Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** Rosso di Sera - Shanks x Mihawk *** Capitolo 2: *** Moncherino - Shanks x Luffy *** Capitolo 3: *** Cura - Zoro x Luffy *** Capitolo 4: *** Lanterna - Sanji x Nami *** Capitolo 5: *** Mutual pining - Mihawk x Zoro *** Capitolo 6: *** Salsedine - Luffy x Zoro, Zoro x Sanji *** Capitolo 7: *** Vergogna - Nami e Luffy, Zoro x Luffy *** Capitolo 8: *** Cielo terso - Shanks x Luffy *** Capitolo 9: *** Caccia - Bagy *** Capitolo 10: *** Poker - Mihawk x Shanks *** Capitolo 11: *** Perle - Usopp x Nami *** Capitolo 12: *** Clown - Bagy x Shanks *** Capitolo 13: *** Quadro - Nami e Luffy *** Capitolo 14: *** Ripostiglio - Zoro x Sanji *** Capitolo 15: *** Amnesia - Zoro, Mihawk, ciurma *** Capitolo 16: *** Cambusa - Zoro *** Capitolo 17: *** Tradimento - Nami *** Capitolo 18: *** Kidfic - Shanks, Luffy *** Capitolo 19: *** Schiaffo - Nami e Zoro *** Capitolo 20: *** Sigaretta - Zoro x Sanji ***
Capitolo 1 *** Rosso di Sera - Shanks x Mihawk ***
«Sei veramente un pessimo bevitore.» Mihawk
faticava a reggersi in piedi ma non era certo quello messo peggio: Shanks
ciondolava pericolosamente sulla sabbia, affondando a ogni passo. «Non sei
capace neanche di camminare, sei un disastro.» Cercava di dirlo in modo serio,
mantenendo un certo distacco, ma faticava perché la scena era davvero buffa.
Per quanto sarebbe stato facile prendere come bersaglio il suo amico, ne
avrebbe avuto da ridire anche per sé, considerando la fatica che stava vivendo
nel mantenere egli stesso un equilibrio quanto meno decente.
Avevano alzato troppo il gomito, era un dato di fatto, ma la situazione
rasentava il ridicolo: aveva dovuto recuperare il braccio del pirata e
adagiarselo sulle spalle per evitare di vederlo rovinare a terra come un
idiota. Shanks da una parte, la bottiglia di rum dall’altra, e la pazienza che
ormai s’era scordato come fosse fatta.
«Io ti lascio qui.» Mihawk sorrise ironico. «Giuro
che ti abbandono qui, pesi troppo.»E lo
fece cadere a terra, sollevando migliaia di granelli dalla rena. Shanks rise e
lo trascinò giù con lui, facendolo cascare sulla spiaggia, entrambi ricoperti
di sabbia e di risate. Anni, forse almeno un decennio, in cui Occhi di Falco
non rideva, e pure di gusto; nemmeno nelle occasioni più leggere perdeva il
proprio mordente, ma la cosa stava prendendo una piega ancora più assurda.
«Mi…Mihawk, guarda. Guarda il cielo, guarda quanto è
bello.»
«Serio, Shanks? È un cielo, sempre lo stesso cielo.» Ingollò ancora un lungo
sorso, per poi stendersi godendo del solletico dei granellini dorati sulla
nuca. «Era ieri così, è oggi così, domani sarà così.»
Shanks lo imitò, stendendosi a sua volta. Pretese altro alcool con un gesto
tipico della mano, negato dall’altro. Non gli avrebbe ceduto gli ultimi sorsi,
oh no, Shanks se l’era già scolata tutta la sua bottiglia, perché avrebbe
dovuto rinunciare? Il pirata lo sovrastò e lo baciò, succhiandone le labbra in
modo scoordinato.
«Ecco, adesso va meglio.» Mihawk si sollevò, indeciso se spaccare la bottiglia
e minacciarlo di morte, oppure se ridergli semplicemente in faccia per un gesto
tanto… idiota. Non trovava un altro aggettivo per descrivere la situazione, la
mente era troppo annebbiata dai fumi dell’alcool per riuscire ad avere fantasia
negli insulti. «Non osare di nuovo, potrei…»
«Potresti cosa, Mihawk, approfittarne?» Shanks non
era capace di mantenere un minimo di serietà in quello stato, riusciva solo a
malapena a focalizzarsi su quel tramonto così rosso, così vivace nonostante la
vista annebbiata.
«Bah, non vali nemmeno la mia attenzione.»
«Ci proverò meglio la pross… prossima volta, allora…»
«Cosa?»
La risposta fu il silenzio. L’uomo si voltò verso Shanks vedendo come si fosse
perso nell’osservare qualcosa di indefinito sopra di sé, forse un ricordo, o un
desiderio. Ci provò anche lui, la bottiglia ormai vuota giaceva al suo fianco.
Guardò, osservò le nuvole farsi strada sulle loro teste con lentezza
inesorabile: le sfumature di quel cielo gli riportarono alla mente episodi
condivisi, momenti che credeva di avere seppellito in una memoria sigillata per
forza di cose e per il proprio benessere. Non se ne rese nemmeno conto quando
il suono delle sue lacrime si scontrò con la spiaggia sotto di lui.
«Siamo sentimentali, stasera, eh?» Lo disse ridendo, Shanks, mentre il magone
gli stava schiacciando lo stomaco. «Lo ricordi anche tu, vero?»
«Fatti i cazzi tuoi.»
«Lo sai che è più forte di me.» Le ginocchia di Shanks premettero contro i
fianchi di Mihawk, si era issato su di lui senza
chiedere il permesso, senza aspettare un assenso. Lo baciò di nuovo in modo
profondo, scoordinato, impacciato, fino a che un cazzotto lo raggiunse in
pieno.
«Cosa cazzo fai! Volevo solo lasciarti un bel ricordo, una volta tanto!»
«Ficcandomi la lingua in bocca?»
«Faccio quello che posso, cretino!»
«Perché stai piangendo, Luffy?»
Shanks guardava il suo prediletto con un sospiro di comprensione, già lo
sapeva: accadeva a ogni loro incontro, nonostante gli anni passassero e il più
piccolo crescesse sempre di più. Ormai poteva considerarlo un adulto, anche se
in lui vedeva sempre e comunque il bambino combinaguai e pieno di energie che non
era mai capace di stare fermo, nemmeno per un attimo. Glielo disse
carezzandogli il capo con quel gesto paterno che riservava a Luffy soltanto, sapeva di stare confortandolo a modo suo,
anche se aveva la certezza non avrebbe comunque funzionato. Un ragazzo così
testardo non sarebbe mai cambiato in fondo, e andava bene così.
«Lo sai già, non devi chiedermelo…»
«E invece lo faccio, perché ho bisogno di saperlo da te, non da me, capisci la
differenza?» Luffy fece di no non la testa, scuotendo i capelli
scuri con vigore. Non capiva perché non voleva parlarne, non voleva capire
perché si vergognava di piangere ancora davanti a chi era più importante di
chiunque altro.
«No, non capisco, e non voglio capire…» le ultime parole sussurrate appena.
Shanks sospirò, gli si avvicinò e si aggrappò al cappello di paglia che gli
aveva regalato. «Ricordi perché te l’ho dato? Volevo fossi tu a tenerlo, voglio
starti vicino sempre, e ti proteggerò come meglio posso. A fronte di questa
promessa ho bisogno tu sia sincero con me.»
«Il tuo braccio… è colpa mia, lo è sempre stata… non fosse stato per m-»
Venne zittito, la tesa del cappello a coprirli entrambi. Shanks lo baciò
mescolandosi al sapore di quelle lacrime che tanto gli facevano male. Avvertì
chiaramente Luffy irrigidirsi e poi accasciarsi su di
lui, completamente rosso in volto.
«Sarà sempre così, non puoi cambiarlo.»
«Io non voglio cambiarlo, non possiamo modificare il passato, possiamo soltanto
andare avanti e portarci il suo peso.» Luffy si era aggrappato al suo mantello, scosso dagli
ultimi fremiti dolorosi. Ogni volta che lo incontrava ricordava, e i ricordi
gli facevano tanto male… chissà dove sarebbe potuto arrivare Shanks se lui non
fosse mai stato lì: il frutto del Diavolo, il braccio, Luffy
gli aveva preso fin troppe cose preziose. E non sarebbe mai riuscito a darsi
pace.
Anche se non aveva più il coraggio di alzare il capo, dopo ciò che era appena
accaduto. Non sapeva come affrontare lo sguardo di chi aveva sempre considerato
come un padre, più che come un amico, che aveva appena fatto qualcosa che non
avrebbe mai saputo descrivere nella totalità di emozioni provate. Troppe,
contrastanti.
«Ehi, non avrò più un braccio ma ho sempre un cuore, e tu sei qui. Lo avrai, ti
seguirò ovunque ti porterà il tuo spirito, futuro re dei pirati. È una
promessa.»
Il sorriso del ragazzo si illuminò della più sincera ammirazione.
«Prometto che lo farò anche per te, e arriverò dove non sei mai arrivato!»
Respira. Respira… respira! Zoro
si era tuffato nell’immediato, Luffy era stato
scaraventato in acqua dalla tempesta mentre faceva di tutto per proteggere la GoingMerry dai danni del
maltempo. «Idiota!» Respira! Era riuscito a nuotare in profondità abbastanza in fretta da recuperare
quella testa di sughero di capitano che si ritrovava, mentre quest’ultimo
affondava fin troppo velocemente. L’aveva recuperato dal buio dell’abisso in un
soffio, nuotando più in fretta che poteva.
Ne aveva bevuta di acqua, pensò, mentre praticava il massaggio cardiaco. Respira, Luffy…
Respira, cazzo! Affondò più ossigeno possibile in
bocca, continuando a praticare la manovra, sperando di essere arrivato in
tempo. Ancora… non è abbastanza… ancora!
«Stavolta se l’è vista brutta…» Usopp stava
vegliando su Luffy che dormiva beatamente, un lieve
pallore a dipingerne il volto stremato.
«Non è colpa mia se è stato uno stupido.» Zoro credeva di averlo perduto, il
suo cinismo rispondeva per lui. Ancora aveva la tachicardia al pensiero di
stringerlo tra le braccia esanime.
«Ha difeso quello che per lui era importante, non dire così.»
Il silenzio penetrò pesante nella stanza, nessuno pareva voler continuare un
discorso spinoso che andava comunque affrontato, a fronte del ruolo di capitano
di nave pirata di Monkey D. Luffy.
«Zoro, ma non c’è una cura?»
Lo spadaccino si avvicinò al letto occupato, poggiando la mano sul petto del
suo capitano e constatando come stesse respirando regolarmente ora. Si fece più serio, mise da parte
l’ironia con cui di solito parlava e rispose con sincerità. «No, non
credo esista qualcosa del genere.»
«Mi sembra strano, da quando… ecco, da quando hanno saputo che effetti
procurava mangiare quei frutti, credo qualcuno abb-»
«Non ne ho idea, Usopp! Se l’avessi saputo avrei già
provveduto ad aiutarlo, non credi?»
Il cecchino si sentì punto sul vivo, non voleva disturbare e non era lì certo
per farsi trattare male, anzi, ma che poteva farci se si preoccupava
eccessivamente di chiunque e per qualunque cosa? Doveva esserci una soluzione,
non poteva pensare ad altro.
«Non è che se sei riuscito ad aiutare Kaya lo puoi fare con tutti, non funziona
così.»
«Ma sono sicuro che se…»
«Se un cazzo!» I palmi di Zoro sul bordo di legno del letto provocarono un
tonfo sordo, portando Luffy a una reazione lontana di
disturbo e disapprovazione.
«Scusami, io volevo solo dare una mano.» Usopp si
avviò verso l’uscita della camera, «o almeno cerco di farlo a modo mio. Non
sono abile o forte come te ma a speranza non mi batterai mai, fai schifo su
quello.» E uscì.
Zoro avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma sapeva che Usopp
aveva perfettamente ragione. Cercare una cura per il terribile effetto
collaterale del Frutto del Diavolo forse avrebbe dato qualche risultato?
Non lo sapeva, avrebbe potuto provarci ma intanto aveva colto una cosa, che Usopp aveva perfettamente ragione.
«Ah, ma siete voi!» Nojiko accantonò il fucile di sua madre e fece accomodare Nami e Sanji all’interno di casa
sua; «non mi aspettavo di trovarvi qui in questo periodo dell’anno, è presto
per la maturazione dei mandarini, Nami, lo sai.»
«Lo so, siamo qui solo per stare un po’ tranquilli. A volte la GoingMerry sa essere così…»
«Caotica, immagino. Venite pure, avete fame? Posso offrirvi del tè? Per il
pasto lascerei volentieri fare al cuoco, se non è un problema.»
Nojiko stava raccogliendo le verdure nell’orto mentre
i due si stavano godendo un po’ di sano silenzio all’interno della casetta in
legno: si sarebbero fermati volentieri fino a sera, dissero con disinvoltura e
con l’approvazione della ragazza. Le chiacchiere si inseguivano, la nostalgia
aveva preso il posto degli aneddoti del presente riportando le due ragazze
all’infanzia, ai giochi semplici, ai desideri e ai sogni di bambine. Sanji le osservava ammirato, e non dalla bellezza: vedere Nami sorridere così, ridere di cuore, era raro. Sempre
concentrata sul suo obiettivo e sulle carte di navigazione, dava poco spazio
alla leggerezza e ai momenti di svago.
«Venite a vedere, ditemi se vi piace: ho impiegato mezzo pomeriggio per poterle
preparare!» Nojiko trascinò sulla veranda i due,
mostrando entusiasta le sue fatiche: una serie di piccole lanterne fatte a mano
con la carta percorreva tutto il profilo della casa, illuminando di una luce
calda e accogliente, una luce in grado di risaltare sul color ligneo
dell’abitazione. «Allora, vi piace?» Nami batté le mani entusiasta, seguita da Sanji che aveva annunciato la cena. I tre mangiarono di
gusto all’aperto, chiacchierando, ridendo ancora, lasciandosi trasportare dalla
serata e dalle ore troppo rapidamente.
«Sono stata bene qui, sai?» Sanji osservava Nami, le
lucine la illuminavano con delicatezza mentre fuori la sera aveva lasciato il
posto a una nottata tiepida e intima. «Immagino, si vede, d’altronde c’è tua
sorella. È normale.»
«No, dico, con te. Mi sono sentita bene, sì.» Lasciò spaziare lo sguardo sulla
piantagione a cui tanto teneva, sperando di non lasciar trapelare il colorito
acceso sul volto. «È stato piacevole, tutto qui. Non montarti la testa adesso!»
Pronta a rimproverare il solito atteggiamento da Don Giovanni dell’amico, venne
colta alla sprovvista dalla serietà con cui lui la stava guardando.
«Sto solo guardando quanto tu sia bella sotto a questa lanterna, Nami, niente di più. Niente smancerie.» Le prese la mano
tra le sue e ne baciò le nocche una a una.
«Niente esagerazioni.» Le si avvicinò, a un paio di centimetri dal volto;
poteva chiaramente avvertire come il respiro di lei si fece più veloce.
«Niente baci…» lasciò morire la frase mentre le sfiorò appena le labbra con le
sue, in una delicatezza che neppure lui pensava di poter dimostrare.
Anche perché lei non reagì, se non irrigidendosi immediatamente e facendo
difficoltà a spiccicare una singola parola: la sua lingua tagliente e
doppiogiochista per una volta si fece mordere, preferendo lasciare spazio al
silenzio.
(E all’imbarazzo),
Che portarono Sanji a ridere e abbracciarla stretta,
prima di ricevere un ceffone per il tentativo di palparle il fondoschiena da
sopra lo scalino di legno.
Tentativo fallito.
Forse.
A ogni allenamento era sempre più dura: per quanto Zoro
cercasse di distrarsi concentrandosi costantemente nel proprio obiettivo
maggiore, non riusciva a togliersi dalla testa la figura di Mihawk che lo stava
allenando. Non era il tipico pensiero da ragazzino innamorato, quello che
faceva battere il cuore in petto con maggior impeto, o che portava ad arrossire
in presenza della persona coinvolta.
No, per Zoro era diverso, molto più doloroso.
Lo guardava da lontano, cercava di raggiungerlo e avvicinarlo in qualsiasi modo
– letteralmente qualsiasi – eppure un muro fin troppo spesso veniva rialzato in
ogni singola occasione.
Ardeva all’idea di raggiungerlo, di poterlo eguagliare, finanche di superarlo,
ma non era solo orgoglio. Guardami.
Mihawk, sono qui, perché non mi guardi… E gli levava il sonno, lo faceva
soffrire e odiare, detestare tanto da volerlo infilzare con le fidate lame. Mihawk. Non era semplice amore, era
distruttivo.
Mihawk osservava, lo guardava, sapeva. Esattamente come non avrebbe mai potuto
predire Zoro, lui sapeva. E quella consapevolezza se la
teneva stretta, un monito da cui stare il più lontano possibile.
Non per la differenza d’età (non troppi forse gli anni, ma tanti)…
O per il fatto fosse un uomo (non gli era mai importato).
Non voleva, non si arrischiava ad avvicinarsi, per poterlo poi rompere con le
sue stesse mani.
Nascosto da Zoro, nascosto da chiunque se ne stava il sentimento più forte
oltre all’odio che Mihawk avesse mai provato in vita sua, per quello che era
poco più di un ragazzino già abbastanza impegnato ad autocommiserarsi quando
necessario, ad allenarsi dove necessario, a continuare a sopravvivere quanto
necessario.
Sapeva di stare facendo del male, ma ne avrebbe fatto di più se avesse lasciato
il fianco scoperto. Troppe tragedie sulle spalle, ricordi dolorosi ed errori
imperdonabili… notti insonni per i sensi di colpa? Forse, e non avrebbe
trascinato qualcun altro in quell’orrore.
Mihawk era freddo, crudele e instabile.
Ne era perfettamente consapevole, per quello non avrebbe mai lasciato entrare
Zoro nella sua testa.
Anche se lui era già più che presente.
Forse avrebbe dovuto fare qualcosa di più per riuscire a estirparlo, così da
avere una coscienza meno turbolenta, l’agitazione riusciva a mascherarla
perfettamente ma la sua spada cominciava a parlare per lui, più debole negli
scontri con il pirata, meno efficace negli affondi, più lenta nei colpi
ravvicinati.
Si stava tradendo da solo, e non andava affatto bene.
Zoro scansò un fendente, caricò con il massimo dell’energia rimasta: quella
sera l’allenamento era stato parecchio ostico e la notte li aveva raggiunti con
facilità. Stoccò, colpì, nulla.
Mihawk aveva respinto ancora una volta i suoi colpi, con meno facilità rispetto
al solito.
«Che c’è, maestro, ti stai rammollendo?» calcò ironico sull’appellativo scelto,
era particolarmente velenoso in quel periodo.
Mihawk, non indifferente al cinismo tipico con cui comunicavano tra loro,
rispose per le rime insultando lo stile grezzo e poco efficace, palesando come
non avesse nemmeno bisogno di tutta la sua forza per parare tali affondi.
Bugia, era distratto dalla sua presenza, ma non poteva ammetterlo.
Si soffermò un attimo di più su di lui, la cicatrice del petto scoperto era una
firma impressa, un contratto muto; tanto bastò a farsi atterrare da un calcio,
Zoro finito a carponi su di lui.
«Guardami, cazzo.»
«E quindi? È solo questo che vuoi?» No. Zoro si abbassò su di lui, i nasi a sfiorarsi. «No. Lo sai, non sei uno
stupido.»
Mihawk scansò prima lo sguardo e poi il volto, concentrando tutta la forza nel
distrarsi osservando il terreno e i fili d’erba. L’avesse guardato ancora,
avrebbe ceduto, ma non poteva.
«Qualcuno potrebbe preferire d’essere stupido piuttosto che far affrontare
conseguenze inappropriate.» E lo scansò, scansando ancora una volta la
possibilità di parlargli con maggiore confidenza.
«Sei uno stronzo. Mi chiedo ancora che ci resto a fare qui.» Pungevano gli
occhi di Zoro, non lo avrebbe mai ammesso però.
«Resti perché sai di aver bisogno di me.» Non come spadaccino, non come
maestro. Hai bisogno di me, e sono costretto a rifiutarti. A costo di mandarti
via a calci. Zoro si zittì, non contento di
quella conclusione. Se solo avesse dedicato un attimo di tempo in più a
cogliere il segnale…
Capitolo 6 *** Salsedine - Luffy x Zoro, Zoro x Sanji ***
«Guarda, Usopp, quanto sono carini!» Luffy non riusciva a trattenere l’entusiasmo: la giornata
era stata pesante, si erano presi una pausa e avevano passato tutto il tempo a
divertirsi sulla spiaggia. Rincorrersi, lanciarsi in acqua (e le dovute
precauzioni della cosa), bere e mangiare a sazietà avevano portato a un gran
dispendio di energia. La ciurma era distrutta, soddisfatta, le pance piene e gonfie
di delizie.
«Mah, se lo dici tu, Luffy. A me sembrano, strani,
ecco.»
L’odore della salsedine si avvertiva ancora sui corpi ammucchiati, pronti al
meritato e agognato riposo.
Zoro e Sanji già si erano addormentati, buffo il modo
in cui era accaduto: se ne stavano stretti uno all’altro, inconfondibilmente
abbracciati.
«Perché strani? A me piace vederli così.» Usopp si sentiva imbarazzato, tentava di rimodellare
i capelli ribelli ancora ruvidi al tocco. «Senti, lasciali in pace, io vado a
farmi una doccia. Voglio togliermi questa sensazione di dosso oggi.»
Il russare di Chopper non era un disturbo, come quello dei suoi compagni:
quella sera Luffy non riusciva semplicemente a
prendere sonno, non c’era nulla da fare. Se ne stava ancora lì seduto a
osservare i suoi compagni tenersi stretti. Chissà se se ne sono accorti… il
capitano cercava di studiare quelle dinamiche, non ci vedeva mai nulla di
strano; non ci aveva capito granché nemmeno quando li aveva visti baciarsi di
nascosto, e ancora non capiva perché invece non lo facessero alla luce del
giorno. Erano gesti di affetto, come quello di dormire così, quindi perché
negare, o fare finta di nulla?
Più ci si soffermava, meno capiva, e meno capiva più si intestardiva.
Così scelse la via più facile, quella della praticità: si stese accanto a Zoro,
allungò le proprie braccia e li strizzò entrambi stretti stretti
a sé. Calore… riesco a sentire altri cuori battere. Allora è per questo? Zoro si
voltò senza svegliarsi e abbracciò Luffy stavolta,
avvinghiandoglisi e infilando una gamba tra le sue, con la naturalezza di chi
non sapeva nemmeno cosa stesse accadendo. Luffy
avvertì un certo calore diffondersi al basso ventre, mentre lo stomaco si
contorceva come quando aveva un appetito spropositato.
Una acquolina come per i piatti di Sanji.
Una soddisfazione tale come quando si allenava con gli altri.
O quando vinceva contro un nemico ostico.
Era uguale e diverso, e sentì tirare, tirare forte e pulsare. Era doloroso, era
fastidioso, incomprensibile e se ne vergognò lui stesso, prima di ritrarsi come
scottato dalla stretta dello spadaccino. Adesso hai capito perché lo fanno? Sì, si rispose mentalmente. Ed era
spaventoso.
Capitolo 7 *** Vergogna - Nami e Luffy, Zoro x Luffy ***
Nami sospirò visibilmente: quell’incontro sulla
nave aveva qualcosa di strano. Il punto più lontano rispetto alle posizioni
della ciurma, quindi il più appartato, il più silenzioso. Aveva notato un’anomalia
nella richiesta di vedersi da soli, lei e il capitano: Luffy
era un libro aperto, per la prima volta però faticava a leggerlo. «Allora? Come
mai mi hai chiamata qui?»
Era curiosa, sospettosa per natura, ma comunque curiosa come chiunque altro. E
non si interessò a non darlo a vedere.
«Dai, ci sarà un motivo… che fai, il timido così? Non è da te, Luffy.»
Il ragazzo stava adagiato sulla balaustra, ammirava il sole caldo di quel
pomeriggio completamente anonimo, se non per le sensazioni provate qualche
giorno prima, cose a cui non sapeva nemmeno dare un nome.
Non che non ci avesse provato, soltanto non contestualizzava. Sospirò affranto,
lasciando andare lo sguardo su quell’orizzonte che solitamente gli regalava una
calma di cui ora aveva un gran bisogno.
«Cosa si fa quando si ha caldo?» Nami gli scoccò un pugno sulla testa senza cerimonie:
tutta una aspettativa creata per una domanda così idiota?
«Ma sei serio? Davvero? Ma che domande sono! Non lo so, mettiti all’ombra, bevi
di più, fatti una doccia fresca, inventati qualcosa insomma, qualcosa che non
preveda farmi perdere tempo per niente.»
Era stizzita, si aspettava di più, qualcosa di più interessante visto l’umore
altalenante del capitano negli ultimi due giorni. Qualche segreto, non domande
simili per risposte ovvie.
«No! Quando si ha tanto, tanto caldo.»
Secondo colpo.
«Luffy, ti conviene spiegarti, perché se davvero è
questo che dovevi chiedermi, puoi anche andartene a
mare.»
«No, non capisci. Sto parlando di quel tipo di caldo,
quello che non va via, quello che torna quando ci pensi, quello che… che fa
male alla pancia, sotto la pancia, proprio qui.» E indicò con un dito la zona
inguinale. «Cosa si fa quando fa caldo qui?» Nami voleva buttarsi tra le onde e sparire più in
fretta possibile: avvampò a disagio. Questo si provava quando un bambino
inesperto chiedeva certe cose per la prima volta? Probabile, perché Luffy stavolta era il suo bimbo inesperto e non era pronta
ad affrontare discorsi del genere con lui. Ancora più rossa in volto cominciò a
balbettare un paio di informazioni basiche su come funzionasse il corpo umano
maschile.
«No, ma quello lo so, volevo sapere cosa fare senza Zoro.»
Zoro?
Zoro era la persona che gli aveva scatenato quelle reazioni? Davvero? Sbatté la
fronte contro la balaustra, ormai avvertiva chiaramente il calore della
vergogna abbattersi sul volto e sul petto: la rapida immagine di Luffy e dello spadaccino ormai si era già materializzata
davanti agli occhi, fu costretta a un enorme sforzo per evitare di emettere
quel gemito esasperato che aveva provocato tale immaginazione.
«Vai a chiederlo a lui, VAI!» Urlò l’ultima parola, cancellando di forza la
scena successiva, ben più appagante della precedente.
«Nami? Sei sicura di star bene?»
«No! Adesso vai!» Nami aveva sperimentato esattamente
la stessa sensazione che Luffy aveva tentato di
spiegarle poco prima.
«Quant’è che non beviamo assieme, io e te?» Shanks offrì a Luffy la
propria bottiglia, attendendo il ragazzo si versasse il contenuto in un
bicchiere. Questo rifiutò, ammettendo di aver già mandato giù abbastanza
alcool.
«Non ti credo, dai, grande e forte come sei adesso ti tiri indietro per un po’
di questo?» Ciondolò il vetro pesante con la mano, come a richiamare l’amico in
modo invitante.
«No, proprio no, Shanks, giuro che non ce la faccio più…» Luffy era nauseato,
palesemente nervoso. Dopo quel bacio di dispiacere, impastato e triste, non si
erano più rivisti e adesso Shanks si comportava come niente fosse stato.
Che non stesse ricordando nulla di ciò che era accaduto qualche tempo prima? Un
po’ ci sperò, un po’ invece desiderava che lui tirasse fuori l’argomento per
poterne quanto meno discutere da uomini maturi, uomini di mare. Invece, mentre
il pirata finiva di scolarsi la bottiglia di rum, lui si fermò a guardare
oltre: oltre i capelli rossi di Shanks, oltre il ricordo di quel gesto pazzesco
e terrorizzante, oltre a tutto quanto. Si soffermò sull’aria fresca, su quel
cielo terso e immenso che da sempre vegliava su di lui con la sua grandiosità;
le nuvole correvano veloci, segno del tempo che stava cambiando. Come rapito si
concentrò ancor più, cercando di cogliere ogni sfumatura, ogni colore, ogni
tonalità di quel celeste senza fine.
«Pensi mai alle cose che fai?» Una domanda legittima la sua.
Shanks fece cadere ciò che stringeva in mano, stupito da tale richiesta. Certo,
certo che lo faceva, e fin troppo spesso. «Ovvio, perché, tu no?»
«Non era ciò che intendevo, guardami e te lo richiedo. Ci ripensi mai?»
L’uomo continuava a non capire, adocchiando il volto del giovane con aria
interrogativa. Sbottò dopo aver fugato ogni dubbio con uno o due tentativi di
concentrazione, abbastanza labile grazie allo stato alterato. «Ah, intendi
quello? Certo che ci penso!»
Ma il discorso cadde lì, pesante, sulla nave. Il tonfo non c’era stato, ma
Luffy l’aveva avvertito chiaramente: il peso di parole dette alla leggera senza
dare un minimo di significato in più.
«E allora?»
«Allora cosa? Vuoi essere più chiaro? Ti va una birra?»
Luffy si spazientì, forse la prima volta dopo troppo tempo: «non cercare di
cambiare argomento! Allora, mi dici? Allora cosa? Vuoi che sia chiaro?» Si
sporse su di lui tanto da arrivargli a pochissimo dal volto, «cosa è stato
quello che c’è stato?»
«Eh? Spiegati.»
Lo sguardo di Shanks cambiò, pareva aver colto la sottigliezza di una domanda
fin troppo generica per essere interpretata correttamente al primo colpo. «Oh,
vuoi sapere perché è successo?»
«Beh, sì, credo.» La spavalderia con cui Luffy gli si era rivolto era
improvvisamente sparita. «Sì.»
Shanks lo sovrastò in altezza, lo raccolse a sé sbilanciandosi e cadendo a
terra con lui. «Dovresti averlo capito da solo, direi.» E scoppiò a ridere con
ancora il peso del ragazzo sul suo bacino. «Dai, andiamo, gli altri ti staranno
aspettando.» Fu difficile rialzarsi scansandolo, avrebbe volentieri perso
ancora qualche attimo così ma calcolò non fosse il caso in condizioni simili.
Luffy a volte sapeva essere terribilmente ingenuo, anche dove sarebbe stato
facile capire per chiunque: chiunque, tranne lui. Allora gli avrebbe lasciato
il tempo per arrivarci.
Bagy non seguiva un codice
preciso. Onore di pirati a pirati fino a un certo punto. Una taglia succulenta
era pur sempre un bel bottino a cui ambire.
L’odore pungente del sangue lo stuzzicava, inebriava i suoi sensi e le sue
aspettative: la preda era vicina, poteva avvertire il sentore della sua paura e
di una sorta di tradimento non scritto.
Ebbe il tempo di sentir sussurrare “sei un pirata… perché cacci noi pirati…” e
il coltello affondò numerose volte nella carne. Bagy rideva, gli schizzi cremisi sul volto.
Rideva anche quando la vittima tentava di divincolarsi.
Continuava a ridere mentre quest’ultima smetteva di dimenarsi.
Il vantaggio di aver ingerito il frutto del Diavolo gli permetteva di puntare a
individui con piccole e medie taglie senza difficoltà.
La prima volta fu strana, una sensazione di una sorta di ingiustizia divina a
portarlo uno contro gli altri. La seconda già fu migliore. Di decine che aveva
portato a termine, questa era stata la più divertente, forse la più
performante, e anche la più difficile: non si trattava di un pirata qualsiasi,
qualche milione pendeva sulla sua testa di ricercato.
La Marina d’altronde non poneva questioni su chi consegnasse il corpo, per loro
feccia che eliminava altra feccia andava bene uguale. Pagavano, sorridevano
ironici e poi lo congedavano. Pirata cacciatore di pirati, come un assassino
della stessa famiglia.
Un codice non c’era, i berry valeva più dell’onore.
Un onore di cui non aveva bisogno, e la ricchezza cresceva. Alleato della
Marina, nemico dei suoi amici. Bagy alzava le spalle,
puliva soddisfatto le proprie armi e fischiettava, canticchiava, ne avrebbe
raccontate di storie se solo non fosse stato allontanato da chiunque. Poco
importava, la ricchezza era tutto sui mari.
Luffy aveva provato a far cambiare idea a Bagy, spingendolo nella direzione di una qualche redenzione
fittizia, ma a lui non importava redimersi. Non credeva in alcunché se non la
fortuna accumulata, non c’era un paradiso per lui, non c’era per nessuno di
loro; allora perché insistere? Lo minacciò, sapeva di non poter niente contro
di lui come dimostrato dal loro ultimo scontro, ma la sua lingua parlava più
forte della sua ragione, e la consapevolezza aveva lasciato spazio a una
irrazionalità irriverente. Il fascino di Bagy per il
non seguire nessun tipo di regola o credo era sufficiente a renderlo un
obiettivo interessante agli occhi di Luffy, fin
troppo legato alle aspirazioni, ai sogni di ragazzo, alla legittimità e
fiducia.
«Non tirare troppo la corda ragazzino, o sarai il prossimo.»
«Tu provaci ma non puoi evitare che io provi a cambiarti. E ce la farò, ti farò
capire cosa vuol dire rispettarci tra noi!» Luffy ne
era davvero convinto, nonostante si fossero già incontrati. Ancora credeva di
poterlo cambiare anche se già le loro idee divergenti avevano avuto modo di
esporsi.
Ingenuo.
Rise Bagy, sapendo quanto quel mondo crudele se lo
sarebbe mangiato in un solo boccone.
«Dai, un’ultima
partita, poi abbiamo finito.» Shanks pregò Mihawk di fermarsi ancora e tenergli
compagnia per una ulteriore – a sua detta ultima – partita di poker. Già
avevano passato buona parte della serata a bere, a rivangare i vecchi tempi e a
palesare aneddoti ridicoli di giorni passati, ma la notte ormai si era
accaparrata il proprio posto nel mondo; più la luna cresceva in cielo, più
l’umore di Shanks si faceva cupo.
«Strano, uno come te che perde improvvisamente la lingua lunga che si ritrova?»
Mihawk si divertiva a punzecchiarlo con la sua tipica parlata cinica, non
poteva farne a meno; riuscire a strappare una qualsiasi reazione a quel uomo
dava sempre non poca soddisfazione. «Dai, servi le carte, sto aspettando.»
«E se rendessimo la cosa più interessante?»
Lo spadaccino squadrò il pirata, gli occhi illuminati dalla tipica carica
combattiva. «Stiamo già scommettendo a soldi, e a quanto pare sto vincendo. In
che altro modo vorresti rovinarti stasera?»
«Oh, lo scoprirai.»
Che Shanks fosse un bravo giocatore di poker Mihawk l’aveva scoperto troppo
tardi: scommettere a berry era da tutti, chiunque giocasse a carte ci metteva
sempre un po’ del suo. E Shanks perdeva ripetutamente.
Fino a che l’uomo non si trovò seduto in mutande su un barile.
Letteralmente.
«Da quando ti intendi di strip poker?»
«Oh, da quando so che sei mezzo ubriaco e abbiamo alzato la posta. Perdere
qualche moneta non mi interessa, se questo può portarmi a vederti così.»
«Come?» Una aura oscura avvolse Mihawk dal momento in cui avvertì chiaramente
di essere stato preso in giro.
«Sei poco furbo, Occhi di Falco, tutto qui!»
«Un’ultima mano, e ti farò vedere io chi è il furbo, qui. Servi le carte.»
«Se ti vedessero…»
«Non dire una parola. O ti ammazzo.»
«E queste da dove verrebbero fuori?» Nami osservava guardinga
ciò che era custodito tra le mani di Usopp, un piccolo tesoro, decisamente raro
da quelle parti. «Sono bellissime, dove le hai trovate?»
I riflessi violacei di quelle perle particolari erano splendidi, donavano alle
piccole sfere un aspetto ancora più gradevole sotto alla luce del sole. Il
ragazzo se le rigirò tra i polpastrelli, dubbioso.
«Pensi possano essere alla sua altezza?»
Nami capì, e si intenerì: dopo tutto quel tempo?
«All’altezza della ragazza più ricca del tuo villaggio? Mmh, fammici pensare…»
Usopp sospirò: aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi per acquistarle e farne
un gioiello per Kaya, sicuro avrebbero raggiunto la destinazione desiderata
prima o poi.
«Certo, stupido. Ricorda che per le persone è più importante il gesto, non
certo il valore.»
Lui rise considerando di star parlando con una ladra, non soltanto con una
navigatrice. «Ma da che pulpito!»
«Beh, c’è chi come me sa riconoscere anche la bellezza del portamonete pieno…»
«Ora ti riconosco! Senti, potresti darmi una mano?»
«Ecco fatto, non è stato facile ma sono riuscita a includerle tutte. È
elastico, quindi si potrà adattare al polso di Kaya senza problemi. Sai, non
credevo pensassi ancora a lei, dico, ancora adesso…»
Usopp si rabbuiò osservando l’operato di Nami, era stata brava: aveva creato un
bracciale per la ragazza che lui aveva lasciato sulla sua isola natale, e non
sapeva nemmeno quando l’avrebbe rivista. Sentì pungere agli angoli degli occhi,
aveva davvero voglia di piangere una volta tanto.
E lo fece, senza nemmeno rendersene conto.
«Scusami, non… non volevo, Usopp… scusami…» Nami lo strinse a sé, lo coccolò
quel poco che poteva permettersi per non sembrare imbarazzante, e ascoltò il
suo silenzio. Non doveva essere facile per lui, senza nessuno accanto se non
Kaya ad ascoltarlo e a divertirsi con lui; si chiedeva come avesse fatto, se
mai fosse riuscito a superare quel distacco tanto doloroso. Si chiese pure se
fosse stata una scelta saggia quella di Luffy di arruolarlo nella sua ciurma,
tra pericoli, pirati e grandi sogni difficili da realizzare.
I singhiozzi aumentarono, fino a che non sentì la maglietta bagnata. Gli
carezzò il capo, distratta dai suoi stessi pensieri, e lo avvicinò maggiormente
al petto: sembrava un bambino spiazzato.
Sì, doveva essere tanto difficile per lui. Lei d’altronde aveva già accanto la
persona a cui teneva più di chiunque altro, ma non l’avrebbe mai ammesso.
«Tra tutti, sei il mio preferito.»
Shanks sorrise genuinamente nel sentirselo dire. In quel momento non volle dare
minimamente peso a quel “tra tutti”, probabilmente ci avrebbe riflettuto su in
modo più specifico forse più tardi, da solo, nella sua spiaggia privata,
imprecando contro il tempo che passava troppo rapidamente. Perché quando era con Bagy,
tutto era troppo veloce.
I suoi orgasmi, le sue voglie, i momenti condivisi, erano tutti troppo veloci. Bagy il clown era troppo veloce a pensare, ad agire, ad
andarsene, e questo Shanks non l’avrebbe mai ammesso, ma lo faceva soffrire.
Invece di ridere, come avrebbe dovuto fare con un clown davanti, aveva soltanto
voglia di piangere.
«Ma è Coco…» i riflessi di un quadro dipinto sulla parete
opposta a Nami rilucevano di un violento aranciato.
«Nami, andiamo!» Luffy
allungò il braccio e recuperò per un pelo la sua navigatrice, immaginandosela scomparire
schiacciata da una parte del soffitto franato. «Non fermarti adesso, dobbiamo
scappare da qui…!» Sentì mordere il braccio, si voltò il tempo di vedere la
ragazza scappare dalla sua presa e correre nella direzione opposta, lì dove
l’incendio stava distruggendo parte del salone.
«Nami!» L’afferrò per i capelli, trascinandola a
forza fuori da lì: di solito era lui lo spericolato, ma il comportamento della
ragazza era da veri incoscienti. Le fiamme l’avrebbero divorata se non l’avesse
ripresa all’ultimo.
«Lasciami… lasciami andare!» Urlava e si dimenava, pareva disperata. E Luffy non capiva, non ci arrivava. Non poteva.
Lo schiaffo lo colpì forte al volto: ormai a distanza di sicurezza
dall’edificio crollato per metà, la domanda era uscita spontanea.
«Si può sapere cosa cazzo ti è preso?»
«C’era Coco lì, Luffy, Coco prima di Arlong…»
Il ragazzo continuava a non capire, cercava un collegamento ma si chiese come
fosse possibile avere un’isola all’interno di un palazzo.
«La mia casa, Luffy… era la mia casa… me l’ha portata
via senza pietà, spero solo sia morto con tutto il male che ha fatto alla
gente!» Era inginocchiata Nami, inglobata
completamente dai ricordi dolorosi, dalla paura, dall’umiliazione. Ciò che
aveva provato stava implodendo in lei, tremava agitata, ancorata al pavimento
solo con le ginocchia. Cadde in avanti, reggendosi a fatica sulle mani. «Tutto,
mi ha rubato tutto… fottiti!» Gridò e pianse fino a perdere la voce. Luffy la raccolse mentre ancora piangeva,
allontanandosi dalla costruzione centrale di Arlong
Park. L’aveva rasa al suolo, così come Arlong stesso
aveva distrutto il villaggio di Coco e la vita dei suoi abitanti.
«Andiamo Nami, andiamo a casa.»
Collassò tra le braccia del suo futuro capitano.
Era uno spazio angusto, una pessima, davvero pessima idea,
pensò Sanji inizialmente. Quando però venne sbattuto
malamente contro la superficie della parete di quel piccolo ripostiglio, lasciò
perdere ogni singolo pensiero idiota che aveva regalato a quello stanzino
striminzito.
I corpi appiccicati si cercavano con fame, l’abito da sera con cui Sanji si era presentato alla festa – stupida penalità di un
altrettanto stupido gioco vinto da Zoro – era scivolato fino alle cosce,
lasciando intravedere le calze a rete a maglia larga che indossava con uno
stress non indifferente.
Una pessima idea anche quella, si disse, prima di sentirsele strappare da dietro
con foga ed essere penetrato senza troppe cerimonie da Zoro, fin troppo
impegnato ad ammirare il suo ragazzo vestito da signorina dell’alta società. Lo
eccitava da morire, strappò ancor più il tessuto a farsi spazio tra le sue
gambe, afferrandogli il cazzo umido, liquido, duro quanto il legno che li
circondava.
«Non trattenerti…» fu l’ultimo avvertimento da parte dello spadaccino, intento
ad aumentare considerevolmente il ritmo, «altrimenti non ti faccio uscire di
qui sulle tue gambe.»
Il corpo era pesante, la speranza era tanta. Il sangue
raggrumato sulla testa non prometteva nulla di buono, ma a questo Mihawk non poteva pensare. Avrebbe dovuto riportare Zoro il
prima possibile alla sua nave, dal suo capitano.
«Da quanto tempo è così?» Luffy era speranzoso, non
voleva dare a vedere di sentirsi spaventato.
«Troppo, aveva già perso i sensi durante l’incidente.»
«Grazie, Mihawk, per averlo riportato da noi. Se si
fosse perduto, non so cosa avrei fatto…» Cappello di Paglia si sentiva in
colpa, non c’era stato, non aveva potuto assisterlo nel primo momento e aveva
dovuto affidarsi a Occhi di Falco per poterlo rivedere sano e salvo. Sempre che
stesse bene.
Chopper aveva definito la situazione quanto meno stabile, anche se i danni si
sarebbero potuti quantificare soltanto al risveglio. L’aveva ripulito, medicato
e fasciato a dovere, mantenendo sempre il sorriso per non fare preoccupare Luffy, ma sapeva bene quanto una ferita del genere avrebbe
potuto in realtà creare danni. Sperava in cuor suo di non imbattersi in ciò che
temeva.
«Dove… dove sono le mie spade…! Sta-stammi lontano, o ti ammazzo.»
Un risveglio degno di nota quello di Zoro. Osservava stralunato Chopper, il
piccoletto aveva mantenuto una debita distanza per non incorrere in eventuali
ire – azzeccandole in pieno. Aveva prontamente nascosto le armi con il
presentimento di doverle tenere celate al proprietario.
«Ridammele, animaletto ridicolo!»
«Zoro, sono io, sono Chopper, adesso devo visitarti! E stai buono una volta
tanto.»
«Chopper? Non conosco nessun Chopper di nota, non so chi tu sia. Vedo però che
sei un medico…» sembrava essersi calmato in qualche modo, colto da un violento
giramento di testa. «Dove mi trovo?»
«Sei nella nostra nave, è tutto a posto adesso.» Il medico illuminò le sue
pupille, controllò equilibrio nell’utilizzo degli arti superiori e risposta nel
movimento degli occhi. Fortunatamente nulla da segnalare. «Ti sto controllando.
Cosa ricordi dell’incidente?»
«Cosa vai dicendo? Che incidente? Ahi… perché mi
trovo qui?»
«Mihawk ti ha portato subito da Luffy,
e io ti ho rimesso più o meno in sesto subito dopo.»
«E chi sarebbero?»
Mihawk ne aveva viste parecchie di cose strane in
anni di navigazione, tra mari differenti, isole sperdute e popolazioni
particolari. Mai aveva visto però Luffy piangere,
quella era la prima volta.
«Non… non mi riconosce, capisci…» lo aveva semplicemente sussurrato, più a se stesso che non allo spadaccino. «Mi tratta con
indifferenza, come se non sa… sapesse nemmeno chi sono… »
L’uomo lo confortò con una semplice pacca sulla spalla, era inadatto a offrire
emotività e supporto al prossimo, non ne era semplicemente in grado. Luffy sapeva, apprezzò e gli strinse il palmo con vigore,
quel tanto per tranquillizzarsi e fermare lo scorrere delle lacrime.
«Quanto tempo pensi ci vorrà?» Sussultò, aspettando una risposta positiva, un
parere sentito, una cifra esatta.
«Non ne ho idea, la botta è stata forte, Chopper ha fatto ciò che poteva.»
Avrebbe voluto dirgli altro, Mihawk, ma non sapeva
che parole cercare e usare pernon
risultare banale. Dimmi quello che voglio sentirmi dire, ti prego… «Non ne sono sicuro, ma…» Ne ho bisogno, inventati qualsiasi cosa… «potrebbe anche non recuperare più i ricordi…» Menti, fallo per me…
«Da quanto tempo
stiamo navigando, Nami?» Zoro sembrava spazientito.
«Da troppo, lo so, ma abbiamo dovuto aggirare la tempesta per evitare danni
alla nave, sai, non possiamo sborsare continuamente berry
per sistemarla a ogni nuovo attracco…» Pareva spazientita, non era la prima
volta che un membro della ciurma di Cappello di Paglia le chiedeva quanto ci
sarebbe voluto per raggiungere un nuovo porto. «Se ti annoi va’, va’ in cambusa
e divertiti con la birra, passa il tempo e non rompermi le palle.»
Esasperata.
Ma Zoro non rifiutava mai una bevuta.
Le scorte di cibo non mancavano certo (strano, considerando quanto quei
disgraziati mangiassero, pensò ridendo Zoro), ed erano quelle che meno lo
preoccupavano. Lo spazio adibito alle scorte di viveri s’era svuotato nel lato
a destra, quello più importante. Contò, ricontò spaventato, indicò con l’indice
per la terza volta i barili di birra e rabbrividì.
Come temeva.
Per sopportare il caos della GoingMerry aveva bisogno della birra, per il mal di testa,
birra. La mancanza di sonno, birra. L’insofferenza verso il prossimo? Birra.
Era troppo tardi, avrebbero dovuto raggiungere la prossima isola in tempo
record.
La testa verde sbucò dalla cambusa, urlando.
«Ehi, Nami, sono preoccupato per la scorta di birra! Dopo
questo barile e l’altro barile c’è rimasto un solo barile!» (semicit. Se la indovini ti meriti un biscottino!)
«Taci! Se te li regalo, mi prometti di startene zitto chiuso lì sotto?!»
«Ai suoi ordini, signora!»
«Come hai potuto…»
«Suvvia, questa somma verrà sequestrata dalla Marina, se non reagirai sarai
libera di scappare ed eviterai la forca.»
«Arlong… Arlong mi ha…!»
La consapevolezza colse Nami come uno schiaffo
improvviso e violento in pieno volto: non solo Arlong
le aveva negato una infanzia, rovinato l’adolescenza e la vita… l’aveva
tradita.
La promessa stipulata qualche anno addietro non aveva mai realmente avuto un
valore.
Coco libera per cento milioni di Berry.
E lei ci aveva creduto.
Aveva morso, lottato, mangiato terra, spintonato ma era stata sbattuta
sull’erba umida di quella notte maledetta e il suo tesoro (i milioni pattuiti
con quel bastardo di uomo-pesce) venne confiscato da un uomo dalla faccia di
ratto.
Gli insulti quelli sì, non li aveva risparmiati, ricevendo in risposta un
ghigno soddisfatto, ironico, infantile.
E così l’ultima speranza se n’era andata.
«Non mi manca papà, come può mancarmi qualcuno che non c’è
mai?»
Il piccolo Luffy, nella sua ingenua genuinità,
spiazzò Shanks.
«E poi non può mancarmi, perché io ho te, Shanks! Mi insegnerai a fare il
pirata, a navigare, a scegliere una barca e tutti i miei compagni, vero? Vero?»
Saltellava per l’entusiasmo, inciampandosi sulle sue stesse
infradito. «Lo farai? Me lo prometti?»
Shanks si abbassò alla sua altezza, inginocchiandosi sul terreno, le gambe
stanche e la mente ingombra di tanti di quei pensieri da vorticare nel caos più
totale. «Certo, Luffy, te lo prometto, ma sei sicuro?
La strada del pirata è una strada difficile, e poi sai, tuo nonno…»
«Di mio nonno non m’importa niente, non potrà fermarmi perché avrò te con me!» Gli
si buttò al collo con energia, rovinando a terra e ridendo soddisfatto.
«Diventeremo famosissimi, diventerò più famoso di te e poi faremo a gara a chi
ha la taglia più alta!» Gli saltava praticamente sullo stomaco. «E io ti supererò!»
«Non mi manca papà, Shanks, perché ci sei tu…» La seconda volta in cui lo disse
pareva più convinto, ma anche consapevole. Era una frase non da poco,
importante da dire. La polena della GoingMerry puntava all’infinito, Luffy
strinse forte sulla testa il cappello di paglia a cui teneva così gelosamente. «Ma
se non ci sei tu, come faccio?»
«Non permetterti mai più di dire una cosa del genere.» Nami era infuriata: ciò che Zoro aveva detto di lei
riguardo la sua sensibilità, in realtà, l’aveva ferita profondamente. Mentre si
scambiavano quei piccoli stralci di passato, non credeva lui sarebbe arrivato a
tanto, a insultarla dal punto di vista emotivo.
Il boccale di birra era intatto, aveva perso la voglia di bere, e soprattutto,
di condividere del tempo con lui. Dopo l’ultimo affondo cinico ricevuto, si
alzò e lo colpì in pieno viso, trattenendo a stento le lacrime.
Lavorare per Arlong sì, sacrificarsi per Coco anche,
ma non avrebbe mai permesso a nessuno di urtare il suo essere interiore ferito
in modo così esplicito.
Zoro davvero capì troppo tardi, c’era qualcosa in quella ragazza che ancora non
riusciva a inquadrare, qualcosa di decisamente pericoloso. L’aveva punzecchiata
di proposito, e sì, lo schiaffo se l’era meritato tutto.
La sigaretta quella sera aveva un sapore diverso.
Dopo essere stato palesemente beccato da Luffy e da Usopp a dormire stretto stretto abbracciato a Zoro sul ponte
della nave…
dopo essere finito a far sesso con quest’ultimo all’interno di un ripostiglio
soltanto per aver perso una stupida, stupidissima sfida…
quella dannata sigaretta effettivamente sapeva di buono.
Più del solito.
Più di quando aveva scelto di lasciare la Baratie e Zeff.
Più di quando aveva baciato Zoro la prima volta.
Quella sigaretta, dopo aver palesato a Luffy che lui
e Zoro stavano assieme, aveva un sapore dannatamente migliore.