Cronache di una galassia molto molto lontana

di Keeper of Memories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** This is the sign you've been looking for ***
Capitolo 2: *** We wanted to be the sky ***
Capitolo 3: *** I can't explain and won't even try ***
Capitolo 4: *** This is where the magic happens ***
Capitolo 5: *** Sinners ***
Capitolo 6: *** If we ever stop talking, send me a song ***
Capitolo 7: *** Drunk enough to say I love you? ***
Capitolo 8: *** Forget the maps... follow your istincts ***
Capitolo 9: *** It's not me, it's you. ***
Capitolo 10: *** Sweet dreams are made of this ***
Capitolo 11: *** Be naked when I get home ***
Capitolo 12: *** We see what we want ***
Capitolo 13: *** You are exactly where you need to be ***
Capitolo 14: *** I am the designer of my own catastrophy ***
Capitolo 15: *** People like you need to fuck people like me ***
Capitolo 16: *** 'cause darling I'm a nightmare dressed like a daydream ***
Capitolo 17: *** To the moon and back ***
Capitolo 18: *** I licked it so it's mine ***



Capitolo 1
*** This is the sign you've been looking for ***


Genere: introspettivo, malinconico
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Rey, BB8
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse
 

Il sole cocente di Jakku stava sparendo oltre l’orizzonte, ma la sabbia era ancora abbastanza calda da far tremolare l’aria appena sopra le dune di sabbia del pianeta.
Rey finì di preparare il suo magro pasto e si sedette a terra, quasi lasciandosi cadere all’ombra del suo incandescente rifugio di rottami. Iniziò a mangiare voracemente, aveva molta fame. Non aveva trovato molto tra i resti dei vecchi incrociatori e quel quarto di porzione che aveva ottenuto in cambio non fu minimamente sufficiente a riempirle lo stomaco. Strinse le braccia attorno al ventre, in un disperato tentativo di placare il gorgoglio della sua pancia, finché non vi rimase solo un familiare dolore sordo.
In lontananza sentì il rombo dei motori di una nave, poi vide il suo profilo candido stagliarsi contro l’orizzonte, diretta verso l’alto, verso le stelle. Rey allungò il braccio all’interno del suo rifugio ed afferrò un vecchio casco da pilota, ammaccato, sbiadito. Il simbolo della Ribellione però rimaneva, scrostato ma persistente sulla vernice biancastra.
Lo indossò, calando con molta attenzione la visiera incrinata davanti agli occhi. Guardò il cielo, verso quella nave che diventava sempre più piccola contro il cielo terso, fino a diventare un puntino indistinguibile. Allungò le braccia verso una cloché invisibile, dipingendo davanti ai suoi occhi un fittizio cielo stellato che le si avvicinava mentre pilotava la sua nave immaginaria.
Dev’essere bellissimo volare, si disse. Milioni di stelle, milioni di mondi sconosciuti, si celavano dietro la pesante coperta diurna di Jakku. Si disse che li avrebbe visitati tutti, quelli oceanici e vulcanici, quelli perennemente innevati e quelli desertici come quello in cui viveva. Doveva solo aspettare che i suoi genitori tornassero.
Perché sarebbero tornati, giusto?
Si era chiesta se non dovesse chiedere di loro altrove, nei sistemi confinanti o in qualunque luogo potessero essere stati monitorati gli ingressi e le uscite dal pianeta. Ma cosa sarebbe successo se fossero tornati proprio mentre lei non c’era?
Non sapeva cosa fare, i dubbi la attanagliavano almeno quanto i morsi della fame le tormentavano lo stomaco. La verità era che si sentiva persa. L’ignoto la terrorizzava, la solitudine la terrorizzava, quel limbo d’indecisione la terrorizzava.
Si ricordò di alcune dicerie, su una vecchia religione che venerava una misteriosa “forza” che connetteva ogni essere vivente. Qualcuno diceva perfino fossero in grado di vedere il destino dell’universo, un potere che le sembrò molto utile in quel momento.
«Ehi, non so se mi senti. Uhm, non so nemmeno se esisti in realtà» disse ad alta voce «però, si, ecco, non so cosa fare. Non è che potresti, che ne so, mandarmi un segno?»
Delle voci concitate la distolsero dai suoi pensieri, voci che venivano da un jawa scocciato e dai bip allarmati di un’unità BB.

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Capitolo 2
*** We wanted to be the sky ***


Genere: introspettivo, malinconico, sentimentale
Tipo di coppia: het
Personaggi: Kanan Jarrus, Hera Syndulla
Avvertimenti: Missing Moments
 
Passi leggeri sulla roccia gli annunciarono il suo arrivo, rapidi e sicuri, prima ancora che iniziasse a parlare.
«Speravo di vederti alla riunione operativa» gli disse Hera, costringendolo ad uscire dalla sua meditazione.
«So che Ezra è andato bene» rispose, nascondendo qualunque barlume di preoccupazione dalla voce impastata.
«È stato appena promosso, ma si sente responsabile per quello che è accaduto a te e ad Ahsoka.»
«Non deve.»
Kanan sapeva come Ezra si sentiva. Lo percepiva nella sua voce seccata, frustrata, ogni volta che veniva a cercarlo per scuoterlo fuori dalle sue ostinate meditazioni.
«Beh, vorrei che glielo dicessi tu.»
«Lo farò» disse Kanan sciogliendo le spalle, abbandonando la rigida posizione di meditazione.
Un altro rumore di passi ed Hera gli fu vicino, sentiva il calore del suo corpo e il lieve tremito dell’aria causato dal suo respiro.
«Torna sullo Spettro, Kanan. Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te.»
«Sarei solo d’intralcio, Hera. Lo sai benissimo.»
«Cosa vuoi fare, allora? Restare qui per sempre a piangerti addosso?»
«Sono cieco Hera! Non posso combattere e la mia connessione con la Forza è danneggiata. Vi sarei inutile.»
Aveva alzato la voce, non avrebbe dovuto, non con Hera. Da bravo jedi aveva provato a cementare le sue emozioni dietro un muro impenetrabile, per mantenere la pace, sua e di chi gli stava accanto. Eppure lei era riuscita ad abbatterlo, con poche parole, con la sua preoccupazione e il suo affetto.
“Hera è magnifica”, pensò.
L’aveva sempre pensato, soprattutto quando sedeva nella cabina di pilotaggio dello Spettro, quando salivano su, verso il cielo, verso le stelle. Il cielo era la sua casa, il luogo in cui Hera splendeva, a cui apparteneva. Lui l’aveva sempre seguita, abbagliato, sperando che quella luce scacciasse almeno un po' le ombre del suo passato, ma ora che il suo mondo intero era irrimediabilmente buio non osava. Come avrebbe potuto? La sua incapacità di combattere lo facevano sentire inutile, un peso che l’avrebbe trascinata giù, incatenata.
Un fruscio e la mano di Hera raggiunse il suo viso, ne sentì il calore sulla guancia ruvida, arsa dal sole di Atollon.
«Troverai un modo, ne sono sicura. Ho fiducia in te.»
Gli fu necessario richiamare anni e anni di addestramento jedi per compiere l’immane sforzo di non crollare in quell’esatto istante.
Voleva dirle che l’amava. Voleva dirle come si sentiva, voleva dirle che aveva molte paure, che la peggiore di tutte era dimenticarsi irrimediabilmente del suo viso, della luce nei suoi occhi e del sorriso che riservava solo a lui.
Non disse nulla di tutto questo. Posò la sua mano su quella di Hera e si abbandonò a un lungo sospiro.
«Ci proverò, Hera. Ci proverò.»

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Capitolo 3
*** I can't explain and won't even try ***


Genere: introspettivo
Tipo di coppia: slash
Personaggi: Armitage Hux, Kylo Ren
Avvertimenti: Missing Moments
 
«Il tuo comportamento è riprovevole, Hux.»
Amitage Hux sospirò e aprì un occhio, non accennando minimamente a volersi sistemare sullo scomodo divanetto della cantina. Kylo Ren era senza maschera, l’espressione disgustata, lo sguardo duro.
«Levati dalle palle» grugnì, allungando il braccio per svuotare ciò che restava della terza bottiglia di rum corelliano nel suo bicchiere.
«Ho l’ordine di riportarti indietro.»
«Tsk, dovrai usare la Forza per trascinarmi» ribadì, mettendosi seduto «sempre che i tuoi ordini non prevedano anche discrezione.»
Hux sorrise, lanciando una breve occhiata alla bettola in cui si trovava. Aveva abbandonato la sua divisa, liberato i capelli dalla cera con cui li pettinava ed era sceso molto in basso nei livelli di Coruscant per quella bevuta. Quel luogo sudicio e puzzolente era imbucato in un luogo così lontano dal mondo che nessuno lo avrebbe riconosciuto.
Kylo Ren rimase alcuni istanti a fissarlo, con quella sua espressione fastidiosamente corrucciata, o così sembrava ad Hux. Dopo la terza bottiglia di rum diventava un po' difficile distinguere le espressioni facciali.
«Amenoché… tu non sia venuto qua di tua spontanea volontà! È così?» proseguì, sghignazzando tra sé e sé.
«So che giorno è oggi» disse Kylo Ren, con tono lapidario, mentre Hux svuotava d’un fiato il contenuto del suo bicchiere.
«Tu non sai un cazzo, Ren» ribadì, sollevando la bottiglia vuota verso l’unica cameriera del locale, per chiederne un’altra.
«So che è il secondo anniversario della morte di tuo padre. È patetico da parte tua abbandonarti al dolore in questo modo.»
Hux scoppiò in una sonora risata. Non c’era assolutamente nessuna traccia di dolore, solo disgusto sofferenza per un’intera giornata passata a ringraziare pomposi membri del Primo Ordine che gli parlavano con nostalgia dell’importanza e della bravura di suo padre.
Odiava suo padre. Lo odiava per come l’aveva sempre trattato, per tutte quelle volte che l’aveva fatto sentire debole, inetto, mediocre. Era ormai il terzo anno che passava quel giorno così, nell’anonimato, a sfogare le sue frustrazioni in una cantina di bassa lega con alcolici scadente, probabilmente acqua di fogna mischiata all’alcol a giudicare dal sapore di quello che gli avevano portato.
«Non hai capito un cazzo, Ren e no, non intendo spiegarti assolutamente nulla. Ora vattene da qui.»
«Hai bisogno di rivedere le tue priorità. Pensavo che il tuo obiettivo fosse il bene del Primo Ordine, come puoi-»
Hux si alzò di scatto e, barcollando appena, si avvicinò a Kylo Ren, che imperterrito continuò il suo noiosissimo discorso senza preoccuparsi troppo dei movimenti di un ubriaco.
Senza troppe cerimonie, Hux gli afferrò il mento con una mano, premendo le dita sottili sulle guance di Ren e costringendolo ad avvicinare il volto al suo. Per un lungo istante, la voce di Kylo Ren venne zittita da un bacio.
«Chiudi il becco e levati-» grugnì Hux a uno sbigottito cavaliere di Ren, ma non finì mai la frase.
Qualcosa lo colpì alla nuca e, quando il giorno dopo si risvegliò nei suoi alloggi, non ricordava più nulla dell’accaduto.
 

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Capitolo 4
*** This is where the magic happens ***


Genere: generale
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Galen Erso
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse
 
«Ho bisogno del vostro nome e del vostro identificativo, signore» disse lo stormtrooper davanti alla porta che separava la stazione spaziale dall’hangar.
«Neopromosso ingegnere Caldon Ambara, signore!» rispose con entusiasmo il giovane umano nella sua nuova e impeccabile divisa imperiale.
Il soldato passò il sottile cilindro di metallo che quest’ultimo gli porgeva al droide astromeccanico ai suoi piedi. Pochi istanti dopo, le porte si aprirono.
«Potete entrare» gli confermò lo stormtrooper.
Altri soldati lo scortarono all’interno della stazione orbitante, fino a uno spazioso ufficio. Gli venne detto di accomodarsi e attendere.
Troppo nervoso ed emozionato per stare seduto, Caldon si avvicinò alla finestra per ammirare l’enorme stazione spaziale, nonché letale arma, che l’Impero stava costruendo.
«Quindi è qui che avviene la magia» disse ad alta voce, rimuginando tra sé e sé.
«Non esattamente.»
Perso nei suoi pensieri, il giovane ingegnere non aveva minimamente sentito l’apertura della porta alle sue spalle, né i passi del proprietario di quell’ufficio.
«Voi dovete essere l’ingegnere capo Galen Erso! È un piacere fare la vostra conoscenza signore. Sono un vostro ammiratore» disse Caldon, ricordandosi solo in seguito del protocollo imperiale, che prevedeva si mettesse sull’attenti.
Galen Erso non sembrò tuttavia badarci troppo. Chiuse la porta alle sue spalle e si sedette alla sua scrivania.
«Tu sei l’ingegnere in prova… Ambara, corretto?»
«Si, signore.»
«Innanzitutto, questa è scienza, non magia. In secondo luogo, benvenuto nel progetto Potere Celeste.»
«Grazie, signore! Posso farvi una domanda, signore?»
«Prego.»
«In qualità di suo nuovo assistente, lavorerò con voi agli armamenti della nuova stazione?»
Galen non rispose immediatamente. Osservò alcuni istanti il nuovo arrivato, il volto impassibile tradito dallo sguardo cupo. Si alzò e si avvicinò alla finestra, dando le spalle a Caldon.
Non visto dal suo superiore, Caldon incrociò le braccia, digitando qualcosa al dispositivo in suo possesso attorno al polso.
«Ho lavorato una vita intera per dare alla galassia un sistema che fornisse ad ogni pianeta abitabile energia infinita. Invece ho involontariamente costruito un’arma che eliminerà pianeti interi e miliardi di vite innocenti.»
«Allora c’è ancora speranza.»
Galen Erso si voltò di scatto. La persona davanti a lui non aveva più un’aria vispa e gioviale, tutt’altro.
«Spero vi rendiate conto che questo ufficio è sorvegliato attivamente.»
«Ci ho già pensato, abbiamo qualche minuto.»
«Chi siete?»
«Un amico con un suggerimento.»
«Vi ascolto.»
«Un uomo intelligente crea un’arma perfetta, un genio crea un’arma con un difetto invisibile agli uomini intelligenti» sussurrò “Caldon Ambara”, avvicinandosi discretamente a Galen «e io so benissimo quale dei due voi siete.»
“Caldon” si avvicinò alla porta dell’ufficio.
«Come farò a ritrovarti?» chiese Galen.
«Verremo noi a cercarti.»
«Voi chi?»
“Caldon Ambara” sorrise.
«Fulcrum, ovviamente.»

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Capitolo 5
*** Sinners ***


Genere: introspettivo, malinconico, angst
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: CC-2224 “Cody”
Avvertimenti: Missing Moments


Cody era seduto sui talloni in posizione rigida, davanti a un’unità R5. Fece un profondo respiro e avviò la registrazione di un messaggio.
«Questa registrazione è… no, ferma. Non mi piace.»
R5 emise un bip, confermando l’eliminazione della registrazione.
«Riparti.» Un altro bip.
«Il mio nome è… ferma di nuovo. Dannazione!»
Il pugno di Cody colpì la parete metallica al suo fianco, graffiandola. L’unità R5 emise una serie di bip spazientiti.
Cody guardò il suo nuovissimo casco da stormtrooper, pulito, bianco, identico a quello di tutti gli altri stormtrooper.
«Un’ultima volta.»
Il droide astromeccanico iniziò una nuova registrazione.
«Io sono CC-2224, ma “Cody” è il nome che mi è stato dato dai miei compagni. Sono nato su Kamino, progettato per combattere come tutti gli altri cloni nella guerra che porta il nostro nome.»
Cody guardò la spia luminosa di R5 per qualche istante, indugiando nei ricordi.
«Era tutto diverso a quei tempi. Eravamo solo noi, cloni e jedi, gli unici a frapporsi tra le armate di droidi di Grevious e il resto dell’universo. Ho combattuto ovunque, da Kamino a Tatooine, da Rodia a Coruscant. Ho visto mondi cadere. Ho imparato molto dai jedi, da Kenobi, Skywalker e dalla giovane Ahsoka Tano. Siamo sempre stati uniti di fronte a tutto, anche alle situazioni peggiori. Eravamo degli eroi. Finchè…»
Cody strinse a pugno le mani posate in grembo, le unghie seppur tenute corte graffiavano i palmi.
«…arrivò un ordine. L’ordine che bollava i jedi come traditori. I miei ricordi sono annebbiati. Lo sono stati per molto tempo dopo quell’ordine, in realtà. Quello che ricordo è…»
Cody deglutì, la bocca si era seccata e faceva fatica a parlare. Abbassò lo sguardo, sull’armatura candida che gli ricopriva le gambe, ora macchiata di sangue.
«…è che ho ucciso il Generle Kenobi.»
Schiuse i pugni e per un istante incalcolabilmente lungo rimase a fissare i palmi insanguinati.
«Tutti dicono che i jedi sono traditori, io non so se questo è vero o meno. Quello che so è che ho ucciso un commilitone, un fratello, un amico.»
Richiuse le mani a pugno, con maggiore delicatezza, senza infierire sulle ferite aperte. Alzò gli occhi, guardando direttamente nell’ottica vermiglia di R5.
«Ci hanno fatto qualcosa, ne sono sicuro. Qualcosa che ha represso la nostra coscienza, che ci costringe a seguire ciecamente gli ordini. I jedi ci avevano insegnato a pensare, ci chiamavano per nome e ci trattavano da compagni. Per loro eravamo delle persone. Da quando abbiamo iniziato a servire l’Impero questo è cambiato; per l’Impero, siamo esattamente ciò per cui siamo nati, dei soldati che seguono ciecamente gli ordini. Non abbiamo più un nome, non abbiamo più una personalità.»
Una fitta alla testa arrivò come un fulmine a ciel sereno, facendolo boccheggiare per il dolore. Doveva resistere. Doveva.
«Questo messaggio è per i posteri. Non so per quanto tempo sarò ancora Cody, i fratelli che guidavo in battaglia sono dei numeri ormai da molto tempo. Liberateci da tutto questo, in qualunque modo riteniate necessario. Ve ne prego.»

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Capitolo 6
*** If we ever stop talking, send me a song ***


Genere: sentimentale, malinconico
Tipo di coppia: het
Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Satine Kryze
Avvertimenti: Missing Moments, Songfic
 
Nella sua stanza, Satine si alzò, osservando brevemente il suo riflesso nello specchio. I capelli biondi erano stati intrecciati attorno al suo viso e il vestito azzurro le donava una certa eleganza nella sua semplicità. Era pronta per il gran giorno, quello in cui sarebbe diventata ufficialmente la Duchessa di Mandalore.
La cerimonia era pronta, così come il ricevimento; poteva sentire la musica provenire dal salone e vedere dall’ampia finestra gli ospiti sciamare all’interno del palazzo.
Un picchiettio sul vetro della finestra catturò la sua attenzione.
«Ben!» Satine aprì rapidamente la finestra.
«Salve, duchessa!»
«Come… dovevi essere partito per Coruscant da due rotazioni!»
«Non volevo perdermi il tuo gran giorno. Posso entrare?»
Satine si fece da parte, permettendogli di entrare dalla finestra.
«Delle congratulazioni sono d’obbligo, duchessa.»
Obi-Wan sorrideva, lisciandosi inutilmente le vesti da jedi spiegazzate dal vento.
«Non chiamarmi così, per favore» gli disse, lasciandosi sfuggire un sorriso. Nonostante l’arrivo in atteso, era felice di rivederlo, più di quanto non volesse ammettere.
Per quanto la voce di Obi-Wan fosse calma e l’espressione serena, Satine non si fece ingannare; era nervoso, lo sapeva dal modo in cui continuava a rigirarsi tra le dita la sua treccia da padawan. Vivere fianco a fianco per un anno intero gliel’avevano insegnato.
«Satine, io-»
«Ben, ascolta. La riconosci?»
Per qualche istante, entrambi si fermarono ad ascoltare la musica che proveniva dal salone sotto di loro.
A Satine ricordava una città anonima dove si erano rifugiati per sfuggire agli ennesimi mercenari che le davano la caccia. Si erano nascosti nelle fogne, non lontano da una cantina. Quella canzone, dolce e melodiosa, aveva tenuto loro compagnia lungo tutta quella notte insonne.
 «Non penso che la dimenticherò mai, come la puzza di quelle fogne del resto.»
«Quindi non mi chiedi di ballare?» Satine mise un finto broncio.
«Come potrei!» esclamò Obi-Wan, esibendosi in un profondo inchino prima di porgerle la mano «Potete concedermi questo ballo, mia signora?»
Satine rise prima di prendere la mano di Obi-Wan.
«Non sapevo che i jedi ballassero.»
«Sono un uomo pieno di sorprese, mia cara.»
Obi-Wan la strinse a sé, improvvisando qualche incerto passo di danza. Satine scosse il capo, ridacchiando tra sé e sé per l’ovvia bugia. Dopotutto non le importava, rimanere qualche minuto tra le braccia di Ben era tutto ciò che desiderava in quel momento.
«Questa è l’ultima volta» mormorò Obi-Wan al suo orecchio.
«Lo so, Ben.»
«I miei sentimenti non sono cambiati e lo sai. Una tua parola e lascerò i jedi.»
«Ben…» Satine si scostò, quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
«Mandalore ha bisogno di me. I jedi hanno bisogno di te, lo sai benissimo. Non possiamo.»
Ogni parola era una fitta al petto e il dolore che leggeva nello sguardo di Obi-Wan era profondo, lancinante quanto il suo.
Obi-Wan si chinò su di lei e con delicatezza posò le labbra sulla sua fronte.
«Va bene. Addio Satine.»
«Addio Ben.»
Satine chiuse gli occhi e quando li riaprì era sola nella sua stanza.



Note: questa songfic è stata scritta usando la canzone che dà il titolo a questo capitolo e che è allo stesso tempo il prompt usato per la storia. Qui, Obi-Wan è ancora un padawan e canonicamente fu proprio Satine a soprannominarlo Ben per la prima volta.

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Capitolo 7
*** Drunk enough to say I love you? ***


Genere: sentimentale
Tipo di coppia: het
Personaggi: Rose, Finn
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse
 
Il “Wampa Danzante” era un nuovo, coloratissimo, locale di Coruscant, inondato di musica, cocktail stravaganti e camerieri di bell’aspetto in succinti abiti sgargianti.
«Sei sicura sia una buona idea?» chiese Finn preoccupato, lo sguardo saettante tra i tavolini che li circondavano. Non era molto sicuro della scelta di Rose e inoltre trovava che quel posto avesse un nome stupido.
«Ne hai bisogno, Finn. Quand’è stata l’ultima volta che ti sei preso una pausa? Insomma, non abbiamo più guerre da combattere.»
Rose sorrise, facendo un cenno alla prima cameriera di passaggio. Il locale era affollato, chiassoso e variopinto, nessuno avrebbe dato loro troppa importanza. La cameriera arrivò pochi minuti dopo, scivolando sui suoi pattini gravitazionali con disinvoltura.
«Cosa vi porto ragazzi?» chiese con voce nasale.
«Io prendo un Supernova» disse Rose, scorrendo un’ultima volta il menù proiettato sul tavolino trasparente.
«Io... uhm... questo “Huttslayer splash” ha un nome interessante» disse Finn ad alta voce.
«Sei sicuro? È piuttosto forte» gli fece notare Rose.
«Si! Voglio provare qualcosa di forte» annunciò Finn, con una sicurezza che in realtà non possedeva.
 
La sera arrivò anche in quella parte di Coruscant. Finn non ricordava con esattezza tutto quello che aveva fatto, o tutto quello che lui e Rose si erano detti. Ricordava molto bene però il sapore leggermente acidulo del suo cocktail e, decidendo rientrasse nei suoi gusti, ricordava di averne presi altri due. O forse erano tre?
A un certo punto, Rose aveva detto qualcosa sull’andare a prendere una boccata d’aria e ora si trovavano entrambi in cima a uno dei grattacieli dell’ecumenopoli.
«…mi stai ascoltando?» gli chiese Rose, guardandolo dritto negli occhi.
«Uh?»
Finn scoprì di essere così assorto nell’osservare Rose d’aver completamente mancato la loro ultima conversazione. In realtà, più ci pensava più faticava a ricordare cosa gli avesse detto nelle ultime ore. Rose scoppiò a ridere.
«Dovresti vedere la tua faccia! Assomigli a un pesce Laa.»
«Stavo… stavo guardando il tuo viso, è così bello e le luci colorate dei neon ti fanno sembrare… woah!» biascicò Finn, gesticolando in maniera scomposta per sottolineare il concetto.
«Ma va… sei solo ubriaco.» Rose arrossì leggermente, cosa che la fece sembrare solo più bella agli occhi di Finn.
«Beh, non è male essere ubriachi… mi sento fortissimo!» urlò Finn alzandosi in piedi «Fortissimo-o-o-o»
Rose lo tirò per una manica, convincendolo a sedersi di nuovo senza troppa difficoltà.
«Va bene, siediti però che siamo un po' in alto!»
«Si, giusto. Insomma, mi sento abbastanza ubriaco da dirtelo ecco!» continuò Finn, ignorando totalmente le ultime parole di Rose.
«Cosa?»
«Che ti amo, Rose!»
Rose si avvicinò e con delicatezza gli prese il viso tra le mani.
«E avevi bisogno di ubriacarti per dirmelo?»
«Il coraggio non è mai stato il mio forte» mormorò Finn posando la fronte su quella di Rose.
«Che sciocchino…» disse Rose, prima che le loro labbra si incontrassero in un bacio.
 
 

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Capitolo 8
*** Forget the maps... follow your istincts ***


Genere: azione, avventura
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Han Solo, Chewbecca
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse


«Questo non è bene» disse Han Solo, osservando la spia accesa del Millennium Falcon, che annunciava l’uscita dall’iperspazio della nave.
«Non possiamo aver preso un pozzo gravitazionale» ruggì Chewbecca in shyriiwook.
«Se non ci siamo finiti dentro, ci hanno fatto finire dentro, amico mio» osservò Han, mentre freneticamente si affaccendava sulla console per reindirizzare buona parte dell’energia agli stabilizzatori.
Il Millenium Falcon subì diversi scossoni prima di assestarsi e finalmente uscire dall’iperspazio.
«Dove diavolo siamo?»
«Un campo di asteroidi…» rispose Chewbecca, armeggiando con il navcomputer.
«Me ne sono accorto» osservò Han, indicando i grossi macigni spaziali che si vedevano dalla nave «Vorrei sapere come diavolo siamo-»
Uno scossone violento investì la nave, impedendo ad Han di concludere la frase.
«Pirati!» ruggì Chewbecca, indicando i sistemi radar del Falcon. I sistemi del Millennium Falcon si attivarono come impazziti, avvisando i due piloti che, con gli scudi in quello stato, non avrebbero retto altri colpi.
«Cosa? Chi è così sciocco da voler rubare a Jabba the Hutt?»
«Qualcuno che lo odia, magari.»
«Giusto. La galassia ne sarà piena.»
Han afferrò saldamente la cloche di comando della nave, allontanando il Falcon dalla portata dei nemici. Le manovre evasive erano piuttosto complesse in un campo di asteroidi, ma non era questo a preoccuparlo tanto quanto le altre due navi pirata, accuratamente nascoste alla vista.
«Chewie, potresti farli fuori? A Jabba non piace aspettare, sai com’è.»
Chewbecca corse alla postazione da cannoniere e si mise subito all’opera. I pirati erano piuttosto abili, il wookie capì immediatamente di non avere a che fare con dei novellini alla prima incursione. Oltre a questo, le manovre rocambolesche di Han gli impedivano di prendere correttamente la mira, portandolo a colpire più spesso asteroidi che navi in movimento.
I fu l’ennesimo scossone, poi la spia del navcomputer iniziò a segnalare errori.
«Chewie abbiamo un problema!»
«Basta che non sia l’iperguida…»
«L’iperguida è salva, ma il navcomputer è messo male.»
«Non bene, ragazzo» ruggì Chewbecca, mentre finalmente riuscì ad abbattere una delle tre navi pirata lanciate all’inseguimento «Dovrai inserire la rotta manualmente!»
«Come, Chewie? La mappa… non sappiamo nemmeno dove siamo esattamente!» esclamò Han, mentre si lanciava a velocità folle verso un asteroide, per poi virare verso l’alto a pochi istanti dall’impatto. Sentì distintamente Chewbecca grugnire per il fastidio.
«Lascia stare la mappa, segui il tuo istinto! Siamo partiti da qualche ora da Nar Shaddaa.»
C’erano vari campi di asteroidi tra la luna dei contabbandieri e Tatooine, ma, Han rifletté, uno solo poteva trovarsi a qualche ora di viaggio iperluce dal punto in cui erano partiti.
«Sicuramente siamo nel campo di asteroidi tra Gamorr e Rishi! Chewie, libera il passaggio» urlò al suo amico e copilota. Fece un rapido calcolo mentale, quindi diede coordinate e parametri di volo al malfunzionante navcomputer.
«Con piacere, Han! Alla peggio, se ci schiantiamo contro una stella nessun Hutt verrà a cercarci» ruggì divertito il wookie.
«Davvero rassicurante, amico mio.»
Poco dopo, il Millenium Falcon saltò nuovamente nell’iperspazio e, dopo qualche ora, entrambi arrivarono a destinazione.

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Capitolo 9
*** It's not me, it's you. ***


Genere: introspettivo, sentimentale, angst
Tipo di coppia: het
Personaggi: Cassian Andor, Jyn Erso
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse

 
“È finita” è il tuo primo pensiero quando esci zoppicante dalla torre di comunicazione, sorretto a fatica da Jyn.
È finita davvero.
Vi accasciate a terra, stanchi, mentre il peso delle vostre vite svanisce, assieme alla linea dell’orizzonte. Jyn ti prende la mano, un sottile sorriso di sollievo dipinto in volto.
Ti viene da pensare come sia ironico il destino; hai combattuto una vita intera per la libertà, una vita logorante fatta di scelte difficili, guidato come un faro dal “sacrifica uno per salvarne molti” finché quell’ “uno” non è diventato “molti”. Hai passato gli ultimi anni insonni a chiederti cosa fossi diventato e se ne fosse valsa veramente la pena, arrivando però sempre alla conclusione che, se era necessario per portare speranza nella galassia, allora lo avresti fatto. Alla fine, la speranza non l’avevi portata tu, ma lei.
Era stata lei.
Non sapresti dire cosa ti ha spinto a fidarti di Jyn. Forse era colpa di quella tristezza e solitudine così simili alle tue che eri riuscito a cogliere nel suo sguardo, dietro al velo d’indifferenza che così strenuamente portava. Forse, come diceva il vecchio guardiano dei Whills, era la Forza ad avervi fatto incontrare, ad avervi portato insieme in quel posto, in quell’esatto istante.
  • - Tuo padre sarebbe fiero di te, Jyn – le dici, stringendole la mano.
Jyn ti piace, è innegabile. L’hai pensato per la prima volta quando l’hai vista combattere contro gli assaltatori e proteggere una bambina da un’esplosione. In quell’istante avevi pensato che non sarebbe stato male abbandonare la solitudine della tua crociata per combattere con lei. Volevi combattere con qualcuno di capace, ma anche con qualcuno in grado di guardarti le spalle, a cui donare la tua cieca fiducia, per una volta. Sentivi che lei era la persona di cui avevi bisogno, di cui hai sempre avuto bisogno, sentivi che avrebbe portato speranza anche nel tuo cuore freddo e marcescente.
L’esplosione sta arrivando, le mastodontiche increspature del mare sono sempre più vicine. Vi abbracciate, perché nonostante la rassegnazione davanti alla vostra inevitabile morte, avete paura. È la fine, e la fine fa sempre paura.
Il tempo a vostra disposizione si riduce rapidamente e, nonostante tutto, nonostante tu abbia sempre saputo che una missione come quella sarebbe potuta finire così, scopri di non voler morire. Hai passato una vita con la consapevolezza che saresti potuto morire in qualunque istante, eppure ora, ora che c’è lei, vuoi vivere. Vuoi combattere ancora, con lei al tuo fianco. Vuoi chiederle della sua vita, di quel dolore così simile al tuo che nasconde al mondo, dei suoi sogni, di cosa vorrebbe fare quando l’Impero cadrà e sarete tutti liberi.
Ma non avete tempo. Non puoi fare altro che stringerla a te e, forse per la prima volta nella tua vita, piangere, per ciò che sei stato e per ciò non avete mai avuto.

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Capitolo 10
*** Sweet dreams are made of this ***


Genere: introspettivo
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Luke Skywalker
Avvertimenti: Missing Moments, Spoilers (serie Obi-Wan Kenobi)
 
I soli gemelli di Tatooine stavano lentamente calando oltre la linea dell’orizzonte, tingendo coi toni del rosso e dell’arancio il cielo del torrido pianeta desertico.
Luke sgattaiolò rapido attraverso l’uscio di casa e corse ad abbracciare zia Beru.
«Cos’hai combinato stavolta, Luke?» chiese Beru, lanciando uno sguardo inquisitorio al nipote.
«Niente!» rispose Luke, prima di sparire nella sua cameretta.
In realtà aveva mentito. Lo zio era andato a Mos Espa per acquistare dei pezzi di ricambio e gli aveva permesso di seguirlo e così aveva fatto per quasi tutto il tempo. Quasi.
Mentre passeggiavano, aveva sentito il suono dei motori e il chiasso della gente che esulta. Quando era riuscito a farsi strada tra le gambe della gente, si accorse di essere finito in un enorme edificio dove si stava tenendo una gara di sgusci.
L’aveva vista dall’inizio alla fine, aveva osservato i meccanici curare le loro vetture, aveva percepito l’adrenalina dei piloti, l’entusiasmo della gente. Sembrava tutto magnifico, almeno finché lo zio Owen non arrivò e lo trascinò via per un braccio. Si era beccato una bella ramanzina per tutto il tragitto fino allo speeder che li aveva portati lì.
Luke attese qualche istante, tendendo le orecchie per accertarsi che lo zio fosse troppo occupato dai vaporatori per badarlo. Prese i suoi occhiali da pilota e uscì silenzioso dalla piccola abitazione incastonata nel terreno.
Si arrampicò sulle mura della casa, accovacciandosi sulla pietra chiara ancora calda per la calura e calò sugli occhi i suoi occhiali. Gli bastò allungare le braccia e mimare i movimenti dei piloti di sgusci per tornare lì, poteva quasi sentire le urla dei tifosi, l’odore di carburante, il vento che gli sferzava il viso mentre sfrecciava sulla pista. Un fugace sogno che durò fino a quando zia Beru chiamò tutti per cena.
 
Quella notte Luke fece un sogno meraviglioso. Stava sfrecciando sul suo sguscio nel mare di Dune. Era velocissimo, il più veloce della galassia! Così veloce da sollevarsi da terra e volare in alto, verso le stelle. Così il suo piccolo sguscio diventò una nave spaziale, che Luke usò per piroettare nel cielo e poi sparire in esso, oltre i cocenti soli gemelli di Tatooine, verso l’ignoto e nuove avventure.
 
Quando Luke si svegliò, zio Owen lo stava già chiamando all’esterno della loro casa. Fu allora che la vide: su una delle casse con i pezzi di ricambio era posata una nave giocattolo identica a quella del suo sogno.






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Capitolo 11
*** Be naked when I get home ***


Genere: slice of life, romantico
Tipo di coppia: slash
Personaggi: Finn, Poe Dameron
Avvertimenti: Missing Moments, Lime
 
«Non sai quant’è bello sentirti in questo momento, Poe» annunciò Finn non appena fu in un posto abbastanza appartato da poter rispondere al suo comunicatore.
«Perché, solitamente non lo é?» chiese scherzosamente Poe, esibendosi in un ampio sorriso.
«Odio gli incontri diplomatici, lo sai benissimo» rispose, cercando con le dita di allargare lo stretto colletto del suo abito elegante «in più, credo che la vecchia senatrice di Kestos Minor stia cercando di farmi sposare una delle sue venti nipoti e l’idea non mi piace.»
Poe scoppiò in una fragorosa risata. «Beh, visto che sono tra quelli che pagheranno per la ricostruzione delle zone di guerra, potresti farci un pensierino.»
«Cos… stai scherzando vero?» Finn guardò sconvolto l’immagine olografica di Poe, mentre parlava. Notò il casco da pilota, leggermente più ammaccato rispetto a quello che ricordava, e un vanamente celato labbro rotto.
«Cosa diavolo ti è successo?» aggiunse, a voce alta. Si guardò brevemente attorno, scoprendo con sollievo che solo qualche droide inserviente stava passando di lì.
«Giusto, volevo parlarti di questo. Potrei tornare a casa con un po' di ritardo.»
«Quanto, esattamente?»
«Alcune… ore.»
«“Ore”.» Finn alzò gli occhi al cielo, sapevano entrambi che non sarebbero state solo poche ore.
«Abbiamo solo incontrato un po' di resistenza durante una pattuglia! Tornerò in tempo e ti prometto che passerai la serata migliore della tua vita» disse Poe, esibendosi di nuovo in uno dei suoi soliti mezzi sorrisi maliziosi che solitamente mandavano in pappa il cervello di Finn.
«Attento a quello che prometti Capitano, o le mie aspettative si alzeranno» ridacchiò Finn, sperando di nascondere eventuali espressioni da imbecille che tendevano ad apparirgli in volto in presenza di Poe.
«Ah! Fatti trovare nudo e ti prometto che sarà qualcos’altro ad alzarsi.»
«Solo “qualcosa”, tsk. Non prendermi in giro, sappiamo benissimo che sei sempre molto felice di vedermi. Soprattutto quando sono nudo.»
«Beh, non lo negherò. Però il dovere mi chiama. Ci vediamo stasera!»
«A stasera!»
 
Poe maledisse la sua sfortuna, assieme a tutte le carogne del Primo Ordine rimaste in vita che lo avevano costretto ad attardarsi con la flotta quella sera. Era molto tardi quando riuscì a rientrare a casa e il piccolo appartamento che divideva con Finn da qualche tempo era ormai immerso nell’oscurità.
Entrò in camera e, appena gli occhi si abituarono all’assenza di luce, individuò la sagoma di spalle di Finn, sotto le coperte del letto matrimoniale. Rapidamente si spogliò degli abiti da pilota e s’infilò sotto le coperte.
«Mi dispiace, alla fine non sono arrivato davvero troppo tardi» gli sussurrò all’orecchio, cingendogli la vita con un braccio.
«Beh, io ti ho aspettato, potresti almeno farti perdonare.»
Finn si scostò appena da quell’abbraccio, abbastanza da permettergli di voltarsi e catturare le labbra del suo compagno in un fugace bacio.
A Poe sfuggì un sorriso, le mani che scorrevano veloci lungo i fianchi di Finn gli confermarono che il suo compagno aveva seguito alla lettera le sue istruzioni.
«Beh, una promessa è una promessa.»

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Capitolo 12
*** We see what we want ***


Genere: introspettivo, angst
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Anakin Skywalker
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse
 
La nave atterra, silenziosa, su quella minuscola pista d’atterraggio circondata dalla lava. Il calore è soffocante, senti immediatamente il sudore imperlarti la fronte non appena il portellone si apre. Dai ordine a R2 di restare lì e procedi.
“È necessario” ripeti mentalmente come un mantra, mentre entri nella sala comando, “È necessario per salvare Padmè.”
Conti venti persone lì dentro, oltre a qualche droidi B1 a guardia della sala. Lo sguardo che dedichi loro è fugace, ma senti che le loro espressioni ti accompagneranno per sempre.
Pochi gesti della mano e le porte si chiudono. Sguardi confusi e interrogativi ti circondano, ignari di ciò che stai per fare, di ciò che devi fare.
Estrai la tua spada laser, ma è solo dopo la caduta dei primi droidi che realizzano. Vedi il terrore dipingersi sul loro volto, le voci stridule chiedere pietà mentre uno per uno li passi a fil di spada.
I tuoi gesti diventano meccanici, come quelli di un droide da battaglia programmato per uccidere a vista. Nessuno reagisce, nessuno è in grado di fermarti.
Sono passati pochi istanti, tanto è bastato per porre fine alla vita dei leader separatisti, tanto è bastato a portarti indietro nel tempo.
La luce vermiglia della lava incandescente è così simile a quella di Tatoo I e Tatoo II al tramonto, il calore sul tuo viso impossibile da distinguere da quello del tuo pianeta natale. La sala comando è silenziosa, eppure quelle urla non abbandonano la tua testa. Urla di sabbipodi, di umani, di neimoidiani, di geonosiani, di bambini indifesi che ponevano in te la loro fiducia si sovrappongono nella tua mente, mentre ciò che temevi si avvera, mentre volti sfregiati, disperati, terrorizzati danno voce al tuo dolore, al tuo terrore.
“Se non fosse necessario tutto questo per proteggere Padmè?” ti chiedi, mentre quel calore insopportabile fa evaporare le lacrime che ti rigano il viso. È un pensiero fugace che scacci via con rabbia repentina.
“Non può essere. Sicuramente questo è l’unico modo" ripeti come un mantra; se così non fosse non saresti che un mostro senza cuore, ma tu sai bene che non è colpa tua. È colpa dei jedi, sono loro che ti hanno condannato a un’esistenza di sofferenza, che ti hanno costretto a lasciar morire tua madre, che vogliono tenerti lontano da Padmè e dalla felicità che ti spetta di diritto.”
Stai facendo la cosa giusta per il tuo futuro, anche se le lacrime che ti offuscano la vista ti dicono il contrario.

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Capitolo 13
*** You are exactly where you need to be ***


Genere: introspettivo, malinconico
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Obi-Wan Kenobi, Anakin Skywalker/Darth Vader, Luke Skywalker
Avvertimenti: Movieverse
 
Non appena quella stazione spaziale era apparsa ai loro occhi, una strana sensazione aveva avvolto Obi-Wan come una coperta fastidiosamente calda durante una delle giornate più torride di Tatooine. Era una sensazione familiare, ma sentiva che qualcosa non andava, qualcosa era fuori posto.
Il giovane Luke sembrava sentirsi esattamente come lui, seppure non sembrasse condividere quel senso di familiarità che forse solo Obi-Wan possedeva. Dopotutto, ben poche cose potevano dirsi familiari a qualcuno che non era mai uscito dai confini di quel torrido pianeta.
Fu quando il Millenium Falcon atterrò forzatamente su quella stazione e quando, nascosto negli scomparti segreti della nave di Han, sentì i passi cadenzati degli assaltatori sopra di sé che Obi-Wan capì.
Lui era lì.
Nonostante si fosse chiuso alla Forza, nonostante fossero passati molti anni e ormai fosse diventato molto vecchio, ogni fibra del suo corpo gli diceva che Darth Vader era lì.
 
Aveva insistito nel disattivare il radiofaro da solo, la spiegazione che aveva dato a Luke sul perché non potesse seguirlo era parziale seppure pragmaticamente logica. Il destino del giovane era un altro, quello del vecchio Ben lo attendeva nei corridoi di quella stazione.
Ne ebbe la conferma assoluta mentre silenzioso sgattaiolava lungo i corridoi gremiti di soldati e ufficiali imperiali. Si era appiattito dietro una rientranza e aveva chiuso brevemente gli occhi. Quei passi cadenzati e quel respiro pesante e innaturale però l’avevano riportato immediatamente ad altri luoghi ed altri tempi.
 
La Forza ha il suo modo per guidare ogni essere vivente della galassia, o così era solito ricordargli Qui-Gon. Più il tempo passava, più gli sembrava di capire cosa intendesse forse perché l’avanzare dell’età l’aveva reso più riflessivo. Per questa ragione, sentiva di essere esattamente dove doveva; sentiva che, nonostante la sua chiusura, la Forza ancora lo guidava lungo la giusta direzione.
Spegnere il radiofaro non fu complicato, le truppe dell’Impero erano molto più impreparate dei cloni con cui aveva combattuto e forse perfino più incapaci dei droidi separatisti, programmati unicamente per sparare.
Quando però imboccò il corridoio, lo fece con la sua vecchia spada laser in mano, con il cuore martellante in petto e l’adrenalina che pompava nelle vene. Si stava dirigendo verso la nave, ma sapeva che non vi sarebbe mai più salito.
 
«Ti stavo aspettando Obi-Wan.»
Obi-Wan ascoltò le parole del suo vecchio allievo, zittendo a fatica il rimorso crescente e la nostalgia. Duellarono come facevano un tempo, nonostante gli anni in solitudine su Tatooine e il corpo cibernetico che richiede costante manutenzione rendano il tutto quasi caricaturale rispetto ai loro scontri del passato.
La ferocia di Anakin non era scomparsa quando era diventato Darth Vader, questo Obi-Wan lo capì subito. Non sarebbe mai stato lui il vincitore di quello scontro. Perché allora era lì?
 
Ebbe la sua risposta quando, guardando la nave con la coda dell’occhio, incrociò lo sguardo preoccupato di Luke. Lo sguardo della speranza.
Il suo compito era stato portato a termine.

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Capitolo 14
*** I am the designer of my own catastrophy ***


Genere: introspettivo, angst
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse
 
Ti svegli all’improvviso, qualcosa che non pensavi saresti mai più riuscito a fare. La tua pelle brucia ancora, come la rabbia che ti corrode dall’interno e l’odio che scava una voragine sempre più profonda.
Ricordi ogni cosa, ricordi il bagliore incandescente della lava, il rumore delle spade laser che cozzano, il dolore soffocante quando queste tagliano la tua carne.
Poi c’è lui.
Obi-Wan Kenobi, l’uomo che hai sempre considerato un mentore e un amico, che ti ha voltato le spalle e si è messo contro di te. Non è mai stato migliore di nessun’altro di quei jedi traditori. Ti dai dello sciocco, ti chiedi cosa ti aspettassi da un jedi ligio al codice e alle regole come lui. Amicizia? Comprensione?
Più ci pensi più lo senti, quell’odio bruciante che scava dall’interno come un saprofago che si nutre delle interiora di un cadavere.
In fondo è anche così che ti senti. Morto.
Una lunga e straziante lotta tra quel parassita che ti divora e la fiamma dell’ira che divampa e ti tiene in vita; una lotta che è anche una danza che anima il tuo corpo martoriato, sprigionando quel potere mai visto che nessuno pensava fossi in grado di possedere, che i jedi preferivano tenessi sopito, celato, per meglio controllarti e incatenarti.
Vuoi urlare, ma i tuoi polmoni bruciati non te lo premettono, riesci solo a dimenarti, tentando inutilmente di muovere arti che non esistono più.
È mentre la voce metallica di un droide ti ordina di respirare che ti ricordi di lei.
Padmé.
Hai quasi ucciso lei, la persona più importante della tua vita, lei e il vostro futuro figlio. Senti il dolore annodarti la gola al solo pensiero di non poterle stare accanto, di non poter vedere la splendida creatura che avete generato.
Una voce metallica che quasi non sembra tua chiede di lei al tuo Maestro, Darth Sidious, non appena riesci a inquadrarlo oltre le ottiche della maschera scura.

 - Sembra che nella tua ira tu l’abbia uccisa.

Una dolorosa fitta al petto ti ricorda che hai un cuore che batte, sebbene non lo vorresti. Ti senti soffocare, mentre quel groppo che sentivi in gola si espande, inconsapevolmente alimentando la tua rabbia.
Non puoi essere stato tu, non puoi. Ma è così.
Hai distrutto tutto ciò che di bello avevi, non ti resta niente, non l’affetto di chi ti è caro, non un amico a cui rivolgerti, non una famiglia a cui tornare. Vorresti di nuovo dare la colpa ai jedi, vorresti davvero. Ma non sono loro ad aver ucciso Padmè.
Lasci allora che la rabbia divampi senza remore, sperando quasi finisca il lavoro iniziato dalla lava. Le catene che ti stringevano i polsi si spezzano, muovi qualche passo incerto con gambe che non ti appartengono mentre quella stessa voce metallica urla il tuo dolore.

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Capitolo 15
*** People like you need to fuck people like me ***


Genere: sentimentale
Tipo di coppia: het
Personaggi: Leia Organa Solo, Han Solo
Avvertimenti: Missing Moments
 
«Esattamente, come siamo finiti… così?» Leia si accoccolò pigramente tra le braccia di Han, intrecciando le gambe nude con quelle di lui sotto le coperte della loro camera da letto.
«Così come, principessa?»
Han cinse delicatamente le spalle di Leia, stringendola a sé. Stava sorridendo, il solito sorriso da mascalzone che faceva impazzire la principessa di Alderaan.
«Non prendermi in giro! Siamo finiti a letto insieme, di nuovo.»
«Beh, non vedo alcun problema in realtà» ribadì Han, scostando una ciocca ribelle dalla fronte imperlata della donna che amava.
«Sono sicura che fino a poco fa stavamo litigando.»
Han rise di cuore, incapace di rimanere serio di fronte all’espressione corrucciata di Leia. Erano quelli i momenti che lo avevano fatto innamorare perdutamente di lei, quelli in cui il suo carattere schietto si manifestava con prepotenza, quelli in cui proprio non sembrava una principessa.
«Vuoi veramente sapere cosa penso, mia cara principessa?»
«Ti prego, illuminami» rispose Leia, con una punta di sarcasmo nella voce.
Han avvicinò il viso a quello di Lei, la voce ridotta a un languido sussurro.
«Quello che penso, principessa, è che, nonostante il tuo nuovo importante ruolo da senatrice e tutti i tuoi doveri verso la nuova Repubblica, tu abbia uno spirito indomito da canaglia, proprio come me. Per questo finiamo sempre a letto insieme.»
«Ma… come osate insinuare certe cose su un’onorevole principessa!» disse Leia con un finto tono offeso e un sorriso da perfetta canaglia, mentre avvicinava pericolosamente le labbra a quelle di Han.
«Non lo sto affatto insinuando, vostra maestà! Ne ho la certezza» ribadì il contrabbandiere, sfregando la punta del naso contro quella di Leia.
«Beh, ammetto che se durante una delle noiosissime sedute del Senato una fastidiosa canaglia mi dovesse rapire, beh… non mi lamenterei. Litigano così tanto che a volte è veramente frustrante»
«Questa canaglia è ai vostri ordini, principessa» disse Han con tono solenne, prima di catturare le labbra della donna in un lungo bacio.

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Capitolo 16
*** 'cause darling I'm a nightmare dressed like a daydream ***


Genere: Generale
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Mon Mothma, Tay Kolma
Avvertimenti: Spoiler!
Note: dato il prompt, ho pensato di dedicare questa oneshot alla più bella ed elegante spina nel fianco dell’Impero, la senatrice Mon Mothma! Per questo, troverete spoiler dell’episodio 7 della serie tv “Andor”.
 
Aveva organizzato una splendida festa nel suo lussuoso appartamento di Coruscant, uno dei pochi che potevano avere il privilegio di osservare l’alba e il tramonto del pianeta. Indossava uno dei suoi abiti migliori, il taglio elegante era chandriliano ma la preziosa stoffa color champagne era importata, accuratamente scelta del suo sarto personale. Era perfetta, i capelli erano pettinati con cura, il volto truccato sobriamente per nascondere qualunque imperfezione. Sorrise; era ora di entrare in scena.
Con la coda dell’occhio, individuò l’ospite che più attendeva. Salutò Tay Kolma, amico d’infanzia e banchiere di Chandrila, con l’affetto più sincero che la sua facciata permettesse. Conversarono normalmente passeggiando per le ampie sale del ricco loft, almeno per un po'. Ben presto emerse un certo distacco da parte dello stesso Tay, che le rivelò una certa avversione per l’Impero e per tutto il mondo di cui lei faceva parte.
«Bevi Tay, e continua a sorridere! Come se stessimo parlando allegramente della nostra infanzia» sussurrò Mon, in modo che solo il suo amico la sentisse.
«Non credo di capire…» disse questo, senza nascondere l’espressione confusa.
«Infatti. Ciò che vedi, ciò che la gente dice di me è un’immagine chiara. Sembro una senatrice gentile, a volte indecisa che si batte senza successo per proteggere i benefattori separatisti e combattere l’egemonia dell’Impero. Una seccatura, come l’avresti definita tu.»
«Ti ho fatta arrabbiare…»
«No, mi hai liberata. È tutto il giorno che mi chiedo se posso confidarmi con te.»
«Continuo a non capire di cosa parli.»
«È una bugia. La Mon Mothma che la gente crede di conoscere è una bugia, una copertura, una facciata. Sorridi! L’ho imparato da Palpatine. Ti mostro il sasso che ho in mano e non ti accorgi del coltello alla gola.»
Mon fece cenno a Tay di sedersi su uno dei sofà, vicino alla grande finestra a vetri che dava su Coruscant. Il suo buon amico era troppo sincero, troppo poco abituato al gioco delle maschere a cui lei ormai aveva fatto il callo. Avevano bisogno di discrezione.
«Cosa intendi?»
«Il gran visir si è infiltrato nelle riunioni della mia coalizione separatista. Il mio autista è una spia dell’ISB e fa rapporto sui miei programmi umanitari» spiegò lei, l’espressione gentile sostituita da una più seria «So che mi sorvegliano ed è ciò che voglio, perché finché tutti pensano che sono una seccatura, non si accorgono di cosa faccio in realtà.»
«E cosa fai in realtà?»
«Raccolgo fondi. Devo accedere ai conti della mia famiglia, fino a poco tempo fa potevo prelevare quando volevo. Ora è differente.»
«Fondi per cosa?» Tay era perplesso, ma attento ad ogni parola.
«Un’iniziativa benefica per Chandrila. Ti chiederò di esserne presidente. Sembrerà un’altra delle mie fondazioni filantropiche inutili.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
«E non lo farò, è meglio che tu non lo sappia. Troveresti le mie idee politiche un po' forti per i tuoi gusti.»
Non appena suo marito si avvicinò, Mon cambiò nuovamente espressione.
«Sorridi Tay! Stiamo parlando dei bei vecchi tempi, no?»

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Capitolo 17
*** To the moon and back ***


Genere: introspettivo, malinconico
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Baze Malbus, Chirrut Imwe
Avvertimenti: Movieverse
 

«Chirrut! Non andare! Sono qui. Sono qui.»
«Va bene, va bene. Cerca la Forza. Cerca la Forza e riuscirai sempre a trovarmi.»
 

Ho sempre creduto nella Forza. Sempre.
Tu questo lo sapevi benissimo, amico mio. Lo sapevi quando non eravamo altro che ragazzini cenciosi su un pianeta dimenticato dall’Universo. Lo sapevi quando passavamo notti insonni a parlarne, anche se forse è più giusto dire che io parlavo e tu mi ascoltavi con attenzione. Lo sapevi quando ti promisi che ti avrei portato sulla luna di Jedha, per incontrare i Guardiani dei Whillis e diventare loro iniziati.

«La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza.»

Alla fine, ce l’ho fatta, ti ho portato su Jedha, dove siamo diventati qualcosa di più di quello che eravamo destinati ad essere. Il mio unico rammarico è che tu non abbia mai potuto vedere le meravigliose sale del tempio dove l’Ordine Jedi nacque. Ma forse non è così importante. Sono sempre stato io i tuoi occhi, eppure tu vedevi in modi che a me sono sempre stati preclusi. Se quando eravamo bambini ero io a guidarti, da quando siamo diventati Guardiani la guida sei sempre stata tu.

«La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza

Tu, che con il tuo dono meraviglioso leggevi l’anima di chi ti stava intorno, tu che sapevi sempre qual era la strada giusta, qual era la cosa giusta da fare, eri e sei sempre stato più forte di me. Così, quando l’Impero arrivò e non potemmo fare nulla per opporci, io persi la fede, perché i miei occhi mi avevano mostrato ciò che i nostri oppressori erano in grado di fare. Ebbi paura.

«La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza

Tu non hai mai smarrito quella strada, hai creduto sempre nella Forza, in quel tuo dono che ci ha salvati entrambi. Ho perso la mia fede nella Forza, ma mai, neppure per un istante, ho perso la fede in te, amico mio.

«La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza

L’hai sempre saputo, vero? Che la Forza ci avrebbe portato qui, su Scarif. Sapevi che non saremmo più tornati indietro. Sapevi che il nostro destino era combattere fino all’ultimo per quel bagliore di speranza che la Forza ti ha indicato. Ancora una volta, per l’ultima volta, sei stato la guida migliore che potessi mai avere. Ancora una volta, mi hai dimostrato che porre la mia fede in te è stata la scelta giusta.

«La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza

Sto morendo anch’io, Chirrut. Presto ti raggiungerò, ma non ho paura perché so che saremo di nuovo un tutt’uno con la Forza e la speranza continuerà a illuminare la galassia che ci lasciamo alle spalle. La Forza è con me. E sono tutt’uno con la Forza.

 

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Capitolo 18
*** I licked it so it's mine ***


Genere: slice of life
Tipo di coppia: nessuno
Personaggi: Paige Tico, Rose Tico
Avvertimenti: Missing Moments, Movieverse


 

Hays Minor, 18 ABY


 

«Paige, Rose! I biscotti sono pronti.»

La voce della madre attirò l’attenzione delle due bambine, scuotendole dal mondo stellato in cui erano immerse fino a quel momento.

Quasi contemporaneamente si tolsero i caschi consunti e li lasciarono cadere a terra, scattando verso la cucina come se ne dipendesse la loro stessa vita.

«Vostro padre non può aggiustare il simulatore di volo all’infinito, trattatelo bene!» disse loro madre, osservandole divertita.

«Si mamma, scusa» ribadì Paige, masticando a malapena il suo boccone prima di deglutire.

«Scusa» la imitò Rose, riempiendo di briciole i vestiti ad ogni morso.

In pochi istanti, il piatto al centro del tavolo si svuotò quasi del tutto, ad eccezione di un unico biscotto. Paige vi si tuffò, ma la piccola Rose fu più veloce.

«Mio!»

«Ehi! Ho il punteggio più alto al simulatore di volo, mi spetta di diritto.»

Sentendo quelle parole, Rose sorrise, prima di leccare il retro del biscotto con fare molto plateale.

«Che schifo!» esclamò Paige disgustata, tra le risate di sua sorella minore.


 

«Bambine, venite subito qui, presto!»

La voce del padre sovrastò la risata di Rose, seguita dallo scatto della porta che si chiudeva alle sue spalle.

«Che succede caro?» La madre era preoccupata.

«Ispezione a sorpresa. Devono andare nel nascondiglio. Presto!»

Paige e Rose sapevano benissimo cosa fare, non era insolito per loro. Osservarono in silenzio i loro genitori mentre spostavano il divano e il vecchio tappeto polveroso, rivelando il passaggio sotterraneo che in quei momenti serviva a tenerle al sicuro.


 

«Paige, ma perché dobbiamo nasconderci?» chiese Rose in un sussurro, aggrappandosi ai vestiti della sorella. Paige la strinse un po’ più forte a sé.

«Perché gli uomini con le armi vogliono portarci via, in un posto lontano.»

«Perché?»

«Perchè...»

Paige sospirò, cercando parole che la sua giovanissima sorella potesse comprendere.

«...vogliono costringerci a fare cose brutte.»

«Oh no! Ma se non vogliamo? Possiamo scappare!»

La maggiore delle Tico scosse la testa, dimenticando che nell’oscurità del loro minuscolo nascondiglio Rose non poteva vederla.

«Faranno del male a mamma e papà se non lo facciamo» mormorò mestamente.

«No...» mormorò la più piccola contro la spalla di Paige, il corpicino scosso dai singhiozzi.

«No...non piangere Rose.»

Paige si frugò nelle tasche per un po’, per poi lasciare nel palmo minuto della sorella uno dei biscotti che poco prima stavano divorando. Non riusciva a mangiare velocemente quanto Rose, per cui se ne era intascata alcuni mentre quest’ultima non guardava.

«Non ci prenderanno, vero? Me lo prometti?» chiese Rose, masticando sonoramente tra un singhiozzo e l’altro. Paige le accarezzò la testolina, scompigliandole i capelli scuri.

«Fai sempre come ti dico e non ci prenderanno. Te lo prometto.»

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