I Ragni di Marte

di Lily Liddell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il bar si chiamava La Giumenta e la strana coppia si incontrava lì una volta a settimana, il sabato, alle nove in punto del mattino.

 

Agli occhi di chi li guardava, lei era soltanto una donna di bassa statura – o che comunque di fianco al suo accompagnatore sembrava decisamente minuscola – con lunghi capelli e occhi castani e qualche chilo di troppo.

 

Lui, invece, era un uomo alto più di due metri, con gli occhi di un verde così brillante da fare luce e i capelli così rossi da sembrare fatti di fiamme vive.

 

Quello che gli altri non sapevano era che lei non era affatto una donna e lui non era affatto un uomo.

 

D'accordo, sì, lei usava anche pronomi femminili, ma per comodità. Non si identificava in nessun genere binario, e potendo, evitava di usare il maschile o il femminile facendo voli pindarici con le parole.

 

Lui... lui era Loki.

 

Loki il Grande, Loki il Magnifico. Che modificava il suo genere a piacimento, che non sapeva nemmeno cosa fosse un "genere"... a dire il vero, lui e Maggie – così si chiamava l'umana – ne avevano parlato e Loki si era dilungato in un monologo su quanto fossero inutili e insulsi i pronomi per una creatura nobile come lui. E che li avrebbe usati tutti, perché limitarsi a uno solo era ridicolo, in base a come si fosse sentito in quel momento.

 

E in quel momento, di fronte a Maggie c'era un tipo con un lungo pizzetto intrecciato, dello stesso rosso dei capelli.

 

«Che cosa vuoi?» chiese Maggie, sembrava che avesse già esaurito la sua pazienza.

 

Loki si guardò intorno. «Un caffè freddo, senza zucchero».

 

Maggie inspirò attraverso le narici. Ballavano sempre la stessa danza. Prima o poi l'avrebbe strozzato – o ci avrebbe provato e sarebbe finita a testa in giù con un serpente che le faceva gocciolare veleno in faccia per l'eternità.

 

«Per te. Cosa vuoi che faccia per te questa settimana?» ripeté nello stesso tono che si userebbe con un bambino. Un bambino un po' tonto.

 

«Vorrei che mi offrissi un caffè. Un caffè freddo, senza zucchero» ripeté Loki, senza batter ciglio. Davvero, non batteva le palpebre, mai.

 

«Tanto pago sempre io! Dai, smettila di perdere tempo... vuoi dirmi che devo fare questa sett... oh... vuoi che ti offra un caffè freddo? Davvero?» Maggie aggrottò le sopracciglia. Lavorare con Loki, per Loki, era strano. Molto strano... di tanto in tanto era ai limiti dell'allucinante. Alcune sue richieste erano folli, questa non era del tutto folle... era solo... singolare.

 

«Senza zucchero» confermò. Poi, si alzò e in un battito di ciglia – di Maggie – se ne era andato. Nessuno sembrava essersi accorto che adesso al tavolo c'era solo una persona.

 

Un cameriere si avvicinò al tavolo, pronto a prendere le ordinazioni, sorridente. «Cosa ti porto?»

 

Maggie sembrava una statua di sale ma quando il cameriere le rivolse la parola, tornò a essere un essere umano. «Una cioccolata calda, grazie... e un caffè freddo da portar via... senza zucchero».

 

Gustò la sua consumazione lentamente, pagò e indossò il suo lungo cappotto di finta pelle nera che però la teneva bene al caldo. L'offerta di Loki era custodita in un bicchiere di carta dove qualcuno con un pennarello nero ci aveva scritto "Locke".

 

Fuori dal locale il vento di novembre era gelido. Un pallidissimo sole tentava di riscaldare le strade di Londra, affollate come al solito.

 

Con passo svelto Maggie raggiunse la fermata della metro di Camden Town; nel giro di mezz'ora era già alla fermata di Fulham Broadway e iniziò a incamminarsi verso casa.

 

Gli stivali neri non facevano rumore sull'asfalto mentre passava davanti alle villette a schiera, tutte incredibilmente uguali; pensava a organizzare la giornata. Iniziava il turno di lavoro alle otto, quella sera. Aveva un bel po' di tempo per fare un sacco di cose... certo, anche riposare... visto che anche la sera prima aveva lavorato fino al mattino e non aveva praticamente dormito, visto che Loki aveva voluto un incontro alle 9:00 in punto.

 

Lesse il nome scritto male sul bicchiere di carta e sogghignò. Oh, lo avrebbe odiato.

 

Una volta raggiunto il suo marciapiede, alle sue orecchie cominciarono ad arrivare delle urla familiari. Sorrise.

 

Una sfilza di oscenità e profanità rivolte a un postino che in quel momento stava passando i cinque minuti peggiori della sua vita, per colpa un uomo di mezza età che gli starnazzava in faccia tutta la sua frustrazione. Probabilmente gli aveva consegnato la posta nel modo sbagliato...

 

«'Giorno Robert!» Maggie lo salutò cordialmente, ignorando completamente la scena, avvicinandosi al portone di casa sua. Robert e la sua inconfondibile voce vivevano al piano di sopra.

 

Il torto del postino era tale da averlo costretto a scendere in pigiama – una t-shirt degli AC-DC e dei boxer che a novembre avrebbero fatto congelare chiunque, ma evidentemente quell'uomo aveva un fuoco che gli ardeva dentro che lo riscaldava perpetuamente... era l'unica spiegazione. Quella o stava andando in andropausa...

 

Ci fu silenzio per una frazione di secondo, gli occhi azzurri del giovane postino (che non poteva avere più di vent'anni) e quelli nocciola di Robert si poggiarono entrambi su Maggie.

 

«Maggie...» la salutò lui, perplesso. Era sempre perplesso quando qualcuno lo salutava gentilmente e non lo mandava a quel paese. Non era facile averlo come vicino, ma una volta imparato a conoscerlo diventava piacevole. «Questo coglione mi ha lanciato un pacco di Amazon dal cancello!» spiegò, esasperato. Ci aveva preso in pieno...

 

Maggie lanciò un'occhiata difficile da leggere al postino, poteva significare: "hai commesso l'errore della tua vita, mi dispiace" oppure: "che razza di postino sei? Lanciare un pacco? Vergognati!" adesso stava al ragazzino scegliere.

 

«Io ho bussato! Due volte...» provò a giustificarsi lui.

 

Da lì ricominciò una pioggia di grida e insulti, Maggie entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle e togliendosi la giacca.

 

Sospirò.

 

Rimase qualche istante a osservare il bicchiere di carta con il nome scritto male, mentre le urla di Robert che insultava il postino arrivavano ovattate da dietro la porta.

 

«Non te lo meriteresti...» disse.

 

Poi, andò verso il suo altare.

 

Casa sua era accogliente; nell'ingresso c'era un tavolino accanto alla finestra e su di esso c'erano tutte le cose dedicate a Loki.

 

Una tovaglia arancione lo ricopriva, sopra vi erano poggiate varie cose tra cui una candela verde, qualche statuetta di cavalli e ragni, qualche piattino per le offerte e una bottiglia di idromele con un calice, per le occasioni speciali. 

 

Maggie sollevò il calice e andò a sciacquarlo in cucina, poi ci versò dentro il caffè freddo, lavò il bicchiere vuoto e lo buttò nella raccolta della carta, poi tornò all'ingresso e poggiò il calice sull'altare. Accese la candela verde e si sedette al tavolo, pensierosa.

 

«C'è qualcosa sotto, vero? Ti conosco...»

 

Stava per prendere le rune per chiedere risposta a loro quando il campanello della porta la fece trasalire.

 

Si affrettò a spegnere la candela, lasciò l'offerta sull'altare e poi andò alla porta.

 

Era Robert, che liberatosi del postino si era presentato alla sua porta con l'aspetto di un cane abbandonato che non sapeva dove andare a sbattere la testa.

 

«Volevo chiederti scusa... per il chiasso di prima» mise insieme quelle parole con qualche difficoltà, sembrava imbarazzato.

 

Maggie sbatté le palpebre qualche volta. Lavorando con Loki da tanto tempo, ormai, era diventata una specie di macchina della verità umana.

 

«Non mentirmi... era l'accordo, no? Dovevamo essere sinceri. Vuoi scopare?»

 

Tutta la rabbia e la sicurezza che aveva mentre urlava in faccia al povero postino, sembrò sciogliersi come neve al sole mentre parlava con Maggie. Sembrava un'altra persona. Guardò a destra e sinistra, come se qualcuno potesse essere in ascolto.

 

Non sarebbe stata la prima volta, né l'ultima probabilmente. Maggie gli prese la mano e lo incitò a entrare, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Fu solo più tardi, quando entrambi erano intrecciati nelle coperte del letto e fissavano il vuoto che Maggie si azzardò a dire: «Non tornerà più... David... è andato via, non tornerà. È un anno che se ne è andato, Robert, devi voltare pagina».

 

Maggie era stesa supina, Robert aveva la testa poggiata sulla sua spalla. Entrambi erano nudi e coperti dal caldo piumone del letto di Maggie. A sentire quelle parole, però, Robert si irrigidì.

 

«Non voglio più essere un ripiego segreto nel caso il tuo ex marito torni... cioè, non fraintendermi, se dovesse tornare a me non dispiacerebbe condividere, però... così sta diventando ridicolo».

 

«David non condividerebbe proprio un bel niente» di nuovo quel tono duro; lo sapeva che non potevano continuare così. Si girò di spalle. «Per te è facile... la tua vita è facile. Spensierata... La mia...»

 

Maggie gli poggiò un bacio sulla nuca. «La mia vita è caos. E pensi davvero che sia facile? Hai mai visto foto della mia famiglia in giro per casa? Questa spensieratezza, come l'hai chiamata tu, me la sono guadagnata. Ho abbandonato casa mia, ho conosciuto persone nuove che potessi considerare una famiglia... perché non vieni stasera al locale dove lavoro? Vedrai, è una seconda casa».

 

Non ottenne risposta, il che non era del tutto un male. Voleva dire che Robert ci stava pensando. Gli poggiò un altro bacio sulla nuca, gli accarezzò i capelli sale e pepe e poi si alzò dal letto, infilandosi una vestaglia. Si era quasi fatta ora di pranzo.

 

«Rimani a mangiare, hai bisogno di cibo che non provenga da scatolette».

 

Maggie cucinò costolette di capra, con contorno di patate e piselli. Fece tre porzioni, la prima la poggiò sull'altare e poi si mise a tavola con Robert.

 

Quando ebbero finito di mangiare, Robert si alzò per iniziare a sparecchiare, ma un rumore proveniente dall'ingresso lo fece trasalire.

 

«Cos'è stato?» si allarmò.

 

Maggie sembrava piuttosto calma. «Sarà il gatto».

 

«Hai un gatto?»

 

«Ogni tanto. È un randagio che entra dalla finestra del ripostiglio, quando la trova aperta. Sai, quello di cui il signor Darren si lamenta sempre perché ha messo incinta due volte la sua gattina di razza... l'ho chiamato Principessa» spiegò lei, finendo di bere l'ultimo sorso di vino.

 

«Hai chiamato quella pantera nera "Principessa?"» chiese, scettico. «Peserà otto chili e ha mezzo orecchio che gli manca».

 

«Che c'entra? Ha l'animo nobile...» fece lei, convinta.

 

«Sì, ma... "Principessa"...» insistette Robert, sollevando un sopracciglio. Certe volte ragionare con Maggie era impossibile.

 

«Principessa adora il suo nome, lascia stare, non capirest...» fu interrotta da un altro rumore, di posate e stoviglie che si spostano.

 

«Questo non è un gatto» ne convenne Robert, poggiando tutto sul tavolo e lasciando la cucina per dirigersi verso la fonte del rumore.

 

Maggie sbuffò e si alzò a sua volta; lo trovò all'ingresso che osservava a bocca aperta quello che stava succedendo.

 

«Ma che cazzo...?» Robert rimase immobile a fissare Loki che divorava in due bocconi le offerte di cibo e bevande che Maggie gli aveva fatto, poi si puliva la bocca con la manica del cappotto scuro che indossava.

 

Per essere una divinità nordica, il suo stile era parecchio moderno. Indossava un paio di jeans scuri e attillati, una giacca scura e lunga e un paio di scarponcini in camoscio. I capelli erano lunghi e rossi, al momento li teneva legati in una coda da cavallo. Il pizzetto era sporco di purea di patate.

 

«Ti è rimasto un po' di roba qui...» lo avvisò Maggie, indicandosi il viso. Dal tono di voce chiaramente non era felice di trovarselo tra i piedi così, senza preavviso.

 

Loki si ripassò la manica della giacca sulla bocca, pulendosi per bene. «Tutto delizioso, come al solito. Apprezzo molto quello che fai per me... davvero» poi si voltò verso Robert e parve notarlo solo in quel momento, eppure lo conosceva già. In teoria.

 

«Robert, ti ricordi di Loki...»

 

«Sì...»

 

«Ovviamene si ricorda di me!»

 

Loki si era presentato a casa di Maggie mesi prima, senza avvisare, una sera che Robert era rimasto a guardare un film. Lei aveva cercato di farlo passare per suo padre, ci sarebbe anche riuscita perché l'età di Loki era assolutamente indecifrabile e Robert non ricordava quanti anni avesse Maggie (ricordava solo vagamente che fosse più verso i quaranta che i trenta) se non fosse stato per Loki il quale mentre si vantava della sua prole aveva iniziato a elencare cavalli a otto gambe, serpenti giganti e dèi a capo di regni infernali. A quel punto Robert l'aveva mandato a quel paese (con parole molto più colorite) e Loki di tutta risposta si era trasformato in una mosca davanti ai suoi occhi da non-credente per fargli rimangiare tutto.

 

Il risultato fu che Robert vomitò anche la cena del giorno prima e svenne per quasi venti minuti ma quando tornò in sé, dopo diverse ore di spiegazione da parte di Maggie, Loki era effettivamente riuscito ad aprirgli gli occhi, rendendolo un credente. Non un seguace, perché Loki non aveva fatto una così bella impressione, però.

 

«Che cazzo ci fa qui?» Robert si mise fra lui e Maggie, con fare protettivo.

 

Loki indicò l'altare, confuso. «Sono venuto a ritirare le mie offerte? Mags... credevo glielo avessi detto».

 

Maggie sospirò profondamente, mettendosi le mani tra i capelli. «L'ho fatto. Prima che tu ti trasformassi in una mosca. Ha battuto la testa quando è svenuto, forse si è dimenticato tutto...»

 

«No... no... io ricordo tutto, perfettamente! Volevo dire... adesso! Cosa cazzo ci fai qui adesso?» Robert suonava sempre più minaccioso e la cosa poteva diventare pericolosa. Se Loki iniziava a vederlo come un affronto, Robert si sarebbe cacciato in un bel guaio.

 

Maggie prese Robert per un braccio e lo tirò via, cercando di calmarlo. «Lavoro per lui, nel tempo libero. Mi dà delle cose da fare, te l'ho spiegato. Gli ho fatto delle offerte di cibo ed è venuto a ritirarle, è tutto normale. Può entrare e uscire da casa mia quando vuole... è una divinità, non ha bisogno delle chiavi o del permesso».

 

Lo sguardo di Robert era chiaro: la cosa non gli piaceva affatto. Solo perché credeva che una cosa esistesse non voleva dire che accettava tutto quello che comportava.

 

«Dobbiamo parlare» fece Loki in tono serio.

 

Oh, no. Quello non era per niente un buon segno.

 

«Robert, senti... è importante, possiamo vederci dopo? Vieni da me al club stasera, per favore» Maggie gli sorrise, sporgendosi sulle punte per poggiargli un bacio a fior di labbra.

 

Robert si rilassò per una frazione di secondo, prima di tornare vigile. La presenza del dio dell'inganno non lo metteva affatto a suo agio. Spostò il suo sguardo da Loki a Maggie, poi annuì, sconfitto.

 

«Se hai bisogno di aiuto chiama...»

 

 Loki sbuffò una risata. Era più alto di Robert di quasi due spanne, aveva dalla sua i poteri degli dèi di Asgard... quel piccolo mortale davvero non aveva idea dei guai in cui si sarebbe potuto cacciare, se solo non avesse avuto la protezione della sua prole a farle da scudo.

 

Quando la porta di casa di Maggie si chiuse dietro le spalle di Robert, Maggie si voltò verso Loki e rimase in silenzio per qualche attimo. Lo fissò con uno sguardo serio, in attesa.

 

Lui non sembrava voler sputare il rospo, quindi, alla fine, chiese: «Allora? Che succede?»

 

E Loki rispose, con lo stesso tono con cui si elencherebbe la lista della spesa: «Oh, niente di che. Odino è scomparso e c'è una guerra in arrivo».

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


«Aspetta, aspetta...» Maggie si era dovuta sedere al tavolo dell'altare perché quella notizia l'aveva lasciata senza fiato. Continuava a fissare Loki con i suoi grandi occhi marroni, nella speranza che lui si mettesse a ridere, facendole credere di essere caduta in un altro dei suoi scherzi.

Il dio degli inganni, invece, era serio. Si strinse nelle spalle e sospirò. «Girano voci strane, ho provato a contattare l'Alfather e non ci sono riuscito. Così ho sentito Thor... gli ho chiesto di fare due domande in giro, perché magari il padre degli dèi non aveva tanta voglia di parlare con me».

«Quindi?»

«Quindi niente. Nemmeno Thor è riuscito a trovare Odino. Non si trovano nemmeno i suoi corvi. Abbiamo chiesto a Heimdall di tenere d'occhio ancora meglio il passaggio del Bifrost, perché crediamo che sia qui, a Midgard...»

«Okay... e questa guerra?» era quella la parte che preoccupava di più Maggie. Agli dèi fare la guerra piaceva da morire. Molto più che agli uomini... e questo è tutto dire.

Loki si mise a giocare con le statuette sul suo altare. «Non ne sappiamo ancora molto, a dire il vero. Ma la voce che Odino sia scomparso ha iniziato a diffondersi. Senza uno dei capisaldi del pantheon nordico gli altri potrebbero iniziare a farsi strane idee... sarebbe il Caos».

«Credevo che tu ci sguazzassi nel caos...» obiettò Maggie, confusa.

Loki poggiò la statuetta di un cavallo e prese in mano quella di un ragno, se la rigirò fra le mani. «C'è caos e caos. Con Odino al comando del pantheon nordico, noi siamo uno dei più venerati e forti, quasi al pari di quello greco-romano... il caos è contenuto e noi siamo liberi di fare quello che vogliamo... io sono libero di fare quello che voglio. Senza Odino a fare da guida, l'equilibrio si spezza, il caos prende il sopravvento, gli altri pantheon ci sovrastano e io non sono più libero di fare come mi pare... adesso è tutto chiaro?» la spiegazione di Loki finì in un silenzio tombale, lui porse a Maggie la statuetta del ragno. «Contatta i tuoi amici. Hai una tela di conoscenze e collaboratori sufficientemente ampia da poter trovare qualche informazione utile».

«Posso chiedere ai Ragni di Marte...» cominciò Maggie, mettendo a posto la statuetta.

Loki intanto estrasse una rosa rossa dal suo cappotto e la porse a Maggie. «I miei seguaci potrebbero sapere qualcosa, ma per sicurezza chiedi anche a qualcun altro. Un'offerta di pace». 

Appena Maggie prese in mano la rosa Loki scomparve. Sentì lo stomaco contorcersi e il cuore mancarle un battito. Sapeva perfettamente per chi fosse destinato il fiore.

Maggie passò tutto il resto della giornata senza fare assolutamente nulla. Fissava e fissava la rosa che Loki le aveva consegnato, sperando fosse un incubo. Purtroppo, le ore passavano e lei dovette prepararsi per andare a lavoro.

Mandò un messaggio a Robert, chiedendo ancora una volta di venire al locale, poi uscì nel freddo di novembre.

La metropolitana non era troppo distante da casa sua, e da Fulham Broadway fino a Piccadilly Circus erano meno di venti minuti, da lì a Soho, il quartiere dove si trovava il suo locale erano un'altra manciata di minuti a piedi.

L'insegna del locale "The Spiders From Mars" (i Ragni di Marte) era ancora spenta. Maggie era lì in perfetto orario. Aprì con le sue chiavi e si ritrovò in un locale ancora in allestimento.

Una volta a settimana – il sabato sera – era la serata dedicata a David Bowie, il che voleva dire che avrebbero trasmesso solo sue canzoni. Siccome era anche il secondo sabato del mese quel sabato coincideva anche con la serata drag. Sul palco si sarebbero potuti esibire persone in drag, di solito erano sempre i soliti due o tre clienti e performer che allietavano la serata a tutti gli altri.

«Ha fatto visita anche a te?» una voce che Maggie conosceva fin troppo bene la fece sussultare. Si voltò per vedere Parker la persona proprietaria del locale, quasi completamente in drag, pronta per le sue esibizioni.

Parker era una persona non binaria di trent'anni, che fin dalla tenera età aveva amato la musica e in particolare il Rock degli anni '80. Aveva iniziato a seguire Loki circa dieci anni prima e aveva conosciuto Maggie; insieme avevano dato vita prima al gruppo dei Ragni di Marte e poi al locale.

Parker aveva la faccia truccata come Ziggy Stardust e il costume di scena di Arlecchino – ancora doveva indossare la parrucca, per il momento i suoi capelli biondo cenere naturale erano completamente laccati all'indietro.

«Per mettermi ansia con storie di guerre e di Odino che scompare? Sì» rispose Maggie, almeno adesso era lì... era al sicuro, era con la sua famiglia. «Forse stasera viene anche Robert...» aggiunse, con la consapevolezza di chi ci stava già sperando fin troppo.

Gli occhi di Parker si illuminarono e un sorrisetto divertito apparve sulle sue labbra disegnate. «Avete finalmente chiarito?»

«Più o meno... gli ho chiesto di venire, magari si sblocca...»

«Per come me lo hai descritto la vedo dura. Dai, vatti a cambiare!» la incitò, con una spintarella amichevole e una risata.

Maggie non aveva una divisa, ma il dresscode del locale non prevedeva i pantaloni della tuta che aveva indossato per venire al lavoro.

Nei camerini, sul retro, si cambiò con dei pantaloni di pelle nera e un vecchio top semitrasparente a rete, poi indossò i suoi stivali. Indossò anche un collare di pelle, al posto dell'anello, però, c'era una targhetta sulla quale vi era incisa una runa: 𐌙, Algiz, per protezione. Si aggiustò il trucco, ispirandosi a Bowie, e quando aveva finito di prepararsi il locale era già aperto.

Maggie serviva dietro al bancone, non aveva tanta voglia di chiacchierare con i clienti – quella era la specialità di Parker.

La serata Bowie portava sempre un sacco di clienti, e la musica era sempre favolosa. In più le performance drag erano un toccasana per la mente e il cuore. Quella era di sicuro la serata preferita di Maggie.

Mentre puliva il bancone con uno straccio teneva anche d'occhio il palco. Parker aveva appena concluso la sua esibizione di "Starman" e aveva ceduto il posto a un altro performer, quando con la coda dell'occhio vide Robert che si avvicinava al bancone.

«Ce l'hai fatta!» trillò Maggie, felice.

Robert sorrise, guardandosi intorno. Era chiaramente un po' a disagio, ma sembrava contento di essere lì. «Stai bene così...» indicò l'outfit di Maggie, poi il resto del locale. «Ti si addice».

Lui non aveva nulla di insolito nel suo abbigliamento: jeans e t-shirt. Maggie avrebbe dovuto dirgli che era una serata a tema perché sicuramente lui aveva qualche maglietta di Bowie nell'armadio. 

«Grazie, ti offro da bere,» sorrise, un sorriso genuino. Quel passo verso di lei era importante, non si aspettava che sarebbe venuto.

Bevvero qualche drink insieme e assistettero a qualche esibizione. Maggie riuscì anche a presentargli Parker prima di venire interrotti da una voce aggressiva, proveniente dalla folla di clienti.

«Ehi! Ma tu guarda un po'... che coincidenza!»

Robert s'irrigidì e parve diventare una statua di ghiaccio, nemmeno si voltò.

Maggie riconobbe immediatamente la voce di David, l'ex marito di Robert che l'aveva lasciato un anno prima.

Era lì davanti, adesso, e non era solo. Era in compagnia di un uomo biondo. Che faccia tosta.

Quado Robert trovò il coraggio di voltarsi e si ritrovò davanti non solo David ma anche Stephen, colui per cui era stato lasciato, la sua espressione cambiò radicalmente. Da spaesata divenne una maschera di rabbia. Maggie gli poggiò una mano sulla spalla.

«Che cazzo ci fate qui?» ringhiò lui, quasi sottovoce.

«Non possiamo più visitare un locale?» sbuffò David, divertito.

Robert si voltò verso Maggie, quello sguardo ricolmo di rabbia rivolto verso di lei la colpì come una lama dritta al cuore. «C'entri tu?»

In un anno non aveva mai messo piede lì dentro. «No» la risposta fu secca.

«Chi è la tua amica?» fece David, ancora più beffardo.

Maggie sollevò gli occhi al cielo. «Dave, non fare lo stronzo. Hai vissuto per anni al piano sopra al mio...»

«Oh, non ti avevo riconosciuta, scusa...» sembrava sincero, a dire il vero. Come se in tutti quegli anni nemmeno le avesse prestato attenzione.

Stephen sembrava volersi nascondere dietro il bancone, mentre David e Robert continuavano a lanciarsi frecciatine dritte in faccia.

Maggie decise di allontanarsi, stanca. Non era così che prevedeva andasse la serata.

Proprio in quel momento, qualcuno esultò da qualche parte del locale e si voltò per vedere una donna alta due metri tracannare un boccale di birra. In un primo momento pensava fosse una delle drag queen, poi si rese conto che quella chioma rosso fuoco era un po' troppo familiare.

Si avvicinò abbastanza per vedere bene cosa stesse succedendo. Loki era nel bel mezzo di una gara di bevute. E ovviamente stava vincendo.

Quando il povero malcapitato che l'aveva sfidata era svenuto a terra, lei si avvicinò a Maggie. «Allora? Come va la serata?»

«È opera tua?» chiese Maggie, senza girarci intorno, indicando con un cenno di capo Robert e David che litigavano.

Loki si strinse nelle spalle, un sorriso obliquo le piegò le labbra. «Potrei aver fatto volare un volantino di questa serata fra le mani di Stephen... ma è stato lui a decidere di dirlo a David ed è stato David a decidere di venire. Sei stata tu a decidere di invitare oggi Robert ed è stato Robert a decidere di venire oggi... quindi non lo so... è opera mia? Io ho solo mosso una folata di vento».

«Ti odio».

«No... tu lo adori» gli occhi smeraldo di Loki brillavano di luce propria, i suoi capelli fiammanti sembravano vivi. «Abbraccia il caos, accoglilo... accettalo» una carezza si poggiò sulla guancia di Maggie, fermandosi sul collare, le dita di Loki sfiorarono il ciondolo. «Come puoi affrontare quello che ti aspetta se non affronti nemmeno il caos della tua vita?» le mani di Loki si spostarono sulle spalle di Maggie, la voltò verso il litigio e la spinse in quella direzione.

La voce femminile di Loki era stata una cascata di emozioni. Un calore mai provato prima le faceva da scudo contro il mondo.

Si mise fra Robert e David e la prima cosa che fece fu tirare un pugno in pieno viso a quest'ultimo.

Una serie di oooh e di gridolini si levò dalla folla. Robert indietreggiò, inorridito.

David si mise a ridere, da terra, tenendosi il viso. «Cazzo, sei forte!» commentò.

Stephen era al suo fianco, dopo aver emesso quello che sembrava un ultrasuono.

«Ascoltami bene,» cominciò Maggie. «te ne sei andato tu, dopo vent'anni di matrimonio, lo hai lasciato per un altro e adesso ti permetti anche di fare il geloso? È passato un anno, lascialo stare... sta cercando di andare avanti, di voltare pagina dopo che gli hai distrutto la vita... se fosse per me ti sbatterei fuori a calci ma Parker è contro questa politica...» disse tutto d'un fiato, per paura di non riuscire più a parlare. Il petto gonfio e gli occhi pieni di orgoglio. Continuava a stare davanti a Robert con fare protettivo, intanto David si era alzato con l'aiuto di Stephen.

«Ma sì, non c'è bisogno di cacciarmi. Ce ne andiamo da soli...» mentre si allontanava, David le lanciò un'ultima occhiata minacciosa. «Prenditi cura di lui...»

Maggie si sentì decisamente a disagio – che razza di ultime parole erano? – poi si voltò verso Robert e si rese conto che era sul punto di vomitare. Era diventato verdognolo e sudaticcio; Parker si avvicinò a lui e gli passò un bicchier d'acqua, quando non sembrò migliorare gli indicò dov'erano i bagni e poi si avvicinò a Maggie.

«Che serata...» commentò.

Maggie non disse niente, si lasciò cadere su un divanetto, con lo sguardo si mise a cercare Loki.

«È andata via dopo che hai preso a pugni l'ex di Robert, sembrava contenta» si mise a ridere, diede una pacca sulla spalla a Maggie e poi tornò a lavorare.

Maggie si prese il resto della serata di riposo, e la passò seduta in silenzio accanto a Robert, che non sembrava in vena di parlare, ma non voleva tornare a casa...

«Sei arrabbiato con me?» chiese infine Maggie, dopo circa un'ora di silenzio.

«No,» rispose lui, quasi subito. «ho bisogno di un attimo».

Maggie annuì e calò di nuovo il silenzio.

A fine serata, erano circa le tre del mattino, Maggie si ricordò della rosa che aveva ricevuto da Loki e lo stomaco le si contorse assieme a tutti i drink che aveva bevuto quella sera.

«Devo fare una cosa» esordì, rompendo il silenzio.

Robert, che era mezzo assopito, trasalì e le rivolse uno sguardo confuso. «Che cosa?»

«Una cosa per Loki».

«Vengo con te» il tono era categorico.

«No, meglio di no...» non era proprio pericoloso, ma dopo una serata del genere forse era meglio evitare.

«Ho bisogno di un po' d'aria e non mi fido di saperti in mezzo ai casini in cui ti mette quel tipo».

«Loki» lo corresse lei.

«Come?» fece lui confuso.

«Loki... "quel tipo" non si addice neanche un po' a Loki... visto che può diventare una tipa, una cavalla, una mosca, una volpe e mi fermo qui ma la lista è ancora lunga».

Robert fece un verso indecifrabile, ma si alzò dal divanetto e andò verso l'ingresso per riprendersi la sua giacca di pelle.

Maggie decise di muoversi per le strade di Soho senza cambiarsi, recuperò quindi anche lei il suo cappotto, e dopo aver salutato Parker e qualche altro collega, lasciarono il locale in fase di chiusura.

Camminarono per una ventina di minuti al freddo, in silenzio. Robert non fece domande sulla loro meta. Si comportava come se fosse il cane da guardia da Maggie, senza sapere che in realtà era lei a controllare che nessuno si avvicinasse troppo a loro due, con fare minaccioso.

La runa al suo collo la proteggeva e aveva uno spray al peperoncino in tasca, per ogni evenienza.

Della musica metal iniziò a risuonare lungo la strada e Maggie allungò il passo, Robert fece lo stesso, stando sempre al suo fianco.

Si fermarono davanti a un locale che sembrava aver aperto da pochissimo e la cui insegna era illuminata a neon. Diceva: "666".

«Dove siamo?» chiese Robert, il tono di voce leggermente preoccupato.

«Prova a indovinare» rispose Maggie, seria.

Aveva la rosa rossa nella giacca, non si era rovinata per chissà quale incantesimo le aveva fatto Loki.

C'era la fila per entrare e Maggie lanciò uno sguardo al buttafuori.

Era una donna altissima dal viso duro e severo. Senza tacchi raggiungeva tranquillamente il metro e novanta, ma indossava un paio di stivali bianchi con delle zeppe altissime. Era vestita di bianco, con un cappotto nero che la riparava dal freddo. I capelli erano lunghi e biondi. Quando i suoi occhi celesti incontrarono quelli scuri di Maggie il suo viso si sciolse in un'espressione contenta e si illuminò.

Ignorando la fila, fece cenno a Maggie di raggiungerla.

Maggie diede una lieve gomitata a Robert, che si era incantato a guardare la donna.

Appena arrivati, la buttafuori non perse tempo e mentre Maggie cercava di presentare i due, l'altra presa dall'entusiasmo afferrò Maggie per il collare e praticamente la sollevò da terra, tirandola a sé finché le loro labbra non si scontrarono.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il bacio fu lungo e passionale. Quando i piedi di Maggie tornarono a toccare terra, il suo viso era arrossito. Si schiarì la voce e si voltò verso Robert, che era rimasto senza parole.

 

«Robert, lei è Lorina... Lorina, lui è Robert».

 

La bionda gli tese la mano e lui la strinse piuttosto con foga. Aveva tante domande ma se le tenne tutte per sé.

 

Maggie si voltò verso di lui. «Ci frequentiamo, ogni 

 

tanto...» disse, come se bastasse a saziare la curiosità dell'uomo.

 

Lui ancora una volta non disse niente, Maggie non era preoccupata dal momento che Robert era sempre stato un tipo alquanto taciturno.

 

Lorina li fece entrare nel locale e li seguì dentro, facendosi dare il cambio da un altro buttafuori.

 

Nonostante il silenzio, lo sguardo di Robert non lasciava la bionda. Era così alta che doveva tenere la testa sollevata e gli occhi dell'uomo non nascondevano un certo astio tipico di Robert.

 

L'interno del locale lo lasciò ancora più a disagio dell'interno de I Ragni di Marte. Le luci al neon rosse erano fortissime. C'erano persone di ogni genere e colore. La musica metal sovrastava ogni cosa... parlare e farsi sentire sembrava impossibile.

 

C'erano degli animali. Gatti, rettili (per lo più serpenti maneggiati con cura dai clienti) e capre che vagavano tranquillamente nel locale.

 

Robert lanciò un'occhiata di sottecchi a Maggie che però sembrava del tutto a suo agio.

 

Raggiunto il bancone del bar, Lorina ordinò da bere per tutti e tre. Un giro di shottini di assenzio.

 

Dopo aver buttato giù quel liquido verde, Robert dovette sforzarsi per non vomitare di nuovo, ma la sua espressione non cambiò.

 

«Sono qui per vedere il tuo capo» la voce di Maggie era roca, incrinata dall'alcol.

 

«Ted oggi non c'è» Lorina buttò giù un secondo shottino come se fosse acqua fresca.

 

Maggie scosse la testa. «No, più su. Mi manda Loki» e accompagnò le sue parole indicando giù con il dito indice. Poi estrasse la rosa rossa, in perfette condizioni. «Ho un'offerta».

 

Robert, intanto, si stava guardando intorno e notò che alcuni dei clienti stavano bevendo dei drink particolari. Sembravano antichi calici di cristallo, contenenti un liquido rosso, troppo denso per essere acqua o vino. Un brivido gli corse per tutta la schiena e inspirò lentamente, preoccupato.

 

«Oh, vado a vedere se è disponibile...» così dicendo, Lorina sparì nella folla, lasciando Maggie e Robert da soli.

 

«Perché c'è gente che beve sangue?» finalmente l'uomo trovò il coraggio di aprire bocca e fare domande, pronunciò quell'ultima parola come se fosse qualcosa di velenoso. Nella sua mente, adesso, Maggie e Lorina che pomiciavano erano scese nella lista delle cose importanti.

 

Maggie gli fece cenno di abbassare la voce. «Vampiri...» spiegò, semplicemente. «Qui viene gente di tutti i tipi, non fanno molta distinzione. Basta che paghino. Parker preferisce una clientela più selettiva... persone queer e seguaci di Loki... a ognuno il suo».

 

«E quindi... tu e Lorina?» Robert preferì non commentare, sapeva che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stato sbagliato.

 

«Te l'ho detto, ogni tanto ci frequentiamo. Ci siamo conosciuti mentre facevo una cosa per Loki, un paio di anni fa. Per me l'amore non ha limiti, te l'ho già detto tante volte... no?»

 

Glielo aveva detto, era vero. Però non l'aveva mai vista baciare qualcun altro. Doveva capire se la cosa gli stava bene o meno.

 

«Frequenti molte persone?» la domanda gli ronzava in testa da un po'. Era sempre stato un tipo geloso, da quando lui e Maggie avevano iniziato a frequentarsi era cambiato tutto. Maggie gli aveva spiegato che anche lei era gelosa, ma tentava di capirne le ragioni e di combatte la gelosia in maniera diversa da come faceva lui. Avere più di un partner era qualcosa che lui non aveva mai fatto. Maggie si era fatta promettere che tra loro due ci sarebbe sempre stata onestà reciproca e anche questo gli veniva piuttosto difficile, perché non era il tipo di persona che si apriva facilmente. Soprattutto dopo vent'anni di matrimonio andati all'aria.

 

Maggie sembrò colpita dalla domanda; però, già solo il fatto che ne stavano parlando per lei era un buon segno. Robert aveva sempre voluto evitare certi argomenti con lei... sapeva che non era monogama, per il momento gli stava bene così, e faceva come se niente fosse. Non era proprio l'ideale per Maggie, ma finché lui non ne soffriva, poteva girarci intorno. Era sempre stata onesta con Robert, di certo non avrebbe smesso ora.

 

«Meno di quanti tu te ne stia immaginando, probabilmente» rispose con un sorriso gentile. «Una, oltre Lorina... beh, e suo marito... quindi forse due... una coppia, ecco» si corresse, pensierosa.

 

Robert annuì, sembrava stesse riflettendo sulle informazioni appena apprese.

 

Lorina tornò da loro, fece un cenno di capo a Maggie e lei prese a muoversi. Robert provò a seguirla, ma Lorina lo fermò. «Meglio che resti qui con me...»

 

«Col cazzo» fu la risposta dura e secca di Robert.

 

Maggie gli sorrise ma scosse la testa. «Lorina ha ragione. È meglio che io vada da sola, è più sicuro...» poi si voltò verso la bionda, «non me lo sciupare troppo» ammiccò e tornò sui suoi passi, senza che Robert potesse protestare ulteriormente.

 

Lorina gli mise una mano sulla spalla per tenerlo fermo e si fece riempire altri due bicchieri di chissà che drink... come se lui non avesse già bevuto abbastanza, quella sera. «Tranquillo, torna subito» cercò di tranquillizzarlo, come si farebbe con un cane il cui padrone si sta allontanando per qualche minuto.

 

Intanto, Maggie era entrata in una stanza rossa. L'odore di vari incensi era fortissimo. C'era solamente lei e la musica metal che arrivava da fuori adesso era ovattata. La stanza era vuota ma in fondo c'era una tenda che dava su un'altra stanza e da lì proveniva un'altra musica, una musica antica di cornamuse e flauti.

 

Con la rosa in mano e il passo tremante, Maggie si avviò verso la porta e scostò la tenda, varcando la soglia dell'entrata.

 

«Permesso?» chiese. «Ho un'offerta da parte di Loki, Signore degli Inganni».

 

Si presentò con un filo di voce, guardandosi intorno.

 

La stanza era identica alla precedente, o almeno così sembrava. La musica era molto più forte qui, quasi assordante e in un angolo, nascosto nell'ombra, Maggie notò che c'era qualcuno (o qualcosa) nascosto.

 

Le ci volle qualche istante per notare le corna e gli zoccoli. Poi tutto il resto: la peluria, le gambe caprine, il grosso pene che quasi toccava il pavimento e gli occhi gialli dalla pupilla rettangolare.

 

Il suo cuore batteva a ritmo di musica mentre il satiro si avvicinava e le prendeva le mani. I due iniziarono una danza sinuosa, la testa di Maggie girava mentre la musica iniziò a suonare dentro la sua mente, assieme a immagini di fiamme e voci che si susseguivano e si accavallavano e ripetevano cose senza senso.

 

Cominciava a sentirsi soffocare, finché tra le visioni non apparve una donna stupenda. Il volto pallido e gli occhi grigi, aveva i capelli ramati e delle labbra carnose, del colore della rosa che ancora stringeva tra le mani.

 

La musica cessò.

 

Il satiro si ritirò e le porte da cui Maggie era entrata si aprirono per far entrare una figura femminile vestita di bianco. Indossava un lungo abito da sera che le abbracciava ogni curva del suo morbido corpo. Era chiaramente la donna della sua visione, ed era ancora più bella vista dal vivo.

 

Maggie abbassò lo sguardo e strinse la rosa, una spina la ferì e qualche goccia di sangue cadde a terra.

 

«Madre Lilith... vengo per portarti un'offerta di Loki» cominciò, ma la divinità l'interruppe.

 

«Sì, lo hai già detto. Il dio degli Inganni potrebbe venire di persona invece di mandare i miei figli...» aveva una voce soave ma severa.

 

«Sa perfettamente che ti vado molto più a genio io» rispose Maggie, alzando lo sguardo. Le offrì la rosa sporca di sangue, Lilith la prese e ripulì le gocce di sangue con una lingua altrettanto rossa.

 

«Accetto la sua offerta» disse. «E le voci girano in fretta... da queste parti soprattutto. Si dice che Odino e i suoi corvi siano spariti, se sei qui è perché Loki ti ha chiesto di riportargli informazioni...»

 

Maggie annuì. La porta si aprì di nuovo, un uomo alto e biondo, vestito con un completo firmato entrò e la stanza mutò. Adesso erano nel privé del locale.

 

Lui si andò direttamente a sedere su uno dei divanetti senza degnare le altre due figure di uno sguardo, sembrava seccato.

 

Si versò da bere e poi sollevò lo sguardo su Maggie. «Una rosa per Lady Lilith, e nulla per me? Loki è sempre il solito...» sbuffò.

 

Maggie chinò di nuovo lo sguardo. «Mi dispiace, Lord Morningstar... io...» si tastò nelle tasche e trovò un pacchetto di sigarette, ne tirò fuori una e gliela porse. Lui la guardò, sollevò un sopracciglio e Maggie intuì che, come offerta, sarebbe andata bene l'intero pacchetto. Certo Maggie non navigava nell'oro e in Gran Bretagna il prezzo del tabacco era più un furto che altro, ma non poteva nemmeno negare un'offerta a Lucifero. Infilò la sigaretta che aveva tirato fuori tra le labbra e porse il resto del pacchetto all'uomo, che accettò di buon grado, facendo un cenno col capo.

 

Prese anche lui una sigaretta e con un soffio le due sigarette erano accese.

 

«Loki sa perfettamente chi comanda da queste parti» disse Lilith, sedendosi dall'altra parte del divanetto, accavallando le gambe. «L'offerta di Loki è stata accettata ma le tue offerte sono sempre più scarse, figlia mia... non sono stata forse io a salvarti da quel Serafino, cinque anni fa? A infonderti sicurezza? Protezione?» mentre parlava i suoi capelli vibravano, sembravano leggeri come l'aria.

 

Maggie annuì. Era vero, Loki le prendeva così tanto tempo e dedizione che aveva preso a occuparsi di meno delle altre divinità con cui lavorava e che venerava. Lilith e Lucifero, in primis.

 

Fece un lugo tiro di sigaretta, pensò a quella volta che un Angelo si era fermato a osservarla e lei era rimasta paralizzata dalla paura. Creature orribili gli Angeli... almeno nella loro forma naturale. Fortunatamente Lady Lilith era nei paraggi ed era corsa in soccorso di Maggie, allontanando il Serafino, spiegando che fissare così un essere umano non era esattamente un gesto simpatico. A Maggie per poco non veniva un infarto. Tutti quegli occhi, quella voce che si ripeteva nella sua testa, profonda e solenne. Da quel momento aveva giurato che non si sarebbe mai più avvicinata a un Angelo nemmeno per sbaglio e aveva giurato fedeltà a Lilith, che l'aveva protetta con fare materno. Lucifero era arrivato poco dopo di lei. Prendi due paghi uno, aveva scherzato Loki, quando Maggie gliel'aveva raccontato.

 

«Vi chiedo scusa, Madre Lilith... Lord Morningstar. Prometto che sarò più presente. Soprattutto con queste premesse...»

 

«Se Odino è scomparso, Astrid dovrebbe saperne qualcosa» commentò Lucifero, sorseggiando quello che sembrava un Martini.

 

Maggie rimase in silenzio. Come aveva fatto a non pensare ad Astrid? Però, contattarla era impossibile... sia per gli dèi che per qualcuno come lei.

 

«Non ho il suo numero, Loki non può avvicinarsi... non credo che qualcuno di voi possa...» iniziò Maggie, già pronta a trovare mille scuse.

 

Lilith si alzò, aveva un cellulare, inviò un contatto a Maggie. «Questo è il numero del capo di Astrid... avere un colloquio sarà molto difficile, ma se dovessi trovare qualcosa che attragga la sua attenzione...»

 

«Una delle serpi di Eris pare sia stata vista dalle parti di Tower Bridge. Adesso è praticamente impossibile cercarla, ma domattina, con l'aiuto del Sole, potresti catturarla viva e portargliela come pegno... chiedere in cambio il numero di telefono di Astrid» continuò Lilith, tornando a sedere.

 

Maggie fece l'ultimo tiro di sigaretta, dal nulla apparve un posacenere e spense lì la sua sigaretta, intanto prese mentalmente nota di ogni singolo dettaglio che le veniva detto. Annuì con convinzione. «Va bene, grazie mille...»

 

Fu congedata e tornò al bancone del bar, dove Robert sembrava più sobrio di quando lo aveva lasciato, ed era solo.

 

«Lorina?» chiese, confusa.

 

«L'hanno chiamata dei tipi laggiù ha detto che se tornavi prima di lei ti salutava...» rispose, sembrava stanco, non lo biasimava.

 

Maggie gli batté un colpo sulle spalle. «Dai, torniamo a casa».

 

Quelle parole sembrarono rinvigorirlo. Saltò giù dallo sgabello e con Maggie alle calcagna si fece strada fin fuori il locale.

 

Per tornare a casa presero un taxi che Maggie ci tenne a offrire, dopo la serata che gli aveva fatto passare.

 

Robert stava per salutarla, quando per l'ennesima volta durante quella sera, Maggie lo stupì. «Ti va di restare? Io non voglio restare da sola...»

 

Non avevano parlato molto durante il ritorno in taxi, Maggie gli aveva solo raccontato sottovoce che aveva incontrato Lilith e Lucifero – Robert aveva fatto una faccia strana ma non aveva commentato – e che loro le avevano dato delle informazioni, più o meno, riguardo una cosa che avrebbe dovuto recuperare per poter accedere a delle informazioni più importanti.

 

Quella storia a Robert piaceva sempre meno. Lui era cresciuto cristiano, non praticava da trent'anni, ma sentir parlare di Lucifero e Lilith gli aveva fatto rizzare i capelli in testa...

 

Una volta saliti in camera di Maggie, la prima cosa che fece lei fu togliersi il collare con la runa di protezione. Si massaggiò il collo e poi andò a cambiarsi. Accese qualche candela, dell'incenso, indossò della biancheria più comoda, si legò i capelli in modo tale che non le potessero dare fastidio e ne approfittò per andare in bagno e darsi una sciacquata.

 

Quando rientrò in camera, Robert era sotto le coperte, presumibilmente in intimo.

 

Aveva dei segni di morsi su tutto il torace villoso e dei lividi: ricordi della sera precedente. Maggie sorrise, contenta del suo operato.

 

Il viso di Robert era più abbronzato rispetto al suo petto, inoltre aveva un tatuaggio, poco sopra l'altezza del cuore: una stella nautica. Dalle condizioni dell'inchiostro doveva essere piuttosto vecchio. Maggie adorava riempire di attenzioni proprio quel punto.

 

Anche Maggie aveva dei tatuaggi, alcuni più visibili altri meno. Qualche runa sparsa per il corpo, un serpente che si mordeva la coda dietro la schiena, un ragno sul polso sinistro e una stella nera sul polso destro.

 

Salì sul letto e gli afferrò la barba tirandola, ricevette in risposta un lamento dolorante. «Te la ricordi la safe word?» chiese e Robert annuì, senza fiatare. «Bravo. Solo per stanotte, puoi chiamarmi "Madre". Hai capito?»

 

Lui annuì, senza dire nulla e Maggie tirò ancora più forte la barba.

 

Gli occhi di Robert si inumidirono.  «Sì, Madre».

 

lo lasciò andare per sparire qualche secondo dietro le ante dell'armadio.

 

Ogni fibra del corpo dell'uomo sembrava stesse vibrando, osservava ogni movimento della persona più giovane, sapendo perfettamente cosa ci fosse in serbo per lui.

 

Maggie tornò; in una mano reggeva uno strap-on piuttosto realistico e nell'altra un tubo di lubrificante.

 

«Stenditi e allarga le braccia» ordinò.

 

Poggiò lo strap-on e il lubrificante sul comodino e prese in mano una candela.

 

«Ora devi fidarti di me, okay?» chiese.

 

Robert annuì. Non era abbastanza. Maggie gli afferrò i capelli e tirò forte.

 

«S-sì, Madre» rispose.

 

Maggie, soddisfatta, si sedette a cavalcioni su di lui e prese a tracciargli il petto con le dita. Con le unghie gli faceva il solletico tra i peli, di tanto in tanto li afferrava in un pugno e tirava con forza e poi di nuovo con le unghie tracciava piano i capezzoli. Si beava dei versi che l'uomo sotto di lui emetteva. Finché, senza avvisare, iniziò a versare la cera bollente sul suo petto.

 

Robert sussultò ed emise un lungo lamento, senza urlare, stringendo i denti. Erano candele apposite che avevano già usato in precedenza e gli erano piaciute parecchio.

 

Stavolta, Maggie prese a fare dei disegni con la cera, disegni ben definiti. Era un simbolo, un sigillo.

 

Quando finì la sua opera, ripose la candela sul comodino e si alzò sulle ginocchia per poter afferrare lo strap-on.

 

Robert ansimava, le sue pupille erano così dilatate che i suoi occhi sembravano due pozzi neri.

 

Dall'alto il sigillo che aveva disegnato sul petto di Robert era chiaro e visibile.

 

Mentre indossava lo strap-on, Maggie inspirò l'odore dell'incenso e si prese un attimo per ammirare la sua opera, poi, tirò indietro la testa, vibrando di eccitazione.

 

Solo due parole lasciarono le sue labbra: «Hail Lilith

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 

 

Il giorno seguente Robert era incapace di sedersi composto ed era piuttosto stordito. Lui e Maggie stavano facendo colazione al tavolo della cucina.

 

 

«Lavoro per Madre Lilith da cinque anni, da quando mi ha salvata da un Angelo... non voleva farmi nulla in realtà, mi stava solo osservando, ma mi sono spaventata» stava spiegando Maggie, versando una tazza di caffè a Robert. «Da quel momento ho iniziato a venerarla e poco dopo lei mi ha chiesto di collaborare. Subito dopo me lo ha chiesto anche Lord Morningstar».

 

«Lucifero?» chiese Robert, sorseggiando il caffè.

 

Maggie annuì. «Se quello che abbiamo fatto ieri ti è piaciuto, potremmo rifarlo...»

 

«Sì!» rispose subito Robert, forse un po' troppo entusiasta, quindi aggiunse. «Sì, ogni tanto, mi piacerebbe».

 

Maggie sorrise, stava per aggiungere qualcosa, ma un miagolio la interruppe e fu distratta da un enorme gatto nero che balzava dentro casa dal davanzale della finestra.

 

Contemporaneamente, una voce arrivò alle sue orecchie, facendo trasalire sia lei che Robert.

 

«Kinky. Mi piace!» Loki era comparso accanto al gatto e lo stava accarezzando. Principessa aveva preso a fare le fusa.

 

Robert era diventato rosso come un peperone, il caffè gli andò di traverso.

 

Maggie iniziò a colpirlo dietro la schiena, sospirando.

 

«Loki, quando ho ospiti, potresti usare la porta?» chiese gentilmente.

 

Loki sbuffò. «No!» rispose.

 

Quando Robert riprese a respirare normalmente, Maggie si alzò per versare una tazza di caffè anche alla divinità, che ringraziò con un cenno di capo.

 

Loki svuotò l'intera tazza in un unico sorso. «Allora, cosa ha scoperto la mia prole, ieri sera?»

 

Maggie tornò a sedersi e lanciò un'occhiata a Robert. Lui era tornato in silenzio. Fissava Loki in cagnesco, probabilmente era meglio non coinvolgerlo nella conversazione.

 

«Lady Lilith sapeva già della sparizione dell'Allfather. Suggerisce di parlare con Astrid e per mettersi in contatto con lei, c'è bisogno del permesso del suo capo. Ha suggerito di attirare la sua attenzione procurandosi una delle serpi di Eris, ha detto che è stata avvistata nei pressi di Tower Bridge...» la spiegazione di Maggie fu breve e concisa, in modo tale che Loki non potesse trovare nulla su cui ridire.

 

Eppure, la sua espressione non era per niente contenta.

 

Maggie sapeva perfettamente perché.

 

Loki smise di accarezzare il gatto, Principessa iniziò a fare il giro della cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. «Non si nomina Astrid...» cominciò a canticchiare, parodiando la canzone di "Encanto".

 

Robert sbuffò una risata. «Ma fai sul serio?»

 

Maggie gli fece cenno di non infierire. «Lo so, lo so... ma è necessario».

 

A quelle parole, Robert aggrottò la fronte. «Si può sapere chi è Astrid?»

 

Loki a sentire quel nome ancora una volta rabbrividì. «Ho detto che non si nomina!» ripeté, stavolta senza cantare.

 

Maggie portò gli occhi al cielo. «È un segreto che gli Asi pensano di saper tenere...» commentò, lanciando un'occhiata obliqua a Loki. «Conosci le storie antiche no? Nella mitologia greco-romana Zeus si trasforma in ogni cosa possibile e immaginabile pur di stuprare la fanciulla di turno?» Robert annuì. «Ecco, di tanto in tanto anche Odino ha qualche storia simile. Seduzioni strategiche, secondo lui. Ovviamente, sono tutte storie del passato, e con il passare dei secoli, gli dèi hanno smesso di mischiarsi ai mortali... finché non è arrivata Astrid».

 

Loki si coprì le orecchie e iniziò a fare versi strani. «Bla, bla, bla. Non sto ascoltando».

 

L'espressione sul volto di Robert era una maschera di disgusto e disprezzo.

 

Maggie continuò, scuotendo la testa. «Astrid era poco più di una bambina, aveva quattordici anni quando Odino l'ha sedotta... e messa incinta» disse.

 

Robert la fermò. «Stai scherzando?» poi si voltò verso Loki. «Sta scherzando?» ma Loki stava ancora facendo finta di non ascoltare.

 

«Mi dispiace, non sento niente... non so nemmeno chi siano Astrid e suo figlio!»

 

Maggie continuò. «Una serie di... eventi... hanno costretto Astrid ad allontanarsi da dove viveva, una piccola isola in Nord America, e Odino pare abbia fatto in modo che il figlio le fosse tolto... dopodiché lei ha iniziato a lavorare per gente poco raccomandabile, si è immischiata in giri strani. Se qualcuno può avere qualche informazione è lei...» concluse Maggie. Non raccontava spesso quella storia. Loki aveva ragione a dire che non si parlava di Astrid. Astrid era un tabù. E il motivo era davvero ottimo.

 

L'espressione di disgusto sul volto di Robert era palese. «Perché non possiamo contattare direttamente lei?»

 

«Perché sono anni che utilizza qualche incantesimo per tenere lontano ogni sorta di divinità, lavora per un mostro... così dicono. Ho trovato solo il modo di contattare questo mostro... è un collezionista di tesori... il che mi porta a...»

 

Nemmeno aveva finito di parlare e davanti a loro la colazione era sparita, al suo posto adesso c'erano due uniformi della protezione animali. Una della taglia di Maggie, l'altra della taglia di Robert.

 

Robert, che ancora stava metabolizzando la notizia dell'incantesimo per tenere lontano le divinità, aprì bocca per fare una domanda ma quella morì sul nascere quando i suoi occhi caddero sui nomi delle targhette che evidentemente erano stati scelti da Loki.

 

«Ehi! Perché io sono Isobel e Maggie è Frank?» chiese, innervosito.

 

Maggie soppresse una risata, quando notò i nomi sulle targhette.

 

Loki si strinse nelle spalle. «Faccio un po' di fatica con i generi... Isobel è un nome maschile, giusto?» lo prese in giro, mentre una vena sulla fronte di Robert si ingrossava pericolosamente.

 

Maggie nascondendo un sorriso gli mise una mano sulla spalla. «Forza, Izzy, andiamo a cambiarci. La giornata si prospetta lunga...»

 

Robert sbuffò, però, si alzò e prese la sua uniforme.

 

Gli piaceva prepararsi nel bagno di Maggie al mattino, perché lei utilizzava prodotti per l'igiene brandizzati per uomo, a parte il profumo. Usava un profumo alla vaniglia incredibilmente stucchevole. Inizialmente gli dava il voltastomaco, poi aveva iniziato ad associarlo a Maggie e la cosa aveva cominciato a piacergli. Quando dormiva da lei usava anche quello.

 

Nel frattempo, Maggie era rimasta da sola in cucina con Loki. Andò a prendere il mangiare di Principessa e mentre lo accarezzava, chiese: «Allora, qual è il piano?»

 

Nessuna risposta.

 

Si voltò verso il tavolo della cucina e si accorse che Loki era sparito. Sospirò, non si aspettava nulla di diverso.

 

Una volta pronti entrambi, Maggie lasciò uscire di nuovo Principessa e si mise in viaggio con Robert.

 

Le occhiate che si beccarono sui mezzi pubblici furono numerose, entrambi rimasero in silenzio tutto il tempo, alquanto imbarazzati.

 

Una volta raggiunto Tower Bridge ad attenderli c'era un'altra sorpresa.

 

Proprio lì, tra turisti e passanti, c'era un'altra guardia della protezione animale.

 

Una coincidenza un po' troppo strana.

 

Tra l'altro l'uomo era in compagnia di due cani neri – se così si potevano chiamare – e sembrava ancora meno contento di trovarsi lì di Robert.

 

Si avvicinarono lentamente. I cani erano grossi e più si avvicinavano più sembravano grossi. Davano l'impressione di essere due lupi. Maggie non era una specialista di cani ma quei due li aveva visti in un sacco di post online su Instagram e TikTok, le sembrava che il nome fosse "American Wolfdog": cane lupo americano.

 

Anche l'uomo era imponente, aveva la pelle del colore dell'ebano e lo sguardo era duro.

 

Appena furono abbastanza vicini, i cani iniziarono ad abbaiare a Maggie e lei si sentì a disagio. Poi lesse il nome sulla sua targhetta.

 

«Immagino tu non ti chiami "Betty"...» lo salutò, cercando di essere cordiale.

 

L'uomo allungò una mano verso di lei. «Greg» disse, stringendo la mano prima di Maggie, poi di Robert, che si presentò subito dopo di lei. «Loro sono Geri e Freki» i due cani smisero di abbaiare e si sedettero accanto al loro padrone.

 

Maggie li osservo, sollevando un sopracciglio. «Maddai, non l'avrei mai detto... e quindi... tu...»

 

«Lavoro per l'Allfather» concluse Greg.

 

Maggie provò ad accarezzare uno dei due cani, che ora sembravano essersi tranquillizzati. «Sei proprio bello!» Non appena lei avvicinò la mano destra verso il suo muso, questo riprese a ringhiare. 

 

Maggie indietreggiò di scatto, ridendo nervosamente. «Proprio quando pensi di aver imparato la lezione...» disse, ironica, tenendosi stretta la mano destra, senza smettere di fissare il cane.

 

«Lei è Geri» fece Greg, indicandole il cane che si era quasi sbranato la sua mano «lui è Freki» indicò l'altro, che le stava mostrando tutte le zanne.

 

Maggie osservò Geri e annuì. «Ti chiedo scusa. Allora sei proprio bella. Ti capisco, anche con me sbagliano sempre...»

 

Robert amava i cani, eppure quelli sembravano poco amichevoli.

 

Maggie si voltò verso Greg. «Senti, non saranno mica...» i corvi di Odino erano spariti, ma i suoi lupi erano ancora a zonzo per Asgard... che li avesse affidati a qualcuno? Proprio alla persona di fronte a lei?

 

Greg scosse la testa. «No. Li ho solo chiamati così in onore dell'Allfather» spiegò.

 

Maggie tirò un sospiro di sollievo. Non aveva per niente voglia di avere a che fare con le due bestie di Odino.

 

«Bene, cioè... bello! Io ho un gatto che si chiama Principessa» disse, per fare conversazione, ma l'uomo di fronte a lei non sembrava voler fare conversazione.

 

«Il tuo dio è venuto da me ieri sera» cominciò, negli occhi c'era quasi disgusto. «Credevo fosse lì per infierire sulla sparizione dell'Allfather ma aveva un compito da propormi. Temevo volesse imbrogliarmi, immischiarmi in qualche guaio, così ho chiesto alle rune, ho anche cercato di comunicare con Mimir...»

 

Mentre parlava Maggie sentiva tutto il disprezzo che provava verso Loki. «E...»

 

«E, a quanto pare, non è un inganno. Ti servono i miei cani per recuperare la serpe di Eris. Loki gli ha dato una traccia, riusciranno a seguirla...»

 

Maggie scambiò uno sguardo speranzoso con Robert, gli sorrise e le labbra di Robert si incresparono di rimando. Lui di tutta quella faccenda ci capiva poco e niente, voleva solo assicurarsi che non accadesse nulla di brutto a Maggie.

 

«Allora,» fece Robert, guardandosi intorno. «Come facciamo? Da dove iniziamo? È pieno di gente...»

 

Greg aveva un guinzaglio che si sdoppiava. I due cani adesso erano tranquilli. «Dobbiamo cercare di delimitare una zona di ricerca...»

 

Il suo ragionamento era giusto, però, Maggie aveva un'idea migliore.

 

Si avvicinò a una guardia del posto e le mostrò dei documenti finti che le aveva fornito Loki. «Ascolti, siamo della protezione animali. È stata avvistato un serpente estremamente velenoso da queste parti, fuggito da una collezione privata. Un Oxyuranus microlepidotus comunemente noto come taipan dell'interno. Bisogna evacuare l'intera zona immediatamente... altrimenti ha presente la scena del camper in Kill Bill Volume 2? Il mamba nero in confronto a questo serpente è uno spaghetto con le zanne».

 

Parlava con così tanta sicurezza che per poco non convinceva anche Robert. Sembrava nata per riempire di bugie le forze dell'ordine.

 

Mentre gli occhi di Robert si riempivano di orgoglio e il cuore gli batteva un po' più forte, l'uomo di fronte a Maggie era completamente sbiancato e in preda al panico aveva iniziato a dare ordini e informazioni attraverso una radiolina che aveva attaccata alla cintura.

 

Nel giro di poco si era scatenato il caos più totale.

 

Greg sembrava molto poco contento.

 

Maggie era soddisfatta.

 

«Potevamo fare di meglio» commentò lui, tra i denti.

 

«Se ne stanno andando, no? E il rumore sveglierà la serpe... metti in moto i cani» disse Maggie di rimando.

 

Scuotendo la testa e lamentandosi sottovoce di Loki e di chi lavorava per lui, Greg si inginocchiò di fronte ai suoi cani. Mentre lui si occupava dei due animali, Maggie continuava a osservare il caos generato da lei con orgoglio.

 

Loki sarebbe stato così fiero di lei.

 

Era tanto fiera del suo operato e persa nei suoi pensieri di quanto il re degli inganni sarebbe stato contento della sua bugia, che non si era resa conto dei due enormi cani neri che avevano puntato qualcosa e si erano messi a correre, dopo che il loro padrone li aveva lasciati liberi.

 

«Ehi!» Maggie alzò la voce, voltandosi prima verso Robert, poi verso Greg. «Siamo sicuri che lasciare Cip e Ciop senza guinzaglio sia una buona idea?» la sua mano destra andò a stringere la runa appesa al collare che teneva al collo. 

 

Greg le lanciò uno sguardo infuriato, non rispose.

 

Robert si avvicinò a lei, mentre l'altro uomo correva in direzione dei cani. «Forse è meglio se stai alla larga di quelle bestie» suggerì lui e Maggie annuì.

 

Robert poi si mise a correre per raggiungere Greg e Maggie, a passo lento, prese ad andare in quella direzione.

 

Con loro avevano un'attrezzatura piuttosto rudimentale, Loki non aveva detto loro assolutamente nulla sulla serpe di Eris e quindi loro avevano dedotto che fosse esattamente quello che sembrava: un serpente. Nell'eventualità che potesse essere velenoso – e onestamente un po' se lo aspettavano – Loki aveva procurato loro dei guanti.

 

«Senti, che succede se il serpente morde uno dei cani?» Maggie alzò la voce per farsi sentire da Greg. «Insomma, Loki non ti ha detto se il serpente è velenoso, o qualcosa del genere?»

 

«I miei cani sono attenti... devono solo trovarlo, staranno alla larga da un pericolo, sono abbastanza intelligenti da evitare un serpente velenoso» fu la risposta immediata di Greg, che si era arrampicato su una panchina e aveva infilato la testa in un cespuglio.

 

I due cani puntavano un altro cespuglio. Adesso che la piazza era quasi completamente vuota, Maggie si rese conto che non l'aveva mai vista così. Era quasi magica... si perse a guardare il Tower Bridge e per poco non si accorse nemmeno della cosa che le strisciò sui piedi, per poi tuffarsi nuovamente nei cespugli lì di fianco.

 

Fece un balzo all'indietro e un gridolino le sfuggì dalle labbra. Greg e Robert si voltarono appena in tempo per vedere i due cani che la puntavano dritta come due tori e Robert si lanciò verso di lei, afferrandola con un braccio e trascinandola via, in tempo per non essere travolta da Geri e Freki che si piantavano davanti al cespuglio e iniziavano ad abbaiare come forsennati.

 

«Mi è passata sui piedi» disse Maggie in un sussurro, rabbrividendo disgustata.

 

Robert la lasciò andare, poi si voltò per vedere Greg che utilizzando un lungo gancio tirava su il serpente e con una mossa fulminea lo metteva nel sacco e lo chiudeva.

 

Maggie prese ad applaudire. «Bravo! Abbiamo fatto un ottimo lavoro!» disse.

 

Greg la fulminò con lo sguardo, mentre i suoi cani cominciavano a calmarsi e il loro abbaiare andava via via scemando.

 

Robert e Maggie si avvicinarono, Robert prese in mano il sacco con la serpe che si divincolava e la infilò nella valigia che gli aveva dato Loki.

 

«Sto mettendo su una squadra» la voce di Greg era terribilmente seria, una volta tornati all'ingresso. «Una squadra vera, una squadra che non prevede trickster».

 

«Quindi?» chiese Maggie, confusa.

 

«Vogliamo trovare Odino. Senza tutte queste sciocchezze...» e indicò la valigia che teneva in mano Robert. «Ora che avete una delle serpi di Eris credete davvero che lei vi lasci stare? Che non vi darà la caccia per riprendersela?» poi, prese un biglietto da visita e lo passò a Maggie. «Se vi interessa potete chiamarmi».

 

Robert e Maggie si scambiarono uno sguardo incerto. Non avevano pensato a quella possibilità. All'ira di Eris... di certo non era una divinità comprensiva, anzi, tutt'altro. Forse avrebbero dovuto pensarci, prima di fare una cosa simile...

 

Proprio in quel momento, un furgone della protezione animali si fermò a pochi metri da loro e dal lato del guidatore scese Loki, in divisa.

 

«Ce l'avete fatta!» esultò, avvicinandosi ai tre.

 

I cani impazzirono di nuovo, lui li guardò un po' schifato.

 

Maggie notò che la targhetta sulla divisa di Loki recitava "Votan".

 

Quando anche Greg se ne accorse, i suoi occhi lampeggiarono di rabbia per l'affronto. Si voltò verso Maggie e Robert e li salutò con un cenno di capo.

 

«Ricordatevi la proposta» prese ad andarsene senza salutare Loki, trascinandosi i cani che volevano aggredirlo.

 

«Ma come? Te ne vai? Non ti unisci a noi?» Loki lo prese in giro, poi quando non fu più a portata di orecchio, si voltò verso Maggie e Robert. «Lo so che sta cercando di mettere su un gruppo di sfigati per trovare Odino, ma noi siamo molto più fighi! Abbiamo una serpe che vale una fortuna, adesso faremo un affarone! Salite su!»

 

Scambiandosi uno sguardo un po' avvilito, Maggie e Robert salirono sul retro del furgone, mentre Loki tornò al volante.

 

«Dove andiamo?» chiese Robert.

 

«Vi riporto a casa...» rispose Loki. «Intanto, Maggie, chiama questo numero e chiedi un appuntamento con Glamira» mise in moto.

 

Dal volante Loki si allungò per passare a Maggie un biglietto su cui aveva scritto a mano un lungo numero di telefono. Chiaramente non era un numero inglese.

 

Maggie tirò fuori il telefono e rimase in linea.

 

Dopo quella che sembrò un'eternità qualcuno rispose. Una voce femminile.

 

«Pronto?»

 

«Ehm... pronto? Mi chiamo Maggie, Maggie Jones... telefono per conto di Loki» se non le avessero attaccato il telefono in faccia sarebbe già stato un passo avanti.

 

«Chi le ha dato questo numero?»

 

«Loki. Non so come se lo sia procurato, mi ha detto di chiedere un appuntamento con Glamira, ho la serpe di Eris che vagava vicino Tower Bridge» okay, stava ancora parlando con chiunque fosse dall'altro capo telefonico, era un buon segno.

 

Ci fu una lunghissima pausa silenziosa. Maggie credeva che avessero riattaccato o che fosse caduta la linea. Invece, all'improvviso, la voce tornò: «Deduco che la serpe si trovi in Inghilterra, al momento?»

 

«Sì...»

 

«Allora incontrerà Glamira in Scozia, a Drumnadrochit, alla mezzanotte di martedì».

 

Cadde la linea... o le attaccarono il telefono in faccia. Più plausibilmente la seconda ipotesi.

 

«Che hanno detto?» le chiese Robert.

 

«Che dobbiamo andare in Scozia... senti Loki non è che Astrid lavora per il mostro di Loch Ness?» quante possibilità c'erano?

 

Loki sposto lo sguardo sullo specchietto retrovisore. «No, non è possibile. Non esiste il mostro di Loch Ness. Però il lago è uno dei punti di collegamento acquatici più importanti di Midgard... sai quanti mostri marini ci sono passati. Quello che voglio dire è che non esiste un mostro di Loch Ness...»

 

Cercando di non pensare a quante altre porte e domande apriva questa prospettiva, Maggie osservò la valigetta che si dimenava sul retro del furgone. «Ascolta, Loki, Eris proverà a riprendersi la serpe?»

 

«E io che ne so? Non sono mica una Norna» rispose lui.

 

Maggie iniziò a fare ricerche sul telefono. Non ne sapeva troppo su Eris, e Loki non sembrava voler essere d'aiuto. Spesso, quando si comportava così, era perché nemmeno lui ne sapeva poi più di tanto.

 

«A quanto pare Eris è la personificazione della discordia,» cominciò a leggere Maggie – e con il furgone che si muoveva ondeggiando presto le venne mal di stomaco. «È la sorella minore di Ares, quindi figlia di Era e Zeus... mi sa che l'abbiamo fatta abbastanza grossa».

 

Loki si mise a ridacchiare. «Tu questo lo chiami "farla grossa"? Rapire uno dei serpenti di una dea? Oh, andiamo, non ti ho insegnato niente?»

 

Maggie sbuffò. «Stiamo per vendere questo maledetto serpente a un mostro che ne farà chissà che cosa...» ricordò lei, a denti stretti.

 

Il dio degli inganni si strinse nelle spalle, continuando a guidare. «Una volta uscito da questo furgone quel serpente non sarà più un mio problema. Che serpente? Voi avete mai visto un serpente? Io no».

 

Maggie continuò a leggere. «Spesso viene accompagnata da Deimos e Fobos. Terrore e Paura. Fantastico, davvero fantastico...» Maggie prese una pausa perché cominciava a girarle lo stomaco.

 

Loki sbuffò. «Loro due li conosco. Sono due mostriciattoli orrendi che vanno in giro a spaventare la gente di notte, tu hai visto sicuramente di peggio, lui non lo so...» commentò.

 

Robert emise un suono simile a un ringhiò poi si sedette sulla valigetta che aveva preso di nuovo a tremare, per farla stare ferma.

 

Loki indicò qualcosa sul fondo del furgone. «Guarda, da qualche parte dovrebbero esserci delle catene, usale per tenere la valigia ben chiusa».

 

Robert si mise a cercare tra le varie cianfrusaglie che c'erano lì dietro, finché non trovò una catena sottilissima. Sembrava più la catenina di una collana.

 

«Questa? Sei sicuro? Non regge al primo strattone che dà quella bestia!» commentò Robert sollevandola.

 

Loki senza nemmeno guardare pigiò un po' sull'acceleratore. «Sì, sono sicuro».

 

Robert si strinse nelle spalle e iniziò ad assicurare la valigia con quella sottilissima catena e solo in quel momento Maggie smise di pensare ai pericoli che poteva riservare un attacco di Eris e si concentrò su quello che stava facendo Robert.

 

I suoi occhi si ingrandirono e il suo cuore mancò un battito. «Loki?» lo chiamò con un filo di voce. Lui non rispose. «Loki... quella è?»

 

«Gleipnir, sì» rispose, non c'era alcun'intonazione nella sua voce.

 

Maggie si avvicinò per vederla meglio. Era bellissima. La catena era sottile e brillava, adesso che Robert l'aveva usata per assicurare la valigetta, quest'ultima era immobile a terra, si muoveva solo per colpa degli spostamenti del furgone.

 

Robert non capiva il perché di tanto clamore, però qualcos'altro attirò la sua attenzione. Guardò fuori dal finestrino e non riconobbe la strada. «Ehi! Dove stiamo andando?» stavano lasciando la città, non erano decisamente diretti verso casa sua o di Maggie.

 

Loki ignorò la domanda di Robert. «Era la catena che teneva imprigionato mio figlio».

 

«Teneva?» la voce di Maggie tremò per una frazione di secondo. Conosceva la storia di Gleipnir. Cerano due modi per scioglierla. Avere la chiave oppure si sarebbe sciolta da sola all'avvento del Ragnarok.

 

«Sì è liberato...» commentò Loki, sempre stranamente poco entusiasta.

 

«Come?» chiese infine Maggie.

 

«Mi sono fatto dare la chiave, non preoccuparti... altrimenti come libereremo la serpe per consegnarla a Glamira, no?» spiegò Loki, adesso era serio.

 

Maggie annuì. «Okay, quindi hai un piano».

 

«Certo che ho un piano, è tutto calcolato. Loki ha sempre un piano».

 

«E Fenrir? È sicuro... che sia a piede libero?» chiese con cautela Maggie, poi lanciò un'occhiata di sbieco verso Robert, che non ci stava capendo nulla, ancora concentrato sulla strada.

 

Loki li guardò attraverso lo specchietto retrovisore. «Fenrir vuole incontrarlo...» e incrociò lo sguardo con Robert.

 

Lui si sentì incredibilmente spaesato, Maggie, al contrario si sentì presa, masticata e sputata.

 

«Cosa? Chi vuole incontrarmi?»

 

«Mio figlio Fenrir» ripeté Loki con una calma che non gli si addiceva.

 

«No» Maggie si sporse verso il posto del passeggero e si mise a parlare con Loki faccia a faccia. «Loki, no, non se ne parla... perché?»

 

«Perché è arrabbiato... proprio come lui. Perché è incatenato, proprio come lui... e adesso sono liberi...»

 

Maggie si voltò verso Robert, la confusione era chiara sul suo volto.

 

«Liberi? Liberi da cosa... da cosa è libero? Non...» poi un pensiero orribile balenò nella mente di Maggie, non voleva nemmeno concretizzarlo a voce. «Loki dimmi che non c'entri niente con il divorzio di Robert».

 

«Cosa?» la confusione divenne rabbia, Robert si fece avanti, infilò la testa fra i due sedili, si sporse verso Loki. «Che vuol dire che c'entri col mio divorzio?»

 

«Non ho fatto nulla che non sarebbe successo senza una minuscola spinta...»

 

«Una minuscola spinta? Te la faccio vedere io la minuscola spinta, stronzo!» Robert stava per afferrare Loki per la maglietta, ma Maggie glielo impedì, per evitare di morire entrambi in un incidente stradale.

 

«Ho soltanto fatto in modo che il tuo ex marito incontrasse qualcun altro... tutto il resto è opera sua» rispose Loki, senza togliere gli occhi dalla strada.

 

Maggie non disse nulla ma tornò arrabattandosi sul retro del furgone, trascinandosi Robert che era sul punto di esplodere.

 

«Ascolta. Fanno così. Entrano nella tua vita e ti fottono. Ti sconvolgono tutto ma alla fine, quando ti riprendi, la tua vita migliora... lo so che è orribile da dire ma... Loki ha ucciso i miei genitori e io gliene sono grata».

 

Robert che fino a quel momento aveva fissato il pavimento, stringendo i pugni e respirando con le narici, fece scattare la testa all'insù e prese a fissare Maggie con un'intensità tale che lei quasi non riusciva a sopportare.

 

«Cosa? Mi avevi raccontato che avevi rotto tutti i rapporti con la tua famiglia perché non avevano accettato chi eri veramente...» bisbigliò lui.

 

Maggie annuì. «Questo è successo prima, io non accettavo questa cosa. Volevo assolutamente essere accettata, volevo assolutamente una famiglia... e non riuscivo a farmene una ragione, non vivevo. Così Loki è intervenuto e ha causato un incidente stradale... sono morti tutti. Mio padre, mia madre e anche i miei due fratelli... così, sono rimasta sola e mi sono trasferita a Londra... ho conosciuto Parker e abbiamo fondato i Ragni di Marte, ho costruito la mia nuova famiglia e poi ho conosciuto te...» si fermò un attimo, sorrise e una lacrima le rigò il viso, subito la asciugò via. «Robert, fidati, quando gli dèi ci mettono lo zampino la gente muore... sei fortunato che David sia ancora vivo... lo ha lasciato vivere perché probabilmente ti vuole arrabbiato, ha bisogno della tua rabbia... ormai ho capito come pensa» lanciò uno sguardo a Loki e abbassò ancora la voce.

 

«Se vuole che incontri Fenrir, non puoi dire di no. Succederanno cose terribili... non a te, a me».

 

A quelle parole il sangue di Robert gelò. Abbassò la testa e si voltò verso Loki. «E va bene... incontrerò tuo figlio».

 

Maggie gli strinse la mano, poi si asciugò le nuove lacrime che si erano formate agli angoli dei suoi occhi e tornò al posto del passeggero, per cercare di capire dove fossero diretti.

 

Loki la guardò di sottecchi e la voce del dio si manifestò nella mente della persona accanto a lui.

 

Grazie. Posso sempre contare sul tuo aiuto, figlia mia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Si fermarono nell’aperta campagna inglese, attorno a loro non cera assolutamente nulla. Lasciarono il furgone sulla strada. Maggie controllò il telefono e si accorse che non c’era campo. Non aveva idea di dove fossero.
Robert era appoggiato con le spalle al furgone, si era appena acceso una sigaretta. Fissava il cielo e cercava di regolarizzare il respiro.
Maggie si avvicinò a lui lentamente. «Me ne dai una? Ieri sera Lord Morningstar mi ha chiesto tutto il pacchetto come offerta, sono a secco» cercò di alleggerire la tensione, ma Robert non rispose in alcun modo, si limitò a cercare nella tasca del pantalone dell’uniforme un pacchetto di sigarette un po’ ammaccato e allungò il braccio verso di lei, silenziosamente.
Maggie prese una sigaretta e aspettò che Robert gliela accendesse, poi si allontanò nuovamente, lasciandolo solo. Era la cosa migliore da fare, non voleva peggiorare la situazione dicendo qualcosa di sbagliato.
Loki era seduto a gambe incrociate in mezzo al campo, con un filo d’erba fra le labbra e lo stava suonando.
Maggie si sedette accanto a lui, poi si stese senza troppi complimenti, continuando a fumare. «Cosa stiamo facendo qui, esattamente?»
Loki smise di suonare il filo d’erba e si guardò intorno. «Aspettiamo Fenrir» rispose, poi tornò a guardare il cielo.
«Pensi che ci vorrà molto?» chiese Maggie. Fece un tiro lungo di sigaretta, poi si voltò a guardare Robert, chiedendosi se stesse bene, anche se conosceva già la risposta e notò che qualcosa di strano in lui. Era immobile. Più immobile del solito. «Robert?» lo chiamò. Niente. «Ehi? Rob…» preoccupata, si alzò e si avvicinò.
Sembrava in trance, la sigaretta ancora accesa tra le labbra. Maggie gliela sfilò e per precauzione la spense.
Si voltò verso Loki per chiedergli spiegazioni, lui sembrava sodisfatto.
«Eccoci. A quanto pare, Fenrir è arrivato, tranquilla si staranno facendo una chiacchierata» e con queste parole, Loki si stese a quattro di bastoni sul prato, il filo d’erba tra le labbra e riprese a suonarlo.
Maggie intanto continuava a fissare Robert. Quindi, lei non avrebbe incontrato Fenrir. Con le spalle basse, si rese conto che in quell’incontro ci aveva sperato. Forse non era degna?
Spense anche la sua sigaretta e tornò da Loki, si stese accanto a lui. «Volevo conoscerlo» nascondere una cosa simile era inutile. La delusione in lei era evidente.
«Fenrir è un po’ timido… e molto diffidente» spiegò Loki.
«Immagino che dopo tutto quello che gli è successo, sia lecito essere diffidente…» commentò Maggie. Ancora una volta, iniziò a dubitare della divinità al suo fianco, voltò la testa nella sua direzione. «Hai davvero le chiavi della catena?»
Loki sbuffò, stavolta irritato. «Ti ho detto che ce le ho!»
«Allora fammele vedere» chiese Maggie, con il tono di voce più tranquillo che potesse assumere.
Loki si tirò su, sedendosi incrociando le gambe. Maggie fece lo stesso. «No» rispose lui, categorico.
«Andiamo, Loki… non ti ho chiesto di liberare la serpe. Voglio solo vedere le chiavi… controllo che siano quelle della catena e te le ridò. La serpe è in un sacco chiuso, non potrà scappare!»
«Significherebbe che non ti fidi di me, e tu devi fidarti di me» ribatté lui, stavolta il suo tono di voce, perfino la sua voce erano diversi, più autoritari.
Maggie rabbrividì. «Sei il dio degli inganni…»
«Mentirei su una cosa del genere?»
«Assolutamente sì».
«Ma avevamo un accordo, no? Una volta che mi hai preso con le mani nel sacco, sono costretto a dire la verità. Quindi, sì. Ho le chiavi, lo giuro» era vero. Avevano questo accordo… Loki spesso aveva mentito a Maggie, e Maggie ancora più spesso era stata vittima degli inganni di Loki e per questo molti anni addietro aveva stretto un patto con lui: nel momento in cui avrebbe capito l’inganno, Loki non avrebbe più potuto continuare a prenderla in giro.
Eppure, c’era qualcosa che continuava a puzzare di menzogna.
«Ho imparato a riconoscere chi mente, lavorando per te… certo, tu sei un dio, e le mie abilità hanno un limite… ma sono abbastanza convinta che tu mi stia ancora tenendo nascosto qualcosa» Maggie era abituata a parlare piuttosto francamente con Loki, non c’era motivo di non farlo, lui poteva leggerla come un libro aperto. Al contrario, Maggie era incapace di leggere Loki e questa cosa era sempre stata motivo di disagio fra i due. Come puoi venerare qualcuno di cui non ti fidi ciecamente?
«Mentire e tenere nascosto qualcosa sono due cose differenti, figlia mia» le fece notare Loki, piegando le labbra in un ghigno.
Maggie sospirò. Non aveva torto… ed era pur sempre Loki.
«Quindi tu mi giuri che hai le chiavi…»
«Quante volte devo ripetertelo?»
«Perché non mi hai detto che tuo figlio voleva incontrare Robert?» Maggie si voltò a guardare l’uomo immobile accanto al furgone. Chissà cosa stava succedendo nella sua mente, in quel momento. Avrebbe pagato oro pur di vedere il lupo gigante che presumibilmente adesso stava parlando con Robert.
«Perché non sono affari tuoi» rispose secco Loki. «Perché è una cosa tra Fenrir e quel bell’imbusto laggiù».
«Avevi già in mente tutto? Robert e David? Robert e me? Insomma… immagino non sia un caso che io abbia preso l’appartamento proprio sopra di loro» aveva fatto due più due dopo aver scoperto che Loki aveva messo lo zampino nel divorzio tra Robert e Dave, perché poco dopo lei (che aveva sempre avuto un debole per Robert) si era fatta avanti e lui vedendo come era arredata casa sua aveva fatto domande. Maggie gli aveva spiegato che non era cristiana. Poi Loki si era fatto vivo… e Robert era stato catapultato in tutto quel caos.
«Potrei averti spinto verso quel preciso appartamento, ma la scelta finale è stata tua…» rispose Loki. Ovviamente, Maggie non si aspettava una risposta diversa. Voleva solo la conferma.
«L’appartamento era davvero un affare, in effetti…» commentò Maggie con un sospiro. Un’altra occhiata a Robert le confermò che era ancora una statua.
L’erba sotto di lei era soffice, così soffice che quasi stava per assopirsi.
«Non vi metterò in pericolo» la voce di Loki la destò da quel tepore. «Puoi tranquillizzarti, ho scelto te perché sei abbastanza forte. Ti ho reso abbastanza forte» disse.
Queste parole risuonarono nella mente di Maggie come un’eco. Lasciarono una sensazione strana nel suo petto. Ripensò a tutto quello che era successo nella sua vita, a tutte le volte che Loki c’era stato per lei.
«Tra i miei seguaci, credi davvero che sceglierei una persona qualunque per affrontare quest’impresa?» continuò Loki. «Tu sei forte, sei capace…»
Maggie sospirò. «E Robert? Lui non ne sa niente. È appena stato spinto in quest’inferno senza avere scelta…» disse, «non posso riportarlo a casa?»
Loki scosse la testa. «Vuoi davvero che navighi questo mondo senza una guida?» chiese.
«Io l’ho fatto. Avevo te. Lui avrà Fenrir…» rispose Maggie. «Sempre che accetti…»
«Accetterà» Loki ne sembrava piuttosto convinto. «E comunque, avete rapito una delle serpi della dea della discordia, io non lo lascerei senza supervisione» commentò, stavolta con una vena di ironia nella voce.
Ancora una volta, Maggie sospirò, sconfitta. Loki aveva ragione. Robert doveva restare con lei, non poteva lasciarlo da solo. Se gli fosse successo qualcosa se ne sarebbe data la colpa per il resto della vita.
«Stiamo facendo la cosa giusta? Loki, quello che fai non è sempre… corretto» non sapeva in che altro modo dirlo, senza offenderlo. Insomma, Loki era un trickster. Era il dio degli inganni. C’era un doppio motivo per tutto quello che faceva. Per ogni sua azione si scatenava il caos da qualche parte…
«Non ti ho davvero insegnato nulla, Maggie? La differenza tra bene e male non esiste…» sospirò Loki.
«Esiste solo il caos» concluse Maggie, ricordando le parole che una volta gli aveva detto lui stesso. Ed era proprio questo che la preoccupava così tanto. «Ascolta, Loki, contattare Astrid… metterci in mezzo a questi giri… insomma… è davvero la cosa giusta da fare? Forse Greg aveva ragione, forse dovremo contattare qualcun altro. Hai parlato con Tyr? Thor? Hai sentito Frigg?» aveva seguito Loki senza nemmeno pensare che forse ci sarebbe stata un’altra via, più sicura… meno pericolosa, o quantomeno… più convenzionale.
Loki si mise a ridere, una risata amara. «Secondo te Odino scompare e loro si mettono a sentire cosa ho da dire? No. Sotto sotto sono sicuro che siano convinti che c’entri io in qualche modo…» disse, sputò il filo d’erba e prese a fissare il cielo. «Voglio trovare il vecchio e dimostrare a quei bastardi che si sbagliano. Heimdall aprirà il Bifrost e io, te e Odino attraverseremo il ponte arcobaleno insieme, lasceremo chiunque a bocca aperta».
Maggie iniziò a mettere insieme i puntini… adesso riconosceva Loki. Poi si pietrificò anche lei. «Aspetta. Cosa? Mi porterai ad Asgard?» sgranò gli occhi e il cuore iniziò a batterle all’impazzata. Non era mai stata ad Asgard. Nemmeno durante una proiezione astrale…
Loki annuì. «Aiutami a trovare l’Allfather e ti ci porto. Solo per una visita, però… il tempo di ricevere le odi degli dèi».
Maggie si rese subito conto che era un ricatto bello e buono, ma lei era un essere umano e avrebbe dato il braccio destro e tutti e due gli occhi pur di visitare Asgard. Annuì vigorosamente. «Affare fatto».
*
Robert era in piedi nella campagna inglese ma non c’era più né il furgone né le persone che avevano fatto il viaggio assieme a lui. Era completamente solo.
Una strana nebbia era calata tutt’attorno a lui e non riusciva a vedere a più di un paio di metri di distanza.
«Maggie?» chiamò, senza nessuna risposta.
«Loki?» silenzio.
Si allontanò di qualche passo, con incertezza. Si guardava intorno, cominciava a sudare, nonostante fosse novembre inoltrato e l’aria era gelida.
Mentre avanzava nella nebbia iniziò ad avere la sensazione di essere osservato.
«Maggie?»
Niente.
«Loki?»
Ancora niente.
Dopo qualche altro passo iniziò a sentire un pesante respiro provenire davanti a lui e presto quel respiro si trasformò in un ringhio.
Si fermò all’istante, cercando di mettere a fuoco qualcosa nella nebbia.
Era immobile, gli occhi gli facevano quasi male.
La nebbia iniziò a muoversi e a mutare, come se qualcuno – o qualcosa – stesse avanzando verso di lui.
Il pesante respiro e il ringhio si facevano sempre più vicini, finché davanti a lui non prese forma la figura di quello che era chiaramente un lupo.
Non era un lupo normale.
Era gigantesco.
Robert era alto quanto una sua zampa, se avesse voluto, avrebbe potuto schiacciarlo con una facilità incredibile.
Robert indietreggiò ma per qualche strana ragione non sentiva la necessità di scappare.
Con la testa verso l’alto cercò il muso della bestia.
Fenrir si accucciò per poter vedere meglio l’essere umano.
La campagna adesso era in totale silenzio, come se fosse in adorazione.
Gli occhi gialli della bestia incontrarono quelli nocciola di Robert e nella mente dell’uomo tuonò la voce animalesca del lupo.
«Tu sei Robert Hartnell» non era una domanda, era un’affermazione. «Io sono Fenrir».
Robert non disse nulla, rimase in ascolto, completamente sbalordito.
Il lupo continuò a parlare. «Sono rimasto incatenato per eoni, finché mio padre, Loki, non mi ha liberato e ti ho scelto come seguace se accetterai la mia proposta».
Robert non capiva il motivo. Lui era nato e cresciuto cristiano. I suoi genitori erano morti da pochi anni ma lo avevano sempre portato in chiesa fin da ragazzo. Certo, negli ultimi tempi lui aveva abbandonato quella fede, soprattutto quando aveva scoperto dell’esistenza di Loki e delle altre divinità, ma da qui a diventare il seguace di qualcuno il passo era lungo…
Fenrir, però, sembrò leggere i suoi pensieri.
«Ho scelto te perché sento il tuo dolore, la tua rabbia…»
Una serie di immagini si formarono nella mente di Robert.
Un cucciolo di lupo che cresce contento assieme a un serpente e a una bambina dal volto sfigurato. Poi qualcuno li separa con la forza.
Robert vede tutto attraverso gli occhi di Fenrir.
Viene catturato, separato da suo fratello e da sua sorella.
Era solo. Aveva un unico amico, un dio. L’unico che aveva il coraggio di dargli da mangiare, perché lui cresceva sempre di più. Si fidava di lui. Poi gli dèi decidono di incatenarlo ma riesce a liberarsi da ogni catena che gli viene messa.
Poi gli viene presentata una catena sottile, così sottile da renderlo sospettoso… decide di farsi legare a una sola condizione. Qualcuno gli avrebbe dovuto mettere la mano in bocca come segno di fedeltà.
Proprio l’unico amico che aveva accetta di infilargli la mano in bocca. Lui viene legato e non riesce a liberarsi.
Gli dèi ridono. Tutti tranne Tyr… il suo amico che l’ha tradito. La mano del dio viene mozzata, ma Fenrir rimane incatenato. Relegato su un’isola, a marcire da solo.
Robert prova tutto quello che ha provato il lupo. La sensazione di essere stato tradito, l’abbandono, la rabbia. E riconosce in queste emozioni le stesse che ha provato lui quando David lo ha lasciato.
Poi la visione finisce e Fenrir è di nuovo un gigante di fronte a lui, gli occhi gialli brillano nella nebbia.
«Ora comprendi la mia decisione, mortale?» chiese.
Robert annuì, aveva le lacrime agli occhi. «Sì… capisco» disse, cercando di non far tremare la voce. «Accetto la tua proposta».
Appena quelle parole uscirono dalle sue labbra, la nebbia si dissipò e lui tornò con la schiena poggiata al furgone.
Maggie lo stava fissando, preoccupata. «Bentornato fra noi!» sorrise, ma il sorriso non arrivava agli occhi.
Robert deglutì, aveva la gola secca e gli occhi che gli bruciavano. Sbatté le palpebre più e più volte. Si strofinò la faccia.
Maggie gli prese il viso fra le mani e gli poggiò un bacio leggero sulle labbra. «Va tutto bene, hai avuto una visione. Di solito succede mentre sei addormentato, ma raramente può accadere anche da sveglio…» gli spiegò con le parole più semplici che riuscì a trovare.
Robert annuì, incapace ancora di parlare.
«Loki è andato via,» continuò Maggie. «Sei stato in trance per un paio d’ore, a te sarà sembrato molti di meno, ma è normale, non devi preoccuparti…» gli batté una mano sulla spalla, poi aprì la portiera del furgone. «Senti, sei capace di guidare questo coso?»
Robert ci mise qualche attimo a capire la domanda, ma alla fine annuì. «Sì… sì, certo».
Maggie non aveva la patente, guidare per lei sarebbe stato impossibile. «Bene. Allora, il piano è questo: torniamo a casa, ci diamo una ripulita, prepariamo le valige e poi ci mettiamo in viaggio su questo coso per la Scozia… Loki non mi ha dato molte altre indicazioni…»
Ancora una volta, Robert annuì. Era ancora scosso, ma tornare a casa gli sembrava un’ottima idea. Ricordava vagamente la telefonata che Maggie aveva fatto e che aveva nominato la Scozia…
«Perfetto. Così poi, mentre guidi, mi racconti tutto quello che è successo durante la visione!» Maggie gli sorrise ancora, cercando di essere il più cordiale possibile, nascondendo bene la preoccupazione che le stringeva lo stomaco fino a farle venire voglia di vomitare.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
Astrid stava fumando sulle scale d’emergenza che passavano proprio fuori la finestra del suo appartamento. Da lì riusciva a vedere un piccolo spicchio di New York che, nonostante fosse mattino presto, era già molto più sveglio di lei.
Con una tazza di caffè fumante in grembo e lo sguardo perso, rivolto verso il cielo, Astrid non riusciva a concentrarsi su un pensiero fisso, troppo distratta dalla forma delle nuvole. Piccole e bianche, preannunciavano pioggia.
Le sue gambe penzolavano, le faceva oscillare avanti e indietro, rilassata.
Si portò la sigaretta alle labbra, tirò una lunga boccata di fumo, trattenendolo in bocca e ingoiandolo, prima di soffiarlo via.
A pochi metri da lei, mentre beveva un sorso di caffè, si appollaiò un corvo dalle penne bianche e gracchiò.
«Fuori dalle palle,» disse, in tono fermo, senza neanche guardarlo.
Il corvo, di tutta risposta, gracchiò di nuovo e si avvicinò. Messa giù la tazza, stizzita, si allungò per cacciare l’animale con le maniere forti.
«Sciò, via!» lo intimò, ma nello scacciarlo a bracciate perse l’equilibrio.
In un attimo si ritrovò a cadere, oltre la scala antincendio. Il corvo saltò, prese a fissarla e a lei sembrò di piombare nel nulla a rallentatore. L’uccello gracchiò, la sigaretta che le era sfuggita dalle mani, adesso roteava davanti ai suoi occhi.
«Figlio di puttana…» si ritrovò a dire, o a pensare, in quelli che presumibilmente erano i suoi ultimi attimi di vita.
Si ritrovò distesa supina, la schiena poggiata su una spiaggia. Aprì gli occhi, due occhietti piccoli e neri la fissavano dall’alto. Il corvo bianco era ancora lì e gracchiò.
Astrid, confusa, si tirò su poggiandosi sui gomiti. Guardandosi bene intorno, si rese conto che più che su una spiaggia sembrava essere finita in un deserto nel bel mezzo di un’aurora boreale. Dune e dune di sabbia si susseguivano davanti a lei, mentre il cielo scuro era dipinto da colori freddi che si mischiavano fra loro dando vita a forme spettacolari.
«Sono morta?» chiese, più a se stessa che al corvo. «Se sono morta per colpa tua ti tiro il collo».
Lui gracchiò, poi spiccò il volo e fece un giro sulla testa di Astrid, che lo seguì con lo sguardo. Una volta tornato dov’era, si appollaiò su una porta che prima non c’era.
In realtà, le porte erano tre. Lui era sulla terza, contando da sinistra. Gracchiò di nuovo, sembrava impaziente.
«Non— non ho tempo per queste stronzate. Che sta succedendo?» chiese, ma non successe nulla. Astrid era curiosa, ma non abbastanza da fiondarsi ad aprire una porta di cui non sapeva nulla.
Andò a vedere cosa nascondessero dietro ma sembravano solo tre porte posizionate nel mezzo del nulla. Tutte e tre identiche, di legno scuro, con un unico pomello nero laccato e nessuna serratura.
Non si fidava neanche un po’ del corvo, quindi, prima di scegliere la porta che lui stava chiaramente indicando, si fermò a riflettere. Non poteva sapere cosa ci fosse dietro quelle tre porte, non sapeva cosa sarebbe successo scegliendo quella sbagliata — non sapeva nemmeno se ce ne fosse una giusta o solo una “meno peggio”.
«Merda…» borbottò fra i denti, mentre, gettata la spugna e dicendosi che non poteva avere alcun metro di giudizio verso le tre porte, se non un’effettiva affinità che aveva sempre avuto col numero tre, fin da bambina, decise di fidarsi del corvo bianco.
Aperta la porta, si ritrovò a fissare una landa ghiacciata; fece un passo avanti e ci finì dentro.
Stava congelando, faceva talmente freddo che non c’era neve. Il mare gelido andava avanti per chilometri. Era impossibile anche solo vedere dove finisse e cielo e mare si incontravano all’orizzonte.
Il cielo stellato era colorato di sfumature che andavano dal blu intenso al color lavanda.
Sotto ai suoi piedi c’era una spiaggia fatta di sassi e dal lato opposto alla riva del mare si stagliava una catena montuosa altissima, di cui a stento vedeva le vette circondate da nuvole.
Il suo fiato veniva subito condensato in vapore bianco; scaldarsi le braccia con i palmi delle mani era inutile.
Pensandoci, sembrava di essere in qualche punto indefinito dell’Helheimr, il regno dei morti. Anche se in teoria ci sarebbero dovute essere tutte le anime dei defunti a vagare senza meta e invece era completamente sola. Sperava di essere ancora viva…
Il gracchiare del corvo la riportò alla realtà, e si rese conto che si era allontanato.
«Muninn, se mi hai ammazzata giuro che mi vendicherò in qualche modo, brutto stronzo…»
Il corvo la fissò in silenzio, se ne stava con le zampe artigliate a una pietra più grossa e, accanto a questa, era sbocciato un singolo geranio rosso dal colore incredibilmente intenso.
Come fosse possibile che un fiore potesse nascere in condizioni climatiche simili, Astrid non se lo spiegava, ma si avvicinò comunque. Muninn gracchiò quando lei si avvicinò.
«Che cazzo di fine ha fatto tuo fratello, eh?» senza neanche aspettare di ricevere una risposta, si inginocchiò accanto al fiore e lo colse.
Appena toccò i petali, gli occhi di Astrid si aprirono e si tirò su dal materasso, in posizione seduta.
«Merda…» ansimò, il sogno che aveva fatto ancora vivido in mente — anche se per poco, lo sapeva. Fece un salto giù dal letto, l’aria gelida di novembre la fece rabbrividire e il fatto che indossava solo la biancheria del giorno prima non aiutò di certo. Sul tavolo della cucina c’era un quadernetto chiuso, si sedette e iniziò a scrivere tutto quello che aveva sognato, nei minimi dettagli.
Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima che sognava robe strane, ma quel sogno lo era stato particolarmente. Probabilmente non si sarebbe mai più seduta sulle scale antincendio per fumare una sigaretta…
Mentre si preparava un caffè per svegliarsi come si deve, qualcuno bussò alla porta e lei si infilò una vestaglia prima di andare ad aprire. Era un ragazzino giovane, con una serie di giornali in mano.
«Quotidiano» fece lui, porgendogliene uno.
«Non ho nessun abbonamento, sparisci».
Lui controllò, poi tornò a porgerle il giornale «L’indirizzo è giusto. Sono un dollaro e cinquanta».
Astrid sbuffò, chiedendosi se la padrona di casa avesse di nuovo sbagliato a dare l’indirizzo. Andò a prendere il portafoglio e pagò quel maledetto giornale, prima di sbattere la porta e tornare a bere il suo caffè.
Diede un’occhiata alla prima pagina, politica e cronaca nera, come al solito. Tutto molto bello.
Poi, qualcosa catturò la sua attenzione. Un piccolo titolo nel taglio in basso: “Gerani miracolosi, crescono in una notte.”
Prima di andare alla pagina indicata, osservò meglio il giornale. Non era un quotidiano di New York, ma del Kansas…
Aggrottando la fronte, andò finalmente a vedere che razza di articolo fosse quello fatto su un fiore miracoloso e la tazza che aveva in mano precipitò a terra, frantumandosi. Il suo cuore ebbe un tuffo.
C’era una foto allegata all’articolo. Rappresentava i gerani miracolosi in questione, chi l’aveva coltivati e, sullo sfondo della foto, due corvi appollaiati tranquillamente sull’insegna del negozio di fiori. Uno bianco e uno nero.
La donna che reggeva orgogliosa il vaso di fiori era senza ombra di dubbio sua sorella… la stessa che non sentiva da più di trent’anni. Nonostante la foto fosse in bianco e nero, la donna somigliava terribilmente ad Astrid. Avevano gli stessi capelli neri, lo stesso taglio di occhi e se la foto fosse stata a colori, Astrid sapeva che sarebbero stati dello stesso blu cielo e che la pelle sarebbe stata dello stesso candore della neve che tinteggia le montagne dei fiordi norvegesi.
Sempre sullo sfondo, accanto all’insegna, un po’ di spalle, come se non volesse essere fotografato, riconobbe chiaramente il dio che da quasi quarant’anni aveva reso la sua vita un inferno: Odino.
«Figlio di puttana…»
Astrid di ricerche ne aveva dovute fare veramente poche; dopo tutto quello che era successo, dopo tutti gli anni passati a cercare sua sorella, ci aveva messo un attimo.
Non sapeva perché, non conosceva il motivo della maggior parte delle cose che succedevano nella sua vita.
Aveva cercato Lois per quasi trent’anni e alla fine ci aveva anche rinunciato. Non era destino...
Poi, ecco che sogna un cazzo di fiore che le regala una pista fino a un negozio in Kansas, a Lebanon. Non poteva essere una coincidenza.
Prima che tutto andasse a puttane, quando ancora aveva suo figlio con sé, quando ancora riusciva a comunicare tramite lettere con sua sorella, dopo essere stata mandata in un convento dai suoi genitori per essere rimasta incinta a quattrodici anni, c’era proprio un posto che sognava di visitare: Lebanon – ovvero, il luogo dove si trovava il centro geografico degli Stati Uniti d’America. Una notte aveva scoperto che le suore volevano dare Carl, il suo bambino, in adozione. Lei, quindi, aveva scritto un’ultima lettera a Lois. Sarebbe scappata con il bimbo che all’epoca aveva poco più di un anno, e sarebbe andata lì, dove aveva sempre sognato di andare.
Ovviamente in Kansas non c’era mai arrivata. Una serie di eventi glielo avevano impedito e poco dopo i servizi sociali le avevano anche tolto il figlio.
Non aveva mai più sentito Lois, né aveva trovato Carl.
Era stata in Kansas, però, ma non aveva mai pensato che Lois ci fosse arrivata… eppure era lì. Nero su bianco. Su quel dannato quotidiano.
C’era una mail e un numero di telefono, aveva pensato di contattarla con il primo metodo, ma voleva sentire la sua voce...
Continuava a chiedersi il motivo, non poteva essere un caso e forse avrebbe combinato l'ennesimo casino, l'ennesima cazzata. Alla fine, non era quasi mai colpa sua.
Il libero arbitrio era un’illusione, di tutte le scelte fatte in vita sua, forse solo una o due erano state veramente sue.
Compose il numero di telefono usando il suo cellulare privato. Il telefono squillò, finché una voce gentile non rispose. Aveva un nodo nello stomaco; non la riconobbe affatto.
Aveva dimenticato la voce di sua sorella? Forse era qualcun altro ad aver risposto?
«Sto cercando Lois Langdon, sono…» doveva dire la verità o no? Era convinta che sua sorella l’aveva cercata tanto quanto lei e che, se si fosse presentata con “sono tua sorella” le avrebbe agganciato il telefono in faccia.
«Ho letto l’articolo sul fiore miracoloso, potrei avere delle informazioni importanti».
«Sono io» rispose la voce dall’altro capo del telefono, sembrava cordiale. Molto più cordiale di lei. «Davvero ha delle informazioni? Perché per come la vedo io sembra quasi un miracolo!» si mise a ridere.
Astrid decise di tagliarci corto. Non aveva senso mentire… se gli dèi avevano deciso che doveva andare così, era il momento giusto. «Sono Astrid, Lois…» e subito dopo aggiunse: «I corvi mi hanno mostrato i fiori in un sogno… solo così sono riuscita a trovarti» ecco, adesso doveva solo aspettare e vedere se l’altra le avrebbe creduto.
«Huginn e Muninn?» la sorella sussurrò attraverso il ricevitore del telefono. «Allora avevo ragione! Erano davvero loro! Sì! Girano qui intorno da settimane… Astrid, sei davvero tu?» c’era dolore e speranza nella sua voce.
Lois non aveva mai avuto la conferma che la vita di Astrid era stata completamente guidata dal volere degli dèi. Astrid nelle sue lettere non le aveva mai detto fino a che punto si erano spinti gli dèi. Ma Lois non era stupida. Era stata lei ad accorgersi per prima che da ragazze erano sempre seguite da due corvi, uno bianco e uno nero. Nessun altro voleva crederle. Da quando si erano perse di vista lei non aveva più saputo nulla della sorella. Non aveva avuto il cuore di raccontarle di Odino…
«Sì. Sono a New York, ma se sei in Kansas mi metto in viaggio oggi stesso» stava per continuare quando la voce della sorella l’interruppe.
«Posso mandarti l’indirizzo a questo numero?» era tanto impaziente di rivederla quanto lei. Era chiaro che anche Lois l’avesse cercata in questi anni.
Non le importava perché quel bastardo le avesse dato il permesso di ritrovarsi solo ora, voleva rivedere sua sorella. «Sì… sì, manda tutto qui, io preparo uno zaino e mi metto in viaggio. Ascolta, Lois… nella foto sul giornale dietro di te c’era un uomo. È ancora lì?»
«Chi? Il signor Grim? No… è andato via stamattina. Perché?»
Grim… così si era presentato a lei quarant’anni prima. Aveva avuto la faccia tosta di mantenere quel nome. «Cazzo! Niente, lascia stare, ti spiego quando ci vediamo di persona…»
*
Martedì a mezzanotte Robert e Maggie erano sulle sponde del Loch Ness. Dormivano nel furgone, entrambi stavano congelando e non avevano idea di cosa aspettarsi.
I turisti a quell’ora non erano ammessi ma per una serie di fortunate coincidenze, i due erano riusciti a entrare e ad avvicinarsi al lago.
La cittadina era addormentata già da diverse ore.
A dire il vero Maggie aveva una sensazione strana. «Credo che ci sia lo zampino di qualche dio» commentò.
Robert si guardò intorno, controllando bene il pelo dell’acqua, che era immobile. «Che vuoi dire?»
«Non dovrebbe essere così deserto» disse Maggie. «Dovrebbe esserci qualcuno».
Era vero, un custode, almeno un turista tardivo o un passante… invece no, erano completamente soli. Fin troppo conveniente. C’era sicuramente lo zampino di qualcuno. Che fosse Loki o qualcun altro, non potevano saperlo, ma tutto quel silenzio era innaturale.
«Pensi che sia una trappola?» chiese Robert, guardingo.
Maggie ci rifletté a lungo, non sembrava una trappola. Anche perché era stato Loki a mandarla lì…
«No, non credo. Forza, dai, prendiamo la serpe e avviciniamoci».
Robert annuì e si avvicinò al furgone, entrò e andò a prendere la valigetta ancora incatenata. Maggie lo raggiunse e infilò la mano nella tasca dei jeans. Loki le aveva dato una chiave di metallo, piccola e leggera.
Quando la infilò nel lucchetto il cuore le batteva, non si rese conto di aver smesso di respirare finché la serratura non scattò e la catena si sciolse.
Fece un lungo sospiro, sorrise a Robert, senza che lui sapesse veramente il motivo.
Poi infilò di nuovo la catena in tasca. «Metti al sicuro la catena, io porto la valigetta fuori».
Lasciò Robert nel furgone, poi tornò all’aria aperta e una voce echeggiò nella sua mente: “Te l’avevo detto…”
Maggie scosse la testa, sorridendo appena. Tornò verso la riva del lago, aspettando Robert.
Era buio, c’era solo la luce della luna a illuminare l’acqua, uno o due lampioni piuttosto lontani. Il silenzio era inquietante, Maggie cominciava a sentire un certo freddo.
Proprio mentre si voltava a cercare Robert con lo sguardo, qualcosa increspò l’acqua e attirò la sua attenzione.
Un gorgoglio profondo fece tremare la terra e Robert si affrettò a raggiungere Maggie sulla sponda del lago. Non si dissero nulla, ma lui le afferrò un braccio e la tirò appena un po’ indietro, per evitare che finisse in acqua.
Maggie apprezzò il gesto ma dubitò che qualsiasi cosa stesse per apparire di fronte a loro sarebbe stata fermata da un braccio umano.
Un altro gorgoglio fece tremare la terra e il lago davanti a loro. L’acqua si increspò nuovamente e poco a poco la testa di una bestia enorme prese a fuoriuscire dal pelo dell’acqua.
Apparirono prima due enormi occhi di un giallo brillante dalla pupilla stretta, una membrana trasparente si sollevò non appena risalì dall’acqua. Poi fu visibile il resto di un muso affusolato ricoperto da scaglie che sotto la luce della luna erano di un viola cangiante sulle quali l’acqua scivolava e rimanevano asciutte. Aveva due piccole fessure sul muso attraverso le quali respirava e il respiro era bollente, così caldo che fumava. Si mosse e la sua forma tagliò l’acqua del lago così bene da non far quasi muovere un’onda.
Ora Maggie capiva perché Loki le aveva detto che non c’era un mostro di Loch Ness. Quello che aveva davanti era chiaramente un drago – o un mostro marino… o tutte e due le cose insieme. E chissà quanti altri ce ne erano che passavano attraverso le acque di Loch Ness, che stando a quello che diceva il dio norreno era un ottimo passaggio.
Robert fissava con occhi terrorizzati la creatura, ma non lasciava andare il braccio di Maggie.
Maggie lo trascinò dietro di lei, e davanti a lei mise la valigetta. «Siamo qui per uno scambio equo…» disse, cercando di mantenere un tono di voce normale.
Robert, dietro di lei, sembrava pietrificato.
Il drago aprì la bocca – e Maggie avrebbe preferito che non lo facesse, perché adesso poteva vedere la miriade di zanne aguzze presenti al suo interno. «Il mio nome è Glamira, mi è stato detto da uno dei miei assistenti che avete una delle serpi di Eris» aveva una voce profonda, femminile, che fece muovere le fronde degli alberi e i capelli di Maggie. Il suo fiato sapeva di salsedine, nonostante Loch Ness fosse ad acqua dolce. Chissà da dove proveniva.
«Io sono Maggie, lui è Robert…» si presentò lei, poi indicò la valigetta. «La serpe è qui dentro, se vuoi controllare…»
Dal nulla spuntò un uomo in giacca e cravatta che fece trasalire sia Maggie che Robert. Probabilmente era arrivato mentre loro erano troppo impegnati ad ammirare l’arrivo del drago.
Maggie gli consegnò la valigetta e lui fece qualche passo indietro. La aprì, controllò il suo contenuto, si sentirono i sibili e i versi disumani della serpe, poi lui richiuse la valigetta e la consegnò nuovamente a Maggie. L’uomo si avvicinò a Glamira e le disse qualcosa sottovoce, poi si allontanò nell’ombra.
Maggie e Robert si scambiarono uno sguardo preoccupato.
«Molto bene,» tuonò Glamira, facendo di nuovo muovere le fronde degli alberi e i capelli di Maggie. «Cosa volete in cambio?»
«Un contatto… sappiamo che Astrid Langdon lavora per te. Vorremmo avere il modo di parlare con lei» Maggie ancora una volta tentò di mantenere un tono di voce professionale, fingendo di ignorare che di fronte a lei ci fosse un enorme drago viola.
Dopo una lunga pausa, Glamira annuì. Chiamò con uno sbuffo il suo assistente, che si avvicinò silenziosamente. Poi l’uomo si avvicinò a Maggie e Robert e porse a Maggie un biglietto. Maggie lo osservò con cura e sopra c’era un numero di telefono che a giudicare dal prefisso sembrava americano.
«Può provare a chiamare, per controllare. A quest’ora non so se risponderà, la signorina Langdon ha uno stile di vita particolare…» commentò l’assistente.
Maggie prese subito il telefono e compose il numero, chiedendosi quante sterline avrebbe speso per una telefonata oltreoceano…
Il telefono fece un paio di squilli, poi scattò la segreteria telefonica.
«Sono Astrid, non lasciate un messaggio, tanto non ascolterò proprio un cazzo. E non riprovate più tardi, non rompetemi i coglioni. Beep, addio».
Maggie interruppe la telefonata, se avesse voluto lasciare un messaggio l’avrebbe fatto sicuramente dopo. Fece un cenno positivo a Robert e poi consegnò la valigetta all’assistente. Lui si affrettò a tornare nell’ombra, da dov’era venuto, per mettere al sicuro l’oggetto di scambio.
Maggie immediatamente il numero sul telefono e consegnò per precauzione il biglietto con il numero a Robert, per ogni evenienza.
«Grazie mille…» disse, rivolta a Glamira.
Il drago gorgogliò qualcosa di simile a una risata, poi, mentre iniziava a inabissarsi nel lago, aggiunse. «Buona fortuna a trovarla… non risponde alle mie telefonate da una settimana» e sparì sott’acqua.

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