Tabacco, cavalli e sangue

di Mue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Ho scritto questa storia per il tema “Giallo” del Pigiama Party di Fanworld.
E’ la prima volta che scrivo una fanfiction di questo genere, e non sono nemmeno del tutto certa di essere riuscita nell'intento. Spero, comunque, che mi darete una piccola possibilità *-*
Un grazie come sempre a whateverhappened per aver betato la storia e, in anticipo, a tutti coloro che leggeranno o commenteranno.
Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.

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Capitolo I


12 marzo, Avonfield.

Luna capì che suo marito era scomparso quando trovò la sua pipa nelle scuderie, fredda e sporca di terriccio.
Rolf non si muoveva mai senza la sua pipa; la teneva con sé anche quando non la fumava, nel taschino del mantello.
Una volta le aveva raccontato che era stato suo padre a regalargliela, poco prima di morire. Rolf a quell’epoca aveva quindici anni.
«Non ho mai capito se lo abbia fatto per affetto o con la speranza che m’intossicassi prima del tempo» aveva commentato, soffiando una nube azzurra dalle labbra.
«Perché avrebbe voluto che tu t’intossicassi?» aveva chiesto Luna, perplessa.
«A suo dire, dopo il diploma di Beauxbatons gli avrei rubato il posto di Primo Naturalista Magico Internazionale. Forse voleva impedire che accadesse.»
E aveva sbuffato un’altra nuvoletta di fumo, in silenzio.
A Luna piaceva quel fumo: era di un vivace color fiordaliso e aveva un odore dolce e aromatico molto particolare. Rolf le aveva detto che era il profumo del tabacco che usava.
«E quale usi?» aveva chiesto lei, curiosa.
«Marca Bisque Burley, il miglior tabacco degli Gnomi in circolazione; questa è la varietà di Burley Alato» aveva risposto, compiaciuto.
Burley Alato. Luna ricordava molto bene quell’odore. Naturale che lo ricordasse, dato che suo marito lo aveva sempre appiccicato addosso, persino la notte. Anzi, ormai lo considerava in tutto e per tutto il “profumo di Rolf.”
Ma da tre giorni quel profumo era scomparso. Insieme a suo marito.
E ora, con quella pipa fredda e abbandonata lì da chissà quanto tempo stretta in una mano, Luna lo realizzò pienamente.
Non si era davvero preoccupata, fino a quel momento. Non credeva che fosse necessario. Dopotutto c’erano tante ragioni per cui un uomo poteva non tornare più a casa per qualche giorno. O, almeno, così aveva pensato lei.
Però la pipa di Rolf era lì.
Ma Rolf, lì, non c’era da nessuna parte.
E Rolf non sarebbe andato da nessuna parte senza la sua pipa.
Quindi Rolf era scomparso.
E adesso che cosa faccio?, si domandò Luna.
Si sentiva un po’ attonita, spaesata… si sentiva sola. E impaurita, ma non capiva perché.
Cosa faceva la gente in questi casi? Chiedeva aiuto, sì. Luna doveva chiedere aiuto. Ma a chi? La persona che abitava più vicino era suo padre, ma a quell’ora era alla redazione del Cavillo a lavorare. A Ledbury St Catchpole c’erano i Peakes, gli zii di Rolf, ma Luna non pensava che sarebbero stati di qualche aiuto per cercare una persona scomparsa.
Poi le venne in mente una cosa che Rolf le aveva detto una sera, a letto, quando Luna stava per addormentarsi.
«Se io non ci fossi e tu avessi bisogno di qualcuno, Luna, chiama Rawdon. Lui non ti lascerà da sola.»
Rawdon Greengrass, il migliore amico di Rolf: ecco chi doveva chiamare.
Luna mise la pipa di Rolf nella tasca della sua tunica, si chiuse la porta alle spalle e si mise a correre fino alla casa, dall’altra parte del boschetto di querce che la separava dalle scuderie. Non sapeva perché corresse, ma qualcosa la spingeva a fare in fretta.
Sul davanzale del camino del salotto era rimasta ancora un po’ di Polvere Volante. Luna la gettò nel camino e cercò di parlare. Si accorse di avere la gola secca, ed era una cosa molto strana, perché non aveva affatto mal di gola.
«Villa Greengrass» disse, cercando di essere chiara.
Poi tuffò la testa tra le fiamme guizzanti che si erano levate alte nel camino.
Dall’altra parte c’era una stanza molto elegante, con i tendaggi di broccato alle finestre, tantissimi tappeti sparsi su tutto il pavimento e un paio divani foderati di velluto rosa pallido.
Su uno di questi era sdraiato mollemente un uomo biondo dal profilo squadrato, intento a sfogliare pigramente un libro dalla copertina rossa.
 «Rawdon» lo chiamò Luna.
L’uomo fece uno scatto, completamente colto alla sprovvista e si girò verso il camino. «Luna!» esclamò, attonito. Poi il suo viso si aprì nel consueto sorriso allegro che lo contraddistingueva. «E’ raro parlarti via camino. Che cos’è successo? Rolf sta… Ma che cos’hai?» domandò, tornando serio di colpo quando vide bene il viso di Luna. «Sembra che tu abbia visto un Inferius! Stai bene?»
«Davvero?» chiese Luna, stupita. Non le sembrava di avere un’espressione così spaventata. Dopotutto era molto calma.
Tentò di sorridere, ma si accorse di non riuscirci. «Sto bene.»
«Non mi sembra proprio» disse lui, avvicinandosi al focolare preoccupato. «Davvero, sembri pallida. Sei da sola? Non c’è Rolf?»
«Sì, sono da sola, e…»
«Spostati dal camino» disse Rawdon con decisione. «Vengo lì subito.»
Luna obbedì e si ritirò, tornando nel salotto di Avonfield. Si spostò dal caminetto e un secondo dopo ne emerse Rawdon, che si chinò per uscire dalla cappa e si spolverò i vestiti.
«Allora» disse, voltandosi verso di lei accigliato. «Cos’è successo? Sei davvero sicura di stare bene?»
Luna annuì. «Io sì. E’ Rolf.»
Rawdon si allarmò. «Rolf sta male?»
«Non lo so.»
«Dov’è?» chiese lui, agitato.
«Non lo so.»
Rawdon aggrottò le sopracciglia. «Come sarebbe a dire?»
«Non lo so» ripeté di nuovo Luna, e sentì qualcosa stringerle la gola. «E’ scomparso.»
Poi si rese conto che aveva il viso bagnato. Si toccò le guance e si accorse che stava piangendo.
Era dalla morte di sua madre che Luna non piangeva.
Rawdon la guardò sconcertato. «Luna, che ti prende? Su, non fare così. Ti starai sbagliando…» Tirò fuori un fazzoletto da una tasca e glielo porse. «Rolf non può essere scomparso. Sarà andato a Diagon Alley a compare qualcosa… a fare un giro a cavallo…»
Luna scosse il capo. «E’ da tre giorni che non lo vedo.»
Rawdon si fece serissimo. «Tre giorni?»
Luna annuì e tirò fuori la pipa dalla tasca della tunica. «E prima ho trovato questa. Era per terra nelle scuderie.»
L’espressione di Rawdon era indecifrabile. Prese in mano la pipa, la soppesò tra le dita e la studiò da vicino. Poi alzò gli occhi su Luna.
«Andiamo al Ministero. Subito.»

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II



12 marzo, Ministero della Magia.

«Scomparso da tre giorni?»
«Sì, Harry.»
Luna e Rawdon erano seduti su due poltroncine, dirimpetto alla scrivania del Capo degli Auror. Nessuno dei due aveva bisogno del cartellino sulla scrivania che recitava Harry J. Potter per sapere con chi stavano parlando.
Harry Potter giunse le mani davanti a sé, sul tavolo, e guardò Luna negli occhi. «Ma ne sei davvero certa?»
Rawdon, di fianco a Luna, si agitò sulla sua poltrona. «Perché, se non ne fosse certa crede che sarebbe qui a denunciare il fatto? Che lo farebbe così, per passare il tempo?» domandò, sarcastico.
«E se Harry chiede a Luna se ne è certa, crede che lo faccia per passare il tempo?» ribatté l’uomo in piedi dietro di loro, appoggiato alla parete.
Rawdon non si voltò nemmeno a guardarlo in faccia. «Ammiro il suo desiderio di partecipare alla nostra conversazione, ma non mi pare lei sia stato interpellato, Weasley» e pronunciò quel nome come se fosse un insulto.
«E non mi pare che Harry abbia interpellato lei, Greengrass» replicò a tono Ronald Weasley, Vicecapo degli Auror in carica.
«Basta» intervenne Harry, cercando di calmare gli animi. «Questo non è il momento di discutere.»
«Mi sembra che abbia cominciato lei, Potter, a mettere in discussione le parole di Luna» obbiettò Rawdon.
Harry aggrottò la fronte. «Signor Greengrass, non ho voglia di litigare con lei. L’ostilità tra Case è un vecchio ricordo di Hogwarts, ma noi siamo adulti e quindi la prego di non fare polemiche solo perché si ritrova di fronte a un ex-Grifondoro.»
Rawdon aveva un’espressione glaciale. «Io non faccio polemiche a ex-Grifondoro. Io faccio polemiche ad attuali Auror che hanno bisogno di mille scartoffie bollate per muovere anche solo un dito.»
«Ma come osa…» cominciò Ron, ma Harry gli fece un cenno con la mano.
«Le scartoffie sono necessarie a impedire favoritismi e corruzione, signor Greengrass.»
«Come no! Il giorno in cui non ci sarà corruzione al Ministero, io sarò sposato con una Mandragola!» ribatté Rawdon, ridendo senza alcuna allegria.
Harry non replicò e si rivolse a Luna. «Dimmi esattamente come sono andate le cose.»
«Non c’è molto da dire» rispose lei. «Sono tre giorni che non vedo Rolf.»
«Ma sei certa che non ti abbia lasciato un biglietto?» chiese Ron, alle loro spalle. «O magari ti ha detto di qualche impegno e poi tu te ne sei dimenticata?»
Rawdon si girò a guardarlo con lentezza raggelante. «Weasley» disse in tono estremamente garbato, «abbia cortesemente la compiacenza di sottoporsi a una cura di Shockantesimi prima di aprire di nuovo la bocca in mia presenza.»
Ron divenne paonazzo. Si portò una mano alla bacchetta, e Rawdon, con nonchalance, gli puntò la sua, già stretta in una mano. Ron si bloccò a metà del movimento, spalancando gli occhi. Evidentemente non si aspettava quella mossa.
«Basta!» sbottò Harry, alzandosi in piedi. «Non siamo qui per giocare! Ron, se Luna dice che suo marito è sparito, io le credo! Signor Greengrass, capisco che lei sia teso per la scomparsa del suo migliore amico, ma se non mette via immediatamente quella bacchetta chiamo uno dei miei uomini e la faccio scortare fuori dal Ministero!»
Entrambi obbedirono, e Rawdon si voltò di nuovo verso Harry. «Come vuole, signor Potter. Ma se sento il suo collega fare di nuovo insinuazioni sulla credibilità di Luna, gli farò avere davvero bisogno di quei Shockantesimi.»
Ron sembrava sul punto di reagire, ma un’occhiata ferma di Harry lo bloccò.
«Bene, Luna, torniamo a noi» disse quest’ultimo, schiarendosi la voce.
Luna lo guardò fisso negli occhi. «Harry, se come Ron non mi credi, non c’è problema. Tornerò a casa e lo cercherò da sola.»
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» rispose Harry, serio. «Adesso rispondi alle mie domande. Quando lo hai visto l’ultima volta?»
«L’ho detto, tre giorni fa» rispose Luna in tono ovvio.
«Sì, ma a che ora? Che cosa stava facendo? Dov’è andato?» domandò Harry pazientemente.
Luna ci pensò su un attimo. «Era mattina. Io ero ancora a letto, e lui si è vestito perché doveva andare alle scuderie a far uscire i cavalli.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«Oh, sì» disse Luna, sorridendo, felice di poter rispondere. «Ha visto che ero sveglia e mi ha detto: “Buongiorno.” Poi mi ha baciato e sembrava che volesse tornare a letto, ma alla fine si è alzato e se n’è andato.»
Guardò Harry, che sembrava vagamente a disagio ad ascoltare il resoconto di una scena domestica così intima.
«Non ha, ehm, fatto o detto altro?» chiese lui.
«No, niente» rispose Luna serenamente. «Avrebbe dovuto? C’è qualcosa di strano in come si è comportato?»
«No» rispose Harry in fretta, palesemente a disagio.
Rawdon, di fianco a Luna, si mise a ridacchiare.
«E poi non l’hai più rivisto?» proseguì Harry ostentando un tono quanto più professionale possibile.
Luna scosse il capo. «No.»
«E nemmeno sentito? Non so, la sua voce da lontano… quanto distano le scuderie dalla casa?»
«Non saprei. Credo più di cinquanta metri…» disse Luna, dubbiosa.
«Ottanta metri.» La voce di Rawdon colse tutti di sorpresa. «In mezzo c’è un boschetto di querce, ed è difficile sentire le voci da una parte all’altra. Inoltre la casa ha mura solide e vetri spessi, e all’interno si sentono a malapena i rumori del giardino. Quindi» e piantò gli occhi seri addosso a Harry, «anche se fosse successo qualcosa, è difficile che Luna possa essersene accorta.»
Harry lo studiò con interesse. «Lei sembra molto informato, signor Greengrass.»
Rawdon scrollò le spalle. «Rolf è mio amico da anni. Sono andato a trovarlo così spesso che praticamente conosco la casa a memoria.»
Harry annuì con il capo, ma se anche in quel momento pensò a qualche ipotesi sull’accaduto, non la espresse ad alta voce.
«Ma perché hai aspettato tanto per venire a denunciare la scomparsa, Luna?» chiese rivolgendosi a lei. «Non ti sei insospettita quando non è tornato a casa la sera?»
Luna scosse il capo, tranquilla. «No, pensavo che fosse tutto a posto.»
«Tuo marito non torna a casa la sera e pensi che sia tutto a posto?» intervenne Ron, sbalordito.
Luna lo guardò placida. «Sì.»
«E’ già successo che non ti avvertisse e rimanesse fuori di casa la notte?» chiese Harry.
Luna fece un cenno di diniego. «Mi ha sempre avvertita.»
«E non ti sei insospettita» fece lui, e fu più una costatazione che una domanda.
Luna annuì.
Harry fece un lungo sospiro, come di rassegnazione. «E quando non l’hai visto il giorno dopo, non ti è sembrato strano?»
Luna scrollò le spalle. «A volte Rolf va a letto mentre io già dormo, e si alza quando non sono ancora sveglia» rispose serenamente.
«Ma per le ore dei pasti? Di solito non rientra in casa a mangiare?»
Luna annuì. «Sì, ma forse non aveva fame. Oppure era andato da qualche amico e si era dimenticato di avvertirmi. Non mi era venuto in mente che potesse essere sparito.»
Ron fece un verso esasperato. «A questo punto vorrei davvero sapere che cosa ti ha convinta che sia sparito, se nessuna delle altre cose ti ha insospettita.»
Luna tirò fuori la pipa di corno di Rolf dalla borsa che teneva in grembo. «Questa» disse con semplicità.
Harry la prese in mano e la esaminò. «Sembra intatta.»
«Lo è.»
«E non ci sono macchie di sangue.»
Luna spalancò gli occhi. «Dovrebbero?»
«No, certo che no. Però non capisco allora cosa ci sia in questa pipa che ti abbia convinta della scomparsa di tuo marito.»
«Rolf non va mai da nessuna parte senza la sua pipa» spiegò seccamente Rawdon. «Mai, da quando lo conosco. E lo conosco da tanto.»
Harry fissò lui, poi Luna e, infine, dopo un lungo istante di silenzio, posò la pipa e tirò fuori da un cassetto dei fogli.
«Ho bisogno di nome, cognome, circostanze dell’accaduto e testimonianze per aprire un’indagine.»
Rawdon fece un sorriso sarcastico. «Per impedire corruzione e favoritismi?»
Harry lo guardò severamente. «Per poter iniziare gli interrogatori, signor Greengrass. A partire da lei.»



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Ed eccomi di nuovo qui *-* Un felice benvenuto ai nuovi lettori, un bentornato alle "vecchie" conoscenze; è meraviglioso vedervi di nuovo a leggere qualcosa di mio.
Mi sento in dovere, dopo questo capitolo, di chiedere perdono ai fan di Ron Weasley: non era mia intenzione renderlo sgradevole, ma c'era bisogno di qualcuno che movimentasse la situazione.
Detto ciò, vi saluto: a domani, per il prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Oggi sono in anticipo, ma non so se più tardi avrò la connessione, quindi mi porto avanti ^-^ In questi giorni sono un po' impedita, tra università e trasloco, quindi se non pubblicherò puntualmente, siate pazienti.
Detto questo, fuggo perché sono già in ritardo.
Buona lettura!

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Capitolo III



14 marzo, Avonfield.

«E’ permesso?»
Luna alzò gli occhi dal libro che aveva in grembo e vide il volto di Rawdon spuntare dal caminetto.
Gli sorrise. «Ciao, Rawdon. Com’è andato l’interrogatorio?»
Lui fece spallucce. «Come vuoi che sia andato? A quanto pare il tuo caro amico Potter è convinto che, se c’è un colpevole dietro a tutto questo, sia io.»
Luna lo guardò, seria. «Ma non sei stato tu, vero?»
Rawdon parve colpito dalla domanda. «Ma certo che no! Cosa ti fa pensare che io possa fare una cosa del genere?» replicò, indignato.
Luna scosse il capo. «Non lo so. Speravo che fosse uno dei tuoi scherzi.»
Rawdon sospirò e andò a sedersi di fianco a lei. «Senti…» S’interruppe, come se a un tratto non sapesse più cosa dire.
Luna chiuse il libro e se lo appoggiò sulle ginocchia. «Tu non sai dove può essere andato?»
«No, non ne ho idea.»
Rimasero in silenzio per qualche tempo.
Poi Luna strinse le mani sul libro. «Rawdon.»
«Sì?»
«Ho paura. Per Rolf.»
Era una frase del tutto normale in quel genere di situazione. Ma Luna, mentre lo diceva, non sembrava impaurita. Sembrava, come sempre, pacata, sognante… distante. Sola.
Rawdon fece un sorriso gentile. «A volte mi chiedo come abbia fatto Rolf a raggiungerti oltre la distanza che ti separa dal mondo reale» mormorò piano tra sé.
Luna lo guardò negli occhi. «Lo troveranno, vero?»
Rawdon annuì con il capo. «Ma certo» disse, serio. «E se non lo faranno, lo cercherò io e quando lo troverò giuro che gli farò pentire amaramente di essersi alzato dal letto quella mattina invece che restare lì con te.»
Luna sorrise tristemente. «Oh, anch’io vorrei che non lo avesse fatto.»
Gli occhi di Rawdon brillarono. «Va a gonfie vele tra voi, eh?» chiese con un sorriso malizioso.
Luna lo guardò con un’espressione innocente. «Ma certo. Siamo sposati, quindi non può andare male, no?»
Rawdon scosse il capo con un sorriso risaputo. Poi si batté sulle ginocchia e scattò in piedi. «Coraggio, vediamo cosa troviamo in giro prima che domani arrivino quegli sciacalli dell’Ufficio Auror.»
Luna lo guardò perplessa. «Cosa?»
«Indizi» disse lui. «Domani Potter manderà la squadra investigativa, e scommetto che faranno un macello: calpesteranno ovunque, disturberanno i cavalli e rivolteranno la casa come un guanto. E, ovviamente, non ci diranno mai quello che riusciranno a trovare. Quindi sarà meglio che cerchiamo da soli.»
Luna non aveva compreso bene il discorso di Rawdon, ma si fidava di lui, perciò si alzò e lo seguì.
«Da quand’è che i cavalli non escono dalle stalle?» chiese Rawdon mentre si avviavano giù dalle scale.
«Da quando Rolf è sparito. Ho portato loro da mangiare quando ho trovato la pipa, l’altro ieri, e anche ieri, ma non sapevo come fare per portarli fuori. E’ sempre Rolf che se ne occupa.»
Rawdon grugnì. «E il vostro elfo domestico non fa nulla?»
«Oh, non ce l’abbiamo più. E’ andato in pensione l’anno scorso.»
Rawdon mormorò qualcosa di simile a «Dannato C.R.E.P.A.» e uscì dalla porta principale della casa, seguito da Luna.
Attraversarono rapidamente il boschetto, fino alle scuderie, aprirono le grandi porte dell’edificio che ospitava i cavalli ed entrarono.
Rawdon storse il naso. «Qui c’è un bel po’ di lavoro da fare. Però io non sono mai stato granché con gli incantesimi domestici.»
Luna lo guardò stupita. «Ci sono io, no?»
Lui sembrò sorpreso. «Tu?»
«Io so fare bene gli incantesimi domestici. E anche altri» affermò lei placida.
Rawdon sorrise. «Non ci avevo mai pensato. Ma effettivamente non vedo perché no: Rolf dice sempre che sei una moglie perfetta; o, perlomeno, lo fa intendere.»
«Nel senso che mi vuole molto bene?» chiese lei.
«Anche in quel senso» rispose ridendo Rawdon, slacciandosi il mantello e gettandolo su una sedia. «Coraggio, guardiamo se ci sono indizi. Poi facciamo uscire i cavalli; saranno stufi di stare rinchiusi qui dentro.»
Controllarono tutti gli angoli della scuderia e, una volta appurato che non c’era niente di niente che potesse aiutarli a scoprire dove fosse finito Rolf, aprirono uno a uno i box degli animali, conducendoli fuori a sgranchirsi le zampe e le ali.
Fu allora che si accorsero che l’ultimo box era vuoto.
«Manca un cavallo» dichiarò Rawdon, accigliato.
Luna annuì. «Oh, sì, l’avevo notato anche ieri.»
«E perché non lo hai detto subito?»
«Non credevo fosse importante» rispose Luna innocentemente.
Rawdon sbuffò e aprì la pesante porta del box vuoto. «Tu sai se qua dentro c’era un cavallo in particolare?»
«Credo che fosse una femmina. Rolf, la sera prima di sparire, mi ha detto che era in calore o qualcosa del genere e che la teneva in un recinto a parte perché innervosiva gli altri» rispose Luna.
Rawdon annuì. «Allora andiamo a vedere se la troviamo in uno dei recinti qui fuori. Vieni.»
Uscirono alla luce del sole ormai prossimo al tramonto, e aggirarono il grosso edificio oblungo delle scuderie. Dietro la costruzione c’erano diverse zone recintate da steccati di legno, dove alcuni cavalli erano già atterrati dopo un volo liberatorio nel cielo e brucavano mansueti l’erba.
Luna tirò la manica a Rawdon. «Laggiù.»
Raggiunsero il punto che aveva indicato, dove si ergeva una palizzata piuttosto vecchia e malandata, ricoperta di muschio. Era vuota, e un lato del recinto sembrava sfondato.
Luna lo guardò perplessa. «Oh, è strano. I cavalli di Rolf non rompono mai i recinti.»
«E perché dovrebbero se basta volare per scappare?» disse Rawdon in tono ovvio, avvicinandosi alla parte di steccato danneggiata. Si chinò a guardare e la sua espressione si pietrificò.
«Luna, vieni qui a vedere.»
Luna lo raggiunse e si chinò a sua volta. Rawdon le indicò qualcosa di scuro e viscido che era rimasto incastrato tra le schegge di legno. Qualcosa che aveva tutta l’aria di essere…
«Alghe.»
Rawdon annuì e abbassò lo sguardo sull’erba. Erba coperta di una rossa sostanza scura e secca.
Sangue.

«Rawdon. Ho paura. Per Rolf.»

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV


14 marzo, Ministero della Magia.

«Che cosa?!»
«Gliel’ho appena detto, signor Potter! Un Cavallo d’Acqua!»
Luna e Rawdon erano di nuovo all’Ufficio Auror, un’ora dopo aver scoperto le alghe. E il sangue.
«Mi sta dicendo che c’è un Cavallo d’Acqua a piede libero intorno a una zona abitata?» chiese Harry, sbigottito.
«Più che piede, direi zampa» ribatté Rawdon con una smorfia. «E, sì, le sto dicendo questo.»
Harry si massaggiò la testa stancamente. Era in quell’Ufficio dal mattino presto e il suo turno era finito da un pezzo, ma una faccenda come quella che Luna e Rawdon gli stavano esponendo non poteva essere affidata a nessun altro.
I Cavalli d’Acqua erano delle bestiacce pericolose: infestavano i laghetti e le polle, e uscivano solo quando avevano fame. O quando erano in vena di fare brutti scherzi agli umani.
«Avete delle prove per dimostrare questa vostra ipotesi?»
«C’erano alghe e impronte di zoccoli che sicuramente non erano dei cavalli di Rolf» rispose Rawdon cupo. «E…» Non proseguì e si girò a guardare Luna, seduta nella sedia accanto alla sua.
Da quando era entrata nell’ufficio non aveva detto una parola. Si era limitata a tacere mentre Rawdon esponeva i fatti.
Non si poteva darle torto.
Tra le numerose razze dei Cavalli d’Acqua, ce n’era una estremamente pericolosa per i Maghi: gli Each Uisge. I carnivori.
E quel sangue ai piedi dello steccato non poteva essere lì per caso.
«E?» Ron incoraggiò Rawdon impaziente. Era di nuovo alle loro spalle, quindi non poteva vedere l’espressione di Rawdon. Né, tantomento, quella di Luna.
«E… c’era del sangue» disse Rawdon a denti stretti.
Harry scambiò una rapida occhiata con Ron e guardò Luna. «Luna, mi spiace chiederti di parlarne, ma mi serve sapere. C’era davvero del sangue?»
Rawdon scattò in piedi e ci mancava poco che battesse i pugni sul tavolo. «Diamine! Vi ho detto che è così! Cos’è, ora la parola di un libero cittadino non ha più valore perché è stato un Serpeverde?!»
Ron balzò in avanti e puntò lesto la bacchetta contro la schiena di Rawdon. «Stia attento a quel che fa!» gli intimò.
«Le ho detto che ho lasciato l’ostilità tra le Case a Hogwarts e alla mia adolescenza» disse Harry, alzandosi a sua volta. «Ma lei, Greengrass, non è propriamente nella posizione più adatta per testimoniare, lo sa bene.»
«Credete che abbia ammazzato il mio migliore amico?!» sbottò Rawdon. «Credete che lo abbia fatto sparire?! E poi di cosa mi accuserete, ancora, eh, Potter?!»
«Io non ho mai detto niente del genere» disse Harry, duro.
«Ma ne siete convinto! Siete convinto che io abbia ammazzato il mio migliore amico per impossessarmi delle sue ricchezze! O di sua moglie! O di tutt’e due, perché no?! Perché un viscido Serpeverde Purosangue non dovrebbe fare una cosa del genere?! Ne sarebbe capacissimo! Non ha il grande senso dell’onore dei Grifondoro o degli eroi della Seconda Guerra Magica! Perché…»
SCIAFF!
Harry spalancò la bocca, stupefatto. Ron fece cadere il braccio con cui puntava la bacchetta contro Rawdon, sbalordito.
Ma quello più stupito fu Rawdon stesso. Perché era a lui che Luna aveva mollato un ceffone.
Rawdon la guardò, sbigottito. «Luna…?» mormorò, portandosi una mano alla guancia offesa.
Luna lo fissava con un’espressione incredibile. Un’espressione di rabbia, di amarezza e di disperazione. E aveva le lacrime agli occhi.
«Non dire mai più cose del genere» gli disse duramente. «Mai più.»
Nella stanza calò un silenzio glaciale. Nessuno parlò, nemmeno Rawdon, che la fissava ancora a bocca parta.
«E ora…» disse Luna, abbassando la testa, «ora possiamo… possiamo fare qualcosa… per Rolf?»
Harry ebbe un’intuizione giusta, perché aggirò rapido la scrivania dietro cui si trovava e afferrò Luna appena in tempo prima che le gambe le cedessero. La fece sedere sulla poltrona e lanciò un’occhiata a Ron.
«Vai a prendere un po’ di Whisky Incendiario, o qualsiasi altro ricostituente forte che ti venga in mente.»
Ron annuì, atterrito, e se ne andò con evidente sollievo dalla stanza satura di tensione. Rawdon si lasciò cadere sulla sua poltrona, la mano ancora alla guancia.
«Scusa, Luna» stava dicendo Harry gentilmente. «Hai ragione, ora dobbiamo pensare a tuo marito. E se è vero quello che ha detto Rawdon…» gli lanciò un’occhiata, come timoroso che lui si sarebbe messo di nuovo a sbraitare per non essere creduto.
Rawdon, però, non fece niente del genere. Guardò Luna e disse solo: «Mi dispiace.»
Luna fece un cenno affermativo. «Sono contenta che ti dispiaccia. Non dire mai più cose così brutte.»
Rawdon annuì.
In quel momento tornò Ron con una bottiglia di Burrobirra in mano.
«E’ tutto quello che sono riuscito a trovare» si scusò. «Non è facile far passare gli alcolici nel Ministero.»
Harry annuì, prese la bottiglia e la porse a Luna. «Su, bevi un sorso. Ti farà bene. Se vuoi puoi anche prenderti il tappo» aggiunse, per sdrammatizzare.
Luna sorrise. «Oh, Harry, ti sei ricordato della mia collana?»
«Come dimenticarsela?» commentò Ron con un ghigno.
«E ora torniamo a noi» disse Harry, tornando serio dopo che Luna ebbe bevuto. «Ha detto che c’è un Cavallo d’Acqua, signor Greengrass. Credete che sia ancora nei paraggi o che se ne sia andato?»
Rawdon alzò le spalle. «Non ne ho idea.»
Harry si alzò e sospirò. «Dobbiamo trovarlo. Subito. Se fosse un Kelpie o un Alastyn non ci sarebbero problemi; finché si limitano a fare brutti scherzi alla gente senza ammazzarla possiamo aspettare domani. Ma se è un Each Uisge…»
«Ci ritroveremmo con un mucchio di persone scomparse e laghetti pieni di ossa umane» concluse Ron con molto poco tatto. Poi si rese conto della situazione e guardò Luna costernato. «Oh, con questo non intendevo dire che Rolf…»
Harry prese la bacchetta. «Non c’è un secondo da perdere.»
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


E ormai ci stiamo avvicinando anche alla conclusione di questa storia.
Vi ringrazio tutti, come sempre, e mi scuso per non aggiungere di più o rispondere ai vostri commenti uno ad uno, ma sono dell'opinione che vi interessi di più leggere la storia che non le mie banali e ripetitive note dell'autore.
A domani, e buona lettura!

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Capitolo V



Tra 14 e 15 marzo, notte.

Harry James Potter, nonostante la non eccessiva arguzia che lo contraddistingueva, sapeva fare il suo lavoro egregiamente, quando voleva.
E quella sera voleva assolutamente portare a compimento la sua missione: catturare l’Each Uisge –sempre che di tale razza fosse il cavallo d’acqua, ma a questo punto i dubbi erano pochi- e ritrovare, se ancora era possibile, il marito di Luna.
Su quest’ultimo punto era un po’ più dubbioso: non riteneva possibile che persino un uomo esperto di cavalli come Rolf Scamandro potesse sfuggire all’Each Uisge, se l’avesse incontrato affamato lungo la strada; ma di questo preferì non fare parola con Luna.
Organizzò numerose squadre di ricerca tra Auror e uomini dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, saltò la parte delle scartoffie ottenendo una dispensa speciale dal Ministro Shacklebolt in persona e si Smaterializzò con tutti gli altri, diretto ad Avonfield.
Luna rimase a riprendersi nell’Ufficio Auror, poi, quando riuscì a mettersi in piedi, fu accompagnata da Rawdon a casa Scamandro e lì, insonni, attesero notizie, buone o cattive che fossero.
«Forse faresti meglio a provare a dormire un po’» le mormorò a un tratto Rawdon.
L’orologio, sopra il davanzale del caminetto, segnava le tre di notte passate e l’aria distrutta di Luna non faceva che confermare l’orario così tardo.
Lei, però, scosse il capo, muta.
Era avvolta in una coperta di lana e rannicchiata sul grande divano del salotto.
Rawdon era seduto su una poltrona, un gomito appoggiato a un bracciolo e la testa reclinata all’indietro. Anche lui non aveva un’aria particolarmente vitale, con il mantello aperto, i vestiti stropicciati e i capelli spettinati.
Avrebbe potuto tornare a casa, almeno per cambiarsi gli abiti, ma non voleva lasciare Luna da sola ad aspettare di sapere se suo marito era morto divorato o no. Così rimase, e vegliò con lei tutta la notte.
Si addormentò a intermittenza, ma non vide mai Luna dormire. Era sempre lì, raggomitolata su se stessa, con gli occhi di solito così luminosi ora spenti, persi chissà dove.
Rawdon non voleva credere che Rolf fosse morto. Era inconcepibile.
Rolf, il miglior allevatore di cavalli alati esistente al mondo, divorato da un cavallo d’acqua.
No, era un pensiero assurdo.
Rolf non poteva essere morto. Non in quel modo. Non lasciando Luna così, un mattino, senza averle detto altro che: “Buongiorno.” Senza averle detto un’ultima volta: “Ti amo.”
Rawdon sorrise tristemente.
Non se l’immaginava, Rolf, a dire una frase del genere. Chissà se l’aveva mai davvero detta, poi.
Forse no.
Forse non aveva mai trovato il coraggio di pronunciare quelle parole ad alta voce. Un po’ come non aveva mai detto a Rawdon nemmeno una volta: “Mi fido di te” o cose del genere che si dicono agli amici.
Quel vecchio orso.
Rolf lo scorbutico.
L’avrebbero ritrovato. Lo dovevano ritrovare.

*


Le squadre di perlustrazione terminarono il loro lavoro poco dopo l’alba.
Harry James Potter in persona si recò a casa Scamandro per avvisare Luna e Rawdon.
«L’abbiamo preso» disse atono. «Era un Each Uisge molto grosso, e ci ha dato filo da torcere anche se eravamo in nove Maghi a fronteggiarlo.»
Luna e Rawdon, pallidi, lo ascoltavano muti sulla porta di casa.
«Ora lo porteranno in un serraglio o in qualche posto dove non possa nuocere. Non è più competenza degli Auror.»
Si zittì, e tra i tre cadde un silenzio gelido.
Poi Luna, atona, parlò. «Hai visto Rolf?»
Harry abbassò gli occhi. «No, non l’abbiamo trovato.»
Rawdon s’irritò. «E allora che cosa aspetta a organizzare altre squadre per andarlo a cercare?»
Harry lo guardò, e nella sua espressione si poteva cogliere l’intensità della frustrazione. E del dolore.
«Non crediamo di poterlo più trovare, ormai.»
Rawdon avrebbe voluto protestare. Gridare qualcosa, inveire contro Harry Potter, contro gli Auror, il Ministero…
Luna lo precedette. Guardò Harry inespressiva. «Grazie per quello che hai fatto.» La sua voce tremava un po’.
Harry sembrava profondamente addolorato. «Vorrei aver fatto di più.»
«Non potevi.»
«Lo so. E’ proprio questo che mi fa sentire male.»
Luna non replicò. Gli disse solo: «Salutami Ginny.»
Harry annuì, fece un cenno di saluto a lei e Rawdon, poi diede loro le spalle, si allontanò di qualche passo e si Smaterializzò.
Lasciandoli soli.
Rawdon si accasciò contro la parete all’ingresso e si prese il volto tra le mani. E si mise a piangere.
Luna gli sfiorò il viso, come se volesse consolarlo, o trovare in lui la forza di piangere a sua volta.
Poi ritrasse la mano ed entrò in casa.
In quella grande casa che ora era solo sua.
In cui l’aroma di Burley Alato era svanito per sempre.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Penultimo capitolo ^-^
Non ho molto da aggiungere oggi, forse perché il poco sonno e la mattinata di studio mi hanno esaurito tutte le facoltà mentali. Quindi vi saluto e spero di avere vostre notizie domani, con la fine di questa storia, per sapere cosa ve ne è parso *-*
Buona lettura!

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Capitolo VI


17 marzo, Avonfield.

Ogni persona ha un suo modo per sfogare il proprio dolore.
Luna, però, ne aveva uno particolare. Non ci pensava affatto.
Due giorni dopo il ritrovamento del cavallo, quando Rawdon, distrutto, andò a farle visita, la trovò sorridente e dell’umore di sempre. Come se Rolf non se ne fosse mai andato.
Rawdon non sapeva come comportarsi: da un lato lo irritava profondamente vederla così allegra, dall’altro non poteva che essere sollevato di non dover assistere a crisi isteriche, frustrazione e dolore.
Lasciò che gli servisse il tè in silenzio, e lo bevve con lentezza, cercando di soppesare la situazione. Non poteva fare a meno di riflettere, in quei giorni; lo aiutava a tenere la mente lontana dal dolore.
«Luna, che cosa farai d’ora in poi?»
Luna lo guardò, stupita. «Che cosa intendi?»
«Be’, hai una trentina di cavalli alati della migliore razza nella scuderia e non sai allevarli. Che cosa te ne farai?»
Lei spalancò gli occhi. «Be’, niente, ovviamente. Sono di Rolf, non miei. Dev’essere lui a decidere.»
Rawdon aggrottò le sopracciglia. «Luna, Rolf non potrà più curarsi dei cavalli…» cominciò, paziente.
«Perché no?» chiese lei, perplessa.
Lui avvertì un nodo stringergli la gola.
E così era successo. Luna aveva assunto il modo peggiore per affrontare la morte di una persona cara: ignorarla.
Si passò le mani tra i capelli, disperato. E ora che cosa avrebbe fatto?
«Luna…» cominciò, ma lei lo interruppe con un gesto.
«Puoi aspettare un attimo? Devo andare di là a prendere una cosa.»
Rawdon annuì, confuso, e aspettò che Luna tornasse con qualcosa in mano. Qualcosa di bianco e non molto grande. La pipa di Rolf.
«La sai usare?» gli chiese.
Rawdon batté le palpebre, stupefatto. «Cosa?»
«La sai usare? Io non la so accendere. Speravo che tu lo sapessi fare.»
«Sì, la so fumare, se è questo che intendi. Ma a che scopo?» chiese, sempre più confuso.
Luna fece un gran sorriso luminoso e gliela mise tra le mani. «Allora fallo, per favore.»
«Che cosa?»
«Usala.»
Rawdon scosse il capo. «Luna, se pensi che questo…»
«Rolf si fidava di te» lo interruppe Luna, improvvisamente seria. «Fallo per lui. Per favore.»
Rawdon esitò ancora un istante, poi pensò che, dopotutto, non poteva esserci nulla di male, così la accese con la bacchetta. Nell’aria si diffuse subito un odore dolce e piacevole.
Burley Alato.
Rawdon si sentì subito preso da una morsa di nostalgia. Diavolo, quell’odore era troppo famigliare…
«Avanti, vieni.»
Lui alzò il capo, sbigottito. Luna era sulla porta della cucina, e gli faceva cenno di seguirlo.
«Eh?»
«Vieni. Andiamo a fare una passeggiata. E tieni accesa la pipa, per favore» aggiunse sorridendo.
Rawdon, sempre più perplesso, la seguì nell’atrio e poi fuori dalla porta. Cominciava a pensare che Luna fosse davvero diventata pazza, stavolta.
Era una giornata piena di sole e il vento soffiava da nord, leggero e dolce, scompigliando i loro vestiti e i mantelli.
Luna, seguita da Rawdon, s’incamminò nel boschetto di querce, poi tra i recinti e infine, superandoli, nella campagna che circondava Avonfield per diverse miglia.
Era primavera, e il trionfo nascente della natura sembrava farsi beffe di qualunque banale lutto umano.
Era la stagione della vita.
A un tratto Luna si fermò e Rawdon, perso nei suoi pensieri, per poco non andò a sbatterle contro facendo cadere la pipa.
La guardò infastidito. «Che cosa fai?»
Luna non guardava lui. Guardava alla sua destra, e lentamente un sorriso enorme le si allargò sul viso. Senza dire nulla s’immerse nel sottobosco, abbandonando il sentiero.
Rawdon la guardò, pensando che davvero ormai non ci fosse più niente da fare e al San Mungo una camera al Reparto Riservato di Lesioni Permanenti fosse già pronta per lei.
Poi seguì con lo sguardo la traiettoria della direzione di Luna. Si stava dirigendo verso una radura, un po’ più in là nel bosco. E nella radura, in piedi e sudicio come non mai c’era…
Rawdon stavolta si lasciò scivolare davvero dalle mani la pipa.
Cadde a terra con un tonfo soffice, disperdendo le ceneri tutto intorno. Fumava ancora, ed emanava un aroma dolce e intenso.
Burley Alato.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII


16 aprile, San Mungo.


Una stanza al Reparto Riservato per tutto il mese successivo fu davvero occupata, ma non da Luna e non in quello delle Lesioni Permanenti.
A occupare la stanza fu invece Rolf, e nel Reparto Lesioni da Creature.
A dire il vero inizialmente alla Stregaccoglienza erano stati piuttosto indecisi sul reparto cui affidarlo, dato che il suo caso era più unico che raro, ma alla fine avevano deciso per quello attuale. Anche se la creatura in questione era ancora in fase di classificazione.
«Un Gorgosprizzo!» rise Rawdon sguaiatamente, appoggiato ai piedi del letto d’ospedale. «Da non credere! Il primo Mago mai attaccato da un Gorgosprizzo!»
«Rawdon, piantala di ghignare o giuro che ti Avada Kedavro appena mi lasceranno uscire da questo inferno!» lo minacciò Rolf a denti stretti, agitandosi sotto le lenzuola.
«Stai migliorando, se ora ricordi anche i nomi delle formule degli incantesimi» osservò l’altro senza smettere di sogghignare.
Rolf gli lanciò un’occhiata di fuoco. «Sai, l’unica cosa che mi fa rimpiangere lo stato in cui ero ridotto venti giorni fa è che avevo completamente dimenticato la tua faccia irritante!»
Rawdon non smise di ridere.
Inutile: da quando avevano ritrovato Rolf nel bosco, quasi un mese prima, era costantemente preda di un’ ilarità inesauribile. Be’, a parte i primi istanti in cui l’aveva rivisto, quando era stato combattuto per qualche istante tra l’abbracciarlo e il picchiarlo, prima di scoppiare a piangere di gioia.
«Peccato che fossi troppo stordito per ricordarmi la scena» diceva Rolf ogni tanto, vendicativo. «Rawdon che frigna è uno spettacolo che non mi perderei mai.»
Rawdon, a quel punto, riusciva a calmarsi tanto da assumere un contegno da persona normale. Poi, cinque minuti dopo, ricadeva in risate sguaiate.
Come in quel momento, insomma.
«Luna, scopri in fretta se tra gli effetti del Gorgosprizzo ci sono anche crisi ossessivo-compulsive di risa, altrimenti non so come spiegarmi lo stato irritante di questo imbecille» borbottò Rolf a sua moglie, che sedeva sul letto al suo fianco.
Luna annuì, seria. «Lo farò presto. Al Ministero mi hanno anche offerto un posto l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Dicono che è dai tempi del grande Newt Scamandro che non veniva scoperta una nuova specie di creatura magica e sarebbero molto interessati ad avermi nel loro reparto di ricerca.»
Rawdon smise finalmente di ridere e fece una smorfia. «Prima sputano sul tuo lavoro, e poi lo elogiano così quando scoprono che avevi ragione. Che ipocriti!»
«Tu saresti sprecata a lavorare con quelli del Ministero!» intervenne Rolf, irritato. «Quegli idioti non mi hanno trovato nemmeno dopo aver battuto l’intera zona attorno ad Avonfield! Sono degli incapaci!»
«Perché era notte» spiegò Luna. «E tu probabilmente eri confuso e spaventato e ti sei nascosto da qualche parte.»
«Povero Rolf!» ghignò Rawdon. «Quel Gorgosprizzo deve averti rincitrullito davvero bene per averti fatto perdere il lume della ragione così tanti giorni, e…»
Non riuscì a finire perché Rolf aveva preso la bacchetta di Luna –la sua era custodita dal personale dell’ospedale, per evitare che facesse danni in preda al suo stato confusionale- e aveva lanciato a Rawdon uno Schiantesimo.
Pessima mossa, perché la Guaritrice di turno sgridò sia l’uno che l’altro per dieci minuti buoni, poi cacciò via Rawdon, che a suo parere faceva agitare troppo il suo paziente e intimò a Rolf di stare tranquillo o avrebbe vietato persino le visite di sua moglie.
Rolf acconsentì di malavoglia, sebbene soddisfatto di essersi levato Rawdon dai piedi. Poi si rivolse a Luna con un sospiro.
«E adesso, per favore, raccontami la faccenda dall’inizio.»
«Oh, è molto semplice» disse lei sorridendo. «Il mattino dopo che Harry e le squadre hanno preso l’Each Uisge, mentre ero in cucina ho sentito qualcosa di strano: una specie di ronzio vicino al mio orecchio. Ho capito subito che era un Gorgosprizzo, ho preso la bacchetta di corsa e sono riuscita a rinchiuderlo in una scatola.»
«E poi?»
«Be', l’ho esaminato un po’ e mi sono accorta che profumava di Burley Alato.»
Rolf sorrise. «Ovvio.»
«Così ho pensato a te, e ho concluso che doveva averti attaccato mentre fumavi nelle scuderie, e ho riflettuto su come trovarti. Sapevo che dovevi essere confuso, e sarebbe stato molto difficile scovarti; a meno che avessi trovato qualcosa che ti sarebbe piaciuto… qualcosa che ti avrebbe attratto facendoti uscire da dove ti eri nascosto…»
«Hai pensato al Bisque Burley?» rise Rolf. «Da non credere! La prima cosa che hai pensato potesse attrarmi era la mia pipa!»
«Perché, c’era qualcos’altro di più efficace?» chiese lei pacata.
Rolf la guardò negli occhi con un’espressione strana.
Forse era il momento adatto per dirle che, almeno per quel che lui ricordava, in quel bosco non era stato l’odore di Bisque Burley ad attirarlo, ma una figura con i capelli biondi e due grandi occhi azzurri… una figura che in quel momento gli era sembrato che dovesse raggiungere a tutti i costi…
«Rolf?»
Lui si riscosse. «Ah, niente. Hai fatto bene. A usare la pipa, intendo.»
Lei sorrise, felice, poi gli prese la mano e lo guardò. «Prima di catturare il Gorgosprizzo avevo avuto davvero paura di non ritrovarti.»
Rolf sorrise dolcemente, e le diede un buffetto. «Credevi che fossi stato mangiato da un Cavallo d’Acqua? Io?» chiese, indignato.
Lei abbassò la testa, triste. «Sì, credevo di sì.»
Rolf non resistette: la attrasse a sé e la abbracciò. Stringere quel corpo tra le braccia gli faceva un effetto che nemmeno tutti gli Shockantesimi a cui l’avevano sottoposto negli ultimi trenta giorni potevano eguagliare.
«Non avresti dovuto temere per me» replicò. «Avresti dovuto pensare a te stessa. Immagina che terribile futuro avresti avuto, se fossi davvero rimasta sola e con Rawdon nei paraggi.»
Luna rise. «Oh, Rawdon è stato meraviglioso. Quando Harry ci ha detto che non ti aveva trovato, ha pianto. E poi mi ha anche aiutato a far uscire i tuoi cavalli quando non c’eri.»
«Tutto qua? Non mi sembra che si sia reso molto utile» commentò Rolf con noncuranza.
«No, mi ha anche accompagnata al Ministero. Oh, sì, e gli ho anche dato uno schiaffo. Ma penso che se lo meritasse.»
Rolf la scostò di colpo, guardandola negli occhi accigliato. «Lo hai schiaffeggiato? Perché, che cosa ti ha fatto quel figlio di Troll?»
«Ha detto a Harry che ti aveva ucciso per impossessarsi delle tue ricchezze. Oh, e anche per sposarmi» aggiunse.
Rolf scoppiò a ridere e si lasciò cadere sui cuscini. «Che razza d’idiota!»
Luna si accigliò. «Oh, non chiamarlo così.»
«Ma che sia un idiota è un dato di fatto» replicò Rolf, indifferente.
«Sciocchezze! Ti vuole molto bene, e sono certa che gliene vuoi anche tu.»
«Assolutamente no!» s’indignò lui.
Luna si rassegnò, pensando che probabilmente suo marito era ancora confuso dall’effetto del Gorgosprizzo, altrimenti si sarebbe accorto da solo di quanto lui e Rawdon fossero legati.
Decise di cambiare argomento per tranquillizzarlo. «Stamattina abbiamo ritrovato la tua giumenta, quella che pensavamo che l’Each Usige avesse ucciso. Aveva una ferita alla coscia ed era un po’ gonfia, ma sembrava stesse bene.» Meditò un attimo. «Non capisco come mai non l’abbia mangiata.»
Rolf fece una smorfia. «Era in calore. Probabilmente quell’Each Uisge ha sfogato appetiti diversi da quelli dello stomaco.»
«Oh!» disse Luna. Poi capì, e disse di nuovo. «Oh!» Fece un gran sorriso. «Potrebbe aspettare un piccolo?»
Rolf sbuffò. «Probabile. Dannazione, un bastardo di Cavallo d’Acqua. Come se non fossero già abbastanza difficili da allevare i cavalli alati normali!»
Luna non poteva condividere tutto quel pessimismo. «Ma è comunque un cucciolo. Sarà bellissimo vederlo nascere e crescere. Non sei contento?»
Rolf inarcò le sopracciglia. «Be’, tanto non si può più tornare indietro.» Poi tacque per qualche momento, immerso in chissà quale pensiero.
Luna si accorse solo dopo qualche minuto che si era messo a fissarla in modo strano. «Che cosa c’è?» chiese incuriosita.
Rolf le circondò la vita con le braccia. «Oh, pensavo.»
«Cosa?»
«Beh, a proposito di questo, chissà se noi…» s’interruppe, e arrossì. «Niente, come non detto.»
Luna gli prese le mani tra le sue. Gli piaceva tenere le mani di Rolf, anche se erano grandi, dure e sgraziate.
«Non è bello quando lasci i discorsi a metà» osservò pacata.
Rolf fece un sorriso insolito. Un sorriso che di solito sarebbe stato bene sulla faccia maliziosa di Rawdon. «Non preoccuparti. Lo riprenderò quando saremo a casa.»
Luna era stupita. Di solito suo marito non era mai così conciliante. E nemmeno così enigmatico. «E’ qualcosa d’importante?»
«Sì, abbastanza» annuì Rolf cercando di assumere un’espressione indifferente. Non gli riuscì molto bene.
«E non puoi dirmela ora?» chiese lei, curiosa.
«Be’...» fece Rolf, guardandosi intorno.
C’era un uomo seduto due letti più in là che li fissava. Poi, oltre ancora, un’altra paziente circondata dai suoi familiari che erano venuti a farle visita. E, soprattutto, in fondo al corridoio c’era la Guaritrice più dispotica di tutto il San Mungo che li sorvegliava come un mastino da guardia.
«No» disse, sospirando rassegnato. «Direi proprio di no.»


 

Fine


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E' sempre una gioia portare a termine una storia *-* Ed è sempre una gioia arrivare in fondo insieme a qualche lettore a cui si è riusciti a farla piacere.
Pensavate che finisse male? Ma no, tanto ormai è risaputo che io sono un'amante dei lieto fine. Come disse una cara amica, non si corre rischi con quello che scrivo perché tanto sono sempre palesemente troppo puffosa per maltrattare i personaggi.
E ora non mi resta che salutarvi: risponderei ai vostri commenti uno per uno, ma dato che non sarei capace di fare altro che ringraziarvi mille e più volte dal cuore annoiandovi a morte, mi limito a lanciarvi qui un virtuale bacio collettivo *-*

Note e credits:
Gli Each Uisge, gli Alastyn, i Kelpie e i Cavalli d'Acqua in generale non sono una creazione mia ma creature appartenenti al folklore celtico e irlandese. Il nome del Bisque Burley Alato è ispirato al nome di un tipo di tabacco realmente esistente, il White Burley.

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