasta in negozio e sta facendo il suo dovere di referente della sicurezza, controllando che tutti abbiano finito il lavoro e siano pronti a lasciare l’edificio, ma è inutile, il suo sguardo è tanto intenso che ti senti avvampare. Il tuo corpo però da segni di bipolarismo perché mentre stai arrossendo come una cretina, i tuoi occhi scivolano a guardare le sue labbra e ripensi all’ultima volta che siete state sole in una stanza e hai un principio di eccitamento, non hai moltissimo tempo per badarci però, perché lei sposta il carrello e ti è addosso in pochi passi.
È un piacevolissimo dejà vu del giorno del tuo compleanno, con l’unica differenza che sei premuta contro la cella e non contro l’ascensore e che questo bacio non ha la benché minima traccia della dolcezza, al contrario questo è tanto aggressivo da essere quasi rabbioso.
Non ti sei mai illusa di avere il controllo della situazione, nemmeno per un solo istante, quindi lasci lei ti sfili la cuffietta dalla testa e infili la mano tra i tuoi capelli legati, ti limiti ad aggrapparti all’orribile felpa in pile che porta, non sapendo bene cosa fare delle tue stesse mani.
Lasciare che il tuo corpo risponda ai suoi baci istintivamente e senza l’aiuto del tuo cervello ti sembra l’unica cosa saggia da fare, anche perché al momento suddetto cervello è una vera e propria poltiglia di desiderio.
Continuate a baciarvi e l’eccitazione che hai provato sentendola discutere con il cliente è tornata a tutta forza, questa volta non c’è nulla tra le vostre labbra e puoi sentire con chiarezza ogni suo più piccolo movimento, ogni suo respiro e nemmeno nei tuoi sogni migliori i suo baci erano così carichi di desiderio.
Ti prende le mani e se le porta sotto la maglietta e tu accarezzi la sua pelle nuda, riconoscente di poter avere quell’onore e senza chiederti perché stia succedendo. Non te lo chiedi nemmeno quando senti il suono del suo cinto che viene slacciato, non ti chiedi nulla, inverti solo la situazione, la spingi contro il carrello, con il doppio intento di usarlo per rendere impossibile l’apertura della porta automatica dall’esterno e di darle qualcosa a cui sorreggersi in caso di bisogno.
Al momento non hai la lucidità di capire benissimo le implicazioni di questo tuo gesto istintivo.
“Blocca la…” la sua voce è più bassa di quello che sei abituata e ora sei solo un concentrato di desiderio.
“Già fatto.”
Ti afferra per il collo e ti riattira a sé, con una mano ti impedisce di allontanarti, con l’altra ti afferra il polso destro e ti guida fino ai suoi pantaloni ormai slacciati, ti blocchi e il tuo intero corpo diventa di marmo.
I baci sono un conto, quello che ti sta invitando a fare è tutto un’altra cosa e tu non sei una da una botta e via, hai bisogno di una base di fiducia, hai bisogno di sapere cosa sta succedendo, dove vi state dirigendo.
“Martina.” È un bisbiglio sulle tue labbra dischiuse, apri gli occhi e non sapevi nemmeno di averli chiusi. L’unica luce che vi illumina è ancora quella ultravioletta che attira gli insetti, al momento è una perfetta luce soffusa, tuttavia sufficiente affinché tu riesca a cogliere la sfumatura di bisogno che aleggia nei suoi occhi.
È più che sufficiente per riportarti alla sua mercé. 
Lasci che guidi la tua mano fin dentro ai suoi slip e l’ultimo pensiero coerente che hai è che non è possibile sia così eccitata per te, poi tutto quello che capisci e che hai una donna meravigliosa tra le dita e tutto quello che vuoi è farla godere.
Quando succede, preme le dita contro il tuo collo e sposta il volto, andando a nascondersi tra i tuoi capelli, che a un certo punto deve avere sciolto senza che tu te ne accorgessi, il suo fiato è bollente rispetto all’aria fredda del retrobar e tu sei pervasa da brividi e pelle d’oca. Rimanete così per diversi minuti, perfettamente immobili, fatta eccezione per i vostri petti, scossi da respiri veloci e profondi.
“Dovresti andare a cambiarti.” Malgrado la scelta delle parole, capisci che non sia una richiesta. Sfili molto lentamente la mano dai suoi pantaloni e lei cerca inutilmente di sopprimere l’ennesimo ansimo che le causi, non ti guarda e hai un’illuminazione su quello che è appena successo: era stanca e frustrata, sa che le muori dietro, si è trovata la scopata semplice e ora vuole solo tu vada via il più velocemente possibile.
Vorresti non ti desse così fastidio, vorresti essere in grado di avere questi rapporti occasionali e leggeri, ma le patate lesse non hanno rapporti occasionali, le patate lesse non sanno staccare corpo e anima.
Afferri il carello per farle capire che devi spostarlo per far aprire la porta, lei si avvicina a te e ti prende il volto tra le mani, ti sfiora le labbra con le sue e tu non sai trattenere un sospiro, si stacca e ti guarda e suoi meravigliosi occhi castani sono di nuovo un tripudio di malizia.
“Le tue labbra fanno davvero pena, Pastorellinetti.”
Non sicuramente la frase che ti aspetti di sentire dopo aver fatto sesso.
Ti afferra per il mento, estrae dalla tasca della felpa il suo burro cacao e lo applica sulle tue labbra, per tutto il tempo tu studi il suo viso che sembra ancora molto stanco e triste, ma meno teso di prima e la cosa ti riempie di orgoglio.
“Decisamente meglio.” Ti guarda con tenerezza e poi ti spinge via.  “Ora va’.”
Annuisci e premi il pulsante per aprire la porta. “Buona notte Leila.”
“Buona notte Martina.”  Ti sorride e più del pulsare tra le tue gambe, più del formicolio alle tue labbra e più del suo profumo che ti si è attaccato addosso, è quel sorriso meravigliosamente malizioso a convincerti che è davvero successo, che hai fatto sesso con lei nel freddo stanzino del retrobar.
Al momento solo una cosa è certa nella tua mente: la cella -20° è la tua preferita in assoluto.
 

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Capitolo 23
*** ch22 - The times of angels ***


ch.22 – The time of angels.
 
Entrare nel retrobar ha ora tutto un altro significato, quindi ci entri appena puoi e ogni volta ringrazi la cella -20°, arrossendo fino alla punta dei capelli. Con la tua solita fortuna hai avuto tre giorni liberi di seguito e, quando hai ripreso a lavorare, hai trovato il negozio in subbuglio perché è arrivato uno dei pesci grossi della sede di Genova, al quale siete affiliati. Perciò è stato un susseguirsi di riunioni per il management e hai visto Leila solo di sfuggita, a essere precisa l’hai osservata mentre parlava con gli altri capi e nulla di più.
È una situazione molto frustante per te, ma anche molto comoda, perché ti permette di continuare a illuderti e sognare senza scontrarti con la dolorosa realtà di un rifiuto.
È un giovedì pomeriggio come molti altri, tranquillo al punto che ti puoi concentrare sulle sanificazioni settimanali, hai optato per la pulizia del ripiano delle tazzine, ossia la parte superiore della macchina del caffè, per farlo devi usare la scaletta di servizio e sei l’unica tra i tuoi colleghi a doverlo fare, il che causa sempre l’ilarità generale, lo fai dunque sempre con la speranza non passi nessuno. Ora non solo sei sulla scaletta, sei anche in punta di piedi per riuscire a raggiungere gli angoli più difficili, e ovviamente è questo l’esatto momento in cui l’intero management, super manager di Genova compreso, passa davanti al bar per vedere se qualcosa sia migliorabile.
“Pastorelli, hai dimenticato centimetri a Firenze?”
Stringi lo spruzzino che tieni in mano per evitare di lanciarlo in testa ad Alex, anche perché hai un’ottima mira, sei strasicura che lo prenderesti in piena fronte. Scendi dalla scaletta per spiegare cosa stavi facendo, ma hanno già voltato l’angolo per andare a controllare la cella con polpette e co, fiore all’occhiello della vostra bottega svedese.
Risali sulla scaletta sbuffando per lo sforzo inutile che hai appena fatto, e pochi istanti dopo stai cercando di lavorare come se nulla fosse, ma è come se Leila avesse un campo magnetico e tu ne sei attratta come il ferro a una calamita, la tua testa continua a girarsi verso di lei e, complici l’altezza aggiuntiva e la parete in plexiglass, puoi goderti la visione di lei che dondola poggiando il peso sul piede destro, che ha come suo solito piegato verso l’interno. Ti chiedi se per le persone attorno a lei sia chiaro come lo è per te che non le potrebbe interessare di meno della bottega svedese o del bar: eccezion fatta per le cinnamon roll e le gliffar, che adora, il food non è evidentemente di suo interesse. Ma forse per chi non passa il tempo a osservarla come fai tu, da buona patata lessa invaghita quale sei, non è poi così palese.
Il gruppo si sposta e tu sei libera dal campo magnetico e puoi finire la sanificazione del ripiano tazzine, operazione che sarebbe molto più semplice se nel tuo cervello non fosse partito il film del vostro incontro nel retrobar, audio compreso.
È una piacevolissima tortura.
“Martina.”
Ti giri con una tazzina per cappuccino in mano e non capisci come faccia Alex a sperare di risultare serio con quella faccia.
“Dimmi, Alex.”
“Appena riesci…” inizia tutte le sue frasi così, come se riconoscesse davvero che lavorare legati a doppia mandata a una cassa, e ai clienti, renda la maggior parte dei compiti molto complessi. In realtà non è così, abbaia ordini assurdi e poi si aspetta che vengano svolti velocemente, possibilmente anche ignorando le difficoltà logiche. “…ci sarebbe da sistemare il salmone nella cella positiva con i separatori che vi ho fatto avere. Dai una controllata ai prezzi nella cella negativa e dovresti anche chiamare qualcuno che ti porti su almeno tre scatole di patatine rosse.”
Non sai mai chi sia questo fantomatico “qualcuno” che dovrebbe fare queste cose per te, proverai a chiamare i colleghi del servizio clienti nella speranza uno dei due si possa staccare, il resto lo farai tra un cliente e l’altro, sperando la situazione al bar non si movimenti troppo.
“Si Alex, certo.”
Il gruppo lo aspetta a qualche passo dal bancone, cerchi un contatto qualunque con Leila, un sorriso sarebbe il massimo, ma anche uno sguardo non ti farebbe schifo, o il riconoscimento della tua esistenza.
“Bene, grazie.”
“Grazie a te.” È la risposta automatica a tutto in Ikea, sia per clienti che per colleghi.
“Qualcuno di voi gradisce un caffè?” Fantabosco è come sempre sorridente e allegra, e l’unica spiegazione che ti viene in mente è che si droghi pesantemente o che venga davvero dal Fantabosco, comunque sia nemmeno oggi ti ha degnata di un saluto e ti chiedi se sappia il tuo nome. Sei tentata di togliere la targhetta “Martina” che hai appuntata al petto, solo per vedere se se lo ricorda, correresti il rischio di una lettera di richiamo, ma ne varrebbe la pena.
Nessuno dei presenti accetta l’offerta della tua store manager ma il sorriso non sparisce dal suo volto, il gruppo fa per spostarsi a seguito del grande capo e tu rimani lì come uno spaventapasseri, immobile e con lo sguardo vuoto.
“Pastorellinetti?” Leila si gira come se si fosse ricordata qualcosa all’ultimo, tu scatti sull’attenti e non la guardi perché l’attenzione di tutto il gruppo è su di voi e hai paura che ti si possa leggere in faccia tutto quello che è successo.
“Si?”
“Le tue labbra fanno ancora schifo.”
Sgrani gli occhi e sei così sconvolta dalla sua spavalderia che dimentichi la vergogna e la prudenza, la guardi e lei ha un mezzo sorriso divertito e, non occorre specificarlo, malizioso. Infila la mano in tasca e ti lancia qualcosa, prima ancora di afferrarlo al volo sai che è il suo prezioso burro cacao, il resto del gruppo si è già girato per continuare verso il giro.
“Ma…tu come…?”
“Me lo rendi la prossima volta.”
Le tue interiora si sciolgono, anche se non sai davvero a cosa si riferisca quella frase, se intenda la prossima volta che vi vedrete o che potrà constatare quanto screpolate siano le tue labbra toccando con mano, o con labbra.
Such a tease sono le uniche parole che ti vengono in mente e sono appropriate e perfette, e tu sei una patata lessa, ma al momento ti rende felice anche questo.
Il suo viso rimane perfettamente serio, negandoti un qualsiasi inizio, la sua attenzione torna al gruppo di manager e tu cessi nuovamente di esistere, per lei come per tutti gli altri, Leila infila le mani in tasca e cammina con il suo passo scazzato dietro il gruppo, tu la segui con lo sguardo fino a quando ti è possibile, tenendo il cilindretto tra le mani come se fosse la cosa più preziosa al mondo e pensando che mai nella tua vita avevi incontrato una donna così straordinaria, sotto ogni punto di vista.
Poggi il preziosissimo burro cacao vicino alla cassa e lo fissi, vorresti metterlo in tasca ma il calore del tuo corpo lo scioglierebbe e non vuoi rovinarlo, ma anche tenerlo lì come promemoria non è particolarmente saggio, dato che in quel caso è il tuo cervello a rischiare di sciogliersi.
Usi il tuo burro cacao, perché le tue labbra fanno davvero schifo, e nel frattempo pensi a una soluzione, l’illusione di poter prendere la decisione tu però non dura molto: come al solito un’ondata di clienti decide per te.
Burro cacao vicino alla cassa sia.
Tiri un sospiro di sollievo quando l’ondata finisce, ti giri verso i macchinari per decidere quale sanificazione farai ora, sei indecisa se fare la macchina del ghiaccio o se svuotare il mobile sotto il forno e pulire là dentro, ma senti qualcuno parlottare alle tue spalle e capisci che devi rimandare di qualche minuto la decisione. Davanti a te ci sono una donna e una ragazza, la signora sembra avere più o meno una sessantina d’anni ed è curata ed elegante, l’aggettivo che ti viene in mente guardandola è dignitosa; la ragazza sembra avere una trentina d’anni e non le somiglia un gran che, soprattutto nei colori di viso occhi e capelli, la donna ha i capelli biondi e gli occhi verdi, mentre la ragazza ha gli occhi di un castano scurissimo e i capelli corvini, eppure tra di loro c’è una familiarità tale che indovini essere madre e figlia. Il loro parlottare continua anche quanto di giri ad accoglierle e ti lasciano il tempo di notare anche che sembrano entrambe cupe e di mal umore.
Le etichetti subito come clienti malcontente e quasi rotei gli occhi, ma un’occhiata fulminea al prezioso cilindretto davanti alla cassa ti ricorda che è una bella giornata, che la tua vita è bella e che ti puoi definire felice, quindi perché non condividere questa felicità con il prossimo?
“Buona sera signore, come posso servirvi?” Un pochino esagerato forse, ma sempre d’effetto.
La signora ti sorride debolmente, poi guarda oltre le tue spalle alla ricerca di una risposta alla tua domanda, fortunatamente per te non è la tipica cliente media e sembra sapere subito di cosa ha voglia.
“Buona sera signorina, potrei avere un ginseng?”
Si, è una persona intelligente senza dubbio, ha risposto al tuo saluto e ha usato i modi verbali corretti per fare un ordine, annuisci e sorridi.
“Assolutamente si signora, per lei invece?”
“Un caffè macchiato, signorina, grazie.”
Degna figlia di sua madre, senza dubbio.
“Arrivano subito, ma potete darmi del tu.” Alle persone che ti piacciono, concedi anche questo lusso. “Avete per caso la tessera Family?” Digiti l’ordine nel monitor della cassa mentre parli.
La ragazza fa un sorriso tra l’amaro e il divertito. “Si, ma è a casa che ride di noi.”
Ti fermi e la guardi con la bocca aperta perché questa è una risposta che adori!
“Aggiungerebbe anche una bottiglietta d’acqua, signorina?”
Annuisci e ti rendi conto di essere ancora a bocca aperta, aggiungi l’acqua al conto ma togli il caffè. “Sapete cosa? Alla faccia della tessera che ride di noi al calduccio di casa vostra, il caffè ve lo offro io.” Non lo fai solo perché sei felice o perché ti è piaciuta la risposta, ma anche perché la ragazza ti ricorda vagamente la tua maestra delle elementari e tu avevi una cotta di proporzioni bibliche per quella donna.
In fin dei conti, la cosa delle cotte per le donne più grandi di te e in una posizione di potere non è così recente.
Le due si bloccano, come se tu avessi appena dato loro una brutta notizia, le guardi per capire se le hai offese in qualche modo, perché al bar ti sono capitati anche clienti che si offendevano se offrivi loro caffè, prendendola come un’insinuazione di povertà. Continui a studiarle dicendo loro quanto ti devono e aspettando il denaro, la madre passa una banconota alla figlia e senti i suoi occhi su di te, inizia a parlare solo quando tu porgi li resto però.
“La ringrazio molto signorina. Per noi è un periodo non semplice, ci sono successe delle cose molto serie e molto brutte e il suo gesto gentile è una scintilla di luce per noi.”
Arrossisci perché non ti aspettavi una risposta così seria, il tuo primo pensiero è che i montatori si siano rifiutati di montare loro la cucina o che manchi un’anta all’armadio che hanno ordinato, ma qualcosa nel suo tono ti fa capire che è qualcosa di davvero serio, e senza soluzione.
“Si figuri signora, non è davvero nulla.”  Ti giri di spalle e inizi a preparare le loro ordinazioni, anche per nascondere l’infantile imbarazzo che stai provando, ma mentre lavori ti viene un’idea, guardi l’ora e vedi che sono ormai le 18 e 25, a breve dovrai iniziare a pulire e non c’è nessuna speranza che tu riesca a vendere le 3 cinnamon roll che hai in vetrina, quindi due possono tranquillamente andare in dono a loro, lungi da te voler far soffrire di solitudine la terza, farai l’enorme sacrificio di mangiarla e il tutto verrà segnato nelle degustazioni clienti.
Metti i piattini su un vassoio, ci poggi sopra il ginseng e speri con tutta te stessa di non disegnare un pene nel caffè della ragazza, come tuo solito. Non succede per tua fortuna, esce una specie di cuore strano, ma almeno non è nulla di volgare, afferri le cinnamon, impiatti anche loro e le sistemi sul vassoio, aggiungendo anche due cioccolatini che avevi aperto per la degustazione. Metti il tutto sul bancone davanti a loro con un sorriso imbecille sul volto.
“Visto che ci siamo, facciamo le cose per bene. Sono due piccoli assaggini dei nostri prodotti, per raddolcire un pochino il periodo brutto.”
Gli occhi della donna adulta si riempiono subito di lacrime e lei diventa rossa come un peperone, è un’immagine che ti mette a disagio, ti dà l’impressione di stare assistendo a qualcosa di troppo intimo che non sta avvenendo per i tuoi occhi, ti giri verso la ragazza e lei sta sorridendo, ma c’è una punta di tristezza nei suoi occhi umidi.
Accarezza la schiena di sua madre e poi ti ringrazia profusamente, prende il vassoio e le due non smettono di ringraziarti, tu le guardi allontanarsi e ricordi loro di prendere l’acqua. Quando si mettono a sedere, pensi non sia carino continuare a guardarle, quindi fingi di lavorare, hai un’illuminazione e segni le cose che hai dato in degustazione nell’apposito foglio, poi però il tuo lato maturo fallisce miseramente, vai nel retrobar, afferri il telefono e mandi un messaggio audio sia a Rossella che a Giorgia, dicendo loro che hai fatto piangere una signora e sei talmente agitata che entrambi i messaggi escono velocissimi e incomprensibili e ti aspetti che la risposta di entrambe sia un “COSA!?!?!” o magari no, magari la tua Pi ti risponde un consapevole “respira, Pi.”. In entrambi i casi rimane la speranza ti calmino un pochino, visto che sei ancora agitatissima per aver fatto piangere una sconosciuta con due cinnamon e un caffè: è uno di quei momenti in cui ti ricordi perché il tuo è un bellissimo lavoro.
Non sai rimanere senza fare nulla, quindi approfitti del momento per fare qualche scongelo veloce, quando torni al bar, la signora dignitosa ti aspetta davanti alla porta con le braccia incrociate e tu pensi che magari il ginseng faceva schifo, perché ti è successo anche questo, giri lo sguardo verso la ragazza che ti sorride dall’altra parte del bancone, ma non ti lasci ingannare, spesso i figli sorridono e i genitori cazziano malissimo.
Affronti la donna, pronta al peggio, ma lei si illumina appena ti vede, ti viene incontro e ti prende tra le braccia.
“Signorina io davvero non so come ringraziarla.”
Ha un buonissimo profumo, di mamma dolce che ti mette la mano sulla fronte quando stai male o che ti insegna a fare l’orlo ai pantaloni, quindi rispondi al suo abbraccio stringendo forte, anche se è una sconosciuta è come se sentissi il tuo cuore vicino al suo.
“Mio marito è morto il mese scorso ed è stato un momento molto difficile per me, per noi.” Si stacca da te e ti guarda, sta piangendo senza pudore e i tuoi occhi si riempiono di lacrime e ti sfugge un singhiozzo, ti giri verso la ragazza e sta piangendo anche lei. Guardi in alto per trattenere le lacrime e poi affronti di nuovo lo sguardo della signora.
“Midispiacemolto…iononvolevo…” Sei sicura che il marito e il padre di queste donne fosse un bravissimo uomo, da come piangono è più che evidente che si prendesse cura di loro, non come tuo padre invece ha avuto solo cura di abusare emotivamente di te per anni, scaricando su voi figlie la colpa di tutto.
Anche ora ti senti in colpa per aver fatto piangere queste estranee, come se tu fossi la causa del loro dolore.
Lei scuote la testa e ti abbraccia ancora. “No, no, no. Lei è stata così gentile con noi, lei l’ha riportato da noi.” Ride una risata tremolante e tu singhiozzi ancora “Bruno, mio marito era…era un vero patito di dolci. E il fatto lei sia stata così gentile con noi, che ci abbia offerto dei dolcetti…io l’ho sentito con noi. Io sono certa sia stata lui a mandarla da noi per farci sorridere con un dolcetto e farci sapere che lui è con noi e che sta bene.”
Non capisci molto la logica di questa frase, ma al momento non ha nessuna importanza e sei felice che la signora pensi che tu sia stata mandata dal suo marito morto per farle forza, va decisamente oltre il semplice compito di vendere caffè.
“Nonhofattoassolutamentenullama…”
“Tu…come ti chi…” si stacca da te, afferra la targhetta e annuisce. “Tu Martina, hai fatto davvero moltissimo, sei stata mandata dal cielo ed io mi ricorderò per sempre di te, anche nelle mie preghiere.”
Ti abbraccia ancora e il tuo cuore trema di emozione e accidenti alla tua empatia. Non per la storia delle preghiere, quella proprio non ti interessa.
“Sonofelicedi…” di cosa? Non lo sai nemmeno tu, non sai più esprimere cosa ti sta provocando questo momento.
“Anna vieni qui, presentati alla signorina, ringraziala.”
Anna, la ragazza, si avvicina e ti porge la mano attraverso la pila di marmellate, tu la prendi e la stringi.
“Piacere, Martina.”
“Piacere, Anna…e…grazie.” Ha gli occhi rossi e gonfi, ma si sta sforzando di non piangere, di essere forte e per questo la ammiri perché tu invece sei lacrimando come un’imbecille.
“È stato un vero piacere.” Ti liberi della presa, vai verso la vetrina, afferri due dolcetti svedesi e li inserisci in una bustina. Torni da loro con un balzo e lo porgi alla signora. “Nel caso abbiate bisogno di un promemoria.”
La signora porta la mano alla bocca, prende il sacchetto e lo porge alla figlia. “Non avrò mai bisogno di nessun promemoria.” Ti abbraccia ancora e ti mormora decine di grazie addosso, tu rispondi parole varie, cercando di sminuire la situazione, di riportarla a un livello di emotività accettabile.
“Torneremo sicuramente a trovarti, Martina.”
“Vi aspetterò a braccia aperte.”
Vanno via e la signora, a cui hai dimenticato come una cretina di chiedere il nome, continua a girarsi e a scandirti i suoi grazie, quando non le vedi più gratti la testa o meglio, gratti la cuffietta e sospiri, ti senti un casino emotivo e non sai che fare, ma ne vale assolutamente la pena.
In serate come questa è meraviglioso essere la banconiera di un bar.

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Capitolo 24
*** ch23 - The fires of Pompei ***


ch.23 – The fires of Pompei.
 
“Tua mamma maiala, oggi non finiva più” ti poggi al muro davanti ai bagni dei clienti con uno sbuffo, vedi prima il bianchissimo sorriso di Mauro, uno dei ragazzi delle pulizie, e poi la sua lucida testa pelata.
“Giornata lunga Martina?”
“Boh, forse sono io che ho bisogno di ferie, o forse oggi si sono dati appuntamento tutti i clienti più rompicoglioni e casi umani.”
“A giudicare dai bagni, non escluderei la seconda opzione.”
“Povero.” Ti avvicini a lui e gli accarezzi la spalla per consolarlo, lui fa broncio come un bambino.
“Cosa ci possiamo fare? Sono scemi, cosa possiamo farci?”
“Ah nulla, il problema è che i loro soldi non sono scemi e ci piacciono molto.”
“Puoi dirlo forte. Ma che ore sono? Sono andati via tutti, perché tu no?”
Prendi il telefono dalla tasca e guardi l’ora, sono le 13 e 15 e sai già che in negozio siete rimasti solo Simone, che era in cassa, Veronica al servizio clienti, che hai riconosciuto dalla voce degli annunci, Mauro alle pulizie e Riccardo, il ragazzo della sicurezza, un gran totale di cinque persone che dovrà aspettare ancora prima di poter mangiare. Tu personalmente uscirai da qui alle 13:35 come minimo e non si parla di essere a casa prima delle 14:00.
“Finisco a e mezza, ho ancora dieci minuti buoni.”
“Il mio cambio arriva per le due, non ho nemmeno visto chi sia e non mi importa. So solo che finisco di pulire i bagni, cambio le buste della spazzatura al bar e poi sarò libero come un uccellino.” Attacca le mani ai fianchi e le muove come se fossero ali, alzandosi in punta di piedi per emulare un ipotetico volo e data la sua mole è una visione ridicola. Scoppi a ridere e lui ne è così fiero che inizia a fischiettare, ma il suono è quello di un fringuello con qualche serio problema di salute.
“Sei davvero pessimo lo sai, si?”
“Ti piaccio per questo.” Ti fa l’occhiolino e tu lo spingi via, anche per permettergli di riprendere a lavorare. Vederlo tutto sudato e affaccendato ti fa sentire in colpa per essere lì ferma senza fare nulla, ma al bar hai fatto tutto quello che dovevi e lì non sapresti più come impiegare il tempo, decidi di entrare negli uffici e vedere se hai qualcosa da fare lì, se puoi controllare qualche scheda o mandare email, una cosa qualunque andrà più che bene.
Entri nella zona dipendenti e ti fermi davanti agli orari per controllare quelli che farai durante la settimana, li hai memorizzati, ma potresti aver confuso qualcosa quindi è sempre meglio dare un’altra occhiata, o cento. Ne approfitti anche per dare uno sguardo a quelli di Leila, con la perenne speranza che faccia una chiusura con te e magari litighi con Alex e abbia bisogno di sfogare le energie in eccesso.
“Pastorellinettini.”
Ti giri e ti basta vedere quel suo sorriso canzonatorio, i suoi capelli legati in una coda disordinata e la camminata scazzata per sorridere a tua volta e pensare che non mai visto nulla di così bello in tutta la tua vita.
“Ferrari?”
“Ho le labbra secche, ho bisogno di riavere il mio burro cacao indietro.”
Il prezioso cilindretto è nel tuo armadietto, inutilizzato.
Entri nel panico perché hai dato per scontato che il suo fosse un modo di stuzzicarti e non hai pensato nemmeno per un attimo che lei volesse davvero solo idratare le tue labbra. Tocchi l’esterno delle tasche alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione, senti qualcosa di duro e ricordi di avere il tuo burro cacao in tasca, lo afferri con sollievo e soddisfazione, decisa a darglielo in pegno finché non potrai recuperare il suo.
“Tieni il mi...”
Ti afferra per un polso e ti tira verso la porta più vicina, che risulta essere il minuscolo spogliatoio del food, non si ferma lì, accende la luce, apre una delle due porte all’interno di quella piccola e buia stanzina e continua a camminare portandoti con sé e chiudendo anche la seconda porta. Pensi con sollievo che si tratta della doccia e non del bagno, per ovvie ragioni.
Leila ti guarda con quella speri sia tenerezza “La togli mai quella cuffia?”
La strappi dalla testa e passi la mano sui capelli cercando di sistemare quelli che sono certamente sfuggiti dalla coda. Lei fa un passo verso di te, ti scioglie i capelli e li guarda con un sorriso divertito e tu sai, sai che i tuoi capelli mossi sono incasinati, anche perché quei maledetti fanno sempre di tutto per apparire al loro peggio nei momenti meno opportuni. Eppure ora non sembra un momento poco opportuno perché lei ci infila la mano dentro e fa un altro passo verso di te, sfiora le tue labbra con il suo labbro inferiore e tu cadi nella trappola come la patata lessa che sei, la segui alla ricerca del bacio ma lei si allontana di nuovo. Fa un secondo passo indietro e sfila la felpa in pile che indossa con un meraviglioso luccichio negli occhi.
Hai sperato per giorni di poterla di nuovo toccare e baciare e ora che sta succedendo non sei in grado di muovere un solo muscolo.
La sua felpa raggiunge la tua cuffietta sul pavimento e ogni suo più piccolo gesto sta alimentando esponenzialmente il tuo desiderio di vederla venire tra le tue dita, a dirla tutta vorresti sentirla venire tra le tue labbra, ma ti rendi conto sia chiedere troppo e tu non sei un’ingrata, sei perfettamente felice con quello che hai ora.
Mentre tu perdevi tempo in stupidi pensieri, anche la sua polo gialla ha raggiunto la pila di indumenti sul pavimento e quindi ora lei si staglia semisvestita davanti a te e la luce è pessima tra quelle mattonelle bianche, e sotto gli indumenti il suo corpo è leggermente più morbido di quello che immaginavi, ma lo trovi tanto bello da non riuscire più a trattenerti, percorri velocemente la distanza che c’è tra voi, l’afferri per la vita e la baci. La spingi contro il muro e dal modo in cui lei succhia l’aria temi di averle fatto male, smetti di baciarla e la guardi per accertarti non sia nulla.
“Scu…scusa…”
“È solo freddo il muro.” Ti afferra per il collo e ti attira di nuovo a se.
Oggi non aspetti un invito formale da parte sua, prima le slacci i pantaloni e poi ci lasci scivolare dentro una mano, mentre l’altra sale verso il suo seno e vorresti strapparle il reggiseno e baciare ogni centimetro di pelle visibile, ma non sei sicura sia disposta a spingersi così avanti, perciò ti limiti ad accarezzarlo da sopra il tessuto, nella speranza sia lei a fare quel passo.
La prima volta in cui l’hai toccata è stata una delle esperienze più sensuali della tua vita, ma impallidisce al cospetto di quello che sta succedendo oggi, non sai se dipenda dal fatto lei sia seminuda, o dal fatto siate entrambe lievemente più a vostro agio, o magari dipende dal fatto che non abbiate nessuna fretta e che lei sembra più che disponibile a farti capire cosa vuole tu faccia. Non lo sai e non ti importa, perché ogni suo fremito, ogni suo ansimo, ogni suo brivido, ti stanno facendo eccitare al punto che sei sempre a un passo dall’avere tu un orgasmo.
Fai tutto il possibile per far durare questo incontro il più possibile, rallenti fino a farla lamentare più e più volte, ma non puoi impedire l’inevitabile e quando le concedi l’orgasmo, si afferra alla tua polo e la stringe con tanta forza che temi e speri che la faccia in mille pezzi. Lascia cadere la testa contro il muro e mal soffoca un ansimo lungo e basso e la prima volta non avevi avuto l’onore di poterla vedere durante l’apice del piacere ed è tanto bella che non sai staccarti dal suo corpo o smettere di accarezzarla, è lei ad afferrare il tuo polso e fermarti.
La sua mano destra sale fino ai tuoi capelli e tira leggermente quelli più corti alla base della testa, costringendoti quasi con la forza a baciarla, non che tu abbia nulla da ridere al riguardo, anzi: il sapore delle sue labbra è la tua nuova, amatissima droga, anche se questa volta l’odore del fumo le è rimasto addosso, non cambieresti il tutto di una sola virgola.
Vorresti continuare a baciarla, incurante dell’ossigeno che sembra non essere sufficiente a riempire i tuoi polmoni, ma lei continua a giocherellare con i tuoi capelli, con gli occhi chiusi l’aria pacifica.
Speri che li apra e ti dica qualcosa, una cosa qualsiasi su quello che state facendo, che lo definisca, ti dica cosa voglia da te o anche solo cosa pensa di te. Hai bisogno di sapere se ha capito che hai una cotta per lei e se le dispiace o le da fastidio, anche se probabilmente quello che senti tra le tue dita è una risposta più che chiara a questa domanda.
Leila riapre gli occhi senza nessun preavviso, e sono talmente tanto predatori che vorresti fare un passo indietro, se solo tu fossi capace di  smettere di toccarla. Fa un mezzo sorriso e fa scivolare le mani su di te, arriva al tuo grembiule e lo slaccia molto lentamente, la sola idea che lei voglia toccarti ti manda nel panico più totale e inizi a camminare all’indietro, disposta a perdere quel meraviglioso contatto fisico pur di scappare da quello che potrebbe succedere.
Il tuo corpo ti sta letteralmente urlando che sei al limite della sopportazione e hai bisogno lei ti tocchi, ma la tua mente è terrorizzata all’idea di affidarsi così a qualcuno.
Il suo sorriso si fa ancora più malizioso mentre esegue ogni passo in sincrono con te e tu pensi che al tuo posto saresti offesa e ferita, non divertita. Ben presto siete entrambe dentro la doccia e la sensazione di essere in trappola ti sta facendo affogare, anche se l’acqua è chiusa. Il tuo cervello sta elaborando bilioni di pensieri al secondo alla ricerca di una via d’uscita, mentre lei litiga con il bottone dei tuoi pantaloni. Trovi la via di fuga in una delle caratteristiche di Leila che più odi e ami: la sua paura di debiti.
“Non devi farlo per forza…non…”
“Ma io voglio farlo.” Lo dice guardandoti negli occhi e senza la minima esitazione, facendoti dimenticare tutto quello che non sono quei profondi occhi castani. La sua voce è molto più bassa quando aggiunge: “Rilassati, va tutto bene.”
Ti bacia il collo e ti afferra di nuovo i capelli, mentre le sue dita scivolano lentamente contro il tuo sesso. Basta quel semplice, leggerissimo tocco perché il tuo corpo abbia la meglio sulla tua mente, ti afferri alle sue spalle e ti lasci inondare dal piacere.
Non ti ci vuole per capire che qualcosa non sta andando come dovrebbe andare, perché l’orgasmo è tanto impellente quanto lontano e non accenna ad avvicinarsi: diventi sempre più consapevole delle voci nel corridoio, del poco tempo a vostra disposizione e la voce che ti dice che non vuole farlo davvero, che non può volerlo fare con una come te, è passata dall’essere un sussurro a un vero e proprio urlo.
Il piacere sta velocemente lasciando il posto al fastidio e stai per fermarla, quando sentite la porta che dà al corridoio aprirsi. Leila ti mette una mano sulle labbra e mima un silenzioso sssh, annuisci e aspetti.
“Chi c’è?” dalla voce riconosci essere Emma, la ragazza delle pulizie.
“Leila.” Ha la voce autoritaria che ha sempre quando qualcuno la infastidisce e il tuo corpo ha l’ennesimo brivido di desiderio.
Ti strozzeresti da sola per la tua incoerenza.
“Oh scusami, scusami, ti lascio subito in pace.” Ha la voce spaventata e un pochino hai pena per lei.
“Grazie.”
Passa poco meno di un secondo prima che la porta si richiuda, vi rilassate entrambe a quel meraviglioso suono.
“Fortuna che non ha capito che ero in qui e non nel bagno.”
“Già.”
Quasi non aspetta tu risponda per riprendere da dove vi hanno interrotte, ma la fermi perché pensi sia inutile e non vuoi diventi qualcosa di peggio.
“Cosa?”
“Non…non…”ti manca l’aria e riesci a guardare solo la pila di indumenti sul pavimento. “Nonriesco.” È malapena un sussurro e ti vergogni appena finisci di pronunciarlo.
“Sto sbagliando qualcosa? Vuoi che…”
Scuoti la testa con forza e ciuffi di capelli ti frustano il viso “No…no…è…” le indichi attorno per farle capire che è tutta la situazione che non ti permette di rilassarti a dovere e non lei, al contrario lei è l’unica ragione per la quale il tuo corpo sta pulsando di desiderio, nonostante tutto.
Senti i tuoi occhi studiarti, ancora e ancora, finché non trovi il coraggio di alzare lo sguardo a incontrare il suo, a quel punto si avvicina molto lentamente a te, mantenendo fino all’ultimo il contatto visivo, poi ti accarezza le labbra con le sue, in una dolcissima carezza innocente.
La carezza si ripete, ancora e ancora, fino a lasciarti il tempo di abituarti e volere di più, a quel punto il bacio diventa più intenso e si ripete esattamente la stessa cosa, ti bacia e ti ribacia, finché non sei tu a chiedere di più attirandola più a te o lasciandoti scappare un lamento nella sua bocca. Salite così lungo una scala di passione e prima che tu possa rendertene conto stai tremando come una foglia, stringendoti a lei perché le gambe non sono in grado di sostenerti e mordendo le labbra per evitare di urlare per il piacere e far accorrere le persone rimaste in negozio.
Fingi di impiegare molto tempo a riprendere fiato, un po’ per la vergogna, un po’ perché ti piace il modo in cui ti sta sorreggendo, stringendoti a se e con le labbra posate dolcemente sulla tua tempia.
Sei una persona indipendente e hai bisogno di cavartela da sola sempre e comunque, ma questo? Questo è una piacevole eccezione alla regola, lei è l’eccezione alla tua regola.
“Stai bene?” Annuisci il tuo assenso e lei ti riallaccia i pantaloni. “È meglio se esco prima io. Se non mi senti parlare con nessuno, aspetta due minuti e poi esci, va bene?”
“Si, certo.”
Ti sembra di aver a malapena sbattuto gli occhi, invece lei è già rivestita davanti a te e ti sta porgendo grembiule e cuffia, li prendi e vorresti afferrarle anche le mani e attirarla a te, per riprendere a far sesso o semplicemente tenerla tra le braccia, non avresti preferenze a riguardo.
Ti sistema capelli e colletto della polo con un sorriso, vorresti allungare la mano e sistemare tu un ciuffo di capelli a lei, ma ti senti drenata di tutte le tue energie, è solo quando sta per varcare la prima porta che le bisbigli con forza.
“Il burro cacao.” quando lo dici a voce alta, sembra davvero una cosa stupida e senza senso. Leila ti guarda incredula e poi i suoi occhi diventano pozze di malizia e desiderio.
“Me lo renderai la prossima volta, anche perché sono ancora in debito.” Ti fa l’occhiolino e lascia la stanza.
Aspetti molto più dei due minuti che ha raccomandato lei, perché sei una patata lessa obbediente e perché devi ancora riprenderti per lo shock, quando esci però sei molto, molto felice.
Non hai avuto nemmeno mezza risposta alle centinaia di domande che hai in testa, ma non ha importanza, perché oggi hai avuto la certezza succederà ancora, e al momento non ti viene in mente niente di meglio.

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Capitolo 25
*** ch24 - The end of the world ***


ch.24 -  The end of the world.
 
Varchi la porta di casa con un enorme sorriso stampato sul volto e il bisogno di fare una lunga, lunghissima doccia bollente. Nonostante il vostro incontro di oggi sia avvenuto nel minuscolo magazzino del bar, in cui c’è perennemente una temperatura di 10° per impedire che i frigoriferi si surriscaldino e fondano, Leila ti ha sfilato la polo della divisa e ti ha leccato la pelle nuda, non solo, mentre raggiungeva l’orgasmo ha succhiato e morso un punto imprecisato tra il collo e la spalla e ora sei curiosa di vedere se abbia lasciato il segno o meno. Speri vivamente l’abbia fatto, la sola idea ti abbia marchiata ti fa sentire il bisogno di passare dalla doccia bollente a quella ghiacciata.
“Oh, ma allora è vero che convivo con qualcuno.”
Lo zaino ti scivola dalle spalle perché non ti aspettavi che Laura fosse a casa.
“Floris!”
“Hai fatto fatica a riconoscermi anche tu, vero?” Si alza dal divano e viene fino a te per darti un bacio sulla guancia, ti irrigidisci per paura ti senta addosso l’odore di quello che hai fatto poco più di mezz’ora fa con la tua responsabile, nonché il motivo per il quale non la vedi da settimane, ossia da quando Leila ti ha baciata nel retrobar ed è iniziata questa cosa tra voi.
“Sbaglio o ultimamente fai sempre tardi al lavoro?”
“Si ho…ci sono problemi con le…temperature.” È la prima stronzata che ti viene in mente e quando la dici guardi il divano e non la tua coinquilina, nonché amica da più tempo di chiunque altro.
Laura è una delle persone di cui ti fidi maggiormente al mondo, con cui sei più a tuo agio, ma non puoi dirle una cosa così. Vi conoscete da quando eravate ragazzine, avete sognato il grande amore insieme, avete vissuto le vostre prime volte e, per quanto siate andate avanti e abbiate sperimentato cose diverse, e lei sia la prima ad andare a letto con qualcuno per semplice attrazione fisica, non puoi dirle una cosa del genere, non riesci. Per non parlare del fatto che sei stracerta che Leila ti ucciderebbe se tu lo dicessi a qualcuno, anche se più va avanti, più è difficile obbedire a questa regola non scritta.
La tua coinquilina ti guarda socchiudendo gli occhi ed è ardua non cedere alla tentazione di non chiederle scusa o non sentirti come se stessi tradendo la sua fiducia.
“Lo sai che sei un libro aperto, si?”
Fai sbattere i tuoi canini di sinistra l’uno sull’altro, mentre dondoli sulle gambe facendo girare lo sguardo per la stanza e cercando una risposta credibile da darle.
“È qualcosa di brutto? Mi devo preoccupare?”
“Io…no.” Ora sono i canini di sinistra. Infili la mano tra i capelli e abbassi la testa, sentendoti la persona peggiore al mondo, soprattutto perché non c’è una motivazione valida per non parlarne con Laura, che non ti giudicherebbe mai, eppure hai paura di deluderla.
“Promettimi che ne parlerai a Pi.”
Ti viene quasi da piangere e ti senti sempre peggio perché tu le stai mentendo e lei lo sa perfettamente ma non è arrabbiata, è solo preoccupata per te. Vai verso di lei barcollando e la abbracci e forse hai avuto molte sfortune nella tua vita, ma sei più che felice di sopportarle tutte, fintanto che continuerai a essere circondata da amicizie così.
“Smettila di fare così, scemotta, altrimenti non riesco più a fare la persona matura e mi viene voglia di farti sputare il rospo.”
Ti stacchi da lei alla velocità della luce e Laura si spettina la frangetta con aria tranquilla. “Callonetta sto scherzando. Ora vai va’, che io devo lavorare.”
Vorresti buttare un occhio alle foto alle quali sta lavorando, certa siano dei piccoli capolavori, ma la doccia è diventata una vera necessità dopo quello che è appena successo, quindi vai in bagno senza nemmeno passare per camera tua.
Passano quasi quaranta minuti tra doccia e asciugata di capelli, al volo perché cercare di domarli è inutile, prima che tu ti possa sedere davanti al tuo macBook e prendere finalmente una decisione. Tocchi la spalla nel punto in cui sei stata davvero marchiata dalla tua cotta, non hai ancora il coraggio di definirla amante, bisbigli un “perdonami” e fai partire la chiamata per Rossella.
Le chiamate su skype sono molto rare tra voi, per non dire uniche, speri che la tua amica capisca subito che c’è qualcosa di grosso in ballo e abbia…il tatto necessario? Ti presti l’attenzione necessaria? Non sai nemmeno tu cosa hai bisogno lei faccia.
“Pi?”
“Ciao Pi.” Al momento vedi solo il manto di quello che sei quasi certa essere il suo enorme gatto, Sirius.
“Mi stai chiamando su skype, Pi.”
Ridi, perché sta sottolineando una cosa ovvia. “Si Pi, ti sto chiamando su skype.”
“Sirius! Amore della mamma dovresti spostarti dal pc perché la mamma deve parlare con la zia Pi. Mi lasci parlare con la zia Pi?” Qualunque gatto avrebbe miagolato, Ibra, l’altro gatto di Rossella ti avrebbe fatto diventare sorda a forza di miagolii, ma questo meraviglioso pacioccone si limita a fare le fusa, tanto da sembrare un terremoto, ma un terremoto tenero. La visuale sballonzola per diversi secondi, il pelo sparisce e il volto sorridente di Rossella appare nell’inquadratura. “Scusa Pi, sta facendo il dispettoso perché li sto lasciando spesso soli…” sorride beatamente “O perché quando sono a casa, non sempre sono da sola e diciamo che la situazione si movimenta un pochino.”
Non ci vuole uno scienziato per capire di cosa sta parlando. “Lene suppongo.”
“Si.” Ghigna e sorride e tu sei felice di vederla così raggiante. “Si. Ti secca se mi trucco mentre parliamo? Abbiamo appuntamento e sono in ritardissimo.”
Rossella dice sempre di essere in ritardissimo, ma finisce sempre con arrivare 5 minuti in anticipo e non capisci se sia a causa della sua tendenza al melodramma, o se la sua macchina sia in realtà un TARDIS.
“Figurati, fa pure.” Distogli lo sguardo dal monitor perché stai vendendo spostata dal letto alla scrivania che funge più da toilette che da vera e propria scrivania.
“Pi, è un sacco che non ci sentiamo.” Inizia ad applicare qualcosa sul viso, e ovviamente tu non hai la più pallida idea di cosa sia, ti concentri su i suoi movimenti precisi e decisi e non sul fatto che non vi sentiate da molti giorni perché TU hai scelto di non sentirla, per evitare di mentire anche a lei. “Hai fatto qualcosa ai capelli?”
“Li ho lavati?”
“Imbecille!!! Intendevo se hai cambiato qualcosa…sembri…diversa…”
“Ehm…no…” sei illuminata solo dalla luce dello schermo e dall’abat-jour alle tue spalle, quindi speri che la tua amica non noti che sei arrossita come un peperone. “Dove andate Pi?”
“Al cinema, ma credo che non vedremo nemmeno un minuto del film.” Ti lancia un’occhiata complice mentre continua a truccarsi “Pi, non diventare rossa solo perché faccio sesso in luoghi pubblici.”
Fino a un mese e mezzo fa saresti diventata rossa come un pomodoro al sole, perché tu e Claudia avevate una camera da letto e non vi è mai capitato di fare sesso in luoghi pubblici, nemmeno in macchina, stessa cosa con Daniela. Non credi che dipendesse totalmente dal fatto di avere un comodo letto, probabilmente dipendeva anche dal tuo bisogno di essere sempre completamente a tuo agio.
Ti chiedi se far sesso in un negozio chiuso valga come luogo pubblico.
Rossella è alle prese con la linea negli occhi, si guarda attentamente allo specchio e non ti considera minimamente, non ne capisci nulla, ma perfino tu sai che questo è il momento più delicato di tutti.
“Faccio sesso con Leila da più di un mese.” Ecco qua, l’hai detto, l’hai detto a voce alta e il mondo non è finito.
Almeno non per te, Rossella ha appena disegnato una linea che le arriva fino all’attaccatura dei capelli e non sembra affatto felice. Si gira verso di te con aria omicida
“Tu COSA?”
Chiudi un occhio e nascondi la testa dietro le ginocchia, assumendo in pochissimi secondi una posizione fetale.
“Faccio sesso da più di un mese con Leila.”
“Oh mio Dio avevo sentito bene.” Guarda oltre la telecamera per qualche secondo in preda allo shock probabilmente, poi si sporge in avanti e tu riesci solo a fissare la linea troppo lunga che parte dal suo occhio destro, attraversa la tempia e arriva fino all’attaccatura dei capelli. “Pi. Devi raccontarmi tutto. Nei dettagli. Perché non me lo hai detto subito? Oh merda come mi sono fatta la riga!!! PI!!!! Potevi aspettare mi mettessi il rossetto per dirmelo?!?!? Fanculo chi se ne frega. Figa Pi, ti stai scopando Leila.”
Chiudi il pugno davanti alla telecamera e ti guardi attorno. “Urlalo di più, ti prego.”
Lei alza gli occhi al cielo, come se fosse nella posizione di giudicare una reazione eccessiva. “Pi, sei a casa tua, il massimo che può succedere è che mi senta Laura e sono sicura che…” Ha iniziato a cancellare la linea ma smette appena vede che ti stai agitando sulla sedia, hai anche iniziato a battere i canini uno contro l’altro, ma questo lei non lo può sapere. “Non lo sa?”
“Sei l’unica a cui l’ho detto.”
Alza un sopracciglio e riprende a correggere l’errore come se tu non avessi detto nulla di troppo importante, respiri profondamente per i successivi secondi e lei non dice nulla.
“Non so nemmeno io bene come è iniziata, una sera stavo controllando la cella -20° nel retrobar e lei mi…credo mi sia saltata addosso.”
“Dentro la cella -20°?”
Alzi gli occhi al cielo. “Pi!”
“Pi che ne so di cosa le piace?”
Questa volta non diventi solo rossa, il rossore è tanto violento che sei sicura di essere diventata più viola che rossa e tutto perché tu sai cosa le piace, lo stai imparando molto velocemente e diligentemente.
“Pi ma…” poggia con cautela il pennello che tiene in mano e si concentra su di te. “Lei è saltata addosso a te o…”
“Lei è…mi ha…lei ha iniziato a baciarmi ma io ho….io ho…” parlare di sesso in teoria: nessun problema; sesso nella realtà: patata lessa schiacciata.
“Te la sei scopata tu. Ok.”
Giocherelli con gli anelli che hai nel medio destro, gli stessi che devi togliere ogni volta che lavori al bar e che non indossi nei tuoi incontri con Leila.
“Pi?”
Rossella sa molte cose di cose, cose che paradossalmente nemmeno le tre donne con le quali hai fatto sesso sanno, nemmeno Claudia e ci hai fatto sesso per molti, molti anni, e questo la dice molto lunga sul vostro rapporto.
La cosa fondamentale da sapere su di te è che hai tre grossi problemi: l’autostima, la fiducia e il controllo.
Sono talmente tanto radicati e profondi che ancora oggi, dopo più di due anni di amicizia con Rossella, hai ancora momenti in cui dubiti della sua totale sincerità e ti chiedi se davvero ti stimi per quella che sei o se lo faccia per carità o peggio, per prendersi gioco di te. Il controllo è tutta un’altra questione, a differenza della maggior parte dei maniaci del controllo, tu non vuoi controllare gli eventi, hai solo bisogno di avere il totale controllo sulla tua mente e sul tuo corpo. Va da sé che tutto questo influenzi notevolmente le tue relazioni con gli altri, sia a livello emotivo che fisico.
La tua amica milanese ha imparato a capire tutte queste cose di te, sia grazie alle vostre chiacchierate notturne, che grazie a quello che di te ha riconosciuto nei tuoi personaggi, e perché le hai detto di essere molto simile a un personaggio creato da lei. Insomma, lei sa e sa che lasciarti andare a qualcuno, farci sesso, lasciare ti tocchi, per te non è una cosa poi così semplice, che ci deve essere una solida base di fiducia e stima perché avvenga.
Il che porta inevitabilmente a ciò che ti sta per chiedere.
“Fate sesso?”
“Si.” chiudi gli occhi in attesa della successiva domanda, quella che non hai avuto il coraggio di farti nemmeno tu: provi dei sentimenti per Leila?
“Pi?”
“Pi?”
“Facciamo una gara a chi lo fa nei posti più strani? O chi ha più orgasmi in una sera? Oh aspetta, ma lo fate al lavoro?”
Sputi l’aria e quasi affoghi nella tua stessa saliva. “Che?”
“Pi, te lo dico già da ora, la cella -20° non vale quanto la macchina.”
“Pi, la macchina? Non è nulla di che?”
“Bloccata nel traffico, Pi. Bloccata nel traffico e voglio punti bonus per il fatto Lene abbia gambe così lunghe, perché ti assicuro che farci sesso in una Micra non è proprio semplice..”
Il facepalm qui è praticamente dovuto, perché la tua Rossella sa essere davvero un’imbecille quando ci si mette, una cagna imbecille.
Ride soddisfatta e tu la imiti subito dopo.
“Figa Pi, ti stai scopando la donna dei suoi sogni.”
Alzi velocemente un sopracciglio e cerchi di fare la figa, di tirartela tantissimo, anche se sei la persona più imbarazzata del pianeta, eppure quella frase ha un suono così bello che la ripeti anche tu.
“Mi sto scopando la donna dei miei sogni.”
Dirlo a voce alta e sentirlo dire a qualcun altro lo rende così reale che sfiori il marchio che Leila ti ha lasciato sulla pelle.
Forse non è perfetto, sono poco più di sveltine scomode e incasinate, sulle quali devi mantenere il più stretto riserbo, e non hai la più pallida idea di cosa lei voglia o pensi, ma stai facendo sesso con la donna dei tuoi sogni e per ora è più che sufficiente a renderti felice.

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Capitolo 26
*** ch25 - Partners in crimes ***


ch.25 – Partners in crime.
 
Oggi c’è in programma una riunione del reparto sales e, quando finisci il turno e vai cambiarti, la zona dipendenti è strapiena dei minion di Leila che chiacchierano allegramente e si scambiano cibo per il pranzo.
Li stai odiando un pochino tutti perché speravi in uno dei vostri incontri, ma con il negozio così pieno non se ne parla, anche perché è Leila in persona a tenere le riunioni e tutti, in un modo o nell’altro, cercano di avere la sua attenzione e la sua approvazione, prima, durante e dopo suddette riunioni, anche quelli che fingono disinteresse o che la criticano aspramente alle spalle.
Sparire per lei è impensabile.
L’unica cosa che ti rimane da fare è farti piccola-piccola e sparire tu, cambiarti, salutare e tornare a casa, magari riesci a metterti al pc e disegnare qualche vignetta di Flying dragons, o magari passerai la sera a fare molti ritratti di Leila, studiando tutorial e i libri sulle tecniche di disegno che Laura ti ha regalato negli anni, ma che non hai quasi mai aperto prima d’ora.
La seconda previsione è decisamente la più probabile delle due.
Apri il tuo armadietto e canticchi l’ultima canzone che hai sentito a radio Ikea e il cigolio della porta dello spogliatoio ti fa da sottofondo.
“Chi c’è?” Manuela lo chiede prima ancora di richiudersi la porta alle spalle.
“Martina.” Sei fiera di essere una delle poche persone al mondo a non rispondere lo stupidissimo “io” a questa domanda.
Sporge la testa oltre gli armadietti “Ciao Marty. Scusa, ma devo fare pipì. Ciao!” Corre verso i bagni e tu ti giri verso i tuoi vestiti scuotendo la testa, sfili la polo della divisa e senti qualcuno toccarti la schiena nuda. Ti irrigidisci e vorresti voltarti per vedere chi sia, ma questo qualcuno posa le labbra sul tuo collo, riconosci il tocco e ti rilassi immediatamente. Leila continua a sfiorarti la schiena nuda con la punta delle dita e ti posa piccoli baci partendo dalla spalla, risale tutto il collo e ti sfiora l’orecchio con un sospiro compiaciuto.
“Profumi di caffè.”
Con le centinaia di caffè che hai fatto stamattina la cosa non ti stupisce, ma ti disgusta al punto che cerchi di divincolarti dalla sua presa gentile.
“Mi dispi…” In giornate normali ti dai sempre una rinfrescata appena versi il cassetto, per fare in modo lei abbia una versione di te pulita e non schifosa da ore di lavoro e caffè. Ora sei stata colta impreparata e non vuoi assolutamente lei conosca questa versione di te.
Leila reagisce prontamente, ti mette un braccio attorno alla vita per impedirti di sfuggirle, aspira ancora il tuo profumo ed emette un mugolio soddisfatto contro la tua pelle, ti sfiora la guancia con il naso, ti afferra il viso con la mano libera e ti gira verso di se per baciarti.
“È il tuo profumo, mi piace.”
Avvampi nella consapevolezza che l’odore del caffè ti si sia appiccicato addosso e che nessuna doccia sarà in grado di toglierlo fintanto che lavori li, ma anche per la sensualità nel momento. Obbedisci alla richiesta e ti giri affinché lei ti possa baciare, Leila si allontana da te e ti sorride maliziosa, le infili la mano nei capelli per impedirle di scappare e sentite lo sciacquone del bagno partire e la porta sbattere subito dopo.
La tua responsabile ti ruba un bacio fulmineo e poi si mette a sedere sulla panchina davanti al suo armadietto come se nulla fosse, mentre tu prendi la tua maglietta per indossarla, anche se al momento non riesci a riconoscere quale sia il buco per la testa e quali quelli per le braccia.
“Devo dire che quel panino non era male…” Manuela viene verso voi asciugandosi le mani con la carta e tu speri di arrossire solo sul volto e non su tutto il corpo.
“Si, è vero.”
Aprono entrambe il proprio armadietto, recuperano il necessario per lavare i denti e vanno ai lavandini, mentre tu passi dai pantaloni della divisa ai tuoi jeans. Devi solo infilare le scarpe e andar via, ma non sei tanto sciocca da perdere l’occasione di passare del tempo con Leila, di sentirla parlare e interagire con gli altri: ti piace il sesso con lei, ma trovi il suo carattere scorbutico assolutamente adorabile.
Inizi col fingere di mettere in ordine il tuo armadietto, finisci col farlo veramente.
Controlli accuratamente le polo per capire quale sia sporca e quale pulita, anche se sai perfettamente che l’unica sporca è quella che hai indossato nel turno di oggi, perché le porti via sistematicamente via appena hanno bisogno di essere lavate. Ricordi la brevissima conversazione avuta prima con Leila e decidi che la tua divisa di oggi verrà lavata, che sia sporca o meno.
“Ah, prima che me ne dimentichi, volevo parlare proprio con voi due.”
“Per?” Ti trema il cuore nel timore che abbia visto o sentito qualcosa, ma la tua voce rimane abbastanza ferma.
“Mercoledì prossimo c’è una visita guidata in castello, credo parlino di fantasmi o cose così, ma magari è interessante.”
Leila fa una smorfia ma poi sembra ricredersi “Potrebbero mostrarci luoghi che in altre visite ignorano perché reputati poco seri.” Eccola la, lo squalo affamato di conoscenze storiche e luoghi particolari che tanto ti piace.
“Perché a marzo una cosa di fantasmi?” Sei soddisfatta per aver detto qualcosa di abbastanza intelligente e non esserti lasciata affogare nell’adorazione che provi per questa donna dai capelli castani.
“È l’anniversario della morte di una dei fantasmi o una cosa così.”
“Per me va bene. Massimo è da me e quindi può stare lui con Fabry.”
Massimo è il suo ex marito e l’idea che stiano dormendo sotto lo stesso tetto ti fa attorcigliare le interiora, Fabrizio invece è il suo adorato bambino di 15 anni che sei molto curiosa di conoscere.
“Sta ancora da te quando scende?”
“È giusto passi tutto il tempo possibile con Fabry. Anche se ieri il mio bambino mi ha di nuovo chiesto se è proprio necessario Massimo venga a stare da noi tutte le volte o che venga così spesso.” Sorride e l’orgoglio le trabocca dagli occhi, sorridi anche tu anche se la sensazione sgradevole alle tue viscere non passa. “Comunque questo fine settimana se lo porta a Milano, almeno passa qualche giorno coi nonni.”
A questo ti si rizzano le orecchie, non sai che tipo di relazione abbiate, non sai nemmeno se sia una relazione o solo una cosa casuale, sta di fatto che se suo figlio non è città si aprono infinite possibilità per te.
“Beh, è una bella cosa.”
“Già.” Non sembra felicissima, ma è chiaro farebbe qualunque cosa per il bene del suo adorato bambino.
“Dunque prenoto per tre?”
“Che? Io non so nemmeno se sono in turno o…”
“Forzo un cambio turno io Pastorellinetti.”
Il che sarebbe un eccitantissimo abuso di potere da parte sua.
“Gr…grazie.”
“A chi altro potrebbe interessare?”
“Non ne ho idea.”
“Giorgia e Carlotta potrebbero essere interessate.” All’aperitivo che seguirà sicuramente il tutto, ma tu hai bisogno del supporto di due persone con cui sei a tuo agio, quindi è loro dovere di amiche ignare sorbirsi il tour, anche se non provano l’ombra di interesse.
“Glielo chiedo appena le vedo.”
Quindi Mercoledì andrai a fare un giro nel quartiere castello, non sai a che ora, non sai quanto pagherai e non sei nemmeno tanto sicura di sapere cosa andrai a fare, ma castello è sempre castello e Leila che ci passeggia attraverso lo renderà ancora più magico, sei sicura.
Non hai nulla di cui lamentarti.
“Oh wow.”
Nel sentire la voce stupita della tua collega ti volti a guardare cosa l’abbia colpita tanto, ti trovi davanti Leila senza maglietta e con indosso un reggiseno in pizzo nero che ti fa letteralmente salire la bava alla bocca.
“Che c’è?” Ammiri e invidi la tranquillità di Leila al momento.
“Che c’è?!?!? Che c’è??!?!? C’è che hai su un reggiseno da puttanone. Non è un reggiseno da puttanone questo, Martina?” Afferra la sua responsabile per le spalle e la fa girare verso di te, regalandoti la visuale perfetta su quello spettacolo mozzafiato.
Scuoti la testa, annuisci e scuoti la testa, Leila passa lentamente la lingua sul labbro inferiore e poi lo morde e hai la certezza di dover strizzare le mutande che indossi.
Quella donna sarà la tua morte.
“Visto? Hai il reggiseno da puttanone!” Evidentemente la tua era risposta affermativa. La lascia libera e si dedica alla chiusura del lucchetto “Non ti vedevo indossare una cosa del genere da…”si ferma, afferra Leila per il viso e la costringe a guardarla “Stai scopando.”
Non è una domanda, non lo è e tu geli per la paura, l’esatto opposto rispetto alla tua complice di crimini sessuali, che si libera da quella presa con facilità e riprende a vestirsi come se nulla fosse.
“Non dire cazzate.”
“Eh no, non prendi per il culo così!!! Ti conosco troppo bene!!! Tu stai scopando, ne sono sicura. Non ti vedevo così da…da Roberto almeno.” Provi un fastidio gelido attraversarti la schiena e ti inchini a riallacciare le scarpe, anche se non le hai mai slacciate da quando le hai comprate. La tua collega non ti vede nemmeno, presa com’è a scrutare la sua amica “Tu scopi…e anche regolarmente direi. Chi è? Perché non ci hai detto nulla?”
A questo non risponde, infila la polo della divisa che ha tolto nell’armadietto e sistema meglio addosso quella personale, che ha appena infilato.
“Oh mio Dio.” Decidi immediatamente che non vuoi mai più sentire la voce stupita di Manuela. “Leila Ferrari ti sei fatta un toy boy.”
Tossisci la saliva che ti è andata di traverso e credi di stare per morire, non sai se per la saliva o per la realizzazione di essere un toyboy, o una toygirl, o quello che è, insomma sei un giocattolino sessuale.
Leila ti lancia un’occhia furtiva e fa mezzo sorriso, nel frattempo un’orda chiassosissima di minions entra nello spogliatoio.
“Leeeiiii, iniziamo?”
“Voglio tornare a casa.”
“Dobbiamo farlo per forza?”
“Qualcuno ha ancora cibo?”
“Ma qualcuna ha richiamato il signor Puddu?”
Appaiono davanti a voi e Manuela agita le mani verso di loro “Volete stare zitte, galline? Stiamo parlando di cose serie.”
“Tipo?” Carlotta si siede vicino a te e ti da un bacio sulla guancia “Ciao Martinettis”
“TIPO, Leila ha un toy boy.”
Iniziano tutte a urlare contemporaneamente e la circondano, riempendola di domande, tu ti alzi e vai nel bagno perché hai bisogno d’aria. Sciacqui il volto con l’acqua fredda e una parte di te sta tendendo l’orecchio alle urla concitate che arrivano dall’altra stanza, mentre l’altra sta cercando di estraniarsi da tutto.
“Dai Lei, fallo in nome della nostra amicizia.” La voce di Manuela è più vicina a te, quindi supponi si stiano spostando tutte per andare alla fantomatica riunione.
“Non mi pare siano affari tuoi Manu…suoi, così come vostri.”
“Non ci puoi lasciare così in sospeso però, io sto morendo dalla curiosità.”
“Dicci almeno se è davvero più giovane.”
“Figa che palle fate. Si, è più giovane.”
Stavi per andare ad asciugarti il volto, ma dopo questa è meglio se immergi tutta la testa sotto l’acqua.
Come c’era da aspettarsi parte una nuova ondata di urletti e squittii.
“Siete davvero simpatiche.” L’ironia nella sua voce è tale da strapparti un sorriso.
“Hai davvero un toy boy. Quasi quasi ti invidio. Quelli più giovani sono decisamente più devoti, per loro farti venire è una specie di missione, sono come dei cuccioli sessuali entusiasti e obbedienti. Sono certa tu stia facendo dell’ottimo sesso.”
Nascondi il volto tra le mani e vorresti scavare un buco nel pavimento e lasciarti cadere fino a venire bruciata viva dal nucleo della terra.
Fin dal primo momento tutto quello che volevi era farla godere, farla stare bene e non ti è mai importato di nient’altro, sei accorsa ogni volta che ha chiamato e sei stata più che felice di assecondare ogni suo desiderio: sei uno strafottutto cucciolo sessuale.
Suona malissimo ed esserlo è pure peggio.
“Stai avendo mille orgasmi, non è vero?” Giuri a te stessa che se Manuela non smette di parlare la strozzerai a mani nude.
“Di nuovo, non vedo come questi siano affari vostri. Ora andiamo per cortesia che ne ho già le scatole piene di voi e la riunione non è nemmeno iniziata.”
Senti risolini, insistenze e passi, poi la porta si chiude e cade il silenzio. Sospiri ed esci finalmente dal bagno, vai a prendere lo zaino e chiudere l’armadietto, vai verso l’appendi abiti, poggi la borsa a terra e prendi la tua giacca di pelle, la indossi e la porta di apre ancora.
“Faccio assolutamente del buon sesso.” Ti sistema la giacca addosso, ti tira verso di sé e ti bacia come avresti voluto ti baciasse davanti al tuo armadietto.
Ti lecca le labbra e fa un mezzo sorriso malizioso. “Ciao Toy Pastorellinetti.”
Odi la definizione di Toy boy e odi lei ti tratti come una ragazzina, ma Leila fa del buon sesso, il resto ha davvero importanza?
 

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Capitolo 27
*** ch26 - Thin ice ***


ch.26 – Thin ice.
 
Varchi l’arco di Porta Cristina e ti chiedi chi te l’ha fatto fare a venire, a essere precisi te lo sei chiesta per tutta la salita di via Is Mirrionis, per non parlare di quella di viale Buon Cammino che sarà anche più corta della prima, ma è mille volte più ripida. La parte piana del viale invece è sempre un piacere, sia per il corpo stremato dalla salita che per gli occhi, sia di giorno che di notte. Come non potrebbe esserlo, aprendosi come fa sul golfo degli Angeli?
Ok, a Cagliari ti basta salire su un qualsiasi punto un pochino più alto per vedere il mare, questo non ne diminuisce comunque la magia.
Il viale alberato sul quale giocavi in bici da bambina, e sul quale fino alla fine del 20° secolo i cagliaritani venivano a “prendere fresco”, non è stato sufficiente per riprenderti dallo sforzo fisico, ti senti sudaticcia e dolorante e ti stai maledicendo per non aver accettato i passaggi che sia Giorgia che Carlotta ti hanno ripetutamente offerto. Non li hai accettati perché volevi dimostrare di poter tranquillamente affrontare il percorso a piedi, come quando eri un’adolescente, e perché speravi fosse Leila a offrirsi di passarti a prendere, portando il vostro rapporto se non a qualcosa di più, a qualcosa che esiste anche fuori dalle quattro mura della scatola blu nella quale lavorate, ma da quel versante c’è stato il silenzio più assoluto.
Guardi il Regio Arsenale con l’eterna promessa mancata che passerai presto un pomeriggio nei suoi musei, alzi la testa a guardare la torre di San Pancrazio, per la quale provi un tenero affetto, dato che lì è avvenuto uno dei tuoi ultimi appuntamenti romantici con un ragazzo, e vai a sbattere contro Manuela.
“Martinetti!” La tua collega più anziana ti bacia sulla guancia.
“Ciao Manu.”
“Pastorelli.” Leila è seduta sullo scalino di un ingresso, è avvolta in una sciarpa di lana, troppo calda per te che hai scambiato il cappotto con la giacca di pelle diversi giorni fa, e fuma con la sua solita aria annoiata, i suoi capelli sono tenuti indietro dagli occhiali da sole che al momento stanno fungendo da coroncina e in lei non c’è la più pallida traccia della tua Leila.
“Ciao Leila.” Sei sul punto di chiamarla Ferrari, tale è il distacco che ti sta dimostrando, ma ti controlli giusto in tempo e ti tieni su qualcosa di più normale.
Le altre due colleghe arrivano subito dopo di te, sono entrambe sudate e rosse in viso e scoppi loro a ridere in faccia quando vi dicono che hanno parcheggiato in via Roma, facendo quindi più strada a piedi, e in salita, di te.
Pagate e il tour inizia, la prima tappa è davanti al vecchio Museo Archeologico Nazionale, ormai dismesso, dove la vostra guida vi racconta la storia di una famosa strega cagliaritana e del suo fantasma che ancora infesta le mura del museo, la storia ti fa sorridere in più punti, non sicuramente in quelli in cui si sofferma sull’inquisizione, sulla carcerazione e le torture che le loro vittime subivano. Di tanto in tanto lanci occhiate a Leila, che si è sistemata in un punto lontano da te, da voi, e stai cercando con tutta te stessa di non prenderla come una cosa personale, stai cercando di non rimanere ferita per il suo comportamento e di goderti la serata con il resto delle tue colleghe come se nulla fosse, come se il tuo cuore non si stesse spezzando a ogni battito.
Il tour riprende praticamente mentre tu la stai fissando e sono Carlotta e Giorgia a trascinarti via prendendoti a braccetto, la gente attorno a voi chiacchiera allegramente mentre attraversate via Martini e il vostro gruppo si compatta solamente quando Manuela afferra Leila per mostrarle un cartello “vendesi”.
“Mi’, non stavi cercando casa?”
“Figa, hai idea di quanto costino le case a Cagliari? E qui pagherei un altro tanto in ristrutturazione. Aggiungici l’assenza di parcheggio, non avere nulla a portata di mano e la sbatta che Fabry dovrebbe fare per andare in qualsiasi posto. Ah e poi l’umido.” Avevi già sentito che Leila volesse comprare casa in Sardegna, praticamente lo sai da quando la tua cotta era un minuscolo fuocherello nel retro della tua mente, quando pensavi che la tua responsabile fosse irraggiungibile, ma ora questa informazione assume tutto un altro significato, ora ha il suono stesso della speranza.
A dirla tutta comunque, pensi ancora che Leila sia irraggiungibile per te, ora più che mai.
“Wow, l’ha demolita in due parole.” Carlotta sembra sinceramente ammirata, mentre Manuela sembra il suo esatto opposto.
“Seh, seh, dice così solo perché non la può avere. Farebbe carte false per abitare lì.”
“Respirare la storia della città ogni giorno e svegliarmi tutte le mattine davanti a questo panorama? Io? Proprio no.” Siete arrivate proprio in quel momento in piazzetta Mundula e la parte est di Cagliari si è stesa davanti a voi, con tanto di lucine e riflessi sullo stagno.
“È bello da togliere il fiato.” Ti sfugge dalle labbra con un sospiro e ogni dettaglio che vedi scivola nel tuo cuore come un balsamo, curandolo. Il gruppo delle tue colleghe ti passa come se tu non avessi pronunciato parola, e Leila era abbastanza vicina a te da poterti sentire nonostante il tuo tono basso, quindi ti ha ignorata volontariamente.
Non fai in tempo a concentrarti su questo pensiero perché passate davanti al palazzo Regio e sei più che felice di poter raccontare a Carlotta e Giorgia la storia di questo magnifico Palazzo, immaginandone le stupende stanze e dispiacendoti di non poterlo visitare. La guida si ferma davanti all’Antico Palazzo di Città, ossia la vecchia loggia Massonica di Cagliari, e inizia a raccontare la storia di due amanti sfortunati che si sono uccisi nel giorno di San Valentino sul loggiato della Cattedrale, perché il padre di lei era contrario alla loro unione, fa passare una supposta prova fotografica dei fantasmi dei due che si abbracciano davanti alla chiesa, ma tu ci vedi solo un sbuffo di fumo e pensi ancora a tutt’altro.
Andate avanti e tu perdi interesse man mano che il tempo passa, ma non perché la guida non sia brava o le storie non siano accattivanti, solamente perché hai un solo pensiero in testa e tutto il resto impallidisce al suo cospetto. Ti saresti potuta evitare facilmente questa serata e questa tortura, è più che chiaro che Leila non ti voglia qui e tu stai cercando una scusa per andare via senza offendere le altre.
Continui a chiederti perché era disposta a forzarti un cambio turno se non voleva vederti fuori dall’ikea.
Vi fermate davanti al Palazzo delle Cinque Teste ma i tuoi occhi vengono attirati da un affittacamere e nel tuo cervello si accende una scintilla e vorresti non cadesse sulla polvere da sparo dei tuoi sentimenti, ma è come sperare di buttarsi in mare e non bagnarsi, è ovvio che da quella scintilla partano degli strafottuti fuochi d’artificio.
L’idea malata che la tua mente sta partorendo è che Leila vorrebbe vivere in questo meraviglioso quartiere storico e tu, da perfetta patata lessa, vuoi renderla felice e realizzare ogni suo desiderio. Non puoi comprarle una casa, ti puoi a malapena permettere un affitto, ma una notte in un albergo o in un affittacamere? È assolutamente alla tua portata e sarebbe perfetto per il tuo intento.
Stai per prendere il telefono e fare una ricerca veloce quando il gruppo si sposta ancora per evitare di venire investito dalle macchine che inspiegabilmente continuano a passare in quelle stradine strette e in ZTL. Camminate fin verso il Bastione San Remì e la tua cotta ti ignora ancora e tu di dai della cretina patentata, da fessa che non imparerà mai, nonostante tutta la merda che la vita ti ha messo davanti: perché dovresti spendere dei soldi per una persona che ti usa per svuotarsi i coglioni, non letteralmente ovviamente, e passa il tempo a ignorarti nella realtà?
No, non merita te e non merita nemmeno di avere la tua Cagliari in dono.
Tra navigatori troppo legati alle loro collezioni d’arte, amanti sfortunati, case infestate da spiriti che divorano il sonno, templari alla ricerca di anelli appartenuti a Maddalena, prostitute uccise da mogli gelose, preti fantasma che portavano messaggi a ignari passanti e alchimisti astuti rovinati dalla loro stessa astuzia, il giro finisce e voi decidete di andare a prendere il tanto atteso aperitivo.
Tutto sommato il giro non è stato male, al contrario, per quel poco che sei riuscita a seguire è stato divertente, ma non vuoi assolutamente proseguire la tortura, vuoi tornare a casa, nascondere tutti i ritratti che hai fatto ultimamente e dedicarti a Flying dragons, l’unica cosa a cui puoi permetterti di donare tutta te stessa senza venire delusa.
Sfortunatamente per te non sei stata abbastanza veloce nel trovare una scusa per sganciarti, quindi ti sei dovuta unire alle altre e ora sei nei bagni del locale decisa a rimanerci abbastanza a lungo da poter fingere di avere un malore qualunque.
“Che non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello di pagare tu, Pastorellinettini.”
Ovvio, siete in un bagno, nascoste dal resto del mondo, quindi ti rivolge la parola.
Le mostri le mani vuote per farle capire che non hai portafoglio e non potresti pagare nemmeno volendo.
“So che puoi pagare con il telefono…”
Fai una smorfia che dovrebbe essere un sorriso, ma non gli somiglia nemmeno per sbaglio. Non vorresti fare quella offesa, la persona needy che ha bisogno di continue conferme e attenzioni, lo sei, sai di esserlo e non è la prima volta che cerchi di sminuire quello che stai provando mostrandoti rilassata e tranquilla, e non è la prima volta che fallisci miseramente. Lavi le mani e ti concentri su quello che stai facendo come se dovessi operare qualcuno.
“Che succede? Sei stata taciturna per tutta la sera. Va tutto bene?”
Non riesci a credere alle tue orecchie, alzi lentamente la testa e affronti il suo sguardo.
“Non credevo tu ti fossi nemmeno accorta della mia presenza.” Avresti voluto uscisse dalle tue labbra con molta rabbia, o con più sarcasmo, invece no, è solo triste e ti senti una merda appena vedi il suo viso corrugarsi.
Incrocia le braccia al petto e guarda il soffitto, sospira, ti guarda e fa un passo verso di te e tu rimani lì con le mani gocciolanti sospese sopra il lavandino.
“Senti, io non ho la più pallida idea di come affrontare questa cosa. Non mi era mai capitato di…”
“Di stare con una donna.” Non fingi nemmeno di voler tirare a indovinare, sai che è quello ciò che sta per dire.
Sorride e scuote la testa. “…non mi era mai capitato di avere questa…cosa…con un collega, molto più giovane di me oltretut…”
“Sono solo nove anni.” Lo dici con troppa foga, te ne rendi conto anche da sola.
“Una Pastorellinettina che è pochino una patata lessa.” Ti scosta i capelli dal volto e ti posa la mano su una guancia, guardandoti con tenerezza.
Tu chiudi gli occhi e sospiri.
“Ma si, è anche la prima volta che mi approccio in tal senso a una ragazza.”
Il fatto ti definisca ragazza ti punge nell’orgoglio e ti irrigidisci, lei si avvicina ancora di più a te e ti prende il volto con entrambe le mani, portandoti così ad aprire gli occhi.
“Non ho la più pallida idea di cosa sto facendo.”
C’è tanto dispiacere nella sua voce che ti senti in dovere di rassicurarla “Nemmeno io.” ti sorride e non vuoi che la cosa venga sminuita così facilmente. “Ma per quanto mi possa stare bene essere la tua toy girl, questo…” definirti la sua toy girl ti sta eccitando a molti diversi livelli, ma ti sforzi di rimanere concentrata sul discorso che stai facendo, di mantenere una credibilità nonostante il tuo stupido corpo traditore.
Indichi voi due, ma poi cambi idea e lasci cadere stancamente le braccia. “Essere ignorata come stasera non mi piace per nulla. Mi fa sentire come se non fossi un essere umano, ma solo delle dita a chiamata.” Come in ogni momento di agitazione, dai fiato alla bocca senza prima collegarla al cervello.
Va bene che il concetto che volevi esprimere era quello, ma la scelta delle parole lascia molto a desiderare.
Leila lecca le labbra e annulla la distanza tra voi, ti sposta i capelli dalla spalla e ti lecca il collo.
“Tu non sei cosa?”
“I…io…” Vorresti stringerla a te, sentire il suo corpo contro il tuo, ma le tue mani sono ancora bagnate e rimani ferma come un’ebete. L’assalto finisce velocemente, anche perché siete più esposte del solito.
“Mi dispiace Pastorellinettini-toy. Non ho mai pensato tu fossi solo un paio di dita a chiamata.” Le ultime tre parole le sussurra con tono molto più basso contro il tuo orecchio ed è come se ci avesse infilato lava pura, che si sta diffondendo all’interno del tuo intero corpo.
“O….ok…”
Si allontana da te e ti guarda negli occhi, ti sistema un ciuffo di capelli ribelle e ti sorride “Mi dispiace davvero.”
Il festival di fuochi d’artificio parte di nuovo nella tua testa e tu vedi uno spiraglio che ti potrebbe permettere di realizzare il tuo progetto.
“C’è un…se vuorimediare…”
Alza un sopracciglio e fa il suo mezzo sorriso sexy. “Non qui Pastorellinetti, pervertitina.”
Arrossisci così tanto che ti si riempiono gli occhi di lacrime, ma non cedi alla sua provocazione. “Non vogl…non quello!!! Voglio farti un regalo e voglio tu lo accetti senza dire mezza parola.”
Piega il piede destro e ci dondola sopra, tu guardi il gesto inaspettato con entrambe le sopracciglia alzate e ti senti improvvisamente nervosa.
“Leila?”
“Ok…ma passerai il resto della serata a parlare di sesso, come ai vecchi tempi.”
“COSA?”
Ti porge la mano con un sorriso divertito sul volto e tu asciughi la tua sui jeans, e accetti quell’offerta, pentendotene subito dopo.
“Ora torna al tavolo o penseranno che ti sei sentita male.”
Il che era il tuo progetto fin dall’inizio, vai verso la porta e lei ti da una pacca sul sedere e ti fa l’occhiolino, facendoti agitare così tanto che dimentichi di dover ancora asciugare le mani.
Se speravi che la tua cotta scherzasse sul suo progetto di farti parlare di sesso, ti sei tristemente illusa, non solo inizia il discorso del sesso, ma stuzzica Carlotta affinché ti riempia di domande tecniche del sesso tra donne e passa il tempo ad accarezzarti il polpaccio con il dorso del piede.
Più volte arrossisci così tanto che gli occhi ti si riempiono di lacrime e spiegare il perché alle altre è ogni volta più difficile.
Paghi quel pegno più che volentieri perché dopo l’aperitivo voli a casa e cerchi l’albergo perfetto. Tra affittacamere, appartamentini e B&B trovi quello che fa per te, prenoti una stanza matrimoniale per una persona a nome Ferrari, sei tentata fino all’ultimo di prenderla per due, ma è una cosa che vuoi fare per lei e lei soltanto, non vuoi pensi sia un modo per portartela a letto, anche se il letto sarebbe una piacevolissima alternativa a muri, alle varie celle, carrelli e scaffali.
Passa mezz’ora da quando effettui il pagamento e ricevi il messaggio di conferma, la mail l’hai fatta arrivare direttamente a lei, quando il tuo telefono si illumina.
 
“Un libro è un regalo, Pastorellini, un cioccolatino lasciato nell’armadietto, è un regalo, non una camera d’albergo.”
 
Batti le dita contro la cover del tuo iPhone, cercando una risposta, sei indecisa se supplicarla o se ricordarle che ti ha fatto una promessa e che deve sottostarci.
Stai per digitare la tua supplica, quando ti arriva un altro suo messaggio.
 
“Ho cambiato prenotazione, suite per due per il fine settimana e pago IO la differenza Pastorellinetti.”
 
“ok.” È tutto quello che riesci a rispondere.

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Capitolo 28
*** ch27 - Sleep no more ***


ch.27 – Sleep no more.
 
Leila butta la testa all’indietro e inarca la schiena, spingendo il corpo con più forza contro il tuo, il che ti porta inevitabilmente a spingere più in lei, ottenendo un suono gutturale tanto bello che non vuoi mai più lasciare questa stanza d’albergo, puoi morire di fame o di sete, non ti importa, purché tu possa morire tra le sue gambe.
Ti attira a se e ti preme il volto contro il suo, tu obbedisci e la baci ma ben presto lei ha bisogno di ossigeno e affonda di più la testa sul cuscino, ansimando selvaggiamente, tu ne approfitti per baciarla su tutto il volto, sul collo, sul petto, lungo ogni centimetro di pelle nuda accessibile, chiedendoti a ogni bacio come sia possibile che tu stata così sfacciatamente fortunata da poterla vedere in uno dei rari momenti in cui non ha il pieno controllo della situazione.
È facile capire che abbia appena avuto un orgasmo, il suo corpo te l’ha urlato molto più chiaramente di quanto non abbia fatto la sua voce, il problema è che nell’estasi dell’apice si è aperta di più a te e ora tu non puoi e non vuoi smettere di muoverti in lei. Continui quindi a farlo finché lei non affonda le dita nel retro del collo e poi le fa scendere lungo la tua schiena con un urlo.
Lecchi le labbra e vuoi solo continuare a farla venire senza interruzioni, lei ride e ti spinge via posandoti una mano sulla spalla.
“Tre di fila è tutto quello che posso reggere, Martina.”
“Tre?” Lo shock di sentire quel tre, unito a quello di sentire il tuo nome, ti distraggono il tanto giusto da permetterle di liberarsi della tua presenza, spingendo con più forza. Ti lasci cadere sul cuscino e lei ti sistema un ciuffo di capelli, stira i muscoli con le movenze di una gatta e si lascia cadere con un sospiro.
“Vorrei una sigaretta. Ho bisogno di una sigaretta.”
“Fumala.”
Ti guarda di sottecchi e sembra quasi che sappia quanto il fumo ti infastidisca, ti indica il cartello accanto alla porta senza distogliere lo sguardo da te.
“Non si può Pastorellinetti, sono stanze non fumatori.”
“Chissenefrega, se vuoi fumare, fuma.”
“Stai diventando una ragazza cattiva? Vuoi per caso dirmi che ne vuoi una anche tu?”
Scuoti la testa, lei giocherella con un ciuffo ribelle dei tuoi capelli, si alza con un grugnito e ti guarda con rimprovero, tu sorridi soddisfatta.
Infila il suo piumino attorno al corpo nudo e sudato, recupera il pacchetto di sigarette dalla borsa, l’accendino e il posacenere portatile e tu per tutto il tempo le fissi il sedere senza vergogna. Sarà anche vero che questa cosa tra voi ormai va avanti da tre mesi, ma non avevi mai avuto il piacere di vederla completamente nuda e hai tutte le intenzioni di rifarti per il tempo perso.
Leila apre la porta finestra che si affaccia sul vostro piccolo balconcino, dal quale si dominano i quartieri Marina e Stampace e i loro tetti rossi, ovviamente il porto e quindi il mare. È una vista mozzafiato, impossibile da vedere da qualsiasi altro punto della città e sei fiera di te stessa per l’idea che hai avuto.
Consapevole o meno del tuo fissarla, Leila si mette in un punto in cui riesci perfettamente a vederla, accende una sigaretta e fuma pigramente, guardando dritto davanti a se. Resisti il più possibile, il che dura più o meno due minuti scarsi, ti avvolgi nel piumino che sganci dal letto, e vai fino a lei, rimanendo all’interno della camera.
“La tua città è un vero spettacolo.”
“Uno spettacolo, si.” Stai guardando lei, non lo scorcio di Cagliari.
Più cose di lei conosci, più pensi che sia una donna stupenda, la donna dei tuoi sogni, e più lo pensi più hai bisogno di sapere altre cose su di lei. A che età si è sposata, che lavori ha fatto, cosa l’ha portata a lasciare Milano per Cagliari, perché ha divorziato, se ha fratelli e sorelle se…
“Sei mai stata con una donna?”
Si gira con un sorriso incredulo sul volto e tu capisci di aver appena chiesto una cosa stupida.
“Intendevoprima di…”
“Respira Pastorellina, respira.”
Sbuffi, non respiri e quasi quasi allungheresti la mano per fare un tiro dalla sua sigaretta e dimostrarle che non sei tutta questa ina, ma la visione di lei che fuma lentamente e parla con altrettanta lentezza è un’opera d’arte per te, quindi non muovi altri muscoli che quelli oculari.
“Quando ero alle scuole superiori…sai l’artistico e la fase della ribellione.” Si finge annoiata, ma i suoi occhi brillano di malizia. “Ho baciato qualche ragazzina qua e là. Tra erba, vino scadente e ragazzini eccitati. Ma nulla di più di qualche toccatina e non ci ho mai dato troppo peso.” Esce dai suoi ricordi e ti guarda con un sopracciglio alzato. “Che scema, no che non lo sai, sono certa che tu non abbia mai fatto cose del genere.”
Ha perfettamente ragione e tu alzi il piumone a nasconderti finché lei non sposta ancora il suo sguardo verso la città.
“Niente sesso con donne, molti uomini imbecilli e succhia sangue, ma niente donne.” Da’ un ultima, lunga aspirata alla sigaretta, la infila nel posacenere senza spegnerla e poi soffia con diligente lentezza il fumo fuori dalle labbra dischiuse.
“Torniamo dentro che mi fanno male le gambe.”
Ridacchi soddisfatta e lei ti lancia un’occhiataccia, vorresti dirle che è quello che merita per averti fatto aspettare, per averti rubato il primo round, ma parrebbe una lamentela e tu non hai nulla di cui lamentarti.
Fin dal primo momento in cui hai messo piede in albergo è stata una serata perfetta, sei venuta qui direttamente dal lavoro e Leila ti ha a malapena lasciato il tempo di varcare la porta. L’idea era quella di andare a mangiare qualcosa in una delle taverne del quartiere storico, ma sei stata spogliata e sbattuta sul letto con tale velocità da non aver nemmeno avuto il tempo di vergognarti per la tua nudità e per la novità della situazione.
Che tu ti vendicassi di quell’assalto era il minimo che la tua cotta potesse aspettarsi.
Ti risdrai al tuo posto cercando di sistemare alla meglio il piumino senza esporre troppo il tuo corpo nudo, la tua compagna invece lascia cadere il giubbotto sul pavimento e si butta sul letto completamente nuda, esponendosi al tuo sguardo adorante senza l’ombra di vergogna e chi sei tu per negarle i tuoi occhi adoranti? Nessuno, quindi veneri con gli occhi ogni millimetro del suo corpo.
“Puoi toccarmi lo sai? Non devi aspettare il mio permesso per farlo.”
“Ma io ti…nonaspettoiltuo…”
“Aspetti il mio permesso e a questo punto non ne capisco il motivo. Mi pare di averti dimostrato che non mi dispiace affatto se mi tocchi.”
Apri e chiudi la bocca e poi inizi a sbattere i canini gli uni contro gli altri, alternandoli. Vorresti dirle che non puoi semplicemente toccarla come se tu ne avessi il diritto, come se lei fosse una qualunque.
Afferra il piumino e lo tira verso il basso esponendo lentamente la tua nudità, afferri immediatamente il tuo scudo per impedirglielo, ma lei non desiste.
“Martina…” ti circonda il polso con una mano e riprende la sua discesa guardandoti negli occhi e tu accompagni il movimento in preda al suo incantesimo.
“A volte ho l’impressione tu abbia paura di me. Come l’altra sera al tour, se pensavi io ti stessi ignorando, perché non sei venuta a parlami tu?” La sua voce è calma e tranquilla e tu sospiri, lasciando andare il piumino perché è arrivato a un punto in cui saresti costretta a piegarti per continuare a scendere. È lei a far finire la sua corsa e abbandonarlo ai vostri piedi. Torna al suo posto e inizia a disegnare linee immaginarie sul tuo petto.
“Sono una donna come tutte le altre, nulla di più.”
Ti issi su un gomito con tanta foga che lei si allontana da te. “Non dire assurdità.”
“Assurdità? Addirittura?” Ha quel suo mezzo sorriso canzonatorio e tu ti senti avvampare perché stai cercando di fare quella a cui non importa, quella a cui sta bene far sesso ogni tanto, ma non puoi lasciarle pensare di essere una qualunque.
“Assurdità, si. Tu non sei una come tutte le altre…tu sei…tu sei…un vinile tra i cd…”
Aggrotta le sopracciglia e capisci di aver sbagliato paragone. Quello giusto però ti viene subito dopo. “Mentre tutte le altre donne sono dei libri tascabili o inversioneeconomica, tusei” prendi un respiro profondo perché questa gliela vuoi dire bene “…tu…Leila…sei una prima edizione, rilegata in pelle e con i bordi dorati.”
“Mi stai dicendo che sono vecchia, Pastorellinetti?”
“Cos?!?!?!?!? NO! Certo che no. Tu non sei vecchia, tu sei…tu sei perfetta.” Ti sfugge dalle labbra per la foga, perché non solo sei la regina delle patate lesse, sei anche una Pastorellinettinina e i tuoi 35 sono solo anagrafici, magari fisici, ma non mentali.
Il sorriso di Leila smette immediatamente di essere malizioso, ti fa scorrere lo sguardo addosso e sai di essere arrossita su tutto il corpo senza che lei lo dica.
Ha l’espressione tenera e imbarazzata che le hai visto poche volte addosso, più precisamente l’hai vista solo la volta in cui le hai regalato il libro.
“Sono solo una donna nuda nel letto con te, Martina.”  Ti accarezza il volto, il collo, la spalla e il braccio, ti prende la mano e giocherella con le tue dita. “Puoi toccarmi come e quando vuoi.”
L’invito ti terrorizza ed eccita contemporaneamente e il suo sguardo carico d’attesa non aiuta per niente.
Riempi i polmoni d’aria e rimani indecisa se assecondare le tue fantasie più selvagge o se mantenere la linea della toy girl a chiamata. La tua compagna di letto si sdraia meglio e il tuo stupido cervello capisce finalmente che il suo invito va oltre il momento o la tua perenne esitazione, che ti sta cedendo il timone e saresti un’idiota a non accettarlo.
Scegli la tua fantasia più semplice, tuttavia più bruciante, ti inginocchi davanti ai suoi piedi, sollevi quello destro e ne baci dolcemente la caviglia, lei ha un brivido e cerca di sfuggirti, quindi probabilmente le stai facendo il solletico e nient’altro, ma è giusto il tempo necessario ad abituarsi al tuo tocco delicato, dopo di che rimane ferma tra le tue mani come se fosse la cosa più normale del mondo.
Tu risali ogni millimetro della sua pelle, studiandola e adorandola, domandandole da dove provenga quella tremolante L tatuata sulla sua caviglia sinistra, o ogni più piccola cicatrice o segno che trovi nel suo corpo, lei ti racconta brevi storielle della sua vita: di quando ha tatuato tutti i suoi compagni di scuola con l’ago intinto dell’inchiostro; di quando suo fratello minore la spinse giù dalla bici; di quando si è tagliata la prima volta che ha provato a rasarsi le gambe; di quando era bambina e stando sotto il sole si bruciava la spalla destra, sempre quella e sempre nello stesso punto, ed è per questo che ora ha le lentiggini solo lì; di quando si è quasi rotta una spalla cercando di insegnare a suo figlio ad andare sui pattini in linea.
Sono storielle senza importanza, eppure per te sono fondamentali perché ti sta mostrando una parte di sé, ti sta donando una parte di sé e tu hai la sensazione che, con ogni bacio che lasci sulla sua pelle, stai portando via un pezzo di lei, e ciascuno di quei pezzi sta entrando in te e lo custodirai con gelosia finché avrai fiato in corpo.
Oscillate tra piccole confidenze e passione per diverso tempo, e tu diventi dipendente dal suo sapore, dai suoi gemiti, da ogni più piccolo dettaglio del suo corpo, finché i movimenti diventano più lenti e i silenzi più lunghi ed entrambe siete troppo stanche per muovervi.
Tu copri entrambe con il piumone e lei ti da spalle regalandoti una meravigliosa visione dei suoi capelli spettinati sparsi sul cuscino e della sua schiena segnata dai tuoi graffi e dei quasi succhiotti che sei riuscita a lasciarle anche lì.
“Non ci pensare nemmeno Pastorellinettini. Niente coccole.”
Sbuffi una risata e scuoti la testa.
“Tranquilla.”
“E non ti avvicinare troppo. Ti avverto: durante la notte scalcio.”
Chissà perché, sei certa non stia esagerando.
“Rimarrò nella mia parte di letto, tranquilla.”
Ci sono diversi secondi di silenzio e temi lei si sia già addormentata, sussurri un “Buonanotte Leila” il più basso possibile, ancora incredula di essere nuda in un letto assieme a lei.
“Buonanotte Martina.” Una breve pausa. “Niente coccole, non dimenticarlo.”
Il tuo sorriso è tanto grande che ti fanno male le guance e non t’importa un fico nulla se non potrai stringerti a lei e farti cullare dal battito del suo cuore mentre dormi, anche perché non hai nessuna intenzione di dormire.
 

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Capitolo 29
*** ch28 - Fear her ***


ch.28 -  Fear her.
 
La seconda sera è stata molto diversa dalla prima, quando sei arrivata in albergo direttamente dal lavoro: Leila era in accappatoio sulla piccola terrazza e fumava guardando il panorama davanti a sé, le hai portato una bottiglia di vino e lei ne ha bevuto due bicchieri, mentre tu sorseggiavi il tuo tè freddo alla pesca, e avete parlato di molte cose, le hai parlato meglio di Claudia e lei non ha detto mezzo parola al riguardo, ha solo mostrato il suo dispiacere per il cane che hai dovuto lasciare in Toscana.
Non le hai detto che senti di averlo deluso e abbandonato, ma speri lei l’abbia capito.
Lei ti ha raccontato di Maylina, la cagnolina di 9 anni che ha adottato dal canile e di come abbia passato mesi ad andare a trovarla prima di sceglierla, per essere sicura fosse il cane adatto a lei, ha scelto quella più silenziosa e pigra e da come parla è chiaro siano fatte l’una per l’altra e che la ami profondamente.
Sei certa non ne sia consapevole, ma cambia voce quando parla di suo figlio e del cane.
Siete rimaste fuori a chiacchierare o a rilassarvi in silenzio finché lei non ha sottolineato ancora una volta che profumavi di caffè, come in ogni domenica lavorativa che si rispetti, a quel punto ti sei buttata in doccia in preda alla vergogna e lo schifo e lei ti ha inaspettatamente raggiunta, non è stato nulla di troppo sensuale, più un prendersi cura l’una dell’altra dolcemente. La musica è cambiata radicalmente quando siete arrivate gocciolando fino al letto, lì la vostra routine ha ripreso come al solito, il “niente coccole” compreso.
Stamattina ti ha accompagnata a casa e poi è andata al lavoro, hai avuto bisogno di dormire fin quasi a mezzogiorno per poterti riprendere dalla stanchezza, hai fatto una colazione abbondantissima, praticamente un brunch, e ora sei poggiata alla porta della tua stanza e ti guardi attorno con aria perplessa.
Senti che questo fine settimana ha cambiato le cose tra voi, vi ha fatto compiere un passo avanti, ancora non speri che abbiate una relazione, ma la possibilità che un giorno l’avrete non è più tanto assurda. Se avrete una relazione, o se anche le cose dovessero rimanere come sono ora, Leila potrebbe voler passare altro tempo con te fuori dalla scatola blu, magari non a casa sua, dove vive con suo figlio, ma tu vivi da sola, hai una stanza tua, potreste passare il vostro tempo qui.
Ti guardi attorno e fai una smorfia perché al momento la tua stanza sembra quella di un’adolescente di circa diciassette anni e non vorresti mai lei la vedesse, non ora che ha smesso di vederti come una ragazzina, o quasi.
L’armadio è solo un comune armadio, anche se probabilmente dovresti scambiare qualche t-shirt con camice o magliette più femminili e serie, magari eleganti, stesso discorso per i jeans che dovrebbero diventare pantaloni più seri.
L’angolo della tv ti lascia perplessa, ovviamente la tv è una comunissima tv, il problema sono i videogiochi, la playstation, la tua collezione di dvd che comprende film disney, film ghibli, supereroi e film lgbt, più L che altro.
Non sei sicurissima urlino alla maturità.
Ti gratti la testa, fai sbattere i canini gli uni contro gli altri, e decidi che per queste cose correrai il rischio e le lascerai esattamente come sono.
Nascondi tutti i fumetti dietro ai libri classici e alle biografie, ami entrambi nello stesso modo, quindi accarezzi ogni manga con un sorriso triste, chiedendoti se possano o meno capire il tuo tradimento.
Spolveri accuratamente il giradischi e sistemi i vinili con estrema attenzione, è tutta musica pop abbastanza commerciale, ma fanno la loro figura, sai che non c’è possibilità che Leila appaia d’improvviso a casa tua oggi, eppure pulisci, decisa a rendere la tua stanza presentabile il prima possibile.
Guardi il tuo lettino e ti mordi nervosamente le labbra, non hai mai sentito il bisogno di avere un letto matrimoniale o a una piazza e mezzo, dato che dormi un due centimetri quadrati e non avevi nessun interesse a ospitare qualcuno, ma ora ti senti una perfetta imbecille. Fortunatamente lavori in un negozio di mobili, puoi ordinarne uno e fartelo arrivare direttamente a casa senza spendere un occhio della testa. Magari un letto da una piazza e mezzo andrebbe meglio, sia per le dimensioni della stanza, che per le dimensioni dello stesso letto, che a lungo andare potrebbero costringere qualcuno a lasciarsi andare alle coccole.
Appurato che al momento non puoi fare nulla per il letto, infili in un cassetto l’action figure del tredicesimo dottore, più il suo cacciavite sonico e il diario di River Song, il set lego della principessa Leia e la tazza degli Hufflepuff, e questa operazione è stata abbastanza semplice, il difficile viene ora che dovrai affrontare l’ardua impresa di ripulire le pareti della tua stanza. Gratti ancora una volta la testa e avvicini la sedia ai primi due quadri a giorno, ne afferri uno e lo stacchi.
“Scusami Dottore, ma dobbiamo finirla qui.” Sono entrambi ritratti del tredicesimo dottore di un’artista del web che adori e ti dispiace toglierli, ma ti dispiacerebbe molto di più venir declassata a Pastorellinfantile, o qualunque altro appellativo Leila sarebbe capace di affibbiarti.
Oltre al secondo quadro del tredicesimo dottore ce n’è uno del TARDIS, poi c’è il calendario di P!nk che devi sostituire con qualcos’altro perché un calendario ti serve per avere i turni di lavoro sempre a vista, c’è una foto sul set del Generale Organa, la tua tavola preferita di Touch di Adachi e una vecchia pubblicità della coca cola di latta. Credi che quest’ultima sarà l’unica a sopravvivere.
Hai ancora in mano il quadro del tredicesimo dottore quando Laura bussa alla tua porta.
“Allora avevo sentito bene. Sei a cas…Cosa cavolo è successo qui?”
“Ciao Floris.” Le sorridi felice, ma la sua espressione rimane perplessa.
“Devo trovarmi un’altra coinquilina?”
“Eh? Perché?”
“Stai smantellando la stanza.” Si siede sul tuo letto con la faccia corrucciata e sistema la frangetta.
“La sto solo rendendo adatta alla mia età.”
“È sempre stata adatta alla tua età.”
“Non direi, troppe cose ner…”
“Dov’è finita 13?”
Laura non ha mai visto Doctor who, più precisamente non siete ancora arrivate a vedere l’undicesima stagione in cui Jodie Whittaker interpreta la tredicesima incarnazione del dottore (è prima stagione nei 50 anni del telefilm in cui il protagonista è interpretato da una donna, e che donna, oseresti dire), eppure la tua coinquilina ha sviluppato una strana simpatia per lei.
“Nel secondo cassetto del comodino.”
Apre immediatamente il cassetto e tu alzi un dito ad ammonirla. “E lì deve rimanere!!!”
“Ma perché? È la tua 13!!! È il tuo dottore preferito.” La prende e le accarezza la testa con gesti gentili.
“Perché magari sono stanca di avere un dottore preferito e vorrei…”
“Chi è?”
“Che?” Molte ottave più alte del tuo tono normale.
“Chi è che ti sta spingendo a cambiare stupidamente te stessa? E, tra parentesi, non c’è nulla da cambiare.”
I suoi modi ti stanno irritando, quindi posi il quadro, scendi dalla sedia, vai verso di lei e le strappi di mano l’action figure, rimettendola immediatamente al suo posto, dentro il cassetto del comodino.
“Ho molte cose da cambiare, soprattutto le cose che sono da diciasettenne e non da trentacinquenne.”
“Questa cazzata da dove esce?”
Ti fermi, perché Laura non è solita avere uscite così dirette, non con te almeno, con te è sempre diplomatica.
“Non vedo dove sta scritto che a 35 anni non possa piacerti un personaggio di un telefilm o una cantante o…una attrice-scrittrice morta o…nerd stuff.”
“Non so…OVUNQUE?” Questo discorso ti sta infastidendo moltissimo.
“Mi dici chi è?”
“Perché credi che…”
Ti guarda con il suo sguardo da: “perché ti conosco da quando avevi 16 anni” e capisci che è giunto il momento di svuotare il sacco anche con lei. Guardi il letto sul quale è seduta e decidi di non volerle stare troppo vicina quando sgancerai la bomba, quindi prendi la tua sedia da scrivania e la porti fino a lei, senza avvicinarti troppo però.
“Io ho…una cosa.”
“Una cosa è una strana definizion…”
“Leila…io ho…” gesticoli e poi lasci cadere le mani sulle gambe.
“Leila…la responsabile delle vendite che ha un figlio adolescente, che viene da Milano, che ha più di quarant’anni e che è eterosessuale?”
Arrossisci, come era ovvio. “Dovevi davvero…” gesticoli senza finire la frase, di nuovo.
“Ok, tu stai andando a letto con una tua responsabile.” Si irrigidisce e poi è come si sgonfiasse lentamente. “Stai andando a letto con una tua responsabile.”
“Puoi smettere di ripeterlo? Detto così lo stai facendo sembrare…”
“Sporco? Sbagliato? Perché lo penso eh…che sia sbagliato dico.”
“Wow…that escalated quickly.” Essere sotto shock porta fuori il tuo lato nerd a quanto pare.
“Ok Marty non capire male, non voglio giudicarti.”
“Ah no? Perché è esattamente quello che stai facendo e lo stai facendo benissimo.”
Sospira e preme la mano sugli occhi, la conosci abbastanza da sapere che sta per scoppiare il suo mal di testa, quello che le viene da quando è inciampata e ha battuto la testa su un sasso, ma non hai tempo per preoccuparti per lei, non hai voglia di preoccuparti per lei.
“Ok…no, così non va bene.” Fa un respiro profondo e lo accompagna alzando e abbassando le mani. “Io non conosco questa Leila…”
Il fatto che la definisca “questa” non ti sta per niente aiutando a calmarti, al contrario.
“…ma entro in camera tua e la trovo sventrata…”
“Sventr…”
“…unito al fatto che sono giorni che sei strana, che hai passato il fine settimana fuori senza nemmeno dirmi una parola…”
“Mesi. Sono mesi.”
Si ferma, chiude gli occhi e quanto li apre su di te sono molto più feriti di prima. “Mesi?”
“Sono mesi che…vado a letto con lei.” Vorresti usare un’espressione più efficace e veritiera, perché il letto l’avete visto solo nei due giorni passati, ma diventare volgare per infastidire o schifare Laura non ti sembra la cosa più saggia da fare.
La tentazione rimane comunque forte fino all’ultimo.
Lo sguardo della tua vecchia amica diventa sempre più cupo e ferito. Stringe le labbra e annuisce.
“Ok, sono mesi che vai a letto con lei e non mi hai detto mezza parola, il che indica che ti sta solo usando per svuotarsi le palle…fanculo, non so come si dica per due donne.”
“Alla faccia del non voglio giudicare.”
“Non ti sto giudicando, non lo farei mai, lo sai…”
“Credevo di saperlo, evidentemente mi sbagliavo.” Pensavi che “vedere rosso” fosse un’esagerazione da fumetto, invece al momento è esattamente quello che stai provando, il sangue ti sta pulsando nelle tempie con forza e senti un retrogusto amaro in bocca. Dai fuoco alle polveri senza pensarci una seconda volta. “Tu sei una delle mie migliori amiche, Laura…”
“Certo…”
“E dovresti volermi bene ed essere felice per me perché mi sto avvicinando a una persona che sai perfettamente piacermi molto.”
“Lo so…”
Non vuoi farla parlare, non vuoi sentire la sua voce, vuoi solo che ascolti e che smetta di giudicare cose che non conosce. Ti alzi in piedi e alzi la voce. “Dovresti essere felice per me e non stare li a giudicarmi, a chiamare la donna che mi piace quella e a insultare lei e la nostra relazione.” Sputi una risata amara. “Da che pulpito poi non lo so, visto che non sei in grado di tenerti un uomo nemmeno se lo leghi a letto.” Hai gli occhi pieni di lacrime per la rabbia, ma mentiresti dicendo di essere arrabbiata solo con lei.
Laura si alza con tutto lo stoicismo di cui è capace, va verso la porta della tua stanza con passi molto misurati e non ti occorre guardarla per sapere che l’hai colpita nel nervo più scoperto e doloroso di tutti. Si ferma sulla soglia, ma continua a darti le spalle.
“Sarà vero che non riesco a tenermi un uomo.” Le trema la voce, ma dura un battito di ciglia “Ma è anche vero che siamo amiche da sempre, che sei una delle mie migliori amiche e che ti voglio bene. Questo mi porta come una stupida a preoccuparmi per te e tu puoi cercare di fare la persona adulta, ma questo?” Fa una pausa che ti costringe a guardarla, ti indica lo spazio vuoto sul muro “Questo urla che vuoi cambiare per lei, quindi che provi dei sentimenti per lei e io di lei non ho mai visto traccia, non ti ho mai sentito parlare al telefono con nessuno che non fosse tua madre, Fede o Rossella, non ti ho mai visto messaggiare con qualcuno e sicuramente non ho mai visto questa fantomatica Leila a casa nostra. Il che, mi dispiace, ma urla al disastro, urla al si sta svuotando solo le palle, o qualunque sia la versione per voi lesbiche. Urla al fatto che, come la meravigliosa patata lessa generosa che sei, continuerai a dare e dare e dare senza ricevere nulla in cambio, e lei ti spezzerà il cuore senza pietà e, da stupida quale sono, non vorrei accadesse.”
“Sono una persona adulta.”
“Oh si, lo stai dimostrando senza alcuna ombra di dubbio.”
“Puoi risparmiarti il tuo sarcasmo di merda.”
“Si, tranquilla, io, il mio sarcasmo di merda e la mia incapacità di tenermi un uomo, ti lasciamo in pace. Ti auguro solo buona fortuna, credo davvero tu ne abbia bisogno.”
Vorresti la porta si chiudesse con un suono secco, invece Laura la appoggia e chiude dolcemente, lasciando la tua rabbia insoddisfatta. Sei quasi tentata di andare lì e sbatterla tu, ma sei superiore e hai altro da fare.
Riporti la sedia accanto al muro e togli il secondo quadro, pensando a cosa potrai appenderci e cercando di ignorare la voce che continua a dirti che sei solo un giocattolo sessuale e nulla di più.
Vorresti fosse quella di Laura, ma suona tanto come quella di Leila.
 
 

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Capitolo 30
*** ch29 - The almost people ***


ch.29 – The almost people.
 
“Signorina, non avete i biscotti alla cannella?”
Non sai se ti dia più fastidio il “signorina” all’inizio delle frase; il fatto non ci sia un saluto qualunque prima della domanda; o il fatto che sia l’ennesima persona che confonde la cannella con lo zenzero. O forse l’unica cosa che ti da veramente fastidio è che stai parlando con il cliente che hai davanti, e che stai servendo, e la simpatica signora ha deciso che dovevi servire lei e lei soltanto, interrompendovi senza la minima esitazione.
Stringi i denti e concentri tutte le tue forze nel non alzare gli occhi al cielo, il ragazzo al quale stai porgendo la busta ti sorride complice e tu sospiri, grata di avere un alleato in questa situazione fastidiosa.
“Signorina, allora? Non avete i biscotti alla cannella, vero?”
Saluti il ragazzo dandogli lo scontrino e ringraziando, ti giri verso la cliente insistente e ovviamente è una donna di oltre sessant’anni, probabilmente una di quelle che si lamenta della maleducazione dei giovani.
Fai un respiro profondo e la accogli con il tuo sorriso più grande e finto. “Si signora, sono quelli nella scatola grande verde, dove c’è scritto ginger. Sono allo zenzero E cannella.”
“No, non c’è scritto cannella.”
Oh ok, è una di quelle che non ascolta, che crede di aver ragione a prescindere. Provi la tentazione di mentirle dicendole che è vero, ti sei sbagliata e avete finito i biscotti alla cannella che, sia messo agli atti, non esistono.
Fai il giro del bancone e prendi un pacco dei suddetti biscotti, lo giri perché sul fronte le scritte sono in inglese e per trovare la lista ingredienti in italiano devi leggere il retro.
“Si signora, le assicuro che sono questi guard…”
“Li ha comprati mia figlia e mi ha detto che li ha comprati qui, li ho mangiati da lei ed erano alla cannella.”
Ti irrigidisci e vorresti spaccarle la scatola di biscotti in testa o magari fargliela ingoiare intera, se solo la gente imparasse ad ascoltare, il tuo lavoro, così come quello di chiunque altro, sarebbe più facile come minimo del 500%.
“Si signora, questi sono i nostri famosi bis…”
“Erano in una scatola di latta.”
Perfino il suo profumo è fastidioso, esattamente come lei.
“Quello è perché erano la versione natalizia, da metà ottobre a fine dicembre li portiamo nella scatola di latta, ma le assicuro che sono lo stesso prodotto.”
“Lei dice?” Ha la faccia dubbiosa e tu pensi che se al tuo posto ci fosse un cartonato sarebbe esattamente la stessa cosa per lei.
“Si signora, le assicuro che…”
“Mah, io ricordo che erano alla cannella e non allo zenzero.”
“È perché la cannella ha un sapore più forte rispetto allo zenzero e tendiamo a riconoscerlo di…”
“Io sentivo la cannella.”
Ormai è una sfida per te: devi farle comprare quello stupido pacco di biscotti.
“Facciamo così, ne apro uno e glielo faccio assaggiare.” Prendi una confezione piccola per aprila e farglielo mangiare, magari si cheta per qualche secondo.
“Ma quelli sono diversi.”
Ok, alla sfida si aggiunge anche quella di non strozzarla. “No signora, sono lo stesso identico prodotto: confezione più piccola e in diversa forma, l’impasto però è lo stesso.”
“Mmmmh…non lo so.”
Potresti aprire quelli grossi, ma non vuoi dargliela vita, il bar è tuo, non suo. In più in questo formato ti sarà più semplice offrirli con il caffè, visto che sembrano fatti apposta per essere poggiati sul piattino accanto alla tazzina.
“Le assicuro che l’impasto è lo stesso.”
“Se lo dice lei, io ancora non sono convinta.”
Le dai le spalle e alzi gli occhi al cielo, recuperi una pinza e le porgi un biscotto con un sorriso stampato sulla faccia.
“Testarda eh?” In realtà non è testarda, è una maleducata prepotente che non rispetta il lavoro degli altri perché, cosciente o meno, ti sta ripetutamente dando dell’incompetente e non ascoltandoti ti sta solo facendo perdere tempo, che potresti impiegare in modo molto più utile.
Se non fosse che TU sei TESTARDA e devi vincere a tutti i costi.
“Mh…si…mi sembrano quelli. Sono davvero buoni.”
Stringi i denti per non urlare un: “È mezz’ora che te lo dico, stronza! CERTO CHE SONO QUELLI, io LAVORO in questo posto!!!”. Opti invece per un più politicamente corretto: “Sono contenta di averla accontentata.”
“Bene, io però li voglio nella scatola di latta.”
Valuti la possibilità di rispondere con un “E allora vada a fanculo con la maiala di so’ figlia e torni a ottobre.” Ma, di nuovo, non puoi farlo.
“Temo dovrà aspettare la versione natalizia per quella.” E la pagherà di più, avendo meno prodotto.
“Natalizia? A Dicembre quindi?”
Ti chiedi se sei finita all’inferno e questa sia la tua tortura personale, ma smetti di preoccupartene quando vedi con la coda dell’occhio Alex e Leila avvicinarsi al bar, e quando due responsabili ti approcciano contemporaneamente non è mai un bene.
“Si signora, a dicembre.” Stai dando un’informazione sbagliata e non ti importa nulla, tanto comunque miss simpatia davanti a te non ti ascolta e l’ha dimostrato più volte. Senti gli occhi dei due responsabili addosso e ti senti a disagio anche a fare una cosa semplice come uno scontrino. Arriva un altro cliente, gli fai cenno di aspettare un minuto e vai verso Alex e Leila con gli occhi socchiusi e passo malfermo.
“Ditemi.”
Come ti aspettavi è Alex a parlare “Pastorelli sono qui per darti un feedback diretto.”
Passi lo sguardo dall’uno all’altra, alla ricerca di una qualsiasi spiegazione sul volto di Leila, il suo sguardo è indecifrabile, come sempre, ma sta dondolando sul piede e le sue labbra sono leggermente deformate da una smorfia.
Ti costringi a guardare ancora il tuo responsabile, che ha chiaramente il compito di parlarti. “Dimmi tutto.”
“È venuta una signora a lamentarsi perché sei stata maleducata.”
Tutto nella tua vita ti è stato detto, tranne che sei una persona maleducata.
Puoi essere irruenta e fredda, scortese, scostante, stronza e molte altre cose sgradevoli, maleducata no, un’educazione l’hai avuta e ne vai fiera. Alzi un sopracciglio e guardi di nuovo Leila, questa volta scuote leggermente la testa e le si legge in volto che vorrebbe essere ovunque tranne li, e non perché sei tu, ma perché è stupido quello che sta succedendo.
La signora dei biscotti è ancora davanti allo scaffale che ragiona su scatole di latta e bisogni personali, quindi non è stata lei. Provi a ricordare chi altro possa essere stato ma non hai avuto screzi con nessuno: una signora si è lamentata che non avevate caffè decaffeinato; una ti ha tirato un pippone sul fatto non abbiate nulla vegan-friendly; una ha cercato di saltare la fila e l’hai cortese rimessa al suo posto; una voleva a tutti i costi della camomilla, che non avete. Tutte persone che sono arrivate, ti hanno scaricato merda addosso e sono andate via, a nessuna di loro hai risposto a tono, ti sei limitata a sorridere e a rispondere con un tocco di ironia, sempre nel rispetto e nell’educazione, ma sei un essere umano non puoi sopportare la merda di tutti i frustrati senza reagire mai.
“Sinceramente, non è successo che mi faccia capire chi possa essersi lamentato del mio comportamento.” Vedi con la coda dell’occhio che le persone al banco ora sono tre.
“Meglio così, almeno starai più attenta per il futuro.”
Sgrani gli occhi perché ti sembra la frase più stupida tu abbia mai sentito.
Leila gli mette una mano sul braccio prima che lui parta con uno dei suoi sproloqui senza fine “Andiamo, lasciamola lavorare.” La sua voce è miele per le tue orecchie e ti rilassi all’istante, fanculo Alex, fanculo la stronza che si è lamentata di te e fanculo i biscotti alla cannella che non esistono.
“Io lo so che non sei maleducata, ma a volte sta tutto nei modi, nel modo di porsi soprattutto.”
“Alex.” Lo riprende come se fosse un ragazzino e il potere che emana è sempre molto sexy, anche se in teoria è lì per cazziarti.
“Si, si. Andiamo.” Come tutti diventa un agnellino al suo cospetto, pure lui che è un uomo grande e grosso. “Dajè Pastore’ che ci si può sempre migliorare.”
Li guardi andare via, prima di svoltare l’angolo Leila si gira verso di te, scuote la testa e alza gli occhi al cielo, segno che la pensa esattamente come te, ossia che la loro incursione al bar è stata una cosa senza senso, che non avrebbero dovuto farlo davanti ai clienti, che era una cosa tanto stupida da poter essere ignorata, ma soprattutto che è stata una perdita di tempo per tutti e tre.
O magari non pensa tutte quelle cose, ma a te piace pensarla così.
La cosa della perdita di tempo per tutti e tre era inevitabile comunque, all’Ikea le cose si fanno così, sempre a quattr’occhi, sempre con un testimone, il che la rende una cosa ufficiale.
Prendi un respiro profondo, ti stampi un sorriso in faccia e servi finalmente il cliente che ti stava aspettando, lui ti sorride “Ma il suo capo lo sa che le persone sono delle emerite teste di cazzo?”
Alzi entrambe le sopracciglia e poi scoppi a ridere. “No, suppongo di no. Ma io non glielo posso dire.”
“Lo dico al suo posto, signorina. Le persone sono delle emerite teste di cazzo, soprattutto quando sono dalla parte del cliente e sono convinte di avere sempre ragione e tutto sia loro dovuto.”
Ridi ancora e gli offri anche un biscotto allo zenzero, ti scusi per averlo fatto attendere e passi al cliente successivo, e così via finché non li hai serviti tutti e rimane solo una ragazza.
“Ciao.” Ti sorride contenta e tu sai di averla già vista, ma non riesci a capire dove.
“…ciao?”
“Mia madre continua a parlare a te e a chiedermi quando la porto a trovarti.”
Anna! È la figlia della vedova che hai fatto piangere!
Hai avuto la testa impegnata, non puoi biasimarti se non ricordi le facce di tutte le persone che passano al bar, anche se questa non è una storia qualunque.
“Mi fa piacere e non ho fatto assolutamente nulla. Come sta? Come state?”
Fa un sorriso tanto triste che ti spezza il cuore. “Andiamo avanti. La vita va avanti, ma ci manca molto.”
Annuisci e sei in totale imbarazzo, non ti piace vedere una ragazza piangere e i suoi occhi sono di nuovo pieni di lacrime. Le metti davanti una cinnamon roll senza chiederle cosa voglia, le prepari anche un caffè macchiato, perché non ti ricordi l’ordinazione di quelli a cui hai appena fatto lo scontrino, ma la sua si.
Asciuga gli occhi e ti ringrazia, il che da il via a una conversazione da bar, ossia parlate del tempo, dei cinnamon, e dei prodotti ikea in generale.
“Quanto ti devo?”
Vai verso la vetrina, prendi due dolcetti svedesi alle mandorle, quelli che tua madre adora e che per Giorgia sono gialli, mentre per te sono verdi, li infili in un sacchetto da asporto, torni da lei e glieli porgi.
Ti guarda con aria interrogativa e tu sorridi.
“Saluta tua madre per me, dille che non mi sono dimenticata di lei e che mi farebbe piacere tornasse a trovarmi. Questi sono…un piccolo promemoria. Una coccola a distanza.”
“La farai di nuovo scoppiare a piangere…” ha gli occhi pieni di lacrime anche lei, ma sorride.
Non sai perché ti importi di queste persone, forse perché tuo padre non è mai stato un padre e questa storia d’amore ha colpito la tua immaginazione e ti ha commossa profondamente, o magari solo è perché ti hanno trattata da essere umano ed è una rarità per te, sta di fatto che in questo momento sei sincera e se la signora vedova dovesse tornare a trovarti, ti farebbe piacere davvero.
“Se sono lacrime di dolore allora…” fai per riprendere il sacchetto e lei scuote la testa.
“Posso…” indica il lato aperto del bancone e tu non capisci subito, ma poi hai l’illuminazione e capisci che vorrebbe abbracciarti, è strano, ma non credi ci sia nulla di male. Annuisci e le vai incontro, vi abbracciate nello stesso punto in cui sua madre ti ha stretta al petto.
“Grazie mille.”
“Non ho fatto nulla di che.” Magari l’Ikea si, ma avete l’opzione della degustazione, perché non usarla a fin di bene?
“Non è vero e ti ringrazio.”
Alzi entrambe le spalle e asciughi gli occhi con il polso, dandoti di stupida per commuoverti così facilmente, lei ti sorride e asciuga anche le sue lacrime.
“Allora vi aspetto?”
Annuisce. “Si, torneremo di sicuro. Soprattutto dopo questi.” Agita il sacchetto e ti sorride.
“È possibile avere un caffè?” Ed ecco il simpaticone educato di turno.
“Ti lascio lavorare allora. Grazie di tutto.”
“Grazie a te e buona serata.” Ti giri verso mr. simpatia senza aspettare una risposta da Anna. “Ha la tessera Ikea?”
“Ntz.” È la sua risposta disgustata, ha il braccio poggiato al bancone e non ti guarda nemmeno.
“Bene, sono novanta centesimi allora.” provi quasi soddisfazione a fargli pagare il prezzo intero.
“Perché, se avevo la tessera era gratis?”
Stringi i denti e ingoi il “se avessi avuto”, il “sarebbe stato” e lo “stupido caprone ignorante” che vorresti urlargli. Ti appiccichi ancora addosso il sorriso e canticchi quasi “No, ma viene a costare la metà con la tessera Ikea, 50centesimi.” Ed eccolo la, fanno tanto i duri e i fighi, ma sentono questa frase e impazziscono per il bisogno di pagare meno il caffè.
“Mia moglie ce l’ha, vado a cercarla.”
Se solo tu avessi cinquanta centesimi per tutti quelli che ti hanno ripetuto sta frase, non avresti più bisogno di lavorare qui.
Lo guardi cercare la povera donna che l’ha sposato e ti lasci andare contro la lavastoviglie pensando che tutto avresti creduto, tranne che lavorare in un bar sarebbe stata questa assurda altalena di emozioni.
Non cambieresti nemmeno una virgola.
 

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Capitolo 31
*** ch30 - The survivors ***


ch.30 – The survivors.
 
Hai provato a suonare il campanello tre volte, senza ottenere la minima risposta. Sei sicura che tua madre sia a casa perché vi ha invitate lei a bere il tè e festeggiare il compleanno di Federica, anche se con una settimana di ritardo.
Il 20 Maggio era il compleanno di tua sorella e ti fa molto strano festeggiarlo senza aver festeggiato quello di Laura, che ha compiuto gli anni solo quattro giorni prima. Hai preso alla tua amica un ridicolmente costoso libro di fotografia, che tieni chiuso nel tuo armadio, avresti voluto darglielo, così come in questo mese avresti voluto molte volte andare oltre il ciao e dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma lei non te l’ha mai reso più semplice e siete rimaste entrambe inchiodate nelle vostre posizioni.
Tu saresti anche disposta a scusarti con lei se lei facesse lo stesso con te, o a non farlo e non aspettare le sue scuse e andare semplicemente oltre. Non è il vostro primo litigio e sicuramente non sarà l’ultimo, non è nemmeno lontanamente il più grave, eppure è diverso dagli altri e sembra non ci sia alcuna via d’uscita.
Sposti la busta con il regalo per tua sorella maggiore, e tua nipote, nella mano sinistra e cerchi le chiavi di casa dei tuoi genitori, che tieni in caso di emergenza. Apri la porta ed è il canto di tua madre a darti il benvenuto, sbuffi e sorridi perché è talmente tanto da lei che dovevi aspettarti che fosse quello il motivo per il quale non sentiva il campanello.
Entri in cucina e lei sta apparecchiando la tavola per il tè, con tazze, biscotti e zucchero, sculettando allegramente a ritmo di musica. Poggi i libri su una sedia e la abbracci da dietro, vorresti ci fosse un modo per farle capire che ci sei senza spaventarla, ma vieni da anni di esperienza, sai perfettamente che si spaventerà comunque. Ed è esattamente quello che succede, fa un salto e si porta la mano al petto.
“Marty! Mi hai fatto spaventare!!!” Non è veramente arrabbiata, se fosse arrabbiata userebbe il tuo nome intero. “Quando sei arrivata?” Ha la voce troppo alta, perché indossa ancora gli auricolari, alzi gli occhi al cielo e gliene sfili uno.
“Sono appena arrivata.”
Toglie anche il secondo auricolare, allarga le braccia e tu ti ci immergi dentro, stupendoti ancora una volta di quanto sia diventata piccola con gli anni, e del fatto che il suo profumo di mamma sia rimasto immutato.
“La mia caganiu. Come stai?”
Sei stracerta del fatto nessun’altra persona che conosci ha come vezzeggiativo “caga nido”. Tecnicamente sarebbe una cosa dolce, qualcosa come l’ultimo uccello della nidiata, ma sta di fatto che ti da di caga nido tutte le volte.
“Sto bene mamy, tu come stai?”
Ti studia con i suoi occhi resi enormi e acquosi dagli occhiali molto spessi. “Ma ti sei pettinata prima di uscire di casa figlia mia?” Cerca di sistemarti i capelli mentre tu sfili lo zaino.
“Sei ingrassata?” Ti sistema la t-shirt addosso.
Alzi gli occhi al cielo. “No mamma, sono sempre uguale.”
“Sei sicura?”
“Sono sicura.”
Suona il campanello e ti salva da quella conversazione senza fine, dai un bacio a tua madre sulla fronte, perché sai che tutto sommato è il suo modo di volerti bene, e vai ad aprire. Ti affacci nell’antro e vedi tua sorella dondolare da uno scalino all’altro, portando una scatola di torta grossa quasi quanto lei. Scendi gli scalini a due a due per aiutarla.
“Ciao Marty Marty.” Si lascia sfilare la torta di mano e ti da un bacio sulla guancia, tu le guardi le pancia con occhi innamorati, le ti afferra la mano con forza, rischiando di farti rovesciare il dolce a terra, e se la porta sul dolcissimo rigonfiamento con uno sbuffo.
“Questa qua è già enorme. In più ha il vizio di sedersi sulla mia vescica e di dare testate allo stomaco.” In effetti per essere di sei mesi la pancia è parecchio prominente, non hai la più pallida idea di quanto sia grande la bambina ora, o di quanto dovrebbe essere grande, sta di fatto che è già stupenda e i tuoi occhi si riempiono di lacrime.
“Andiamo zia Marty che devo fare pipì.”
Annuisci e fai passare prima lei, con l’intento di farle da materasso umano in caso di qualsiasi problema, ridacchi quando noti che quella cretina di tua sorella cammina a gambe aperte e con le mani sulla schiena, come se fosse al nono mese.
Arrivate in casa e tua madre si butta a pesce sulla pancia di tua sorella, ignorando la povera Federica come se non esistesse.
“Ciao amore di nonna.”
“Ciao mamma eh.”
“Oh ciao amore di mamma, come stai?”
Federica ti guarda e scuote la testa, come se non credesse alla sfacciataggine di tua madre.
“Ho voglia di torta, mangiamo subito.” Scappa verso il bagno e tua madre alza la voce per farsi sentire a distanza.
“Fai presto che il tè è pronto.” Scatta per finire i preparativi come se avesse una carica a molla e da che ricordi è sempre stata così, instancabile e dedita alla cura della famiglia, sempre, tranne quando la depressione ha la meglio su di lei e arriva a dormire anche 16-18 ore al giorno.
Andate al tavolo e tua sorella torna e si lascia sedere con un lamento, tu ridacchi e lei ti colpisce sul braccio con la mano chiusa.
“Zia Martina non fare la spiritosa e apri la torta.”
“Agli ordini.” Scarti la torta e rimani pietrificata, guardi tua sorella con gli occhi sgranati e lei scoppia a ridere con tanta forza che sbatte la testa nella finestra alle sue spalle, imprecando subito dopo.
“Imbecille.”
“Ha parlato quella intelligente…”
“Smettetela voi due.” Tua madre versa l’acqua calda nelle tazze e tu sei grata della sua lentezza e del fatto spesso si concentri profondamente in qualcosa prima di farne un’altra, perché se avesse visto l’orribile torta che Federica si è fatta confezionare, avrebbe fatto cadere la teiera ustionandovi tutte.
“Allora MartyCacca, ti piace la torta?”
“È la cosa più oscena che io abbia mai visto.” È letteralmente la testa di un bambolotto che esce da una vagina di torta, con tanto di liquirizie per fare i peli e pezzi e gelatina di fragole per fare sangue e…il resto.
Non vuoi pensare a cosa consista quel resto.
“Non capisci nulla Martycacca, è pura poesia.”
“Se lo dici tu…lo sai che insegnerò a tua figlia a dire le parolacce, vero?”
“Smettetela ho detto” La reazione di tua madre per la torta ti stupisce molto, scoppia a ridere e la serve come se nulla fosse, ma come si dice, le mele non cadono mai troppo lontano dell’albero.
Bevete il tè mangiando la torta che sarà anche stata orribile, ma è altrettanto buona, e nel frattempo chiacchierate del più e del meno, ed è come se non fosse passato un solo giorno da quando vivevate tutte e tre sotto lo stesso tetto. Mentre siete lì a parlare per lo più della gravidanza e dei ricordi dell’infanzia di voi sorelle, suona ancora il campanello, la padrona di casa va a rispondere e poco dopo si riaffaccia in cucina per avvertirvi che deve assentarsi un attimo, perché alla vicina serve il suo aiuto.
Non si sa come o perché tua madre trovi sempre il modo di diventare il punto focale del vicinato e di fare in modo che le vecchine abbiano bisogno di lei.
Tu e tua sorella ridacchiate per “la vecchia che aiuta le vecchie”, poi ti guarda e ti sorride in modo strano.
“Andiamo in camera nostra?”
Annuisci e la segui, lei si mette a sedere sul suo vecchio letto e tu gironzoli per la stanza sistemando libri e fumetti che non hai portato via, salutando le tue bamboline deformed delle guerriere Sailor e accarezzando tutti i peluche della tua infanzia.
“C’è una cosa che vorrei chiederti.” Ha la voce tanto seria che ti giri subito a guardarla.
“Qualcosa non va’? La bambina sta bene? Ti serve un rene? Erik sta facendo lo stronzo e vuoi venire a vivere con me?”
Ride. “No, nulla di tutto questo. Sto bene…” si accarezza la pancia con un sorriso innamorato. “Stiamo bene.”
“Allora cosa…”
Sentite la porta d’ingresso sbattere e poi il lento e pesante incedere di qualcuno. Non occorre essere dei geni per capire che non si tratti di vostra madre, ma che è vostro padre a essere tornato dal suo usuale pomeriggio al bar. Federica si alza e ti guarda, ma tu non hai nessun interesse a salutare qualcuno che ti ignorerà o ti risponderà come se gli costasse fatica, quindi ti giri verso la tua vecchia libreria come se nulla fosse.
Passa qualche secondo e poi senti tuo padre e tua sorella parlare, poche frasi di circostanza e poi il fastidiosamente familiare suono dell’accendino che scatta. Federica torna in camera da te e si chiude la porta alle spalle.
“Io non so come tu faccia.”
Si lascia cadere sul letto con uno sbuffo e accarezza lentamente la pancia. “A fare che?”
“Lui.” Non devi dire altro, anche perché le altre parole sarebbero molto probabilmente insulti.
“Mamma ti ha detto che l’ortopedico si è rifiutato di operarlo all’anca, che né lui né l’anestesista si vogliono prendere la responsabilità dell’operazione?”
Sbuffi una risata amara. “Perché, lui avrebbe avuto il coraggio di farsi operare? Sarebbe una novità.”
“Non lo so se si sarebbe fatto operare, sta di fatto che ha le arterie messe così male che i medici hanno paura di operarlo.”
“E di chi sarebbe la colpa?” Ti irrigidisci subito, è più forte di te.
“Non sto dicendo che non abbia colpa, sto dicendo che non credo gli rimanga molto di vivere e mi fa pena. Che quando non ci sarà più mi mancherà e…”
“Beata te.” Non sai se sia più triste il fatto che tua sorella abbia ancora un rapporto con lui perché le fa pena, o il fatto che tu non stia esagerando quando dici che la sua morte non farà nessuna differenza nella tua vita.
Federica rimane in silenzio e accarezza la pancia con maggior decisione, immagini non le faccia piacere fare certi discorsi mentre porta in grembo la sua bambina e ti dispiace di averlo iniziato.
“Qualche mese fa….quando ancora non ero incinta…” ha abbassato la voce e tiene lo sguardo basso. “Ero in palestra…in viale Elmas…”
Inizi subito a sfregare i canini l’uno contro l’altro perché sai già dove andrà a finire questa frase: viale Elmas è uno dei viali più periferici di Cagliari, quello che porta verso i paesi di Elmas, appunto, Assemini e Decimomannu, ma non è per quello che è famoso, è famoso perché è uno dei punti in cui sostano le puttane più a basso costo dell’hinterland.
Decidi di non dire nulla e lasciarla finire, sapendo che per lei sia molto più difficile che per te, visto che era follemente innamorata di lui. Come ogni bambina che si rispetti, Federica era la principessa di papà, abusata emotivamente, schernita e maltrattata, ma la principessa di papà.
“…e lui era lì, fermo in macchina in una stradina nascosta. A far cosa non lo so, non l’ho voluto scoprire.”
Aspettare una puttana, aspettare due per spiarli mentre fornicavano o chissà che altro, non lo vuoi sapere nemmeno tu.
Ti siedi accanto a lei e le prendi la mano.
“Mi dispiace.”
“Magari…”si ferma, abbassa la testa e accarezza la pancia con la mano libera “…magari la bambina cambierà le cose. Magari…”
“Lo spero per te, per voi.” Non ci credi, non ci credi minimamente ma non vuoi toglierle questa illusione, non puoi farlo. La frase rimane sospesa tra voi e vi sta separando così tanto che ti fa strano tenere la mano sulla sua, ma ti rifiuti comunque di toglierla.
Tu e Federica siete sempre state molto diverse, agli antipodi per molte cose: lei era la ragazza delle serate in discoteca, alcool e vele a scuola, tu sei sempre stata quella dei libri, videogiochi e con le ottime pagelle. Crescendo avete imparato ad apprezzare le vostre diversità e questa cosa con vostro padre è l’unica cosa che vi separa veramente.
Ti chiedi se smetterai mai di sentirti una ragazzina spaesata quando ti relazioni con loro per tanto tempo.
“Allora, cosa volevi chiedermi?” Non ti piace sentirti di nuovo tredicenne, non ti piace per nulla, affronterai più che volentieri qualsiasi cosa, ma non quello.
“Io ed Erik abbiamo gusti completamente diversi per i nomi. Solo su uno siamo d’accordo ed io…ecco io me ne sono innamorata.”
“Che nome sarebbe?”
Rimane in silenzio e ti sembra così fragile che provi una fitta al cuore, le posi la mano sulla pancia. “Bambina tua madre sta facendo la tragica e ho l’impressione che ti voglia chiamare con un nome brutto tipo Cunegonda o…”
“Claudia. Ti seccherebbe se la chiamassimo Claudia?”
Ti fermi e sgrani gli occhi perché la domanda è totalmente inaspettata. “Come scusa?”
“Vorremmo chiamarla Claudia…noi….io…”
Scoppi a ridere e non smetti nemmeno quando lei ti colpisce ripetutamente la spalla.
“Smettila MartyCacca. Smettila!!!”
“Sei una cretina! Certo che puoi chiamarla Claudia, cosa cavolo vuoi che mi importi?!?! Puoi chiamarla Claudia, è un bellissimo nome.” Non ti importa veramente se la chiamano così, ma intimamente sei molto felice ti abbia chiesto il permesso. È una delicatezza inaspettata e che ti riempie d’amore.
“Davvero?” Ha gli occhi ancora più grandi del solito e pieni di emozione.
“Davvero, scema.” La abbracci, stando attenta a non schiacciare la piccola Claudia, ti stacchi subito e la guardi con il naso arricciato. “Quanto mi fa strano che ora hai le tette.” Si, tu e tua sorella siete sempre state agli opposti anche in questo: lei supera il metro e settanta, tu arrivi appena al metro e sessanta, lei ha la seconda scarsa di reggiseno, tu vesti tranquillamente una sesta.
Ti colpisce ancora e fa un enorme broncio “Sei davvero una MartyCacca.”
“Ma mi amate. Tutte e due. Vero Claudia?” La sensazione di pronunciare quel nome e non provare dolore è molto piacevole, quindi non vuoi smettere di farlo. Ti inginocchi davanti a tua sorella e parli direttamente sulla sua pancia “Muoviti a nascere piccola Claudia, che non ne posso più di sopportare tua madre da sola.”
“Uuuuuuhm.”
“Cosa?!?!?!?” Guardi tua sorella allarmata.
“Dice che vuole un’altra fetta di quella bellissima torta.”
Alzi gli occhi al cielo e ti chiedi come abbia fatto tua sorella a non diventare una balenottera in questi mesi, anzi, a perdere peso.
Nel tragitto per la cucina chiudi la porta del salotto, in modo che il fumo delle sigarette di tuo padre non arrivi alla futura madre, metti su l’acqua per fare altro tè e tua madre appare appena la teiera fischia, tu e Federica scoppiate a ridere perché quella donna è letteralmente dipendente da quella bevanda.
Mangiate altra torta e non state più festeggiando un compleanno, state festeggiando la fortuna di avere qualcuno al vostro fianco finché avrete vita.
 

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Capitolo 32
*** ch31 - Night terrors ***


ch.31 – Night terrors.
 
Mancano ancora dieci minuti prima che apra il negozio, quindi più o meno cinque a quando dovrai scendere a prendere il cassetto dei soldi. Cinque minuti sembrano pochi, in realtà sono tantissimi se sono gli unici che puoi passare in compagnia dei tuoi colleghi, prima di un turno di 5 ore e mezza in solitaria. In realtà oggi non hai solo questi cinque minuti dato che è in programma un noiosissimo store meeting, a seguito del quale andrete a mangiare qualcosa tutti insieme.
Siete un gruppo di sei, dieci o sedici persone, non hai prestato particolare attenzione quando hanno organizzato, sai solo che Leila è del gruppo e che è la prima volta che uscite a cena, con altre persone si, ma è pur sempre una cena. Inutile dire che nel tuo armadietto c’è una camicia, i tuoi jeans più carini e, rullo di tamburi, mascara e matita per occhi per truccarti e spazzola per sistemare i capelli.
Insomma, è una cosa seria per te.
“Ancora nulla?” Veronica sta girando l’orribile caffè della macchinata guardando Leila, e ti senti intimamente offesa perché non è venuta a prendere il caffè da te.
“Macché. Probabilmente si starà smanettando in camera sua.” Ha la faccia soddisfatta che ha sempre quando dice una cavolata di questo genere, non fai fatica a capire si stia riferendo al suo povero figlio, soprattutto per la dolcezza nella sua voce o per quel luccichio orgoglioso dei suoi stupendi occhi castani.
Tutte le colleghe presenti manifestano in diversi modi il proprio disappunto, i ragazzi ridacchiano e tu alzi gli occhi al cielo.
“Ciao a tutti.” Ricevi come risposta vari saluti in varie gradazioni affettuose, l’unico che ti interessa però è l’occhiolino della tua cotta-capo comica.
Vorresti avere il tempo di dirle una parola, di lasciarti prendere in giro in qualsiasi modo, di inserirti nei discorsi di vendita che sono ripresi come se nulla fosse, anche se tu sei nella stanza e non ci capisci un tubo, capisci però che sia più saggio non cedere a quella tentazione e stare nel tuo.
Vai a prendere il cassetto e inizi una di quelle giornate lavorative nelle quali vorresti conficcarti la lancia del vapore nell’occhio e aprire il rubinetto, così, giusto per passare il tempo.
I minuti scorrono così lentamente che strappi un pezzo di scontrino bianco e inizi a disegnarci varie versioni di Leila, cerchi di tenerti sullo stile manga giapponese per non rischiare venga riconosciuta e provi un intimissimo piacere nel mettere dettagli che solo tu conosci.
“Pastorelletti, mi faresti un caffè?” Ti sorride e tu le sorridi di rimando “Sempre che tu non sia troppo impegnata...”
Scatti sull’attenti e appallottoli il disegno che hai fatto, tutto sommato stai parlando con una responsabile del negozio, sexy e maledettamente bella, soprattutto nuda e ansimante, ma comunque in grado di farti arrivare una lettera di contestazione.
“Te lo faccio subito.” Ti giri verso la macchina, ma riesci perfettamente a sentire il suo sguardo divertito e malizioso addosso. Arrossisci prima ancora che apra bocca, così, sulla fiducia.
“Stavi facendo qualcosa di pervertito, non è vero Pastorellini?”
Ruoti tanto velocemente su te stessa da far invidia a Carla Fracci. “NO.”
“No?” Morde le labbra e sembra compiaciuta.
“NO!” Poggi con foga un piattino sul bancone, seguito a ruota dal suo cucchiaino. “Stavo solo disegnando.”
“Cosa?”
Un'altra piroletta ti porta faccia a faccia con i due caffè che hai preparato. DUE! Batti la testa contro il braccio del gruppo, sperando di averlo fatto con discrezione, ti giri con una sola tazzina e la poggi davanti alla tua responsabile.
“Allora? Cosa disegnavi?”
“Lo vuoi macchiato?”
“Non cambiare discorso, sai perfettamente che lo bevo così.”
Lo sai, certo che lo sai. Ultimamente ha preso l’abitudine di venire a prendere il caffè da te tutte le volte che può, quindi sai perfettamente come lo beve. Provi un improvviso interesse per i cucchiaini e li guardi intensamente. “Te.”
“Nuda?”
Alzi la testa di scatto e la guardi, anche se tra le lacrime non riesci a metterla a fuoco o a guardarla con rabbia. “NO!!! Certocheno!!!” Un pochino sei stupita che in questo momento non stia scattando l’allarme antincendio, perché sei certa di stare andando a fuoco.
“No eh?” Ha la voce sempre più divertita e sai che la tortura andrà avanti all’infinito, o fino alla tua morte, se non farai qualcosa per fermarla. Prendi la palla di carta che hai poggiato accanto alla cassa, la apri, la guardi e arricci il naso, indecisa se mostrarle la tua opera o no. Ricordi che nel cassetto della tua scrivania, sepolti sotto uno spesso strato di album vuoti, sono nascosti diversi schizzi realistici che la ritraggono nuda in tutta la sua bellezza, quindi viri velocemente per il si.
Poggi il foglietto davanti a lei, che sorseggia il suo caffè sempre più divertita, i suoi occhi diventano seri appena vede le tue creaturine e le studia con sguardo critico.
“Questo è il tipo di disegni che piacerebbe a mio figlio.”
Per fortuna sono disegni innocenti, uno addirittura la ritrae sulla nuvola di Goku. Comunque cogli la palla al balzo per cambiare discorso. “Sei riuscita a sentirlo?”
Fa una smorfia di disappunto. “No, ancora no. Quel cretinetto si deve essere addormentato davanti alla play.” Socchiude gli occhi. “Quando torno a casa mi sente.”
Hai una fitta di paura. “Vuoi saltare la cena?”
“Certo che no, Pastorellini. Vado a casa a cazziarlo prima e poi vengo a cena.” Lecca le labbra. “Ho scelto io il ristorante, ha dei bagni spaziosi, puliti e molto confortevoli.”
Odi e ami il fatto sia in grado di farti eccitare con un solo sguardo o una sola frase.
Le squilla il telefono aziendale e risponde, piegando il foglietto con i tuoi disegni e infilandoselo in tasca, quando vede che si avvicinano dei clienti va via, lasciandoti sola al tuo lavoro.
Quella era l’unica cosa degna di nota del tuo turno lavorativo, dopo di che le ore riprendono a passare con una lentezza inaudita, anche se hai qualcosa di bello da aspettare. Arrivano le 20:30 e tu non puoi credere di dover sopravvivere anche allo stupidissimo store meeting, prima della meritata cena con la tua cotta. Ovviamente sei l’ultima ad arrivare in sala relax, perché ti sei lavata, cambiata e truccata, ti metti a sedere su uno sgabello tra Giorgia e Valentina, che ti hanno tenuto il posto tra loro, e lanci un’occhiata a Leila, che stranamente non è seduta sulla sua poltrona da regina, ma è in piedi e tiene il telefono in mano con l’aria assorta. Continui a guardarla nella speranza che alzi la testa e ti veda, ma lei non muove un solo muscolo, nemmeno quando Fantabosco da inizio all’incontro.
Passano così dieci minuti e tu non ascolti una sola parola di quello che la tua store manager sta pronunciando, ti chiedi solo cosa abbia causato il cambio d’umore di Leila.
“Non le ha ancora risposto.” Ti giri verso Valentina con l’aria confusa lei guarda la responsabile sales senza darti una spiegazione, le tocchi il braccio e quando ti guarda scuoti la testa per farle capire che non hai idea di cosa stia parlando.
Indica Leila con la testa “Fabry. Non le ha ancora risposto.”
Provi un sentimento sgradevole alla base della schiena, ti siedi più dritta e guardi ancora la tua cotta, capendo perfettamente perché abbia quell’aria preoccupata e perché non abbia ancora detto mezza parola.
“Appena sono entrata, mi ha chiesto se Alberto sapesse qualcosa, ma non sa nulla.” Alberto è il primo genito di Valentina, nonché compagno di banco e di crimini di Fabrizio, il fatto che nemmeno lui sappia nulla aumenta notevolmente la gravità della situazione.
Digita velocemente sul telefono e tu leggi che sta chiedendo notizie a suo figlio, che ha promesso di continuare a chiamare il suo amico a ripetizione, la risposta è immediata e tristemente negativa. Vi scambiate uno sguardo d’intesa, ma Fantabosco alza il volume della voce rendendovi chiaro che è consapevole della vostra disattenzione, fingete di ascoltarla per qualche secondo, ma è difficile anche fare finta, soprattutto perché Leila ha iniziato a dondolare su un piede e quella vista ti sta spezzando il cuore.
Valentina si avvicina a te e ti sussurra all’orecchio. “Alby ha finito l’allenamento e sta andando a bussare a casa loro…” sta zitta perché la store manager vi guarda, appena vi da le spalle per leggere una diapositiva, e tu pensi che avrebbe potuto sforzarsi di impararle a memoria, voi riprendete a parlare. “…magari ha il telefono senza suoneria, o magari l’ha perso. Comunque ci fa sapere subito.”
“Scrivilo a Leila.”
Non ti risponde, annuisce e riprende a digitare, tu guardi la madre preoccupata che dondola davanti a te e se da una parte vorresti prenderla tra le braccia per farla stare meglio, dall’altra la stima nei suoi confronti cresce a dismisura, perché sta facendo il suo dovere nonostante stia passando un momento non semplice.
La tua collega abbassa il telefono e Leila alza il suo a leggere, il suo volto si rilassa per un breve istante e le due madri si scambiano uno sguardo di intesa.
Passano dieci, lunghissimi minuti in cui tutte e tre continuate a guardare l’ora, il telefono di Valentina vibra finalmente ed è l’ennesima risposta negativa di suo figlio, rigira immediatamente la risposta all’amica e il volto di Leila diventa cereo.
“Scusatemi.” Si fa strada tra voi coworker seduti come se foste dei semplici oggetti che le impediscono il passaggio, ed esce di corsa senza guardarsi indietro.
Devi tenerti allo sgabello per non seguirla a ruota.
“Qualcosa non va?” Fantabosco cade come sempre dalle nuvole, e Alex con lei.
C’è un momento di perplessità, nel quale tutti si guardano l’un l’altro con morbosa curiosità.
“Temo che abbia dei problemi a casa.” È Valentina a rispondere, ma non la guarda in faccia, guarda la sua borsa, nella quale sta cercando qualcosa.
“Nulla di grave spero.”
Vorresti alzarti, schiaffeggiarla e chiederle se perdere un figlio sia grave nel Fantabosco, sempre che lei non abbia scambiato i suoi figli per una dose di qualsiasi droga prenda.
“Non lo sappiamo…” Manuela si è alzata in piedi e viene verso di voi. “Ma andiamo anche noi, se non è un problema.” Non credi che sia possibile per qualcuno dei presenti credere che le importi qualcosa se la sua assenza sarà un problema. Lei e Valentina non aspettano la risposta e vanno verso la porta, le invidi profondamente perché vorresti andare con loro.
“Vale fammi sapere se…” ti afferra per un polso e ti costringe ad alzarti.
“Ma cosa fammi sapere, vieni con noi.”
Questa sicuramente non te l’aspettavi, ma reagisci in preda all’adrenalina e in un batter d’occhio ti ritrovi in macchina di Valentina sulla via per Quartu Sant’Elena, lei al telefono con Alberto e tu con Manuela. È il ragazzino ad aggiornarvi su ogni movimento di Leila, che è arrivata a casa sua in tempo record, ha fatto le scale in due balzi ed è entrata in casa come una leonessa, ed è sempre lui a dirvi che Fabrizio è in camera sua e sta bene.
Tirate tutti un sospiro di sollievo e Valentina chiude la comunicazione e si gira verso di te, visibilmente più rilassata di qualche minuto fa.
“Se vuoi ti accompagno alla cena, tanto non c’è più bisogno di…” il suo telefono squilla e lei risponde subito, non lasciandoti il tempo di chiudere la chiamata con Manuela.. “Alby? Si…si certo che siamo vicine. Lei cosa? Si…si stiamo arrivando. Rimani lì, arriviamo.” Fa inversione a U e accelera tanto che afferri il sedile sotto di te.
“Che è successo?” ti tremano cuore e voce per la paura della risposta che stai per ricevere.
“Leila sta dando di matto. Manu a casa sua. Ora.”
“Arrivo.”
Il viaggio è molto veloce e non hai mai amato così tanto le ridicole dimensioni di Quartu quanto oggi. Lasciano entrambe le macchine come capita e andate verso la casa di Leila più veloci di una squadra di soccorso, trovate la porta aperta e Alberto ad aspettarvi, fai una certa fatica a entrare e ti senti come se stessi tradendo la fiducia della tua amante segreta, ma accantoni il sentimento come ridicolo perché ci sono cose più importanti a cui pensare al momento.
La prima stanza nella quale entrate è un salotto con un minuscolo cucinotto a vista, non hai tempo né voglia di guardarti attorno però, perché senti la voce della padrona di casa arrivare da oltre una porta aperta e segui le due donne adulte che vanno a passo deciso verso quella direzione.
Entrate nella cameretta dell’adolescente di casa e rimanete sulla porta, tu sei sbalordita e credi che le altre stiano provando esattamente la stessa cosa: Alberto e sua madre stanno ingaggiando una sorta di corpo a corpo mentre il cane ulula dando loro deboli testate.
Le tue colleghe si scambiano uno sguardo d’intesa, Valentina afferra il ragazzo mentre Manuela si occupa della donna adulta.
“Non puoi distruggermi la Play ma’, non puoi.” Ha il volto arrossato, ma solo da una parte, e temi sia il risultato di un ceffone, ha i capelli spettinati e gli occhi pieni di lacrime.
“Oh si che posso ragazzino, posso e lo farò. Così magari la prossima volta impari a rispondere al telefono e a non farmi preoccupare come una cretina.” Fa un passo verso l’oggetto della contesa, ma Manuela la blocca, la prende tra le braccia e la trascina fino al salotto, tu rimani con le mani in mano non sapendo bene cosa fare, esattamente come il cane, che mugola sconsolato.
Dall’altra stanza provengano dei singhiozzi e il tuo cuore è diventato di marmo.
“Fabry prepara lo zaino, stanotte vieni a dormire da me.” La voce di Valentina è allo stesso tempo sicura, ferma e rassicurante. La voce di una mamma nel momento del bisogno.
Il ragazzino obbedisce sbattendo tutto quello che può sbattere e mormorando tra se e se che sua madre non può distruggergli la Playstation, tu e la tua collega pensate sia meglio lasciarlo solo e raggiungete le altre due donne in salotto.
Entri nella stanza e non puoi più distogliere lo sguardo da Leila che singhiozza con il volto tra le mani, e sei solo vagamente consapevole delle tue colleghe che confabulano accanto a te.
Valentina si inginocchia davanti alla padrona di casa e le poggia le mani sulle gambe “Lei, stasera Fabrizio viene a dormire da me. Puoi chiamarmi a qualsiasi ora per sapere come sta, ma non è il caso che…” non finisce la frase, ma è chiaro che non voglia che veda la madre in quelle condizioni. Leila annuisce senza togliere le mani dal volto e lei si alza e la bacia sui capelli. Bacia anche voi sulla guancia, recupera i ragazzi e i tre lasciano la casa con un saluto glaciale.
“Ok, vado anche io.” Guardi Manuela come se ti avesse appena detto di lavorare per mondo convenienza. La trascini verso la porta d’ingresso e indichi la padrona di casa.
“Non possiamo lasciarla così.” Bisbigliare non ti riesce molto bene con tutta l’agitazione che stai provando, ma fai comunque un tentativo.
“Ma non la stiamo lasciando così…”
“Bene.”
“…tu rimani qui, Martinettis, e le fai qualunque cosa tu le faccia che la fa sorridere per giorni.”
Sgrani gli occhi e dimentichi di tenere la voce bassa. “COSA?”
Scuote la testa con aria divertita. “Credevate davvero di essere così brave a nascondervi, Martinettis? O che non vedessimo i succhiotti, i lividi e i graffi? O di non scopartela con gli occhi ogni volta che passa? O di non essere arrossita come un’aragosta quando ho accusato Leila di avere un toyboy? O…”
“Okhocapitobasta.” Alzi entrambe le mani in segno di resa. “Ionon…noinonsiamo…” Riempi i polmoni d’aria nella speranza che arrivi ossigeno al tuo povero cervello e tu possa analizzare la situazione come un essere umano normale. Esali un lento sospiro “Nonsocosafare.”
“E credi che io lo sappia? Con lei?” Scuote tristemente la testa. “Ora ha bisogno di avere qualcuno accanto e tu al momento sei la persona che ha lasciato avvicinare di più.”
Ti giri a guardare la padrona di casa raggomitolata su se stessa e perdi le parole che stavi per pronunciare.
“Stai con lei. È una cosa semplice, un passo per volta. Sono certa che capirai cosa fare.”
Annuisci e lei ridacchia. “Al massimo le poi sempre fare quello che fai quando poi zoppica per almeno mezz’ora.” Sgrani gli occhi e lei ti accarezza un braccio “Sei davvero un libro aperto Martinettis.” Quindi devi essere arrossita.
“Fanculo?”
“Chiamami se ha bisogno di qualunque cosa.”
“Va bene.” Ti bacia sulla guancia, lancia un saluto oltre le tue spalle va veramente via.
La porta si chiude alle tue spalle e senti chiaramente Leila singhiozzare e Mayalina piangere, ti giri a guardarle e vorresti scoppiare a piangere anche tu.
Vai con passo fermo verso di loro e accarezzi la testa al cane, mettendoti a sedere sul pavimento, vorresti prendere la padrona di casa tra le braccia, ma non credi sia una buona idea.
“Stare lì è il primo passo, dopo di che capirai cosa fare.”
Ti aggrappi a quella frase con tutte le tue forze, nella speranza siano vere e tu possa realmente aiutare la donna della quale stai pericolosamente rischiando di innamorarti.

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Capitolo 33
*** ch32 - The Satan pit ***


ch.32 – The Satan pit.
 
Rimani per un bel po’ seduta sul pavimento a pensare in silenzio, con l’enorme Mayalina seduta accanto che piagnucola e ti da colpetti di testa sulla spalla. Stare lì, accanto a una silenziosa e appallottolata Leila, è abbastanza facile e non vorresti essere in nessun altro posto al mondo, ma è anche alquanto inutile perché lei non accenna a muoversi e tu continui a non sapere cosa fare.
Il cane non smette di darti testate nella speranza che tu capisca cosa ti stia suggerendo.
L’unica cosa sensata forse è razionalizzare, ed è una cosa che sai fare bene, quindi inizi subito: non sei mai stata una madre quindi non puoi capire quanto lei si sia spaventata, ma hai vissuto per anni lontana dalla tua famiglia e completamente sola, eccezion fatta per Claudia, che aveva tanti pregi, ma non quello di prendere in mano la situazione e prendersi cura di te. Puoi immaginare cosa stia provando, puoi capire la sua stanchezza e il bisogno che qualcuno le tolga per un po’ il peso dalle spalle.
Ora capisci perché Valentina abbia portato via Fabrizio.
Mayalina ti dà l’ennesimo colpo ti testa e tu la guardi con astio, cercando di farle capire che deve darti il tempo di capire cosa fare, ma è un cane e non capisce o non le importa, poggia il muso imbiancato dal tempo sul ginocchio della padrona con un sospiro, e tu vorresti fare lo stesso.
Poi capisci che tu puoi fare di meglio.
“Leila…”non ti risponde ma un pochino ti aspettavi non sarebbe stato così facile, quindi poggi la mano sulla sua spalla e riprovi. “Leila.” Lascia cadere le mani in grembo e ti guarda. I suoi occhi sono così spaventati e sperduti da sembrare quelli di una ragazzina, il che ti da il coraggio che ti mancava. Accenni un sorriso e le fai scivolare la mano lungo il braccio, fino ad arrivare alle sue mani, lei la afferra inaspettatamente.
“Ehi…va tutto bene, Fabrizio sta bene ed è al sicuro. Non è…” mordi la lingua perché dirle che non è successo niente non è la cosa più saggia da fare. “Non è mai stato in pericolo.” Chiude gli occhi e tu le posi la mano libera sulla guancia e la guidi verso di te, poggi la fronte contro la sua e sussurri “Va tutto bene, stai bene, state bene.”
Annuisce impercettibilmente contro di te e sospira, hai un brivido di gioia nel vedere che hai lievemente migliorato la situazione. Cerchi velocemente tra le varie opzioni di cosa farebbe calmare ulteriormente te: la prima è il tè caldo, la seconda invece è meno personale.
“Perché non vai a fare una doccia calda?” si allontana da te e il suo guardo è terrorizzato e non riesci ad immaginarne il motivo. “Sono sicura una lunga doccia calda ti farà stare meglio.”
“E tu?”
Quasi scoppi a piangere per il binomio “voce-flebilissima” e il “non-voglio-allontanarmi-da-te”.
“Io rimango qui ad aspettarti.”
“Ok.” È un sussurro tremolante.
“Ok?”
“Si, ok.” Si alza senza lasciarti la mano e tu la imiti, da una carezza sulla testa al cane e poi ti guarda con aria spaventata. Fai quello che speri essere un sorriso incoraggiante, ti allunghi e la baci dolcemente sulla guancia, all’angolo della bocca. Il suo sorriso è molto debole, tuttavia c’è, si stacca da te e va lentamente verso l’interno della casa.
Quando non la vedete più tu e Mayalina vi guardate.
“E ora che si fa?”
Il cane sbuffa e barcolla senza fretta verso la sua cuccia, accanto al divano.
“Grazie mille per l’aiuto eh.” In tutta risposta si gira, dandoti la schiena. Decisamente non stai simpatica al cane della tua cotta. Ti guardi attorno, cercando di rimanere il più rispettosa possibile e tenere a freno la tua curiosità, non è una cosa semplice visto che sparse per il salotto ci sono mezza dozzina di foto e tu hai bisogno di vederle.
Sei una persona adulta e approfittare della situazione non è la cosa migliore da fare e la cosa importante ora è aiutare Leila a stare meglio, non i tuoi bisogni.
Sei fiera di te stessa per averla mandata a fare una doccia, che la aiuterà sicuramente a calmarsi, ma ora devi pensare al passo successivo. Il secondo passo potrebbe essere qualcosa da mangiare, ok magari non qualcosa da mangiare, perché sarebbe come invadere il suo spazio personale. Tu al suo posto non disdegneresti un tè però, perché è esattamente quello che tua madre ha sempre fatto per te quando non stavi bene, e credi che qualcosa di caldo nello stomaco calmerebbe chiunque.
Anche in Giugno.
Non ti fermi a pensare che devi fare la stessa identica intrusione per preparare il tè che faresti per preparare del cibo vero.
Prima di tutto controlli se ha del tè, quando lo trovi in uno dei pensili in alto, per il quale ti sei dovuta procurare una sedia, il resto viene abbastanza facilmente, talmente tanto facilmente che mentre attendi che l’acqua bolla, lavi i piatti sporchi nel lavandino.
Hai appena riportato il pentolino nel cucinotto, dopo averne versato il contenuto nelle tazze sul tavolo in salotto, quando senti l’accendino scattare, ti giri a guardarla e hai un fremito di paura così forte che il pentolino quasi ti cade di mano: la sua postura è più rigida del solito e non l’hai mai vista così tanto chiusa in se stessa.
Il fatto abbia i capelli bagnati attorno al viso e stia indossando una vecchia maglietta sformata e un paio di pantaloncini che hanno sicuramente visto giorni migliori, non la rende meno spaventosa.
Fuma la sigaretta che tiene in bocca con deciso accanimento e si mette a sedere nella sedia opposta a quella in cui ha pianto fino a quelli che probabilmente sono venti minuti fa, ma che ora ti sembrano secoli.
Poggi il pentolino sui fornelli e ti metti a sedere di fronte a lei, prendi le tazze e i Gifflar che hai trovato durante la tua ricerca del tè, e li avvicini a entrambe, non troppo però perché al momento hai paura che lei ti stacchi una mano.
Spegne la prima sigaretta e ne accende subito una seconda, il fumo riempie la stanza e fai fatica a respirare.
“Scusasemisonopermessadi…” prendi una grossa boccata d’aria per controllarti, ma inizi a tossire subito dopo, quindi ti limiti a guardarla e indicare le tazze, quando il suo volto rimane marmoreo ti rassegni a finire la frase “Se mi sono permessa di preparare il tè.” Riesci a pronunciarlo con una velocità accettabile, anche se il tono è sempre strano.
“Tè caldo a Giugno.” Senti nel suo tono che crede sia una cosa da stupidi, quindi non riesci a dirle che è una cosa che ti ha sempre calmata, fin da quando eri bambina, che è una cerimonia che richiede tempo e pazienza e per questo la trovi, e l’hai sempre trovata, profondamente rassicurante.
Ti limiti a versare lo zucchero nella tazza e a girare lentamente, ignorando il fatto che il cucchiaino sia diventato ardente e tu ti stia bruciando i polpastrelli.
Rimanete in silenzio, lei a fumare una sigaretta dietro l’altra, tu a girare il tè senza guardarla in faccia, chiedendoti cosa sia andato tanto storto nella doccia, e a sentirti una perfetta idiota ad aver creduto di essere riuscita a fare qualcosa di buono per lei.
Mayalina riprende a piagnucolare e va verso la sua padrona, che la ignora, il cane decide quindi di cambiare obiettivo e viene a poggiare la testa sulla tua gamba, esattamente come faceva il tuo pastore tedesco, Quentin.
“Ciao bellezza.” Le accarezzi la testa “Mi ricordi moltissimo il mio Quentin.” Sentire la tua voce non ti è mai piaciuto molto, sei il tipo di persona che parla tanto solo se è agitata o se vuole far ridere qualcuno, altrimenti sei più propensa a lasciar parlare gli altri e ascoltare con attenzione. In questo strano momento la tua voce ti sta rassicurando, quindi non smetti. “In realtà non era mio, era di Claudia, la mia ex. Quando abbiamo iniziato a convivere, lui mi ha letteralmente adottata e siamo diventati grandi amici.” Sorridi al ricordo dei suoi enormi occhi pieni d’amore per te, o per il cibo che tenevi in mano. “Non avevo mai avuto un cane prima, non avevo mai avuto a che fare da vicino con nessun animale a essere sincera, e un pochino mi spaventava. Capisci no? Un pastore tedesco di oltre 50 chili non è propriamente rassicurante. Ma Quentin era la creatura più innocua e pigra dell’universo intero e non mi avrebbe mai fatto del male, mai. Era scontato mi innamorassi perdutamente di lui.”
Senti l’accendino scattare ancora, chiudi gli occhi e stringi i denti, il muso di Mayalina batte contro la tua coscia, probabilmente perché hai smesso di grattarla dietro l’orecchio, ma lo prendi come un invito a continuare a parlare.
“Nonostante fosse così grosso, avevo deciso di portarlo comunque io a fare la sua passeggiata giornaliera e per non farlo tirare facevo di tutto, cantavo per lui e gli parlavo continuamente.” Sbuffi una risata “La gente per strada ci guardava malissimo, ma io e lui abbiamo legato molto e mi faceva…mi faceva sentire meno sola.” la tua espressione smette di essere sorridente e senti la pelle del tuo volto tirare. “Quando è morto è stato molto difficile per me, era solo un cane, lo so, ma era il mio cane e l’ho tenuto tra le braccia finché non ha esalato l’ultimo respiro, che ha fatto guardando me negli occhi.” Ti trema la voce e ti fermi, Mayalina ti guarda con i suoi occhioni pieni di aspettativa e l’accendino scatta di nuovo. “Abbiamo preso subito un cucciolo, un bastardino trovatello, Marvin, perché il silenzio dell’assenza di Quentin ci stava uccidendo entrambe…beh…stava sicuramente uccidendo me. Quando lo abbiamo preso Marvin aveva 20 giorni.” Arricci il naso al ricordo di quella piccola palla di pelo bionda e sempre affamata. “Non ha preso il posto di Quentin, ovviamente, ma ha riempito una grossa parte del mio cuore, è diventato il mio bambino, mi ha reso il sorriso e ha decretato l’inizio della fine tra me e Claudia.”
Alzi la testa a guardare Leila e ti ritrovi ad affogare nei suoi freddi occhi castani. Non sai se stia ascoltando una sola parola di quello che stai dicendo, ma sembri avere la sua attenzione, quindi vai avanti con questo discorso senza senso. “Per quanto arrabbiata io fossi quando Claudia mi ha lasciata, per quanto ferita e delusa io potessi essere, sapevo perfettamente che aveva ragione lei, che le nostre strade si erano separate da tempo e che stavamo insieme solo perché avevamo paura di distruggere quello che avevamo costruito, o almeno, io lo ero. Io lo ero sicuramente.”
Il cane si stacca da te, si scuote tutta e va a sdraiarsi al suo posto, ora che hai la mano libera non sai che fare, valuti di infilarle entrambe in tasca o di incrociarle al petto, ma sarebbe una posizione di difesa e tu non vuoi difenderti da Leila, non ora che l’hai vista così ferita e pensi di doverle qualcosa. Quindi prendi tra le mani la tazza bollente e osservi il vapore formarsi sulla superficie del tè e poi volare via.
“Tornare qui è stato difficile, è stato così difficile che pensavo di morire, ma non per Claudia, no, aveva ragione lei e non c’era altro che affetto…”ora la risata che sbuffi è decisamente amara “O abitudine, ma l’idea di aver perso tutto quello che avevo costruito o il mio Marvin, quello è stato insopportabile per molto, probabilmente troppo tempo. Non avevo la più pallida idea di cosa fare della mia stessa vita, non avevo più uno scopo e non sentivo di appartenere a nessun luogo, a nessuno. Vivere aveva perso ogni significato per me.”
Il silenzio cala sulla stanza e dura per diversi minuti, finché la padrona di casa non si accende un’altra sigaretta e solo allora ti rendi conto che l’intervallo tra l’una e l’altra è aumentato durante il tuo racconto. Alzi la testa per affrontare il suo sguardo e noti che la sua postura è meno rigida e il suo fumare lievemente più rilassato. Ti invade un sentimento familiare e sconosciuto: familiare perché è simile a quello che provi quando vuoi sapere tutto di lei, nei minimi dettagli; sconosciuto perché hai bisogno che lei veda il peggio di te, e che lo accetti.
Non ti è difficile trovare l’altra cosa di cui di vergogni di più, della quale non hai mai davvero parlato ad anima viva.
“Un pomeriggio dei miei 16 anni, credo che fosse Marzo o Aprile, stavo tornando a casa a piedi dopo una visita dal dentista, salivo per il Largo Carlo Felice, prendevo l’ascensore e da lì salivo sul Libarium, attraversavo castello, viale Buoncammino e poi giù verso Is Mirrionis, fino ad arrivare in via Piovella, dove al tempo viveva la mia famiglia, prima di spostarsi a Pirri. Avevo come sempre gli auricolari alle orecchie, solo che al tempo non esistevano ancora gli mp3, o comunque io non avevo un lettore mp3, e avevo uno di quegli enormi lettori cd.” Scuoti la testa intenerita dal ricordo della te stessa di allora “Ricordo che ogni volta che compravo un cappotto o una giacca nuova, mi portavo dietro il lettore cd per controllare avessero le tasche abbastanza grandi da contenerlo.” Ridacchi e poi riprendi il racconto. “Non so cosa abbia scatenato il tutto, ricordo solo che mi ero fermata al Libarium per godere della vista e per riprendere fiato dopo la salita, e ho iniziato a pensare che ero stanca, che ero stremata e non nel senso fisico del termine. Dover continuamente ignorare la voce che mi diceva che stavo solo fingendo, che non ero quella che mi spacciavo, che non ero come gli altri, che ero solo una bugiarda, mi stava lentamente logorando. Fingere di essere etero, di essere come tutte le altre ragazze che conoscevo, mi stava lentamente uccidendo. Volevo essere normale, volevo essere come tutte, ma non riuscivo più a fingere.”
Chiudi gli occhi e respiri piano.
“Le voci nella mia testa urlavano così tanto che non mi sono quasi accorta di essermi seduta sul parapetto, con i piedi che penzolavano nel vuoto e il vento che mi sfreddava il viso accaldato e bagnato dalle lacrime.” Asciughi una lacrima solitaria che solca il tuo viso a distanza di 19 anni da quel giorno, è stupido ma ancora ti dispiace per la ragazzina che eri.
Vorresti poter prendere il TARDIS e andare a dirle che va tutto bene, che va bene così, e che un giorno starà bene.
Vorresti soprattutto dirle che non è sola, perché al momento non eri in grado di vederlo.
“Ero sull’orlo del Libarium e della mia stessa vita, con gli occhi chiusi e godendo del silenzio della mia mente. Smettere di sentire quelle voci è stato un vero e proprio sollievo.” Riprendi a mescolare il tè e a guardare i cerchi che il tuo movimento sta creando, e perfino ora senti una strana pace, un silenzio emotivo che ti onora raramente con la sua presenza. “Quel lettore cd era vecchio e con il fatto lo portassi sempre con me, era solito prendere parecchie botte al giorno. Puoi immaginare che non funzionasse benissimo, capitava spesso saltasse le canzoni o si inceppasse. Nulla di miracoloso o di particolarmente strano. Lo fece anche quel pomeriggio, e invece della canzone che avrebbe dovuto suonare, fece partire Heaven out of hell.”
Non sai quale sia la conoscenza di Leila dell’inglese o della musica italiana, non hai idea se sappia o meno di che canzone tu stia parlando, ma non credi abbia importanza ora, per quanto sia un dettaglio fondamentale della storia, non credi sia il caso di specificare nulla.
“Ripeto, non ho mai creduto in un miracolo o cose così, semplicemente è stato abbastanza perché mi strappasse dal…da quel momento di finta estasi e mi portasse con i piedi per terra. In ogni senso. Sono tornata a casa come se nulla fosse, non ne ho mai parlato con nessuno e per altri tre anni ho continuato a combattere quella lotta con me stessa senza chiedere aiuto.”
L’accendino non ha scattato una sola volta durante il tuo racconto. Bevi un sorso di tè, anche se è ancora molto caldo. È troppo amaro per i tuoi gusti, quindi ci aggiungi zucchero e riprendi a girare.
Ti stupisci molto quando rimetti la zuccheriera al centro del tavolo e vedi la padrona di casa afferrarla.
Il rumore del suo cucchiaino che sfrega contro la porcellana ti culla fino all’ultimo tassello della tua vita del quale ti vergogni.
“Mio padre va a puttane e penso ci sia sempre andato, anche quando non avevamo i soldi per permetterci di comprare i quaderni per la scuola. Quando eravamo piccole, ci ha anche contagiato i pidocchi per questo.” Prendi un respiro profondo. “Io provo disgusto per gli alcolici perché lui è un alcolizzato, io non fumo perché lui ha sempre reputato le sigarette più importanti di noi figlie, io non guido perché lui è un camionista in pensione e credo di essermi inconsapevolmente voluta dissociare da lui.”
Bevi un sorso di tè per trovare la forza di andare avanti, una parte di te vorrebbe smettere ma non puoi, non puoi.
“Fisicamente sono la fotocopia di mia madre, ma i modi sono quelli di mio padre, mi riconosco in lui nel mio modo di scherzare, nel mio modo di muovermi, perfino del mio stramaledetto modo di vestirmi.”
Leila si alza e tu sospiri, era ovvio non volesse sentire un racconto così stupido.
La senti armeggiare nel cucinotto e poi tornare al suo posto, alzi la testa spinta della curiosità e noti che ha fatto sparire sigarette e posacenere.
Le sorridi e i tuoi occhi si riempiono di lacrime, quando riprendi a parlare non abbassi lo sguardo.
“Quando eravamo bambine abusava emotivamente di noi. Se era arrabbiato o stressato per qualcosa, o anche solo se era annoiato, lui se la prendeva con noi, ci accusava di essere stupide e scaricava su di noi le colpe di qualsiasi cosa andasse male nella sua vita. Fosse anche una cosa stupida come essere chiamato al lavoro, o la macchina che non partiva, o se dovevamo andare al mare e pioveva.”
Leila emette un suono, simile a uno sbuffo e a uno tsz di sdegno, ma non ti interrompe.
“Quando siamo cresciute le cose sono lievemente cambiate, ma non troppo. È stato un padre padrone, soprattutto con mia sorella maggiore, ma è un codardo e man mano che noi si diventava più grandi, la consapevolezza di perdere potere nei nostri confronti l’ha portato a diminuire anche gli abusi. Io e Fede siamo diventate indipendenti economicamente e lui è diventato una sorta di fantasma nelle nostre vite, non in quella di mia madre ovviamente, sulla quale si è sempre rifatto come il minuscolo uomo che è. Invidio molto mia sorella per essere riuscita comunque a costruire una sorta di rapporto con lui, a perdonarlo io non…”
“Tu non sai perdonare.”
Alzi entrambe le sopracciglia perché la sua voce roca è decisamente inaspettata, le sorridi e annuisci. “…gli sto letteralmente facendo raccogliere quello che ha seminato e lui si comporta come se io non esistessi. Non mi saluta nemmeno.”
“Ha a che fare con il fatto che sei lesbica? Ha mai fatto lo stronzo al riguardo?”
Apprezzi molto il fatto che non abbassi la voce per pronunciare la parola lesbica, come la maggior parte delle persone. Ti sforzi di concentrarti sulla risposta, scuoti la testa e cerchi di sputarla fuori, in un modo o nell’altro.
“No. Non ha mai battuto ciglio per quello.” Pensi che la sua opinione di te sia sempre stata così bassa da non fargli nessuna differenza.
“Bene.”
Scuoti la testa con più forza e abbassi gli occhi a guardare il tè. “No, non lo è. Se fosse stato per quello avrei…avrei avuto una motivazione. Avrei avuto un perché.”
Ti sfugge un singhiozzo e ti scendono grosse lacrime dagli occhi, non per la te stessa di ora, che ha imparato a vivere senza una qualsiasi figura paterna, ma per le te di tutte le età e per il dolore che a causa di quell’essere hanno dovuto provare.
Senti una mano sulla tua spalla e la voce di Leila a poca distanza dal tuo volto.
“Guarda qua, sei truccata.”
Come suo solito, le basta una parola per farti entrare nel panico più totale, ti passi la mano sotto gli occhi nel terrore di essere la versione umana di un panda. “Merda, devo essere un disastro…” ti guardi le mani e ti stupisci di non trovarle nere per il mascara colato, ringrazi mentalmente Rossella e la sua fissa per i trucchi.
“Non lo sei. Va benissimo. Sei bellissima.”
Ti immobilizzi perché non era mai successo ti facesse un complimento, che ha tutta l’aria di non essere solo riferito al tuo aspetto fisico.
Ti scosta i capelli dal collo e ci lascia un bacio gentile, si raddrizza e ti tende la mano. Le tue gambe non collaborano e non riesci ad alzarti subito, però afferri quella mano e le sorridi, lei si china ancora su di te e ti bacia dolcemente le labbra. Chiudi gli occhi e accetti quel bacio con gratitudine, perché tutto il dolore sta svanendo e le ferite si stanno lentamente richiudendo.
Il bisogno di lei è più forte della debolezza delle tue gambe, quindi ti alzi in piedi e inizi a sbottonarti la camicia. Quello che succede dopo nella sua camera da letto non ha precedenti per il livello di intimità e dolcezza, ma soprattutto non ha precedenti per il modo in cui tu ti stai fidando ciecamente di lei.
Ogni tocco è una carezza e ogni bacio sembra voler rimettere a posto i pezzi del tuo cuore spezzato, è tutto molto lento e delicato, e hai l’impressione non sia solo sesso, ma qualcosa di più.
Perfino il dopo è diverso, con lei che poggia la testa sul tuo cuscino e ti guarda intensamente. È sdraiata sul ventre, ha entrambe le braccia sotto la testa e i capelli, ancora bagnati, sparpagliati sulla schiena nuda.
È la donna più bella che tu abbia mai visto in tutta la tua vita.
Come se riuscisse a leggerti nella mente, ti sorride dolcemente. “A cosa stai pensando?”
“A che donna meravigliosa tu sia.”
“Non sono meravigliosa. Sono un casino.”
“Sei un casino meraviglioso allora.” Arrossisce e trovi che la timidezza addosso a lei diventi pura poesia, sia irresistibile.
Ti giri il tanto necessario da poterle ricoprirle la spalla e il volto di baci, lei non si allontana, al contrario, asseconda i tuoi movimenti fino a trovare le tue labbra con le sue e baciarti piano, dolcemente e senza fretta.
Ti lasci andare contro il cuscino e fissi il soffitto, perché sai che se guarderai lei non troverai il coraggio di fare la cosa giusta. Richiami a te tutte le tue forze, o quel poco che è rimasto delle tue forze dopo la serata che hai appena passato, e ti metti a sedere.
“Dove vai?” ha lo sguardo incuriosito e non smette di sorridere.
“A chiamare un taxi.” Domattina apri il bar e un paio d’ore di sonno non ti farebbero schifo, ma non è quello il motivo del tuo voler tornare a casa, il motivo è che non vuoi imporre la tua presenza solo perché sei stata così stupida da aprirti e ora hai bisogno di starle appiccicata.
“Un taxi per cosa?”
Apri le mani e sbatti gli occhi, stupita che non sia arrivata da sola alla logica conclusione. “Per tornare a casa a dormir…” ti cinge il petto con un braccio e ti butta giù, ti sale addosso e ti impedisce di scappare.
“Tu non vai da nessuna parte.” Se non fosse per la fragilità che stai leggendo ora nei suoi occhi, la sua imposizione e la posizione in cui siete ti farebbero eccitare da zero.
“Dovrei rimanere a dormire qui.”
“Sempre che io ti lasci dormire…” Ti sfiora le labbra con la punta della lingua, ma l’energia che emana non ha un briciolo di sensualità, quindi sai che questo flirt non porterà da nessuna parte e ti va benissimo così.
Sorridi e chiudi gli occhi, quando li riapri il suo viso è ancora molto vicino al tuo e i suoi capelli umidi ti solleticano dolcemente la pelle. Ci infili dentro le mani e li tiri su, non ti davano fastidio, ma non vuoi perdere il più piccolo dettaglio del suo meraviglioso viso. Vuoi fissare ogni dettaglio di questo istante nella memoria.
“Rimani a dormire qui?”
Il tuo cuore vibra come se ti avesse appena chiesto di sposarla. Puoi solo annuire, lei sorride, si posiziona di nuovo sul tuo stesso cuscino e chiude gli occhi con un sospiro compiaciuto. Tu rimani a guardarla ancora qualche minuto, finché i tuoi occhi diventano troppo pesanti e sei costretta a chiuderli.
“Martina?”
“Si?” Non apri gli occhi, non ne hai le forze.
“Non illuderti, niente coccole nemmeno stanotte.”
Scoppi a ridere e immagini la sua espressione piena di orgoglio per aver detto un’imbecillità. Ti avvicini a lei in modo i vostri corpi si tocchino e lei non si sposta di un solo millimetro.
“Niente coccole. Niente coccole è ok.” Dopo tutte le emozioni della giornata vuoi solo averla vicina, sentire il suo calore.
Manuela aveva ragione: a volte, tutto quello di cui hai bisogno è che qualcuno ti stia vicino.
Soprattutto se quel qualcuno è il meraviglioso casino dei tuoi sogni.
 

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Capitolo 34
*** ch33 - The edge of destruction ***


ch.33 – The edge of destruction.
 
È la prima “walk of shame” della tua vita.
Hai lasciato casa di Leila che erano da poco passate le sei e mezzo, del mattino ovviamente, lei dormiva così pacificamente che non hai voluto svegliarla, le hai baciato una spalla nuda e sei scivolata via dal suo appartamento.
Hai chiamato un taxi perché non pensavi fosse il caso di prendere i mezzi in quello stato, ti sei intrufolata al lavoro come una ladra e sei schizzata dentro la doccia. Fortunatamente hai un beauty nell’armadietto e avevi il necessario per fare una doccia quasi normale, l’asciugamano no, hai dovuto usare la carta per le mani ed è stato un delirio. Hai asciugato i capelli accucciata sotto l’asciugatore elettrico per le mani (avete sia la carta che l’asciugatore elettrico, Ikea), ma quello non è la prima volta che lo fai, l’hai fatto ogni qualvolta un acquazzone ti ha colta alla sprovvista.
Timbri il cartellino alle 7:29 precise e sei fiera di stessa, anche se non indossi biancheria pulita e hai ancora tracce di trucco, che non sei riuscita a eliminare con semplici acqua e sapone, hai l’apparenza di una lavoratrice seria e rispettabile. Più o meno.
Mentre cuoci i croissant e prepari il bar, canticchi, balli e sorridi come un’imbecille, felice per la serata meravigliosa che hai passato. Felice perché hai trovato qualcuno in grado di affrontare la tua oscurità più nera senza paura, e che ti trova bellissima per quello che sei. Non riesci ancora a credere che quel qualcuno possa essere una meravigliosa donna, intelligente, bellissima, forte, ma anche sarcastica e divertente.
È vero, non avete ancora definito nulla, ma state facendo passi da gigante nel vostro rapporto, e se non è una relazione, lo sarà presto, ne sei certa.
Ridacchi felice e il tempo vola tra teglie di cornetti, fette di torta e caffè fatti a vuoto. Quando scattano le otto e trenta sull’orologio del forno, il bar è pronto per accogliere l’orda di clienti, anche se manca ancora mezz’ora, il che è esattamente quello che volevi.
Metti un solo croissant cereali e marmellata ai frutti di bosco su una teglia e imposti 15 minuti nel timer, fai uscire un pezzo di scontrino bianco e inizi a disegnare una tazzina di caffè sormontata da uno sbuffo di vapore a forma di cuore. L’idea è quella di sfornare il cornetto preferito di Leila all’ultimo minuto, correre alla sua scrivania e lasciarlo lì con sotto il buono caffè, che stai disegnando. È il tuo modo di augurarle buongiorno e ringraziarla per ieri sera, vorresti farle trovare il caffè già fatto, ma non sai bene a che ora arriverà, in più se le lasci il caffè in ufficio perdi l’occasione di vederla, e non vuoi perdere l’occasione di passare del tempo con lei e di vedere il sorriso stupendo che ha quando siete insieme.
Non vuoi perdere la possibilità di vivere anche oggi la vicinanza di ieri sera.
Guardi i minuti scorrere finché il timer non suona, a quel punto apri lentamente lo sportello del forno, per evitare al preziosissimo cornetto lo sbalzo di temperatura che lo farebbe afflosciare, e controlli il tuo operato: è il cornetto più bello tu abbia mai cotto.
La buona riuscita era abbastanza scontata in realtà, dato che ha avuto un forno ben caldo tutto per sé.
“Sei la mia opera d’arte più bella.” Speri che Layla non ti abbia sentita e non si sia offesa.
Lasci lo sportello leggermente aperto per evitare che l’umido del forno lo faccia afflosciare “Torno subito, tu sfredda un pochino.” Lanci il guanto da forno alla rifusa nel mobile e corri verso lo spogliatoio. Fai pipì lanciando un ciao generale, lavi le mani e corri nell’ufficio casse al piano inferiore per prelevare il tuo fondo, risali le scale in pochi balzi e corri ad attaccare il cassetto alla cassa, lavi le mani accuratamente e torni dalla tua opera d’arte.
“Ok, sono tornata.” Lo prendi utilizzando un fazzolettino e mormorando impropri perché nei dieci minuti che sono passati non si è sfreddato di un solo grado. Poggi il tuo tesoro su un piccolo vassoio di carta, infili il tutto in una bustina d’asporto e recuperi il buono-caffè che hai disegnato mentre il cornetto cuoceva.
Mancano ancora tre minuti all’apertura quando hai ultimato tutte le operazioni.
Guardi il cassetto dei soldi con preoccupazione, perché quello che stai per fare viola praticamente tutte le regole comportamentali dell’azienda, ma sei felice e sei pronta a correre qualche rischio per coccolare un pochino la tua donna.
Che magari non è tua, ma magari lo diventerà presto.
Fai due saltelli sul posto e poi corri fino agli uffici, sistemi con cura le cose sulla scrivania di Leila, prima il biglietto, poi il sacchetto con il croissant, lo guardi con preoccupazione e torni di corsa fino al bar, perché chiunque ci sia al servizio clienti sta facendo l’annuncio di apertura.
Arrivi al tuo posto e hai a malapena il tempo di riprendere fiato che arriva l’orda affamata dei tuoi colleghi logistici. Fanno casino, non ti dicono cosa vogliono e devi chiedere loro la tessera Family almeno tre volte, ma il tuo sorriso non diminuisce mai e sei più che felice di servirli e di dover pulire il disastro che lasciano. Anche se li maledici un po’.
Ai colleghi delle pulizie, della manutenzione e della vigilanza, seguono i tre o quattro clienti abituali della mattina, gli unici che vengono a fare colazione da voi prima delle dieci, dopo di che hai un momento di calma nel quale puoi sistemare la vetrinetta dei cornetti in modo sia il più invitante possibile. Stai tenendo un cornetto al pistacchio con le pinze quando senti un’orribile sensazione gelida alla base del collo, rabbrividisci e ti giri istintivamente alla tua sinistra. Vedi arrivare Leila con la faccia stanca, con indosso i pantaloni della divisa ma una sua maglietta personale, nera, tanto per cambiare. Noti il sacchetto che ha in mano e le sorridi immediatamente, anche se la sensazione di gelo non abbandona il tuo corpo.
“Buongi…”
“Cosa sarebbe è questo?”
Ti lancia il sacchetto e non sei abbastanza veloce da prenderlo, anche perché hai le pinze con il cornetto in mano, li poggi subito e guardi il sacchetto sul pavimento, confusa.
“Sei diventata sorda? Ti ho chiesto…”
“Era la tua colazione.” La guardi per un breve istante e le tue interiora fanno una cosa strana, quindi distogli subito lo sguardo, recuperi il tuo croissant migliore dal pavimento e pulisci la busta da invisibile sporcizia.
“Vorrei capire cosa ti abbia fatto credere tu potessi permetterti di lasciare una roba simile sulla mia scrivania. Nel mio ufficio.”
Non sei una perfetta idiota, benché tu abbia la capacità di fidarti delle persone sbagliate e di illuderti di molte, troppe cose, non manchi di notare la scelta delle sue parole. Non manchi di vedere che quella che hai davanti non è nemmeno l’ombra della persona con cui sei stata ieri notte.
“Non è la prima volta che faccio una cosa simile.” Mai cornetti ma piccoli pensieri, come gifflar o cioccolatini, quelli li hai sempre lasciati, anche prima che questa cosa tra voi iniziasse.
“Si e sono stata una stupida io a permetterti di farlo e non bloccarti subito.”
Il tuo stomaco fa una cosa strana e tu chiudi gli occhi, con la speranza che riaprendoli tu capisca sia solo un incubo.
“Mi dispiace…io credevo che…” per quanti anni possano essere passati dalla tua infanzia, per quanti problemi creati dagli abusi emotivi tu abbia più o meno risolto, non riesci ancora ad affrontare tranquillamente un attacco così diretto. Soprattutto se qualcuno ti sta così deliberatamente dando la colpa di qualcosa. Le parole ti sfuggono dalla mente e tutto quello a cui riesci a pensare è che devi appallottolarti e chiedere scusa, per quello che hai fatto, per quello che sei, ancora e ancora, finché l’attacco non finirà.
Sei in grado di controllare quel bisogno, ma non di calmare il tuo cervello tanto da avere una conversazione normale.
“Tu credevi cosa? Che fossimo una coppia? Che potessi venire a casa mia e frugare tre le mie cose, dormire nel mio letto e prepararmi la stupida colazione? Credevi questo? Beh ti sbagliavi.”
Ti invade un’ondata di pianto ma richiami a te tutta la tua forza per non piangere, non vuoi piangere ora, non davanti a quest’estranea.
Scuote la testa e ha un’espressione disgustata sul volto “Ero frustata e avevo bisogno di allentare la tensione. Cosa, meglio di una patetica ragazzina con una cotta, per togliermi qualche voglia?”
Il tuo corpo richiede d’improvviso l’ossigeno che gli hai negato da quando Leila ha iniziato questo discorso e hai una sorta di singhiozzo, nonostante tutto però non piangi, ti rifiuti.
“È stato solo sesso, ero solo annoiata e ora ne ho abbastanza. È ora tu torni al tuo posto, ragazzina. Non voglio mai più sentire parlare di questa storia, non voglio trovare nessun patetico regalo nel mio armadietto o sulla mia scrivania e non voglio nemmeno tu mi guardi mentre mi cambio o maniacate del genere. È chiaro?”
Senti un suono strano, come di qualcosa che si spappola, ma non credi sia possibile il tuo cuore faccia quel suono. Abbassi lo sguardo per capire cosa sia: il sacchetto bianco è diventato violaceo in diversi punti e tu non capisci di chi siano le mani che lo stanno stringendo così forte. Non senti assolutamente nulla al momento, senti uno strano silenzio e il tuo cervello è completamente bianco.
“Sono stata chiara, Martina?”
Alzi lo sguardo verso la sconosciuta davanti a te, ha il volto contratto dallo schifo e dalla rabbia, ha gli occhi gonfi e rossi e i capelli spettinati e, perfino dal punto in cui sei, puoi sentire distintamente la puzza di fumo che ha addosso. Ti si stringe lo stomaco e vorresti fosse per lo schifo, ma è perché è lo stesso odore che aveva addosso ieri notte mentre ti chiedeva di rimanere a dormire da lei.
Ti limiti a bisbigliare un “Si.” con la voce tremante e rotta, lei fa l’ennesima smorfia, si gira e va via, senza voltarsi indietro.
Il tuo cervello si rifiuta di elaborare un pensiero qualsiasi, soprattutto relativo a quello che è appena successo, il tuo corpo si muove meccanicamente, apre il sacchetto per vedere lo stato del cornetto, chiedendoti se può ancora essere venduto: l’interno della busta è un’esplosione di marmellata e la tua opera d’arte è stata ridotta a una cosa informe.
Lo rovesci dentro il sacco dell’umido e rimani a guardarlo giacere sul fondo chiedendoti se sia un croissant alla marmellata di frutti di bosco o il tuo cuore.
“Un caffè macchiato.”
Chiudi il cassetto dell’umido, butti il sacchetto nell’indifferenziato e ti giri con tutta calma per servire il nuovo venuto, e così di seguito, cliente dopo cliente, senza pronunciare una sillaba in più di quelle che ti richiede il tuo lavoro e tenendo sempre la testa bassa, fino all’annuncio di chiusura negozio.
Versi il cassetto, vai allo spogliatoio, recuperi tutto il contenuto del tuo armadietto e vai al minuscolo spogliatoio del food, regno incontrastato della sola Valentina. Sposti le sue cose nell’armadietto superiore e occupi quello inferiore, fai pipì, lavi il volto e ti cambi.
Non versi una sola lacrima finché non sali sul 31, quando le portine si chiudono da dietro i tuoi occhiali da sole iniziano a scendere le prime lacrime, tuttavia tu sei ancora abbastanza tranquilla, come se il tuo corpo non ti appartenesse, come se il tuo cervello fosse scollegato da tutto il resto.
È solo quando arrivi a casa e ti lasci cadere sul letto che scoppi in un pianto disperato, prendendo il cuscino tra le braccia e cercando il più possibile di soffocare i singhiozzi, perché non conosci altro modo di piangere che quello nascosto agli occhi del mondo.
Non nasconderti nei tuoi momenti peggiori ti ha solo portato altro dolore, e ieri sera ne è la dimostrazione peggiore.
Sei nel buio più profondo quando un braccio ti cinge e un corpo si preme al tuo nel minuscolo spazio del tuo lettino, cerchi di aprire gli occhi, di dire qualcosa, ma piangi solo con maggior forza.
“Sssssh…va tutto bene…va tutto bene…”
Non parlavi con Laura dal giorno del litigio e il fatto lei sia qui per te nel momento in cui sta male a hai bisogno di lei ti sta facendo sentire peggio, un pochino meglio, ma anche molto, molto peggio.
“…so…so….sono stata…una….una stron….una stronza….” I singhiozzi sono tali che ti fa male tutto il petto.
“Ssssh…non fa niente, è passato, non fa niente.” Ti bacia sulla nuca e tu si sistemi meglio per farle spazio. “Sono stata una stronza anche io.”
Le sue parole mettono in moto il tuo cervello e tutto l’accaduto ti scorre davanti come un film, dal primo bacio, fino al momento in cui hai buttato il croissant, passando per il litigio con Laura e l’ultimo bacio che Leila ti ha dato e del quale non hai goduto come avresti voluto.
“…avev….avev…avevi….ragion…avevi ragion…” respirare sta diventando un problema. Laura si stacca da te, fa il giro del letto, apre il cassetto del comodino e ne estrae il tredicesimo dottore, te la porge e, per quanto piccola sia l’action figure, tu la stringi tra le braccia e riprendi a respirare un pochino più facilmente.
La tua coinquilina torna al suo posto alle tue spalle, ti abbraccia e ti bacia sui capelli. “Passeremo anche questa Marty, te lo prometto. Passeremo anche questa.”
Crolli addormentata cullata da queste rassicuranti parole, anche se non credi siano vere.
 

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Capitolo 35
*** ch34 - Conspiracy ***


ch.34 – Conspiracy.
 
Se hai il cuore spezzato tenere la mente impegnata è una cosa fondamentale, quello e crearti una nuova, confortevole, routine. Al lavoro la nuova routine è stata quella di tenere la testa bassa, costringerti a non controllare se Leila fosse presente o meno e diventare il più invisibile possibile; a casa invece sei supportata dalla combo Rossella-Laura, che non ti lasciano mai sola. Hai il dubbio si siano messe d’accordo su facebook o qualcosa dal genere, sta di fatto che se non hai accanto l’una, sei al telefono con l’altra. Da parte tua stai cercando di cavartela da sola il più possibile, quindi hai pulito casa da cima a fondo almeno una decina di volte in questa settimana, hai ridecorato camera tua e hai ripreso a disegnare Flying dragons. Stai anche facendo il rewatching della undicesima stagione di Doctor who, per fare pace sia con 13th che con te stessa.
Riguardare Doctor who è esattamente quello che stai facendo ora, più precisamente stai guardando gli ultimi dieci minuti dalla seconda puntata, il punto in cui il TARDIS riappare e 13th lo supplica di rimanere. È una scena che ti ha sempre commossa, e oggi non fa nessuna eccezione.
Sei appallottolata sulla sedia, con il mento sulle ginocchia, le cuffie alle orecchie e gli occhi lucidi, 13th si sta scusando con il TARDIS perché ha perso la sua chiave e tu pregusti, trattenendo il respiro, il momento in cui la porta della cabina blu si aprirà per lei, ma anzi che sentire la porta scattare, senti la suoneria di Skype e vedi il muso paccioccoso di Sirius. Ti sporgi per accendere la luce della scrivania e rispondi a Rossella.
“Ciao Pi.”
“Ciao Pi. Ti disturbo? Stavi disegnando?”
Sorridi della sua voglia di leggere quello che disegni. “No Pi, stavo solo guardando Doctor Who.”
“Il TARDIS si stabilizza anche questa volta Pi?”
“Ci siamo svegliate simpatiche stamattina, vedo.” Probabilmente il mese scorso avresti ridacchiato del fatto abbia indovinato esattamente che puntata, che scena, stai guardando, ma non sei più tanto in vena di ridere, soprattutto di te stessa.
Ghigna e annuisce contenta, ma perde subito la concentrazione. “Amore di mamma! Vieni dalla mamma…” il gatto al quale sta parlando non sembra particolarmente intenzionato ad avvicinarsi, quindi è lei a recuperarlo, sporgendosi verso di lui e facendo sparire il suo viso dall’inquadratura. Pochi secondi e riappaiono tutti e due sullo schermo del tuo macbook, il gatto con la solita espressione pacifica e passiva, l’umana con la faccia decisamente più soddisfatta. “Di’ ciao alla zia Pi, Sirius. Dille ciao.”
Il ciao del gatto è l’iniziare di rumorosissime fusa e nient’altro, per fortuna. “Ciao Sirius.”
La porta alle tue spalle si apre e Laura arriva di corsa, spingendo la sua sedia da scrivania. “Eccomi eccomi.”
Ti giri a guardarla incredula. “Ehm…avanti?”
Ti batte la mano sulla testa, spinge la tua sedia più a sinistra e saluta la tua amica. “Oh guarda, che coincidenza, ciao altra Pi.” Se tu non sei brava a mentire, la tua coinquilina fa letteralmente schifo.
“Ciao Effe.”
“Ok, cos’è questa storia? Mi state facendo paura.” Rossella e Laura sono ai due antipodi della tua personalità: la tua Pi è lesbica, è estroversa e casinara con un pizzico di esibizionismo, è una drama queen con la passione per le gonnelle insomma; Laura invece è eterosessuale, timida e introversa, preferisce stare dietro alla macchina fotografica che davanti, ed è per la calma assoluta. Perfino il loro modo di concepire l’inglese è diverso, visto che una è Statunitense dentro, mentre l’altra è assolutamente British, il che la dice lunga su entrambe.
Una era pro Leila, all’altra non piaceva nemmeno l’idea di lei.
Dalla loro unione non si prospetta nulla di buono per te.
“Allora Pi, come stai?”
“Si Pi, come stai?”
Ti giri verso la tua coinquilina con la fronte aggrottata. “Da quando mi chiami Pi?”
Scrolla le spalle con nonchalance. “Credo ti stia bene.”
“Non cambiare discorso Pi. Vogliamo sapere come stai, come stai veramente.”
Guardi la foto di Carrie Fisher “Sto bene.”
“Bugiarda.” “Bugiarda.”
Le guardi incredula, chiedendoti se non dovrebbero almeno tentare di farti stare bene e non…qualunque cosa stiano facendo. “Una di voi non dovrebbe fare il poliziotto buono?”
“No.”
Laura lancia un’occhiataccia al monitor. “Non c’è nessun poliziotto cattivo e non è un interrogatorio. Vogliamo solo sapere come stai, come va al lavoro…”
“Se le hai parlato.”
Gratti la testa, afferri una matita e ci giocherelli osservando anche la più piccola oscillazione del legno tra le due dita. “Al lavoro va bene.”
“Significa che stai camminando per i corridoi a testa bassa?”
“E che non le hai parlato.”
“Perché mai dovrebbe parlarle? Visto quanto è stata stronza con lei?”
Entrambe hanno avuto un resoconto a grandi, grandissime linee di quello che è successo. Non sei riuscita a ripetere le parole esatte o di rivivere quella mattina, nemmeno nella tua mente, figurarsi a voce alta.
“Ok è stata decisamente stronza e un pochino la odiamo per questo, ma è stato un chiaro sintomo di gay panic. È da manuale.”
“Di che?”
Rossella si irrigidisce e assume un’aria superiore. “Sei etero, non puoi capire.”
“Non potrò capire il gay panic.” Lo pronuncia in perfetto inglese della regina e la guarda con disprezzo. “Ma sono perfettamente in grado di capire quando una relazione non è equilibrata o quando una delle due…”
“Non è equilibrata? Figa, le ha chiesto di rimanere a dormire da lei!!!”
“E poi l’ha scaricata.”
Pi agita le mani per sottolineare il punto. “Ok si, ma non dimentichiamo cosa è successo la sera prima. È un chiaro caso di gay panic. Forza molto l’accento americano e guarda la tua coinquilina con sfida. “Ma come dice sempre Taylor” e qui inizia a canticchiare “Nothing safe is worth the drive. Oppure” cambia tono e quindi canzone, credi. “Don’t blame me, love made me crazy, if it doesn’t, you ain’t do it right.” Taylor, aka Taylor Swift, Rossella ha una vera ossessione per lei ed è da quanto è iniziata la vostra amicizia che cerca di convincerti ad ascoltarla.
Non le è mai riuscito, ovviamente.
“Ma che stronzata è?”
“Ehi, Taylor ha sempre ragione.”
A questo punto prendi un blocco e inizi a disegnarci sopra, schizzi, nulla di che, più che altro dettagli di Layla in entrambe le sue forme, drago e donna. Non è stato facile riprendere a disegnarla, ma ti rifiuti di lasciare che Leila, che chiunque, ti porti via il tuo più grande amore. Hai quasi rischiato succedesse, non ripeterai più l’errore.
“Quindi secondo te se non sei trattata di merda non vale la pena?”
“Non ho detto questo, ma è anche vero che se non ti sfida, non ti tiene sulle spine e non ti spinge a miglior…”
“L’ha mollata malissimo.”
Sei quasi tentata di agitare le braccia per ricordare loro che sei presente, che sono nella tua stanza, a essere precisi. O una di loro due lo è, l’altra è sul tuo mac, insomma, quello che è.
Continui a disegnare senza prestare loro troppa attenzione, pensi sarebbe fatica sprecata ed è più facile fare finta non stiano parlando di te, o di lei.
“Figa, ancora? È spaventata da quanto meraviglioso sia stare con una donna e non con un cretino egocentrico che non capisce nemmeno una cosa semplice come l’ubicazione di un clitoride.”
“Poi vi lamentate se vi accusano di odiare gli uomini.”
“Ehi! Io ho…”
“Potete smettere, per cortesia?” Poggi la matita sulla scrivania e passi lo sguardo dall’una all’altra. “Non so cosa stiate facendo o perché, ma non mi interessa. Se dovete discutere di cavolate potete tranquillamente farlo privatamente, non in camera mia e non durante la mia serata libera, che vorrei passare in modo più piacevole e costruttivo di così.”
“Scusa Pi.” “Scusa Pi.”
Riprendi a disegnare una Layla infastidita, in versione drago però, perché fa decisamente più paura. Loro rimangono in silenzio per un po’, l’unico suono che si sente sono le fusa del gatto.
“Io credo davvero che dovresti provare a parlarle Pi. Se non altro per avere una chiusura.”
Ti immobilizzi, prendi un respiro profondo e poi guardi il monitor davanti a te. È chiaro dalla scelta delle sue parole che è lei quella che vorrebbe poter avere una chiusura con la sua ex storica, con quella che ritiene essere l’amore della sua vita, che ha smesso di rispondere ai suoi messaggi e alle sue chiamate senza una sola parola di spiegazione. Più volte ti sei offerta di accompagnarla a Los Angeles per affrontare di persona la stronza, ma lei ha sempre rifiutato. Il che è un bene perché avresti dato inizio a una nuova serie: Boiled Potato is the new black. E non saresti stata brava come la protagonista ad ambientarti in carcere.
Rossella ti fa un mezzo sorriso di incoraggiamento e tu fai altrettanto, ma scuoti la testa. “Non posso parlarle. Non ho bisogno di nessuna chiusura, è stata più che chiara.”
“Esatto.” Laura ti posa una mano sulla spalla e annuisce.
“Pi, non è vero che non ne hai bisogno, sono il tuo orgoglio e la tua testardaggine a parlare, non tu.”
“Tu non sai perdonare.” Nella tua mente ormai è la voce di Leila a ripeterlo, non la tua. Devi smettere di nuovo di disegnare, altrimenti rischi di conficcare la matita tanto forte nel foglio da grattare anche il legno sottostante.
“Non puoi lasciarla andare via così Pi, anche se è stata una stronza, non puoi lasciarla andare via senza un chiarimento. E questo prescinde dal fatto io sia certa che lei provi qualcosa per te e sia solo spaventata da tante novità. Non si può mica resistere alla mia patata lessa.”
Sorridi e alzi gli occhi al cielo, ma sei arrossita.
“Non puoi lasciarla andare via così Pi, non puoi. Non con quello che provi per lei.”
Ti si riempiono gli occhi di lacrime e li abbassi subito a fissare la matita che penetra con facilità nella carta. Questo era il grande tabù, quello che hai evitato di ammettere, perfino a te stessa, praticamente dal primo bacio che Leila ti ha dato in ascensore, probabilmente da prima, da quando ti ha abbracciata per ringraziarti del libro.
Cala di nuovo il silenzio, questa volta non ci sono nemmeno le fusa del gatto a riempirlo. Rossella schiarisce la voce molte volte, poi sbuffa e parla.
“Pi, questo fine settimana non lavoro, posso liberarmi facilmente anche venerdì pomeriggio. Perché non vieni da me e ci facciamo il weekend lungo in montagna?”
“Cosa? Io lavoro.”
“Non necessariamente.” Laura estrae un biglietto dalla tasca. “Ho contattato la tua collega…mmh…Giorgia. A proposito, hai troppe Giorgia tra gli amici di facebook.”
“Scusami, cosa?”
Ti mette in mano il bigliettino senza darti retta. “Questo è il tuo nuovo orario. Giorgia e Valentina ti hanno dato un cambio turno qui e qui. Venerdì ti accompagno io all’aeroporto e ti vengo a riprendere…”
“Martedì per pranzo.”
“Martedì per pranzo, si. Martedì chiudi il bar…ehm…farai quattro ore…e poi…”
“Scusate, COSA?”
“Vieni in montagna con me Pi, sono sicura ti farà bene.”
“Ne sono sicura anche io.”
“Ma…e Lene? E…il mio lavoro…e…l’aereo….”
“Lene aspetterà, il mio cane in questo momento ha la priorità. E poi fargliela desiderare un po’ non le farà male, ne sono certa.”
“Il lavoro…” ti sbandiera davanti il bigliettino. “Abbiamo già risolto, manca solo il tuo ok. Per l’aereo c’è la continuità territoriale. Se non ti bastano i soldi, te li presto io.”
“O io.”
Scuoti la testa perché hai qualcosa da parte, comprare un biglietto aereo non sarà per niente un problema.
“Allora Pi?” “Allora Pi?”
“Vieni in montagna?” “Vai in montagna dall’altra Pi?”
Ti butti addosso a Laura e scoppi a piangere, perché è un periodo di merda, e in amore e nel gioco sei sempre stata molto sfortunata, ma in amicizia? Hai sempre avuto i migliori amici della storia.
“Vado in montagna da Pi.”
“Svuoto la lavatrice! Così puoi lavarti la roba che devi portare!” Si alza e va via di corsa.
“Chiamo quello schifido di mio fratello, così in montagna non ci va lui. Avverto Lene che non ci vediamo e…Pi…portati tavoletta, che voglio finalmente sapere chi schifo è questa Agatha e cosa vuole dalla nostra Layla.”
Le migliori amiche della storia.

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Capitolo 36
*** ch35 - The escape ***


ch.35 – The escape.
 
Come c’era da aspettarsi, quando sei partita a Cagliari il vento faceva da padrone e l’aereo ha ballato come un matto e, come c’era da aspettarsi, quando sei atterrata a Linate il sole brillava accecante nel cielo, senza un filo di vento.
La tua big Pi ti è venuta a prendere nel vostro solito posto, è scesa dalla macchina e ti ha avvolta in un abbraccio da mamma orsa.
“Little Pi!!!!”
Abbracciare le persone con molto seno, per chi hai la sesta come te, non è mai semplice, con la tua Pi invece viene molto naturale, forse è la differenza d’altezza, ma non ne sei tanto sicura e al momento non ti importa, fintanto che ti fa sentire al sicuro tra le sue braccia.
“Ciao Pi.”
“Come è andato il volo? C’era qualche figa? Ma hai un bagaglio così piccolo? Guarda me…” apre il bagagliaio in cui c’è un trolley grosso più o meno quanto il tuo ma il resto dello spazio è occupato da un’enorme borsa.
“Vedi questa?” Indica la suddetta borsa. “Questi sono solo i miei trucchi Pi. Sono un caso perso.” Scuote la testa ma guarda la borsa con un sorriso innamorato e, ne sicura nonostante gli occhiali da sole, occhi perfettamente truccati e pieni di gioia.
Caricate la tua valigia e lei sale in macchina, prima di accenderla però si gira e ti guarda. “Pi, ascoltami.” Toglie gli occhiali e tu credi sia il caso di fare lo stesso.
“Dimmi.”
“Questa è la tua vacanza ricostruttiva, è il tuo momento di healing ed io non ho intenzione di fare o dire qualcosa che possa rovinartela. Perciò se e quando vorrai parlare di quello che è successo, tutto quello che devi dire è now ed io capirò. Easy. Una parolina semplice semplice. Ok?”
“Ok.” Un’ondata di affetto ti sta invadendo e non puoi dire altro senza scoppiare a piangere, Rossella sembra saperlo quindi si gira e si rimette gli occhiali da sole, fa per accendere la macchina ma si ferma.
“Pi?”
“Pi?”
“Sei sicura di non voler dire nulla adesso?”
Alzi gli occhi al cielo. “Imbecille, guida.”
“Eh, io ci ho provato Pi.” Il numero di volte in cui pronunciate il vostro soprannome continua a crescere di volta in volta e inizia a diventare ridicolo, ma in un certo è anche molto rassicurante e divertente. Accende la macchina e con lei la musica, che parte a tutto volume, ridacchia e abbassa subito.
“Scusa Pi, è il cd che ho fatto per Heartlines, ti secca se lo tengo su?”
Heartlines è il suo romanzo, quello che ha scritto dieci anni fa e che ora sta sistemando perché lo vorrebbe vedere pubblicato. Ovviamente lo sta riscrivendo in inglese perché non c’è speranza che un romanzo gay di una scrittrice sconosciuta venga pubblicato in Italia, nessuna speranza.
Il cd è un mix abbastanza particolare di canzoni, tra Florence + the machine, Madonna e Lacuna coil, abbastanza lontano dai tuoi gusti musicali, ma comunque godibilissimo perché è talmente tanto Pi che te ne innamori subito.
Rossella fa di tutto per renderti il viaggio il più piacevole possibile, lasciandoti tranquilla nel tuo mutismo e raccontandoti tutto quello che le è successo in questi mesi e di cui tu non avevi idea, perché troppo presa dalla tua vita.
Finito il cd ne sceglie subito un secondo e non ti stupisce troppo di scoprire che si tratta di un qualche album di Taylor Swift. Ora alle chiacchiere si alterna molto più spesso il suo canto e tu hai tre ore per imparare a conoscere la voce della sua beniamina e iniziare a capire cosa stia cantando, prima di arrivare in montagna.
“Dovresti ascoltare Taylor, è la scrittrice dei cuori spezzati per eccellenza” era la frase che più pronunciava quando vi siete conosciute e ora ne capisci il motivo. Non cogli il significato di tutte le canzoni, non sei così brava e probabilmente non lo sarai mai, ma ci sono parti che il tuo cervello coglie fin troppo chiaramente, come la frase:
“What we had, a beautiful magic love there. What a sad beautiful tragic love affair.”
Ti ha fatto venire voglia di buttarti dalla macchina che correva in autostrada, o di scoppiare a piangere e non smettere mai più, ma ovviamente non era solo quella canzone, ne potresti citare molte altre e ti è bastato sentirle una sola volta affinché affondassero profondamente nel tuo cuore sanguinante. Quando scendi dalla macchina sei perfettamente consapevole che scaricherai tutta la discografia della signorina Swift non appena metterai piede nel tuo appartamento.
Sai riconoscere quando perdi una guerra.
Rossella tiene fede alla sua parola, non nomina Leila nemmeno una volta, non ti chiede nulla neppure sul tuo lavoro e accenna solo poche volte a Lene. Ti porta a mangiare, ti aiuta a fare foto ridicole a 13th, che ti sei portata dietro, ti parla del suo romanzo e cerca di estorcerti spoilers di Flying dragons.
Sono quattro giorni molto piacevoli, che ti rimettono letteralmente al mondo e l’ultima sera che passate in montagna per te è una triste agonia. La padrona di casa ti ha preparato una strepitosa tartar al coltello, con tanto di uova crude in cima, vi siete mangiate una torta sacher in due e poi vi siete messe nel suo lettone a guardare “Bare” un film in cui Dianna Agron è la protagonista e in cui è assolutamente meravigliosa.
Insomma, la tua serata ideale.
Quando il film finisce sospiri e decidi di sputare un enorme rospo.
“Non ho la più pallida idea di come far finire Flying Dragons.”
“Che?” Ti guarda con occhi stupiti e tu annuisci.
“Già.”
“Quindi tu hai iniziato a disegnare la storia di questa povera santa che trova un drago malefico senza sapere come finisce?”
“Non è un drago malefico” Ti guarda con rimprovero “Ok un pochino si, ma è così carina…”
Ridacchia e annuisce “Layla è assolutamente spettacolare, ma figa Pi, rende la vita impossibile a quella povera ragazza.”
Sentire quel nome è un tuffo al cuore per te, devi ammetterlo, ma ti sforzi di concentrarti sulla tua Layla, quella che è veramente stata sempre tua.
“È vero, ma è quello il suo fascino, il fatto sia tanto terribile.”
“Si ok, ok, vediamo di fare il punto della situazione, un pochino di brain storming Pi, magari ci viene in mente qualcosa.” La ami e la adori quando usa il plurale per una tua creazione o un tuo problema. “Quindi quella povera santa di Sidney trova un drago, lo adotta, lo cresce, capisce che il suddetto drago può diventare un essere umano…”
“…grazie a questo drago impara ad affrontare le sue paure…” vuoi sottolineare questa cosa, non vuoi che Layla passi per una cosa negativa, MAI.
“…e si rimette con Carol…che carine che sono.” Batte le mani e squittisce e ti piace da morire che faccia la fangirl con qualcosa che hai creato tu.
“Sei una Carol dipendente.”
“Non è colpa mia se l’hai fatta basandoti su Karlie Kloss, lo sai che sono gay e debole.” Si avvicina a te e ti guarda con occhi pieni finto dolore “Gay e debole, Pi.”
La spingi via e alzi gli occhi al cielo. “Si Pi, si.”
“Quindi…torna con Carol…vengono attaccati dai draghi…”
“Viverne.”
“Viverne, giusto. Vengono attaccati dalle viverne e vengono salvate da un drago enorme che si scopre essere l’inquietante brunetta che le osservava da giorni.”
“Agatha.”
“Agatha, si…che chiama Layla Carrie, a proposito, complimenti per la fantasia.”
Arrossisci e gratti la testa. “Lo sai che faccio schifo a dare nomi, Pi.”
“Seh, seh. Sei una fangirl.”
“Ha parlato.”
Ghigna orgogliosa. “Siamo due Fangirls!!! Anyway, chi è questa Agata, lo sappiamo?”
“Vuoi davvero lo spoiler?”
“Pi, lo sai che gli spoilers non mi fanno né caldo né freddo.”
“Ok, è la sua compagna magica. Una sorta di anima gemella dei draghi che l’ha cercata per milioni di anni.”
“Figata Pi!”
Arrossisci “Macché, non è nulla di che.”
“PI!!! Ti picchio Pi! Ora sei qui e lo posso fare.”
“E quindi non so come farlo finire.” Non sai quanta forza fisica abbia Rossella e non lo vuoi di certo scoprire oggi, così.
“Puoi farlo finire che…mmmh…fanno una cosa a quattro. Fai fare loro una cosa a quattro Pi.”
“COSA?”
“Ma si…ti immagini tutto quel biondo, quelle gambe. Mi piacerebbe molto.”
Arrossisci, di nuovo. “Pi! Non disegno quel tipo di cose.” il tuo cuore salta un battito al ricordo dei nudi che non hai mai tolto dal tuo cassetto, ai quali non hai nemmeno il coraggio di avvicinarti.
“Male Pi! Dovresti.” Sbuffi e lei ti ignora “Boh, potresti concentrati sulla guerra, d’altronde è una cosa grossa. Puoi fare che Carol si arma e li uccide tutti. Dio come sarebbe figa con un fucile in mano e vestita da militare.” Fissa un punto oltre la tua spalla.
“Stai immaginando Karlie Kloss in tuta mimetica, vero?” Annuisce e tu fai per alzarti. “È meglio se vado in camera mia, non voglio essere nello stesso tuo letto quando pensi a certe cose.” Per quanto affetto possiate provare l’una per l’altra, e per quanto vi vediate poco, tu e Rossella siete due persone profondamente indipendenti e tendenti al solitario, quindi quando vi vedete tendete a separarvi per la notte, perché entrambe sentite il bisogno della solitudine di un libro o dei vostri pensieri.
Ti colpisce sul braccio, ma non troppo forte, si gira dall’altra parte e spegne la luce. “Mi fa fatica vederti andare via. Resta qui, non credo moriremo se un giorno condividiamo un letto.”
Non ti sfiora nemmeno per sbaglio l’idea che sia una proposta sessuale, non con Pi, non avete e non avrete mai quel tipo di rapporto, anche perché tu, da buona patata lessa, non faresti mai sesso con le amiche, non ne sei capace.
Lei canticchia qualcosa a mezza voce e tu rivivi la vacanza quasi finita, pensi alla giornata che domani passerai a Milano, alla passeggiata che farai ai navigli e sai già, sai già che passerai il tempo a cercarci Leila, come una perfetta idiota.
Solo ora ti rendi conto che Rossella sta canticchiando Layla di Eric Clapton.
“Big Pi?”
“Little Pi?”
Sono tre lettere, eppure è più difficile del dovuto, inspiri e ti ripeti nella mente che puoi farlo, che è la tua Pi e puoi farlo.
“Now.” È appena sussurrato ma la tua amica scatta a sedere, sai che guarda verso di te, anche se siete nel buio più totale. Si muove a tentoni fino a trovare la tua mano, la prende e ricade sdraiata.
“Ok ok Pi, dimmi tutto quello che vuoi.”
Rimani in silenzio perché non sai cosa dire, da dove iniziare e le parole che vorresti sono terrificanti per te, perché annuncerebbero il tuo amore per qualcuno che ti ha buttato via come carta straccia.
“Ok, inizio io. Mi dispiace per l’altra sera.”
“Per cosa?”
“Quando abbiamo fatto la chiacchierata con Laura. Continuavo a spingerti a parlare con Leila e so che magari ho esagerato, che sei ferita e che parlarle ora ti farebbe stare peggio, ma Pi, ti conosco e so che qualunque cosa lei ti abbia detto, tu non hai spiccicato parola e Pi…quelle parole ti divoreranno fino a distruggerti.”
Sa perfettamente di cosa sta parlando, ha scritto molte lettere alla sua ex, messaggi, Email, e ciascuna di loro era stracolma delle parole che non è riuscita a dirle e non per sua scelta. Quando niente di tutto questo ha scatenato una risposta, Rossella ha iniziato a scrivere un romanzo su di loro per poter eliminare una volta tutte quelle parole e salvarsi.
Vorresti avere la sua stessa forza e vorresti poter eliminare quelle parole per lei.
“Non si è limitata a lasciarmi.”
“No?”
“No…mi ha detto che dovevo tornare al mio posto, che voleva solo svuotarsi i coglioni…o qualunque cosa sia la versione femminile…mi ha detto che non dovevo permettermi di lasciarle dei regali nel suo armadietto o scrivania. No aspetta, non rende…non…detto così non rende il disgusto con il quale mi ha parlato.”
“Io a quella stronza stacco la testa a morsi.”
“Mi ha detto che non voleva più vedermi o sentirmi e che…che non dovevo permettermi di guardarla come la pervertita che sono…o qualcosa del genere.”
Rossella si rimette di nuovo a sedere e ti stringe più forte la mano. “Quella grandissima testa di cazzo!!! Chi cazzo si credere di essere per parlare così? Fintanto che aveva bisogno di avere un orgasmo degno di tale nome, era tutta gentile e carina, era LEI la pervertita. Tornasse a fingere orgasmi e a succhiare cazzi, quella benemerita testa di cazzo. Non merita la mia Pi, non vale nemmeno un mignolo della mia meravigliosa Pi!!!”
Stai piangendo come una scema, con tanto di singhiozzi e tutto il resto, perché Pi sta soprattutto per Patata lessa. Si sdraia alla cieca e ti prende tra le braccia, non ne sei sicura perché è così tanto buio da non permettere ai tuoi occhi di abituarsi, ma hai la sensazione stia piangendo anche lei.
“È una schifosa succhiacazzi Pi e non ti merita. Non ti merita.”
“No Pi, no.”
“Si Pi, non ti merita, non ti merita nemmeno un minuto del tuo tempo.”
“Ma Pi…Pi…sonoinnamoratadilei. Sono innamorata di lei.”
Non risponde, ti tiene tra le braccia e ogni tanto mormora qualche insulto tra i tuoi capelli.
“Pi?” Non sei nemmeno sicura sia la tua voce.
“Si?”
“Metteresti quella canzone di Taylor…quella beautiful magic o tragic o quello che è.”
“Sad beautiful tragic. Certo Pi.” Il suo telefono illumina la stanza e vi acceca entrambe, Rossella impiega pochi secondi a riprendersi e dopo pochi attimi la canzone parte dalla cassa del suo telefono. Chiudi gli occhi e ti lasci cullare senza smettere di piangere, ma più piangi e più la canzone suona, ancora e ancora, più tu senti qualcosa scivolare via da te e hai la certezza che quando rimetterai piedi a Cagliari, non sarai più la stessa persona che è partita.

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Capitolo 37
*** ch36 - The end of tomorrow ***


ch.36 – The end of tomorrow.
 
“Questa mia madre non me la perdona di certo.”
A causa dello spavento che hai provato, il colpo che hai dato allo sportellino interno della spremiagrumi è decisamente più forte degli altri, il che non è un male, dato che ora è tornato al suo posto e, pare, perfettamente funzionante. Non ne avrai la certezza finché non le farai spremere un’arancia.
Ti giri per vedere chi abbia parlato ed Anna è dall’altra parte del bancone che ti sorride. Rispondi a quel sorriso più che volentieri e, stranamente visto il tuo umore degli ultimi giorni, sinceramente.
“Ciao Anna!” Fai il giro del bancone e non sei sicura di come salutarla perché vi siete già abbracciate, ma in seguito a una situazione emotiva particolare, così, a freddo, non sai quale sia la giusta etichetta da seguire.
È lei a decidere per te, abbracciandoti stretta “Ciao! Dov’eri finita? La scorsa settimana siamo venute due volte ed entrambe le volte c’era qualcun altro.” Torni dalla tua parte del bancone e inizi a prepararle un caffè. “Mia madre era così arrabbiata che ha maltrattato il povero collega che, secondo lei, stava usurpando il tuo posto.”
Scoppi a ridere ed è quasi strano farlo, al lavoro ormai è strano ridere. “Ma povero collega, non so chi ci fosse, ma povero collega. Comunqueeeee….” Poggi il caffè sul piattino “Ero in ferie.”
“Che invidia!!! Dove sei andata?”
“In montagna.” Ghigni felice e un pochino te la tiri, anche se le tue ferie in montagna sono state solo cibo, sonnellini e film gay. Non che tu abbia nulla da lamentarti, ma magari per qualcuno potrebbe non essere una vacanza propriamente ideale.
Allontani il pensiero che per Leila lo sarebbe e ti concentri solo su Anna.
“Dove?”
“Cavalese, in Trentino. I genitori di una mia cara amica hanno la casa lì e lei mi ha invitato per un fine settimana lungo.” Prima che tu possa pensare, rispondi in automatico alla domanda che sai ti starà per essere fatta. “È solo un’amica, nient’altro. Non abbiamo fatto nulla. Non scopo con le ami…” ti accorgi troppo tardi di aver appena dato questa informazione a qualcuno che non ha la più pallida idea, e probabilmente non le interessa nemmeno, della tua sessualità. “…che.” Potendo, scaveresti un’enorme buca nel pavimento e ti lasceresti cadere fino al piano terra, dove scaveresti ancora fino a trovare il nucleo della terra e lasciarti inghiottire.
Inutile precisare che al momento potresti illuminare una città intera.
Anna ha la tazzina accanto alle labbra, ma non beve, ti guarda solo con interesse e sembra divertita.
“Scusa…mi è scappato…è perché…èperchécelochiedonotuttienoinon…” Arricci il naso e guardi il cucchiaino abbandonato sul piattino bianco.
Si prende il tuo tempo per bere il caffè, così tanto da metterti il dubbio lo stia facendo di proposito, cerchi di fingere la cosa non ti tocchi minimamente, ti sforzi con tutta te stessa, ma credi sia uno sforzo totalmente utile.
Finalmente poggia la tazzina con tutta calma sul piattino e ti sorride. “Buono a sapersi.”
Non era decisamente la risposta che ti aspettavi, ma non ti lascia il tempo di chiedere spiegazioni.
“Mia madre non sarà affatto felice di sapere che sto di nuovo parlando con te senza di lei.”
“Come sta?” Pieghi la testa a un lato e aggrotti le sopracciglia. “Non so nemmeno come si chiami tua madre.”
“Antonella.”
“Uh…piacere signora Antonella. Puoi dirle che mi ha fatto piacere sapere il suo nome e che mi dispiace sia venuta mentre non c’ero?”
“Non credo le piacerà molto quel signora prima del suo nome, ma le porterò sicuramente i tuoi saluti…e….sta bene. Se la sta cavando, un passo alla volta, una giornata alla volta.”
“Dille che le mando un abbraccio.” Ancora una volta, non sai perché questa storia ti abbia colpita tanto, se sia perché tuo padre è inesistente, perché sono state gentili con te, o perché dopo tante persone che ti trattano alla stregua di un macchinario, quando qualcuno ti tratta da essere umano, non riesci a non essergli grata.
Si finge preoccupata, ma sorride “Non me lo perdonerà mai.”
“Beh dai, magari la prossima volta che venite mi beccate.” Mentre parli, stai ovviamente preparando la solita bustina contenente due dolcetti svedesi e gliela porgi, lei impiega un pochino troppo a prenderla, poi lo fa e mordicchia le labbra.
“Per caso hai una penna?”
“Si, certo.” Recuperi una penna dal barattolo-cartoleria e gliela porgi, lei mette la lingua tra i denti e strappa un pezzo di carta dal sacchetto, ci scrive qualcosa sopra e te lo porge.
“Questo è il mio numero, se hai voglia, scrivimi quando hai il turno di pomeriggio. Così veniamo a colpo sicuro.”
Guardi il foglietto con i dieci numeri tondeggianti scritti sopra, guardi colei che lo ha scritto e poi ancora i numeri.
“Ok…” c’è qualcosa di profondamente strano in quello che sta succedendo, ma ti sfugge cosa.
“Temo di dover andare o i miei amici si chiederanno che fine ho fatto. Quanto ti devo per caffè e dolcetti?”
Scuoti la testa, persa nel tentativo di capire cosa ci sia di strano, lei si avvicina all’estremità vuota del bancone, quella da cui tu dovresti uscire, e tu in automatico le vai incontro e lasci che ti abbracci.
“Allora ci vediamo presto?”
“Si. Saluta la signora Antonella per me.”
“Non mancherò, e grazie ancora di tutto.”
Lei fai cenno che non è nulla di che e la guardi andare via.
“HAI CAPITO PASTORELLI?!?!?” Una mano ti colpisce con forza sulla spalla e due occhi compiaciuti ti guardano come se tu avessi appena fatto qualcosa di molto bello.
“Eh?”
Silvietta si allontana da te e va a prendere uno dei biscotti che tu hai messo in degustazione per i clienti.
“Fai tanto la santarellina e poi…” sputa briciole ovunque e tu aggrotti le sopracciglia, schifata.
“Io non faccio la santarellina e non ho idea di cosa tu stia parlando.”
Indica verso la fine del muro che divide il bar dal resto del negozio e alza e abbassa le sopracciglia, tu sbuffi e riprendi a lavorare, sparecchi il bancone e lo pulisci.
“È solo una cliente abituale, nulla di che.”
“È solo una cliente abituale lesbica.”
“Che?” Ti è uscito di qualche ottava più alta. “Tucomefaiasapereche…”
La tua collega poggia entrambe le mani sul banco e dondola la testa “Fammi un caffè doppio, molto lungo, in carta ed io te lo dico.”
Sbuffi alzando gli occhi al cielo, ma fai comunque come ti dice perché la curiosità e il tuo senso del dovere hanno la meglio sul tuo orgoglio.
“Quella è Anna Melis, è l’ex dell’ex di una mia ex.”
Ti giri e la guardi con lo sguardo di un pesce lesso. “Scusami?”
“Pamela, la mia ex, prima di stare con me stava con Ilenia, che prima di stare con lei stava con quella figa di Andrea, che prima di stare con lei stava con Anna. Chiaro, no?”
Non pensi sia propriamente chiaro, ma pensi anche che sia tipicamente lesbico, come dicono nel telefilm the L world, metti dieci lesbiche in una stanza, e troverai che siano tutte collegate tra loro via ex.
Tu credi di essere l’unica eccezione a questa regola, perché la prima volta che sei stata con Claudia era in Sardegna in vacanza, mentre la seconda (e duratura) volta, eravate nella sua città, Firenze, Daniela era di Torino e la terza era Leila e non vuoi nemmeno avvicinarti al pensiero di lei.
L’unica ragazza sarda con cui tu sia mai uscita è Daisy e se ci pensi è una cosa molto strana.
“Chiarissimo.”
“Quanto ti devo Martinettis?”
Scuoti la testa, perché ti rifiuti di far pagare il caffè ai tuoi colleghi, e alle ex delle ex delle loro ex, a quanto pare.
“Non è quello che credi comunque, è solo una cliente abituale alla cui madre sto simpatica.”
“Ah si?”
“Si.”
Non ti piace affatto la sua espressione compiaciuta, ancora meno quando indica verso il bigliettino che hai stupidamente dimenticato accanto alla tua bottiglia d’acqua personale.
“E quello allora cos’è?”
Ti chiedi se ti stiano fumando le orecchie perché ti senti andare a fuoco, cerchi di rispondere molte cose diverse tutte insieme ma non credi dalla tua bocca fuoriesca nulla di lontanamente sensato.
“Mi sa che non stai simpatica solo a sua madre.” Ammicca diverse volte e tu vorresti infilarle l’intero bicchierino in carta da caffè in bocca, pur di farla tacere.
“Martiiinaaaaaaa” Giorgia arriva di corsa e ti abbraccia con il braccio con cui non sta tenendo il cassetto dei soldi. “Oggi grande festa, ti concedono la pausa. Ciao Silviettis.” Si gira verso di te. “Vattene.”
“Ciao anche a te Panzerottina.”
“Vattene ho detto, abbiamo poco tempo.”
Odi e ami le tue colleghe, ma più spesso le odi. Tuttavia quindici minuti di pausa sono quindici minuti di pausa, non hai nessuna intenzione di rifiutarli.
Nemmeno la tua vescica ce l’ha.
Cedi la tua cuffia a Giorgia e vai a staccare il cassetto dalla cassa.
“Hai sentito Leila?”
La moneta che stai usando per staccare il cassetto ti cade e rotola via, la rincorri e la riprendi con mani tremanti.
“Si, l’ho sentita ieri.”
Non hai mai capito che tipo di rapporto abbiano Silvietta e la sua responsabile, hai sempre pensato fosse la sua minion preferita, l’avesse in un certo senso adottata, ma come per tutte le cose che riguardano Leila, non ne hai e non ne avrai mai la certezza.
“Come si trova a Genova?”
Sei finalmente riuscita a staccare il cassetto, ma quando senti quella domanda lo richiudi con troppa forza, le tue colleghe ti guardano e tu ti scusi, sperando non capiscano che le due cose siano correlate. Per tua fortuna l’amore di Silvia per il gossip è più grande di qualsiasi altra cosa.
“Bene. Sembra che anche suo figlio e Mayalina si trovino bene.”
Chiudi il cassetto nel suo piccolo loculo e fatichi a prendere la chiave da quanto stai tremando, ti sforzi di mantenere il controllo però, di non farti sopraffare da quello che stai provando.
“Scusate…cosa…” la tua voce è molto flebile in questo momento e non riesci a finire la frase, ma è il tuo massimo, non puoi chiedere di più a te stessa e al tuo cuore, che sta andando in frantumi per la paura di aver capito perfettamente cosa stanno dicendo.
“Leila è stata chiamata a Genova dai capoccia. È partita la settimana scorsa, non lo sapevi Martinettis?”
“Ma no, Marty era a Cavalese con la sua amica con la quale non scopa.” Giorgia fa le virgolette con le dita, chiarendoti che nemmeno lei crede che tu e Rossella siate solo amiche. Al momento la cosa ti fa gioco, perché se pensano che tu abbia una storia con Pi, non capiranno che sei innamorata della persona della quale stanno parlando e che è uscita per sempre dalla tua vita senza degnarti di un misero saluto.
“Marty stai bene? Sei pallida.”
“Si io…devo andare in bagno.”
“Vai.”
Corri via e senza badare a chi delle due l’abbia detto, non hai il tempo di capirlo perché il tuo stomaco si è rivoltato a tal punto che non sai nemmeno se farai in tempo ad arrivare in bagno per vomitare o lo farai in pieno negozio.
Entri nei bagni dello spogliatoio grande giusto in tempo per riuscire a svuotare il contenuto del tuo stomaco dentro il cesso, usi le tue ultime forze per trascinarti fino al lavandino, sciacquare la bocca meglio che puoi e rinfrescare il volto, dopo di che sei costretta a sederti su una delle panchine davanti agli armadietti delle tue colleghe per non svenire ed è allora che vedi il suo armadietto, semi aperto ed evidentemente vuoto.
Scoppi a piangere e ti chiedi se imperai mai, se prima o poi arriverà un giorno nella tua vita in cui riuscirai ad amare qualcuno nella maniera giusta, senza permettere all’amore di farti in mille pezzettini.
Ovviamente non è questo il giorno.

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Capitolo 38
*** ch37 - The girl who waited ***


ch.37 – The girl who waited.
 
“Dovresti andare a casa a mangiare.”
Ti giri a guardare con aria incredula tua madre per due motivi fondamentali: 1. Non fa che dirti che dovresti dimagrire perché sei troppo pienotta; 2. Siete in ospedale da quasi sei ore ormai, non hai nessuna intenzione di andare via ora e perderti la nascita della tua nipotina.
Tua sorella è in travaglio praticamente da sempre, quando tua madre ti ha mandato un messaggio per avvisarti stavi smontando la spremiagrumi, quindi erano le 19. Ora sono le 15 del giorno dopo e Federica sta spingendo per fare uscire la sua testardissima figlia da più o meno tre ore, o almeno è quello che vi ha detto un’infermiera dopo che l’hai supplicata per avere notizie.
Non la invidi per nulla e non credi che deciderai mai di avere dei figli e non solo per la parte economica dell’inseminazione artificiale.
“Non ho nessuna intenzione di tornare a casa mamy.” Anche perché sono giorni che non fai un pasto decente, e non per mancanza di tempo. Quando sei tornata da Firenze hai perso una ventina di chili, temi che lo scherzetto di Genova te ne costerà almeno altri 10, per la gioia di tua madre e di tutte le colleghe che continuano a dirti che saresti una gran figa con qualche in chilo in meno. Come se la cosa ti importasse su qualche livello.
“Vatti almeno a prendere qualcosa da bere.” Tua madre e la sua strana coerenza.
“Tu vuoi qualcosa?”
“No, grazie.” Il che, nella lingua di tua madre, significa che berrà metà di quello che stai prendendo tu. Torni nella saletta d’attesa, a pochi passi da voi a essere precisi, e prendi un tè freddo dalle macchinette.
Siete in ospedale da stamattina alle 9 circa, ti sei svegliata, sei saltata in doccia e poi direttamente qui, dove hai trovato tua madre intenta a fare a uncinetto, in pieno Giugno. Inutile specificare che tuo padre è andato al suo solito bar a offrire da bere agli amici e non si sia degnato di fare una mezza chiamata per sapere come stia la maggiore delle sue figlie. L’importante era festeggiare, come se gli servisse una scusa per farlo.
Ti dispiace per tua sorella ma per te è un sollievo non sia qui e che non ci sia pericolo si faccia vedere.
Torni da tua madre sorseggiando la bevanda ghiacciata e adorandone ogni sorso, gliela porgi e fate contemporaneamente le indifferenti quando passa un’infermiera, dato che vi hanno già sgridato tre persone diverse perché siete di fronte alla sala parto e non in sala d’attesa. Certo se qualcuno si degnasse di venire a dare informazioni alla madre della partoriente, almeno una volta ogni tanto, non sentireste il bisogno di stare lì.
La porta che conduce alla sala parto sia apre e voi allungate i colli per riuscire a sentire qualcosa, fossero anche le urla di tua sorella, che fanno sbiancare per la paura tua madre, o magari il meraviglioso pianto di una bambina. Non sentite nulla e un’ostetrica (e sai che è un’ostetrica perché ce l’ha letteralmente scritto sul camice) vi guarda e tu sei pronta a ricevere l’ennesima cazziata
“La signora Pastorelli?”
A tua madre non piace essere chiamata con il cognome di tuo padre, anche quando ha strettamente a che fare con voi figlie, al momento non credi se ne sia nemmeno accorta però, a giudicare da quanto è sbiancata, non che il tuo cuore sia rimasto tranquillo.
“Sua figlia la vuole vedere.”
Vi guardate, puoi guardate di nuovo l’ostetrica. “È nata?”
“Si, è nata.” Vi guarda con aria annoiata e a te sembra la donna più bella del mondo in questo momento. Tu e la neo-nonna iniziate a saltare, vi abbracciate e piangete continuando a ripetere “Congratulazioni zia” “Congratulazioni nonna”. Smettete solo quando la simpaticissima ostetrica parla.
“Allora?” Hai pena per qualcuno che vede ogni giorno una nuova vita venire al mondo e non prova più alcuna gioia per questo.
“Si, si.” Tua madre sparisce nella porta con lei e tu rimani lì sola a fissare quell’ingresso chiuso, continuando a saltellare e a squittire per la gioia, e non solo perché sei diventata zia, ma anche perché tua sorella sta bene ed è sopravvissuta alla cosa terribile che è il parto. Sai perfettamente che siete nati tutti così e che nasceranno tutti così, ma sai anche che molte donne ancora muoiono dando alla luce i loro figli ancora oggi e sei una patata lessa ed eri preoccupata per la tua sorellona.
La neo-nonna esce e ha gli occhiali sollevati ed entrambe le mani sugli occhi, la prendi tra le braccia e lei singhiozza, sorridi intenerita dal suo amore per voi.
“Va tutto bene mamy, sta bene.”
“S….si.”
Le offri un sorso di tè e lei ne beve solo una goccia. “Perché non vai dentro anche tu?”
Non sei particolarmente attratta dall’idea, ma anche tu hai bisogno di vedere con i tuoi occhi che Federica sta bene, quindi entri in quel terrificante reparto. Appena metti piede nella sala parto, nella quale ti dicono essere tua sorella, un’altra ostetrica ti ferma e non ti stupisce ce ne siano così tante, dato che tua nipote ha scelto di nascere a cavallo tra un turno e l’altro.
È già un’adorabile rompicazzo.
“Lei chi è?”La donna te lo abbia contro mentre preme il ventre di tua sorella per far uscire non sai cosa e non lo vuoi sapere. Ti sforzi di non guardare il sangue sparso sul pavimento o cosa stia facendo questa sconosciuta tra le gambe della tua adorata sorellona.
“La sorella.”
Appena sente la tua voce Federica alza lievemente la testa “Marty-Marty.” La sua voce è un lieve sussurro e non hai mai visto il suo volto così stanco e pallido in vita tua. Aumenti il passo, le accarezzi un ginocchio nudo, ti fermi accanto a lei e le posi un bacio sui capelli sudati.
“Sei stata bravissima, siamo fiere di te.”
“Sei sempre stata qui Marty-Marty? Non hai mangiato?”
Ti chiedi se la tua alimentazione sia l’argomento del giorno e se tua madre e tua sorella siano in grado di sentire che non stai mangiando come dovresti.
“Come potevo andare via o mangiare? Stavi partorendo!!!” Ti sorride stancamente e i suoi occhi castani ti sembrano spaventosamente grandi rispetto al suo viso smunto, e in famiglia non avete gli occhi piccoli. “Stai molto male?” Le scosti un ciuffo di capelli dalla fronte e le accarezzi una guancia con la punta delle dita, sperando di non causarle nessun tipo di dolore o fastidio. Ti prende la mano e la tiene nella sua “Sono tanto stanca Marty.”
“Vado via allora e dico a chiunque di non venire a romperti le scatole fino a domani, ok?”
“Ok.”
La baci sulla fronte e vai via, prima di uscire dalla stanza però ti fermi e la guardi, ha gli occhi chiusi e sembra la creatura più indifesa al mondo e sei orgogliosa sia tua sorella.
Tua madre non si è mossa di un solo passo da dove l’hai lasciata tu, ha gli occhi ancora più acquosi del solito ma sta sorridendo come non mai.
“Abbiamo notizie della bambina?” Ora che ti sei accertata che la tua sorellona stia bene, puoi iniziare a pensare alla bambina.
“Erik è al nido che le fa il primo bagnetto, mi ha scritto un messaggio. Pare che la bambina pesasse 3.850…”
“Uh…un vitello.” Ti colpisce su un braccio e tu ridacchi felice.
“…e che fosse…” alza la voce per impedirti di dire ancora cattiverie sulla nuova nata. “…incanalata male, per questo ha impiegato tanto a uscire.”
Fai una smorfia di dolore immaginando cosa deve avere patito il fisico di tua sorella per sopportare una cosa simile ed espellere quel piccolo facocerino dalla sua vagina.
Nope, non avrai mai figli.
Erik esce di corsa dalla porta della sala parto, vi scambiate un abbraccio e le congratulazioni veloci e poi sparisce per andare a prendere dell’acqua per la neo mamma, è talmente agitato che non avete il coraggio di chiedergli nulla. È sparito da pochi secondi quando la porta del nido si apre e un’infermeria viene verso di voi spingendo una culla. Ti fiondi verso di lei per vedere chi o cosa contenga, o se contenga qualcosa, quando leggi che il cartellino dice “Federica Pastorelli” e subito sotto “Claudia” perdi ogni dignità, saltelli squittisci e fai due foto velocissime, già perdutamente innamorata della sua testa deformata da alieno, dei suoi occhi aperti e vispi, delle sue enormi guance rosee e paffute e della sua aria infastidita da tanto casino.
“Scusatemi, devo portarla dentro, ho paura per lo sbalzo di temperatura.”
Annuite e ringraziate centinaia di volte l’infermiera per la sua disponibilità, tua madre guarda con occhi sofferenti e innamorati la porta che si chiude e tu la spingi verso quella direzione.
“Mamy vai, entra. Ci hanno detto che possiamo entrare uno per volta e se Erik non c’è, puoi entrare tu.”
Ti guarda come se non capisse. “E tu?”
“Ma’ sono certa che Fede preferisca avere te e non me, io passo domattina prima del lavoro a trovarle.”
Non ti risponde, accetta solo il tuo invito con gioia. Quando lei non c’è torni alla sala d’attesa e invii la foto della tua nipotina nuova di zecca, o di utero, a Rossella, Laura e Giorgia, con la scritta “Una minuscola Pi”.
Al momento è ancora Claudia Pastorelli, il che ti suona stranissimo, solo perché tua sorella e il suo compagno non sono sposati, ma appena possibile diventerà Claudia Perra, quindi rimarrà una mini Pi e tu nei profondamente felice. Saresti stata felice anche se si fosse chiamata Delogu o Cardu o Manca o qualunque altro cognome, perché è sana e viva e tutto il resto è solo grasso che cola.
Sei tentata di mandare la foto anche a Leila, ma ti dai della stupida subito dopo.
Stai leggendo le varie congratulazioni di risposta quando la neo-nonna ti raggiunge, ovviamente sta piangendo, poggia la testa contro la tua spalla e sospira profondamente. Tua madre e le emozioni forti non sono mai andate troppo d’accordo e sai che è il tuo dovere di figlia starle accanto in questa giornata molto bella, ma non troppo facile.
“Sono belle?” Prenderla un po’ in giro fa parte del vostro rapporto.
“La cosa più bella ci sia al mondo.” Non sei mai stata tanto d’accordo con lei.
“Che ne dici se vado a comprare dell’acqua per questi due scemi e poi andiamo a casa tua?”
Si riaccende subito il sorriso sul suo volto. “Ho comprato i canestrelli che ti piacciono tanto.” Nemmeno il caldo del 19 Giugno vi impedirà di bere il vostro tè caldo.
“Perfetto allora, aspettami qui, senti se hanno bisogno di qualcosa, torno a prenderti tra massimo dieci minuti.” Il conad è dall’altra parte della strada, non credi di impiegare troppo tempo a comprare quattro bottiglie d’acqua e un pacco di gocciole per tua sorella, perché ha bisogno di energie.
“Va bene amore.” Ti accarezza il volto e ti lascia andare via.
Trovi che l’ospedale SS. Trinità, Is Mirrionis per gli amici, sia molto bello, perché è costruito in un ex complesso militare di inizio secolo, ogni reparto è un caseggiato a sé stante ed è contornato da un giardino pieno di alberi, il che lo priva di quella tristezza tipica degli ospedali moderni e non, attraversalo tutto però è una vera noia.
Solo quando arrivi all’ufficio ticket alzi la testa dalla foto di Claudia, e lo fai solo perché anche se sei in ospedale non trovi l’idea di essere investita particolarmente invitante. Mentre guardi se arrivino macchine ti cade l’occhio su una faccia familiare, la faccia familiare di qualcuno di cui hai perso il bigliettino con il numero di telefono, a essere precisi.
“Anna, ciao.” Le fai un cenno con la mano e lei ti guarda come se non avesse la più pallida idea di chi tu sia. Non la biasimi, i tuoi incasinatissimi capelli sciolti sono più che sufficienti per renderti irriconoscibile a chi è abituato a vederti con la cuffia blu, se ci aggiungi poi gli occhiali da sole, la rendi un’impresa impossibile.
Togli i suddetti occhiali e le sorridi “Vuoi che ti prepari un caffè?”
“Martina!” Nella sua voce c’è sicuramente stupore, non sai cos’altro. Probabilmente disappunto per le quasi due settimane che sono passate senza che tu usassi il suo numero.
“Si, proprio io. Ciao.” Ti avvicini a lei, non c’è nessun abbraccio ma la cosa non ti stupisce. “Come stai…perché sei qui?”
Ghigni felice e soddisfatta, sblocchi il telefono e glielo mostri “Sono appena diventata zia.” Pateticamente orgogliosa.
“Oh. Congratulazioni.”
Ora l’abbraccio te lo prendi, perché sei appena diventata zia e sei felice, perché hai 35 anni, sei single e sei stanca di soffrire in nome dell’amore solo perché pensi valga la pena, perché davanti a te hai una ragazza carinissima che ti ha dato il suo numero e che hai voglia di conoscere.
Non hai nessun legame con nessuno, d’altronde.
Tutto sta nell’ignorare la voce che ti urla nel cervello il nome della donna di cui sei innamorata, ma hai passato la vita a ignorare le voci nel tuo cervello. Per quanto forte urlino, ignorarle è diventa una passeggiata per te.
“Grazie. Tu invece perché sei qui?”
“Nulla di che, sono venuta a ritirare delle analisi per mamma.”
Is Mirrionis e i suoi orari a caso.
“È tutto ok?”
“Si, si, è solo che mio padre quando si è ammalato le ha fatto promettere che si sarebbe fatta regolarmente dei check-up.”
“Beh, è una buona cosa.” Ora che sai che sua madre sta bene e che quindi lei sta bene, puoi passare alle cose importanti. Hai ancora il cellulare in mano, vai sull’app delle chiamate, apri con tutta calma il tastierino e poi glielo porgi.
“Come una perfetta idiota ho perso il tuo numero mentre facevo le pulizie del bar.” O l’hai stracciato appena hai scoperto che Leila è andata a vivere in un’altra regione, ma quello è un dettaglio che Anna non ha nessun bisogno di sapere. “Se non ti dispiace, vorrei riaverlo. Questa volta puoi star certa che non ripeterò l’errore.”
È chiaro tu l’abbia presa alla sprovvista, ma non in senso negativo dato che ha morso le labbra e ti ha sorriso. Digita velocemente i dieci numeri sul tuo telefono e poi te lo rende, la salvi semplicemente come Anna, certa di non averne altre.
“Perfetto, grazie e scusa.” La baci sulla guancia, mettendoti in punta di piedi per farlo. “Ci sentiamo presto allora.”
“Ok.” Continua a sorridere e pensi sia un buono, buonissimo segno.
Vai via dall’ospedale con la sensazione che tua sorella Federica non sia l’unica ad aver dato inizio a una nuova vita.

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Capitolo 39
*** ch38 - The name of the Doctor ***


ch.38 – The name of the Doctor.
 
Laura è stata molto contenta di sapere che hai proposto ad Anna di uscire, Rossella un pochino meno, ma la sua posizione è sempre stata talmente chiara che non puoi dichiararti stupita e nemmeno darle del tutto torto. D’altronde è l’unica a sapere della profondità dei tuoi sentimenti per Leila e, per quanto la tua Pi sia una fan del chiodo schiaccia chiodo, crede che abbia tutto a che fare con il sesso e quindi poco a che far con te. Ti ha detto solo una volta che secondo lei stai sbagliando, che è troppo presto e non potrà nascere nulla di buono, quando ha capito che non avevi nessuna intenzione di cambiare idea ti ha dato tutto l’appoggio di cui è capace, chiedendoti se sapevi già dove portarla e come vestirti.
Entrambe le domande ti hanno messo in crisi nera.
Dopo una lunga conferenza a tre in camera tua, hai deciso di optare per una semplice camicia e dei jeans, ma Rossella l’ha avuta vinta sul fatto tu truccassi gli occhi, hai dovuto accettare sapendo che passerai la serata a sperare di non sudare così tanto da sciogliere il mascara, che si, ha retto il tuo pianto, ma magari non è sweatproof.
Anna passa a prenderti alle 22:00 spaccate, quando le hai chiesto di uscire hai dovuto precisare che sarebbe stata una passeggiata dopo cena, perché a Cagliari è un orario un pochino ambiguo. Avete scelto di uscire così tardi perché tra i vari impegni uscire a un orario decente avrebbe significato vedervi a Luglio e non volevi aspettare tanto.
Ha ragione Rossella sul fatto che stai affrettando le cose e lo stai facendo di proposito.
Perciò hai proposto di uscire dopo il tuo turno serale, hai chiesto ti lasciasse giusto il tempo di tornare a casa a rinfrescarti e poi saresti stata tutta sua.
Sali in macchina e sorridi subito, perché lei è davvero carina dentro quella sua magliettina scollata e la gonna floreale. Immagini non si sia tirata a lucido nemmeno lei, ma il fatto si sia fatta carina per te ti scalda il cuore, ti fa sentire importante. Le dai due baci sulle guance e poi sputi subito il rospo.
“Non ho la più pallida idea di dove andare.”
“Bene, perché io si.” Non ha mai smesso di guardarti da quando sei salita in macchina e tu alzi un sopracciglio e fai mezzo sorriso.
“Ti secca se decido io? Ti fidi?”
“Mi fido, si. Non credo tua madre ti perdonerebbe se tu vendessi i miei organi al mercato nero.” L’eterna domanda senza risposta: Cagliari ha un mercato nero degli organi?
Anna ride e ha l’aria rassegnata “Non mi perdonerebbe no. Non mi permetterebbe di rimettere piede in casa.” Parte e tu butti un occhio a guardare Laura, che vi guarda dalla finestra della vostra cucina, sapendo che molto probabilmente si sta segnando la targa e il modello della macchina del tuo appuntamento.
Durante il tragitto parlate più che altro di Antonella o della tua nipotina e viene confermato il tuo sospetto che Anna viva con sua madre. A quanto pare è tornata a vivere con lei da quanto suo padre è morto, continua a dire che è una situazione temporanea, come se fosse una cosa di cui vergognarsi o della quale si debba giustificare, in realtà al suo posto avresti fatto lo stesso e ti piace un pochino di più ora che sai questa cosa.
Quando inforca l’asse mediano non sai cosa aspettarti da quest’uscita, ancora meno quando passa l’uscita per Quartu, ti viene un sospetto quando sbucate in viale Campioni d’Italia, che diventa certezza quando continua dritto per viale Poetto.
Personalmente non avresti scelto come prima uscita un chiosco gay, ma capisci anche che stare in un ambiente familiare semplifichi le cose, speri solo che alle due torri non ci sia la serata Karaoke o reputeresti quest’uscita un vero fiasco.
Anna però ti stupisce, non prosegue dritto, si ferma nel parcheggio di Marina Piccola e ti guarda con occhi interrogativi, tu alzi entrambe le sopracciglia rifiutando di guardarti attorno perché quel parcheggio ha la nomea di posto preferito dalle coppiette e non per semplici pomiciate. Non credi sia questo il punto utilizzato con quello scopo, visto quando è illuminato, ma non si sa mai.
Scende dalla macchina e tu la segui, dandoti mentalmente dell’idiota, ti aspetta ed entrambe vi incamminate verso il porto turistico con passo lento. Ne approfitti per respirare la deliziosamente fresca aria di mare, meravigliosa dopo aver passato così tante ore al chiuso a respirare l’aria condizionata, che è la migliore invenzione al mondo, ma non è la brezza marina.
“Dimmi qualcosa di te, non so praticamente nulla.”
“Perché, io so qualcosa di te?”
“Che lavoro per l’Ikea lo sai.”
Ride e ti guarda con falso rimprovero, poi riprende a camminare quasi saltellando. “Cosa vuoi sapere?”
“Parti pure in generale, quanti anni hai, se hai fratelli, cosa fai per vivere.” Le hai chiesto di uscire così velocemente che nelle vostre messaggiate non sei riuscita a scoprire nulla di tutto questo.
“Mmmh, mi chiamo Anna, ho 28 anni e vengo da…”
“Tu hai QUANTI ANNI?”
“28!”
Copri il volto con la mano aperta e smetti di camminare.
“Che? Che c’è?”
“Sei una bambina. Non sei nemmeno degli anni 80.”
“Sono nata nel 90, non è che…”
“No ti prego, smetti di parlare…” la disperazione che stai fingendo non è del tutto finta.
Ti spinge via e sembra veramente offesa.
“Smettila. Non credo tu sia più così grande.”
È un errore comune, il fatto tu vesta come un ragazzino di 16 anni non aiuta la gente a capire che sei più vicina ai 40 che ai 30 ormai. “Giudica tu, ho 35 anni.” Lo dici con un certo gusto, aspettando di vedere il stupore sul volto, ma lei non fa una piega.
“L’età perfetta direi.”
Perfetta per cosa, non ne hai idea e sinceramente non hai nemmeno la curiosità di scoprirlo.
Durante la passeggiata scopri che si sta laureando in Ingegneria Biomedica e che il fine settimana lavora come cassiera in un supermercato, ma che per mantenersi durante gli studi ha fatto un po’ di tutto, dal lavorare nella mensa di un asilo, al servizio clienti della tim, che è figlia unica e che bere caffè non le fa affatto bene.
Arrivate fino alla fine del porticciolo e sei pronta a ritornare indietro, ma lei si ferma e ti indica il muretto. “Ti secca?”
Un pochino ti secca, perché è alto e dovrai saltare e arrampicarti per salirci, a lei basterà fare un saltello. Alzi le spalle e le fai segno di salirci pure se vuole, lei lo fa e tu la imiti subito dopo, con molta meno grazia e leggerezza, ma riesci comunque nel tuo intento.
Date le spalle al molo e guardate il poetto e le sue mille luci stendersi davanti a voi. Non sai come dovresti sentirti in questo momento e non sai nemmeno cosa vorresti in realtà, stai ignorando la vocina che ti continua a urlare vorresti che ci fosse un’altra donna accanto a te, e ti stai rilassando, pensando che la tua città è davvero bella.
Chiacchierate ancora del più e del meno e tra chiacchiere e caldo ti viene sete, apri la borsa per recuperare la bottiglietta d’acqua, senza la quale non esci mai in estate, la porti alla bocca e Anna ti chiede “E quello cos’è?”
La guardi senza capire, ti indica la borsa e vedi qualcosa di giallo. Non capisci nemmeno tu di cosa si tratti finché non la afferri, chiudi gli occhi e maledici Laura in tutte le lingue perché sei sicura ti abbia infilato lei 13 in borsa per difenderti da non si sa cosa. La estrai con gli occhi chiusi per la vergogna.
“Un funko pop.”
“E questo potevo vederlo anche io, ma chi è? Non la riconosco.”
“È un telefilm.” Potresti rispondere più direttamente, ma sarebbe inutile visto che conosci personalmente tutti i fan di Doctor who sardi, avete un gruppo apposito su facebook e vi incontrate spesso. Inutile precisare che Anna non ne faccia parte.
“Eeeeee si, ci potevo arrivare.”
“Esistono pop anche di film e personaggi reali…”
Alza gli occhi al cielo e sbuffa, strappandoti il pop di mano per poterlo vedere meglio. “Mi dici chi è o no?”
“È la tredicesima rigenerazione di Doctor who.” Ti rifiuti di chiamarla dottoressa, ti rifiuti categoricamente.
“Uh, non era un ragazzino con il fez e il cravattino?”
“Come scusa?” Non riesci a credere alle tue orecchie e quasi ti sfugge di mano 13 quando te la rende.
“Si, il dottore di doctor who…non un ragazzino con un fez…quello che ha fatto the crown?”
“Matt Smith, si era l’undicesimo dottore.”
“Ah si…perché tipo…si rigenera, no? Si è rigenerato in donna? Lo può fare?”
“Si.” Solitamente ti saresti lanciata in una spiegazione di almeno mezz’ora, ma sei troppo stordita per farlo.
“Perché fai quella faccia?”
“Perché nessuno lo conosce.” E sono degli idioti che non capiscono nulla.
“Io ho adorato Sherlock e tra i suoi fan c’era spesso chi parlava anche di questo Doctor who quindi mi sono incuriosita e ne ho guardato qualche puntata qua e là.” Fai la faccia schifata perché Sherlock significa Moffat e tu detesti Moffat. Personalmente non capisci perché gli abbiano affidato Doctor who, che a tuo parere ha rovinato per sei intere stagioni, e non capisci come la gente possa guardare Sherlock senza sentirsi presa per il culo.
“Qualcosa non va?”
“No, nulla. Solo che se hai visto il Doctor Who di Moffat, non hai visto Doctor who.”
“Non era Matt…Smith?”
“Moffat è lo sceneggiatore.”
“Ah ok. Sentiamo, che serie di Doctor Who dovrei guardare?”
“Assolutamente l’ultima in cui Jodie Whittaker è il dottore. Mi è appena arrivato il cofanetto, se vuoi puoi venire a casa a vederla, la riguardo volentieri.” Capisci l’errore che hai fatto solo quando vedi la sua faccia stupita e imbarazzata. Arrossisci istantaneamente “Nonvolevodire…nonèlaversionedellacollezionedifarfalledeinerd….io…ero…volevosolotuvedessidoctorwho…”
Anna scoppia a ridere e tu ti rilassi un pochino, passare come la vecchietta pervertita la prima sera non era assolutamente nelle tue intenzioni, anche perché hai voluto quest’uscita solo per tenere la mente impegnata, non hai mai pensato a un dopo, in nessun senso.
“Oddio, arrossisci anche tu. Non lo credevo possibile.”
Sei una patata lessa che arrossisce subito, Rossella non manca mai di ricordartelo almeno una quarantina di volte al giorno: se qualcuno ti interessa gli permetti di entrare in contatto con la parte di te più indifesa, che arrossisce.
Il fatto Anna ti stia dicendo che non ti ha mai visto arrossire ti impedisce di ignorare la voce che urla nella tua testa per diversi secondi e quindi sei costretta a guardare la realtà delle cose, ossia quanto poco sei coinvolta in tutto quello che sta succedendo.
“Mi piacerebbe molto venire a vedere la nuova serie di Doctor Who a casa tua.” Lo dice con un tono che sembra voler intendere che verrebbe a casa tua anche a vedere la tua collezione di farfalle.
“Ci organizziamo allora.”
“Si, volentieri.”
Butti giù tutta l’acqua e lei ti guarda farlo e lecca le labbra.
“Che ne dici se andiamo a berci una birra da qualche parte?”
Ed ecco arrivare il momento della verità.
“Volentieri, ma io non bevo birra.” Prima che possa proporti altri alcolici precisi “Non bevo alcolici in generale, sono astemia.” Trattieni il respiro mentre lei ti guarda intensamente.
“Niente-niente?”
Scuoti la testa lentamente e stringi le labbra “Niente-niente.”
“Quindi non bevi e non guidi?”
“Esatto.”
“È la cosa più diabolica che io abbia mai sentito.” E tra l’espressione che ha, e il tono di voce che usa, sembra davvero ammirata. Scende dal muretto e ti tende la mano. “Andiamo?”
È decisamente la risposta più strana che tu abbia mai sentito, tutto sommato ti piace, quindi accetti la sua mano, anche se è totalmente inutile per aiutarti a scendere dal muretto. Non andate verso la sua macchina, continuate a camminare parlando di telefilm e film finché un chiosco non attira la vostra attenzione. Entrate e ordinate da bere e lei non fa nemmeno mezzo commento, si limita a bere la sua birra e ridere dei tuoi racconti sul bar o a farti sorridere con i suoi sui vecchietti del supermercato.
Forse stai affrettando le cose, forse non andrà da nessuna parte, forse ha ragione Rossella e stai sbagliato, ma non puoi fare a meno di pensare che non avresti potuto chiedere una distrazione migliore di Anna Melis.

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Capitolo 40
*** ch39 - The woman who fell to heart ***


ch.39 -  The woman who fell to earth.
 
Recentemente hai scoperto che disegnare una Layla frustrata ti piace davvero molto, e da quanto Agatha ha fatto la sua apparizione in Flying dragons, Layla è molto spesso frustrata. Scoprire di essere un drago molto piccolo non le ha fatto per nulla piacere e sono molte le vignette in cui, anche se il momento è serio o tragico, la disegni deformed e infastidita, che guarda Agatha dal basso e la giudica per le sue eccessive dimensioni.
Non è l’unica cosa che la rende frustrata al momento, ma è troppo orgogliosa per ammettere che prova attrazione per la nuova venuta, che tutto il suo io è attratto da lei e che la storia dell’essere un tutt’uno magico trova fondamento nella sua anima.
Ma è Layla il drago, morirebbe prima di ammetterlo.
Oggi è la sera in cui mostrerai la versione nerd della collezione di farfalle ad Anna: verrà a vedere la prima puntata del tredicesimo dottore e tu sei emozionata all’idea di mostrare quel capolavoro a qualcun altro. Sei seduta alla tua scrivania, sotto l’aria condizionata a palla, e disegni una versione molto deformed di Agatha e Layla draghi e ridacchi per l’espressione corrucciata della tua beniamina, quando il tuo telefono vibra. Sorridi appena vedi che è la tua ospite, ti alzi e vai ad aprirle la porta.
Chiacchierate mentre lei sale le scale, quando siete l’una davanti all’altra vi scambiate due baci sulle guance, noti con piacere che anche oggi si è fatta carina per te, tu invece hai indossato jeans e la maglietta uguale a 13, il che dichiara senza ombra di dubbio che la tua età mentale è ferma ai tuoi 17 anni.
Le fai fare un breve tour della casa e lei si complimenta educatamente, ma sembra davvero interessata solo quando chiede:
“La tua coinquilina non c’è?”
“No, è di turno al ristorante.”
“Com’è?”
Trovi sia una domanda strana e non sai bene cosa dirle, quindi quando entrate in camera tua le indichi una vostra vecchia foto appesa alla parete.
“Oh mio Dio, ma sei tu?!?!?!?!”
“Non sono cambiata così tanto eh.”  In realtà si, sono passati 20 anni e la differenza c’è tutta e non è solo cambiato il modo di vestire o portare i capelli.
“Oddio si, guarda come eri tenera.”
“Non costringermi a nasconderla.” Alzi gli occhi al cielo ma non stacchi la foto dal muro, soprattutto perché sai che Laura ti odierebbe se sapesse che hai mostrato a qualcuno una foto di lei con quelle sopracciglia.
È una motivazione più che valida per tenere la foto in bella vista.
“Eri davvero carina.”
Non sai come tradurre quel complimento, se è un modo velato per dirti che sei meglio ora, ma senza offenderti, o se lei sia così pazza da trovare davvero una versione molto più giovane (e spaventata) di te carina.
Si allontana dal quadretto e si guarda attorno, ti senti lievemente esposta, ma non c’è nulla nella tua stanza di cui non abbiate parlato durante la vostra prima uscita: da doctor who, passando per Carrie Fisher, i libri, P!nk, Taylor Swift, che è entrata nel tuo olimpo delle ossessioni, e addirittura il disegno del primo volo di Layla sul deserto, che hai riprodotto su carta e appeso.
Al momento non c’è nulla delle tue stranezze che tu non le abbia esposto e lei sembra divertita da tutto, quindi non hai motivo di sentirti a disagio e non lo sei.
“Temo di doverti chiedere aiuto per portare la tv in salotto…”
“Perché?” Guarda il quadro di Layla con profondo interesse. “L’hai fatto tu?”
“Si l’ho fatto io.” Stacchi i cavi della play dalla televisione. “E dobbiamo portare la tv in salotto perché io e Laura non abbiamo una tv condivisa e se non porto questa, dovremmo usare il mac…sarebbe scomodo.”
“Perché non possiamo guardarlo qui? Accidenti, è proprio bello. Da il senso di libertà.”
Arrossisci ma ti giri in modo che lei non lo veda. “Non c’è posto in cui sedersi, qui. È meglio il salotto.”
“Ma c’è un letto enorme!!!! Proprio qui!!” Ci si siede e ci saltella sopra.
Avevi pensato all’opzione “letto a una piazza e mezzo”, ma non eri sicura fosse una cosa adeguata a un secondo appuntamento, non sai nemmeno se sia un secondo appuntamento.
“Se non ti secca guardarlo da sdraiata…” non fa molto schifo come scusa, potevi fare di meglio ma anche molto, molto peggio.
“No figurati, se non ti secca avermi nel tuo letto…”
“Decisamente no.” Sei fatta di carne e ormoni, no che non ti secca avere una bella ragazza nel tuo letto. Ti sorride compiaciuta e pensi sia più sicuro cambiare discorso.
“Dunque signorina, cosa il cinema Pastorelli ha l’onore di poterle offrire? Dolce, salato?”
“Uh.” Batte le mani e saltella sul letto “C’è un menù? Direi salato.”
“Allora per iniziare possiamo proporle patatine di vari tipi, pop-corn o salatini.”
Ci pensa un po’ sopra “Pop-corn.”
“Bene, pop-corn sia. Da bere gradisce qualcosa? Abbiamo coca cola, fanta, tè freddo alla pesca o al limone, birra, ovviamente acqua…”
“Birra? Hai preso della birra?”
“Beh si, ho visto che ti piace dunque ne ho preso un paio di bottiglie.”
“Un paio alla sarda o reali?”
Dire “un paio” alla sarda, può significare averne preso una decina.
“Alla sarda, ovvio.”
Ride e scuote la testa “Mi va bene quello che prendi tu.”
“Bene perché la birra la lascerei per la pizza più tardi, che, se mi da la sua ordinazione, provvederò a ordinare, signorina.”
Se inizi a guardare Doctor who, puoi farlo fino all’alba senza il minimo sforzo. Con la tua capacità di ossessionarti con qualcosa, è un bene tu non beva o diventeresti la versione femminile di tuo padre.
“Speck.”
“Pizza con lo speck. Perfetto. Ora mi perdoni, ma devo lasciarla sola qualche minuto, il tempo di recuperare la roba da bere.”
“Posso aiutarti se…”
“Assolutamente no. Sei mia ospite.” Credevi di dover insistere molto di più, invece si rilassa sul tuo letto appena finisci di pronunciare la frase. È una piacevole differenza tra lei e Leila, la quale rendeva difficile, se non impossibile, qualsiasi gesto carino nei suoi confronti, rendendo vano ogni tuo tentativo di corteggiamento.
Scappi dalla stanza perché il pensiero che hai appena fatto ti ha rigirato lo stomaco, ti maledici perché sei tanto stupida da abbassare la guardia, da credere di essere al sicuro solo perché sei con una persona interessante. Come se ai tuoi sentimenti importasse, anzi, sembrano scegliere proprio quei momenti per portarti alla mente certi pensieri e farti stare male.
Tenere la mente occupata, concentrarsi in piccoli compiti da svolgere, è l’unico modo per uscirne. Vai spedita in cucina e ficchi un sacchetto di pop-corn nel forno microonde, setti il timer sperando di azzeccare il tempo giusto e non bruciarli tutti, e mentre quelli iniziano a scoppiare tu afferri due lattine di coca dal frigo, un bicchiere, e torni in camera tua. Anna è ferma davanti alle tue librerie con la testa piegata e accarezza il dorso dei libri con la punta delle dita, probabilmente mentre ne legge i titoli.
“Trovato qualcosa di interessante?” Vai a poggiare tutto sul comodino e ti avvicini a lei.
“Qualcosa? Praticamente tutto. Quanti classici hai?”
Ghigni soddisfatta perché i classici sono i tuoi più grandi amori, leggerne il più possibile è probabilmente il tuo unico vero obiettivo nella vita.
“Troppo pochi.”
“Libro preferito?”
“Scherzi? Uno solo?!?!?”
“Ok, che libro vorresti io leggessi?”
Se possibile, questa domanda per te è più difficile della prima, se non conosci la persona e i suoi gusti non hai idea di cosa consigliarle.
“Dunque, se hai voglia di qualcosa di romanticamente tragico: Cime tempestose; sei hai voglia di vedere gente soffrire: Il conte di Montecristo, ovviamente; qualcosa di magico? Il Maestro e Margherita; qualcosa di ironico, fin troppo forse: Villette.”
“Non classico?”
“Qualunque cosa della signora Fisher, ovviamente, ma anche la signora Fallaci o uh, mi è piaciuto molto anche Just Kids, di Patty Smith. Ho pianto come una bambina. Agatha Christie sta benissimo su qualsiasi umore…” sfiori ogni libro, o ogni serie di libri, che nomini.
Quella Patty Smith?”
Annuisci. “Si, quella Patty Smith. Oh, anche L’amore ai tempi del colera mi è piaciuto moltissimo.”
“Wow è una bella varietà di libri.”
In qualsiasi altro momento della tua vita le avresti detto di sceglierne uno e di portarselo a casa per leggerlo, ma ora non hai la forza di dare più nulla, nemmeno un libro a una persona che teoricamente stai vedendo.
Il motivo è più che ovvio anche se non si è uno scienziato.
“Però leggermente deludente.”
Questa cosa ti punge sul vivo, non tolleri parlino male dei tuoi amori. “Deludente?”
“Si, manca il mio libro preferito.” Inizi silenziosamente a pregare non sia Twilight o cinquanta sfumature di grigio, che poi è la fanfiction di Twilight, quindi più o meno la stessa oscenità abusiva.
Senti il forno microonde suonare in sottofondo, ma è un momento topico e non puoi non sapere la risposta ora, ne va della vostra futura conoscenza.
“Sentiamo dunque, quale sarebbe questo fantomatico libro preferito.”
“Persuasione.”
Jane strafotuttissima Austen.
Non sai se rabbrividire o se esserne felice: la signora Austen è una delle scrittrici più sopravvalutate al mondo, secondo il tuo modestissimo parere. Hai letto Emma e a ogni pagina volevi darti fuoco, tuttavia si tratta di uno dei grandi classici e poteva andare decisamente peggio.
“Che faccia è?”
“Non ho fatto nessuna faccia.”
Ti colpisce la spalla con un dito più volte. “Bugiarda, che faccia era?”
“Diciamo che non sono una gran fan della Austen.”
“Come osi?”
Sei salvata dalla campanella perché il microonde suona ancora, scappi via blaterando qualcosa sui pop-corn bruciati. Quando torni da lei, con un recipiente pieno di pop-corn troppo grigi per i tuoi gusti, Anna è seduta sul letto, ma guarda ancora verso la tua collezione di libri.
“Se sei pronta, possiamo dare inizio alla maratona.”
“Si, sono pronta.”
“Accomodati pure allora. Sentiti libera di togliere le scarpe.” Speri di non passare la maniaca del momento per avere proposto una cosa del genere.
Accetta il tuo invito, sfila le ballerine e si siede nel tuo letto, sistemandosi i cuscini nella schiena e stirando con le mani la gonna. Lanci un’occhiata veloce alla porzione di gambe che tale l’operazione ti ha permesso di vedere e provi una strana soddisfazione nel notare che non ha occupato la parte di letto nella quale dormi. Recuperi il dvd e lo inserisci nella play, afferri il controler e ti siedi accanto a lei, sistemando la ciotola di pop-corn grigi tra voi.
Armeggi con il menù più a lungo di quanto ti piaccia, ma sei abituata a guardare le puntate al mac, non alla tv.
“Inglese con sottotitoli in italiano va bene?”
Ricevi un mugolio affermativo come risposta, la vedi con la coda dell’occhio prendere una manciata di pop-corn, ma non li infila in bocca, ti lancia un casualissimo:
“Certo però, io sto guardando Doctor Who, tu potresti dare una possibilità a Jane.”
The woman who fell to earth parte in sottofondo e tu le rispondi un altrettanto casuale:
“Ci proverò.”
E lo farai, in ogni senso possibile.
La serata prosegue una puntata dopo l’altra, accompagnate da gelato, patatine, pizza e troppe bevande zuccherine, gassate e non.
Quando finisce il quinto episodio fermi il dvd, perché quella successiva è Demons of the Punjab e non è il caso di guardarla da semi addormentate perché è una delle puntate migliori ed è giusto prestarle la giusta attenzione, non quella che al momento possono offrirle una ragazza che stamattina ha dato un esame e una che dalle 9 alle 13 ha servito più di 100 caffè.
Anna si stira nel modo più discreto possibile e poggia la testa contro la tua spalla, non sai cosa fare, se tu possa metterle un braccio attorno alle spalle o se debba rimanere ferma. Non pensi nemmeno per un istante di baciarla, anche se la situazione lo permetterebbe, il fatto è che non pensi sia quel tipo di serata, a volte il tuo cervello stupisce anche te.
Ti limiti a poggiare la testa sulla sua.
“Sei sicura di riuscire a guidare per tornare a casa?”
Vive nella zona di via Dante, geograficamente non troppo lontana da te, socialmente lontana anni luce, ma non puoi fare a meno di preoccuparti per averla fatta stancare tanto. Potresti chiederle di rimanere a dormire, non nel letto con te, ovviamente, ma tu potresti dormire sul divano o invadere il letto di Laura. Non le proponi nulla però, perché sembra altamente fuori luogo.
“Mmh.” È un suono molto sensuale, forse perché si sta di nuovo stirando mentre lo emette. “Sono solo rilassata, non sono stanca.”
Non è molto convincente, ma sembra una ragazza con la testa sulle spalle quindi ti sforzi di crederle, anche se sbadiglia. Ti districhi dalla posizione in cui state il più dolcemente possibile e ti alzi e inizi a sistemare mentre lei si rinfila le sue scarpe e recupera le sue cose.
La accompagni alla porta e lei ti sorride dolcemente.
“Grazie, è stata una bella serata. Ne avevo bisogno.”
Vivere con una madre a un passo dalla depressione non deve essere particolarmente semplice, unito allo stress degli esami, la sua vita non deve essere una passeggiata.
“Non ho fatto nulla di che, ma sono lieta Doctor Who ti sia piaciuto.”
“Sei davvero Nerd.” Il tono che usa lo fa sembrare un complimento, non un insulto. “In più dopo la pizza e tutte le cibarie che abbiamo mangiato e bevuto, che io ti ringrazi è il minimo.”
Agiti la mano per farle capire che non è nulla di che. “Appunto, ho mangiato anche io. Oh, e non hai bevuto nemmeno una birra. Va beh, rimarranno per la prossima volta.”
Il suo sorriso diventa più grande quando ti sente dire le ultime parole.
“Volentieri. Anche perché mi devo sdebitare.”
Ti irrigidisci ma cerchi subito di riprendere il controllo del tuo corpo.
“Non c’è nulla di cui sdebitarsi.” Le apri la porta d’ingresso mentre lo dici, bisognosa di mettere fine a questo momento.
“Vedremo, vedremo.” Si china su di e ti da un bacio sulla guancia, che è un contatto fisico ridotto rispetto agli abbracci che avete condiviso o i soliti due baci di saluto, ma è anche molto più intimo. “Ci sentiamo in questi giorni?”
“Si, certo.” Scende le scale e tu la rincorri
“Avvertimi appena arrivi a casa.”
Ti sorride ancora e i suoi occhi brillano di gioia. “Assolutamente si.”
Hai a malapena il tempo di riordinare camera tua e lavare i due piatti che avete sporcato, prima che il tuo telefono vibri. Lo prendi e non sei stupita di leggere sia Anna, quello che ti stupisce è che il messaggio contenga una citazione di Jane Austen e nient’altro.
Si, darai a questa meravigliosa ragazza tutte le possibilità del mondo.
 

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Capitolo 41
*** ch40 - Silence in the library ***


ch.40 – Silence in the library.
 
“Sputa il rospo Floris!!!”
Laura continua a canticchiare la canzone che fa da sottofondo alla tua domanda e tu la colperesti, certo se non stesse guidando e quindi la tua vita non fosse tra le sue mani, nel vero senso della parola.
Puoi però colpire la radio, o meglio farla smettere di suonare, quindi lo fai.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Certo e tu mi chiedi di uscire con te senza avere nessun secondo fine.”
“Il mio secondo fine è quello di comprare libri e non capisco di cosa tu ti stia lamentando.”
Stranamente la tua coinquilina ti ha chiesto di uscire, ma non di andare a mangiare cibo spazzatura da qualche parte, il che non ti impedisce comunque di pensare che ti debba parlare di qualcosa. La conosci troppo bene, soprattutto conosci il modo in cui continua a spettinarsi nervosamente la frangetta.
“Floris, davvero pensi che io sia così stupida?”
“Non lo so, magari l’amore per Anna ti ha rincretinita.”
Ti sporgi verso di lei e la guardi con rimprovero “Davvero? È questa la carta che ti stai giocando per non parlarmi?”
Ti poggia una mano sul volto e ti spinge via. “Dai, dimmi come vanno le cose tra voi! L’hai baciata? Ti ha baciata? Vi siete baciate?”
“Lei l’ha baciata.”
“Lei chi?”
“Noi l’abbiamo baciata, essi l’hanno baciata.”
“Ma quando cavolo sei stupida?!?!?” Ti spinge ancora e la sua macchina devia a destra, ne riprende subito il controllo, ma tu non manchi di colpirle la spalla con la mano aperta. Ti lancia uno sguardo di scuse, ma non le verbalizza. “Mi dici come vanno le cose tra voi?” non ha mia nascosto di essere team Anna e non ha mai nascosto che la sparizione di Leila sia stato un sollievo per lei. Era dispiaciuta per te, ma era anche contenta tu te ne fossi liberata.
Non ha mai saputo quanto i tuoi sentimenti per la tua responsabile fossero profondi e mai lo saprà.
“Vanno bene, credo. Anna è una ragazza stupenda, è intelligente, è carina, è simpatica e piacevolmente tendente al nerd.”
“E questa sarebbe una buona cosa?”
“Vuoi sapere come va o no?”
Annuisce più volte senza smettere di guardare la strada e tu fai altrettanto.
“Ecco allora stai zitta e guida, Floris.”
“Sto zitta e guido Pastorelli. Quindi ti piace?”
“Non mi pare di essere diventata cieca nei giorni passati.” Anna è oggettivamente una ragazza carina, solo i suoi enormi occhi castani sarebbero sufficienti a far tremare le gambe a chiunque, uniti alle sue labbra carnose e al suo corpo in grado di far girare le teste per strada, dovresti davvero essere cieca per non provare attrazione per lei.
“Da quando il solo aspetto fisico è sufficiente per te? Se è così perché non ti sei mai innamorata di me?” Batte il pugno sul volante e si finge disperata, come se fosse appena uscita da una telenovela messicana degli anni ’80.
Scuoti la testa ma sorridi, perché le hai raccontato così tante volte di tutte quelle ragazze etero che non potevano accettare che tu non provassi attrazione per loro, che è diventata una delle vostre gag preferite. Ci sarebbe nulla da ridere e molto da piangere per tutte quelle cretine che, siccome sono donne e a te piacciono le donne, si sono offese perché tu non provavi attrazione per loro, anche se loro volevano un uomo e soltanto un uomo.
Secondo il loro pensiero malato, tu, in quanto lesbica, dovevi morire d’amore per loro.
“Ora ricordarmi, chi sarebbe la stupida?”
“Tu, OVVIAMENTE.” Ghigna felice e tu alzi gli occhi al cielo. “Sul serio Marty, credi che ti possa interessare per qualcosa di più di un’amicizia?”
Stringi di denti perché hai un improvviso senso di schifo, dura un lampo però perché ricordi l’espressione ammirata che Anna aveva mentre guardava i tuoi libri, o mentre guardava 13 fare qualcosa di stupido, e hai la risposta alla domanda della tua amica.
“Si, credo di si.”
“E allora perché caspita non l’hai ancora baciata, callonetta?”
“Ma perché mi prendo sempre di callonetta?”
“Perché lo sei, ecco perché, callonetta.” Si finge esasperata mentre mette la freccia ed entra in un parcheggio, così lontano dal centro che probabilmente avreste fatto prima a venire direttamente a piedi da casa.
“Ma perché esco ancora con te?”
“Perché mi ami e non puoi vivere senza di me.” La macchina è più o meno parcheggiata, quindi si toglie la cintura e ti guarda con occhi curiosi. “Allora?”
Quando fa così la vorresti strozzare, questo è poco ma è sicuro. “Allora non posso baciarla così, come se nulla fosse.”
“Certo, era seduta nel tuo letto che guardavate un film, non era mica una situazione romantica.”
Fai una smorfia di disgusto e incredulità “Ma che idea del romanticismo hai? E comunque era un telefilm.”
“Insomma, smetti di cambiare discorso.”
Apri lo sportello per uscire dalla macchina e lei ti urla dietro “Non scappare, vigliacca codarda.” Vai verso via Paoli, odiando ogni passo che dovrai fare nel calore di questo pomeriggio estivo.
“Non scappo e non sono una codarda.” Quando senti che Laura ti raggiunge finisci la frase. “È che non mi sembrava il momento, non si era creata la tensione giusta…non ero nemmeno sicura lei volesse che lo facessi.”
“Certo, mica ti ha chiesto di uscire lei.”
“Che c’entra, potrebbe aver cambiato idea…ma poi scusa, perché dovrei baciarla io?”
“Non sei tu l’uomo?” Si sposta prima che tu la possa colpire di nuovo, si gira verso di te e ti fa la linguaccia.
“Ora che mi hai insultata abbastanza, puoi dirmi perché mi hai trascinata fuori casa con 800° all’ombra?”
Stai per ripetere la domanda, perché non sembra averti sentita, ma poi si ferma di botto e si gira a guardati, non ti aspettavi una mossa del genere e sbattete l’una contro l’altra. Lei ulula il suo dolore, tu scoppi a ridere mormorando uno dei tuoi “Maremma maiala.”. Il dolore lascia subito spazio alla curiosità, perché quando Laura Floris fa qualcosa di così stupido, significa che è molto agitata.
“Allora?”
“L’altra sera mentre stavo lavorando, un bambino figlio del demonio mi ha tagliato la strada. Ho perso l’equilibrio per schivarlo e ho rovesciato un piatto di culurgionis addosso a un tipo.”
Provi fisicamente pena per lei mentre immagini la scena. “Al sugo?”
“Al sugo di pomodoro. Si.”
“Ti prego, dimmi che aveva una camicia.”
“Azzurra.”
Scoppi a ridere, vorresti mostrarti adulta e comprensiva, ma scoppi a ridere perché la scena è troppo buffa, perfino per una abituata a fare figure di merda come è Laura.
“Ti odio.”
Non smetti di ridere nemmeno quando ti fa questa dichiarazione d’odio. Quando le risate scemano siete arrivate in via Paoli, devi cercare di darti un contegno, ti asciughi addirittura le lacrime per riuscirci. L’idea di stare per raggiungere aria più respirabile ti permette di pensare più chiaramente e capisci che non può averti chiesto di uscire solo per questo.
“Che altro?”
“Mi sono offerta di pagargli la tintoria, dopo essermi scusata centinaia di volte.”
Non fai fatica a immaginare nemmeno questo. “Va avanti…”
“Ci siamo scambiati i numeri ma non mi ha chiesto i soldi per la tintoria, mi ha chiesto di uscire.”
“Oh, è un cesso a pedali?”
“No.”
“È carino?” Annuisce “E allora qual è il problema La’?”
“Come posso uscire con uno che mi ha visto fare una figura di merda del genere? Cosa penserà di me?”
“La verità, che sei un gran pezzo di figa, intelligente, simpatica, che ripaga i suoi debiti e che fa delle colossali figure di merda.”
“Daaaaai…” spettina la frangetta e ti spinge via, tu alzi gli occhi al cielo, ti riavvicini a lei e ti fermi davanti alla libreria.
“Se è carino, dovresti uscirci. Non è che i discorsi sul meritare di essere felice e di avere accanto qualcuno che mi ama, valgono solo per me, miss Floris.”
Ti guarda con gli occhi sgranati, pieni di paura e affetto, cerchi di sorriderle in modo rassicurante ma lei ti spinge ancora via con un “Puoi spendere solo 30 euro Pastorelli. Ci vediamo in cassa tra due ore.”
Sorridi felice e annuisci.
Vi bastano pochi secondi per perdervi di vista, ti bastano pochi secondi per perdere di vista la realtà, saltelli tra gli scaffali leggendo tutti i titoli che riesci a leggere, indecisa su cosa comprare e odiando quello stupido limite che vi siete messe e che ti impedirà di comprare libri di disegno.
Purtroppo capisci molto presto che è uno di quei giorni in cui nessun libro ti sembra bello, nessuno di loro ti chiama e quindi hai il terrore che uscirai dalla Feltrinelli senza nulla in mano.
Meno povera di denaro, ma più povera nell’animo.
Non perdi le speranze però, puoi sempre contare sui cari vecchi classici. Vai alla sezione dei classici praticamente saltellando, con le mani in tasca però, sfili gli occhiali da sole e li appendi alla maglietta, che non sarà la cosa più femminile da fare, ma se li metti sulla testa hai paura che si sformino.
Leggi ogni titolo con molto interesse, anche se li conosci praticamente a memoria, saluti le sorelle Brönte sfiorando le copertine dei loro libri e fai una smorfia quando vedi Jane Austen (chissà con quale arcano criterio hanno sistemato i libri in questa libreria), ma poi vedi Persuasione e ti viene in mente Anna e tutti i vostri discorsi sui libri e le cinque puntate del tuo telefilm preferito che si è subita senza lamentarsi una sola volta, quindi allunghi la mano e ne prendi una copia. La rigiri tra le mani, fai scorrere velocemente le pagine per saggiarne la consistenza e ne respiri il profumo con delizia, combattendo contemporaneamente un dibattito nella tua testa, cercando di capire se tu lo debba comprare o meno.
“Oh ciao. Mi sembrava fossi tu, ma non speravo di essere tanto fortunata.”
Ti giri a guardare Anna e le sorridi in automatico, perché pensi anche tu sia una fortuna incontrarla per caso. Nei giorni passati vi siete viste solo quando lei è passata a salutarti in negozio, causa il tuo lavoro, la tua nuova nipotina, i suoi studi e sua madre. Vi siete però sentite per messaggi e vi siete parlate tutte le sere prima di andare a letto.
Stai per avvicinarti a lei per salutarla, ma l’abitino che indossa è talmente ino che ti blocchi all’istante. Cerchi di puntare lo sguardo su qualunque cosa non sia tutta quella pelle nuda e gli occhi ti cadono sul libro che hai in mano, che è esattamente identico a quello che stai tenendo in mano tu.
Deve aver notato la stessa cosa perché si avvicina a te di qualche passo e ha l’aria soddisfatta. “Le dai davvero una possibilità?”
Alzi un sopracciglio di sfida “Tu invece che fai? Ne compri l’ennesima copia?”
“No.” Ti sfila il libro dalle mani e lo rimette al suo posto. “Questa è copia che stavo comprando per te.” Ti guarda con gli occhi che brillano di gioia ed emozione e senti un brivido partirti dalla bocca dello stomaco e propagarsi per tutto il tuo corpo.
Fai un passo in avanti e ti alzi in punta di piedi, ma scendi subito perché Anna ha intuito le tue intenzioni, o ha avuto la stessa idea, comunque ti ha incontrato a metà strada e ora vi state baciando nel bel mezzo di una libreria, davanti alla sezione classici.
Non sai quanto tempo duri il bacio, sai che all’inizio era molto impacciato e cauto, che è lentamente cresciuto di intensità, mantenendo tuttavia una dolcezza inaspettata ma decisamente benvenuta.
“Callonetta non sei tra i libri da disegno quindi suppongo tu sia quuuhooooly shit!!!”
Decisamente non il modo migliore di porre fine alla dolcezza del momento.
Anna si stacca da te con uno sbuffo, ma ti prende la mano e fa intrecciare le vostre dita, mentre affrontate la tua coinquilina.
“Floris!”È un ringhio, non una parola.
Laura finge di ignorarti, ma dall’agitazione che dimostra è evidente che sappia tu la strozzeresti al momento.
“Tu devi essere Anna.”
“Si…tu sei Laura, vero?” Non ti lascia la mano, infila Persuasione sotto il braccio e le tende quella che ha appena liberato.
“La coinquilina di questa bestia, si.” Si stringono la mano e tu non sai cosa fare di te stessa al momento. È Anna a toglierti dall’impiccio.
“Mi piacciono molto le tue sopracciglia.” Scoppi a ridere appena pronuncia questa frase, le poggi la fronte contro una spalla e lei ridacchia con te.
Laura vi guarda per cercare inutilmente di capire cosa stia succedendo.
“Bene, è stato breve ma intenso e ora devo tornare a casa e rimettermi a studiare. Ci sentiamo stasera?”
“Si, volentieri.”
Ti posa una mano sulla guancia e ti bacia dolcemente le labbra, si allontana e ti agita il libro davanti agli occhi. “Questo te lo prendo io. Te lo do la prossima volta che ci vediamo.” Ti stampa un altro bacio sulle labbra, saluta la tua amica e va via, lasciandovi di sasso.
“Ora mi spieghi perché nel tuo letto no e nel mezzo di una libreria si.”
Alzi le spalle e scuoti la testa perché non sapresti proprio come spiegarlo, e perché hai paura che cercare di spiegare a parole perché questo è stato il primo bacio più romantico tu abbia mai dato, significherebbe rovinarlo, o sminuirlo.
Lasciare che Laura ti prenda in giro per tutto la sera è un prezzo che paghi più che volentieri per averlo vissuto.

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Capitolo 42
*** ch41 - Heaven sent ***


ch.41 – Heaven sent.
 
Il sesso per te non è mai stata una cosa semplice.
Non la parte pratica, ovviamente, lì si tratta solo di istinto, di dedizione e di capacità di ascolto, e tu te la cavi discretamente in tutte e tre le cose, il vero è problema è scavalcare il muro dei tuoi trust issues e control issues e arrivare a far sesso con una persona nuova.
Il vero problema è spegnere il cervello e lasciare che tuo corpo accetti qualcun altro, in senso lato e non.
Con Claudia non sei mai riuscita davvero a farlo, e una parte di te ha sempre creduto che il vostro rapporto sia finito per quello, perché tu non ti sei mai lasciata andare veramente a lei; con Daniela non è mai stato un problema perché il vostro rapporto non è durato abbastanza da patire questo tuo blocco; Leila. Leila ha distrutto ogni tuo muro e ha fatto di tutto quello che ha voluto, fisicamente e non.
Per quanto tu possa volere ardentemente schiacciare quel chiodo con il chiodo Anna, non vuoi nemmeno più trovarti in una situazione nemmeno lontanamente simile, il che ha ricreato uno strano equilibrio in cui sei tornata al punto di partenza, in cui il muro dei tuoi issues è sempre difficile da scavalcare.
Non hai parlato con Anna di tutto questo, mai, nemmeno accennato, e non ce n’è stato nessun bisogno. Dal giorno del bacio in libreria vi siete viste regolarmente, avete fatto un paio di uscite romantiche e non avete mai smesso di baciarvi o di stare appicciate ogni volta che la temperatura ve lo permetteva, ma non ha provato ad andare oltre.
Non sai perché e non lo vuoi sapere, non è tua abitudine guardare in bocca al caval donato.
La cosa più particolare di questa mancanza di sesso in questa fase della vostra conoscenza è che Anna è venuta a casa tua almeno quattro volte da quando il vostro rapporto è progredito, non solo, è diventata una sorta di abitudine.
La prima volta che si è presentata a casa tua, durante un pomeriggio ridicolamente caldo, con in mano una vaschetta di gelato e vestita con uno dei suoi vestiti floreali, hai avuto paura di ritrovarti in situazioni imbarazzanti in cui avresti dovuto calmare i suoi bollenti spiriti, invece ti ha solo spiegato che aveva bisogno di un momento di stacco da tutto: sua madre, dallo studio, dal lavoro. Aveva bisogno di rilassarsi e ti ha promesso e ripromesso che sarebbe stata buona-buona da una parte e non ti avrebbe dato fastidio. Avete finito con lo stare abbracciate nel tuo letto, con l’aria condizionata a palla, a guardare Doctor Who.
Oggi è uno di quei pomeriggi che passate insieme, tu sei alla tua scrivania che leggi un nuovo capitolo del romanzo di Rossella, mentre Anna è sul tuo letto che lavora al suo pc, credi stia codificando un programma per far accendere in serie un gruppo di led o una cosa altrettanto complicata e ingegneristica.
“Potrò leggerlo un giorno?”
Ti stendi sulla sedia, spingendo il più possibile sullo schienale per farlo piegare, e la guardi a testa in giù.
“Il romanzo di Pi?”
Scuote la testa e ha l’aria molto seria mentre fissa la parete, non te, segui il suo sguardo e capisci così che sta guardando il disegno che raffigura Layla. Hai un brivido di paura, torni dritta e ti giri molto lentamente verso di lei.
“No, non il romanzo di Rossella.” Ovviamente le hai parlato di lei. Visto il tempo che state passando insieme, era impossibile non venisse a sapere della sua esistenza. Non che tu volessi tenerle separate, anche perché la tua Pi è sempre stata politicamente molto corretta con lei, fredda, ma politicamente corretta.
“Vorrei leggere quello che stai creando tu. Come si definisce, un fumetto?”
“Fumetto mi sembra un pochino esagerato.” Senti la voce di entrambe le tue amiche che ti urlano di smettere di sminuirti, ma le ignori bellamente. “E non so se…non credo ne valga la pena.”
Anna si alza dal letto e si avvicina al tuo disegno, ne segue avidamente i contorni con gli occhi e tu segui avidamente ogni più piccola espressione del suo viso.
“Trovo questo disegno sia stupendo.”
Sbatti i canini gli uni contro gli altri, a turno. “L’hai detto anche la prima volta che sei stata qui.”
Si gira a sorriderti “Lo so. È da allora che volevo chiederti di leggerlo, solo che non mi sembrava corretto farlo.” Ti piace molto questa cosa di lei, va dritto al punto, ti dice le cose come stanno e quello che pensa senza che tu debba pregarla per farlo, senza che tu debba riempire i vuoti lasciati dalle sue frasi.
“E ora?”
Viene verso di te e ti posa una mano sul collo, è un gesto inusuale, decisamente intimo e possessivo. Il tuo corpo reagisce di conseguenza e tu chiudi gli occhi, un po’ per controllarti un po’ per godere appieno di quel tocco gentile e deciso.
“Ora che ci stiamo conoscendo meglio, voglio vedere anche quella parte di te.”
“Sono solo una serie di disegni messi l’uno accanto all’altro.” Non sai se tu lo stia sminuendo per spegnere la tua curiosità o per evitarle la delusione se glielo farai leggere.
Quel se ti sta stupendo molto, considerato che Laura non ha visto mai nient’altro che qualche schizzo qua e che sa a malapena che parla di draghi.
Anna ride buttando la testa all’indietro, la presa sul tuo collo non diminuisce di nulla però, il suo volto torna vicino al tuo e ti guarda negli occhi con uno strano brillio.
“Lo stai dicendo a una che non ha la più pallida idea di cosa significhi creare qualcosa che abbia la minima affinità con l’arte. So suonare il piano, si, ma lo faccio davvero malissimo, da schifo.”
Hai un flash di lei che suona un vecchio pianoforte a coda con addosso un abito bianco, e speri di poterla sentire suonare prima o poi, che suoni malissimo o meno, vuoi poterla vedere, e magari ritrarla.
“Arte è un’esagerazione.”
“Arte è la parola esatta, Martina.” Scandisce il tuo nome molto lentamente, i suoi occhi si accendono come se qualcuno avesse dato loro fuoco, la sua mano si stringe lievemente contro il tuo collo “Dio, quando fai così…”
“Così come?” Sei abbastanza spiazzata dal suo comportamento.
“Quanti ti sminuisci.”
“Io non mi sminui…” ti prende il volto tre le mani e ti bacia. È un bacio duro e violento che ti lascia ancora più spiazzata, ti spinge via e le ruote della tua sedia rotolano per diversi centimetri mentre tu sbatti gli occhi, attonita.
Torna davanti al disegno come se niente fosse.
“Mi dici di cosa parla?”
“Draghi.”
Ti guarda con rimprovero e tu ti accarezzi le labbra, cercando un qualsiasi contatto con la realtà e chiedendoti se per caso hai preso un colpo di calore, perché tutto quello che sta succedendo è molto fuori dai vostri schemi.
“Ti prego, sii meno precisa se riesci, o dimmi qualche altra cosa che so.”
“Se ti racconto di cosa parla, non ti passerà la voglia di leggerlo?”
Si mette a sedere sul letto e incrocia le gambe, stranamente non segui quel movimento ma la guardi negli occhi cercando di capire il perché di tutto questo interesse.
Laura non ha mai letto Flying dragons perché Laura non ha mai dimostrato tanto interesse.
“Penso che la alimenterà esponenzialmente, ma è una cosa che posso risolvere facilmente.”
Alzi un sopracciglio incredulo e lei sorride maliziosamente “Ancora non conosce le mie capacità persuasive signorina Pastorelli. ”
Decidi di desistere e di vedere dove vi porterà questa conversazione, di scoprire anche questo lato di lei.
“Parla di una ragazza, Sidney.”
“Una ragazza normale?” Probabilmente hai un’espressione interrogativa perché precisa “Non è un drago.”
“No, no. Sidney è una ragazza normalissima con fattezze normalissime e una rottura difficile alle spalle.”
“Tipo?”
“Tipo l’amore della sua vita, Carol, l’ha appena lasciata per via della sua mania di controllo e di problemi di fiducia.” Questo è ciò che di te hai dato a una delle tue protagoniste, anche se le sue manie sono lievemente diverse dalle tue: lei era ossessiva nei confronti della sua ragazza, non di se stessa.
Sarebbe interessante vedere come Anna reagirebbe a questa cosa.
“Mhmh, quindi Sidney è una ragazza triste.”
“Di più, è talmente depressa che pensa di suicidarsi quando i suoi amici la portano in montagna, la ferma solo un sasso che brilla tra la neve.” Non le dai il tempo di soffermarsi troppo su questa informazione: “Lo raccoglie e lo porta a casa per dipingerci sopra e scopre che non si tratta affatto di un sasso, ma è un uovo di drago.”
“Suppongo che lo scopra perché si schiude.”
“Supponi bene.” Hai un po’ paura che ti chieda i dettagli medico-biologici-scientifici, dei quali non ti sei mai minimamente preoccupata, perché è un fantasy e i fantasy si basano sulla magia, non sulla scienza.
“Quindi?”
“Quindi il suo bisogno di colmare il vuoto è tale che decide di tenere il drago, anche se la graffia, la morde, la brucia e le distrugge mezza casa.”
“Ah è un drago cattivo?” Guarda il disegno appeso al muro con il broncio e tu pensi per la millesima volta che è davvero carina.
“No, Layla non è un drago cattivo. È solo un cucciolo pieno di energia e di talenti che non sa ancora gestire bene. Man mano che i giorni passano impara a controllarsi e la convivenza diventa perfetta, piccoli incidenti a parte.”
“Tipo?”
“Vuoi davvero gli spoilers?”
Indica i libri sul muro “Con le letture che fai, sono certa che non sia quella la parte fondamentale del racconto.”
“Oh, a proposito, ho iniziato Persuasione.”
“Brava, ma non cambiare discorso. Che tipo di incidenti.”
“Tipo quando Layla si sveglia una mattina ed è una bambina non un drago e Sidney esce fuori di testa.”
“Oh, può mutare forma?”
“Si, può diventare umana. Può diventare umana e cresce molto velocemente.”
Batte le mani e saltella. “Ti prego, dimmi che Layla e Sidney si mettono assieme.”
“Scherzi? Non potrei mai far stare un drago con un’umana, sono completamente incompatibili.” Hai un brivido pronunciando questa frase, non ti è chiaro il perché però “In più non è quello il loro tipo di rapporto.”
“Come te e Rossella.” Lo rimarca con il sorriso sulle labbra, ma ha ancora il fuoco negli occhi.
“Si, come me e Pi.”
“Quindi non è una storia d’amore.”
Annuisci. “Si che lo è, Layla aiuta Carol e Sidney a riavvicinarsi”
“E lei rimane sola? Sarebbe triste.” Ha di nuovo il broncio, quindi ti alzi dalla tua sedia e ti siedi accanto a lei, le accarezzi il viso con una mano e lei ti ruba un altro bacio.
“Non rimane sola, c’è qualcuno anche per lei.”
“Bene, non mi piacciono le storie che finiscono male.”
Fai una smorfia e lei ti solletica il fianco. “Perché hai fatto quella faccia? Non dirmi che finisce male.”
“No, non finisce proprio.”
“No?”
“No, al momento non ha una fine.”
Hai seguito il consiglio di Rossella e ti sei concentrata sulla guerra, hai mostrato vari combattimenti e hai fatto crescere il rapporto tra i due draghi e potresti andare avanti all’infinito così, ma il finale continua a non venire.
Credi debba avere qualcosa a che fare con Layla che ritrova la memoria, ma non sai come o quando o perché.
“Un altro motivo per farmelo leggere, magari ti posso aiutare o magari non ti servirò a nulla e  non mi devo permettere di dire una sola parola sulla tua opera, ma vorrei leggerlo lo stesso. Voglio imparare a vederci te, capire in cosa sei Sidney, in cosa Layla o in qualunque altro tratto di disegno di quelle vignette.”
Flying dragons è il tuo bambino adorato, disegnarlo ti ha tenuto la testa fuori dal mare della depressione, è la tua safe-zone, il mondo che ti sei creata per difenderti dalla realtà. Sidney è la tua versione cartacea, migliorata, ma comunque parte di te, l’idea di farlo leggere a qualcuno che non sia Rossella non ti ha fa impazzire di gioia. Ma ora sei qui, seduta sul tuo letto con questa ragazza con la quale esci da si e no un mese, che è praticamente un’estranea, ma un’estranea che sta mostrando un interesse per te che non ha precedenti.
Una ragazza stupenda che vuole conoscerti per quella che sei.
Ti alzi con gambe tremanti e vai verso la tua sedia, ti ci siedi e la trascini fin verso la scrivania, apri un cassetto, che per tua fortuna non è quello in cui tieni gli album vuoti, e cerchi tra il casino una pennina usb, la trovi e sospiri, ancora incerta sul da farsi.
Anna non pronuncia una sola parola, è talmente silenziosa che ti chiedi se stia respirando, il che ti da la forza di andare avanti, perché senti che, a suo modo, sta rispettando l’importanza del momento.
Infili la chiavina nel mac, la svuoti dell’inutile contenuto e ci sposti dentro la cartella con tutti i 23 capitoli di Flying dragons. Anna ti arriva alle spalle, ti abbraccia e ti bacia il collo. Questa cosa del collo è una novità che non ti dispiace per nulla.
“Grazie.”
Hai un brivido di desiderio, un po’ perché il suo respiro bollente ti sta accarezzando una parte del sensibile del collo, della quale eri completamente ignara fino a 5 secondi fa, un po’ perché ha la voce seria e bassa e il fatto stia capendo così cosa significhi per te, te la sta facendo piacere decisamente di più.
Guardi la barra del trasferimento muoversi e potresti rimanere così per ore, ma lei gira la sedia e ti bacia sul naso.
“Vuoi sbavare su 13? Guardiamo una puntata.”
Fingi di avere una dignità che non hai e di essere oltraggiata. “Ehi! Io non sbavo su 13!!!!”
Ride e si butta sul tuo letto con un saltello, chiude il suo computer e lo poggia sul tuo comodino, accanto a Persuasione. “Si che sbavi su Jodie Whittaker, Martina, e trovo sia una cosa carinissima.”
Abbassi l’avvolgibile e ti sdrai accanto a lei, hai giusto il tempo di dare il via al dvd prima che lei ti si appallottoli addosso e tu debba iniziare a farle i grattini sul braccio.
Anna si perde completamente nella puntata, tu continui a passare lo sguardo dal computer, a lei, a 13, perché si, sbavi, ma a quanto pare non c’è più nessun motivo di nasconderlo.

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Capitolo 43
*** ch42 - The final phase ***


ch.42 – The final phase.
 
Ti sei levata lo stupido Luglio di torno e ora devi sopravvivere solo ad Agosto e poi questo maledettissimo caldo passerà e potrai tornare a funzionare come un normale essere umano.
Questa è una cosa positiva, sicuramente quella che preferisci, l’altra è che Anna ha finalmente finito la sessione d’esami, si è subito buttata sulla tesi senza darsi un attimo di tregua, ma è comunque un pelino più libera, o meglio, viene più spesso da te, anche se passa la maggior parte del tempo a fare ricerche o a leggere libroni dei quali non capiresti un’h.
Il vostro rapporto non è ancora passato al livello successivo e stai iniziando a pensare sia ridicolo, ma non sai come cambiare le cose. Anna non è più un’estranea e stai imparando a fidarti di lei, ma sembra semplicemente che la situazione giusta non voglia capitare. Inutile specificare che i vostri cicli mestruali abbiano avuto un ruolo quasi determinante in questa faccenda.
Comunque hai deciso di non pensarci troppo, perché peggioreresti le cose, vivrai la vostra storia giorno per giorno, pronta ad affrontare o accettare qualunque cosa succederà fra voi.
Nei giorni scorsi sei casualmente venuta a sapere che nei pressi di Marina Piccola hanno allestito un cinema sotto le stelle, e che stasera verrà proiettato “Orgoglio e pregiudizio”: devi assolutamente portarci la tua piccola patita di Jane Austen.
Hai pensato di aggiungerci anche un all you can eat e di regalarle una serata di totale relax, certo, se escludiamo il fatto che sarà lei a guidare, il resto sarà totale relax.
Mangiate, guardate il film e poi passeggiate per il porticciolo turistico per godervi la gradevole brezza marina.
“Dai non è stato così brutto.”
“No? Mi sarei voluta sparare per tutto il tempo.” Non per tutto il tempo, nei momenti in cui Anna si girava con gli occhi pieni di delizia verso di te e magari ti stampava un bacio sul collo, in quello che è ormai è diventata la porzione di te che più preferisce, eri più che felice di essere seduta su quella scomodissima sedia a vedere quello stupido film. “Avrei voluto strozzare Mr Darcy con il suo cravattino e affogare tutte le sorelle Bennet.”
Anna ride posando la testa sulla tua “Sei davvero una stronza quando ti ci metti.” Non suona affatto come un’offesa, anzi sembra apprezzare molto questo lato di te.
“Dovresti apprezzare il mio sforzo.”
“Lo apprezzo, lo apprezzo.”
“Ecco brava, ho anche letto quello schifosissimo libro per te.”
“Ehi! Persuasione non è uno schifosissimo libro.”
Ti fingi più schifata di quello che sei in verità “Se lo dici tu.”
Si mette più dritta e sospira teatralmente “Suppongo di poter dire addio al mio sogno di leggerti il mio libro preferito a letto, al calduccio, mentre fuori fa freddo e la pioggia batte sui vetri.”
“E perché mai?” Impieghi qualche passo a renderti conto che lei non è più accanto a te, ti giri a cercarla e la trovi impalata che ti guarda. “Cosa?”
“Vorresti io ti leggessi Persuasione?”
Agiti una mano davanti al corpo “Nel calduccio del mio letto mentre fuori fa freddo e la pioggia batte sui vetri, o al caldo della spiaggia, mentre tu prendi il sole ed io sto sotto l’ombrellone con la protezione 100, una maglietta, gli occhiali da sole e magari anche un cappel…” Ti afferra per le spalle e ti spinge contro il muretto sopra il quale avete parlato nel vostro lontano primo appuntamento, eravate molto più avanti quella sera, ma la familiarità con il luogo è piacevole.
Quello che non è familiare è il modo in cui ti sta baciando, ti sta facendo attorcigliare le interiora e hai la sensazione che ti voglia divorare, e non è affatto una sensazione sgradevole.
Le sue mani scivolano sotto la tua maglietta e ti coglie così alla sprovvista che ti lasci sfuggire un ansimo. Si ferma, ti guarda con gli occhi terrorizzati, si guarda attorno e si lascia scappare una parolaccia.
Le poggi una mano sul braccio e la accarezzi dolcemente “Anna che c’è?”
“Niente, ti riaccompagno a casa…”
“Cosa...” si gira e ti lascia lì da sola a boccheggiare e a contrastare l’ondata di disappunto che il tuo corpo eccitato ti sta scaricando addosso. Fai un primo passo incerto a quale ne segue un altro più sicuro e così via fino a raggiungerla, sei indecisa se toccarla o no ed è una cosa che non vi era mai successa.
“Anna…ehi…che succede?”
“Nulla, sono solo stanca e voglio tornare a casa. Si, è meglio se ti riporto a casa.”
Sei troppo orgogliosa per insistere e soprattutto non vuoi fare una scenata in pubblico, avete sfiorato lo spettacolo porno e uno spettacolo a serata è più che sufficiente, quindi la segui rispettando e imitando il suo silenzio, che si propaga per tutto il tragitto fino alla macchina e poi ancora nel viaggio fino a casa tua.
Ferma la macchina e non ti guarda nemmeno.
“Grazie per la serata.”
“Davvero credi che io vada via così, senza pretendere una spiegazione per il tuo assurdo comportamento?”
“Non c’è nessun…”
“Bene, io ora scendo dalla macchina e salgo a casa e se tu non sei subito dietro di me, puoi anche evitare di mandarmi il buongiorno domattina, o in qualunque mattina successiva.” Non stai totalmente bluffando, perché il suo comportamento ti sta ricordando parecchio la punizione del silenzio che vi infliggeva tuo padre e non hai intenzione di permettere a qualcun altro di farlo. Non hai intenzione di permettere a lei di farlo, rovinando così tutto quello che avete costruito fin ora.
Scendi dalla macchina e chiudi con tutta calma lo sportello alle tue spalle, arrivi con passo lento fino al portoncino e sei arrabbiata e delusa, finché non senti che anche il suo sportello si apre e che lei arriva al tuo fianco con fare sommesso.
Decidi di averla strapazzata abbastanza, quindi le prendi la mano e la porti fino a casa tua e poi ancora, fino in camera tua. La fai sedere sul letto e ti accucci davanti alle sue gambe.
“Cosa c’è che non va?”
Fissa i suoi occhi sinceri e limpidi su di te e ci leggi una paura che ti mette a disagio.
“Io non ho mai avuto troppi problemi a far sesso con qualcuno, anche al primo appuntamento.” Ti senti vagamente punta sul vivo e invidiosa per questa sua semplicità. “Il sesso è sesso, è facile. Ma poi ho incontrato te e tu sei stata solo con due ragazze nella tua vita…” stringi i denti nel sentire quella tua orribile bugia ripetuta dalle sue labbra innocenti. “…tu dai al sesso un significato più alto, tu dai un significato più alto perfino al semplice bacio.”
Non hai mai saputo dire se dai un significato particolare al sesso o se è solo una questione dei tuoi problemi con il controllo e la fiducia, ma considerando che non baceresti qualcuno per gioco, pensi sia più probabile la prima opzione.
“Con te è…è stato diverso fin dal primo momento, quando mi hai regalato la cinnamon e il caffè, o quando mi hai abbracciata. Con te è stato diverso tutto ed io mi ero ripromessa che non avrei sputtanato le cose per la fretta di scopare. Ho deciso che ti avrei regalato il libro e avrei aspettato tu lo leggessi prima di cercare di far sesso con te.”
Se devi essere sincera, non capisci la logica di questo discorso, capisci solo che questa ragazza si sta mettendo tutti questi problemi a causa tua e della tua difficoltà di parlare di determinati problemi. Le prendi le mani ma lei continua a guardarti negli occhi come se tu non ti fossi mossa.
“Tu sei una ragazza stupenda, tu sei…sei intelligente, sei divertente, sei gentile e sei premurosa. Non ho passato un solo minuto in tua compagnia annoiandomi, mai un solo minuto.”
Devi mordere la lingua per non dirle che sei solo una normalissima ragazza come tante, perché non è il momento di parlare, non è il momento di dire assolutamente nulla.
“Ma poi ho letto Flying dragons e quel fumetto…Dio, ogni vignetta di quel fumetto, anche la più piccola o la più stupida, sono impregnate d’amore. E da quando l’ho letto, io non posso fare a meno di pensare che voglio quel tipo d’amore.” Aspira l’aria e poi la sputa fuori tutta insieme con un “Voglio quel tipo d’amore da te.”
Quando senti questa affermazione ti irrigidisci e le tue mani smettono di accarezzare le sue, lei si divincola e le usa per nascondere il volto.
“Voglio quel tipo d’amore da te e voglio fare l’amore con te ed è diventato serio e voglio aspettare sia tu a volerlo, ma merda, voglio poterti toccare e farti venire. Il desiderio mi sta facendo impazzire.” La sua voce è soffocata dalle mani, ma rimane comunque piuttosto chiara.
Ti senti una merda perché la ragazza seduta nel tuo letto è terrorizzata e prima di te aveva un rapporto semplice con il sesso e in qualche modo avete incasinato una cosa semplice.
Tutto quello che puoi fare ora per lei, è cercare di renderlo di nuovo semplice, esattamente come dovrebbe essere.
La afferri per i polsi e la costringi con un gesto gentile, ma deciso, ad allontanare le mani dal viso.
“Ho finito di leggere quell’orribile libro giorni fa, Anna, e se avessi saputo cosa c’era in ballo, l’avrei letto in molto meno tempo.”
Ti guarda negli occhi ma non sembra capire o metterti a fuoco, le afferri le caviglie e fai salire lentamente e deliberatamente le mani fino ai polpacci nudi, che inizi ad accarezzare dolcemente.
“Voglio esattamente le stesse cose che vuoi tu.” Sbuffi una risata “Non sono una santa e voglio esattamente le stesse cose vuoi tu.” A parte forse tutta la storia dell’amare, o dell’essere amata.
Quello non lo vuoi mai più.
Ti prende il volto tra le mani e ti bacia sulle labbra, ma sembra ancora molto incerta, devi far scivolare le mani molto più su sulle sue gambe per fare in modo che l’indecisione lasci completamente il suo corpo, per lasciare spazio allo stesso desiderio che sta bruciando in te.
Per la prima volta da quando avete iniziato a uscire insieme, Anna rimane da te tutta la notte e ogni cosa che succede tra voi è bella, è dolce ed è meravigliosamente semplice.
È tutto talmente bello che devi impedire al tuo cervello di mandarti flash di Leila solo per le prime due ore, ma questa è una cosa che al mattino fingerai non sia mai successa.

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Capitolo 44
*** ch43 - The beast below ***


ch.43 – The beast below.
 
“Una spremuta d’arancia e una ciambella.”
“Buongiorno.” Sorriso falsissimo “Una spremuta e che ciambella? Un donut?” Il problema di essere tornata a Cagliari è che i biscotti di frolla con la marmellata, conosciuti nel resto d’Italia come occhi di bue, qui vengono chiamati ciambelline, perché simili a un dolce tipico sardo. Quindi tutte le volte che ti chiedono una ciambella devi chiedere se intendono il biscotto o il donut, e tutte le volte ti chiedi se questi simpaticoni non abbiano mai imparato a leggere, dato che ogni prodotto ha il suo cartellino 10x5 cm davanti, con tanto di nome e prezzo.
“Si.” Smorfia di disgusto, come se tu gli avessi offerto una tazza di escrementi umani.
“Va bene, sono in totale tre euro e novantacinque centesimi.”
“Ho la tessera Ikea.”
“Grazie, per questa roba non occorre.”
Il tipo grugnisce, letteralmente, e lancia le monete sul bancone. Sopprimi un sorriso decisamente più sincero del precedente, perché questi omini si credo fighi quando hanno questo atteggiamento scortese da vero macho, non si rendono conto di essere solo tristemente maleducati e patetici.
Prendi i soldi, gli dai resto e scontrino e metti le arance nella stronzissima spremiagrumi, mentre quella fa il lavoro sporco tu chiedi al simpaticone di che gusto voglia il donut e glielo servi. Prendi un bicchiere e gli servi anche la spremuta, giusto in tempo per essere disponibile a servire un altro cliente.
“Buongiorno signorina, mi fa un caffè macchiato per favore e ci aggiunge anche il tortino alle mele e cioccolato. Ho anche la tessera Ikea, guardi.” La esibisce come se fosse un distintivo e tu lo adori perché ti ha salutato prima di fare l’ordinazione e perché non gli hai dovuto fargli nessuna delle domande di rito.
“Buongiorno a lei, si certo, sono in totale due euro.” Non hai bisogno di digitare nulla in cassa, lo sai a memoria. Il simpatico signore te li da con un enorme sorriso stampato sul volto, incassi i soldi e metti il caffè a fare, afferri un tortino dalla vetrina e, quando glielo poggi davanti, il simpaticone della spremuta parla ancora.
“Io le avevo chiesto quella cosa lì e lei ha detto che non faceva.”
Ti giri verso di lui con il sentore di dovergli dare un tortino mela e cioccolato senza farglielo pagare, solamente perché non è in grado di leggere, figurarsi di fare un’ordinazione giusta.
“Mi scusi?”
“Quella cosa, la tessera. Io gliela volevo dare, lei non me l’ha presa.”
Il tuo primo pensiero è: complimenti per l’italiano. Ma devi pensare al marchio, non puoi rispondere così.
“Non l’ho presa perché nel suo caso era inutile, non scelgo mica a chi chiedere le tessere in base alla simpatia che provo per il cliente.” Temi di avergli detto senza mezzi termini che ti sta sulle palle, ma se lo merita, quindi macchi il caffè del signore carino ed educato.
“Io le sto solo chiedendo un’informazione, non c’è bisogno di rispondere così.”
“No, lei sta mettendo in dubbio la mia buona fede, non chiedendo un’informazione. Comunque la tessera Ikea qui al bar serve solo per la colazione a un euro fino alle 11, o per chi prende il caffè, che per i soci viene a costare 50 centesimi e non un euro.” Forzi un sorriso ma quello non molla.
“Non si può chiedere nemmeno un’informazione ora.”
“Si, si. Io le do tutte le informazioni che vuole. La tessera serve solo per il caffè.”
Il simpaticone mormora qualcosa a mezza voce, butta giù la spremuta d’arancia e sbatte il bicchiere sul bancone. “Arrivederci.”
“Grazie e buona serata a lei.” Lo dici con la voce più dolce possibile.
“Quel ragazzo non ha idea di come si stia al mondo e che fare così non lo porterà da nessuna parte.”
Ti giri verso il signore carino e educato e alzi entrambe le spalle “Ho servito clienti peggiori e fortunatamente clienti migliori.” Gli sorridi e lui si agita tutto, evidentemente apprezzando il tuo complimento.
“Qualcuno ha osato trattarti male?”
Ringrazi qualunque divinità abbia impedito ad Anna di assistere alla scenetta precedente. “No, nessuno.”
“Solo un ragazzino stupido che non apprezza le belle ragazze.” Gli sorridi e ritiri la tazza di caffè che ha appena bevuto, la tua ragazza di conseguenza lo fulmina con lo sguardo, perché non è solo protettiva, è anche gelosa o le piace fingere di esserlo quando qualcuno ti fa un complimento, anche se è sempre evidente sia orgogliosa e non gelosa.
“Grazie mille.”
“Grazie a lei signorina e buona giornata.”
“Buona giornata a lei.”
L’omino va via tutto contento, dando enormi morsi al suo tortino mela cioccolato, lo seguite con lo sguardo, quando vedi che non arriva nessuno ti issi verso il bancone usando il frigorifero, in modo che Anna ti baci, lo fa subito, afferrandoti il volto con entrambe le mani per stabilizzarti un minimo.
“Buongiorno.”
“Buongiorno a te meraviglia.” Nota negativa della fine dell’estate, sono spariti anche i vestitini floreali e in questi mesi avevi imparato non solo ad apprezzarne la comodità in determinate occasioni, ma anche a sfruttarli nel migliore dei modi. I jeans e le gonne lunghe sono decisamente più scomodi. “Come sono andate le lezioni?”
Mette il broncio e tu inizi a fare una spremuta d’arancia “Grazie a Dio sono gli ultimi tre esami perché non ce la faccio veramente più.”
“Immagino.”
“La tua giornata?”
“Mi sono chiesta più volte se a Cagliari ci fosse il raduno mondiale delle persone più fastidiose della terra.”
“Povero tesoro.”
Ti fingi triste, riempi un bicchiere di vetro con la spremuta e gliela porgi.
“Quanto ti devo?”
Ghigni. “Solito pagamento, lo sai.” Pagherai la spremuta quando se ne sarà andata, ma lei non deve darti un solo centesimo.
Beve un sorso e guarda il soffitto “Non sono sicura di voler pagare così, preferisco darti i soldi veri.”
Le prendi il bicchiere di mano e lo sposti. “Ah si?”
“No, no, no, no.” Si sporge verso di te e tu le sorridi felice.
“Paghi?”
“Pago pago.” Si allunga ma non ti prende la spremuta, ti afferra per il colletto e ti tira verso di se. “Pago.” Te lo sussurra sulle labbra e poi ti bacia. Devi stare in punta di piedi, facendo forza con le braccia sul frigo, e potrebbe arrivare un cliente da un momento all’altro, ma è un bacio dolce che fa diffondere calore e desiderio per tutto il tuo corpo.
“Pastorelli.”
È sufficiente una parola per trasformare il calore in gelo e il desiderio in paura. Vi staccate immediatamente e tu ti ritrovi a vivere con occhi sgranati il tuo più grande incubo, o la realizzazione di un tuo segretissimo desiderio.
“Ti sembra un comportamento professionale questo?” Leila è davanti a te, con tanto di divisa sgualcita, capelli incasinati, targhetta storta e occhi gelidi. Leila è davanti a te come se non fosse passato un solo istante dal giorno del cornetto, perfino la sua espressione disgustata è la stessa di allora.
“Signora io…” le tocchi una mano e quando Anna ti guarda, scuoti la testa per farle capire che qualunque sua parola peggiorerebbe soltanto la situazione.
“No, non è un comportamento professionale e mi dispiace.”
“Dispiacerti non sarà sufficiente.” Ogni parola che pronuncia è come un pugno allo stomaco, si gira verso Anna “Signorina è il caso che lei vada, se non vuole peggiorare la situazione.”
La tua ragazza ti guarda e ha il terrore negli occhi, tu forzi un sorriso e annuisci per dirle che va tutto bene e che non è successo nulla di che. In verità siete state fin troppo fortunate in questi mesi e prima o poi doveva succedere che qualcuno dei tuoi superiori vi beccasse. Mai avresti pensato sarebbe stata proprio Leila a farlo.
“Io….arrivederci.” Quando vede che la tua responsabile non la degna di uno sguardo, Anna ti fa segno con la mano di chiamarla, tu annuisci ancora e lei va via, lasciandoti sola ad affrontare il tuo destino.
Il massimo che può succederti è una lettera di richiamo o di contestazione, una sola non è un grosso danno, anche se ti dispiace rovinare la tua scheda di valutazione immacolata. Il vero problema non sono le conseguenze lavorative del bacio, sono quei gelidi occhi castani che ti stanno riducendo in mille, minuscoli frammenti.
Di nuovo.
“Veronica? Sono Leila. Staccati dal Cr e vieni a dare il cambio a Martina al bar. No, subito.” Chiude il telefono di servizio e lo blocca alla cintura, senza mai distogliere quegli occhi disgustati da te. “Appena arriva, ti aspetto nell’ufficio piccolo.”
“Va bene.” Si, riceverai la tua prima lettera di contestazione. Ti lasci andare contro la lavastoviglie perché le tue gambe non ti reggono più, continui a chiederti se sia vero, perché è qui, cosa stia pensando, se ti odia.
Le parole che non le hai mai detto stanno girando vorticosamente nella tua mente e senti come se due forze opposte ti stessero lacerando il corpo, tirandoti l’una verso la rabbia e l’altra verso l’amore.
“Marty tutto ok? Sei pallida!” Qualcuno ti poggia una mano sulla spalla e tu impieghi un pochino a capire cosa ti abbia chiesto o chi sia. “Leila mi ha chiesto di…”
“Si, lo so.” Non vuoi che specifichi, lo sai fin troppo bene.
Veronica ti sorride dolcemente. “Stai tranquilla, vedrai che non è nulla di brutto.”
Capisci che stia solo cercando di essere gentile, ma ti sta facendo venire voglia di urlare o piangere. Stacchi il tuo cassetto dalla cassa e cerchi di farti forza, scappare peggiorerebbe solo le cose.
Slacci il grembiule e lo poggi dietro la macchina del caffè, sfili la cuffia e la infili in una tasca, dopo di che alzi il mento e sei pronta ad affrontare qualsiasi cosa.
Sono passati tre mesi, puoi affrontarla.
Arrivi davanti alla porta chiusa dell’ufficio e prendi un respiro profondo, bussi e ti accorgi di stare tremando come una foglia.
“Avanti.” È la sua voce secca e decisa, la sua classica voce da lavoro, non quella con la quale era solita rivolgersi a te.
Lecchi le labbra che stanno iniziando a screpolarsi, irritandole di più, apri la porta, entri e la richiudi con cautela, infili subito le mani in tasca pur sapendo che non sia la cosa più rispettosa da fare al momento, ma non vuoi vedano quanto tu sia agitata. Ti giri ad affrontare i tuoi giudici con il cuore che ti martella in petto, quando vedi che nella stanza siete solo tu e lei, lo stupore è tanto che dimentichi di essere agitata.
“Credo tu sappia che il regolamento aziendale è molto rigido sulla condotta dei coworker, soprattutto quando lavorano a stretto contatto con i clienti, come te.”
“Non dovremmo aspettare Alex o…”agiti la mano, non sapendo chi altro citare. La regola dei quattr’occhi è decisamente più ferrea di qualunque altra regola comportamentale.
“No e sto cercando di farti capire quanto grave sia la tua situazione.”
Forse è l’adrenalina, non lo sai, ma capisci subito che se è sola, se non ci sono altri testimoni nella stanza, non è una cosa ufficiale.
È un suo capriccio.
La cosa dovrebbe sollevarti, invece fa solo in modo che sia la rabbia ad averla vinta nella tua sfida interna.
“Se la mia situazione è tanto grave, posso sapere perché non siete in due a parlarmi?”
Non è questo che le vuoi chiedere veramente, vorresti sapere dove è stata e se è tornata per restare.
Hai bisogno di sapere se sia tornata per restare.
I suoi occhi si sgranano, ma è solo un breve momento.
“Dovresti essermi grata per questo e non avere la sfrontatezza di rispondermi.”
Ti avvicini a lei e sai di non poter sentire l’odore della sua pelle attraverso i vestiti, eppure lo senti perfettamente. Vorresti poterla toccare, vorresti poterle dire quanto ti sia mancata, nonostante tutto.
“Grata per cosa? Per l’abuso di potere che stai facendo permettendoti di chiamarmi qui per una semplice vendetta personale?” Senti un retrogusto amaro in bocca e provi disgusto per tutto quello che sta succedendo.
“Ti ricordo che stai parlando con un tuo superiore, Pastorelli.”
Ridi amaramente. “Lo stesso superiore che mi sono scopata a novanta su quella scrivania.” La parte di te che ha perso vorrebbe chiederle come sta, vorrebbe chiederle se ti odia o se potete cercare di avere un rapporto di amicizia, o qualunque cosa ti permetterebbe di tenerla nella tua vita.
Leila arrossisce, non sai se per la rabbia o per la vergogna.
“Dimmi, ti sei seduta sulla sedia sopra la quale ero seduta quando mi hai scopata? Ti fa sentire più potente? L’hai scelta per quello, Leila?” Più parli, più le immagini di quella sera ti riaffiorano nel cervello, e più dettagli vedi, più vorresti sentire ancora le sue labbra e le sue mani su di te.
“Potrei farti licenziare.” Non alza la voce, ma non l’hai mai vista così smarrita, nemmeno nei suoi momenti peggiori. Non ti illudi di aver colpito un nervo scoperto, pensi solo che non le piaccia non avere il controllo della situazione, non potere fare il bello e il cattivo tempo con te.
Ma non sei più la persona che si è lasciata alle spalle, che ha scaricato come se fosse merda.
Ti ha distrutta e tu hai rimesso insieme i pezzi, da sola, e non le permetterai più di farti del male. Non importano i sentimenti che provi per lei, non importa il dolore che non poterla tenere tra le braccia ti sta facendo provare.
“Fallo, ti prego fallo. Vai a quello strafottutto pc e scrivimi una cazzo di lettera di contestazione o di licenziamento o del cazzo che ti pare. Fallo, te la firmo subito.” Poggi una mano sulla scrivania e ti avvicini a lei senza mai spostare gli occhi dai suoi. Aspetti quella che sembra un’eternità, in cui non fate altro che respirare e guardarvi con sfida.
Quando Leila non muove un solo muscolo, scoppi a ridere. “Lo sapevo, non è nulla di ufficiale.” Scuoti la testa “È solo un tuo strafottutittismo capriccio. Sei liberissima di preparare una lettera di contestazione, ma stai bene attenta a quello che potrei rispondere, Leila.” Continui ad affrontare il suo sguardo e lei ha il volto tirato e le labbra ridotte a una linea sottilissima, ma non risponde.
Il tuo stupido cuore perde un battito perché non ti piace vederla così, ma tu lo ignori, esci dalla stanza senza aggiungere una parola e sbatti la porta. Torni al bar con passo pesante e sei tanto incazzata che i clienti che sembravano volerti chiedere informazioni fuggono via spaventati.
Arrivi al bar e blocchi il sorriso di Veronica sul nascere.
“No. Voglio solo tornare al mio lavoro e non parlarne mai più.”
“O….ok…” Prende il suo cassetto ma tu la fermi prima che lasci il bar.
“Se Leila osa chiamarti ancora per dirti che mi deve parlare, dille che può scrivermi una mail, stamparla e infilarsela su per il culo.”
La tua collega rimane basita per le tue parole, scappa praticamente via, lasciandoti sola e in preda alla rabbia e allo schifo. Afferri un piattino e lo scaraventi contro il pavimento, subito dopo fai lo stesso con una tazzina da cappuccino, il tuo telefono vibra e ti calmi appena vedi il nome di Anna.
Chiudi gli occhi e respiri profondamente, pensando che Rossella aveva ragione e le parole che non hai mai detto hanno fermentato dentro di te, diventando qualcosa di completamente diverso.
Ti inchini e raccogli i cocci, sperando di riuscire a fare lo stesso con quelli della tua anima.

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Capitolo 45
*** ch44 - The lie of the land ***


ch.44 – The lie of the land.
 
Sei seduta sul tuo letto con Claudia sdraiata contro di te, sopra le tue gambe, tu fingi di leggerle un libro, lei dimostra chiaramente di volerlo solo infilare in bocca, succhiarlo e sbavarlo. Tua sorella è andata a fare una visita di controllo dal ginecologo dell’ospedale e ti ha chiesto se potevi tenere tua nipote per un’oretta o giù di li. Hai accettato al volo perché avevi bisogno dell’affetto e dell’innocenza di questa piccola pallina bionda, e perché avevi bisogno di una scusa che ti permettesse di isolarti per qualche ora.
Il tuo telefono suona e ti sembra strano di vedere l’avatar di Skype di Rossella, poggi la tua adorata nipotina contro i tuoi cuscini e vai a prendere il mac, hai giusto il tempo di posare i piedi a terra che Claudia si è già buttata in avanti per afferrare e infilarsi il suo libro gommoso in bocca, decidi di prenderla come una cosa buona, per un amore per i libri che sfocia in cannibalismo.
La chiamata termina prima che tu possa tornare a letto e sistemarti tua nipote davanti, richiami la tua amica e mentre aspetti fai battere lei mani alla bambina, che squittisce deliziata. La velocità con cui sta crescendo e sta imparando nuove cose ogni giorno ti lascia sempre più ammirata.
“Mini Piiiiiii. Miniiii Piiiiiii.”
All’inizio ha paura che tanto entusiasmo spaventi la bambina, ma vedi dalla telecamera che sorride, in più inizia a gorgogliare allegramente subito dopo.
“Ciao zia Pi. Ciao.” Le prendi la mano e la agiti davanti allo schermo, la bambina si divincola subito, afferri il libriccino e lo tieni in modo che lei lo possa torturare.
“Ciao Pi.”
“Why, hello Pi.” Non sei affatto a tuo agio a parlarle in inglese, ma usare questo saluto ti piace sempre. Approfitti del non dover prestare troppa attenzione a tua nipote per studiare Rossella: ti sembra molto stanca e spenta. “Che succede Pi?”
La chiamata su Skype non è mai un buon segno tra voi.
“Non succede nulla, avevo solo voglia di vedere la mia Patata lessa e una piccola mini Pi.”
“Pi, mi stai chiamando su Skype, non è normale.”
Claudia sbadiglia e si lascia andare contro di te, recuperi la sua copertina, ce la avvolgi e la prendi in braccio, cullandola dolcemente. Ha gli occhi apertissimi e ti batte una mano contro il petto, ma non credi durerà a lungo.
“Aaaaaw, ma quanto è carina?”
Ti porti la bambina accanto al viso e le schiocchi un bacio sulla guancia, facendola gorgogliare ancora, la appoggi sulle tue gambe, cingendola con braccio e lasci ti afferri il pollice destro.
“Lene è andata via. È tornata in Svezia.”
“Oh, mi dispiace molto.”
Rossella alza le spalle e stringe le labbra “Non è poi così terribile, era solo una buona scopata, nulla di più.”
Sai che non è vero, anche se è convinta di quello che sta dicendo, sai che sta soffocando i tuoi stessi sentimenti e che come minimo si era affezionata alla svedese.
“Mi dispiace comunque, so quanto apprezzi una buona scopata.” Claudia emette uno strano suono di disappunto e tu arricci il naso “Se Fede scopre che parlo così davanti a lei, non solo non me la lascia mai più, non me la fa vedere nemmeno in foto.”
“Macché Pi, sono cose che deve imparare subito.”
“Perché ho l’impressione non sia tutto?” non le permetti di cambiare discorso così velocemente.
“Perché sei la mia Patata lessa, ecco perché. Ti ricordi di Aurora, la mia collega che ha un accento pessimo e che è andata a ridere alla direttrice che mi sono lamentata perché non ci pagano le riunioni?”
Come dimenticare un personaggio del genere? Rossella ha passato telefonate intere a sputare merda su questa personcina e a imitarne il pessimo accento. Perfino tu ti rendi conto di quanto terribile sia la sua pronuncia, e tu hai iniziato a capire la differenza tra l’inglese della regina e l’americano solo di recente. Ti sembra strano che la stia nominando ora, visto che le due hanno iniziato a fumare insieme tra una lezione e l’altra e sembrava che le cose tra loro fossero un pelino migliorate.
“Si, certo che si.”
“Ti ricordi che ti ho accennato che è davvero figa? Che me la vorrei scopare su ogni superficie della scuola: orizzontale, verticale, solida, liquida e pure gassosa.”
La guardi con rimprovero, premi l’ingenua bambina contro tuo ventre e le copri l’orecchio libero con la mano. “PI!!” lo sibili e Rossella copre la mano con la bocca. “Non ascoltare la zia Pi, Claudia, non ascoltarla mai.”
Guardi tua nipote che ti guarda con gli occhi lucenti, speri davvero di non stare minando la sua innocenza con questa conversazione. “Comunque certo che mi ricordo Pi. Hai parlato così tanto di Rory, che è difficile dimenticarla.”
“Penso che quello che provo per lei non si limiti alla semplice attrazione fisica.”
“Scusa?!?!?!” tua nipote riapre gli occhi che aveva appena chiuso e tu le mormori decine di scuse, pregando che non scoppi a piangere.
“Pi, ha due tette che sono la fine del mondo e due gambe che non finiscono più…ma figa Pi, non è solo questo. Lei è…è una donna forte, intelligente e determinata e pensa di dover cambiare per poter trovare un uomo, che sia LEI sbagliata.”
 La bambina sbadiglia e si accuccia meglio contro di te, facendoti sciogliere il cuore d’amore.
“Quindi, ti piace una collega.”
“Si Pi e non si può, va contro il regolamento della scuola e…”
Smetti di guardare lei, guardi tua nipote che cerca inutilmente di resistere al sonno e ti aggrappi a quell’immagine innocente per non farti travolgere dalle mille sensazioni che questo discorso stanno risvegliando.
“Oh merda Pi. Scusami sono una cogliona, scusami.”
Scuoti la testa. “Non devi scusarti di nulla Pi.”
“Vedi? Le cose con le colleghe non portano nulla di buono. Tu stai vedendo un’altra e stai ancora così, dopo quanto? Tre mesi? Quattro mesi?”
Ti si rigirano le interiora e probabilmente si ripercuote sulla tua espressione perché Rossella aggiunge subito.
“Pi? Che cos’era quello? È successo qualcosa che non so? Si è fatta risentire?”
Sono passati quattro giorni da quanto Leila è tornata, ma non hai detto nulla ad anima viva, hai continuato a vedere Anna come se nulla fosse, inventando una finta cazziata da parte del tuo responsabile, Alex, e nient’altro.
A quanto pare non puoi fare a meno di mentirle se Leila è coinvolta.
“È tornata.” Sbatti i canini gli uni contro gli altri, a turno, e guardi tua nipote sonnecchiare.
“COSA!?!?!?”
Claudia si agita nel suo dormiveglia, ma non hai voglia di cazziare Pi per questo. Lei capisce da sola di dover abbassare la voce. “Pi, dimmi cosa è successo. Vi siete parlate? Le hai detto…” non finisce la frase, probabilmente decide sia il caso di soppesare al meglio le parole. “Ti ha detto perché è tornata?”
Scuoti la testa “No, non me lo ha detto lei, Silvietta mi ha raccontato che era stata chiamata a Genova dai grandi capi perché stavamo andando così male che hanno valutato l’idea di farci chiudere. Prima di arrivare a tanto, e lasciare 40 persone senza lavoro, hanno deciso di darci un’altra opportunità, e hanno praticamente messo Leila al comando, Fantabosco e Alex dovranno parlare con lei di qualsiasi idea abbiano e sarà lei ad avere l’ultima parola su tutto, ovviamente si interfaccerà con i manager di Genova e dovrà rendere conto di tutto a loro.” Aspetti una reazione qualunque, ma non arriva. “Comunque è andata lì per i mesi estivi solo per fare una sorta di training e prendere le prime fondamentali decisioni. Tra cui una piccola riduzione del personale e l’eliminazione dell’angolo occasioni e il ripristino del cash and carrie.” Parlare di cose così tecniche ti sta aiutando molto, ti fa prendere la situazione in modo molto meno personale.
“Vi siete parlate?”
“Ha visto me e Anna che ci baciavamo mentre io ero in turno.” Senti la tua amica trattenere un respiro e tu sorridi, ma è lo strano modo che il tuo corpo ha trovato per reagire al dolore che stai provando. “Non abbiamo solo parlato, abbiamo discusso e le ho detto delle cose…”stringi le labbra e abbassi lo sguardo.
“Cosa le hai detto Pi?”
Scuoti la testa perché non vuoi ripetere le cose che le hai detto, e non vuoi specificare che da quel momento vi siete ignorate a vicenda con evidente successo.
“Pi, Anna lo sa?”
Chiudi gli occhi e scuoti la testa. No, Anna non lo sa. Anna non sa non solo della tua sfuriata di quella mattina, non sa nemmeno che tu sei stata con la tua responsabile e che quella tra voi è stata la storia più sconvolgente della tua vita, che ha lasciato un segno indelebile in te.
“Martina?”
“No, non lo sa.” Hai il terrore che Rossella continui a farti domande, che ti chieda ciò a cui non vuoi dare risposta. Anche se la risposta è lì davanti ai suoi occhi, non vuoi che la veda, vuoi continuare a fingere che non esista, che il tuo amore per Leila sia salito su quella nave per Genova con lei e che non sia più tornato indietro.
“Hai intenzione di dirglielo?”
“No, ovviamente.”
“Pi, non è una cosa sana.”
“Cosa le dovrei dire Rossella? Che mi sono scopata e fatta scopare dalla mia responsabile in ogni angolo nascosto del negozio? Che ci ho passato un fine settimana da sogno in un bed and breakfast? Che ci ho fatto l’amore nel suo letto dopo averle mostrato tutte le cose peggiori di me e poi sono stata scaricata come merda? Cosa dovrei dirle? Che sono inn…” usi la mano libera per coprirti il volto e respiri affannosamente. Claudia si lamenta nel sonno e ti costringi a calmarti per il bene della bambina, che altrimenti assimilerà tutta la tua agitazione e scoppierà a piangere.
“Pi, Anna crede di essere in una commited relationship con te.”
“E lo siamo.” Mordicchi il labbro superiore, che senti tirare, segno che a breve dovrai trovare qualcosa per idratarlo seriamente e non ritrovarti ad averlo spaccato e sanguinante.
Ti rifiuti categoricamente di utilizzare il burro cacao.
“Non se le nascondi una cosa del genere.”
Sbuffi perché sai che ha ragione e non ti piace per nulla, tu non vuoi lei abbia ragione, vuoi continuare a vivere la tua vita come se niente fosse.
“Nonc’ènientedanascondere.” Stai mentendo e parli molto velocemente per evitare che la tua amica te lo faccia notare, menzionando i tuoi sentimenti e sbugiardandoti molto facilmente. “Io sto con Anna e ci sto molto bene. Voglio continuare a stare con lei, che mi rispetta, mi capisce e mi…mi fa stare bene.” Questo discorso stride anche nella tua testa perché ti rendi facilmente conto da sola che manca di qualcosa, che manca la felicità, ma sei troppo stanca e ferita per rischiare ancora una volta pur di trovare la felicità. La felicità è sopravvalutata, non vale quanto la tranquillità e tu con Anna sei tranquilla.
Stai bene e sei tranquilla.
“Non credo sia abbastanza e non credo finirà bene.”
“Credi male, te lo assicuro.” Lo dici in tono freddo e distaccato, fin troppo, e ti senti una merda perché sai che Rossella non merita tale trattamento, ma non riesci a fermarti.
“Ok, te lo dico solo ora e non te lo ripeterò mai più, se è questo quello che vuoi. Tu provi dei sentimenti per un’altra persona e Anna ha il diritto di saperlo, di sapere quanto questa persona ti ha ferito e del fatto che questa persona sia di nuovo presente nella tua vita. Credo davvero ne abbia il diritto.”
“Leila non è presente nella mia vita e tutto quello che è successo è nel passato. Anna può tranquillamente sopravvivere senza sapere nulla.” è la te stessa testarda che sta parlando, quella che non sa e non vuole perdonare, e ne sei perfettamente consapevole, ma non sai come fermarti.
Rossella sospira profondamente ma è fedele alle sue parole e non aggiunge nulla, ti guarda solo con aria molto triste e preoccupata, il che ti sta facendo sentire ancora peggio. Vuoi solo che smetta, che tutto questo smetta e tu possa tornare a Luglio o Agosto quando le cose erano semplici e chiare.
“Allora, questa Aurora?”
“Allora questa Rory niente Pi, non posso provarci con una collega etero.”
“Perché no? Magari è curiosa.”
“Perché Pi, se anche non mi denunciasse per molestie e decidesse di provare, complicherebbe le cose a scuola, incasinerebbe tutto e non ne vale la pena.”
“Già. Come sta Sirius?”
Rossella inizia a parlare dei suoi gatti e questa volta è difficile ignorare la voce del tuo cervello.
È difficile, ma non impossibile, fingere di aver smesso di credere che ne valga la pena.
Perché tu pensi ancora che Leila valga la pena e rivivresti tutto il dolore da zero pur di averla accanto un solo momento, morte finale compresa.
 

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Capitolo 46
*** ch45 - Cold war ***


ch.45 -  Cold war.
 
“Martinettis renditi presentabile ed escine da quello spogliatoio.” È seguito da una serie sconnessa e ripetuta di bussate contro la porta, è la voce di Manuela, anche se dubiti sia la sola a bussare, ed è strano ti sia venuta a cercare mentre ti cambi.
Questa cosa ti rende piacevolmente curiosa, quindi finisci velocemente di infilare i jeans, rischiando di perdere l’equilibrio e sbattere con la faccia contro il muro, e rinfili le scarpe antinfortunistiche, quindi esci dallo spogliatoio con indosso i tuoi jeans, la polo grigia della divisa e le scarpe grigio e gialle, non l’abbinamento più azzeccato della storia.
“Oh eccola!” la tua collega più anziana ti tira verso le altre, nello specifico: Giorgia, che ti abbraccia, Carlotta, che ti sfila la cuffia dalla testa, e Leila, che guarda altrove con aria annoiata, dondolando su un piede solo.
Il tuo umore cambia appena la vedi, così come svanisce la tua curiosità.
“Giovedì pomeriggio c’è una visita guidata al cimitero di Bonaria.”
“Ah si?” infili le mani in tasca e ti poggi allo stipite della porta, fingendo una nonchalance che non provi. Ma sai che fingere al momento è fondamentale, in parte perché le tue colleghe non devono sapere, in parte perché non vuoi che la tua responsabile creda ti faccia un qualsiasi effetto averla davanti.
Puoi condividere lo spazio con lei, se proprio sei costretta.
“Si. È una sorta di associazione culturale e costa una fesseria. Ci vediamo lì alle 15, o magari andiamo a mangiare qualcosa tutte insieme, in base ai tur…”
“No. Grazie.” Puoi condividere lo spazio con Leila, ma se puoi eviti di farlo molto volentieri.
Le tue tre colleghe ti guardano con stupore, la responsabile smette di dondolare e giocherella con il suo accendino, anche in questo caso senza degnarti della sua attenzione.
“Come no? Hai stressato me e Leila per mesi perché volevi fare la visita guidata al cimitero di Bonaria, e ora ci dici di no? Se è una questione di orari, sono certa che questa qua possa forzare un cambio turno.” Indica la sua amica e tu segui il suo gesto senza pensarci. La tua ex amante continua a guardare altrove e sembra come spenta.
“Non lo so se posso.” Infila l’accendino in tasca e riprende a dondolare.
La lotta interna in te riprende da zero, in un misto di dolorosa pena per lei e di intima gioia nel vederla così a disagio.
“Lo so io, puoi. Quindi Martinettis…”
“Ho detto di no, non mi interessa, grazie.” Rientri nello spogliatoio sperando sia chiaro che per te la conversazione è terminata lì.
Sfili la polo e pensi che in realtà ti dispiace non andare, perché Manuela ha ragione a hai aspettato mesi per poter fare una visita guidata come si deve nel cimitero monumentale della città e perderlo non ti fa affatto piacere. Soprattutto perché è uno dei luoghi più misteriosi di Cagliari e hai sempre pensato fosse molto triste non sapere la storia di chi vi era sepolto, in più, ha sempre stimolato la tua fantasia e sei certa che avere più informazioni gioverebbe molto alla tua creatività.
Peccato tu non sia in grado di passare un pomeriggio con Leila e magari essere costretta a mangiare con lei. Non vi rivolgete la parola, non vi guardate nemmeno in faccia, come potresti andare alla visita guidata?
No, non puoi e sei più che convinta di aver fatto la scelta giusta declinando l’invito con decisione come hai fatto.
Cerchi di districare la tua maglietta personale dalla gruccia nel tuo armadietto e accarezzi l’idea di organizzare una sorta di contro-uscita-ikea, ovviamente non lo stesso giorno, ma puoi chiedere ad Anna e Laura se vogliono andare a farci una passeggiata durante uno di questi pomeriggi. La tua coinquilina potrebbe fare qualche foto, magari anche a voi, mentre sei certa che Anna abbia qualche storia da raccontare sul cimitero, dato che suo padre era docente universitario di storia, sei sicura che qualcosa le abbia raccontato.
Sei in procinto di infilarti la maglietta, finalmente, quando la porta ti colpisce e qualcuno ti spinge via.
“Credevi davvero che la conversazione sarebbe finita così facilmente, solo perché sei andata via Martinettis?” Manuela entra senza nemmeno chiedere permesso, o se tu sia presentabile.
Alzi gli occhi al cielo. “Direi di si. Non ci voglio venire, mi pareva di essere stata chiara.”
“Non ci vuoi venire perché c’è Leila, no?”
Non eri preparata a un approccio così diretto, quindi non hai una bugia a portata di mano.
“Senti, io non ho idea di cosa successo tra voi.”
“Lei ha…”
Ti mette una mano sulla bocca “E non mi interessa. Non me ne importa un fico secco. So solo che questa storia deve finire e deve finire subito.”
Alzi gli occhi al cielo e ti sposti in modo lei non ti possa più impedire di parlare.
“Non vedo come questi siano affari tuoi.”
“Ah te lo dico subito come questi siano affari miei, anzi ti dirò di più, non solo sono affari miei, sono affari di tutto il negozio, dato che siete entrambe intrattabili da quando Leila è tornata da Genova. Tu hai fatto piangere Veronica trattandola di merda…”
Eri pronta a ribadire che non erano affari loro, ma non sapevi di aver fatto piangere la tua collega e scoprirlo ti sta facendo vergognare di te stessa su diversi livelli. Hai scaricato la tua rabbia e la tua frustrazione su una persona innocente, ed è una cosa così tanto da tuo padre che ti stai sentendo fisicamente sporca.
“E lei ha mandato via un cliente dicendogli di non farsi mai più vedere, per non parlare di come sta trattando i colleghi. Alex scappa tutte le volte che lei entra in una stanza.”
“Bene, farò del mio meglio per smettere di…”
“No Martinettis, forse non ci siamo capite. Voi dovete risolvere la situazione e la dovete risolvere ADESSO.”
Ti infastidisce molto che usi il tuo nomignolo durante una conversazione così seria, ti sta facendo sentire una ragazzina e tu non sei una ragazzina e credi di averlo dimostrato ampiamente.
“Non c’è nulla da risolvere ed io sto uscendo con un’altra persona.” Incroci le braccia davanti al petto semi-nudo, ma non per il freddo.
“Non vedo cosa c’entri questo, ma a maggior ragione, non vedo perché tu debba continuare a serbare rancore per Leila, dato che sei felice con un’altra persona.”
Non ti piace affatto di aver fatto quella gaffe, ti piace ancora meno ciò che la sua frase sta suggerendo, quindi riparti a tutta forza con la difesa.
“Tu non sai cosa ha fatto quella stronza.”
“Vero e ti ripeto, non mi interessa saperlo. Quello che mi interessa e che voi due smettiate di rovinare la vita a tutti al lavoro.” Fa una pausa che ti costringe a cercare i suoi occhi. “Anche perché, non sono tutti dei deficienti Martina. Prima o poi qualcun altro farà due più due e capirà che il famoso toy boy eri tu.”
È un vero e proprio pugno allo stomaco, al quale non sai reagire in altro modo che boccheggiando.
“Cosa dovrei fare secondo te? Fingere non mi abbia trattato come se fossi una merda e passare una serata con lei a ridere e scherzare?”
“Ti ho detto che non voglio sapere cosa è successo e no, non voglio che tu faccia questo, ma voglio che entrambe dimostriate di essere due persone adulte, in grado di tollerare la presenza dell’altra senza scatenare una guerra fredda che ferisce chiunque vi stia attorno, e visto che non siete state in grado di dimostrarvi due persone professionali, magari vedervi fuori vi ricorderà che siete in grado di andare d’accordo.”
“Non lo siamo.”
“Lo siete, avete lo stesso amore per questo buco di culo di città.”
“Ehi!!!”
Scuote la testa e sospira. “Ha reagito allo stesso modo anche lei. Meno male che non siete in grado di andare d’accordo.”
“Senti, perché anzi che tormentare me, non vai dalla tua amica e convinci LEI a comportarsi da persona adulta?”
“Ah ma l’ho fatto.” Pensavi di metterla in difficoltà, invece a quanto pare hai solo fatto il suo gioco. Di nuovo. “L’ho portata a bere un caffè e le ho detto le stesse identiche cose, l’unica differenza è che lei ha capito e ammesso che ho ragione.”
“Lei cosa?” ti senti delusa dalla sua reazione, tradita in un certo senso, perché lei ha lasciato che qualcuno giudicasse la vostra relazione. Non credi abbia senso provare una cosa del genere, ma hai rinunciato molto tempo fa a trovare una logica in quello che pensi o provi quando Leila è coinvolta.
Manuela ha un’espressione così soddisfatta che staccheresti lo sportello dell’armadietto e glielo spaccheresti sulla testa.
“Lei ha ammesso che ho ragione, dalla persona adulta che è.”
Ti chiedi se passerà mai un giorno senza che qualcuno ti accusi di essere una ragazzina. Ti giri alla ricerca della tua maglietta perché non vuoi ti legga in faccia tutto il disappunto che stai provando. Ti fermi di nuovo quando parla.
“Non solo, mi ha anche pregata di convincerti ad accettare. È per questo che sono qui ora, perché me lo ha chiesto lei.”
Dubiti fortemente che Leila abbia pregato chicchessia di fare una cosa qualunque, ma archivi subito il pensiero come una cosa inutile perché non è quella la cosa importante, la cosa importante è che abbia chiesto a Manuela di convincerti a partecipare a un’uscita in cui sarà presente, in modo possiate in qualche modo rimparare a convivere.
Ha chiesto a qualcuno, non è venuta lei di persona ed è l’ennesimo perché che ti chiedi per un  suo comportamento.
Va a sommarsi a tutti gli altri, per i quali non avrai mai una risposta.
Puoi essere testarda quando vuoi, ma riconosci quando hai perso una guerra, e questa l’hai persa miseramente. Hanno ragione entrambe e tutta questa situazione vi è sfuggita di mano e sta andando a intaccare anche il vostro lavoro, il che è una cosa imperdonabile per entrambe, lo sai.
Sospiri e annuisci. “Ok.” La cosa più difficile è fingere di non morire dalla voglia di fare quella visita guidata e vedere il suo volto illuminarsi per l’emozione e la gioia mentre passeggia tra la storia.
“Bene Martinettis, ero certa che avresti capito il mio punto di vista.”
“Non mi hai lasciato molta scelta.”
Ti ignora magistralmente. “Vado a dirlo alle altre, che erano tutte molto tristi per il tuo rifiuto, e tu copriti quelle enormi tette che mi fanno invidia e un pochino di paura. Certo che potevi darcene un pochino anche a noi…” esce dallo stanzino e la senti mormorare lamentele anche al di la della porta.
Finisci di vestirti e mentre lo fai, non ti abbandona nemmeno per un breve istante l’orribile sensazione di essere stata magistralmente fottuta.
Eppure non riesci a dispiacerti per questo.
 

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Capitolo 47
*** ch46 - Deep breath ***


ch.46 -  Deep breath.
 
“Hai intenzione di permettere che questo coglione continui a fare i cazzi che vuole, anche con una bambina di tre mesi di mezzo?” Guardi tua madre e sei a dir poco allibita dal suo comportamento tanto quanto dal tuo, se devi essere sincera. Non sai da dove sia partita, ma tutte le parole che non hai mai detto sono diventate tutt’altro, non solo quelle relative a Leila. Ok, forse sai da dove sia iniziata.
Tua madre non risponde.
“Come cazzo di permetti, ragazzina? È casa mia e faccio il cazzo che voglio.”
Non riesci a credere al silenzio di tua madre, invece è quasi scontato che la risposta dell’uomo che ha contribuito a concepirti sia quella, non credi sia in grado di formulare nulla che non siano quelle ridicole e patetiche parole.
La tua è una risata amara. “Certo, il bambino deve fare quello vuole alla faccia di chiunque lo circondi. Questo è sempre stato il tuo stracazzo di regno, in cui tutti erano i tuoi schiavi e i tuoi punchball. Ma se pensi che lascerò tu faccia lo stesso con mia nipote, ti sbagli di grosso, papà.” Glielo sputi in faccia sperando ci colga il disprezzo che provi nel chiamarlo così. Speranza inutile, dato che è convinto di essere il vostro dio e che tu...non sai nemmeno cosa pensi di te, e non ti importa. Ti importa solo che non faccia a Claudia quello che ha fatto voi, non lo permetterai.
Lui ha il volto indurito, lo stesso che da bambina rischiava di farti fare la pipì addosso per la paura, lo stesso che dava inizio a mesi da incubo e ai pianti di tua madre, il tuo cuore ha un fremito di paura, ma non gli permetterai di vederlo: hai 35 anni, sei economicamente ed emotivamente indipendente, hai un lavoro, una casa e non hai nessun bisogno di lui.
Hai imparato a fare a meno di un padre quando avevi appena undici anni e fu lui stesso a dirti di non contare mai su di lui, che avresti dovuto imparare a fare da sola, tu hai solo obbedito.
“Non osare parlarmi così.”
“Oppure cosa? Non mi parli più? Sai che perdita. Non mi dai la paghetta? Oppure mi vuoi mettere le mani addosso? Provaci, ti prego, provaci.” Non hai mai alzato un solo dito su nessuno e non credi di essere una picchiatrice, ma hai l’impressione che lo schifo che provi per lui in questo momento possa tranquillamente sfoggiare in violenza fisica. In più respira l’aria in piccoli sbuffi, perché i suoi polmoni sono ridotti malissimo da anni e anni di sigarette, venti/trenta sigarette al giorno per più di quarant’anni presentano il conto e lui lo sta pagando tutto, se poi ci aggiungi tutti gli altri problemi che non ha mai curato, non credi avresti la peggio.
Non che tu lo voglia scoprire, la bambina che è in te è appallottolata e piange per la paura.
“Marty ti prego, smettila.” Federica ti tocca un braccio e tu costringi il tuo corpo irrigidito a calmarsi. Ti giri a guardarla e il suo volto è triste, ma il suo sorriso è sincero, è chiaro le piaccia il fatto tu sia innamorata di tua nipote. “Calmati. Claudia ora è nella nostra cameretta.” E quindi non respirerà più il fumo delle sigarette che tuo padre continua a fumare in casa nonostante la sua presenza.
Doveva essere un pranzo in famiglia, ai quali partecipi più volentieri, perché non perdi occasione per vedere la tua pallina bionda gorgogliante, ma oggi, pezzo per pezzo, hai perso tutta la tua calma. Al momento non ricordi nemmeno quali siano state le cose che ti hanno infastidito, sai solo che quando tuo padre ha acceso una sigaretta in cucina, mentre tua sorella allattava Claudia, tu hai perso completamente il controllo e gliel’ha strappata di mano. Dando inizio al litigio, o in qualsiasi modo si possa chiamare lo sputare addosso insulti a qualcuno che non ha nemmeno la decenza di alzarsi dal tavolo per non fumare in faccia a una povera creatura di tre mesi.
“Vai fuori da casa mia.” Batte un pugno sul tavolo, nello stesso identico modo in cui faceva quando eri bambina, ed è un sollievo trovare la cosa ridicola e non spaventosa.
Sorridi e lo guardi “Come scusa?”
“Ho detto fuori da casa mia e non tornare più.”
La richiesta è così assurda che non ti muovi di un solo passo, incroci le braccia al petto e lo guardi con sfida. “Altrimenti?”
Fa per alzarsi e impiega molto tempo per farlo, dato che la sua gamba destra è completamente inutile a causa della sua anca.
“Papà smettila. Martina non va da nessuna parte.”
Il cretino guarda tua sorella come se lei lo avesse appena tradito, non dice nulla però, il codardo. Probabilmente passerà le prossime settimane a farle dispetti per fargliela pagare, ma può farle poco altro, se vuole vedere la nipote.
Tuo padre si risiede e si accende un’altra sigaretta, guardandoti con odio e tu perdi il poco autocontrollo che tua sorella ti ha dato toccandoti, ti scagli verso di lui e afferri il pacchetto. Tuo padre non è mai stato uno sveglio, ma il senso di protezione nei confronti delle sigarette lo spinge a muoversi più velocemente del solito e te lo porta via, non abbastanza velocemente però da impedirti di schiacciarlo e di rovinare i suoi adorati tesori.
“Tu, figlia di…”
Federica ti trascina fuori dalla stanza e chiude la porta. “È meglio se vai Marty.”
Ti senti tradita e ferita e sola, ma poi tua sorella maggiore ti abbraccia così forte da toglierti il fiato. “Grazie, Marty-Marty. Grazie. Ma non voglio tu stia così, non voglio ti faccia del male in nessuno modo.”
“Tsz.” È tutto quello che rispondi, perché quell’essere lì non può più farti del male, ma tua sorella ha colpito in pieno il nervo più scoperto di tutti, e quindi aggiungere altre parole significherebbe scoppiare a piangere e tu non vuoi scoppiare a piangere.
“Vai a casa e stai tranquilla, ci penso io.”
“Come vuoi.”
“Saluta tua nipote prima.” Ti prende per mano e ti porta fino alla vostra vecchia camera, dove Claudia sta fissando i poster alle pareti con aria ammirata, succhiando il ciuccio a tutta forza. Ti avvicini a lei e le metti una mano sul petto, lei ti sorride subito e ti scioglie il cuore.
“Dì grazie a zia Marty, Claudia. Dille grazie perché è un’ottima zia, anche se puzza.” Colpisci tua sorella con la mano aperta, ti chini sul letto e baci la tua meravigliosa nipote sulla fronte, dopo di che scappi da quella casa senza nemmeno salutare. Più tardi chiamerai tua madre, o magari aspetterai a domani, comunque non le terrai il broncio a lungo, perché è l’unico genitore tu abbia mai avuto e ha vissuto una vita di merda senza che tu ci metta del tuo.
Speravi che l’attimo di dolcezza con la tua pallina bionda gorgogliante ti calmasse, invece ti ha solamente fatta incazzare molto, molto di più, quindi torni a casa a piedi, con le mani infilate nelle tasche dei jeans e la musica sparata a palla nelle orecchie.
La tua passeggiata calmante si allunga al punto che Anna ti scrive per chiederti dove sei perché ti aspettando per l’appuntamento che avevi completamente dimenticato. Sei costretta a prendere un bus per non farla aspettare troppo, appena ti vede arrivare sotto casa si rende conto che qualcosa non va, scende velocemente dalla macchina, nella quale stava studiando, e ti prende tra le braccia.
“Amore che c’è? Cos’è successo?” Si, ogni tanto ti chiama amore, benché nessuna di voi due in questi mesi si sia mai sbilanciata o abbia mai espresso i propri sentimenti, e per te va più che bene così.
Non le hai mai detto come siano i tuoi rapporti in famiglia e credi sia arrivato il momento. Le stampi un bacio sulle labbra e la porti fino a casa tua, vuoi iniziare a cucinare qualcosa per cena, ma lei ti ordina di sederti e lasciare sia lei a farlo, obbedisci perché sei talmente sfinita che non puoi fare altrimenti, anche se la preparazione consiste solo nell’inserire due pizze surgelate nel forno.
“Il rapporto con mio padre non è idilliaco.”
Se gira a guardarti con entrambe le sopracciglia alzate. “Perché mi sembra l’eufemismo del secolo?”
“Cosa vuoi dire? Lo sapevi?” Ti senti sgradevolmente scoperta.
“Beh, non è che ci volesse un genio per capirlo, dato che non parli mai lui, nemmeno nei tuoi ricordi d’infanzia. Ho pensato anche tu avessi solo tua madre.” Si mette a sedere vicino a te e ti prende la mano, invitandoti con lo sguardo ad andare avanti.
“Oggi abbiamo avuto una discussione…” alzi gli occhi a guardare il lampadario “O meglio, io ho decisamente sbottato…” ti mette una mano sulla guancia e ti guida finché fissi i suoi luminosi occhi.
“Sono sicura che se ti scuserai con lui, ti perdonerà senza problemi.”
“Come?” Ti irrigidisci e lei ti prende una mano e la bacia.
“Puoi stare tranquilla, sono certa ti perdonerà.”
“Ma io non voglio che mi perdoni. Non mi importa.”
“Ora dici così solo perché sei arrabbiata, e lo ignorerò perché è una cosa terribile da dire. Sei molto fortunata ad averlo ancora nella tua vita e sono sicura tu lo sappia perfettamente.”
Non occorre che precisi il perché e tu vorresti alzarti e urlarle che non sei poi così fortunata, visto che l’omuncolo che ti ha messa al mondo non ti ha donato solo la vita, ma anche un’infanzia di abusi, vessazioni e terrore. Non è propriamente una cosa per la quale ringraziare, così come non lo è non aver la più pallida idea di cosa significhi avere una figura maschile di riferimento o di supporto. No, non è una cosa per la quale ritenersi fortunata e il fatto sia vivo oscilla tra il lasciarti indifferente e infastidita.
Ma non è la prima volta che fai questo discorso con qualcuno e sai che chi non ha mai vissuto una situazione del genere, ed è sempre vissuto nella cupola di vetro di due genitori amorevoli, non è in grado di capire tutto il dolore che ti porti dietro praticamente dalla culla.
Non è da tutti capirlo.
Fai l’unica cosa che sei in grado di fare in questo momento: ti piazzi un sorriso in faccia e speri che lei ci creda e che possiate cambiare discorso.
“Hai ragione, scusami.”
Ha l’espressione soddisfatta mentre ti bacia sulle labbra. “Inizio ad apparecchiare!”
Non glielo lasci fare da sola, apparecchiate insieme e mangiate, parlando di tutto tranne che di tuo padre, è abbastanza facile in realtà, è sufficiente spostare l’attenzione su Claudia e mostrare qualche sua dolcissima foto, e chiunque cade ai suoi piedi.
Chiedi ad Anna di rimanere a dormire da te, perché non sai cosa il tuo cervello potrebbe scatenare nel buio della tua stanza, lei accetta più che volentieri e non si aspetta assolutamente il tuo no quando tenta l’approccio sessuale.
“Mi dispiace ma sono troppo stanca.” È una bugia, ed è anche parecchio meschina, ma lei non lo può sapere quindi poggia il mento sul tuo petto e ti guarda con quello che temi essere uno sguardo innamorato.
“Scusami tu, scusami tu. A me va più che bene stare così. Non potrei chiedere di meglio.”
Le sorridi, questa volta sinceramente e le passi ripetutamente la mano sulla schiena.
“A essere sincera…” c’è un imbarazzo nella sua voce che ti manda una scarica gelida lungo la spina dorsale. Mordicchia le labbra e non finisce la frase, muovi il tuo corpo per scuoterla.
“Anna?”
Fissa uno sguardo così sincero e determinato su di te che fai quasi fatica a sostenerlo “Il mio progetto è quello di lasciare il lavoro e cercare di laurearmi nei prossimi sei mesi massimo, dopo di che, cercherei subito lavoro. Vorrei lavorare per una struttura privata e mi sono data un tempo limite per…” sta parlando molto velocemente e ha il respiro corto, puoi quasi sentire il suo cuore battere all’impazzata contro di te e hai paura che abbia una crisi di panico o una cosa del genere.
“Anna…ehi baby…calmati. Calmati. Va tutto bene…calmati.” La stringi più forte a te, lei chiude gli occhi e prende un respiro profondo.
“Si, ok scusa.”
“Non scusarti.”
“Io ho dei soldi da parte e posso permettermi per un certo periodo di cercare il lavoro dei miei sogni...”
“Mi sembra giusto.”
“Ma appena laureata, vorrei…”morde così tanto le labbra che hai paura inizino a sanguinare. “Vorrei io e te…vorrei ci cercassimo un appartamentino tutto per noi. Qui mi piace molto, ma non sarebbe carino buttare fuori Laura…sempre che le cose tra lei e culurgiono non vadano avanti e decidano di…” Culurgiono è ovviamente il nome che avete dato a Michele, il ragazzo al quale ha versato il piatto di culurgionis addosso e con il quale ora sta uscendo regolarmente.
“Anna…mi stai chiedendo di…”
Annuisce contro il tuo petto e un lieve rossore le colora il viso. “Vorrei che vivessimo insieme. Vorrei svegliarmi ogni giorno accanto a te…se per te…”
“Si, certo che si.” La sommergi di baci, inverti i vostri ruoli, premendola contro il materasso e li squittisce di felice, calciando l’aria.
“Voglio vivere con te, si.”
Scoppiate a ridere entrambe e poco dopo vi addormentante strette l’una all’altra, dimentiche di qualsiasi cosa esista oltre le quattro mura della tua stanza.

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Capitolo 48
*** ch47 - The ghost monument ***


ch.47 – The ghost monument.
 
Durante tutto il pranzo con le colleghe sei stata un fascio di nervi, ha spiaccicato a malapena due parole e hai ceduto a Giorgia praticamente tutto il tuo cibo, e Leila non era nemmeno con voi. Fortunatamente nessuno si è accorto di nulla, o comunque nessuna di loro ha commentato, lasciandoti bollire nel tuo brodo senza infierire ulteriormente. Quando andate finalmente verso il cimitero, è quasi un sollievo per te, perché magari finirà malissimo, ma almeno finirà.
Avete avuto fortuna, trovando parcheggio proprio in viale Bonaria, fate la discesa tra chiacchiere e risate, loro, non tue. Più ti avvicini al cimitero, più il tuo stomaco fa cose strane e hai paura di svuotarne lo scarso contenuto al lato della strada, ma poi svoltate l’angolo e la vedi e il tuo stomaco si calma, a differenza del tuo cuore. È davanti ai cancelli, poggiata sulla ringhiera del parco, fumando con calma una sigaretta e guardando qualcosa di indefinito davanti se, indossa gli occhiali da sole, un semplice maglione nero con le toppe grigie sui gomiti e dei jeans, i suoi capelli si muovono dolcemente al vento e tutto nella sua postura è leggermente triste.
Non puoi fare a meno di pensare sia bella.
Anche le tue colleghe si accorgono di lei e aumentano il passo senza smettere di fare casino, lei si accorge di loro, di voi, e malgrado gli occhiali da sole, hai la sensazione che il suo sguardo stia su di te per parecchio tempo, ovviamente non ne puoi essere sicura, la tua è solo una sensazione, sufficiente tuttavia a farti rigirare le interiora.
Fanno la fila per salutarla con due baci sulle guance e tu riconosci subito che la cosa più normale da fare è farlo a tua volta, anche se normale è un aggettivo che non è mai stato consono al vostro rapporto. Quando è il tuo turno sei di nuovo un casino nervoso, Leila fa mezzo sorriso triste e sussurra “Ciao Martina.” ed è sufficiente perché tu smetta di pensare e agisca, metti gli occhiali da sole sulla testa e posi una guancia sulla sua e ti rendi conto che non siete state così vicine da molto, molto tempo. Passi troppo vicino al suo viso per baciare anche l’altra guancia, o qualunque cosa tu abbia fatto prima, e hai un flash di lei durante l’orgasmo, chiudi gli occhi e ti blocchi, è lei a posare le labbra sulla tua guancia accarezzandoti un braccio.
Non vi siete toccate per molto tempo ed è molto breve e semplicissimo, mentre tu credevi sarebbe stato difficile.
Sussurri un “ciao” con gli occhi chiusi e il tuo corpo è un ciclone di sentimenti diversi, opposti, eppure dolorosamente simili.
“Ma che hai fatto alle labbra Lei?” Manuela porta l’attenzione di tutti, compresa la tua, alle labbra della vostra responsabile. Solo ora ti accorgi che sono arrossate e spaccate, esattamente come sarebbero le tue se Anna non ti mettesse il suo balsamo per labbra ogni volta che vi vedete, una schifezza aromatizzata alla ciliegia, alla quale devi adeguarti se non vuoi essere costretta a spiegarle perché rifiuti di usare il burro cacao. Fortunatamente non sa che nel tuo armadietto di lavoro ce ne sono addirittura due.
Leila si accarezza le labbra e puoi quasi sentire addosso che sta facendo di tutto per evitare di guardare te.
“Dimentico di comprare il burro cacao.”
“Stai davvero invecchiando, amica mia.” Manuela fa subito un’altra delle sue battute, che non senti, ma vedi le tue colleghe ridere quindi sorridi come se tu fossi in grado di capire qualcosa. Il problema è che non hai creduto nemmeno per uno stupido secondo che quella della sua ex amante sia una dimenticanza.
Per tua enorme fortuna il giro turistico inizia poco dopo, ma magari non dipende dalla fortuna, ma dal fatto che voi siate arrivate all’ultimo momento utile, comunque sia, ne sei felice.
È un pomeriggio molto piacevole, la temperatura è gradevolissima e la passeggiata è molto godibile, anche se la guida è un imbecille che sbaglia i verbi e spreca tempo a spiegare cose sceme come i riti di sepoltura del passato o la peste a Cagliari, il che potrebbe essere anche interessante, in altri luoghi e situazioni. Ma avete pagato per conoscere qualcosa in più sul cimitero e sulle persone che ci riposano, qualcosa sulle famiglie importanti magari o aneddoti storici sul periodo in cui è stato eretto, perfino spiegazioni dettagliate sulle varie parti in cui è diviso il cimitero e le loro creazioni ti avrebbe fatto piacere, sapere quando furono create e per ordine di chi. Sicuramente, sentire a ripetizione che fino agli inizi degli anni 2000 era usato dai satanisti o dai ragazzini per le prove di coraggio, non rientra nelle cose per le quali pagheresti.
Perdi interesse abbastanza facilmente e ti guardi attorno cercando di ricavare qualcosa di utile da questa giornata, wikipedia alla mano ovviamente, le tue colleghe ridono e scherzano, commentando più che altro gli altri avventori del gruppo, Leila si distacca da voi, studia le meravigliose statue del Sartorio e qualsiasi cosa abbia anche la più piccola valenza artistica. È chiaro sia nel suo mondo, ogni tanto si avvicina a voi e vi racconta qualche aneddoto su qualcosa che ha visto, o su come le piaccia la rappresentazione di qualche simbolo. Le tue colleghe non la ascoltano e quindi è un dialogo a due che ti fa intimamente piacere, perché anche se lei si avvicina solo quando tu sei vicina al gruppo, è chiaro parli più che altro con te.
Forse potrete costruire un qualche tipo di rapporto di amicizia o una cosa così, forse c’è speranza.
Salite nella parte alta del cimitero e il tuo cuore si stringe come sempre quando passate la zona dei bambini, cerchi di leggere più nomi possibile, per assicurarti che non vengano dimenticati, anche se hanno vissuto solo pochi giorni, più di un secolo prima che tu nascessi. Finita la zona dei bambini, è difficile non arrabbiarsi vista la quantità di erbacce e di zone non agibili che trovate, il cimitero di Bonaria è diventato monumentale da anni ormai, eppure il comune non gli dedica la minima attenzione, con la solita scusa che non ci siano soldi, ti fa andare in bestia. Hai pure sentito dall’odiosa guida che alcune delle cappelle sono in vendita ed è possibile acquistarle, il che è un modo tristissimo di racimolare soldi da parte del comune e non occuparsi della decadenza e del degrado di suddette cappelle, che in principio dovevano essere delle vere e proprie opere d’arte. Tecnicamente sono costruzioni private, ma non hanno eredi interessati alla manutenzione, o non li hanno proprio.
La modernità spesso ti fa davvero schifo.
La parte alta è piena di gatti, enormi e bianchissimi gabbiani e dalle cappelle più stravaganti e, a tuo parere, brutte. Nessuna batte quella in stile egiziano, ma la lotta è dura.
Presti pochissima attenzione al tutto però, anche ai cretini che si infilano nei portoncini dismessi e ai quali auguri di farsi molto, molto male, perché si tratta comunque di un cimitero e bisognerebbe mostrare un minimo di rispetto. Vai verso il parapetto e ti godi la vista mozzafiato che si può godere solo da questo colle, davanti a te c’è l’onnipresente mare azzurro, alla tua destra invece si scorge il quartiere castello, abbarbicato ostinatamente sul suo colle e brillante dei suoi colori tenui e dei suoi monumenti antichi.
Ami questa città e non smetterai mai di amarla.
Guardare il quartiere più antico di Cagliari ti sta portando alla mente i ricordi dolceamari del vostro fine settimana nel b&b, devi distogliere lo sguardo per non farti sopraffare e ti ritrovi a guardar Leila. È a pochi passi da te, che guarda esattamente quello che stai guardando tu, per un attimo ti chiedi se stiate ricordando le stesse cose, ma poi sospira e si gira verso di te, fa ancora una volta il mezzo sorriso triste e capisci che no, non sta pensando a te, sta pensando a un’altra cosa e non sai perché lo capisci, ma pensi sia una cosa più seria di voi due.
Il tour finisce dietro la basilica di Bonaria, il tipo racconta un altro paio di cose imprecise e grammaticalmente scorrette e poi vi lascia liberi di andare, a fare un aperitivo nel vostro caso, sempre nel solito locale in via Roma.
Le tue colleghe devono quasi supplicare Leila di venire con voi e alla fine l’hanno vinta, anche se lei non sembra convinta, tu le segui chiusa di nuovo in un nervoso silenzio, ma ancora una volta sono loro a tenere banco e non lo notano quasi.
Finisci la tua coca con ghiaccio e non tocchi cibo, di nuovo, fai del tuo meglio per non lasciarti travolgere dal tuo bisogno di solitudine, ma è una guerra persa e lo sai, quindi ti scusi e vai in bagno, dove potrai staccarti da loro il tanto necessario da riuscire ad affrontare il resto della vostra uscita, ormai agli sgoccioli.
Ne approfitti davvero per usare il bagno, dopo di che lavi le mani e il viso con copiosa acqua fresca.
“Spero che il tuo silenzio non dipenda dalla mia presenza.”
Passi ancora le mani sul viso e poi le scuoti sul lavandino, ti prendi il tuo tempo prima di affrontarla, perché il ricordo dell’ultima volta che siete state qui è troppo per te in questo momento.
Ti giri finalmente ad affrontarla e lei ti porge un fazzoletto per asciugare le mani, lo accetti volentieri e ti poggi alla struttura dei lavandini e scrolli le spalle.
“Se devo essere sincera, non so nemmeno io perché non mi vada di parlare.” Lei distoglie lo sguardo e tu decidi di ripagarla con la sua stessa moneta “Tu invece? Perché sei così silenziosa?”
“Non ero sicura di voler venire.”
Stringi le labbra, aspettando il resto della frase e aspettandoti il peggio.
“Ieri ho dovuto…”inizia a dondolare sul piede e tu hai un tuffo al cuore prima ancora di sentire il resto della frase. “Mayalina è morta.” Lo dice con una voce minuscola e indifesa e tu agisci senza nemmeno pensarci e la prendi tra le braccia. Sei più bassa di lei e il gesto non ha l’effetto che vorresti finché lei non poggia la fronte contro la tua spalla e si lascia consolare mestamente.
“Mi dispiace molto, mi dispiace moltissimo.”
“Era vecchia, sapevo che sarebbe andata così…lo sapevo…”
“Non puoi impedirti di amare un cane. Proprio no.” Anche tu sapevi che Quentin non era giovane, eppure gli hai dato il tuo cuore senza pentirtene mai.
“Aveva l’artrite, soffriva molto…non si alzava più in piedi. Io ho DOVUTO…”
Ti stacchi da lei in modo ti possa guardare in faccia. “Hai fatto la cosa giusta. Le hai regalato una morte dignitosa e dolce.” Non ha bisogno ti dica che è stata tutto il tempo con lei, lo sai. Tu non hai fatto in tempo a dare al tuo Quentin una morte dignitosa e priva di dolore: appena ha capito che eravate pronte a lasciarlo andare, si è lasciato morire, ha smesso di combattere ed è stata un’agonia lunga una notte.
Leila sorride ed è ancora quel sorriso triste e ora che sai a cosa è dovuto, ti frantuma l’anima.
“Se non ci fossi stata tu oggi, non sarei venuta. Probabilmente sono stata un’egoista ma…avevo bisogno di…” qualche lacrima scende dai suoi occhi “…di poter soffrire senza sentirmi dire che era solo un cane.” Le asciughi quella traccia umida senza pensarci e le sorridi. Probabilmente ha passato la giornata di ieri a consolare suo figlio per la perdita del loro cane e non si è concessa di piangere fino a ora.
Il fatto abbia avuto in un certo senso bisogno di te ti sta facendo esplodere il cuore di gioia, e qualche altra cosa che non vuoi assolutamente definire in questo momento.
La abbracci ancora “Era un cane stupendo.”
Sbuffa una risata contro la tua spalla e poggia il lato della testa contro la tua “Figa no. Era pigra e perennemente affamata e mi guardava sempre come se mi stesse giudicando.”
“Oh, ma allora non era solo una mia impressione.”
Ride una risata acquosa e tremolante e tu le poggi una mano sulla nuca e le accarezzi i capelli.
“Sono sicura tu le abbia donato una fine di vita piena d’amore.”
“Mai quanto quello che lei ha dato a me.” Poggia la fronte contro la tua, sospira e si stacca da te. “Sembra una brava ragazza.”
Non hai la più pallida di chi o cosa stia parlando. “Chi…?”
“La tua ragazza…quella del bar.”
“Anna! Si lei…” non ti piace sentirla parlare della tua ragazza, non ti piace nemmeno che lei sappia della sua esistenza. Abbassi la voce. “Lei È una brava ragazza.”
“Sembrate felici insieme.”
Non rispondi, non sapresti cosa dire. Leila ti concede il lusso di non rispondere, va allo specchio e fa una smorfia di disappunto, si lava il viso e le sfugge un singhiozzo. Vorresti andare da lei e prenderla ancora tra le braccia, ma intuisci che non sia affatto una buona idea e che qualunque cosa sia successa poco fa, è già finita.
Si allontana dallo specchio e si asciuga con gesti lenti, è di spalle e sta buttando la carta nel cestino quando ti dice:
“Grazie per essere venuta oggi. L’ho apprezzato molto.”
“Lavoriamo insieme, non avrebbe avuto senso…” agiti una mano davanti a te.
“Sei una ragazzina saggia, Pastorellini.”
Arrossisci come l’imbecille patata lessa che sei, lei sorride e i suoi occhi sorridono con lei questa volta, il che ti scalda il cuore.
“Grazie, Martina.”
Come sempre va via e ti lascia lì sola. Ti chiedi se il vostro rapporto non sia stato solamente questo, guardarla andare via, ancora e ancora.
Chiudi gli occhi e cerchi di calmarti, di affrontare ancora le tue colleghe e magari mangiare anche qualcosa. Ma sai perfettamente che non sarà questa la cosa peggiore, la cosa peggiore sarà quando dovrai tornare a casa, affrontare Anna e comportarti come se nulla fosse.
Perché è successo nulla, eppure tu non puoi ignorare il senso di colpa che sta soffocando il tuo intero essere.
 

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Capitolo 49
*** ch48 - Before the flood ***


ch.48 – Before the flood.
 
Le novità in negozio sono state tante da quando è Genova a gestirlo, da quando è Leila a consigliare loro le migliorie da fare. La cosa che più ti piace è che il cash & carry è aumentato di quasi il triplo, tutto il piano superiore è passato dall’essere un inutile show room ad essere un minuscolo mercato, ovviamente non regge il paragone con una vera zona mercato Ikea, ma è stato sufficiente per instillare il buon umore nei clienti e nel management, visto che ha aggiunto uno zero al vostro fatturato. La cosa che ti è piaciuta meno, è che alcuni contratti non siano stati rinnovati a causa dei tagli alle spese.
Per te personalmente il cambiamento è stato che ora ti dividi tra bar e cassa e la cosa non ti riempie un gran che di gioia, perché il bar è il tuo bambino e sapere di poterlo accudire così poco ti fa venire l’ansia, per non parlare del fatto che la cassa all’Ikea è un’esperienza senza pari.
Hai sempre fatto la cassiera, è il mestiere con il quale ti sei affacciata nel mondo del lavoro e all’esselunga di Firenze hai iniziato in cassa, per poi passare in panetteria, insomma battere scontrini non ti spaventa. Non sai se siano i cagliaritani, non sai se sia perché la gente pensa che l’Ikea sia diversa dagli altri negozi, comunque hai fatto solo due turni e ti è già capitato di vedere le cose più assurde: persone che facevano gli ordini e andavano via senza pagare, aspettandosi che la roba arrivasse comunque loro a casa; persone che ci hanno tenuto a insegnarti il funzionamento del conctatless e perfino qualcuno che ha diligentemente fatto la fila per arrivare da te e chiederti se foste aperti.
Il delirio più totale.
Fortuna che la cassa è sistemata al piano inferiore, accanto al servizio clienti, quindi non sei mai sola, il che è una piacevole novità alla solitudine del bar, l’altra fortuna, sempre che così si possa definire, è che sei piazzata praticamente davanti all’ingresso dipendenti e non solo vedi chi arriva e chi va via, vedi anche chi fa la pausa sigaretta, o chi fuma prima di entrare al lavoro.
È così che hai facilmente capito che il tuo momento nel bagno del 75 con Leila è stato solo un momento e nulla di più. È difficile non capirlo quando lei ti passa davanti tre o quattro volte al giorno senza degnarti nemmeno di uno sguardo, o di un saluto, è molto difficile.
Oggi sei in turno da quasi un’ora e lei è appena arrivata, si ferma fuori dall’ingresso dipendenti e si accende una sigaretta con tutta calma, e tu con tutta calma la fissi, senza porti il problema di essere vista attraverso le vetrate scure, che a quest’ora del mattino e con questa luce rendono l’interno del negozio perfettamente visibile. Non ti importa perché il suo cane è morto da dieci giorni e tu vorresti sapere come sta, se per lei il silenzio sia insopportabile come lo è stato per te, se ha bisogno di qualcosa, se puoi fare qualcosa. Ma ti ignora e non puoi chiederglielo, quindi ti limiti a studiarla appena puoi.
Spegne la sigaretta sfregandola contro la suola della scarpa, cerca il badge e lo usa per aprire la porta, vi passa davanti e non vi degna di uno sguardo, nemmeno quando Veronica cinguetta il suo “Buongiorno Leila.”, la vostra responsabile si limita a continuare a camminare, nascosta dagli occhiali da sole, a buttare il mozzicone spento in uno dei cestini e dirigersi verso l’ascensore.
“Wow…scortese da parte sua.”
Capisci ci sia rimasta male, tu ci hai messo un pochino a farci il callo e ancora non è semplice essere ignorata da lei, tuttavia sai che in questi giorni c’è qualcosa che la distrae, quindi ti senti di difenderla.
“Non credo sia una questione di scortesia, credo che questo non sia un bel momento per lei.”
“Sai qualcosa che non so?”
“No, nulla.” Se Leila non ha detto a qualcuno del suo dolore, non sta sicuramente a te farlo.
Veronica viene verso di te, ti abbraccia e ti stampa un bacio sulla fronte. “Come sei dolce Marty, cerchi sempre il buono in tutto e tutti.”
Arrossisci e quando si allontana da te la guardi incredula. “Come scusa?” usi il banco della cassa per seguirla senza alzarti sedia sulla quale sei seduta, ringraziando le sue meravigliose ruote.
“Sei davvero una persona meravigliosa. È un peccato tu sia già fidanzata, altrimenti potrei tantissimo provarci con te.”
Non è vero, è un’esagerazione che le piace fare di tanto in tanto e puoi solo roteare gli occhi e tornare al tuo posto, per riprendere a controllare al pc cosa arriverà venerdì al bar e cercare di capire cosa devi ordinare per la settimana dopo, cosa non semplice visto che non entri nella cella -20 da quattro giorni.
“Tu invece cos’hai?”
“Mmmh?” Non alzi gli occhi dalla lista e lei ti abbraccia da dietro e poggia il mento sulla tua spalla.
“Tu cos’hai? Mi sembri spenta.”
Tu sei spenta, perché continui a provare e riprovare a disegnare Flying dragons ma non funziona più, le parole e le immagini ti sfuggono e tu stai diventando un concentrato di frustrazione. Non importa in quante altre cose tu ti possa impegnare, o possa creare, disegnare è la tua linfa vitale, ciò che ti permette di sfogare qualsiasi tuo sentimento e non farlo marcire dentro di te.
Tutto è peggiorato da quando non riesci più a disegnare, è come se tu fossi rotta e non sai cosa ti possa riparare, o come.
Se c’è una cosa che Anna ti ha insegnato, è che puoi condividere certe cose con chi ti circonda, che non occorre essere sempre tanto chiusa e che ogni tanto poi fidarti. Vuoi provare a metterlo in pratica con la persona più innocua e innocente che conosci.
“Sto disegnando un fumetto.”
Veronica ti spinge via con tanta forza che sei costretta ad aggrapparti alla cassa per non finire due metri più in là. “Tu stai cosa? Stai disegnare?”
Ridi: “Lo spero proprio, altrimenti sai che figuraccia.”
Si avvicina a te e ti guarda con occhi pieni di ammirazione, il che ti sembra molto strano perché lei è riuscita a laurearsi in psicologia con i turni assurdi che fa al servizio clienti, e quella è qualcosa per cui provare ammirazione, non un fumetto. “È una cosa stupenda.”
“Ma se non l’hai nemmeno let…” ti poggia un dito sulle labbra, il che ti zittisce nell’immediato perché è davvero un contatto fastidiosamente intimo.
“Smettila, è una cosa stupenda. Lo voglio proprio leggere, me lo devi far leggere.” Piega la testa a un lato, come se qualcosa non le tornasse. “Perché sei spenta, scusa? Non vedo il nesso.”
“Perché ultimamente non riesco più a farlo. Qualcosa si è come….spento. Disconnesso.” Vorresti aggiungere che non senti più le voci dei tuoi personaggi in testa, ma hai paura che ti farebbe apparire come una vera e propria pazza. Speri che quello che ti è uscito dalle labbra non suoni così tanto male.
“Oh, capisco.” Torna alla sua postazione e riprende a scrivere email o a chiudere processi di cui ignori l’esistenza. “Forse dovresti semplicemente smettere di provare…”
Questa era una cosa che non ti aspettavi, di solito ti dicono di continuare a provare, ancora e ancora, finché la storia non uscirà dalle tenebre della tua mente e arriverà da te. Il consiglio di Veronica è esattamente all’opposto.
“Beh si, magari è solo un momento in cui hai bisogno di distaccarti da tutto. Magari la cosa migliore è metterlo da parte e occuparti di altro, tipo cucinare o fotografare.”
“Non servirebbe a nulla…io devo disegnare. È una cosa più forte di me.” In più sei davvero terribile facendo foto e pigra quando si tratta di cucinare, a meno che Anna non sia al tuo fianco, e anche lì, ha molto a che fare con il cibo, decisamente meno con il cuocerlo.
“Allora disegna un altro fumetto.”
Come se tu potessi concepire altro.
“Oppure cambia tipologia di disegno, potresti…non so…fare panorami, o ritratti, o potresti dipingere.”
I ritratti sono assolutamente fuori discussione, non hai intenzione di ritrarre più nessuno finché avrai vita, ma la sola idea del dipingere ti ha fatto raddrizzare i capelli sulla nuca, il che è un buono, buonissimo segno.
Finisci al lavoro alle 13:30, potresti tornare a casa e mangiare qualcosa e poi andare da Val.dy e prendere il necessario per iniziare. Ti stai chiedendo se facciano orario continuato, quando Simone scende le scale ed è stranamente vestito di giallo, come ogni minion che si rispetti, e come non vestiva da quando le cose sono cambiate in negozio: lui è passato alla logistica, tu hai ereditato i suoi turni in cassa.
“Guarda chi è tornato in giallo.” Veronica manifesta la tua stessa meraviglia.
“Avete visto che schianto sono?” Il vostro collega fa una piroletta per voi, poi ti prende tra le braccia e ti chiede come stai. Non fate in tempo a scambiare nemmeno due chiacchiere che lei vi interrompe ancora.
“Come mai sei in giallo Simo? Non dovevi fare riempimento oggi?”
“Si mi hanno chiesto di…”
“Martina.” Alex è apparso praticamente dal nulla e per lui è molto strano essere tanto silenzioso, o silenzioso in generale. Sei pronta a fargli una battuta per prenderlo in giro, ma il suo sguardo serio ti fa morire il sorriso sul volto, lo guardi attentamente e poi guardi Leila accanto a lui, che ha la stessa identica espressione.
Regola dei quattro occhi, nulla di buono.
“Si, Alex?” Ti trema il cuore e ripensi attentamente a tutti i giorni passati, le settimane, i mesi addirittura, cercando disperatamente di capire cosa tu possa aver fatto di male per meritare che due manager venissero a parlarti.
“Appena Simone prende il cassetto, staccati. Dovremmo parlarti.”
Guardi ancora Leila nella speranza ti riesca più semplice leggere qualcosa sul suo volto, ma sei un’illusa perché tutto quello che traspare è tristezza, e il fatto non si stia dondolando su una gamba sembra una cosa molto, molto brutta al momento.
Il tuo collega va verso l’ufficio cassa a prendere il suo cassetto e tu scendi dalla sedia allarmata. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Il tuo responsabile scuote la testa. “No, nulla del genere. Solo non è il caso di parlarne qui. Veronica per cortesia aiuta Martina a staccare e versare il cassetto.”
La tua collega è pronta a obbedire ma tu ti metti tra lei e la cassa per impedirle di far qualsiasi cosa, anche perché sei perfettamente in grado di eseguire queste operazioni da sola, le esegui tutti i giorni e non ti sei rincoglionita tutto d’un tratto. Non che tu sappia, almeno.
A meno che tu non abbia fatto qualche errore in cassa, qualcosa di grave, e ora non vogliono tu tocchi più nulla da sola.
“Vorrei sapere subito cosa è successo.”
“Non qui, Martina.”
“Controlla il tuo telefono.” La voce di Leila è come una carezza inaspettata, ma dura solo il tempo di capire davvero cosa stia suggerendo. Recuperi il telefono dalla tasca dei pantaloni e il panico si impadronisce del tuo corpo quando ci trovi 20 chiamate senza risposta da parte di Federica. Maledici la stupida abitudine di disattivare la vibrazione mentre dormi, soprattutto perché la mattina dimentichi puntualmente di riattivarla, di solito è solo un fastidio, ora è una tragedia.
“È successo qualcosa?” Senti il panico farsi strada nel tuo corpo. “Mia madre sta bene? Claudia sta bene? Federica sta bene?” È stupido da chiedere e lo sai, perché se è tua sorella a telefonarti non può essere lei a stare male, tuttavia se è arrivata a chiamare direttamente in negozio, deve essere qualcosa di grave.
“Veronica per favore, aiutala a versare il cassetto.” Lo vorresti strozzare in questo momento, lo potresti strozzare tranquillamente con le tue mani.
“Si, certo.”
Questa volta non ti muovi e lasci lei esegua le operazioni al tuo posto.
“Cosa sta succedendo? Cosa è successo?” Il tuo cervello ti ha completamente abbandonato e non riesci più a ragionare lucidamente, hai solo molta paura.
“Devi mettere il tuo pin, Marty.”
“1984.” È contro le regole comunicarlo al collega, ma nessuno dice mezza parola e tu hai la conferma sia qualcosa di davvero brutto. “Ditemi che non è Claudia, vi prego ditemi che non è Claudia.” Scoppi a piangere all’idea che sia successo qualcosa alla tua adorata pallina bionda.
Una mano ti tocca un braccio e la voce di Leila è l’unica che ti arriva alle orecchie.
“È tuo padre, Martina.”
Quattro parole, e tutto smette di avere senso.

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Capitolo 50
*** ch49 - Father's day ***


ch.49 – Father’s day.
 
Le persone attorno a te continuano a cambiare, esattamente come il giorno in cui aspettavi nascesse Claudia, ma se quello era il paradiso, questo ha tutta l’aria di essere l’inferno.
Sei in pronto soccorso da molto tempo, tu e tua madre avete smesso di provare a parlare diverse ore fa ormai, perché non c’è molto da dire in una situazione di questo tipo.
Quello che è successo stamattina al lavoro è un ricordo lontano e confuso, come se fosse accaduto anni fa e non ore fa. Ricordi chiaramente solo che è stato Alex a portarti al pronto soccorso del Santissima Trinità e che è stata tua madre a dirti che tuo padre stava scendendo le scale di casa vostra ed è caduto, non ti sei particolarmente stupita sia successo, con la sua anca e la sua gamba sbilenca, è strano non sia successo molto tempo fa.
Ovviamente stava uscendo per andare al bar.
Tu e tua madre siete qui ad aspettare che vi dicano qualcosa da allora, ti sei spostata dal suo fianco solo per andare a procurarle qualcosa da bere, di mangiare non se n’è parlato per nessuna di voi due, il massimo che sei riuscita a farle ingerire è quello schifosissimo tè delle macchinette. Tua sorella non è con voi per ovvie ragioni, nessuna di voi due le permetterebbe mai di lasciare Claudia da sola per così tanto tempo, ancor meno le permettereste di rischiare di prendere chissà quale malattia nel pronto soccorso, siete state entrambe irremovibili: è una madre adesso e deve concentrarsi solo su quello.
Tua madre sta per iniziare un nuovo lavoro a uncinetto, probabilmente una scarpina per Claudia, perché è completamente incapace di stare senza far nulla per troppo tempo, a volte ti sembra tranquilla, a volte molto agitata, ma hai paura di chiederglielo e di svegliare in un certo senso il can che dorme.
Un’infermiera esce da quella porta che sembra inghiottire la gente per non risputarla mai più, e chiede chi di voi è la signora Pastorelli, tua madre ripone con tutta calma uncinetto e cotone e li infila in borsa, si alza e va verso di lei. Sei indecisa fino all’ultimo se seguirla o no, alla fine decidi che è il tuo dovere di figlia starle vicina e ti piazzi dietro di lei mentre la donna le parla.
Vivo per miracolo, complicazioni, fratture multiple, emorragia interna, trauma cranico e arresto cardiaco, sono le parole che ti si appicciano al cervello. Vi indicano in che reparto andare e tu segui con la testa bassa tua madre, continuando a ripeterle nella tua mente.
“Martina?” Ti accarezza il volto e tu affronti i suoi occhi acquosi. “Amore vai a casa, domani lavori. Posso stare da sola.”
“No Ma’ non voglio lasciarti da sola, sei stanca anche tu…”
Scuote la testa “È il mio dovere di moglie stare qui. L’ho sposato io. Ma tu sei rimasta fin troppo, vai a casa e riposati.”
La sua scelta di parole ti colpisce molto e vorresti davvero essere una persona migliore, essere forte, ma non lo sei. Non lo sei e vuoi solo andare via da lì, allontanarti da lui il più possibile.
“Se hai bisogno di qualunque cosa, chiamami e domani mattina sono qui il prima possibile.”
“No, riposati. Devi lavorare.” Al momento non hai la più pallida idea dei tuoi turni, potresti dover stare in cassa, quindi lavorare la mattina, così come potresti dover chiudere il bar la sera. Per quel che ne sai, potresti dover anche ritinteggiare tutta la scatola blu.
“Se ho bisogno di qualcosa sentirò tua sorella, o una delle tue zie. Stai tranquilla.”
“Mi chiamerai comunque?” La tua voce è piagnucolante e supplichevole, l’esatto opposto di come dovrebbe essere quella di una persona adulta.
“Certo che chiamo la mia caganiu.” La sua mano è ancora sulla tua guancia, chiudi gli occhi e ti abbassi in modo ti dia un bacio sulla fronte. “Riposati amore di mamma e grazie.”
“Si, mamma.” Esci dall’ospedale e ti vergogni di sentirti sollevata. Guardi il cielo stellato e hai un brivido di freddo, poi un singhiozzo e inizi a tremare così forte che non riesci più a camminare, ti accucci contro il muro esterno e nascondi il volto contro le ginocchia. Non sai se sia una crisi di panico o una crisi d’ansia, non lo sai, sai solo che non puoi fare un solo passo in più da sola.
Sai solo di aver bisogno che qualcuno venga in tuo aiuto.
Tremi così tanto che afferrare il telefono è una vera e propria impresa, in qualche modo riesci a far partire la chiamata e aspetti poco più di due squilli prima che lei risponda.
“Martina.” Ha la voce molto più bassa del normale e ti rendi conto di non aver nemmeno guardato l’ora prima di chiamare, e Leila è una madre single che ha lavorato come minimo dieci ore, anche oggi, e tu sei solo una cretina che non sa affrontare le cose da sola.
“Scusami ti ho svegliata…scusami…”
“Come stai?”
Ti sfugge un singhiozzo per la dolcezza nella sua voce. “Io ho…io…non…io…”
“Sei ancora in ospedale?”
“Si.”
“Arrivo.” Chiude e tu rimani a guardare lo schermo nero del telefono per diversi minuti, chiedendoti se hai davvero capito quello che credi. Nello stato in cui sei, potresti esserti inventata tutto e non aver mai nemmeno fatto la chiamata.
Sei certa di averla fatta solo quando l’audi nera si ferma davanti a te e lo sportello del passeggiero si apre. Non riesci ad alzarti subito, stai provando sentimenti troppo forti nel vedere che è veramente accorsa da te, indossando una vecchia felpa con il cappuccio e quelli che hanno tutta l’aria di essere i pantaloni di un pigiama. Ti tende una mano ed è talmente bella, in qualsiasi senso immaginabile, che ti alzi e sali in macchina.
Per tutto il tragitto nessuna di voi due dice nulla, tu poggi la testa al finestrino e guardi la città scorrere veloce sotto i tuoi occhi, lei guida nel suo modo sportivo e aggressivo di sempre e sembra persa nei suoi pensieri, ma sai di avere la sua totale attenzione, che è consapevole di ogni tuo più piccolo movimento ed è come stare dentro un bozzolo, morbido e caldo.
La macchina si ferma e tu ti guardi attorno, capendo di non essere nemmeno più a Cagliari, ma di essere sotto casa sua. Ti giri a guardarla per chiederle perché ti abbia portato lì, ma lei è già scesa e credi sia più saggio imitarla e godere di questo stato di grazia per il maggior tempo possibile.
Va spedita fino al suo appartamento, si ferma davanti alla porta d’ingresso e solo allora parla. “Fabry è addormentato e domani ha scuola.” Non aggiunge altro, ma annuisci stringendo le labbra perché capisci cosa ti stia implicitamente chiedendo.
Entrate e la segui in camera sua, sfila le scarpe da ginnastica e infila le ciabatte, va all’armadio, prende due asciugamani e poi va spedita verso il bagno e lì, eviti ovviamente di seguirla. Ti guarda con rimprovero e ti indica l’interno della stanza, nel punto dove sai trovarsi la doccia.
“Dopo tutte quelle ore in ospedale, direi che sia il caso di fare una doccia.”
Sono parole più che sufficienti per farti sentire talmente tanto sporca che ti butteresti nel fuoco pur di pulirti. Devi aver cambiato espressione perché sorride soddisfatta.
“Tra la roba mia e di Fabry dovrei poter trovare qualcosa che ti stia. Dovrei avere anche biancheria che non ho mai utilizzato.” Come se per te potesse essere un problema usare delle sue mutande.
“Grazie.” Non l’hai mai inteso così profondamente come ora in tutta la tua vita.
Ti sorride e ti lascia sola, il che non ti fa particolarmente piacere, stare da sola era esattamente quello che volevi evitare. Ma capisci che dovesse farlo, quindi entri in doccia e aumenti il calore finché il tuo corpo non chiede pietà, ti lasci scivolare l’acqua addosso e cerchi di lavare via non solo lo sporco, ma anche tutti i pensieri.
Quando finisci, hai il corpo arrossato e ti senti molto più leggera, trovi ad attenderti una grossa t-shirt, dei pantaloni di un pigiama e la biancheria pulita che ti erano stati promessi, indossi tutto e ne aspiri il profumo con gratitudine, anche se temi di stare indossando indumenti di Fabrizio, il profumo dell’ammorbidente è quello che spesso aveva addosso lei, ed è più che sufficiente per riportarti nel bozzolo.
Asciughi i capelli con l’asciugamano il più che puoi e torni nella camera padronale, dove ricevi un regalo inaspettato: Leila è seduta nel suo letto, indossa gli occhiali da vista e legge il tuo libro.
È talmente stanca e concentrata da sembrare indifesa, in più non capita spesso indossi gli occhiali da vista e ti dispiace perché pensi le stiano assurdamente bene. O forse è solo che sei troppo stanca e confusa per riuscire a difenderti dai tuoi stessi sentimenti e non hai mai smesso di pensare lei sia bellissima, qualsiasi cosa indossi.
Si accorge della tua presenza e poggia il libro sulle gambe, fissandoti intensamente senza aprire bocca.
“Non vorrei…possochiamareuntaxi.”
Aggrotta le sopracciglia “Perché mai dovresti chiamare un taxi? Non ti ho portata qui solo perché tu facessi la doccia, che sono certa tu abbia anche a casa tua. Ti ho portata qui perché volevo tu rimanessi.”
Ti manca il fiato al sentirglielo dire, non speravi potesse essere quello il motivo.
“Io allora…vadoadormireneldivano.” Sei ancora sulla porta, pronta a occupare anche la vecchia cuccia di Mayalina pur di rimanerle vicino, ma Leila sbuffa, poggia il libro sul comodino e viene verso di te, ti tira verso la stanza e richiude la porta alle tue spalle.
“Perché figa dovresti dormire sul divano, con tutto lo spazio che ho nel letto? Siamo due persone adulte, possiamo condividere un letto.” Si ferma, ti guarda e sorride, mentre i suoi occhi si accendono di malizia “Io almeno sono una persona adulta, tu non saprei Pastorellinetti, visto che quello è un pigiama che Fabry usava quando era alle medie.”
Scoppi a ridere, e poi scoppi a piangere.
Leila ti prende tra le braccia e ti stringe forte, tu continui a ripetere “volevo morisse” ancora e ancora, ma non sei certa di riuscire a pronunciarlo davvero tra tutti quei singhiozzi e probabilmente è un bene.
Ti tiene tra le braccia finché non ti calmi, e non lo credevi possibile, ma alla fine il tuo pianto scema fino a lasciarti completamente svuotata e priva di forze. Ora tutto quello che vuoi è dormire, nient’altro.
Leila ti accompagna fino alla tua parte di letto, scosta le coperte e ti aiuta a sdraiarti, prima di farlo però, ti rendi conto di avere ancora i capelli bagnati.
“Ho i capelli bagnati.” La voce è così debole da non sembrare nemmeno la tua. La padrona di casa ti guarda con curiosità.
“Vuoi che ti dica che non puoi farlo perché ti ammalerai o prenderai freddo?” Sbuffa una risata “Non lo faccio nemmeno con mio figlio!” Ti spinge dolcemente verso il cuscino, come se la questione fosse chiusa, ma tu opponi ancora resistenza.
“Ti rovinerò il cuscino, si ammuffirà.”
Ha un lampo malizioso negli occhi. “Peccato che non lavoriamo in un negozio che li vende, non è vero Pastorellini?” Arrossisci e lei rotea gli occhi “Se me lo rovinerai, verrò a cercarti e ti costringerò a ricomprarlo. Va bene? Ora mettiti giù e dormi.”
Obbedisci senza ribattere più nulla, lei ti sistema le coperte, fa il giro del letto e riprende a leggere. Devi richiamare a te tutte le poche forze rimaste per non girarti a fissarla, ma sarebbe come tradire la sua fiducia, il suo essere gentile con te in un momento difficile.
Lei legge e tu cerchi di dormire, ma i singhiozzi scuotono ancora il tuo corpo con tale forza che ti è difficile rilassarti, o forse sei semplicemente troppo esausta per dormire.
Passa un tempo che non sapresti quantificare e la padrona di casa si muove e poi spegne la luce, si mette giù ed è la situazione più strana nella quale voi due vi siate mai trovate, e la sfida non è certo semplice.
“Martina?”
La sua voce nel buio è piacevolmente familiare, speri che ti dica qualcosa di assurdo come di non sganciare puzze sotto le coperte o di non russare o magari che ti ricordi che non si fanno coccoline nel letto con lei, anche se quello sarebbe decisamente fuori luogo in una serata in cui non avete fatto sesso, o in un periodo in cui a malapena vi parlate.
“Si, Leila?”
Nel silenzio della sua stanza la senti chiaramente sospirare.
“Lo so che non dovrei dirlo…” fa una pausa, nella quale immagini le cose peggiori che il tuo cervello possa immaginare. “…ma avrei voluto morisse anche io.”
Ti giri verso di lei e le lacrime hanno ripreso a cadere copiosamente dal tuo viso, ma non è ancora nulla rispetto a quello che succede quando senti che si avvicina a te e ti prende tra le braccia.
Poggi la testa sul suo petto e piangi, questa volta però non dura molto perché crolli addormentata poco dopo, cullata dalla meravigliosa musica che è il battito del suo cuore.
 

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Capitolo 51
*** ch50 -It takes you away ***


ch.50 – It takes you away.
 
Non la definiresti certo la notte più semplice o piacevole della tua vita: terribili incubi ti hanno fatta svegliare di soprassalto, spesso in lacrime. Ma tutte le volte le braccia di Leila si stringevano di più a sé e tu ti rilassavi al punto da poter riprendere a dormire.
Non la notte più semplice o piacevole, ma non troveresti nemmeno un motivo per lamentartene.
“Ma’ mi dai i soldi per la merenda….oh merda, sei a letto con qualcuno.” 
No, non definiresti nemmeno questo il risveglio meno traumatico della tua vita.
“Figa, puoi fare più casino, per favore?” La tua compagna di letto sembra non provare nemmeno un briciolo del terrore che stai provando tu. Sti stira con tutta calma, rimanendo praticamente appicciata al tuo corpo e c’è suo figlio nella stanza e tu stai cercando disperatamente di impedirti di avere una qualsiasi reazione a questa vicinanza, a questi movimenti, a questi meravigliosi suoni.
“C’è qualcuno nel tuo letto.” Senti la voce del ragazzino talmente vicina che hai paura di trovartelo davanti, se apri gli occhi. Non che tu abbia la minima intenzione di aprire gli occhi, ti stai fingendo morta, hai smesso anche di respirare.
“E sarebbe carino non svegliarla.” Si allontana da te e la senti muoversi dall’altra parte del letto.
“Gasp!” Fabrizio ha decisamente preso il senso dell’umorismo da sua madre. “È una donna!!! Mamma! Sei passata alle donne ora?”
“Fabrizzino caro, vuoi che venda la tua adorata Play?” La sua voce si allontana da te, e non ci senti il minimo senso di stress o di imbarazzo. Forse perché TU stai provando stress, ansia e imbarazzo per tutti i presenti nella stanza, o nel quartiere.
“Umh, ancora cattivissimo umore…non ci hai scop….” c’è il click della porta e poi senti che continuano a parlare, ma non capisci più cosa stiano dicendo. Se le gambe ti reggessero, andresti a sentire che cose terribili stanno uscendo dalle labbra di quei due, chiedere alle tue gambe di reggerti in questo momento di panico è pura follia però.
Ti chiedi come faccia a Leila a rimanere così tranquilla sapendo che suo figlio vi ha visto condividere un letto. Ok stanotte non avete scop…avuto un rapporto sessuale, non lo avete da mesi, ma voi avete scop…avete avuto una relazione sessuale e non era assolutamente nei tuoi piani che un innocente adolescente lo scoprisse.
Non hai il tempo di porti altre domande però, perché la porta si apre di nuovo.
“Niente bacio del: passa una meravigliosa giornata amorino di mamma?”
“Non sei troppo grande per queste cose?” Sorridi, perché ha la voce divertita e contemporaneamente piena d’amore per il suo bambino. Riesci quasi a immaginare la sua espressione maliziosa.
“Non sono mai troppo grande per la mia mammina.”
No, la mela non è affatto caduta lontana dall’albero.
“Lecchino.” Senti lo schiocco di un bacio “Vedi di seguire ogni tanto.”
“Buona giornata anche a te Ma’. Salutami la tua amante segreta.”
Ti stupisci profondamente che le coperte non stiano prendendo fuoco, data l’intensità con la quale stai arrossendo. Cerchi di fingerti ancora morta, anche quando la porta si richiude e il materasso cede sotto il peso della sua proprietaria.
“Lo sai Pastorellinetti, fai davvero schifo a fingere di dormire. Anche perché, sei decisamente più rumorosa quando dormi e…figa…questo letto sta prendendo fuoco.”
Ti giri a guardarla con rimprovero, sperando di trovare una risposta all’altezza della sua presa in giro, ma i suoi occhi sono talmente pieni d’affetto e il suo volto è così rassicurante che non esce un solo fiato dalle tue labbra.
“Mi dispiace quello scemo ti abbia svegliata.”
“Che ore sono?”
“Le sette e venti.” Scivola fino ad avvicinarsi a te e tu ti giri automaticamente, in modo possa riprendere ad abbracciarti da dietro. Quasi hai un infarto quando lo fa veramente.
“Non so se devo andare al lavoro o no.”
“Non devi, Alex ieri ti ha assegnato due giorni di permesso per problemi familiari.” Non sei mai stata tanto grata a quell’uomo in tutta la tua vita.
“Tu, invece?”
“Ho ore di straordinario da recuperare. Ora puoi stare zitta? Vorrei dormire almeno un altro paio d’ore.”
Non hai mai rifiutato la possibilità di dormire di più e non sarà oggi la prima volta. Ti rilassi tra le sue braccia, chiudi gli occhi e ti lasci scivolare in un meraviglioso sonno senza sogni.
Quanto ti risvegli, sei tristemente sola. Questa volta decidi sia il caso di alzarti, soprattutto perché non puoi imporle la tua presenza per tutto il giorno. Ti alzi dal letto e ti odi per averlo fatto, perché la tua testa sta martellando come se dentro ci fosse un rave party, ti fanno male perfino gli occhi: piangere è un vero schifo.
Studi la stanza in cui hai passato la notte per la seconda volta, vorresti poter dire che è molto Leila, ma non lo è affatto, è minimale e semplice, ma soprattutto è priva dei libri che lei adora. Non ti puoi definire del tutto delusa però, perché poggiata sulla cassettiera c’è una vecchia foto della padrona di casa con in braccio un Fabrizio neonato e lei sembra così giovane, indifesa e felice che ti innamori di lei da capo. Probabilmente non l’avresti nemmeno notata al tempo, o magari lei non avrebbe visto te, comunque rimane la curiosità di sapere che persona fosse e come le vostre vite siano arrivate a incrociarsi.
Non vuoi tradire di più la sua fiducia, quindi esci dalla stanza e la vai a cercare, la trovi intenta a fumare al tavolo della sala da pranzo, tavolo apparecchiato per la colazione, con due tazze dalle quali spunta una bustina di tè e un pacco di gifflar sistemato su un piattino.
Non sai se sei più commossa per il fatto si sia ricordata che ti piace il tè, o per il fatto che voglia condividere le sue adorate gifflar con te.
“Buongiorno.” La tua voce è ancora leggermente roca, ma speri lei non te lo faccia notare.
“Buon pomeriggio direi.” Spegne la sigaretta che ha a malapena fumato e sorride maliziosa.
“Che ore sono?”
“Credo sia passato mezzogiorno, o giù di lì.”
Fai una smorfia perché non credevi fosse così tardi. Hai tutta l’intenzione di scusarti con lei per averla chiamata, per averle rubato il letto, per averle fatto perdere un’intera mattina, per aver pianto come un’idiota per chissà quanto tempo e per esserti fatta trovare a letto con lei da suo figlio. Ma prima hai assolutamente bisogno del bagno per renderti presentabile e lievemente più credibile.
“Posso usare il bagno?”
Alza entrambe le sopracciglia, piega la testa e ti guarda con rimprovero. Non ha bisogno di aggiungere una sola sillaba, alzi le mani in segno di resa “Scusa, scusa. Io…”indichi verso il bagno con il pollice “Torno subito.”
Leila non ti ha preparato solo la colazione, ma anche la roba per il bagno, c’è di tutto, addirittura uno spazzolino nuovo, o una maglietta di ricambio, il che ti riempie ancora una volta di calore. Ti lavi e sistemi nel miglior modo possibile, anche se i capelli sono più indomabili del solito e gli occhi sono due palloncini rossi, ma non puoi fare di meglio, dovrai prendere coraggio e andare da lei in questo stato.
Torni in salotto e lei sta versando l’acqua bollente nelle tazze, ti fa cenno di prendere posto e, appena sei seduta, spinge il piattino verso di te. “Mangia.”
Ne prendi una e ci giocherelli, vorresti parlarle prima di mangiare, ma una sua occhiataccia ti suggerisce che è meglio fare altrimenti. Non smette di lanciarti occhiatacce finché il piattino non è ripulito per metà e finché non bevi tutto il tè, che è bollente, quindi richiede più tempo del previsto.
“Vorrei ringraziarti, per tutto quello che hai fatto per me ieri.”
Apre il pacchetto di sigarette, ne prende una e la porta alle labbra, poi sembra ripensarci, la riafferra e la rimette con le altre, continuando a leccare le labbra nel punto in cui l’ha tenuta per quei pochi secondi.
“Ho fatto quello che qualunque essere umano decente avrebbe fatto.”
Scuoti la testa perché non è un caso se nel momento peggiore hai chiamato lei: non tutti avrebbero capito davvero cosa stavi provando, senza giudicarti.
“Non è vero. Non è vero.”
“Martina…”
“Puoi, ti prego, accettare il mio grazie senza aggiungere altro?”
Socchiude gli occhi e ti fa sentire come sempre sotto esame. “Sono stata felice di starti vicina in un momento di bisogno.”
Rabbrividisci nel sentirle pronunciare quelle parole, perché sono parole molto belle e sei felice sia lei a dirle, ma non ti piace essere vulnerabile o dipendere da qualcuno, soprattutto da lei. Razionalmente dovrebbe essere la persona di cui ti fidi meno al mondo, ma la razionalità non è il tuo forte al momento, probabilmente non lo è mai stata quando si è trattato di lei.
Vulnerabile o meno, devi scusarti con lei perché non vuoi che anche queste parole diventino tutt’altro in te, non vuoi che questa cosa stupenda che ha fatto per te diventi qualcosa di orribile.
“Ti chiedo scusa.”
Aggrotta la fronte, mostrando le rughe che il tempo ha lasciato su di lei.
“Per cosa ti staresti scusando di preciso?”
Questo è il tuo momento, ora o mai più. “Per averti chiamata, per…”
“Ti prego, non sminuire tutto quello che è successo scusandoti, Martina. Non rovinare tutto.”
Fai sbattere i canini gli uni contro gli altri e abbassi lo sguardo a fissare la tazza vuota, una parte di te sa che ha perfettamente ragione, l’altra è ancora la bambina che sente il dovere di doversi scusare per tutto, perché qualunque cosa faccia è un fastidio per chi le sta attorno. Soprattutto quando si mostra debole.
“Ti sei pentita di avere chiamato me? Avresti preferit…”
“NO!” Hai alzato troppo la voce perché non vuoi nemmeno pensare a chi altro avresti potuto chiamare e perché lei è stata la tua prima e unica scelta. Speri di essere ancora un libro aperto per lei e te lo possa leggere negli occhi.
“Allora cosa?”
“Mi vergogno di me stessa.” Fissi i gifflar nel piattino e lo sussurri come se volessi solo loro ti sentissero. Forse lo vuoi veramente.
“Fanculo, se c’è qualcuno che si deve vergognare, di sicuro non sei tu.” Dimentichi i gifflar e guardi lei, ha gli occhi infuocati che incatenano il tuo sguardo. “Io in primis, e quella patetica imitazione di uomo che ti sei ritrovata come padre.”
Ti muovi a disagio sulla sedia, perché ti fa strano sentire qualcun altro parlare così di lui, ti fa sentire come se stessi tradendo la tua famiglia, il che è assolutamente stupido.
“Sei cresciuta in un ambiente ostile, subendo gli abusi e gli insulti di un cretino che non vale nemmeno i lacci delle tue scarpe, eppure sei diventata una persona empatica, gentile, amorevole e attenta…”
Chiudi gli occhi e trattieni il respiro perché è diventato tutto troppo, perché sei senza difese e lei ti sta dicendo delle parole stupende e tu non puoi permetterle di arrivare così a fondo, non puoi.
“…tu hai rotto il cerchio e sei diventata una…”
Singhiozzi.
“…meravigliosa…”
Apri gli occhi.
“…donna.”
Sparisce improvvisamente tutto, rimanete solo voi due e tu stai affogando in tutto l’amore che stai provando e non puoi fare altro che afferrarti a lei per sopravvivere.
Quindi lo fai.
Ti alzi in piedi e attraversi lo spazio che vi separa, ti chini su di lei, le afferri il viso e la baci, la baci con tutta la disperazione e l’amore che stai provando.
Leila asseconda il tuo bacio ma hai la sensazione che lo stia facendo solo per una sorta di gentilezza o senso del dovere. Non hai nessuna intenzione di demordere però, non puoi smettere devi avere di più, devi avere tutto quello che lei è in grado di darti.
Approfitta di un tuo attimo di esitazione.
“Martina non credo che…”
“Ti prego...ti prego. Io ho…ho bisogno di te. Ho bisogno di te.” La cosa più strana è la facilità con cui lo sussurri tra le sue labbra, o il fatto tu non abbia la minima paura di ammetterlo.
Ti guarda negli occhi per molto tempo, si alza dalla sedia, ti infila entrambe le mani tra i capelli ed è lei a baciarti come se la sua vita dipendesse dal quel bacio.
Non passa molto tempo prima che il tuo corpo urli al bisogno che ha di lei, e sfilarvi i vestiti di dosso e cadere l’una tre le braccia dell’altra è addirittura più semplice dello stesso respirare.
Devi stringere i denti per non dirle che la ami e devi continuare a farlo durante tutto il tempo in cui fate l’amore.
 

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Capitolo 52
*** ch51 - The curse of the black spot ***


ch.51 – The curse of the black spot.
 
Quando eri bambina, ti divertiva moltissimo vedere Paperino in preda all’indecisione, attorniato dal suo angelo e il suo diavolo personali, hai sempre sentito una certa affinità con quel papero maldestro, generoso e sfortunato, e povero, non dimentichiamo povero. Quindi adesso è abbastanza normale che la tua mente stia creando un fumetto di te, con una piccola Rossella su una spalla e una piccola Laura sull’altra. La prima che ti elenca i motivi per i quali dovresti provarci seriamente con Leila, dirle quello che provi e prendere da lei tutto quello che può offriti. L’altra invece ti elenca i motivi per i quali Anna è la persona giusta per te, equilibrata, emotivamente accessibile e disposta a costruire un futuro con te, magari anche una famiglia un giorno.
È praticamente da quando Leila ti ha riportata a casa che va avanti questa discussione, perché ovviamente quelle due, una volta esauriti i pro, hanno iniziato a elencare i contro, sotto forma dei difetti dell’altra. Sei stata in ospedale, ti sei presa cura di tua madre e poi hai parlato al telefono con Anna, il tutto senza che quella discussione cessasse per un solo istante.
Per una volta nella tua vita, tuo padre si è dimostrato utile e l’hai potuto usare come scusa per prendere le distanze dalla tua ragazza, il fatto lei si sia mostrata tanto comprensiva e disponibile ti ha fatto sentire una merda, non hai giustificazioni e, se mai deciderai di stare con lei, le dirai tutto e lascerai sia lei a decidere se stare con te o meno. Non che tu abbia davvero scelta, non sei affatto brava a nascondere le cose, lo dimostra il fatto che tua madre ha capito che eri gay dalla primissima volta in cui ti ha presa in braccio, o almeno così afferma lei.
Ora sei in cassa e Veronica è accanto a te al servizio clienti, appena ti ha vista, ti ha abbracciata dicendoti che è dispiaciuta per tuo padre, dopo di che non ti ha rivolto più parola, rispettando quello che crede essere il tuo dolore. Stai provando dolore, ma non per quel cretino che anche dal letto di ospedale sta dimostrando di essere la parodia di un uomo, colpevolizzando tua madre e maltrattando chiunque, minacciandoli e sbraitando perché vuole bere e fumare. L’unica cosa che hai potuto fare a riguardo è stata scusarti con gli infermieri e andar via dall’ospedale, promettendoti che non ci avresti messo mai più piede: piuttosto pagherai qualcuno affinché aiuti tua madre ad accudirlo, ma non hai nessuna intenzione di avvicinarti ancora a quell’essere, se non costretta.
Non poter parlare di tutto questo con la tua ragazza rientra tra gli enormi contro di Anna.
Stai disegnando la versione Laura-Angelo e Rossella-Diavolo, non hai dovuto nemmeno sforzarti di pensare a chi fosse cosa, in attesa che qualche cliente entri in negozio, ma piove a dirotto ed è un giorno feriale, dunque probabilmente vedrete pochissime persone varcare quella soglia.
“Martina vuoi qualcosa dal bar?” Riccardo, il ragazzo della vigilanza, richiama così la tua attenzione ed è talmente tanto carino e gentile che quasi ti fa rimpiangere di essere gay, quasi. Ti giri verso di lui e gli sorridi, pronta a rispondergli che non vuoi niente, ma ti limiti a scuotere la testa quando vedi che Leila è fuori dall’ingresso dipendenti e si sta accendendo una sigaretta, parlottando tra sé, probabilmente maledicendo la pioggia.
La fissi senza pudore e sorridi perché nel tuo cervello è improvvisamente calato il silenzio.
La tua responsabile aspira due boccate particolarmente lunghe, infila la mano nella tasca posteriore dei jeans e ne estrae il telefono, lo fissa intensamente per qualche istante, poi lo tocca e lo porta all’orecchio.
Ti chiedi chi stia chiamando e il tuo telefono inizia a vibrare sotto la cassa. Lo prendi, aspettando di leggerci il nome di tua madre o tua sorella, invece è lei a chiamarti.
“Ciao.” Stai sorridendo e non te ne vergogni.
“Ciao. Come stai oggi?”
Sta dondolando su un piede e anche il suo tono è stranamente indeciso.
“Io sto bene, ma lo sai che ti basta aprire la porta ed entrare, per poter parlare con me?”
Si guarda attorno senza dire una parola, poi capisce cosa le stai suggerendo e guarda all’interno del negozio, agiti le dita della mano per salutarla e le sorridi.
“Buongiorno a lei, signora Ferrari.”
Il suo volto si distende, ma solo per pochi attimi, chiude la conversazione, butta a terra la sigaretta, della quale ha fumato poche boccate, e apre l’ingresso dipendenti con il badge.
“Sei qui.”
“Dove altro dovrei essere, scusami?” Hai usato solo uno dei due giorni di permesso perché sei perfettamente in grado di lavorare, anzi, ti fa piacere farlo.
“A casa?”
“Ciao Leila.” Non sai se Veronica abbia percepito di essere in più, o se abbia salutato per semplice educazione, sta di fatto che la tua responsabile la guarda intensamente per qualche secondo.
“Ciao Veronica. Ti spiacerebbe prendere il cassetto e sostituire Martina per qualche minuto? Avrei bisogno di parlarle.”
La tua collega guarda te di sottecchi e tu ti senti una merda perché ti sta chiedendo il permesso di accettare, solo perché sei stata una grandissima stronza con lei l’ultima volta che le è stata chiesta una cosa del genere. Le fai un breve cenno affermativo e lei si illumina tutta per il sollievo.
“Certo Lei.” Va verso l’ufficio cassa saltellando, lasciandovi sole.
 “Ti aspetto nell’ufficio piccolo.”
Le sorridi perché tra voi è rimasta questa sorta di intimità che non ti dispiace affatto, anche se ti fa sentire esposta.
Va bene però se a esporti è lei.
“Cinque minuti e arrivo.”
Come promesso, poco più di cinque minuti dopo bussi alla porta dell’ufficio piccolo, vieni invitata ad entrare e obbedisci.
Leila è seduta su una sedia e beve lo schifoso caffè delle macchinette e tu sei stupidamente felice non sia andata a prenderlo da Giorgia al bar.
“Ciao.”
“Perché sei qui?”
Scrolli le spalle senza smettere di sorridere. “Perché non c’era ragione di stare a casa. Sto bene e non mi importa di come stia lui.” Speri che capisca senza ulteriori spiegazioni.
“Tua madre potrebbe avere bisogno di te.”
Infili la mano tra i capelli e li spettini. “Mia madre avrà tutta l’attenzione di cui ha bisogno questo pomeriggio. Di sicuro non mentre è in ospedale.”
Si alza dalla sedia, si avvicina a te e ti studia.
“Come stai?”
Le sorridi e ti chiedi se tu abbia mai smesso di sorridere da quando hai posato gli occhi su di lei.
“Sto bene, davvero. Avrei dormito volentieri fino a tardi, ma sto bene.”
“Visto? Saresti dovuta rimanere a casa, stupida.” Ha un modo tutto suo di preoccuparsi per le persone, non per questo è meno sincero o piacevole degli altri. Si poggia contro la scrivania e infila le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Tu come stai?” Ingoi il tuo imbarazzo e cerchi di fare la persona adulta. “Fabrizio come sta?”
“Quel ragazzino si crede molto simpatico continuando a chiedermi quando ti permetterò ancora di migliorarmi l’umore.”
Di nuovo la sua calma ti è totalmente estranea, soprattutto perché lei non sembra aver mai negato nulla con suo figlio.
L’idea ti fa agitare come una scolaretta, ma Leila ti prende alla sprovvista accarezzandoti delicatamente una mano.
“Dobbiamo parlare di ieri.”
Spalanchi gli occhi perché anche questo ti prende alla sprovvista e non in modo rassicurante. “Di cosa vorresti…”
“È stato un errore.”
“Oh…wow…non si può dire tu non sia diretta.” Cerchi di allontanarti da lei, ma ti afferra con più decisione. Passa la mano libera sul volto e sospira.
“Non voglio dire quello che credi e lo sai.”
“No, non lo so. Non lo so perché non è la prima volta che ci troviamo in questa situazione.” Con l’unica differenza che in quel momento non ti teneva per mano e non sembrava ferita come sembra ora.
“Non è…non ha nulla a che fare con…quello.”
“A no? Con cosa allora?” Stai passando dall’essere sulla difensiva al diventare aggressiva.
“Il nome Anna ti dice nulla?”
È come se ti avesse colpito con un pugno.
Ha ragione, eccome se ha ragione e sta avendo più cura della tua ragazza di quanta ne stia avendo tu.
Potresti rispondere molte cose diverse, tipo che è stato un momento di debolezza o che Anna per te non ha nessuna importanza, che eri così sconvolta che non sapevi cosa facevi o che è stato davvero un errore e che non accadrà mai più.
Nulla di queste cose si avvicina minimamente alla realtà.
Vuoi bene ad Anna e probabilmente avresti potuto innamorarti di lei in un'altra vita. Ma doctor who, flying dragons, perfino la musica che ascolti, sono un dettaglio di te, un minuscolo dettaglio di te, la tua profonda e incasinata oscurità è la vera te, è ciò che di te non potrai mai veramente cambiare, e nasconderla a qualcuno significa fingere, non essere davvero te stessa.
Solo capire e accettare quella parte di te significa amarti veramente, o poterlo fare.
Non hai idea di cosa Leila provi per te, ma sai perfettamente cosa tu provi per lei e ti è bastato vederla al di là dell’ingresso dipendenti per capire che non sei mai stata davvero in dubbio su chi delle due scegliere.
Sei innamorata della donna che hai davanti e non ti importa nulla di come andranno le cose tra voi, non ti importa nemmeno se tra voi non ci sarà mai nulla, provi dei sentimenti e li vivrai finché avranno vita.
“Il mio comportamento con Anna, il mio tradimento nei suoi confronti è stato pessimo, imperdonabile e sono più che pronta a pagarne le conseguenze.” Non c’è ragione per cui tu debba indorare la pillola o fingere qualcosa che non è. Il tuo lato peggiore, il tuo lato migliore, tu senza difese, Leila può avere tutto di te. “Ma quello che è successo ieri, sia la notte che di giorno, non posso e non potrò mai definirlo un errore, e vorrei non lo facessi nemmeno tu.”
La sua espressione si rilassa e fai un passo verso di lei, le sistemi un ciuffo di capelli e le sorridi.
“Mi sei stata vicina in uno dei momenti più bassi della mia vita e non mi hai mai fatto sentire giudicata. Mi sei stata ad ascoltare e mi hai abbracciata quando ne avevo bisogno, mi hai permesso di essere fragile con la certezza ti saresti presa cura di me.” La tua voce è abbastanza tranquilla ma il tuo cuore sta battendo all’impazzata nel tuo petto. Leila chiude gli occhi e arrossisce ed è una cosa così bella e assurda che ti chini per baciarla sulle labbra.
Passerai come sempre il tempo a chiederti cosa pensi veramente, a chiederti se ha capito quanto difficile sia per te renderti vulnerabile a qualcuno e se riesca a leggere tra le righe delle tue parole.
“Quindi grazie, per esserti presa cura di me, Leila.”
“Le tue labbra fanno di nuovo schifo.”
Scoppi a ridere e poggi la fronte contro la sua, leccando le suddette labbra.
“Anche le tue, te lo posso assicurare.” A quanto pare nessuna di voi due è riuscita a scendere a compromessi con il burro cacao.
Ti afferra per i fianchi, apre le gambe e ti avvicina il più possibile al suo corpo, inizia lei a baciarti questa volta ed è un bacio molto dolce, completamente privo di passione o lussuria. È la rappresentazione perfetta di tutto quello che è stato tra voi in questi giorni, e magari è un addio, magari è un semplice “non c’è di che”, magari è il suo modo di dirti che vuole prendersi ancora cura di te.
Non lo sai e non ti importa.
Hai preso la decisione di continuare ad amare questa donna, ovunque ti porterà questo amore, non hai alcuna intenzione di tirarti indietro, mai più.

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Capitolo 53
*** ch53 - Doomsday ***


ch.52 -  Doomsday.
 
Il campanello suona ed è come se qualcuno avesse sparato un colpo di pistola. Prendi un respiro profondo e cerchi di farti forza, sei una persona adulta e puoi affrontare tutto questo, un pochino però capisci perché Daisy ti abbia lasciato per messaggi o perché Claudia ha fatto in modo fossi tu a lasciarla, telefonicamente e a più di 600 km di distanza.
Apri la porta e aspetti di vederla apparire dalle scale senza riuscire a smettere di muoverti, sei un fascio di energia nervosa, di quella sgradevole oltretutto, se smetti di muoverti rischi di esplodere, e non è un’esagerazione.
Nel momento in cui ti vede, la tua ragazza scoppia a ridere intenerita. “Cosa accidenti ti è successo?”
Controlli i tuoi vestiti e non ti sembra ci sia qualcosa fuori luogo, rialzi la testa e lei è davanti a te con il leggero fiatone che fare le scale di corsa le ha causato.
“Ciao, versione multicolor della mia ragazza.”
La confusione che la sua affermazione ti causa le da il tempo di baciarti sulle labbra, non che d’improvviso ti dispiace che lo faccia, solo ti sembra fuori luogo permetterglielo. Come se tu la stessi prendendo in giro.
“Multicolor?”
Ti tocca il naso e la fronte con la punta delle dita, il che continua a non rispondere alla tua domanda, finché non ti prende le mani e ti mostra che sono sporche di acrilico in diversi punti.
“Oh fuck.” Gratti il naso e la fronte nel punto in cui ti ha toccato, sporcando le unghie di marrone e verde, ma sai bene di non aver minimamente risolto il problema.
Ti sorride e ti guarda con occhi innamorati e orgogliosi. “Hai iniziato a dipingere?”
“Si ho…avevo bisogno di sfogarmi.” È l’eufemismo del secolo.
“Ancora niente finale di Flying dragons quindi?” Ti prende la mano e ti trascina in camera tua e tu ti lasci cullare dalla conversazione, decidendo non ci sia nulla di male nel fingere per qualche minuto che vada tutto bene, che tu non le stia per spezzare crudelmente il cuore.
Continui a pregare che non sia innamorata di te e di non starle facendo così tanto del male, tutto sommato state uscendo insieme da sei mesi, non è una cosa così seria, no?
Certe volte vorresti davvero poterti schiaffeggiare da sola.
“Oh wow…è questo il colore di Layla?”
Sentirle pronunciare quel nome è come essere infilzata con una spada di ghiaccio, anche se si riferisce a una persona diversa.
Prende in mano uno dei fogli da disegno sul quale hai disegnato la tua protagonista drago con la sua protagonista umana: Sidney è quasi sdraiata sull’enorme muso di Layla e la guarda con occhi pieni d’infinito amore, e gli occhi del drago non sono da meno.
Disegnarle è sempre stato il tuo posto sicuro, la tua oasi di pace, non ti stupisce che in questi due giorni tu non abbia fatto altro.
“No…lei…è ancora troppo dorata. Dovrebbe essere qualcosa di più cangiante, un misto tra il marrone, il verde e il dorato.” Hai passato ore a cercare di rendere il colore che hai in mente, arrivando a qualcosa di solo vagamente accettabile.
“Oh si, come gli occhi Dianna Agron suppongo.”Il suo è uno sfottò gentile, ma arrossisci comunque, perché sei stata colta in pieno fallo. Mormori quello che vorresti essere una negazione, ma finisce con l’essere una risposta molto più che affermativa.
“Che spreco, avrei preferito di gran lunga tu usassi il meraviglioso castano dei tuoi occhi.”
“Ehi!!!I miei occhi sono…”
“I tuoi occhi sono verde-castano. Lo so, stupidina, e sono gli occhi più belli io abbia mai visto.” Ti bacia dolcemente sulle labbra e tu ti chiedi di nuovo se vuoi davvero rinunciare a tutto questo, se vuoi davvero lasciarti scappare una ragazza del genere.
Forse potresti continuare a stare con lei, costruire una vita e poi…e poi Leila. Che parte avrebbe la donna che ami in tutto questo?
Anna nel frattempo si è liberata di giacca e borsa, si butta sul tuo letto, sfila le scarpe e si accomoda meglio.
“Puoi continuare a dipingere se vuoi. Dato che non posso avere il manga, mi accontento più che volentieri di un dipinto che le rappresenta.”
Sei tentata di dirle che può prendere quello che hai ultimato poco prima che lei arrivasse, ma non credi vorrà avere più a che fare con te quando finirai di parlarle. Sempre che tu finisca davvero col parlarle.
“No, va bene così. Ho finito di dipingere, mi lavo le mani…e faccia e…e arrivo.”
Fai come hai detto e quando torni lei non si è mossa di un solo centimetro, scorre facebook con aria felice e aspetta pazientemente.
“Eccomi.” Stai per metterti nel letto, ma noti di aver lasciato dei tubetti aperti e, con quello che costano, non hai nessuna intenzione di lasciarli seccare.
“Allora, cosa vuoi fare? Sbavare senza pudore su Rose Tyler?” Ti giri a guardarla con rimprovero e lei ghigna felice. “Oppure vuoi guardare Ponyo e piangere la prima volta che lei parla?”
È talmente tanto di buon umore, che ci sta trascinando anche te. Ti piace moltissimo il modo in cui ti sta sfottendo e in cui sta dimostrando di conoscerti davvero bene. Forse hai preso una decisione troppo velocemente e solo perché avevi Leila davanti, forse è lei la scelta più giusta per te.
“O magari…hai voglia di spulciare il sito Ikea e decidere che mobili vuoi comprare per la nostra futura casa…”
Chiudi gli occhi e rivedi Leila sulla scrivania, il suo sorriso triste e il suo sguardo pieno di affetto, senti il tuo cuore accelerare al solo pensiero di lei e capisci che no, non era un errore, non eri sotto l’effetto di un qualche incantesimo che stare vicina alla tua responsabile crea, non è nulla di tutto questo.
Tu ami Leila e vuoi bene ad Anna, le vuoi molto bene, ma nulla di più.
Per la prima volta nella tua vita capisci perché alcune persone arrivano a chiedere al proprio ex di rimanere amici, il che peggiora la situazione, perché capisci senza ombra di dubbio che non hai mai provato dei veri sentimenti romantici per lei.
Comunque sia, le devi molto più di questo, le devi la libertà di essere amata come merita.
Ti siedi sulla sedia della scrivania e muovi i piedi fino a portarla accanto al letto.
“Dobbiamo parlare.” Chiudi gli occhi, perché avresti potuto facilmente scegliere un incipit migliore e meno scontato.
Poggia il telefono, ma non smette di sorridere. “Certo, dimmi. Che succede? Sembra una cosa seria.”
“È per la questione dell’andare a vivere assieme, non credo che…”
“Credi sia troppo presto? Lo posso capire, forse ho affrettato un pochino le cose, avrei dovuto aspettare a chiedertelo, non so nemmeno se riesco a laurearmi a marzo e…”
Non puoi continuare ad ascoltare le sue parole comprensive, non puoi.
“Sonoinnamoratadiun’altrapersona.” Lo sputi fuori e maledici la tua fottutissima bocca e la tua incapacità di controllarti quando sei sotto pressione.
Anna si immobilizza. “Cosa?”
“Sono innamorata di un’altra…persona.” Non avresti voluto dirglielo così, avresti voluto cercare di renderglielo il meno doloroso possibile. Non così.
“Avevo capito perfettamente la prima volta.” Striscia molto lentamente sul letto, fino a raggiungere la sponda e recuperare le scarpe, che cerca di infilare velocemente, ma è talmente arrabbiata che i suoi movimenti sono goffi, quasi grotteschi.
Vorresti specificasse il significato di quel “Cosa?” ma sei una stronza, non una perfetta idiota. Anche se la tua capacità di innamorarti sempre della persona sbagliata indica esattamente il contrario.
“Da quanto tempo?”
“Da quanto tempo cosa?”
“Martina.” Non è la sua voce, sembra piuttosto che un demone si sia impossessato di lei.  Si è alzata in piedi ma tu non la imiti, rimani seduta e le concedi il vantaggio della differenza d’altezza, è una cosa piccola, probabilmente inutile, ma speri le sia d’aiuto. “Non fingere di essere più stupida di quello che sei in realtà. Stronza si, ma non stupida.”
Accetti l’insulto senza fiatare.
“Io e lei avevamo una cosa prima che io e te ci incontrassimo e…”
“E cosa? Ti ha scaricato e hai usato me come palliativo? Dio che cogliona sono stata a credere tu fossi diversa, che di te potessi fidarmi.” C’è tanto odio e dolore nella sua voce che devi irrigidire ogni muscolo per non allontanarti da lei.
“No, no, no. Assolutamente no.” Non vuoi che pensi di essere stata un tappabuchi, non lo è stata. Devi convincere sia lei che te stessa che non lo sia mai stata. “Io e lei abbiamo avuto questa cosa, ma era più che chiaro non potesse andare avanti, non ci fosse la minima speranza per il futuro.” Ricordarlo a te stessa non è un male: tu e Leila non potrete mai essere realmente una coppia. Non importa quanto lei possa essere carina o presente con te, lei rimane una donna di 9 anni più grande di te, con un figlio e un divorzio alle spalle e tu rimani sempre tu. “Quando ho incontrato te…tu sei esattamente il tipo di persona con la quale posso vedere un futuro insieme. Io ho creduto davvero di potermi innamorare di te, di poter stare con te.”
“Ma stai zitta, sta’ zitta. Sono stata un fottuto tappabuchi. La cogliona che ti ha tenuto il letto caldo.”
“No Anna no…ti prego non pensare che…”
“Sei sempre stata innamorata di lei? Sei sempre stata consapevole di essere innamorata di lei?”
Ti sei sforzata di affrontare il suo sguardo per tutto il tempo, non le hai tolto gli occhi di dosso nemmeno per un momento, anche se lei ti dava le spalle o se il suo sguardo d’odio era tanto intenso che avrebbe potuto ucciderti. Ma ora no, ora abbassi lo sguardo sulle sue sneakers.
“Si.”
Lo schiaffo che ti colpisce è abbastanza aspettato se lo devi ammettere e va bene così. Te lo meriti tutto, meriteresti molto di peggio per aver spezzato il cuore e deluso una ragazza del suo calibro.
“Mi dispiace.”
Scuote la testa, ha il volto arrossato e gli occhi pieni di lacrime, che si rifiutano di scendere, sembra quasi un fumetto e ti spezza ancora di più il cuore perché è una meravigliosa persona innocente e tu l’hai tradita.
L’hai tradita e probabilmente usata nel peggior modo possibile.
Continuare a ripeterti che l’hai fatto con le migliori intenzioni non ti aiuta a sentirti meno merda.
Vorresti alzarti e abbracciarla, farla sentire meglio ma non puoi, non puoi perché in questo momento sei il carnefice, non puoi essere la cura.
“Spero davvero questa qua ti ferisca nello stesso modo in cui tu stai ferendo me. Ti auguro di riavere indietro tutto, Martina Pastorelli e di non essere mai felice in tutta la tua vita.”
Affronti il suo sguardo e lei sembra molto più infelice di quanto non fosse qualche minuto fa.
“Fanculo, non meriti in un minuto di più del mio tempo.” Recupera la giacca e la borsa evitando accuratamente di avvicinarsi a te. “Sarebbe stato molto meglio per me non aver mai messo piede in quella strafotutta Ikea e non averti mai incontrata.”
Si sbatte la porta della tua stanza alle spalle, pochi attimi dopo senti anche la porta di ingresso sbattere e ti senti come se avessi appena perso la parte migliore di te.
Non è lei la donna di cui sei innamorata, ma è comunque una persona a cui tieni e, tra l’averla ferita e l’averla persa, senti la tua anima disintegrarsi.
Rimani seduta a lungo, troppo ferita per poterti muovere, quando riesci a farlo, recuperi una tela e la sistemi sulla scrivania. Non meriti il conforto delle tue amiche o di sentire la voce di Leila, meriti di soffrire come stai soffrendo, da sola e in silenzio, l’unica cosa che ti concedi è il sollievo della pittura.
Mostro si, ma meriti anche tu un’attenuante.
L’idea iniziale è quella di disegnare il tuo adorato draghetto, ma le tue mani hanno una volontà tutta loro e disegnano la sagoma di Leila, sospiri, apri il cassetto in cui hai nascosto i ritratti e ne scegli uno. Le restanti ore di questa assurda giornata volano via tra una pennellata e l’altra.
Continuare a dipingere i dettagli del suo corpo ti ha reso impossibile rimanere nella tua decisione di soffrire in silenzio, quindi, come la stronza che sei, prendi il cellulare a fai partire la chiamata.
“Ti è permesso stare alzata fino a così tardi, Pastorellini?”
Alzi gli occhi al cielo, ma poi ti rendi conto di averla chiamata, di nuovo, senza avere la più pallida idea di che ora fosse. Guardi il display sul telefono e vedi con sollievo che sono appena passate le 23.
“Non è poi così tardi.”
“Ah, quindi hai il permesso?”
Ha vinto lei, non puoi negarlo. In realtà ha vinto dalla prima parola che pronunciato.
“Ciao, ti disturbo? Che stai facendo?” Apri la finestra, anche se non fa decisamente caldo, e guardi il giardino del palazzo vicino, stranamente curato e ben illuminato, malgrado la zona in cui è ubicato.
“Sto cercando di leggere…”
“Ah! Scusami allora…”
“…ma ho passato tutta la giornata al pc e mi fa male la testa. Mh, forse potrei costringere Fabry a venire a leggere per me.”
Sbuffi una risata perché è contemporaneamente una buona madre e una madre terribile.
“Cosa c’è che non va?”
“Perché pensi ci sia qualcosa che non vada?” A dire il vero, sei molto contenta che se ne sia accorta.
“Perché mi hai chiamato molte ore dopo l’ora in cui dovresti essere a letto, Pastorellinetti e perché è più che chiaro dalla tua voce.”
Chiudi gli occhi e la immagini affacciata alla finestra di camera sua, non sai perché, forse hai ascoltato troppe canzoni pop nella tua vita.
“Ho lasciato Anna.” Senti un sospiro dall’altra parte della linea, ma nient’altro. È silenzioso per diversi secondi, finché non senti l’accendino scattare, almeno ora sai con certezza che si trova in salotto e puoi immaginartela con maggior accuratezza.
“Non è per…”non vuoi che pensi che tu l’abbia lasciata a causa sua, è una delle motivazioni, non l’unica. O forse, si, è l’unica, ma non vuoi che lei si senta responsabile o sotto pressione. “Non sono innamorata di lei e mi sembrava ingiusto nei suoi confronti portare avanti la nostra relazione, magari una convivenza, senza provare dei reali sentimenti per lei. Senza volermi davvero impegnare.”
Continui a omettere il fatto di averla tradita, ma non l’hai dimenticato nemmeno per un istante.
“Almeno tu non l’hai sposata e ci hai fatto un figlio, per accorgerti al suo terzo mese di vita che erano troppe responsabilità per te e sei fuggita lasciandoli soli e in balia di loro stessi.”
Smetti di respirare perché è la prima volta che ti parla così apertamente del suo passato, del suo matrimonio in particolare. Per un po’ senti solo quando soffia fuori il fumo, ma va benissimo così, il solo sentire che è lì ti sta facendo stare meglio.
“Temo proprio di dovermi arrendere, per stasera di leggere non se ne parla.”
“Vuoi che venga io a leggere per te?” É una battuta, ma ti rendi conto solo dopo averla fatta che potrebbe sembrare seriamente un’autoinvito.
“Lo faresti, Pastorelli?”
Farei qualsiasi cosa per te è la risposta che devi impedirti di dare, il fatto abbia mantenuto un torno scherzoso è già una fortuna per te, non vuoi rischiare ancora.
“Lo farei, si. Sono curiosa anche io di leggere quel libro, l’unico problema sarebbe tuo figlio. Sei disposta a sopportare le sue incessanti domande?”
“Tsz, quel ragazzino si crede molto simpatico.” L’amore e l’orgoglio non mancano nemmeno in questa finta lamentela. “Domani ci sei al lavoro?”
Questa semplice domanda è il vostro trampolino di lancio per una chiacchierata tranquilla e senza pretese, è passata quasi un’ora quando senti la voce di suo figlio in sottofondo che le da la buonanotte, chiudete subito, per permetterle di metterlo a letto. Anche se è un adolescente, sai che Leila vuole accertarsi che sia tutto in ordine prima di dargli la buonanotte.
Riprendi a dipingere con nuova ispirazione ed energia, il tuo cuore è spezzato ma inizi a pensare che le cose con Leila non siano poi così prive di speranza.
Puoi solo sperare che le parole di Anna non fossero profetiche.
 

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Capitolo 54
*** ch53 - Oxygen ***


ch.53 – Oxygen.
 
“Martinettis, hai visto che lusso? Hai la pausa!!” Giorgia arriva saltellando fino a te e ti abbraccia con un braccio solo. Era in ufficio a occuparsi dell’amministrativo del reparto food e si è staccata solo perché sapeva che c’eri tu in turno al bar e ci teneva ti riposassi un pochino.
Sei fiera di dire che non l’avrebbe fatto per nessun altro.
“Lo sai che non c’è biso…”ti tira per il grembiule e ti spinge via. “…gno. Ehi.”
“Ho preso il cassetto, mi sono legata i capelli e ora tu VAI in pausa, Martinetti.”
“Ooook, non c’è bisogno di essere tanto aggressivi.”
Ti fa la linguaccia mentre ti chiude la cassa, stacca il cassetto e lo mette nell’apposito loculo. Ti lancia la chiave e ti fa l’occhiolino. “Vediamo come stai trattando questo povero bar.”
“Ehi, ti ho insegnato io stare al bar, stronzetta.”
“Si, si. Hai fatto i cinnamon?” Ne tocca uno e si illumina. “Uh, sono caldi. Tieni, portalo con te, fai merenda.” Lo infila in un sacchetto e te lo lancia. “Ora vai e siediti.” Ti giri per obbedire e lei aggiunge “NON molestare il mio squalo.”
L’eterna lotta su chi, tra voi due, ama di più il peluche.
Le fai un gestaccio, dato che non ci sono clienti, e ti avvii verso l’aria dipendenti, non fai in tempo a nascondertici però, perché qualche tuo collega troppo carico sta uscendo dall’ascensore. Infili il cinnamon nella tasca dei pantaloni, sperando di non fare troppo danno, e accorri ad aiutarlo, lo liberi da una delle tre scatole che sta portando e riveli una molto sudata e impolverata Leila, che sbuffa.
“Pastorellini.”
“Ciao.” Sorridi, anche se non è la prima volta che la vedi stasera, è venuta a prendere il caffè al bar e scambiare due chiacchere appena hai aperto. Questo è praticamente il riassunto della vostra situazione attuale: fate due chiacchiere.
Quando sei al bar, viene sempre a prendere il caffè, a volte anche due volte al giorno, quando sei in cassa fa in modo di fare la pausa sigaretta dopo l’una, quando non ci sono più clienti e tu le puoi fare compagnia, se non sei di turno, o se non siete riuscite a parlarvi durante la giornata, vi chiamate prima di dormire.
È una situazione che con lei ti è completamente estranea, ma non per questo sgradevole, anche perché la strana intimità che si è formata tra voi la sera dell’incidente di tuo padre non è mai diminuita.
Sistemate le scatole e le dai una mano ad aprirle, in modo che il contenuto sia accessibile ai clienti, ti guarda con occhioni enormi e pieni di malizia e tu sai già cosa ti sta per chiedere.
“Ho una poltrona da portare nella zona divani.”
“Brava, divertiti.” Fingi di andare via e lei ti afferra per un polso, guardi quel contatto e cerchi di non arrossire, dato che non vi toccate spessissimo ultimamente e, per quanto piccoli o innocenti siano i contatti, ti mandano potenti scariche elettriche lungo tutto il corpo.
“Pastorelli.” Ti guarda con rimprovero, ma sai che è divertita.
Esageri uno sbuffo, perché in realtà ti fa piacere aiutarla, ma non vuoi che lo sappia.
“Questo è abuso di potere.”
“Si, si.” lascia la presa e devi trattenerti dal rincorrerla e afferrarle la mano. Arrivate all’ascensore e vedi la supposta enorme poltrona. Quasi piagnucoli perché la forza fisica non è decisamente il tuo forte. “Non possiamo chiamare un uomo?”
“Un uomo? In questo negozio?” ti guarda con rimprovero e tu annuisci, ammettendo il tuo errore. La scatola blu di Cagliari non pullula di uomini, molti ragazzini, nessun uomo. Ti guarda con malizia mentre si china ad afferrare la poltrona e tu fai lo stesso. “Pensavo di averti ampiamente dimostrato che posso fare decisamente meglio di un uomo, Pastorellinetti.”
Arrossisci, tanto, perché quella frase ha molto a che fare con il fatto voi due abbiate fatto più volte sesso, e la tua mente l’ha immaginata nuda e ansimante sulla poltrona che dovreste trasportare.
Leila la solleva e tu cerchi di imitarla, ma hai le ginocchia deboli per l’idea di lei in preda all’estasi, e per i giorni d’astinenza, e cadi miseramente in avanti.
“Tutto ok Pastorellinetti? Sei tipo…rossa in volto. Sicura di non stare avendo un infarto?” Fa quel suo mezzo sorriso malizioso e tu sbuffi, ti alzi e sollevi la poltrona, questa volta non vuoi dargliela vinta.
Ha vinto, ovviamente ha vinto.
Portate la poltrona per circa una cinquantina di metri, lei sbuffa e si lamenta e tu fai fatica a camminare perché ogni pochi passi dice una stupidata tale che scoppi a ridere. Arrivate finalmente alla meta e lei è spettinata, sudata, ricoperta della polvere del magazzino e ha il volto arrossato e stravolto dalla stanchezza e non è mai stata più bella di così.
“Ti amo.”
Si ferma di scatto e lascia andare la presa, facendo rovinare la poltrona a terra e te sulla poltrona. Ti rialzi con uno sbuffo e ti massaggi i polsi perché la botta non è stata affatto piacevole.
“Cosa?” Ha gli occhi terrorizzati di una cerbiatta davanti ai fanali di un camion, ma tu sei stranamente calma. È la seconda persona alla quale lo dici credendoci veramente, e malgrado tu non abbia la più pallida idea di cosa lei provi, va bene così.
È perfetto così.
“Sono innamorata di te. Io ti amo.” Lo scandisci molto lentamente, perché spesso mangi parti intere di parole se hai fretta di far capire qualcosa a qualcuno e non vuoi correre questo rischio. Le sfiori una spalla e lei fa un passo indietro, senza che dai suoi occhi svanisca il terrore. “Leilanonècome…”batti i canini gli uni contro gli altri e prendi un respiro profondo. “Non ti sto chiedendo nulla, Leila. Non devi far…”
“Il tavolino nero che trovo nelle scale come lo prendo?”
Ti giri verso la maledetta cliente che vi ha interrotte e poi di nuovo verso Leila, la tua responsabile fa lo stesso, guarda lei, te, poi si gira e sparisce nell’aria dipendenti. Vorresti seguirla ma la scocciatrice si mette tra te e quella dannata porta.
Devi concentrarti sul marchio per non strozzarla o farle ingoiare lo strafottuto tavolino, che è un Lack.
“Non lo abbiamo in pronta consegna signora, c’è solo su ordinazione.” Saltelli sul posto e guardi la porta dietro la quale è sparita, in preda al terrore, la donna alla quale hai appena dichiarato il tuo amore.
“Non posso prendere quello?”
Ti chiedi se infilarglielo su per il sedere sia un’opzione che possa interessare a suddetta signora, ma ancora, rappresenti un marchio e devi comportarti bene.
Le indichi la cuffia che hai in testa e forzi un sorriso, e si, hai appena fatto una dichiarazione d’amore con una strafottuta cuffia blu sulla testa. “Mi dispiace signora, io sono del bar e non ne capisco assolutamente nulla. Parlo per sentito dire. Perché non chiede ai miei colleghi vestiti di giallo?”
“Come quella che è andata da quella part…” la afferri per la spalla perché la sola idea che si avvicini a Leila ti fa perdere il controllo, anche se una porta apribile solo con il badge le divide ed è impossibile per questa stronza arrivare a lei.
Forzi l’ennesimo sorriso, sperando di rassicurare la suddetta signora, ma anche no, anche chissenefregamaledettavecchialevatidalcazzo.
“No signora, come quelli che troverà da quella parte. A proposito, perché non va a prendere un caffè e un dolcetto svedese al bar e dice alla collega che glielo sta offrendo Martina?”
La signora si illumina e trotterella felice verso Giorgia, il trucco del cibo gratis funziona sempre. Speri solo non rompa troppo le scatole alla tua collega, ma non hai tempo di pensare a lei, hai ben altre cose, molto più importanti, in ballo.
Corri verso l’area dipendenti e trovi Leila nel solito ufficio, entri e chiudi la porta.
“Leila.”
Non ti guarda nemmeno, ha gli occhi chiusi e li massaggia dolcemente con la mano destra.
“Leila…non è nulla di che tu non…”
“Nulla di che? Nulla di che?” Smette di massaggiare gli occhi e ti fulmina con lo sguardo “L’hai detto tanto per dire?”
“Ti sembro il tipo da dire una cosa del genere tanto per dire?”
Apre la mano davanti a se, la richiude a pugno e la riporta agli occhi. Decisamente non la reazione che ti aspettavi.
Infili la mano in tasca e ricordi solo ora di avere la cinnamon roll calda, la estrai sperando che sia ancora mangiabile e non uno schifo. La poggi sulla scrivania, senza avvicinarti troppo alla donna sconvolta alla quale hai appena dichiarato il tuo amore, indossando una stramaledetta cuffia blu.
Sfili la cuffia e la rigiri tra le mani, pensando a quale sia la cosa migliore da fare, ormai hai distrutto una diga, tanto vale che non rimanga dentro nemmeno una goccia d’acqua. Infili lo stupido indumento nella tasca posteriore dei pantaloni e speri di riuscire a parlare alla velocità di un qualsiasi essere umano normale.
“Sono veramente innamorata di te. Lo sono da molto tempo, anche se non l’ho mai ammesso a me stessa. Fin dalla prima volta che ti ho vista, ho pensato tu fossi speciale, man mano che ho imparato a conoscerti i miei sentimenti sono cresciuti e mi dispiace, ma non mi dispiace affatto, al contrario, ne sono felice. Sei una donna meravigliosa Leila Ferrari, complicata e spesso inaccessibile, ma assolutamente la donna, la persona migliore che mi sia mai capitato di incontrare nella vita.” Sbuffi una risata. “In più sei ridicolmente bella anche indossando questa patetica divisa gialla e blu.” Sorridi di te stessa “Non ho mai avuto la minima speranza di non innamorarmi di te. E sai cosa? Mi spiace se per te è un problema, farò di tutto per fare in modo non…” alzi una mano e poi la riabbassi, la infili in tasca per essere sicura di non continuare a gesticolare come una perfetta idiota. “Farò in modo di disturbarti il meno possibile.” vai verso la porta con il cuore stranamente leggero, probabilmente quando tornerai a casa ci vorrà l’aiuto combinato di Laura e Rossella per farti smettere di piangere, ma le parole che non eri riuscita a dire hanno trovato la via d’uscita e ora stai molto meglio.
Ti giri verso di lei e indichi il sacchetto mezzo distrutto e pensi che, a quanto pare, i vostri finali sono così, costellati di paste spiaccicate.
“Dovresti mangiare la cinnamon finché è calda. È molto più buona.” Ti giri verso la porta, sospiri e annuisci, pronta ad affrontare il resto della serata a testa alta.
Una mano batte contro il legno e ti impedisce di aprirla, ti giri per capire cosa stia succedendo, anche se è abbastanza ovvio, e le labbra di Leila sono subito sulle tue. Hai a malapena il tempo di reciprocare, prima che suddetta mano scenda a slacciare il grembiule e i pantaloni.
La cosa più saggia da fare sarebbe fermarla, perché dovete parlare, devi capire cosa sta provando e perché ha reagito così, ma i suoi movimenti sono veloci e sicuri e quando la sua mano arriva al tuo sesso sai perfettamente di non poterla, e non volerla, fermare.
Tu non sei mai stata saggia, sei una patata lessa, innamorata e debole, e questi baci e queste mani ti erano mancate più della stessa aria.
Sei poggiata a una sottilissima porta che ti separa da un andito molto, molto frequentato, stai cercando di controllarti, ma sei in completa balia delle mani di una donna che, dopo essersi assicurata tu impazzissi di desiderio, ha improvvisamente rallentato, lasciandoti il dubbio non sia una semplice sveltina ma…non sai nemmeno tu cosa.
Sai solo che sta lentamente smantellando il tuo corpo, nello stesso identico modo in cui ha smantellato le tue difese e non puoi fare altro che amarla molto, molto di più per quello.
“Apri gli occhi.” La sua voce è bassa e il suo fiato caldo sulle tue labbra ti regala l’ennesima scarica di piacere, ma non riesci a distinguere molto bene cosa voglia da te. “Martina, apri gli occhi e guardarmi.”
Il suo tono è così fermo che costringi il tuo corpo a obbedire anche se, con quello che le sue dita stanno facendo, non è particolarmente semplice, quando i vostri occhi si incontrano i suoi movimenti rallentano.
Dura solo un attimo, in cui i suoi occhi sono limpidi e senza paura, poi sorride e sai che starai per essere travolta da lei per circa la milionesima volta, solo oggi.
I suoi movimenti accelerano di nuovo, ogni sua carezza, ogni suo gesto, diventano improvvisamente mirati e, se da un parte sei felice che lei ricordi con così tanta precisione come farti perdere il controllo, dall’altra sei terrorizzata perché non siete in una camera d’albergo e non siete in camera sua, e se urli il suo nome qui, non sei molto sicura che domattina avrai ancora un lavoro.
Ma fanculo il lavoro e fanculo tutto, stai per avere uno degli orgasmi più intensi della tua vita e nient’altro ha importanza.
“Vieni per me, vieni per me.” È un fiato bollente che te lo sussurra all’orecchio e tu obbedisci mentre una mano preme contro le tue labbra. Ti spingi verso la porta con tutte le tue forze, batti la nuca contro il legno cercando di sfuggire alla mano che ti impedisce di urlare, ma anche di respirare l’ossigeno di cui hai bisogno, finché finalmente, o purtroppo, il piacere scema e tu ti accasci contro di lei.
“Leila è tutto ok? Che era quel rumore?”
“Sto cazzo di computer è troppo lento.” Lo dice con la sua voce più autoritaria e fredda, ed è ancora dentro di te, quindi devi concentrarti su altro per non avere un altro orgasmo.
“L’hai tirato contro la porta?” la voce di quel cretino di Michele è veramente preoccupata.
“Vuoi che provi a lanciare te contro la porta? Lasciami lavorare in pace.”
“Scusa, scusa…” la voce dello scocciatore si allontana e voi rimanete immobili per diversi secondi per capire se il pericolo è davvero scampato.
L’immobilità di Leila è la prima a finire, riprende a muoversi dentro di te e tu pensi di morire, la fermi e lei ridacchia.
“È tutto ok Pastorellinetti?”
“Quanto ti piacerà divertiti a mie spese.” Magari non le frasi più romantiche che tu abbia mai sentito o pronunciato.
Lei non da segno di volersi staccare, tu sei più che felice di adeguarti, ti stringi a lei posando le labbra contro il suo collo, Leila ricambia il tuo abbraccio e aspira a lungo tra i tuoi capelli, che ha come sempre sciolto senza che tu ti accorgessi di nulla.
“Profumi di caffè.”
“Merda. Mi dispiace.”
“Non dispiacerti, mi è mancato. Mi piace.” La senti muoversi e nella tua stupidità post-orgasmo capisci che stia cercando i tuoi occhi, quindi ti stacchi da lei e incontri il suo sguardo mentre lei ripete “Mi piace.”
I suoi occhi ti stanno dicendo che non sta più parlando della puzza di caffè che porti dietro, ma sta parlando di qualcosa di più profondo. Non puoi non sperare stia parlando dei tuoi sentimenti per lei.
Ti bacia sulle labbra e ti senti esplodere di gioia e d’amore, quindi, da buona cretina, devi allentare la tensione.
“Dovresti mangiare il cinnamon, finché è caldo.”
“Cos’è questa insistenza? Vuoi mettermi all’ingrasso Pastorellinettini?”
“Saresti bellissima comunque.”
“Stai attenta a quello che dici, mia cara, potrei usarlo in futuro contro di te.”
Futuro.
Avete un futuro e tu non potresti spiegare nemmeno con mille dipinti quando sei felice in questo momento.

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Capitolo 55
*** ch54 - The Christmas invasion ***


ch.54 – The Christmas invasion.
 
Ti guarda con astio e ti colpisce il viso con una mano aperta, sbavando un pochino. Scoppi a ridere e la stringi più forte a te.
“È inutile che ti lamenti Cosettina minuscola, c’è vento, devi tenere il cappello.”
Claudia ti guarda ancora con odio, la sua minuscola fronte corrucciata e la suddetta cuffietta completamente storta mentre borbotta nella sua personalissima lingua.
“Per cortesia zia Marty ci sistemi? Non vogliamo mica presentarci alle tue colleghe in disordine.” Federica e il suo bisogno di sapere che sua figlia sia sempre perfettamente in ordine, ti chiedi quanti vestitini di ricambio si porti dietro tutte le volte che esce di casa.  Sbuffi ma non solo le sistemi il cappello, le sistemi anche il piccolo cappotto e le raddrizzi il ciuccio natalizio, anche se a breve sai già che lo sputerà con disprezzo.
La tua piccola pallina bionda che sta crescendo troppo velocemente, non puoi credere che sei mesi fa questa minuscolezza fosse dentro la pancia di tua sorella.
Federica vi guarda e poi guarda la bauliera della macchina. “Devo prendere il passeggino o…”
“NO!” Stringi la bambina al petto e lei gorgoglia: non hai nessuna intenzione di mollarla la porterai in negozio come un bellissimo trofeo, come se tu avessi un qualche merito al riguardo.
Tua sorella ha riempito tutti gli armadi di casa con la roba della bambina e ora vuole comprarne uno nuovo all’Ikea, le hai chiesto se volesse usufruire del tuo sconto dipendenti ma non perché sei una ragazza molto generosa, piuttosto perché così avevi la scusa per far conoscere a Leila tua nipote e rendere così qualunque-cosa-ci-sia-tra-voi più reale.
Sei stata più volte sul punto di parlare con Fede della tua “relazione” o qualunque cosa sia quella tra te e la tua responsabile, ma non l’hai mai fatto, ti è sempre sembrato fuori luogo, o una mancanza di rispetto nei confronti di Leila, quindi eviterai con cura di farle incontrare. Anche perché sarebbe strano, visto quante cose sa della vostra famiglia.
Entrate nella scatola blu e ti viene la nausea appena senti le canzoncine di Natale, nelle lingue più svariate, che girano a ripetizione da praticamente un mese, per fortuna dureranno ancora due settimane e poi riprenderanno con la musica normale, o quasi.
Federica ti guarda malissimo e ti fa capire che non puoi salutare ora i colleghi del piano terra, fai fare ciao ciao a Claudia con la manina minuscola, ricevendo un altro schiaffo come ricompensa, fingi di mangiarle il collo e lei squittisce di gioia, gorgogliando di piacere.
È davvero perfetta.
Salite al piano superiore, tua sorella si guarda in giro e tu vai diretta verso la pianifica per esibire tua nipote, prima ti liberi di loro, prima puoi entrare negli uffici.
Ricevi valanghe di complimenti e rimproveri chiunque cerchi di toccarle le manine o il volto con le manacce sporche, per tua fortuna i clienti richiamano l’attenzione dei tuoi coworker, tua sorella compresa, quindi puoi scivolare al bar senza che nessuno ti blocchi.
Appena vi vede Giorgia pigola, lancia la tazzina al cliente che ha davanti e viene verso di te con gli occhi pieni di delizia. “Oh mio Dio ma è bellissima.”
“Vero?”
“Sei sicura sia tua nipote?”
Ti giri e te ne vai, perché questa stronzetta non merita di avvicinarsi alla tua pallina bionda se ti insulta.
“Pastorelli!!! Dove vai?!?!? Vieni qui maledetta, Martinettis, fammi vedere questa opera d’arte.”
Decidi che così va assolutamente meglio, torni verso di lei e sfili il cappello alla bambina, toglierle il mini piumino è un pochino più complicato, ma lo fai comunque perché all’interno del negozio ci sono circa 40°, non vuoi rischiare si ammali per lo sbalzo di temperatura. Giorgia la guarda attentamente, guarda te e poi le sfiora i tre sottilissimi peli che ha sulla testa.
“Ok, pensavo fosse la tua pallina bionda.”
“Lo è.” Ghigni felice.
“Questi non sono capelli, sono peli e sono in tutto una decina.”
“Amore di zia non ascoltare che la zia Marty sta per dire una cosa brutta.” Le tappi un orecchio con la mano e ti giri verso la tua collega socchiudendo gli occhi. “Perché non ti guardi i peli che hai nel…”
“Martinettis!!! Non davanti alla bambina!! Oh mio Dio ma come è vestita?”
Infili il cappotto sotto il braccio che tiene la bambina e la sistemi in modo che la tua collega possa ammirare il magnifico abitino con il petto rosso e la gonna scozzese che indossa, con tanto di calze e scarpe abbinate. In teoria dovrebbe avere anche una sorta di forcina per capelli della stessa fantasia, ma sui quattro peli che ha in testa non è possibile applicarla, dovresti attaccargliela con la colla, ma non pensi sua madre ne sarebbe felice.
“Dovresti vedere il vestitino da babbo Natale che le ho preso.”
“Stai svaligiando Amazon?”
“Yep.”
“Brava Martinettis.” Torna verso il bar e pulisce il pulito con l’espressione soddisfatta. “Per caso vi posso offrire qualcosa? Un caffè, un cornetto, una fetta di torta? Apro il salmone?”
Scoppi a ridere e poi arricci il naso per lo schifo. “No ti prego, salmone alle undici di mattina proprio no.”
“Perché no? Io lo mangio sempre.”
La sola idea ti rigira lo stomaco, perfino Claudia si lamenta.
Scambiate altre chiacchiere sul lavoro e sulla bambina e poi passi alla parte che davvero ti interessa.
“C’è Leila? Volevo far conoscere la bambina anche a lei, non mi sembra carino tenerla sempre fuori dalle nostre cose.” Sai perfettamente che c’è, hai visto la macchina appena sei arrivata, ma vuoi far finta non sia così.
“Si, credo che sia negli uffici. As usual.”
“Mi presti il tuo badge?” Probabilmente entrare negli uffici mentre non sei in turno, con il badge di qualcun altro e con un neonato in braccio, è la seconda o terza cosa più illegale nel regolamento Ikea.
“Of course, baby.” È per questo che tu e lei siete amiche, oltre al fatto che siete due testardissimi capricorni, dedite al lavoro e leali, non vi importa un fico secco delle regole inutili.
“Ti devo un favore.”
Agita la mano per cacciarti e stare zitta, prendi il suo badge da dietro la macchina del caffè e passi a dire a tua sorella che torni subito, Federica non si gira nemmeno a guardarti, presa com’è dagli armadi che Carlotta le sta mostrando, decidi che è una dimostrazione di fiducia e vai verso l’area dipendenti.
Ti fermi davanti all’ingresso e sospiri profondamente, dato che questa cosa è una cosa enorme nella vostra sorta di rapporto. Controlli che Claudia sia tranquilla e ne approfitti per pettinarla prima di entrare, perché farla scoppiare a piangere là dentro non sarebbe il massimo, lei ricambia il tuo sguardo con la fronte corrucciata e succhia il ciuccio con foga, il che è sempre un buonissimo segno.
La baci sulla fronte e il sorriso che ti concede è così grande da essere visibile nonostante l’ingombro davanti alla sua bocca.
“Sei pronta amore di zia?”
Non ti risponde in modo comprensibile, ovviamente, ma i suoi occhi sono pieni di fiducia, quindi lo prendi come un si.
Ti intrufoli nell’aria dipendenti e vai diretta all’ufficietto, non bussi, entri direttamente.
“Chi cavo…” rimane in silenzio appena vede che sei tu. Le sorridi il tuo sorriso più sincero e Leila ha l’espressione confusa.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Volevo presentarti qualcuno.” Sistemi il vestitino della bambina e raddrizzi la schiena.
“È la famosa nipote?”
Hai stressato tutti i colleghi per mesi con foto e video, lei compresa. Pensi di averla nominata anche qua e là durante le vostre conversazioni telefoniche, ma ultimamente non sei molto propensa a parlare della tua famiglia con Leila, non le hai nemmeno detto che ne è stato di tuo padre e non hai nessuna intenzione di perdere nemmeno un prezioso istante con lei parlando di quella triste imitazione di un uomo.
“Claudia, si.” Vorresti avvicinarti a lei perché stai provando l’assurdo bisogno di vederle insieme, di vedere Leila tenere in braccio una neonata. È lei ad alzarsi e ha la voce molto dolce ma una strana espressione che non riesci a decifrare.
“Ciao, Claudia.”
“Vuoi…?” Non sai formulare la domanda a voce, hai paura suoni strana, quindi allunghi fai in modo che la bambina si sporga leggermente verso di lei che, da buona madre, la prende senza pensarci su due volte.
Solo quando ha già in braccio la bambina sembra indecisa.
“Lei è Leila, Claudia.” Cade il silenzio e tu sbuffi. “Certo, potresti anche imparare a parlare.”
“Non è ancora piccola?”
“Compie sei mesi il giorno del tuo compleanno.”
Mormora qualcosa su quanto sembri molto più grande e credi lo stia facendo per distogliere la tua attenzione sul fatto sia leggermente arrossita. Ma tu noti ogni piccolo dettaglio di lei e questo in particolare ti sta lasciando completamente di stucco.
Davvero non credeva tu sapessi che il 19 Dicembre era il suo compleanno? Nemmeno dopo la scena imbarazzantissima del libro l’anno scorso?
Scena che probabilmente si ripeterà, solo che quest’anno al libro si è aggiunta una sciarpa in lana, che lei adora, un fine settimana a sua scelta nel vostro B&b in castello e un quadro, che non credi di riuscire a terminare in tempo per il suo compleanno e quindi speri basti il pensiero.
Leila sta in silenzio e più tiene in braccio la bambina, più il suo istinto di madre viene fuori (ed è bella togliere il fiato): le sistema il vestitino, le accarezza i capelli e la culla dolcemente, sussurrandole parole gentili.
“Ti somiglia veramente tanto.”
“Che?” Tossisci perché erano troppe ottave di troppo per la tua voce. “Non mi somiglia per nulla.”
“Ti somiglia eccome Martina.” Le poggia la punta delle dita sulla fronte, poco sopra le sopracciglia, e traccia dolcemente il contorno dei suoi occhi, le sfila il ciuccio con cautela e la bambina non si ribella, la guarda con occhi innamorati.
Forse in quello ti somiglia eccome.
“Ciao piccola Pastorelli.” Non ti spieghi perché tu sei Pastorellinetti e tua nipote Pastorelli, proprio non te lo spieghi. Claudia le sorride il suo sorriso più bello e Leila annuisce. “Ti somiglia eccome. Se non fosse che è tanto più alta di te…”
Alzi gli occhi al cielo e gliela strappi dalle mani.
“Non meriti di tenerla in braccio.”
La tua responsabile ti guarda, l’espressione che non sai decifrare è ancora lì e un brivido freddo ti attraversa la schiena, ma passa non appena si inchina a solleticare la pancia della bimba.
“È davvero molto bella.”
“Ti sta venendo voglia di farne un altro?” Alzi e abbassi le sopracciglia preparandoti a una serie infinita di lamentele su quanto la gravidanza sia fastidiosa e odiosa, ma Leila si limita a guardarvi in silenzio, si gira e si rimette a sedere.
“Certe volte parli davvero come mio figlio.”
Arrossisci “No, ti prego no.”
Ti sorride e ti fa l’occhiolino e tu sospiri perché ricordarle suo figlio è un grosso NO nella lista delle tue aspirazioni.
“Hai impegni per il 20?”
Culli Claudia che si è agitata, probabilmente perché preferiva stare in braccio a Leila e non stare con te e non la puoi sicuramente biasimare. Le rimetti il ciuccio e lo premi dolcemente con la mano per accertarti che non si esibisca nello sputo-del-ciuccio, del quale è campionessa interstellare.
“No, sono libera.” Se non sei libera, scaricherai chiunque per stare con lei.
“Il 19 sono tutto il giorno con Fabry, dice che mi vuole portare a cena.” La guardi sorridere con orgoglio e imiti il suo sorriso, tua nipote non smette di agitarsi tra le tue braccia.
“Ma per il 20, pensavo potessi venire a casa, magari cucino qualcosa e…”
Quasi ti scivola la bambina dalle braccia.
“Una cena? A casa tua?”
“Si.” Ha il volto soddisfatto di chi sta per stuzzicarti senza pietà e tu la ami un pochino di più. Se solo non ci fosse la bambina nella stanza con voi…
“Con tuo figlio.”
“Scherzi? Fossi pazza.”
Esali un respiro, perché questa reazione è normale, non volere che voi due vi incontrate è la vostra normalità. “Così voi due passate il tempo a parlare di videogames o cartoni animati…”
“Anime. Si chiamano anime e in comune abbiamo solo quelli della ghibli.”
“Ecco appunto, sarebbe come cenare con due adolescenti.” Arrossisci e vorresti difenderti ma lei ti interrompe. “In più quello scemo passerebbe il tempo a prendermi in giro perché hai passato la notte da noi.”
Ti è passata la voglia di difenderti. Può darti di adolescente quanto vuole e sfottere le tue passioni quanto le pare, fintanto che poi ti chiede di rimanere a dormire da lei.
Sorride soddisfatta “Prendo il tuo essere diventata una lampadina rossa come un si, Pastorellini.”
“Simanondevicucinare.” Respiro profondo “Possiamo prendere una pizza.”
“Davvero hai creduto io cucinassi?”
Alzi gli occhi al cielo, ma sorridi, stai per offriti di cucinare tu, che con i primi non te la cavi affatto male, ma la bambina si agita.
“Credo che stia per scoppiare a piangere.”
“Ohm…si. La riporto da mia sorella.” La culli e le fai dondolare davanti al volto il doudou che tenevi nella tasca del tuo cappotto fino a poco fa. Quando rialzi lo sguardo, Leila ti sta guardando di nuovo in modo strano, sembra spaventata e non capisci perché.
“Posso chiamarti stasera?”
Si rilassa e ti sorride. “Si, certo.”
Il cambio repentino di atteggiamento ti fa venire il dubbio la sua fosse paura tu volessi presentarla a tua sorella, e la cosa non ti sfiora nemmeno l’anticamera del cervello.
Si alza, viene accanto a voi e accarezza con tocco gentile la testa di tua nipote.
“Ciao minuscola Pastorelli e ciao anche a te Claudia.”
Sbuffi, ma lei ghigna e ti bacia sulle labbra, ti apre la porta e tu torni nel negozio con un enorme sorriso sul volto, perché sarai anche una minuscola Pastorelli, ma sei la sua minuscola Pastorelli.
Se c’è una cosa migliore al mondo, al momento non riesci nemmeno a immaginarla.

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Capitolo 56
*** ch55 - Human nature ***


ch.55 – Human nature.
 
È un pomeriggio tranquillo al lavoro, di quelli che ti lasciano il tempo di sistemare i dettagli come piace a te, cose alle quali gli altri non pensano mai e che fate solo tu e Giorgia, come controllare cosa ordinare di cartaria, o di detergenti, sanificare le macchine e controllare le scadenze di tutti i prodotti della bottega svedese.
Solite cose insomma.
Sei rilassata e felice, Natale è passato senza incidenti, per Capodanno tu e Laura avrete qualche amico a casa e mangerete molto e berranno poco, la tappa successiva è il tuo compleanno, e stai pensando di chiedere a Leila le farebbe piacere organizzare un fine settimana romantico fuori città, quando Fabrizio è da suo padre. Ometterai di definirlo romantico per evitare di ricevere un no secco come risposta, o una risata divertita.
Decisamente meglio il no secco.
“Ciao Martina.”
Ti cade la boule piena di ghiaccio di mano perché riconosci la voce, o il profumo, prima ancora di vedere chi sia. Guardi il mare di cubetti trasparenti che si è formato ai tuoi piedi valutando se sia il caso di raccoglierli, ma stai solo prendendo tempo. Si tratta di pochi secondi, ma ne hai bisogno per affrontare la tua ex suocera.
“Ciao, Antonella.”
È elegante e dignitosa come sempre e vederla riporta alla mente ogni istante che hai passato a casa sua, durante breve periodo in cui sei stata parte della sua piccola e meravigliosa famiglia, in cui ti ha consigliato libri e ha cucinato i tuoi piatti preferiti.
Come ringraziamento, tu hai spezzato il cuore alla sua preziosissima bambina.
Se vuole ucciderti, non opporrai la minima resistenza.
Ti sorride dolcemente e tu vorresti inginocchiarti e supplicare il suo perdono.
“Come stai? Come sta la tua nipotina?”
Si, hai tormentato anche lei con foto e i video.
“Bene, io sto bene e Claudia sta benissimo, grazie. Cresce un po’ troppo velocemente per i miei gusti, ma è sempre più bella.”
Annuisce “Si, crescono velocemente e diventa sempre più difficile proteggerli.”
Rabbrividisci ma capisci che la frecciatina ci stesse tutta.
“Tu come stai?” Devi stringere i denti per non chiederle come stia Anna.
Arriccia il naso e sistema un ciuffo dei suoi corti capelli biondi dietro l’orecchio.
“Le feste sono molto più difficili di quanto ci aspettassimo.”
È il loro primo Natale senza l’uomo della loro vita, puoi immaginare che le cose per loro non siano semplici, l’esatto opposto del vostro primo Natale con Claudia.
“Mi dispiace molto.” Vai a prendere un dolcetto dalla vetrina e glielo metti davanti con un sorriso, lei lo prende e i suoi occhi si riempiono di lacrime.
“Ti faccio un ginseng?”
“Si, ti ringrazio Martina.”
Stringi le labbra, metti un bicchierino di vetro in posizione e dai il via macchina.
“Lei sta decisamente peggio di me.”
Chiudi gli occhi senza avere il coraggio di girarti.
“Non le manca solo suo padre, le manchi molto anche tu.”
“Senti Antonella io…” ti giri su te stessa per cercare di spiegarle le tue ragioni, lanciando cubetti di ghiaccio qua e là, ma lei ha ancora il sorriso amorevole sul volto e ti guarda con lo stesso affetto con il quale ti ha sempre guardata.
Dimentichi cosa volessi dirle, forse perché capisci di non dover spiegare nulla.
“Mi ha raccontato tutto, in lacrime, la sera stessa.” Sorride orgogliosa “Mi ha detto anche le cose terribili che ti ha augurato e mi sono dispiaciuta.” Sbatte lentamente gli occhi.
“Me le sono meritata. Le ho spezzato il cuore. Mi sono meritata il suo odio. Il vostro odio.” Le dai il ginseng in quella sorta di deformazione professionale che ti porta a servire le persone anche se non ne sei consapevole. È come se una parte di te non potesse tollerare di vedere un caffè sfreddarsi.
“Amavi un’altra donna, non credo tu potessi fare molto altro.” Se c’è una cosa certa, è che questa conversazione ti sta confondendo parecchio. “Sei stata sincera con lei e non ti si può certo fare una colpa per i sentimenti che provi. L’amore è cieco, no? Sicuramente è irrazionale.”
“Si, suppongo di si.”
Sorseggia il suo caffè al ginseng e tu aspetti con pazienza che lei finisca, prima di lasciare che le mille domande che questa conversazione ha scatenato in te abbiano la meglio.
“Perdonami, ma non sto capendo molto bene cosa stia succedendo. Non fraintendermi, sono felice tu sia qui, sono felice di vederti e che tu non mi odi.” Batti i canini gli uni contro gli altri e gratti la cuffietta che hai in testa “Ma perché non mi odi, Antonella?”
Ride, pulisce il bicchierino dal rossetto che ci ha lasciato sopra e poi ti guarda.
“Perché conosco mia figlia, Martina. Anna provava dei sentimenti per te, ma ha iniziato a uscire con un’altra ragazza. La mia bambina è intelligente, è brillante ed è bella, esattamente come suo padre, non farà fatica a trovare qualcuno che la ami come merita.”
Sorridi e annuisci, perché sua madre ha assolutamente ragione, Anna è tutte quelle cose e merita di esse felice, ma ancora non capisci che ruolo abbia tu in tutto questo.
È palese non possa essere tu quel qualcuno.
“Io cosa…”
“Le manchi. Le manchi molto e la tua presenza le faceva bene per molte, molte cose.”
“Manca anche a me, ma non credo…”
“Molte persone pensano che trovare l’amore sia tutto nella vita, ma sono cretini che sottovalutano l’importanza di una buona amicizia. Senza i miei amici, non sarei sopravvissuta alla morte di Bruno.”
Prendi il piattino con la tazzina vuota, sempre per deformazione professionale. “Non sono sicura che farà i salti di gioia nel rivedermi.”
Alza un sopracciglio “Ti ho sempre reputata una persona intelligente, mi sbagliavo?”
“Lo sono.” O almeno ci provi.
“Allora non sottovalutare il potere dei piccoli passi, Martina.”
Credi ti stia suggerendo di provarle a scrivere una volta ogni tanto. Magari potresti mandarle gli auguri di buon anno o qualcosa del genere. Se solo tu non facessi schifo nei rapporti umani, sapresti cosa fare.
“Io…farò il possibile.”
“Oh so che lo farai. Avevi solo bisogno di una piccola spinta.”
“Grazie.” Non sei sicura di dover ringraziare o per cosa tu stia ringraziando. La tua ex suocera sembra soddisfatta.
“Posso avere un abbraccio adesso?”
“Certo.” Fai il giro del bancone, cercando di non scivolare sui cubetti di ghiaccio, e affondi nel suo abbraccio da mamma.
“È stato bello vederti.”
“Anche per me, torna a trovarmi appena puoi, ti prego.”
Ti sorride il suo sorriso di qualcuno che sa molte più cose di te. “Oh stai tranquilla, se anche non verrò io da te, sono sicura ci rivedremo presto.” Ti bacia sulla guancia e va via.
Torni al tuo posto e fissi la tazzina vuota cercando di capire cosa sia successo.
“Tutto ok?”
Annuisci senza alzare la testa perché al momento non credi di avere il diritto di guardare il viso di Leila e provare felicità per questo.
“Allora perché stai piangendo?”
Passi una mano sotto gli occhi e ti stupisci di trovarla bagnata.
“Non è nulla solo…la madre di Anna è stata qui.”
Si irrigidisce e si guarda attorno “Ti ha detto qualcosa di scortese? Devo mandarla via?”
Sbuffi una risata, asciughi un’altra lacrima e scuoti la testa
“No, al contrario, è stata molto gentile e non riesco ancora a capirlo. Ho pur sempre spezzato il cuore di sua figlia.”
“Non hai spezzato il cuore di sua figlia, sei stata sincera con lei e le hai permesso di costruire qualcosa con qualcun altro.” Ti chiedi se sei appena capitata in una puntata di black mirror e quando arriverà la sofferenza dell’incubo.
La guardi, e probabilmente il tuo volto sta esprimendo la tua incredulità, macché probabilmente, è una certezza: sei il libro più aperto nella storia delle patate lesse.
“Ti sei comportata come una persona adulta e degna di stima, Martina. Non fatico a capire perché sia stata gentile con te.”
Posi una mano sulle labbra e temi che le tue sopracciglia si siano permanentemente incollate all’attaccatura dei tuoi capelli. Non puoi, non puoi davvero aver sentito quelle parole uscire dalla sua bocca, non puoi.
“Stai respirando, Pastorellini?”
Indichi te stessa e poi lei e poi ancora e ancora.
“Tu hai detto…”
“Non è vero. Nego tutto.” Sorride ma nei suoi occhi non sembra esserci la malizia di sempre.
“Stai bene? Sembri un po’…” agiti una mano per farle capire che sembra un pochino scarica.
“Se qualcuno mi facesse un caffè, starei decisamente meglio.”
“Subito, signora.” Prepari quello che ha chiesto alla velocità della luce.
“Non dovresti passare il tempo a dirmi che sono bella e non a insultarmi?”
Ti giri così velocemente che perdi l’equilibrio, probabilmente la piccola pozzanghera che si è formata ai tuoi piedi non ha aiutato la situazione precaria delle tue ginocchia. “Certocheseibella. Seibellissimasei…”
Ride e scuote la testa. “Sei davvero una brava persona, Martina. O una brava patata lessa.” Diventa seria d’un tratto “Sei davvero una brava ragazza.”
“Nessun sfottò? Sei sicura di stare bene?” Sistemi piattino e cucchiaino davanti a lei, e poi aggiungi il perfetto tocco finale, ossia la tazzina con il caffè. Non ti premette di ritirare la mano, la prende nella sua e la accarezza dolcemente.
“Riesci a finire per le 20? Ti aspetto?” Ha lo sguardo pieno di speranza che ti sta facendo sciogliere le interiora, come sempre.
“Si, certo. Prendo mezz’ora di permesso.” Se ti guarda così, potresti chiudere il bar anche ora.
“Non c’è bisogno di…”
“Cosa avevi in mente?”
“Due passi in castello.”
Fuori ci saranno circa 6° centigradi, che con il 90% di umidità diventano -15° per le tue povere ossa, ma l’idea di stringerti a lei mentre camminate per le vie deserte di castello, godendo della magnifica vista della città illuminata delle luminarie, è talmente allettante che accetteresti anche se ci fossero davvero -50°.
L’idea di stringerti a lei in pubblico è più che altro un’illusione, ma la vedrai indossare la tua sciarpa e guardare la tua citta con occhi innamorati, va bene comunque.
“Alle otto e dieci massimo sono fuori dal negozio.”
Ti accarezza la mano e ti sorride, ma ancora sembra che manchi qualcosa.
“Ti aspetto allora.”
Quando va via, ti aspetti quasi suoni la tua sveglia o di risvegliarti tutta sudata nel tuo lettino di adolescente, perché è ancora tutto tanto bello da sembrare un sogno.
Ti basta solo ignorare il piccolo campanello d’allarme che ha iniziato a suonare nelle parti più recondite della tua mente.

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Capitolo 57
*** 56 - Twice upon a time ***


ch.56 – Twice upon a time.
 
Stai facendo girare Lagrad in tondo da ore, alla ricerca del maledetto cavallo che è corso via appena sei scesa dalla sua groppa, e pensare che l’hai pagato 1000 semptim.
Giocare a Skyrim non manca mai divertiti.
Non ti vergogni nemmeno di aver chiamato il tuo personaggio, un’elfa dei boschi con la passione per l’arcieria e la profanazione delle tombe, come un portacandele Ikea. Lo svedese si adatta proprio al fantasy, non è colpa tua.
Lagrad sta portando talmente tanta roba che cammina lentissima, hai bisogno del tuo stupido cavallo, se non lo troverai, la camminata verso una città più vicina durerà in eterno, certo, a meno che tu non lasci qualcosa per strada, ma non hai alcuna intenzione di farlo.
Laura bussa alla tua porta e tu urli da dietro la spalla. “Entra callonetta.”
La porta si apre e si richiude, il che non è da Laura, ma un drago ti ha appena attaccata e la tua coinquilina è l’ultimo dei tuoi problemi.
“Questa camera è assolutamente come me la aspettavo. Forse i libri sono pochi, ma il resto c’è tutto.”
Ti alzi in piedi di scatto e lasci cadere il controller della play, che costa un occhio della testa.
“Leila!”
“È un tardis quello?”
“Si. Come fai a…” Leila e doctor who sono un’accoppiata così strana che nemmeno la tua fervida immaginazione avrebbe potuto crearla.
“Esiste ancora Doctor who?”
“Si è...è una donna ora.” Le indichi il quadro appeso al muro e lei sembra interessata, o comunque non schifata, il che è un vero sollievo per te.
Si guarda ancora attorno, studia i dettagli di tutta la tua stanza e tu vorresti nascondere molte cose, ti senti esposta al suo giudizio e non sai cosa dire, non sai nemmeno chiederle perché sia qui.
Ma la guardi e ti innamori di lei a capo, perché è particolarmente tirata a lucido, anche se indossa dei semplici pantaloni e un maglione lungo, vederla in borghese ti fa sempre provare più amore di quello che provi di solito, come se tu potessi finalmente credere che sia una persona reale e non un prodotto della tua fantasia.
“Quello cos’è?” Indica il suo ritratto, al momento protetto da un telo in modo non venga ricoperto dalla polvere, e ingoi a vuoto. Non eri pronta a darglielo, ma è qui in camera tua ora, sarebbe infantile non farlo.
Raccogli il controller, metti in pausa il gioco, che è ripreso da quando sei uscita dall’ultima tomba profanata, il che significa che il drago ti ha uccisa. Ore di gioco perse, ma pazienza, vai verso il quadro e lo scopri, mettendoti deliberatamente tra lui e la tua musa.
Sospiri, perché ogni volta che lo guardi, ci trovi almeno cinque nuovi errori.
“Il mio regalo di Natale per te.” O il regalo d’anniversario per il vostro primo bacio, che cade tra poco più di una settimana, il giorno del tuo compleanno.
Si avvicina, porta al petto il cappotto che ha sul braccio e stringe gli occhi.
“Sono io.” La sua voce è debole e tradisce un’emozione che non avresti mai pensato di poterle causare.
Annuisci e sorridi “Sei tu.”
Hai il dubbio le si siano riempiti gli occhi di lacrime, ma è più veloce di te nel girarsi e nasconderli, guarda il dipinto con molta attenzione, allunga una mano per sfiorare il suo corpo nudo, ma si blocca poco prima di toccare il colore. Speri non pensi sia un quadro volgare, non dovrebbe, visto che l’hai disegnata in una posizione nella quale di lei si vede poco o nulla, non l’hai dipinta per il gusto di ricordarla nuda, ma per il bisogno di ritrarla in uno dei rarissimi momenti in cui è indifesa.
Il silenzio che segue ti sta mettendo a disagio, quindi prendi il quadro e il tessuto che lo ricopriva, poggi quest’ultimo sul letto e impacchetti la tua opera nel miglior modo possibile, quando ti ritieni più o meno soddisfatta glielo porgi con spavalderia.
“È per te, è il tuo regalo di compleanno o meglio, sarebbedovutoesseredelcompleannomahoimpiegatopiùtempodeldovutoperfarloquindisuppongochesiailregalodiNatale.” Prendi un respiro profondo, perché ne hai decisamente bisogno, soprattutto hai bisogno di parlare come un essere umano normale. “Scusami ci ho messo due eternità a farlo, ma non sono propriamente un’esperta, sonoalleprimearmiconipennelli.” e hai dedicato la maggior parte del tuo tempo libero alla versione di lei in carne e ossa, ma non c’è bisogno di puntualizzarlo ora.
Ti aspetti una battuta qualsiasi sul fatto tu non sia un’esperta di pennelli, ma sistema meglio il cappotto, rivelando la busta che tiene in mano, la poggia sul tuo letto insieme al cappotto e la fissa.
“È un regalo troppo grande, non lo posso accettare.”
Pensi che non ti è costato nemmeno un decimo di quanto hai pagato il fine settimana nel b&b, ma non glielo dici, ti limiti a sorridere della sua strana timidezza.
“L’ho fatto pensando a te.” Suona molto creepy come cosa, quindi è meglio precisare. “L’ho fatto con l’idea di regalartelo Leila, non posso tenerlo io. Sarebbe profondamente sbagliato.”
Chiude gli occhi e sospira.
“Ti ringrazio, è un regalo stupendo.”
Ghigni felice. “È stato un vero piacere. Lo appoggio qui, quando vai via, ricordarti di prenderlo.”
Lo rimetti sulla scrivania ripetendoti che devi ricordarti di darglielo prima che lasci camera tua. Formulando questo pensiero, capisci quanto sia strano che LEILA sia in camera tua, non vuoi sembrare scortese ma la curiosità ti sta uccidendo, devi sapere perché.
“Non prenderla nel modo sbagliato ma…a cosa devo questa visita? Ciao, a proposito.” Ti avvicini a lei e la baci sulle labbra, risponde al tuo bacio con una delicatezza che ti intenerisce il cuore.
“Oggi è arrivato il tuo regalo di compleanno, volevo dartelo.”
Arrossisci di piacere perché solo averla accanto per te è un regalo, se ci aggiungi un regalo materiale e il fatto che si ricordi sia il tuo compleanno, per te diventa un vero paradiso in terra.
“Mancano ancora molti giorni al mio compleanno.”
“È il 13, lo so. Ma avevo anche bisogno di parlarti.” Non sta guardando te, sta guardando la foto che Erik ti ha fatto la prima volta che hai preso in braccio sua figlia, tua nipote. Vai verso la cornice e la stacchi dal muro, gliela porgi e sorridi perché è una bella foto e ti fa piacere lei possa apprezzare il dettaglio della minuscola Claudia che ricambia il tuo sguardo innamorato, anche se non aveva ancora 24 ore di vita e non poteva vedere, ti ha dato fin dal primissimo momento l’impressione di riconoscere la tua voce, ricompensandoti per tutte le ore che hai passato a parlare alla pancia di tua sorella.
“È una bella foto, vero?”
Annuisce e, quando ti guarda, i suoi occhi sono leggermente umidi e indiscutibilmente determinati.
Non ti piace per nulla quanto siano determinati ora i suoi occhi.
“Dobbiamo smettere di vederci.”
Il tuo cuore si rompe in mille pezzi, più piccoli della prima volta in cui ti ha lasciata, se possibile.
Questa volta non hai nessuna intenzione di stare ferma e zitta però, questa volta difenderai il vostro rapporto con le unghie e con i denti.
“Siamo di nuovo a questo punto? Hai di nuovo così tanta paura che devi scappare da me, Leila?”
Stringe le labbra, porta la foto incorniciata al suo posto, torna da e te ti prende entrambe le mani. Ti sta guardando con tanto amore che ti manca il fiato.
Qualunque cosa uscirà dalla sua bocca, hai il terrore di non riuscire a ribattere, hai il terrore metterà davvero fine a tutto.
“Hai 35 anni, Martina. La tua vita adulta è appena iniziata e ti aspettano ancora molte cose, molte prime volte. La convivenza, il matrimonio…”
“Ho già convissuto e non ho alcuna intenzione di sposarmi.”
Inizia ad accarezzarti il dorso delle mani, comunicandoti che non è quello il punto.
“…la prima casa davvero tua e magari un figlio.”
Ti immobilizzi, il sangue nelle tue vene sta diventando ghiaccio perché improvvisamente molte cose stanno diventando chiare.
“Io non voglio un fi…” la tua voce si abbassa fino a morire, perché non puoi pronunciare quelle parole, non puoi perché un figlio lo vuoi eccome.
“Io ho 44 anni e queste cose le ho già vissute tutte, Martina. Ho un figlio meraviglioso, ho un divorzio alle spalle e non ho più l’età per riiniziare da capo, non VOGLIO riiniziare da capo, sono troppo vecchia, stanca ed egoista per farlo.” Sbuffa una risata amara “Non voglio nemmeno prendere un altro cane, figuriamoci avere un altro figlio.”
“Posso farne a meno, posso fare a meno di tutte queste cose. Io ti amo… iononposso….” Speri di essere convincente e credibile. Leila ti abbraccia e ti stringe a se, rendendoti impossibile respirare.
“No, non puoi ed io non voglio tu lo faccia, Martina. Hai una vita intera davanti e non voglio tu debba viverla a metà a causa mia.” Ispira profondamente tra i tuoi capelli “Io non posso permetterlo, Martina.”
“Ma io ti amo…io ti amo.” È l’unica cosa che puoi ribattere, perché non solo le sue ragioni sono solide, sono anche nobili.
Ti sta lasciando libera in modo tu possa essere davvero felice.
Ride, ma la sua risata è tremolante e triste, ti prende il viso tra le mani e ti guarda negli occhi. Vedere che stia piangendo ti fa piangere più forte e sei costretta a chiudere gli occhi per non vedere e non innamorarti ancora di più di lei.
“Non so come tu faccia ad amarmi, sono stata una stronza con te, ti ho usata, ho giocato con i tuoi sentimenti, ti ho lasciata come la perfetta stronza che sono e ho anche avuto la sfacciataggine di essere gelosa quando ti ho visto con un’altra.”
“Tu sei meravigliosa, tu sei…”
Sorride rassegnata “No, io sono una stronza egoista, Martina. Una stronza egoista che ha sempre fatto il buono e il cattivo tempo con te, con te che non hai fatto altro che darmi tutto quello che potevi, che amarmi come nessuno mi aveva amato mai.”
“Lasciami continuare a farlo, lasciami continuare ad amarti.”
“No, tu meriti di meglio ed io posso fare questa cosa per te, posso farlo. Posso donarti un futuro migliore Martina, posso fare in modo tu viva una vita piena e felice, che diventi l’ottima madre che so potrai diventare.”
Hai uno scoppio di pianto e ti aggrappi a lei.
“Ti prego, ti prego.” La stai supplicando senza vergogna perché non vuoi vada via, non vuoi smetta di fare il buono e il cattivo tempo con te, vuoi che sia al tuo fianco e ti insegni ad essere l’ottima madre che crede tu possa diventare.
Non vuoi vivere senza di lei.
“Starai molto meglio senza di me, te lo prometto.”
Non sai se hai parlato ad alta voce o se sia in grado di leggerti nel pensiero.
“Tu meriti di essere felice, Martina e l’unico modo è stare senza di me.”
“Sono felice con te. Io sono felice con…”
Preme le labbra contro le tue e tu non riesci a respirare ma non vuoi vada via, sei più che felice di morire in questo bacio. Ma lei si stacca e ti abbraccia, posando la guancia contro la tua, facendo mescolare le lacrime.
Trema lei e trema la sua voce. “Grazie per tutto quello che mi hai dato, Pastorellini. Mi hai fatto sentire amata, mi hai fatto sentire viva.”
“Ti prego…Leila ti supplico...”
“Trova qualcuno che ti meriti davvero e costruisci la famiglia che desideri.” Sfiora le tue labbra con le sue. “Sii felice, Martina.”
Poggia una mano sulla tua guancia e ti guarda con affetto, recupera le sue cose, quadro compreso, e ti lascia da sola con il tuo dolore.
Una parte di te vorrebbe rincorrerla, dirle che sono una marea di cazzate, che nessuna di voi due può sapere cosa vi riserva il futuro, che non può sapere da ora che volete cose diverse, l’altra parte invece capisce che lei ha ragione, non solo, capisce anche che per lei non deve essere stata una passeggiata e che l’ha fatto veramente per il tuo bene.
Ti lasci cadere sul letto e vieni attratta dalla busta che la donna che ami ha lasciato per te, la apri e temi che il tuo cuore si spezzi fisicamente in due per il dolore che provi: al suo interno c’è un libro di foto storiche di Cagliari, con tanto di aneddoti storici, e una tavola originale dello studio preparatorio del Castello errante di Howl, Calcifer acquerellato dalle mani del maestro Miyazaki in persona, il tutto attorniato da una stupenda cornice nera. Deve esserle costato un occhio della testa.
Scoppi a piangere perché la cosa più triste di tutta questa storia, è che non ti sei mai sentita tanto amata da lei quanto in questo momento.
Non puoi muoverti, non puoi respirare, non credi di poter sopravvivere ed è il momento in cui la tua Layla torna da te.
Riapri gli occhi e scoppi a ridere tra le lacrime, perché Leila e Layla si sono in qualche modo allineate e solo ora puoi vedere il finale di Flying Dragons, e capisci perché non riuscivi a vederlo.
Ti trascini verso il tuo macbook, lo accendi e ci attacchi la tavoletta grafica, pronta a disegnare il momento in cui Layla lascerà la casa di Sydney, per proteggerla dagli attacchi dei draghi e per metterle di avere una vita vera con Carol. Nell’andare via userà la magia di drago per far avere loro una bambina, e sarà il suo modo per ringraziarle per tutto quello che hanno fatto per lei.
Disegno dopo disegno capisci che è l’unica soluzione possibile, ma allo stesso modo capisci che Sydney non smetterà mai di amarla, al contrario, che questo suo gesto l’ha portata solamente ad amare di più il suo drago incasinato e pericoloso.
Take your broken hart, make it to art.
Speri che Carrie Fisher abbia ragione e che condividere la tua maledizione con Sydney ti aiuterà a sopravvivere, perché se c’è una cosa della quale che sei certa, è che non smetterai mai d’amare Leila, anche se non tornerà mai più di te.

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Capitolo 58
*** Epilogo ***


Epilogo
 
È tuo primo turno di lavoro da quando sei tornata a Cagliari, o meglio, la fine del tuo primo turno da quando sei tornata a Cagliari, e sei stata premiata con un fantastico sciopero degli autobus. Non la cosa più simpatica ti potesse capitare dopo questa giornata infinita.
Sospiri, guardi ancora una volta il tabellone degli orari per sperare di aver letto male, ma no, lo sciopero è oggi; guardi viale Marconi per vedere se qualche buon autista si sia ribellato allo sciopero, ma no, nessun ribelle tra le fila della ctm; guardi verso la scatola blu, nella speranza qualcuno sia ancora al lavoro e tu possa elemosinare un passaggio, ma no, nessuna fortuna nemmeno su quel fronte.
Laura sta lavorando in ristorante, Anna aveva una serata romantica e non vuoi essere quel tipo di ex, ora amica, che invade la sua vita e la mette in difficoltà costringendola a scegliere tra te e la nuova ragazza, dunque supponi che affronterai l’ora di camminata che ti separa da casa, nonostante la mortale stanchezza che ti sta logorando anima e corpo.
Speri solo che passare sotto l’asse mediano non comporti la tua morte.
Fai partire red, perché anche se è primavera puoi fingere sia autunno, ti sistemi la giacca di pelle sulle spalle, infili le mani in tasca e inizi a camminare, ripassando mentalmente tutti quelli che sono i tuoi nuovi compiti al lavoro, facendo mente locale su ciò che ti è stato insegnato a Genova dalla pazientissima Giulia e ricordandoti le centinaia di cose che devi controllare domani appena arrivi al lavoro: chi ha fatto i corsi necessari per lavorare al bar; che corsi di aggiornamento occorrono per assecondare le nuove direttive; trovare qualcuno in grado di scrivere in un italiano corretto e comprensibile le procedure per la pulizia delle macchine; fare un breve inventario della stanzina retrobar e…supponi ci sia abbastanza lavoro per riempire le sei ore di lavoro del tuo turno.
Ti sforzi di non chiederti se domani sarai fortunata come oggi nell’evitare lei.
D’altronde non è troppo complicato, ti basta scegliere un computer in una zona non occupata da lei: se lei è nella sala grande tu vai nell’ufficetto, senza farti travolgere dai ricordi, possibilmente, se lei vai nell’ufficetto, beh, viceversa.
Avrai fatto una decina di passi, quando una macchina si ferma accanto a te. Hai un brivido di paura, perché Cagliari sarà anche una città tranquilla e viale Marconi non è mai vuota, ma sei comunque una ragazza sola che si aggira a piedi in una zona della città in cui a piedi non va mai nessuno, dunque sei una situazione di potenziale pericolo.
O forse molto, molto peggio.
La portiera si apre, ma hai riconosciuto la macchina e rimani pietrificata, senza avere il coraggio di incontrare i suoi occhi. Non puoi sopportare ti guardino in modo diverso da come ti hanno guardata il giorno del tuo compleanno e non puoi sopportare ti guardino ancora così. Ti costringi comunque a fermare la musica e sfilare gli auricolari.
“Sali, coraggio. Non vorrai fartela a piedi.” Ride. “Anche se ne saresti perfettamente capace.”
Il suo tono è gentile, quasi dolce, e ti attraversa il corpo come un tè caldo in pieno inverno.
“Ioautobus.” Sicuramente non pensavi di trasformarti in Oriana Fallaci rivolgendole la parola per la prima volta, ma nemmeno di diventare Tarzan. Non credi di esserti mai mangiata così tante parole in una volta prima d’ora, sei quasi ammirata.
“Martina, ho un figlio che va alle superiori, so perfettamente quando c’è sciopero degli autobus. Sali in macchina, per favore.” Le ultime due parole sono pronunciate con una dolcezza tale da non lasciarti altra scelta che sospirare e obbedirle. Dopo tutto, scappare non avrebbe davvero alcun senso ora come ora: hai scelto di salire di livello e di iniziare ad occuparti della parte burocratica del reparto food, significa dover stare negli uffici, dunque condividere con lei lo spazio lavorativo.
Solo quello, se sei abbastanza fortunata, o abile.
Ti siedi, allacci la cintura e cerchi disperatamente di respirare solo con la bocca, per non sentire nessun profumo familiare, non dissoci abbastanza la tua mente da non notare che lei ha qualche attimo di ritardo, prima di inserire la marcia e partire, attimo di ritardo in cui hai sentito i suoi occhi castani su di te.
La cosa ti riempie di rabbia, paura e stanchezza.
“Allora, come è andata a Genova? Caterina ha fatto la stronza?”
Mugugni una risposta affermativa, anche se no, Catarina con te non è mai stata troppo stronza, con gli altri si, con te no. Non sai come mai.
“Penso tu abbia fatto bene a chiedere ad Alex di affidarti completamente il food, la tua mente era sprecata facendo un lavoro puramente manuale, per quanto bene tu lo facessi, ho sempre pensato tu fossi sprecata.”
Stringi il sedile tra le mani, perché non vuoi ti parli con tanta confidenza, non vuoi sentire l’orgoglio nella sua voce, come se tu le appartenessi, come se lei avesse qualche merito a riguardo.
Il suo ruolo è stato quello di distruggerti, di nuovo, e di permettere alla tua mente di credere quando le tue amiche affermavano che meritavi di meglio, e di meglio ti sei presa, almeno lavorativamente parlando.
Eppure devi stringere le labbra per non raccontarle tutto, per non dirle come è andata a Genova o condividere con lei la perenne paura di non essere in grado, di non essere all’altezza, perché la voce di tuo padre è sempre lì nella parte più profonda e antica del tuo cervello che te lo urla in continuazione.
Lei capirebbe.
Ti costringi a guardare fuori dal finestrino e ti accorgi solo ora che non ha preso l’asse mediano ma si sta dirigendo verso il centro.
“Ora ti manca solo prendere la patente e…”
“Non so cosa perché tu creda di avere il diritto di dirmi cosa devo o non devo fare.” O darti consigli in generale.
Leila sorride, nonostante tu l’abbia aggredita.
“Subito sulla difensiva.”
“Perché non dovrei difendermi da qualcuno che so giudicare male chiunque non sia in grado di cavarsela da solo? Da quel che so, per te comprende anche avere o meno la patente.” E come se non fosse passato un solo istante, ti senti di nuovo una ragazzina immatura al suo fianco.
Pastorellinellini.
Di nuovo, Leila sorride. “Trovo solo ingiusto tuo padre possa toglierti anche questo, Martina. Niente altro.”
Trattieni il respiro, perché no, non te lo aspettavi.
“È una bellissima serata.”
Riesci a sentire una sorta di nervoso celato dietro la falsa nonchalance
“Hai impegni? Devi tornare a casa?”
La guardi, sperando il tuo cervello riesca a capire così cosa ti stia dicendo, o cosa stia succedendo, ma ottenendo l’effetto opposto perché ti sembra più bella di sempre con i capelli sciolti che le incorniciano disordinatamente il volto e la tua sciarpa mollemente avvolta contro il collo.
Vorresti poterla cancellare dalla tua mente, da ogni cellula del tuo corpo.
“No, ma non vorrei nemmeno allungare questo viaggio più del necessario.” Cosa che lei ha già fatto, ma non credi ci sia bisogno di sottolinearlo, ne siete entrambe perfettamente consapevoli.
“D’ora in poi saremo costrette a presenziare alle stesse riunioni e a condividere gli uffici, Martina. Mi sembrerebbe saggio riiniziare in un ambiente neutrale e…senza testimoni indiscreti. Credo sia meglio farlo ai nostri tempi e alle nostre condizioni, se per te non è troppo.”
Non vi è ombra di aggressività nelle sue parole, non sembra volerti forzare a fare qualcosa che non vuoi fare o nella quale non sei a tuo agio, è semplicemente lì, che ti chiede qualcosa che pensa sia il bene di entrambe, e te lo sta chiedendo sinceramente, come se avesse il cuore io mano.
Sei solo una ragazza innamorata, non puoi fare altro che sospirare e sussurrare: “Cosa avevi in mente?”
“Due passi.”
Non sai perché, ma se avesse detto “portarti in albergo ad ore” sarebbe suonato molto, molto, molto meno pericoloso.
Passate il resto del viaggio in silenzio , la radio in sottofondo passa canzoni che non conosci e vorresti con metà di te stessa non fosse così, l’altra metà sta cercando disperatamente qualcosa da dire che non renda questa serata una carneficina, ma non vuoi nemmeno parlare del tempo, non con lei.
Non puoi fare discorsi da sconosciuta con lei.
Continui a far sbattere i tuoi canini fra loro mentre Leila guida per la città con più calma del solito e sembra perfettamente a suo agio nel silenzio che la circonda, ogni tanto picchietta con le dita sul volante, ma solo quando è costretta a fermare la macchina a causa di un semaforo rosso o per far passare un pedone.
Arrivate fino a viale Buoncammino e solo lì parcheggia la macchina, praticamente di fronte all’ex carcere, non sai cosa pensare della scelta della location, ma tutto sommato ti pare un luogo più che consono per la vostra resa dei conti.
Leila aspetta pazientemente tu scenda per prima dalla macchina, poi ti imita, si aggiusta la sciarpa e per un attimo hai l’impressione la stia annusando, non hai il tempo di accertartene (e non sapresti nemmeno come farlo) perché ti indica la strada verso Castello con un sorriso.
“Andiamo?”
Ok non sarà una passeggiata breve, quindi devi assolutamente trovare qualcosa da dirle o diventerai completamente pazza e ti spezzerai i canini.
Stai per infilare le mani in tasca, ma Leila si è avvicinata a te, un pochino troppo per essere una cosa platonica, quindi lasci penzolare le braccia ai lati del tuo corpo in modo a dir poco goffo, ma ogni tanto i dorsi delle vostre mani si sfiorano e sembra voluto e merda, vorresti scappare, ma il tuo corpo sta bramando un qualsiasi contatto con lei dal momento in cui la sua macchina si è fermata accanto a te, e non solo il tuo corpo, se devi essere sincera: lo stanno bramando anche il tuo cuore e la tua anima.
Non esiste modo in cui tu possa smettere di desiderare tutto di questa donna, tutto e ancora di più.
Una stanchezza mortale ti cade addosso e vorresti solo piangere.
Dovrai lavorare con lei, devi farti forza, devi essere forte e smantellare te stessa per eliminare ogni frammento di lei che si è insinuato in te.
Prendi tutto il coraggio di cui sei capace tra le mani e cerchi di chiederle: “Come stai?”
Leila sembra avere un attimo di esitazione, ma poi ti risponde.
“Sto vedendo qualcuno.”
Senti che le ginocchia stanno per cederti ma non puoi permetterti lei lo veda, devi essere una persona adulta e reagire come tale a questa orribile, terrificante informazione. Al sentirle dire che non è stato nulla di tutto quello che credevi ed è già passata al capitolo successivo.
Non che tu non sapessi che prima o poi sarebbe successo, speravi solo fosse molto, molto, molto poi. Stupidamente cerchi consolazione nella possibilità che sia un uomo. Non che questo ti consoli realmente.
“Bene, sono contenta per te. Mi fa piacere. Spero tu sia felice.” Devi stringere i pugni per non girarti e andare via, perché ora sei ad uno sputo da casa e puoi tornare a piedi.
“Martina ma cosa…” la ignori e continui a camminare, fermamente decisa a non mostrarle il tuo volto, non ora, tra venti anni forse, quando sarai riuscita a tornare ad un’espressione normale, ma non ora.
Leila blocca la tua fuga afferrandoti per una mano, cerchi comunque di sfuggirle ma le ti poggia le entrambe mani sulle spalle e sei costretta ad affrontarla e quando vedi la confusione sul suo viso perdi le ultime forze rimaste.
E l’ennesima battaglia contro lei.
“Si può sapere cosa ho detto di così terribile?”
Se vuole che ti umili traducendo a parole quello che è successo, la accontenterai, ormai non ha più importanza. Magari sarà la volta buona che smetterai di essere una perfetta idiota e sarai finalmente così ferita da imparare la lezione e allontanarti da questa donna.
“Stai vendendo qualcuno. Sei andata oltre.” Piccole frasi per mantenere il controllo, sei fiera di te. “Non c’è motivo di parlare mai più di quello che è successo tra noi. D’altronde non ha avuto nessun valore…”
Ti accarezza il viso. “Perché pensi sempre la cosa peggiore di te stessa, Pastorellinettini?”
Senti il tuo volto corrucciarsi, ma lei sorride teneramente.
“Sono sempre più convinta che anche tu dovresti iniziare a vedere qualcuno.”
Apri bocca, pronta per dar fuoco alle polveri, ma lei è più veloce di te.
“Sto andando da uno psicologo, Martina.” Riprende a camminare e tu le corri praticamente dietro perché non stai capendo assolutamente nulla e hai bisogno di capire perché il tuo cuore ha smesso improvvisamente di sanguinare e puoi quasi respirare.
Rimani in silenzio e lasci sia lei a decidere se e come continuare il discorso, anche se stai morendo dal bisogno di sapere cosa sia cambiato in questi mesi, non puoi forzarla ad aprirsi, sai perfettamente che scapperebbe alla velocità della luce.
Leila si passa le mani sul volto più volte e sospira mezza risata.
“Figa perché devi rendere le cose sempre così complicate e semplici per me, Pastorellinellini?”
“Iononstononsocosanonstofacendonulla.”
Sospira. “Certo, non stai facendo nient’altro che essere te stessa e penso il problema sia esattamente quello.”
Non smettete di camminare ma è come se tutto attorno a voi fosse perfettamente immobile.
“Quando ho sentito parlare della tua richiesta di incrementare le tue mansioni e di andare a Genova per me è…è stato un sollievo Martina. È stato un sollievo.” Sospira. “Mi hai nuovamente reso le cose molto semplici: ora era semplice riprendere la mia vita come se nulla fosse, buttarti fuori e fingere tu non ci fossi mai stata.”
Riprendi a sbattere i canini tra loro, infili le mani in tasca, temi di aver anche affossato la testa tra le spalle. Dopo tutte le belle parole dette a casa tua, quando ti ha portato i regali, hai quasi pensato, creduto, di aver fatto una qualsiasi differenza nella sua vita, come se TU potessi fare la differenza nella vita di chicchessia.
Sei una perfetta idiota.
“Ma allo stesso tempo, non è stato semplice per nulla. Smetti di essere sulla difensiva, Martina, te ne prego. Lo so che io lo merito, ma tu no. Smetti di essere sulla difensiva, smetti di pensare di essere una stupida.”
Avete appena passato l’anfiteatro romano, anche se tutto quello che potete vedere è buio, attraversate la strada e la piccola edicola che ti trovi davanti ti riporta a quando eri bambina con una forza tale che ti sembra di esserlo davvero, e rivedi tuo padre che si compra i ceci tostati per sé stesso e ride alla vostra richiesta di avere delle caramelle, un lecca-lecca o una cosa qualunque possano mangiare due bambine. Hai un brivido e non sai nemmeno tu perché, ma i due sentimenti si mescolano e forse sì, forse dovresti vedere qualcuno anche tu.
“Penso che l’unica cosa che possa definire il primo mese della tua assenza sia freddo e molto probabilmente non sarebbe cambiato nulla se qualcuno non mi avesse messo davanti alla realtà, mettendomi davanti a quello che stavo facendo.”
“Qualcuno?”
Sorride innamorata e sai già chi sia quel qualcuno. “Il mio fantastico bambino. È molto intelligente quella piccola merdina, sicuramente più di me.”
“Cosa ti ha….”
In un gesto che non ti aspettavi ti afferra la mano e non pronunci più mezza parola perché è quello che ti sta chiedendo. Non sai come hai fatto a capirlo, ma con quel gesto ti sta chiedendo aiuto, e l’unico modo che hai per aiutarla ora è stare in silenzio, dunque ti limiti a stringerle e scaldarle la gelida mano, sperando lei senta di avere tutto il tuo supporto, e amore, ma quello speri non lo senta ora.
“Ho dovuto ammettere a me stessa di non essere tanto forte quanto credevo, perché la mia forza consisteva solo nell’evitare le situazioni potenzialmente pericolose.” Sospira leggermente più a lungo del normale. “Scappavo.”
Ti salgono le lacrime agli occhi per il semplice motivo che mentre pronuncia quella difficile parola, non ti lascia la mano, rimane lì come se volesse sopporsi al tuo giudizio senza scappare, appunto.
Vorresti farle mille domande, ma sei certa sarebbero tutte inutili.
“Grazie per aver condiviso questa cosa con me.” Credi sia l’unica frase che abbia senso pronunciare ora.
“Figa, come se tu mi avessi lasciato scelta.”
Ti fermi perché sei tanto confusa che ti esplode la testa. Guardi porta di Cristina alle sue spalle nella speranza che Cagliari ti dia la forza o dia un senso a tutto con la sua solida presenza di città medioevale che ha visto sofferenze molto peggiori e complicate di quella che stai vivendo tu ora.
“Continuerò a scappare, probabilmente, ma almeno ora sono consapevole del perché e posso provare a combatterlo e tu, se vuoi, puoi aiutarmi a farlo. Ci sono cose che non credo cambieranno: non imparerò mai a cucinare, capiterà che avrò giornate tanto sgradevoli che tu e Fabry dovrete cercare di non mollarmi a me stessa, ancora non sopporto le coccoe a letto e figa, non riesco a parlare dei miei sentimenti nemmeno ora che da questo dipende il poterti avere di nuovo accanto o no. Ma Martina, ti posso promettere che non smetterò mai di tentare di migliorarmi, che farò tutto il possibile per proteggerti, che ti insegnerò tutto quello che posso, in primis a vedere che donna meravigliosa sei e ad amarti un pochino come…” stringe le labbra e chiude gli occhi, ti attira a sé e poggia la fronte sulla tua. “Forse posso imparare ad esprimere quello che provo, se avrai la pazienza di insegnarmelo.”
Ora sei tu a sbuffare una risata e vorresti dirle si, a tutto, ma sei marchiata a fuoco dalle parole che lei ha pronunciato nella settimana del tuo compleanno quindi stai ferma dove sei, respiri il suo respiro misto al suo profumo e godi del calore del suo corpo così vicino a suo, ma non dici si.
“Quando hai detto che siamo in momenti diversi della nostra vista, non avevi torto.”
“Lo so.”
“Come la…” Si stacca da te e ti poggia un dito sulle labbra, impedendoti di finire la frase. Cerchi di parlare ancora ma lei ti fa segno di stare silenzio, come se stesse cercando di sentire qualcosa, pochi secondi e anche tu senti una sorta di squittio stonato.
“Cosa pensi…”
Non ti lascia la mano e ti trascina con sé alla vostra destra, costeggiando il muro, finché non scorgete uno scatolone ed è subito chiaro il verso provenga da lì.
“Codardi, vili e infami.” È il suo commento appena scorge il piccolo contenuto peloso che cerca disperatamente di uscire da quella trappola di cartone.
Fai per inchinarti per prendere uno dei due gattini tra le mani, ma sei certa che farlo significherebbe non essere più in grado di lasciarlo andare, e non credi di poter sopravvivere ad un’altra separazione.
Leila si inchina sulle gambe e accarezza una testolina bianca con la punta delle dita.
“Forse non ho la forza di prendere un cucciolo di cane, ma magari dei gatti.” Il tuo cuore si ferma e lei si alza in piedi e ti guarda e nei suoi occhi c’è tutto il sollievo del mondo, come se avesse appena trovato la soluzione a tutti i problemi dell’intero universo.
“Mi è impensabile iniziare una convivenza e una relazione con un uomo, ma forse, una donna...” ti prende le mani e poggia ancora la fronte contro la tua. “Fabrizio è una meraviglia, ma spesso mi è impossibile capirlo, e certe volte, mi sembra che parli la tua lingua e magari, se vuoi, potresti magari…non so, aiutarmi?…e poi un giorno…” Avvicina le labbra alle tue. “…forse.”
La baci e mai nessuna parola al mondo ti è sembrata più bella della parola forse.
I gattini piangono con molta più veemenza come se voi stesse perdendo tempo.
“Figa, siete nostri da due minuti e siete già gli animali più cagacazzo che io abbia mai avuto.”
Scoppi a ridere mentre il tuo cuore esplode di gioia per quel nostri, Leila si inchina e prende le due palle di pelo, una per mano, incurante del fatto stiano cercando di morderla e graffiarla, te ne porge una che credi sia grigia, ma non ne sei sicura.
“Hai voglia di tenere questo scatolone in mano fino a Quartu, fermarci alle Vele, prendere due cose per poterli sfamare e ospitare, poi magari il mc per sfamare quella merdina di mio figlio, così poi andiamo a casa, vi presento, ceniamo e…decidiamo cosa fare.”
Non sai se si riferisca ai gatti o ad altro, ma chi sei tu per chiedere o lamentartene?
Annuisci e senti che la tua faccia si sta per aprire in due da quanto stai sorridendo, ma non hai alcuna intenzione di smettere.
Leila ti bacia sulle labbra, sempre tra le lamentele dei cuccioli, sistema nuovamente il suo nella scatola e poi fa lo stesso con il tuo.
“Se tu e Fabry fate i bravi e mangiate tutta la cena, potrei anche lasciarvi scegliere dei nomi assurdi per loro, tipo di quelle cose nerd che piacciono a voi.”
“Ti ricordo che hai chiamato il tuo cane Mayalina!” Ridi e lei ride con te.
“Ed è stato il cane perfetto. Quindi magari scelgo il nome anche per loro così smettono di essere due rompicazzo da competizione.”
Le prendi lo scatolone dalle mani e ti dispiace non poterle tenere più la mano, ma la promessa di quello che questo peso porta tra voi è decisamente più importante.
Mentre percorrete il tragitto di ritorno lei chiama suo figlio per chiedergli cosa voglia per cena e dirgli che ha due sorprese per lui e non sai decifrare se una di suddette sorprese sia tu, ma hai il terrore di scoprire se sia così.
“Leila?”
“Pastorellini?”
“Mi insegni a guidare?”
“Sarà un vero piacere farlo, Martina.”
Esattamente come hai sempre saputo, Leila sa senza bisogno tu le spieghi a parole, e sarà difficile, sarà un casino totale perché lei dovrà imparare a non scappare, ma tu dovrai imparare a non lasciarglielo fare, a non lasciare ti faccia molte altre cose, ma forse, insieme, sarete in grado di affrontare qualunque cosa.
“Se scegli dei bei nomi, potrei anche pensare di concederti le coccole a letto, dopo che abbiamo fatto altro ovviamente, Pastorellini.”

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