Dio abita al mare

di Valerie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dio abita al mare
 
 
 
A Lisi,
Per la pazienza, il sostegno
E l’infinita dolcezza.
 
 
 
 
 
Eleonora non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che le camicie dell’uomo che lei stava fissando senza ritegno da almeno dieci minuti semplicemente non esplodessero nel mal contenere tutta la muscolatura strabordante che si portava addosso.
Erano le dieci del mattino, era arrivata in ufficio da appena un’ora e già si era distratta una dozzina di volte dalla mole di lavoro che avrebbe dovuto sbrigare entro la pausa pranzo.
Il suo capo non le facilitava le cose.
Tanto bello quanto odioso, Gabriele La Torre era la persona più detestabile che Eleonora avesse mai conosciuto.
-Saccente, snob, frigido, spocchioso…- aveva iniziato ad elencare tutta una serie di deliziose qualità mentre lo guardava allontanarsi dalla scrivania della collega di fronte a lei.
-Atletico, prestante, dagli occhi azzurri così espressivi…- una voce alle sue spalle la fece sussultare.
-Frank!- sobbalzò Eleonora portandosi una mano al cuore.
-Vuoi farmi morire?- chiese voltandosi e dando un pugno alla spalla del collega.
-Ouch!- si lamentò lui -Eri così assorta nell’ammirare il grande capo che mi sembrava brutto non partecipare al tuo estatico coinvolgimento- rispose ancora giustificandosi.
Francesco, Frank per tutti quelli che avevano il privilegio di essere in confidenza con lui, era il collega preferito di Eleonora, nonché suo super amico.
-Non ammiravo proprio nessuno- sbuffò la ragazza, sistemandosi sulla sedia e riprendendo a scrivere al computer alcuni verbali di vecchie riunioni con fare stizzoso.
-Bugiarda!- la additò l’altro con fare teatrale -Sei solo una falsa-
-Frank, metti giù quel dito o ti faccio fare la fine di Frodo- lo minacciò lei continuando a guardare lo schermo davanti a sé.
-Mi spedirai a vivere in una confortevole casetta ricavata dalla terra a scrivere libri in santa pace?- chiese il ragazzo con sguardo speranzoso.
-No, ti staccherò due falangi a morsi!- gli ringhiò voltandosi verso di lui e riducendo i propri occhi a due fessure.
-Ma perché non riesci semplicemente ad ammettere che sei attratta da quella sottospecie di Adone?- le chiese sedendosi su una sedia girevole e avvicinandosi a lei con ostentato fare spazientito -Se non fosse che mi piacciono le donne, lo sarei anche io-
-Ho detto di no!- esclamò lei indignata attirando su di sé lo sguardo dei presenti.
-Ehm…- si schiarì la voce grattando un po’ la gola, imbarazzata -Scusate…- disse lanciando fugaci occhiate qua e là.
-Il tuo è solo semplice orgoglio- sentenziò Frank a bassa voce, scivolando con la sedia alla postazione a fianco e senza dare ad Eleonora la possibilità di replicare.
Le parole le rimasero sulla punta della lingua mentre guardava il suo amico rimettersi a lavoro.
Si girò soffiando aria dal naso quasi fosse un drago.
Non era attratta dal suo capo. Non c’era altro da dire.
Era sicuramente un uomo affascinante, elegante, di bell’aspetto, dal fisico scolpito, con capelli corvini e chiari occhi magnetici, tutte qualità che non si potevano affatto dire negative, ma lei lo trovava ugualmente terribile. Sapeva come far sentire a disagio le persone ed era un potere che sovente esercitava con disinvoltura e zero remore. Non aveva mai compassione per nessuno e non lo aveva mai sentito pronunciare parole di incoraggiamento ad uno dei suoi dipendenti.
Forse non lo aveva neanche mai visto ridere con uno di loro.
Freddo, distaccato, terribilmente saccente, snob, disumano.
Ok, forse disumano era un tantino eccessivo come termine, ma pensò comunque che fosse un menomato a livello emotivo.
Lo aveva intravisto di rado tirare su gli angoli della bocca in quella che poteva essere una pallida imitazione di un sorriso, magari con un qualche dirigente di azienda o di una società cliente. Immaginava si esibisse in quella performance giusto per mantenere un iter di buone pratiche sociali o qualcosa di simile.
Solo una volta gli era capitato di vederlo ridere di gusto. Si trovava nel suo ufficio e un uomo, plausibilmente una sua stretta conoscenza, lo era passato a salutare. Difficile che ciò accadesse, ma sembrava che questo amico di vecchia data fosse stato fuori dall’Italia per parecchio tempo e che si trovasse nei paraggi soltanto per qualche altro giorno. In quell’occasione, Eleonora aveva notato, gli occhi del suo capo avevano acquisito una luce diversa. Il viso aveva assunto una posa rilassata, agli angoli degli occhi si erano formate quelle caratteristiche rughette d’espressione, e i denti bianchi e regolari erano perfettamente in bella mostra.
Era spontaneo.
Francesco l’aveva redarguita più volte sul suo modo di vedere e analizzare minuziosamente il capo.
“Non fai altro che demonizzarlo!” aveva esclamato l’amico dopo il suo ennesimo commento sfavorevole nei confronti dell’uomo in questione “E lo fai perché in realtà la sua bellezza e quell’aria da uomo infallibile che lo circonda minaccia terribilmente la tua instabile autostima!”
Lei aveva cercato di controbattere a suon di “Ha la puzza sotto il naso” e “Edward Cullen è più affabile di lui”, ma Frank aveva sentenziato: Eleonora era attratta come una calamita dal suo sexy capo, ma lei, da donna indipendente ma piena di complessi quale era, non poteva accettarlo.
“Non ho l’autostima precaria” aveva continuato a blaterare lei in uno stato di totale dissenso quella volta.
“Ma se non hai voluto iscriverti in palestra perché – cito testualmente – tutti quei corpi perfetti ti mettono a disagio!”
Era vero: corpi tonici erano per la sua vista motivo di piacere, ma messi al confronto col suo, erano solo una grossa spina nel fianco.
Eleonora non aveva un fisico imponente, aveva semplicemente quelle classiche morbidezze proprie di chi non fa troppe rinunce a tavola e che gli esercizi fisici li vede giusto in qualche video tutorial su Youtube.
“Se avessi un corpo perfetto, sarebbe facile desiderarmi” pensava spesso “Ma essere scelta per ciò che mi porto dentro è quello che desidero davvero”.
Ma nonostante questi nobili propositi, si sentiva costantemente minacciata dalla perfezione che la circondava.
Sovente succedeva con le donne, con cui spesso si sentiva in competizione. Una competizione che, messa sul piano prettamente estetico, non pensava mai di poter vincere.
Con gli uomini accadeva invece che li snobbasse, per il semplice fatto di non venir lei snobbata per prima.
Per cui aveva sempre da ridire su chicchessia:
 “Quello lì? Avrà sicuramente il cervello della grandezza di una ghianda”, “Ma chi? Luca? Non sa coniugare neanche i congiuntivi!”, “Flavio è tutto fumo e niente arrosto”.
In certe occasioni, Francesco l’avrebbe volentieri presa a sberle.
“La volpe che pensa di non arrivare all’uva dice che è acerba” le citava spesso aggiustando il vecchio detto, ma Eleonora chiudeva sempre la conversazione con un sonoro sbuffo e voltandogli le spalle.
Va bene, la ragazza poteva anche avere le sue riserve, ma Gabriele La Torre era frigido, punto. E lei era allergica all’uva.
 
 
 
*****
 
 

Eleonora continuava a guardare la mediana delle lancette dell’orologio che, impertinente, sembrava non volesse schiodarsi dal quel cinquantatré.
Mancavano ancora sette lunghissimi minuti alla fine di quella estenuante giornata lavorativa.
C’erano state ben due riunioni nell’arco di quel pomeriggio e lei aveva dovuto prendere fitti appunti per entrambe.
Verbali. Verbali su verbali.
Era sommersa di documenti da sistemare e, se avessero continuato ad avere meeting a passo così sostenuto, probabilmente non avrebbe mai finito.
Dannato La Torre, lui e la sua precisione.
“Forse dovrei essergli un minimo riconoscente” pensò tra sé e sé “Visto che mi offre un lavoro e una paga profumata” concluse chinando leggermente il capo di lato.
Guardò di nuovo l’orologio.
16.57
Era decisamente ora di prepararsi per andarsene.
Si alzò da dietro la scrivania e voltandosi lanciò a Frank un’occhiata d’intesa.
Durante la pausa pranzo, infatti, i due avevano deciso di godersi un po’ di sano relax non appena usciti dall’ufficio. Un aperitivo sembrava proprio fare al caso loro.
Durante l’ultima riunione era stata tirata in ballo un’interessante iniziativa pubblicitaria per un’azienda emergente nel campo della moda e, benché fossero decisamente stanchi morti, avrebbero voluto parlarne fra di loro per trovare qualche idea originale e d’effetto da proporre al meeting successivo.
Frank faceva parte del team dei designer e Eleonora adorava vederlo al lavoro.
Nonostante i suoi studi da dattilografa la portassero a ricoprire tutt’altra mansione, a volte lei poteva essergli addirittura d’aiuto con qualche spunto o suggerimento. In quelle occasioni, lui non mancava mai di sottolineare quanto il lavoro di “raccatta appunti”, come amava definirla, fosse un totale spreco del suo talento.
Quando aveva trovato l’annuncio per il suo posto alla Marketing Tower, Eleonora, a dirla tutta, ne era rimasta stupita.
Non sapeva servisse una dattilografa in un’azienda di marketing. Poi aveva conosciuto il suo capo e tutto le era risultato più chiaro.
Quell’uomo era più preciso di un orologio svizzero. Documentava ogni riunione e all’occorrenza ne rileggeva i verbali.
Era sicuramente molto metodico, non lasciava mai nulla al caso. Insomma, una sorta di maniaco del controllo.
Sorrise fra sé. Forse Frank aveva ragione, lei era in grado di rovesciare qualsiasi medaglia, di mettere in cattiva luce qualsivoglia qualità di quel povero – a detta di lui, sia chiaro – uomo.
Guardò l’orologio per la terza volta.
Cinque in punto.
Infilò la giacca e mise la borsa sulla spalla destra pronta a scattare verso la libertà, quando la voce del suo capo la inchiodò sul posto.
-Valeri, Tosti- disse rivolgendosi prima a Francesco e poi a lei -Vorrei avere un colloquio con voi nel mio ufficio-
La terra aveva tremato.
Il resto del mondo se n’era accorto? O era stata solo lei ad accusare quelle terribili vertigini?
Non appena l’uomo voltò loro le spalle, Eleonora guardò spaesata il collega con fare interrogativo, ma da lui non ottenne altro che un’alzata di spalle.
Ecco, lo sapeva. I loro schiamazzi durante le ore di lavoro e i suoi ritardi nel redigere i verbali dell’ultima settimana avevano fatto sì che si beccassero una bella lavata di capo.
Ma era pronta a controbattere qualsiasi accusa. Dove avrebbe dovuto trovare il tempo di sistemare le bozze se lui indiceva quindici riunioni contemporaneamente?
Non era colpa sua!
Nessuno l’aveva dotata del dono dell’ubiquità alla nascita.
Per quanto riguardava le chiacchiere, avrebbe accettato con dignitoso silenzio tutte le recriminazioni formulate. Era colpevole. Nessuna condizionale per lei.
-Prego, sedetevi- disse l’uomo indicando loro le sedie poste davanti la scrivania di mogano che ammobiliava l’ufficio, ma rimanendo lui stesso in piedi accanto alla finestra.
Eleonora guardò nervosamente l’orologio alla parete, non tanto per il fastidio di essere intrattenuta oltre il suo orario di lavoro, quanto per il timore di non sapere cosa aspettarsi da quella convocazione.
-Potrà recuperare il tempo che le sto rubando come meglio crederà nei giorni a venire, signorina Tosti- si sentì dire con voce tagliente.
Eleonora tornò a guardare in viso l’uomo che aveva di fronte. I suoi occhi chiari la fissavano imperturbabili.
Per un attimo le mancò il respiro.
Cielo, come avrebbe voluto tirargli un pugno su quella mascella disegnata con una perfetta squadratura.
Lo odiava. Terribilmente. E qualsiasi cosa fosse accaduta nel mondo, lei non avrebbe mai e poi mai cambiato idea su di lui.
 
 
 
 
 
 

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
 
 
-Muoviti, El, o perderemo il taxi- la esortò Francesco avanzando a passo spedito verso l’uscita dell’aeroporto di Linate.
-Ricordami perché sono qui- chiese lei all’amico con respiro affannato raggiungendolo di corsa.
Lui la guardò serio.
-Perché La Torre ci ha fatto una proposta irrifiutabile-
-A te ha fatto una proposta irrifiutabile- precisò lei in tono polemico -Sei tu il designer di punta in questa trasferta-
-Hai ragione- ci pensò su lui – Sei qui perché mi vuoi bene e hai deciso di voler condividere con me questa fantastica prima esperienza- le sorrise smodatamente.
Non aveva tutti i torti.
Quando il capo li aveva chiamati nel suo ufficio per proporgli la trasferta nell’agenzia di moda di cui avrebbero dovuto curare il profilo marketing, scegliendo Francesco come primo designer, Eleonora era stata così felice da sentirsi commossa per l’amico.
Il problema era arrivato dopo, quando aveva capito che La Torre aveva scelto lei come stenografa da portarsi dietro. Avrebbe potuto rifiutare, a dirla tutta era stata sul punto di farlo, ma gli occhi imploranti dell’amico l’avevano fatta desistere.
“Mi avresti mandato in trasferta con quella vipera di Luisa?” le aveva chiesto lui una volta seduti al tavolino del bar in centro “Mi avrebbe sicuramente fatto sentire il terzo incomodo”.
Eleonora aveva alzato un sopracciglio con fare interrogativo.
“Il terzo incomodo?” aveva domandato sorseggiando il suo cocktail.
“El, quella gatta morta non vede l’ora di strappare a morsi le camicie che il capo indossa, per poi surfare sul suo petto ampio e muscoloso”
Per poco ad Eleonora non era uscito lo spritz dal naso.
“Non osare mai più fare metafore di questo genere!” aveva ammonito l’amico fra un colpo di tosse e l’altro cercando di riprendere a respirare normalmente.
“Non fare la pudica, tu faresti di peggio. Chi disprezza compra, lo sanno tutti” aveva risposto Francesco, zittendo immediatamente qualsiasi sua replica.
Inutile dire con quanta fatica Eleonora tentò di togliere dalla propria mente l’immagine di sé spalmata sui pettorali del suo capo. E più cercava di distogliere l’attenzione da quel punto, più il pensiero si riproponeva.
Aveva passato le successive due settimane, in attesa della partenza, ad evitare come poteva di posare lo sguardo su Gabriele La Torre e arrossendo ogni qualvolta lui le rivolgeva la parola.
-Ecco il capo- disse d’un tratto Francesco richiamando la sua attenzione e indicando un punto fra la folla.
Impossibile non notarlo. Non avrebbe potuto neanche volendo.
Era una specie di faro in mezzo al mare.
Indossava un completo casual dai colori caldi. Pantaloni e giacca erano di un beige abbastanza chiaro, mentre il maglioncino a girocollo era di un particolare color vinaccia. Il colore preferito di Eleonora.
La ragazza emise un profondo sospiro e, prima di raggiungere l’uomo, si fece mentalmente il segno della croce.
-Buongiorno- li salutò lui vedendoli arrivare.
-Buongiorno- ricambiarono il saluto all’unisono.
-Spero il viaggio sia andato bene- disse ancora facendogli cenno di seguirlo verso la postazione dei taxi.
Francesco annuì e disse che a parte una piccola turbolenza a ridosso della partenza il volo era stato perfetto.
-Vi chiedo scusa, se non avrete il tempo di ambientarvi- aggiunse La Torre alzando il braccio per far fermare un’auto dal caratteristico colore bianco -Ma abbiamo la necessità di presenziare ad una prova della sfilata dell’agenzia fra non molto. Il taxi penserà a portare i vostri bagagli in albergo-
Eleonora spalancò gli occhi.
Aveva sentito bene? Il dio greco aveva appena chiesto scusa a dei comuni mortali come loro?
Non riusciva a crederci.
Avrebbe assalito Frank con quelle osservazioni se non fosse stato che l’uomo di cui voleva spettegolare fosse seduto proprio davanti a sé.
-Francesco- disse ancora lui rivolgendosi al designer -lascerò che sia tu a dedicarti alla sfilata, mentre io e la signorina Tosti ci separeremo il tempo di un meeting con Ferrera, il dirigente d’azienda-
Eleonora guardò di sottecchi l’amico mentre rispondeva entusiasta al programma della mattinata e se la rideva sotto i baffi per la sua espressione più che contrariata.
-Voglio tornare a casa!- cantilenò al collega quando, arrivati al palazzo della Cotton Style, il capo li aveva lasciati leggermente indietro, precedendoli alla reception.
-Non ti chiama per nome- notò subito lui, ignorando la polemica del momento e tornando a poco prima, quando nel taxi La Torre aveva definito i ruoli della giornata -Cosa cavolo gli hai fatto?-
Eleonora avrebbe voluto affermare di non averci fatto troppo caso, ma non era così.
Lei notava sempre quando lui la trattava in modo differente dagli altri. Qualsiasi sottigliezza non sfuggiva mai al suo occhio critico e analitico, non da quando, almeno, quel giorno di circa un anno e mezzo prima, era avvenuto il fattaccio.
Non lo aveva mai raccontato a nessuno, neanche a Francesco, a cui sperava che prima o poi sarebbero bastate tutte le sue giustificazioni riguardo al risentimento profondo che provava nei confronti del loro capo.
Nei primi sei mesi di lavoro alla Marketing Tower, Eleonora era sempre stata cortese con lui, sorridente, disponibile. Amava mantenere dei rapporti sereni e distesi sul posto di lavoro, quindi non le riusciva difficile essere gentile e accogliente con tutti, sposandosi ciò anche con la sua natura caratteriale. Quel giorno, però, cambiò totalmente il suo assetto.
Una tempestosa sera di fine novembre, si era attardata in ufficio più del solito: Frank era andato via di corsa per assistere il padre malato e non avrebbe potuto quindi usufruire del suo solito passaggio per tornare a casa. Piovendo a dirotto, aveva deciso di aspettare che spiovesse, così da poter raggiungere a piedi la fermata della metro più vicina.
“Eleonora” l’aveva chiamata il capo, stupito di vederla ancora lì.
Lei si era giustificata subito, rassicurando l’uomo che sarebbe presto andata via. Lui aveva fatto un cenno di assenso  con la testa aggiungendo che, se avesse voluto, avrebbe potuto chiamarle un taxi.
Aveva rifiutato con tutta la cortesia del mondo. Non ce n’era bisogno, per lei non era questo grande disagio viaggiare con i mezzi pubblici.
Poi qualcosa era andato storto.
Ricordava di aver notato un fermacarte sotto ad una scrivania, in un angolo un po’ in ombra e di aver fatto un paio di passi per raccoglierlo. L’uomo era a neanche un metro di distanza, quando all’improvviso la sua caviglia destra aveva traballato. Le succedeva spesso quando portava i tacchi, motivo per cui lo faceva raramente. Ma quella mattina così grigia aveva sentito la necessità di un po’ di colore nella sua vita, quindi aveva scelto delle bellissime decolleté di un lucido verde bottiglia, intonate allo stesso colore della camicia che portava, e le aveva indossate.
Così era inciampata, cadendo rovinosamente fra le braccia del suo capo.
Fu tutto rapidissimo.
Lui le aveva evitato una brutta caduta, ma l’aveva subito dopo spinta via, imprecandole contro in malo modo di fare più attenzione a dove mettesse i piedi.
Nell’imbarazzo più totale, vistosi così respinta, Eleonora si era scusata più volte, ma niente era valso tanto da tranquillizzarlo: aveva il viso deformato da una smorfia di malcelato disgusto e con le mani non faceva altro che strusciare i palmi sul tessuto della giacca.
-Le chiamo un taxi, aspetti nella hall- fu l’ultima cosa che lo sentì dire mentre le apriva la porta dell’ufficio e le faceva cenno di uscire.
Aveva attraversato l’uscio così mortificata che non era riuscita neanche a pronunciare un ‘buonasera’.
Quel terribile senso di disagio, poi, le si era attaccato addosso quasi fosse stato uno spesso strato di gelatina appiccicosa, difficile da togliere.
L’immagine del disgusto dipinto negli occhi dell’uomo le si era stampata nella testa e ostinatamente vi era rimasta per molto tempo.
Le era stato così difficile capire come l’uomo potesse essere passato in così poco tempo dalla cortesia del passaggio in taxi a quella più che evidente stizza.
Sulle prime, in ufficio era stato difficile per lei ignorare l’accaduto. Soprattutto quando si era resa conto che non avrebbe mai ricevuto delle scuse per l'atteggiamento che le era stato riservato.
Si era ritrovata a riavvolgere il nastro di quel momento così tante volte e mai aveva trovato qualcosa che in evidenza potesse giustificare una reazione di quel tipo.
Probabilmente la poca autostima di cui spesso Francesco aveva cercato di renderla successivamente consapevole e quell’infelice incidente avevano fatto sì che si sentisse la causa principale di una così sgradevole reazione.
Quindi, la disprezzava? Allora lei lo avrebbe snobbato da lì all’eternità.
Avrebbe mantenuto un profilo professionale, certo, ma lo avrebbe ideologicamente annientato. Di lui sarebbe rimasta polvere e nient’altro.
-Io non ho fatto proprio nulla- rispose alzando le spalle e superando l’amico di qualche passo.
Francesco alzò gli occhi al cielo, esasperato.
Lui ed Eleonora avevano sviluppato una certa sintonia fin da subito. Le piaceva quella ragazza timida ma sorridente che concentrata batteva a macchina, parola per parola, tutto quello che veniva detto nelle riunioni di staff.
Il primo passo verso di lei lo aveva fatto lui: aveva messo a punto una simpatica vignetta che lo ritraeva intento a chiederle di pranzare insieme l’indomani e gliel’aveva lasciata sulla scrivania.  Ovviamente il suo personaggio rispondeva immancabilmente di sì.
Eleonora aveva trovato l’idea così originale e carina che proprio non aveva saputo rifiutare.
Avevano attirato non poco l’attenzione, all’inizio. In ufficio, pettegolezzi su una loro presunta relazione amorosa si erano diffusi con la stessa velocità con cui si diffondono video virali di gattini su Tik Tok.
Nessuno di quelli, però, aveva mai ritratto la realtà.
Quella con Frank era stata una di quelle rare condizioni che risultano chiare e trasparenti fin da subito. Entrambi cercavano null’altro che amicizia. In realtà non cercavano formalmente neanche quello. Semplicemente era ciò che era nato.
Eleonora amava il sushi, Il Signore degli anelli, ascoltare la musica con le cuffie e leggere romanzi rosa.
Francesco adorava la pizza e Il trono di spade. Aveva un vecchio giradischi nel salone di casa e nel tempo libero scribacchiava brevi storie dai toni noir e thriller.
Erano esattamente il negativo l’uno dell’altra: si incastravano alla perfezione.
Eppure, nonostante la complicità e l’intimità che in certi momenti avevano condiviso, l’uomo era riuscito a malapena a scalfire la pochezza dell’immagine che l’amica aveva di sé. 
Motivo per cui, come in quell’occasione, l’avrebbe volentieri prese e sbattuta fra le braccia di qualche bel maschione atletico e prestante, con un minimo di sale in zucca. E, checché continuava a dirne lei, Gabriele La Torre era l’uomo perfetto.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3




Quando venne presentata a Giovanni Ferrera e alla sua bellissima figlia Veronica, Eleonora era contrarietà e disappunto dalla testa ai piedi. Perché quella donna, su per giù della sua stessa età, doveva necessariamente essere tutta curve e avere un vitino da vespa così invidiabile? Aveva dei capelli lunghi di un castano chiaro, acconciati in dei boccoli dall’effetto naturale, degli occhi verdi incantevoli e un amabilissimo profilo perfetto. Sembrava una ninfa dei boschi appena uscita con grazia ed eleganza dalle acque di uno stagno incantato.
Quando gli altri furono entrati nella sala riunioni, prima di raggiungerli, El si guardò appena nella vetrata a specchio che si trovava di fronte: il riflesso le restituiva l’immagine di una donna di statura media, con dei comunissimi capelli castani, dal fisico non molto asciutto, vestita con una camicetta blu elettrico e un paio di pantaloni color panna con taglio a palazzo che le fasciavano la vita mettendo in leggera evidenza le manigliette dei fianchi.
Quanto avrebbe voluto tornare a Roma, infilarsi il pigiamone di Stitch, chiudersi in camera a guardare Orgoglio e Pregiudizio e mangiare vagonate di patatine e Mikado al cioccolato fondente.
Durante la riunione, si accorse, la cosa che più la infastidiva era, in modo del tutto irragionevole, come gli sguardi palesemente lascivi che la donna lanciava in direzione del suo capo interferissero con la sua concentrazione, rischiando di farle perdere punti salienti da trascrivere per il verbale.
-Signor La Torre- esordì il direttore della Cotton Style ad incontro concluso -Mia figlia ed io saremmo molto lieti di poterla invitare a cena, questa sera. Sul nostro yacht attraccato al club nautico di Genova si terrà uno dei tanti party che mia moglie ama organizzare per inaugurare l’inizio dell’estate- spiegò, passando un braccio intorno alla vita della figlia, quasi a voler porre l’attenzione su di lei.
“A Genova?” si ritrovò a chiedersi Eleonora stupita, alzando impercettibilmente il sopracciglio “Ci vogliono almeno due ore di macchina per arrivare lì da Milano.”
-Con il nostro elicottero impiegheremmo circa quaranta minuti- aggiunse in modo civettuolo la signorina Ferrera guardandola dritta in volto, inclinando la testa di lato e facendo ondeggiare in modo ipnotico tutti quei boccoli.
“Oh, certo! L’elicottero!” la stenografa si mise mentalmente una mano sulla fronte: come aveva fatto a non pensarci prima?
-Sarei molto felice di partecipare- rispose asciutto ma sorridente il suo capo.
Eleonora cercò di decifrarne il reale umore guardandolo di sottecchi, ma con scarsi risultati. Sembrava solo sorrisi e cortesia. Che fosse un copione di circostanza da sfoderare all’occasione giusta? La cosa la incuriosiva più di quanto avrebbe voluto.
I tre si salutarono cordialmente con il proposito di rivedersi la sera stessa, mentre Eleonora si era limitata a chinare il capo in cenno di saluto. D’altronde non era lei l’addetta alle pubbliche relazioni, ringraziando il cielo.
-Tosti, riferisca a Valeri che abbiamo appuntamento sta sera alle 19.00 nella hall dell’albergo- le disse l’uomo voltandosi leggermente verso di lei, appena usciti dalla sala riunioni.
La ragazza rimase interdetta per qualche secondo.
-Mi scusi, capo- esordì poi -Credo che l’invito fosse rivolto solo a lei- precisò, anche se in modo goffo e incerto.
Le era proprio sembrato che Ferrera stesse facendo a lui un invito esclusivo, e non si riferiva solo al party sullo yacht…
Non le risultava affatto difficile immaginare decine di finali diversi di serata a luci rosse fra il suo capo e la bellissima figlia di papà.
-Non ha nessuna importanza- rispose lui fermando improvvisamente la sua camminata e girandosi completamente a guardarla.
Eleonora quasi non gli sbatté contro.
Dio solo sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto davvero.
Fortunatamente, il suo lento andamento le permise di rimanere ad una minima distanza di sicurezza.
Alzò lo sguardo su di lui: la osservava dall’alto in basso. 
Stettero così pochi secondi, ma abbastanza perché la ragazza iniziasse a sentirsi fastidiosamente a disagio. Che diavolo di problemi aveva quel tizio?
Cercò di sostenere il suo sguardo senza cedere alla tentazione di scatenare la libera reazione della sua mimica facciale, quando lo vide alzare l’angolo destro della bocca in quello che sembrava un ghigno.
-C’è qualcosa che la fa ridere?- gli chiese con disappunto. 
Magari poteva darglielo quel tanto agognato pugno. Sembrava proprio l’occasione giusta.
-No- le disse allontanandosi finalmente da lei -Ma la smetta di alzare continuamente quel sopracciglio. Si nota anche quando lei è convinta di no- 
Eleonora strabuzzò gli occhi, imbarazzata.
Sul momento non seppe perché, ma, nonostante il profondo fastidio, si sentì invasa da una strana sensazione di calore. Come se venisse avvolta in una calda e morbida coperta.
Qualsiasi motivo imputabile alla consapevolezza che quell’uomo l’avesse guardata con intenzionalità tanto da notare un certo dettaglio veniva, dalla sua coscienza, beceramente respinto senza possibilità di ricorso.









-Non esiste!- urlò Eleonora in faccia all’amico una volta che lui fu tornato in albergo.
-El, mi dispiashe, dabbero- rispose lui tamponandosi il naso rosso dall’irritazione.
Lo aveva lasciato a malapena qualche ora prima in perfetta salute e lo ritrovava ora in stato febbricitante e pieno di muco.
-Se tu non vieni, non vado neanche io- sentenziò lei incrociando le braccia al petto e lasciandosi cadere a peso morto sulla poltrona al lato del letto.
La stanza di Frank, posta accanto a quella di El, era pressappoco come la sua. Solo i mobili erano disposti in modo leggermente diverso.
Francesco alzò gli occhi al cielo.
-Inventerò una scusa- continuò a straparlare lei.
-Do- rispose lui, con quella che doveva essere una pallida imitazione di un ‘no’, prima di soffiarsi il naso nell’ardua impresa di liberarlo un po’.
-Non fare la ragazzina- riprese a dirle in modo più perentorio e guardandola serio -Ricordati che non è solo una questione di piacere- fece una pausa.
-Uno: si tratta di lavoro. Due: sei sicuramente in grado di gestire un’antipatia. Non c’è bisogno di fare tutte queste manfrine, ogni santa volta! Tre: smettila di sentirti sempre in difetto. Sarai sicuramente circondata da ricconi con la puzza sotto il naso, belli o brutti che siano, ma tu te ne andrai in giro a spalle dritte perché non vali un micron meno di loro- 
Quel discorso, nonostante il pesante raffreddore gli desse una nota un po’ buffa, aveva tutta l’aria di essere un rimprovero.
Eleonora non disse nulla mentre puntava lo sguardo sui propri piedi.
-El…- la richiamò l’amico con tono più dolce soppesando il suo silenzio.
Non era realmente arrabbiato, solo un po’ infastidito da quel continuo sminuire gli altri, figlio legittimo dello sminuire sé stessa fino all’osso. 
-No- lo fermò subito lei guardandolo finalmente negli occhi -Hai ragione-  disse -Sto in silenzio solo perché mi sento mortificata. Non dalle tue parole- si affrettò a dire notando il rammarico sul viso dell’amico – Ma perché mi rendo conto che mi sto comportando come una sciocca…- fece una pausa.
Era come se avesse fatto una doccia fredda improvvisa. Le parole di Frank avevano lavato via buona parte delle sue sciocche recriminazioni nei confronti del mondo, o quantomeno le avevano fatto fare luce su di esse. 
Si sentiva proprio come una bambina, imbronciata e offesa di fronte ad un dispetto, pronta a vendicarsi alla prima occasione. 
Certo, le bruciava sentirsi così in errore, non poteva negarlo, ma non poteva neanche dar torto all’amico. 
Forse, Gabriele La Torre era solo un buon capro espiatorio. 
È che lei ambiva davvero ad essere vista dalla gente. 
Non avrebbe mai potuto immaginare di arrivare ad essere così schiava dell’opinione altrui, ma ad un certo punto della vita si era ritrovata ansiosa di sentirsi desiderata da qualcuno. Da qualcuno che a lei piacesse davvero.
Ma aveva osato a malapena posare gli occhi su quell’uomo, che lui l’aveva trattata in un modo inspiegabile.
La cosa, a discapito della reazione orgogliosa che aveva ostentato, l’aveva ferita.
-Vorrei solo che arrivasse il mio momento- disse poi con voce bassa e tremolante.
-Allora vai e prenditi La Torre- rispose il ragazzo dal terribile raffreddore in modo serafico. Lo disse con una tale ovvietà che Eleonora scoppiò, nonostante l’intensità del momento, in una fragorosa risata.
-No, Frank, questo è davvero impossibile- gli disse raccogliendo con l’indice della mano destra una lacrima in bilico su alcune ciglia.
-El, tu non vedi quello che vedo io- fece lui con l’aria di uno che la sa lunga.
A quel punto, Eleonora si accese di curiosità.
-La Torre ti guarda spesso quando non te ne accorgi- le spiegò -Non te l’ho mai detto perché volevo studiare bene la situazione ed evitare di dare adito a false speranze. Non sto parlando di qualche episodio sporadico- precisò notando l’espressione scettica dell’amica.
-Posso assicurarti che è successo numerose volte- fece una pausa che contribuì a creare una leggera suspense.
-Lo fa quando sei concentrata a scrivere al computer, ad esempio, o quando, con le braccia piene di faldoni, passi davanti alle vetrate del suo ufficio- 
Curvò gli angoli della bocca in un sorriso portando alla mente alcune immagini ad Eleonora inaccessibili.
-Mi fa ridere, perché mette su un espressione noncurante, indifferente, come se posasse casualmente gli occhi su di te ma, sono pronto a giocarmi il giradischi, non è affatto così-
-Non ti separeresti mai dal tuo amato giradischi, neanche per tutto l’oro del mondo!- esclamò stupita la ragazza.
-No, infatti!- rispose lui con decisione. 
Eleonora stette qualche secondo a fissare l’amico, investita per la seconda volta in poco tempo da quella piacevole sensazione di calore
Forse era arrivato il momento di vuotare il sacco. 
C’erano cose che il suo migliore amico doveva proprio sapere e lei aveva bisogno di ridefinire i contorni di quella situazione, prima di ritrovarsi con la testa sottosopra e il cuore esposto a terribili pericoli.
-Frank- esordì d’un tratto -Devo raccontarti una cosa- 








 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 
 
Aveva sempre apprezzato il mare. Proveniva lei stessa da una località balneare, anche se non tra le più rinomate. Il suo paese, steso su una sottile striscia di costa mediterranea, nella parte centrale dell’Italia, offriva a Eleonora, e a tutti i sognatori come lei, una valida via di fuga dal caos opprimente della città.
Si ritrovò a cercare di capire dove la linea dell’orizzonte si nascondesse in quel mare scuro che la notte avvolgeva rendendo indistinguibile tutto ciò che fagocitava, ma l’unica cosa che riusciva a vedere erano i riflessi che le acque intorno alla lussuosa imbarcazione restituivano delle diverse luci colorate presenti a bordo.
Alla fine aveva ceduto: si era presentata all’entrata dell’albergo in attesa del suo capo per presenziare allo sfarzosissimo party organizzato dalla signora Ferrera in persona. Non prima, però, di aver convinto Frank ad avvisare La Torre della sua assenza. Una piccola parte di sé aveva sperato che, privato del suo designer di punta, il grande capo avrebbe potuto concedere anche a lei di rimanere in hotel. Ahimè, niente di tutto quello era avvenuto.
Così, aveva dovuto cercare un abito adatto all’occasione fra i pochi indumenti che aveva infilato alla bell’e meglio dentro la sua valigia. Ovviamente nessuno era consono all’evento.
Quando fu tornata nella sua stanza, dopo la ricca conversazione tenuta con l’amico e collega, era stata sul punto di accusare un malore lei stessa circa una quindicina di volte: non poteva di certo presentarsi con quei tailleur così basic che spesso utilizzava per lavoro ad un party pieno di persone chic e con la puzza sotto al naso.
Arresa all’evidenza che svuotare la valigia per la terza volta non avrebbe fatto materializzare un abito mozzafiato sul fondo, Eleonora aveva deciso di prendere il toro per le corna e di scendere a comprarne uno che non le facesse fare la figura della segretaria sfigata di turno.
Un po’ la infastidiva dover spendere dei soldi per impressionare gente snob che non la conosceva affatto e che non avrebbe mai più incontrato nella vita.
O, più plausibilmente, mal sopportava l’idea di sentirsi a disagio, come era accaduto appena la mattina di quello stesso giorno, guardandosi allo specchio e confrontandosi con le belle donne sicuramente presenti alla festa. Il nemico pubblico numero uno era, senza ombra di dubbio, Veronica Ferrera. Perché, anche se lo avrebbe ammesso con una fatica senza precedenti, Eleonora si sentiva, in una piccola parte reclusa di sé stessa, in competizione con lei.
Analizzando razionalmente la questione, non poteva esserci nessuna competizione. Lei non concorreva davvero per la conquista delle attenzioni del suo capo, e, in ogni caso, non avrebbe di certo avuto la più remota possibilità contro la bellezza di quella donna. Eppure, se ne avesse avuto l’occasione, avrebbe tanto voluto rovesciare una scodella di Sangria in testa alla bella figlia di papà.
Aperta la porta della sua camera d’albergo, pronta per immergersi nell’ardua missione di trovare un vestito mozzafiato, Eleonora si era trovata davanti un fattorino con in mano due grosse scatole. Una di forma più o meno quadrata di colore nero e l’altra, più stretta e lunga, di un romanticissimo color rosa antico e con un enorme fiocco di seta bianca a sigillarla. Entrambe le confezioni riportavano l’iconica scritta “Dior”.
Inutile descrivere il vertiginoso senso di stupore che la colse quando le venne spiegato che erano entrambe per lei. Aveva cercato pazientemente di spiegare al fattorino che probabilmente aveva sbagliato persona, ma quello, sorridendo appena, aveva insistito dicendo che era sicurissimo che il signor la Torre avesse indicato proprio Eleonora Tosti come destinataria di quei pacchi.
-Potresti chiudere la bocca? – aveva detto a Frank dopo essere corsa in camera sua a fargli vedere l’elegantissimo vestito che il suo capo le aveva appena fatto recapitare in camera.
Era un lungo abito realizzato con chiffon di seta nero con uno scollo a trapezio e che vedeva le spalline unirsi al sottile girocollo di perle che impreziosiva il tutto. Sul retro, una profonda scollatura aggiungeva a tutta quell’eleganza un tocco decisamente sexy.
Francesco era andato totalmente su di giri, mentre Eleonora aveva avvertito un leggero fastidio all’altezza dello stomaco. Forse non era in grado lei di trovare un vestito adatto all’occasione?
L’amico l’aveva redarguita nel giro di trenta secondi nel vedere quel velo di disappunto dipinto sul suo volto. Per cui, avrebbe indossato quel vestito che morbido le ricadeva sul corpo valorizzandolo e non avrebbe alzato nessuna polemica al riguardo.
L’ultima frase che le aveva rivolto, sorridendo in modo allusivo e chiudendole immediatamente la porta in faccia per evitare di essere investito dalle sue sterili polemiche era stata “Non preoccuparti di farmi sapere che non tornerai a dormire in camera, sta notte”. In modo del tutto prevedibile, El aveva sbraitato contro la porta chiusa arrossendo dalla radice dei capelli alla punta dei piedi.
A discapito delle grandi previsioni di Frank, appena una mezz’ora dopo, Gabriele La Torre aveva mantenuto un’espressione abbastanza impassibile alla visione di Eleonora vestita in quel modo, forse, sospettava lei, manifestando una certa e fastidiosa delusione, perché il bianco capospalla di leggera pelliccia che lui le aveva fatto recapitare assieme al vestito copriva le scollature strategiche dell’abito.
Fortunatamente, il volo in aeroplano era stato abbastanza veloce ed indolore. Solamente lei, il suo capo e il signor Ferrera erano presenti a bordo e gli uomini avevano subito attaccato a parlare di affari. Eleonora aveva quasi temuto che La Torre le potesse ordinare di prendere appunti.
-Veronica ha raggiunto sua madre nel tardo pomeriggio- aveva detto d’un tratto il presidente della Cotton Style, forse notando la mancata curiosità riguardo l’assenza di sua figlia -Mia moglie desiderava molto che fosse lì ad accogliere gli ospiti insieme a lei-
Il suo capo aveva accennato un segno d’assenso e poi aveva ripreso a parlare della campagna pubblicitaria.
Eleonora voltò le spalle al mare scuro che la circondava emettendo un sonoro sospiro. Si era distaccata dalla compagnia già da diverso tempo e forse era il caso di entrare nella sala del rinfresco.
Non che ne avesse molta voglia, in realtà. Appena saliti sullo yacht, Veronica Ferrera aveva corso, o meglio ancheggiato, fino a loro in modo così fintamente contenuto, nel suo succinto vestito blu cobalto, che Eleonora aveva desiderato ardentemente buttarsi in acqua e sparire nel buio degli abissi, quando poi aveva ricordato che lei non aveva nulla da invidiare a quella donna, perché, sempre lei, non aveva mire espansionistiche sul suo sexy capo.
Poteva stuzzicare la sua fantasia, certo, tutta quella storia che Frank le aveva raccontato, ma per lei ancora contava ciò che aveva direttamente vissuto sulla propria pelle e, se davvero La Torre nutriva un qualche remoto interesse per lei – e faticava a crederlo davvero – avrebbe dovuto fare molto più che affittarle un vestito di Dior.
Perché lo aveva affittato, vero? Si ritrovò a chiedersi in preda al panico. Ma probabilmente non era quello il momento adatto per farsi venire ulteriori paranoie. Non lo aveva ancora ringraziato, in verità, per quello. Quando era giunta all’entrata dell’albergo aveva trovato i due uomini con cui avrebbe intrapreso il volo già intenti a chiacchierare di pubblicità e marketing, quindi non ne aveva avuto il modo.
-Dentro è meno umido- la voce del suo capo sopraggiunse da sinistra e subito scattò con lo sguardo verso di lui. Era davvero bello nel suo completo Gucci, mentre avanzava verso di lei con quelle che avevano tutta l’aria di essere due flûte di champagne. Le linee dell’abito esaltavano quelle del suo corpo scolpito mettendone in evidenza l’armoniosità.
-Stavo per l'appunto rientrando- si affrettò a dire staccandosi dal parapetto e riscuotendosi mentalmente da quei pensieri.
-In realtà, non si perde niente- le disse allungandole il bicchiere e poggiandosi con i gomiti alla ringhiera, guardando verso il mare buio.
-La festa non è di suo gradimento?- gli chiese lei, accettando lo champagne e sorseggiandone un goccio.
Quella quasi confidenzialità la metteva a disagio. Non era abituata a conversare con lui, non in modo naturale come quella situazione richiedeva.
Magari un po’ di alcol le avrebbe dato una spintarella.
-Tanto quanto lo è a lei- le rispose, probabilmente alludendo alla sua fuga sul ponte.
-Pensavo fosse avvezzo a questo genere di cose- gli disse, più per provocarlo che per convinzione.
-Diciamo che il mio ruolo di imprenditore richiede un certo carnet di party l’anno. Questo non rende gli eventi godibili, forse solo leggermente sopportabili-
-Non può essere una vera agonia partecipare a feste come questa. Immagino ci siano cose più sgradevoli- lo rimbeccò allora lei affiancandolo e voltandosi a guardare le tremolanti luci riflesse nell’acqua.
-Certo che sì. Ma lei ha fatto una supposizione e io mi sono sentito in dovere di argomentarla. Questo è lavoro, per me. Nulla più. Anche se, in alcuni casi, può offrire alcune occasioni piacevoli, come bere del buono champagne godendo del rilassante rumore delle onde del mare- aggiunse alzando la flûte come ad indicare il mare tutto intorno.
-Il mare rende migliore qualsiasi cosa- commentò EL guardando fissa davanti a sé con aria assorta.
Non lo disse, ma per lei il mare era sempre stato il luogo delle grandi chiacchierate con Dio.
“Dio abita al mare” aveva pensato un giorno passeggiando sulla riva di una spiaggia e lasciando le impronte sulla sabbia.
Non sapeva spiegarlo, ma un senso di meraviglia la invadeva quando rimirava il sole maestoso all’orizzonte immergersi nel mare. In quel momento, nel cuore sorgeva sempre la certezza ingenua che Dio abitasse un posto incredibile come quello e che da lì la ascoltasse, che accogliesse le sue parole silenziose quando la risacca del mare le riportava indietro.
Per un attimo ebbe l’impulso di condividere con l’uomo che aveva accanto questo piccolo segreto, ma poi si trattenne.
-A lei piace il mare?- gli chiese, invece.
-Molto, ma preferisco la montagna-
Ecco. Meno 150 punti a Gabriele La Torre.
-Tipo da trekking?- lo incalzò lei.
-Se così si può dire- le sorrise -In realtà trovo che la montagna sia un luogo che dia adito a riflessioni e meditazioni. Con i suoi paesaggi, i suoi sentieri e a volte anche le sue dure prove. Lei crede in Dio?- le chiese a bruciapelo.
Eleonora rimase un attimo interdetta. Trovava la domanda singolare e anche un po’ invadente, oltre che stranamente coincidente con i propri pensieri.
-Lei ci crede?- gli chiese di rimando, temendo un giudizio polemico sulla sua posizione.
Lui si voltò a guardarla, colpito dalla mancata risposta.
-Quando riesci ad abbracciare con lo sguardo certi panorami non puoi evitare di pensare che sì, un dio esista. Poi, però, torno alla realtà…-
Chi era quell’uomo? Cosa ne aveva fatto del suo capo? Perché, tutto d’un tratto, le raccontava certe cose? E perché lei trovava piacevole starsene lì fuori, con l’umidità che le gonfiava i capelli, a discutere dell’esistenza di Dio?
Con un sol sorso bevve lo champagne che le era rimasto nel bicchiere.
-Credo che ci stiano cercando- disse, provando a dirottare il discorso su ciò che le riusciva più facile gestire.
-Gabriele!- la voce melliflua di Veronica Ferrera li raggiunse.
-Per l’appunto- disse Eleonora a mezza bocca, ignara dell’occhiata divertita che il suo capo le aveva appena riservato.
-Gabriele- ripeté la ragazza raggiungendoli e mettendo in evidenza la profonda scollatura sul decolleté -Mio padre è impaziente di presentarti alcuni partner dell’azienda-
Ma non aveva freddo? Cos’aveva? Il riscaldamento sottocutaneo?
-Sì, certo, stavamo rientrando- disse lui prontamente.
-Vieni, potrebbero essere tutti tuoi potenziali clienti- fece ancora la ragazza con aria complice e arpionando il braccio dell’uomo con il suo.
Eleonora li seguì a qualche passo di distanza, incapace di distogliere lo sguardo da quel contatto.
Guardò con attenzione l’espressione del suo capo, ma niente tradì un ipotetico fastidio. Manteneva un’espressione cordiale e un accennato sorriso.
Scosse la testa infastidita. Magari sarebbe scivolata dallo yatch e finita in pasto agli squali. C’erano gli squali nel Tirreno?
In alternativa, avrebbe sempre potuto cercare quella famosa scodella di Sangria.
 
 
 

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