Come nelle favole

di SilkyeAnders
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: C'era una volta ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Principessa di ghiaccio ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: C'era una volta ***


Come nelle favole...


Capitolo 1: C'era una volta...



"Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano"- P. Coelho.


Ci sono quegli incontri che ti cambieranno la vita senza che tu lo sappia e ci sono quegli incontri che non avresti mai voluto, quelli di cui è meglio scordarsi e quelli di cui, se ti scordi, è quasi un delitto.
Tutti gli incontri sono importanti? Tutti sono indispensabili? Non è una domanda che ci poniamo subito quando conosciamo qualcuno, è una domanda che arriva con il tempo ed è inevitabile perché man mano che conosci qualcuno impari anche a conoscere il suo io peggiore, quello che non ti appartiene.
Da ogni incontro si può apprendere qualcosa di utile per la propria vita, questa è una massima inequivocabile.
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Natsu era sempre stato un bambino amichevole, attivo e disponibile. Non aveva mai avuto un attimo di esitazione in tutta la sua breve vita di bimbo, anzi, a volte era persino più deciso degli adulti.
A tutti risultava bizzarro che un bambino così vispo e ottimista avesse per migliore amico un ragazzino come Gray, taciturno e scontroso.
Eppure, contrariamente all'immaginario comune, quei due andavano d'amore e d'accordo (quasi sempre).
Entrambi condividevano la passione per le arti marziali e, entrambi, possedevano un cuore enorme e un'anima nobile. I punti d'incontro fra loro erano veramente pochi ma bastavano per alimentare il loro rapporto.
Insieme ai due ragazzini ce n'era sempre una terza: Erza. Lei era totalmente diversa da ogni bambina, era autoritaria e seria ma ogni tanto si lasciava andare mostrando pienamente i suoi otto anni d'età.
Un giorno, mentre i tre stavano giocando allegramente nel parco della loro città, si trovarono di fronte a una ragazzina avvolta da una pesante coperta blu.
-Che cos'è?- chiese Natsu curioso.
-Sembra una bambina- rispose Erza altrettanto stupita.
I tre si avvicinarono per parlarle ma la ragazzina scattò in piedi immediatamente indietreggiando e stringendosi sempre più nella sua coperta.
-Sei spaventata? Guarda che non ti mangiamo mica!- esclamò Erza.
La bimba non accennò nemmeno ad aprire la bocca per parlare, semplicemente si coprì il viso con la coperta.
-Hai proprio paura, eh?- incalzò Gray.
-Come mai sei così spaventata?- chiese Natsu.
Erza si portò una mano al viso :-Non parli? Ci dici almeno se va tutto bene?-.
La misteriosa ragazzina annuì energicamente ma era evidente che stesse tremando come una foglia, nessuno degli altri tre avrebbe saputo dire se per il freddo o per altro.
Natsu stava per dire qualcosa ma fu interrotto immediatamente da un urlo isterico proveniente da poco lontano, una donna interamente vestita di nero stava correndo verso di loro a gran passo.
-Per la miseria! Allora è qui che ti nascondevi! Sei proprio una mocciosa impertinente! Ti pare forse il modo di andartene? Guarda che poi ci rimetto io se ti succede qualche cosa di spiacevole...- gridò la donna.
Natsu inclinò la testa da un lato, non capiva se quella signora fosse la madre della ragazzina ma il modo in cui le stava parlando non gli piaceva e, dalle espressioni contrite dei suoi amici, poteva intuire che non piacesse nemmeno a loro.
-Non la sgridi! Non vede che è terrorizzata poverina?- esclamò Erza.
-Figurati se una come lei ha paura di qualcosa. Coraggio, torniamo indietro mocciosa insopportabile! I grattacapi che mi provochi...- borbottò infastidita la donna.
I tre bambini la osservarono afferrare il braccio della poverina con forza e trascinarsela appresso come fosse un trolley per poi svanire oltre la strada.
-Povera bambina... Chissà che le è capitato?- chiese Erza.
Gray e Natsu fecero spallucce prima di riprendere il loro gioco.
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A Magnolia batteva un sole intenso quella mattina.
Il piccolo Natsu si alzò dal letto pieno di energia come ogni mattina e corse a svegliare suo fratello maggiore, ancora profondamente addormentato.
Natsu e suo fratello non avevano i genitori, purtroppo erano orfani da qualche anno ormai. Di loro si occupava il nonno di un amico di famiglia, il quale aveva l'abitudine di prendere con sé ragazzini in situazioni problematiche.
Natsu piombò in camera di Zeref e, senza pensarci su due volte, balzò sul suo letto con scatto felino facendo sobbalzare suo fratello dallo spavento.
-Sei fuori di testa?- esclamò.
Natsu scoppiò a ridere divertito :-E' ora di colazione- disse prima di uscire dalla stanza.
-Tuo fratello è proprio un ghiottone- sospirò un ragazzino seduto nel letto di fronte a quello di Zeref.
-Credi non lo sappia? Se non ci muoviamo per noi non rimarrà più nulla Luxus-.
I due si alzarono dai rispettivi letti e, stancamente, si trascinarono lungo il corridoio per raggiungere la cucina al piano inferiore.
-Buongiorno figlioli- disse il vecchio Makarov con un sorriso.
Natsu, già seduto a tavola a mangiare, rivolse una smorfia ai due cercando di sfuggire allo sguardo del nonno.
-Buongiorno nonno- rispose Luxus.
-Buongiorno Signor Makarov- mormorò Zeref timidamente.
-Su, su, quante volte te lo devo dire, eh? Chiamami pure nonno- esordì l'uomo porgendo due ciotole con latte e cereali ai due ragazzini.
Erza giunse al tavolo poco dopo e si accomodò accanto a Natsu :-Nonno- disse timidamente.
L'uomo le rivolse un sorriso incoraggiante per indicarle che poteva proseguire nel discorso.
-Ieri, mentre giocavamo nel parco, è successa una cosa molto strana- confessò la bambina.
Natsu annuì energicamente e, senza nemmeno aver inghiottito il boccone, si affrettò a parlare :-E' vero!-.
-Natsu, ingoia prima di parlare- lo rimproverò Luxus.
-Ha la bocca talmente piena che mi meraviglierei se riuscisse a farlo- sentenziò Zeref.
Erza porse al suo amico un bicchiere di succo d'arancia per mandare giù il cibo che aveva in bocca.
-Che è successo?- chiese Makarov.
-Abbiamo visto una bambina, era tutta avvolta da una coperta e non parlava... Sembrava spaventata. Poi una signora è arrivata e se l'è portata via, la trattava male- spiegò Erza.
Makarov annuì :-Capisco... Probabilmente quella signora era una parente della piccola-.
-Non credo, si è rivolta molto male a quella poverina- osservò la ragazzina.
-Bè, comunque ormai è andata- esordì Natsu dopo aver inghiottito il suo cibo.
-Ma non sei nemmeno un po' preoccupato per lei? Io mi sento in colpa...- mormorò Erza.
-Per cosa dovrei sentirmi in colpa? Io quella lì non la conosco e poi, magari la signora era sua mamma... Certo, non l'ha trattata bene ma forse lei si era comportata male prima- offrì il bambino.
Erza non sembrava per nulla convinta di quella spiegazione.
-Ma sembrava essere fuggita di casa- osservò.
-Magari è una bambina un po' ribelle, come il nostro Natsu- propose Makarov.
Erza annuì con un lieve sorriso divertito sulle labbra, forse stava veramente pensando troppo a quella storia. Decise di non pensarci più, in fondo non era stata una situazione poi così sconvolgente. La donna non l'aveva picchiata e, anche se aveva alzato la voce, non aveva fatto nulla che potesse risultare pericoloso, Erza era appena più tranquilla.
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L'orfanatrofio di Magnolia era un luogo triste e lugubre, la maggior parte dei bambini che finiva lì raramente veniva adottata. Alcuni crescevano e diventavano dipendenti della struttura, passando letteralmente tutta la loro vita lì dentro.
Juvia era una bambina solitaria, taciturna e che spesso veniva tratta male sia dai compagni che dal personale. Quella mattina era seduta sul davanzale della finestra con una gamba a penzoloni nel vuoto e la sua coperta blu saldamente avvolta al corpo.
La bambina sospirò mentre osservava il paesaggio fuori della sua prigione, il giorno precedente aveva avuto modo di svignarsela per qualche minuto ed era scappata nel parco.
Una volta fuori, però, si era spaventata. Abituata ad un trattamento spregevole non riusciva a comprendere tutte le persone che, apparentemente gentili, le si avvicinavano per chiederle se stesse bene o dove fossero i suoi genitori. Persino al parco le si erano avvicinati tre bambini che sembravano avere la sua età, anche loro le avevano fatto delle domande ma lei non voleva rispondere.
Nella sua mente si era stampata l'immagine del ragazzino dai capelli neri e dall'espressione vuota, appariva talmente regale... Juvia non poté evitare di pensare che aveva proprio l'aspetto di un principe.
La bambina amava particolarmente leggere, specialmente le fiabe che avevano per protagonisti una principessa e il suo amato principe. Nonostante fosse ancora molto piccola, Juvia aveva una fervida immaginazione e aveva anche un'anima romantica per condire bene il tutto.
Da sempre sognava il suo principe azzurro che sarebbe riuscito, in un modo o nell'altro, a liberarla dalla sua prigione di cristallo.
Ovviamente, seppure fosse una semplice bambina, Juvia si rendeva perfettamente conto che la vita reale non era certo una fiaba e, per quanto le dolesse ammetterlo, sapeva anche che nessun principe sarebbe arrivato a salvarla in groppa al suo cavallo bianco.
Certo, era un vero peccato...
Juvia scese dal davanzale, il suo stomaco brontolava fortissimo ma, dato che il giorno prima era fuggita, quella mattina non aveva avuto il permesso di fare colazione né di uscire dalla sua camera.
-Juvia deve andare in bagno- si disse in un mormorio.
La bambina si diresse verso la porta per poter andare al gabinetto in fondo al corridoio, era da quando si era svegliata che sentiva il bisogno di andare ma nessuno la lasciava uscire dalla stanza. Una delle dipendenti le aveva detto che sarebbe potuta andare non appena fossero passate tre ore e, per la gioia di Juvia, era finalmente il momento.
Dopo tre ore quella che era iniziata come una semplice necessità fisiologica era diventata un bisogno impellente, di fatto la bambina faceva anche fatica a camminare correttamente data la forte pressione che avvertiva sulla vescica.
-Che vuoi?- chiese la stessa donna del giorno prima quando la vide sbucare dalla porta.
-Juvia può usare il bagno? Sono trascorse tre ore- chiese la piccola.
-No-.
-M-ma... Juvia deve andare di corsa- spiegò la bambina, una mano tra le gambe per cercare di trattenere lo stimolo.
-Potevi pensarci prima di comportarti male- asserì la donna, l'espressione severa.
-Non è giusto! Juvia deve solo usare il bagno, quando avrà fatto tornerà qui, promesso- esclamò.
A quel punto la bambina era oltremodo disperata, non sapeva veramente più come resistere allo stimolo.
-Per quanto mi riguarda puoi anche fartela addosso, non ho intenzione di farti uscire di lì fino a stasera- rispose la donna seccata :-Se ora ti lasciassi andare in bagno non impareresti nulla, ogni azione ha la sua conseguenza e questa è la tua-.
Juvia scosse il capo, totalmente incredula dinanzi a una tale mancanza di empatia. Si sarebbe messa a piangere se non fosse che aveva cose più urgenti a cui pensare.
-Per favore, Juvia non ce la fa più- lamentò la bambina.
La donna si avvicinò alla porta della sua camera con un' espressione disgustata, spinse dentro Juvia e richiuse la porta sigillandola a chiave.
Juvia cadde a terra a causa dello spintone perdendo definitivamente controllo sulla propria vescica. Lì, nel silenzio assordante della sua camera vuota, Juvia poteva sentire solo il rumore della propria pipì che scivolava sul pavimento.
L'umiliazione e il disagio che provava in quel momento erano immensi, la bambina non seppe fare altro se non piangere disperatamente dalla vergogna. Non si era mai sentita così frustrata prima.
Si chiese quando sarebbe potuta uscire da quel luogo maledetto, si chiese se al mondo qualcuno l'avrebbe mai tratta bene o le avrebbe mai voluto bene.
La bambina portò le gambe al petto, l'odore di urina le risultava insopportabile ma era troppo triste per alzarsi da terra. Non è che non volesse cambiarsi ma si sentiva talmente umiliata da non volere nemmeno provare a darsi una sistemata.
Rimase rannicchiata lì a piangere per tutto il giorno con un unico desiderio: scomparire dalla faccia della Terra.
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C'era una volta una principessa rinchiusa in una gabbia di cristallo, non poteva uscire perché la matrigna cattiva non le dava il permesso.
La principessa implorava ogni giorno di essere liberata per poter vedere un mondo diverso da quello a cui era abituata, anelava con ogni forza la libertà e la ricercava nelle piccole cose con insistenza.
La sua gabbia, seppure la teneva lontana dai pericoli del mondo esterno, era noiosa e stretta e la principessa non vedeva l'ora di poter uscire per sgranchirsi le gambe e sentire il calore del sole sulla pelle pallida.
Il suo desiderio più grande era quello di un principe valoroso dall'armatura scintillante che venisse a salvarla dalle grinfie della perfida matrigna, sognava di essere portata via in groppa al suo cavallo bianco e di essere finalmente libera da ogni catena.
Aspettando il suo amato principe azzurro, la principessa aveva iniziato a immaginare il loro incontro in ogni minimo particolare pur di rimanere sana di mente nella situazione in cui si trovava.
Ogni giorno, la giovane fanciulla pensava al suo amato sperando di poterlo incontrare molto presto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Principessa di ghiaccio ***


CAP 2 COME NELLE FAVOLE Capitolo 2: Principessa di ghiaccio


Si narra che tanto tempo fa, proprio nella cittadina di Magnolia, una principessa dalla pelle di porcellana fosse rinchiusa in una torre d'avorio.
Dai suoi occhi sgorgavano gocce di pioggia vivida e ogni volta che il suo cuore era in tumulto, la tempesta irrompeva nella città.
La principessa possedeva uno sguardo gelido e a nessuno era permesso entrare nella torre personale in cui lei stessa si era rinchiusa dopo essere uscita dalla sua prigione, nessuno poteva accedere al suo Io più reale ed autentico e nessuno poteva farlo perché nessuno ne era davvero meritevole.
La principessa doveva proteggere se stessa e il proprio cuore affinché nulla potesse più ferirla o farla sentire inferiore.
La giovane donna viene tutt'ora ricordata come "La principessa di ghiaccio".


14 anni dopo...

Juvia non immaginava che il mondo fuori dall'orfanotrofio potesse essere così incredibile, ad ogni angolo c'era qualcosa di cui meravigliarsi e ogni nuova scoperta ne portava con sé una ulteriore a cui seguiva un'altra ancora.
Tutto era frenetico, diverso, colorato... C'erano così tante cose da fare, da esplorare, da capire.
Era stata cacciata dal luogo della sua infanzia pochi giorni prima, l'avevano sbattuta fuori senza nemmeno un grazie. Non che se ne aspettasse uno in effetti.
Per quattro anni, dopo averne compiuti diciotto, si era presa cura dei nuovi bambini, sperando di donare loro ciò che lei non aveva avuto mentre era chiusa in quell'Inferno.
Dunque, era stata cacciata e tutto ciò era successo solo per aver portato i bambini a giocare nel parco... Se solo si fermava a pensare che non era lì per proteggere quei poveri bambini le veniva mal di stomaco.
E ora si ritrovava a camminare per le strade di Magnolia con un logoro zainetto in spalla e con addosso dei vestiti fin troppo larghi per la sua esile figura.
Non aveva idea di dove recarsi, non aveva un posto dove stare e non conosceva nessuno al di fuori del personale dell'orfanotrofio. Il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti, e se non avesse trovato un posto dove alloggiare? Come avrebbe fatto a quel punto?
In fondo non poteva contare su nessuno che non fosse se stessa! E se nessuno avesse voluto aiutarla?
No, doveva levarsi quei brutti pensieri dalla testa. Andare in ansia non le sarebbe certo servito in quella situazione, ci voleva calma e sangue freddo per affrontare il tutto.
Due cose che Juvia, chiaramente, non possedeva.
Sentiva il fiato morire in gola mentre cercava disperatamente una soluzione ai suoi problemi di alloggio, con scarsi risultati visto che non aveva idea di come fare né da dove iniziare.
La gente che le sfrecciava affianco non si fermava a chiederle come stesse come quando era bambina, nessuno sembrava notarla davvero e questo le rendeva molto difficile fermare qualcuno per chiedere un consiglio o un'indicazione di qualsiasi tipo.
E poi, ora che ci pensava bene, anche se avesse chiesto a qualcuno non era certo che le venisse data una risposta.
Juvia sbuffò cercando almeno un posto dove sedersi, erano ore che camminava ormai e iniziavano a farle male i piedi. Le sue scarpe non erano delle più comode e, onestamente, nemmeno delle meglio ridotte.
C'erano buchi un po' ovunque e a Juvia venne in mente che avrebbe anche dovuto trovare un lavoro che le permettesse di vivere dignitosamente in una normale società.
-Che stanchezza, solo a pensarci a Juvia viene da vomitare- si disse.
Sin da piccola le era stato insegnato a parlare in modo estremamente formale, la ragazza si riferiva dunque a se stessa utilizzando la terza persona ma, seppure fosse abituata a farlo si rendeva conto che, fuori dalla prigione in cui era stata rinchiusa tutto quel tempo, nessuno parlava come lei.
Quindi, come un fulmine a ciel sereno, una nuova ansia si fece largo nella sua mente: e se non fosse riuscita ad integrarsi?
Juvia era abituata a starsene per i fatti propri, nessuno le voleva bene o la considerava ma, nel profondo del suo cuore, aveva sempre desiderato degli amici. Qualcuno con cui aprirsi e sfogarsi, o anche solo qualcuno con cui ridere e giocare.
La vita le aveva riservato un tiro mancino dietro l'altro e la poverina non era riuscita a far fronte a nessuno di essi, era totalmente sola e non aveva idea di come affrontare la nuova vita che si presentava dinnanzi a lei.
Non aveva nemmeno mai provato il calore di una famiglia, come sarebbe riuscita a sopravvivere nel mondo reale? Nessuno le aveva insegnato nulla. Certo, conosceva le basi ma non aveva mai avuto il modo di metterle in pratica e, in tutta franchezza, a che serviva sapere come funziona il mondo se poi non ci si è mai addentrati in esso?
Juvia si sentiva smarrita e detestava sentirsi così, odiava dover ammettere che fuori da quel posto orrendo lei non aveva nessuno su cui fare affidamento.
Quel posto l'aveva resa fragile, ingenua e insicura. Niente di ciò che era avvenuto lì poteva prepararla a tutto ciò che l'attendeva fuori.
Forse perché nessuno credeva che sarebbe mai riuscita a vederlo quel famoso "fuori" di cui pochi avevano il coraggio di parlare; doveva ammetterlo, dopo tutti quegli anni, persino lei aveva smesso di credere che sarebbe mai riuscita ad uscire e una parte di lei, ben nascosta in un angolo della sua memoria, si sentiva ancora legata a quel maledetto Inferno.
-Hai per caso bisogno di aiuto?- trillò una voce femminile.
Juvia alzò lo sguardo: una ragazza bionda, che avrà avuto la sua età, la stava fissando con insistenza.
-Come?-
-Ti serve una mano?- ripeté la ragazza alzando appena il tono della voce.
-Juvia non avrebbe idea di cosa chiederti...- mormorò lei abbassando lo sguardo.
-Tanto per cominciare ora so che ti chiami Juvia, io sono Lucy- disse la ragazza mentre le rivolgeva un sorriso radioso :-Ora, passiamo alla parte importante... Hai l'aria smarrita, hai bisogno che ti indichi la via per raggiungere un luogo in particolare?-
-Ecco... Juvia non sa... Ehm...-
-Certo! Eppure era abbastanza evidente! Non sei di qui vero? Ti sei persa e non sai come tornare all'hotel-.
-Juvia non ha una casa- mormorò, finalmente, la ragazza.
Lucy sgranò gli occhi :-Ma come no? Scusa e perché non l'hai detto subito?- esclamò :-Vieni, ho il posto che fa al caso tuo-.
Juvia non sapeva se fidarsi o no di quella bizzarra ragazza, non le sembrava normale che si rivolgesse a lei con tanta gentilezza né le sembrava normale dare subito tanta confidenza ad un'estranea.
-Coraggio, non ti mangio mica!-
Decise di fidarsi, almeno per quella volta. Dopotutto la sua era una situazione disperata, non aveva nemmeno un posto dove dormire per quella notte e non aveva soldi con cui comprare da mangiare.
Ora che ci pensava, anche nel suo zaino c'era ben poco.
-Vedrai, nel posto dove ti sto portando ti potranno aiutare- disse Lucy.
-Juvia non è affatto sicura che qualcuno possa aiutarla a questo punto-.
Lucy si bloccò sui suoi passi :-Non so che cosa ti sia capitato, non devi nemmeno dirmelo ma, credimi, il posto dove ti sto portando fa al caso tuo. Di sicuro!-
Juvia rimase in silenzio a fissare quella ragazza, perché la stava aiutando?
-Tu non sei abituata ai gesti gentili, eh?-
Juvia scosse il capo, ovviamente non era abituata! Il luogo in cui aveva trascorso la sua intera vita era il posto peggiore del mondo...
Ma tutto questo, chiaramente, quella ragazza non poteva proprio saperlo.
L'orfanotrofio stesso era eccezionale nell'insabbiare tutti gli abusi che venivano rivolti ai bambini che vi alloggiavano; Juvia non poté evitare di sentirti in colpa per essere stata cacciata, chi avrebbe protetto quei ragazzini ora? Non che lei potesse fare molto in effetti, non era mai stata una persona che amava i conflitti, anzi tutto il contrario.
-Bè? Cammini o no?- incalzò la ragazza dinnanzi a lei.
Juvia si limitò ad annuire e, ignorando il dolore ai piedi, a seguire Lucy verso questo fantomatico luogo incredibile dove voleva condurla.
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Natsu era seduto nel soggiorno comunitario, stava guardando un film sui draghi. Era il suo film preferito, lo aveva visto circa un centinaio di volte da quando era bambino e non si era ancora stancato di guardarlo dopo tutti quegli anni.
-Ancora guardi quella roba?- chiese Luxus.
Era cambiato così tanto da quando erano solo ragazzini: Luxus adesso era alto e muscoloso, i capelli biondi erano sistemati con il gel e, visto che praticava la boxe, aveva una cicatrice sul viso all'altezza dell'occhio. Se l'era fatta durante un incontro.
-Non me ne stanco mai- rispose Natsu trangugiando un bicchiere di limonata.
-Fammi spazio dai-.
Natsu si spostò per lasciar sedere Luxus e gli passò il pacco di biscotti che stava mangiando.
-Cioccolato e peperoncino, solo tu puoi mangiare certa robaccia!- esclamò Luxus.
-Ridammeli allora-.
L'altro alzò gli occhi al cielo e morse uno dei biscotti, seppure con poco entusiasmo.
-Ahh! Questa è la mia parte preferita!- gridò Natsu indicando lo schermo.
-Sono tutte le tue preferite- scherzò Luxus rivolgendogli un sorriso compiaciuto.
Erza e Gray arrivarono in salotto poco dopo :-Mamma mia quanto gridate!- esclamò Gray roteando gli occhi.
-Shh! Zitti, voglio sentire!- ammonì Natsu.
-Come se non conoscessi a memoria tutte le dannate battute di quel film- ringhiò Gray.
Natsu gli lanciò un'occhiataccia ma non rispose alla provocazione, di solito lo avrebbe fatto ma era troppo occupato a godersi la sua scena preferita per mettersi a litigare.
Improvvisamente, il gruppetto fu destato dal suono del citofono.
-Mh? Aspettavate qualcuno?- chiese Erza.
-No, forse mio nonno sì però- rispose Luxus alzandosi per andare ad aprire.
-Non scomodarti, Mirajane è di sotto all'accoglienza- disse Gray mentre si stiracchiava.
Luxus alzò gli occhi al cielo :-Non può fare mica tutto lei-.
-Ci sono anche Lisanna ed Elfman- puntualizzò Erza.
-Siete proprio degli sfaticati- sbuffò Luxus rimettendosi a sedere.
-Oh ma insomma! La finiamo con questo casino?- gridò Natsu, lo sguardo furioso.
-Il lato negativo di condividere lo spazio con altre persone- commentò Erza con un sorriso malizioso in viso.
-Scusate? Interrompiamo qualcosa di cruciale?- chiese una voce femminile piuttosto squillante.
Natsu si alzò di scatto, suscitando uno sghignazzo divertito dei presenti.
-Lucy! Che ci fai qui?- chiese.
-Bè, sono qui perché... Ma dove è finita? Juvia, su dai, vieni qui!-
Erza chinò la testa da un lato per cercare di vedere con chi stesse parlando Lucy.
-Ecco, lei è Juvia e se vostro nonno vorrà da oggi vivrà qui-.
Juvia sgranò gli occhi :-Non c'è nessuna procedura da svolgere?- chiese intimidita.
-Ah, forse non sei abituata a condividere la casa con tante persone?- chiese Lucy.
-No, non è quello...Prima... Bè non ha importanza- mormorò la ragazza :-E' che Juvia non immaginava che... Bè...-
-Non sei una di molte parole, eh?- chiese divertito Gray.
Juvia arrossì, ebbe come una sorta di déjà vu in quel momento; quelle parole le aveva già sentite forse ma in che contesto? Impossibile che avesse conosciuto questo ragazzo in precedenza, eppure aveva un aria così familiare...
-Senti, lo so che può sembrare strano ma non lo è... Vedi questo posto è una sorta di rifugio per ragazzi con disagio, nessuno di loro è un criminale... Bè, non tutti almeno...- spiegò Lucy :-Ma non preoccuparti, se potranno prenderti con loro qui ti troverai benissimo ed è sempre meglio di non avere un tetto sopra la testa-.
-Non hai una casa dunque- azzardò Luxus.
Juvia scosse il capo :-Juvia non ha nemmeno una famiglia...- mormorò.
-Di questo non preoccuparti, se inizierai a vivere qui saremo noi la tua famiglia- esordì Natsu :-Mi sa che non sei abituata alle persone gentili, tutto questo deve sembrarti strano-.
-Un po'- tagliò corto lei.
-Povera piccola, non devi aver avuto vita semplice- commentò Erza portandosi una mano al viso.
-Quindi, vostro nonno c'è?- incalzò Lucy.
-E' in ufficio, ti ricordi la strada? Altrimenti la accompagno io- suggerì Luxus.
-Per favore, sono qui ogni giorno da tre anni- disse Lucy alzando gli occhi al cielo :-Dai, seguimi-.
Juvia trotterellò dietro alla ragazza ma, nel processo, le sue scarpe di scollarono definitivamente, rompendosi e facendola scivolare in avanti. Gray, il più vicino fra gli altri, si protese verso di lei per acchiapparla prima che raggiungesse il suolo.
-Tutto bene?- chiese.
Juvia divampò, il suo viso era di un vivido color cremisi :-J-Juvia... Sì, grazie- balbettò.
-Sono ridotte male quelle scarpe, perché non ne compri di nuove?- chiese lui.
-Juvia non ha nulla... Né una casa, né dei soldi...-
-E allora non si discute, rimarrai qui sì o sì- sentenziò Erza in tono solenne :-Vengo con voi-.
-Juvia non vuole creare problemi- mormorò la ragazza.
-Non ne crei infatti, io mi chiamo Erza. Benvenuta a casa-.
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La principessa, da troppo tempo rimasta sola nella sua torre, trovò ciò che stava cercando da anni: il calore di una famiglia accogliente.
Venne circondata in un abbraccio senza fine e, improvvisamente, la pioggia incessante svanì senza lasciare tracce, spuntò il sole e fu un sole eterno da cui la principessa non sentiva il bisogno di ripararsi.
La torre venne sgretolata pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone... Non avvenne in fretta ma lentamente, fin troppo sotto certi aspetti.
La principessa era finalmente libera di vivere, libera dalle costrizioni e anche se ancora non ne aveva idea, avrebbe compiuto grandi imprese grazie al supporto della sua nuova famiglia.

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