Punto e a capo

di Bebess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Ultimamente dormo poco e male, ma penso sia dovuto al fatto che ogni giorno Netflix mi fa compagnia fino alle quattro di mattina. Da qualche mese ho finito la scuola, ma non so neanche io come ho fatto. Mi ricordo una notte durante dicembre 2019, mi sono svegliato sudato e urlavo, mentre continuavo ad immaginarmi il suo viso come fosse davvero di fronte a me. La sognavo spesso durante quelle notti. Era una ragazza con i capelli lisci e scuri e mi guardava male, come se mi volesse uccidere. Ma non era giapponese, credo che fosse di una nazionalità europea ma non riuscivo a capire quale. Quella ragazza mi aveva colpito perchè non riuscivo a vedere il suo volto ma solo i suoi occhi, uno sguardo incredibilmente inquietante. Questi episodi sono durati cinque giorni e tutte le notti, ma dormivo da solo e con i miei genitori non ne parlavo. Ci sono tante cose che loro non hanno mai saputo di me, tra cui le mie notti turbolente o insonni.

A gennaio 2020 è iniziata la pandemia. Devo dire che la cosa non mi ha turbato più di tanto perchè all’epoca avevo quindici anni ma nel mio tempo libero stavo sempre in solitudine. Ma pensavo spesso alla morte, a volte la mia e a volte quella degli altri. Non mi sentivo che stessi diventando assassino perchè non avrei mai avuto la capacità e tantomeno la voglia di uccidere qualcuno. Ma c’è stato qualcosa durante la mia reclusione pandemica che mi ha cambiato. Era ormai da qualche mese che avevo questi pensieri, così un giorno ho deciso di scrivere un biglietto destinato a mia madre:

Mamma, voglio uccidermi.

Ho preso questo foglietto, sono sceso in cucina, lei era lì. L’ho guardata negli occhi e mi ha fatto un mezzo sorriso. Non parlavamo tanto. Si interessava soltanto alla mia media scolastica, ma in Giappone è un argomento molto importante. Dopo quel suo sorriso non sono riuscito a darle quel biglietto, ma in realtà sapevo fin dall’inizio che sarebbe finita così. Così sono salito di nuovo in camera. Era un po’ piccola, ma aveva un computer, la televisione e lo scaffale pieno di manga quindi poteva bastarmi. Il foglietto lo avevo tagliato il più possibile con le forbici e buttato nel cestino, un po’ colpevole perchè mi sentivo come se avessi tagliato una parte di me. Non lo facevo per mia madre, lei non entrava mai in camera mia. Da quando aveva perso mio padre a causa del covid non si interessava molto a quello che facevo io. Io stavo bene in camera mia e spesso non scendevo neanche per mangiare. Lei semplicemente lo capiva e mi lasciava il riso fuori dalla porta della mia stanza. Faceva spesso il riso perchè non aveva molta voglia di cucinare, eravamo rimasti solo io e lei. A volte avrei voluto chiederle di variare un po’ le pietanze, ma siamo sempre stati abituati a comunicare poco. Chiedendole di cucinare qualcos’altro avrebbe significato ridurre la poca comunicazione che già c’era fra noi due. Mi sentivo in colpa, così mangiavo senza dire niente e poi scendevo a pulire i piatti che avevo sporcato.

Durante il covid ero riuscito a continuare la scuola, online e a distanza. L’avevo fatto per mia madre perchè senza andare a scuola non avremmo avuto motivo di parlare. Così adesso ho finito di studiare e con mia madre parliamo solo per salutarci. Dovrei pensare all’università e al lavoro, invece mi ritrovo a finire la stagione di Naruto dopo averla vista un centinaio di volte. So che lei vorrebbe che io le dicessi qualcosa, ad esempio in quale facoltà ho intenzione di iscrivermi o avvertirla che da domani non pranzerò a casa per il lavoro e che quindi mi dovrà preparare il bento. Ma io ho già il mio mondo ed è la mia stanza. Anche se mia madre ultimamente non mi rivolge parola, io è da due giorni che ho smesso di scendere anche solo per salutarla.

E’ da quando non vado in cucina che non mangio e va bene così. Lei continua a lasciarmi il riso davanti la porta ma io non lo prendo. Forse quel foglietto che ho lasciato morisse in mille pezzi, stava cercando di dirmi che lo devo seguire? Prima mi faceva paura il pensiero della morte, ma adesso è l’unica cosa che mi tiene sveglio. A questo si aggiungono anche le parole che aveva pronunciato il mio migliore amico di scuola poco prima di salutarci: sei noioso. Eppure razionalmente sono parole così banali, ma ci penso spesso, proprio come succede con la morte. E sto pensando se forse è perchè sono noioso che vorrei morire. 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Quando sono arrivato a Milano mi sono sentito come se fossi un estraneo. Forse è dovuto al fatto che in questa città le persone sono diverse, anche se io sono toscano quindi la distanza non è poi così grande. Ma spesso mi sono chiesto: cosa ci faccio qua? Poi ho riflettuto, per l’università. 

Ho 26 anni e da poco ho finito il corso di laurea magistrale in psicologia. Sono stati gli anni più duri della mia vita. Ma non tanto per lo studio, io adoro studiare. Anche se al liceo non ero il classico secchione che passava i compiti. Il motivo per cui sono stati anni difficili è perché per tutta la durata dei due anni di università non sono riuscito a stringere legami veri e propri.  Inizialmente avevo fatto varie conoscenze, tra cui un gruppetto di studenti della mia stessa facoltà. Ma è una cosa risaputa che le amicizie vanno e vengono ed io non sono molto costante in questo. A 21 anni ho deciso di cominciare l’università, ma i miei genitori non erano molto d’accordo che io andassi a studiare a Milano. In realtà avrei potuto tranquillamente restare vicino casa, ma volevo cambiare aria e Milano mi sembrava la QuasiNewYork italiana più vicina che ci fosse. Inizialmente stavo qui grazie ai soldi dei miei genitori, ma dopo qualche mese ho cominciato nel tempo libero a fare ripetizioni di matematica ai ragazzini. Devo dire la verità, non mi piace lavorare. Vabbè, a chi è che piace? Ma bisogna farlo. Il punto è che io andrei a rubare piuttosto che cercarmi un lavoro. Mia sorella mi dice che sono un viziato, probabilmente ha ragione. Mi ama così tanto che dice anche che sono un narcisista, soltanto perchè ho una buona autostima di me e quando mi vesto ho uno stile particolare. Perchè mi piace farmi notare.

L’altra sera ero a fare un aperitivo ai Navigli e mi ferma un ragazzino per chiedermi una sigaretta. Mi guarda un attimo.

-Bro ma che ti sei messo addosso?- dice ridendo. Quella sera avevo deciso di indossare un pantalone molto stretto color arcobaleno, una maglietta a maniche corte a quadri bianco e grigio e le air force nere. Guardo il ragazzino accennando ad un sorriso.

-Fatti i cazzi tuoi, bro.-

Non sono un tipo permaloso ma piuttosto eccentrico. Ma non so perché mi ha sempre dato fastidio il gergo giovanile della nuova generazione, brofrasis, raga. Sì ok, dentro di me c’è un ottantenne. Ma comunque gli ho sorriso con una pacca sulla spalla senza nessun rancore.

-Vedi che figure di merda mi fai fare, Francesco.- dice Daniel guardandomi appena il ragazzino era ormai lontano.

Daniel è uno studente spagnolo in Erasmus in Italia da tre mesi. Rimarrà qui a Milano per un anno e in questo frangente di tempo ha deciso che io e lui siamo amici. Di letto. Anche se a lui piace chiamarmi solo amico.

-Se vuoi lo zoppo devi imparare a zoppicare.- gli rispondo sarcasticamente.

Comunque studiare mi è sempre piaciuto. E penso sia per questo motivo che sono sempre stato convinto di voler fare lo psichiatra. E’ un tipo di lavoro in cui non lavori, ma studi. Il cervello non si ferma mai perchè deve stare sempre a contatto con altri cervelli che a loro volta stanno a contatto con altri. E quindi ogni volta che hai a che fare con uno di loro, devi studiarli. Non ne puoi fare a meno. E poi un altro motivo di questa scelta è perchè  sono un po’ pazzo, quindi mi piace studiare la pazzia umana. Per poter empatizzare meglio con il paziente, chiaramente. Un’altra cosa che mi piace oltre al mio narcisismo, vestiti arcobaleno e la psicologia, sono i viaggi. Fra qualche settimana dovrò partire per una ricerca di lavoro a Tokyo e sono molto emozionato. Ho sempre voluto andare in Giappone ma non ne ho mai avuto l’occasione. E soprattutto, i soldi.

I miei genitori hanno divorziato quando ero molto piccolo, ed io essendo il fratello maggiore mi sono sentito fin da subito di avere in mano una certa responsabilità. Questo perchè mia sorella è più piccola di me di cinque anni e, oltre all’età, l’ho sempre vista piuttosto ingenua.

Quando vivevo ancora con la mia famiglia, io e mia sorella spesso abitavamo con mia madre. Mio padre era fuori casa per lavoro. Non ho mai sofferto per la loro separazione, perché non li ho mai visti effettivamente stare insieme. Invece mia sorella è sempre stata la tipica ragazza innamorata dell’amore e di un mondo tutto rosa, quindi un po’ quando ne soffriva veniva a confidarsi con me. Ma da come ne parlava, ho sempre pensato che il divorzio dei miei le sia dispiaciuto più per un’idea di famiglia tradizionale che aveva in testa piuttosto che per i miei genitori in sé.

Nonostante questo, la mia famiglia è sempre stata piuttosto unita. Entrambi i miei genitori hanno fatto sì che io apprendessi l’importanza delle mie ambizioni. Spesso penso che in passato ho approfittato della loro comprensione, a volte eccessiva, ma crescendo ho capito che ero soltanto un ragazzino immaturo. Quel ragazzino che voleva solo meno responsabilità nel prendersi cura della sorella piccola e più nel prendersi cura di se stesso. 

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Capitolo 3
*** 3. ***


Mentre mi trovo nel letto insieme a Daniel, penso a come sarà il mio prossimo viaggio. Sono così emozionato ma anche ansioso. Di solito mi sono sempre ritrovato a fare viaggi brevi o comunque nel territorio europeo. Invece adesso è la prima volta che mi spingo così lontano. Il Giappone mi ha sempre affascinato, non solo per gli anime e i manga ma proprio perché è un paese di cui spesso si parla troppo poco. Sì ok, sappiamo tutti che sono carini e gentili, hanno creato la Nintendo e lo shinkansen, ma poi? Voglio sapere cos’altro c’è. Voglio capire se la loro cultura è davvero così diversa dalla nostra. Cosa mangiano a colazione? E’ vero che lavorano sempre?
Guardo il soffitto mentre mi continuo ad interrogare sulla vita nipponica. Quando vedo Daniel che mi dà una botta leggera sul braccio mentre è sdraiato supino.
-Ah, sei sveglia principessa.-
-Mi piacciono le tue prese per il culo.- rispondo.
-E anche oggi si salta la lezione. E poi dicono che non è vero che in Erasmus non si fa niente. Io da quando sto qua ho solo scopato.-
Mi verrebbe da chiedergli se lo ha fatto solo con me, ma temo che la risposta potrebbe non piacermi e quindi evito. In realtà neanche mi interessa se ho l’esclusiva sul sesso oppure no, sono solo insicuro.
-Secondo te mi troverò bene in Giappone?-
-Non lo so, ma da chi te lo farai succhiare laggiù?-
-Cazzo, ma pensi solo a quello.-
In realtà fra i due quello che pensa di più al sesso probabilmente sono io. Ma non gliene parlo, preferisco agire.
-Vabbè.- ride.
-Chi te lo dice che andrò a secco?-
-Nessuno. Basta che ti cerchi qualche straniero. Il Giappone non è sicuramente il posto giusto per scopare. Sono freddi. E poi a te piacciono gli uomini, quindi ti devi nascondere.-
-Magari mi piacciono anche le donne, che ne sai?- ma non sono convinto neanche io dopo aver pronunciato questa frase. Infatti non sembro così serio.
 
Io e Daniel abbiamo deciso che interromperemo la nostra relazione sessuale quando partirò per il Giappone. Non ha senso tenere uno scopamico dall’altra parte del mondo, preferisco cercarmene un altro. Anche se non è il mio obiettivo principale, preferisco pensare ai miei obiettivi professionali.
Manca esattamente una settimana alla partenza e nel fine settimana andrò a Firenze per stare un po’ con la mia famiglia e portare via alcune cose che ho lasciato lì.
-Franci, sono un po’ preoccupata. Tutte quelle ore di volo.-
Mia madre è sempre stata una persona rassicurante. Tutte le volte  che devo fare qualcosa di nuovo lei mi dà sempre la carica giusta. Tipo ricordarmi a pochi giorni dalla partenza che dovrò fare venti ore di volo con la probabilità che caschi l’aereo.
-Mamma, per favore.-
Nel frattempo sento che lei ha il coltello dalla parte del manico e mi ritrovo a cercare su Chrome se ci sono stati incidenti recenti con Lufthansa.
 -Mi hai fatto venire l’ansia.-
-Mi raccomando, quando ti chiamo rispondimi.- ha lo sguardo minaccioso.
-Certo. Tranne quando sarò sulle nuvole, in quel caso la vedo dura.-
  
E’ arrivato il giorno della partenza. Il volo è alle dieci ma io sono all’aeroporto di Linate da stamattina alle sei. Ho provveduto a fare il check-in online qualche giorno fa, ma ogni volta che devo partire la mia ansia è il mio bagaglio a mano preferito.
Mi addormento su una delle sedie della sala d’aspetto. Dormo intensamente per cinque minuti, quando mi accorgo solo dopo qualche ero che i cinque minuti erano solo nella mia fantasia.
Guardo il telefono e sono le 09:15. Per poco non rischio di cadere dalla sedia. Devo muovermi e dirigermi all’imbarco prima che chiuda.
Sono le 09:50 e finalmente mi trovo seduto in aereo. Il primo scalo sarà a Monaco di Baviera e la durata del viaggio sarà di un’ora. Prima che sia troppo tardi, apro Whatsapp e scrivo un messaggio a mia madre dicendole che fra pochi minuti l’aereo decolla. Aggiungo l’emoji della bara giusto per farla tranquillizzare. Dopo un minuto ricevo subito la sua risposta ed è un dito medio, ma forse me lo merito.
Sto partendo e ancora non me ne rendo conto. Per un anno avrò a che fare con un ambiente completamente differente da ciò che sono abituato e la maggior parte del tempo vedrò occhi a mandorla. Ma non mi dispiace.
Arrivo alle 11:05 all’aeroporto di Monaco. Il volo per Tokyo sarà fra un’ora e mezza, quindi in questo frangente di tempo devo trovare qualcosa da fare. Per fortuna mi sono portato un paio di manga dietro per passare il tempo.
Sono le 12:35 e l’aereo dovrebbe partire a momenti. Guardo fuori dall’oblò e ancora non ci credo che domani mattina realizzerò uno dei miei sogni.
Sono ufficialmente partito. Mi addormento serenamente, ma dopo qualche ora mi svegliano le lamentele del tedesco affianco a me. Vorrei chiedergli perché si sta lamentando tanto, ma lo capisco appena sento l’hostess parlare con i passeggeri davanti a me.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Mi sto svegliando sempre più tardi ed ogni volta trovo la casa vuota. Quando vado giù in cucina vedo i coltelli e penso: “e se lo facessi?”. Basterebbe solo impugnare il manico e avvicinarlo alla mia gola o al braccio per porre fine a tutto e ascoltare i miei pensieri. Ma ci vuole troppa forza e io non ce l’ho, non ho tale coraggio. Forse dovrei pensare ad un’altra tecnica ugualmente efficace ma più semplice. Ma quale? Potrei farlo anche con una corda o filo di qualsiasi tipo.
Nel momento in cui nella mia testa i pensieri si fanno sempre più presenti quasi come fossero realistici, vedo una donna che mi guarda ed è proprio di fronte a me. Uscendo dalla cucina c’è la porta d’entrata e lei si trova lì. Non so chi sia ma capisco subito che è la stessa donna che appariva nei miei sogni, gli stessi che ho avuto prima del periodo della pandemia. Non riesco a pronunciare una parola, la guardo e basta. Noto che non ha il solito sguardo intimidatorio che ha sempre avuto nei miei sogni, ma è più serena. Sono immobilizzato perché non riesco a capire da dove sia potuta entrare questa donna in casa mia, visto che l’abitudine di mia madre è sempre stata quella di chiudere la porta a chiave prima di uscire per andare a lavoro. Perché oggi non l’ha fatto? Cos’è cambiato?
-Ciao.- Decido di salutarla.
Ma lei rimane lì immobile come me, senza dire niente. Noto che non mi risponde e non accenna a nessun movimento, il suo sguardo rimane fisso sul mio. Aspetto qualche minuto dopodiché comincio a sentire una lieve agitazione nel petto.
-Scusa, posso sapere chi sei?-
Continua a stare zitta. Decido allora di indietreggiare e salire in camera e mentre corro per le scale mi giro continuamente indietro per vedere se la donna mi segue. Entro in camera e mi butto sul letto.
Mi sveglio dopo due ore tutto sudato perché mi sono addormentato all’improvviso senza accendere l’aria condizionata. In questi giorni a Tokyo fa particolarmente caldo, anche se è normale nel mese d’agosto. Mi ricordo quello che è successo poche ore fa e scendo in cucina per vedere se lei è ancora lì. Accendo tutte le luci ma non c’è nessuno. Cambio stanza, vado in salotto ed è vuoto, lo stesso in bagno e nel ripostiglio. Risalgo le scale e vado in camera di mia madre, niente.
Sto cominciando ad avere paura. Vorrei chiedere a qualcuno chi è questa donna ma nessuno potrebbe mai saperlo, perchè mia madre non mi direbbe niente e non abbiamo vicini di casa. Anche oggi non ho fame, quindi ritorno in camera e gioco un po’ ai videogiochi.
Nei giorni seguenti sto poco bene di salute. Sento delle fitte allo stomaco e credo sia dovuto al fatto che è da cinque giorni che non mangio e bevo poca acqua. Sento la fame, ma voglio morire e questo è l’unico modo in cui ho il coraggio di farlo. A volte vorrei chiedere aiuto ma dubito che qualcuno mi risponderebbe, l’unica persona che c’è nella mia vita è mia madre ma continuiamo a non parlare. Avrei dovuto parlare con la donna sconosciuta, dirle di aiutarla perché è da sola e io non sono capace di starle accanto, nonostante io sia il suo unico figlio. E poi avrei voluto dirle che l’avevo già vista nei miei sogni senza neanche conoscerla, ma l’ho fatta scappare e quindi non le ho detto niente. Con questi pensieri mi riaddormento improvvisamente anche se sento il solito dolore alla bocca dello stomaco.
Mi sveglio nel cuore della notte e vedo nel mio letto la stessa donna di qualche giorno fa. E’ accanto a me e questa volta non ha più lo sguardo sereno di quando l’avevo vista giorni prima, ma ha lo sguardo inquietante dei miei sogni. Non ha vestiti, se non una maglietta bianca a maniche corte che le arriva ai fianchi. La vedo che mi fissa, ma non so cosa voglia da me e quindi decido di salutarla anche stavolta.
-Ciao.- le dico.
Non mi risponde, ma si tocca i capelli e usa le sue dita come se fossero un pettine. Fatico a capire il perché non risponde alle mie domande, ma noto che il suo sguardo da tenebroso è diventato anche piuttosto perverso. Finisce di toccarsi il solito ciuffo e si avvicina verso di me. In realtà prima non era così lontana perché avevo il suo viso di fronte a me, ma adesso ho i suoi occhi proprio a pochi centimetri dai miei.
La sua bocca è vicina al mio orecchio e penso che mi voglia sussurrare qualcosa, ma in realtà mette la sua mano destra sul mio petto e mi spinge verso il basso. Ho la testa sul cuscino e lei si trova sdraiata sopra di me a cavalcioni e non capisco cosa stia succedendo.
Vorrei chiederle qualcosa ma in un attimo mi ritrovo le sue mani che dal petto si sono spostate verso il mio collo. Non ci pensa molto a stringermi fortissimo e inizio a sentire una pressione così intensa che non riesco a respirare. Capisco che mi vuole uccidere e penso che forse se lascio che siano le sue mani a farlo piuttosto che le mie, sarà più facile. Ma la sua presa è troppo forte e comincio ad urlare dalla disperazione, sperando che qualcuno mi possa sentire.
 
Mi ritrovo in una sala d’attesa con mia madre che è accanto a me e ha lo sguardo abbassato. D’un tratto mi guardo e vedo che ho un graffio al palmo della mia mano sinistra. Vorrei chiederle perché ce l’ho ma probabilmente non lo saprebbe.
-Takahashi Hiroki.-
Vedo un uomo alto con un camice bianco che chiama il mio nome. E’ un dottore,  mi alzo seguito da mia madre e mi dirigo verso la stanza da cui proviene. Ma in realtà non riesco a capire perché mi trovo qui.
-Buonasera.-
-Buonasera, dott. Suzuki.- Risponde mia madre con un’incredibile sicurezza. Dopodichè gira la testa verso di me e mi guarda, come per dire che anche io dovrei ricambiare il saluto, ma non lo faccio.
-Da quanto tempo hai questi episodi, Hiroki?-
Questa volta si rivolge a me con uno sguardo deciso, ma anche questa volta non rispondo.
-Dottore, mio figlio non ha mai avuto episodi del genere. Me ne sarei accorta.-
Mia madre è sempre stata sicura di conoscermi, ma ultimamente sto cominciando a pensare che non sia così. Penso che se mi conoscesse davvero si sarebbe accorta di quello che mi stava succedendo negli ultimi anni.
-Capisco.- replica il dott. Suzuki continuandomi a guardare, nonostante non abbia proferito parola da quando sono entrato.
 –Penso che siano necessari più incontri con suo figlio.- riprende, spostando lo sguardo verso mia madre.
 –Dobbiamo controllare questi episodi con più attenzione, chissà dovessero ripresentarsi in futuro. Ma anche se non fosse così, un episodio singolo come questo è importante e dobbiamo capirne le cause. Ovviamente questi incontri saranno fra me e suo figlio, signora. Essendo che lui è già maggiorenne penso possa essere consenziente.-
-Certamente.-
-Possiamo prenotare un incontro dove inizieremo le sedute per la prossima settimana. Data e orario potete concordarlo direttamente in segreteria quando uscite.-
-Grazie dottore.- risponde nuovamente mia madre.
Torniamo a casa e nel tragitto entrambi stiamo in silenzio. Vorrei chiederle il perché degli incontri di cui ha parlato il dottore, ma credo siano dovuti al mal di stomaco di ieri sera.
Appena arrivati a casa faccio per salire in camera, quando mia madre si rivolge a me.
-Non mangi?- mi chiede.
Faccio no con la testa e lei non replica.
-Hiroki, il dottore di oggi era uno psichiatra. Ieri sera hai urlato per cinque minuti e non riuscivo a calmarti, così ho chiamato l’ambulanza.-
La guardo e non so che cosa dire, ma a dirla tutta, non so neanche cosa pensare.
Smorzo un sorriso e salgo in camera. Intanto mi chiedo se mia madre ha visto la donna che ieri sera voleva uccidermi, ma non ha neanche accennato all’episodio quindi presumo di no.
Prima di oggi era un mese che non uscivo di casa e non voglio uscire di nuovo la settimana prossima per andare dal dottore. Probabilmente posso non presentarmi a questo incontro senza che nessuno se ne accorga.
 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Il giorno successivo all’incontro a cui non sono andato,  sento dalla mia stanza mia madre che parla al telefono con qualcuno, penso sia il dottore.
-Sì, la ringrazio. E mi scusi ancora.- dice.
Mi butto sul letto ma mia madre bussa alla porta.
-Hiroki, scusami se ti disturbo. Ha chiamato il dott. Suzuki e mi ha detto che ieri non ti sei presentato all’appuntamento. Sai, io pago per queste visite e non voglio che mi fai perdere i soldi.-
La guardo per un attimo ma non rispondo. Dopo un minuto di silenzio riprende il discorso.
-Comportati da persona responsabile!- noto che il suo tono di voce è leggermente nervoso.
Mi guarda ma io continuo a non replicare, così chiude la porta e se ne va.
Trascorro il resto della giornata davanti al pc e mi rendo conto che la presenza di mia madre in casa sta cominciando ad infastidirmi. Mi sento irrequieto ma anche colpevole per averle confessato di aver visto quella donna che mi voleva uccidere.
Sapevo fin da subito che lei non mi avrebbe capito, ma nonostante questo ho voluto provarci.
Ho un po’ di fame anche se non vorrei mangiare, ma ormai il mio obiettivo di morire digiunando è stato distrutto dal dott. Suzuki quando sono andato in ospedale. Prima di entrare nel suo ufficio mi aveva incitato a mangiare i cosiddetti “biscotti d’accoglienza” come li chiama lui.
Sto pensando che devo trovare un altro modo di morire perché il cibo non sta funzionando.
 Intanto vado giù in cucina per cercare qualcosa e noto che accanto al frigo c’è un sacco della spazzatura con un biglietto attaccato sopra. C’è scritto “buttala per favore” e sicuramente l’ha scritto mia madre per me. Onestamente non mi va di uscire e sembra che lei non lo capisca, come il resto delle altre cose, ma oggi si è arrabbiata con me e mi sento in colpa e quindi farò questo sacrificio. I cassonetti della spazzatura si trovano a pochi metri da casa quindi non mi succederà niente.
Metto da un lato il pezzo di pane che ho addentato e prendo il sacchetto, mi metto le chiavi nella tasca posteriore dei jeans ed esco. Oggi fa meno caldo rispetto agli altri giorni, o almeno rispetto all’ultimo giorno in cui sono uscito.
Fortunatamente non c’è nessuno nei pressi di casa mia, ma considerando che è quasi ora di cena è abbastanza normale. Dopo aver buttato la spazzatura mi dirigo verso l’entrata di casa, ma ecco che vedo una persona seduta nella panchina del parco affianco: è una donna ed è girata di lato, e non so perché sono incuriosito da lei. Non ho intenzione di avvicinarmi a lei e cerco di spiarla da lontano, sperando che giri il volto perché c’è qualcosa di lei che mi è familiare e vorrei capire se la conosco. Ha i capelli che le arrivano lungo la schiena ma raccolti con una coda bassa, con un vestito giallo fino alle ginocchia e delle scarpe che sembrano essere le tipiche ciabatte da casa. Non so per quale motivo siano invernali visto che ancora la temperatura è calda, ma probabilmente sente freddo.
Mi avvicino di qualche metro ma cercando di tenere la giusta distanza fra me e lei, e finalmente si gira verso di me. La riconosco, è la stessa donna di sempre. Allora esiste davvero, non è solo frutto della mia fantasia come mi hanno fatto credere mia madre e il dott. Suzuki.
Sento che sto tremando perché ha lo sguardo ancora più duro del solito, ed ho timore.
-Scusa.- dico, con la speranza che almeno questa volta mi risponda.
Ma nel momento in cui parlo lei non mi guarda più, si volta di lato come prima.
-Non so se mi riconosci, non voglio essere scortese ma vorrei sapere perché mi segui. Non so chi sei, me lo puoi dire?- provo nuovamente ad ottenere qualche informazione.
La sua indifferenza mi fa agitare perché continuo a non ricevere risposte.
Mi guarda di nuovo con la coda dell’occhio e allora decido di prendere più coraggio e dirle quello che realmente penso.
-Senti, io ho paura. Devi dirmi chi sei, sennò chiamerò la polizia.-
Soltanto dopo aver pronunciato queste ultime parole mi ricordo che ho lasciato il cellulare a casa, quindi non posso chiamare nessuno. Lei continua a non battere ciglio e a non muoversi dalla panchina e io sento che sto andando in panico. Indietreggio e mi viene in mente che forse dovrei dirigermi verso casa per prendere il telefono. Ma chi mi dà la certezza che quando tornerò, lei sarà ancora qui? Probabilmente se ne andrà perché l’ho minacciata di chiamare la polizia. Allora decido di restare e cercare di comunicare con lei. Vorrei sedermi accanto a lei, ma ho paura e non voglio restare troppo tempo fuori. Così rimango in piedi a distanza da lei e sto in silenzio con quel barlume di speranza di sentire la sua voce per la prima volta.
Ma invece che parlare, vedo che gira il busto per prendere qualcosa alla sua destra. E’ una foto e me la porge. La guardo stranito e intanto osservo e riconosco subito l’uomo raffigurato, è mio zio, il fratello di mia madre. Mi sento ancora più confuso di prima.
-Come fai ad avere questa foto?- le chiedo, ma ovviamente non mi risponde. –Senti, cosa vuoi da me? Sto cominciando ad arrabbiarmi, anche se non mi piace urlare.-
Sento nuovamente che mi manca il respiro, come l’ultima volta che l’avevo vista. Ma l’unica differenza è che stavolta le sue mani non sono attorno al mio collo.
-Dimmi chi sei!- urlo in preda al panico.
Sono angosciato, ma in lontananza scorgo un  uomo con un cane che sta camminando verso di noi. Sento un po’ di sollievo, anche se vedere troppe persone insieme mi mette ansia. Ma in questo momento ho bisogno di aiuto e non ho il cellulare, quindi devo prendere coraggio e parlare.
Appena vedo che si sta avvicinando sempre di più a dove mi trovo io, gli parlo.
-S-scusi.-
L’uomo sta guardando il telefono non curante di ciò che gli accade intorno, e appena gli rivolgo la parola mi guarda con uno sguardo strano.
-Buonasera.- mi dice.
-Ehm…- mi tremano le mani, non sono abituato a parlare con degli sconosciuti. E soprattutto è molto strano che una persona ferma un’altra senza motivo in mezzo alla strada.
Sto temporeggiando perché non ho il coraggio di parlare, l’uomo lo capisce e fa per andarsene riprendendo a guardare il telefono.
-Scusi,c’è quella donna che mi vuole fare del male.- indico la panchina con il dito indice della mano sinistra. -Mi segue da giorni, ma non so chi sia. Mi aiuti, per favore.- riprendo.
Lui si volta, ma ho l’impressione che rimanga impassibile alla mia richiesta. Dopo aver osservato un po’ in direzione della donna, mi guarda e non dice niente.
-E’ là.- continuo ad indicare lo stesso punto.
-Figliolo, sei sicuro di stare bene? Sei da solo?-
Non capisco la sua domanda. Perché mi chiede se sto bene e se sono da solo?
-P-per favore mi aiuti. Quella donna è pericolosa.- lo incito a seguirmi e lei è ancora lì seduta, che riprende a guardarmi solo quando mi avvicino.
-E’ lei. E’ da giorni che me la ritrovo dappertutto, anche dentro casa. Ho paura. L’altra sera ha provato ad uccidermi. Oggi mi ha dato una foto di un mio parente, ma io non so chi sia questa donna. Vorrei chiamare la polizia ma ho lasciato il cellulare a casa, la prego mi faccia usare il suo telefono.-
-Io non vedo niente. Scusami, però mi sto preoccupando. Hai fatto uso di droghe?- risponde.
-No! Nessuna droga, signore. Per favore, come fa a non vederla? E’ qua seduta sulla panchina, ci sta guardando. Mi ha dato la foto.-  faccio per cercare la fotografia ma non ce l’ho fra le mani e neanche in tasca. Forse me l’ha rubata lei.
-Non trovo più la foto, ridammela!- urlo verso la donna, cercando di toccarla per smuoverla e mostrarsi all’uomo. Ma quando poso le mani su di lei, mi sembra di toccare il niente. Nonostante la foto sia sparita, lei continua ad essere presente, ma non riesco a trascinarla verso il signore.
-O sei drogato o ubriaco.- l’uomo mi sembra apparentemente tranquillo, anche se penso abbia l’intenzione di chiamare la polizia per farmi arrestare.
-Io le giuro che non bevo e non mi drogo.-
Decido di prendere il polso della donna e stringerlo sperando che finalmente l’uomo riesca a vederla.
-Non la vede? E’ qua accanto a me!- non mi risponde ed io mi accorgo che stanno per uscire delle lacrime dai miei occhi. Neanche questo sconosciuto mi vuole aiutare, eppure io sto facendo degli sforzi per parlargli.
-Dove abiti? Se vuoi ti posso accompagnare a casa e ti riposi. Sennò sono costretto a chiamare la polizia.-
Capisco che quest’uomo non vuole capire e che i miei sforzi sono vani.
-Vado da solo, abito qua vicino. Grazie comunque.-
Fa un cenno con la testa per salutarmi e io mi dirigo verso l’entrata di casa mia. Appena arrivo davanti la porta, mi volto per controllare se la donna è ancora seduta nella panchina, e mi accorgo che non c’è più. Ma sono sicuro che tornerà, ed io ho la sensazione che non riuscirò mai a liberarmi di lei.

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