School Leavers

di Fe_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Occhi di tritone non proprio freschissimi ***
Capitolo 2: *** La peggior supplenza della mia vita ***



Capitolo 1
*** Prologo- Occhi di tritone non proprio freschissimi ***


Prologo

La mattina del primo settembre è un casino; la già trafficata stazione di King’s Cross, uno degli snodi principali del Regno Unito che non si arrende alla comodità degli altri mezzi di trasporto, si riempie di giovani maghi e delle loro famiglie dall’abbigliamento troppo poco sobrio. Le vetrate semicircolari possono poco per illuminare l’ambiente, dato che come spesso accade il cielo è tinto di una triste tonalità di grigio che smorza ogni colore, compresi i bei mattoni rossi della vicina San Pancras, che pur con le architetture vittoriane mostra per lo meno un minimo di personalità.
Entrare attraverso le porte automatiche è come sempre un’esperienza: i cellulari hanno incantato ogni sguardo meglio di qualsiasi obliviatore, impedendo alle persone di notare la famiglia i cui genitori indossano pantaloni a zampa d’elefante e lunghi cappotti viola acceso, o la bella ragazzina dai boccoli d’argento che fissa piena di stupore le vetrine che espongono ninnoli per turisti. Quando la vede guardarsi intorno con aria spaurita, stringendosi nella sua giacca nera che ricorda sospettosamente un mantello, il ragazzo si avvicina e le posa la mano sulla spalla.
«Primo anno, eh? Vieni, il nostro binario è qui sulla sinistra.» Dice, ma lei sorpresa si scosta prima di notare la pesante, anacronistica valigia alle sue spalle. Al gesto improvviso Milkshake, che prima riposava sereno nella sua gabbietta, apre gli occhi e arruffa le penne, bubolando infastidito e attirando attenzioni sgradite. «Dai, non voglio ci notino troppo. Io sono Millard, grifondoro.»
«Oh, scusa. Io sono Tabatha.» Ha tratti perfetti, tondi e infantili ma graziosi, e un abbigliamento che accentua la somiglianza con una bambola: oltre l’orlo del cappotto si può notare una gonna ampia color cipria che spunta di diversi centimetri. Ovviamente, ogni anno ne perdono qualcuno di quelli con pochi contatti con i babbani. Spero solo per lei che non abbia deciso di prendere qualcosa e pagarla coi galeoni, quando lo ha fatto Chris è stato preso per il culo fino al terzo anno oltre ad essersi beccato una convocazione dall’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia che ci ha rovinato a tutti le vacanze di natale! Se si riapre la discussione su chi doveva riprenderlo o controllarlo io…
Passa appena un istante che un’elfa domestica malamente camuffata da un incantesimo trotterella loro incontro, confermando la sua supposizione. “Mademoiselle Roberts”, la chiama con più di una punta d’apprensione, e il ragazzo si sente squadrare da grandi, acquosi occhi carichi di sospetto tanto che il primo istinto è allontanare la mano, ancora protesa verso la giovane.
«Va tutto bene Cakie, mi stava solo aiutando a trovare il binario. È un grifondoro come Betsy! Betsy, Babette, è mia sorella maggiore.» Spiega quindi, rivolgendosi di nuovo verso Millard con un sorriso pieno di gratitudine. Betsy non gli aveva detto nulla, mentre Babette Roberts gli è familiare: evoca l’immagine di una ragazzina rabbiosa del quarto anno con una fila di ammiratori in ogni casata; i suoi geni veela e il carattere assolutamente impossibile cozzano come diavolo ed acqua santa, ma la sorellina sembra non aver preso il brutto atteggiamento da lei. «Possiamo andare insieme, n’est pas
«Certo, vieni Tab… miss Roberts?» Si corregge con una nota di dubbio, dopo che nel cercare di usare il nome l’elfa gi ha rifilato un’altra occhiata carica di disapprovazione. La creaturina annuisce con un gesto brusco, ma poi si infila tra i due maghi in modo da fungere fisicamente da barriera. L’atteggiamento è quanto più simile ad aggressivo abbia mai visto assumere ad un elfo domestico. Forse è per questo che non sembra stronza come Babette, sembra quasi abbia una guardia del corpo. Anche con me, si è fidata subito… può essere pericoloso, però, specie in una stazione.
La stazione si compone di ben undici banchine da cui partono i treni, ma i binari 9, 10 e 11 si trovano convenientemente situati in un luogo più appartato; devono solo svoltare a sinistra, dalla parte opposta rispetto a quella in cui va la maggior parte della folla. Il tragitto è piuttosto breve, eppure la piccola Tabatha pare aver preso confidenza; non sputa un secondo, si ritrova a sospirare Millard, e accoglie la vista del solito ometto che fa da guardia al cancello magico con un sorriso forse un po’ troppo ampio. Il passaggio non-poi-così-segreto, nascosto dall’apparentemente solida barriera tra i binari 9 e 10, è circondato da persone in evidente attesa di poter passare e trovarsi nella magica banchina dell’espresso per Hogwarts: ci sono anche Babette e una coppia di adulti che devono essere i genitori, e Cakie punta direttamente a loro trascinandosi dietro la piccola protetta.
«Puoi venire da noi, se sei da solo!» Dice con aria assolutamente candida Tabatha, ma nel tornare a guardarli il grifondoro può cogliere dalla madre- una signora gnocca come Jadis, la Strega Bianca di Narnia, e probabilmente altrettanto stronza- un’occhiata gelida che in confronto l’elfa domestica pare una novellina. Sente il calore affluirgli alle guance, come colto a fare qualcosa di profondamente sbagliato, e scuote leggermente la testa per declinare l’invito: l’ultima cosa che voglio è passare i prossimi dieci minuti a farmi studiare e giudicare dalla famiglia di una sconosciuta, pensa, ma ovviamente quelle parole non lasciano le sue labbra.
«No, grazie.» Risponde invece, poi accenna col capo ad un ragazzo dai capelli color paglia che sta rivolgendo loro un ghigno divertito. «Avevo appuntamento con un mio amico, vado direttamente da lui.»
Millard si allontana rapidamente dalle due, ignorando accuratamente le parole dell’elfa che somigliano fastidiosamente a “tanto non ci serve, Mademoiselle Roberts”, e si avvia a passo deciso verso Chase che lo saluta pigramente con un movimento lento della mano; è comodamente appoggiato al suo baule, puntellato su un gomito si regge il viso col palmo, e mentre gli si avvicina vede il suo sorriso farsi più largo e i tratti ricordare scomodamente una ranocchia.
«Non è un po’ giovane per te?»
«Fai schifo. Io non inseguo chiunque abbia una gonna.»
«Ah no? Peccato, ho visto Paden prima e ti cercava. Indossa ancora il kilt, per tua informazione.»
Ora che è abbastanza vicino, Millard può lasciare il carrello e tirare un pugno alla spalla dell’amico; quello si finge ferito per un solo attimo, prima di prendere la sua valigia e fare un passo indietro in direzione del divisorio tra i due binari, quasi investendo la vecchia guardia che fa appena in tempo ad accorgersi di lui e schivare di lato.
«State attenti…!»
«Colpa mia! Non osare saltare la fila, Mills, io non ti conosco.» E con quelle parole scompare oltre la barriera magica, trascinando con sé il bagaglio e la gabbietta di un decisamente sorpreso rospo che somiglia tutto al suo padrone. Millard sospira ma non trattiene un sorrisino, poi accenna un saluto verso la guardia e segue il biondo mormorando un “Buongiorno, signor Sinclair”. Quello si limita ad un gesto vago con la mano, che potrebbe essere sia un saluto a sua volta che un permesso di passare, e il grifondoro non se lo fa ripetere due volte: in un attimo recupera il suo carrello e la familiare, fastidiosa sensazione lo investe. Che merda, sembra di passare attraverso un budino freddo. Non possono rendere la magia meno schifosa? Anche Milkshake sembra infastidito dal passaggio, arruffa le penne brune e poi si passa il becco sulle ali, come a pulirsi dalla sostanza che per fortuna non gli è rimasta appiccicata addosso.
Davanti a lui si apre una fiumana di gente, un connubio di colori che fanno a cazzotti anche nell’abbigliamento del singolo, decine di gabbiette in cui corvi e topi sono gli animali meno inconsueti: la magia impregna l’aria. Gli ci vogliono un paio di passi per arrivare a quella che per lui è l’attrazione principale. Oh, gloriosa signora! Sei bellissima, il tuo rosso è acceso come sempre, e le finiture dorate? Pura poesia! Ah- aspetta… il flusso di pensieri reverenziali viene interrotto dalla vista di un gruppetto di ragazze: una con una lunghissima coda di capelli castano cenere sta disegnando sulla parete della locomotiva, dove il treno è scoperto per permettere al fumo che già esce di non intossicare nessuno, tracciando col dito nella polvere figure tonde ed infantili. Una brunetta alta e con gli occhiali la incoraggia aggiungendo sgraziati fiori stilizzati e storti, mentre la più bassa delle tre si sistema la camicia dentro i vistosi pantaloni rossi e continua a parlare.
«Ehi…!» Millard si avvicina al terzetto a grandi passi, completamente dimentico del suo bagaglio e pronto ad attaccar briga con quelle ignoranti che utilizzano le splendidamente conservate pareti di un treno di inizio ‘800 come tela, e nel sentirsi apostrofare la più alta delle tre si volta in uno svolazzo di gonna rosa assolutamente inadatta al clima. «Fanny! Helen. Ve lo dico ogni anno, non disegnate sul treno!»
«Lo stiamo solo rendendo più grazioso!» Ribatte Fanny, le labbra piene atteggiate in una smorfia infantile che non si sposa bene con la sua età effettiva. «E poi quest’anno non usiamo neanche pennarelli, praticamente lo stiamo pulendo!»
«Non deve essere grazioso, è elegante! Un pezzo di storia che state deturpando!» Altro che corvonero, stupide oche siete. E Alex che non vi dice nulla? il grifondoro lancia un’occhiata speranzosa all’ultima delle tre rimasta, l’unica che non stava portando avanti lo scempio ai danni del suo amato espresso, ma trova la compagna di casa intenta a guardarlo con espressione scettica. Quella fa spallucce, come non le importasse che un bene di tale portata venisse imbrattato, ed è solo la miracolosa apparizione di Chase che impedisce di ripetere la manfrina che ha luogo ogni primo settembre da tre anni a quella parte.
Il ragazzo gli posa le mani sulle spalle, per fermare la sua avanzata che di eroico ha ben poco dato che sta per mettersi a litigare con tre ragazze contro le quale perderà miseramente, poi scuote la testa e Millard lo vede solo con la coda dell’occhio.
«Dai, dai, dai. Non serve bisticciare, poi dicono di nuovo che ho una pessima influenza su di te. Ragazze, ignoratelo. Volete un cioccolatino di scuse?» Chiede il biondo, ma l’occhiataccia che rivolge all’amico vuol chiaramente dire “stai zitto e lascia che ci pensi io, coglione.” Almeno, è così che Millard la interpreta, e si limita a serrare le labbra piene in un’espressione di palese scontento.
Fanny sembra tuttavia entusiasta, sul viso torna a splendere il consueto sorriso e si avvicina per ricevere quanto promesso. «Va benissimo!» Dice, e dalla borsetta prende un fazzoletto e una bottiglietta di disinfettante per pulirsi le mani sporche di polvere nerastra. «Sei un tesoro Chase, se vuoi metto una buona parola per te con Madama Pince appena vado.»
«Non serve, godetevi i cioccolatini!» Porge loro un sacchettino, trascinando via quasi nello stesso istante l’amico. Mentre si allontanano sentono stralci di conversazione in cui Helen, la più logica delle tre, chiede alle amiche se non sia stata una pessima idea accettare del cibo da Chase, ma Fanny la rassicura con un ottimistico “Le persone sono buone, in fondo, se dai loro la possibilità di esserlo!”
Povera scema, a fidarsi così della gente presto ci sbatterà il muso e si farà anche male. Pensa Millard, ma c’è un tono di amarezza e rimpianto; per qualche motivo gli torna in mente il sorriso luminoso di Tabatha e l’espressione diffidente della sorella Babette, che gli lasciano un retrogusto amaro sul fondo della lingua.
«Non è una delle tue solite trovate, vero, Chase?» Trova il coraggio di chiedere quando ormai sono lontani, e hanno raggiunto con il suo carello la porta del treno. Accanto alla sua valigia è stato incastrato malamente il baule dell’altro, che gli sta facendo trascinare da solo l’intero peso: le braccia esili gli dolgono, quasi volessero staccarsi dalle spalle per l’eccesso di lavoro. Tuttavia è il silenzio dell’altro a preoccuparlo, ben più dello stato dei propri arti per lo meno. Per l’amor di Merlino, dell’intera tavola rotonda e pure di quella zoccola di Morgana, fa’ che non stia tramando qualcosa. Non può essere convocato dalla preside prima ancora di mettere piede a scuola…
«Solo un piccolo scherzo, Mills. Per festeggiare l’ultimo giorno di scuola.»
Cazzo, lo sapevo. Cazzo, siamo fottuti.
«Non fare quella faccia! Ti spiego tutto in carrozza.» Chase sale con un saltello, evidentemente senza la minima intenzione di aiutarlo a caricare i bagagli di entrambi, così l’ingrato lavoro ricade sulle già doloranti spalle di Millard. E tanti saluti all’idea di non farsi coinvolgere… posso sempre fingere un’amnesia e di non conoscerlo, però, come consigliava Abby. Mi piacerebbe un anno tranquillo, tanto per cambiare.
Infilarsi nella cabina e crollare sul sedile è tutt’uno, il biondo ha già occupato il posto accanto al finestrino mettendosi comodamente con le gambe incrociate e l’unica cosa che gli impedisce di conquistare anche il sedile a fianco è il fragile poggiamano foderato, il cui legno lucido resiste alle ingiurie del tempo. Oh, anche la stoffa sembra nuova, si trova a pensare, quindi si china per osservare le imbottiture trapuntate color cremisi, non c’è neanche una macchia, eppure tanti si siedono con le scarpe o mangiano… dopo oltre duecento anni dovrebbe almeno essere liso. Probabilmente lo ritoccano con la magia, dato che sembrano originali.. «Eh? Lasciamo le valigie così, in mezzo?»
«Non metto la tua valigia di merda lì sopra, già me l’hai fatta portare, non ce la faccio.» Nonostante le proteste di Millard, alla fine è lui a caricare valigia e baule nel portabagagli sopra le loro teste- non senza una certa fatica- perché l’unico contributo rilevabile di Chase è spostare le gabbiette degli animali e infilare un dito tra le sbarre per carezzare Milkshake tra le piume maculate di un’ala, cosa che lo stupido pennuto pare apprezzare e lo fa bubolare di gioia.
Compiuta l’impresa torna a sciogliersi sul suo sedile, quello più vicino alla porta che chiude con la punta di un piede nel modo più delicato che gli riesce. «Non riesco ad alzare le braccia, domani sarò a pezzi.» Risponde all’implicita domanda contenuta nell’occhiata che il compagno di casa gli schiocca.
«Quanto ti lamenti, Mills. Devo ricordarti che fino al quinto anno sono stato io a fare il lavoro? Ora che non sei più un metro e un cazzo è il momento di farti sgobbare un po’.» Nel frattempo Chase si è ulteriormente allargato, ora le sue ginocchia sono piegate per superare il poggia mano e la schiena è posata contro la parete esterna, la testa piegata per guardare comunque la banchina piena di famiglie che si salutano e amici che si incontrano. Millard sospira, allungandosi appena per colpirgli il polpaccio, ma quello si limita a scuotere l’arto e ignorare il rimprovero che quello significava. Stronzo e incivile.
«Almeno togliti le scarpe.»
«Poi ti lamenterai che mi puzzano i piedi.»
«Allora togli i piedi dal sedile.»
«Non vuoi sapere cosa ho fatto a Fanny e alle altre?» Gli occhi grigi gli brillano della luce malandrina che Millard ha visto innumerevoli volte nel corso degli anni, e che sa che significare guai seri- se per le ragazze o per loro, tuttavia, non sa ancora dirlo. Stringe le labbra, saettando con lo guardo alla posa scomposta del biondo e poi al suo viso, che da rospo si è fatto più simile ad una volpe. Troppo furbo, per il suo bene e per il mio. Abby me lo diceva sempre che prima o poi mi avrebbe fatto espellere… e a giudicare dalla sua faccia, quel giorno è arrivato. Sospira a quel pensiero, poi chiude le palpebre e si lascia cadere contro lo schienale.
«Dimmi.»
Pur non vedendolo, il grifondoro sente chiaramente come il sorriso dell’altro gli modifichi il tono e le parole, la voce un tono troppo alto per la gioia di quell’ennesima stronzata: «Distillato soporifero ad effetto ritardato!» Esclama, spostandosi ed allargando le braccia per un maggior effetto drammatico. Quando non risponde, Chase continua. «Il primo giorno di lezione, se ho fatto bene i calcoli, tutti gli studenti che hanno mangiato i miei cioccolatini cadranno preda di un terribile sonno e si addormenteranno nel mezzo della spiegazione. Forza, Mills, stavolta ho fatto una genialata… ho iniziato l’ultimo anno col botto. E sono pieno di idee.»
«Sai Chase, se ti impegnassi nelle cose giuste potresti essere lo studente migliore del nostro anno. Già adesso pur con le cazzate che fai e le lezioni che non segui sei il migliore in pozioni… modificare una ricetta non è facile, se funziona…»
«Ehi!» Il ragazzo salta su, i piedi finalmente a terra, ma nel gesto improvviso sia il suo rospo che il gufo di Millard si agitano costringendo quest’ultimo ad aprire gli occhi, allarmato, fissando le iridi castane sulla figura minuta del folletto che ha davanti, e che pare sinceramente offeso. «Le mie pozioni funzionano sempre. Certo, gli occhi di tritone che ho usato non erano esattamente freschi, ma dovrebbero andare lo stesso. Ci ho messo più lavanda e muco di vermicoli per compensare, e un pizzico di camomilla per sicurezza, comunque, quindi funzionerà di certo.»
Millard sta per ribattere, ma la porta della cabina si apre di qualche centimetro e un visino dubbioso fa capolino dal corridoio: è una ragazza con una frangia scura che quasi le copre gli occhi ma, nel vederli, le si dipinge in viso un’espressione quasi spaurita che gli fa decisamente tenerezza.
«Oh, scusate, credevo fosse libera…» Dice con tono sommesso, poi lancia un’occhiata alle sue spalle come fosse indecisa se andarsene o provare a chiedere asilo.
«Nessun problema! Io sono Chase, e lui è Millard. Vieni pure, tanto qui siamo larghi, anzi Mills ti darà volentieri una mano con le valigie se da sola non ce la fai.» Il diretto interessato vorrebbe mandarlo a fanculo per il modo in cui ha disposto di lui senza il suo permesso, ma l’espressione sollevata della ragazza gli ricorda perché, nonostante sia uno stronzo, sono ancora amici. Chase ha il potere di far sentire tutti a loro agio. È un bravo ragazzo, in fondo. Si trova a pensare, e sorride quasi intenerito. «Tu come ti chiami? Vuoi un cioccolatino?»
O forse no, pezzo di merda.

★★★

Il due settembre le lezioni iniziano senza intoppo alcuno.
O meglio, senza nessun intoppo che non sia perfettamente prevedibile: l’impresa titanica dello svegliarsi in tempo, i litigi per i bagni che le ragazze continuano imperterrite ad usare oltre il loro orario per mettersi chissà quale diavoleria in faccia, qualche primino troppo eccitabile che va trattenuto mentre cerca di scendere una scalinata che nel frattempo ha deciso di cambiare posizione. Nulla di fuori dall’ordinario quindi, anzi, Millard riesce persino ad arrivare presto nel sotterraneo che ospita la classe di pozioni, la prima materia che li accoglie e che fa pregustare agli studenti di grifondoro e corvonero come il sole, per quell’anno, sarà solo un lontano miraggio.
Si siede in primo banco, sulla destra in direzione della porta, una postazione che negli anni ha individuato come strategica per evitare le occhiatacce riservate agli sciocchi che ancora credono che gli ultimi banchi siano ideali per rendersi invisibili, poi con metodica pazienza posiziona il suo materiale sulla superficie sgombra: un sacchetto di miscela base mezzo vuoto che odora di polvere per aver passato l’estate chiuso in un angolo, un contenitore in legno- che, una volta aperto, mostra file di ordinate provette e boccette dai colori sgargianti assicurate alle sue pareti con cinghie e fibbie-, un bilancino che una volta era ottone brillante e che ora, complici gli anni, è coperto da una patina nerastra. Millard guarda con aria sconsolata una delle catenelle che regge il piattino di quest’ultimo, riparato alla bene e meglio con un filo di ferro intrecciato, poi sospira ed estrae il suo volume di Pozioni Avanzate, l’unica cosa intonsa e nuova del suo armamentario.
«Sei proprio uno sfigato.» La voce alle sue spalle non lo sorprende, esattamente come il rumore di una sedia che viene trascinata con poche maniere sul pavimento di pietra. Millard si prende un momento, intinge con attenzione la sua piuma nell’inchiostro e segna il suo nome sulla copertina interna del libro di testo. Ogni gesto è compiuto con deliberata lentezza, dalle stanghette dritte e lunghe della “M” maiuscola agli eleganti occhielli sulla cima delle “L”, doppie sia sul primo che sul cognome, Kelly: aggiungerebbe anche un secondo nome, se lo avesse, solo per rendere ancor più chiaro il suo tentativo di ignorare l’interlocutore.
Quando, dopo diversi secondi che paiono ore, si volta per salutare il biondo accanto a sé, le parole che pronuncia sono tutt’altro che quelle che aveva previsto: «Cristo santo, lo hai buttato nel campo quel libro?» Chiede, le guance scure che impallidiscono alla vista della copertina annerita. Sembra averlo bruciato! È così che si esercita…? Oddio! I cioccolatini! L’ho vista Alex stamattina? Non è che l’ha uccisa?
Il suo ragionamento deve essere chiaro quando il panico che gli sta sorgendo in corpo, perché Chase scoppia a ridere e accenna col capo all’entrata; quando si volta in quella direzione, tuttavia, Millard non capisce cosa ci sia di incoraggiante: Helen ha le spalle curve e un’espressione assente sul viso cinereo, grigia e depressa senza la compagnia di Fanny e degli improbabili fiori che le intreccia ogni giorno tra i capelli lunghi. Le occhiaie che le decorano il viso come trucco indicano chiaramente che i suoi sogni sono stati agitati, e il grifondoro lancia un’occhiata inquisitrice in direzione dell’amico, senza capire come vedere Helen sola e triste possa rassicurarlo sul benessere delle poverette a cui lui ha somministrato senza preavviso la pozione.
«Se le mie pozioni non fossero perfette anche Helen starebbe male, no? Fanny sarà in ritardo, sai com’è. Non l’ho mai vista entrare prima del suono della campana, è più probabile che l’abbiano sospesa in anticipo che non sia colpa mia.» Dice con una sicurezza invidiabile, quindi si accomoda contro lo schienale e appoggia i piedi sul banco, senza grazia né pudore e colpendo col tallone il proprio libro. Al gesto, che rovina ulteriormente l’angolo della copertina rendendola briciole e strisce nerastre sul loro tavolo, si limita a commentare con un vago e per nulla pentito “ooops….” che rende il suo discorso precedente decisamente meno incisivo, mentre Millard si limita a colpirlo al polpaccio con il dorso della mano in un tacito avvertimento di mettersi composto, che viene accolto da nulla di più di uno sbuffo seccato.
Eppure qualcosa di strano c’è. Senza dar voce ai propri pensieri, per non istigare ulteriormente l’amico, il moro posa il mento sul palmo senza smettere di osservare la ragazza: ha gli occhi socchiusi e un’andatura ciondolante, lenta, come fosse malata e questo le impedisse di comprendere fino a fondo dove si trova. Dietro di lei un compagno di casa fa per superarla, per poi volarsi sorpreso nella sua direzione e dirle qualcosa che però, ora che gli dà le spalle, non riesce a cogliere. Helen si volta verso di lui come faticasse a metterlo a fuoco, accenna un passo traballante nella sua direzione, allunga le mani e…
Oh, mio Dio.
Le urla e l’odore rugginoso del sangue riempiono la stanza in un secondo, così rapide che Millard è in piedi prima ancora che il suo cervello possa registrare davvero l’accaduto; non si è alzato da solo, tuttavia: sente un dolore al braccio nel punto in cui Chase lo stringe, si sente strattonare ed è sempre l’altro che lo sta allontanando dal proprio posto. Un istante dopo, il corvonero che aveva parlato ad Helen si accascia sul suo banco, scosso da convulsioni così forti che gettano tutta la sua attrezzatura così meticolosamente sistemata a terra. Un liquido rossastro si sparge e schizza, gli macchia il libro, Millard fa per recuperare il tomo appena acquistato ma Chase glielo impedisce.
«Sei ritardato?!» A quelle parole, aggressive e sconvolte, si rende conto di cosa stesse facendo e si blocca a metà gesto, la mente incapace di ragionare in quella situazione surreale. Il mio libro nuovo… vorrebbe protestare, ma la voce è così debole da non riuscire a farsi strada lungo la gola e resta un flebile pensiero intrappolato nel caos che gli si sta scatenando dentro ed intorno. «Vieni, cazzo, vieni! Usciamo!»
Con lentezza inaudita Millard volta il capo e registra vagamente il panico generale, come Helen abbia il viso sporco di sangue e paia d’improvviso interessata a qualcosa: nello specifico, il gruppo di studenti urlanti che si stanno rifugiando nel fondo della stanza, più lontano possibile da lei e, sfortunatamente, anche dalla porta che costituisce l’unica via di fuga. Chase salta sul banco e se lo trascina dietro nello stesso istante in cui la ragazza, evidentemente impazzita, sonnambula o entrambe le cose insieme, scatta verso nuove vittime; Millard incespica, mai stato particolarmente attivo, scivola sul banco e sente la mano umida quando vi si appoggia per non cadere di faccia. Qualcosa gli si preme sulla faccia, è Chase che gli copre la bocca che non si era reso conto di aver aperto per urlare: a conti fatti non riesce a sentire nulla, se non un fischio acuto che soffoca ogni altro rumore. Il viso dell’amico occupa tutto il suo campo visivo, vede le sue labbra muoversi e comicamente nessun suono ne esce. Non ci sento. Anche le estremità sono intorpidite. Forse sono nel panico. Sembra un pensiero semplice e lucido, distaccato dalla situazione come una battuta estrapolata dal suo contesto, ma quando uno schiaffo gli si schianta sulla faccia il mondo finalmente riprende a girare come dovrebbe, ed i sensi tornano a collaborare tra loro.
«Dobbiamo scappare, stupido idiota, poi pensiamo al resto. Prima ce ne andiamo.»
Cazzo, Helen sembra uno zombie. Ed io sono nero. Se Abby fosse qui forse mi salverei, perché anche mia cugina è nera ma pure lesbica, i gay muoiono sempre. Quanto i neri, almeno, e gli asiatici. Ma non puoi essere nero ed asiatico, ma nero e gay sì. E invece ci sono solo io, e mi tocca morire.
«Ehi! Coglione, dobbiamo andare. Ci sei? Ti lascio qui.» Chase ha una certa urgenza nella voce, quella di chi pensa di poter sopravvivere, quella di chi spera. Millard annuisce in trance mentre si sente trascinare via, oltre la porta, lontano dal casino e lungo il corridoio di pietra in cui i loro passi e il rumore lugubre delle suole bagnate di sangue fanno eco.
«Sì. Sì, andiamo a chiamare un professore.» Dice Millard ma, nello stesso momento in cui quelle parole lasciano la sua bocca, sa già che Chase gli tirerà un altro schiaffo. Me lo merito ho detto una stronzata. Non si chiama un professore durante un’apocalisse zombie.
«Sì, quello di pozioni. Ho la borsa, e temo sia colpa dei miei cioccolatini, magari può aiutarci.»


Angolo-Autrice-2
Sono qui, come molti sapevano… ma non con la storia che vi aspettavate, forse.
Wonderland è un progetto che resta nel mio cuore, ma è oggettivamente impegnativo e quindi slitterà ancora un po’ in favore di… beh, questo.
L’idea di base, come scritto nell’introduzione, è una Zombe!Au: nel prologo invece vediamo che Chase ha fatto un casino, ed i vostri Oc dovranno trovare il modo di scappare da una Hogwarts ormai invasa. Semplice, lineare, in realtà molto meno serio e drammatico di quel che potrebbe suonare- ma immagino lo abbiate già capito dal prologo. Volevo qualcosa di non eccessivamente pesante, perciò immaginate questa storia più come una parodia dei film sugli zombie- più o meno tutti essendo adolescenti avranno delle idee poco sagge che in un’apocalisse zombie ucciderebbero, qui no.
Il prologo avrebbe dovuto essere molto più corto, ci sono praticamente solo due informazioni importanti, e tutto il resto è solo Fe che si diverte e cerca di delineare un po’ i compagni che i vostri bambini conosceranno di sicuro in questa avventura- Millard e Chase, appunto. Spero li abbiate inquadrati un poco, e che vi sia arrivato il mood della storia.
Vi lascio a regole e scheda,
bacini,
Fe_

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Regolamento
★Potete proporre un massimo di 3 Oc ad autore, e non metto regole riguardanti genere o casa-ovviamente se mi proponete tre gemelle di tassorosso le probabilità che vengano prese tutte e tre scendono drasticamente. Potete anche decidere di provare con un professore o un membro del personale scolastico. Le schede vanno consegnate per messaggio privato con titolo “School leavers- nome OC” entro domenica 22 ottobre- tre settimane mi sembrano un tempo sufficiente, anche perché la scheda non è precisa come mio solito. Pubblicherò la selezione il 31 ottobre, mi prendo una settimana in modo da potervi dare un capitolo vero e proprio.
★Per comodità mia e degli altri partecipanti, chiedo gentilmente di inserire età e casa di appartenenza, giusto per darmi (e darvi tra di voi) un’idea del possibile cast.
★Non so ancora quanti Oc prenderò, idealmente tra i 5 e gli 8 a seconda della partecipazione e delle schede. La cosa che più mi sta a cuore è la varietà, ma è più importante a livello caratteriale che di genere o età.
★Accetto personaggi legati tra loro, come fratelli o fidanzati, ma in numero limitato. Siete liberissimi di accordarvi tra autrici per amicizie e relazioni di varia natura, dato che tendenzialmente si conosceranno già tutti in modo più o meno approfondito. Non accetto, tuttavia, schede “dipendenti” l’una dall’altra: i personaggi devono essere tali a tutto tondo, se mi trovo nella situazione che scartando uno l’altro non si regge da solo, verranno scartati entrambi a prescindere.
★Potete proporre legilimens, occlumanti, licantropi, mezzi veela e tutto ciò che il cuore desidera, ma ricordate che si tratta di studenti e come tali ancora non del tutto maturi nel loro percorso scolastico. Non mettetemi troppa carne al fuoco, ecco, né fate personaggi eccessivamente potenti o perfetti. Se è amato da tutti, prefetto, caposcuola, capitano della squadra di quidditch, il migliore del suo anno, non sente un minimo di stress per tutto questo e nel tempo libero il suo sorriso riporta in vita i cagnolini, ecco, magari anche meno (soprattutto perché non mi ci sta nelle schede di presentazione).
★Non è detto che tutti i punti della scheda siano necessari ai vostri OC: ad esempio, potrebbero non far parte di eventuali club scolastici, oppure non desiderare un compagno/a. Allo stesso modo, non è detto che le vostre idee non siano gradite solo perché non c’è il punto nella scheda: potete riempire “altro” con tutte le cose che non ho chiesto, come la capacità di produrre un patronus (non si insegna, quindi do per scontato non lo sappiano fare, ma quelli dell’ultimo anno magari produrre la forma non corporea?) Chiedete pure in caso di dubbi.
Scheda


Nome: con eventuali soprannomi, possibilmente spiegati se non è un diminutivo.
Età: con il compleanno, se ad esempio sono del sesto anno e fanno gli anni prima del 1° settembre avranno sedici anni, se li fanno dopo ne avranno ancora 15
Casa: e anno, grazie
Prestavolto/reference: non deve essere un nome, va bene anche una foto, e se volete mettere altri dettagli visivi qui (vedo che più di qualcuno fa ad esempio la bacheca pinterest)
Aspetto fisico: farò fede a questo e non al prestavolto, quindi inserite tutto ciò che volete (cicatrici, nei, capelli rovinatissimi per le diciotto decolorazioni dell’anno precedente?) e prestate cortesemente attenzione a tic, atteggiamento, stile, tutto ciò che si vede “ad occhio”. Indosseranno quasi esclusivamente la divisa, quindi non mi interessa come va a far festa, ma se magari tintinna come una ferramenta perché ha 18 bracciali per polso mi serve.
Carattere: questo è il punto più importante, se avete dieci minuti per fare la scheda mettetecene nove qui. Sia l’atteggiamento generale sia come reagisce agli zombie, all’idea di ferire persone che magari erano sue amiche, allo stress… e tutte le situazioni che potrebbero palesarsi in un’apocalisse, insomma.
Relazioni: persone con cui va più o meno d’accordo, ma anche orientamento, disponibilità ad una relazione romantica, e chi in caso. Se volete particolari relazioni con gli oc presentati potete fare senza problemi, ma essendosi visti poco (soprattutto Chase e le ragazze) non abbiate timore a chiedere.
Storia: includere eventuali aneddoti che potrebbero essere utili o conosciuti, il rapporto con la famiglia e da chi è composta (hanno fratelli/cugini ad Hogwarts?), non sono cose necessarie e non mi serve una fanfiction ma se ci sono avvenimenti importanti… sono importanti per un motivo, I guess.
Rendimento scolastico: materie in cui va bene o meno, eventuali club/compagnie, professori su cui fa particolare affidamento, o al contrario la mancanza di fiducia verso gli adulti
Bacchetta:
Hobby:
e passioni, ciò che gli piace fare. Se ha attività al di fuori di quelle scolastiche, tipo passa tutta l’estate a nuotare o cavalcare unicorni
Paure: fobie, o cose che semplicemente odia.
Altro: Potete anche specificare cosa stava facendo nel momento in cui è scoppiato il casino- andando a lezione? Ora buca?- e questo potrebbe influenzare le cose che ha con sé in quel momento.

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Capitolo 2
*** La peggior supplenza della mia vita ***


Selezione

Esattamente quarantotto ore prima, Camille era sceso per la prima volta dopo anni nella capitale del Regno Unito. Si trovava in quell’infausto paese da oltre una settimana, passata per lo più a vagabondare tra i piccoli anfratti magici e una sola, sudatissima tappa verso il nord del paese per visitare il famoso Alnwick Garden; troppo tardi si era reso conto che l’Inghilterra era sfortunatamente lunga e, arrivando dalla Francia, salire per buona parte della sua altezza non era esattamente agevole. Lo splendido giardino dei veleni, tuttavia, con le sue affascinanti piante tossiche era assolutamente valso il viaggio e la notte passata in un discutibile alloggio di fortuna, il cui proprietario probabilmente consumava regolarmente marijuana mal tagliata.
Quello, ed il mezzo chilo che era riuscito ad acquistare per merito dell’abbondantemente condito e grasso cibo locale, era stato il momento migliore del viaggio; tuttavia, una volta arrivato a Londra, la realtà dei fatti gli si era posata sulle spalle con tutto il suo peso e aveva minacciato di sopraffarlo. Solo l’arrivo di Solomon, che lo avrebbe ospitato per la sua ultima notte priva di tetto sulla testa, e l’abbraccio in cui lo aveva costretto aveva impedito a Camille di salire sul primo treno disponibile. Non era nemmeno la destinazione ad interessargli, quanto il poter rifuggire alla sgradevole sensazione di essere intrappolato.
Avevano preso un caffè insieme in un bar poco distante dalla stazione. La chiacchierata era stata piacevole e si erano persi in aneddoti sugli ultimi sei mesi, tempo in cui non si erano visti e anche le comunicazioni erano state piuttosto scarse; nessuno dei due ne era particolarmente sorpreso o infastidito, ad ogni modo: si erano conosciuti un paio d’anni prima, quando Camille era ancora un povero studente a Parigi e gestiva la magistrale in botanica con discreto successo mentre Sol, quasi all’opposto, bisticciava con la legge magica. L’idea di un mago che si destreggiava in magie babbane era ben piaciuta al più giovane dei due, che vedeva in quella vita in movimento un buon compromesso tra libertà e guadagni, ma aveva dovuto rifiutare la proposta di fargli da “splendida assistente” in favore degli studi che sinceramente lo appassionavano.
La stessa sera Sol si sarebbe esibito quindi, dopo aver pagato, gli aveva dato le chiavi e spiegato la strada che, ad onor del vero, non era particolarmente complessa; si era quindi congedato avvertendolo di non aspettarlo sveglio, e Camille aveva potuto godersi un po’ la città prima di rientrare.

★★★


September-01

La luce bluastra, unita al fastidioso vibrare irregolare, lo sveglia già di umore che vira verso il negativo: Camille prende il telefono a tentoni, per nulla interessato ai messaggi lasciati volontariamente non letti la sera prima; neanche vedere l’ora, più tarda di almeno quaranta minuti rispetto ai programmi, riesce a riscuoterlo dal tepore del sonno appena abbandonato. Lascia il maledetto apparecchio perdersi tra le lenzuola sfatte, blu scuro marmorizzato d’oro e bianco in perfetto stile con la mancanza di gusto e sobrietà del loro proprietario, quindi decide che alzarsi è l’unica cosa che può fare: non ha per niente voglia di partire, ma per qualche infausto motivo hanno deciso di dargli il posto per il quale si era candidato per scherzo, quindi può farci poco ormai. Quel pensiero, se possibile, ingrigisce ancor di più la mattinata che già attraverso gli scorci riconosce come tipicamente londinese e, quindi, uggiosa. Lanciando un’occhiata allo schermo, ancora illuminato e miracolosamente visibile nella stoffa, il numero non salvato del professor Lightwood gli ricorda in anteprima l’orario ed il luogo da dove i maghetti inglesi partono per la scuola. Un piccolo viaggio in treno, uguale per tutti e che porta direttamente a scuola, per nulla simile in organizzazione e comodità a ciò che ricorda dei suoi anni a Beauxbatons.
Sospira sconsolato, quindi si passa le mani tra i capelli lunghi: cercare di districarli con le dita è un’impresa che fallisce in poco tempo, e non può far altro che constatare la sua sconfitta mentre scivola oltre il bordo del letto; lo specchio che Sol tiene al lato del letto gli ha restituito immagini migliori di sé, si volta di lato e osserva con occhio non particolarmente critico il fisico sin troppo magro a cui è abituato, e a cui periodicamente cerca di aggiungere un po’ di salutare peso che il suo metabolismo brucia anche troppo rapidamente; schiocca la lingua con disappunto al solo pensiero del clima scozzese, che gli farà perdere la bella abbronzatura che è riuscito quasi ad uniformare durante l’estate. Lo stacco ancora visibile su spalle e cosce è nascosto dal pigiama.
«Forza, Ramirez, inizia a svegliarti che sennò ti lascio qui.» Borbotta grattandosi il mento, il rumore delle unghie che grattano la barba e l’accenno di baffi lo convince ad una prima, strategica tappa in bagno per rifinire e accorciare il superfluo. I suoi bagagli sono ancora quasi intatti, dato che la sera precedente ha a giusto tirato fuori un pigiama e il necessario per l’igiene personale, perciò si limita ad un colpo secco col polso ed un semplice incantesimo non verbale di appello imparato durante un viaggio in Marocco: la bacchetta schizza da un lato della stanza verso la sua mano aperta, la punta gli si conficca nel palmo e quasi per fortuna il movimento che ne segue lo porta a stringere le dita attorno al legno senza farlo cadere a terra. «Ah, stiamo migliorando.» Si limita a commentare con una nota di sorpresa e piacere nella voce calda, quindi con gesti precisi si raccoglie i capelli in un bun alto tenuto insieme in modo piuttosto precario dalla bacchetta stessa, infilata al suo interno.
Il bagno, come il resto dell’appartamento, è eccessivo: il pavimento gelido gli manda un brivido dalle piante dei piedi sin alla base del collo, costringendolo ad accelerare il passo sino ad un tappetino posizionato davanti alla doccia è due volte più spaziosa di quanto non dovrebbe; il lavandino, invece, è ancora dell’orrida finta pietra che sperava di aver solo immaginato la sera precedente e le piante che lo decorano possono poco per migliorare l’estetica generale, tra cui spiccano le foglie rosse di una begonia e una rigogliosa aloe vera. Camille decide di ignorare il pessimo gusto di Sol, spogliandosi del pigiama leggero e cercando di infilarsi nella doccia ancora fredda per potersi svegliare del tutto; quando apre l’anta, tuttavia, uno zampettare concitato lo distrae dal suo proposito: voltandosi, un piccolo lampo biondo scuro gli si infila tra le caviglie, seguito da una coppia di coniglietti identici che bloccano il loro saltellare allegro non appena vedono un umano che non è il loro.
«Oh, le signorine ti bulleggiano?» Chiede Camille, abbassandosi per prendere il primo arrivato: ora che è fermo, prende la forma di un piccolo topolino dal pelo riccio. «Va tutto bene, Ramirez, sei stato bravo a venire qui. Tra qualche ora saremo in treno, e poi ad Hogwarts dovrai preoccuparti solo di gufi e civette… beh, ti proteggerà papà da loro come dalle conigliette cattive di Sol.»
Il topolino, in quanto tale, ha probabilmente colto poco del discorso ma ugualmente squittisce come volesse rispondere. Camille lo posa sul lavandino anziché sulla propria spalla, dove è solito accucciarsi, poi sorride bonario nel vederlo avvicinarsi senza tante cerimonie ai vasi. Poco male, pensa, l’aloe di Sol può fare a meno di una foglia o due.

16

★★★

Le scale, se fatte da sola, sembrano interminabili: si è quasi uccisa tre volte incespicando tra gli scalini stretti tra che portano fuori dalla torre di Corvonero, due ripide rampe che le tolgono il fiato persino scendendo, e che non riesce a fare di corsa in salita senza ritrovarsi piegata con i polmoni che minacciano di abbandonarle il petto. Gli altri cinque piani e, quindi, il castello nella sua quasi interezza minacciano di farle cedere le gambe quando si ferma al limitare della galleria lunga per permettersi una piccola pausa che non la faccia apparire stravolta: si volta verso una finestra per assicurarsi che il trucco non sia già rovinato, ma l’unica cosa fuori posto sono le guance un filo troppo colorate che le danno un aspetto gioviale, complice anche le rotondità evidenti di un paio di chili di troppo.
Altro che cremosa, sono decisamente fuori forma… che palle. Potrebbero mettere un ascensore si ritrova a pensare, cercando di incastrare una ciocca castana all’interno della crocchia disordinata che le raccoglie con poca convinzione i capelli; dopo un attimo quella torna a solleticarle il volto, completamente incurante dei suoi sforzi per darsi un aspetto ordinato, ed il suo riflesso le restituisce uno sguardo rassegnato. Almeno l’eyeliner è assolutamente on point.
Con un sospiro rassegnato sbuca finalmente al piano terra e volta lo sguardo verso la parte centrale della galleria lunga, l’edificio che compone l’ala più a nord del castello; in giro non ci sono quasi studenti, gli unici che riesce a notare sono un paio di ragazzi più giovani con i colori adorabili di tassorosso. Mi sarebbe piaciuto essere una tassina, sembrano delle piccole api con quei colori! Fanny sa che probabilmente non apprezzerebbero il paragone e, quando li vede con gli occhi bassi e le teste ciondolanti, decide di non aprirsi nemmeno al suo solito, allegro saluto in favore di un più quieto cenno con la mano. I poveretti sono tanto stanchi da non rispondere nemmeno, ammesso e non concesso che l’abbiano vista trovandosi a camminare sul lato opposto dell’ambiente, almeno venti metri davanti a lei e con l’illuminazione magica che non può certo competere con delle lampadine vere. La corvonero, ad ogni modo, decide di ignorare momentaneamente il problema della luce e nel momento stesso in cui cerca di correre verso la Sala Grande, dalla parte opposta rispetto ai tassini diretti probabilmente verso le serre, nel suo campo visivo compare una figura familiare. Istintivamente porta le mani ai fianchi, perché il ragazzo sta cercando di svicolare alle sue spalle tenendosi più vicino possibile alla fila di finestre che danno sul cortile più a nord del castello, brullo anche in quello che è uno dei periodi più caldi e floridi, e con come unica attrazione la pianta che di sicuro sta andando a visitare.
«Tyson George Crawford, non starai cercando di farti spedire di nuovo in infermeria dal Platano Picchiatore, vero? Sarebbe quantomeno sconveniente, il primo giorno!» Dice a voce alta, senza nemmeno voltarsi verso di lui; sente ugualmente i suoi passi quieti fermarsi un attimo e poi scattare nella sua direzione. Non c’è alcuna sorpresa quando un paio di braccia le si allacciano attorno alla vita con uno slancio che fa quasi finire entrambi a terra. D’istinto Fanny si porta le mani al viso, finendo per schiantarle contro la faccia quando non trova gli occhiali che è solita indossare e che, per un attimo, aveva temuto le scivolassero lungo il naso per frantumarsi poi a terra.
«Non sapevo il mio secondo nome fosse George, nonnina, però mi piace.»
«Stai evitando la domanda.»
«E tu conosci la risposta, quindi non ha senso neghi. Sembri un panda, hai il mascara tutto sbavato ora.» Le fa notare dopo aver sciolto l’abbraccio rocambolesco. Fanny si guarda sconsolata i palmi, ora tinti di una sfumatura nerastra che probabilmente le decora anche il contorno occhi, e si lascia andare ad un teatrale sospiro prima di prendere dalla borsa il necessario per sistemarsi il trucco. «Però che brava, sei scesa quasi giusta stavolta! Io ho appena finito la colazione. Se vai in fretta magari qualcosa trovi, prima che sparisca tutto… forse. Ma secondo te cosa ne fanno con gli avanzi? Magari alcune cose le mangiano gli elfi, e le altre le danno agli animaletti della foresta. Questo spiegherebbe perché tanti sono amichevoli nei nostri confronti, Alex mi ha detto che gli uccellini ti volano incontro quando ti vedono.»
Il fiume di parole viene interrotto da Fanny che, con tutta la calma del mondo, dalla borsa ha preso anche un involto con dei muffin e gliene ha infilato uno in bocca, impedendogli fisicamente di produrre altri suoni. Tyson la guarda con gli occhi spalancati, espressione che più che mai lo fa sembrare un cerbiatto innocente in totale contrasto col comportamento tenuto fino a quel momento; dopo aver masticato l’abbondante porzione di dolce che gli è finita pur contro la sua volontà in bocca fa una smorfia e borbotta un “mirtilli, almeno quelli di Cass sono buoni…” come fosse il peggiore degli insulti.
«Alex ti ha preso in giro… ha preso in giro me, a dire il vero. Per la storia della principessa Disney, no?» La corvonero ignora accuratamente lo sguardo disapprovante riservato ai suoi deliziosi e salutari muffin, quindi inizia a ritoccare il trucco rovinato in modo tutt’altro che irrimediabile umettando con dello struccante la punta di un cotton fioc e portandosi lo specchietto ad un palmo dal naso. «Questo fondotinta è fantastico,» aggiunge, «ma non tanto magico da distrarmi abbastanza così che tu possa scappare. Ehi! Ty, lascia stare l’albero!» L’ultima parte è urlata, perché dal riflesso può notare l’ombra dell’amico intento ad ignorare i suoi saggi consigli e dirigersi a passo spedito verso la biblioteca, nella quale una porticina minore gli darà accesso all’inutilizzato cortile nord, accanto ai campi d’allenamento ancora vuoti in quei giorni e perfetti per compiere quella che ha sempre più o meno gentilmente definito “la cazzata che ti farà espellere”. Fanny guarda solo per un secondo il suo riflesso, che la ricambia abbattuto come solo la mancata realizzazione del suo più grande desiderio del momento- una buona colazione- potrebbe renderlo, poi chiude di scatto lo specchietto e si avvia dietro il più giovane. Deve essere buffo vederla trotterellare e incespicare dietro la figura del ragazzo, alto quanto lei e non certo conosciuto per la sua grazia, ma con una mano posata sulla borsa gonfia di materiali più o meno utili e l’altra a stringersi il mantello in previsione dell’aria gelida riesce a raggiungerlo senza fatica né incidenti di sorta.
«Tyson, davvero, non è il caso di giocare al piccolo fiammiferaio la prima mattina!» Le porte ampie della biblioteca, luogo che le ha sempre trasmesso una grande serenità, questa volta possono poco per calmare l’apprensione che inizia a sentire attorno alla bocca dello stomaco: ha sempre considerato il grifondoro come un fratellino un po’ imbranato, cosa che si riflette molto molto bene sul loro rapporto, ma l’idea che il prossimo anno non potrà fare nulla per impedirgli di farsi del male inizia a concretizzarsi e la spinge ad usare il tempo rimasto per infilare, anche a forza se serve, del buonsenso in quella testolina castana. Fanny gli posa una mano sulla spalla, dato che le sue parole non paiono avere il potere di farlo nemmeno rallentare.
«Sono seria. Dai, Ty, possiamo decisamente…» L’inizio di ramanzina viene stavolta interrotto da Tyson, non in perfetto stile Cassandra con un muffin ma con una poco elegante mano che si posa di malagrazia sulla bocca della povera Fanny e soffoca ogni altra protesta. L’indice dell’altra se lo porta alle labbra, intimandole in modo più gentile ma decisamente inutile il silenzio, quindi con aria guardinga indica gli stessi tassorosso che la ragazza ha visto qualche minuto prima: hanno ancora un’aria estremamente assonnata, ora abbastanza vicini da notare occhiaie scure e occhi socchiusi, velati; c’è anche una traccia di sangue attorno alle loro labbra, rossa e lucida, ma Fanny non riesce né a proferire parola né tantomeno ad avvicinarsi perché Tyson le afferra la vita e la porta dietro uno scaffale in modo che siano nascosti alla vista. Il gesto la fa finire contro una delle lunghe scale che aiutano a raggiungere i piani superiori del mobilio alto quanto il soffitto e, con un cigolio sinistro, quella scivola nei binari invisibili che le permettono di muoversi: la ragazza sente i più corti capelli della nuca rizzarsi, forse per colpa del suono. Maledizione, abbiamo gli incantesimi di appello, questa robaccia è inutile ormai! pensa, ma probabilmente il fastidio comparso sul suo viso viene mal interpretato dal grifondoro che ancora non le permette di proferire parola.
«Sei impazzita?» Il tono è contemporaneamente concitato e quieto, appena sussurrato eppure riesce ad esprimere una certa angoscia; la corvonero aggrotta le sopracciglia, per nulla colpita da quello che è certa essere il suo ma gli fa cenno di continuare dato che non riesce ad afferrare il senso della sua preoccupazione. La successiva spiegazione, tuttavia, minaccia di farla esplodere in una sonora risata: «Sono zombie!» Con gentilezza Fanny gli prende il polso e se lo allontana dal viso; quando il ragazzo, pur guardingo, le permette il gesto può finalmente rispondere a quelle sue follie.
«Non ci sono zombie in Inghilterra! Lo hai studiato lo scorso anno, no? Stanno in Sudamerica, Haiti, quelle zone lì. E poi sono tassorosso, mica grigiastri nonmorti che puzzano di decomposizione!» La sua logica e ferrea spiegazione pare non convincerlo particolarmente, tanto che Tyson le fa nuovamente cenno di abbassare la voce e si guarda intorno con aria, se possibile, ancor più agitata; la biblioteca, tuttavia, ha sempre lo stesso aspetto quieto che ogni studente associa al luogo, con il soffitto alto il doppio di una normale stanza e mobili proporzionati più allo spazio che alle dimensioni di una persona. «Forse sono malati, dobbiamo portarli in infermeria. E, per l’amor di Flamel, la parola zombie è bandita! L’hai tirata fuori anche lo scorso anno ed era solo un molliccio scappato che aveva preso l’aspetto della paura di Lilith, e poi quando Chase ti ha fatto quello scherzo per halloween, e ancora...»
«Ho capito!» Sbotta Tyson, le guance lentigginose ora tinte di un vivo rosso imbarazzo, poi continua indicando oltre l’angolo in cui i due tassorosso hanno fatto crollare una delle tante cataste precarie di libri abbandonati sui tavoli, almeno a giudicare dal casino assolutamente inadatto alla biblioteca. «Ma converrai che non sono normali. Cos’altro potrebbe essere?»
«Uhm… magari hanno un brutto raffreddore?» La proposta non lo soddisfa, almeno a giudicare dall’occhiata scettica e carica di rimprovero per un’ipotesi tanto blanda che il ragazzo le rifila, quindi Fanny spalanca gli occhi castani e continua: «Okay, magari è sonnambulismo? Oppure, se quel sangue non è loro… mamma mia!» L’esclamazione improvvisa fa sussultare vistosamente Tayler, che con una spallata colpisce lo scaffale e fa cadere un paio di voluminosi tomi con un rumore sordo che riecheggia tra le pareti. «Magari hanno la rabbia! È, tipo, super grave!»
Il grifondoro apre la bocca per ribattere ma alle sue spalle, dopo il momento di silenzio che aveva seguito la caduta dei libri, i ragazzini si sono agitati e in quel momento sbucano da oltre lo scaffale con le fauci spalancate; solo la prontezza di riflessi della mora, un’agilità che nemmeno lei ha mai saputo di possedere, impedisce al ragazzo di essere morso: gli afferra la spalla, forse infilzando con eccessiva forza le unghie color lavanda nel maglione pesante e troppo babbano che indossa, e lo tira verso di sé con uno strattone che gli fa quasi perdere l’equilibrio. Tyson incespica nella sua direzione per un paio di passi, finendole addosso e minacciando di far crollare entrambi, ma la solida libreria li sorregge e permette ad entrambi di riacquistare un minimo di equilibrio.
«Vuoi ancora dirmi che non sono zombie?! Vogliono mangiarci!» Urla il ragazzo, ma Fanny gli afferra il polso e scatta con sorprendente rapidità verso la porta della biblioteca: per una che afferma orgogliosamente di “non essere in grado di correre” riesce piuttosto bene a mettere velocemente i piedi l’uno davanti all’altro, e anche a portarsi dietro un ben sorpreso Tyson.
«Ah-ah!» Lo ammonisce girando a destra, in direzione del cortile di trasfigurazione. «Quella parola è bandita dal vocabolario!»

15

★★★

Iniziare l’anno in ritardo è esattamente l’ultima voce della lista di desideri di Cassandra, specie se la prima lezione riguarda una materia come Incantesimi in cui già sa non avrà alcun desiderio di impegnarsi; eppure eccola lì, un trotto veloce che somiglia quasi ad una corsa svogliata e che le fa saltellare ad ogni passo i capelli sulle spalle, rivelando una sfumatura rosa acceso che compare da sotto la massa cioccolato scuro. Dietro di lei una borsa levita placidamente, nessun pensiero al mondo, nemmeno quello di aver provocato un fastidio non indifferente nella sua proprietaria: sperava di averla riempita a dovere la sera prima ma, per qualche motivo, il libro di Erbologia- corso che seguirà più tardi quella stessa mattinata, e che le è immensamente più gradito- non si trovava al suo interno. Questo l’aveva costretta a tornare nei sotterranei di tassorosso, dalla parte opposta rispetto alla torre dei campi d’allenamento in cui aveva sede il dipartimento di incantesimi e, di conseguenza, l’aula che è il suo obbiettivo.
Dal suo dormitorio sale sino al quarto piano per imboccare il corridoio aperto con vista sul cortile pavimentato, una scorciatoia che le allunga un poco la strada ma le evita anche la fiumana di studenti che passa ai piani inferiori lungo percorsi più diretti: infatti, per quanto la ragazza si definisca “in ritardo”, si trova in realtà perfettamente allineata con le tempistiche dettate dagli orologi; preferisce tuttavia arrivare in classe un po’ prima, in modo da potersi scegliere il posto con attenzione- o, come in quel caso, compensare contrattempi. Il fiato le si condensa davanti al viso, costringendo Cassandra a stringersi nel bavero del mantello che ha foderato in pellicciotto sintetico, quindi decide che per i pochi metri che la separano dalla porta della torre di astronomia può anche correre davvero: deve tenere la porta aperta qualche istante, perché la sua borsa non ha reagito con prontezza allo scatto, ma il tepore dell’interno sulle guance le dà un certo sollievo. Flette le dita intirizzite dal freddo, belle mani affusolate da pianista che hanno tuttavia il difetto di disperdere molto in fretta il calore, quindi torna di buona lena al suo percorso: scende, di nuovo fuori lungo il ponte sospeso, dentro alla torre di astronomia, il tutto senza incrociare anima viva.
«Sono più in ritardo del previsto?» Si chiede, quindi scosta la manica per rivelare un orologio dal cinturino di cuoio con un vecchio quadrante analogico; le lancette indicano che mancano esattamente sette minuti alle otto, quindi scuote il capo decisamente rassicurata. «Mah, magari sono solo fortunata…» Non che la compagnia le dispiaccia, ma trova quei momenti di solitudine preziosi, specie dovendo convivere con un branco di cuccioli di golden come i suoi compagni di casa: li adora, e sa quanto la loro genuina apertura e candida gentilezza siano preziose qualità, ma preferisce potersi ritagliare del tempo in pace.
Una volta arrivata alla fine della galleria lunga, davanti la maestosa porta della biblioteca, gira a destra in direzione di quella ben più modesta che conduce ad una scalinata a chioccola: tre rampe di scale tonde e il suo obbiettivo sarà raggiunto; non potrà certo accomodarsi al suo posto prediletto, quello in fondo all’aula dalla parte opposta alle finestre che negli anni ha individuato come migliore per distrarsi in quella lunga e noiosa ora, ma almeno eviterà la vergogna di entrare a lezione iniziata, sotto lo sguardo di tutti. O almeno questo è quello chela sua mente ha già immaginato, ma una furia scura le taglia la strada.
«Cassandra! Cassandra! Meno male, avete incantesimi nell’aula I-7A, giusto? Yue è già lì?» La frase, ben lungi dall’essere urlata, ha ugualmente un tono carico di apprensione; voltandosi l’interpellata riconosce Gilly, una serpeverde che spesso si infila nel loro dormitorio per pigiama parti improvvisati. Non è per nulla sorpresa di notare due graziosi bun alti a legarle i capelli, anche se hanno un’aria ben più disordinata del solito a causa probabilmente della corsa disperata che si interrompe solo quando le arriva ad un palmo dal naso; per un attimo la ragazza ha temuto di essere investita, tanto che si ritrova con le gambe rigide e la schiena leggermente volta indietro per evitare che i loro visi siano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Gilly, tuttavia, pare ben poco turbata dalla vicinanza e riprende il suo assurdo monologo. «Dobbiamo scappare, è un casino, credo siano impazziti o abbiano la licantropia… o magari sono wendigo! Aspe’, esistono i wendigo? Non importa, prima prendiamo Yue e poi scappiamo con… dov’è la mia scopa?»
«Non hai lezione adesso?»
«Ma mi hai sentito?» Dopo aver constatato che tra le sue mani non c’è alcuna scopa, la serpeverde si volta di nuovo verso di lei e inclina leggermente il viso tondo alzando le sopracciglia in un’espressione piena di biasimo- tuttavia, in quanto lei stessa proprietaria di una frangia, Cassandra può solo notare come quella della compagna sia irregolare come l’avesse tagliata da sola.
«Licantropi di giorno o forse wendigo, che però non mi risulta esistano… specie in questo continente. Comunque Yuemi deve essere già in classe, se vuoi sto andando lì.» Aggiunge, indicando con un dito sottile la direzione della scala davanti a lei. Gilly segue con gli occhi scuri il suo gesto, quindi scuote con forza la testa e riprende a camminare a passo sostenuto: Cassandra si ritrova a correre per starle dietro, un po’ per la falcata decisa ed un po’ per i cinque centimetri che le separano, e che non aveva mai pensato potessero influire tanto. «Non puoi infilarti nelle nostre lezioni come nel nostro dormitorio! Gilbe--»
Non fa a tempo a finire di chiamare la ragazza col nome completo, modo certo di ottenere la sua attenzione- anche se forse nel peggiore dei modi, ma se ne sarebbe preoccupata in un secondo momento- che quella gli afferra il polso e la trascina di colpo all’interno della scalinata, intrappolandola tra la pietra gelida e il suo corpo mentre le fa cenno di non fiatare: per qualche motivo, nonostante la temperatura generale e la scomodità della posizione, la tassorosso sente le guance calde e il desiderio di non divincolarsi dall’inusuale situazione. Solo quando riprende a parlare si rende conto di non aver distolto gli occhi verde-nocciola dal nodo mal fatto della sua cravatta, incapace di guardarle il viso per una timidezza improvvisa che le è estranea. «Okay, se ne sono andati. Per fortuna non ci hanno visto, sono gli stessi che ho visto al campo d’allenamento, hanno raggiunto una ragazza e l’hanno aggredita… ora stava cacciando con loro.»
«Sì, certo, cacciando.» Ripete meccanicamente, poi finalmente l’illuminazione. È così semplice, così ovvio, da sfuggirle fino a quel momento: non può trattarsi altro che di uno dei suoi vividi, apocalittici sogni! In quale altro mondo una scuola di magia come Hogwarts potrebbe ritrovarsi invasa di creature pericolose? Gilly, poi, non le pare il tipo da fare certi scherzi… non così stupidi, per lo meno, anche se negli anni la sua indole le si è chiarita in modo abbastanza lampante. Il sollievo per aver sbrogliato la matassa le scioglie le spalle, permettendole una posizione meno rigida e consentendole di allontanare con gentilezza la compagna. «Va bene, ho capito tutto. Quindi, per svegliarmi devo portarti da Yuemi? Fattibile!» Esclama con una nota allegra, l’ombra di un vago sorriso a macchiarle le labbra.
La serpeverde pare confusa ma, senza troppe remore, decide di assecondare il bizzarro comportamento della mora. Nel momento in cui questa si incammina, tuttavia, il neonato equilibrio già minaccia di incrinarsi: Cassandra si volta esattamente dopo tre scalini per trovare Gilly leggermente china che si massaggia il capo, le unghie color verde acqua unica nota di perfetto ordine eppure in qualche modo comunque bizzarre nei colori spenti e seppiati dei dintorni; la pesante borsa incantata per seguirla non tiene conto degli ostacoli, sfortunatamente, e si limita a seguirla un metro circa ad altezza spalle, incurante dell’eventuale presenza di altri oggetti o, in questo caso, persone.
«Ma cosa ci tieni dentro? Pare marmo!»
«Solo lo stretto necessario, come libri e snack d’emergenza… aspetta, ti appello del ghiaccio istantaneo.» Ribatte, prendendo la bacchetta dalla tasca del mantello.
«Il ghiaccio istantaneo non è stretto necessario…» Borbotta la serpeverde posando per un solo istante il palmo sulla parete, e ritirandola immediatamente quando si rende conto di quanto sia umida la roccia, quindi le fa un rapido cenno di proseguire. «Sto bene, dai! È più importante salire. Terzo piano, giusto?» Alla risposta affermativa Gilly la supera, in parte per evitare discussioni ed in parte per non rischiare più che la borsa le finisca nuovamente addosso; Cassandra non può certo biasimarla, lei stessa fatica a portare quel peso sulle sue gracili spalle ed è per questo che preferisce lasciarla svolazzare dietro di sé in modo talvolta meno pratico ma anche decisamente meno faticoso.
Nonostante la fretta di trovare l’amica, tuttavia, questa volta la tassorosso non fatica troppo a tenere il passo: la scala a chioccola non permette di vedere molto bene eventuali altri studenti o, cosa che probabilmente l’altra teme di più, creature di quell’incubo; ogni pochi passi Gilly si ferma e tende l’orecchio, cosa che permette a Cassandra di seguirla agevolmente e raggiungere il terzo piano senza il minimo sforzo. L’aula che è il loro obbiettivo dovrebbe essere la prima porta alla loro destra, che tuttavia risulta aperta: all’interno non c’è nessuno, se non qualche appena accennata traccia di sangue fresco, cosa che fa scattare la serpeverde.
«Okay, adesso seguiamo le tracce, e se nel frattempo troviamo anche il responsabile di questo casino, beh… spero per lui che non lo troviamo.»

17

School-Leavers-8

★★★

Le serre sono, senza alcun dubbio, il luogo più piacevole dell’intero castello: la sera precedente Camille è stato presentato all’intero corpo studentesco, un’esperienza che qualcuno avrebbe potuto considerare imbarazzante o disagevole ma che per lui, tutto sommato, è stata divertente; è quasi più vicino di età agli studenti che a certi professori, cosa che gli ha permesso di non assumere un comportamento eccessivamente formale durante la cena- nonostante si sia sforzato di essere più educato possibile, certe insulse regole non hanno mai fatto parte del suo essere.
Poi le stanze, che per i professori di erbologia sono ammassate nella stessa torre accanto alle serre e gli ricordano molto certi campus universitari, ma peggio organizzati perché per la colazione è dovuto scendere e farsi mezzo castello per poi tornare al punto di partenza per le lezioni del mattino; chiunque avesse deciso quelle disposizioni, decisamente non aveva il senso della praticità- idea che in parte si era formata nel momento in cui aveva capito di non avere il wii-fii disponibile. L’unica fortuna è stata segnare il primo giorno sul calendario, depennandone uno e avvicinandosi un poco alle vacanze di natale in cui il suo supplizio sarebbe finito.
Camille sistema con cura i suoi strumenti, pronto ad almeno una prima lezione interessante con i mocciosi del terzo anno: piccoli mazzetti essiccati e graziose piantine di valeriana dai piccoli fiori bianchi sono posate con cura lungo un bancone, pronte ad essere curate dai maghetti capaci di produrre la luce che le piante bramano. Oltre a quello, gli appunti riguardo le proprietà magiche e non sono già a portata di mano, come non le conoscesse a menadito. Andrà benissimo, oggi, ne sono certo si dice e, quasi a conferma, Ramirez spunta dai suoi capelli e si accomoda sulla spalla ossuta, emettendo dei piccoli squittii che ricordano in modo buffo dei colpi di singhiozzo. L’uomo gli passa con affetto un dito sul capolino e quello chiude gli occhietti neri, calmandosi immediatamente e arrotolando la coda attorno al corpo.
«Già, questo freddo non piace nemmeno a me.» Commenta nonostante l’umidità e la temperatura siano controllate magicamente per permettere alle piante di prosperare e, come conseguenza involontaria, il luogo sia piacevolmente tiepido; quel tanto che basta da non dover indossare maglione e sciarpa, se non altro.
Ora non ci resta che aspettarli… non dovevo andare a prenderli io, no? Si chiede, poi guarda con aria distratta lo schermo del cellulare: in alto a destra il campo è segnato assente, riducendo l’apparecchio ad un costoso orologio; l’unica sorpresa positiva è stata trovare delle prese di corrente nella propria stanza, anche se ha elegantemente soprasseduto sui metodi con cui l’energia elettrica venga giustificata o anche solo pagata. Ad ogni scoperta fatta riguardo la scuola di magia inglese Camille è un poco più in dubbio riguardo la praticità dei loro metodi.
E tuttavia nulla, assolutamente nulla, può rovinare quella prima giornata che promette tante interessanti prime volte: si sente in pace, può quasi pensare di fare il professore per sempre. L’idillio viene distrutto da un lampo in oro e rosso, colori che gli è stato insegnato subito ad associare ai guai anche non ricorda il nome della casa- qualcosa relativo ad un leone.
«Prof! Professor Vanden Brock! Chiuda la porta, gli… cazzo, Fanny non vuole, i mostri mi stanno inseguendo!» Esclama un ragazzo alto con il fisico secco ed una faccia d’angioletto che però decisamente non è uno degli studenti quattordicenni che sta aspettando. Si chiude la porta alle spalle, nonostante attraverso i vetri sia ancora possibile vedere un ragazzetto malandato corrergli dietro; si schianta contro lla porta come non si fosse reso conto dell’impedimento e, nonostante la superficie sempre meno trasparente, continua a far schioccare i denti nel tentativo di mordere.
«… questa scuola è un assoluto disastro.»


Angolo-Autrice-2
Eccoci col primo capitolo!
È un capitolo mascherato da selezione, dato che le cose iniziano già a muoversi un po’ nonostante abbia cercato di presentare come si deve i primi bimbi.
Spero che si vedano i primi accenni di personalità, per ora il professore è quello che ha avuto più spazio mentre altri sono stati introdotti solo da PoV non loro: è stata semplicemente una scelta pratica per me, dato che molto spesso mi è più facile far brillare certe personalità dall’esterno piuttosto che utilizzando il loro punto di vista, oltre che permettermi di prendere confidenza in modo più graduale. Insomma, se ho sbagliato con il povero Tyson possiamo dare la colpa al fatto che fosse filtrato da Fanny, mentre se la sua autrice mi dà il via libera grande gioia.
Volevo anche mostrare che il modus operandi della scrittura non sarà uguale per tutti, Mills ha avuto un sacco di dialoghi interni mentre qui ne abbiamo visti molti meno; dipenderà molto dall’OC.
Inoltre, come potete vedere, le iscrizioni resteranno aperte fino al 3° capitolo- contando questo come primo- e siccome cercherò di mantenermi con uno al mese e pubblicare l’ultima settimana circa, impegni permettendo, direi che il 22 dicembre mi sembra adatto come termine per la creazione del gruppo.
Come vedete sopra, si tratta per ora di singoli o coppie, e si uniranno gli uni agli altri lentamente- cosa che mi permetterà di aggiungere OC più avanti. Sarò comunque reperibile e per domande o comunicazioni potete trovarmi su instagram cliccando la precedente scritta blu.
Inizio con la prima domanda! Chiedo gentilmente di rispondermi in privato, mi serve per i titoli (che verranno mano a mano scritti dal primo pov)

Qual è la calligrafia del vostro oc? Elegante, in corsivo, rapida, spigolosa? Descrivetemela!

Bacini,
Fe_

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