Lullaby of Cursed Kings

di Europa91
(/viewuser.php?uid=98710)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Notte - The Cursed Child ***
Capitolo 2: *** II Notte - The Disgraced One ***
Capitolo 3: *** III Notte - The Ancestor ***
Capitolo 4: *** IV Notte - Beginning ***
Capitolo 5: *** V Notte - To You Someday ***
Capitolo 6: *** VI Notte - Pushing Forward ***
Capitolo 7: *** VII Notte - Compassion ***
Capitolo 8: *** VIII Notte - Competition ***
Capitolo 9: *** IX Notte - Hunter ***
Capitolo 10: *** X Notte - Wise Man ***
Capitolo 11: *** XI Notte - Dream ***



Capitolo 1
*** I Notte - The Cursed Child ***


Note introduttive e spiegazioni non richieste: Buongiorno!! Per il Writober di quest’anno ho deciso di provare a cimentarmi in un nuovo fandom che ho da sempre amato e allo stesso tempo temuto. Dato il mio amore per l’angst, era veramente questione di tempo prima che mi decidessi a scendere in campo e scriverci qualcosa. (soprattutto dopo i primi ep della S2 che mi hanno dato la botta di feels decisiva completata solo dall’uscita del capitolo 236 del manga, da cui non credo di essermi ancora del tutto ripresa).
Passando a info più utili, non avete letto male, la coppia principale sarà una Gojo x Sukuna (non sono impazzita giuro) ma la storia partirà da moooolto prima ripercorrendo il passato del Re delle maledizioni (si ci sarà un Sukuna umano). Parallelamente vedremo anche le vicende di Gojo, il suo rapporto con Geto e i fatti che li hanno portati a finire insieme. La narrazione si alternerà tra presente e passato ma dopo i primi capitoli vi sarà tutto molto più chiaro.
Questa ship è nata dalla lettura degli ultimi capitoli del manga quindi l’avvertimento Spoiler era doveroso, anche se in realtà comprende solo qualche dettaglio del canon e poi prosegue per una strada tutta sua. 
Questione Michizane, si è quel Michizane, l’antenato comune di Gojo e Yuta appena accennato nel manga/anime, che ricoprirà un ruolo chiave in questa storia, ma non voglio aggiungere altro XD
Spero di riuscire ad aggiornare con regolarità rispettando la scadenza giornaliera, purtroppo non dipende da me ma dalla real life sempre meno clemente (tradotto in: so già che finirò in ritardo scusate XD). 
Buona lettura e buon Writober a tutti!!!


***


 

I notte - The Cursed Child







prompt: Occhi
 

“Quanto fa male un ricordo?”
Jjk vol.17









“Non esiste maledizione più contorta dell’amore”

Anche se erano trascorsi diversi anni da quando Yuta Okkotsu aveva udito quelle parole, il suo pensiero al riguardo non era mutato. L’amore era un sentimento complesso, dalle molteplici forme e sfaccettature. In fondo, era stato l’affetto che aveva provato per Rika a trasformarla in un mostro. Era stato lui stesso a maledirla, utilizzando un potere che a quel tempo non sapeva nemmeno di possedere. Aveva reso una bambina di undici anni la Regina delle maledizioni, perché incapace di accettarne la morte, finendo così con il condannare entrambi.

Lo stregone di livello speciale iniziò a sorridere tristemente, passandonsi una mano sul volto per poi spostarsi la frangia di lato. I suoi capelli erano cresciuti ancora ma non aveva avuto tempo o modo di tagliarli. In seguito alla scomparsa dello stregone più forte anche il numero delle maledizioni si era ridotto, ma non la sua mole di lavoro. Appoggiò distrattamente la propria katana contro una delle pareti di quella stanza arredata in perfetto stile giapponese, levandosi anche la felpa e accomodandosi sul tatami. Aveva appena terminato l’ennesima missione di livello 1 e si sentiva i muscoli parecchio indolenziti. 

In fondo era stata la nascita di Gojo Satoru ad alterare lo stato del mondo, o così gli era stato detto. Yuta non era mai stato uno studente modello, ciò che aveva appreso lo doveva unicamente all’esperienza maturata sul campo di battaglia. Nonostante questo, veniva considerato il nuovo stregone più forte. Un’eredità pesante che il ragazzo, ora poco più che ventenne, sentiva di non meritare. 

Osservò il sole scomparire dietro la linea dell’orizzonte, concedendosi qualche attimo di riposo. Assaporò appieno quello strano senso di pace e malinconia che accompagnava l’arrivo della stagione autunnale. Si beò di quella pace ottenuta a costo di grandi sacrifici.

Erano trascorsi quasi sei anni e nessuno conosceva quale sorte fosse toccata a Satoru Gojo. Non poteva essere morto, il suo cervello ma soprattutto il suo cuore si rifiutava di crederlo. Era semplicemente scomparso.

Yuta aveva osservato il suo scontro contro il Re delle maledizioni, trattenendosi più volte dall’intervenire. Gojo era il migliore fra loro, il solo a poter rivaleggiare con quell’essere. Non voleva essere d’intralcio ma nemmeno starsene con le mani in mano. Aveva assistito alla “morte” del proprio maestro innumerevoli volte per questo era certo della sua vittoria. Gli occhi di Yuta avevano seguito ogni suo movimento, ogni mossa, colpo, parata, tecnica. Il sensei possedeva una quantità spropositata di energia malefica che unita alle proprie abilità innate, lo rendevano degno della nomea di stregone più forte. 

Non poteva essere sconfitto.

Eppure qualcosa era andato storto. 

In quella fredda mattina di dicembre, Yuta aveva fatto del proprio meglio per ignorare quel senso di inquietudine e incertezza che lo accompagnava sin dal proprio incontro con Tengen. Era una sensazione strana, quasi un presagio di quello che da lì a poco sarebbe avvenuto. Allora non poteva sapere di come la ruota del destino si fosse già messa in moto e che ormai fosse troppo tardi per fermarne gli ingranaggi.

“Anche gli dei e i geni a volte perdono la strada”

Quando aveva udito per la prima volta quel vecchio proverbio cinese, Yuta non ne aveva compreso il senso. Lo avrebbe fatto solo diverso tempo dopo, quando la vera eredità di Satoru Gojo si sarebbe palesata davanti ai suoi occhi stretta fra le braccia di Fushiguro Megumi.

Sorrise inconsciamente ricordandosi dell’unico spiraglio di luce in tutta quell’oscurità, del motivo per il quale avesse continuato a vivere, lottare. Tornò alla propria infanzia con Rika, ai loro giochi, risate, quando le giornate trascorrevano serene senza preoccupazioni. Poi l’amica era morta e la sua vita era cambiata per sempre. A sedici anni aveva quasi del tutto tagliato i ponti con la propria famiglia ed era pronto ad essere giustiziato.

“È triste vivere da soli”

L’incontro con Gojo Satoru era stato in un certo senso provvidenziale. Quell’uomo gli aveva dato non solo uno scopo ma anche un posto al quale appartenere, degli amici. Una nuova casa. Grazie a Gojo, Yuta aveva potuto incontrare persone con le quali condividere gioie e dolori. Si era sentito per la prima volta accettato e parte di qualcosa.

Durante il periodo di addestramento trascorso all’estero, aveva imparato a comprendere la natura del proprio potere, affinato le proprie tecniche ma anche quello non era bastato. Quando Gojo era scomparso davanti ai suoi occhi Yuta si era sentito impotente, inutile, esattamente come avvenuto con la morte di Rika. Ancora una volta, si era limitato ad essere un mero spettatore. Prese a giocherellare con la propria fede, abbandonandosi all’ennesimo sospiro stanco di quella giornata.

“Ho un brutto presentimento. Se dovesse accadermi qualcosa ho bisogno che tu ti prenda cura degli studenti del primo e del secondo anno Yuta”

Gojo aveva scelto di sacrificarsi per esorcizzare la più crudele delle maledizioni e lui non aveva potuto impedirlo. Questa era la verità. Quell’uomo possedeva una strana morale e senso del dovere, eppure a modo suo, aveva salvato le vite di tutti loro. Anche Satoru Gojo però era afflitto da una maledizione. Era destinato ad essere il migliore. Yuta lo aveva pensato sin dal primo momento in cui aveva assistito alla forza del proprio mentore. Gojo era intrappolato nel proprio ruolo, schiacciato dal peso della propria leggenda.

Una volta Maki gli aveva raccontato di come Geto Suguru, lo stregone oscuro contro cui lui e Rika-chan avevano combattuto, fosse più di un amico per il sensei. Gojo non aveva mai menzionato la cosa se non di sfuggita, utilizzando il solito tono bonario e canzonatorio che lo contraddistingueva. Il possessore del sesto occhio era fatto così. Si era sempre preso gioco di lui, ricorrendo ad enigmi, metafore o giri di parole. Gojo non gli aveva mai parlato chiaramente se non ad un passo dalla fine, quando era arrivato ad affidargli tutto come se fosse la cosa più naturale al mondo. 

Yuta avrebbe fatto il possibile per non deluderlo.

Quando si trovava da solo, come in quel momento, il proprio subconscio lo obbligava a ripercorrere gli eventi del passato oltre che fare i conti con la propria coscienza. Okkotsu non aveva mai sofferto la solitudine, anzi con il passare del tempo si era abituato a quella quiete che faceva da sfondo all’eco dei propri pensieri. Non voleva essere troppo malinconico ma l’avvicinarsi dell’inverno portava con sé l’ennesimo anniversario di quegli eventi che in un modo o nell’altro avevano cambiato il volto e la società degli Stregoni. 

A fine mese si sarebbe festeggiato Halloween e poi in un battito di ciglia sarebbe giunto Natale. Per Yuta il 24 dicembre portava con sé un doppio significato. Era il giorno in cui aveva sconfitto Geto, liberando Rika dalla propria maledizione ed esattamente un anno dopo, in quella stessa data, aveva salutato per l’ultima volta il proprio maestro. Era stato un desiderio di Satoru Gojo quello di affrontare Sukuna in quel particolare anniversario. Il Re delle maledizioni si era limitato ad assecondare quel capriccio, andando così incontro al proprio destino.

Era trascorso poco più di un lustro eppure per Yuta quei fatti sembravano avvenuti solo il giorno prima.

Stava ancora osservando ipnotizzato la danza delle foglie mosse dal vento quando qualcuno fece slittare una delle pareti, cogliendolo di sorpresa e portandolo ad afferrare la propria katana, rispondendo ad un riflesso incondizionato. Perso come era in quel mare di ricordi aveva finito con l’abbassare la guardia. Poteva rivelarsi un errore fatale.

“Mi scusi Okkotsu-san non sapevo che fosse rientrato” mormorò l’anziano servitore venendo subito eclissato da una voce dai toni decisamenti più squillanti ed energici,

“Yuuuuuuta sei tornato presto” urlò a pieni polmoni una seconda figura, prima di gettarsi su di lui. Lo stregone di livello speciale fece giusto in tempo a lasciare la propria arma finendo con l’essere atterrato dalla principessa del Clan Gojo.

“Sayu fa piano, così non riesco a respirare” due occhi fin troppo azzurri e limpidi incrociarono i suoi, seguiti da un’espressione contrariata che gli ricordò inevitabilmente il proprio maestro. Tutto in quella creatura, dal naso all’insù alla piega delle labbra urlava Satoru Gojo.

In più di mille anni non era mai accaduto qualcosa di simile. Erano venuti al mondo due utilizzatori del sesto occhio a distanza di una generazione o come in quel caso, la tecnica innata era stata tramandata di padre in figlia.

“Okkotsu-san la prego umilmente di scusarmi. Principessa Sayuri vi ricordo che siete in presenza del nostro capo Clan, dovete imparare a portare rispetto come è previsto dal vostro rango” Sia Yuta che la bambina fissarono a lungo il servitore prima che lo stregone, con un cenno della mano, si decidesse a congedarlo. Quei comportamenti ossequiosi non facevano altro che metterlo in imbarazzo. Per quanto si sforzasse Okkutsu faticava ad abituarsi a quella vita.

“Io porto rispetto ma Yuta è Yuta” rispose Sayuri con una linguaccia prima che l’uomo avesse lasciato la stanza.

Lo stregone dai capelli corvini soffocò a stento una risata di fronte all’ennesima dimostrazione del carattere deciso di quella bambina. Non poteva che essere altrimenti, Sayuri “Sayu” Gojo somigliava in tutto e per tutto a suo padre. Non era solo per via di quello sguardo, anche quei modi di fare altezzosi e prepotenti, sebbene potessero essere benissimo imputabili anche al resto del suo corredo genetico. Preferì non pensarci troppo, o rischiava di rimetterci parte della propria salute mentale.

“Sei cattivo Yuta. Questa volta sei stato via per ben tre giorni. Tre. Perchè non sei venuto a salutarmi?” Sayu non aveva perso tempo e aveva iniziato a colpirlo con piccoli pugni, manifestando tutto il proprio disappunto mentre era ancora avvinghiata ad una delle sue gambe.

Yuta la lasciò fare abbandonandosi all’ennesimo sorriso. La colpa era sua per averla viziata troppo ma non aveva potuto fare altrimenti. Sayu era il tesoro che il sensei gli aveva affidato, insieme al ruolo di leader del Clan Gojo.

Questo era stato possibile solo perché Yuta, esattamente come il possessore della tecnica del minimo infinito, era un discendente del leggendario Michizane Sugawara, uno degli spiriti vendicativi più potenti dell’intero Giappone. Gojo aveva fatto valere il loro vincolo di parentela affidandogli le redini del Clan tramite il proprio testamento che aveva redatto poco prima di prendere parte allo scontro finale.

Per legge, Yuta avrebbe dovuto prendere il suo cognome ma l’allora studente aveva preferito non farlo. Una parte di lui credeva fermamente che un giorno, Gojo Satoru avrebbe fatto ritorno.

“A cosa stai pensando Yuta?” lo stregone abbassò il capo finendo con l’incrociare quelle iridi troppo pure e innocenti. 

“A tuo padre” ammise. Mentire non sarebbe servito. Non con lei. Sayuri aveva sempre avuto il dono di scorgere la realtà dentro la menzogna. All’apparenza poteva sembrare una bambina come tutte le altre ma possedeva le stesse abilità dei due stregoni che l’avevano messa al mondo. Yuta era certo che un giorno li avrebbe superati. Avrebbe fatto il possibile per rendere un futuro del genere possibile. Ne aveva fatto la sua missione.

“Che noia, pensi sempre a lui o a Rika-chan. Vieni giochiamo” Sayu lo prese per mano obbligandolo a rinunciare a quel raro quanto effimero momento di riposo.

La bambina lo trascinò nelle proprie stanze, mostrandogli delle nuove bambole che gli zii Inumaki e Panda le avevano regalato.

“Se schiacci qui smette di piangere vedi?” Yuta annuì pazientemente cercando come sempre di fare del proprio meglio. Crescere una bambina non era un’impresa facile ma superato lo scetticismo e la diffidenza iniziali era riuscito ad ottenere anche l’appoggio del resto del Clan. 

“La figlia di Satoru? Non ti aspetterai che crediamo a questa storia”

“Ѐ un’assurdità”

“Avete controllato che il testamento di quel mentecatto sia autentico?”

“Eleggere Okkotsu come capo Clan è semplicemente assurdo”


“Ma è un discendente di Sugawara”

“Un altro buono a nulla”

“Qualche anno fa non pendeva una condanna sulla sua testa?”


Sayuri aveva pochi giorni e si trovava stretta contro il petto di Yuta. Era bastato che aprisse gli occhi per gelare e zittire il resto presenti. Il silenzio assordante che si era venuto a creare venne rotto solo dal suono del suo pianto.

“Vi servono forse altre prove del suo legame di sangue con Satoru Gojo?” aveva sbottato Maki alle loro spalle, mentre Yuta provava con tutte le proprie forze a tranquillizzare la creatura disperata tra le proprie braccia.

“Che ne è stato della madre di questa bambina?” qualcuno aveva osato sollevare la questione più pericolosa e scottante di tutte.

Yuta sapeva di come i dubbi di quegli anziani fossero in qualche modo legittimi. Tuttavia la verità riguardo Sayuri era troppo difficile per poter essere compresa o accettata.

"È morta" Megumi Fushiguro aveva chiuso la questione una volta per tutte, avanzando di un paio di passi, superando sia Okkutsu che la neonata.

“Non abbiamo bisogno dell’intromissione del leader del Clan Zenin” tuonò qualcuno,

“Quel Clan non esiste più” fu la pronta risposta dello stregone

"Finché tu e questa ragazza siete vivi, il vostro Clan vive”

“Questo è il mio Clan”

Yuta era intervenuto prima che la situazione potesse degenerare. Aveva affidato la bambina a Megumi e tranquillizzato Maki. Quella era la sua battaglia. L’ennesima che il sensei gli aveva affidato. Sarebbe toccato a lui mettervi la parola fine. 

“Non sono qui a rivendicare nulla per me stesso ma per Sayuri. Non avrei mai accettato di ricoprire questo incarico, sto facendo tutto questo solo per lei” Mormorò lanciando uno sguardo innamorato in direzione della bambina. Quella creatura aveva già perso i propri genitori, meritava di ottenere la protezione del proprio Clan.

Così Yuta si era trovato a guidare ciò che rimaneva della famiglia Gojo oltre che crescere la figlia del proprio maestro.

“Sai, anche tu quando eri piccola piangevi spesso, anzi ricordo che lo facevi di continuo” Sayuri gonfiò le guance prima di arrossire contrariata.

“Ero piccola, ora sono grande” rispose con orgoglio battendosi una mano sul petto.

“Lo so”

“Sono la migliore. Fra qualche mese compirò sei anni” 

Yuta annuì mentre si trovò a ripensare con una punta di nostalgia allo scorrere incessante del tempo. Nella sua mente rivedeva Sayu dormire nel proprio futon, era talmente piccola che doveva fare attenzione a non schiacciarla o perderla tra quel mare di coperte. Poi eccola imparare prima a gattonare, camminare, parlare, evocare per la prima volta la propria energia malefica e poi scoppiare a piangere spaventata. Riempirlo di domande sulle proprie capacità, sulle proprie origini.

Vedeva anche Satoru Gojo salutarlo per l’ultima volta e come in spezzoni di un vecchio film, Yuta si trovava ad assistere al suo scontro con Sukuna. Quell’ultimo sguardo d’intesa che si erano scambiati prima che il sensei attivasse la propria tecnica e svanisse nel nulla.

Dopo qualche minuto Megumi aveva preso il suo posto sul campo di battaglia. Reggeva un involucro di coperte tra le mani. Fece solo in tempo ad affidarlo a Yuta prima di perdere i sensi.

Era stato allora che Sayu aveva afferrato un suo dito e lo aveva guardato.

La prima volta in cui Yuta aveva incrociato quegli occhi, aveva compreso quale missione Gojo gli avesse affidato. Quel giorno, il giovane stregone promise a se stesso che avrebbe fatto il possibile per non deludere il proprio maestro. Avrebbe dato la vita per proteggere Sayuri.

Uno sbadiglio, seguito da un altro.

“Ho sonno” mormorò la bambina iniziando a stropicciarsi gli occhi con un tono di voce volutamente infantile. Sayu era furba e Yuta sapeva di come quello fosse solo un trucco per farsi prendere in braccio. Tuttavia lo stregone non si fece pregare, si chinò verso la propria principessa esaudendo quel desiderio. I biondi capelli di Sayuri gli solleticarono il volto e nel suo sguardo Yuta vi lesse solo la gioia di veder realizzato l’ennesimo capriccio.

Le mise il pigiama, lavò i denti e spazzolò i capelli. Per poi dirigersi verso le proprie stanze. Ancora una volta, si era rifiutato di occupare gli ambienti riservati a Satoru, scegliendo un’ala più dimessa nell’immensa residenza dei Gojo. Aveva optato per le stesse stanze in cui aveva soggiornato in passato, qualche giorno prima di iscriversi all’istituto di Arti Oscure di Tokyo. Anche in quell’occasione, Yuta era stato ospite del Clan. Prima ancora di conoscere il legame di sangue che li univa, Satoru Gojo gli aveva dato una casa e fornito aiuto. Non si era arreso con lui ed era riuscito a dimostrargli come la sua vita fosse in qualche modo preziosa, degna di esser vissuta. Affidandogli Sayuri, era come se Gojo lo avesse costretto a vivere e lottare di nuovo. 

Per un istante, Yuta odiò quella fiducia, ma fu solo questione di un attimo, bastò che Sayu si aggrappasse ai suoi pantaloni e si trovò di nuovo concentrato sul presente.

Sorrise in direzione della propria principessa tendendole la mano. Doveva smetterla di rincorrere i fantasmi del proprio passato e concentrarsi solo sul futuro.

Dopo essersi preparato a sua volta, stese i futon uno accanto all’altro come nei propri ricordi. Nonostante la stanchezza Sayuri non smise di sorridere o parlare, prima di infilarsi sotto le coperte.

Era da parecchio tempo che non trascorrevano una serata tranquilla. Loro due soli. Gli era mancato, come il calore di quel corpicino stretto contro il proprio.

“Yuta mi racconti una storia della buonanotte?” 

“Ma non avevi sonno?”

“Si ma se mi racconti una storia è più facile per me addormentarmi” ancora una volta, era stato messo all’angolo dalla logica una bambina che aveva quasi un quarto dei suoi anni.

“Va bene, che genere di storia vorresti ascoltare?"

“Voglio che mi parli di mamma e papà” 

Yuta rimase per qualche secondo in silenzio. Quello era un argomento tabù, del quale chiunque sembrava restio a parlare. Era stata la decisione migliore, presa per salvaguardare Sayuri e il suo futuro. Nessuno avrebbe mai dovuto conoscere quali particolari circostanze avevano portato al suo concepimento e alla sua nascita.

Con il passare del tempo però la bambina aveva iniziato ad interrogarsi sui propri genitori. La cosa era peggiorata quando aveva iniziato a confrontarsi con i propri coetanei. Yuta sapeva che non avrebbe potuto crescerla per sempre in una gabbia dorata. Doveva viaggiare e conoscere il mondo. In quel momento però lui non si sentiva ancora pronto per affrontare un discorso simile. Era troppo presto.

Sayuri veniva spesso paragonata a Satoru sia dagli anziani del Clan che dalla maggior parte di quei pochi stregoni che avevano avuto il privilegio di incontrarla. Quella bambina era cresciuta nella leggenda di Satoru Gojo, quel padre che non aveva mai incontrato e che aveva imparato a conoscere tramite quei racconti. Diverso era per sua madre. Nessuno sembrava possedere informazioni su di lei oppure propenso a parlarne.

“Megumi fa sempre una faccia orribile quando gli chiedo di raccontarmi qualcosa sulla mamma” Yuta faticò a trattenere una risata, simulando un colpo di tosse.

Fushiguro era sempre stato il secondo preferito di Sayuri. Se Okkutsu ricopriva la figura più simile a quella di un genitore, il leader degli Zenin era stato eletto a fratello maggiore. Era da lui che Sayu si recava quando aveva bisogno di supporto o di aiuto per ottenere ciò che Okkutsu rare volte gli negava.

“Diciamo che a Megumi non è mai piaciuta molto tua madre” era una mezza verità che però la bambina non sembrò accettare. Gonfiò le guance esibendosi in un’espressione che gli ricordò proprio quel genitore.

“Perchè non mi volete dire niente” un leggero spostamento d’aria avvertì Yuta della pericolosità della situazione. Era accaduto solo un paio di volte in passato, quando Sayuri si arrabbiava perdeva il controllo della propria immensa energia malefica che finiva con il danneggiare ogni cosa nel raggio di chilometri. Non voleva rischiare un incidente nel cuore della notte.

“Ok mi arrendo. Vediamo Sayu, cosa sai sui tuoi genitori?” provò a tergiversare, sperando che la stanchezza avrebbe avuto la meglio sulla curiosità della bambina,

“Che papà Satoru era lo stregone più forte ma credo che anche mamma lo fosse, Yuji ha detto qualcosa sul fatto che una volta gli avesse strappato il cuore ma non credo di aver capito in che senso”

Yuta alzò gli occhi al cielo, maledendo Itadori e la sua lingua lunga. Sayuri aveva una memoria di ferro, soprattutto per fatti che riguardavano la propria famiglia, ovviamente non poteva essersi lasciata scappare quel curioso particolare.

"Sì, era uno stregone” concesse. Sayu si fece più attenta, sporgendosi con il viso contro il suo orecchio.

“Sapevo che era un lui” esclamò soddisfatta battendo le mani. Yuta non si era accorto del proprio errore, forse colto dalla stanchezza fisica ma soprattutto mentale accumulata durante quella giornata. Esorcizzare maledizioni era una passeggiata se paragonato al crescere una figlia. Soprattutto se intelligente come Sayuri.

“E come.. no lasciamo perdere. Fammi indovinare, Itadori?” la bambina annuì, 

“Erano i più forti vero?” domandò dopo qualche secondo di silenzio, giocherellando con i propri piedi, muovendo le coperte.

“Si, lo erano” non aveva motivo o senso negare

“Raccontami qualcosa di loro, Yuta” lo pregò prima di venire colta dall’ennesimo sbadiglio. 

Okkotsu ci pensò per qualche secondo. Non serviva che Sayuri conoscesse proprio tutta la storia, avrebbe potuto estrapolarvi solo il meglio, ciò che vi era di buono, trasformando quel racconto per adattarlo alle orecchie di una bambina così piccola. 

“Yuta per favore” ancora una volta, quelle iridi dal colore impossibile non gli lasciarono via di scampo. 

“Va bene Sayu, ti racconterò dei tuoi genitori. Forse potrà sembrarti una specie di favola, ma non lo sarà. Questa notte ti narrerò dello stregone più potente della storia e di come il suo destino abbia finito con l’intersecarsi con quello dello stregone più forte della nostra epoca.”  

“Come si sono conosciuti? Dove? Si sono innamorati subito?” 

Yuta le sorrise, allungando una mano per accarezzarle i capelli biondissimi.

“Direi di iniziare dal principio e di cominciare proprio con tua madre, il suo nome era Ryomen Sukuna”

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II Notte - The Disgraced One ***


II notte - The Disgraced One







prompt: Montagna
 
“Se ti avvicini troppo all’abisso, l’abisso potrebbe diventare parte di te”
Jjk vol.1







Giappone
- Periodo Heian -




C’era stata un’epoca, di cui ben pochi conservavano memoria, nella quale il Re delle maledizioni aveva vissuto e amato come ogni essere umano. 

Ryomen Sukuna non era sempre stato un mostro. Anche lui aveva avuto un’infanzia, degli affetti, conosciuto il calore di una famiglia. Sebbene la maggior parte di quel passato fosse avvolta dalle tenebre e contaminata dai semi della sua stessa leggenda, nei secoli si era arrivati a dimenticare quella che in fondo non era altro che una semplice verità.

Le maledizioni nascono dai sentimenti umani ed era stato proprio un immenso dolore a trasformare Sukuna in quella calamità cinica e spietata che avrebbe cambiato per sempre il volto e la società degli stregoni. 

Ryomen Sukuna aveva sempre pensato che l’esistenza non avesse alcun valore, a cominciare dalla propria. Era nato in un piccolo paesino di montagna, poco distante dalla nuova capitale, Heian-kyo, la futura Kyoto. Di suo padre non serbava alcun ricordo, poteva essere morto in guerra, così come un ladro o un mercante di passaggio, non gliene era mai importato. Secondo sua nonna era stato uno spirito maledetto a mettere incinta sua madre ed era per questa ragione che il piccolo Ryoma aveva ereditato quell’aspetto.

Ryoma. Per un periodo quello era stato il suo nome. Un’identità che Sukuna aveva volutamente scelto di abbandonare e seppellire insieme alla propria umanità, dopo aver perso la cosa per lui più importante. 

Era nato con un colore di capelli insolito e per questo allontanato o guardato con sospetto sin dalla più tenera età. I suoi capelli candidi e gli occhi rossi spiccavano troppo in quell’ambiente povero e rurale. 

“Mio padre era davvero maledetto?” aveva trovato il coraggio di domandare a tre anni, dopo essere stato rincorso e preso a sassate da alcuni bambini del paese vicino. Ricordò come in quell’occasione sua madre gli avesse sorriso dolcemente stringendolo tra le braccia, dopo aver medicato per l’ennesima volta le sue ferite.

“No. Era uno stregone potente che mi ha affidato il più grande dei doni”

Ryoma non ci aveva creduto. Per lui quell’uomo era solo un codardo che aveva preferito darsi alla fuga piuttosto che assumersi le proprie responsabilità.

Aveva sempre saputo dell’esistenza degli stregoni e del loro mondo. In quella realtà satura di conflitti, morte e povertà, coloro che sapevano come esorcizzare le maledizioni venivano visti e trattati con rispetto. Tre famiglie in particolare avevano iniziato a distinguersi, ergendosi sul resto dell'aristocrazia e avvicinandosi alle grazie dell’Imperatore, che sempre più spesso si trovava a chiedere i loro servigi. L’uomo che aveva generato Ryoma non poteva essere tanto importante o non avrebbe scelto una semplice contadina come sua madre. 

Sukuna non ricordava nemmeno quale fosse il suo nome, solo che gli ricordava quello di un fiore. Era molto bella ma fragile ed effimera, come la primavera. Aveva lunghi capelli scuri e un sorriso più luminoso del sole. Erano così diversi.

Lui era il figlio del peccato, una disgrazia calata su quella famiglia.

Gli occhi di Ryoma possedevano la stessa sfumatura del sangue e i suoi capelli erano candidi come la neve che ricopriva le cime dei monti. Era diverso in un’epoca in cui la diversità era vista come una minaccia.

Perché era venuto al mondo? Perché doveva soffrire così tanto? Erano domande alle quali per lungo tempo aveva cercato di trovare una risposta.

Per colpa della sua nascita, sua madre era stata ripudiata dal proprio Clan finendo con il  trovare ospitalità presso un’anziana vedova che Ryoma aveva preso affettuosamente a chiamare “nonna”. Era quella donna a medicare le sue ferite e a sfamarlo quando sua madre era troppo impegnata con il lavoro nei campi.

Vivevano in una zona impervia e isolata, in cui le notizie giungevano con settimane se non mesi di ritardo. Il raccolto di quell’anno era stato magro, le piogge scarse, sembrava davvero che sul Giappone fosse calata all’improvviso una sorta di maledizione.

“La colpa è di nuovo di quel Sugawara” la prima volta in cui Ryoma aveva udito quel nome aveva quasi otto anni. Era sceso fino al villaggio alle pendici della montagna per vendere del riso e lì aveva origliato una strana conversazione tra alcuni uomini del paese.

A quel tempo la popolazione era quasi del tutto analfabeta, le notizie viaggiavano per editti che venivano letti in pubblica piazza. Era accaduto anche quel giorno ma il bambino, come i propri coetanei, era completamente disinteressato alla situazione politica del Paese. Era bastata una parola ad attirare la sua attenzione,

“Capisco che voglia prendersi le proprie libertà ma sta esagerando. Uno stregone potente come lui dovrebbe solo obbedire e seguire gli ordini” Ryoma aveva fatto cadere il sacco che aveva tra le mani, facendo voltare i presenti verso di lui.

“E tu che voi ragazzino? Che hai fatto ai capelli?” tuonò il primo,

“Non lo sai? È quel piccolo disgraziato che vive sulla montagna, si dice che la madre sia stata posseduta da un demone, ecco perchè ha questo aspetto bizzarro” spiegò un secondo

“In effetti non sembra umano” il bambino si stava innervosendo. Ogni parola era come una stilettata al petto. 

“Guarda i suoi occhi, sembrano quelli di un demone assetato di sangue”

“E pensare che sua madre è così bella”

“Doveva esserlo per forza per giacere con un demone”

A Ryoma era stato insegnato a non cedere all’ira ma quelle parole erano difficili da sopportare. Poteva tollerare le offese rivolte alla sua persona ma nessuno doveva permettersi di toccare sua madre o infangare il suo onore.

Si scagliò contro quegli uomini iniziando a colpirli ma venne subito fermato e preso a bastonate, ritornando a casa solo alle prime luci del tramonto. Non era riuscito a vendere nulla, anzi aveva finito con il perdere quel poco che possedeva. Quella sera patirono la fame, così come la seguente. Per un pò non si fece vedere al villaggio, preferendo rimanere tra le proprie montagne, lì si sentiva stranamente in pace. In quei luoghi nessuno faceva caso ai propri capelli troppo chiari o era spaventato dalle sue iridi scarlatte.

Sua madre si ammalò in primavera e lo lasciò prima che le foglie si tingessero dei colori dell’autunno. Rimasero solo lui e la nonna che l’avrebbe seguita un paio di inverni più tardi. 

A poco più di dieci anni Ryoma sperimentò sulla propria pelle il significato della parola solitudine. Un sentimento che lo avrebbe accompagnato per più di mille anni anche se in forme e modi differenti.

Ancora una volta, il bambino provò ad interrogarsi sul senso della propria esistenza. Se non fosse mai nato sua madre non sarebbe stata ripudiata, avrebbe vissuto con la propria famiglia, si sarebbe sposata e sarebbe stata felice. Anche la nonna non avrebbe dovuto dividere i propri pasti e subire gli sguardi di rimprovero della gente solo per averli accolti nella propria dimora. Sarebbe stato meglio per tutti.

Chi fa del bene riceve del bene. Chi fa del male diceve del male.

Era una delle sue massime preferite che Ryoma aveva sempre detestato. Non aveva chiesto lui di nascere con quell’aspetto maledetto e sicuramente sua madre non aveva fatto nulla per meritarsi una simile disgrazia.

Iniziò a rubare per necessità divenendo suo malgrado il leader di un gruppo di orfani. Quell’anno una pestilenza decimò gran parte della popolazione. L’intero Paese sembrava essere allo sbando e la situazione nelle campagne non era fra le migliori. In futuro, si sarebbe parlato del Periodo Heian come di un’età meravigliosa, si sarebbe ricordata come la stagione di massimo fulgore della stregoneria ma vivere in quell’epoca fu terribile. La situazione politica sempre più instabile non faceva altro che creare nuovi disordini e sommosse. In questo clima carico di incertezza, le maledizioni avevano trovato un modo di proliferare e attecchire, nutrendosi dei sentimenti più oscuri e pericolosi dell’animo umano. 

Ryoma possedeva un fisico robusto, non si era mai ammalato e godeva di una forza fuori dal comune. Erano tutte doti che aveva ereditato da quel padre sconosciuto che sembrava avergli donato anche la capacità di vedere queste maledizioni. La prima volta che accadde, Ryoma si trovò a salvare un suo compagno caduto da un tetto. Era stato spinto da una creatura che solo il giovane albino sembrava essere in grado di vedere. Da quando aveva memoria, Ryoma aveva sempre vissuto a stretto contatto con quelle creature. Le incontrava quando si addentrava troppo in profondità nelle grotte oppure appresso agli individui malvagi che lo prendevano a sassate. 

Era convinto che sarebbe bastato ignorarle e fingere che non fossero mai esistite. Lui non era uno stregone, non era fatto per quella vita. 

A dodici anni, si guadagnò un nuovo soprannome,

“Sei una vera e propria calamità naturale altro che disgrazia” tuonò un vecchio dopo che Ryoma e i suoi compari avevano distrutto il recinto dove riposavano le sue capre. Avevano anche rubato delle verdure ed una manciata di riso. Non era molto, una quantità appena sufficiente a coprire i morsi della fame.

Rispose al nuovo appellativo con una linguaccia voltandosi e andando così ad urtare contro un uomo che procedeva nella direzione opposta. Cadde a terra finendo con il sedere ai suoi piedi. Da quell’insolita posizione Ryoma prese ad osservare lo sconosciuto. Non aveva mai visto dei sandali così finemente lavorati. Il tessuto del suo kimono sembrava essere di vera seta e odorava d’incenso. 

“Ti sei fatto male ragazzino?” mormorò tendendogli la mano. Ryoma la rifiutò finendo in questo modo con l’incontrare il suo sguardo, perdendosi nel viola di quelle iridi. Era una tonalità che non poteva esistere in natura. Questo fu il primo pensiero che attraversò la sua mente. Era un colore incredibile, gli ricordò un glicine nonostante avesse in sè anche qualche sfumatura bluastra. 

Aprì e richiuse la bocca un paio di volte trovandosi improvvisamente a corto di parole.

“No” trovò la forza di rispondere dopo diversi tentativi, mentre alle proprie spalle i suoi complici si dileguavano lasciandolo in balia di quel nobile sconosciuto. L’uomo non smise per un istante di sorridergli mostrando una fila di denti bianchissimi. Aveva dei lineamenti perfetti. Ryoma non aveva mai visto un uomo tanto bello. I suoi capelli corvini erano perfettamente pettinati e ricadevano elegantemente lungo la sua schiena. Sembrava quasi una divinità.

“Hai degli occhi magnifici. Mi ricordano un cielo al tramonto” mormorò scuotendolo dal torpore nel quale era caduto. Pure la sua voce aveva un qualcosa di melodioso e ultraterreno.

Nessuno gli aveva mai rivolto un complimento. Dopo la scomparsa di sua madre, Ryoma non aveva più ricevuto parole gentili o gesti d’affetto.

“Siete davvero crudele a burlarvi in questo modo di un povero contadino” trovò il coraggio di rispondere, cercando di mantenere un piglio severo

“Sei un disgraziato, una calamità ecco cosa sei” Il vecchio che aveva derubato qualche minuto prima li aveva raggiunti. Afferrò Ryoma per un braccio obbligandolo a chinare il capo,

“Perdonatemi venerabile stregone, lasciatemi condurre questo piccolo ladro lontano dalla vostra vista” a quelle parole, qualcosa in Ryoma scattò. Quell’uomo era uno stregone, il tipo di persona che più di tutte detestava. Iniziò a scalciare ma la presa del vecchio era più salda di quello che sembrava e lui non mangiava da giorni. Non si sarebbe liberato facilmente. Il nobile però gli sorrise aprendo un ventaglio e portandoselo al volto, con un movimento elegante e studiato,

“Ha forse fatto qualcosa di male?” domandò con un tono cortese

“Mi ha derubato e distrutto una recinzione” a quelle parole lo stregone scoppiò a ridere, 

“Una vera forza della natura eh. Tenete” concluse estraendo un paio di monete dalla sacca che portava in vita. 

“Queste dovrebbero bastare per ripagare i danni provocati dal nostro piccolo disgraziato-kun” mentre l’uomo accettava quel denaro esibendosi in mille inchini ossequiosi, Ryoma esplose,

“Non ho bisogno del vostro denaro, né del vostro aiuto” lo aggredì, trasformando il sorriso sul suo volto in un’espressione sinceramente confusa,

“Dovresti ringraziarmi non urlarmi contro”

“Non mi serve l’aiuto di uno stregone”

“Chi ti dice che io lo sia?”

“L’ha detto quel vecchio”

“Ti ha anche definito una calamità ma non credo che tu lo sia”

“Invece lo sono. Sono un disgraziato, un maledetto” l’uomo lo squadrò da capo a piedi per poi scuotere la testa con fare divertito. Ryoma rimase incantato nell’osservare quei lunghi capelli mossi dal vento, il gesto armonioso venutosi a creare da quel movimento.

“Non vedo nessuna maledizione intorno a te” 

“Grazie, questo lo so da me. Cerco sempre di non avvicinarmi troppo a quelle creature immonde” si accorse un secondo più tardi del proprio errore, quando due occhi viola si fecero pericolosamente più vicini. Ryoma si perse in quel colore così insolito per diversi minuti prima che lo stregone lo richiamasse alla realtà,

“Lo sapevo che eri un tipo interessante” decretò con orgoglio, tornando a giocherellare con il proprio ventaglio,

“Voi invece siete solo uno strambo” era vero, Ryoma non aveva mai incontrato un individuo simile, si chiese se tutti i nobili o tutti gli stregoni fossero come lui.

“Allora? Posso andarmene?” domandò dopo qualche minuto, notando di come l’uomo lo stesse ancora studiando.

“Ti lascerò andare solo dopo che mi avrai ringraziato” il ragazzino lo fissò con astio,

“Non avete niente di meglio da fare che importunarmi?” lo stregone finse di pensarci,

“La sala da tè della signora Fumi aprirà tra un paio d’ore. Io però avevo finito il vino così avevo pensato di godermi una passeggiata fra le montagne quando mi sei venuto addosso” prese a raccontare apparentemente senza motivo.

“Siete voi che non mi avete visto arrivare” sbottò Ryoma sulla difensiva, incrociando le braccia al petto

“Hai ragione, avevo disattivato la mia tecnica per qualche ora, non mi aspettavo certo che una calamità si abbattesse su di me”

“La vostra tecnica?” anche se tutto in quell’individuo lo innervosiva, la curiosità ebbe la meglio,

“Si chiama del minimo infinito, ma sto ancora lavorando sul trovargli un nome migliore”

“Perchè tanta pena per dargli un nome?”

“Perchè tutte le tecniche ne hanno uno così da poter essere tramandate”

“Fatico a comprendere il senso di queste parole” L’uomo gli sorrise prima di iniziare pazientemente con lo spiegare,

“Viviamo in un’epoca eccezionale, il mondo dell’occulto si sta espandendo e stiamo apprendendo molte nuove tecniche per combattere ed esorcizzare maledizioni. Per uno stregone creare una tecnica significa anche poterla lasciare in dono alle nuove generazioni, a coloro che verranno dopo di noi”

“Non mi interessa il futuro. Penso sia inutile pensare a qualcosa di così lontano nel tempo, quando non so neppure se vivrò abbastanza da vedere sorgere la prossima alba” lo sguardo dello stregone si fece più cupo, serio,

“In tutta onestà non credevo che la situazione nelle campagne fosse così disperata” si trovò ad ammettere

“Non ho bisogno della vostra pietà”

“Hai detto che puoi vedere le maledizioni, non hai mai pensato di diventare uno stregone?”

“Io odio gli stregoni” urlò Ryoma con tutto il fiato che aveva in corpo prima di voltarsi e fuggire.

L’uomo rimase ad osservarlo per qualche secondo prima di venir raggiunto dal proprio servitore,

“Finalmente vi ho trovato Sugawara-dono. Non dovete girovagare da solo, ho sentito dire che queste montagne sono piene di ladri”

“O di calamità naturali” mormorò divertito prima di aggiungere “Combatto da anni contro le maledizioni e nessuno può sfiorarmi. Però avete ragione, rientriamo ho bisogno di bere”


***


Trascorsero un paio di settimane durante le quali Ryoma non riuscì a togliersi dalla mente quello strano stregone. Ogni volta che il ragazzino incrociava una maledizione, oltre ad ignorarla, ripensava allo sguardo di quell’uomo o al nome bizzarro della sua tecnica. Minimo infinito. Erano parole senza senso così come il comportamento assunto da quell’individuo.

Il loro successivo incontro avvenne per caso o forse fu semplicemente l’ennesima opera di un destino mutevole che si divertiva a giocare con le loro vite.

Quella mattina, poco prima dell’alba, Ryoma si era recato nella propria dimora tra le montagne. Non era un giorno comune ma l’anniversario della morte di sua madre. 

Il ragazzo aveva preso ad incamminarsi nella foresta, cercando come sempre di evitare di infastidire gli spiriti che la popolavano. Nell’ultimo periodo le maledizioni sembravano essere aumentate sia in numero che nelle dimensioni. Stava ancora pregando davanti alla tomba della donna quando venne attaccato proprio da una di esse.

Ryoma non aveva mai visto una creatura simile. Provò a fuggire ma venne subito afferrato per una gamba e gettato a terra. Chiuse gli occhi preparandosi al peggio.

Fu in quel momento che udì la voce dello stregone,

“Per essere qualcuno in grado di vedere le maledizioni ti sei lasciato catturare facilmente, disgraziato-kun" lo prese in giro,

“Mi ha colto alla sprovvista” Ryoma non sapeva il perchè ma avvertì il bisogno di giustificarsi con quell’uomo che non aveva smesso per un solo istante di fissarlo divertito,

“Come preferisci. Posso sapere almeno cosa hai fatto per scatenare una maledizione di questo livello?”

“Livello? Stavo solo pregando sulla tomba di mia madre” lo stregone notò la piccola croce in legno ormai distrutta ai suoi piedi. 

“Comprendo” disse prima di attivare la propria tecnica. Un lampo violaceo costrinse Ryoma a chiudere gli occhi e quando li riaprì la maledizione era scomparsa mentre lui era di nuovo con il sedere per terra.

“Come avete fatto?” domandò cercando di contenere la propria sorpresa mentre tentava di ripulirsi dai residui di quella creatura,

“Era solo un secondo livello” rispose quasi annoiato, 

“Non mi sono neanche dovuto impegnare” aggiunse accompagnando il tutto con un’alzata di spalle

“Secondo livello?”

“Gli stregoni hanno pensato di dividere le maledizioni in vari livelli a seconda del loro grado di pericolosità” iniziò a spiegare

“Quindi se uno stregone incontra una maledizione troppo potente sa già se può esorcizzarla o meno?”

“Sei un ragazzino sveglio” Ryoma arrossì senza volerlo, era il secondo complimento che riceveva da quell’irritante sconosciuto,

“Voi a che livello siete?” domandò, più che altro per cambiare argomento,

“Penso di essere abbastanza forte”

“Questa non è una risposta”

“Se ti avessi detto che sono lo stregone più potente al servizio dell’imperatore mi avresti creduto?”

“No”

“Appunto, quindi fatti bastare la mia prima risposta”

“Grazie”

“Come?”

“Mi avete salvato, è la seconda volta. Non lo ripeterò di nuovo quindi vedete di farvelo bastare” l’uomo sorrise per poi allungare una mano andando a scompigliargli i capelli in un moto d’affetto,

“Sei davvero incredibile disgraziato-kun”

“Lasciatemi stare” sbottò Ryoma scostandosi da quel tocco gentile, sebbene fosse l’ultima cosa che desiderasse fare, “E smettetela di chiamarmi in quel modo”

“Ti chiamo così perchè non conosco il tuo nome”

“Ryoma”

“Mi piace, penso ti si addica”

Rimasero per qualche minuto in silenzio.

“Era la tomba di tua madre?” domandò lo stregone indicando ciò che rimaneva della croce semi distrutta dalla maledizione

“Si, è morta un paio di anni fa, poco lontano si trova anche quella della nonna, ha voluto essere sepolta accanto al proprio marito”

“E tuo padre?”

“Non ho un padre” l’uomo annuì

“Capisco. Bene ho deciso, vieni con me disgraziato-kun ti farò diventare uno stregone” Ryoma gli regalò un'occhiata furiosa oltre che confusa

“Mi sembrava di avervi detto che io odio quelli come voi”

“Non hai nulla per cui rimanere e sei in debito con me. Non sei nella posizione di rifiutare”

“Siete un tipo strano”

“Mi hanno detto di peggio”

"Perché prendere con voi un ragazzino che conoscete appena?” Ryoma non riusciva a comprendere quali fossero le vere intenzioni di quello stregone, il suo istinto gli suggeriva di non fidarsi, di non abbassare la guardia,

“Se vuoi la verità ho abbandonato il mio Clan e ora mi annoio” quella risposta lo sorprese,

“Abbandonato?”

“Si è una lunga storia che al momento non ho voglia di raccontare. Ti basti sapere che ho deciso di prendermi una pausa dai miei doveri di stregone”

“Ed è una cosa che si può fare?” Ryoma non riuscì a quantificare il grado di verità nascosto in quelle parole, tuttavia qualcosa gli suggeriva di come non stesse mentendo

“Di norma no, ma nessuno può impedirmelo. Ora non guardarmi così” gli occhi del ragazzino sembravano volerlo trapassare. Era uno sguardo tagliente, affilato come la punta di una freccia. Il sorriso sul volto dello stregone si fece più ampio,

“Non prendetevi gioco della mia ignoranza”

“Non lo sto facendo. Ti ho raccontato la verità, ho litigato con gli anziani del mio Clan e mi sono preso una sorta di vacanza. Ho bisogno di trovare me stesso” qualcosa nello sguardo dello stregone lo convinse che fosse sincero,

“Voi chi siete?” uno strano dubbio attraversò la mente del giovane Ryoma ma era un’ipotesi talmente assurda che non la volle prendere in considerazione

“Hai ragione non mi sono nemmeno presentato, mi chiamo Sugawara no Michizane” 

Ryoma fece un paio di passi indietro, quello era lo stregone più potente e famoso dell’intero Paese.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III Notte - The Ancestor ***


III notte - The Ancestor







prompt: Vecchio
 
“Anche gli dei e i geni a volte perdono la strada”
proverbio cinese






Giappone
- Periodo Heian -




Sugawara no Michizane visse in un’epoca in cui stregoni erano venerati e rispettati al pari di divinità. Ebbe la fortuna di nascere in una delle numerose famiglie affiliate al Clan Gojo che in quegli anni stava acquistando, insieme ai Kamo e agli Zenin, sempre maggior influenza e potere.

Sin dall’infanzia venne istruito all’uso delle arti occulte e il suo talento non faticò ad emergere. A soli sei anni, il piccolo Michizane era in grado di esorcizzare maledizioni di secondo livello. Era da oltre un secolo che non nasceva un simile talento e ciò contribuì ad attirare l’attenzione della famiglia Gojo. A sette anni, venne promesso alla figlia del capo Clan, che avrebbe incontrato e sposato una volta raggiunta la maggiore età.

Ad un'occhiata esterna la vita di Michizane poteva sembrare perfetta, aveva tutto ciò che si potesse desiderare e nessuna preoccupazione. Gli dei lo avevano benedetto con molti doni, doveva solo che esserne grato.

In realtà quello che Michizane segretamente anelava era scappare, fuggire il più lontano possibile da quel mondo così falso, costruito e opportunista. Si sentiva come un prigioniero nella sua stessa pelle, obbligato a recitare un copione già scritto, a vivere un’esistenza che qualcuno aveva già stabilito per lui.

Quando per la prima volta udì del proprio fidanzamento si arrabbiò molto, perché nessuno aveva avuto l’ardire di chiedere la sua opinione. Ricordò di come suo padre lo avesse guardato e forse per la prima volta sorriso,

“Ѐ un grande onore” erano state le sole parole che gli aveva rivolto in quell’occasione, soffocando così qualsiasi protesta che avrebbe potuto nascere sulle sue labbra. Più di una volta il giovane Michizane si era scontrato con l’autorità paterna ma su quella questione capì che non sarebbe servito. La decisione era già stata presa.

Era un onore. Doveva ritenersi fortunato. Sarebbe entrato a far parte del ramo principale della famiglia Gojo. Comprese in quel momento di come quella libertà che tanto aveva bramato fosse destinata a rimanere un'utopia irrealizzabile.

In realtà, Michizane non era nemmeno certo di voler diventare uno stregone, semplicemente non aveva avuto modo di conoscere altro. Ogni suo passo era già stato deciso, così come ogni suo battito o respiro. Avrebbe sposato una sconosciuta e si sarebbe trasferito con lei nella nuova capitale. Avrebbe lavorato al servizio dell’imperatore ed esorcizzato qualsiasi maledizione avesse incontrato sulla propria strada. Doveva solo limitarsi a percorrere un sentiero luminoso, il cui solco era già stato tracciato.

Vista l’impossibilità di cambiare il proprio destino, Michizane decise di dedicarsi completamente allo studio delle arti occulte, arrivando in poco tempo a padroneggiare una delle tecniche segrete della famiglia Gojo che lui stesso aveva rinominato del minimo infinito. Grazie ad essa, Sugawara riusciva a rallentare la velocità degli oggetti in modo che non potessero mai arrivare a toccarlo. Più avanti, nel corso dei secoli successivi, qualcuno avrebbe spiegato di come questa tecnica agisse a livello atomico ma a quel tempo veniva semplicemente vista come un’abilità di livello superiore così come il suo utilizzatore.

Era divertente ma anche stancante e l’uso prolungato richiedeva un grande dispendio di energie. Ancora una volta gli dei avevano benedetto Michizane con una quantità pressoché illimitata di energia malefica. Per questo motivo il ragazzo poteva mantenere la propria tecnica attiva per giorni interi senza subirne gli effetti. 

Iniziò ad essere riconosciuto come uno dei più grandi stregoni di quell’epoca. L’ennesimo titolo che Michizane non aveva richiesto e che fu percepito come un ulteriore ostacolo alla propria libertà.

Qualche tempo dopo, nella primavera dei suoi quattordici anni venne celebrato il suo matrimonio.

Nobukiko aveva un paio di anni in meno di lui. La prima volta che Michizane la vide si trovava sotto un pruno intenta ad osservarne i colori. Le foglie di quell’albero erano rosse come un cielo al tramonto e creavano dei bellissimi giochi di ombre sul suo viso. Gli ricordò una bambola, tanto era piccola e perfetta. La salutò con un cenno della mano a cui lei non rispose abbassando il capo ed arrossendo. Michizane avrebbe scoperto solo molti anni dopo di come lei fosse rimasta colpita dal suo aspetto e si fosse innamorata all’istante del futuro marito.

La cerimonia fu lunga e sontuosa, d’altra parte Nobukiko era l’amata primogenita del Capo Clan. Vi parteciparono molti aristocratici e membri delle famiglie più importanti che prima di allora Sugawara non aveva mai incontrato.

“Ti stai annoiando?” domandò il giovane stregone alla moglie non appena furono al riparo da occhi ed orecchie indiscreti. Lei scosse il capo imbarazzata. Michizane lo prese come un invito a continuare. Era la loro prima, vera conversazione. Pensò che fosse importante andare d’accordo visto che avrebbero trascorso insieme il resto delle proprie vite.

“Beh io si, non vedo l’ora che questa pagliacciata finisca”

“Sugawara-san vi prego” era la prima volta che udiva il suono della sua voce. Non se ne stupì. Era dolce come se l’era immaginata.

“Noi non ci conosciamo nemmeno eppure da oggi siamo sposati” iniziò con fare ovvio

“Per me è un grande onore avere come marito uno stregone potente come Sugawara-san”

“Michizane”

“Come?”

“Ѐ il mio nome. Puoi chiamarmi Michizane, non lo fa mai nessuno, penso che almeno a mia moglie questo diritto sia concesso no?” lei gli sorrise divertita,

“E io posso chiamarti Nobu?” continuò facendosi più vicino. La ragazza avvampò presa in contropiede da tutta quell’intraprendenza. Annuì per l’ennesima volta, prima di prendersi il viso con entrambe le mani per nascondere il rossore che aveva preso a tingerle le guance.

“Se lo desideri” aggiunse con un filo di voce.

Michizane la trovò incantevole.


***


Quegli anni trascorsi con Nobu sarebbero per sempre rimasti un bellissimo e dolce ricordo. Quasi un sogno dal quale troppo presto si sarebbe dovuto risvegliare.

Takami il loro primogenito nacque in una mattina d’estate, un anno dopo fu il turno di Yasuko una bellissima bambina che aveva ereditato il colore dei suoi occhi. Gli dei del destino però come invidiosi di quella felicità trovarono presto un modo per distruggerla. La terza gravidanza di Nobu fu difficile e diversa dalle precedenti. Il bambino nacque prematuro di diverse settimane e lei morì di febbre senza mai aver ripreso conoscenza.

Quella tragedia portò Michizane ad un passo dalla follia. Lo stregone più potente del Clan Gojo rispose al dolore a modo suo, iniziando a condurre una vita dissoluta, trascorrendo le proprie giornate spostandosi da una sala del piacere all’altra. I suoi figli vennero sottratti alla sua custodia per essere allevati dal suocero che ben presto, stanco di questi comportamenti arrivò a diseredarlo ed allontanarlo dal Clan.

Per un pò Michizane si convinse che quella fosse la giusta punizione per i propri peccati. Non aveva saputo apprezzare la propria fortuna ed aveva finito col perdere ogni cosa. Ripensò alla povera Nobu e si domandò se mai l’avesse mai resa in qualche modo felice. Aveva ottenuto quella libertà che aveva sempre inseguito ma l’aveva pagata a caro prezzo. 

Trascorse più di dieci anni vivendo in quel modo. Senza morale, guidato solo dai propri più bassi istinti. Grazie alle proprie abilità unite ad un sapiente uso della tecnica dell’inversione, lo scorrere del tempo sembrò non intaccare i lineamenti del suo viso, arrivando, nonostante avesse ormai superato i quarant’anni a dimostrarne la metà.

Fu in questo periodo che incontrò Hina. Era una giovane prostituta molto più giovane di lui. Trascorsero insieme solo un paio di stagioni che tuttavia portarono alla nascita di un bambino a cui venne dato il nome di Yamato, come il Paese tanto amato e odiato da Michizane.

Quando il leader del Clan Gojo lo venne a sapere obbligò Sugawara a presenziare al suo cospetto. Aveva sempre chiuso un occhio sugli atteggiamenti assunti del genero ma questa volta Sugawara si era spinto decisamente troppo oltre.

“Hai infangato la memoria di mia figlia” furono le parole con le quali lo accolse,

“Nobukiko è morta da più di dieci anni”

“E non pensi ai tuoi figli? Questo tuo comportamento reca onta anche a loro” Fu allora che Michizane si accorse per la prima volta di un terzo ragazzino, nascosto dietro il kimono di un servitore. La cosa che maggiormente lo colpì fu il suo sguardo.

“Atsuhige, vieni” lo chiamò il Capo Clan. Il bambino fece un paio di passi in avanti.

“Sugawara ti presento tuo figlio” Michizane era senza parole, aveva sempre pensato che il terzogenito fosse morto insieme alla moglie. Fu tuttavia un particolare a catalizzare la sua attenzione,

“Ma quello…”

“Possiede il sesto occhio, d’altronde è una capacità innata della famiglia Gojo. Atsuhige è destinato a diventare un grande stregone”

“E tu vuoi diventarlo?” Michizane si rivolse direttamente al figlio, facendolo spaventare e provocando nei presenti forti bisbigli di disappunto. Era l’ennesima mancanza di rispetto verso quella famiglia. Discorrere con un bambino di fronte al capo del Clan era contro le regole.

“Sarebbe un onore servire questa famiglia” Sugawara sorrise. Rivide per qualche istante sé stesso e la propria incapacità di opporsi a quella volontà che aveva finito per controllare tutta la sua vita. 

“Posso trascorrere del tempo con i miei figli? Poi me ne andrò. Non recherò più alcun disonore a questo Clan. Nutrirò sempre un profondo rispetto verso di voi. Sarò sempre grato alla famiglia Gojo per avermi accolto” L’anziano si trovò ad annuire di fronte a quell’insolita richiesta, facendosi da parte in modo che lo stregone potesse confrontarsi con i propri figli.

Nonostante tutto aveva sempre rispettato Sugawara, era stato un buon marito per sua figlia oltre che uno stregone eccezionale.

“Takami sei quasi un uomo” mormorò in direzione del primogenito che tuttavia non rispose. Michizane se lo era aspettato, in fondo per quei ragazzi lui non era altro che un estraneo, un fantasma del loro passato venuto a disturbare il loro presente.

“Yasuko somigli molto a tua madre” la figlia gli regalò un sorriso incerto, simile ma allo stesso tempo diverso da quello di Nobu.

“Mi dicono spesso il contrario” gli rispose divertita.

“Hai i miei occhi ma spero tu abbia ereditato solo quello” ammise grattandosi la testa,

“Abbiamo tutti una grande quantità di energia malefica” intervenne il giovane Atsuhige, 

“Allora diventerete dei grandi stregoni”

"Perché te ne sei andato?” Takami finalmente si era deciso a rivolgergli la parola. La rabbia che Michizane lesse nel suo sguardo e in quel tono di voce era giustificata. Erano solo dei bambini quando li aveva abbandonati. Non avrebbe giocato a fare il bravo genitore, ne aveva perso ogni diritto.

“Non sono stato in grado di occuparmi di voi, anzi forse è più corretto dire che a quel tempo non ero nemmeno capace di badare a me stesso. La morte di Nobu è stata difficile da accettare”

“È vero che hai avuto un figlio da una prostituta?” Takami non lo lasciò finire, vomitando quelle parole intrise di rabbia e risentimento verso un uomo del quale aveva così tanto sentito parlare ma che in fondo non conosceva

“Si, ma non sono tenuto a giustificarmi con voi. Quel bambino non avrà nulla a che fare con la famiglia Gojo o con la vostra eredità”

“Eri lo stregone più grande” mormorò con una punta di tristezza. Gli avevano sempre narrato di suo padre, esaltandone le doti. L’uomo che Takami aveva di fronte sembrava solo un’immagine sbiadita di quei racconti. Non vi era nulla di degno nel suo comportamento. Sugawara Michizane non era un Dio ma un semplice essere umano.

“Lo sono ancora”

"Perché allora hai smesso di servire l’imperatore? Hai voltato le spalle al tuo stesso Clan” lo accusò 

“Ho semplicemente deciso quali battaglie valesse la pena combattere, sei ancora così giovane Takami”

“Sei solo un codardo” 

Michizane non rispose, salutò i figli e lasciò quella dimora che per lungo tempo non era stata altro che una prigione. Takami aveva ragione, forse stava semplicemente scappando ma con la morte di Nobu non era rimasto più nulla a tenerlo ancorato a quella vita. Era uno stregone molto potente e grazie a questo aveva acquisito quella libertà che gli permetteva di poter decidere cosa fare della propria vita. 

I Gojo avrebbero lasciato correre, aveva dato loro tre figli che avrebbero portato avanti il nome del Clan. Tutto ciò che Michizane desiderava era condurre il resto della propria esistenza in pace.

Trascorse diversi anni vagabondando di città in città, quando all’improvviso la sua strada andò ad incrociarsi con quella di un curioso ragazzino dai capelli candidi come la neve. 

La prima cosa che attirò l’attenzione di Michizane fu il suo sguardo, non aveva mai visto occhi di quel colore. Quelle iridi possedevano delle sfumature incredibili che per un istante gli riportarono alla mente le foglie di un pruno, lo stesso albero sotto il quale si trovava Nobu in quella mattina di primavera.

Hai degli occhi bellissimi. Mi ricordano un cielo al tramonto” fu la sola cosa che riuscì a dire incantato da quello sguardo deciso che non sembrava volergli dare tregua.

Michizane si stupì di sé stesso e del proprio desiderio di aiutare quel ragazzino sventurato che dimostrava ad occhio e croce la stessa età del suo ultimogenito. Era da tempo che non capitava di incontrare qualcuno in grado di tenergli testa o che non fosse intimorito dal suo rango o posizione. 

Quella piccola calamità naturale era entrata con forza nella sua vita, portando una ventata di novità che da tempo mancava. Fu come tornare a respirare dopo un lungo periodo trascorso in apnea.

Un’idea iniziò a farsi largo nella mente di Michizane una volta appreso di come anche quel ragazzino potesse vedere le maledizioni. Lo avrebbe testato, messo alla prova e poi obbligato a diventare suo allievo.

Sarebbe stato divertente tramandare le proprie tecniche. Aveva appreso da alcuni servitori di come Takami e Atsuhige fossero ormai diventati abili stregoni. Michizane non aveva potuto insegnare nulla ai propri figli, quello sarebbe rimasto uno dei suoi più grandi rimpianti, anche se forse era meglio così. Non sarebbe mai potuto essere un buon padre né per loro né per il figlio di Hina che aveva abbandonato ancora in fasce insieme alla madre. Esorcizzare maledizioni sembrava il suo unico talento e al tempo stesso una condanna. 

Si ricordò di un vecchio proverbio cinese che aveva udito durante uno dei suoi numerosi viaggi: 

Anche gli dei e i geni a volte perdono la strada”

Era quello che era successo a lui. Le proprie abilità lo avevano reso in qualche modo cieco, arrogante, portandolo a sfidare il proprio Clan nella convinzione di essere nel giusto. Come se il dolore bastasse a giustificare le proprie decisioni. Michizane si era comportato da egoista, pensando solo a sé stesso e concentrandosi sulla propria sofferenza. Non era il solo ad aver perso una moglie. Nobu era anche una figlia, una madre, ma lui non era stato in grado di vederlo.

Si era comportato come un ragazzino immaturo e viziato finendo con il perdere ogni cosa. Dalla propria posizione, al rispetto dei suoi stessi figli per i quali non era altro che un estraneo. Prendere le distanze da quella vita e dal proprio Clan gli era sembrata la decisione migliore. Un modo per ricominciare. 

Nelle settimane successive, quegli occhi scarlatti tornarono a tormentarlo. Così come il ricordo di Nobu e di quella stagione, la più felice della propria esistenza.

Tra le varie abilità di Michizane vi era anche la preveggenza. Capitava spesso che nei propri sogni, lo stregone vedesse dei piccoli spiragli di futuro e ultimamente tutte quelle visioni avevano un solo protagonista, il giovane Ryoma. Forse era stato il destino a mettere quel ragazzino sulla sua strada.

“Vieni con me disgraziato-kun, ti farò diventare uno stregone”


***


“Quello fu l’inizio di tutto. Fu il leggendario Michizane Sugawara ad introdurre Sukuna nel mondo delle arti occulte” 

Yuta fece una pausa, osservando il volto addormentato di Sayuri e concedendosi un lungo respiro di sollievo. L’idea di partire dal principio a narrare quella storia gli aveva evitato, almeno per quella notte, di rispondere a domande più pericolose. 

Era incredibile come la storia dipingesse a proprio piacimento certi avvenimenti arrivando con il plasmarli a seconda i propri desideri. Il ritratto che aveva lasciato di Michizane era quello di un grande stregone ma nessuno era a conoscenza di quel suo lato più fragile e umano che lo aveva spinto, dopo la morte della moglie, ad un passo dall’abisso. Allo stesso modo, Sukuna veniva descritto come una calamità priva di sentimenti. In realtà anche Re delle maledizioni sapeva amare e sarebbe stata proprio quell’emozione a determinare il fato di entrambi. 







Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV Notte - Beginning ***


IV notte - Beginning 







prompt: Puntuale
 
“Se cerchi di scendere a patti con un demone
 devi esserne disposto ad accettarne le conseguenze”
Jjk vol.2






Presente 



“Ti odio Yuta. Ti odio tantissimo. Sei cattivo” 

Quella mattina, le urla della principessa del Clan Gojo potevano essere udite tranquillamente anche a un chilometro di distanza. Il giovane Okkutsu aveva tentato con tutte le proprie forze di calmarla finendo solo con l’ottenere l’effetto opposto e scatenare maggiormente la sua ira,

“Mi hai lasciata dormire. Così non ho potuto ascoltare il resto della storia” si lamentò tra le lacrime.

La bambina si era addormentata poco dopo l’inizio della storia e ora non si dava pace per essersi persa il termine di quel racconto.

“Mi sembrava un peccato svegliarti. Che ne dici se continuiamo questa notte?” propose il giovane stregone. Sayuri lo fissò per qualche secondo indecisa se accettare o meno la proposta. In quel comportamento Yuta rivedeva il Re delle maledizioni, stessa testardaggine e teatralità. Con l’aggravante di due occhi dal colore impossibile che sembravano voler scrutare all’interno della sua anima in cerca di una qualche menzogna. Lo stregone si abbandonò ad un sospiro stanco, pensando per l’ennesima volta a quanto fosse difficile il ruolo di genitore. 

“Per favore Sayu, così rischi di fare tardi a scuola” solo allora la piccola sembrò tornare in sé.

“Che ore sono?” domandò asciugandosi le guance con la manica dell’uniforme che aveva appena finito di indossare.

“Penso sia tardi. Vieni ti aiuto a prepararti” La bambina accettò titubante la mano che Okkutsu le stava porgendo. Avrebbe voluto lamentarsi ancora ma l’idea di arrivare in ritardo alle lezioni la fece desistere. Yuta aveva combattuto per un anno intero perché potesse frequentare una scuola e crescere insieme ai propri coetanei. Voleva dare a Sayu una vita per quanto possibile normale, prima che il mondo dell’occulto la richiamasse a sé. Anche Gojo Satoru avrebbe fatto lo stesso, si sarebbe battuto per sua figlia esattamente come tempo addietro aveva fatto per Yuta, Yuji o Megumi. L’ennesima ondata di malinconia che lo travolse venne spezzata dalla voce squillante di Sayuri, che come un generale lo riportò all’ordine.

“Promettimi che questa notte non te ne andrai e continuerai la favola di mamma e papà”

“Certo te lo prometto” affermò prima di intrecciare i loro mignoli per suggellare quell’accordo. La bambina finalmente gli sorrise.

“Che diavolo significa?” Megumi aveva scelto il momento peggiore per palesarsi. Colto in flagrante Yuta deglutì abbassando lo sguardo con fare colpevole. Ovviamente Fushiguro doveva aver udito l’ultima parte della conversazione. Prese l’ennesimo respiro, 

“Sto raccontando a Sayu la storia dei suoi genitori” ammise facendo appello a tutto il proprio coraggio. L’altro ragazzo alzò un sopracciglio perplesso, invitandolo a fornire qualche altro dettaglio.

Yuta e Megumi erano sempre andati d’accordo. Il giovane Zenin considerava Okkutsu un senpai degno di rispetto, per questo motivo lo aveva sostenuto, soprattutto durante i primi anni di Sayu, trasformandosi da prezioso alleato anche in quella sorta di fratello maggiore che la bambina adorava. Megumi aveva sviluppato un forte senso di protezione nei confronti di Sayuri e per questo spesso disapprovava i comportamenti troppo permissivi di Yuta. Come in quel caso.

“Stai scherzando?” Okkotsu scosse la testa,

“É solo una favola della buonanotte” Si sentì in dovere di specificare. Yuta non era uno stupido, non avrebbe svelato a Sayu i dettagli più cruenti di quella vicenda o dei compagni che avevano perso durante quella battaglia, ne avrebbe estrapolato solo il meglio.

“La storia dei suoi genitori? Una favola?” la perplessità che lesse sul volto di Megumi era giustificata. Quando quella cosa, chiamarla relazione sarebbe stato eccessivo, tra Sukuna e il senpai era cominciata, il Re delle maledizioni possedeva ancora il suo corpo. Anche se probabilmente l’inizio di tutta quella follia risaliva a molto prima, al giorno in cui avevano incontrato Itadori Yuji ed era diventato il vessillo di quel mostro. In quell’occasione Gojo aveva deciso di battersi contro quella calamità per testarne la forza oltre che le capacità di Itadori come recipiente. 

Megumi era stato testimone di quella follia sin dal principio. 

Dopo essere stato posseduto da quel mostro i suoi ricordi assumevano contorni confusi, come quelli di un sogno. Rivedeva spezzoni di quella battaglia che avrebbe finito con il distruggere entrambi, poi il pianto di Sayu, lo sguardo di Gojo nel momento in cui gliela affidava mentre un altro individuo, probabilmente Sukuna dava loro le spalle,

“Non fare quella faccia! Andrà tutto bene, l’affido a voi. Il suo nome è Sayuri” 

“Merita di conoscere la verità” le parole di Yuta lo riportarono al presente, strappandolo da quella dimensione onirica nella quale per breve tempo la mente di Megumi si era rifugiata.

“Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Se gli anziani venissero a sapere dell’identità di sua madre” ma quella conversazione venne troncata sul nascere,

“Yuuuuta siamo in ritardo” protestò Sayuri afferrando lo stregone di livello speciale per una mano e trascinandolo verso l’uscita

“Hai ragione. Scusa Fushiguro ma ora dobbiamo proprio andare. Continueremo un’altra volta” 

Il giovane Zenin si abbandonò ad un sospiro che racchiudeva tutta la propria preoccupazione. Forse la propria reazione era stata eccessiva ma aveva promesso a quell’idiota di Gojo che avrebbe protetto Sayuri. Quella bambina era stata affidata a lui. 

Decise di credere alle parole di Okkotsu, in fondo ora era il senpai il più forte. Non avrebbe messo in pericolo la loro principessa. 


***


Qualche ora dopo


“Per fortuna che questa mattina siamo riusciti ad arrivare in tempo, allora come è andata oggi?” 

Dopo le ultime missioni Yuta si era concesso qualche giorno di libertà e come sempre in cima alla lista delle sue priorità vi era Sayuri. Aveva accompagnato la bambina sia all’entrata che all’uscita da scuola, venendo accolto al proprio passaggio da occhiate curiose e bisbigli sommessi. Un ragazzo poco più che ventenne con una bambina attirava parecchio l’attenzione in un istituto privato. Sayu non gli rispose subito, limitandosi ad osservare il paesaggio al di fuori della finestra della sontuosa limousine che li stava accompagnando a casa, 

“Non ho ancora imparato a scrivere” si lamentò con un broncio. Yuta le sorrise pazientemente, scompigliandole i capelli in un moto d’affetto,

“I kanji sono complessi ci vogliono anni per apprenderne l’uso”

“Io però sono un genio” trattenne a stento una risata. Sayuri come suo padre, risultava bravissima in qualsiasi cosa, per questo si annoiava facilmente

“Poi abbiamo parlato della nostra famiglia” a quelle parole Yuta trattenne inconsciamente il fiato. Era in quei momenti che si sentiva inadeguato a ricoprire quel ruolo che Gojo gli aveva affidato.

“E tu cosa hai risposto?” proseguì, cercando di fare il possibile per celare le proprie insicurezze

“Che la mia famiglia è composta da Yuta, Megumi e tutti gli zii” quella risposta decisa lo riempì di orgoglio anche se accompagnato da un inevitabile senso di malinconia.

“Questa notte continueremo la storia dei tuoi genitori” le promise. 

Non avrebbe potuto ridare a Sayuri la famiglia che aveva perduto ma avrebbe fatto il possibile per regalarle un’infanzia serena.
 
Il suo sguardo si soffermò per qualche secondo sulla propria fede. 

L’amore era davvero un sentimento incomprensibile.


***


Giappone

-Periodo Heian-




“Non vi siete ancora stancato di seguirmi?” sbuffò Ryoma in direzione dello stregone dall’altro capo della strada. Al di sotto al proprio parasole, Michizane Sugawara gli sorrise prendendo a gesticolare con la mano libera,

“Potresti diventare davvero un grande stregone” urlò a pieni polmoni, avvicinandosi di un paio di passi.

“Mi sembrava di essere stato piuttosto chiaro e aver più volte declinato la vostra offerta Sugawara-san”

“E a me sembrava di essere stato altrettanto chiaro e averti detto di chiamarmi Michizane” il ragazzino arrossì di fronte a quelle parole. Il viso sorridente e perfetto di quell’uomo era in grado di mandarlo in confusione. Sukuna lo odiò e detestò se stesso per quella reazione, decidendo di soffocare un’imprecazione tra i denti ed abbassare il capo nel vano tentativo di proteggersi da quella vista.

Erano giorni che puntualmente, il leggendario Michizane Sugawara si presentava al suo nascondiglio rinnovandogli l’offerta di diventare uno stregone. Quello che agli occhi di Ryoma inizialmente era sembrato solo uno scherzo, si era trasformato in una vera e propria proposta che il ragazzino però non intendeva accettare o anche solo prendere in considerazione.

“Io odio gli stregoni, fattene una ragione. Siete tutti uguali dal primo all’ultimo” non vi era rabbia nelle sue parole, solo forse il risentimento verso quel padre mai conosciuto. Ryoma non aveva chiesto di poter vedere gli spiriti maledetti, così come non aveva desiderato possedere quell’aspetto. 

Se avesse potuto esprimere un solo desiderio, avrebbe aspirato ad essere normale. Un ragazzo come tutti gli altri. Non il piccolo disgraziato indesiderato che si era sentito per tutta la vita.

“Anche io non amo il mondo delle arti occulte, sai?" confessò Michizane all’improvviso, cogliendolo di sorpresa “É pieno di vecchi bigotti che pretendono di dettar legge e imporre agli altri le loro idee” Ryoma lo osservò confuso, perdendosi forse qualche secondo di troppo ad osservare quelle iridi violacee, 

“Allora perché siete diventato uno stregone?” Michizane scoppiò a ridere, per poi rispondere con sincerità,

“Semplicemente perchè non ho mai conosciuto altro. Sono nato in una famiglia aristocratica. La mia vita era già stata decisa sin dal mio primo vagito”

“Non credo di comprendere” Già lui era solo un disgraziato, un povero contadino analfabeta. Come poteva capire quei discorsi da nobile. Sugawara profumava di incenso e le sue vesti erano di pura seta. Possedeva anche quello strano oggetto che aveva utilizzato per ripararsi dal sole e che Ryoma non aveva mai visto prima di quel giorno. Michizane era la personificazione della perfezione che lui non avrebbe mai potuto raggiungere o anche solo sfiorare.

“Diciamo che ho sempre saputo che sarei dovuto diventare uno stregone” ammise, scegliendo con cura l’ordine delle proprie parole.

“E vi piace esserlo?” preso per l’ennesima volta in contropiede, Michizane finse di pensarci,

“All’inizio lo vedevo solo come un dovere ma poi ho imparato ad amare ciò che facevo. Esorcizzare spiriti maledetti mi permetteva di salvare le persone. Ricevere i loro sorrisi e complimenti come ricompensa era in qualche modo gratificante. Imparare delle nuove tecniche e padroneggiarle, stimolante. La stregoneria è ciò che ha contribuito a dare un senso alle mie giornate” sia prima di incontrare Nobu che dopo averla persa.

“Allora perché avete lasciato il vostro Clan? E perchè la gente vi considera uno scapestrato?” il volto del nobile si rabbuiò ma non fu che per una frazione di secondo. Alzò il capo per incontrare le iridi scarlatte di Ryoma che non lo avevano lasciato per un solo istante

“Forse un giorno te lo spiegherò, ora sei ancora un bambino”

“Il prossimo inverno compirò quattordici anni” pronunciò battendosi il petto con orgoglio.

“Hai la stessa età di mio figlio” sussurrò Sugawara con una punta di malinconia. Quattordici erano anche gli anni che Michizane aveva quando aveva conosciuto Nobukiko.

“Avete un figlio?” uno strano senso di malessere si fece prepotentemente largo nel petto di Ryoma. A volte scordava di come Michizane fosse un nobile, era normale che un uomo della sua età avesse una moglie e dei figli. Tuttavia quella scoperta ebbe il potere di lasciarlo senza parole.

“In realtà ne ho tre, tu hai l’età del più giovane” 

“Aspettate un momento, ma voi quanti anni avete?” c’era qualcosa che non tornava, Michizane dimostrava poco più di vent’anni non poteva avere un figlio della sua età, era assurdo, impossibile.

“Sono molto più vecchio di ciò che sembro. Grazie alla tecnica dell’inversione mantengo queste sembianze giovanili. Sai sono molto utili anche con le donne” aggiunse facendogli l’occhiolino. Ryoma si allontanò prima che potesse perdere il controllo e prenderlo a pugni. Non sapeva dire il perché ma quel comportamento lo faceva arrabbiare. Sapeva di non potersi fidare di quello stregone, erano tutti uguali. Infidi, bugiardi, capaci solo di approfittarsi delle debolezze altrui.

“Disgraziato-kun” provò a chiamarlo inutilmente ma Ryoma proseguì per la propria strada, accelerando il passo.

“Mio signore vi prego” 

Il vecchio Kamui era stato incaricato direttamente dal capo Clan di vegliare su Sugawara e servirlo durante quel periodo d’esilio. Lo stregone non se ne era lamentato, riconoscendo la propria incapacità nell’affrontare le cose più banali, dal prenotare una stanza in una pensione, all'ordinare del cibo. Per qualcuno che come lui aveva sempre vissuto nel agio quella vita era piena di novità. Kamui però era un uomo paziente. Aveva accettato le sue stranezze e lo aveva servito negli ultimi dieci anni non trattenendosi dall’elargire i propri consigli, come in quel caso, non richiesti,

“Quel piccolo contadino non sembra intenzionato a seguirvi Sugawara-dono vi prego di tornare alla locanda” tentò prima di correre a recuperare il parasole abbandonato in mezzo alla strada. Michizane non diede segno di averlo ascoltato.

“Percepisco una notevole quantità di energia malefica provenire da lui. Sarebbe un vero spreco. Quel ragazzino ha tutto il potenziale per diventare un grande stregone” i suoi sogni lo avevano messo in guardia sul futuro di Ryoma, ma non era il caso che Kamui venisse a conoscenza anche di quel particolare. La preveggenza era un segreto che Michizane aveva custodito gelosamente e rivelato solo a Nobu. Nessun altro lo avrebbe mai scoperto. 

“Dovreste imparare a non imporvi così tanto sul prossimo” lo stregone alzò un sopracciglio

“Mi impongo solo quando so di essere nel giusto come in questo caso” Kamui scosse la testa di fronte a quell’arroganza tipicamente aristocratica che da sempre caratterizzava tutti i membri della famiglia Gojo.

“Questa sera non volete recarvi alla sala da tè?" lo interrogò con una punta di curiosità. Michizane arrestò i propri passi,

“Prima voglio fare di quel moccioso impertinente il mio apprendista, il tè può aspettare” Kamui rimase senza parole mentre il proprio signore rincorreva quel giovane contadino nella boscaglia. Anche la testardaggine era tipica di quella venerabile famiglia di stregoni. Sperò solo che nessuno lo riconoscesse e che non commettesse qualcuna delle sue solite pazzie.


***


“Ryoma-kun cosa voleva quel bellissimo straniero?” domandò uno dei ragazzini ai suoi ordini. L’albino sbuffò sonoramente accomodandosi meglio sopra alcune pietre che formavano una sorta di trono. Avevano creato una piccola base ai piedi della montagna. Era loro covo segreto dove erano soliti riunirsi al termine di quei piccoli furti che gli permettevano di racimolare lo stretto necessario per sopravvivere.

“Nulla, mi ha semplicemente scambiato per qualcun altro” ruggì sperando in quel modo di aver liquidato la questione Michizane una volta per tutte.

“Non ho mai visto un uomo tanto bello”

“Già, scommetto che le sue vesti sono fatte di seta”

“Perchè non avete il pettine che aveva tra i capelli?” 

“Scommetto che vale una fortuna” ad ogni parola la rabbia di Ryoma minacciava di esplodere,

“Visto che avete così tanto tempo da perdere, perché non lo impiegate in altro invece che continuare a tessere le lodi di quel bastardo?” i ragazzi annuirono spaventati da quel tono intimidatorio.

Ryoma sapeva che la loro lealtà scaturiva solo dalla paura che nutrivano nei suoi confronti. In fondo lui non era altro che una calamità. Non era destinato ad avere amici ma solo servitori.

“Complimenti, hai la stoffa del vero leader” per un attimo fu convinto di esserselo immaginato ma poi Sugawara Michizane fece la sua comparsa. Aveva atteso che fossero soli.

“Cosa avete sentito?” lo stregone si divertì a tenerlo sulle spine.

“Uhm abbastanza. Sembra che i tuoi amici mi trovino interessante” concluse divertito.

“Non sono miei amici”

“Giusto sono i tuoi servitori”

“Cosa siete venuto a fare?” domandò Ryoma cercando di riprendere le redini di quella conversazione,

“Ti lascerò in pace solo quando accetterai di diventare mio discepolo. Gli stregoni sono da sempre in minoranza se paragonati al numero delle maledizioni, potresti fare la differenza, salvare delle vite”

“Rendere il mondo un posto migliore?” lo schernì,

“Non sono tipo da fare questo genere di discorsi, ti dirò la verità e lo farò solo una volta: questa vita non ti porterà a nulla, se vuoi rimanere solo un disgraziato fa pure, continua per questa strada, ma se ambisci a qualcosa di meglio vieni con me, impara ad esorcizzare le maledizioni”

“Perchè vi state battendo così tanto per convincermi?” 

“Forse sto cercando di fare ammenda per alcuni errori del passato o forse sono solo un benefattore intenzionato a fare del bene, scegli la pure la risposta che preferisci” 

Ryoma ci pensò per qualche istante.

“Mia madre mi ha raccontato di come anche mio padre fosse uno stregone” Michizane si fece improvvisamente più attento, non perdendosi nessun particolare di quella confessione inattesa,

“Non l’ho mai conosciuto, ma ho dato a lui la colpa per questo mio aspetto mostruoso”

“Non vedo nulla di mostruoso in te” la dolcezza con cui Michizane pronunciò quelle parole lo lasciò confuso e uno strano calore iniziò ad irradiarsi nel suo petto. Ryoma non era abituato a ricevere parole gentili o a conversare con qualcuno senza ricorrere ad urla o insulti

“Questi capelli bianchi e i miei occhi” iniziò con lo spiegare,

“A me piace molto quel colore” confessò lo stregone con la solita semplicità che lo caratterizzava, prima di aggiungere “Se ti può consolare per alcuni anche il mio sguardo ha qualcosa di strano” era vero, Ryoma non aveva mai visto nessuno possedere quella particolare sfumatura di colore. A una prima vista quelle iridi sembravano contenere diverse tonalità di viola ma solo avvicinandosi si potevano intravedere come in realtà fossero solo differenti sfumature blu. Erano meravigliosi, non avrebbe saputo descriverli in altro modo.

“Vi ho già detto di non burlarvi di un povero contadino” 

“Sei davvero un moccioso testardo. Se ti dico che mi piace è perchè mi piace”

“Gli stregoni sono tutti dei bugiardi. Anche mio padre aveva detto di amare mia madre e che sarebbe tornato da lei, ma non lo ha fatto. Ci ha abbandonati” Michizane finalmente comprese il vero motivo per il quale Ryoma continuasse a rifiutare la propria offerta.

Probabilmente suo padre era rimasto ucciso da una maledizione, ma come poteva spiegarlo ad un ragazzino così testardo e diffidente? Avrebbe dovuto impegnarsi a fondo per riguadagnare la sua fiducia. Uno spostamento d'aria lo avvertì del pericolo imminente. 

“Abbassati” urlò dopo aver spintonato Ryoma e parato con il proprio ventaglio una freccia destinata a lui.

“Ma che succede?” domandò il ragazzino ancora sotto shock,

“Stregoni neri” confermò dopo aver raccolto ed esaminato meglio la freccia

“E cosa vogliono?” Michizane abbozzò un sorriso,

“Mi scuso per l’inconveniente ma credo che siano qui per me. Qualcuno ha messo una taglia sulla mia testa un paio di settimane fa” ammise lo stregone grattandosi la testa,

“Cioè mi stai dicendo che ci sono degli uomini che vogliono farti fuori?” quella storia si faceva di minuto in minuto sempre più assurda,

“Faccio parte della famiglia Gojo che insieme ai Kamo e agli Zenin ormai sono al vertice della società dell’occulto. Sarà stato qualcuno di loro a pagare per quella taglia”

“Anche i Gojo?”

“Non mi stupirebbe, non ci siamo lasciati nel migliore dei modi”

“Quando pensavate di dirmelo?”

“Quando saresti diventato un mio allievo”

“Siete davvero un tipo assurdo”

“Detto da una calamità naturale lo reputo un complimento”

“Lo abbiamo trovato” delle voci li obbligarono a mettere fine a quella conversazione. 

Appartenevano a tre uomini che avevano in tutto e per tutto l’aspetto di stregoni neri. 

Michizane non sembrò intimorito dalla loro presenza, quasi come se se lo fosse aspettato. 

"Così pochi? Chiunque vi mandi sottovaluta il mio potere”

“Siete voi quel cane che i Gojo hanno desiderato?"

“A vederlo non sembra tanto pericoloso” Sugawara sorrise,

“Quanti bei complimenti”

“Prendete il ragazzino” prima che Michizane potesse impedirlo uno di loro aveva allungato il braccio e afferrato Ryoma per il collo. Dopo la sorpresa iniziale sul volto dello stregone tornò il sorriso,

“Io non lo farei se fossi in voi” disse trattenendo a stento una risata. Il giovane albino si innervosì ancora di più. Aveva voglia di prendere lui stesso a pugni quel dannato Michizane. Prima però doveva sbarazzarsi di quegli stregoni. Nemmeno lui era così debole.

“Concentra l’energia che senti scorrere dentro di te. Raccogli quelle emozioni e sentimenti negativi e poi liberali, vedrai che dopo ti sentirai meglio” le parole dello stregone gli invasero la mente, arrivando alle sue orecchie dolci e melodiose come note di una canzone. Ryoma non ebbe nemmeno il tempo di domandarsi se fossero vere o solo un frutto della propria fantasia. Si liberò dalla presa in pochi secondi, quasi senza capire cosa fosse successo. Aveva percepito uno strano calore irradiarsi dentro di lui ma il tutto era terminato ancor prima che potesse rendersene conto.

“Ma come?” fu tutto ciò che riuscì a dire

“Complimenti come prima volta sei andato benissimo. Hai liberato forse un po' troppa energia malefica ma con la pratica andrai sicuramente meglio. Forse dovremmo trovare uno strumento nel quale incanalarla per evitare tutta questa distruzione" concluse indicando le piante dissotterrate e il terreno sconnesso ai loro piedi.

Michizane stava ancora tessendo le proprie lodi quando i due uomini rimasti decisero di avventarsi su di lui. Quella fu la prima volta in cui Sukuna assistette alla manifestazione della tecnica del minimo infinito. 

I colpi degli stregoni andarono a vuoto. Nonostante i loro sforzi, pugni e armi non riuscivano a raggiungere o scalfire Michizane. Era come se una barriera invisibile lo avvolgesse e proteggesse da ogni attacco esterno.

“Un giorno riuscirò anche io a fare qualcosa di simile?” domandò Ryoma una volta terminato lo scontro, colpendo con la punta di un piede uno degli stregoni riversi a terra e privi di sensi. Michizane gli sorrise prima di scompigliargli capelli.

“Temo di no. Questa è una tecnica segreta del Clan Gojo, ma scommetto che con il tempo, arriverai con il creare una tua tecnica e sarà un qualcosa di unico che solo tu potrai utilizzare” il ragazzino storse il naso per nulla soddisfatto di quella risposta,

“In pratica mi state dicendo che per quanto io mi possa impegnare non potrò mai battervi?”

“E io posso desumere da queste parole che hai finalmente accettato la mia proposta?” Ryoma abbassò il capo,

“Forse essere uno stregone non è tanto male, voglio diventare più forte e sconfiggervi”

Michizane sorrise. Quando raggiunsero il villaggio trovarono il vecchio Kamui ad attenderli. Ryoma gli lanciò un’occhiata diffidente subito ricambiata dall’anziano

“Lui è un mio servitore, puoi fidarti, anche se non sembra un tempo era uno stregone. Ha operato sotto la mia famiglia per anni. Kamui ti presento disgraziato-kun da oggi sarà il mio nuovo apprendista”

“Volete dire il vostro primo apprendista Sugawara-dono. Molto piacere disgraziato-kun se avrete delle richieste sarò ben lieto di soddisfarle”

“Mi chiamo Ryoma e che significa primo apprendista?”

Il servitore sorrise tra sé. Michizane poteva aver trovato quel qualcosa che per tutta la vita aveva rincorso. Kamui aveva sempre sperato che dopo la morte della giovane moglie il suo signore potesse riprendersi e tornare ad essere il grande stregone che era stato. In quegli anni aveva assistito alla sua caduta e desiderato con tutto il cuore che un giorno potesse risollevarsi.

Forse doveva ringraziare quel piccolo disgraziato dagli occhi di fuoco per aver riportato dopo tanto il sorriso sul volto del suo signore. 


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V Notte - To You Someday ***


V notte - To You Someday







prompt: Bianco

“Chi si lascia trasportare dai sentimenti, perde”
Jjk vol.6






Giappone
- Periodo Heian -



Era trascorso circa un mese da quando Ryoma, il ragazzino che un giorno sarebbe diventato famoso con l'epiteto di Re delle maledizioni, aveva accolto l’invito del leggendario Michizane Sugawara ed era partito con lui alla volta della capitale. Il quattordicenne aveva così abbandonato la propria dimora fra i monti e si era imbarcato in quella nuova avventura, sebbene nutrisse ancora dei forti dubbi su quel bellissimo stregone che si era promesso di istruirlo e iniziarlo al mondo dell’occulto.

Michizane era universalmente riconosciuto come il migliore fra gli esorcisti, forse addirittura il più potente tra quelli nati in quell’epoca. Nonostante questo il giovane Ryoma non riusciva a fidarsi di lui. Non completamente. 

Aveva deciso di seguirlo perché colpito dal suo combattimento e da quella tecnica dell’infinito che un giorno o l’altro avrebbe voluto sfidare.

I suoi occhi scarlatti indugiarono a lungo sulla figura del nobile a pochi metri da lui, soffermandosi più di quanto sarebbe stato necessario. Ne studiò ogni particolare, dalla punta di quel naso perfetto ai sandali che portava ai piedi. Michizane era un enigma al quale Ryoma desiderava trovare al più presto una soluzione o almeno una chiave di lettura. Come poteva un individuo all’apparenza così sciocco e superficiale essere tanto temuto? Doveva scoprire il segreto di quella forza.

Sul versante opposto, Sugawara non sembrava accorgersi dei dubbi che attanagliavano la mente del giovane allievo. Continuava a mantenere il solito atteggiamento cordiale e amichevole, prendendo forse troppe libertà nei suoi confronti. La prima notte che avevano trascorso insieme lo stregone gli aveva addirittura offerto del sakè per festeggiare. In quell’occasione Ryoma aveva cercato inutilmente aiuto nello sguardo di Kamui ma l’anziano servitore si era limitato ad una scrollata di spalle, come se fosse talmente abituato a quei comportamenti da non farci caso.

Quando Ryoma ripensava agli avvenimenti di quei giorni gli pareva di vivere in una sorta di sogno, in cui tutto appariva ancora troppo bello per essere vero. Da povero disgraziato sarebbe diventato uno stregone. Era più di quanto avesse mai potuto sperare. Si voltò in direzione del proprio maestro ancora intento a giocherellare con un ventaglio,

"Perché stiamo andato proprio a Heian-Kyo?” aveva trovato il coraggio di domandare. Era da giorni che quell’interrogativo vorticava nella sua mente ma non era mai riuscito a trovare l’occasione giusta per dar voce ai propri pensieri.

Michizane gli aveva sorriso in quel suo modo unico ed irripetibile e a Ryoma era solo venuta ancora più voglia di prenderlo a pugni o di tornare indietro. Peccato che nessuna di quelle azioni fosse praticabile.

“Ho degli affari da sistemare nella capitale e che non posso assolutamente lasciare in sospeso” fu la sola risposta che ottenne. Il ragazzo storse il naso, 

“Hanno forse a che fare con la taglia che pende sulla vostra testa e quegli stregoni neri?”

“Sei davvero un ragazzino sveglio” Ryoma sbuffò cercando di fare il possibile per non avvampare di fronte all’ennesimo complimento, anche se aveva compreso l’ironia di fondo nascosta in quelle parole. Doveva solo abituarsi a quei modi. Durante quelle settimane trascorse in sua compagnia aveva notato come lo stregone fosse perfettamente consapevole del proprio fascino e dell’effetto che esercitava sul prossimo.

Ryoma aveva osservato spesso Michizane flirtare con donne giovani e vecchie, così come lo aveva visto allontanarsi in loro compagnia.

“Vi prego di non fare troppo caso al comportamento di Sugawara-dono” erano stati i soli commenti di Kamui, in risposta agli sguardi sorpresi dell’albino che non si sarebbe mai aspettato una simile condotta da parte di un uomo considerato al pari di una leggenda vivente.

“Ma non ha una moglie?” aveva trovato il coraggio di domandare dopo averlo visto rientrare per l’ennesima volta all’alba. L’anziano servitore abbassò il capo in segno di rispetto.

“La signora ci ha lasciato ormai da molti anni” per un istante Ryoma faticò ad immaginarselo. Un Michizane sposato era un’idea che la sua mente quasi si rifiutava di concepire. Un tale dongiovanni non poteva essere stato un marito fedele.

“È per questo che Sugawara-dono ha deciso di prendere le distanze dal Clan Gojo” le successive parole del servitore però ebbero l’effetto opposto e lo colpirono profondamente

“Come è morta? Se posso saperlo” il vecchio gli sorrise tornando a rivolgere la propria attenzione al cielo. Lo sguardo del giovane albino lo metteva in difficoltà tanto da non riuscire a sostenerlo se non per qualche minuto.

“Di parto, pochi giorni dopo la nascita del nobile Atsuhige” spiegò, 

“Atsuhige” Ryoma ripetè per un paio di volte quel nome dal suono così singolare. Qualcosa gli suggeriva di come Michizane non avesse avuto voce in capitolo su quella scelta. Come se non gli appartenesse.

“Sugawara Atsuhige, il futuro Capo del Clan Gojo” le successive parole di Kamui lo riportarono alla realtà.

A quel tempo, Sukuna non conosceva nulla riguardo all’aristocrazia o alle famiglie nobili. Il giovane Ryoma aveva sempre vissuto fra quelle montagne che ogni giorno si facevano sempre più piccole e sfocate sulla linea dell’orizzonte. Dalle poche informazioni che era riuscito ad estrapolare, Sugawara Michizane aveva tre figli, il più giovane dei quali avrebbe ereditato la guida del Clan Gojo perché in possesso di una qualche abilità innata.

“Per me sono tutte sciocchezze” sbuffò incrociando le braccia al petto.

“Anche l’amore?” Michizane aveva fatto la propria comparsa e come sempre aveva dovuto intromettersi nella conversazione.

“L’amore è solo spazzatura” rispose sprezzante, non mutando il proprio atteggiamento

“Come sei melodrammatico”

“Dove siete stato questa notte?” lo incalzò con fare volutamente provocatorio,

“Non sono affari che ti riguardano”

“Non trattatemi come un bambino”

“Ma ai miei occhi lo sei” quelle parole fecero male, più di un colpo ricevuto in pieno petto. 

“Ho quattordici anni” 

“Appunto”

“Voi alla mia età vi siete sposato” lo stregone gli regalò un’occhiata sorpresa subito sostituita dal solito odioso e perfetto sorriso,

“Kamui, mi chiedo cosa tu possa aver raccontato al mio troppo giovane apprendista”

“Solo la verità mio signore”

“La prossima volta tienitela per te” Ryoma non aveva mai udito Michizane utilizzare un simile tono di voce. Era il primo vero ordine che aveva visto lasciare le sue labbra. L’albino era solito scordare quale fosse la vera natura dell'uomo di fronte ai suoi occhi. Sugawara non era solo uno stregone ma era prima di tutto un nobile. Era qualcuno abituato al comando così come a veder realizzato ogni più piccolo desiderio. 

Erano creature agli antipodi le cui strade erano finite con l’incrociarsi per uno strano scherzo del destino. Doveva ringraziare gli dei per una simile fortuna eppure il suo orgoglio glielo impediva. 

“Ho chiesto io a Kamui di vostra moglie” si sentì in dovere di spiegare, ancora sorpreso da quell’atteggiamento

“Davvero?” 

“Si” 

“Se avessi avuto una moglie pensi che l’avrei tradita?” Ryoma cercò di non arrossire di fronte a quella domanda e alla vicinanza con il viso di quell’uomo impossibile,

“No ma…”

“Il mio passato non ti deve riguardare. Stiamo tornando nella capitale proprio per questo, per chiudere i ponti con quella vecchia vita”

“Non vi capisco” Michizane si limitò a sorridere come sempre prima di confessare candidamente,

“Ho intenzione di organizzare il mio funerale” 


***


Bianco. 

Ovunque Ryoma posasse il proprio sguardo quel colore finiva con il catturare la sua attenzione. Il giovane albino si sentiva quasi a disagio di fronte a tutta quella purezza. Perché era questo ciò che simboleggiava. 

Heian-Kyo era diversa da come se l’era immaginata o forse era solo perchè, una volta giunti nella capitale, avevano subito fatto visita alla residenza principale della famiglia Gojo e da lì non ne erano più usciti. Ryoma era finito a lavorare fra quelle mura, aiutando nell’organizzazione del funerale del nobile Michizane. Quando il maestro gli aveva parlato per la prima volta del proprio piano il giovane albino lo aveva preso per pazzo.

“Voglio assicurarmi che i Gojo siano estranei alla faccenda della taglia. Un funerale è un’occasione perfetta. Fra qualche giorno uccideremo Michizane Sugawara” Ryoma finalmente comprese dove volesse andare a parare con quella messinscena,

“Volete morire per poter essere libero” lo stregone gli sorrise, sinceramente colpito da quelle parole,

“In un certo senso sì, possiamo dire così. Solo i miei parenti più stretti sapranno che si tratta di una farsa, per cui se riceveremo altre visite da parte di stregoni oscuri potremmo restringere la rosa dei possibili mandanti”

“E che ne sarà dei vostri figli?” Ryoma non era riuscito a trattenere la propria curiosità, da quando era arrivato in quella dimora aveva quasi sperato di incontrare i famosi eredi del Clan Gojo. Ovviamente non era stato possibile ed era finito insieme al proprio maestro con l’occupare un’ala dismessa, lontana da occhi e orecchie indiscrete.

“Anche per loro sarò morto” ammise con la solita tranquillità.

“Non vi importa nulla di loro?” lo aggredì il più giovane. Come poteva Michizane avere un atteggiamento tanto menefreghista nei confronti del suo stesso sangue? 

Ryoma aveva conosciuto solo l’amore di sua madre, non aveva idea di cosa significasse avere un padre, tuttavia era certo che Michizane si stesse sbagliando. Fu allora che lo stregone leggendario gli sorrise per poi scompigliargli i capelli,

“Proprio perchè mi importa devono credere nella mia dipartita. Non sono mai stato un buon padre. Non li conosco nemmeno. Li ho abbandonati quando avevano più bisogno di me. Per quei ragazzi non sono altro che un estraneo”

“Non dite così”

“Cosa faresti se tuo padre tornasse all’improvviso? Lo accoglieresti a braccia aperte?” Ryoma non seppe come rispondere. Erano anni che non prendeva in considerazione un simile scenario.

“Il perdono non è cosa facile. Lo so bene. Per questo spero che con la mia morte possano in qualche modo essere liberi di ricominciare. Desidero solo che vivano il più lontano possibile dall’ombra di Michizane Sugawara, da quella leggenda che mio malgrado ho finito con il creare”

“Non credevo che foste un simile codardo” lo stregone non smise per un istante di sorridergli per nulla turbato da quelle parole, né dal tono di voce con cui erano state pronunciate,

“Forse hai ragione, sto scappando da questo passato, da una vita che mi è sempre stata stretta. Il Capo Clan ha accettato di assecondare questo capriccio e gliene sarò eternamente grato. Domani verrà celebrato il mio funerale e una volta terminata la funzione ce ne andremo. Solo io e te”

“Ma Kamui?” Ryoma batté le palpebre confuso

“Kamui è un fedele servitore della famiglia Gojo. Tra meno di ventiquattro ore inizierà a diffondersi per il Paese la notizia della morte di Sugawara Michizane. Non ha motivo di seguire un fantasma”

“Siete sicuro della vostra decisione?” in quel momento lo sguardo di Michizane non tradiva alcuna emozione. Ryoma osservò quelle iridi violacee che non gli erano mai sembrate tanto imperscrutabili. Lo stregone gli diede le spalle afferrando un telo utilizzandolo per coprire uno dei numerosi santuari sparsi per quella casa. 

“Sai cosa significa?” domandò cambiando argomento. Il ragazzino scosse la testa, ancora leggermente confuso da quel gesto.

“Vi sono diversi rituali per celebrare la morte di una persona” iniziò con lo spiegare, sistemando meglio la stoffa bianca che reggeva ancora tra le mani. Ryoma annuì ripensando a sua madre, ai giorni in cui aveva dovuto dirle addio.

“Nel Clan Gojo seguiamo poche semplici disposizioni. I santuari comunemente presenti in casa vengono chiusi e coperti con della carta bianca, utile per tenere alla larga gli spiriti maligni o le più comuni maledizioni” Ryoma alzò il capo, comprendendo finalmente il senso di quelle azioni e di quel colore che sembrava avvolgerli.

“Una tavoletta con incenso, fiori e una candela vengono invece deposti vicino al letto del defunto. Nel mio caso si è pensato di saltare la parte della veglia e disporre subito per la cremazione”

“Ma non sarebbe meglio mostrare le vostre spoglie?” Michizane assunse un’espressione contrariata per poi aggiungere con tono volutamente studiato e melodrammatico,

“Significherebbe restare fermo per delle ore sotto gli sguardi di gente che ho sempre odiato e che sicuramente starà godendo per la mia dipartita ma molto più grave, dovrei assumere le mie vere sembianze”

“Vere sembianze?”

“Te l’ho detto no? Grazie alla tecnica dell’inversione posso barare sulla mia età” Ryoma finalmente comprese dove volesse andare a parare con tutto quel discorso

“Peccato, sarei stato curioso di vedere il vostro vero aspetto sensei” Michizane gli rivolse un’occhiata confusa,

“Quando evocherai il tuo primo Dominio” concesse

“Come?”

“Quando sarai diventato un vero stregone, solo allora ti mostrerò il mio vero volto”

Ryoma lo fissò per una manciata di minuti, indeciso se credere o meno a quelle parole

“Me lo dovete promettere”

“Ok lo giuro sul mio onore”

Sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di promesse destinate a essere infrante.


***


Quella sera Ryoma non riusciva a prendere sonno. Aveva trascorso l’intera giornata ad aiutare per i preparativi del funerale, ricevendo al proprio passaggio occhiate scettiche e curiose sia dai servitori che dai pochi membri del Clan Gojo che aveva avuto la fortuna/sfortuna di incontrare.

Iniziava a comprendere il desiderio di Michizane di fuggire da quel mondo, quelle regole. Si trovava a Heian-Kyo da poche ore e già si sentiva soffocare da tutto quel lusso, quell’opulenza. 

Decise di uscire dalle proprie stanze e prendersi una boccata d’aria cercando di schiarirsi le idee. La luna era alta nel cielo e la sua luce appena sufficiente ad illuminare l’ambiente circostante. Ryoma si mosse con passo sicuro fino a raggiungere un piccolo portico. Fu sorpreso di trovarvi già una figura rannicchiata a terra. Stava piangendo.

“Scusate, non volevo disturbarvi” mormorò imbarazzato prima di abbassare il capo esibendosi in un inchino impacciato,

“Non preoccupatevi. Siete il nuovo servitore?” Ryoma annuì cercando di fare il possibile per non incrociare lo sguardo del giovane nobile a pochi metri da lui. Non sapeva ancora bene come comportarsi in certe situazioni.

“Avete dei capelli di un colore davvero insolito” mormorò il ragazzo dopo essersi asciugato il volto con la manica del proprio kimono ed averlo invitato ad accomodarsi accanto a lui.

“Ne sono consapevole” rispose avanzando di un paio di passi.

“Domani si celebrerà il funerale di mio padre” a quella confessione Ryoma non seppe come replicare. Non si aspettava di incontrare uno dei figli di Michizane. Né che gli rivelasse della loro parentela. Essere schietti doveva essere una dote di famiglia.

“Non so nemmeno perché io ne sia così addolorato. Non lo conoscevo. L’ho incontrato solo una volta”

“Una volta?” il giovane Sugawara annuì,

“La morte di mia madre è stata un duro colpo per lui. Non si è mai ripreso da quel dolore, per questo si è allontanato dalla famiglia Gojo e ha iniziato a condurre una vita dissoluta. Sono stato allevato da mio nonno, l’attuale Capo Clan, è solo grazie a lui se sono diventato uno stregone” concluse guardandolo negli occhi. 

Il giovane Sukuna fece inconsciamente un passo indietro. Se gli occhi di Michizane gli erano sembrati stupendi le iridi che aveva dinnanzi lo erano ancora di più. 

“Perdonatemi se il mio sguardo vi ha spaventato o messo in qualche modo a disagio”

“No, ecco sono io che mi devo scusare mio signore per aver avuto una reazione simile ma ecco non avevo mai visto occhi come i vostri” Ryoma si sentiva un completo idiota mentre cercava di regolarizzare i battiti impazziti del proprio cuore

“Questi occhi sono un’eredità del Clan Gojo. Un’abilità innata, mi permettono di vedere il flusso di energia malefica, sono incredibilmente utili per la creazione di nuove tecniche ma possono essere impiegati anche in battaglia” Ryoma non poté fare altro che annuire. Era ancora piuttosto ignorante in materia. Michizane si era limitato a fornirgli le basi della stregoneria ma non le aveva ancora messe in pratica. La sua unica esperienza con il mondo dell’occulto risaliva allo scontro avvenuto più di un mese prima.

“Siete uno stregone” si lasciò scappare, 

“Anche voi” l’albino arrossì,

“Sono solo un umile apprendista” ammise abbassando lo sguardo

“La vostra energia però è notevole, potreste anche essermi superiore”

“Lo escludo” 

“Mio padre è considerato lo stregone più potente di quest’epoca, vorrei diventare come lui e renderlo fiero”

“Sono certo che ci riuscirete signor ehm, temo di non conoscere il vostro nome”

“Perdonatemi, sono Sugawara Atsuhige, piacere di fare la vostra conoscenza”

“Ryoma. L’onore è mio Sugawara-dono” 

“Mi ricorderò di voi Ryoma-kun, spero di rivedervi in circostanze più liete”

“Per me vale lo stesso e non temete, sono certo che ovunque si trovi vostro padre sarà fiero dello stregone che siete diventato”

A pochi metri da loro, nascosto dietro un paravento Michizane sorrise, trattenendo a stento le lacrime.


***


Quella notte lo stregone leggendario ebbe l’ennesima visione sul futuro. Vide nei propri sogni un bambino più luminoso del sole, dai capelli candidi come la neve e due occhi che racchiudevano tutte le sfumature del cielo. La sua nascita era stata accolta con gioia e timore all’interno del proprio Clan e dalla società dell’occulto. Michizane lo vide combattere e padroneggiare quella tecnica che lui stesso aveva creato, migliorandola per adattarla al proprio immenso potere. 

Non ebbe il tempo di esserne orgoglioso che la scena cambiò nuovamente lasciandolo spaesato e confuso. 

Il proprio discendente, il possessore del sesto occhio e dell’infinito si trovava ora in compagnia di un Ryoma adulto mentre questi stringeva tra le braccia una creatura. La sensazione di déjà-vu che lo invase venne subito spazzata via dalle loro parole,

“Satoru ne sei sicuro?” la voce di Ryoma così matura e profonda lo fece sussultare. Quell’uomo non possedeva nulla del ragazzino che aveva incontrato, solo uno sguardo di fuoco che Michizane avrebbe saputo riconoscere fra mille

“Abbiamo scelto noi quale sentiero percorrere, abbiamo preferito credere nella vita quando intorno a noi vi era solo morte. Ciò che stringi fra le braccia non è che la somma di tali decisioni”

“Non iniziare con i tuoi soliti discorsi strampalati, stai parlando di mia figlia”

Nostra figlia”

“Questo è un dettaglio trascurabile” Satoru Gojo gli sorrise prima di avvicinarsi, finendo con il fare intrecciare le loro mani.

“Tempo fa con arroganza ho creduto di essere il solo a poter capire e colmare la solitudine che portavi nel cuore. Per questo avevo accettato la tua sfida, volevo batterti ma forse più di ogni altra cosa desideravo comprenderti”

“E ora invece?” lo provocò il Re delle maledizioni,

“Puoi far crescere un fiore ma non potrai mai obbligarlo a capirti”

“Mi stai forse paragonando a un fiore?”

“Non oserei mai. Ho scelto di inseguirti e sacrificarmi per salvare i miei amati allievi e il mondo” il suo sguardo tornò in direzione della figlia, addormentata fra le braccia di Sukuna,

“Sayuri” mormorò innamorato,

“Hai voluto darle tu il nome di un fiore”

"Perché mi hai detto che era simile a quello di tua madre”

“Trovo sia perfetto per lei”

“Lo penso anche io”

“Abbiamo trovato qualcosa su cui andiamo d’accordo” Sukuna gli sorrise prima di avventarsi sulle sue labbra,

“Non è la sola cosa” rispose Satoru con tono provocatorio prima di rispondere a quel contatto.

Michizane riemerse da quella visione con le lacrime agli occhi. Non ricordava mai nitidamente i propri sogni, conservava solo pochi dettagli e sensazioni. Ogni volta era come trovarsi di fronte ai pezzi di un puzzle che gli sarebbe toccato ricomporre. Anche in quel caso erano pochi i particolari che ricordava con chiarezza. Era quasi certo di aver scorto Ryoma e uno dei propri discendenti ma non capiva come quei fatti potessero essere collegati.

Si lavò il viso preparandosi ad affrontare l’ennesima lunga giornata.

Quando si trovò di fronte alle iridi scarlatte del proprio giovane apprendista gli sorrise, quasi di riflesso

“State bene sensei? Questa mattina siete più pallido del solito” l’uomo scosse il capo sorpreso dal suo spirito di osservazione,

“Nulla di preoccupante. Muoviamoci non capita tutti i giorni di assistere al proprio funerale”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI Notte - Pushing Forward ***


VI notte - Pushing Forward







prompt: Corsa
“Amore, rabbia, tristezza, i moti del cuore sono solo illusioni?”
Jjk vol.4






Giappone
- Periodo Heian -



Era passato un anno dalla morte di Michizane Sugawara. Da allora le stagioni si erano susseguite una dopo l’altra e in un certo senso era come se il tempo si fosse fermato per lo stregone leggendario e il proprio apprendista. Le giornate trascorrevano serene scandite dagli allenamenti e da una patina di quotidianità insolita per entrambi.

Ryoma migliorava a vista d’occhio nell’utilizzo dell’energia malefica rendendo Sugawara fiero. 

Michizane non aveva più scorto il futuro. Dopo l’ultima visione, avvenuta il giorno del proprio funerale, lo stregone si era sentito per lungo tempo inquieto, arrivando anche a mettere in dubbio la propria decisione di addestrare il giovane albino. Ovviamente si era tenuto queste preoccupazioni per sé, custodendole nel proprio animo.

Nessuno sapeva di questa sua abilità che per certi versi non era altro che l’ennesima condanna. Lo stregone leggendario non era riuscito a prevedere la morte di sua moglie o altri avvenimenti che avrebbero finito con il definire la propria vita. A cosa serviva conoscere in anticipo il fato se non poteva fare nulla evitarlo? 

Michizane aveva scelto di abbandonarsi all’alcol e alla lussuria proprio per questo. Doveva stordire la propria mente per sfuggire dal ricordo un futuro ineluttabile. 

Da che aveva memoria quel potere era sempre stato parte di lui. All’inizio le visioni erano molto più chiare e specifiche; sognava un pettirosso e il giorno dopo questo volava fuori dalla sua finestra. Iniziò a preoccuparsi poco dopo le proprie nozze, quando vide la morte di uno dei suoi fratelli minori, tragedia che puntualmente si verificò. Sopraffatto dal proprio dolore lo stregone arrivò ad aprirsi con Nobu, trovando in lei e nelle sue parole gentili il conforto di cui aveva bisogno. 

“Gli dei ti hanno concesso questa capacità per un motivo. C’è sempre una ragione nella volontà divina” 

Peccato che Michizane non ci avesse mai creduto.

Erano troppi i cosiddetti doni che aveva ricevuto. Avvenenza, lignaggio, abilità nella stregoneria e preveggenza, tutte doti che lo avvicinavano allo status di divinità. Eppure non erano bastati per salvare Nobu, non era riuscito nemmeno a dirle addio. 

Quella notte, dopo aver appreso della sua scomparsa, Sugawara aveva rivisto il proprio incontro con la giovane moglie sotto quell’albero di pruno dalle foglie scarlatte. Lo stesso colore che avrebbe ritrovato diversi anni dopo nelle iridi di un giovane disgraziato. 

Dopo l’incontro con Ryoma qualcosa in lui era cambiato. Michizane aveva trovato finalmente il coraggio di tagliare i ponti con il proprio passato e il Clan Gojo. Si era ripromesso di addestrare quel giovane contadino per farne stregone. Sarebbe stato un modo attraverso il quale espiare le proprie colpe e ricominciare. 

Quell’ultima visione però non sembrava volergli dare pace. Era come un tarlo fastidioso che puntualmente tornava a invadere la mente del nobile stregone. 

Ricordava solo pochi particolari di quel sogno tra i quali il nome di un fiore.

“Sayuri”

“Come?” 

Michizane non si era accorto di averlo pronunciato ad alta voce fino a quando le iridi cremisi di Ryoma non incrociarono le sue.

“Avete sussurrato qualcosa prima. Cos'è con l’età iniziate a perdere colpi maestro?” Michizane gli regalò l’ennesimo sorriso, sperando di dissimulare il proprio nervosismo

“Stavo pensando ai fiori” si trovò ad ammettere di fronte a quello sguardo che in quel momento sembrava volerlo trapassare,

“Sayuri come il giglio?” fu il successivo interrogativo di Ryoma. Michizane ne rimase sorpreso tanto da limitarsi ad annuire con un cenno del capo.

“Anche mia madre aveva il nome di un fiore” confessò poco dopo.

“Questo lo sapevo” si lasciò scappare lo stregone.

“Non ricordo di avervelo detto” 

Ryoma aveva ragione, non ne avevano mai parlato. Michizane aveva udito quel dettaglio nella propria visione ma lo aveva scordato fino a qualche istante prima. 

“Allora devo essermi confuso” ammise grattandosi nervosamente il capo e nascondendosi dietro al proprio ventaglio.

“Oggi siete più strano del solito” lo stregone accettò quelle parole maledicendosi per aver abbassato tanto la guardia.

Ryoma era un ragazzo sveglio al quale difficilmente si poteva nascondere qualcosa. Dopo un anno di convivenza Michizane aveva imparato a conoscerlo. Aveva compreso la sua solitudine e sofferenza data dal possedere quell’aspetto non comune, così come il desiderio di normalità. In questo erano simili, un tempo anche lui aveva desiderato qualcosa di analogo e allo stesso modo impossibile.

“Non ricordo bene quale fosse il suo nome anche se devo ammettere che Sayuri è molto bello” le successive parole del ragazzo lo strapparono dal filo dei propri pensieri.

Quel fiore era legato al futuro di Ryoma ma lo stregone non sapeva dire in che modo. Era possibile che fosse frutto del caso o una semplice coincidenza ma data la propria esperienza in materia non voleva dare nulla per scontato. Poteva essere un dettaglio importante come una sciocchezza di poco conto.

“Se ti piace potrai sempre chiamare tua figlia in quel modo” doveva essere una battuta innocente ma il successivo sguardo che Ryoma gli rivolse lo fece trasalire,

“Figlia? Non intendo sposarmi, inoltre dubito che qualcuno possa trovare interessante questo mio aspetto” lo stregone aveva scoperchiato il vaso di Pandora ed erano finiti su un terreno minato.

Nonostante Michizane continuasse a ripetergli il contrario, Ryoma non cessava di odiare le proprie fattezze. Per anni aveva subito insulti e vessazioni che avevano compromesso la percezione che aveva di se stesso. Malgrado i capelli bianchi e quegli occhi che racchiudevano tutte le sfumature del tramonto, Ryoma era davvero un bel ragazzo. Dopo un solo anno di allenamento la sua massa muscolare era raddoppiata, non era più un gracile e denutrito contadino ma un guerriero. Era nel pieno della crescita sia sul lato fisico che da quello del potere spirituale.

“Nemmeno io desideravo sposarmi eppure” sussurrò mellifluo lo stregone 

“Ve l’ho già detto l’amore è solo una perdita di tempo, spazzatura

“Sei ancora così giovane, quando incontrerai la persona giusta lo capirai”

“E come saprò che è quella giusta?” lo stregone finse di rifletterci,

“Perchè sarai disposto anche a distruggere il mondo per lei e seguirla all’inferno” 

Una parte di Michizane avrebbe desiderato morire quel giorno, insieme a Nobu, erano stati i suoi sogni a portarlo a desistere. Non aveva trovato nemmeno il coraggio per ammazzarsi e porre fine alle proprie sofferenze. Aveva preferito vivere nella miseria piuttosto che andare incontro ad una morte onorevole.

“Amavate vostra moglie?” la successiva domanda di Ryoma lo sorprese o forse fu solo per la consapevolezza di non possedere una risposta,

“Credo di averla amata, a modo mio. Non ci siamo scelti ma siamo stati felici. Eravamo complici, amici, lei era la mia ancora, il mio supporto, per questo la sua morte improvvisa mi ha destabilizzato”

“É stata la prima persona che avete perso?” Michizane annuì,

“La prima alla quale tenessi”

“Per questo credo che l’amore sia un sentimento inutile, guardate come vi ha ridotto”

“Se mi sono rovinato l’ho fatto con le mie mani”

“Le maledizioni si nutrono dei sentimenti negativi che nascono nell’animo umano. L’amore porta con sé l'odio, dolore, gelosia”

“Per questo vorresti privartene? Sei davvero ancora un ragazzino” lo schernì. Ryoma incassò quel colpo, prima di ribattere

“Vedremo se me lo direte ancora quando sarò diventato il più grande degli stregoni” Michizane richiuse il proprio ventaglio per poi colpirlo sul capo,

“Addirittura il più grande? Se hai fiato da sprecare in queste sciocchezze puoi usarlo per allenarti”

“Un giorno vi sconfiggerò”

Lo stregone sorrise facendolo arrossire. 

Ryoma abbassò il capo imprecando fra i denti. Il suo cuore aveva accelerato di colpo ma preferì ignorarlo. 


***


Presente

Tokyo
-Residenza del Clan Gojo-



“In qualunque epoca voi stregoni siete sempre una seccatura”

Fushiguro Megumi non amava rivangare il passato. La sua vita non era stata altro che un susseguirsi di incontri e situazioni più o meno piacevoli. Satoru Gojo era stato il primo ad avergli fornito una vera casa, un luogo al quale appartenere, così come lo aveva aiutato a conoscere e coltivare il proprio potere. Quell’uomo era stato il suo benefattore anche se simile a quella figura paterna che Megumi non aveva mai avuto modo di incontrare.

Il giovane Fushiguro si era limitato ad essere un mero spettatore di quella vicenda che avrebbe per sempre cambiato il volto e la società dell’occulto. Chiamarla favola sarebbe stato eccessivo, ai suoi occhi quegli avvenimenti apparivano solo come una tragedia che non avevano avuto modo di evitare.

Per qualche tempo Megumi si era addossato la colpa di quegli eventi.

Quando Itadori Yuji aveva assimilato il primo dito di Sukuna, Fushiguro era presente, anzi era stato proprio il suo intervento a creare quella situazione. Megumi non era riuscito a fermarlo, esattamente come poco dopo non era riuscito ad impedire al Re delle maledizioni di strappare il proprio cuore dal petto di quello stesso ragazzo. 

Il suo crimine peggiore però era stato permettere a quel mostro di prendere possesso del proprio corpo. Si era distratto per un solo istante e quell'essere aveva fatto la propria mossa. 

La coscienza di Megumi si era spenta di colpo, come se qualcuno avesse calato un velo sopra ai propri occhi. Contrariamente a Itadori, Fushiguro non ricordava nulla del suo essere Sukuna. Non aveva modo di sapere cosa stesse accadendo al di fuori di quella dimensione nella quale la propria coscienza era stata relegata.

Quando aveva recuperato i sensi si era trovato di fronte al proprio sensei. Per una frazione di secondo si era convinto di essere morto e che quello fosse una sorta di aldilà. Satoru Gojo però non poteva trovarsi in quel posto. Lui era il più forte. 

“Bentornato” il sensei gli si era avvicinato e gli aveva dato una sonora pacca sulla spalla. Il leggero dolore provocato per quel contatto lo convinse di essere vivo e che non fosse tutta un’illusione prodotta dalla propria mente.

“Visto? Te l’ho restituito come nuovo” a parlare era stato un individuo che Megumi non aveva ancora notato. Aveva i capelli quasi più chiari di quelli di Gojo e uno sguardo iniettato di sangue che non avrebbe mai dimenticato.

“Sukuna? Ma cosa significa?” aveva indietreggiato di un paio di passi per poi assumere una posizione di combattimento,

“Ecco lo hai spaventato. Ti avevo detto di farti da parte, mai una volta che mi ascolti” Gojo era intervenuto piazzandosi tra lui e il Re delle maledizioni. Vi era qualcosa di strano nel comportamento dello stregone che inizialmente Megumi non aveva compreso.

“Va tutto bene” provò a tranquillizzarlo il possessore dell’infinito con il solito tono di voce canzonatorio che Fushiguro ricordava.

“Dove ci troviamo e perché lui è qui?” ci sarebbero state altre domande, troppe, quella situazione rasentava i limiti dell’assurdo. 

Nei suoi ultimi ricordi, Megumi aveva offerto la propria vita per creare un vincolo, Sukuna si era intromesso e aveva finito con l’assorbire il suo corpo evitandogli di andare incontro a quel destino. La sua coscienza si era spenta qualche secondo dopo. Fushiguro non dubitava che quella calamità presto o tardi sarebbe corsa da Gojo, in fondo glielo aveva promesso,

“Sarai il primo che verrò a fare fuori”

“Ѐ un onore essere puntato da Sukuna”


Con il senno del poi quelle frasi avrebbero acquistato un senso e un significato diverso. Allora però Megumi non era a conoscenza del legame nato tra lo stregone più potente e il Re delle maledizioni, come del vero motivo per il quale Sukuna avesse deciso di restituirgli il proprio corpo. 

Solo quando Gojo gli aveva affidato Sayuri ogni cosa aveva acquistato magicamente una logica, un senso. 

“Andrà tutto bene” e lui come uno stolto ci aveva creduto.

“Fushiguro per fortuna ti ho trovato” Yuta Okkutsu era comparso sulla soglia della propria stanza distogliendolo da quel passato che sebbene Megumi non amasse rivangare gli era impossibile da dimenticare.

“Sono sempre stato qui” rispose con il solito tono apatico. Aveva sempre rispettato Okkotsu, era il solo a poter raccogliere l’eredità lasciata da Satoru Gojo.

“Volevo scusami per il mio comportamento” mormorò il maggiore esibendosi in un inchino. 

“Non c’è nè bisogno”

“Sayu mi ha chiesto dei suoi genitori. Questa volta non sono riuscito a dissuaderla, sa essere davvero testarda” rispose imbarazzato cercando di fare il possibile per non incontrare il suo sguardo.

Megumi prese un lungo respiro. 

“Scommetto che non ci hai nemmeno provato” non era un’accusa solo una mera constatazione 

“Forse hai ragione, ma quando mi trovo davanti a quegli occhi io…”

“Somiglia sempre più a suo padre, non dovresti esserne tanto sorpreso” Yuta gli sorrise, ma fu un’espressione triste, malinconica,

“Vorrei solo che Gojo sensei fosse qui e vedesse quanto è cresciuta”

“Una favola della buona notte eh?” anche gli angoli della bocca di Megumi si contrassero

“Se ci pensi la loro storia ha qualcosa di magico”

“Io non ci vedo tutto questo romanticismo” si limitò a fargli notare.

Megumi era l’unico ad aver visto quel legame ma nonostante questo era stato quello che più di tutti aveva faticato ad accettarlo. Si specchiò nelle iridi di Yuta. Non si era nemmeno accorto di quanto fossero vicini.

“Hai gli occhi viola” commentò sorpreso. Okkutsu si affrettò a scuotere la testa imbarazzato.

“Ѐ un errore comune. Sono blu ma vi è una leggera sfumatura di viola. Rika mi rimproverava sempre” 

Megumi era solito scordarlo, Yuta Okkotsu, il più giovane Livello Speciale mai registrato. Lo stregone che ancora bambino aveva maledetto la propria amica d’infanzia trasformandola nella Regina delle maledizioni. Era anche colui che aveva sconfitto Suguru Geto e sigillato Kenjaku. 

L’erede di Satoru Gojo. 

“Fushiguro-kun va tutto bene?” Megumi annuì 

“Non sono arrabbiato per la favola ma preoccupato per Sayu” Okkutsu annuì,

“So benissimo quali fatti raccontare e quali risparmiare” non ne aveva il minimo dubbio,

“E quando arriverai alla sua nascita cosa farai?”

“Ci penserò tra un paio di notti, quando sarà il momento”

“In questo gli somigli” mormorò quasi senza accorgersene. Yuta e Gojo erano diversi ma vi erano dei piccoli particolari che li accomunavano, forse era per via del legame di sangue che condividevano. Megumi non sapeva spiegarlo a parole, era più una sensazione la sua.

“Gojo-sensei era molto più incosciente non trovi?” rispose il maggiore soffocando una risata,

“Abbiamo visto tutti la sua incoscienza più grande”

“Tu eri lì” Megumi annuì

“Ci sono delle volte in cui non me ne capacito ancora”

“Perchè per te è così difficile accettare che esista l’amore?”

L’amore è solo spazzatura

La voce di Sukuna si insinuò nella mente di Fushiguro portandolo a urlare. La reazione di Yuta non si fece attendere, utilizzò la propria tecnica per lenire quelle voci che a distanza di anni continuavano a tormentare il kohai. 

Disturbo post traumatico, era stata la diagnosi di Shoko.

“Cerca di riposare, vado a chiamare Itadori”

Quando Megumi ricadeva in quelle crisi, simili ad attacchi epilettici, la vicinanza di Yuji sembrava l’unica cosa in grado di calmarlo. Era sufficiente che gli fosse accanto. La spiegazione che Fushiguro si era dato per spiegare l’assurdità del proprio comportamento era che Itadori, esattamente come lui, era stato posseduto dallo spirito di Sukuna. Era questo il legame che condividevano, tutto il resto passava in secondo piano.

Il tocco gentile di Yuji, il ritmo regolare del suo cuore e le loro mani intrecciate non significavano nulla. Megumi non poteva accettare di provare qualcosa per l’ex compagno di scuola. Sarebbe stato troppo. Chiuse gli occhi sperando che quell’idiota arrivasse il più presto possibile mentre le voci di quella calamità continuavano a invadergli la mente.


***


Itadori non aveva mai corso tanto in vita sua. L’istituto di Arti Occulte si trovava a pochi isolati dalla residenza dei Gojo, gli sarebbero bastati pochi minuti per raggiungere Fushiguro. La chiamata di Okkutsu nel cuore della notte lo aveva sorpreso. Erano mesi che Megumi non aveva quelle crisi. Il suo cervello però come sempre non si era soffermato troppo a pensare, le gambe di Yuji avevano iniziato a muoversi ancora prima che se ne rendesse conto.

Megumi era stato il primo stregone che aveva incontrato. Era un amico prezioso con il quale aveva combattuto diverse battaglie. Quando Sukuna lo aveva posseduto, Itadori si era sentito un completo idiota. Era lui il contenitore di quel mostro eppure non era riuscito ad impedirlo, così come non era intervenuto durante il massacro di Shibuya. 

“La colpa è nostra” 

Itadori strinse i pugni. Faceva male ripensare a quelle parole, come ricordare l’occasione in cui erano state pronunciate. Megumi non lo aveva mai abbandonato, anche nella disperazione era rimasto al suo fianco pronto a supportarlo.

Aveva permesso a Ryomen Sukuna di prendersi gioco di lui. Lo aveva usato a piacimento e poi gettato come un fazzoletto usato. Itadori avrebbe potuto lasciar correre se non fosse che Fushiguro era stato scelto come nuovo contenitore dal demone immaginario. Il senso di impotenza era stato sopraffatto dalla rabbia. Solo grazie all’intervento di Gojo, Yuji non era caduto in pezzi. 

Il sensei gli aveva promesso che l'avrebbe salvato e così era stato. Quando Itadori aveva rivisto Megumi sul campo di battaglia non era riuscito a trattenere le lacrime. Gli era corso incontro incurante di tutto il resto. Era stato allora che lui e Yuta avevano scoperto il tesoro che teneva stretto tra le braccia.

“Come sta?” gli erano bastati sei minuti per raggiungere il capezzale dell’amico. Lo aveva trovato riverso a terra stretto tra le braccia di Okkotsu che inutilmente cercava di calmarlo. Il giovane Capo Clan incrociò il suo sguardo, 

“Continua a parlare da solo, ha solo fatto il nome di Sukuna” Itadori annuì prima di afferrare lo Zenin portandoselo al petto. Al solo contatto con la sua pelle Megumi parve calmarsi. 

Yuji e Yuta tirarono quasi all’unisono un sospiro di sollievo.

“Capita anche a te di sentire ancora la voce di quel mostro?” domandò Okkotsu dopo qualche minuto. Itadori scosse il capo.

“Non so come spiegarlo ma la mia possessione è stata diversa. Anche quando ci scambiavamo il corpo io potevo vedere attraverso gli occhi di Sukuna. Fushiguro non ricorda nulla, nemmeno lo scontro con il sensei” Yuta annuì,

“La crisi di questa notte è avvenuta a causa mia” confessò abbassando il capo,

“Ma che stai dicendo?” 

“Sto raccontando a Sayuri la storia dei suoi genitori. È diventata la sua favola della buonanotte” Yuji sbattè le palpebre confuso,

“Quando dici genitori intendi..” lasciò volutamente la frase in sospeso

“Capisco perché si sia arrabbiato. Fushiguro sa essere molto protettivo” ammise passandogli una mano fra i capelli con una delicatezza che normalmente non gli apparteneva. Il moro intanto si era addormentato tra le sue braccia.

“Non ti ringrazierò mai abbastanza per essere corso qui”

“Siete degli amici, era il minimo che potessi fare” Yuta avrebbe avuto molto altro da dire a tal proposito ma preferì rimandare,

“Se vuoi puoi fermarti per la notte, darò l’ordine di farti preparare una stanza”

“Non occorre posso dormire qui con Fushiguro” Okkotsu trattenne a stento una risata prima di acconsentire.

“Yuji, in tutta sincerità, tu cosa ne pensi della mia idea?” 

“Uhm di raccontare a Sayu-chan la storia dei suoi genitori? Penso che debba conoscere la verità, insomma anche io sono rimasto scosso dopo aver appreso quelle cose sul mio passato”

“Ovviamente le risparmierò i dettagli più cruenti”

“Sei un ottimo padre Yuta, smettila di preoccuparti tanto” come sempre la schiettezza di Itadori aveva il potere di lasciarlo senza parole. C’era stato un tempo in cui Itadori Yuji era un completo estraneo. Era stato Gojo ad affidarglielo. Dopo la sua scomparsa però Okkutsu aveva trovato in quel ragazzo fin troppo ingenuo un buon amico e valido alleato. Yuji non era solo il contenitore di Sukuna ma un vero stregone degno di tale nome.

“Anche Fushiguro lo pensa. La crisi di questa notte non è stata colpa tua. Erano mesi che non subiva una ricaduta e lo stress delle ultime missioni lo ha messo a dura prova. Poi sai quanto sia affezionato a Sayu-chan, è la sua amata sorellina”

Yuta sorrise prima di richiudersi la porta alle proprie spalle. Itadori era davvero cresciuto. Non era più il ragazzino che aveva incontrato. 

“Gojo-sensei saresti fiero di lui” si trovò a pensare prima di rivolgere un ultimo sguardo alla volta celeste.

Si incamminò verso le proprie stanze sperando che la principessa che al momento le occupava stesse ancora dormendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII Notte - Compassion ***


VII notte - Compassion






 

prompt: Vergogna


“Prima di vincere il tuo nemico, vinci la tua mente”

Jjk vol.5






 

Giappone

- Periodo Heian -



 

Più Ryoma cercava di non pensarci e più le parole dello stregone leggendario continuavano a vorticargli per la mente. La verità era solo una, Michizane lo considerava ancora un bambino, incapace di comprendere il significato o il valore di certi sentimenti. Non poteva biasimarlo, lui stesso aveva definito l’amore come un inutile spreco di tempo. Se solo lo stregone avesse saputo come il suo cuore accellerava di colpo ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, così come dei brividi che percorrevano il suo corpo quando inavvertitamente lo sfiorava o spettinava i capelli. 

Durante la primavera dei suoi quindici anni, il ragazzo che un giorno sarebbe diventato Ryomen Sukuna iniziò a prendere coscienza del sentimento che lo legava al proprio maestro. Il giovane albino era caduto vittima di quella stessa emozione che per lungo tempo aveva rigettato, credendosene immune. Come ogni cosa, avvenne attraverso un processo lento e graduale.

Sin dal loro primo incontro Michizane lo aveva incuriosito, attraendolo con la stessa forza di un magnete. Ryoma si era incantato spesso ad osservare quella figura perfetta quasi senza rendersene conto. Per lui Sugawara era un modello al quale aspirare. Uno stregone potente e temuto, il più forte della loro epoca. Anche se Michizane adorava interpretare la parte del buono a nulla, complice quell’aspetto delicato che lo portava più volte ad essere frainteso. Lo stregone era conscio della propria avvenenza e amava sfruttarla a proprio vantaggio. Aveva persino sviluppato una sua particolare versione della tecnica dell’inversione per mantenere quelle fattezze giovanili. 

Michizane amava comportarsi come un ragazzino anche se Ryoma non riusciva a fargliene una colpa.

Scoprire il passato di Sugawara, così come della sorte toccata alla giovane moglie lo aveva portato a leggere quei comportamenti sotto un’altra prospettiva. Anche Ryoma aveva perso qualcuno di importante, aveva seppellito sua madre e sua nonna a breve distanza, scavando il terreno gelato con le proprie mani. Non aveva incolpato nessuno, quella era la dura realtà del loro mondo, sarebbe toccato anche a lui se quel giorno non si fosse scontrato contro quel bellissimo stregone.

“Oggi sei davvero distratto, disgraziato-kun” le parole di Michizane lo riportarono alla realtà, insieme a due occhi dalle sfumature violacee che in quel momento si trovavano fin troppo vicini al suo volto.

“Mi stavo concentrando” sbottò cercando di regolarizzare il proprio respiro, ma venendo tradito dal rossore comparso sulle sue gote,

“Non sai proprio mentire” concluse lo stregone prendendo a giocherellare con il proprio ventaglio

“Non temere è una qualità che apprezzo molto, sei solo che mi abbia mai parlato con tanta franchezza, anche se la maggior parte delle volte quello che ricevo sono solo rimproveri” aggiunse divertito.

Ryoma si limitò ad una scrollata di spalle prima di riprendere con il proprio allenamento. Si vergognò di quei pensieri, così come dei comportamenti che assumeva in presenza di Michizane. 

Lo stregone leggendario lo osservò in silenzio.

“Devi alzare più il gomito. Immagina quel movimento nella tua mente, poi eseguilo” il ragazzino annuì prima di chiudere gli occhi e fare quanto detto.

Era una nuova tecnica che avevano sviluppato partendo dalle sue capacità. Era una sorta di tiro con l’arco. Ryoma si limitava a creare delle frecce infuocate con la propria energia malefica per poi scagliarle contro il nemico. Aveva ancora molto da imparare ma Michizane sembrava fiducioso oltre che entusiasta dei suoi progressi. La tua tecnica più potente comprendeva il taglio ma se la cavava egregiamente anche nel controllo degli elementi. Era un vero talento.

Sugawara lo vide scoccare una freccia, compiendo un centro perfetto. Sorrise.

Ryoma sarebbe diventato più potente di lui e avrebbe cambiato per sempre il volto della stregoneria. 

Il tempo gli avrebbe dato ragione.

 

***

 

Presente 

Tokyo

-Residenza Clan Gojo-



 

Quando Megumi riprese i sensi si trovò stretto fra le braccia di Yuji. Non ne fu particolarmente sorpreso, Okkutsu sapeva come gestire le sue crisi meglio di chiunque altro. Doveva averlo chiamato nel cuore della notte e quell’idiota non aveva esitato a raggiungerlo. Cercò di ricordare qualche dettaglio in più ma come sempre quando le voci nella propria mente cessavano, insieme a loro se ne andavano anche le memorie di quei momenti.

Si vergognò per il proprio comportamento ma fu questione di un istante. Megumi odiava mostrarsi tanto debole e vulnerabile anche se quella sensazione venne presto sostituita dal calore del respiro di Itadori e dal suo profumo. Per quanto si fosse sforzato Fushiguro non era riuscito a trovare una spiegazione razionale che potesse spiegare il proprio comportamento. Inspirò a pieni polmoni cercando di regolarizzare i battiti del proprio cuore anche se un sorriso spontaneo nacque sulle sue labbra al pensiero di come Itadori non avesse esitato a raggiungerlo.

Osservò il suo volto addormentato.

Quel ragazzino era sempre stato uno stupido impulsivo. Megumi lo sapeva fin troppo bene, ricordava ancora come avesse ingerito un feticcio solo per salvarlo, innescando una serie di eventi che avrebbero finito con il travolgerli. Per anni il giovane stregone si era incolpato dell’accaduto venendo però smentito dal diretto interessato.

In una fredda mattina di gennaio, Yuji gli aveva confidato della promessa fatta a suo nonno poco prima che morisse e Fushiguro si era sentito, per l’ennesima volta, un completo idiota.

In quell’occasione Itadori sorrideva ma i suoi occhi mostravano tutto il contrario. Lo Zenin ricordò di come avesse solo voluto abbracciarlo ma fosse finito con il trattenersi.

Non era mai stato facile cercare di definire il loro rapporto o tracciare una linea netta di confine. Megumi e Yuji erano stati amici, compagni di classe e avevano combattuto insieme numerose battaglie. Erano persino stati posseduti dallo stesso spirito maledetto, quel Re oscuro dalla cui influenza Fushiguro non sembrava riuscire a liberarsi.

L’ultimo degli Zenin rimase immobile per una manciata di secondi cercando di regolarizzare i battiti impazziti del proprio cuore che in quel momento minacciava di scoppiargli in petto. Non era una ragazzina alle prese con la prima cotta ma uno stregone di primo livello. Itadori era stato un compagno di studi e in seguito partner di lavoro. Trovarsi tra le sue braccia però aveva il potere di mandarlo in confusione. Fu allora che Yuji aprì gli occhi e per prima cosa gli sorrise. Si sentì uno stupido.

“Va un pò meglio?” gli domandò accarezzandogli i capelli. Megumi annuì provando a scostarsi da quella posizione compromettente. Itadori però lo abbracciò con slancio distruggendo qualsiasi proposito.

“Quando ho ricevuto la chiamata di Yuta-san per poco non ho preso un colpo.” il moro non si scompose, maledicendo se stesso e la propria vulnerabilità.

“Non eri tenuto a venire” sbuffò affondando il viso contro il petto del compagno, nel vano quanto inutile tentativo di fuggire da quel confronto. Itadori si lasciò andare ad un lungo sospiro, soffiando direttamente contro la sua testa. 

“Non potevo ignorare un amico in difficoltà” 

Amico. Yuji lo vedeva in quel modo. Megumi avvertì una lieve fitta all’altezza dello stomaco ma preferì fingere che non esistesse. 

“Mi dispiace” sussurrò cercando di apparire il più distaccato possibile ma fallendo nel tentativo,

“Non ci pensare. L’unica cosa che conta è che tu ti sia ripreso” Megumi odiò quello sguardo così come il sentimento che vi vedeva riflesso. Itadori era fin troppo sincero nei gesti come nelle parole. Erano opposti come il giorno e la notte. Finalmente decise di sciogliere quell’abbraccio.

“Non vorrei dipendere così tanto da te” si lasciò sfuggire. Yuji gli regalò l’ennesimo sorriso radioso, quasi ustionante.

“Non è un disturbo, se è sufficiente tenerti tra le mie braccia per scacciare la voce di Sukuna è un sacrificio che sono disposto a compiere volentieri” come sempre quel ragazzo non sembrava rendersi conto della pericolosità delle proprie parole o dell’effetto che queste avevano su Megumi.

“Sei proprio un idiota” ammise passandosi una mano sul volto ma prima che potesse aggiungere altro Itadori riprese a parlare,

“Yuta-san sta raccontando a Sayu-chan la storia dei suoi genitori, giusto?" il moro annuì abbattuto

“So che non farebbe mai nulla che possa metterla in pericolo ma è ancora così piccola” confessò non riuscendo a celare la propria preoccupazione,

“Compirà presto sei anni” gli ricordò Itadori

“Il tempo vola” 

Megumi faticava a credere che fossero già trascorsi sei anni da quel giorno, da quando Gojo Satoru gli aveva affidato sua figlia insieme alla promessa di un futuro migliore,

“Andrà tutto bene”

Perché gli risultava così difficile crederlo?

Itadori gli afferrò una mano, riportandolo nuovamente al presente.

“A cosa stai pensando?” Fushiguro sapeva di non avere scampo. Yuji era troppo vicino. Non poteva fuggire da quella domanda così diretta, né a quello sguardo,

“Vorrei ricordare di più riguardo quei giorni, ma quando mi sforzo finisco con l’udire solo la voce di Sukuna e questo mi fa impazzire” l’altro stregone annuì,

"Perché ricordare? Io non so cosa darei per dimenticare ciò che ho visto a Shibuya”

Megumi si diede nuovamente dello stolto. Itadori aveva sofferto sicuramente più di lui, aveva visto il suo corpo agire contro la propria volontà. Aveva assistito alla morte di numerosi innocenti senza poter fare nulla per impedirlo.

“Stai ancora pensando troppo, rilassati o finirai con l’avere un’altra crisi” lo prese in giro

“Vorrei non essere tanto condizionato dal passato”

“Ryomen Sukuna era il Re delle maledizioni. Aveva un’energia immensa, penso sia normale che il tuo corpo abbia finito con l’assorbirne una parte”

“A te però non è successo”

“Uffa, vuoi davvero continuare con questi discorsi assurdi?” Megumi trattenne a stento una risata,

“Hai ragione non vorrei correre il rischio di surriscaldare troppo quei due neuroni che possiedi” Itadori rispose con una linguaccia,

“Questa era cattiva”

In quel momento la porta scorrevole della stanza si aprì e un piccolo uragano dai capelli candidi come la neve si gettò su di loro. Megumi si allontanò di scatto da Yuji anche se le loro posizioni non erano in alcun modo compromettenti.

“Fratellone” Sayuri si era gettata tra le braccia dello Zenin e per poco non erano finiti entrambi a terra.

“Scusate ma non sono riuscito a trattenerla. Non appena ha scoperto che avevate passato la notte qui ha insistito per vedervi” spiegò Yuta comparendo oltre la soglia d’ingresso,

“Spero di non aver interrotto qualcosa” mormorò notando le condizioni della stanza e di come un solo tatami fosse stato utilizzato.

Megumi arrossì mentre Itadori si limitò a rispondere,

“Assolutamente no ci siamo appena svegliati” Yuta però si accorse di una lieve stonatura nel suo tono di voce così come dell’espressione di pura vergogna e imbarazzo comparsa sul volto di Fushiguro.

Prima o poi quei due avrebbero dovuto far chiarezza sui rispettivi sentimenti ma non era affar suo, come leader del Clan Gojo aveva già fin troppe cose delle quali occuparsi. 

“Fratellone Megumi, zietto Yuji restate per la colazione?” la voce di Sayu catturò l’attenzione degli stregoni presenti, così come il suo sorriso. Era incredibile come tutti loro fossero schiavi di quella bambina fin troppo simile al loro maestro.

“Se non ti dispiace Fushiguro-kun vorrei affidarti Sayu per il resto della giornata. É stata richiesta la mia presenza per esorcizzare un paio di maledizioni fuori città” lo Zenin annuì poco prima che la bambina iniziasse con il manifestare il proprio disappunto,

“Devi già andare via? Me lo avevi promesso Yuta” Okkotsu le mise una mano fra i capelli, in una carezza gentile

“Lo sai qual è il compito di uno stregone di livello speciale”

“Okkotsu-san è il più forte, dovresti essere fiera di lui” aggiunse Itadori 

“I miei genitori erano i più forti” ribatté con decisione. Era in quegli istanti che si poteva notare tutta la somiglianza con Sukuna. Megumi non riusciva ad impedirsi di pensarlo. Fisicamente Sayuri era la copia carbone di Satoru ma per quanto riguardava il carattere troppo spesso si intravedeva la stessa arroganza e sfacciataggine possedute dal Re delle maledizioni. 

Sayu aveva appena utilizzato un tono che non ammetteva repliche, come una piccola despota capricciosa.

“I tuoi genitori erano i migliori. Non sarò mai al loro livello, la sola che potrà mai superarli sei tu, Sayu” Yuta con poche parole riusciva sempre a calmare quella piccola calamità naturale, che in pochi secondi era tornata a sorridere radiosa,

“Diventerò una strega bravissima, ancora più forte dei miei papà” annunciò con rinnovato vigore.

“Va pure Yuta, ci penserò io a proteggere il fratellone Megumi” Okkotsu e Itadori scoppiarono a ridere,

“Non sono io la principessa da proteggere” sbottò il moro fintamente offeso. Yuji gli si avvicinò appoggiando una mano contro la sua spalla,

“Ahaha non so se sono disposto a cederti a Sayu-chan, dopotutto questa notte sei stato la mia principessa” sussurrò contro il suo orecchio. 

Yuta notò quel breve scambio di battute e finì con lo scuotere il capo. 

“Vieni Sayu iniziamo ad andare, vi aspettiamo per la colazione” si limitò a mormorare prendendo la bambina per mano lasciando ai due kohai un pò di intimità.

“Uffa volevo giocare ancora con il fratellone e lo zio Itadori”

“Lo potrai fare quando avrai terminato con le lezioni. Diventare la strega più forte implica anche studio”

“Non mi serve, io sono un talento naturale” si lamentò gonfiando le guance.

Yuji e Megumi si trovarono a sorridere.

“Okkotsu-san è un ottimo genitore vero?” Fushiguro annuì,

“Gojo sensei lo sapeva, per questo gli ha affidato Sayuri”

“Io non potrei mai separarmi da mia figlia” Itadori pronunciò quelle parole quasi senza riflettere, pentendosene un istante dopo, anche Megumi aveva perso la propria famiglia ed era stato affidato a Gojo.

“Era l’unico modo per garantirle un futuro. Una vita felice” 

Megumi non ricordava molto riguardo al periodo in cui il suo corpo era stato posseduto da Sukuna. Nella confusione che albergava nella propria mente però vi era una sola certezza. Gojo Satoru aveva amato la propria figlia sin dal primo istante, la scelta di separarsene non era stata facile ma sofferta. 

“Avrebbero meritato un finale diverso” Fushiguro avrebbe tanto voluto condividere la speranza di Yuji, la sua fiducia nel prossimo, ma vi era un qualcosa che glielo impediva.

Sayuri non era solo la figlia di Gojo Satoru ma anche di Ryomen Sukuna. I suoi sentimenti verso quel mostro non sarebbero mai mutati. Era un assassino, cinico, spietato e senza cuore. Aver dato alla luce quella bambina non sarebbe bastato a redimerlo dai propri peccati. 

Megumi non poteva scordare di come avesse giocato con le vite di tutti loro, di come lo avesse privato di Tsumiki o ferito il proprio senpai. Una parte di Fushiguro si rifiutava di vederli insieme. Era un concetto che la sua mente non riusciva ad elaborare o accettare. Neppure quando Satoru gli aveva posato Sayu tra le braccia vi era riuscito. Era semplicemente troppo.

“Smettila di fare quella faccia” le parole di Itadori lo riportarono nuovamente alla realtà,

“Che faccia starei facendo?” domandò alzando lievemente un sopracciglio,

“Stai ancora pensando a Sukuna e al sensei insieme” era incredibile come Yuji riuscisse a leggerlo e vedere oltre i suoi comportamenti, era sempre rimasto affascinato da questa sua capacità

“Sayuri somiglia così tanto a entrambi” Itadori annuì con un cenno del capo,

“Davvero, è bellissima come Gojo sensei ma testarda come Sukuna. Diventerà una strega eccezionale”

“Come fai ad accettarlo?” Yuji prese un lungo respiro mentre cercava le parole che meglio avrebbero potuto descrivere il proprio stato d’animo,

“Perchè ho avuto modo di conoscere entrambi. Gojo sensei era il migliore ma penso che fosse intrappolato nel proprio ruolo. Per Sukuna era lo stesso. Entrambi avevano perso qualcuno di importante e forse è stato quel dolore ad avvicinarli. Dopo l’arrivo di Sayu-chan sono arrivato a pensare di come in fondo fossero simili”

“Qualcuno di importante?” Megumi stentava a crederlo. Sapeva di Gojo e del suo rapporto con Suguru Geto ma era la prima volta che udiva quella storia sul Re delle maledizioni. Itadori accennò ad un sorriso comprensivo,

“Un tempo anche Sukuna era un essere umano, ha sofferto e amato come tutti noi”

Quella verità colpì Fushiguro come una doccia fredda.


***


Giappone

- Periodo Heian -


Michizane si immerse nell’acqua bollente beandosi di quella sensazione di calore contro la propria pelle. Avevano raggiunto una piccola stazione termale e con grande disappunto del proprio compagno di viaggio, lo stregone leggendario aveva deciso di soggiornarvi per qualche giorno. In fondo anche riposare il corpo e la mente faceva parte dell’allenamento di uno stregone. Ryoma aveva borbottato contrariato iniziando ad assumere un atteggiamento scontroso che malgrado tutto Sugawara non poteva fare a meno di trovare adorabile.

Nel periodo trascorso insieme quel piccolo disgraziato era cresciuto sia in altezza che prestanza. Ryoma aveva quasi sedici anni, era nel pieno del proprio sviluppo fisico e spirituale. Stava sbocciando, diventando sempre più abile nell'uso dell’energia malefica anche se non era ancora riuscito a completare il proprio Dominio, aveva comunque raggiunto risultati eccezionali in poco tempo. A Michizane sarebbe piaciuto prendersene tutto il merito ma in realtà era quel ragazzino ad essere un vero prodigio.

Un’ipotesi tornò prepotentemente a farsi strada nella mente dello stregone. Ryoma aveva più volte accennato a suo padre come al fatto di non conoscere nulla su di lui. Poteva trattarsi di un membro di una delle tre grandi famiglie così come di un comune plebeo. La quantità di energia malefica posseduta da quel ragazzino poteva facilmente rivaleggiare con quella dello stesso Michizane ed era stato questo a porre il primo campanello d’allarme nella mente dello stregone leggendario.

Ryoma apparteneva al Clan Gojo o forse era uno Zenin? Avrebbe escluso i Kamo ma solo perchè conosceva abbastanza bene la loro tecnica di manipolazione del sangue. Si abbandonò ad un lungo sospiro prima di immergersi completamente in quel calore. Fu allora che Ryoma si gettò nella fonte con un tuffo che lo colse di sorpresa.

“Sei davvero un ragazzino” sbuffò levandosi dagli occhi alcune ciocche di capelli. Il giovane albino seguì ogni suo movimento come incantato.

Non vi era alcuna traccia di rimprovero nella voce dello stregone, come sempre Sugawara si era limitato ad esporre un fatto. Ryoma tornò a sfidarlo con lo sguardo, cercando di riprendersi dalla visione eterea che aveva davanti agli occhi. 

“Siete stato voi a insistere per riposare, ed è quello che sto facendo” si sentì in dovere di obbiettare ostentando una sicurezza che in quel momento non era certo di possedere,

“Buttandoti in acqua come un pazzo?” il più giovane gonfiò le guance

“É la mia prima volta alle terme” ammise con un velo di imbarazzo. Lo sguardo di Michizane si addolcì. A volte si dimenticava delle loro differenti estrazioni sociali, ciò che per lui poteva essere etichettato come banale o un semplice passatempo per Ryoma rappresentava una novità. 

Era bello riscoprire quel mondo insieme. O forse lo era osservandolo attraverso le reazioni del proprio apprendista. 

“Se ti piacciono potremo sempre tornarci” gli promise. Ryoma finse di pensarci. Non gli dispiaceva l’idea di immergersi nell’acqua bollente, era davvero un sollievo per i propri muscoli indolenziti. L’unica cosa alla quale riusciva a pensare in quel momento però era lo stregone mezzo nudo a pochi metri da lui.

Sugawara Michizane completamente fradicio e immerso fino alla vita era un’immagine che difficilmente avrebbe scacciato dalla propria mente.

“Sicuro di star bene?” lo stregone gli si era avvicinato e aveva posato una mano sulla sua fronte. Il ragazzo rabbrividì per quel contatto.

“Forse dovresti uscire dall’acqua, non vorrei mai che ti venisse un colpo di calore. La pressione può giocare dei brutti scherzi” Ryoma avrebbe tanto voluto dissentire ma ogni protesta gli morì in gola. Fece quanto detto, sperando che Michizane non avesse notato gli effetti che la propria vicinanza aveva provocato.

Raggiunse la propria stanza abbandonandosi sul tatami, rimanendo a fissare per diversi secondi l’erezione comparsa tra le sue gambe. Non si era mai vergognato tanto. Ryoma aveva cercato di fare il possibile per soffocare quel sentimento ma non era servito. Si arrese di fronte all’evidenza. Si era innamorato di Michizane Sugawara. Lui che per lungo tempo aveva pensato di essere immune ad ogni emozione.

Avvicinò una mano al kimono, cercando di rimediare a quella situazione prima che lo stregone leggendario potesse accorgersene. Venne nel giro di pochi minuti. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che pensare al proprio maestro, ai suoi capelli bagnati e a quello sguardo dalle sfumature violacee, ma anche ai muscoli di quel petto allenato o al suono della sua voce. 

Giurò a se stesso che non sarebbe ricapitato.

Ryoma aveva solo sedici anni e Michizane non era altro che il suo primo amore. Se ne sarebbe presto dimenticato.

Dal canto suo, lo stregone aveva iniziato ad intuire quali sentimenti turbassero l’animo del proprio apprendista. Per tutta la vita aveva assistito a schiere di uomini e donne pronti a cedere di fronte al suo fascino. Ryoma però era diverso, come lo era l’affetto che provava nei suoi confronti. Non voleva illuderlo né riempirlo di promesse o false speranze. 

In fondo si trattava solo di una cotta passeggera, con il tempo sarebbe svanita.

Era un uomo adulto e come tale si sarebbe comportato. Afferrò un asciugamano e si incamminò verso le proprie stanze. Si fermò per qualche minuto davanti alla porta di Ryoma. Riuscì ad udire perfettamente il suono dei suoi sospiri così come il suo nome, scandito al ritmo di una poesia, lasciare le sue labbra. 

Si rivestì in fretta e furia per poi recarsi nella prima sala di piacere nelle vicinanze. 

Preferì non indugiare troppo sui motivi del proprio comportamento. 

Michizane Sugawara era diventato fin troppo abile nel mentire a se stesso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII Notte - Competition ***


VIII notte - Competition






 

prompt: Medaglia


“Qual è il gioco più pericoloso?”

Jjk vol.18






 

Presente


Giappone

- residenza del Clan Gojo-



 

“Ryomen Sukuna passò alla storia come un individuo cinico e spietato, privo di sentimenti. Durante i suoi ultimi anni si vocifera avesse assunto un aspetto mostruoso. Possedeva quattro occhi così come altrettante braccia. Alla sua morte non vi era nulla che potesse ricordare l’essere umano che era stato”

Megumi lesse quelle frasi con calma, scandendo con cura ogni parola, sentendo lo sguardo penetrante di Yuji su di sè per tutto il tempo.

“Se hai qualcosa da dire fallo subito ma smettila di fissarmi” lo ammonì, richiudendo il tomo che aveva rubato dalla libreria dei Gojo e che teneva tra le mani.

“Spero di non risultare troppo arrogante” iniziò il giovane stregone. Fushiguro alzò gli occhi al cielo invitandolo a continuare.

“Ho incontrato Sukuna, esattamente come hai fatto tu” Gli angoli della bocca del moro si contrassero mostrando un’espressione di puro disgusto al solo ricordo,

“Durante quei mesi credo di essere riuscito a scorgere una parte del suo vero io. Non voglio giustificare i suoi comportamenti. Uccidere degli innocenti a sangue freddo o per puro diletto è un atto che non cesserò mai di condannare. Eppure non riesco ad evitare di pensare ad una cosa: Sukuna non è sempre stato un mostro, sono stati certi avvenimenti a spingerlo verso quella direzione”

“Ha scelto comunque un sentiero fatto d’oscurità”

“Puoi biasimarlo? É stato tradito dalla persona che più amava al mondo”

“Vallo a dire a mia sorella o a tutti gli innocenti che ha ucciso” il ricordo di Tsumiki era ancora fin troppo vivido nella sua mente. Megumi aveva assistito alla sua morte, aveva visto il proprio corpo darle il colpo di grazia. Era stato uno dei suoi ultimi momenti di lucidità prima di sprofondare nell’abisso.

Di fronte a quelle parole Itadori non seppe come replicare.

Fushiguro aveva ragione. Quello che Yuji non sapeva però era di come anche lui avesse scorto il vero volto del Re delle maledizioni. Quando la sua coscienza si era svegliata dall’oblio in cui era stata confinata lo aveva incontrato. In quell’occasione Sukuna si era presentato come un uomo dai capelli chiarissimi che accanto a Satoru Gojo cullava una piccola Sayuri come fosse la cosa più preziosa al mondo.

Un’immagine che stonava troppo con quella descritta in quel volume.

“A tutti noi è capitato di perdere qualcuno di caro ma non ci siamo trasformati in maledizioni” ribatté cercando lo sguardo del compagno. Itadori all’inizio non rispose, accettando la sconfitta.

“Dopo Shibuya credevo che sarei impazzito” confessò di punto in bianco, passandosi una mano sul volto, tracciando delicatamente i contorni della cicatrice che si era procurato in quella fatidica notte,

“Non sapevo ancora se meritassi di vivere o meno, in fondo avevo ucciso così tante persone.” Megumi annuì, ricordando vagamente il caos di quei giorni e il senso di sconfitta che ne era seguito. Senza Satoru Gojo tutti loro si erano sentiti persi e per la prima volta vulnerabili. Gli era bastato ricongiungersi con Itadori per tornare a credere di essere forte, invincibile.

Aveva trovato il ragazzo insieme a Yuta e per un istante aveva pensato potesse essere la peggiore tra le accoppiate possibili.

“Sei apparso davanti ai miei occhi e mi hai chiesto di salvarti” proseguì il ragazzo dai capelli rosati. Megumi abbassò il capo imbarazzato dall’ennesimo ricordo,

“Ti ho solo chiesto di prestarmi la tua forza” si limitò ad aggiungere. Yuji scoppiò a ridere,

“In quel momento avrei fatto qualsiasi cosa per liberare il maestro Gojo” ammise,

“E io per salvare Tsumiki”

“I sentimenti possono rivelarsi davvero pericolosi, forse è proprio per questo che Sukuna ha cercato di sopprimere i propri” proseguì Itadori

“Perchè non riesci a vederlo per il mostro che era?” Fushiguro non riusciva davvero a comprenderlo,

“Perchè io sono come lui. Devo credere in qualche modo nella sua umanità o potrei iniziare a dubitare della mia”

“Che sciocchezze”

“L’hai definito mostro ma in fondo cosa ha fatto? È perché ha ucciso indiscriminatamente? Ha usato anche i nostri corpi per farlo” siamo colpevoli tanto quanto lui

“Itadori”

“Anche le nostre mani sono macchiate dal sangue di persone innocenti. Junpei…” era da diverso tempo che Megumi non udiva quel nome. Era un amico di Itadori che Mahito aveva manipolato e usato contro di lui. Afferrò istintivamente il compagno, tirandolo verso di sé in un abbraccio goffo e impacciato. Non era abituato a prendere l’iniziativa.

“Siamo degli stregoni” sussurrò ad una spanna dal suo orecchio,

“Lo so non siamo eroi ma stregoni, così come Sukuna non era solo una calamità. Pensa a Sayu-chan o al fatto che fra tutti, Gojo sensei abbia scelto proprio lui”

Fushiguro si arrese, non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea ad Itadori. Non quando i suoi occhi brillavano con una tale convinzione.

“Satoru Gojo è sempre stato imprevedibile” ammise a denti stretti. 

Il ricordo di quel sorriso che il proprio sensei aveva rivolto a Sukuna gli tornò alla mente. In effetti non aveva mai visto Gojo tanto felice. Quell’immagine stonava completamente con quella dell’uomo che lo aveva cresciuto. 

“Questo libro però non racconta di cosa successe a Sukuna” cambiare argomento gli era sembrata la soluzione migliore. Yuji stretto nel suo abbraccio annuì, prima di liberarsi dalla presa e sfilargli il pesante tomo dalle mani.

“Manco io conosco tutta la storia, dispongo solo di qualche frammento che ho scorto nella sua mente”

“Puoi raccontarmelo?” Itadori sorrise,

“Sicuro? Potresti avere un’altra crisi” lo prese in giro,

“Abbiamo ancora un paio d’ore prima che Sayu torni da scuola” e tu sei al mio fianco

Yuji annuì.

“Ok, vediamo da dove posso cominciare? Cosa sai di Sugawara Michizane?”

 

***

 

Giappone

- Periodo Heian -


Insieme alla consapevolezza dell’amore per Michizane, in quell’autunno arrivò nella vita del giovane Ryoma un altro sentimento fino ad allora sconosciuto, la gelosia.

Lo fece sotto le sembianze di un giovane poco più grande di lui ma molto più atletico e dotato nelle arti occulte.

Uraume Ichigo aveva vent’anni e una promettente carriera alle spalle. Aveva affinato per anni la propria tecnica ed era diventato uno stregone di secondo livello senza troppi problemi. Il giovane Ichigo aveva un sogno che lo aveva spinto a lasciare il proprio villaggio insieme al fratello minore.

“La prego Sugawara-dono mi prenda come suo apprendista” 

Ryoma non poteva credere alle proprie orecchie. Quel nuovo stregone dai folti capelli corvini si era appena trasformato da presenza molesta a nemico. Lo fissò con astio. Non aveva intenzione di dividere le attenzioni di Michizane con nessuno.

“Non ci penso nemmeno” bastò la risposta dello stregone leggendario per fare calare il gelo e calmare il suo spirito già sul piede di guerra.

“Non ho tempo per occuparmi di un altro moccioso, per quanto dotato tu possa essere Uraume-kun due apprendisti sono decisamente troppi” proseguì iniziando a muovere il proprio ventaglio con il solito fare teatrale.

Ryoma non sapeva se esserne felice o meno. Non voleva fantasticare troppo su quelle parole, conosceva bene il proprio maestro, la verità era che accettando un nuovo allievo non avrebbe più potuto frequentare le amate sale da tè o rilassarsi alle terme. Scacciò velocemente quel ricordo dalla propria mente anche se non gli impedì di arrossire.

“Allora perché non scegliete me al posto di questo ragazzino?” il tono deciso di Ichigo lo sorprese così come la sua sfrontatezza,

“Ehi senti un pò chi ti credi di essere?” sbottò e per la prima volta si guardarono negli occhi. 

Uraume era più alto di Ryoma e decisamente più atletico. Sembrava così adulto mentre lui possedeva ancora il corpo e soprattutto lo spirito di un ragazzino. Questo portò il più giovane a chiedersi se anche Michizane lo vedesse in quel modo, in fondo aveva la stessa età del minore dei suoi figli. Era un pensiero fisso che accompagnava Ryoma sin dal giorno del funerale, o forse ancora prima, quando il suo destino si era intrecciato con quello dello stregone più forte di quell’epoca. 

“Sono Uraume Ichigo, ricordatevi di questo nome perché un giorno diventerò un grande stregone” affermò con orgoglio gonfiando il petto. Fu allora che il futuro Re delle maledizioni notò una figura muoversi alle sue spalle. 

“Cosa stai nascondendo?” Ichigo gli sorrise,

“Solo il mio fratellino, anche se non sembra è bravissimo a cucinare, per questo ho deciso di trascinarlo nei miei viaggi” spiegò facendo un paio di passi in avanti.

Il piccolo Uraume finalmente si mostrò alla vista. Il primo particolare che colpì Ryoma furono i suoi capelli candidi come la neve. Erano simili ai suoi. Fu l’unica cosa a cui il giovane disgraziato riuscì a pensare. 

“Fratello? Quanti anni hai piccolo?” Michizane si intromise nella conversazione correndo verso il giovane Uraume, ignorando volutamente Ryoma e Ichigo ancora impegnati a lanciarsi occhiate di fuoco.

“É uno stregone?” Domandò il primo, cercando di nascondere la propria sorpresa,

“Possiede le mie stesse abilità ma si rifiuta di utilizzarle, non so se per timidezza o altro. Mio fratello non è mai stato un tipo molto socievole”

Ryoma annuì, forse anche il giovane Uraume era stato bullizzato in passato per colpa del proprio aspetto. Avrebbe tanto voluto parlarci ma l’orgoglio glielo impediva. Si limitò ad osservarlo da lontano mentre seguiva ogni passo del fratello, come un mite servitore in attesa di ricevere degli ordini. 

Un paio di volte i loro sguardi finirono con l’incontrarsi.

Ryoma si sentì quasi a disagio di fronte alla serietà di quelle iridi. Era come se Uraume lo stesse silenziosamente rimproverando per qualcosa, Ryoma però era ancora troppo giovane per comprendere il significato celato dietro quell’espressione. Per lui esisteva solo Michizane insieme alla moltitudine di emozioni generate dalla sua sola presenza.

 

***

 

“Voglio proporvi una sfida” Sugawara se ne era uscito con quella proposta, dopo aver assistito all’ennesimo diverbio scoppiato tra Ryoma e Ichigo. Era da diversi giorni che i fratelli Uraume avevano preso a seguirli, movimentando la quotidianità delle loro giornate.

Ichigo non perdeva occasione per vantarsi delle proprie abilità con Michizane insistendo per diventare suo apprendista. Se all’inizio Ryoma lo aveva trovato divertente ora quello spettacolo si stava trasformando in un teatrino davvero irritante. Non sopportava che quel ragazzo ottenesse tutta l’attenzione di Sugawara ma nemmeno le occhiate adoranti che era solito rivolgere allo stregone dagli occhi viola. 

“Mi è stato richiesto di esorcizzare diverse maledizioni di secondo livello che stanno infestando un villaggio abbandonato. Si trova a cinque giorni di cammino e non ho molta voglia di andarci. Così ho pensato che potreste occuparvene voi” la sfacciataggine di Michizane delle volte aveva dell’incredibile. 

“Sarà un ottimo allenamento, chi esorcizzerà il maggior numero di maledizioni e per primo farà ritorno diventerà il mio apprendista” concluse sfoggiando il proprio sorriso migliore.

“É la cosa più assurda…”

“Accetto” 

Ryoma fissò Ichigo senza parole. Quel ragazzo era ancora più stupido di quello che credeva. 

Michizane si stava solo approfittando di loro per evitare di svolgere il proprio dovere. Non poteva biasimarlo, aveva finto la propria morte per ottenere quella libertà che in vita non gli era mai stata concessa ma la nomea di stregone più forte non avrebbe mai cessato di perseguitarlo o gravare sulle sue spalle. Vi erano maledizioni che potevano essere esorcizzate solo grazie al suo intervento. 

Michizane Sugawara non avrebbe mai potuto ignorare una richiesta d’aiuto. Avrebbe fatto il possibile per evitare perdite di vite innocenti, per questo aveva continuato a svolgere segretamente il proprio lavoro. Era stato così che Ichigo lo aveva rintracciato ed erano finiti in quell’assurda situazione.

“Perchè mi sembravi tanto contrario alla sfida?” 

Alla fine Ryoma aveva ceduto e si stava incamminando verso il villaggio maledetto insieme al proprio rivale. Sarebbe stato un lungo viaggio, durante il quale avrebbe lottato contro i propri nervi per tollerare la molesta presenza di Ichigo, così come le sue domande.

“Semplicemente perchè conosco il mio maestro”

“Michizane Sugawara è davvero incredibile” l’albino alzò gli occhi al cielo, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo.

“Parli in questo modo perchè non lo conosci”

“Tu invece sì? Dimmi, da quanto sei al suo fianco?”

“Un paio d’anni”

“Quindi da quando ha finto la propria morte?”

“Più o meno” rimasero in silenzio per pochi minuti poi Ichigo riprese a sferrare il proprio attacco,

“Certo che è curioso” iniziò con fare sibillino e volutamente provocatorio,

“Cosa?”

“Perchè uno stregone potente e rinomato come Michizane Sugawara ha scelto di inscenare la propria morte?” Ryoma stava seriamente rischiando di perdere la pazienza,

“Non credo siano affari che ti riguardino”

Tu lo sai. Tu conosci il motivo” aveva solo una gran voglia di prenderlo a pugni ma sapeva di non poterlo fare. L’aveva promesso a Sugawara, il giorno stesso in cui aveva accettato di diventare suo apprendista. Ryoma non avrebbe fatto ricorso alla violenza, non era più una calamità naturale bensì uno stregone.

“Anche se fosse non te lo direi mai, quindi ti prego di smetterla”

“Sai perché sono diventato uno stregone?” Ryoma sbuffò esasperato, non gli interessava. Desiderava solo che quella missione terminasse al più presto, in modo da poter tornare al proprio addestramento. Stava cercando di reprimere i sentimenti che provava per Sugawara ma la presenza di Ichigo aveva sortito l’effetto opposto, finendo solo con lo scatenare la propria gelosia.

“Perché?” lo assecondò sperando che la smettesse,

“Per mio fratello. Nel nostro villaggio non vi era nessuno simile a lui. Giravano molte voci sul fatto che qualcuno potesse averlo maledetto”

Ryoma rimase in silenzio. Era accaduto lo stesso a lui. Era un disgraziato, un bambino non voluto che aveva rovinato la vita di sua madre. Ripensò a Michizane così come alle sue parole, lo stregone leggendario era stato il primo a trattarlo come un essere umano e per questo si era guadagnato il suo rispetto. Quel sentimento di gratitudine si era poi evoluto, trasformandosi in qualcosa che il giovane albino preferiva non definire. Doveva concentrarsi sulla sfida con Ichigo e vincere quella competizione. Ne andava del suo orgoglio.

Avrebbe dimostrato a Sugawara di essere il solo degno di rimanere al suo fianco. Ichigo proseguì con il proprio racconto, totalmente ignaro di quei pensieri che agitavano l’animo del futuro Re delle maledizioni.

“Ho pensato che se fossi diventato abbastanza potente e rispettato nessuno lo avrebbe più importunato” finalmente Ryoma stava iniziando a comprendere il motivo dietro a tali comportamenti, e del perché avesse scelto proprio Michizane.

“Penso che tuo fratello sia fortunato ad averti ma che non debba dipendere così tanto da te. Dovresti lasciarlo respirare, non è debole come sembra” gli era bastata un’occhiata per capirlo.

A prima vista il giovane Uraume poteva sembrare un coniglio spaventato ma sotto quello sguardo dalle sfumature rosate vi erano le zanne di una tigre pronta a colpire. Rimanere all’ombra del maggiore era sicuramente stata una sua scelta, che Ryoma non comprendeva.

“Siamo simili” di fronte a quell’affermazione Ichigo storse il naso, 

“Inizialmente anche io ne sono rimasto sorpreso. Non si vedono in giro molti ragazzini con capelli del vostro colore” Ryoma gli sorrise,

“Sono semplicemente un disgraziato aiutato da Sugawara"

“Sicuro di essere solo questo?”

“Che vorresti dire?” Ichigo aveva avuto modo di osservarli in quei giorni. Aveva studiato la figura di Sugawara e notato come il suo sguardo coglieva e seguiva ogni movimento compiuto da Ryoma. 

Nonostante questo non si sarebbe mai arreso, avrebbe dimostrato allo stregone leggendario la serietà dei propri intenti,

“Sugawara-dono si preoccupa per te” si limitò a rispondere, colpito dall’intensità di quelle iridi scarlatte posate su di lui,

“Ci sta usando come pretesto per riposare. Nonostante l’età spesso si comporta come un moccioso viziato” il maggiore trattenne a stento una risata,

“Per questo non volevi accettare?”

“Non volevo accettare perché questa sfida è stupida. Sei sicuramente uno stregone migliore di me Ichigo, posso affermarlo con certezza anche senza aver visto la tua tecnica”

“Tu però possiedi molta più energia malefica di me” gli fece notare, Ryoma sbuffò annoiato,

“Non riesco davvero a comprendere il perché di questa competizione. È un inutile spreco di tempo”

“Il premio è Sugawara-dono, chi tra noi vincerà questa sfida diventerà il suo unico e solo apprendista”

“Michizane non è un trofeo o una medaglia da poter sfoggiare” replicò con rabbia

“É stata una sua idea”

Ryoma non riuscì ad obbiettare. Ichigo aveva ragione. Era stato Sugawara stesso a proporre quella sfida e a mettersi come premio in palio.

“Che vinca il migliore” furono le successive parole dello stregone prima di far calare il velo e gettarsi nella fitta boscaglia. 

Ryoma si arrese di fronte all’evidenza, avrebbe combattuto ma solo per consolidare la propria posizione. Se Michizane era diventato un premio lui lo avrebbe vinto.

 

***

 

“Dovresti riposare” il giovane Uraume stava osservando il cielo, completamente assorto nei propri pensieri quando lo stregone leggendario gli si avvicinò, posando delicatamente una mano sulla sua spalla. Fu un contatto gentile, un tipo di calore al quale il giovane albino non era abituato. Nessuno oltre a suo fratello gli si era mai avvicinato tanto o preso certe libertà nei suoi confronti.

Sugawara Michizane però era diverso, così come lo era il suo apprendista. Quel Ryoma che non si era fatto alcun problema a competere con suo fratello. 

Lo stregone leggendario aveva deciso di vegliare su quella sfida, muovendosi con un giorno di distanza per non destare troppi sospetti. Si trovavano a qualche miglio dal villaggio maledetto, lo avrebbero raggiunto in una giornata di cammino o poco più.

“Ho un brutto presentimento” mormorò il ragazzo abbassando lo sguardo.

Sugawara si fece improvvisamente più attento, anche lui aveva avuto una strana visione al riguardo ma come sempre non ne conservava il ricordo. Fu l’espressione cupa di Uraume a impensierirlo.

“Riguardo a tuo fratello?” indagò. L’albino annuì,

“Sento che Ichigo e Ryoma sono in pericolo, deve aiutarli Sugawara-dono” proseguì spaventato,

“Respira” provò a tranquillizzarlo. Si era accorto da tempo delle capacità possedute dal giovane Uraume ma non si sarebbe mai aspettato che quei poteri abbracciassero anche la preveggenza. Quel ragazzino si stava rivelando più potente del previsto.

“Io e Ichigo siamo sempre stati molto uniti. Condivido una sorta di legame speciale con mio fratello” quella spiegazione non bastava a giustificare una tale capacità così come la sua attendibilità.

“Magari è solo una sensazione, frutto della tua immaginazione” Uraume si scostó dallo stregone, improvvisamente irritato. 

“Io non sbaglio mai. Non quando si tratta di Ichigo, dobbiamo andare da lui è in pericolo come anche Ryoma-kun” di fronte alla decisione che lesse in quello sguardo Michizane si arrese. Il più piccolo dei fratelli Uraume sembrava un fiore delicato ma sotto quei petali possedeva spine affilate pronte a ferire.

Sarebbe potuto diventare un grande stregone, ne aveva tutte le qualità. Era stato Ryoma il primo a formulare quel pensiero, decidendo di condividerlo con lui. Quel giovane disgraziato era l’allievo più talentuoso che Michizane avesse mai avuto. Preferì evitare ogni altro pensiero, sarebbe stato come inoltrarsi su di un sentiero impervio e pericoloso. 

“Va bene, raduna le tue cose, partiremo al sorgere del sole”

Sicuramente tutta quell’apprensione era ingiustificata. Non aveva motivo di temere per l’incolumità di Ryoma. Sarebbe diventato uno stregone eccezionale, il solo il grado di poter competere con lui. 

Cullato da questi pensieri finì con l’addormentarsi. 

 

***

 

“Allora hai pensato a quale nome darle?” 

A parlare era stato un giovane dagli occhi color del cielo, Michizane non lo conosceva, anche se lo aveva incontrato in più di un’occasione in quella dimensione onirica. Lo stregone leggendario avvertiva una sensazione familiare in sua presenza, forse data dal legame di sangue che condividevano. Sugawara non ne aveva la certezza ma qualcosa gli suggeriva potesse trattarsi suo discendente, possessore sia del sesto occhio che della tecnica del minimo infinito.

Un Ryoma adulto sorrise in direzione di entrambi. Lo stregone leggendario si perse per qualche istante ad osservare i dettagli di quel viso così maturo, simile ma allo stesso tempo differente da quello del ragazzino che ricordava. Il Re delle maledizioni si portò una mano all’altezza del ventre in un movimento che Sugawara inizialmente non comprese,

“Perchè sei così sicuro che si tratti di una bambina, Satoru?” vi era una leggera nota d’accusa in quella domanda anche se l’espressione comparsa sul volto Ryoma rivelava l’opposto. Michizane non lo aveva mai visto tanto radioso.

“Forse perchè ho sempre desiderato avere una figlia, ho già cresciuto Megumi mi piacerebbe essere circondato da un pò di rosa” 

“Sai che non potremo mai crescerla” concluse con tono grave, la mano ancora appoggiata sul proprio grembo. 

“Perchè devi sempre rovinare ogni mia fantasia Ryo?” si lamentò il possessore del sesto occhio facendo un paio di passi verso di lui.

“Non amo illudermi. A cosa serve pensare ad un futuro che tanto non vedremo mai realizzato? Non è solo uno spreco di tempo?”

“Pensavi che anche l’amore lo fosse” gli fece notare il compagno prima di abbracciarlo. Ryoma scosse il capo, godendosi però tutte quelle attenzioni.

“Ti correggo pensavo fosse spazzatura”

“Vuoi forse litigare?” si guardarono negli occhi, per poi scoppiare a ridere

“Perchè invece non impieghiamo questo tempo in qualcosa di utile, come la scelta di un nome per la nostra bambina?” proseguì lo stregone poggiando una mano sopra alla sua. 

Michizane invidiò quella felicità, così come lo sguardo innamorato che Ryoma rivolse al proprio discendente.

“E se fosse un lui?” Satoru non sembrava disposto ad ascoltare o anche solo a prendere in considerazione una simile ipotesi. Sugawara rivide se stesso in molti suoi atteggiamenti o espressioni, persino nel modo in cui piegò le labbra.

“Sarà bellissima avrà i tuoi capelli e i miei occhi, anzi ho appena deciso che somiglierà tutta a te” suo malgrado Sukuna si trovò a sorridere così come Michizane,

“Non penso che tu abbia molta voce in capitolo” gli fece notare

“Beh sono pur sempre suo padre, avrà metà dei miei geni”

“E come minimo sarà la tua fotocopia” mormorò affranto il Re delle maledizioni, assecondando quella fantasia.

Il mondo era troppo piccolo per poter contenere due Gojo ma non vi era pericolo, una volta nata la loro creatura sarebbe tornata sulla Terra. Avrebbe vissuto un’esistenza serena, una vita alla quale loro avevano rinunciato, scegliendo di sacrificarsi in nome di un bene più grande. A quel pensiero lo sguardo di Sukuna si fece improvvisamente più cupo. Satoru se ne accorse, in quei mesi aveva imparato a conoscerlo come le proprie tasche.

“Ora a cosa stai pensando?” domandò prima di stringerlo a sé, appoggiando il capo contro la sua spalla

“A quel futuro impossibile che hai immaginato” confessó il demone immaginario.

“Scusa non volevo. Dedichiamoci alla ricerca di nome per la nostra piccola principessa, dovrà essere bellissimo e particolare” 

“Mi piacerebbe che fosse quello di un fiore” le successive parole di Sukuna colpirono sia Michizane che Satoru, 

“Mia madre possedeva un nome simile” specificò con un filo di voce, “anche se non riesco davvero a rammentare quale fosse”

“Allora lo avrà anche nostra figlia” decretò lo stregone più forte baciandogli la fronte.

Sugawara fece per avvicinarsi ma quell’immagine si dissolse davanti ai suoi occhi. 

Scorgere quel futuro però non gli sarebbe servito. Nessuno aveva il potere di cambiare il corso del destino, nemmeno allo stregone più forte era concesso di possedere una tale capacità. 

Michizane lo aveva sempre saputo, quella era la propria maledizione. 

Si era interrogato spesso sul possedere un tale potere. A cosa serviva se non poteva usarlo per aiutare il prossimo o coloro che amava. Non era riuscito a salvare Nobu e ora Ryoma, condannato a vivere un destino di infelicità.

Al proprio risveglio Michizane avvertì solo un lieve senso di tristezza e malinconia. Non ricordava nulla di quella visione anche se qualcosa gli suggeriva potesse trattarsi del proprio apprendista. Da quando aveva dato il via a quella sfida si sentiva inquieto e le parole di Uraume, così come il suo tono spaventato, avevano fatto il resto. Sperò con tutto il cuore di sbagliarsi e che i due ragazzi fossero al sicuro.

 

***

 

Quando giunsero al villaggio la prima cosa che notarono furono i numerosi cadaveri sparsi tra le vie. Michizane si sforzò di cercare tracce dell’energia malefica di Ryoma ma non riuscì a trovarne. Stava iniziando a temere il peggio quando una freccia infuocata entrò nel suo campo visivo,

Squarcio” sentì gridare. 

Tirò inconsciamente un sospiro di sollievo. Quel piccolo disgraziato stava bene. Lo trovò intento a combattere contro una maledizione di primo livello. Era stato un incosciente ad affidare quell’incarico a due ragazzini, avrebbe dovuto occuparsene sin dall’inizio. Bastò un suo sguardo per esorcizzare la maledizione che esplose davanti a loro.

“Siete in ritardo” lo ammonì Ryoma pulendosi di dai resti del mostro,

“Sei stato bravo” mormorò lo stregone scompigliandogli i capelli. Anche ricoperto di sporcizia Ryoma gli parve bellissimo, era come una luce in mezzo a tutta quell’oscurità, abbagliante nella sua semplicità.

“Dove si trova Ichigo?” domandò dopo qualche secondo, accortosi solo in quel momento della sua assenza. L’albino alzò le spalle,

“Non ne ho idea, ci siamo separati subito dopo il nostro arrivo. Appena ho messo piede nel villaggio questo mostro mi ha attaccato, non ho fatto caso al resto ero troppo impegnato a difendermi. Penso di essere migliorato nell’uso di quella nuova tecnica…”

Furono le urla del più giovane dei fratelli Uraume a indicare la sua presenza e attirare la loro attenzione.

Trovarono Ichigo in un lago di sangue stretto tra le braccia del minore. Aveva perso entrambe le gambe e un braccio, non c’era più nulla che potessero fare. Nemmeno la più potente tecnica dell’inversione avrebbe potuto salvarlo. Non respirava più, i suoi occhi erano completamente vitrei.

Ryoma imprecò prima di tirare un pugno contro una porta, rompendola in mille pezzi. 

“Cosa stai facendo?” lo ammonì Sugawara correndo al capezzale dei due fratelli. 

“Non è stata colpa tua” proseguí intuendo quali pensieri si agitassero nell’animo del proprio apprendista.

“Come potete esserne sicuro? Se solo fossi rimasto al suo fianco…”

“Probabilmente saresti morto anche tu”

“Ichigo era più forte di me” ammise stringendo i pugni, così tanto da arrivare a farsi sbiancare le nocche.

“Non è solo una questione di forza, quanto di tecnica, dipende anche dal livello e dall’intelligenza della maledizione contro cui ci si scontra. Anche i migliori possono fallire e tu sei ancora un apprendista” quella verità lo colpì come una stilettata al petto.

“Sarebbe diventato un grande stregone” continuò il giovane voltandosi e cercando di trattenere le lacrime. Non voleva mostrarsi in quel modo, non a Michizane.

Nonostante tutto, Uraume Ichigo era stato quanto di più simile ad un amico avesse mai avuto. Si sentì uno stupido per averlo invidiato, per quella sciocca gelosia provata nei suoi confronti. 

“Ryoma” Michizane gli posò delicatamente una mano sulla spalla, riportandolo alla realtà.

“Non si meritava questa fine. Non è giusto” si lamentò coprendosi il volto con un braccio e asciugandosi le lacrime.

“Siamo stregoni, fa parte del nostro lavoro”

“Come fate ad accettarlo?” Sugawara chinò il capo,

“Non lo accetto ma ho imparato a convivere con questa verità. Io sono il più forte e in quanto tale, non posso permettermi di crollare” l’albino annuì non potendo fare altro che osservare il volto del proprio maestro. Era serio e a tratti severo, così diverso dalla solita immagine che mostrava al resto del mondo. Sugawara Michizane era un individuo complesso dalle molteplici sfaccettature e Ryoma avrebbe desiderato conoscerle tutte.

“La morte di Uraume Ichigo è stata una mia responsabilità non tua. Sono stato io a proporre quella stupida sfida” non lo aveva mai visto tanto arrabbiato.

“Non fatelo vi prego, non prendetevi tutta la colpa” lo stregone tornò a sorridergli, come sempre.

“Sei ancora così giovane disgraziato-kun” mormorò prima di congedarsi, dopo aver coperto il volto di Ichigo con un fazzoletto. Avrebbe avvisato le autorità e mandato una squadra a recuperarne il corpo. Quel ragazzo meritava una degna sepoltura così come tutte le altre vittime di quel villaggio. Era stata una sua leggerezza a provocare quella carneficina, era venuto meno ai propri doveri.

Ryoma non doveva pagare per i propri errori, già l’averlo salvato era stato un miracolo. Quel ragazzo era più dotato di quanto si sarebbe aspettato, tanto da aver tenuto a bada una maledizione di primo livello. Si abbandonò ad un sospiro stanco che sciolse tutta la tensione accumulata nelle ultime ore. 

Perdere Ryoma era un’ipotesi che preferiva non prendere in considerazione. Così come provare a definire quel sentimento maturato nei suoi confronti. 

Ancora una volta, Michizane Sugawara preferì mentire a se stesso. Accettare la realtà sarebbe stato semplicemente troppo.

 

***

 

Ryoma rimase per qualche istante in silenzio, prima di decidersi a raggiungere il giovane Uraume. Lo trovò in piedi, intento ad osservare il cielo. Gli ricordò una bambola di porcellana, piccola e perfetta. 

“Come stai?” non ottenne risposta,

“Cosa pensi di fare ora?” ancora silenzio,

“Ichigo mi ha detto che anche tu hai il potenziale per diventare uno stregone” fu allora che due occhi rosati incontrarono i propri e Ryoma si sentì invadere da un’ondata di gelo.

“Hai solo questo da dire?” sussurrò con un filo di voce,

“La morte di tuo fratello è stata colpa mia” si affrettò ad aggiungere, chinando il capo. Anche se Sugawara aveva provato a convincerlo del contrario Ryoma si sentiva responsabile per l’accaduto. Aveva partecipato a quella sciocca sfida, non si era tirato indietro di fronte a quelle provocazioni e per questo Ichigo era morto. 

“Sappiamo entrambi che non è vero” le successive parole dell’albino lo sorpresero così come il tono di voce utilizzato. Non sembrava arrabbiato con lui ma solo triste.

“Ma..”

“Parlerò con Sugawara-dono e umilmente chiederò di poterlo servire”

“Che sciocchezze stai dicendo?”

“Non provo alcun interesse per le arti occulte anche se a quanto pare possiedo una discreta dose di talento, mi limiterò a servire il vostro signore e anche voi”

“Uraume…” 

“Dubito che Sugawara-dono mi permetterà di lasciarvi. Il mio destino è legato al vostro” Ryoma iniziò a comprendere il senso delle sue parole 

“Michizane si sentirà responsabile per quanto accaduto a Ichigo” concluse tra sé chinando il capo.

“Potresti rimanere anche senza servirlo, diventare un suo apprendista” di fronte al sorriso di Ryoma, Uraume si trovò ad arrossire. Sin dal primo istante aveva provato un certo interesse nei confronti di quel ragazzo così simile a lui. Era sempre stato un buon osservatore anche se la presenza di Ryoma era talmente caotica da non poter essere ignorata. Quel ragazzo era una vera e propria forza della natura, così pieno di vita ed energia. Ne era rimasto affascinato oltre che attratto come una falena verso la luce.

“Perdonami, se fossi stato più forte avrei potuto salvare Ichigo” per qualche secondo il più giovane non seppe come reagire. Era ancora sconvolto per la perdita del fratello anche se quello era il destino più comune per uno stregone, andare incontro ad una morte violenta e prematura. Quello che Uraume non si aspettava era la reazione di Ryoma, così come le sue parole.

“Se Sugawara-dono non fosse intervenuto in tempo saresti morto” si limitò a fargli notare. 

“Esatto, da questo momento in poi mi impegnerò a non fallire ma più, diventerò il più forte, più di Michizane” 

“Abbassa la voce disgraziato-kun” lo ammonì il maestro, colpendolo con la coda del proprio ventaglio sotto lo sguardo attonito del giovane Uraume. Nessuno dei due si era accorto della sua presenza fino a quel momento.

“Stavo solo cercando…” si lamentò il futuro sovrano delle maledizioni prendendo a massaggiarsi la parte lesa.

“Non ho bisogno di servitori né di altri apprendisti ma se vorrai accompagnarci nel nostro viaggio non avrò nulla da obiettare. Dovrai anche imparare le basi della stregoneria” concluse Sugawara con un occhiolino. Uraume annuì.

“Spero che tu possa insegnare a questo disgraziato un pò di buone maniere” 

“Non siete divertente”

“Non era mia intenzione esserlo” Uraume sorrise di fronte a quel diverbio. 

Aveva perso Ichigo ma la sua vita aveva assunto una piega inaspettata. Ryoma ricambiò il suo sguardo e a quel punto capì che avrebbe seguito quel ragazzo fino alla fine dei suoi giorni. 

“Umilmente accetto”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX Notte - Hunter ***


IX Notte - Hunter






 

prompt: Caccia


“Dove le parole non bastano, esiste un linguaggio di tenebra e sangue”

Jjk vol.3






 

Giappone

-Fine periodo Heian-


L’aria era densa di fumo e ovunque intorno a loro era calato un silenzio quasi irreale. L’odore di legno bruciato riempiva le narici del Demone immaginario mentre gli ultimi cocci di quella che un tempo era stata una scrivania, ardevano ai suoi piedi. Quella figura che ormai non possedeva quasi più nulla di umano, mosse un paio di passi in avanti evocando l’ennesima freccia infuocata. Un sorriso soddisfatto ne incurvava le labbra facendolo somigliare maggiormente ad un mostro, una calamità

Era la seconda volta che espandeva il proprio Dominio e l’eccitazione aveva sostituito ogni altra emozione. Era euforico come non gli capitava da tempo, quasi come un ragazzino mentre osservava con orgoglio il risultato della propria marachella.

Un campanello risuonò in lontananza mosso dal vento. Per un attimo il volto dai tratti perfetti di Sugawara Michizane gli tornò alla mente, così come il suo sorriso. Quei lunghi capelli setosi che odoravano di incenso, occhi di una sfumatura violacea impossibile da definire a parole, un naso piccolo e perfetto. 

Imprecò.

Quella distruzione non era altro che la sua risposta. 

Era per colpa di quell'uomo che si era trasformato nel Re delle maledizioni. 

Era stato Sugawara Michizane a creare Ryomen Sukuna.

Il tempo dei giochi e dell’incertezza era terminato, presto anche la guerra che stava dilaniando il Giappone sarebbe giunta alla propria conclusione. Lo stregone leggendario non solo lo aveva tradito ma lo aveva fatto nel modo più crudele possibile. Il solo pensarci gli provocava un dolore acuto all’altezza del petto che preferì ignorare.

Nonostante fossero trascorsi molti anni non avrebbe mai potuto dimenticare le parole di quell’uomo, così come la maledizione che aveva finito col colpire entrambi.

Ryoma era morto ed era stato proprio lo stregone leggendario ad ucciderlo. Ryomen Sukuna non era altro che un prodotto di quel rancore. Aveva abbandonato la propria umanità scegliendo di diventare ciò che aveva giurato di distruggere.

Per diverso tempo si era illuso che Michizane fosse diverso, che quel sentimento tra loro fosse reale. Nulla di più sbagliato.

Il non era mai stato amore, solo un frutto dell’ennesimo inganno. 

Quella tra Sugawara e Ryoma era una favola destinata a rimanere senza lieto fine.

Recuperò Hiten rimasta a terra a pochi metri da lui, specchiandosi nella sua lama. In quel frangente possedeva davvero un aspetto mostruoso, inumano. Stentó quasi a riconoscersi.

“Mio signore, si sta facendo tardi, presto i cinque generali al servizio del Clan Fujiwara ci raggiungeranno” 

L’individuo ormai universalmente conosciuto con il soprannome di Ryomen Sukuna storse il naso contrariato alle parole del servitore. Uraume era rimasto al suo fianco, pronto a sostenerlo in quella follia. Non avrebbe mai potuto sperare in un lacchè tanto fedele. Rinfoderò la propria arma, scuotendo le vesti nel vano tentativo di pulirle almeno dalla polvere che le ricopriva. 

“Me lo aspettavo, dopo aver annientato le squadre del sole e della luna si trattava solo di una questione di tempo. Sono veramente degli stolti se pensano di potermi fermare” affermò con sicurezza scagliando un’ultima freccia per puro diletto. Uraume rimase a fissarlo per diversi minuti prima di sussurrare con una punta di rassegnazione. 

“Sugawara-dono non verrà” il sorriso che fino a quel momento aveva incorniciato il volto del Demone immaginario si infranse, contorcendosi in una smorfia.

“È solo un codardo” il servitore si astenne dal replicare. 

Aveva assistito in prima persona all’evoluzione di quel rapporto. Uraume era stato il primo ad odiare Michizane Sugawara, come a notare i sentimenti che Ryoma nutriva per lui. Per anni aveva coltivato un amore a senso unico verso l’apprendista dello stregone leggendario. Si era limitato ad osservare Ryoma da lontano prima con ammirazione, poi desiderio. Se aveva scelto di dedicarsi alle arti occulte lo aveva fatto anche per lui. Per rimanergli accanto.

Uraume non lo aveva mai incolpato per la morte di Ichigo, al contrario del risentimento maturato nei confronti di Michizane. 

Lo stregone leggendario possedeva molti doni tra i quali quello della preveggenza eppure, nonostante tutto, non era riuscito a fermare quella carneficina. Aveva proposto una sfida a due ragazzini immaturi, incurante delle conseguenze. Per questo motivo suo fratello era morto. Per un errore, una leggerezza. Pensandoci in quel momento, circondato da morte e devastazione Uraume non riuscì ad evitare di sorridere. Con il senno del poi era quasi ironico sapere di come fossero state proprio le azioni di Sugawara a portare alla nascita del demone Sukuna. 

Michizane aveva finito col perdere ogni cosa e lui non poteva che gioire.

Fu allora che si sentì afferrare per una caviglia. Lo stregone di ghiaccio abbassò il capo. Le sue iridi rosate incrociarono quelle di uno degli abitanti del villaggio appena distrutto. Doveva aver strisciato per parecchi metri fino a toccare i suoi piedi. Ne rimase sorpreso.

“Perchè?” aveva domandato quell’uomo con la voce ridotta ormai ad un sussurro ma pregna di rabbia. Uraume volse lo sguardo in direzione del Demone immaginario facendo istintivamente un passo indietro. Non voleva macchiarsi ulteriormente di sangue, anche perché sarebbe toccato a lui il compito di ripulire il tutto.

"Ciò che voi definite amore non esiste, è solo spazzatura” decretò l’ex stregone prima di sferrargli il colpo di grazia.

Uraume chinò il capo.

Sapeva che Ryomen Sukuna non avrebbe mai ricambiato i propri sentimenti. Ne era consapevole. Nonostante questo aveva deciso di accompagnarlo in quella discesa verso l’inferno. Stavano combattendo letteralmente contro il mondo, come nel più classico dei racconti, anche se nel loro caso non sarebbero rimasti altro che compagni d’armi. Sukuna aveva rinunciato ad ogni emozione e sembrava intenzionato a voler abbandonare ogni residuo della propria umanità.

“Ho fame” mentre pronunciava quelle parole la voce del demone era tornata per una frazione di secondo simile a quella di Ryoma. Uraume si limitò ad un’alzata di spalle, l’ennesima di quella lunga giornata; 

“Avete distrutto ogni cosa nel raggio di chilometri, dubito che possiate trovare qualcosa di ancora vagamente commestibile” gli fece notare incrociando le braccia al petto.

“Perchè non lui?” mormorò l’albino indicando il cadavere ai loro piedi.

“Siete serio?”

“Ho voglia di carne e tu sei un cuoco eccezionale” il servitore non riuscì ad obbiettare. Quel complimento lo aveva spiazzato. Tanto da essersi trovato ad arrossire come una ragazzina.

Stavano discutendo sul cucinare o meno un essere umano, eppure non riuscì ad impedirsi di sorridere.

“Vorrà dire che mi cimenterò in una nuova ricetta” concesse. Di fronte a quella risposta Sukuna rise di gusto sciogliendolo da ogni indugio. 


***


Presente

 

-Tokyo-

-Residenza del Clan Gojo-


Itadori fece una pausa sgranchendosi le braccia. Megumi ne osservò i movimenti in silenzio come ipnotizzato. Il ragazzino che un tempo era stato il vessillo di Sukuna era cresciuto, trasformandosi in un uomo, uno stregone. Era accaduto a ognuno di loro eppure il cambiamento di Yuji era quello che maggiormente lo aveva sorpreso o interessato. 

La scomparsa di Satoru Gojo aveva creato un improvviso quanto pericoloso vuoto di potere. Yuta Okkotsu era il suo erede designato ma nemmeno lui avrebbe potuto farcela da solo. Era un’eredità troppo pesante il cui fardello andava condiviso. Gli ex studenti dell’Istituto di Arti Occulte si erano dati dei ruoli ma lo Zenin ancora faticava ad accettare il proprio. 

“So a cosa stai pensando” esordì il ragazzo dai capelli rosati intercettando il suo sguardo.

“Sukuna si nutriva di esseri umani” mormorò il corvino con una punta di disgusto. Era la prima cosa che gli fosse venuta in mente, ripensando ad una delle ultime frasi lette nel pesante tomo che reggeva ancora tra le mani.

Non voleva che Itadori si preoccupasse più del necessario. L’imbarazzo per quanto accaduto la sera prima era ancora palpabile e in grado di farlo vacillare. 

“Le leggende tendono sempre ad esagerare” la replica di Yuji non voleva essere una scusante, solo un’osservazione. Megumi ne era consapevole

“So benissimo che in tempo di guerra gli esseri umani possono arrivare a compiere azioni efferate tuttavia…” Itadori gli posò una mano sulla spalla, 

“Aveva perso ogni cosa, la persona che più amava al mondo lo aveva tradito”

“Perchè continui a difenderlo?” Megumi non riusciva a comprenderlo, anche se non si trattava solo di quello. Detestava di come Yuji parlasse di Sukuna utilizzando quel tono intimo, familiare. Si sentì uno stupido solo per aver formulato un pensiero simile. 

Furono le successive parole dal compagno a strapparlo da ogni altra fantasia;

“Ogni notte rivivo nei miei incubi quanto accaduto a Shibuya. Mi vedo al cospetto di un tribunale che mi obbliga a confessare tutti i miei peccati. La lista è talmente lunga da far impallidire la corte. Davanti a me sfilano in una lenta processione diversi testimoni” 

“Ci sono anche io?” Megumi non aveva saputo trattenersi. Yuji gli regalò un sorriso stanco, tirato, diverso dal suo solito

“Si” ammise abbassando il capo, 

“E di cosa potrei mai accusarti?”

“Sei morto per difendermi” 

“Questo non è vero” Sukuna lo aveva riportato in vita, impedendo il suo estremo sacrificio ma non solo, aveva giocato col suo corpo, utilizzandolo per ferire persone a lui care. Tsumiki, Gojo, Itadori stesso.

“A quanto pare il mio subconscio non deve pensarla allo stesso modo. Nonostante i miei sforzi non sono mai riuscito a salvarti Fushiguro” Megumi odiò quello sguardo, la tristezza che vi traspariva. 

“Sei un idiota” ma qualsiasi altra protesta morì quando le labbra di Itadori si posarono delicatamente sulle sue. 

Si trovò a ricambiare quel bacio quasi senza accorgersene.


***


Giappone

-Fine periodo Heian-


“Le squadre del sole e della luna sono state annientate mio signore. Giungono notizie preoccupanti dal fronte, sembra che il Demone immaginario sia arrivato a nutrirsi di esseri umani” 

Inizialmente Sugawara Michizane non rispose, limitandosi a giocherellare con il proprio ventaglio. Non poteva credere alle proprie orecchie, quello era un incubo dal quale non vedeva l’ora di svegliarsi. Congedò la guardia che gli aveva recapitato quel messaggio prima di abbandonarsi ad un sospiro che racchiudeva tutta la stanchezza accumulata in quei giorni.

Come erano giunti ad una simile situazione? Conosceva bene la risposta a quella domand: era stata tutta colpa sua. La nascita stessa di Ryomen Sukuna non era altro che la somma dei propri errori.

“Mio signore?” di norma nessuno sarebbe potuto entrare nella sua tenda senza essere stato prima annunciato ma quel ragazzo rappresentava un’importante eccezione.

Sugawara Sadayoshi era un suo pronipote, discendente di Atsuhige e futuro capo Clan. Ogni volta che incrociava il suo sguardo, Michizane non poteva evitare di ripensare a quel figlio che nel proprio egoismo aveva abbandonato. Lo rivedeva bambino poi adolescente mentre si confidava con Ryoma. Erano tutte memorie di un passato che mai come in quel momento gli appariva distante, l’eco di una vita che non ricordava nemmeno di avere vissuto.

Sadayoshi non possedeva tecniche particolari, se si escludeva una grande quantità di energia malefica. Era uno stregone dotato ma non eccezionale, i cui servigi erano stati richiesti per guidare quella battaglia contro il Re delle maledizioni.

“Le voci sui crimini compiuti dal vostro apprendista si stanno diffondendo a macchia d’olio” esordì. Poteva comprendere le sue preoccupazioni, riusciva a scorgere l’incertezza su quel volto che aveva da poco abbandonato i tratti acerbi dell’adolescenza.

“Sono solo voci” Michizane voleva crederlo, doveva farlo o sentiva che sarebbe impazzito

“Dunque voi non pensate che abbiano un qualche fondamento?” 

“Ciò che pensa questo vecchio non è importante”

“Non dite così. Siete ancora lo stregone più potente del Giappone” Michizane sorrise, l’ingenuità infantile di Sadayoshi per un solo istante gli aveva ricordato quella di Ryoma. Il ragazzino scontroso che aveva deciso di iniziare alle arti occulte, quel prodigio che ora si era trasformato nel loro peggior nemico. Tornò a giocherellare con il proprio ventaglio cercando di scacciare dalla propria mente quei ricordi dolorosi. 

“Il mio potere non è che un’illusione. Non sono altro che uno Spirito, il ricordo di un’epoca ormai passata” erano lontani i fasti del periodo d’oro delle arti occulte. La guerra aveva gettato la propria ombra su tutto, diffondendo dubbi e incertezza. In quella stagione di tumulti, nuove maledizioni avevano trovato terreno fertile sul quale attecchire, anche se nessuna di esse era paragonabile al giovane disgraziato che Michizane aveva addestrato e amato.

“Siete diverso da come apparite dai racconti” il suono della voce di Sadayoshi lo strappò dall’ennesima fantasia intrisa di rimpianto.

“Quei racconti non sono altro che belle favole, narrate dai vincitori allo scopo decantare i propri successi”

“E quanto c’è di vero su di voi?” Michizane fece un paio di passi in avanti mostrandosi alla luce d'una candela. Nonostante avesse superato abbondantemente il secolo di vita le sue fattezze non erano mutate, rimanendo le stesse di tanti anni prima. Poteva spacciarsi per coetaneo del proprio discendente, in quel momento folgorato dalla visione di quella bellezza eterea.

“Sono stato io a creare il mostro che chiamate Sukuna” confessò abbassando il capo.

“Non è vero. Mi rifiuto di crederlo” quella non era certo una notizia di pubblico dominio. Era più facile accettare la storia di un demone senza cuore piuttosto che interrogarsi su quali fossero le sue origini.

“Siete ancora così giovane Sadayoshi” aggiunse con nostalgia. Quel ragazzo rappresentava lo scorrere incessante del tempo. Gli bastava osservarlo per comprendere quanto avesse perso, di come le stagioni si fossero susseguite una dopo l’altra. Michizane si era lasciato trascinare dagli eventi, come una barca in balia delle correnti. Dopo la morte di Ryoma era come se il mondo avesse perso senso o colore. Tuttavia era diverso da quanto accaduto con Nobu.

Il suo apprendista non era scomparso, si era trasformato in una maledizione. Sugawara era poi stato ingaggiato per quella spedizione, quella caccia all’uomo che ben presto aveva finito col fondersi con la guerra che percorreva l’intera nazione. L’uomo che un tempo si era valso del titolo di stregone più forte non poteva rimanere in disparte, o limitarsi ad osservare gli eventi. Doveva assumersi le proprie responsabilità, fermare quella calamità che aveva contribuito a scatenare.

“Quest’epoca presto volgerà al termine” annunciò con tono solenne “Sukuna si schiererà con la casta dei samurai e lo farà solo per indispettirci” 

“Perchè prova tanto risentimento nei vostri confronti?”

Michizane preferì non rispondere. Quella era una domanda pericolosa.

“Sono molto stanco” replicò invitandolo con un cenno ad andarsene.

Sadayoshi comprese l’antifona. Volse un ultimo sguardo verso il proprio antenato, quella figura avvolta dalla leggenda che mai come in quel momento gli era parsa tanto fragile, umana.


***

 

Quella notte il passato tornò a mescolarsi al presente e al futuro, regalando allo stregone leggendario l’ennesimo scorcio di una realtà della quale ancora faticava a comprendere il senso o importanza. 

Davanti ai suoi occhi comparve una bambina il cui sorriso non era altro che un riflesso di quello di Ryoma. Per un attimo pensò di esserselo immaginato, ma gli bastò avvicinarsi maggiormente per riceverne conferma. Per anni Sugawara aveva amato quel sorriso che quel giovane disgraziato sembrava rivolgere solo a lui. Il ricordo di come quel sentimento si fosse infranto faceva ancora male, troppo. Era una ferita aperta che non mancava di sanguinare.

Tornò ad osservare la bambina a pochi metri da lui. Dimostrava tre al massimo quattro anni. Era bellissima, non avrebbe saputo descriverla in altro modo, il suo sguardo gli ricordó un cielo d’estate, limpido e sereno. Michizane in precedenza aveva già incontrato iridi di quel colore ma ogni altro pensiero venne bruscamente interrotto,

“Sayu” sentendosi chiamare la piccola voltò il capo per poi correre in direzione di quella voce per lei familiare.

Sugawara si limitò ad osservare la scena, studiando la figura di quel giovane che possedeva il suo stesso, identico sguardo.

“Yutaaa sei tornato” 

Lo stregone leggendario rimase per diversi minuti ad osservare entrambi, beandosi di quello spettacolo intriso di una quotidianità a lui sconosciuta. Si accorse di non ricordare nemmeno gli anni trascorsi in compagnia di Nobu, i dettagli di quella stagione felice erano quasi svaniti dalla propria mente. Avevano il sentore di un sogno, dal quale troppo bruscamente si era dovuto risvegliare.

“Chi sei?” Per un attimo fu certo di esserselo immaginato. Doveva trattarsi di un miraggio, una chimera. 

“Sei forse una maledizione? No sei uno Spirito” lo stregone abbassò il capo specchiandosi in quel blu fin troppo chiaro. Il sesto occhio non gli lasciò via di scampo. 

“Puoi vedermi?” la piccola annuì divertita battendo le mani e regalandogli l’ennesimo sorriso,

“Sono la principessa del Clan Gojo” esclamò con orgoglio. Sugawara allungò una mano per accarezzarle il capo ma non riuscì a toccarla. Rimase col braccio teso a mezz’aria per diversi minuti mentre cercava di dare un senso a quella situazione. Era fin troppo vivida per trattarsi di una visione. 

“Dove sono i tuoi genitori?” Era stata la prima cosa alla quale aveva pensato. Colto da un presentimento si era sentito di escludere il ragazzo di poco prima.

Michizane sospettava che quella creatura fosse in qualche modo legata a Ryoma, ma forse la sua non era altro che l’ennesima speranza destinata ad infrangersi contro il muro della realtà.

“Sono morti”

“Mi dispiace”

“Hai perso qualcuno anche tu vero?” suo malgrado lo stregone annuì. Quella bambina si stava rivelando più sveglia del previsto ma in fondo non poteva che essere altrimenti, era pur sempre una strega appartenente al Clan Gojo.

“Puoi piangere se vuoi. Yuta dice che non c’è nulla di sbagliato nel farlo quando si è tristi”

“Yuta è il ragazzo di prima giusto?” il sorriso sul volto della piccola si allargò 

“Il mio papà mi ha affidata a lui” spiegò divertita

“E tua madre?”

“Non la conosco. Nessuno mi parla mai di lei” 

“Io ho perso mia moglie” si sentì in dovere di spiegare, “ma è successo tanto tempo fa”

“Sei triste perché ti manca?”

“Anche” la bambina lo prese per mano. Michizane non ebbe tempo di stupirsi,

“Ti senti in colpa” dichiarò con una serietà non comune a quell’età 

“Le mie azioni mi hanno portato a perdere la cosa che avevo di più cara” si trovò a confessare, ripensando inevitabilmente a Ryoma e al loro ultimo incontro. Non avrebbe mai voluto che le cose andassero a finire in quel modo. Aveva sbagliato e molti innocenti avrebbero pagato per quell’errore. Era stato il rimorso a spianare la strada per la sua trasformazione in Spirito.

“E non puoi rimediare?” per un secondo, Michizane invidiò quell’ingenuità e purezza. 

“Non è tanto semplice” ammise scuotendo il capo.

“É il motivo per il quale sei diventato uno Spirito?” lo stregone le sorrise,

“Si” non si era trattata di una vera e propria scelta. Michizane aveva assunto quella forma per sorvegliare Sukuna, le sue azioni. Era un modo come un'altro per rimanergli accanto, per questo aveva deciso di spingersi oltre i confini di un’esistenza mortale.

Il loro amore aveva finito col trasformarsi in una maledizione che continuava a bruciare e legare i destini di entrambi.

“Come ti chiami?” domandò alla piccola che teneva ancora per mano. La sua stretta era così calda, viva. 

“Sayuri”

“Trovo che sia un nome bellissimo” aveva un suono così familiare. 


***


Giappone

-Fine periodo Heian-


“Ci stanno dando la caccia ma non riusciranno a trovarci” Uraume si limitò ad un cenno del capo prima di servire all’ex stregone l’ennesima pietanza. Questa volta non si trattava di un essere umano bensì di una lepre che lui stesso aveva catturato. Gli venne quasi da sorridere al pensiero di come la notizia del loro cannibalismo si fosse diffusa a macchia d’olio per il Paese, alimentando le voci e il terrore nei loro confronti. 

“Non dovreste sottovalutare i nostri nemici” a quelle parole Sukuna storse il naso,

“Il loro capo è un discendente di Michizane” mormorò quasi con rabbia, stringendo i pugni. Quel movimento non passò inosservato.

“Non siate così sorpreso, la sua è una delle tre famiglie più importanti” si limitò a fargli notare il servitore cercando di ignorare il fastidio provato al solo udire quelle parole. Nonostante fossero passati molti anni quello Spirito, teneva ancora sotto scacco il cuore del Re delle maledizioni. 

Sukuna non avrebbe mai dimenticato Michizane. Non poteva farlo. Era l’uomo che per primo gli aveva insegnato ad amare. Solo grazie a lui Ryoma aveva accettato di possedere un cuore, lo stesso che lo stregone leggendario aveva poi calpestato, riducendolo in mille pezzi. 

“Nessuno può opporsi al mio potere” Uraume alzò gli occhi al cielo. Quell’arroganza non era altro che una maschera dietro la quale nascondersi. Sukuna aveva semplicemente scelto di interpretare un ruolo che gli era stato affidato. 

“Gli esponenti dei vari Clan potrebbero unirsi, in questo modo forse riuscirebbero a sigillarvi” 

Spesso Uraume finiva con l’essere la voce della ragione. Il Demone immaginario combatteva con foga, senza riflettere, guidato solo dai propri istinti.

“Cosa stai insinuando?”

“Fino ad ora avete agito di impulso, mosso dalla rabbia verso Sugawara-dono. Non ve ne faccio una colpa ma potreste avanzare con maggiore cautela. Ci troviamo in un’epoca instabile e di continui tumulti. Penso che nessuno possa sconfiggervi tuttavia…” Uraume si interruppe di colpo incrociando lo sguardo del proprio signore. 

Entrambi avevano avvertito una presenza alle loro spalle. 

“Scusate se mi presento con così poco preavviso ma avrei una proposta per Ryomen Sukuna”

Il Demone immaginario si limitò a sorridere con superiorità. Preparandosi allo scontro.

“Cosa ti fa credere di poter avanzare delle proposte, anzi di sopravvivere a questa conversazione?”

“Vi siete inimicato il mondo intero, dovreste accettare un aiuto esterno, soprattutto quando vi viene offerto con tanto garbo ”

“Non ho tempo da perdere con queste sciocchezze”

“Vi stanno dando la caccia. Siete braccati come animali. Questa situazione non durerà ancora per molto”

“Che vengano pure, sarò pronto ad accoglierli”

“Quanta arroganza”

“Mi chiamano Re delle maledizioni. Non sono più un essere umano o uno stregone”

“Siete il caduto, per questa ragione ho deciso di rendervi un pezzo importante per la mia strategia”

“Mi sono stancato di sentire questi discorsi” mormorò prima di evocare il proprio Dominio

“Almeno ascoltate cosa sto per dirvi, sono a conoscenza di un metodo per permettere alla vostra anima di attraversare i secoli”

“Non mi interessa”

“Michizane Sugawara è diventato uno Spirito Vendicativo, sta collaborando con i vari Clan per distruggervi” 

Dalla propria posizione Uraume indietreggiò di un paio di passi. Menzionare lo stregone leggendario in presenza di Sukuna equivaleva ad un suicidio.

“E allora?”

“Ho bisogno che vi occupiate di lui, possiede delle abilità fastidiose che in futuro potrebbero finire con l’intaccare i miei piani”

Il Demone immaginario stava esaurendo la propria pazienza.

“Siete l’unico che possa ucciderlo o da cui si lascerebbe uccidere. Questo lo sappiamo entrambi” suo malgrado Sukuna si trovò ad annuire. 

“Chi diavolo sei?” domandò con rabbia mista a curiosità. 

“Puoi chiamarmi Kenjaku”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X Notte - Wise Man ***


X Notte - Wise Man








 

“Cosa incute più terrore nel cuore umano?”

Jjk vol.24






 

Tokyo

-Residenza del Clan Gojo-



 

Megumi si trovava ancora stretto fra le braccia di Itadori quando un rumore di passi lo costrinse ad allontanarsi. Sul momento lo Zenin non disse nulla, limitandosi ad abbandonare quel calore ed osservare il profilo del compagno, cercando di scorgere sul suo volto un qualche segno che potesse giustificare quanto appena successo. Yuji lo aveva baciato e Fushiguro non si era mai sentito tanto confuso. Nemmeno quando Gojo gli aveva affidato Sayuri aveva provato un tale senso di smarrimento. Si passò un paio di dita sulle labbra quasi per riflesso, cercando di controllare i battiti impazziti del proprio cuore.

Fu allora che Itadori lo afferrò per una mano, spiazzandolo per l’ennesima volta con la propria intraprendenza. Il sorriso che l’ex vessillo di Sukuna gli rivolse era più radioso del sole ma non fu bastó a tranquillizzarlo. 

Qualsiasi chiarimento o conferma avrebbe comunque dovuto attendere.

“Ecco dove eravate finiti” Maki era appena comparsa sulla soglia, seguita dalle figure di Panda e Inumaki. La Zenin non sembrò particolarmente interessata alla vicinanza dei propri Kohai sebbene avesse subito notato le loro mani intrecciate, così come il leggero rossore comparso sulle guance di Megumi.

“Yuta non rientrerà dalla missione. Per oggi dovremo occuparci di Sayu” spiegò senza troppi preamboli.

“È forse successo qualcosa al senpai? Dobbiamo preoccuparci?” Itadori era stato il più veloce nel manifestare i propri timori, anche se pure Fushiguro era stato sfiorato dallo spettro di un simile pensiero.

“Quell’idiota ha solo perso l’aereo” concluse la Zenin incrociando le braccia al petto e e scuotendo il capo.

“Yuta si è fermato a comprare dei souvenir per Sayu-chan e non ha sentito l’ultima chiamata per l’imbarco” si affrettò ad aggiungere Panda mentre Inumaki borbottò un “salmone” poco convinto.

Megumi si abbandonò ad un lungo respiro, che racchiudeva tutta la propria preoccupazione. Okkotsu Yuta era lo stregone più potente presente in Giappone, nonché l’erede designato di Satoru Gojo, doveva ancora nascere una maledizione in grado di impensierirlo. Alcune volte però emergeva questo suo lato spensierato che allo Zenin aveva sempre ricordato il proprio maestro. 

“Tipico di Yuta-san” ancora una volta era bastato il tono della voce di Yuji a riportarlo al presente. Per un solo istante, Fushiguro si era scordato di quanto successo pochi minuti prima e di come l’ex vessillo di Sukuna lo stesse ancora tenendo per mano. Si liberò da quella presa prima che gli altri senpai la notassero o iniziassero a porre domande,

“Sayuri terminerà le lezioni fra un paio d’ore” inizió con lo spiegare nel vano tentativo di riordinare le idee. Non sarebbe stato facile gestire Sayu senza Okkotsu. La loro principessa adorava il padre adottivo e non sempre si mostrava ben disposta ad accettare quegli improvvisi cambi di programma. Era solo l’ennesimo tratto caratteriale che aveva ereditato da Gojo.

“Io e Panda siamo richiesti a Roppongi per una missione di secondo livello, nulla di troppo impegnativo, al ritorno possiamo andare a prenderla. Se non ricordo male il suo istituto è di strada” propose Maki. Yuji le sorrise grato.

“Ti ringrazio, io e Fushiguro vi attenderemo qui. Abbiamo delle faccende da sbrigare e non credo che questo stupido si sia ancora ripreso dall’attacco della scorsa notte” Megumi avrebbe voluto replicare ma per l’ennesima volta Maki fu più veloce,

“Yuta mi ha informato di quanto accaduto. Era da molto che non succedeva” Fushiguro abbassò il capo, vergognandosi per il proprio comportamento,

“Okkotsu-senpai sta raccontando a Sayu la storia dei suoi genitori” spiegò lo Zenin con una scrollata di spalle, come se quell’informazione bastasse a giustificare l’attacco di panico che lo aveva investito, 

“Che sta facendo?” 

“Nulla di cui preoccuparsi Maki-san, è solo una favola della buonanotte” intervenne Yuji cercando come sempre di placare gli animi, intromettendosi tra i due Zenin già sul piede di guerra.

“Un racconto tanto innocente da spezzare Megumi” Maki aveva ragione. Fushiguro era convinto di aver superato il proprio trauma eppure, per un frangente, la voce di Sukuna gli era tornata alla mente, più vivida che mai, così come il ricordo dell’oscurità in cui lo aveva inghiottito. Se si era salvato lo doveva ancora una volta alla presenza di Yuji. Al suo calore. A quella mano sempre tesa verso di lui. Era stata la testardaggine di Itadori a liberarlo da quella maledizione.

“Okkotsu-senpai sa quello che fa. Non metterebbe mai in pericolo sua figlia. La ricaduta di ieri è un mio problema ma grazie a Itadori ora sto molto meglio”

Maki avrebbe avuto da ridire a tale proposito ma preferì tacere, non erano affari che la riguardavano. Non direttamente. Si era trovata spesso a discutere insieme a Yuta del rapporto che legava tra i due Kohai, giungendo persino a scommettere sui tempi di una possibile dichiarazione. Dopo sei anni era vicina a perdere le speranze anche se la scena alla quale aveva assistito poco prima l’aveva fatta ricredere. Rimaneva comunque un terreno pericoloso sul quale avventurarsi, soprattutto viste le precarie condizioni di Megumi. Quella ricaduta improvvisa l’aveva allarmata, più della telefonata di Yuta.

“Su su Maki, Fushiguro e Itadori sanno quello che fanno e sono sicuro che pure Yuta…” iniziò Panda con il solito tono accomodante, distogliendola dai propri pensieri

“Yuta dovrebbe imparare ad essere più responsabile, visto il ruolo che ricopre” 

Raccontare ad una bambina di sei anni del Re delle maledizioni non era cosa da poco. Poteva condire quella storia e renderla quanto più simile ad una favola ma prima o poi la realtà avrebbe distrutto ogni fantasia. Gojo Satoru era morto. Si era sacrificato per sconfiggere quel mostro. Quella verità non sarebbe mai potuta cambiare, esattamente come l’esito di quella battaglia che li aveva visti coinvolti tanti anni prima.

“Maionese”

“So bene che crescere una bambina non sia cosa facile, ma da lì a raccontarle dei genitori”

“Ho pensato la stessa cosa” convenne Megumi per poi aggiungere “Okkotsu-senpai non è uno sprovveduto e Sayuri merita di conoscere la propria storia”

“So bene quanto sia curiosa ma è ancora così piccola” troppo. 

Maki ripensò alla propria infanzia, a come fosse stata costretta a rinunciare alla propria innocenza per sottostare alle regole di quella società marcia e corrotta. Per un solo istante rivide se stessa e Mai obbligate a lottare con le unghie e con i denti, per riuscire ad emergere in un Clan che da sempre le aveva osteggiate, trattandole come spazzatura. La prima volta che aveva impugnato un’arma aveva la stessa età di Sayuri. Un paio di anni dopo aveva esorcizzato la sua prima maledizione.

“É pur sempre figlia dei due stregoni più potenti della storia” quello era il segreto che avevano giurato di proteggere e per il quale non avrebbero smesso di lottare.

Di fronte al peso di quelle parole la Zenin si limitò ad una scrollata di spalle incrociando seppur brevemente lo sguardo di Megumi. 

Non avrebbe mai potuto dimenticare quel giorno, il 24 dicembre di quasi sei anni prima, quando aveva assistito allo scontro tra Gojo e Sukuna. Lo stregone più forte si era sacrificato, portando il Re delle maledizioni con sé. Fushiguro era poi riapparso davanti ai loro occhi tenendo tra le braccia una neonata Sayuri. Yuta era stato il primo ad avvicinarsi nel tentativo di comprendere se lo Zenin si fosse liberato o meno dalla possessione del demone immaginario. Megumi aveva fatto solo un paio di passi per poi affidargli quella bambina che dormiva tra le sue braccia. Itadori era poi intervenuto prima che il suo corpo potesse toccare il suolo. 

Per Maki era stato difficile da credere o anche solo da accettare. Tutta quella situazione le pareva talmente assurda o irreale. In quella confusione solo Yuta non aveva esitato, aveva acconsentito a farsi carico di quell’eredità, decidendo di accogliere anche l’ultima implicita richiesta di Gojo. Il nuovo stregone più forte, aveva successivamente sfidato l’intero Clan per poter garantire a Sayu il futuro che le spettava.

Maki ne era rimasta sorpresa e affascinata. Okkotsu le era sempre piaciuto, sin da quando non era altro che un ragazzino insicuro che si era proposto di aiutarla nella propria vendetta contro gli Zenin. La situazione però si era evoluta fin troppo velocemente ponendoli di fronte a scelte più o meno sofferte. Erano dovuti crescere in fretta, farsi carico del vuoto lasciato da Satoru Gojo. 

Nel giro di pochi mesi, Maki aveva perso Mai e guadagnato una nuova forza, grazie alla quale era riuscita a sterminare quella famiglia che tanto l’aveva osteggiata. Yuta aveva sciolto la maledizione che lo legava a Rika, imparando a utilizzare il proprio potere, riacquistando in poco tempo il grado speciale. Insieme ad Itadori aveva poi sconfitto Kenjaku guadagnandosi a tutti gli effetti la nomea di stregone più forte. 

Nonostante fossero passati tanti anni, Maki rivedeva in Yuta quello stesso ragazzino che per primo le aveva fatto battere il cuore. Sapeva di non avere speranze. Per Okkotsu lei non era altro che una cara amica. Aveva accettato quella verità, rimanendogli accanto e  supportandolo nell’impresa di crescere Sayuri. 

Vedere Yuji e Megumi, la loro vicinanza, non aveva fatto altro che riaccendere quella fiamma che credeva sopita. Si era trovata in un certo senso a invidiare quel rapporto, quella loro complicità che si manifestava non solo a parole ma anche attraverso tanti piccoli gesti inconsapevoli. Fushiguro non distoglieva lo sguardo dalla figura di Itadori e per l’ex vessillo di Sukuna era lo stesso.

“Quando quell’idiota farà ritorno dovrò spiegargli un paio di cose, soprattutto su come crescere una bambina” di fronte a quell’affermazione Yuji scoppiò a ridere,

“Lo sai vero che è stata Sayu ad obbligarlo?” aggiunse Megumi,

“Yuta è sempre stato un sempliciotto” rispose la Zenin abbozzando un sorriso

“Così come il sensei” ancora una volta era bastato l’intervento di Itadori per placare gli animi. Il ricordo di Gojo era più vivo che mai e non solo attraverso i gesti, le parole o i comportamenti di sua figlia. 

Sayuri non era il solo tesoro che Satoru gli aveva affidato, ognuno di loro aveva ricevuto consigli, insegnamenti, atteggiamenti. L’eredità di Gojo continuava a vivere attraverso i suoi preziosi allievi.

“Perchè siete finiti in biblioteca?” domandò Panda dopo aver urtato per sbaglio uno degli scaffali, facendone cadere alcuni volumi. Itadori e Fushiguro si scambiarono un’occhiata imbarazzata e carica di sottintesi.

“Stavamo cercando informazioni su Sukuna, sul suo passato” iniziò con lo spiegare il giovane Zenin,

“Su quando era un essere umano” proseguì Yuji

“A che scopo?” Maki regalò ad entrambi un’occhiata perplessa,

“Mentre possedeva il mio corpo ho avuto modo di accedere ai suoi ricordi, non solo al suo potere” Itadori prese un lungo respiro, come ogni volta in cui ripensava a quei mesi in cui era stato il vessillo di quella calamità,

“E quindi?”

“Penso che il Senpai abbia in qualche modo salvato Sukuna, devo solo trovarne le prove. Così da poter raccontare questa storia a Sayu” 

“Itadori ha una visione molto romantica della loro relazione” concluse Megumi non facendo nulla per mascherare il proprio disappunto.

“Perchè tu no?” anche Maki aveva trovato delle difficoltà ad accettare la situazione, d’altro canto Fushiguro rimaneva il solo ad aver visto quei due insieme, 

“Proprio perché anche io sono stato posseduto da quel mostro” Megumi non lo avrebbe mai perdonato. Sukuna aveva ucciso Tsumiki, si era servito del suo corpo per farlo. Il Re delle maledizioni non era una povera vittima, aveva scelto consapevolmente di abbracciare quel cammino fatto di morte e distruzione. 

“Ecco perchè stavamo cercando delle informazioni” si intromise Yuji mostrando ai Senpai il primo volume che gli capitò fra le mani,

“Battaglia di Uji” lesse Maki sistemandosi meglio i propri occhiali,

“Si beh siamo partiti dal periodo Heian” provò a giustificarsi il ragazzo dai capelli rosati, grattandosi nervosamente il capo,

“Avete scoperto qualcosa di interessante?” domandò Panda

“Tonno”

Itadori sorrise, cercando lo sguardo sempre più sfuggente di Megumi. Il ricordo di quel bacio era ancora fin troppo vivido nella mente di entrambi.

“Ora non abbiamo tempo per sentire tutta la storia, ci farete un riassunto quando torneremo con Sayuri” tuonò Maki dopo aver controllato il proprio cellulare,

“Ijichi-san mi ha già chiamato tre volte” spiegò afferrando Panda per un braccio nel vano tentativo di trascinarlo con sé.

“Inumaki-san se vuoi puoi restare” propose Yuji. I due Zenin si scambiarono l’ennesima occhiata. Itadori sembrava perfettamente a proprio agio, peccato che lui stesso non fosse che un ospite dei Gojo. Anche Fushiguro non era certo della propria posizione in quanto de facto apparteneva ad un Clan rivale. 

“Scaglie di pesce” fortunatamente Toge declinò l’offerta. 

“Continuate pure con la vostra ricerca” esordì invece Panda facendo l’occhiolino a entrambi. 

Yuji lo fissò confuso mentre Megumi imprecò sottovoce.


***


Giappone 

-Periodo Heian-


Michizane stava riposando. Aveva raggiunto l’argine di un fiume e lì si era addormentato. Da quando Uraume si era unito a loro le proprie visioni erano diminuite anche se spesso quegli scorci di futuro lontano tornavano a turbare la propria quotidianità. Era successo anche quella notte, quando si era svegliato in lacrime avvertendo una strana sensazione all'altezza del petto. Un senso di oppressione e angoscia che difficilmente sarebbe riuscito ad esprimere a parole.

Malgrado i propri tentativi, Michizane non era riuscito a nascondere quel disagio a Ryoma. Lo stregone leggendario aveva avvertito lo sguardo penetrante del proprio allievo su di sé per tutta quella mattina. Due iridi scarlatte che lo osservavano con curiosità ed apprensione, in una muta richiesta di risposte. Da qui la decisione di fuggire il più lontano possibile da quegli occhi che fin dal primo momento sembravano voler scavare e raggiungere i recessi più profondi della sua anima. 

In quelle condizioni Sugawara non sarebbe mai riuscito ad affrontare Ryoma. Era questa consapevolezza a spaventarlo. Si sentiva braccato, senza via di scampo, completamente disarmato da quel giovane che quasi per gioco aveva preso come apprendista.

Si passò una mano sul volto. No, non si era trattato di un capriccio. Michizane Sugawara aveva riconosciuto il potenziale di Ryoma prima ancora che i propri sogni lo avvisassero della sua importanza. Quel giovane disgraziato era riuscito in qualche modo a toccare la sua anima, gli aveva restituito una vita, salvandolo dallo sconforto e dalla dissolutezza ai quali si era abbandonato.

“Perchè vi state nascondendo?” fu il tono di voce calmo e pacato di Uraume a riportarlo alla realtà costringendolo ad abbandonare qualsiasi altro pensiero o fantasia.

“Vi sembra forse che lo stia facendo?” si limitò a rispondere con il solito tono studiato e affabile che lo contraddistingueva.

“Ryoma-kun vi sta cercando da ore, non dovreste dargli tanta pena” Michizane si trovò suo  malgrado a sorridere, in fondo lo aveva previsto

“Non era mia intenzione” mentì con garbo, 

“Allora perché lo state evitando?” quel tono non gli piacque per nulla

“Quanto tempo è trascorso dalla morte di vostro fratello?” Uraume alzò un sopracciglio, confuso da quella domanda, così come dal repentino cambio d’argomento.

“Saranno un paio di mesi con la prossima luna piena” rispose, fissando un punto imprecisato all’orizzonte. Non aveva ancora perdonato lo stregone per quanto accaduto a Ichigo e forse non l'avrebbe mai fatto. La presenza di Uraume era dovuta unicamente a Ryoma e al suo sorriso. Per quanto disprezzasse Sugawara, il giovane stregone riconosceva di avere ancora bisogno di lui,

“E avete mantenuto la vostra preveggenza?” Uraume era sempre più confuso da quelle domande, 

“Non credo, in fondo non si è mai trattato di una vera abilità quanto più una sensazione. Riuscivo semplicemente a comprendere quando Ichigo fosse in pericolo” eppure non sono riuscito a salvarlo. Avrebbe dovuto convivere con il peso di quel rimpianto.

Michizane prese a giocherellare col proprio ventaglio, catturando nuovamente la sua attenzione.

“Mi dispiace per quanto accaduto a tuo fratello, è stata una mia negligenza, un mio errore”

Uraume non si scompose, né si lasciò incantare dal dolce suono di quelle parole. Non erano altro che scuse. Decise di passare al contrattacco, 

“Non mi avete ancora risposto, perchè state evitando Ryoma?” Sugawara abbozzò un sorriso, Uraume sapeva essere gelido e inflessibile come il ghiaccio che governava, 

“Io possiedo quel dono. La preveggenza” confessò cercando il suo sguardo. Il più giovane lo invitò a continuare, non particolarmente sorpreso da quella rivelazione quanto dal suo implicito significato,

“Cosa avete visto nel futuro di Ryoma?”andò dritto al punto, riuscendo finalmente a comprendere il gioco di Michizane,

“Grandezza, morte e tanto dolore” 

“Non può esserci solo questo” lo incalzò

No, vi era anche la vita. 

Pensò lo stregone leggendario.

Il suono di una risata cristallina riempì le sue orecchie ma non fu altro che l’ennesimo miraggio.

“Posso scorgere l’avvenire soltanto attraverso i sogni, al mio risveglio non ricordo quasi nulla, è come riemergere da una nottata di baldoria” concluse esibendo un sorriso tirato.

“Lui non ne sa nulla vero?” Lo stregone leggendario scosse il capo,

“So che quel disgraziato è destinato a grandi cose, ne ho la certezza eppure ho anche percepito la sua sofferenza, il dolore e la solitudine che albergano nel suo cuore e che per lungo tempo accompagneranno il suo cammino” era la prima volta che manifestava ad alta voce i propri timori. Se da un lato fu liberatorio dall’altro non fece altro che rendere il tutto solo più reale.

“Forse vi sbagliate” le labbra perfette di Sugawara si contrassero,

“Lo vorrei tanto” purtroppo le sue intuizioni si erano sempre rivelate corrette. 

“Come potete esserne tanto sicuro?” 

Perché il destino di Ryoma era già stato scritto, così come quello di tutti loro.

“Finalmente vi ho trovato!” la voce squillante del giovane apprendista e la sua presenza decretarono la fine di quella conversazione.

“Si può sapere dove eravate finito?” Ovviamente l’attenzione dell’albino era tutta rivolta verso il proprio maestro. Uraume indietreggiò di un paio di passi, limitandosi ad assistere a quello spettacolo.

“Ogni tanto avverto il bisogno di allontanarmi” spiegò lo stregone leggendario, muovendo elegantemente il proprio ventaglio, celandosi il più possibile da quello sguardo indagatore, per lui tanto pericoloso.

“Temevo ve ne foste andato” Michizane non comprese subito il significato nascosto dietro a quelle parole,

“E dove potrei mai andare?” 

“Potreste sempre tornare al vostro Clan, dai vostri figli” 

Per la prima volta Sugawara scorse il timore negli occhi di Ryoma. Era questa ipotesi a terrorizzarlo? Un suo abbandono?

“Non accadrà mai. Per loro non sono altro che un fantasma” 

Nonostante quelle parole, Ryoma non riusciva ancora a fidarsi dello stregone. Gli stava palesemente nascondendo qualcosa. Quella mattina Michizane gli era parso ancora più sfuggente del solito, desideroso di mettere quanta più distanza possibile tra di loro. 

Si era dato diverse spiegazioni al riguardo. Prenderlo come apprendista poteva essere stato frutto di un capriccio passeggero, forse Sugawara si era semplicemente stancato della sua presenza. 

“A cosa stai pensando?” 

“Come?” Michizane gli sorrise,

“Devi prestare maggiore attenzione alla tue emozioni. Sei un libro aperto disgraziato-kun” mormorò scompigliandogli i capelli in un raro moto di affetto. 

Di fronte a quella scena Uraume preferì congedarsi. In fondo aveva sempre saputo di come il cuore di Ryoma appartenesse a quell’uomo pieno di segreti. Non avrebbe mai potuto competere con Sugawara Michizane, doveva ancora nascere un individuo in grado di superarlo. 

“Vi state burlando di me” sbottò Ryoma incrociando le braccia al petto, prima di sedersi accanto allo stregone leggendario.

“Non lo farei mai”

“Cessate di mentire, ho notato il vostro comportamento”

Michizane avrebbe voluto rivelare a Ryoma la verità, di come scorgesse tracce del suo futuro, di come il suo potere fosse legato in qualche modo ad una grande sofferenza. 

Le parole avevano il potere di distruggere, potevano rivelarsi armi affilate, pericolose. 

Quel ragazzino dagli occhi scarlatti era ancora troppo giovane per comprendere il peso di una tale confessione, così come le possibili sue conseguenze. 

“Ho solo fatto un brutto sogno” optò per una mezza verità,

“Avete sognato vostra moglie?” l'ingenuità di Ryoma aveva sempre avuto il potere di sorprenderlo oltre che affascinarlo.

“No” il futuro Re delle maledizioni storse il naso,

“Allora cosa può avervi turbato tanto?” di fronte a quelle iridi Sugawara si arrese, scegliendo di seguire il cuore a discapito della ragione.

“Davvero non riesci a immaginarlo?” Ryoma scosse il capo,

Il loro primo bacio avvenne sulla riva di quel fiume, in un pallido pomeriggio di fine inverno. 

Fu inaspettato e dolce, come l’inizio di quella storia che troppo presto avrebbe assunto i contorni di una tragedia.


***


Presente

Giappone - Kyoto


Yuta aveva appena inviato l’ennesimo messaggio a Maki e Inumaki, scusandosi per la propria assenza e riempiendo entrambi di consigli su come gestire Sayuri, quando una figura fin troppo conosciuta fece capolino oltre l’orizzonte.

“Tenjin”* lo salutò cordialmente con un cenno della mano per poi esibirsi in un inchino,

“Sai quanto detesti quel soprannome, mi fa sentire così vecchio” sbuffò l’uomo che condivideva il suo stesso sguardo dalle sfumature violacee. Okkotsu accennò ad un sorriso imbarazzato.

“Mi scusi Sugawara-dono” lo spirito leggendario scosse il capo,

“Allora come se la cava il nostro piccolo fiore?” a quella domanda il nuovo stregone più forte parve illuminarsi,

“Cresce e diventa ogni giorno sempre più simile ai suoi genitori” c’era una punta di nostalgia in quelle parole, intrise di orgoglio paterno. Michizane non poté fare altro che annuire.

“Quella bambina è destinata a grandi cose, sono mille anni che non faccio altro che sognarla” 

Sognare tutti voi

Gli ci era voluto del tempo prima di rimettere insieme i pezzi di quel puzzle, definire i ruoli di Gojo Satoru, Ryomen Sukuna, Okkotsu Yuta e Itadori Yuji. 

“Potreste venire a Tokyo, così da vederla con i vostri occhi” non era la prima volta che Yuta formulava un simile invito ma lo stregone leggendario aveva sempre declinato con garbo ogni sua richiesta,

“Somiglia molto a Satoru?” domandò divertito,

“È la sua copia” Michizane lo sapeva, aveva incontrato più volte quella creatura, in quella dimensione onirica sospesa tra sogno e realtà.

“Ha ereditato il suo sguardo” proseguì lo stregone leggendario. Chiunque avrebbe potuto notare un simile particolare, quelle iridi di un azzurro innaturale, eccezionalmente limpide, come un cielo d’estate.

“Possiede entrambe le tecniche segrete del clan Gojo ma anche le abilità di Sukuna, il suo talento nel gestire gli elementi” prese a spiegare Yuta. Michizane non si scompose, ovviamente ne era al corrente. 

“Ha preso anche il suo sorriso” si lasciò scappare in un sussurro che tuttavia non sfuggì all’orecchio attento del giovane Okkotsu.

“Come?”

“Sayuri, ha lo stesso sorriso di Ryoma. L’ho pensato sin dal primo momento in cui l’ho vista. Ho capito come quella creatura fosse sua” e accettato il fatto che lui non avrebbe mai potuto essere mio.

Lo sguardo dello spirito vendicativo si era adombrato di colpo, perso in ricordi di stagioni lontane.

“Le sto raccontando la favola dei suoi genitori” con quelle parole, Yuta riuscì nuovamente a portare tutta l’attenzione di Michizane su di sé. 

“Favola?” il giovane annuì percependo la sua confusione,

“Mi piace pensare che tutto quel dolore e sofferenza abbiano portato a qualcosa di buono. Sayuri è stata una benedizione, il nostro fiore che sboccia nonostante le avversità.”

Lo stregone leggendario scoppiò improvvisamente a ridere.

“Satoru aveva ragione, sei davvero un ragazzo ingenuo, ma penso che anche questo faccia parte del tuo fascino” Yuta lo fissò sorpreso,

“Gojo-sensei le ha parlato di me?” 

“Certo, non mancava mai di vantarsi dei propri allievi. Era convinto che se mai gli fosse successo qualcosa voi avreste preso il suo posto. Aveva ragione” concluse.

Yuta chinò il capo, 

“Non ho potuto fare nulla per salvare il mio maestro” nonostante fossero passati anni, il senso di colpa per non essere intervenuto era ancora lì, presente in un angolo recondito della sua mente, pronto ad emergere alla prima occasione.

“Hai sconfitto Kenjaku e cresciuto sua figlia penso che ovunque si trovi Satoru possa essere fiero di te.”

“Era il solo epilogo possibile vero?” Michizane gli posò una mano sulla spalla, non potevano toccarsi ma Yuta riuscì in qualche modo ad avvertire la sua presenza. L’energia maledetta che proveniva dal proprio antenato era la stessa che scorreva dentro di lui,

“Il destino di Gojo Satoru era già scritto nelle stelle, esattamente come il tuo o quello di Sayuri” e di Sukuna

Sugawara Michizane lo aveva appreso molti secoli prima, quando aveva scelto di rinunciare a Ryoma e tradire la sua fiducia. In quel momento era l'unica opzione possibile. Si esibì nell’ennesimo, falso sorriso.

“E dimmi, a quale punto della storia saresti arrivato?”











 

*Nella mitologia e nel folklore giapponese, Tenjin (天神) è il kami shintoista dell'erudizione e viene associato alla figura di Sugawara no Michizane. Ten 天 significa cielo e jin 神 significa dio o divinità. (Fonte Wikipedia) 

Mi piaceva l’idea che Okkotsu si rivolgesse a Michizane in quel modo. Mi scuso come sempre nella lentezza ad aggiornare. Dovrei riuscire a postare un capitolo al mese ma non prometto nulla, tante idee e sempre poco tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI Notte - Dream ***


XI Notte - Dream








 

“Qual è il valore di ogni singola vita?”

Jjk vol. 12






 

Giappone 

-Periodo Heian-


Dopo quel bacio il rapporto tra Michizane e il proprio apprendista si fece ancora più stretto. Uraume fu il solo spettatore di quella stagione, fugace ed effimera come un battito di ciglia. Un laconico istante di felicità se posto dinanzi all'eternità di dolore che ne sarebbe seguito. 

Il giovane stregone padrone dei ghiacci preferì non indagare troppo sulla natura quel legame. Sarebbe stato solo deleterio, un’ulteriore fonte di sofferenza. Lui stesso amava Ryoma, lo aveva fatto sin dal principio, dal primo momento in cui il suo sguardo aveva incrociato quelle iridi scarlatte simili eppure profondamente diverse dalle proprie. Quel giovane disgraziato però aveva da sempre rivolto il proprio affetto altrove, verso quello stregone che agli occhi di Uraume non si era dimostrato altro che un aristocratico ipocrita e viziato. Un individuo arrogante, all’apparenza perfetto, troppo per meritarsi la sua fiducia.

Michizane conservava più di un segreto nascosto sotto strati di seta e modi gentili. Uraume non si era lasciato ingannare né da quell'aspetto né dal suono delle sue parole più dolci del miele. Come mai uno stregone tanto potente aveva deciso di fingere la propria morte e addestrare un giovane sconosciuto? Per quanto abile, Ryoma non era nessuno, esattamente come lui, o Ichigo. 

Doveva per forza esserci dell’altro.

Solo qualche mese prima, Sugawara gli aveva confidato di prevedere il futuro. Inizialmente Uraume non seppe come interpretare quell’informazione, né quanto ci fosse di vero. La perdita di memoria al risveglio sembrava una comoda scusa, un modo come un'altro per levarsi da ogni impiccio o responsabilità. 

In quell’occasione, Michizane gli era parso sinceramente preoccupato per il destino di Ryoma eppure aveva finito con il legarlo ancora di più a sé. Anche per questo motivo Uraume lo odiava, Sugawara sapeva eppure non aveva esitato ad attraversare quel confine fra loro. Non poteva perdonarlo o biasimare se stesso per averlo permesso. Uraume era stato un mero spettatore in quella vicenda che avrebbe finito con il condannare entrambi per l’eternità, anche se a quel tempo nessuno avrebbe mai potuto formulare un simile pensiero.

Ryoma era raggiante, inebriato da quel primo amore. Anche le sue arti occulte ne avevano beneficiato così tanto che presto sarebbe riuscito a completare il proprio Dominio. 

“Hai ancora la testa fra le nuvole disgraziato-kun

“E di chi pensate sia la colpa?” 

Erano sempre stati discreti in sua presenza, ma pure un cieco si sarebbe accorto del sentimento che li legava. Il sorriso di Ryoma non gli era mai parso tanto luminoso. Uraume ne avrebbe serbato il ricordo per i successivi mille anni, insieme alla consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto occupare quel posto lasciato vacante da Michizane.

Per un pò furono felici, prima che il destino si divertisse a mescolare le proprie carte.

 

***

 

Morte. Devastazione. Non era la prima volta che Michizane Sugawara si trovava di fronte ad un simile scenario, eppure vi era qualcosa di diverso. Lo stregone leggendario era capitato in una città che non aveva mai visitato, un agglomerato di luci, suoni e colori abbaglianti. Doveva essere finito in un futuro lontano forse troppo per la propria comprensione. 

La prima cosa che notò furono degli esseri umani bloccati da diverse barriere, udì le loro urla mentre venivano attaccati e sbranati da alcune maledizioni. Michizane provò ad utilizzare il proprio potere ma invano. Non era altro che uno spettatore, una sorta di fantasma in quella realtà. Non poteva fare nulla per salvare quei poveri innocenti, solo assistere alla loro morte. Lo stregone avrebbe voluto disporre di più tempo, analizzare meglio la situazione ma la propria attenzione venne catturata da diverse esplosioni, accompagnate dal suono di una tecnica fin troppo familiare. 

Ryoma stava combattendo. Avrebbe riconosciuto quello stile fra mille così come le vibrazioni che riempivano l’aria subito dopo un affondo. L’individuo che si stava battendo davanti ai suoi occhi però era profondamente diverso dal ragazzino sorridente che ricordava.

Come era possibile? Il giovane che conosceva non avrebbe mai potuto compiere un simile sterminio. Quell’essere che ormai non possedeva nulla di umano alzò un braccio facendo crollare l’ennesimo palazzo. Michizane poté udire solo le urla delle persone al suo interno. Avrebbe voluto poterle salvare ma ancora di più correre dal proprio allievo per fermare quell’insensata carneficina. Fu allora che Ryoma gli si avvicinò. Michizane trattenne inconsciamente il respiro, osservando anzi studiando quella figura. Solo lo sguardo tradiva la somiglianza con il proprio apprendista. Non era stato che per il colore impossibile di quelle iridi che Sugawara aveva riconosciuto in Ryomen Sukuna il proprio Ryoma.

"Siamo illuminati dalla luce della luna, così posso godermi per bene di questa scena patetica”

Quel mostro si era rivolto alla maledizione contro cui stava combattendo. A prima vista un livello speciale. Alle orecchie di Michizane quelle parole però suonavano fredde, crudeli, il ragazzino che conosceva non avrebbe mai potuto utilizzare un simile tono. Anche la sua voce si era trasformata, era diventata di colpo più profonda e adulta.

Non li separavano che una manciata di passi. Sugawara avrebbe potuto allungare un braccio, sfiorarlo, ma l’aura emanata da quell’essere lo fece desistere. 

Tanto non sarebbe servito a nulla. 

Michizane non era altro che uno spettro, un’entità incorporea. Ryoma non avrebbe mai potuto percepire la sua presenza. 

Ryomen Sukuna era davvero un essere spaventoso, crudele e privo di ogni umanità. 

Ryoma si era trasformato in una maledizione, ma il suo potere andava ben oltre quello di un livello speciale. Per la prima volta, Sugawara dovette fare i conti con quella verità, il proprio allievo si sarebbe trasformato in un mostro, un flagello, una vera e propria calamità.

Si passò stancamente una mano sul volto, osservando il resto di quel combattimento.

“Preparati, vediamo chi possiede le fiamme più potenti”

Lo stregone leggendario trattenne a stento le lacrime. Sukuna aveva scagliato la propria freccia infuocata. Nella sua mente, quell’immagine si sovrappose a quella di un giovane Ryoma incerto e traballante. Lo rivide mentre apprendeva quella tecnica per poi perfezionarla tra le risate di Uraume.

Michizane rivolse un ultimo sguardo alla maledizione che stava bruciando accanto a lui. Per la prima volta provò un senso di pietà per quell’essere. Sukuna si stava rivelando un avversario formidabile.

Allo stato attuale, lo stregone leggendario non sarebbe mai riuscito a batterlo. Nessuno avrebbe mai potuto competere con un simile potere. 

Fu straziante e doloroso.

Michizane scoppiò a piangere comprendendo finalmente il proprio ruolo in quella storia. Quella visione era stata un monito, un avvertimento, non avrebbe mai permesso ad un futuro simile di realizzarsi. In quel momento comparve una nuova figura che nuovamente Sugawara stentò a riconoscere.

“Sukuna-sama sono venuto ad accoglierla” mormorò il nuovo arrivato inchinandosi dinanzi al Re delle maledizioni

“E tu chi sei?” Ryoma sembrò confuso esattamente come Michizane,

“Uraume?!” Sbottò dopo qualche secondo, 

“Felice di rivederla”

Lo stregone leggendario trattenne nuovamente il respiro osservando meglio quel giovane dall’aspetto androgino. Uraume doveva essersi incarnato in quell’epoca per seguire Ryoma. Provò un certo fastidio al riguardo. I sentimenti che quel moccioso nutriva per quel giovane disgraziato avevano sempre sfiorato l’ossessione. Se ne era accorto sin dal primo istante ma aveva preferito lasciar correre. Era stato il senso di colpa per quanto accaduto ad Ichigo ad averlo spinto ad accogliere il più giovane dei fratelli Uraume.

Chiuse gli occhi preferendo distogliere lo sguardo. Ne aveva abbastanza, desiderava solo svegliarsi al più presto e dimenticare quella follia.

“Nobile Sukuna?” fu la voce di Uraume a riportarlo alla realtà. 

Si trovava ancora in quel sogno, non era finita.

“Devo andare” il servitore annuì con un cenno del capo,

“Come desidera” 

C’era qualcosa di strano nell’espressione di Sukuna. Michizane non poté fare a meno di notarlo. Sembrava quasi preoccupato o infastidito.

“Fra poco sarò completamente libero. Non dimenticarti i preparativi. Ci vediamo Uraume”

“Ricevuto. La aspetterò”

Anche quelle parole non avevano il minimo senso. A cosa si stava riferendo Ryoma? Sugawara ebbe un brutto presentimento al riguardo. Tornò ad osservare Uraume, anche il suo sguardo non era cambiato. Era rimasto freddo e glaciale come ricordava. Una bambola rigida e inespressiva.

Decise di seguire Sukuna, ben conscio dei rischi. 

Desiderava sapere di più, comprendere come si fosse arrivati ad un tale futuro.

 

***

 

Quando lo raggiunse, Ryoma stava utilizzando la propria energia per salvare un ragazzino dai capelli corvini. Michizane rimase sorpreso nel notare quello spiraglio di umanità,

“Non morire. Ho bisogno che tu faccia una cosa per me” lo stregone leggendario trattenne nuovamente il fiato avvicinandosi a quel giovane che si trovava in uno stato di morte sospesa. Ne studiò i lineamenti cercando di comprendere le parole di Sukuna. Notò solo in un secondo momento un altro ragazzino spaventato. Michizane non gli prestò particolare attenzione, catturato nuovamente dalla velocità di Sukuna e dal suo potere.

Quello scontro era di un livello superiore rispetto al precedente. I movimenti del Re delle maledizioni erano precisi, letali. Le tecniche acerbe del proprio apprendista si mostravano ora nella loro forma definitiva. Uno spettacolo sublime, meraviglioso nella propria tragicità.

Sugawara sapeva che presto quel combattimento avrebbe raggiunto il proprio apice. Era ciò che maggiormente temeva, anche se per l’ennesima volta la propria curiosità ebbe la meglio. Voleva assistere a quella manifestazione di forza, conoscere i limiti di quel potere che lui stesso aveva coltivato.

“Espansione del Dominio. Reliquiario Demoniaco”

 

***

 

Quando Michizane riemerse dal proprio sogno aveva le lacrime agli occhi. Ci mise qualche secondo per ambientarsi. Fu allora che si accorse di ricordare ogni cosa, ogni più piccolo particolare di quella visione. Si prese il volto con entrambe le mani mentre cercava di scacciare quelle immagini dalla propria mente.

Fu un respiro calmo e regolare a catturare la sua attenzione, avvisandolo della presenza di Ryoma, disteso scompostamente nel futon accanto al suo. Tirò inconsciamente un sospiro di sollievo. Il proprio apprendista dormiva e non sembrava essersi accorto di nulla.

Si perse qualche istante ad osservarne il profilo, tracciando delicatamente con la punta delle dita il contorno di quei lineamenti ancora così infantili. Ryoma avrebbe presto compiuto diciott’anni ma ai suoi occhi sarebbe sempre rimasto un ragazzino. Un moccioso che aveva raccolto dalla strada e a cui aveva insegnato le Arti Occulte. Forse era stato questo il suo errore. Ripensò a tutte quelle morti, alla devastazione provocata dal Re delle maledizioni.

A Ryomen Sukuna e al suo Dominio.

Doveva esserci una ragione, un motivo che avesse spinto Ryoma ad imboccare quella via. Gli sembra tutto fin troppo assurdo. Fu allora che il proprio apprendista aprì gli occhi. Bastarono pochi secondi perché quelle iridi dal colore impossibile incrociassero le proprie, leggendo dentro la sua anima come in un libro aperto.

“Che succede?” a Ryoma era bastato uno sguardo per comprendere la confusione che albergava nel proprio animo. Quel ragazzino era sempre stato un ottimo osservatore, soprattutto con lui. Fin troppo spesso Sugawara si era guardato dal potere di quelle iridi.

“Nulla, ho solo fatto un brutto sogno” mentì tentando di sfuggire a quel confronto.

Ormai si stava trasformando in un’abitudine, pensò chinando il capo

“Vieni qui” sussurrò il più giovane aprendo le braccia in un chiaro invito. Michizane indugiò per qualche secondo. Le immagini di Sukuna continuavano a vorticargli per la mente. Alla fine si arrese accettando l’abbraccio di Ryoma e ricambiandolo con lo stesso slancio. Gli posò un bacio delicato fra i capelli, inalando il suo profumo. Gli era mancato. Quello era il Ryoma che conosceva, non quel mostro senz’anima.

Il ragazzino si mosse velocemente catturando le sue labbra e intrappolandole in un bacio profondo. Fu Michizane ad allontanarsi per primo da quel calore così ustionante.

“Vuoi dirmi che sta succedendo?” lo incalzò nuovamente percependo in qualche modo un suo rifiuto.

Lo stregone leggendario non rispose. In quel momento vi era troppa confusione nella sua mente. Le immagini di Ryoma continuavano a sovrapporsi a quelle di Sukuna. Riviveva la distruzione di Shibuya, tutte quelle vittime innocenti. 

Si alzò di scatto, abbandonando l’apprendista ancora inginocchiato nel proprio futon.

“Ho bisogno di stare da solo” sussurrò prima di lasciare la stanza.

Ryoma non protestò. Non aveva mai visto Sugawara in quello stato. Lo stregone sembrava spaventato, dispiaciuto ma soprattutto sofferente.

Si chiese quale sogno avesse mai potuto turbarlo tanto.

Di nuovo un pensiero fastidioso si fece largo nella sua mente. Forse Michizane aveva semplicemente rivisto la morte della moglie. Ryoma era sempre stato geloso di quel ricordo, di quella donna che aveva sposato e amato Michizane, dandogli tre figli. 

Se non fosse morta le loro strade non si sarebbero mai incrociate.

Si sentì uno stupido immaturo. Nobu era un tassello importante del passato di Michizane ma apparteneva appunto ad una stagione lontana, ad una vita che il proprio maestro aveva abbandonato. Per il mondo, Michizane Sugawara era morto diversi anni prima. 

Solo attraverso la propria dipartita aveva potuto sperimentare quella libertà tanto agognata. 

Tornò a raggomitolarsi tra le coperte. Nonostante lui e Sugawara avessero iniziato quella relazione lo stregone leggendario non sembrava volersi fidare di lui, non abbastanza da confessargli i propri turbamenti. Quel comportamento lo feriva eppure non se la sentiva di biasimarlo.

A volte Ryoma si scordava di chi fosse Michizane.

Era uno stregone influente, il più potente presente in quell’epoca. Apparteneva ad una delle tre grandi famiglie che aveva scelto di abbandonare per inseguire quel folle desiderio di libertà. Forse anche Ryoma stesso e quella relazione non erano altro che il frutto di un capriccio passeggero. 

Aveva sempre pensato che l’amore fosse un sentimento inutile e infatti lo stava portando alla follia. Michizane lo rendeva ansioso e insicuro, bastava la sua lontananza a provocargli simili pensieri. Ryoma imprecò domandandosi quando fosse diventato tanto debole ma bastò il ricordo del sorriso di Sugawara o del suo sguardo dai riflessi violacei a fornirgli una risposta.

 

***

 

Presente

Giappone - aeroporto di Itami - Osaka

 

“Siete proprio sicuro di non voler venire a Tokyo?” tentò per l’ennesima volta Yuta mentre si incamminava verso il proprio gate d’imbarco.

Lo spirito vendicativo scosse il capo. 

“Come sempre il vostro invito mi onora ma mi vedo costretto a declinare” Okkotsu annuì

“Voglio ringraziarvi per il vostro tempo Sugawara-dono e per i vostri consigli. Senza la vostra guida non so come avrei fatto in tutti questi anni”

“Per così poco. Sono io a doverti ringraziare ragazzo mio. Stai crescendo Sayuri, hai sfidato l’intero Clan perchè venissero riconosciuti i suoi diritti e il suo lignaggio”

“Sayu è la figlia di Satoru Gojo, basta guardarla per fugare ogni dubbio” Michizane sorrise ripensando al primo momento in cui il suo sguardo si era posato su quella creatura.

Quel piccolo fiore che possedeva il suo stesso sangue e il sorriso di Ryoma. 

A volte il destino sapeva essere così crudele.

Salutò Yuta con un rapido inchino, prima di svanire dalla sua vista. 

Il giovane stregone si affrettò ad afferrare il proprio cellulare;

“Maki-san sono all’aeroporto, si, si prenderò il prossimo volo” i rumori e le urla in sottofondo lo fecero sorridere.

Sarebbe tornato presto dalla propria principessa.

 

***

 

Tokyo - quello stesso momento


“Non mi interessa quello che dice il fratellone Megumi, io voglio sentire solo la storia di Yuta” 

Sayuri era arrivata da nemmeno dieci minuti e le sue urla già riempivano l’ambiente circostante. Le era bastata una rapida occhiata per comprendere la situazione e come il padre adottivo non fosse ancora rientrato per mandarla su tutte le furie. Itadori e Fushiguro avevano provato a calmarla ottenendo solo l’effetto opposto. Maki era stata trattenuta da Ijichi per un altro incarico mentre Panda e Inumachi avevano ben pensato di darsi alla fuga, lasciando ai due kohai il compito di badare all’erede del Clan Gojo. 

Il culmine era stato raggiunto quando lo Zenin si era proposto di proseguire la favola iniziata da Yuta.

“Questo lato l’ha preso tutto dalla madre” sbottò il corvino prima di evocare un paio di conigli per distrarla. 

Fortunatamente Sayuri sembrò apprezzare quel diversivo iniziando a rincorrere quelle creature che spaventate avevano iniziato a zampettare per la stanza.

Itadori si abbandonò ad un lungo sospiro, lasciandosi cadere contro la prima superficie disponibile

“Spero che Yuta-san arrivi presto”

“Non mi dire che sei già stanco, Sayu è qui da nemmeno cinque minuti” lo prese in giro Megumi, vantando la propria esperienza,

“Non pensavo fosse così impegnativo occuparsi di una bambina”

“Sayuri è una strega” si limitò a fargli notare il corvino,

“Nonostante sia la copia di Gojo-sensei poco fa era identica a Sukuna” 

“Beh sei tu quello che ha trascorso più tempo in simbiosi con quel mostro” Yuji tornò improvvisamente serio.

“Sukuna era spietato, un essere orribile”

“Sai, io proprio non ti capisco. Prima lo difendi poi lo attacchi. Si può sapere da che parte stai?”

“Avevi ragione Fushiguro, Sukuna ha scelto quale strada imboccare, nessuno lo ha obbligato a diventare il Re delle maledizioni eppure non me la sento di biasimarlo. La persona per lui più importante gli aveva voltato le spalle.” fece una breve pausa “Come pensi che mi sia sentito quando ha preso il controllo del tuo corpo?” 

Megumi scelse di rimanere in silenzio sconvolto da quello slancio di sincerità così come dalla forza di quello sguardo fisso su di lui.

“É stato come morire, anzi più doloroso” lo Zenin fece qualche passo in avanti venendo però bloccato da un paio di braccia esili.

“Fratellone puoi evocarne ancora?” Megumi sorrise,

“Certo”

Itadori si limitò ad osservare quella scena. In compagnia di Sayuri, Fushiguro si mostrava in una versione inedita. Era così sorridente, rilassato. Non lo aveva mai visto tanto felice.

“Yuji hai visto come sono belli?” Itadori annuì avvicinandosi ai due. Era per quel futuro che avevano combattuto.

Per un solo istante ripensò a Sukuna e al dolore che lo aveva cambiato per sempre. 

 

***

 

Giappone 

-Periodo Heian-


Tutta quella vicenda si stava trasformando in una maledizione. Ogni notte, Sugawara Michizane ripercorreva i fatti di Shibuya e la distruzione provocata dal proprio apprendista mentre di giorno, lo vedeva allenare la propria tecnica avvicinandosi sempre di più a quei livelli che lo stregone leggendario aveva imparato a conoscere e temere. 

Nelle settimane successive, Michizane si era limitato ad osservare il proprio giovane apprendista, interrogandosi spesso sull’avvenire, come le proprie scelte potessero arrivare ad influenzarne il corso.

Erano solo delle visioni, il futuro non era inciso nella pietra. Ryoma non si sarebbe mai trasformato in un simile mostro, non l'avrebbe permesso.

Aveva continuato a ripetersi quelle frasi come una litania, una preghiera rivolta a chissà quale divinità. L’abilità di Sugawara non si era rivelata un un dono bensì una maledizione, lo stregone avrebbe preferito continuare a vivere nell’ignoranza piuttosto di conoscere in anticipo quel triste destino.

Nonostante tutto, sapeva di non poterne parlare con Ryoma. Farlo avrebbe significato anche rivelare del proprio potere. 

Michizane aveva preferito tacere sulla propria capacità ma solo per evitare domande scomode e scontate. Quella era la prima visione che ricordava nella propria interezza, il resto non erano altro che sensazioni e ricordi confusi. Parlare avrebbe significato tradire in qualche modo la fiducia di Ryoma ma non farlo avrebbe potuto avere conseguenze ancora più gravi.

Prima di rendersene conto Sugawara era caduto in trappola. Si trovava diviso tra dovere e sentimento, di fronte ad un bivio che poche volte aveva imboccato.

“Qualcosa vi tormenta" come sempre Uraume sembrava divertito nel vederlo in difficoltà. 

“Nulla di importante”

“Qualsiasi cosa riguardi Ryoma lo è”

“Non mi sembra di aver fatto il suo nome”

“Vi si legge in faccia l’origine del vostro turbamento. Potete ingannare quel sempliciotto ma non il sottoscritto. Avete nuovamente scorto il suo futuro? Qualcosa lo minaccia?”

Sugawara si limitò ad aprire il proprio ventaglio per poi muoverlo elegantemente.

“Non devi preoccuparti”

“Una volta eravate più abile nel mentire” lo stregone non si scompose. Odiava quel piccolo pavone presuntuoso.

“Di che parlate?” Ryoma li aveva raggiunti e fissava entrambi con curiosità.

“Dei tuoi progressi, disgraziato-kun” il ragazzo storse il naso

“Non burlatevi di me”

“Sei diventato bravo nella manipolazione degli elementi ma devi perfezionare la tua tecnica e il controllo che hai su di essa”

“Sono certo di essere vicinissimo dall’evocare il mio Dominio” quelle parole fecero gelare il sangue nelle vene di Michizane. Durò solo un istante ma sufficiente perché i due giovani se ne accorgessero.

 

***

 

La primavera lasciò il posto all’estate, giunse l’autunno e in un battito di ciglia le foglie secche lasciarono il posto alla prima neve. Fu proprio in una fredda mattina invernale che Ryoma arrivò a completare la propria tecnica.

Per tutto quel tempo Sugawara si era interrogato sulla propria visione, su cosa significassero quelle immagini, quel futuro fatto di morte, sofferenza, dolore. 

Ovviamente seguirono altre visioni. Vide un giovane dai capelli corvini e dallo sguardo simile al proprio, lo osservò sfoggiare una katana e combattere contro Ryoma, anzi il mostro che sarebbe diventato. Rivide anche il proprio discendente dagli occhi color del cielo. Il suo tormento e dissidio interiore. 

In mezzo a tutta quell’oscurità però trovò anche un piccolo spiraglio di luce.

Una creatura pura e innocente. 

Era quello il futuro che doveva proteggere, tutelare.

 

***

 

“Cosa significa?” 

Michizane Sugawara non avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione comparsa sul volto di Ryoma, la sua delusione nell’udire quelle parole che alle sue orecchie suonavano come la più ingiusta delle condanne.

“Che da oggi non sarò più il tuo maestro” ripetè con calma, scandendo ogni sillaba con cura.

“Se si tratta di uno scherzo non è divertente. Siete stato voi a trascinarmi in questo mondo, è per colpa vostra che sono diventato uno stregone”

Michizane chinò il capo accusando il colpo. Sapeva di come Ryoma avesse ragione ma quella gli era sembrata essere la soluzione migliore. La sola che avesse trovato. Da un anno si tormentava per quel futuro lontano ma non per questo meno minaccioso. 

Molte domande avevano affollato la mente dello stregone dagli occhi color ametista. Sugawara era arrovellato nel tentativo di trovare una maniera, un modo per sfuggire a quel destino che come una spada di Damocle sembrava incombere sulle loro teste.

Uraume trattenne a stento un sorriso, osservando quella scena con una punta di malcelato piacere. Era il solo ad aver intuito il dissidio interiore di Michizane. Ryoma era troppo accecato dall’amore e dall’entusiasmo. Era un talento naturale, un vero prodigio. Uraume non biasimava Sugawara per la decisione di addestrarlo. Era stato quel repentino cambio di comportamento ad impensierirlo. 

Quelle parole furono un vero e proprio un fulmine a ciel sereno. 

“Non lo accetto” Ryoma sembrava fermo nella propria convinzione.

“Sei solo uno stupido ragazzino”

“Non sembravi pensarla in quel modo l’altra notte" Michizane arrossì al solo ricordo. 

Quello era stato il maggiore dei propri errori, innamorarsi di quel giovane disgraziato, affezionarsi a lui. Era stato questo a contaminare la propria capacità di giudizio. 

Sugawara non era mai obiettivo quando si trattava di Ryoma, era l’ennesima lezione che avrebbe imparato a proprie spese. 

“Ora hai esagerato” ribadì aprendo la porta della propria stanza ed invitando il più giovane ad uscire.

“Non credere di cavartela tanto facilmente”

Per un solo istante quelle iridi di fuoco gli ricordarono il mostro protagonista dei propri incubi.

 

***

 

Quella notte Sugawara non riuscì a prendere sonno. Continuava a rigirarsi nel proprio futon perso in mille e più pensieri. Allonarsi da Ryoma gli era parsa la soluzione ideale, l’unica via percorribile. 

Non appena la stanchezza lo colse venne investito dall’ennesima visione. Rivide il Re delle maledizioni aggredire dei poveri innocenti per puro diletto. Distruggere un intero villaggio con la propria freccia infuocata. Ancora una volta era troppo da sopportare. 

Abbassò il capo, trovando i resti di una lancia ai propri piedi. Per una volta l’oggetto gli parve consistente, tangibile, allungò un braccio. Fu allora che delle nuove urla catturarono la sua attenzione,

“Ora basta Ryoma” gridò prima di scagliare quell’arma contro quel mostro. Desiderava solo fermarlo, mettere la parola fine a tutto quel dolore.

“Sugawara-san?!” 

Quando Michizane riaprì gli occhi si trovò con le mani sporche di sangue. 

Si voltò verso quella voce familiare ormai ridotta ad un sussurro. 

“Ryoma?” domandò incerto. 

Non poteva essere vero. Era stato davvero lui a colpirlo? Doveva trovarsi ancora all’interno di un sogno. 

Il proprio apprendista lo fissò con la stessa meraviglia. 

“Sugawara-san perche?" mormorò prima di perdere i sensi.

 

***
 

Quando Uraume giunse sulla scena stentò a credere ai propri occhi. Michizane se ne stava riverso a terra, in un lago di sangue. Stringeva tra le braccia Ryoma. Il pallore del suo volto era innaturale così come la sua espressione priva di ogni calore o emozione.

“Cosa avete fatto?” lo accusò senza il minimo pudore. 

Lo stregone leggendario scelse di rimanere in silenzio.

“Cosa avete fatto?” ripeté, questa volta con maggiore convinzione. 

Sugawara sembrava un burattino, un guscio vuoto, un pupazzo privato della propria linfa vitale. Accecato dall’ira Uraume cercò di afferrare il giovane dalle sue braccia ma venne allontanato da una barriera. 

“Può ancora salvarsi” tentò ma il maggiore scosse nuovamente il capo.

“No”

“Sugawara-dono la prego” 

Ryoma scelse quel momento per aprire i propri occhi. Stava lentamente perdendo conoscenza, cadendo verso la pace e l’oblio del sonno eterno. Non era così che si era immaginato la propria morte ma una parte di lui arrivò a pensare che non fosse affatto male andarsene per mano dell’unica persona che mai avesse amato.

Riuscì solo ad udire poche parole che tuttavia furono sufficienti a spezzargli il cuore.

“Credimi è meglio così” 

Sagawara desiderava la sua morte. 

Con questo pensiero si arrese all’inevitabile.


***

 

Era meglio così. Sugawara era completamente sotto shock e mormorava frasi sconnesse. Tra le sue braccia Ryoma aveva cessato di sanguinare e all’apparenza anche di respirare.

Doveva trattarsi di un sogno, non poteva che essere altrimenti. 

Aveva pugnalato il proprio apprendista. Era arrivato a confondere dimensione onirica e realtà. Quelle visioni gli avevano fatto perdere completamente il senno.

Perdonami.

Con le poche forze rimaste estrasse la lancia ancora nel costato di Ryoma per poi puntarsela alla gola. 

Mi dispiace




 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4064048