Compagni di squadra

di Hatsumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paolo ***
Capitolo 2: *** Dubbi ***
Capitolo 3: *** Tentazione ***
Capitolo 4: *** Calore ***
Capitolo 5: *** La melanzana viola ***
Capitolo 6: *** Biliardo ***
Capitolo 7: *** Corri ***
Capitolo 8: *** Tabù ***
Capitolo 9: *** Angoscia ***
Capitolo 10: *** Trasferta ***
Capitolo 11: *** Attesa ***
Capitolo 12: *** Cena con sorpresa ***
Capitolo 13: *** Sabbie mobili ***
Capitolo 14: *** Il compleanno ***
Capitolo 15: *** Vista mare ***
Capitolo 16: *** Dessert ***
Capitolo 17: *** Profumo ***
Capitolo 18: *** Luna ***
Capitolo 19: *** Pensieri ***
Capitolo 20: *** Il ballo della vita ***
Capitolo 21: *** Folgorante ***
Capitolo 22: *** Blocco ***
Capitolo 23: *** Impasse ***
Capitolo 24: *** Black out ***
Capitolo 25: *** Dieci ***
Capitolo 26: *** Improvviso ***



Capitolo 1
*** Paolo ***


1.Paolo
 
Il calcetto è da sempre una delle passioni di Stefano, una delle costanti della sua vita. Aveva iniziato, come molti bambini, in giovane età, aveva sei forse cinque anni e ha continuato a diversi livelli, in diverse squadre, fino ad ora, a trentadue anni. Sa che prima o poi arriverà il momento di ritirarsi ma ancora non ne avverte l’esigenza, dopotutto non è mai stato un grande campione al punto da sperare di tramutare la sua passione in una professione. Sa giocare discretamente, si diverte e gli allenamenti due volte a settimana più le partite, gli permettono di rimanere in forma.
Da circa cinque anni gioca nella stessa squadra di quartiere nel campionato degli Esordienti e ha creato dei buoni rapporti con i suoi compagni di squadra e con il mister, inoltre quasi tutti i membri della squadra sono tifosi accaniti del Milan, esattamente lui, il che significa avere qualcuno con cui vedere le partite e andare allo stadio, che è decisamente una delle sue attività preferite. Ricorda ancora con emozione la sua prima partita allo stadio, con suo padre e suo nonno. Era il 2003, l’anno in cui il Milan vinse lo scudetto. Era l’ultimo incontro di campionato per il Milan ma aveva il sapore di un’amichevole. Infatti la partita era stata solamente una lunga attesa per la festa finale, dal momento che, classifica alla mano, lo scudetto era già stato vinto. I cori, le ole, le trombe da stadio, era tutto così incredibilmente eccitante e Stefano sentiva dentro di sé una carica e un’energia, che mai aveva provato prima. Aveva solo tredici anni e già immaginava sé stesso giocare a San Siro, esattamente come i suoi idoli: Kakà, Shevchenko, Inzaghi e Paolo Maldini. Di quest’ultimo in realtà non apprezzava esclusivamente le doti calcistiche, l’attrazione che provava nei suoi confronti aveva instillato in lui il sospetto di essere attratto dagli uomini ed era stato incredibilmente facile posizionare un poster di Maldini nella sua stanza, su una delle ante dell’armadio, per poterlo ammirare insospettabilmente e fingere che il suo interesse verso il calciatore si limitasse alle abilità calcistiche.
È un normale lunedì sera, Stefano è uscito dall’ufficio e si è diretto, senza passare da casa, al campo sportivo per allenarsi con la sua squadra. È l’ultima settimana di agosto e il campionato è appena iniziato, la prima partita ufficiale verrà giocata solo domenica, in casa. Stefano attendeva con impazienza il ritorno alla routine, per tutta l’estate è stato impegnato con il trasloco, avendo acquistato finalmente una villetta con un piccolo giardino in un quartiere tranquillo a Milano, a due passi dall’ufficio e molto vicino anche al campo sportivo. È carico, energico e non vede l’ora rimettere le sue scarpette chiodate e sfogarsi in campo. Entra sorridente nello spogliatoio e saluta tutti i ragazzi, che hanno già iniziato a cambiarsi e sono pronti per il riscaldamento.  Si siede a sua volta su una panchina, appoggia il borsone a terra ed estrare il completo e le scarpe. Queste ultime sono nuove di zecca, comprate con i saldi qualche mese prima ed esattamente come lui attendevano l’inizio della stagione calcistica. Indossa rapidamente la divisa e poi si china, con ammirazione, verso le sue nuove calzature. Le ha stringate la sera prima, tranne per l’ultimo foro, dal momento che preferiva sistemarle sul posto, per poter essere comodo. Sono, a detta del commesso, uno dei migliori modelli. Sono morbide, la vestibilità è simile a quella di un calzino ed esteticamente non passano di certo inosservate: la fodera ha una base bianca con dei fulmini rosso vermiglio e diversi dettagli neri e gialli. 
 
-Belle scarpe, Ste! Mi raccomando, devi volare con queste quest’anno!
 
Esclama Simone, centrocampista e storico membro della squadra, uno dei primi ragazzi con cui Stefano aveva fatto amicizia. 
 
-Quest’anno sono carico, Simo! Se mi date un buon attaccante, non mi ferma nessuno. 
 
Ribatte, allacciandosi le scarpe e alzandosi di scatto dalla panchina. Simone gli sorride e gli dà una pacca sulla spalla, come incoraggiamento.
 
-A dire il vero il mister ha arruolato un nuovo ragazzo, dovrebbe arrivare oggi. 
 
Interviene Diego, il portiere. Stefano sapeva che sarebbe arrivato qualcuno di nuovo in squadra, dal momento che un paio di ragazzi si erano ritirati lo scorso anno, ancor prima che terminasse la stagione. Non credeva però che i nuovi membri sarebbero arrivati tanto presto, perché sul gruppo WhatsApp della squadra si era parlato negli ultimi mesi di domande di adesione ma non aveva letto nulla di certo. 
 
-Speriamo che sia qualcuno di valido e che resti per tutta la stagione!
 
Aggiunge Stefano. Proprio in quel momento il mister entra negli spogliatoi, per salutare la squadra ed esortare tutti a sbrigarsi e uscire in campo.
 
-Ragazzi, bentornati a tutti! Vi voglio belli carichi per la stagione, come sempre, divertiamoci e diamo il massimo!
 
Le sue parole di inizio stagione sono praticamente le stesse ogni anno, è una specie di rito. Dopodiché tutti ringraziano e applaudono. Tuttavia, questa volta non è tutto. Accanto al mister si presenta un ragazzo, sicuramente il nuovo arrivo di cui stava parlando Simone poco prima. Stefano cerca di avvicinarsi per vederlo meglio, a primo impatto gli sembra di riconoscere quel viso ma non ne è sicuro. Si tratta di un ragazzo molto alto, dal fisico snello ma muscoloso, capelli biondissimi, carnagione chiara e occhi chiari, cerulei. 
 
-Colgo l’occasione per introdurre la nostra new entry. Lui è Paolo, sarà il nostro nuovo attaccante, insieme a Cristiano. Normalmente vi anticipo i nuovi arrivati presentandoveli poco per volta però vi devo confessare che sono in contatto con Paolo da diverso tempo, ha già giocato in altre squadre di Milano e dintorni e ha talento. Sono sicuro che sarà di grande aiuto per la nostra squadra.
 
Spiega il mister, introducendo il nuovo ragazzo. Poco per volta i membri della squadra si avvicinano e gli danno il benvenuto. Stefano rimane in disparte ma continua a osservarlo, sempre più sicuro di averlo già visto, in qualche altra occasione. Il suo viso non gli è nuovo ma il nome è talmente comune da non suscitare in lui alcun ricordo specifico. Ha diversi piercing sull’orecchio sinistro e ne ha anche uno sul sopracciglio, con un brillantino che richiama lo stesso colore dei suoi occhi. Non vuole mostrarsi troppo interessato e si avvicina a sua volta per dargli il benvenuto. 
 
-Benvenuto in squadra!
 
Esclama, porgendogli la mano. Paolo gli stringe la mano e gli sorride. C’è qualcosa di familiare nel suo sguardo e Stefano si accorge presto che anche Paolo pare ricordarsi di lui. 
 
-Grazie, Stefano.
 
Stefano sobbalza e istintivamente ritira la mano ma Paolo sembra non accorgersene perché presto il mister richiama la squadra, invitandoli a non perdere altro tempo nello spogliatoio. Uscendo in campo non può fare a meno di chiedersi come faccia a conoscere il suo nome. Non si sbagliava dunque, deve davvero aver già incontrato quel ragazzo. Ma in quale occasione? Nel frattempo il riscaldamento ha inizio e Paolo gli passa accanto, sorridendogli e correndo. Lo guarda fare stretching, seduto sull’erba. Guardando i suoi polpacci e le sue cosce non è difficile capire che giochi a calcio da diverso tempo, inoltre sembra a suo agio con gli esercizi proposti dal mister, che svolge apparentemente senza troppa difficoltà. Potrebbe essere un ragazzo incontrato in qualche amichevole durante la scorsa stagione. Eppure non si ricorda di aver mai familiarizzato con nessun ragazzo al punto di presentarsi. Lo osserva fare le flessioni, anche le sue braccia sono muscolose e sode. Non nota alcun tatuaggio visibile che possa suggerirgli in quale occasione si siano conosciuti. Non può essere un ragazzo incontrato in qualche discoteca o locale, se avesse incontrato qualcuno con quell’aspetto non se ne sarebbe dimenticato facilmente. 
Il tempo scorre velocemente e mentre Stefano continua a chiedersi chi sia Paolo e come si siano conosciuti, l’allenamento giunge al termine ed è ora di rientrare. 
Come di consueto Stefano si ferma in campo per raccogliere e sistemare l’attrezzatura, è un’abitudine che si porta dietro da ragazzino, quando temeva di poter provare attrazione per qualche suo compagno di squadra rivelando la sua omosessualità. In questo modo è sempre l’ultimo ad entrare lo spogliatoio e può farsi la doccia in completa solitudine. Spesso è lui a chiudere gli spogliatoi e il cancello del campo sportivo. Pur essendo adulto e sapendo che la sua era solo una sciocca paura adolescenziale, non rinuncia a questa abitudine. Dopo aver raccolto anche l’ultimo dischetto di allenamento, entra nello spogliatoio. I ragazzi sono tutti quasi completamente vestiti, qualcuno si sta già allacciando le scarpe ed è pronto a uscire. Senza farsi notare troppo cerca Paolo nello spogliatoio che proprio in quell’istante gli appare davanti agli occhi, è appena uscito dalla doccia e indossa un accappatoio bianco in microfibra allacciato morbidamente in vita, aperto sul petto fino a poco sopra l’ombelico. Gli sorride di nuovo ma Stefano cerca di evitare il suo sguardo, fa finta di non averlo notato e si dirige verso il proprio borsone per recuperare l’occorrente per la doccia. Tutte le docce sono libere e può spogliarsi e lavarsi in completa tranquillità. Se la prende comoda, si lascia riscaldare dal soffione della doccia indirizzandolo anche sulle spalle e sulla schiena, dolenti per l’allenamento ma anche per le passate otto ore seduto sulla sedia del suo ufficio. In sottofondo sente il vociare dei suoi compagni di squadra che uno ad uno salutano e se ne vanno, dandosi appuntamento al prossimo allenamento, venerdì. 
Terminata la doccia esce e sobbalza nel notare che non è solo nello spogliatoio, Paolo è ancora lì e si sta allacciando le scarpe. 
 
-Ti ho spaventato?
 
Chiede, avendo notato il suo atteggiamento. 
 
-No, figurati. Di solito rimango sempre per ultimo, non mi aspettavo di trovare ancora qualcuno qui.
 
Risponde, cercando di mostrarsi indifferente e senza guardarlo. 
 
-Non ti ricordi chi sono, vero?
 
Domanda improvvisamente Paolo. Questa domanda prende Stefano alla sprovvista, è come se gli avesse letto nella mente. Cerca di non mostrarsi sorpreso e risponde con tono calmo e pacato.
 
-Ci conosciamo?
 
A quel punto si gira, fino a quel momento non si era accorto che Paolo si era avvicinato a lui ed è incredibilmente vicino, nemmeno un metro. Riesce a sentire chiaramente il profumo forte del suo deodorante e del bagnoschiuma al talco, che deve aver usato nella doccia. 
 
-Tu sei Stefano Rosati, giusto?
 
Chiede Paolo. Stefano annuisce, senza aggiungere altro.
 
-Sono Paolo, Paolo Casagrande. Siamo stati compagni di classe i primi due anni di liceo e giocavamo insieme nella squadra della scuola. 
 
Stefano spalanca gli occhi, si sente come se l’avesse colpito un fulmine. Lo guarda bene, all’improvviso una serie di informazioni gli ritornano in mente. Si ricorda di lui, altroché! In particolare il suo cognome, storpiato dalle ragazze della scuola, tra le quali sua sorella, per esaltare una particolare caratteristica del suo corpo. 
 
-Ma certo! Sono passati molti anni…
 
Commenta, sperando di non lasciare intendere cosa esattamente possa avergli permesso di ricordarsi di lui. 
 
-Vero? Quando il mister mi ha detto i nomi dei membri della squadra ho pensato potessi essere tu e poi quando ti ho visto stasera non ho avuto dubbi! Mi fa piacere rivederti.
 
Afferma, sorridente e con tono cordiale. Stefano abbozza un sorriso e si limita ad annuire col capo. 
 
-Beh, alla prossima! Buona serata. 
 
Esclama, appoggiandogli una mano sulla spalla. Dopodiché raccoglie il suo borsone e se ne va, senza dare a Stefano il tempo di rispondere al saluto.
 
 
 
Il giorno dopo a lavoro Stefano approfitta della pausa caffè per raccontare ad Alberto, suo amico e collega, dell’incontro della sera prima.
 
-A chi tocca oggi?
 
Chiede Alberto, passandosi tra le dita la chiavetta della macchina del caffè che tiene sempre al collo, legata con un nastro rosso. Come ogni giorno sono soliti offrirsi il caffè a turno e quel giorno tocca a Stefano. 
 
-A me.
 
Esclama, avvicinandosi alla macchinetta con la sua chiavetta, un po’ rotta a malconcia, a differenza di quella di Alberto, perché sempre tenuta nello scomparto delle monete del portafoglio. 
 
-Mokaccino o caffè? 
Chiede. Alberto ci pensa un attimo e pigia sul display il bottone del mokaccino. In realtà è sempre quella la sua scelta anche se a volte finge di avere qualche dubbio. Stefano crede che sia l’unica persona in tutto l’ufficio a berlo perché a detta di chiunque è soltanto una brodaglia calda, eccessivamente dolce e schiumosa, resa ancor più imbevibile dalla dose massiccia di zucchero selezionata da Alberto, che pigia sempre tutte e cinque le tacche del dosatore. 
 
Rimangono entrambi in silenzio ad osservare la bevanda scendere nel bicchiere, come fossero in estasi, come se non stessero osservando la stessa cosa, ogni giorno, da oltre cinque anni. Quando finalmente il segnale acustico indica che il caffè è pronto, Alberto preleva il bicchierino e inizia a mescolare meticolosamente il caffè. Stefano nel frattempo sceglie il suo caffè, espresso e senza zucchero. In realtà un po’ di zucchero rimane sempre sul fondo del bicchiere, un residuo dell’erogazione precedente, quel poco gli basta per potersi gustare il suo espresso. 
 
-Allora, mi vuoi dire quella cosa o devo aspettare ancora molto?
 
Chiede Alberto, continuando a mescolare il suo caffè, con lo sguardo fisso verso un punto imprecisato del pavimento. Stefano prende il suo bicchiere e si sposta dalla macchinetta, dietro di lui nel frattempo si è formata una fila di persone in attesa di prendere da bere.
 
-Te la racconto mentre torniamo in ufficio.
 
Risponde, ben poco interessato di far conoscere i fatti propri a gente sconosciuta. L’ufficio nel quale lavorano è molto grande, si tratta del dipartimento contabile e finanziario di una grande multinazionale italoamericana che si occupa di libri. Stefano e Alberto lavorano al reparto contabilità del settore dedicato ai libri di testo per le scuole superiori. Fanno parte di un team di sei persone e condividono la stessa scrivania. 
 
La loro amicizia è nata quasi spontaneamente pochi mesi dopo il suo arrivo. Costretti a collaborare gomito a gomito e condividere la stessa superficie di appoggio, inizialmente avevano tenuto un atteggiamento professionale, cordiale e rispettoso. Dopodiché un giorno, durante una pausa pranzo che entrambi avevano scelto di trascorrere alla scrivania, Stefano stava controllando il suo profilo Facebook e si era soffermato su un’immagine sciocca ma che in quel momento aveva trovato estremamente divertente. Non essendo solo nella stanza aveva cercato in tutti i modi di non ridere ma in quel momento esatto Alberto, dietro lui, di ritorno dalla zona ristorazione dove era andato a riscaldare al microonde il proprio pasto, si era accorto di quell’immagine sullo schermo e aveva iniziato a ridere, lasciando scivolare la sua zuppa appena riscaldata sul pavimento, dietro alla sedia di Stefano. Questi dapprima era rimasto a bocca aperta, dopodiché aveva iniziato a ridere, unendosi ad Alberto. Erano rimasti così, uno a trequarti sulla sua sedia e l’altro in piedi con ancora in mano il piatto vuoto a ridere di gusto e in modo totalmente spontaneo, per quasi due minuti. Dopodiché si erano decisi a pulire quel disastro, non senza ridacchiare. Alla fine Stefano aveva offerto metà del suo panino al tacchino ad Alberto e avevano iniziato a chiacchierare del più del meno, come se si conoscessero da sempre. Nel giro di poco tempo si erano ritrovati frequentarsi anche fuori dal lavoro, condividendo alcuni interessi come le serie TV, i videogiochi, i giochi di società e frequentando gli stessi locali e discoteche, essendo entrambi gay. 
 
-È qualcosa di veramente interessante o ancora una cretinata sul calcio?
 
Chiede Alberto, iniziando ad avviarsi verso l’ufficio. Il calcio è una delle poche passioni che non condividono, Alberto non segue nessuna squadra calcistica e non ama praticare alcuno sport, al di fuori della palestra. Nessun ragazzo del loro gruppo è un amante del calcio e dello sport, motivo per cui da sempre Stefano trascorre il suo tempo libero in due gruppi separati: il gruppo degli amici dei quali fa parte anche Alberto e con i quali si ritrova settimanalmente per giocare a carte commentando scadenti e improbabili reality show e nel fine settimana per andare a bere o a ballare e il gruppo del calcetto con il quale oltre ad allenamenti e partite condivide serate a base di pizza e calcio, uscite allo stadio per vedere il Milan e post partita nel Bar dello Sport. 
Con ciascun gruppo condivide una parte diversa della propria personalità e la sua intenzione era quella di tenere le cose separate, teme però che la presenza di Paolo, che lo conosce dai tempi delle superiori, possa minare il suo equilibrio. 
 
-C’entra il gruppo del calcetto ma ti assicuro che non è una cretinata. 
 
Risponde, sedendosi alla propria postazione. Anche Alberto si siede e gira la sedia verso di lui, pronto ad ascoltarlo. 
 
-È arrivato un nuovo ragazzo nella squadra. 
 
Inizia. Alberto gli sorride e lo interrompe subito.
 
-È figo?
 
Stefano sbuffa. Sapeva che avrebbe subito reagito in quel modo e che avrebbe dovuto introdurre l’argomento diversamente, cerca di proseguire, sorseggiando prima il suo caffè. 
 
-È un figo spaziale. Ma non è questo il punto! Ci conosciamo già, dai tempi delle superiori.
 
Alberto gli rivolge uno sguardo confuso. 
 
-E quindi?
 
Chiede, non avendo capito quale sia esattamente il problema di Stefano. 
 
-E quindi sa che sono gay!
 
Risponde scocciato Stefano, alzando fin troppo la voce. Si guarda attorno sperando che nessuno lo stia ascoltando e, per fortuna, gli altri presenti nella stanza sono occupati. 
 
-Ne sei sicuro? Mi hai detto che hai fatto coming out all’università, non alle superiori.
 
Ribatte Alberto. Stefano annuisce, in realtà è vero. Stefano ha accettato pubblicamente la sua sessualità e ne ha parlato con la sua famiglia soltanto durante il primo anno di università ma non ha mai raccontato ad Alberto di un fatto avvenuto durante la sua adolescenza, proprio negli anni delle superiori, un episodio ai tempi traumatizzante ed estremamente forte che se fosse accaduto in epoca più recente sicuramente sarebbe finito su qualche social network ed etichettato come atto di omofobia e bullismo. 
 
-Vedi… durante l’ultimo anno, qualche cretino ha iniziato a sospettare di me. Non ho mai saputo chi fosse e a un certo punto ha smesso di importarmi. 
 
Si ferma un attimo per prendere fiato e ne approfitta per bere un altro sorso.
 
-Mi fischiavano nel corridoio, gridavano “frocio”, “checca”, le solite cose, no?
 
Alberto annuisce. 
 
-Hanno iniziato a seguirmi, senza che me ne accorgessi. Non so per quanto sia durato il pedinamento ma… un giorno, la prima volta in cui mi sono deciso ad andare in un locale gay, mi hanno fotografato. Erano praticamente le prime volte e… non stavo facendo nulla di scandaloso. Ero solo sorridente, mano nella mano con un ragazzo che avevo conosciuto su Netlog e che mi aveva dato appuntamento lì.
 
Alberto inarca le sopracciglia in segno di sorpresa, sentendo nominare il social network Netlog, ai tempi molto in voga, soppiantato in seguito da Facebook. 
 
-Netlog! Non sai quanti ragazzi ho bidonato dopo averli contattati! Studiavo i loro blog, le loro foto, li contattavo e poi… non mi presentavo mai. 
 
Aggiunge Alberto, con uno strano tono nostalgico. Stefano preferisce sorvolare e continua con il proprio discorso.
 
-Qualcuno mi fece una foto, la pubblicò su MySpace in un profilo “ad hoc” creato per sfottermi e poi stampò alcune foto in bianco e nero che vennero incollate in giro per il liceo. Era il 2008, le macchine fotografiche dei cellulari erano ancora scadenti e quindi non si vedevano chiaramente i soggetti ma si capiva che ero io. Ero abbastanza popolare perché ero stato rappresentante degli studenti per i primi due anni e giocavo nella squadra di calcio della scuola… 
 
Alberto sembra aver capito la gravità della vicenda appena raccontatagli da Stefano e cambia immediatamente espressione e atteggiamento. 
 
-Ste ma… è orribile! Non me l’hai mai raccontato. Come ne sei uscito?
 
Stefano sospira. A volte lui stesso si chiede come sia riuscito a superare una cosa simile e a frequentare l’ultimo anno di liceo, quello più importante, quello della maturità, senza farsi schiacciare dalle prese in giro, dai fischi, dalle imitazioni, dagli scherzi. 
 
-Probabilmente sono più forte di quanto pensassi. Non ho negato ma neanche confermato di essere io, ho cercato di andare avanti. Molte ragazze si sono avvicinate a me perché volevano fossi il loro “amico gay”.
 
Alberto porta gli occhi al cielo, Stefano sorride. 
 
-Già… mi sono però dovuto ritirare dalla squadra di calcio della scuola. Gli altri ragazzi non volevano che stessi nello spogliatoio con loro, facevano una serie di stupidi teatrini e si mettevano con la schiena al muro per paura che io potessi fare loro qualcosa. 
Sospira. Non raccontava quella storia, quella parte della sua vita, da diverso tempo. In realtà ne ha parlato ad alta voce una volta sola, al suo psicologo, qualche anno più tardi. Ricorda bene la sensazione di imbarazzo che aveva avvertito entrando nello spogliatoio della palestra il giorno dopo la pubblicazione della foto. Quelli che fino al giorno prima aveva considerato compagni e amici avevano iniziato a trattarlo come uno scherzo della natura, un animale raro dal quale tenersi alla larga. Ricorda poi il colloquio dal preside con i suoi genitori, i quali non sapevano nulla né della sua sessualità né di ciò che gli era successo a scuola. Le parole circostanziali e ben poco sentite del preside risuonano ancora nelle sue orecchie.  
“Sono profondamente costernato. La nostra scuola non accetta alcun tipo di violenza e discriminazione, che sia essa fondata o non fondata. Verranno presi provvedimenti.” 
Tutto falso. 
Nessun provvedimento fu preso nei confronti di nessuno, inoltre nei giorni successivi più di un professore aveva assistito a siparietti omofobi nei corridoi nei confronti di Stefano e nessuno aveva fatto nulla. Senza dar troppe spiegazioni aveva smesso di presentarsi agli allenamenti e alle partite della scuola e anche nelle stesse ore di educazione fisica, evitava di entrare negli spogliatoi preferendo cambiarsi in solitudine nei bagni della scuola, poco prima che la lezione iniziasse e al termine di essa. Era riuscito a farsi forza, cercando di farsi scivolare tutto addosso. Eppure, quel terrore di condividere gli spogliatoi con altri uomini se lo trascina da allora. Quella paura di sbagliare qualcosa, il ricordo di quel giorno, quel lunedì pomeriggio di molti anni prima, ancora riecheggia nella sua memoria.
 
-Lui era tra quelli che ti prendevano in giro?
 
Domanda Alberto, distraendolo dai suoi ricordi, dai suoi pensieri. Scuote il capo.
 
-No. Però era un membro della squadra di calcio ed eravamo compagni di classe, nel biennio. Mi conosceva bene ed era nella compagnia di mia sorella, sono usciti insieme per un periodo, anche se mia sorella è più grande di due anni. 
 
Ricorda le foto nella stanza di sua sorella Elena, per un periodo ce n’erano diverse nelle quali era presente anche Paolo. Elena parlava spesso di Paolo, lo sentiva, gli mandava messaggi. Fino al giorno della maturità aveva tenuto al polso un braccialetto giallo di corda che Paolo le aveva portato dal mare. 
 
-Se è un amico di tua sorella non credo avrebbe interesse a sputtanarti con tutta la squadra. 
 
Conclude Alberto, guardando contemporaneamente l’orologio al polso. La pausa caffè è durata più del dovuto. Entrambi si mettono alla propria postazione, riaprendo i fogli di calcolo sui quali stavano lavorando. Continuano tuttavia la loro conversazione, cercando di non farsi sentire dagli altri colleghi presenti.
 
-Era un amico di mia sorella ma ha smesso di frequentarla dopo il diploma. Sono passati tredici anni dall’ultima volta che l’ho visto eppure lui mi ha riconosciuto subito, è venuto a salutarmi. 
 
Aggiunge Stefano, cercando di rimanere concentrato sullo schermo del proprio PC. Alberto non gli risponde subito ma qualche minuto dopo ribatte. 
 
-Forse gli interessi tu. Ci hai pensato?

Stefano si lascia sfuggire una risatina che attira l’attenzione degli altri colleghi i quali immediatamente si girano verso di lui. Si schiarisce la voce e cerca di far finta di niente. Quando finalmente tutti sono tornati a fissare il proprio schermo risponde ad Alberto. 
 
-Non è veramente possibile. Paolo era famoso a scuola, tra le ragazze. Era il ragazzo più bello e più ambito e pare che le sue conquiste siano state molte. Ti dico solo che… 
 
Si blocca e controlla che gli altri colleghi stiano sempre lavorando. Dopodiché si avvicina di più ad Alberto, senza però togliere lo sguardo dal proprio monitor.
 
-Di cognome fa Casagrande. Ma per tutti era “Paolo Qualcos’altrogrande… “
 
Evita di proposito di pronunciare quella parola, certo che Alberto abbia capito. Infatti questi si gira subito verso di lui e utilizzando il solo labiale ripete la parola. Stefano annuisce, sorridendo. 
 
-Possibilità che sia almeno bisex?
 
Chiede poi, a bassa voce. Stefano scuote il capo, è sicuro che non lo sia. Prende il cellulare e apre la chat del gruppo Whatsapp della squadra. 
 
-Non lo so ma non credo. È stato inserito nella chat di gruppo solo stamattina e sta già commentando condividendo foto di tizie nude, come fanno tutti gli altri. 
 
Fa scivolare il cellulare con la chat in questione aperta verso Alberto che la guarda subito e inizia a scorrere i vari commenti. 
 
-Seriamente? Ma lo fai anche tu!
 
Chiede, indicando un paio di reazioni ed emoticon di Stefano. 
 
-Per forza, per non dare nell’occhio! Non posso essere l’unico a non commentarle, sarebbe palese che non abbiamo gli stessi gusti! Ma mi limito solo a mettere l’emoji del fuoco o la lingua, lui invece pubblica foto di sua iniziativa… 
 
Risponde, indicando una foto appena condivisa da Paolo che Alberto guarda quasi con disgusto, storcendo il naso. Stefano riprende il cellulare, chiudendo la chat. 
 
-Comunque non capisco perché tu abbia così paura che scoprano che sei gay. Tra persone adulte non dovrebbero esserci stupidi pregiudizi.
 
Suggerisce Alberto qualche minuto dopo. 
 
-Preferisco che le cose rimangano così come sono. Sto vivendo un periodo felice della mia vita: il lavoro va bene, ho una nuova casa con giardino che adoro, il Milan ha vinto l’ultimo scudetto, sia la Serie A sia il mio campionato sono ricominciati. Tutto perfetto!
 
Alberto fa spallucce e non aggiunge altro. Stefano è seriamente convinto di ciò che ha appena detto, a trentadue anni si trova pienamente soddisfatto della propria vita. I suoi studi gli hanno permesso di ottenere un buon posto di lavoro fisso e la sua situazione economica è buona al punto di essere riuscito a comprare la casa che desiderava da tempo, a pochi passi dal campo sportivo e dal Bar dello Sport e vicino a una fermata della metro, grazie alla quale riesce a raggiungere più velocemente e facilmente anche il suo ufficio, senza usare l’auto o il tram. Certo, la sua vita sentimentale è del tutto inesistente. Non ha mai avuto un compagno fisso e non ne ha mai avvertito la necessità, ha tanti amici e tante passioni, ritiene che la sua vita possa essere completa esattamente così com’è. Anche se, a volte, specialmente in quella casa nuova e grande, ha iniziato a pensare che sarebbe bello tornare a casa da qualcuno. Scuote il capo e smette di pensarci, è quasi mezzogiorno e deve compilare diversi documenti, prima di potersi concedere la pausa pranzo. 

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Capitolo 2
*** Dubbi ***


Dubbi

È sabato mattina e Stefano sta uscendo per raggiungere il campo sportivo dove giocherà la prima partita di campionato. L’incontro si terrà in casa con una squadra già affrontata negli anni precedenti, anch’essa di un quartiere di Milano e che include nella propria rosa dei giocatori validi e forti. Si sente carico, è pronto a giocare e spera di poter dare il massimo. 
Controlla di aver inserito nel suo borsone tutto il necessario per la partita: cambio, asciugamani, docciaschiuma, scarpe e borraccia. Richiude la cerniera e si mette la borsa in spalla, pronto per uscire. Prima di varcare la soglia dà un ultimo sguardo alla sua nuova abitazione. In quell’ora del mattino una luce dorata illumina l’ingresso, la scala che porta al piano superiore e la cucina, che si intravede appena, attraverso l’arco che la collega al soggiorno. È sempre più soddisfatto del suo acquisto e non vede l’ora di potervi ospitare i suoi amici e i ragazzi della squadra per organizzare quelle cene che tanto adora ma che nel suo precedente appartamento erano davvero scomode, a causa dello spazio limitato.  Dopo l’ultimo sguardo compiaciuto, esce e chiude la porta a chiave. 
Camminerà per raggiungere il campo sportivo, a poco meno di un chilometro di distanza. Un bel cambiamento rispetto agli anni precedenti, nei quali si è sempre dovuto spostare in auto ed era costretto nella maggior parte dei casi a dover partire con largo anticipo a causa del traffico. 
Cammina sorridente sul marciapiede e accanto sé vede le auto, sente i clacson suonati con veemenza e i fumi del traffico. Nulla di tutto ciò è più un suo problema e non può che esserne felice. Sogghigna e prosegue, cercando di non distrarsi troppo, volendo rimanere focalizzato sull’incontro imminente. 
In poco meno di venti minuti arriva al centro sportivo. Alcuni ragazzi si stanno già allenando nel campo, probabilmente sono della squadra avversaria, poiché indossano delle pettorine di un colore diverso. Si incammina a passo più deciso in direzione degli spogliatoi e con la coda dell’occhio si accorge di Paolo, alla sua sinistra. Si sta allacciando le scarpe, con il piede appoggiato ad una delle ruote posteriori della sua auto, un gigantesco SUV color amaranto, lucido e cromato, a prima vista nuovo di zecca. È girato a tre quarti con una gamba tesa e l’altra piegata, una mano è posata sul ginocchio piegato, mentre l’altra è intenta ad allacciare le stringhe con calma e precisione. Non sembra essersi accorto di lui, per questo Stefano ne approfitta per osservarlo. Si è già cambiato e indossa il completo della squadra, il pantaloncino bianco e rosso dal gambale ampio risulta leggermente più corto sulla gamba piegata, lasciando intravedere buona parte della coscia muscolosa e tonica. I muscoli del polpaccio della gamba tesa formano delle linee rette, così precise da sembrare disegnate. La mano posata sul ginocchio, in posizione rilassata, presenta due grandi e vistose vene, che partono da metà del dorso e salgono ingrossandosi fino al gomito. Osservando questo particolare la schiena di Stefano è percorsa di un brivido, non è la prima volta che si ritrova a osservare le mani di Paolo. Inizialmente era stato per controllare se avesse una fede ma non l’ha trovata, in una sola occasione ha indossato un anello nero al pollice e un altro in acciaio opaco, con la fascia grande, sul dito medio. Questo però non significa che non sia sposato o che non abbia una relazione. Prima che possa osservare i lineamenti del suo viso, Paolo si gira e si accorge di lui. 
 
-Ehi, ciao!
 
Esclama, sistemandosi e raccogliendo il borsone che fino a quel momento era rimasto a terra. Stefano spera che Paolo non si sia accorto dei suoi sguardi perché teme di averlo fissato ossessivamente per un tempo tutt’altro che l’accettabile, cerca quindi una giustificazione.
 
-Ciao, stavo… guardando la tua macchina. Bella! È nuova?
Avvicinandosi meglio però si accorge che la macchina, pur essendo recente, non è così nuova. 
 
-Ha un paio d’anni… però l’ho sempre trattata bene perché fino a sei mesi fa praticamente ci vivevo nell’auto e desideravo fosse sempre pulita e in ordine. 
 
Risponde, iniziando nel frattempo a camminare verso gli spogliatoi. Non ha idea di quale sia il lavoro di Paolo o che cosa esattamente intendesse con la sua affermazione. Spera però di scoprire qualcosa in più su di lui, durante il pranzo post partita con la squadra. 
 
-Vedo che ti sei già cambiato… 
 
Commenta Stefano, approfittando di quell’affermazione per guardarlo di nuovo, senza risultare ossessivo. 
 
-Sì, stamattina avevo un appuntamento fuori Milano e temevo di rimanere bloccato nel traffico, così mi sono cambiato in un parcheggio prima di arrivare, in modo da essere pronto. È la prima partita e non volevo fare brutta figura. 
 
Stefano involontariamente sorride. Quell’atteggiamento è tipico di lui, del Paolo ragazzino conosciuto tanti anni fa. Ricorda che era sempre puntuale nelle partite della scuola, il primo arrivare, sempre pronto a entrare in campo. Era stato il capitano della squadra negli ultimi due anni ed era uno dei migliori attaccanti, invidiato anche dalle altre scuole. Naturalmente, dato il suo aspetto fisico, era l’idolo di tutte le ragazze. A quei tempi i cellulari non erano così social e connessi ma il passaparola e i messaggi erano sufficienti per far girare la voce sul bell’attaccante biondo che tutte volevano vedere e conoscere. In particolare il sabato pomeriggio erano in molte a venire ad assistere alle partite della squadra della propria scuola, se giocava contro quella in cui c’era lui. Ogni volta che segnava dalle tribune partiva un tifo da stadio ma Paolo sembrava non farci troppo caso. Stefano un po’ invidiava tutta quell’attenzione nei suoi confronti, si era spesso chiesto come ci si sentisse ad attirare positivamente l’interesse della gente ed essere incondizionatamente amato e accettato da tutti.
 
-Beh, muoviamoci allora!
 
Esclama Stefano, certo di aver sprecato fin troppo tempo nei ricordi e nelle riflessioni. 
 
La partita risulta essere relativamente semplice, la squadra avversaria, pur avendo dei buoni giocatori, non si è allenata quanto la loro nelle settimane precedenti. Finisce con un modesto 1 a 0 e, senza sorpresa da parte di Stefano, a segnare il primo e unico gol, al trentesimo minuto del secondo tempo, è proprio Paolo. Le sue capacità sembrano essere ulteriormente migliorate in quegli anni. Dopo aver ricevuto la palla da un colpo di testa di Diego, aveva iniziato a correre dalla propria metà campo verso quella avversaria, smarcandosi senza difficoltà, aveva eseguito due veloci passaggi alle spalle di un centrocampista e di un difensore dell’altra squadra e poi, con il tallone del piede destro aveva lanciato il pallone con velocità e precisione, dritto nella parte alta centrale della porta, sopra la testa del portiere. Da lì era partito un boato tra i ragazzi della squadra e anche il mister era balzato in piedi dalla sua sedia. Stefano, che non aveva partecipato a quell’azione, l’ha osservata quasi da spettatore, ricordandosi ancora una volta i tempi delle superiori, durante le quali un gol del genere avrebbe scatenato il delirio tra le ragazze. Paolo si era già dimostrato abile durante gli allenamenti, aveva già attirato l’attenzione dei membri della squadra e sicuramente, dopo quella performance, avrà conquistato tutti, esattamente come a scuola. Stefano si sente vittima di uno strano déjà-vu e spera di non dover ripercorrere anche la parte più dolorosa della sua vita adolescenziale. 
 
Quando l’arbitro fischia al termine della partita, i ragazzi esultano di nuovo e in pochi minuti entrambe le squadre si dirigono verso gli spogliatoi. Stefano, come d’abitudine, si ferma per sistemare e inizia a raccogliere i palloni. Paolo è ancora in campo e sta parlando con il mister, dopodiché gli passa accanto.
 
-Vuoi una mano?
 
Chiede. Stefano scuote il capo. 
 
-Vai pure a cambiarti, faccio da solo. 
 
Risponde. Dallo sguardo di Paolo apprende di essere risultato troppo brusco, pur non essendo quello il suo intento. Cerca quindi di rimediare. 
 
-Bella partita, comunque. Bel goal!
 
Aggiunge. Lo sguardo accigliato di Paolo si ammorbidisce e le sue labbra si incurvano, formando un sorriso. 
 
-Grazie.
 
Lo ringrazia, posandogli una mano sulla spalla ma Stefano avverte qualcosa di insolito nel tocco. Non è il classico buffetto amichevole o solidale di un compagno di squadra, sembra quasi una carezza e dura diversi secondi.  
 
-Ci vediamo dopo.
 
Conclude, dirigendosi verso gli spogliatoi. Stefano scuote il capo, non vuole iniziare a cercare forzatamente segnali che non esistono. Si convince che si sia trattato di un semplice gesto sportivo, come spesso accade tra compagni di squadra. 
 
 
Come di rito, al termine della partita, la squadra pranzerà presso il Bar dello Sport, che si trova a pochi passi dal campo sportivo. Il proprietario e barista del locale è uno dei maggior sponsor della squadra e la sostiene da più di dieci anni. Apre eccezionalmente ad orario di pranzo quando ci sono le partite, per permettere alla squadra di pranzare insieme e chiacchierare. 
Il locale non è nulla di eccezionale, un semplice bar con uno stile un po’ anni ’80. Buona parte delle pareti è coperta fino a metà da perline in legno, i tavoli anch’essi in legno, sono quadrati e lineari, con la superficie consumata dal tempo. Mentre le sedie hanno la seduta in paglia e sono molto grandi. I muri sono decorati da placche in vetro raffiguranti noti brand di birre inglesi, irlandesi e belghe, mentre una parete, visibile subito dall’entrata, è dedicata alla squadra. Sono appese e incorniciate le foto delle formazioni degli ultimi dieci anni, escluso l’anno corrente che arriverà solo in primavera. C’è anche il gagliardetto rosso e bianco con il logo della squadra, qualche diploma, un cappellino e infine una piccola bacheca posata su una lunga mensola, che contiene qualche coppa e qualche trofeo, vinti negli anni. Sfortunatamente Stefano ha avuto il piacere di vincere solo un trofeo, spera però di poterne conquistare uno nuovo quest’anno. Si sente fiducioso, è certo che sia l’anno giusto. 
 
Arrivati al locale, Guido, il proprietario, li attende con il suo solito sorriso e il suo grembiule bordeaux. Il mister lo saluta abbracciandolo e gli comunica il risultato della partita, che lo rallegra immediatamente. 
 
-Ottima partenza, grandi! Dai, forza! Sedetevi che c’è tutto pronto. 
 
Li invita, indicando i tavoli già uniti e addobbati con stoviglie bianche e rosse, per richiamare i colori della squadra. I pranzi al bar con i compagni sono una delle cose preferite da Stefano, adora la convivialità e il senso di famiglia che si crea in queste situazioni. Gli ricorda in un certo senso i tempi della scuola, quei bei momenti nei quali era ancora spensierato e felice, nei suoi primi anni di liceo. Si sente ancora un ragazzo, lì seduto a tavola, gomito a gomito con gli altri. Per buona parte del pranzo non pensa alla sua vita adulta, al lavoro, al mutuo appena acceso per comprare la casa che tanto desiderava. Si parla principalmente della partita appena giocata, di sport, di calcio. Si siede tra Diego e Simone, mentre Paolo sceglie il lato opposto, qualche sedia più in là. 
 
Il pranzo è a base di birra, patate arrosto e stinco al forno, il classico menù del pranzo post-partita. Dopo aver servito tutto il gruppo, anche Guido si mette a sedere, a capotavola, per pranzare con loro. I primi discorsi, accompagnati dal tintinnio delle forchette e dei boccali di birra, vertono chiaramente sulla partita. Il mister presenta bene tutta la situazione, raccontando i punti più emozionanti dell’incontro. Ovviamente l’attenzione viene posta sull’azione e il goal di Paolo che viene elogiato, di nuovo, dai ragazzi della squadra. Stefano lo osserva e vede che, esattamente come da ragazzino, sembra essere abituato a ricevere una spropositata dose di complimenti. Nulla sembra essere cambiato in tutto quel tempo. 
 
-Posso chiederti cosa ti ha portato qui da noi? Per fortuna, aggiungerei!
 
Chiede Antonio, un centrocampista. Stefano è curioso di conoscere la risposta a quella domanda, continua a mangiare, cercando di non mostrarsi troppo interessato.
 
-Mi sono trasferito di recente in questa zona di Milano, che ho scelto per la vicinanza al mio ufficio. Ho sempre giocato a calcio, fino alla scorsa primavera ero nella squadra del paese in cui abitavo. Ho chiesto un po’ in giro se ci fosse una squadra di calcio a cui aggregarmi e mi hanno parlato di voi. 
 
La risposta è abbastanza neutra. Stefano avrebbe preferito fosse più specifico. Cosa può averlo spinto a trasferirsi? Si tratta solo di una questione lavorativa? Sapeva, tramite sua sorella, che Paolo non abitava più nel loro quartiere, sapeva che si era trasferito in un paese nella zona di Milano Sud ma non ha altri dettagli, non gli è mai importato fino ad ora. 
 
-Sì, mi ha contattato a maggio, chiedendomi informazioni su di noi. Non vi ho detto nulla perché il suo trasferimento non era sicuro. L’ho visto giocare un paio di volte e sapevo che sarebbe stato un ottimo elemento.
 
Conclude il mister, confermando la risposta di Paolo.  
 
-Quindi posso sperare di aggiungere un nuovo trofeo alla mia bacheca?
 
Domanda fiducioso Guido, indicando la mensola alle sue spalle. Paolo sorride. 
 
-Non posso garantirlo ma certamente farò del mio meglio per supportare la squadra. 
 
Dopo quella risposta il discorso cambia e ogni gruppo inizia a parlare di argomenti generici, non relativi al calcio. Stefano per esempio si ritrova a discutere con Diego su alcuni dettagli del mutuo, chiedendogli dei consigli. 
 
-Quindi mi confermi che il tasso fisso, anche se è un po’ alto, rimane la scelta migliore per il momento?
 
Chiede. Diego annuisce. È un broker assicurativo ed è sempre in grado di fornirgli ottimi consigli.
 
-Per il momento economico che stiamo attraversando, sì. Ti faccio vedere un prospetto di un cliente, per mostrarti le variazioni assurde che hanno avuto i tassi negli ultimi sei mesi. 
 
Prende il cellulare e si mette a cercare una fotografia. Nel frattempo Stefano si ritrova ad ascoltare un discorso tra Paolo e Antonio. 
 
-Hai famiglia?
 
Domanda Antonio. Prima che Paolo possa rispondere, Diego trova il documento di cui stava parlando ed inizia a spiegare i dati.
 
-Vedi? Qui c’è il prezzo di partenza, tasso dello 0,61% poi… 
 
Stefano finge di ascoltare la spiegazione di Diego, mentre in realtà tiene un orecchio teso verso Paolo.
 
-… e ho avviato la separazione. 
 
Riesce a captare solo un frammento ma gli basta per apprende che Paolo si sia sposato. 
 
-È praticamente raddoppiato, capisci? Inoltre… 
 
Diego, continua a spiegare e Stefano annuisce, pur non avendo capito una parola.
 
-Non ti preoccupare! Sono certo che qui ne troverai altre, vedrai!
 
La voce di Antonio, con il suo tono alto e squillante, è facilmente comprensibile. Stefano però non è riuscito a captare il pezzo centrale della conversazione. È ormai certo che Paolo durante gli ultimi dieci anni si sia sposato e che ora il suo matrimonio sia finito. Non è in grado però di dire se quell’affermazione sia dovuta a una preoccupazione di Paolo di restare solo o se sia nata spontaneamente da Antonio. In ogni caso, Paolo è interessato alle donne e Stefano crede sia arrivato il momento di smetterla di fissarsi su di lui. Ora è sempre più convinto di essersi immaginato quella carezza sulla spalla, poco fa, in campo. 
-Tutto chiaro?
 
Chiede Diego, cercando conferme da parte di Stefano. 
 
-Sì, certo. Grazie. 
 
Risponde lui, dispiaciuto per aver fatto perdere tempo a Diego. Le informazioni che ha cercato di illustrargli gli sarebbero state sicuramente utili, tuttavia la sua testa l’aveva automaticamente portato a prestare attenzione verso Paolo, filtrando qualsiasi altro discorso. Fa un sospiro e beve l’ultimo goccio di birra, sperando di schiarirsi le idee e di allontanare qualsiasi pensiero scomodo. 
 
***
 
L’allenamento di lunedì sera è piuttosto tranquillo. Quella settimana per questioni organizzative non ci sarà alcun incontro e questo darà tempo alla squadra di riposarsi e prepararsi bene a quello successivo che sarà la prima trasferta a lunga distanza della stagione. Il mister decide quindi di focalizzarsi su qualche esercizio di distensione muscolare e rilassamento, rimandando gli allenamenti di resistenza. Infine, come conclusione, propone una breve partita tra i membri della squadra. Consegna le pettorine arancio ad alcuni di loro, creando in questo modo i due gruppi. Stefano non riceve la pettorina ma vede che viene consegnata a Paolo, che sarà quindi un suo avversario. Non ha mai avuto l’occasione di giocare contro Paolo, neanche a scuola. L’idea di sfidarlo, anche se per gioco, lo stuzzica. 
Il mister fischia dando inizio alla partita, la palla viene presa subito da Simone che la passa ad Antonio il quale però viene marcato da un giocatore dell’altro gruppo, Alessio. Quest’ultimo dribla per dissuadere i suoi marcatori e la passa infine a Paolo. Stefano corre rapidamente verso di lui per prendere possesso dalla palla ma viene anticipato da Diego che con difficoltà riesce a recuperare il pallone e con un colpo di tacco gli passa la palla. Dopo aver recuperato la palla, Stefano raggiunge l’area di rigore e immediatamente Paolo inizia marcarlo, mettendosi dietro di lui. Era il momento che stava aspettando, anche se avrebbe preferito essere lui a rubargli il pallone. Non ha intenzione di farsi prendere dall’ansia anche se avere Paolo così vicino, dietro di sé, gli offusca la mente. Il cuore inizia a battergli forte e non sa se questo sia dovuto all’adrenalina della partita o a quella forzata vicinanza. Fa un respiro profondo per calmarsi ma senza perdere la concentrazione sul pallone. Con la coda dell’occhio cerca di scorgere un compagno di squadra al quale effettuare un passaggio. Sulla fascia sinistra c’è Diego ma è marcato ed è troppo lontano, Antonio è libero sulla fascia destra e si è appena smarcato, la passerà a lui. Qualcosa però cambia immediatamente i suoi piani, Paolo si avvicina ancora di più, prima appoggia il petto contro di lui, sfiorandogli le scapole, poi arretra e con il bacino in un colpo di reni sfiora la parte bassa della sua schiena e Stefano ha per un attimo l’impressione che quel contatto sia studiato e non casuale, in ogni caso si lascia distrarre e Paolo ne approfitta per scivolare alla sua destra, rubandogli il pallone. Stefano rimane bloccato nella sua posizione, non è sicuro di aver compreso quello che è appena successo. Nel frattempo la squadra di Paolo segna il primo gol. 
L’amichevole tra compagni di squadra finisce in pareggio, Stefano durante i minuti rimanenti ha evitato di avvicinarsi troppo a Paolo, rinunciando alla sua idea di sfidarlo. Era ancora confuso su quello che pensa possa essere successo poco prima e voleva evitare che accadesse di nuovo. 
C’è ben poco da sistemare in campo ma Stefano cerca di comunque di prendere tempo, rimanendo da solo a fare qualche palleggio, prima di entrare nello spogliatoio. Si sente agitato e l’adolescente timoroso che ancora alberga in lui gli suggerisce di rimanere ancora un po’ fuori a far ossigenare il cervello, per evitare qualsiasi inconveniente. 
Quando finalmente si tranquillizza entra nello spogliatoio, dove alcuni ragazzi stanno parlando della partita Juventus-Milan che si terrà proprio quel sabato. 
 
-Ste! Ti stavamo aspettando. Sabato la partita la vediamo da te? 
 
Chiede immediatamente Diego, vedendolo arrivare. Stefano annuisce. 
 
-Sì. Ordino la solita pizza al metro?
 
Suggerisce. Anche gli anni passati erano soliti vedere le partite in trasferta del Milan a casa sua, anche se l’appartamento era piccolo e alcuni ospiti erano costretti a mangiare sul divano. Le cose saranno decisamente diverse nella nuova casa, più ampia e spaziosa. Inoltre vorrebbe approfittare delle giornate ancora miti per cenare fuori sotto al portico, sfruttando almeno una volta la parte esterna della casa, prima della prossima primavera. 
 
-Veramente… Paolo si è offerto di preparare le pizze, dice di essere bravo. 
 
Aggiunge Diego e Paolo interviene subito.
 
-Non è il mio mestiere, però me la cavo bene. Vi avrei ospitati da me ma l’appartamento non è ancora finito e mi mancano ancora buona parte dei mobili. È un problema se vengo da te a prepararle?
 
Chiede. Stefano deglutisce rumorosamente e teme che Paolo se ne sia accorto.
 
-Se non ti va non farti problemi, la preparerò da me quando l’appartamento sarà pronto. 
 
Propone Paolo, avendo sicuramente notato la sua esitazione. 
 
-No, figurati. Va bene. 
 
Risponde, con tono più rilassato possibile.  Paolo sorride. 
 
-Perfetto! Le pizze devono lievitare ventiquattro ore, almeno. Se ti va possiamo andare insieme venerdì dopo il lavoro a prendere tutti gli ingredienti e poi a casa tua a preparare l’impasto. 
 
Il cuore di Stefano inizia a battere forte, esattamente come era successo poco prima durante l’amichevole. L’idea di dover passare, da solo, a casa sua, del tempo con Paolo lo agita e gli risulta davvero difficile nascondere il suo stato d’animo. Annuisce col capo, ha bisogno di tempo per prendere fiato. 
 
-Va bene. Ci troviamo al supermarket qui in fondo al viale, è vicino a casa mia. 
 
Recupera poi rapidamente le sue cose dal borsone e va verso le docce, facendo il possibile per mostrarsi composto e rilassato. 

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Ciao a tutti e benvenuti! Quando ancora pubblicavo "regolarmente" su EFP ero solita aggiungere qualche nota in fondo, per un saluto o un chiarimento. Due cose: la storia è stata scritta e iniziata nel 2022, in estate. Perciò i riferimenti temporali sono quelli, se qualcuno si fosse lamentato "Ma il Milan non ha vinto lo scudetto lo scorso anno!" come era scritto nel capitolo precedente :D Altra cosa... ci tengo tanto a questa storia. L'ho quasi completata interamente e la posto qui solo perché è sempre stato il mio posto "felice" :) Vedrò di pubblicare almeno un capitolo a settimana. In questo caso due perché volevo stuzzicarvi un po', nella speranza di ricevere vostri feedback. La prossima pubblicazione sarà Sabato 21 e vi dico che sarà un capitolo molto steamy ma vi anticipo che in questa storia c'è molto slowburn. Non tutto è come sembra! 
Quindi alla prossima, per chi ci sarà ;)
 

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Capitolo 3
*** Tentazione ***


Tentazione
 
-Cioè te l’ha appoggiato?
 
Domanda Alberto, senza pudore. Stefano spalanca gli occhi e si guarda attorno con imbarazzo. Sono seduti all’esterno di un ristorante biologico, dove spesso trascorrono la pausa pranzo. Il locale, come sempre nell’orario di punta, è pieno. Anche i tavoli accanto a loro sono occupati e Stefano ha l’impressione che quel tipo di discorso possa essere interessante per le due ragazze sedute alle loro spalle. 
 
-Abbassa la voce, dai… 
 
Lo rimprovera, a denti stretti. Cerca di tenere gli occhi fissi sull’insalata di pollo che ha appena ordinato, vuol evitare sguardi imbarazzanti con le persone vicine. L’atteggiamento di Alberto è totalmente opposto al suo, non ha problemi a dire qualsiasi cosa gli passi per la testa, anche a voce alta, difficilmente si imbarazza. 
 
-Ho solo tradotto quello che mi hai detto. 
 
Si giustifica, facendo spallucce. Stefano ammira il suo modo di fare, la sua scioltezza. È un uomo educato, rispettoso e cordiale, tuttavia, a differenza sua, è schietto e a tratti brutale. Non si preoccupa minimamente della reazione altrui, se ritiene che quello che ha da dire non possa essere offensivo. La prima volta che l’ha visto non aveva avuto di lui una buona impressione, aveva intuito che avesse un carattere forte e indipendente e che avesse una grande autostima. La sua sicurezza e il suo atteggiamento sciolto gli avevano fatto credere che fosse una persona arrogante e presuntuosa. Fortunatamente, anche grazie all’incidente della zuppa, si era ricreduto e aveva iniziato a vederlo sotto una luce totalmente diversa, considerandolo in breve tempo il suo migliore e più sincero amico. 
 
-Non sono proprio sicuro che l’abbia fatto. Forse l’ho immaginato perché volevo lo facesse. 
 
Riprende Stefano, in parte ritrattando ciò che ha appena raccontato all’amico. Alberto scuote il capo con rassegnazione. Si morde il labbro inferiore, prende fiato e poi ribatte. Da questi dettagli Stefano capisce che Alberto sta cercando di pesare le parole, per esprimere il suo pensiero in modo più educato e delicato possibile. Ovviamente non sarà così.
 
-Ste… non pensi sia arrivato il momento di darti una svegliata? 
 
Stefano non ribatte e si limita a giocherellare con la forchetta, spingendo un’oliva da un lato all’altro del piatto. Improvvisamente Alberto sbatte la mano sul tavolo, facendo sobbalzare Stefano e attirando l’attenzione dei tavoli vicini. Stefano lo guarda sconcertato, chiedendogli indirettamente per quale motivo abbia fatto quel gesto. 
 
-Riprenditi! Mi racconti una cosa, mi chiedi un consiglio, ritratti… ma cosa vuoi che ti dica esattamente? 
 
Esclama, quasi urlando. Stefano non sa come rispondere, rimane a fissare l’amico dritto in quei suoi brillanti occhi verdi, in quel momento spalancati. 
-Non so cosa fare, Albe! Non penso di essermelo immaginato… ma se stesse provocandomi apposta? Se fosse un dispetto?
 
Chiede infine. Alberto scuote il capo e fa una smorfia. 
 
-Credi davvero che sia così deficiente? Che si sia unito alla tua squadra solo per farti un dispetto? E poi… “dispetto”? Capisco che tu sia rimasto un po’ scottato da quello che ti è successo alle superiori ma… non siamo ragazzini! 
 
La risposta di Alberto porta Stefano a riflettere. In effetti ciò che ha appena detto è sciocco e insensato, eppure nella sua testa credeva fosse un’opzione plausibile. Probabilmente si tratta di un riflesso del suo passato. 
 
-Ho detto una cazzata. 
 
Si corregge. Alberto annuisce e allarga le braccia in segno rassegnazione. 
 
-Comunque… venerdì sera lo vedrò, da solo, per preparare le pizze. Non ho idea di come comportarmi. Faccio finta di niente e lo tratto come gli altri? Oppure tento un approccio? 
 
Chiede, Stefano. Alberto ci pensa un attimo e poi risponde.
 
-Se hai veramente paura che possa giocarti un brutto tiro, lascia che sia lui a guidare il gioco. Siete da soli, se ha intenzione di provarci con te lo farà. 
 
Stefano annuisce. Crede che quella sia la soluzione migliore. Nel frattempo entrambi hanno finito di pranzare ed è ora di rientrare in ufficio. 
 
-Comunque, prima o poi, dovrai farmi vedere una foto di questo tizio. 
 
Afferma Alberto, infilandosi gli occhiali da sole. 
 
-Sei curioso?
 
Chiede Stefano, sorpreso dalla sua richiesta. Alberto non risponde subito. 
 
-Molto. Non ti ho mai sentito fare apprezzamenti così espliciti su un ragazzo, neanche quando andiamo a ballare. Non ho mai nemmeno capito quale sia il tuo tipo. Presumo che lui lo sia… 
 
Stefano non risponde. Non pensava di avere un “tipo”, uno stereotipo di uomo dal quale si sentisse irrimediabilmente attratto. Eppure, probabilmente è così. Dopotutto Alberto è, oggettivamente, un uomo molto attraente ma non ha mai provato una così forte attrazione fisica nei suoi confronti, né prima di diventarne amico né dopo. Alberto è di statura media, leggermente più basso di lui ma con una corporatura robusta e solida. Il suo viso ha lineamenti regolari e marcati, addolciti dal suo sguardo luminoso e incorniciato perfettamente dai suoi folti capelli castani, tenuti sempre medio-lunghi e pettinati in modo ordinato e preciso, con una riga laterale bassa e due ciuffi lunghi che ricadono delicatamente sulla fronte alta e ampia.
 
-Credo sia il tipo di chiunque.
 
Risponde Stefano, cercando una risposta diplomatica. Alberto non ribatte ed entrambi procedono in silenzio fino all’ufficio.
 
  
Il tanto temuto venerdì è arrivato. Stefano è da poco rientrato a casa, si è già fatto la doccia ed è in accappatoio, davanti allo specchio del bagno. Osserva il suo viso riflesso, in modo approfondito, come è solito fare ogni giorno per controllare che non ci siano nuove rughe o altri capelli bianchi. Ne ha contati circa quattro l’ultima volta e teme ce ne siano altri sul retro della nuca ma non ha il coraggio di guardare. Accende il faretto sopra lo specchio, in modo da poter vedere più chiaramente ogni segno, ogni millimetrica e microscopica imperfezione. 
Passa l’indice lungo il contorno occhi e nota che, no, non c’è nulla di nuovo, esclusa la solita linea ancora poco marcata che si nota solo quando sorride o strizza gli occhi. Anche la parte inferiore del contorno occhi è ancora normale, non ci sono occhiaie. Si sistema poi le sopracciglia, pettinandole con le dita. Le ha sempre avute folte, tranne per qualche mese, durante la sua adolescenza, in cui si era lasciato convincere a fare la ceretta. Ricorda ancora con orrore le foto scattate in quel periodo, alcune delle quali ha conservato soltanto perché gli sembrava di notare meglio la sfumatura verde dei suoi occhi nocciola. Con le dita sale fino alla fronte, dove sente sotto il polpastrello dell’indice, la solita ruga profonda, “il solco” come l’ha definito, che lo accompagna da diverso tempo, da ben prima che si considerasse adulto. La luce forte dello specchio gli permette di notare che la barba sta iniziando a crescere ma non ha voglia di prendere il rasoio, è già abbastanza tardi e non vuole far aspettare Paolo al supermercato. Conoscendolo, sarà in anticipo di almeno cinque minuti. 
Rimanda anche la conta dei capelli bianchi e spegne la luce dello specchio per evitare di vederli, per fortuna il suo colore castano scuro li maschera abbastanza bene e fatica a vederli alla luce naturale. Scalda tra le mani una mistura formata da gel e cera fissante che si passa tra i capelli con rapidità per ottenere un effetto finto spettinato dopodiché si toglie l’accappatoio e indossa gli abiti preparati prima di entrare in doccia. Ha scelto una normale t-shirt azzurra e un paio di jeans, cercando di essere più informale possibile. Dopotutto non è un appuntamento, perché avrebbe dovuto prestare particolare attenzione al suo abbigliamento?
“Tanto lui sarà perfetto comunque.” pensa tra sé e sé, certo che Paolo risulterà impeccabile qualsiasi cosa indosserà. Sorride pensando a un aneddoto della sua adolescenza. Ricorda di aver acquistato una bruttissima maglietta a righe rosse su sfondo bianco perché la indossava Paolo. Sua sorella Elena, non faceva che complimentarsi con lui per lo stile e per la classe con le quali era in grado di portare qualsiasi indumento. Stefano aveva erroneamente pensato che quel capo potesse stare bene anche a lui, dopotutto avevano una struttura fisica simile lui e Paolo, erano entrambi alti e snelli. Sperava perlomeno di ricevere qualche apprezzamento da sua parte di sua sorella, che durante la sua adolescenza non si era mai sprecata a fargli un complimento perché lo riteneva sempre “un bambinetto”, cosa che invece non pensava di Paolo benché avesse la sua stessa età. Purtroppo, nemmeno in quel caso, era riuscito ad attirare l’attenzione della sorella, che l’aveva invece schernito dandogli del “copione”. Si era sentito così offeso e umiliato che per almeno una settimana aveva evitato di rivolgerle la parola. Non era stato un rapporto facile quello tra lui ed Elena e si meraviglia invece di come si sia evoluto crescendo, ora come ora pensa che sarebbe impossibile non rivolgerle una parola per una settimana intera, pur abitando in case diverse e avendo entrambi una vita propria. Si chiede però per quale motivo non le abbia ancora detto di aver ripreso a frequentare Paolo, pur essendo curioso di conoscere la sua reazione. 
Lo sguardo gli cade sullo schermo del cellulare, posato sulla base del lavabo alla sua destra. Sono quasi le 18.30, l’appuntamento è alle 18.45 davanti al supermercato. Deve sbrigarsi e cercare di non perdere altro tempo. 
Cammina a passo veloce lungo tutto il viale finché, arrivato al supermercato, vede Paolo ad attenderlo davanti all’ingresso. 
 
-Ciao, scusami se ti ho fatto aspettare. 
 
Afferma, pur essendo arrivato in perfetto orario. 
 
-Tranquillo, sei in orario. 
 
Risponde lui sorridendogli. Come da previsione, è perfetto. Pur indossando una semplice maglietta grigia, lo stesso modello di jeans indossato da Stefano e delle scarpe da ginnastica bianche senza particolari dettagli. 
Cerca di non fissarlo troppo ed entra nel supermercato, prendendo subito un carrello all’ingresso. 
 
-Hai una lista di quello che dobbiamo prendere?
 
Chiede Stefano. 
 
-Ho tutto qui.
 
Risponde Paolo, toccandosi la testa con un dito, intendendo di avere a memoria tutto ciò di cui ha bisogno.
 
-Prima cosa: farina 0. 
 
Stefano cerca di ricordarsi in quale corsia si trovi, frequenta spesso quel supermercato ma è solito cucinare cibi pronti o semi pronti, non ha mai avuto la necessità di comprare la farina. Dopodiché si indirizza verso la corsia corretta. Paolo lo segue. Lo scaffale delle farine è enorme e ce ne sono di così tanti tipi e varianti che fatica a trovare quella appena nominata da Paolo. 
 
-Eccola là! Dietro di te. 
 
Esclama Paolo, indicando un punto sullo scaffale.
 
-Dove?
 
Chiede Stefano ancora confuso. Paolo si avvicina, appoggia una mano sul suo fianco, stringendolo delicatamente, mentre con l’altro braccio si allunga per recuperare la farina posta su uno scaffale appena sopra la testa di Stefano. Getta due pacchetti nel carrello e si sposta, lasciando la presa. Stefano è sorpreso da quel gesto, si chiede se sia stato fatto di proposito o se non ci abbia pensato. Paolo è almeno cinque centimetri più alto di lui, non aveva bisogno di usarlo come appoggio per prendere la farina. 
 
-Poi?
 
Chiede, cercando di mostrarsi impassibile. 
 
-Zucchero e sale. A meno che tu non li abbia a casa. 
 
Stefano annuisce. 
 
-Bene, allora pomodoro e olio d’oliva. 
 
Prosegue. Stefano fa cenno di proseguire, ciò che Paolo ha appena richiesto si trova poco più avanti. Prende gli ingredienti, cercando di scegliere quelli della migliore qualità. Quando si gira per cercare Paolo, però, non lo vede. Si guarda attorno per capire dove si sia fermato e poco dopo gli appare davanti, con una bottiglia di vino per mano.
 
-Rosso o bianco?
 
Chiede. Stefano lo guarda confuso.
 
-Di solito non beviamo il vino durante la partita, Giacomo porta qualche cassa di birra. 
 
Spiega. Paolo scuote il capo.
 
-Me l’hanno detto. Non è per la pizza, è per noi. 
 
Stefano non è sicuro di aver compreso e preferisce non dire nulla per evitare di fare figuracce. 
 
-Ci serve come accompagnamento per preparare la pizza. Perché mi aiuterai anche tu, ovviamente. Non credevi l’avrei fatta da solo, vero?
 
Spiega Paolo. 
 
-In realtà sì, io… non ho mai impastato nulla in vita mia.
 
Risponde Stefano, continuando a fissare le due bottiglie di vino. 
 
-Non c’è problema, te lo insegno io! Ripeto la domanda: bevi rosso o bianco?
 
Chiede di nuovo, oscillando le due bottiglie.
 
-Bianco. 
 
Paolo gli porge la bottiglia di vino bianco e va a posare quella di vino rosso. Stefano lo osserva in lontananza, non capisce per quale motivo voglia bere del vino durante la preparazione della pizza. Inizia a sospettare che possa aver programmato qualcosa. 
Arrivati alla cassa Stefano scarica sul rullo la spesa, mentre Paolo imbusta tutto rapidamente.  
 
-Sono 35,69.
 
Afferma la cassiera, dopo aver battuto l’ultimo pezzo, la bottiglia di vino che costa ben quindici euro. Stefano prende il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans ma viene fermato da Paolo che lo afferra per l’avambraccio, impedendogli di estrarre la carta di credito. 
 
-No, lascia. Faccio io.
 
Lo stringe esattamente come aveva fatto poco prima in corsia e non lascia la presa, per qualche istante, fino a quando porge la propria tessera alla cassiera la quale gli chiede di inserire il codice sul tastierino.
 
-Non era necessario che pagassi tu. 
 
Afferma Stefano, un po’ imbarazzato e confuso, uscendo dal negozio. 
 
-Ma certo, l’ho voluta comprare io la bottiglia. Poi tu già ci metti la cucina, la casa e tutto il resto. Mi sembra il minimo. 
 
Ribatte Paolo, avvicinandosi al bagagliaio della propria auto, che si apre automaticamente senza che prema alcun tasto. 
 
-Comoda questa funzione, vero?
 
Commenta Paolo, notando lo stupore di Stefano. Il vano portabagagli dell’auto è molto grande ma è anche occupato buona parte da alcune scatole, da alcuni computer portatili e quello che sembra  un computer fisso.
 
-Perdonami il casino, sono tutte cose che mi servono per lavoro. 
 
Spiega, sistemando le borse della spesa in uno spazio libero. Dopodiché fa cenno a Stefano di salire in auto. Anche all’interno è grande, spaziosa e completa di tutti gli optional. Stefano riesce a scorgere sul retro altri componenti informatici. Presume quindi che Paolo si occupi di computer, che sia un tecnico informatico. 
 
-Dicevi sul serio quando hai detto di abitare vicino. 
 
Commenta Paolo, dopo essere arrivato davanti alla casa di Stefano. Quest’ultimo prova una strana sensazione nel vederlo entrare in casa propria. È praticamente il primo ospite, al di fuori dei suoi familiari, a entrare nella sua nuova casa. È curioso pensare che sia proprio lui il primo, una persona che conosce da così tanto tempo, al quale non pensava più da diversi anni e che non credeva avrebbe mai più rivisto. 
 
-Che bella casa! Assomiglia un po’ a quella in cui abitavo io…
 
Esclama Paolo, entrando in cucina. Le sue mani sono occupate, in una regge la borsa del supermercato, nell’altra invece un borsone verde largo con manici molto lunghi.
 
-Grazie. Da questa parte c’è anche il giardino, dove dovremmo riuscire a cenare domani sera, tempo permettendo. 
 
Spiega Stefano, indicando la porta che collega la cucina alla parte posteriore del giardino. 
 
-Bellissimo.
 
Commenta Paolo, posando la borsa della spesa sull’isola della cucina e il borsone verde a terra. La cucina è la parte che Stefano ha affidato completamente all’arredatore di interni. Si tratta di una stanza quadrata, piuttosto ampia, occupata da un lato dall’arco che la collega al salotto e sala da pranzo, da un altro dalla porta che conduce al giardino e i restanti dai mobili della cucina che formano un angolo e offrono parecchio spazio di appoggio. Al centro è stata posta un’isola molto ampia, che in origine Stefano aveva osservato con diffidenza ma sulla quale adora fare colazione e che usa per preparare quei pochi pasti che non consuma già pronti. 
 
-Ho portato un po’ dei miei attrezzi da lavoro.
 
Spiega Paolo, motivando il contenuto della borsa verde. Inizia ad estrarre alcune ciotole, un cucchiaio in legno, degli strofinacci, un vassoio coperto dalla carta stagnola, un barattolo di vetro con una strana sostanza all’interno e infine una maglietta bianca. 
 
-Ti spiace se mi cambio? Ho portato la maglietta che uso per impastare e cucinare.
 
Chiede Paolo, indicando la maglietta. 
 
-No, fai pure. 
 
Risponde lui. Prima che possa indicargli la strada per il bagno, Paolo si sfila la maglietta grigia e la appoggia sullo schienale di uno degli sgabelli dell’isola. Non si aspettava di trovarselo a torso nudo nella sua cucina, anche se giocando insieme a calcio non dovrebbe esserci nulla di male. Ha visto altri compagni spogliarsi diverse volte, anche ben oltre la maglietta. Tuttavia il contesto era diverso e, ovviamente, nessuno di loro era Paolo. Fa il possibile per evitare di fissarlo ma vuole allo stesso tempo cercare di non mostrarsi imbarazzato. Nota che ha un piercing, una barretta in metallo, sul capezzolo destro. Sembra depilato ma in realtà, avendo i capelli biondo chiaro, la peluria è semplicemente più sottile e meno visibile, ad eccezione di un filo leggermente più scuro che parte da sotto l’ombelico e arriva fino al bottone dei jeans, portati con la vita decisamente bassa, al punto da far intravedere le anche una vena in rilievo che scende lateralmente verso il bacino. 
Le fantasie di Stefano iniziano a correre ma preferisce distogliere completamente lo sguardo, approfittandone per prendere il sale e lo zucchero che non sono stati comprati al supermercato. Quando si gira Paolo si è già cambiato ma la maglietta che indossa, pur essendo vecchia, rovinata e della taglia sbagliata, lo fa sembrare ancora più attraente. Forse però questo effetto è dovuto all’averlo visto a torso nudo poco prima. Stefano pensa alla bottiglia di vino comprata per la preparazione della pizza e inizia forse ad avvertire il bisogno di versarsi un bicchiere, per potersi calmare. 
 
-Oh vedo che hai preso il sale e lo zucchero, benissimo! Ora mi servono una bilancia e una caraffa graduata, con circa 700 ml di acqua. 
 
Stefano procura ciò che gli viene richiesto e li posa sull’isola. 
 
-Posso usarlo come spianatoia? O hai paura di rovinarlo?
 
Chiede Paolo indicando il pianale. Stefano annuisce.
 
-Bene. Allora, guarda bene quello che faccio perché poi toccherà anche a te.
 
Paolo prende una delle ciotole che si è portato da casa e poi estrae un pezzo di quello strano contenuto gommoso nel barattolo di vetro. 
 
-È lievito madre. Uguale al lievito ma più naturale e digeribile. Lo alimento da circa due anni, pensa che la mia ex moglie me lo stava buttando… 
 
Il fatto che Paolo abbia nominato la sua ex moglie, riporta Stefano alla realtà e gli permette di smettere di pensare a quanto Paolo sia incredibilmente attraente. Cerca di concentrarsi sul lievito madre, del quale aveva già sentito parlare ma che non mai visto dal vivo. Non ha idea di come funzioni. 
 
-Va alimentato? 
 
Chiede, con curiosità. Paolo nel frattempo ha aggiunto un po’ di zucchero al lievito e l’ha impastato velocemente.
 
-Sì, è un essere vivente. Circa un paio di volte a settimana lo rinfresco aggiungendo altra farina e acqua, serve per tenerlo in vita. 
 
Spiega. Dopodiché si guarda in giro.
 
-Hai un timer? Di solito lascio agire lo zucchero per circa dieci minuti, prima di continuare a lavorarlo.
 
Chiede.
 
-Posso usare l’assistente vocale: “Alexa, imposta timer 10 minuti”.
 
Esclama, ricevendo la conferma da parte del dispositivo.  Paolo sorride.
 
-Hai domotizzato la casa?
 
Domanda curioso.
 
-Non proprio. Era mia intenzione farlo ma mi sono trasferito da poco e non ho ancora avuto tempo. 
 
Risponde Stefano, pensando a tutti i bei progetti di casa smart e totalmente computerizzata che ha visto nei mesi precedenti, prima del trasloco. 
 
-Posso darti una mano se vuoi. Io l’ho fatto da diversi anni, prima nella mia vecchia casa e ora in quella attuale, che ha ancora più funzioni.
 
Stefano annuisce. 
 
-Se hai tempo e voglia, volentieri. Mi ricordo che eri praticamente il migliore di tutti durante le lezioni di Trattamento Testi, a scuola. E visti tutti i pc che hai in macchina, presumo tu sia un tecnico informatico. 
 
Deduce. Paolo scoppia a ridere. 
 
-Avrei dovuto pulirla la macchina prima di venire da te. Buona parte di quei computer sono praticamente da discarica e li tengo solo per recuperare dei componenti. Comunque sì, mi occupo di informatica, sono un ingegnere informatico. 
 
Stefano rimane a bocca aperta. Spera di non averlo offeso dandogli del semplice tecnico. Ha avuto diverse esperienze con ingegneri di diverso tipo e li ha sempre trovati estremamente permalosi, puntigliosi e ben attenti al proprio titolo. Non immaginava che Paolo potesse essere diventato uno di loro. 
 
-Scusami. 
 
Paolo scuote il capo. Non sembra essere particolarmente toccato. 
 
-Dopo il biennio aver scelto di non proseguire col liceo sperimentale, mi è servito per capire di voler studiare informatica. È stata la scelta giusta. 
 
Spiega. 
 
-Beh in effetti quei tre anni di lingua francese che ti sei perso sono stati abbastanza inutili. 
 
Riassume Stefano, pensando alla sua scelta invece di proseguire con il percorso scientifico sperimentale, che nella loro scuola significava la prosecuzione dello studio di una seconda lingua straniera, il francese. 
 
-Grazie che me l’hai detto! Mi sono sempre chiesto come sarebbe diversa ora la mia vita, se sapessi parlare bene il francese. 
 
Risponde Paolo, con tono sarcastico. Stefano dapprima non sa come ribattere e poi scoppia a ridere. 
 
-Oh, io mi ricordo solo dei modi in cui mi segnavo i verbi irregolari e i pronomi sull’astuccio per copiarli nelle verifiche. Non ho mai parlato francese da quando mi sono diplomato. 
 
Confessa, facendo sorridere Paolo. 
 
-È già molto di più di quanto ricordi io. Tu che cosa hai fatto dopo il diploma?
 
Chiede. Stefano ha un vuoto allo stomaco, nel sentir parlare del diploma. Teme sempre che da un momento all’altro salti fuori l’argomento del suo forzato outing. In parte la scelta della sua università, a Pavia, lontano da qualsiasi compagno di classe, è dovuta a quell’episodio della sua vita.
 
-Mi sono laureato in Economia e Finanza. Lavoro alla Mirabelli dal giorno dopo la laurea, praticamente. 
 
Paolo spalanca gli occhi con sorpresa.
 
-Alla Mirabelli? Davvero?
 
Stefano annuisce. 
 
-Sì, ci hai lavorato anche tu?
 
Chiede, curioso della sua reazione. 
 
-Ho alcuni amici che lavorano lì, alcuni ragazzi che hanno fatto stage insieme a me dove lavoro ora alla Vince, il palazzo opposto alla Mirabelli. 
 
Risponde. Stefano ora comprende perché abbia mostrato stupore poco prima, i loro uffici distano poco meno di duecento metri l’uno dall’altro. Si chiede come sia possibile non averlo mai visto.
 
-Veramente? Hai sempre lavorato lì?
 
Paolo annuisce. 
 
-Da dopo la magistrale, poi ho preso un periodo di aspettativa di un anno per un master che ho fatto a Pisa e sono tornato a lavorare lì, con una mansione migliore e un mio team da dirigere. 
 
Stefano non aveva dubbi che la carriera di Paolo sarebbe stata brillante. Da ragazzo aveva sempre avuto tutto: bellezza, intelligenza, amicizie. Tutte cose che sembra non aver perso crescendo, vorrebbe sapere però qualcosa in più sul suo matrimonio, su chi sia la sua ex moglie. 
 
-Però! Devi aver avuto una bella vita, in questi ultimi anni. 
 
Commenta, utilizzando un tono un po’ sprezzante, senza farlo apposta. Paolo non sembra prendersela ma non è d’accordo con questa sua affermazione.
 
-Non proprio. Diciamo che sarebbe potuta andare meglio. 
 
I discorsi vengono interrotti dal timer. Immediatamente Paolo riprende l’impasto e inizia ad aggiungere altri ingredienti. 
 
-Allora… ora ci va la farina e po’ di olio. Impasto velocemente e poi…
 
Prende qualche manciata di sale dal contenitore e lo versa sull’impasto. 
 
-Il sale è l’ultima cosa che va aggiunta, non deve essere vicino allo zucchero altrimenti ferma la lievitazione. 
 
Spiega, iniziando quindi a impastare più energicamente. Stefano rimane in silenzio a osservarlo, rimane incantato dal movimento dei suoi polsi. Si concentra sulle vene delle sue mani, che più e più volte si è fermato ad osservare. Passa poi ad ammirare l’espressione concentrata del suo viso e il riflesso dorato dei suoi capelli e delle sue sopracciglia, colpiti dalla luce del tramonto che filtra dalla finestra. Intravede anche la forma del piercing sul capezzolo, dove si poggia la maglietta, decisamente più sottile rispetto a quelle che gli ha visto indossare fino ad ora. Paolo smette di impastare e crea invece una palla con l’impasto, che poi inserisce in un altro contenitore. 
 
-Ecco! La prima è fatta. Dovrebbero uscire circa sei pizze da questa. Ora tocca a te. 
 
Esclama, strofinandosi le mani sul bacone, per togliere ogni residuo d’impasto. 
 
-Non sono sicuro di riuscire a fare quello che hai fatto tu.
 
Confessa, riferendosi in particolare alla manualità con la quale ha piegato, girato e appallottolato l’impasto.  Paolo fa finta di non sentirlo, si lava le mani e poi apre il sacchetto tirando fuori la bottiglia di vino. 
 
-Con un po’ di accompagnamento si può tutto. Io non sono nato pizzaiolo, come sai. Ho iniziato a cucinare perché la mia ex moglie non era in grado di farlo e… qualcuno doveva pur farlo, no?
 
Di nuovo la ex moglie. Stefano inizia a chiedersi se lo faccia di proposito per mantenere le distanze. 
 
-Bicchieri?
 
Chiede Paolo dopo aver stappato la bottiglia di vino. Stefano recupera un paio di calici da vino e li posa su una zona pulita dell’isola. 
 
-Beviamo così, a stomaco vuoto?
 
Domanda Stefano con scetticismo, consapevole dei suoi limiti con l’alcool. Paolo scuote il capo e immediatamente recupera l’oggetto non ancora toccato tra quelli estratti dal borsone verde. 
 
-Certo che no. Ho preparato questi.
 
Esclama, scoprendo il vassoio con la carta stagnola e mostrandone il contenuto. Si tratta di piccoli bocconcini in pasta sfoglia con del ripieno, di forma rettangolare, alcuni sono decorati con delle righe verticali.
 
-Sono dei rustici. Alle verdure, alle patate e al salame. Sono facilissimi da fare. Assaggia. 
 
Suggerisce Paolo, porgendo il vassoio a Stefano, il quale scruta con attenzione il contenuto e sceglie un rustico al salame. Il profumo è molto invitante, così come il gusto. La pasta croccante e leggermente friabile contiene un impasto a base di salame solo un poco pepato che compensa il gusto dolce della pasta sfoglia.
 
-È buonissimo! Ci sai fare, sul serio.
 
Commenta, sinceramente. 
 
-Ti ringrazio. Li preparo sempre come antipasto, li farò anche per domani sera. Quale hai mangiato?
 
Chiede. 
 
-Al salame. Posso prenderne un altro?
 
Domanda. Paolo annuisce e ne prende uno a sua volta. Stefano sceglie quello alle verdure, probabilmente spinaci o erbette, anche quello è delizioso. 
 
-Al salame sono i miei preferiti. Ne preparo con diversi tipi ripieni: formaggio, prosciutto, a volte anche con la frutta. Oppure… con i wurstel, ti piacciono i wurstel?
 
Domanda Paolo, cogliendo Stefano alla sprovvista. Si limita ad annuire. 
 
-Potrei prepararne alcuni domani. Oppure… alla salsiccia. La mangi la salsiccia, ti piace? Io la adoro, la metto un po’ ovunque. 
 
Stefano deglutisce rumorosamente. Per un attimo rischiava di strozzarsi con un pezzo di rustico.
 
-Sì, la mangio. 
 
Commenta, precipitandosi poi a bere un sorso di vino. Bevendo quasi mezzo bicchiere, non può fare a meno di chiedersi se sia lui ad essere ancora estremamente infantile e sciocco o se i doppi sensi siano voluti. 
 
-Bene, allora te li preparo domani, con la salsiccia. 
 
Rimarca Paolo, bevendo a sua volta un sorso di vino. Dopodiché si pulisce le mani sulla maglietta. 
 
-Bene, all’opera!
 
Suggerisce, facendo cenno a Stefano di prendere il suo posto. 
 
-Devo prendere… il lievito, giusto?
 
Chiede, indicando il baratto. Paolo annuisce e glielo porge. 
 
-Ok. E ora lo zucchero? 
 
Paolo conferma. 
 
-Sempre dieci minuti di attesa?
 
Paolo scuote il capo.
 
-No, ha preso un po’ d’aria e si è scaldato, possiamo lavorarlo anche direttamente. 
 
Stefano non sa nemmeno da che parte cominciare. Ha osservato Paolo durante la preparazione, tuttavia non era l’impasto a interessargli. Facendo un respiro profondo infila le mani nel composto e cerca di modellarlo, ricordando vagamente di quando alle scuole medie si divertiva a lavorare il Das. 
 
-Bravo! Ora la farina. 
 
Si complimenta Paolo, che nel frattempo inizia a versare della farina sul composto di lievito e zucchero. Stefano continua a impastare, inizia a prenderci gusto. Infine è la volta dell’olio che Paolo versa delicatamente, cercando di bagnare tutto il composto. Con l’aggiunta dell’olio Stefano fatica a lavorare, diversi pezzi dell’impasto si incollano alle mani e alla base del tavolo.
 
-Credo di aver sbagliato qualcosa.
 
Commenta, trovandosi in difficoltà. 
 
-Tranquillo, lo sistemiamo.
 
Lo rassicura Paolo, che nel frattempo si posiziona proprio dietro di lui, a pochi centimetri. Riesce a sentire il suo respiro dietro la nuca, percepisce chiaramente ogni nota del suo profumo: forte, ambrato e un po’ legnoso. Paolo gli prende le mani, quasi intrecciando le sue dita con le proprie e Stefano fatica a concentrarsi sull’impasto, vorrebbe solo lasciarsi andare e permettere a Paolo di fare di lui qualsiasi cosa sia sua intenzione fare. 
 
-È il calore. Hai le mani caldissime, è questo che fa incollare l’impasto.
 
Spiega Paolo, quasi sussurrandogli nell’orecchio. Vorrebbe girarsi, guardarlo in quei meravigliosi occhi cerulei e baciarlo. Tutto il suo corpo glielo suggerisce ma al tempo stesso ha paura di aver frainteso. Osserva il bicchiere di vino proprio di fronte a lui, in quel momento ne avrebbe davvero bisogno. 
 
-Aggiungiamo un po’ di farina e vediamo cosa succede. 
 
Suggerisce Paolo. Stefano spera a questo punto che si sposti, per prendere la farina.
 
Non lo fa.
 
Semplicemente appoggia la mano destra sul suo fianco, stringendolo, esattamente come aveva fatto al supermercato, mentre con la sinistra si allunga per recuperare la farina e ne sparge una manciata sull’impasto. Il contatto tra i due si fa ancora più ravvicinato. Stefano riesce a percepire chiaramente il corpo di Paolo premere contro il suo. Cerca di sporgersi più in avanti, spingendosi contro il bancone dell’isola. Respira profondamente, sperando che Paolo non se ne accorga. 
 
-Proviamo così.
 
Suggerisce Paolo, lasciando il suo fianco e riprendendogli entrambe le mani. Gli afferra i polsi. 
 
-È questa la parte che devi usare per impastare.
 
Guida le sue mani sull’impasto, suggerendogli come impastare e in quale direzione. Stefano cerca di concentrarsi e di non pensare a quanto sia vicino, a quanto gli piaccia averlo così vicino. 
 
-Bene, così. Prova tu, ora.
 
Lo lascia andare e si allontana, mettendosi alla sua sinistra, dove era stato fino a quel momento. Stefano si sente sollevato e dispiaciuto allo stesso tempo. Riesce alla fine a creare una palla abbastanza consistente e la inserisce nel contenitore preparato da Paolo.
 
-Ora li dobbiamo coprire con uno strofinaccio e vanno tenuti in frigo, fino a domani. 
 
Spiega Paolo, coprendo entrambe le ciotole con due canovacci da cucina. 
 
-Va bene. Però vanno tirati, lo dobbiamo fare prima che arrivino tutti?
 
Chiede Stefano, temendo e al contempo sperando di avere l’occasione di stare di nuovo con lui, da solo, l’indomani. Paolo annuisce.
 
-Sì. In realtà dovresti toglierle dal frigo due ore prima. Dopodiché dobbiamo tirarle e preparare la base, i condimenti vanno per ultimi.
 
Stefano prende un ultimo sorso di vino, anche Paolo se ne versa ancora un po’. 
 
-Pensavo fosse più buono. Un po’ troppo amaro, non trovi?
 
Commenta. Stefano non ha avuto l’occasione di riflettere sul gusto del vino, aveva altri pensieri. Decide però concordare con lui. 
 
-Domani te ne porto io uno speciale, un vinello di quelli proprio buoni. Vedrai…
 
Afferma Paolo, buttando giù tutto il contenuto del bicchiere, con una smorfia. Dopodiché raccoglie tutte le sue cose rimaste sul tavolo per riporle nella borsa verde. 
 
-Non ti cambi la maglietta?
 
Chiede Stefano, indicando la maglietta pulita. 
 
-No. Vado a casa con questa e mi faccio una bella doccia. 
 
Risponde Paolo, riponendo la maglietta nella borsa. 
 
-Va bene. Quindi… ci vediamo domani, sei e mezza. Per finire… 
 
Avrebbe voluto dire “quello che abbiamo iniziato”, non riferendosi assolutamente alle pizze. 
 
-Sì, così posso darti una mano anche a preparare la tavola. Ci vediamo domani. 
 
Si mette in spalla la borsa ed esce. Stefano rimane a fissarlo per qualche secondo, cercando sempre di mantenersi calmo. Quando finalmente sale in auto, chiude la porta e si butta sul divano, facendo un respiro profondo. Inizia a girargli la testa, si chiede se sia solo colpa del vino.
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Ciao a tutti! Eccoci nelle note finali. Preciso che ogni riferimento scuole, negozi, uffici è casuale. I nomi delle aziende nelle quali lavorano Stefano e Paolo sono totamente di fantasia, così come il loro liceo.
Per il resto... spero che il capitolo sia di vostro gradimento. Devo confessarvi che è uno dei miei preferiti, insieme a quello successivo. 
Non aggiungo altro, vi chiedo gentilmente se state leggendo di lasciarmi un parere, un saluto, un commento, una critica. 
Buona weekend. Forse aggiornerò a metà settimana, vediamo come va ;)

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Capitolo 4
*** Calore ***


Calore
 
La mattina seguente, Stefano aveva avvertito la necessità di incontrare Alberto, per confrontarsi con lui circa ciò che gli è accaduto con Paolo. Ha deciso di invitarlo a fare colazione in un bar in centro.
Alberto arriva in ritardo, un po’ scomposto e con gli occhiali da sole ancora addosso. Deduce che la sera prima sia uscito a fare serata.
 
-Ma buongiorno! Dormito bene?
 
Chiede, con tono sarcastico. Alberto si getta quasi a peso morto sulla poltroncina del bar e senza rispondere a Stefano alza il braccio per chiamare il cameriere.
 
-Ti sei divertito ieri sera, immagino… 
 
Alberto si sfila gli occhiali e li posa sul tavolino. Inizia poi a sfregarsi energicamente gli occhi. 
 
-Buongiorno, cosa vi porto?
 
Chiede il cameriere, presentandosi al tavolo. Stefano decide di ordinare per primo, nell’attesa che Alberto si riprenda.
 
-Io prendo un cappuccino e una brioche alla crema, per favore. Mentre il cadavere qui davanti…
 
Alberto gli rivolge un’occhiataccia e si schiarisce la voce. 
 
-Caffè americano e un toast al prosciutto. Grazie. 
 
Il cameriere segna gli ordini e poi si allontana, prendendo i menù dal tavolo. 
 
-Avessi saputo che eri così messo male non ti avrei chiesto di venire a colazione… 
 
Commenta Stefano, continuando a fissare Alberto. 
 
-Domanda importante prima di cominciare: te lo sei fatto?
 
Chiede Alberto, con voce roca e senza guardarlo negli occhi. Stefano non si aspettava una domanda così a bruciapelo e risponde d’impulso.
 
-No. 
 
Alberto sospira. 
 
-Allora non mi parlare finché non arriva il caffè. 
 
Ribatte. Non è la prima volta che Stefano vede Alberto in quelle condizioni, generalmente è la conseguenza di una serata in discoteca ricca di eccessi e di eventuali post-serata terminati all’alba. Da tempo però non partecipava a quel tipo di serate, nessuno del loro gruppo in realtà vi partecipa da un paio d’anni. 
 
-Penso che sarebbe potuto accadere ma… non ne sono sicuro. 
 
Prosegue Stefano, ignorando l’avvertimento dell’amico. 
 
-Fammela semplice. Non ho la testa adesso per rielaborare tutti i tuoi film mentali. 
 
Lo intima Alberto. 
 
-Ma si può sapere che hai fatto ieri sera? Sei un morto che cammina… 
 
Chiede invece Stefano, a questo punto curioso circa i dettagli della sua serata.
 
-Sono uscito con un tipo conosciuto su Grindr, età dichiarata 25. Età reale 18. Mi ha portato in un locale di… ragazzini. Da fuori di testa, tutti bevevano, ballavano. Sembravano delle molle impazzite. Credo di aver preso anche qualche sostanza ma non ne sono sicuro… 
 
Spiega Alberto, riprendendo lentamente la ragione. 
 
-È stata una bella serata, quindi?
 
Conclude Stefano. 
 
-Oh sì… se avessi avuto dieci anni in meno. Al terzo cocktail mi sembrava di stare sulla nave dei pirati a Gardaland, mentre quelli erano freschi come delle rose. Poi ho un vuoto e circa alle quattro mi sono ritrovato con quel tipo in macchina. 
 
Racconta, sbadigliando e continuando a sfregarsi il viso. 
 
-E… te lo sei fatto?
 
Chiede Stefano, facendo eco alla sua domanda di poco prima, certo che la risposta sarà differente.
 
-Mi pare ovvio. Non reggerò più l’alcool come un tempo ma il resto funziona ancora benissimo.           
Nel frattempo arriva il cameriere, che sicuramente ha ascoltato almeno l’ultima parte del discorso ma in modo molto professionale fa finta di nulla, limitandosi a trattenere un sorrisetto divertito sulle labbra. 
Alberto versa subito tre bustine di zucchero nel suo caffè e inizia a mescolarlo. 
 
-Dai, dimmi perché non ti sei fatto un giro in giostra anche tu.
 
Chiede, finalmente ritornato in sé e pronto ad ascoltarlo. Stefano parte proprio dal principio, dal supermercato, per poi arrivare a raccontare la parte più saliente.
 
-Sei un pirla. 
 
Conclude Alberto, terminando il suo caffè. Stefano ovviamente si aspettava una reazione simile da parte sua. 
 
-Ma scusa, tu cosa avresti fatto?
 
Alberto fa per aprir bocca ma Stefano lo ferma immediatamente. Il locale è troppo pieno in quel momento ed è certo che se ne uscirà con qualcosa di scomodo.
 
-Sì, posso immaginare. Non serve che tu me lo dica. Non lo so… non ero sicuro che lui volesse esattamente quello. 
 
Esclama Stefano, inzuppando l’ultimo pezzo di brioche nel cappuccino ormai tiepido.
 
-E perché pensi che l’abbia fatto? Per convincerti ad aprire una pizzeria con lui? 
 
Quella risposta fa sorridere Stefano che si ricorda di un altro dettaglio, emerso durante la serata precedente.
 
-Ah! Sai dove lavora? Di fronte a noi, alla Vince! È un ingegnere informatico e pare sia una specie di capoccia. 
 
Alberto inarca le sopracciglia compiaciuto. 
 
-Beh, a questo punto possiamo proprio dire che non gliene può fregare di meno di aprire una pizzeria. Comunque ripeto: sei un pirla e anche un rimbambito. 
 
Stefano sbuffa. Non ha fatto che pensare a quell’incontro con Paolo per tutta la serata, ha faticato a prendere sonno quella notte. Si era sentito come un adolescente con gli ormoni impazziti, non riusciva a pensare ad altro. 
 
-Ti giuro, Albe… è stata l’esperienza più erotica e sensuale che abbia vissuto in tutta la mia vita. Le sue mani così… venose. Il suo profumo… il calore del suo corpo… e quel maledetto piercing al capezzolo che spingeva contro la maglietta. Io… non so come abbia fatto a resistere, mi sono praticamente appiattito contro il bancone per allontanarmi da lui ma… era impossibile. 
 
Ripercorrendo i dettagli della serata Stefano deve cercare di calmarsi. Beve ciò che rimane del cappuccino, cercando di pensare ad altro.  Alberto ha una strana espressione sul viso, quasi cupa. Se Stefano non lo conoscesse così bene, penserebbe fosse triste o preoccupato. 
 
-Me lo devi proprio far conoscere, non mi basta vedere una sua foto.
 
Commenta poi, sorridendo. 
 
-Perché?
 
Chiede Stefano, non comprendendo il motivo di quella richiesta, in quel momento. 
-Perché questo tipo mi ha aperto un mondo su di te. In questi anni non mi hai mai raccontato nulla di così dettagliato, sulle tue esperienze. Anche quando ne parliamo con i ragazzi, tu sembri sempre Madre Teresa di Calcutta, paragonato a noi. E invece…
 
Si ferma.
 
-E invece… cosa?
 
Domanda Stefano. Alberto fa spallucce. 
 
-E invece non è così. Deve proprio farti ribollire il sangue questo qui…
 
Conclude. Stefano non risponde ma è esattamente in quel modo che si sente quando è in presenza di Paolo. Quando Paolo lo tocca e specialmente la sera prima. Una scossa gli percorre il corpo da testa a piedi nel pensare a cosa potrebbe succedere questa sera, quando saranno nuovamente soli. 
 
-Paghiamo e usciamo a fare due passi?
 
Suggerisce Alberto, alzandosi e infilandosi di nuovo gli occhiali da sole. Stefano annuisce e lo segue.
 
 
 
Sono quasi le sei e mezza. Stefano sta girando avanti e indietro per il soggiorno, attendendo l’arrivo di Paolo. Si sente agitato come mai si era sentito prima, dopo la sera precedente non sa cosa aspettarsi. Non si è ancora cambiato per la serata, ha scelto di indossare una maglietta da casa per continuare la preparazione delle pizze, seguendo l’esempio di Paolo della sera prima. 
Improvvisamente suona il citofono: è arrivato. Stefano respira profondamente, si fa coraggio e apre il cancello, presentandosi poi sulla porta. 
 
-Ciao! 
 
Esclama, con fin troppo entusiasmo, vedendolo. Paolo ha entrambe le mani occupate e tiene un appendino con una camicia sull’avambraccio. Stefano lo raggiunge, per aiutarlo.
 
-Aspetta! Fammi prendere qualcosa. 
 
Si offre, prendendo un vassoio dalle sue mani e una borsa piuttosto pesante. 
 
-Ti ringrazio. 
 
Gli sorride Paolo. 
 
-Ho portato la camicia da mettere per la serata, dovrò usare il tuo bagno per darmi una rinfrescata, se non ti dispiace.
 
Afferma Paolo, posando la camicia pulita su uno degli sgabelli della cucina. 
 
-Tutto quello che vuoi, la mia casa è a tua disposizione. 
Avrebbe voluto aggiungere che anche lui è a sua disposizione, qualunque cosa voglia fare. 
 
-Oh vedo che hai tolto gli impasti dal frigorifero! Benissimo. 
 
Commenta, osservando le due ciotole già pronte sull’isola della cucina. Stefano è stato ben attento a prepararle con due ore di anticipo, esattamente come gli aveva detto. Sa che Paolo è molto preciso e non vuole essere da meno. 
 
-Io ho portato il vino. Vedrai che è tutta un’altra cosa, rispetto a ieri.
 
Afferma, estraendo una bottiglia di vino da uno dei sacchetti. 
 
-È un pinot nero, viene dall’Oltrepo Pavese
 
Stefano recupera dallo scolapiatti gli stessi bicchieri della sera prima. 
 
-Non sono proprio un esperto di vini ma se mi dici che è buono, mi fido.
 
Confessa. Paolo versa il vino nei bicchieri, poi recupera il vassoio. 
 
-Questi quattro davanti sono rustici alla salsiccia, come ti avevo promesso. Gli altri sono per la serata, ma questi sono tutti tuoi. 
 
Spiega, mostrando il vassoio pieno. 
 
-Brindiamo. 
 
Suggerisce Stefano, alzando il bicchiere prima di berne il contenuto.
 
-A cosa?
 
Chiede Paolo. Stefano ci pensa un istante prima di rispondere
 
-Al mio nuovo interesse per la cucina!
 
Esclama. Paolo accetta il brindisi e poi, entrambi, bevono un sorso di vino. Il gusto è davvero più gradevole rispetto a quello della sera prima. Stefano, pur non essendo un estimatore di vini, riesce chiaramente a percepirne la differenza. Nota però che è anche molto più forte, si chiede che gradazione alcolica possa avere.
 
-Quindi ti è piaciuto cucinare?
 
Domanda Paolo, posando il bicchiere. Stefano annuisce, dopodiché prende un rustico dal vassoio.
 
-Diciamo che… ho un bravo insegnante. 
 
Risponde, prima di assaggiare il boccone. 
 
-Oh, grazie. 
 
Il rustico è, se possibile, ancora più buono di quelli consumati la sera prima. Il ripieno è morbido, gustoso e saporito e, a differenza degli altri, ha una nota leggermente piccante. 
 
-È piccante. O sbaglio?
 
Chiede Stefano. Paolo annuisce. 
 
-Sì, ci ho messo un po’ di peperoncino. Il peperoncino è perfetto per chi pratica sport, riduce il colesterolo e aiuta il sistema circolatorio. È un forte vasodilatatore. 
 
Spiega, sorseggiando un altro po’ di vino. Stefano è a conoscenza delle proprietà benefiche del peperoncino ma sa bene che la sua fama è dovuta principalmente al fatto di essere un noto afrodisiaco, proprietà che Paolo ha celato utilizzando il più insospettabile termine “vasodilatatore”. Inizia a pensare che quello possa essere un segnale da parte sua e immediatamente una sensazione di calore lo pervade, forse anche per merito del vino e del peperoncino. Beve un altro sorso. 
 
-Bene, mettiamoci all’opera prima che arrivino gli altri. 
 
Lo invita Paolo, iniziando a scoprire le ciotole. L’occhio di Stefano cade sulla maglietta Paolo, bianca, aderente e semi-trasparente, esattamente come quella che ha indossato il giorno prima ma questa volta c’è uno strano disegno. Una scritta in inglese “Kiss the cock” accompagnata dal disegno di un gallo con il cappello da chef. Si tratta di un gioco di parole che gioca sulla similitudine dei suoni “cook” (cuoco) e “cock” (gallo). Il termine “cock” in inglese ha anche un altro significato, è usata informalmente per indicare la parola “pene”. Si tratta quindi di una sorta di provocazione, smorzata dal fatto di aver disegnato un gallo col cappello da chef.
 
-Stai guardando la mia maglietta?
 
Chiede Paolo, divertito. Stefano sorride. 
 
-Sì. È… originale. 
 
Risponde, non trovando altri termini per definirla. Ancora una volta si chiede se quello non sia un segnale da parte sua. Decide di versarsi un altro po’ di vino e beve quasi metà bicchiere, per cercare di calmarsi. 
 
-Me l’ha regalata la mia ex moglie, quando ho iniziato a cucinare. 
 
Spiega Paolo, iniziando intanto a versare un po’ di farina sul piano da lavoro. Stefano si chiede se quel suo nominare l’ex moglie serva invece per mantenere le distanze. Si avvicina a Paolo ma non fa nulla, aspetta che sia lui a dargli delle istruzioni. 
 
-Allora, io adesso tiro un po’ la pasta e faccio delle pieghe di rinforzo. Servono a rendere gli impasti più soffici. In realtà nella pizza non è indispensabile ma ho notato qualche piccola differenza, quindi lo faccio sempre. È facile… 
 
Con le dita appiattisce l’impasto versato sul tavolo da lavoro, in modo da creare una forma rettangolare allungata. Dopodiché afferra un lembo di pasta da un lato e lo porta fino al centro, fa la stessa cosa con l’altra estremità, dopodiché capovolge l’impasto, ripetendo la medesima operazione e così di nuovo per altre due volte. Stefano è incantato dalla sua abilità, osserva l’eleganza delle sue dita e la semplicità con la quale ripete i passaggi, è evidente che ha svolto quell’operazione molte volte. 
 
-Ora la faccio diventare di nuovo una pallina. 
 
Spiega, iniziando a far ruotare l’impasto sulla base da lavoro, con una sola mano. 
 
-La lasciamo così per una mezz’ora, poi la tiriamo definitivamente. Ora prova tu.
 
Lo invita, spostando l’impasto appena lavorato e versando il contenuto dell’altra ciotola sul piano da lavoro. Stefano è certo di non essere in grado di ripetere le stesse operazioni con la precisione di Paolo ma spera che possa aiutarlo e guidarlo, di nuovo. 
 
-Non avendo le tue abilità… mi serve un po’ di vino. 
 
Afferma, finendo anche il secondo bicchiere. 
 
-Fai attenzione perché è abbastanza forte. 
 
Lo avvisa. Per Stefano non ha importanza, un po’ vino lo aiuterà a sopportare la vicinanza di Paolo, dandogli eventualmente coraggio per rispondere a un suo eventuale invito. Si posiziona davanti alla pagnotta e inizia a tirarla, cercando di imitare ciò che aveva visto fare poco prima da Paolo. Ancora una volta, però, l’impasto si attacca alle sue mani. Paolo sorride.
 
-Magari evitiamo il vino, la prossima volta, così il calore rimane nella norma. 
 
Propone, dopodiché prende un po’ di farina e la rovescia sulle mani di Stefano, lo aiuta poi a togliere i residui di pasta, sui palmi e tra le dita, massaggiando con il pollice, con delicatezza. Il calore di Stefano, così fastidioso nella preparazione dell’impasto, non può che aumentare con la sua vicinanza. Vorrebbe stringere quelle sue mani che tanto lo attraggono, sentire scorrere le sue dita sul proprio corpo e vederlo mettere in pratica su ogni centimetro della sua pelle la stessa abilità manuale che ha dimostrato possedere in cucina. Cerca di calmarsi, non è il momento. 
 
-Prova adesso.
 
Suggerisce Paolo, lasciandolo andare. Stefano riprende a lavorare l’impasto, questa volta senza grandi difficoltà. Ripete tutti i passaggi e ritiene, tutto sommato, di aver ottenuto un modesto risultato.
 
-Non male, no?
 
Chiede conferma a Paolo che annuisce e dalla sua espressione pare esserne soddisfatto.
 
-Affatto. Ora lasciamo che riposino un attimo. Possiamo apparecchiare, intanto che aspettiamo.
Stefano si lava le mani e prende la tovaglia. 
 
-I piatti e i bicchieri sono tutti nel pensile lì, sopra la macchina del caffè, se voi iniziare a prenderli.
 
Spiega. Paolo annuisce, si lava le mani a sua volta e poi prende ciò che gli è stato chiesto.
La serata è ancora calda e gradevole, la cena potrà quindi essere consumata all’esterno, sotto il portico. La sera prima Stefano aveva appeso un paio di catene di luci a forma di lampadina, lungo tutto il perimetro del portico, in modo da illuminare adeguatamente il tavolo e le sedie. Il giardino non è molto grande ma è piuttosto spazioso e ha una forma rettangolare, il che lo rende sfruttabile in ogni angolo. La zona al di sotto del portico è stata piastrellata recentemente con alcune piastrelle ad incastro in plastica, per creare un effetto finto legno e richiamare la struttura del portico. Il tavolo, rettangolare, molto lungo, può ospitare fino a dodici persone, tante sono le sedie posizionate tra i due lati e i capitavola. Mentre la zona al di fuori del portico è stata coperta da un prato di erba sintetica, medio-corta e realistica. 
 
-Non mi sembra che faccia freddo, che dici?
 
Chiede a Paolo. Questi è d’accordo con lui.
 
-No, si sta bene. 
 
Stefano stende la tovaglia lungo tutto il tavolo e poco dopo Paolo inizia a posizionare le stoviglie. La tavola è semplice ma molto elegante: su una tovaglia grigia di tessuto spesso, quasi grezzo, sono collocati dodici piatti da pizza in ceramica bianca con bordo leggermente irregolare, dei bicchieri per l’acqua in vetro trasparente e dei calici per la birra, più altri, in vetro grigio fumé. Infine posate in argento, coltello e forchetta, adagiate su dei tovaglioli bianchi, di carta. Questi probabilmente sono l’unica nota stonata in tutta la tavola. 
 
-La partita la vedremo su quella parete bianca.
 
Spiega Stefano, indicando un muro bianco, che segna il confine tra la sua proprietà e quella del vicino. Si tratta della parete di un’autorimessa, ottima per proiettare uno schermo.
 
-Il proiettore è proprio qui. 
 
Si china a terra dove, prima che Paolo arrivasse, aveva posizionato un tavolino come base di appoggio. Il proiettore è già collegato a un pc portatile ed è pronto a trasmettere. Lo accende e subito l’immagine viene proiettata sul muro. La luce del sole è ancora forte, motivo per cui l’immagine risulta sbiadita. Tuttavia, all’orario della partita, sarà perfetta. 
 
-Bello!
 
Esclama Paolo, che ne frattempo ha recuperato il proprio bicchiere di vino e lo sorseggia, osservando il giardino. Stefano lo raggiunge ma prima entra in cucina per versare di nuovo del vino nel bicchiere e per mangiare un rustico, nella speranza di mitigare gli effetti dell’alcool. 
Paolo è sull’uscio della porta che dà sul giardino, con la schiena appoggiata allo stipite destro. Stefano si mette nella medesima posizione, sul lato opposto. 
 
-Anche casa mia aveva un giardino, quasi come questo. Avevo un gazebo in metallo con le tende azzurre, delle aiuole con le lavande e gelsomini, una piscina ovale…
 
Spiega, con un tono sorprendentemente malinconico, che Stefano non gli aveva ancora sentito usare, prima d’ora. Anche la sua espressione è diversa. Riesce a vedere solo il suo profilo ma nota che il suo sguardo è fisso e i suoi occhi sembrano meno luminosi. 
 
-Negli ultimi anni avevo creato e programmato un impianto d’irrigazione con tre diverse modalità e delle luci per il gazebo e la piscina, che cambiavano intensità e colore. Tutto attivabile con comandi vocali… 
 
Prosegue, con lo stesso tono. 
 
-Intendi la casa dove abitavi con la tua ex moglie?
 
Chiede, nominandola per la prima volta. Paolo annuisce col capo e Stefano nota che gli angoli delle sue labbra si abbassano lentamente, in un’espressione di tristezza, di dolore.  
 
-Perché non l’hai tenuta tu quella casa? Se ne sei così legato…
 
Chiede Stefano, accorgendosi solo poco dopo di aver fatto una domanda scomoda e scortese. In attesa di una risposta da parte di Paolo, beve un altro sorso di vino. 
 
-I divorzi sono complicati. Il mio poi… 
 
Sospira, prima di proseguire.
 
-Ti auguro di non divorziare mai. 
 
Conclude, girandosi verso di lui e mostrando un sorriso forzato che Stefano nota immediatamente, solo osservando lo sguardo spento e rivolto verso il basso, dei suoi occhi. 
 
-Direi che possiamo iniziare a tirare la pasta.
 
Suggerisce poi, probabilmente con l’intento di chiudere un argomento per lui doloroso. Rientra in casa e posa il bicchiere non del tutto vuoto sull’isola, per poi prendere immediatamente l’impasto. Stefano si ferma ancora qualche istante sulla porta a osservarlo, prima di raggiungerlo. Posa anche il proprio bicchiere, completamente vuoto, vicino a quello di Paolo e si accorge, in quel momento, che il vino ha iniziato a fare effetto. Avverte un leggero capogiro, si appoggia per un istante al bancone dell’isola, respirando profondamente. Non vuole mostrare il suo stato di alterazione a Paolo. 
 
-Allora… ho diviso l’impasto in sei piccole palline. Se mi vuoi dare una mano a tirarle, così facciamo prima. 
 
Spiega Paolo. Stefano si posiziona accanto a lui, spalla a spalla e prende una delle palline d’impasto. Viene sorpreso da Paolo che lo afferra per il polso, trascinandolo verso il contenitore della farina. Non si aspettava quel suo gesto e per un attimo sente di aver perso l’equilibrio, si aggrappa con l’altra mano al bordo del bancone, per non cadere.
 
-Sporca le mani con un po’ di farina, per non far attaccare l’impasto. 
 
Spiega. Stefano annuisce, seguendo il consiglio. Dopodiché inizia a impastare, cercando di ripetere gli stessi movimenti di Paolo. È così vicino a lui, di nuovo, a separarlo ci sono solo pochi centimetri. Se si inclinasse solo un poco potrebbe appoggiarsi al suo braccio. I suoi sensi alterati e accentuati dalla quantità di alcol che gli scorre in corpo, gli permettono di accorgersi solo ora del profumo forte di Paolo, lo stesso del giorno precedente. Socchiude gli occhi e si ritrova, quasi involontariamente appoggiato a lui.
 
-Oh, scusa.
 
Esclama subito. Paolo lo guarda preoccupato.
 
-Tutto bene?
 
Chiede. Stefano sorride.
 
-Sì, benissimo.
 
Risponde, sperando di non risultare troppo forzato. Lui lo guarda, poco convinto dalla sua risposta, dopodiché riprende a impastare. 
Dopo circa quindici minuti, tutte le basi per le pizze sono pronte. 
 
-Abbiamo finito?
 
Chiede Stefano, sorprendendosi di essere riuscito a terminare qualcosa, in quello stato. 
 
-Sì. Possiamo prepararci per la serata. Se mi dici dove si trova il bagno…
 
Domanda Paolo. 
 
-Su dalle scale, la porta a destra.
 
Paolo prende la propria camicia e va in bagno, lasciando Stefano da solo. Quest’ultimo approfitta della situazione per cercare di riprendersi. Solo poche ore prima aveva scherzato sulle condizioni di Alberto e ora rischia di finire come lui, se non peggio. Chiude gli occhi, inspira ed espira lentamente. Quando Paolo ritornerà vuole sembrare normale, rilassato. La serata è ancora lunga e non ha intenzione di trascorrerla in preda agli effetti dell’alcool. Decide di bere un bicchier d’acqua, prendendola direttamente dal rubinetto, per averla più fresca. La sua gola, che per tutta la serata aveva bevuto solo vino, fatica ad accettare l’acqua e ha lo stesso effetto di una colata di cemento. Si fa forza e deglutisce. 
Sente il rumore dei passi sulle scale, deducendo che Paolo stia scendendo. Posa il bicchiere nel lavandino e si sfrega rapidamente il viso con le mani, nel tentativo di darsi un po’ di contegno. 
 
-Già fatto?
Chiede, vedendo comparire Paolo in cucina. Osservandolo avverte un vuoto allo stomaco. Indossa la camicia viola a maniche lunghe in lino che ha portato e che ha visto posata sulla sedia per tutta la serata, non aveva idea però di quanto potesse stare bene quel capo indosso a lui. Si tratta di un punto di viola tra il lilla e il pervinca, perfetto per il suo incarnato e i suoi capelli. Le maniche sono morbidamente arrotolate fino a gomiti, la camicia è portata ampia lungo i fianchi ma piuttosto attillata all’altezza dei pettorali, dei quali si riesce a intravedere una buona parte, essendo i primi tre bottoni non allacciati. 
 
-Vado a cambiarmi anche io, prima che arrivino gli altri.
 
Esclama, facendo il possibile per allontanarsi da lui, quasi corre sulle scale. Arrivato in bagno viene pervaso dal profumo di Paolo, rimasto nell’ambiente e sulla salvietta accanto lavabo. Spalanca la finestra per prendere aria e apre il rubinetto dell’acqua, iniziando a sfregarsi energicamente il viso, dandosi anche qualche schiaffetto sulle guance, per riprendersi. 
Si regge con forza al lavabo, ispirando ed espirando. Osservandosi allo specchio nota che, per fortuna, la sua espressione è meglio di quanto temesse. Si sistema i capelli e infine indossa la camicia blu che aveva preparato qualche ora prima. 
Quando è a metà scala suona il citofono, i ragazzi della squadra sono arrivati. Scende rapidamente e apre la porta, Paolo nel frattempo si presenta sull’uscio della cucina.
 
-Ciao! Permesso…
 
Esclama Diego, il primo a entrare, seguito da Giacomo accompagnato da una gigantesca cassa di birra. Uno alla volta entrano tutti i ragazzi, compreso Edoardo, il mister. A cenare saranno in dodici, quasi tutti i membri del gruppo, esclusi alcuni ragazzi con il ruolo di riserve e il secondo portiere. 
 
-Che casa, Ste! Complimenti! 
 
Esclama Antonio. 
 
-Grazie, venite pure da questa parte. In giardino è tutto pronto. 
 
Li invita Stefano, dando loro indicazioni. Tutti quanti prendono posto in giardino, tranne Stefano che sta aprendo le birre e Paolo, intento a infornare le prime pizze. 
 
-Hai bisogno di una mano per impostarlo?
 
Chiede Stefano, rendendosi poi conto di aver fatto una domanda sciocca. Paolo conosce molto bene la tecnologia, inoltre utilizzando spesso forni ed elettrodomestici da cucina, di certo per lui non sarà un problema usare il suo. 
 
-No, è piuttosto semplice. 
 
Risponde Paolo, con tranquillità. Nel frattempo i ragazzi della squadra hanno già iniziato a chiacchierare e animare l’ambiente, alcuni di loro discutono commentando il pre partita. 
Dopo aver impostato il tempo, Paolo prende il vassoio dei rustici preparati per la serata e li porta fuori, anche Stefano esce con le birre appena stappate. 
 
-Oh, adesso sì che inizia la serata!
 
Esclama Simone, vedendo arrivare le birre e il cibo. Stefano nota che gli unici due posti rimasti sono vicini, dovrà quindi trascorrere l’intera serata accanto a Paolo. 
Paolo posiziona il vassoio in centro al tavolo, mentre Stefano distribuisce le birre, entrambi si siedono quasi contemporaneamente. 
 
-Paolo ma… li hai preparati tu? Sono buonissimi.
 
Esclama Diego con entusiasmo, parlando con la bocca ancora piena.
 
-Sì, sono fantastici! 
 
Conferma Edoardo, il mister. A ruota seguono i complimenti di tutti gli altri. Ancora una volta Paolo viene investito da una pioggia di apprezzamenti. Stefano si chiede se a un certo punto non sia stancante essere sempre costantemente elogiati e lodati. Senza pensarci troppo si versa un bicchiere di birra e ne beve un sorso, avrebbe preferito non introdurre altro alcool nel proprio corpo, essendosi appena ripreso. Tuttavia crede sia necessario, per poter affrontare tranquillamente la serata. Lo sguardo gli cade, irrimediabilmente, su Paolo, alla sua destra. Seduto in quel modo, la camicia rimane ancor più staccata dal corpo e riesce ad intravedere chiaramente il suo piercing al capezzolo, diverso da quello del giorno precedente. Non è un’asticella ma un anello con una pallina. Scendendo più in basso intravede i suoi addominali, a riposo ma comunque compatti e quel filo di peluria biondo scuro che dall’ombelico scende verso regioni che Stefano desidererebbe esplorare molto presto. Il solo pensiero gli fa battere il cuore all’impazzata, avverte di nuovo una sensazione di calore. Deve alzarsi e allontanarsi da lui. Si alza di scatto, urtando anche la sedia Paolo che lo guarda sorpreso.
 
-Vado… a controllare il forno. 
 
Spiega. Allontanandosi velocemente. Arrivato in casa respira a pieni polmoni. Nonostante il clima tiepido della sera, aveva iniziato a sudare. 
 
-Tutto ok?
 
Paolo appare improvvisamente alle sue spalle, facendolo sobbalzare. 
 
-Sì, tutto ok. 
 
Risponde, cercando di non guardarlo. Guarda timer del forno, al quale mancano solo due minuti. 
 
-Forse faresti bene a bere un po’ d’acqua, ora. Te l’avevo detto che il vino era un po’ carico. 
 
Suggerisce, posandogli una mano sulla spalla. I suoi muscoli si irrigidiscono. Desidera e al tempo stesso teme un contatto da parte sua. Per fortuna viene salvato dal timer del forno. 
 
-Pronte!
 
Esclama Paolo, recuperando un guanto da cucina appeso sulla parete di fronte e aprendo il forno. Le prime quattro pizze sono pronte. Paolo ne prende due e Stefano prende le restanti. Arrivati al tavolo le pizze vengono accolte con clamore, l’aspetto è davvero invitante, così come il profumo. Stefano stenta quasi a credere che siano state preparate nel suo forno, a casa sua. 
Paolo inizia a tagliare degli spicchi e posiziona i piatti in punti diversi della tavola, in modo che tutti possano servirsi. 
 
-Prima che diciate qualsiasi cosa, voglio precisare che le pizze non le ho preparate da solo. Stefano mi ha aiutato. 
 
Spiega Paolo, sicuramente pronto a ricevere la solita dose di complimenti.
 
-Ah sì? Hai versato la farina nella ciotola?
 
Chiede Diego.
 
-No, scherzi? Per me ha acceso la bilancia.
 
Ribatte Giacomo. 
 
-No, raga, sicuramente ha aperto lo sportello del forno.
 
Incalza Simone. Tutti quanti ridono, è consuetudine del gruppo prendersi in giro, specialmente tra i più veterani della squadra. Stefano non se la prende.
 
-I soliti stronzi.
 
Commenta, sorridendo. Ad ogni modo le pizze vengono gradite da tutto il gruppo e la serata prosegue piacevolmente. Paolo rientra un paio di volte per infornare e ritirare le pizze, anche Stefano lo aiuta, facendo del suo meglio per evitare i suoi sguardi. Cercando di discutere con il gruppo e, successivamente, di seguire la partita. 
Tutto stava procedendo per il meglio e Stefano era convinto che la parte difficile della serata fosse passata ma si sbagliava. Paolo si avvicina a lui, gli posa una mano sul ginocchio e si avvicina al suo orecchio, quasi sussurrando.
 
-Mi passeresti la bottiglia di Coca, per favore?
 
Chiede. Una richiesta piuttosto semplice e banale eppure, quella mano posata sul ginocchio, il suo respiro sul suo collo e il suo profumo, che su Stefano ha quasi l’effetto di un elisir, bastano per farlo tornare su di giri. Stefano afferra la bottiglia e gliela porge, facendo il possibile per non guardarlo. Paolo toglie poi la mano dal suo ginocchio e prende la bottiglia.
 
-Grazie. Ne vuoi un po’?
 
Chiede, avvicinandosi ancora lui, senza toccarlo questa volta. Stefano scuote il capo e continua a non guardarlo. La situazione si complica nuovamente, a causa di un’azione particolarmente emozionante della partita. Dopo un brutto fallo, viene concesso al Milan un calcio di rigore. Tutti quanti si alzano in piedi, col fiato sospeso, nell’attesa che venga battuto. Paolo gli posa una mano sulla schiena per poi salire alla spalla che stringe, rimanendo in tensione per il rigore. Stefano non riesce a concentrarsi sulla partita ma soltanto sulla mano di Paolo sulla sua spalla. L’arbitro fischia, il rigore viene battuto ed entra in porta, segnando il primo gol della partita. Tutti quanti esultano, saltano, fischiano. Paolo stringe Stefano, esultando. 
Stefano non può resistere, riesce a liberarsi dalla sua presa, cercando di non essere troppo brusco e prima che tutti tornino a sedere si allontana. Gli serve spazio, vuole restare lontano da lui. Entra in casa rapidamente e cerca il cellulare, ha bisogno di un conforto da parte di un amico, da parte di Alberto. Si guarda rapidamente attorno e lo vede sul pianale della cucina, vicino alla macchina del caffè, lo prende e lo mette in tasca.
 
-Sei sicuro di stare bene?
 
Di nuovo Paolo che, in pochi minuti, lo raggiunge e gli posa una mano sulla schiena, una carezza. Questa volta lo percepisce chiaramente. 
 
-Sì, perché non dovrei?
 
Chiede, continuando a tenere lo sguardo basso, per non incrociare quello di Paolo. 
 
-Non lo so, mi sembri strano. 
 
Spiega Paolo, con voce preoccupata. Questo suo atteggiamento, unito alla mano sulla schiena, peggiora la sua situazione. Vorrebbe solo prenderlo per i polsi, spingerlo verso la parete e baciarlo, fregandosene completamente di tutti i presenti a pochi passi da lui.
Sa bene che non è possibile. 
 
-Ho solo bisogno di darmi una rinfrescata. 
 
Spiega, questa volta guardandolo negli occhi. Vorrebbe non averlo fatto, solo guardandolo si sente soffocare. Non crede di essere mai stato così eccitato nella sua vita, non crede di aver mai provato per nessuno un’attrazione fisica così forte come quella che prova per lui. 
 
-Vado un attimo in bagno.
 
Afferma, allontanandosi rapidamente. Sale in bagno e chiude la porta a chiave. La finestra è ancora aperta da prima di cena, si sporge per un momento, prendendo aria. Ripensa alle parole di Alberto.
 
“Ti fa ribollire il sangue quel tipo.” Sì, è esattamente così che si sente. 
 
Abbassa la tavoletta del WC e si siede, deve parlare con Alberto. Gli scrive un messaggio.
 
“Albe, dimmi che ci sei. Sto andando fuori di testa.”
 
Alberto gli risponde quasi subito.
 
“Cosa hai combinato?”
 
“Io niente. È lui, mi manda completamente in palla…”
 
Pochi istanti dopo Alberto gli telefona. Stefano risponde.
 
-Non dovevi chiamarmi…
 
-Che cazzo stai facendo?
 
Il tono di voce di Alberto sembra piuttosto alterato. Stefano sente della musica sottofondo e un vociare di persone.
 
-Sei in giro?
 
Chiede. Alberto sbuffa, è sicuramente infastidito per non aver ricevuto una risposta alla sua domanda.
 
-Sono al bar con i ragazzi. Mi vuoi dire cosa stracazzo stai facendo?
 
Ripete, questa volta urlando.
 
-Ma nulla di che… è che sono un po’ brillo, un po’ tanto. E lui… 
 
Non riesce a concludere la frase.
 
-Lui cosa?
 
-Sto esplodendo. Continua a toccarmi, a sfiorarmi. Ogni volta è come se andassi in fiamme… 
 
-Sei solo con lui?
 
-No, ci sono gli altri. Sono tutti giù a vedere la partita. Io sono salito in bagno perché… non sopportavo più di averlo vicino.
 
Proprio in quell’istante sente un boato provenire dal piano di sotto. Sicuramente il Milan ha segnato un secondo gol. Si dà dell’idiota per essere scappato di sopra ed esserselo perso.
 
-Aspetta che se ne vadano tutti e quando rimani solo con lui… lasciati andare.
 
Suggerisce Alberto con naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Stefano non la pensa alla stessa maniera. 
 
-Non posso. Non sono in me, lo sento. Io non sono così… non sono mai stato così. 
 
Spiega.
 
-Forse perché è la prima volta che ti piace davvero qualcuno… 
 
La sua risposta è più tranquilla, il suo tono è più pacato. 
 
-Non lo so… Mi piace, questo è certo. Però… non lo voglio così, non in questo stato.
 
Confessa, avendo iniziato a percepire di nuovo gli effetti dell’alcool. Non deve essere stata un’idea geniale quella di continuare a bere e finire un’intera bottiglia di birra, ignorando anche il suggerimento di Paolo. 
 
-Cerca di resistere. La partita è quasi finita. Manda a casa tutti, vai a letto e… domani ne parliamo con calma, va bene?
 
Suggerisce Alberto, con voce calma e rassicurante. È proprio questo cercava in lui, quel lato protettivo e gentile che spesso gli offre, quando si trova in difficoltà. 
 
-Sì, farò così.
 
Risponde.
 
-Se hai bisogno chiama, d’accordo?
 
Aggiunge.
 
-Sì, grazie. A domani.
 
Chiude la telefonata. Si rinfresca rapidamente al lavandino e scende, raggiungendo gli altri. Nessuno sembra essersi accorto della sua assenza. Si rimette a sedere al suo posto. Paolo si gira immediatamente verso di lui.
 
-Stai meglio?
 
Chiede. Stefano annuisce. In effetti dopo la telefonata con Alberto si sente decisamente meglio, vertigini a parte. 
 
-Ti sei perso un super gol di Ibra.
 
Esclama Paolo. Senza avvicinarsi a lui e senza toccarlo questa volta. Stefano pensa possa aver intuito qualcosa. 
La partita termina 2 a 0 per il Milan. Quasi tutti i ragazzi della squadra, decidono di proseguire la serata al Bar dello Sport e di andare poi a ballare. Stefano, come consigliato da Alberto, preferisce rimanere a casa. 
 
-Andate pure, io sono un po’ stanco. Sistemo qui e mi metto a letto.
 
Spiega.
 
-Sicuro? Hai bisogno di una mano? Mi fermo volentieri ad aiutarti.
 
Si offre Paolo. Stefano per un istante vorrebbe dirgli di restare e fantastica su cosa potrebbe o meglio su cosa vorrebbe accadesse. 
 
-No, vai pure a divertirti con i ragazzi. 
 
Risponde. Paolo gli rivolge uno sguardo preoccupato. 
 
-Dico davvero. Va’ e divertiti, ne hai bisogno. Io sto bene qui per oggi, ci vediamo lunedì. 
 
Ripete. Paolo si lascia convincere e segue gli altri che in pochi minuti escono, lasciando Stefano solo.

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Buongiorno! Niente annunci o precisazioni oggi. Solo un invito a farvi sentire se leggete ;) e giusto per stuzzicare la vostra curiosità, vi dicono che Paolo è ispirato allo chef polacco Volodymyr Testardi. A volte mi servo delle sue foto per descriverlo, per me Paolo ha esattamente quell'aspetto ma è un po' più biondo. A sabato!! 

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Capitolo 5
*** La melanzana viola ***


 
 La mattina seguente Stefano si alza piuttosto tardi, con la bocca secca e un tremendo mal di testa, mostrando i tipici sintomi della sbornia. 
La sera precedente, dopo aver raccolto i piatti e aver messo tutto in lavastoviglie, si è buttato sul letto con ancora i vestiti addosso e si è addormentato. Ora sente la necessità di fare una doccia e magari prendere un analgesico per il mal di testa. Prima di alzarsi allunga il braccio sul comodino, dove ha lasciato il cellulare la sera prima. Accende lo schermo e nota che ci sono diverse notifiche. Una è relativa al gruppo del calcetto che ha più di 10 nuovi messaggi, le altre sono di Facebook, e c’è anche un messaggio da parte di “Paolo 🍆 Si ferma un attimo a pensare a quando abbia registrato quel contatto, poi sorride, certo che sia opera di Alberto che gli avrà sicuramente preso il cellulare qualche giorno prima, modificandolo. 
 
“Come stai?”
 
Questo è il primo e, per ora, unico messaggio inviatogli da Paolo. Risale a qualche ora prima, alle 9. In effetti non aveva ancora inviato messaggi, privatamente, a Paolo. Anche per le due serate precedenti si erano organizzati a voce o sulla chat di gruppo. L’aver registrato il numero deve essere stata un’iniziativa di Alberto, perché lui ancora non ci aveva pensato. 
 
“Abbastanza bene, grazie. Solo un po’ di mal di testa.”
 
Risponde. Non si aspetta una sua risposta immediata, infatti si alza e va a farsi una doccia, nel tentativo di riprendersi più rapidamente. Rimane sotto la doccia per almeno dieci minuti, riscaldando la schiena con il getto fisso del soffione e sciacquando bene il viso. Decide anche di lavarsi i capelli, rimasti incollati e duri come la pietra, per tutto il gel e la cera fissante messi la sera prima. Quando esce dalla doccia si avvolge nell’accappatoio, che lega in vita con la cintura. Non ha voglia di vestirsi subito, farà prima colazione. Prima di scendere recupera il cellulare e vede subito la notifica di un messaggio di Paolo, inviato effettivamente pochi minuti dopo il suo.
 
“Scusami davvero per ieri sera. Sarei dovuto restare ad aiutarti a sistemare, mi dispiace. Normalmente non sono così maleducato.” 
 
Stefano non sa cosa rispondere. Non lo reputa maleducato e, anzi, è felice che non sia rimasto. Non è sicuro di come sarebbe finita la serata e, riflettendoci, se avrà la possibilità di stare con Paolo vuole essere nel pieno della sua forma. 
 
“Ma va! Avevi bisogno di divertirti, hai fatto bene. È stata una bella serata?”
 
Dopo aver inviato il messaggio posa il cellulare sull’isola della cucina. Accende la macchinetta del caffè e recupera una tazza dallo scolapiatti, sciacquandola prima sotto il rubinetto. Nel frattempo il cellulare vibra. Stefano si gira e legge subito la risposta di Paolo.
 
“Sì, non male. Hai visto le foto sul gruppo?”
 
Stefano non ha ancora aperto la chat del gruppo. Prima di farlo vuole terminare di prepararsi la colazione. Inserisce la capsula di caffè nella macchinetta e poi preme il bottone. La lascia andare per un po’, sente il bisogno di un caffè bello lungo e carico. Dopodiché prende un cartone di latte dal frigorifero e ne versa un pochino nel caffè caldo. Posa la tazza sulla penisola e pensa a cosa mangiare. Non ha voglia di mangiare ma il suo stomaco inizia a gorgogliare. Apre gli stipetti della cucina alla ricerca di un pacco di biscotti e trova soltanto un pacchetto quasi finito di fette biscottate. Non avendo alternative, mangerà quelle. Si siede poi al bancone e beve un sorso di caffè. Nel frattempo apre la chat del gruppo del calcetto e nota che tra i vari messaggi ci sono alcune foto. Ne sceglie una in particolare, di Paolo seduto al bancone con un boccale di birra. Anche solo vedendolo in foto sente il battito del suo cuore accelerare rapidamente. Non era solo l’effetto dell’alcool, è veramente così bello e attraente. Ingrandisce l’immagine e zooma sul suo viso, anche in un locale buio, anche di sera, il suo aspetto non cambia. In quel preciso istante si sente come le ragazze che ai tempi del liceo accorrevano alle partite di calcetto solo per guardarlo. Ricorda quanto tutte fossero colpite dal suo sguardo, da quegli occhi limpidi e luminosi e dai suoi capelli, lisci e biondi, sempre pettinati all’indietro. È rimasto praticamente lo stesso, nonostante sia passato così tanto tempo. Certo, probabilmente ora l’attaccatura dei suoi capelli è un pochino più alta e il suo viso è un po’ più squadrato e meno morbido rispetto a quando era un ragazzo. Eppure, rimane di una bellezza sorprendente. Si chiede se ai tempi non sia stato anche lui stesso attratto da Paolo. Per un periodo aveva creduto di detestarlo, perché sua sorella Elena non faceva che parlare di lui, a volte in maniera ossessiva. Continuava a ripetere quanto baciasse bene, come gli stessero bene i jeans, come fosse simpatico, intelligente e gentile con tutti. Per non parlare delle volte che passava a prenderla sotto casa e li vedeva fuori in giardino abbracciarsi e tenersi per mano. Un giorno preso dall’esasperazione le aveva urlato di smetterla di parlare di lui, dandole della paranoica. Ripensandoci, forse stava solo negando l’attrazione che provava per lui e che non poteva esprimere così apertamente come sua sorella. 
Chiude la foto e torna alla chat di Paolo, che è ancora online.
 
“Belle! Siete stati a ballare, quindi?”
 
Chiede, sperando che sia lui a dargli qualche dettaglio. Vorrebbe chiedergli esplicitamente se ha fatto qualche incontro interessante la sera prima ma pensa che non sia il caso.
 
“Sì. Abbiamo anche brindato a te e alla serata. Ci sei mancato!”
 
Risponde immediatamente. Stefano vorrebbe chiedergli se sia mancato anche a lui, nello specifico. 
 
“Ci saranno altre occasioni.”
 
Risponde. Questa volta il messaggio di Paolo non arriva subito. Stefano riesce a finire la propria colazione e lavare la tazza, prima di leggere la sua risposta. 
 
👍
Un semplice pollice all’insù. Stefano si aspettava qualcosa di meglio. Non gli importa, preferisce pensare ad altro per il momento. Sa che avrà occasione di parlare di Paolo con Alberto, quella sera. 
 
 
La giornata trascorre abbastanza lentamente. Dopo pranzo Stefano si mette sul divano per guardare un film ma senza rendersene conto si addormenta, perdendone praticamente più di metà. Si risveglia, al buio e con il film ormai ai titoli di coda, solo grazie alla vibrazione del cellulare. Si tratta di Alberto che gli ricorda della serata a casa sua. Stefano decide quindi di alzarsi e darsi una rinfrescata. 
Si veste, indossando semplicemente un paio di jeans e una felpa leggera. Non ha voglia di cucinare, come sempre. Per questo motivo si scalda un contenitore di spaghetti al ramen già pronti, pur non amandoli particolarmente. Detesta quel sapore granuloso e artificiale, così come la consistenza viscida e gommosa degli spaghetti. Per un attimo immagina quanto sarebbe bello avere ancora Paolo lì con lui, a cucinargli del cibo vero. Vorrebbe scrivergli un messaggio, inviargli la foto di quella brodaglia disgustosa che sta mangiando per vedere una sua reazione. Prende il telefono, scatta la foto ma poi la cancella. Non vuole che pensi sia ossessionato da lui, non vuole che capisca di essere nei suoi pensieri praticamente ogni istante, da qualche giorno a questa parte. Posa il cellulare e finisce di consumare il suo pasto, dopodiché si prepara per uscire.
 
Arrivato a casa di Alberto, vede che tutti gli altri sono già arrivati. Sono in cinque, compresi loro due. Tutti conosciuti dopo aver iniziato a lavorare alla Marabelli.
 
-Non ci speravamo più. 
 
Esclama Alberto, aprendogli la porta. 
 
-Pensavamo ci avessi bidonati per stare con i tuoi amiconi del calcetto.
 
Afferma Andrea, il ragazzo più giovane del gruppo. È l’unico a non avere ancora compiuto trent’anni, lavora come commesso in un negozio in centro ed è un ragazzo piuttosto appariscente e di bell’aspetto. 
 
-Con uno in particolare, magari. 
 
Specifica Luca, un ex barman di un locale che Stefano e Alberto erano soliti frequentare durante i primi anni della loro conoscenza. In realtà era stato uno delle conquiste di Alberto ma col tempo la cosa si è evoluta in una bella amicizia. 
 
-Speravamo ce lo portassi qui stasera. Siamo tutti curiosi di vederlo… 
 
Commenta Giulio, ex collega di Alberto e Stefano alla Marabelli. In realtà Stefano aveva avuto occasione di frequentarlo poco a lavoro, dal momento che si era licenziato quasi subito per andare a lavorare in banca. Era però da tempo amico di Alberto e sospetta che anche con lui ci sia stato qualcosa. 
 
-Ho delle foto. 
 
Annuncia Stefano, attirando la curiosità di tutti. 
 
-Ma ve le faccio vedere solo se mi promettete che non parleremo di lui tutta la sera. 
 
Aggiunge. Giulio, Andrea e Luca accettano mentre Alberto semplicemente gli strappa il telefono di mano. 
 
-Fa vedere a me. 
Esclama. Stefano si ricorda del nome sotto il quale è stato registrato Paolo.
 
-Albe! Un attimo! 
 
Lo rimprovera. 
 
-E mi raccomando non fare più niente con il mio cellulare. Quando hai messo il numero di Paolo con la melanzana viola in rubrica? 
 
Chiede. Alberto scoppia a ridere ma non risponde. 
 
-L’ha fatto davvero?
 
Chiede Luca, incredulo. Stefano annuisce. 
 
-È questo qui?
 
Domanda Alberto, quasi con sdegno, mostrando a Stefano una foto di Paolo zoomata. 
 
-Ma è figo sul serio!
 
Commenta Andrea entusiasta. 
 
-Eh… tanta roba. 
 
Concorda Luca. 
 
-Ripeto: ce lo devi portare qui e se non lo vuoi più me lo prendo io volentieri.
 
Aggiunge Giulio. Stefano era certo che Paolo sarebbe stato apprezzato dai suoi amici anche se Alberto non ha detto nulla. Si limita a restituirgli il cellulare, per poi mettersi a sedere al proprio posto al tavolo. Anche gli altri lo seguono. 
 
-Tu non dici niente?
 
Chiede, sedendosi accanto a lui. Alberto nel frattempo ha iniziato a mescolare le carte, mentre Andrea accende la tv per sintonizzarla sul reality. 
 
-Non è il mio genere. Ma se piace a te… 
 
Risponde, tenendo lo sguardo fisso sulle carte. La serata prosegue tranquilla, tra partite di carte e commenti a quell’improbabile e sciocco reality. Dopo la quinta mano, terminata con la vittoria di Giulio, come le altre tre precedenti, decidono di fermarsi e di sedersi un po’ sul divano per seguire il programma
 
-Io esco a fumare. Mi fai compagnia, Ste?
 
Chiede Alberto, alzandosi dal divano. Stefano accetta, non è poi così appassionato di reality e se fosse rimasto altro tempo seduto su quel divano si sarebbe sicuramente addormentato. Pur non essendo un fumatore, ne approfitta per sgranchirsi le gambe. 
Alberto apre la portafinestra del balcone, accende una piccola lanterna posata sul motore del condizionatore e si appoggia alla ringhiera, per accedere la sigaretta. Stefano lo raggiunge, socchiudendo le ante della porta dietro di sé. Il balcone dell’appartamento di Alberto è piuttosto corto e stretto e si trovano praticamente gomito a gomito l’uno con l’altro. 
 
-Vuoi?
 
Chiede, porgendogli una sigaretta. Stefano non fuma mai, anche se occasionalmente condivide una sigaretta con Alberto a casa sua o fuori da qualche locale. Prende la sigaretta e fa un tiro, dopodiché gliela rende, disgustato.
 
-Non è solo tabacco, vero?
 
Chiede. Alberto non risponde, si limita a fare spallucce. 
 
-Mi hai fatto preoccupare ieri sera. 
 
Afferma, rompendo il silenzio. 
 
-Perché? 
 
Chiede Stefano. Alberto prende una boccata e poi espira, buttando fuori il fumo. Non sta usando il posacenere e tutta la cenere cade semplicemente dal balcone.
 
-Non sono abituato a questa versione di te, allo Stefano fuori controllo. Sei sempre così composto, così moderato… 
 
Spiega. Stefano ci mette un attimo prima di ricordarsi della conversazione avuta la sera prima, chiuso in bagno, al telefono con lui. Era davvero agitato e fuori controllo ma non credeva che Alberto se ne fosse reso conto, solo sentendolo al telefono. Dopotutto nessuno dei ragazzi della squadra ci aveva fatto troppo caso. 
 
-Mi chiedo cos’abbia di così speciale questo Paolo per mandarti così su di giri… 
 
Aggiunge, enfatizzando particolarmente il termine “questo Paolo”. 
 
-Beh, le hai viste le foto, no?
 
Risponde Stefano, con ovvietà. Alberto non ribatte, continua a fumare la sua sigaretta, fino ad arrivare al filtro, facendo calare il silenzio. Stefano lo guarda ma il balcone è troppo buio e la luce della sola lanterna non è sufficiente per poter vedere chiaramente le espressioni sul suo viso. Sicuramente non è sereno come al solito, al contrario sembra pensieroso. Questa supposizione viene confermata dalla sua affermazione
 
-Quindi ti piacciono i biondoni, con gli occhi azzurri e i piercing. Sai, ti facevo un po’ meno banale… 
 
Lancia il mozzicone della sigaretta lontano, nel cortile del palazzo. Stefano non fa in tempo a rispondere. 
 
-Rientriamo, ci stiamo perdendo le scene più trash. 
 
Continua, aprendo la porta e facendo cenno a Stefano di passare. Alberto si siede a tavolo, a capotavola, mentre Stefano prende nuovamente posto sul divano, esattamente dov’era prima. Né l’uno né l’altro sembrano realmente interessati al reality, Alberto prende il cellulare e si mette a scrivere, probabilmente sta inviando messaggi a qualche ragazzo su Grindr.
Anche Stefano ha ricevuto un messaggio. Il suo cellulare, tenuto fino a quel momento nella tasca anteriore dei jeans, vibra. Stefano si alza un po’ dal divano per riuscire ad estrarlo e leggere.
 
-È lui?
 
Chiede Andrea, che sicuramente ha sentito la vibrazione del cellulare, essendogli seduto accanto. Stefano guarda lo schermo ed è davvero di Paolo il messaggio. 
 
-Sì, è lui!
 
Esclama Giulio, sporgendosi verso Stefano per vedere lo schermo del cellulare. Tutti, tranne Alberto, lo circondano per saperne di più. Stefano preferirebbe leggere da solo il messaggio e appoggia lo schermo del cellulare contro il petto, per nasconderlo agli altri.
 
-Ma, scusate! Un po’ di privacy. Vi dico io se c’è qualcosa di interessante. 
 
Li rimprovera. I tre ragazzi si allontano, anche se continuano a fissarlo. Andrea in particolare, con disinvoltura, cerca di leggere lo schermo con la coda dell’occhio.
 
Paolo: Sempre tutto ok?
Stefano: Ora sì.
Paolo: Che fai di bello?
 
Stefano vorrebbe continuare a scambiarsi messaggi tranquillamente con Paolo ma vede che i suoi amici sono curiosi e rimangono in attesa di sapere qualcosa, al punto che nessuno di loro sta più guardando il reality, che fino a pochi minuti prima sembravano ritenere molto interessante. 
 
-Niente di che. Mi ha solo chiesto cosa sto facendo. 
 
Spiega. 
 
-Digli se viene a giocare a scala con noi.  
 
Suggerisce Andrea. 
 
Stefano: Sono da amici, stiamo vedendo la tv e giocando a Scala 40. 
Paolo: Ti invidio… io sto lavorando. Mi piace un sacco giocare a Scala 40! Ci giocavo sempre con mio nonno. 
 
-Dai, gli piace! Fallo venire qui. 
 
Incalza Andrea, che non nasconde nemmeno più di aver letto la conversazione. Stefano guarda Alberto, che nel frattempo ha smesso di usare il cellulare e lo sta osservando. 
 
-Gli mando un invito generico. 
 
Stefano: Magari qualche volta potresti venire con noi.
Paolo: Volentieri! 
 
-Cosa dice?
 
Chiede Giulio, avvicinandosi di nuovo a Stefano. 
 
-Ha scritto che verrebbe volentieri. Ora però basta! Stanno facendo le nomination, dobbiamo vedere!
 
Risponde Stefano, questa volta mettendo via il cellulare. Il programma termina a mezzanotte e mezza. I primi ad andare via sono Luca e Andrea, mentre Giulio e Stefano aiutano Alberto a sistemare le sedie e mettere in ordine la casa. 
 
-Beh, ci vediamo mercoledì. Buonanotte!
 
Saluta Giulio, andandosene anche lui. Mercoledì si rivedranno ancora tutti quanti, per mangiare insieme del sushi d’asporto e giocare ai giochi da tavolo, come ogni settimana. Stefano ha deciso di andare via per ultimo, per poter parlare con Alberto. La sua reazione alla foto di Paolo e il mancato entusiasmo nei suoi confronti, a differenza degli altri, l’ha allarmato. 
 
-Vuoi fermarti a dormire, Ste? È l’una… 
 
Chiede Alberto, sorpreso di non vederlo andare via. 
 
-Volevo solo chiederti una cosa.
 
Spiega. Alberto nel frattempo sta chiudendo le finestre del salone e le tapparelle. 
 
-Cioè?
 
Stefano fa un respiro profondo prima di parlare. 
 
-Paolo non ti piace, non è vero? 
 
Alberto rimane immobile. È girato di spalle e ha ancora in mano la corda della tapparella, fermata a metà. 
 
-È un bel ragazzo ma non è il mio genere. Deve piacere a te.
 
Risponde, quasi con freddezza, chiudendo completamente la tapparella. 
 
-Non è di questo che stavo parlando. Ammetti che non ti convince, che anche tu pensi che ci sia qualcosa di strano in lui. 
 
Alberto si gira e gli rivolge uno sguardo confuso.
 
-Come posso saperlo? Non l’ho mai visto, so solo quello che tu mi racconti.
 
Si siede sul bracciolo del divano, poco distante da Stefano. 
 
-Dipende cosa vuoi da lui. 
 
Aggiunge. Questa volta il suo tono di voce è più serio, esattamente come la sera prima al telefono. Questa sua domanda, però, mette Stefano in seria difficoltà. 
 
-Non lo so.
 
Risponde in tutta sincerità. 
 
-Prova a trascorrere del tempo con lui, senza necessariamente fissarti su quanto sia bello e arrapante. Andrea ha ragione, portalo ad una delle nostre serate. Scala o giochi in scatola. 
 
Suggerisce. Stefano non la ritiene una buona idea, continua a sentire il bisogno di separare le sue conoscenze del calcetto dai suoi amici. Anche se non classifica Paolo esclusivamente come una conoscenza del calcetto. 
 
-Ma scherzi? Invitare Paolo con noi cinque? Non credi che le nostre serate siano un po’ troppo… 
 
-Gay?
 
Suggerisce Alberto. Stefano voleva utilizzare un termine diverso ma era esattamente quella la parola che aveva in mente. 
 
-Sì! Insomma lui… sa certi dettagli del mio passato, te l’ho detto. Ma non ha ancora detto nulla, forse pensa che non lo sia più ed è per questo che mi dà retta. 
 
Alberto scoppia a ridere. Stefano lo guarda sconcertato, non riesce a capire cosa possa aver detto di così divertente.
 
-A volte sembri più omofobo tu che tutti partiti di destra al governo. 
 
Commenta. 
 
-Comunque… pensi che sarebbe venuto da te dicendoti: “Ehi ciao! Ti ricordi di me? A proposito, sei ancora gay?”
 
Stefano scuote il capo. La situazione appena proposta da Alberto oltre ad essere grottesca è altamente improbabile.
 
-Vuoi il mio sincero e onesto parere? 
 
Chiede. Prima ancora che Stefano possa rispondere prosegue il discorso.
 
-Lui ti piace più di quanto credi, sarà magari perché ti piaceva al liceo? Questo devi saperlo tu. Ad ogni modo, hai paura di esporti troppo e di farlo allontanare da te perciò, pur di tenerlo vicino, te ne stai in questo limbo d’incertezza. Devi solo decidere cosa fare. Hai tre scelte.
 
Prosegue, contando con le dita le tre opzioni.
 
-Uno. Ti butti, se ti va bene ti fai una scopata con lui e come va va. Due. Te lo togli definitivamente dalla testa e male che vada sarà un altro dei tuoi amici del calcetto. 
 
Nessuna delle due opzioni per il momento verrebbe scelta da Stefano, vuole sentire l’ultima.
 
-Tre. Metti per un momento da parte l’attrazione fisica che provi per lui e cerca di capire perché ti piace, valutando l’ipotesi di iniziare una storia.
 
La terza opzione viene pronunciata da Alberto in modo diverso. Mentre le prime due gli sono state esposte velocemente, esattamente come i punti di un elenco, per la terza ha impiegato più tempo, soffermandosi in particolare sull’ultimo punto, quello di iniziare una storia con Paolo. Per un attimo Stefano ha l’impressione che il discorso di Alberto sia molto più intimo e sentito di quanto voglia dare a vedere. Che stia rivivendo una situazione personale?
 
-Una storia? Non so neanche se gli interessano gli uomini! E poi, non credo di essere arrivato a questo punto…
 
Risponde. Non ha mai avuto una relazione duratura, la sua frequentazione più lunga è durata a malapena un paio di mesi. 
 
-Hai trentadue anni, Ste. Ti dico solo questo… 
 
Aggiunge Alberto. In realtà nemmeno lui ha una relazione ma forse potrebbe averne avute in passato. Non ne ha mai parlato con Stefano, in ogni caso.
 
-Tu ne farai trentaquattro a breve e sei qui a parlarne con me...
 
Alberto si alza, la risposta di Stefano l’ha turbato. 
 
-Pensa a risolvere i tuoi problemi, ai miei ci penso io. Va bene?
 
Ribatte, con freddezza. Stefano preferisce non insistere, lo saluta dandogli appuntamento al mattino seguente e si incammina verso l’auto per ritornare a casa. Durante il tragitto continua a pensare alla strana reazione di Alberto. Si chiede se davvero non abbia intuito qualcosa su Paolo e preferisca non dirgli nulla oppure se ci sia dell’altro. 
Senza rendersene conto si ritrova davanti a casa. Parcheggia l’auto in garage ed entra. Guardando l’orologio vede che è l’una e mezza passata. Non ha per niente sonno, decide quindi di prepararsi una camomilla da bere a letto, davanti a qualche serie tv. Riempie la tazza sotto il rubinetto, la mette in microonde per circa un minuto, nel frattempo cerca il filtro della camomilla nella dispensa. 
Quando è tutto pronto sale in camera, posa la tazza sul comodino e vicino ad essa il cellulare, che estrae dalla tasca dei jeans, prima di gettarli sulla poltrona dove di solito ripone i vestiti prima di metterli in lavatrice, fa la stessa cosa con la maglietta e infila il pigiama. 
Sospira, lasciandosi cadere sul letto. Rimane un paio di minuti in silenzio ad osservare il soffitto, senza pensare a nulla di preciso, dopodiché si mette a sedere, sistemando il cuscino in verticale sulla testiera del letto. Apre il primo cassetto del comodino, dove è riposto il telecomando della tv della sua stanza da letto. Prima che possa pigiare il tasto di accensione, il cellulare inizia a vibrare. È un messaggio da parte di Paolo. Lo apre subito.
 
“Sei ancora sveglio?”
 
Stefano sorseggia un po’ di camomilla, ancora troppo calda. Decide poi di inviare la foto della tazza a Paolo, per mostrargli cosa sta facendo.
 
“Sì. Da buon over trenta, camomilla prima di andare a dormire 👴​”
 
La risposta di Paolo arriva solo qualche istante più tardi. Anche la sua è una foto, di una tazza rossa con un filtro che penzola dal bordo, davanti ad un monitor di un pc, sul quale sono scritti una serie di numeri e codici. Un messaggio accompagna e spiega la foto.
 
“Siamo in due! La mia è una tisana al cioccolato (che non sa di cioccolato). Mi fa compagnia mentre lavoro al pc… 😓​”
 
Stefano controlla l’orario e nota che sono le due passate. 
 
“Stai ancora lavorando? Ma è tardissimo!”
 
Paolo non risponde subito e Stefano ne approfitta per accendere la tv e cercare una serie da guardare, inizia a scorrere il catalogo ma lascia scivolare il telecomando sul letto, non appena vede il messaggio di Paolo.
 
“Lo so. Da più di due ore sto impazzendo su una stringa di codice 🤯​ ora sta elaborando. Incrocia le dita per me!”
 
Stefano risponde limitandosi a inviare un’emoji con le dita incrociate. Riprende poi il telecomando e continua a correre i titoli sul catalogo Netflix. Decide di rivedere una puntata di “How I met your mother”, una delle sue serie preferite di sempre. Conosce a memoria tutte le puntate di ogni singola stagione, non ha bisogno di prestare troppa attenzione alla trama e potrà quindi continuare a chattare con Paolo. 
 
“Alla fine hai vinto a Scala?”
 
Questa domanda di Paolo permette a Stefano di ripensare alla proposta dei suoi amici di invitarlo a giocare con loro. Una parte di lui vorrebbe vederlo seduto al tavolo con loro e desidererebbe inserirlo nel gruppo più intimo dei suoi amici. L’altra parte, quella al momento prevalente, non pensa sia una buona idea. Non si fida ancora abbastanza di lui ed è certo che i suoi amici, pur essendo persone estremamente ordinarie e per nulla fuori dalle righe, si lascerebbero sfuggire qualche riferimento al proprio orientamento sessuale, cosa che vuole ancora tenere in sospeso, in attesa che sia Paolo a fare la prima mossa. 
 
“No. Faccio schifo a carte 😩​”
 
Da questo messaggio passano almeno dieci minuti, prima della risposta di Paolo. Non si tratta di un messaggio scritto ma di uno vocale. Stefano mette immediatamente in pausa la puntata del telefilm che sta guardando e fa partire l’audio. È così strano sentire la voce di Paolo registrata. Parla a voce bassa, per questo motivo il suo tono di voce già di per sé piuttosto grave, risulta ancora più profondo. 
 
-Scusami se ti faccio un vocale ma faccio fatica a scrivere, i miei occhi iniziano ad abbandonarmi dopo una giornata davanti al pc. Comunque… ieri sera al bar i ragazzi mi hanno fatto vedere la sala di biliardo. Ho giocato con Diego e mi ha detto che devo assolutamente sfidare te, perché a detta di tutti sei imbattibile. 
 
Stefano sorride, ascoltando il messaggio di Paolo. Il biliardo è una delle sue attività preferite da quando era bambino. Aveva iniziato giocando con sua sorella al biliardino dei bambini che i nonni avevano regalato loro a Natale, quando ancora frequentavano entrambi le elementari. Il primo vero tavolo da biliardo l’aveva utilizzato quando frequentava le medie, era quello del salone dell’oratorio che frequentava in quel periodo. Trovandosi per la prima volta a sfidare degli adulti aveva capito di essere veramente bravo. Questo lo aveva spinto a partecipare a diversi tornei, quasi tutti terminati al primo posto, fino ai primi anni di università. In quel periodo, un po’ per lo studio e un po’ perché il biliardo ai suoi occhi era meno interessante del calcetto, aveva deciso di mollare, decidendo di giocarci solo occasionalmente con gli amici. Più volte aveva sfidato i suoi compagni di squadra ma fino ad ora nessuno di loro era riuscito a batterlo. 
 
 “Sono loro ad essere scarsi. Quindi sai giocare a biliardo?”
 
Risponde, cercando di essere modesto. Paolo risponde con un altro messaggio vocale. 
 
-Me la cavo. Domani sera dopo gli allenamenti si è parlato di andare a fare serata al bar. Che dici? Accetti la sfida?
 
“Sfida accettata. Di solito chi perde paga da bere al vincitore, per tutta la sera. Quindi domani sera posso uscire senza portafogli 😈?
 
Azzarda un po’ con il suo ultimo messaggio, sperando di stuzzicare Paolo. È molto tardi ma ancora non ha sonno, specialmente perché questo scambio di messaggi lo sta divertendo. 
 
-Uhm… da bere dici? Credi che sia una buona idea, dopo ieri? Non potremmo magari pensare a qualcosa di diverso?
 
Stefano legge questo messaggio con malizia, forse per l’ora tarda o forse perché davvero vorrebbe fosse così. Vuole vedere fino a che punto intende arrivare Paolo. 
“Tipo?”
 
La risposta si fa attendere, lasciando Stefano sulle spine. Si ricorda di avere ancora il televisore acceso, in pausa, sulla puntata che stava guardando. Potrebbe premere “play” e riprendere a vederla ma non ne ha voglia, preferisce rimanere ad aspettare la risposta di Paolo, attualmente molto più interessante. 
 
-Potrei invitarti da me e preparati qualcosa da mangiare, quello che preferisci, da zero. 
 
La risposta non è esattamente quello che Stefano si stava aspettando ma si accontenta, si tratta comunque di passare del tempo da solo con Paolo e questo gli basta. Non ha però detto cosa vorrebbe lui come premio, se vincesse a biliardo.
 
“Va bene! Comunque, non succederà, ma nel caso fossi tu a vincere? Cosa vorresti? Ti accontenti che ti paghi da bere o vuoi altro?”
 
La sua risposta è volutamente maliziosa, si chiede se Paolo la coglierà oppure se farà finta di niente. Il messaggio di Paolo tarda ad arrivare. Stefano si chiede se non abbia azzardato troppo con quell’affermazione. Esattamente come gli ha detto Alberto quella sera, ha sempre paura di spingersi troppo oltre e di allontanarlo. Ora come ora non sopporterebbe l’idea di dover rinunciare a Paolo.  
Osserva la radiosveglia, sul comodino. Segna le tre. Decide di spegnere la televisione e mettersi a letto, forse Paolo si è addormentato, oppure non sa come rispondere al suo messaggio in modo meno ambiguo possibile. Sospira. Ripone il telecomando nel cassetto del comodino, sistema il cuscino, sprimacciandolo un po’, spegne la luce e scivola lentamente sotto le coperte. Si mette su un fianco, il sinistro, quello su cui di solito si addormenta. Prima che possa chiudere gli occhi, però, sente il rumore della vibrazione del cellulare, lasciato a pochi centimetri dal cuscino. Un messaggio vocale di Paolo, di nuovo. 
 
-Scusami se ti ho lasciato in sospeso. Il mio pc ha terminato di elaborare e finalmente sono riuscito a finire il lavoro! Stavo impazzendo. Magari sei già andato a dormire e lo sentirai domani. Comunque, per quanto riguarda il mio premio… ci penso e poi ti dico. 
 
Stefano risponde subito. 
 
“Ok. Ma non pensarci troppo, potresti rimanerci male quando NON vincerai 😏​”
 
Questa volta la risposta arriva tramite un messaggio scritto. Stefano è dispiaciuto, gli piaceva sentire la sua voce, gli sembrava di averlo lì, nella sua stanza, accanto a lui. 
 
“Modesto! Domani si vedrà… Grazie per avermi fatto compagnia. Buonanotte 😴​”
 
“Notte”

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Capitolo 6
*** Biliardo ***


Quel lunedì mattina Stefano si alza col presentimento che la settimana che sta per iniziare gli riserverà qualche sorpresa. Che sia essa bella o brutta non è in grado di determinarlo ma dentro di sé sente che accadrà qualcosa. Senza girarci troppo intorno, spera soprattutto che ci sia un qualche tipo di evoluzione nel suo rapporto con Paolo. Dopo aver messaggiato con lui fin tardi la sera prima, sente di aver superato un altro passaggio, di essersi spinto ancor più in intimità. Dopotutto, non ha mai chattato così a lungo con nessun compagno di squadra e a dirla tutta neanche con i suoi stessi amici, non in privato perlomeno. Certo, si sente continuamente durante la giornata con Alberto ma mai più di un paio di messaggi di fila e di sicuro non durante le ore notturne, salvo casi di emergenza.
Uscendo di casa per dirigersi al lavoro sospira, dà uno sguardo al cielo e spera che il suo presentimento sia positivo. 
Mentre cammina per strada per raggiungere la fermata della metro che lo condurrà in ufficio, si accorge che sta decisamente arrivando l’autunno. Il clima pomeridiano è ancora caldo e gradevole ma le mattine sono sempre accompagnate da una brezza fresca e umida. Si stringe nella giacca per riscaldarsi e proteggere da gola dagli sbalzi termici. Non può permettersi di ammalarsi proprio ora, proprio nella settimana della prima trasferta della stagione. 
 
La prima con Paolo.
 
Pensa, inevitabilmente. Questa sera inoltre la squadra si riunirà per uno dei due allenamenti pre-partita, alle 19. Il che significa cenare fuori, tutti insieme, al Bar dello Sport. Sorride al pensiero di avere un’ulteriore opportunità per trascorrere del tempo con Paolo. 
Senza accorgersene si trova davanti al proprio ufficio, i pensieri l’hanno rapito al punto di non aver tenuto traccia del proprio percorso, raggiungendo la destinazione solo grazie alla forza dell’abitudine. Si ferma un attimo ad osservare il lato opposto della strada, nella stessa piazza del suo ufficio, si trova l’imponente palazzo della Vince, la ditta per la quale lavora Paolo. Inizia a domandarsi quante volte potrebbe averlo incontrato la mattina o il pomeriggio alle 18, senza esserne consapevole, in quei cinque anni. Quante volte magari avevano percorso il marciapiede in direzione della metropolitana e quante volte erano saliti sullo stesso vagone del treno, magari al telefono o con un libro in mano, senza accorgersi l’un dell’altro. 
Scuote la testa, come se volesse resettare i propri pensieri, perché è tardi ed è ora di entrare in ufficio. Velocizza il passo ed entra. Una volta arrivato alla propria scrivania nota che Alberto è già seduto e, a quanto pare, sta già iniziando a lavorare. Un foglio di Excel è già aperto sul suo schermo ed è al telefono, con il cordless dell’ufficio. Quando i loro sguardi si incrociano, gli fa un cenno di saluto e un breve sorriso, senza badare troppo a lui. C’è qualcosa di diverso in Alberto, nel suo atteggiamento. I suoi sospetti sono confermati dal fatto che, dopo aver riagganciato il telefono, non si precipiti a parlare con lui, rimane invece con lo sguardo fisso sullo schermo. 
Nella sua testa continuano a ripetersi le parole che gli ha rivolto la sera prima “Pensa a risolvere i tuoi problemi” accompagnate dallo sguardo esasperato e forse amareggiato che era riuscito a scorgere per una manciata di secondi. Per la prima volta, da quando sono diventati amici, esita a fare la prima mossa, a parlare con lui. Vorrebbe assicurarsi che tutto sia a posto, teme di aver detto o fatto qualcosa che possa averlo innervosito, forse la sua insistenza di sentire il suo parere su Paolo. Sicuramente Alberto, realista e pragmatico com’è, deve essersi fatto un’idea ben chiara su Paolo e il fatto che resti sul vago e non voglia condividerla con lui lo porta a credere che non sia affatto un’opinione positiva. Probabilmente, essendosi accorto di quanto Stefano si stia affezionando a Paolo, ha deciso di non sfoggiare la sua solita schiettezza e brutale sincerità, non vuole ferirlo, vuole dargli speranza. Stefano inizia a credere che quel presentimento con il quale si era svegliato poco prima stia per concretizzarsi in qualcosa di estremamente negativo.
Non vuole pensarci e decide di buttarsi a capofitto sul lavoro. Per circa un’ora Alberto rimane in silenzio, continuando a pigiare tasti ed effettuare calcoli, riportando di volta in volta alcuni appunti su post-it appiccati ovunque sul monitor e sul bordo della scrivania, appena sotto la tastiera. 
 
-Caffè?
 
Chiede poi, interrompendo il silenzio e facendo sobbalzare Stefano. Quest’ultimo accetta e la tensione tra i due si scioglie. Tuttavia i discorsi rimangono generali, incentrati principalmente sul reality visto la sera prima e sui giochi da tavola che verranno fatti mercoledì. Stefano non ritiene sia il caso cambiare discorso, lascia che sia Alberto a guidare la conversazione. Non sopporterebbe altri attimi di silenzio e isolamento da parte sua. 
 
 
Uscito dall’ufficio, passa da casa per cambiarsi e recuperare il borsone degli allenamenti. A causa di una riunione fin troppo prolissa e noiosa, è uscito ben mezz’ora più tardi, costringendolo ad accelerare il passo, fino alla corsa, per raggiungere il campo sportivo. A passo spedito e con il fiato corto riesce ad arrivare con soli dieci minuti di ritardo. I ragazzi si stanno già riscaldando i muscoli in campo, il mister lo chiama non appena lo vede varcare il cancello.
 
-Credevamo ti fossi perso per strada, Stefano!
 
Esclama. Stefano alza una mano per scusarsi e poi va verso gli spogliatoi per posare le sue cose e cambiare le scarpe. Cerca di essere più veloce possibile, per recuperare l’allenamento e riuscire a riscaldarsi, tuttavia quando esce in campo il mister sta già distribuendo le pettorine. 
 
-Ste, tu sei nel gruppo dei senza. Veloce!
 
Gli urla, battendo le mani. Stefano corre in postazione e nota che, ancora una volta, sarà avversario di Paolo. 
 
-Buonasera. 
 
Lo saluta Paolo, sorridendogli, non appena i loro sguardi si incrociano. Si limita a fargli un cenno con la mano e si concentra sulla palla, in attesa del fischio d’inizio, non vuole altre distrazioni. 
L’amichevole inizia con la presa in possesso della squadra senza pettorine, quella Stefano. Giacomo scarta rapidamente gli avversari e approfitta della posizione di Stefano, libero sulla fascia destra, per passargli la palla. L’area di tiro degli avversari è quasi del tutto sgombera, Stefano tenta quindi di fare una volata verso la porta. Essendo un centrocampista difficilmente ha occasione di fare gol ma riesce a riconoscere una buona occasione quando gli si presenta davanti e ne approfitta. Sfortunatamente le sue intenzioni vengono interrotte da Antonio che scivola alla sua sinistra sfilandogli il pallone dalle gambe. Stefano però non demorde, fa il possibile per recuperare la palla e dopo un paio di finte ci riesce, evitando anche nel frattempo Simone e Massimo  che erano corsi in soccorso di Giacomo. A pochi passi dall’area di tiro, però, arriva Paolo. Stefano vorrebbe evitare di essere marcato da lui e cerca con la coda dell’occhio un compagno al quale effettuare un passaggio, abbandonando la sua idea di segnare un gol. Sfortunatamente nessuno è libero e in men che non si dica Paolo è alle sue spalle. 
-Volevo lasciarti segnare ma ci hai messo troppo.
 
Sussurra, quasi vicino al suo orecchio. Stefano immediatamente avverte un brivido e scivola lateralmente sulla sinistra per allontanarsi da lui. Paolo però è più rapido e con un giro sui talloni gli si para davanti, impedendogli di proseguire. Stefano si muove a destra e sinistra, chino sul pallone, cercando di scorgere un’opportunità di passaggio e vede un compagno della sua squadra sbracciarsi alla sua destra per chiamare la palla. Con una finta elude il marcaggio frontale di Paolo, riesce a girarsi e a portare con sé la palla poco più lontano ma anche Paolo fa un movimento speculare al suo. Lo marca ancora più stretto. Lo sente sfiorargli il braccio e poi, come l’ultima volta, è proprio dietro alla sua schiena. Si appoggia rapidamente su di lui. Lo percepisce chiaramente contro il suo corpo e d’un tratto si irrigidisce. Paolo ne approfitta e con il piede sinistro allontana il pallone, immediatamente recuperato da Simone che stava seguendo tutta l’azione. 
 
-Ti sei dimenticato che sono ambidestro?
 
Chiede Paolo, con tono soddisfatto. Stefano non gli risponde, al momento non ne è in grado. È la seconda volta che si trova in una situazione del genere con lui e inizia a chiedersi se lo faccia apposta o se sia realmente il suo modo di giocare e marcare l’avversario. 
L’amichevole termina con la vittoria della scuola di Paolo, dopodiché il mister divide la squadra in gruppetti per spiegare ad ognuno i propri punti di forza e di debolezza. 
 
-Stefano, mi raccomando, domenica niente errori da principianti. Intesi?
 
Stefano non capisce a cosa di preciso si stia riferendo. Forse al suo maldestro tentativo di fare gol? Oppure al troppo tempo trascorso senza passare la palla a un compagno? O al suo essersi distratto così stupidamente a causa della presenza di Paolo? Si chiede se questa sua distrazione possa esser risultata così palese agli occhi degli altri. Per lui era come se il tempo si fosse fermato. Il respiro di Paolo sul suo collo, il suo profumo ambrato e forte, il contatto tra le dita fredde di Paolo e il suo braccio caldo e sudato, i suoi addominali rigidi e marmorei e il suo bacino che… no! Non vuole pensarci più. 
 
-Intesi!
 
Risponde con fermezza, fingendo di aver capito. Al termine degli allenamenti, con la scusa di essere arrivato tardi, decide di fermarsi ancora qualche minuto in campo per fare un po’ di stretching. Lasciando che i compagni si cambino e si lavino. Quando rientra nello spogliatoio sono quasi tutti pronti. Fa il possibile per lavarsi e vestirsi in fretta in modo che possano andare tutti insieme al Bar dello Sport per cenare. 
La tavola per la squadra è già stata preparata da Maurizio e il menu quella sera prevede grigliata di carne con patate arrosto e ovviamente fiumi di birra. Stefano riesce a sedersi un po’ distante da Paolo, volutamente, per evitare di passare un’altra serata ad origliare i suoi discorsi. 
La cena è deliziosa e la serata scorre piacevolmente, Stefano chiacchiera con Diego e Massimo commentando le ultime notizie del campionato. Dopodiché il discorso si sposta sul lavoro, ognuno ha modo di sfogarsi e raccontare la propria giornata lavorativa. 
 
-Ma sì, Ste. Cosa vuoi che sia una riunione alle cinque? Da noi le piazzano dopo l’orario di lavoro e non è detto che ce le paghino…
 
Commenta Diego, ribattendo alla sua affermazione circa la noiosa riunione di quel pomeriggio. 
 
-Ho capito! Però era una cosa inutile, c’era stato un briefing il giorno prima e… 
 
Viene interrotto dal cellulare di Diego che inizia a squillare. Quest’ultimo lo prende dalla tasca dei pantaloni e, osservando il nome sullo schermo, decide di rispondere.
 
-Scusa. Moglie chiama!
 
Esclama, alzandosi dal posto per rispondere alla telefonata in un luogo più silenzioso. Stefano ne approfitta per finire la sua birra, una bionda media irlandese, piuttosto leggera. 
 
-Allora?
 
Una mano si posa sulla sua spalla. Stefano si gira, sapendo già di chi si tratti. È Paolo che si mette a sedere accanto a lui, nel posto lasciato vuoto da Diego. Posa i gomiti sul tavolo e appoggia il mento sul palmo della mano destra, iniziando a scrutarlo con quei suoi assurdamente penetranti occhi azzurri. Stefano si accorge che ha cambiato il piercing del sopracciglio, non è più una pallina, ma un anello sottile nero. Gli ritorna in mente ancora una volta Alberto, la sera prima, che gli aveva chiesto se il suo tipo ideale fosse un biondo con gli occhi chiari e i piercing. In effetti, ripensandoci, la maggior parte dei ragazzi che ha frequentato erano biondi con occhi azzurri o verdi ma quella dei piercing è una novità. Crede che su Paolo siano estremamente perfetti e sexy ma pensa che potrebbe essere semplicemente lui a portarli così bene. 
 
-Allora, cosa?
 
Chiede, cercando di non abbassare lo sguardo. Non è un ragazzo timido. Silenzioso e riservato di certo, ma non timido. Non ha mai avuto difficoltà a tenere lo sguardo di una persona, che essa si trattasse di un suo superiore, un amico o anche un ragazzo particolarmente avvenente che stava frequentando. Con Paolo però è diverso, ha quasi il terrore che il ragazzo possa leggergli i pensieri e scrutare nella sua mente, solo guardandolo negli occhi. 
 
-Non volevi sfidarmi a biliardo? Eri così sicuro di te ieri sera…
 
Lo provoca. Stefano si era completamente dimenticato della sfida a biliardo. Vorrebbe rimandare, si sente stanco e non ha voglia di affrontare di nuovo Paolo, sia fisicamente sia psicologicamente. Purtroppo Simone accanto a loro ha ascoltato il discorso e interviene subito.
 
-Giusto! Ste, con lui non hai mai giocato. È la volta buona che qualcuno ti dà una lezione!
 
Anche Diego, appena ritornato dalla telefonata, incalza. 
 
-Oh! Stiamo parlando di sfidare il grande campione Stefano Rosati a biliardo?
 
Esclama, in tono canzonatorio. 
 
-Sfida! Sfida! Sfida!
 
Antonio dà il via a un coro, battendo il pugno sul tavolo e venendo seguito immediatamente da tutta la tavolata, compresi il mister e il proprietario, Maurizio, appena arrivato con il vassoio dei caffè.  Paolo rimane in silenzio ma continua a fissarlo, con un sorriso compiaciuto, in attesa che dica qualcosa. Stefano sbuffa.
 
-Va bene, va bene.
 
Esclama. Alzandosi dal posto. I ragazzi rispondo con un boato dopodiché, dopo aver bevuto il caffè, si spostano tutti verso la sala da biliardo del locale. I posti a sedere non sono abbastanza, per questo motivo alcuni ragazzi sono costretti a portarsi la sedia. La sala è piuttosto piccola e si riempie rapidamente. Stefano si sente stranamente sotto pressione per quella partita, che in realtà non è nulla di serio ma che dalle premesse e dall’aspettativa generale sembra quasi essere la finale di un campionato nazionale. 
 
-Posta in palio? Stefano perde e paga da bere per tutti?
 
Propone Simone. Gli altri ragazzi ridono. 
 
-Mi pare di aver già dato una lezione a tutti voi. Quindi… zitti e muti!
 
Ribatte Stefano, sfoggiando un po’ della sua spavalderia, è sicuro delle sue abilità a biliardo. Prende una stecca dal muro e inizia a prepararla con il gesso.
 
-Nella remota eventualità che perda… deciderà Paolo il suo premio.
 
L’esclamazione presuntuosa di Stefano non viene accolta bene dai compagni che gli fischiano e lo prendono in giro. Paolo invece sorride, prendendo a sua volta una stecca dal muro. 
 
-Il gioco è Palla 9, tre turni.  L’apertura sta al novellino. 
 
Afferma Stefano, invitando Paolo al tavolo. Quest’ultimo pare sorpreso dalla sua provocazione, inarca le sopracciglia con stupore. Dopodiché si posiziona al tavolo e inizia a studiare le bilie. Con la bianca immediatamente colpisce la palla uno, potendo quindi procedere con un altro tiro. Stefano pensa si tratti di un caso ma, osservandolo bene, specialmente nel modo in cui si posiziona sul tavolo e come fa scorrere la stecca sul dorso della mano, con un movimento delicato e ritmato, inizia a sospettare che possa essere un degno avversario.  
 
-Dentro! È la uno?
 
Stefano osserva le bilie ora sparse per tutto il tavolo. Quella imbucata da Paolo è proprio la uno. Diego si avvicina per avere una conferma, dopodiché dà una pacca sulla spalla Paolo. 
 
-Complimentoni! 
 
Esclama. Paolo non risponde in nessun modo, si limita a preparare la sua prossima mossa. Si appoggia al bordo in legno del tavolo e con delicatezza fa scivolare la stecca, preparando il movimento. Stefano rimane rapito dalla sensualità nella quale lascia scorrere l’asta sulla nocca della mano destra. Utilizza la sinistra per colpire. Con rapidità anche la palla due rimbalza contro una sponda sposta al centro sposta la tre e finisce in buca centrale. 
I ragazzi della squadra esultano. Stefano è senza parole, si limita a osservare Paolo e a prepararsi ad essere sconfitto, al suo stesso gioco, come non succedeva da diversi anni. 
In poco tempo anche la palla tre e quatto entrano in buca, senza difficoltà. La cinque, posizionata dietro alla otto e in traiettoria difficile sembra preoccuparlo, gira attorno a tavolo un paio di volte e si posiziona in modo differente ma non sembra soddisfatto. Il suo sguardo è fisso sulla bilia da colpire, si morde il labbro e stringe tra i denti una strana pallina metallica che Stefano intuisce essere un altro piercing. Non sapeva che ne avesse uno anche lì, non se n’era ancora accorto fino ad ora. Il suo cervello inizia a fantasticare sulle cose che potrebbe fare con quel piercing e si blocca con sguardo ebete, probabilmente per un tempo ben oltre l’accettabile, perché non si accorge che è il suo turno, Paolo ha sbagliato il tiro.
 
-Ste, sveglia! Tocca a te!
 
Urlano i compagni. Stefano si finge impassibile, mentre Paolo sorride e ne approfitta per passare del gesso sulla stecca.
 
-Oh sei sconvolto che finalmente qualcuno te la faccia pagare?
 
Lo stuzzica Giacomo. 
 
-Occhio che stasera tiri fuori la carta di credito!
 
Esclama Diego ridendo. Stefano li ignora, in realtà si stava quasi dimenticando della partita, colpito dall’ennesimo piercing di Paolo. Si ricompone e si prepara a giocare. Non aveva osservato con attenzione il tavolo ma è piuttosto chiuso, le bilie sono in posizione pericolosa e non è sicuro che riuscirà a conservare il vantaggio. Osserva bene la posizione della palla cinque, che aveva causato qualche problema anche a Paolo e crede di intuire il movimento giusto per metterla in buca, magari spostando anche quelle sulle altre sponde. Ci prova e funziona. 
 
-Io fossi in voi aspetterei a parlare!
 
Esclama soddisfatto, girandosi per ribattere agli scherni dei compagni di squadra che rimangono questa volta in silenzio. Rapidamente riesce a imbucare le palle restanti, vincendo la prima partita.
 
-E una è andata.
 
Commenta, iniziando a recuperare le palle per la seconda partita. Quest’ultima però viene vinta da Paolo che approfitta di un suo errore dopo la palla sei per chiudere. Infine arriva alla terza, che verrà aperta da Paolo. Avendolo osservato giocare, Stefano teme davvero di poter perdere con Paolo in apertura. Deve sperare solo in un suo errore.  Con il primo tiro, Paolo fa scendere la palla due. Ora tocca alla numero uno, che manda in laterale senza troppe difficoltà.
 
-Oh Ste, come mai con lui non fai lo sbruffone? 
 
Lo provoca Massimo. Anche Antonio e Diego gli danno corda.
 
-“Palla due in centrale”, “Palla sei in sponda e laterale”.
 
Lo scimiotta Diego, imitando il suo solito atteggiamento durante le partite. Tutti i ragazzi ridacchiano, anche Paolo si lascia sfuggire un sorriso, dopodiché imbuca anche la bilia uno e poco dopo la tre. Con la quattro ha qualche problema, la colpisce ma non entra in buca, cedendo il turno a Stefano, che deve assolutamente approfittare del vantaggio per non lasciarlo più giocare. Fa un respiro profondo e inizia a studiare la situazione. Se non fosse per la pressione dei compagni di squadra si starebbe realmente godendo la partita, un avversario come Paolo non lo affrontava da anni, così preciso e meticoloso nelle mosse. Sfruttando l’ultima bilia colpita da Paolo riesce a imbucare di riflesso la numero cinque e prosegue senza difficoltà fino alla numero sette che sbaglia e fa finire contro la otto, portandola quasi a cadere nella buca centrale. 
È finita. Pensa. Mancano solo due bilie, di cui la otto praticamente già imbucata. È certo che Paolo vincerà.
 
-Uhh che errore da principiante, Stefano.
 
Urla Giacomo. 
 
-Ahi! Prepara il portafogli!
 
Prosegue Diego. 
 
-Maurizio, prepara la bottiglia, la magnum! 
 
Urla Edoardo, il mister, al proprietario del bar. Paolo si prepara a tirare, probabilmente ritiene il tiro molto semplice, perché non esegue gli stessi movimenti preparatori utilizzati fino ad ora. Sembra quasi un tiro casuale. Colpisce la sette lateralmente che finisce in fondo al tavolo, non entra in buca ma nella traiettoria fa cadere la otto. È un fallo e la nove tocca di nuovo a Stefano. 
Un coro di “No” si alza tra i ragazzi della squadra, la vittoria è quasi certa. Stefano non se l’aspettava. Vedendo come ha giocato fino ad ora, doveva essere facile per Paolo intuire dove colpire la bilia, eppure così non è stato. Stefano cerca di non ripetere lo stesso errore, si concentra, punta verso la nove che scivola liscia in buca laterale destra. Alla fine, ha vinto di nuovo lui.
 
-Beh dai, è stato bello. Bravo Ste!
 
Commenta Diego. Uno ad uno tutti i ragazzi si alzano e ritornano con le sedie nella sala principale. Paolo si avvicina e gli porge la mano. 
 
-Complimenti. 
 
Stefano gli stringe la mano. È un gesto così semplice e informale, eppure, il suo cuore aumenta i battiti. La mano di Paolo è tiepida, leggera e in quel momento un po’ ruvida per via del gesso da biliardo. Lascia andare a malincuore la presa. 
 
-Hai già pensato al menù?
 
Chiede poi Paolo, riferendosi al premio per la vittoria. Stefano non ci aveva pensato, pur essendo quasi sicuro di vincere, prima di affrontarlo. Così, per evitare di esser preso alla sprovvista, risponde chiedendo la prima cosa assurda e, a detta sua, difficile da preparare. 
 
-Pasta fresca al pesto. Pesto fatto da te, con il mortaio. Ce l’hai?
 
Paolo ride. Una risata di gusto, non i sorrisi di prima. Quel bel sorriso sincero che gli fa socchiudere gli occhi e che fa comparire una fossetta sulla sua guancia sinistra. 
 
-Tutto qui? 
 
Chiede. Stefano fa spallucce e annuisce. 
 
-Oh beh, contento tu. Comunque sì, certo che ce l’ho il mortaio, in marmo. 
 
Stefano, ripensandoci, avrebbe potuto chiedere altro. Qualcosa a base di pesce o un arrosto ripieno, un bel filetto in crosta magari. Eppure il suo cervello era riuscito a suggerirgli solo quello. 
 
-Ok, dai. Ci accorderemo poi per il giorno. Va bene?
 
Stefano annuisce. Paolo gli posa una mano sulla spalla e la stringe.
 
-Ci vediamo venerdì. 
 
 
 
Stefano si trattiene ancora una mezz’ora con alcuni compagni, ai quali offre comunque un giro di Limoncello come premio di consolazione. Tornando a casa però continua a ripensare all’ultima partita a come Paolo abbia letteralmente buttato una vittoria quasi sicura, non vuole pensare che sia stato un errore di distrazione o che non fosse realmente capace di fare quella mossa. L’aveva già fatta nella partita precedente, soffiandogli la vittoria. 
Rientra in casa, si toglie le scarpe calciandole vicino all’ingresso e poi si dirige in camera. È piuttosto stanco e non vede l’ora di dormire, è certo che cadrà in un sonno profondo non appena poserà la testa sul cuscino. Velocemente si lava i denti, si dà una rinfrescata e mette il pigiama, gettandosi all’indietro sul letto.
 
Mi ha fatto vincere, non c’è altra risposta. L’ha fatto apposta, è palese. 
 
Continua a ripetersi tra sé e sé, non trovando però un motivo a quella sua decisione. Osserva l’orologio sul comodino. Segna mezzanotte e mezza. È piuttosto tardi e Paolo se n’è andato dal locale prima di lui, quindi probabilmente sta dormendo. Decide però di provare lo stesso a scrivergli un messaggio per chiarire quel suo dubbio, è sicuro che se lo sognerebbe di notte, se non avesse una risposta. Una volta preso in mano il telefono e dopo aver aperto la chat di “Paolo 🍆” si ferma a riflettere su come scrivere il messaggio. Dopo un paio di tentativi, decide di essere diretto, senza troppi giri di parole.
 
“Mi hai fatto vincere.”
Lo stato di Paolo è nascosto, motivo per cui non è possibile sapere se si sia collegato di recente o se stia già dormendo. Stefano posa il cellulare accanto a sé e si mette a fissare il soffitto, deciso ad aspettare qualche minuto. La risposta di Paolo arriva rapida.
 
“Cosa te lo fa pensare?”
 
“Giochi troppo bene per fare un errore del genere.”
 
“Grazie.”
 
“Quindi?”
 
“Sei un buon osservatore, bravo.”
 
“Perché?”
 
“Perché volevo concederti un premio prima di demolirti nelle prossime partite 😏
 
“Generoso.”
 
“Ti godrai il tuo premio e poi sarà il mio turno.”
 
“Hai già scelto il tuo??”
 
“Sì ma non te lo dico, lo saprai a tempo debito.” 
 
“Ho paura…”
 
“Naaa… tempo al tempo. Notte”
 
“Notte.”

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Capitolo 7
*** Corri ***


Il giorno seguente, in ufficio, Stefano non riesce a smettere di sorridere. Ripensa alla partita di biliardo la sera prima e ai messaggi scambiati con Paolo. Continua a chiedersi cosa possa volere da lui, come ricompensa. 
 
-Ste, sei su questo pianeta?
 
Domanda Alberto, cercando di richiamare la sua attenzione. 
 
-Sì, mi stavi dicendo qualcosa?
 
Si gira verso di lui. Alberto gli rivolge uno sguardo seccato. Probabilmente stava cercando di parlagli da un po’.
 
-Ma veramente sei tu che mi hai chiesto un documento poco fa. Te l’ho mandato e non l’hai neanche guardato… 
 
Stefano guarda sul monitor del computer, aperto sulla casella di posta. La mail di Alberto è ancora evidenziata in nero, non l’ha aperta. È arrivata da cinque minuti. La apre subito.
 
-Scusami, mi sono distratto.
 
Confessa, scaricando l’allegato alla mail. Alberto sbuffa. 
 
-Anticipiamo la pausa caffè? Così fai prendere un po’ d’aria al cervello… 
 
Suggerisce Alberto, alzandosi dalla sedia. Stefano accetta la proposta e lo segue. Arrivati alla macchinetta Alberto seleziona immediatamente le bevande, senza chiedere a chi tocchi offrire da bere quel giorno. Probabilmente era il turno di Stefano ma non dice nulla.
 
-Tieni.
 
Gli porge il caffè e attende che il suo mokaccino venga erogato. Con un cenno del capo gli indica un tavolino libero, poco distante, suggerendo di sedersi a bere. Raramente si fermano a fare la pausa caffè in area ristoro. Probabilmente Alberto vorrà dirgli qualcosa.
 
-Vuoi dirmi a cosa stai pensando? Anche se lo posso immaginare…
 
Inizia Alberto, con lo sguardo basso, girando la paletta del caffè nel bicchierino. Stefano per un attimo esita. Dopo i discorsi di qualche giorno prima non è sicuro di voler parlare di nuovo di Paolo.
 
-Cosa avrà mai fatto questa volta il perfetto e meraviglioso Paolo?
 
Insiste, utilizzando un tono sarcastico e lievemente infastidito, che sorprende Stefano. Vorrebbe indagare sui motivi della sua esclamazione ma preferisce sorvolare e rispondere.
 
-Ieri ero a cena con la squadra e ci siamo sfidati a biliardo. Ho vinto io ma… in realtà lui mi ha lasciato vincere. 
 
Alberto inarca le sopracciglia. 
 
-Che tenerezza! Come si fa con i bambini. Aveva paura ti offendessi?
 
Stefano gli rivolge uno sguardo confuso. Non trova un senso alla sua affermazione. 
 
-Non so perché l’abbia fatto. Comunque come ricompensa mi offrirà una cena, preparata da lui. Ho scelto io il menù. 
 
Alberto beve la sua bevanda prima di rispondere. Dopodiché si stiracchia, allungandosi sulla sedia. Rimane a braccia conserte e lo fissa qualche istante prima di esprimersi. Stefano si sente sotto accusa, abbassa lo sguardo e giocherella con lo zucchero rimasto sul fondo del bicchierino da caffè. 
 
-È astuto, gliene do atto.
 
Stefano alza lo sguardo e fa una smorfia, chiedendo implicitamente ad Alberto di motivare la sua affermazione. 
 
-Ti ha chiesto un appuntamento senza chiedertelo direttamente. Non l’avevi capito? 
 
Stefano è del tutto sorpreso dalle parole di Alberto, non ci aveva proprio pensato. Scuote il capo. Alberto si lascia sfuggire una risatina e si mordicchia nervosamente il labbro inferiore.
 
-Mi sorprendo sempre di quanto tu sia ingenuo e di come tu non riesca mai a cogliere i segnali anche ovvi… A volte, davvero, non ti rendi neanche conto di quello che hai davanti. Un po’ ti invidio…
 
Confessa, continuando a stiracchiarsi sulla sedia. Stefano si sente un po’ offeso dalla sua affermazione, è vero che a volte evita di vedere segnali o si convince che non ce ne siano per non rimanere deluso. Tuttavia non è così sciocco e ingenuo come l’ha appena dipinto, solitamente è molto più sveglio di così. 
 
-Non sono così ebete! È lui! Io… non so che effetto abbia lui su di me ma quando sono in sua presenza… vado fuori di testa. Ieri agli allenamenti ancora una volta si è… appoggiato. 
 
Alberto inarca un sopracciglio e sogghigna. 
 
-E ieri sera al biliardo… quella stecca che gli scivolava sulla mano, la sua presa decisa. E il piercing sulla lingua… 
 
A quell’ultima affermazione Alberto risponde con una smorfia. 
 
-Mi è entrato in testa… a volte mi ritrovo a pensare a lui, senza accorgermene. Mi sembra davvero di esser tornato adolescente. Adesso non lo vedrò fino a venerdì e… credo impazzirò prima di allora.
 
Alberto sbuffa. Si alza bruscamente dal tavolo e appoggia entrambe le mani sui bordi. 
-Basta. 
 
Stefano è sorpreso dalla sua reazione e si alza a sua volta dal tavolo, di riflesso. 
 
-Davvero, datti un contegno! Sei troppo sotto per questo tipo. O tiri fuori i coglioni e te lo sbatti contro un muro, lui e i suoi cazzo di piercing, oppure… 
 
Stefano è paralizzato dalla reazione di Alberto, si guarda in giro nella speranza che nessuno li stia guardando. Sa bene che Alberto non controlla le parole, che quando qualcosa gli passa per la mente la deve dire, esattamente così come gli viene, senza filtri. Tuttavia lo imbarazza essere così al centro dell’attenzione. 
 
-Oppure…?
 
Chiede, ancora timoroso, sperando che il suo sfogo non vada oltre. 
 
-Oppure ti dai una calmata, scendi sulla terra, ritorni in te e ti scolli un momento. 
 
Risponde, alzando il tono della voce. Il suo sembra quasi un rimprovero e Stefano inizia a sospettare di esser divenuto fin troppo petulante nel suo descrivere Paolo e fantasticare su cosa potrebbe o non potrebbe esserci tra loro.
 
-Sì, forse è davvero il caso… 
 
Conferma, con rassegnazione. Alberto annuisce. Entrambi restano immobili e in silenzio in piedi davanti al tavolino, l’uno di fronte all’altro, per diversi secondi. 
 
-E sabato sera vieni con noi al Vogue Ambition, niente scuse. 
 
Stefano storce il naso. Da qualche anno non frequenta discoteche e quelle frequentate saltuariamente da Alberto e il suo gruppo di amici non sono di suo gradimento.
 
-Ho detto: niente scuse. 
 
Ribadisce, con tono intimidatorio. Stefano è quasi spaventato dal suo modo di fare. 
 
-Ti farà bene, vedrai. 
 
Prosegue Alberto, rilassandosi un po’ di più. Stefano vuole rispondere ma viene distratto dalla vibrazione del cellulare, posato sul tavolino. Lo schermo si illumina, è una notifica di WhatsApp. Lo guarda con la coda dell’occhio e si lascia sfuggire un sorriso.
 
-Dai, leggilo. 
 
Esclama Alberto, perdendo le speranze. Dopodiché prende il bicchierino del caffè e lo getta nel cestino, indirizzandosi verso l’ufficio. Stefano lo segue e nel frattempo apre la notifica per leggere il messaggio. 
 
“Ehi! Se ti proponessi una corsetta nel parco vicino a casa tua… ci staresti 🏃?
 
Sebbene trovi insolita la sua proposta, è felice dell’invito e senza pensarci troppo accetta. 
 
“Va bene. A che ora?”
 
“Ci troviamo all’ingresso alle 18.30.”
 
“D’accordo, a dopo!”
 
💪
 
Stefano si torna alla sua sedia davanti alla scrivania, posando il cellulare. 
 
-Mi raccomando: sabato sera al Vogue Ambition. Segnatelo sul calendario. 
 
Ribadisce Alberto, lanciandogli un pezzo di carta arrotolato. Stefano lo apre.
 
“ PIRLA”
 
Legge, a bassa voce. La scritta è accompagna dal disegno di un pene stilizzato. Scoppia a ridere e getta il foglietto nel cestino, prima che qualcuno possa vederlo. A volte si chiede come sarebbe stato essere compagno di classe di Alberto, da ragazzo. Solo lavorando con lui, a volte, gli sembra di ritornare ragazzino.
 
 
Uscito dal lavoro, Stefano si precipita a casa per cambiarsi e indossare degli abiti adatti alla corsa. Prende dei pantaloncini ampi sopra al ginocchio e una maglietta bianca. Decide però di indossare anche una felpa perché ha intenzione di raggiungere il parco a piedi, è già scesa la sera e non ha intenzione di prendere freddo. Spera che l’incontro con Paolo sia l’occasione per chiacchierare un po’, per scoprire qualcos’altro su di lui. 
Arrivato all’ingresso del parco, vede che lui è già arrivato. Indossa un paio di pantaloni della tuta lunghi e neri, con la caviglia stretta e una maglietta bianca molto aderente a manica corta, con lo scollo a V. Anche vestito in modo così semplice continua a pensare che sia di una bellezza straordinaria e un po’ lo infastidisce questa sua abilità nell’essere bello senza sforzo, come lo era stato anche da ragazzo. Cerca di non mostrarsi troppo impaziente e lo raggiunge a passo sostenuto. 
 
-Ciao! Sei qui da tanto?
 
Gli chiede, non appena si trova a poco meno di due metri da lui. 
 
-Circa cinque minuti. Ne ho approfittato per tirare un po’ i muscoli. Ci facciamo una camminata a passo veloce, che dici?
 
Risponde. Stefano annuisce, così sarà certamente più facile iniziare un discorso. 
 
-Speravo ci fosse ancora un po’ di luce… non avevo calcolato l’accorciarsi delle giornate. 
 
Commenta, osservando il cielo rosato del tramonto e il sole rosso fuoco che fa appena capolino tra i rami dei fitti alberi del parco. 
 
-È bello passeggiare al tramonto. Molto romantico.
 
Si lascia sfuggire Stefano. Immediatamente si pente di quello che ha appena detto, spera che Paolo non la prenda male.
 
-Vero. 
 
Si limita a rispondere, rivolgendogli un rapido sorriso. 
 
-Comunque non devi sentirti obbligato. Io avevo bisogno di fare due passi per schiarirmi un po’ le idee e mi sono ricordato di questo parco, che è proprio vicino a casa tua. 
 
Afferma, iniziando a velocizzare il passo. Stefano cerca di stare al suo fianco e accelera a sua volta. 
 
-Non mi sono sentito per niente obbligato, anche a me fa piacere correre all’aperto. 
 
Chiarisce. 
 
-Avrò due giornate piuttosto impegnative tra domani e giovedì. Ho una riunione a lavoro e un progetto che devo assolutamente presentare. Questa mattina in ufficio mi sentivo quasi soffocare, dovevo decisamente prendere una boccata d’aria. 
 
È la prima volta che Paolo si confida con lui circa il proprio lavoro. In realtà non sono state molte le occasioni nelle quali si sono trovati soli a parlare ed è felice di aver ricevuto il suo invito.
 
-Immagino che il tuo lavoro sia piuttosto complicato… 
 
Suppone Stefano. Paolo fa spallucce.
 
-Come quello di chiunque altro. Sono a capo di un team e ho un progetto che sto curando personalmente, è qualcosa di molto grosso in cui ho investito molte energie e denaro. Deve andare bene per forza. 
 
Paolo si ferma e inizia ad allungare e le braccia, il collo e tirare tutti i muscoli della parte superiore del corpo. Stefano cerca di ripetere i suoi stessi movimenti. Ha una strana sensazione nel trovarsi con lui a fare ginnastica, una specie di dejavu. Si ricorda delle ore di Educazione Fisica quando il professore diceva loro di fare del riscaldamento prima di iniziare la lezione o prima di iniziare a giocare a pallavolo o basket. Sebbene si senta diverso rispetto a quel quindicenne che faceva di tutto pur di essere incluso in un gruppo (ovviamente prima del suo outing forzato) non può dire lo stesso di Paolo. Non sa nulla della sua vita fino ad oggi ma ad osservarlo pare che il tempo per lui si sia fermato e inizia a convincersi del fatto di esser sempre stato attratto da lui, seppur inconsciamente. È sicuro di aver già osservato con attenzione i ciuffi biondi che cadono disordinati sulla sua fronte, le ciglia chiare che sembrano fili d’oro quando sono illuminati dal sole e il suo simmetrico naso dritto con la punta all’insù, che rende il suo profilo  perfettamente armonico e regolare, smorzato solo dalle sue labbra vermiglie, all’apparenza così morbide e invitanti.
 
-Ho sentito che anche tu sei un po’ sotto stress per il lavoro. Ieri ti lamentavi di una riunione. 
 
Afferma, girandosi verso di lui, permettendogli di osservare quegli splendidi occhi celesti. Distoglie lo sguardo, suo malgrado, per poter parlare. 
 
-Sì, ci stanno tenendo un po’ sotto torchio perché è cambiato il direttore e come sempre vuole economizzare, modernizzare e fare dei tagli… è un copione già visto.
 
Paolo annuisce. 
 
-Ti piace il tuo lavoro alla Mirabelli?
 
Domanda, terminando lo stretching e riprendendo a camminare, con più velocità. 
 
-Abbastanza. A volte penso che mi piacerebbe fare qualcosa di più… 
 
Confessa, in tutta sincerità. 
 
-Ti capisco. Ho preso un master a Pisa che mi è costato molto, non solo economicamente, per poter essere più libero… con la speranza di arrivare a dirigere una mia azienda e non solo un piccolo team. Chissà… 
 
L’ambizione è sempre stata una sua caratteristica. Era un ragazzo modesto e disinvolto ma anche estremamente orgoglioso e ambizioso. Capitano della squadra di calcio, presidente del team di scacchi… ogni anno collezionava un titolo, un’iscrizione a un club. Non c’era nulla che non gli riuscisse. È normale che anche la sua vita da adulto abbia seguito lo stesso filo conduttore. 
 
-Mi hai già accennato di questo tuo master… in quale settore?
 
Domanda, incuriosito.
 
-Sicurezza informatica. Adesso ce ne sono tantissimi, anche qui a Milano. Quando l’ho fatto io era ancora un argomento di nicchia e l’università di Pisa era l’unica ad offrirlo. 
 
Fa una piccola pausa, forse per prendere il fiato, dopodiché riprende a parlare.
 
-Quel master è probabilmente una delle cause del mio divorzio. 
 
Confessa, adottando un tono decisamente più cupo. Anche il suo passo si fa più lento. Stefano è incuriosito da quelle parole e vorrebbe saperne di più ma non sa esattamente come chiederglielo senza risultare invadente. 
 
-Per quanti anni sei stato sposato?
 
Chiede.
 
-Otto. Non sono pochi ma sono sembrati molti di più, te lo posso assicurare. 
La sua risposta non dà adito ad ulteriori approfondimenti, perciò Stefano si limita ad annuire col capo. 
 
-Comunque, a tal proposito, venerdì sera non potrò esserci agli allenamenti. Sarò a cena con la mia ex moglie, per chiarire alcune questioni relative al divorzio.
 
Stefano si lascia sfuggire un’espressione sorpresa e dispiaciuta. Paolo se ne accorge immediatamente.
 
-Tranquillo, ci sarò comunque alla trasferta. È la prima, non me la perderò assolutamente. 
 
Risponde. In realtà Stefano è preoccupato per l’incontro tra lui e l’ex moglie, non aveva minimamente pensato alla trasferta. Rimane sollevato dal fatto che Paolo non l’abbia capito. 
 
-Una cena, hai detto?
 
Chiede, cercando di essere disinvolto. Paolo annuisce e si ferma. 
 
-Esatto. Io le avevo chiesto appuntamento prima di cena per parlare ma lei ha insistito che cenassimo insieme, col pretesto di rimanere in rapporti civili e amichevoli. Ovviamente il ristorante l’ha scelto lei… all you can eat Sushi, la scelta peggiore. 
 
Stefano inarca le sopracciglia in segno di stupore. 
 
-Non ti piace il sushi?
 
Paolo fa una smorfia, arricciando il naso. 
 
-Lo detesto. Mi viene sempre mal di stomaco quando mangio in quei posti. Però faccio un sacrificio, se questo servirà a convincerla a scendere a patti su alcune questioni che mi premono particolarmente.
 
Il suo tono di voce è abbastanza grave e serio. Stefano si domanda quali possano essere questi accordi con la ex moglie. Vorrebbe sapere di più circa il suo divorzio e il suo matrimonio.  Paolo però decide di porre fine all’argomento, riprende la sua solita aria cordiale e socievole, gli rivolge un sorriso e posa una mano sulla sua spalla, con quel suo solito tocco tiepido, delicato e per certi versi ambiguo.
 
-Facciamo a chi arriva prima all’ingresso?
 
Chiede. Prima che Stefano possa rispondere prende a correre in velocità, costringendolo a fare altrettanto.

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Capitolo 8
*** Tabù ***


Mercoledì sera è la serata giochi tra amici, a casa di Alberto. Come ogni settimana si ritrovano seduti al tavolo dopo aver mangiato sushi con un gioco in scatola, qualche bicchiere di vino e la televisione accesa su un talk show o un programma trash e improbabile. Quella sera avrebbero dovuto giocare a Taboo  però l’unico ad avere il gioco, Giulio, si è dimenticato di portarlo, motivo per cui si è dovuto ripiegare sulla solita partita a Trivial Pursuit. Il gioco in questione è piuttosto datato, si tratta di una vecchia edizione Deluxe del 1984, che Alberto ha preso da suo fratello maggiore. Il vero divertimento è ridere dell’assurdità delle domande proposte e soprattutto di quanto esse siano antiquate e obsolete, specialmente quelle storiche. 
 
-Qual è il nome del “Trombettiere di Cittiglio” campione del Giro d’Italia?
 
Legge Andrea, inceppandosi sulla parola trombettiere. Tutti si guardano attorno con aria attonita. Giulio scoppia a ridere.
 
-Ma che cos’è?
 
Andrea posa la carta sul tavolo, rivolta verso il basso per non far leggere la risposta.
 
-Io sono troppo giovane per queste cose.
 
Commenta, soddisfatto, pavoneggiandosi per il fatto di essere il più giovane del gruppo.
 
-Ma io credo che neanche mio nonno lo sapesse!
 
Esclama Luca, a cui è rivolta la domanda. 
 
-Cambio. Fammene una di Storia.
 
Andrea scuote il capo.
 
-No no. Sei sulla casella Sport e rispondi a questa. 
 
Ribadisce con un sorrisino. È l’unico dei quattro ad aver conquistato un punto, avendo ricevuto una domanda abbastanza semplice sull’Impero Romano. 
 
-Ma praticamente non so nemmeno cosa sia il Giro d’Italia!
 
Si lamenta Luca. 
 
-Se non la sai, passa.
 
Suggerisce Alberto, che nel frattempo si sta arrotolando una sigaretta. Stefano è seduto accanto a lui, tra poco sarà il suo turno. 
 
-Boh… Pantani?
 
Risponde Luca, ben poco convinto. Gli altri ragazzi ridono della sua risposta, ovviamente sbagliata. 
 
-Sbagliata! La risposta era Alfredo Binda. Ste, tocca a te. Tira!
 
Stefano tira i dadi, esce il numero sei e la casella sulla quale finisce la sua pedina è quella della categoria Spettacolo. Sbuffa. Con delle domande così assurde una categoria vale l’altra, l’unica opportunità per vincere è avere la fortuna di trovare una domanda generica. Alberto sogghigna.
 
-Figurati, ti chiederà il nome di una ballerina della Scala del ’37. 
 
Nel frattempo ha finito di preparare la sua sigaretta ma aspetta che Stefano risponda e, presumibilmente, sbagli la risposta, prima di uscire a fumare. 
 
-Chi è il famoso attore genovese, noto per aver interpretato opere come “Pignasecca e Pignaverde” e “Colpi di timone”?
 
Legge Andrea. 
 
-See vabbè… 
 
Commenta Giulio. Stefano sorride, per quanto assurdo possa sembrare, conosce la risposta a quella domanda. Si tratta di un attore teatrale particolarmente apprezzato dai suoi genitori, i quali avevano anche diverse VHS di alcuni spettacoli registrati e mandati in onda dalla RAI nei primi anni ’80. 
 
-Gilberto Govi. 
 
Risponde soddisfatto. Andrea controlla la risposta sul cartoncino. 
 
-È giusto.
 
Afferma, incredulo. Luca e Giulio lo guardano stupiti. 
 
-No, hai barato. Hai letto la risposta.
 
Lo accusa Luca. Anche Giulio è d’accordo con lui.
 
-Ma come avrei potuto barare? Mica ci vedo fino a lì, Andrea è seduto al capo opposto del tavolo!
 
Si difende Stefano.
 
-Sì comunque Albe, basta con sto gioco di merda. O ne prendi uno aggiornato o lo fai sparire. È più vecchio di tutti noi!
 
Si lamenta Giulio. Andrea nel frattempo sta sfogliando il mazzo con le domande e a giudicare dalle smorfie sul suo viso, devono essere tutte dello stesso livello di quelle appena lette. 
Alberto si alza dalla sedia. 
 
-Se tu avessi portato Taboo, magari! Ma sei sempre il solito: rompi quando le cose devono farle gli altri e quando tocca a te non fai mai un cazzo.
 
Lo rimprovera. Non è la prima volta che Alberto e Giulio battibeccano, è uno dei motivi per i quali Stefano è convinto che ci siano delle tensioni irrisolte tra i due amici, che sia successo o che sarebbe dovuto succedere qualcosa tra loro, prima che lui entrasse a far parte del gruppo, quando Giulio ancora lavorava alla Marabelli. Ogni volta si ripromette di indagare sulla cosa ma poi lascia correre, per evitare di rovinare l’armonia del gruppo.
 
-Ma sono le dieci e mezza! Da stasera c’è la nuova stagione di Dr. Pimple Popper su Real Time!
 
Esclama Andrea, balzando dalla sedia e precipitandosi a recuperare il telecomando. Anche Luca e Giulio sembrano interessati e si girano in direzione del televisore, mentre Andrea si butta direttamente sul divano, dopo aver cambiato canale e aver alzato notevolmente il volume.
Stefano trova il programma disgustoso e disturbante, non riesce a capire perché le persone, anche i suoi amici, provino gusto a vedere schiacciare disgustosi brufoli purulenti o punti neri. Anche Alberto sembra non apprezzare il programma, osserva schifato un fotogramma sullo schermo della tv. 
 
-Io mi fumo una siga. Ste…?
 
Stefano accetta, si tratta sicuramente di un’alternativa migliore a quel terribile programma televisivo. La serata è trascorsa piuttosto velocemente, si tratterrà ancora per poco e poi andrà a casa, per riposarsi. La giornata al lavoro è stata stressante. D’istinto pensa a Paolo, gli aveva detto che avrebbe avuto due giorni di lavoro molto intensi. Non ha ricevuto da lui alcun messaggio in tutta la giornata e controllando sul gruppo WhatsApp della squadra si è accorto che non ha risposto né visualizzato ad alcun messaggio oltre mezzogiorno. Vorrebbe scrivergli un lui, chiedendogli se i suoi impegni siano andati per il verso giusto, ma ha sempre paura a fare la prima mossa. Non vuole risultare invadente né mostrare un interesse eccessivamente morboso nei suoi confronti. 
 
-Non mi hai detto nulla del tuo biondo oggi… come mai?
 
Chiede improvvisamente Alberto, quasi leggendogli nel pensiero. È appoggiato con entrambi i gomiti sulla ringhiera del balcone, con la sigaretta tra le dita della mano destra. 
 
-È molto impegnato con il lavoro, non l’ho sentito…
 
Confessa, dando voce ai propri pensieri. Osserva Alberto e riesce a vedere una smorfia sul suo viso.
 
-Già! Superuomo, lui… 
 
Commenta, in tono sarcastico. Prende una boccata e poi la passa a Stefano che esita prima di accettarla. L’ha visto prepararla poco fa al tavolo e crede non ci sia nulla di strano ma con Alberto non può esserne mai certo.
 
-Solo tabacco, giuro. 
 
Lo rassicura lui, appoggiando la mano libera sul cuore, come se stesse facendo un vero giuramento. Stefano lo guarda dubbioso, dopodiché accetta. 
 
-E dimmi, quale mansione importante potrà mai avere? Sta lavorando a un progetto confidenziale con la NATO per salvare il mondo? 
 
Chiede. Stefano fa per ribattere ma Alberto prosegue.
 
-Dobbiamo sperare che le guerre, l’inflazione e l’odio razziale finiscano grazie all’intervento di Paolo Cazzogrande?
 
Stefano per un attimo non si strozza per ciò che ha appena detto Alberto. Inizia a tossire, il fumo gli è andato per traverso.
 
-Che c’è? Mi hai detto tu che le ragazzine lo chiamavano così… 
 
Domanda Alberto, fingendosi ingenuo e riprendendo nel frattempo la sigaretta dalle dita di Stefano. 
 
-Sei un deficiente!
 
Lo rimprovera Stefano, dopo essersi ripreso. Riesce a scorgere un sorriso compiaciuto sulle labbra di Alberto, poco prima che vengano nascoste dalla sigaretta. 
 
-Comunque, non saranno le Nazioni Unite, la NATO o chi vuoi tu… ma lui ha davvero un lavoro di alta responsabilità. Ha un suo team con il quale sta lavorando a un progetto di sicurezza informatica, molto costoso e impegnativo. 
 
Spiega. Alberto non sembra essere molto colpito dalle sue parole.
 
-Va bene, va bene. Non eccitarti troppo Ste, che ti bagni le mutandine. 
 
Risponde, prendendolo in giro. Stefano vorrebbe rispondergli a tono, non sopporta quando Alberto non lo prende sul serio. Tuttavia non riesce a trattenersi dalle risate e si limita a dargli una gomitata.
 
-Piantala!
 
Esclama. Per qualche minuto nessuno dei due apre bocca, rimangono in totale silenzio con lo sguardo fisso davanti a loro. Alberto finisce la sua sigaretta, mentre Stefano ne approfitta per prendere il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans per controllare se Paolo gli ha scritto qualcosa. Non c’è alcun messaggio da parte sua. Sospira e blocca il telefono, rimettendolo in tasca.
 
-Almeno un messaggio te lo potrebbe mandare… 
 
Commenta Alberto, avendo sicuramente intuito i suoi pensieri. Stefano vorrebbe raccontargli dell’incontro del giorno prima con Paolo, del fatto che venerdì cenerà con la sua ex e di come questa informazione l’abbia turbato, probabilmente più del dovuto. Apre la bocca nel tentativo di confidarsi e di esprimere le sue preoccupazioni ma ci ripensa. 
 
-Credo sia arrivato il momento di andare a casa. Sono un po’ stanco…
 
Afferma. Alberto gli rivolge un’occhiata preoccupata.
 
-Tutto bene?
 
Stefano abbozza un sorriso e annuisce col capo, dopodiché si gira e rientra in casa per recuperare il giacchetto in pelle e salutare gli altri ragazzi. Sono tutti e tre impegnati ad osservare il programma alla TV, nessuno si è accorto del fatto che sia rientrato. Giulio ha preso posto accanto ad Andrea sul divano, il quale per non rinunciare alle comodità è rimasto sdraiato con le gambe distese sulle ginocchia di Giulio, Luca è ancora seduto sulla sedia ma l’ha spostata più vicino alla televisione, dando le spalle al tavolo. 
 
-Ragazzi, io vado.
 
Esclama, richiamando la loro attenzione. 
 
-Di già? Non rimani per una partitina a Scala? Tanto dura poco il programma…
 
Domanda Luca, girandosi a tre quarti verso di lui. 
 
-Ho bisogno di sdraiarmi un po’… voi rimanete a guardare quella schifezza.
 
Risponde. Intanto anche Alberto è rientrato in casa.
 
-Ci vediamo sabato al Vogue. Vero, Ste?
 
Chiede, rimanendo dietro di lui, dandogli un buffetto vigoroso sulla spalla. 
 
-Va bene. ‘Notte raga.
 
Saluta, gettandosi il giubbotto sulle spalle. I ragazzi rispondono al suo saluto, tornando subito a concentrarsi sul programma TV. 
 
-Scrivi quando arrivi a casa. 
 
Esclama Alberto, ancora in fondo alla stanza, vicino alla porta balcone. Non è la prima volta che gli chiede di avvisarlo quando ritorna, solitamente però lo fa quando è molto tardi, perché la zona in cui si trova l’appartamento di Alberto non è troppo tranquilla e la stazione metropolitana, dopo le dieci di sera, si popola di soggetti poco raccomandabili. Percepisce però una nota di preoccupazione, Alberto deve essersi accorto che qualcosa lo turba.
 
Il rientro a casa è tranquillo, Stefano scrive ad Alberto di essere arrivato, appena dopo aver varcato il cancello d’ingresso. Quest’ultimo gli risponde subito, augurandogli la buonanotte. 
Si toglie il giubbino e lo appende all’ingresso, sfila le scarpe e prima di salire al piano superiore va in cucina per prendere un bicchier d’acqua. Appoggia il telefono sull’isola della cucina e prende un bicchiere dallo scolapiatti, risciacquandolo prima sotto il rubinetto. Proprio in quel momento il suo cellulare vibra facendolo sobbalzare e rischiando che il bicchiere gli scivoli dalle mani. Lo afferra immediatamente e subito il suo cuore inizia a battere forte, leggendo il nome “Paolo 🍆”  sullo schermo. Lo apre con impazienza.
 
“Hai mai visto uno zombie? 🧟‍♂️
 
“No…  😕
 
Eccolo.”
 
Il messaggio è seguito da una foto di Paolo, un primo piano a mezzo busto, che lo ritrae seduto su un divano in pelle beige. I capelli sono spettinati, il viso appare sicuramente stanco e provato ma Stefano non oserebbe mai definirlo “uno zombie”.  Allarga l’immagine con le dita zoomandola, per poter cogliere meglio i dettagli. Sta indossando una maglietta verde militare a costine strette con due bottoncini bianchi lasciati aperti sotto al collo e riesce a intravedere dei pantaloni a quadri neri e bianchi in fondo alla foto, probabilmente si tratta di un pigiama. Lo zoom incredibilmente preciso del cellulare gli permette di vedere nel dettaglio la pelle del viso di Paolo e riesce a scorgere un filo di barba incolta, sebbene molto chiara. Passa poi al piercing al sopracciglio, che è tornato ad essere la doppia pallina metallica, questa volta non più argento ma oro rosa. 
Scrive e cancella diversi messaggi prima di decidersi a premere invio, sono moltissimi i pensieri che affollano la sua testa, tante le cose che vorrebbe e potrebbe dirgli ma si trattiene e cerca, ancora una volta, di essere più neutrale possibile. 
 
“Giornata pesante?”
 
Paolo non risponde subito ma osservando in alto nella chat, appena sotto il suo nome, si accorge che sta registrando un messaggio vocale. Stefano ne approfitta per bere il suo bicchier d’acqua e per salire al piano superiore per prepararsi per la notte. 
Posa il cellulare sul comodino, accende l’abat-jour e va subito in bagno per darsi una rinfrescata, si lava i denti e si infila il pigiama, per potersi mettere nel letto comodo ad ascoltare il messaggio di Paolo. Quando ha finito, si mette sotto le coperte, prende il telefono e lascia riprodurre il messaggio. 
 
-Pesante è un eufemismo. Sono rientrato a casa alle otto, la riunione con il team è durata tantissimo… però sono convinto di essere riuscito a farmi capire e a trasmettere alla mia squadra quali sono i miei obiettivi e le mie aspettative per domani. Mi sono fatto una bella doccia calda, giusto per rimettermi al mondo e… mi sono piazzato davanti al pc per finire le ultime cose per la presentazione di domani. Ho mangiato un panino alla scrivania, neanche fossi in ufficio. Anzi, ho lasciato ancora il piatto vicino al pc… dovrei decidermi a prenderlo e metterlo in lavastoviglie ma così bene qui sul divano… 
 
Ascoltare la voce di Paolo nel letto, a casa sua, per Stefano ha un qualcosa di eccitante, di intimo. Preme il tasto di registrazione di vocale per registrare un messaggio a sua volta ma poi ci ripensa. Non vuole dire qualche sciocchezza, vuole dare a Paolo risposte mirate e pensate. 
 
“Quindi è andato tutto bene! Sei agitato per domani?”
 
Paolo risponde di nuovo con un vocale, questa volta più breve. 
 
-Sì, è andata anche meglio del previsto… calcola che io parto sempre prevenuto, con la speranza di ricredermi e… così è stato! Per domani… più che agitato sono in ansia. Ci tengo davvero molto a questo progetto, è la mia piccola creatura e se qualcosa dovesse andare storto, se gli investitori e soci dovessero per qualsiasi motivo tirarsi indietro… non so come potrei prenderla. 
 
Il tono di voce di Paolo è molto serio e profondo. Stefano cerca le parole giuste per cercare di infondergli coraggio.
 
“Tu sei un top player, in qualsiasi campo. Ti porterai a casa anche questa vittoria, vai tranquillo!”
 
Paolo si limita a rispondere un con un emoji.
 
“🤗” 
 
Teme di aver esagerato, di essere risultato troppo patetico. Poco dopo però vede che Paolo sta di nuovo registrando un messaggio.
 
-Grazie per la fiducia, ne ho bisogno. Comunque… tu cos’hai fatto stasera? Hai giocato a Scala?
 
Stefano risponde raccontando della serata con gli amici, della partita a Trivial Pursuit, del fatto che Giulio si fosse dimenticato di portare il gioco con cui avrebbero dovuto giocare quella sera. È una strana sensazione, scrivere a qualcun altro di ciò che ha fatto con il suo gruppo di amici, perché è da sempre abituato a tenere le sue amicizie ben lontane e separate. Non parla mai a nessuno della squadra dei suoi mercoledì con gli amici né ovviamente delle sporadiche uscite per locali, così come non racconta mai agli amici di ciò che fa con il gruppo di calcetto. Paolo si colloca quasi a metà tra questi due mondi, è l’unica persona fino ad ora ad aver occupato quel posto nella sua vita. Basterebbe poco per permettergli di far parte di entrambi, eppure non ne è sicuro, non si sente pronto.
I due rimangono a scambiarsi messaggi e vocali per circa un’ora, parlando di giochi da tavolo, giochi di carte e infine di serie televisive. 
 
-Mi spiace ma comincio seriamente a far fatica a tenere aperti gli occhi. Ti devo salutare…
 
Stefano guarda l’orario sulla sveglia posata sopra il comodino e segna quasi le due. Non si era accorto di aver trascorso così tanto tempo al cellulare. Si sentiva stanco e un po’ assonnato a casa di Alberto e lo era anche poco prima di entrare in casa. Eppure, ora, potrebbe continuare a chiacchierare con Paolo fino all’alba. 
 
“In effetti è un po’ tardi…”
 
Scrive, sinceramente dispiaciuto di chiudere la conversazione.
 
-Buonanotte Ste. Ci sentiamo domani.
 
“A domani.”
 
Risponde, riuscendo ad addormentarsi solo una decina di minuti più tardi, con il sorriso sulle labbra.
 
 
Il giorno successivo Stefano rimane in attesa di ricevere un messaggio da parte di Paolo, è più rilassato perché si sono salutati dandosi appuntamento all’indomani. Svolge normalmente le sue attività e al termine del lavoro si concede un piccolo aperitivo in un bar vicino all’ufficio con Alberto, il quale gli ricorda ancora una volta di presentarsi alla serata in discoteca con gli altri amici. 
 
-Giuro che se non vieni ti vengo a prendere a casa, mi attacco al citofono finché non esci, al costo di far uscire tutti i tuoi vicini di casa. 
 
Esclama, mettendosi comodo sulla sedia di vimini su cui è seduto. Il clima è tutto sommato piuttosto gradevole, il che rende possibile prendere l’aperitivo nell’area esterna del bar, una piccola terrazza molto riservata, con muri alti coperti da piante rampicanti, fiori di diverso tipo e tavolini in vimini e legno in puro stile Bohemian Chic. Stefano non è un gran fan di quel tipo di arredamento, preferisce linee più regolari, moderne e industriali ma il locale offre aperitivi ricchi, cocktail originali e ben calibrati e prezzi contenuti. Inoltre in un ambiente del genere, se non ci si focalizza troppo sugli enormi palazzi in cemento circostanti, non sembra nemmeno di essere in città. 
 
-Ho detto che verrò. Non mi tratterrò molto ma verrò. 
 
Ribadisce Stefano, sorseggiando il suo drink. Si tratta di una bevanda alcolica a base di maracuja, mango e tequila, dal sapore molto estivo. Alberto afferra una patatina, prendendola dal cestino sul tavolo. A breve arriveranno tutti gli spunti inclusi nell’aperitivo.
 
-Ma tanto la tua partita è alle dodici… e poi, mica sei Ibrahimovic che ti devi preparare per il derby.
 
Suggerisce Alberto, mancando di tatto come sempre. 
 
-Mi meraviglio che tu lo conosca…
 
Afferma Stefano, prendendo una patatina a sua volta. Alberto fa spallucce.
 
-Beh… gli uomini interessanti li conoscono tutti. Lui è di un genere che fa sangue… per quanto mi riguarda.
 
Risponde, sorseggiando il proprio drink. Lui al contrario di Stefano è molto più classico, prende sempre un Negroni con poco ghiaccio. 
 
-Sono d’accordo. 
 
Alberto fa una smorfia. 
 
-Davvero? Mi pare di capire che tu abbia gusti un po’ differenti… 
 
Suggerisce. Stefano vorrebbe capire una volta per tutte cosa Alberto ci veda di tanto terribile nell’aspetto di Paolo, cerca di ribattere ma viene interrotto dal cameriere. 
 
-Perdonate l’attesa, ecco il tagliere di salumi e formaggi. 
 
Spiega, posando un vassoio in legno ricco di tartine, tramezzini e vol-au-vent. Il cameriere è un ragazzo molto giovane, sicuramente al di sotto dei venticinque anni, è alto e ha un fisico snello e longilineo. Il suo viso conserva ancora dei tratti fanciulleschi, pelle liscia e luminosa, priva di rughe e segni del tempo, nessun filo di barba e un profilo dalle linee morbide. Il suo bel viso è quasi nascosto da un cespuglio di capelli ricci castani molto fitti, dello stesso colore dei suoi occhi. È il tipo di ragazzo che solitamente attrae Alberto, il quale non perde l’occasione per flirtare. Approfitta della vicinanza con il cameriere e gli posa una mano sull’avambraccio.
 
-Ti ringrazio, tesoro. Posso sapere il tuo nome?
 
Gli chiede, con tono di voce basso e suadente. Il ragazzo non sembra essere abituato a quel tipo di approccio e immediatamente il suo viso cambia colore, persino le orecchie arrossiscono. 
 
-Mi chiamo Nicolò. 
 
Risponde, rimanendo chino sul tavolo, come se il tocco di Alberto lo paralizzasse. 
 
-Alberto, piacere. 
 
Il ragazzo apre la bocca, probabilmente per ribattere ma Alberto continua a parlare, togliendo però la mano dal suo braccio.
 
-È il tuo cellulare quello, Nicolò?
 
Chiede, indicando il telefono che spunta dalla tasca dei pantaloni del cameriere. Il ragazzo annuisce.
 
-Lo puoi sbloccare?
 
Domanda Alberto. Il ragazzo sembra quasi sotto ipnosi. Meccanicamente prende il cellulare e lo sblocca, senza nemmeno chiedere il motivo di quella richiesta. Anche Stefano rimane immobile a osservare la scena. Con rapidità Alberto prende il cellulare dalle mani di Nicolò e inizia comporre il suo numero, dopodiché lo restituisce al ragazzo.
 
-Fammi uno squillo, quando stacchi da qui.
 
Aggiunge, rivolgendogli un sorriso. Nicolò, ancora rosso in viso, annuisce e anche sulle sue labbra si palesa un sorriso. 
 
-Oh e… ti spiacerebbe portarci delle noccioline, tesoro? 
 
Aggiunge Alberto, cambiando rapidamente tono di voce.
 
-Arrivano subito.
 
Risponde Nicolò, ritornando in posizione eretta e riprendendo un colorito più roseo, come se fosse terminato l’effetto di un incantesimo. 
Non è la prima volta che Stefano assiste ad un approccio tra Alberto e un ragazzo di suo interesse ma ogni volta ne rimane incredibilmente stupito. 
-E la serata ce la siamo portata a casa… 
 
Commenta Alberto, bevendo un altro sorso di Negroni, stiracchiandosi sulla sedia. 
 
-Sei incredibile. Credi che ti chiamerà?
 
Domanda. Alberto inarca le sopracciglia.
 
-Ne sono sicuro. E vedi di imparare qualcosa, tu!
 
Suggerisce.  Stefano gli rivolge uno sguardo confuso, prende una tartina dal vassoio e la accompagna con un sorso del suo cocktail.
 
-Se il tuo biondo fosse capitato a me, l’avrei aperto in due come un’albicocca, in meno di due giorni.
 
Stefano per poco non si strozza. Ingoia rapidamente il boccone che stava mangiando. La schiettezza e i modi diretti di Alberto si presentano sempre in modo inaspettato. 
 
-Tranquillo, non è per niente il mio tipo. Con tutta quella ferraglia addosso… 
 
Aggiunge. 
 
-Non ti piacciono proprio i piercing, eh?
 
Chiede Stefano. 
 
-Li trovo aberranti. Quello sulla lingua poi… è come tenersi in bocca un cucchiaino da caffè tutto il tempo, disgustoso.
 
Commenta. In quel preciso momento Stefano sente vibrare il cellulare, nel taschino interno della giacca. Lo prende e nota con piacere che si tratta di un messaggio da parte di Paolo. 
 
“Sto per fare la mia presentazione… augurami buona fortuna.”
 
Non perde tempo e gli risponde immediatamente. Nel frattempo è ritornato il cameriere a portare le noccioline richieste da Alberto, il che lo tiene impegnato e non gli dà il tempo di fare domande. 
 
“Buona fortuna… 🍀 anche se non ti serve. Vai e segna! 🏆”
 
“🤞”
 
Dopo l’aperitivo Stefano torna direttamente a casa, è sazio e non sente il bisogno di cenare. Si fa subito una doccia e si mette il pigiama. Non ha impegni per la serata, che trascorrerà giocando a FIFA e poi salirà a letto, per leggere un libro. Osserva l’orologio che segna le nove e mezza. Si chiede come sia andata la presentazione di Paolo. L’ultimo messaggio che gli ha scritto, durante l’aperitivo, risale alle 18.45. Possibile che non abbia ancora finito? Cerca di non pensarci troppo, proseguendo con il suo programma serale. 
Alle dieci e mezza spegne la PlayStation e sale al piano superiore, con una tazza di camomilla in mano, pronto per andare a letto. Spegne le luci, posa la tazza sul comodino e si infila sotto le coperte, lasciando accesa solo la luce dell’abat-jour. Dopodiché prende il libro che ha iniziato a leggere, “The Outsider”, di Stephen King. Riesce appena ad aprire la pagina dove ha infilato il segnalibro, poiché viene interrotto dalla vibrazione del cellulare, posato accanto alla tazza di camomilla. Si tratta di un messaggio di Paolo.
 
✌️🏆💥 VITTORIA!!”
 
“Davvero??”
 
“Posso chiamarti?”
 
Stefano ha un tuffo al cuore. Non si aspettava una richiesta del genere, a quell’ora. Non ha mai parlato al telefono con lui, nonostante si siano sentiti più volte per messaggio e abbia ricevuto diversi messaggi vocali da parte sua. La situazione lo agita decisamente più del necessario. 
 
“Certo.”
 
Risponde, con po’ di esitazione. Dopodiché si mette a sedere, appoggiando la schiena alla testiera del letto, attendendo la chiamata di Paolo che arriva subito, pochi istanti dopo che la spunta di “messaggio letto” diventa blu. 
 
-Pronto…?
 
-Ehi… ti disturbo?
 
Domanda Paolo, con voce bassa. 
 
-No, stavo solo leggendo… dimmi tutto. 
 
Risponde, cercando di mostrarsi più rilassato possibile. 
 
-Oh… ok. Volevo scriverti prima ma dopo la presentazione mi sono permesso di portare il mio team a mangiare una pizza, per ringraziarli. 
 
Spiega.
 
-È durato molto l’incontro?
 
Chiede Stefano.
 
-Sì. Ho finito il tutto alle otto e mezza e…. non ci credo  ancora di aver ricevuto l’ok. Ho parlato per un’ora e mezza… grafici, interventi dei vari membri mio team, dimostrazioni… non avevo più fiato in gola. Alla fine quando ho esaurito le cose da dire mi sono bloccato… non sapevo più cosa fare. 
 
Spiega, tutto d’un fiato. La voce rimane bassa ma riesce a percepire chiaramente l’eccitazione nelle sue parole. 
-E poi cosa è successo?
 
-Per fortuna Adriana, una ragazza del mio team, si è accorta della mia difficoltà. Si è alzata e ha suggerito agli investitori di fare delle domande pratiche anche a loro, in caso di dubbi. Non l’avevamo concordato e… mi ha salvato, davvero. 
 
Confessa. 
 
-Oh… e loro cosa hanno fatto?
 
-L’hanno ringraziata ma hanno detto di aver sentito tutto ciò di cui avevano bisogno. Hanno chiesto un quarto d’ora di briefing tra di loro, prima di comunicare impressioni e decisioni finali. Si sono chiusi nell’ufficio e dopo ben mezz’ora mi hanno chiamato, da solo. In quel momento mi sono sentito come sotto interrogatorio… Loro tutti seduti uno accanto all’altro e io da solo a capo tavolo, in piedi.
 
Stefano riesce a immaginare chiaramente la scena anche se è sicuro che Paolo non abbia dimostrato alcuna insicurezza e nessun timore durante l’incontro. Non riesce a immaginarselo timoroso, dubbioso o insicuro. 
 
-Alla fine hanno commentato i punti di forza e di debolezza del mio progetto e senza troppi giri di parole hanno detto di essere tutti concordi nel darmi la possibilità e finanziare la mia idea. Inizierò a lavorarci già da fine mese. Non mi sembra vero…
 
Le sue parole sono cariche di gioia, la sua emozione traspare. 
 
-Te l’ho detto che sei un campione e che sarebbe andata bene. Io non so nulla del tuo progetto, né credo di poterne capire qualcosa ma… per quello che ho capito di te e da ciò che mi ricordo anche ai tempi del liceo, sei una persona di grande valore. Ti meriti tutto il successo che stai raccogliendo. 
 
Stefano crede sinceramente nelle sue parole. Il suo cuore continua a battere senza controllo, mentre pronuncia il suo discorso, quasi tutto d’un fiato. Paolo rimane in silenzio per qualche secondo prima di rispondere, pare essere colpito da ciò che gli ha appena detto.
 
-Così mi fai arrossire, però!
 
Commenta, con forse un po’ d’imbarazzo, fa una breve pausa e riprende a parlare seriamente.
 
-Ti ringrazio. Per quello che hai detto e per avermi ascoltato e tenuto compagnia. Vuol dire tanto per me, davvero.
 
Il ringraziamento di Paolo risuona sincero e onesto e Stefano non sa più come rispondere. Fortunatamente è di nuovo lui a parlare. 
 
-Comunque… domani altra bella batosta. Ti devo dire sinceramente che ho vissuto con meno apprensione questi appuntamenti, rispetto all’incontro di domani sera. 
 
Stefano si era momentaneamente dimenticato della cena tra Paolo e la sua ex moglie, programmata per l’indomani. Nei giorni precedenti avevano parlato d’altro e nonostante ne fosse seriamente preoccupato, gli era sfuggito di mente. 
 
-Devi andarci per forza?
 
Dopo aver posto quella domanda spalanca gli occhi e si porta la mano alla bocca. Quel pensiero gli è sfuggito, non voleva dirlo ad alta voce 
 
-Purtroppo sì. 
 
Risponde Paolo, apparentemente non infastidito da quella sua domanda. 
 
-Beh… se hai passato l’incontro di oggi con gli investitori, domani dovrebbe essere una passeggiata. 
 
Esclama Stefano, cercando di rassicurarlo. Riesce a sentire Paolo sospirare dall’altro capo del telefono.
 
-Vorrei tanto che fosse così… ci sono tante, troppe, cose in ballo e una sola mossa sbagliata da parte mia mi costerebbe davvero cara. Non parlo solo di assegni o denaro. È una situazione scomoda e delicata.
 
Stefano inizia a domandarsi cosa possa mai essere successo tra Paolo e la sua ex moglie, per turbarlo cosi tanto. Non è la prima volta che definisce in termini drammatici il proprio divorzio e la propria relazione con la ex. Vorrebbe indagare, sapere qualcosa di più ma non vuole correre il rischio di essere invadente. Inizia a chiedersi cosa possa aver fatto Paolo per ritrovarsi ora ad avere così paura di quella donna e delle sue azioni. Vorrebbe inoltre capire chi sia la sua ex moglie. Ha cercato informazioni su Facebook, analizzando il profilo di Paolo, tuttavia non ha trovato nulla che la riguardasse. 
 
-Mi spiace. Se posso esserti d’aiuto in qualche modo…
 
Non sa cos’altro dire. 
 
-Credo che nessuno possa fare nulla, al di fuori di me. Ti ringrazio lo stesso. 
 
Per un attimo nessuno dei due parla. L’introduzione di quell’argomento nella loro telefonata ne ha cambiato irrimediabilmente il tono. 
 
-Comunque… non voglio disturbarti oltre. Ti lascio leggere il tuo libro in pace.
 
Conclude Paolo. 
 
-Nessun disturbo, figurati.
 
Ribatte Stefano, in realtà sollevato che sia stato lui a chiudere il discorso. 
 
-Grazie, Ste. Buonanotte. Ci sentiamo domani.
 
-Buonanotte, a domani.
 
Stefano lascia scivolare il telefono sul letto, dopo aver terminato la telefonata. Il libro che stava per leggere è ancora appoggiato, aperto, sulle sue gambe ma non ha più alcuna voglia di leggerlo. Continua ad essere preoccupato per l’incontro tra Paolo e la sua ex moglie e l’atteggiamento cauto e timoroso di lui aumenta le sue preoccupazioni. Si chiede se sia il caso di chiedere a sua sorella Elena se sa qualcosa della ex moglie di Paolo anche se dubita che siano rimasti in contatto, in tempi recenti. Sicuramente gliene avrebbe parlato a pranzo dai loro genitori, la domenica. Chiude il libro, lo posa sul comodino e scivola con la schiena lungo il materasso, decidendo di provare a dormire.

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Capitolo 9
*** Angoscia ***


La mattinata di lavoro scorre lenta. Non c’è molto da fare quel giorno, a causa di alcuni scioperi delle case editrici. Stefano si limita ad autorizzare e ordinare una serie bonifici, il classico lavoro del venerdì entro le dodici, in modo che tutto possa essere completato prima della chiusura del weekend. Alberto ne approfitta per portarsi avanti con i lavori della settimana successiva, effettua alcune telefonate e compila alcuni documenti. 
Stefano osserva il paesaggio grigio, cupo e prettamente autunnale che riesce a scorgere dai finestroni dell’ufficio. Probabilmente è piovuto nella notte perché la strada era umida e l’aria durante il tragitto casa-lavoro era decisamente più frizzante. Nonostante il grigiore, sembra che non pioverà nel corso della giornata e Stefano lo spera, perché la sera ci sarà l’allenamento preparatorio alla trasferta di domenica. Non sopporta giocare sul campo bagnato, specialmente di sera. 
Si sofferma sul profilo di Alberto, impegnato in una telefonata sul cordless dell’ufficio. Deve aver fatto qualcosa ai capelli perché sembrano diversi. I due ciuffi che generalmente ricadono sulla fronte sono un po’ più alti e la riga è un po’ più spostata verso sinistra. È annoiato, riesce a percepirlo dai micro gesti che effettua in modo quasi metodico: si aggiusta il colletto della camicia, si massaggia il ponte del naso con pollice e indice e poi allunga le gambe sotto la scrivania, facendo una smorfia. In quei sei anni di lavoro fianco a fianco ha imparato a conoscerlo bene e a riconoscere i segnali del suo corpo, si chiede se anche Alberto non si sia messo a studiare anche lui allo stesso modo. 
Passa poi a osservare l’abbigliamento, non è elegante come al solito, indossa una camicia bianca  con dei piccoli disegni blu assomigliano a dei gigli fiorentini, non porta il completo ma dei jeans a lavaggio scuro e delle scarpe da ginnastica in velour blu e bianche. Di solito quando indossa degli abiti più casual è perché ha fissato un incontro con qualcuno, un aperitivo seguito da una cena e sicuramente un dopo cena. Si chiede se possa trattarsi del barista del giorno precedente o se abbia già trovato un altro. A volte invidia le abilità sociali e seduttive di Alberto, grazie alle quali non è mai da solo. Eppure esteticamente non poi così appariscente. Certo, ha dei bei lineamenti, il suo aspetto è ben curato e la barba sempre tagliata di fresco, eppure quando escono in gruppo, lui è sempre il primo ad essere notato.
Distoglie lo sguardo e ritorna ad osservare lo schermo del pc. L’orario segna dieci e mezza, solo due minuti più tardi rispetto all’ultima volta che aveva controllato. Sbadiglia, coprendosi appena la bocca con il palmo della mano. 
 
-Caffè?
 
La voce di Alberto risuona come una melodia piacevole nelle sue orecchie. Si gira e annuisce. Si alzano e raggiungono la macchinetta del caffè, senza dire una parola. Dopo aver preso le rispettive bevande, si siedono al tavolino della caffetteria. L’ufficio è deserto, probabilmente approfittando dello sciopero molti dipendenti si sono presi dei permessi o dei giorni di ferie. Stefano inizia a pentirsi di non averci pensato lui stesso. 
Alberto mescola il suo caffè con lo sguardo basso, non ha ancora detto nulla ed è strano da parte sua. 
 
-Non mi hai ancora detto se il ragazzino ti ha chiamato… 
 
Chiede, deciso a rompere il ghiaccio. 
 
-Certo che mi ha chiamato. Siamo usciti subito ieri sera… niente di speciale. 
 
Risponde, lesinando sui dettagli. Stefano trova insolito questo suo atteggiamento, di solito non vede l’ora di raccontagli ogni cosa, anche i dettagli più scabrosi.
 
-Lo rivedrai anche stasera?
 
Chiede, per verificare che la sua ipotesi sull’abbigliamento casual sia fondata.
 
-No, magari più avanti… stasera sono stato incastrato da Giulio. 
 
Risponde. Sembra piuttosto scocciato.  Stefano lo guarda stupito, inarcando le sopracciglia. Alberto scuote il capo.
 
-Non farti strane idee. Mi ha praticamente obbligato a fargli da accompagnatore a un aperitivo in inglese, organizzato dalla Shenker per la sua banca. Ogni dipendente deve portare un amico o un familiare e lui ha ben pensato di portare me. 
 
Spiega, sospirando. Stefano capisce la scelta di Giulio, poiché sa che Alberto ha vissuto tre anni in Inghilterra, durante l’università. Tuttavia nulla gli toglie dalla testa che ci sia qualcos’altro dietro a questa scelta. Dopotutto anche lo stesso Stefano ha vissuto in Erasmus per sei mesi, ad Aberdeen, durante l’ultimo anno di università e anche Andrea e Luca hanno modo di confrontarsi con la lingua abitualmente. Perché scegliere proprio Alberto?
 
-Beh, tu lo conosci molto bene l’inglese. 
 
Conferma Stefano, sperando che Alberto si lasci sfuggire qualche altro dettaglio. Questi si limita a fare spallucce.
 
-Non era necessario, il livello offerto è così basso che anche un ragazzino di prima media ci sarebbe potuto andare. Anche tu sei stato in Inghilterra, ricordo male?
 
Stefano annuisce.
 
-Scozia, in realtà. Però solo in Erasmus e per sei mesi… tu ci hai vissuto veramente. 
 
Alberto storce il naso.
 
-Non è che vuoi andare tu al posto mio? Te lo cedo volentieri… 
 
Propone Alberto, con un finto sorriso. 
 
-Assolutamente no. Stasera ho gli allenamenti e poi… se l’ha chiesto a te, ci sarà un motivo.
 
Azzarda un po’ nella sua risposta e rivolge uno sguardo di sfida ad Alberto, sperando che la colga e si lasci sfuggire qualche dettaglio. Alberto, però, fa finta di nulla e taglia corto.
 
-Sì, per rompermi le palle. Comunque, ritorniamo in ufficio… questa giornata sembra eterna. 
 
Esclama Alberto, alzandosi dalla sedia della caffetteria e lanciando a canestro, a distanza, il bicchierino da caffè. 
 
 
Seppur a fatica, Stefano riesce a portare a termine la giornata di lavoro. Quando esce dall’ufficio il sole sta già tramontando, anche se le temperature sono leggermente più gradevoli rispetto alla mattina. Si allaccia la giacca a vento fin sotto alla gola e percorre, senza troppa fretta, la strada per la metropolitana. Gli allenamenti sono alle otto, c’è ancora tempo. Appena prima di scendere le scale, sente vibrare la tasca della giacca a vento, dove si trova il cellulare. È un messaggio da parte di Paolo, con una foto.
 
“Pronto al sacrificio. 🫡 ”
 
Stefano si ferma un attimo per osservare con attenzione la foto. D’impulso vorrebbe rispondere “Sei bellissimo”. Ovviamente si trattiene. La foto lo ritrae davanti ad uno specchio a figura intera, probabilmente all’interno di una cabina armadio, a giudicare dagli abiti appesi che si intravedono attorno a lui. Indossa una polo bordeaux a manica lunga, piuttosto aderente, che evidenzia e fa esaltare pettorali e l’addome, con i bottoni bianchi lasciati aperti sotto il collo, al quale porta una collanina in metallo nera molto sottile. Nella parte inferiore porta dei jeans lavaggio scuro, dal gambale ampio ma strappati in più punti. Non riesce a vedere le scarpe ma, a suo avviso, sono il capo decisamente meno interessante da osservare su di lui. I capelli sono pettinati all’indietro, non è il solito styling finto spettinato, che porta generalmente, deve averli acconciati con il pettine e fissati con della lacca. 
 
“Buona fortuna, soldato. 🪖
 
Risponde Stefano, trattenendosi e cercando di risultare sempre imparziale ma simpatico. A volte si chiede se Paolo in realtà non cerchi un suo commento, una sua reazione, quando gli manda delle foto sue personali, oppure se lo faccia solo per metterlo volutamente in difficoltà. Ad ogni modo, non gli dispiace affatto ricevere fotografie sue e gli capita spesso, mentre e in attesa seduto sulla metro, o di notte quando non riesce a prendere sonno, di scorrere la galleria e guardarle. 
 
“😬! Salutami i ragazzi… Ci sentiamo domani.”
 
Ok. A domani...”
 
 
Giusto il tempo di arrivare a casa, farsi una doccia e cambiarsi ed è già ora di uscire. Non è in programma una cena al Bar dello Sport, motivo per il quale Stefano prima di uscire si mangia un panino al prosciutto cotto e una mela, giusto per non allenarsi a stomaco vuoto.
È il primo ad arrivare al campo, appena dopo il mister, così decide di aiutarlo a sistemare i dischetti e a recuperare palloni e pettorine per l’allenamento. La squadra è al completo quella sera, manca soltanto Paolo. Nonostante sia diventato parte del gruppo da poco tempo, la sua assenza si fa sentire, perlomeno Stefano riesce a percepire la sua mancanza. Quando c’è lui è come se fosse circondato da un’aurea, un campo magnetico in grado di attirare tutti quanti. I ragazzi del gruppo gli stanno sempre addosso per chiedere consigli, pareri, scambiare due chiacchiere o proporsi come coppia per allenarsi insieme. Il mister non fa che prenderlo d’esempio e lo utilizza per fare le dimostrazioni e spiegare gli esercizi. L’allenamento senza di lui è decisamente più sottotono, spento e silenzioso. 
Il mister spiega un esercizio di corsa a più ritmi con degli ostacoli di riferimento, provandoli in prima persona. Forma due file e due gruppi, predisponendo il medesimo percorso per ogni fila. L’esercizio consiste nell’arrivare agli ostacoli, effettuare degli stop e tornare rapidamente indietro per poi ripartire, arrivare ogni volta all’ostacolo successivo per poi effettuare uno stop e ripetere. Stefano è uno degli ultimi a provare. Chi termina l’esercizio deve poi allenarsi con i palleggi e passaggi da dietro. Quando è il suo turno Antonio e Diego, i due più rumorosi del gruppo, iniziano a chiacchierare.
 
-Certo che si sente la mancanza di Paolino… sembra un mortorio stasera.
 
Commenta Antonio. Stefano è davanti al primo ostacolo, non vuole distrarsi ma non può fare a meno di ascoltare la conversazione.
 
-Vai! 
 
Urla il mister. Corre e arriva al primo ostacolo e si ferma.
 
-Dietro!
 
Urla di nuovo il mister. Stefano corre indietro.
 
-Eh ma aveva qualcosa di più interessante da fare…
 
Ribatte Diego, con fare malizioso. Antonio ridacchia. Nel frattempo Stefano sta ripetendo il percorso, arriva al secondo ostacolo, si ferma, torna indietro, tutto seguendo le indicazioni, i tempi e i fischi del mister.
 
-Cosa ci scommetti che si fa la ex… stasera?
 
A quelle parole Stefano, che stava ripetendo il percorso per arrivare al terzo ostacolo inchioda. Si trova a metà tra il primo e il secondo ostacolo. Ha sbagliato.
 
-Stefano! Sveglia! Dovevi andare avanti!
 
Lo rimprovera il mister. Stefano con calma ritorna alla partenza.
 
-Scusa, mister. Mi sono confuso.
 
Esclama, facendo un respiro profondo, pronto a ripetere l’esercizio. 
 
-Ma certo. Ha l’aria di uno che le ribalta le tipe… 
 
Stefano nel frattempo corre al terzo ostacolo, si ferma, torna indietro. Non vuole farsi distrarre questa volta. 
 
-Pare che la ex sia anche una gran gnocca… mi sa che la cena è tutta una scusa. Questo ci torna insieme, ve lo dico io…
 
Queste ultime parole pronunciate da Diego hanno un effetto paralizzante su Stefano che, pur riuscendo a inchiodare al quarto ostacolo, appoggia male il piede, portandolo troppo in avanti e si sbilancia, finendo a faccia a terra e travolgendo l’ostacolo davanti a sé. 
 
-Ste! Ma cosa fai?
 
Gli urla Simone, correndo in suo soccorso. Stefano, con imbarazzo, si alza da terra. Le supposizioni e le illazioni dei compagni sulla cena tra Paolo e l’ex moglie aumentano il suo stato di preoccupazione. Si sente turbato e preoccupato e non riesce a fare a meno di pensare a ciò che potrebbe succedere. Si pulisce le ginocchia, verdi per via dell’erba umida e la faccia. Il ginocchio sinistro gli fa un po’ male, deve averlo tenuto in tensione nel momento in cui è caduto a terra. 
 
-Tutto bene, Stefano?
 
Domanda il mister, avvicinandosi con preoccupazione. Non è la prima volta che svolge quell’esercizio e non aveva mai avuto difficoltà, anzi, non ha mai avuto difficolta con nessun esercizio svolto durante gli allenamenti.
 
-Sì è che… sono un po’ stanco oggi. 
 
Spiega, cercando una facile giustificazione, nel frattempo continua a pulirsi nel tentativo di togliersi l’erba e la terra da dosso. 
 
-Vuoi riposarti un attimo?
 
Chiede il mister, posandogli una mano sulla schiena. Stefano accetta.
 
-Sì, bevo un po’ d’acqua e poi ritorno.
 
Risponde, dirigendosi verso gli spogliatoi. Si siede sulla panchina, dove ha posato il proprio borsone, appoggia la testa contro il muro, chiude gli occhi e sospira. Non riesce a togliersi dalla testa le parole dei compagni di squadra. Si immagina Paolo, esattamente come nella foto che ha ricevuto un paio d’ore prima, che sorride e scherza con l’ex moglie, con quel suo sorriso splendente, la fossetta sulla guancia sinistra e gli occhi socchiusi. Lo vede prendere le mani di lei sopra il tavolo, con quel suo tocco morbido, delicato, sempre un po’ tiepido. Infine immagina la fine della serata, lui che l’accompagna sulla porta di quella che è la loro casa da sposati, che la prende per la vita, con la sua presa casuale ma decisa per poi stamparle un bacio sulle labbra, che immagina essere morbide e dolci alle quali nessuno, neanche la ex moglie, è in grado di resistere, al punto da invitarlo ad entrare e concludere la serata, insieme, abbandonandosi alla passione.
Deglutisce, nel tentativo di mandar via quella serie di immagini che non fanno che affollarsi nella sua testa. Apre il borsone e quasi con rabbia prende la borraccia e ne beve un sorso, prende fiato e poi beve un altro sorso. Deve assolutamente calmarsi, non può agitarsi in quel modo. Deve riuscire a terminare l’allenamento e poi a casa… come farà a dormire quella notte? Apre il tappo della borraccia e si getta l’acqua in faccia, con il tentativo di riprendersi, si prende a schiaffi le guance, inspira ed espira finché il suo cuore, che fino a quel momento ha avuto un’altissima frequenza di battiti, inizia a calmarsi, fino ad un istante prima batteva violentemente contro il petto, come se volesse uscirne ad ogni costo. Quando è sufficientemente calmo ripone la borraccia nel borsone, si dà un’ultima sistemata alla divisa e si prepara a tornare in campo. 
 
 
Dopo l’allenamento torna subito a casa, non si è fatto la doccia negli spogliatoi, preferendo quella di casa propria, più calda, più comoda e decisamente più intima. Si concede del tempo in tranquillità, in accappatoio, sul divano, facendo un po’ di zapping, senza trovare nessun programma di suo gradimento. Dopodiché, iniziando a sentir freddo, decide di vestirsi infilandosi il pigiama per la notte. Si prepara e consuma la consueta camomilla, questa volta in cucina, sull’isola, perché il suo comodino ha ormai una gran collezione di tazze che si dimentica ogni volta di riportare in cucina e lavare. Quando sono le undici sale al piano superiore, per mettersi a letto. Naturalmente non riesce a prendere sonno e decide di affidarsi alla riproduzione casuale di Netflix che fa partire una vecchia puntata di Mythbusters non particolarmente divertente, al punto che Stefano si addormenta quasi subito. 
Quando si risveglia è mattina. La televisione è ancora accesa sul salvaschermo che mostra una serie di immagini in riproduzione casuale e l’orario. 
 
11.30
 
Stefano crede di aver letto male. Si sfrega gli occhi, accende la luce e guarda meglio l’immagine. Aveva letto bene. È molto tardi e tra non più di un’ora dovrebbe essere a pranzo dai suoi genitori, a più di quarantacinque minuti da casa. Senza perdere tempo si precipita fuori dal letto, si meraviglia di aver dormito così a lungo. Corre in bagno a sciacquarsi il viso e si veste con gli abiti del giorno prima, ancora puliti. Ritornando in camera dà uno sguardo al cellulare. Spera di trovare un messaggio da parte di Paolo ma non c’è nulla… solo una serie di commenti e di foto sul gruppo del calcetto. Rimane un po’ deluso da quella mancanza di contatto da parte di Paolo e di nuovo nella sua testa avanza il sospetto che possa essere successo qualcosa tra lui e l’ex moglie, durante la sera e la notte. 
 
Chissà se ha dormito là? Chissà se pranzerà con lei?
 
Queste sono solo le prime tra le mille domande che frullano nella testa di Stefano. Tuttavia questa volta, non vuole impazzire, non vuole torturarsi con le supposizioni e le ricostruzioni. Decide di farsi coraggio, vuole scrivergli lui un messaggio per primo. Inizia a digitare sullo schermo e poi si blocca. Vuole mandargli un messaggio vocale, lui lo fa sempre ed è decisamente più rapido. Fa un respiro lungo per prendere coraggio, dopodiché preme il microfono sullo schermo e comincia a registrare.
 
-Buongiorno! Sei sopravvissuto alla battaglia? Io mi sono appena alzato e sto andando a pranzo dai miei. Di solito vado la domenica ma visto che domani non ci sarò ho anticipato. Ieri sera ci sei mancato, il mister ci è andato pesante con l’allenamento! Vedi di essere pronto per domani, perché noi ce la faremo tutta per vincere. 
 
Chiude il messaggio. Per un attimo è tentato di premere il cestino e cancellare tutto ma poi preme invio e blocca il telefono. È già tardi e non può permettersi di perdere altro tempo ad aspettare una risposta da parte sua. Si precipita già dalle scale, prende le chiavi dell’auto ed esce. Ormai solo la domenica deve prendere l’auto per spostarsi, da quando ha cambiato casa non ne ha più avuto la necessità. Sfortunatamente, per raggiungere la casa dei suoi genitori non può fare altrimenti, essendo situata fuori Milano, in una città periferica. Il traffico del sabato mattina è decisamente meno intenso rispetto a quello della domenica, riesce a percorrere la tangenziale senza dover trascorrere eccessivo tempo in colonna ferma.
Appena arrivato parcheggia l’auto davanti al box, come di consueto. La sua casa di famiglia è una bella villetta bifamiliare con giardino, disposta su due livelli. I suoi genitori l’hanno sempre tenuta in ottimo stato, l’intonaco bianco è sempre splendente e non ci sono infiltrazioni o segni d’usura, nonostante abbia ormai trentacinque anni. Si tratta della casa in cui è nato e cresciuto, dove ha vissuto la maggior parte della sua vita e dove ancora vengono conservati tutti i suoi ricordi. Non ha bisogno di citofonare, perché ha ancora le chiavi, il suo personale mazzo di chiavi che si era guadagnato a tredici anni per essersi comportato bene. Apre il cancelletto e viene subito accolto da Biagio, il cane dei suoi genitori, un segugio grigio dal manto liscio come la seta. Ormai ha dieci anni e ha perso un po’ dell’esuberanza che aveva da cucciolo, Stefano abitava ancora in quella casa quando è entrato in famiglia. Non era il primo cane, anzi, era arrivato dopo pochi mesi dalla morte di Roger, il golden retriever con il quale era cresciuto. In famiglia c’era sempre stato un cane, Stefano era abituato alla loro presenza e i suoi genitori hanno sempre trattato gli animali come veri e propri membri della famiglia. Accarezza la testa liscia di Biagio e pensa a quanto gli manchi avere un cane con sé. Quando c’era Roger in famiglia, lui ed Elena e facevano a gara a chi riusciva a tenerlo a dormire nella propria stanza. Anche con Biagio ha avuto occasione di condividere dei bei momenti, pur avendoci vissuto solo un paio d’anni e vedendolo ormai solo una volta a settimana. In più di un’occasione si è ritrovato a pensare a quanto si sentirebbe meno solo in casa, se ci fosse un cane a fagli compagnia. Ha rinunciato all’idea, pensando che non sarebbe giusto lasciarlo solo durante le ore in cui è al lavoro, senza contare le serate e i pomeriggi dedicati al calcetto. 
 
-Ah, mi sembrava di averti sentito arrivare.
 
Esclama sua madre, Maura, presentandosi sulla soglia della porta. Indossa uno dei suoi soliti cardigan multicolore lunghi fino al ginocchio, un paio di leggings neri e delle pantofole con il pelo, grigie e bianche. La madre di Stefano è una donna di sessant’anni che non dimostra affatto la propria età, è di statura media, piuttosto minuta, il che la fa sembrare spesso una ragazzina. Ha dei lunghi capelli nero corvino, tra i quali si scorge solo con difficoltà, qualche capello bianco, sempre lasciati morbidi e vaporosi con onde naturali che le arrivano fino alla schiena. Il suo viso è ovale, liscio e poco segnato. Non è una donna che ama truccarsi o applicare troppi prodotti sul viso ma per sua fortuna la genetica l’ha dotata di una pelle praticamente perfetta ed elastica. Il suo sguardo passa dall’essere molto dolce e tenero, per via dei grandi occhi verde smeraldo, da dare l’impressione di poterti fulminare sul posto, ha il naso piccolo e stretto, leggermente all’insù e una bocca sottile, dalle labbra molto pigmentate, sulle quali sembra sempre di portare un velo di rossetto. 
Stefano ha sempre trovato sua madre una donna estremamente bella e affascinante e avrebbe voluto assomigliarle di più, sia fisicamente sia caratterialmente. Purtroppo non è stato così fortunato ed è decisamente la copia precisa di suo padre, Erio. 
 
-Ecco perché Biagio è scappato fuori.
 
Esclama, Erio, apparendo a sua volta sulla porta, vicino alla moglie. Di qualche anno più grande, ne sovrasta decisamente la figura. È un uomo molto alto e robusto, è sempre stato molto atletico anche se con gli anni, avendo abbandonato le attività di nuoto e pallamano che svolgeva in modo agonistico, si è leggermente appesantito. Il suo viso, squadrato e con tratti pronunciati, è praticamente lo stesso di Stefano, solo con qualche ruga in più, specialmente sulla fronte e vicino agli occhi. I capelli, ora prevalentemente grigi, erano castano scuro. Stefano nota di anno in anno come l’attaccatura dei capelli di suo padre si alzi sempre più, ampliando otticamente la superficie della fronte. Essendo così simile a lui, teme di subire lo stesso destino ed è proprio per questo motivo che ogni mattina, guardandosi allo specchio, si ispeziona l’attaccatura dei capelli con terrore, cercando di tenere segno con il dito, tracciando una linea immaginaria appena sopra le orecchie per accertarsi che non sia cambiato nulla. 
 
-Deve essere sempre il primo a salutare, lui.
 
Risponde Stefano sorridente, continuando ad accarezzare Biagio, chinando giusto un po’ la testa per permettere al cane di leccargli il viso. Dopodiché lo richiama, invitandolo a seguirlo in casa.
 
-Dai, andiamo!
 
Biagio lo segue, continuando a scodinzolare felice. Appena entrato in casa, Stefano viene travolto da un profumo dolce, un aroma alla vaniglia e qualche altra spezia. Deve essere una nuova candela acquistata da sua madre, una delle sue più grandi ossessioni.
 
-Ma’ …. hai comprato un’altra candela?
 
Chiede, chiudendosi la porta alle spalle. Sua madre è rimasta all’ingresso mentre suo padre è già sparito, deve essersi seduto in sala da pranzo. 
 
-Sì! È una Village Candle, un’edizione speciale per l’autunno. L’ho presa anche per te ed Elena, è molto intensa e dura tantissimo! Dopo te la do.
 
Almeno una volta al mese porta a casa una candela nuova, che puntualmente ripone in qualche mobile perché si dimenta di accenderla. Non ha una grande passione per le candele, a differenza di Elena, che condivide la stessa passione della madre. 
 
-Maura, allora! Il forno è suonato da cinque minuti.
 
Urla Ennio, arrivando dalla cucina.
 
-Ma sì, vado. Stavo solo scaldando le lasagne… 
 
Commenta, andando in cucina a sua volta. Il pranzo in famiglia prevede sempre lo stesso menù: antipasti a base di formaggi e affettato, lasagne al forno, arrosto ripieno con uovo e spinaci, patate al forno con rosmarino e una torta. Maura è una brava cuoca ma si limita spesso a cucinare solo ciò che sa che le viene veramente bene, in genere una decina di pietanze molto classiche che Stefano ed Elena mangiano e apprezzano da quando erano bambini. 
Stefano sente vibrare il cellulare nella tasca dei jeans, lo prende subito, pensando possa trattarsi di Paolo ma non è lui, è Alberto.
 
“Stasera pre-serata al pub sotto casa mia, ci troviamo all’ingresso alle dieci.”
 
Sbuffa. Non sopporta più i continui promemoria di Alberto per la serata in discoteca. Non ci vorrebbe proprio andare ma sa che Alberto non glielo perdonerebbe se non si presentasse e continuerebbe a rinfacciarglielo per settimane. Si limita a rispondere con l’emoji di un pollice in su, dopodiché apre la conversazione con Paolo per vedere se almeno ha ascoltato il suo messaggio. Non c’è nessuna spunta, non è stato riprodotto e neanche visualizzato. Sono quasi le tredici, si chiede per quale motivo non abbia ancora preso in mano il cellulare. 
 
-Ste c’è pronto, dai!
 
Lo chiama sua madre. Mette in tasca il telefono e cerca di non pensarci, cercando di concentrarsi sul pranzo con i suoi genitori. Quando arriva in sala da pranzo nota che entrambi sono già seduti, suo padre sta prendendo del salame dal piatto di portata, mentre sua madre sta dando dei pezzetti di prosciutto a Biagio, seduto accanto a lei ad elemosinare cibo come al solito. Stefano si siede al suo solito posto, a capotavola, inizia a servirsi. Trovarsi solo loro tre a tavola è strano e gli ricorda i suoi ultimi anni in casa, quando ormai Elena era andata a convivere con Roberto, suo attuale marito. Nonostante si trovi bene, da solo, a casa propria, il suo cuore si stringe ogni volta che ritorna a casa insieme ai suoi genitori, si sente come se lì il tempo si fosse fermato e ha la sensazione di essere di nuovo lo Stefano di quindici o vent’anni. 
 
-Alura Ste, quand’è che mi porti a casa il moroso?
 
Domanda, in modo totalmente inaspettato, Erio. Stefano si lascia sfuggire di mano il pezzetto di crostata che stava per addentare. 
 
-Ma che domande sono Erio?!
 
Lo rimprovera Maura, probabilmente sorpresa da quella domanda almeno quanto Stefano, sebbene non lo dia a vedere. Entrambi i suoi genitori si sono dimostrati comprensivi e aperti nei confronti della sua sessualità. Già da ragazzo, nel momento di quell’outing forzato a scuola, si erano comportati in modo ragionevole e rassicurante, facendo il possibile per farlo sentire a proprio agio, accettato e al sicuro. Tuttavia Stefano aveva ammesso di essere gay solo all’università e da allora non aveva mai parlato della propria vita sentimentale (non che ci fosse nulla di speciale da condividere) né gli era mai stato chiesto nulla. L’unica a fare domande, a chiedere insistentemente di vedere le foto dei suoi amici e dei ragazzi con i quali usciva, era Elena. 
 
-Quando ci sarà. Se ci sarà… 
 
Risponde Stefano, con diplomazia, recuperando la crostata. La sua risposta non soddisfa Erio.
 
-Come “se”? Datti una mossa che hai passato anche i trenta! Va’ che diventi vecchio anche tu, nanu
 
Incalza. Maura si limita a rivolgere un’occhiataccia al marito, che pare ignorarla.
 
-La Elena alla tua età s’era già sposata da due anni. Adesso c’è anche Riccardino… 
 
Maura dà un calcio a marito da sotto al tavolo.
 
-Che discorsi cretini, ognuno ha i suoi tempi. Lascialo perdere, Ste. Va’ avanti per la tua strada. 
 
Aggiunge, chiudendo definitivamente il discorso anche se Erio fa una smorfia, dimostrando di non condividere il parere della moglie. 
In realtà anche Stefano avrebbe piacere ad avere un fidanzato, un compagno, da portare in famiglia. Elena ha portato in casa Roberto quando avevano entrambi vent’anni, lui era stato in vacanza con loro, aveva trascorso il giorno di Natale, Capodanno e Pasqua a casa loro già dai primi anni di fidanzamento, è praticamente cresciuto insieme a lui ed Elena. Lui non potrà avere quella stessa esperienza con un ipotetico fidanzato perché ha un’età differente, più matura. Non vive più sotto lo stesso tetto dei genitori e decisamente non ha più intenzione di andare con loro in vacanza, a Varazze, dove si trova la loro casa vacanza e dove si recano ogni anno il mese di agosto e svariati weekend estivo-primaverili, da quando Elena e Stefano erano bambini. 
Quasi istintivamente decide di controllare il cellulare, per vedere se Paolo ha risposto o almeno ascoltato il suo messaggio vocale. Apre la conversazione e vede che il messaggio è stato visualizzato e riprodotto da circa venti minuti ma non ha ricevuto alcuna risposta. Ripone il telefono in tasca, prima che i suoi genitori si accorgano di qualcosa e inizino a fare domande. Dopodiché si alza.
 
-Vado un momento in camera, devo vedere se trovo ancora una cosa.
 
Esclama, alzandosi dal proprio posto.
 
-Cosa ti serve?
 
Chiede Maura, alzandosi a sua volta. 
 
-No, niente, un vecchio certificato dell’ECDL, so io dov’è… non ti preoccupare. 
 
La ferma lui, rinvitandola sedersi. Stefano sale le scale e raggiunge la propria camera, che è esattamente come l’aveva lasciata l’ultimo giorno che vi ha dormito. Il letto ovviamente non è preparato, non dovendo dormirci nessuno, è semplicemente coperto da un telo di cotone azzurro per evitare che il materasso si impolveri. Alle pareti sono ancora appesi i poster che Stefano aveva attaccato durante la sua adolescenza: Eminem, John Cena, un poster del film Kill Bill, quello della rosa del Milan del 2003 e uno del Milan del 2007, che ritrae la squadra con la coppa della Champions League e il poster di Maldini, ormai sbiadito, su un’anta dell’armadio, un armadio a ponte dalla forma a U che occupa tre quarti della stanza ed è tappezzato da una serie di foto e adesivi. 
La sua attenzione cade su ciò che stava cercando, la foto della rosa dell’ultimo anno del campionato scolastico di calcetto. La guarda e vede subito Paolo: giovane, biondissimo e bello esattamente come se lo ricordava. Il viso è decisamente più morbido, le guance più rotonde e anche lo sguardo, sebbene sia possibile notarne la brillantezza anche in foto, è diverso: più ingenuo, più innocente. Sta sorridendo e riesce a osservare un accenno di fossetta sulla guancia, esattamente come sul viso del Paolo adulto. Era quindi sempre stata una sua caratteristica, semplicemente Stefano non ci aveva mai fatto caso. 
Non avrebbe mai pensato di ritrovarlo, non avrebbe avuto modo di ripensare a lui, se non fosse stato per il calcetto. Gli viene poi in mente che anche Elena aveva in camera delle foto con Paolo, scattate nel periodo in cui erano nella stessa compagnia e si frequentavano. Cercando di non fare troppo rumore, per evitare che i suoi genitori facciano domande, entra nella camera della sorella che, a differenza della sua, è stata totalmente stravolta. Elena è uscita di casa a ventitré anni, sono quasi dieci anni che non dorme più in quella stanza che nel frattempo è stata utilizzata come deposito. Le ante dell’armadio, però, esattamente come quelle di Stefano, non sono state toccate. Foto e adesivi sono ancora ben incollati e tra questi ne vede una, stampata su un normale foglio di carta, sfocata e di bassa qualità, che ritrae proprio Elena e Paolo. Osservandola si stupisce, non riconoscendo quasi la sorella. Non ricordava che per un periodo avesse portato i capelli corti, molto corti, quasi a spazzola. Riesce persino a notare la somiglianza con sé stesso, vedendola così, a distanza di anni. Eppure aveva sempre pensato che non si somigliassero per niente, ad eccezione del colore di capelli e della carnagione chiara. Gli occhi di Elena sono decisamente più brillanti dei suoi, più verdi e meno nocciola. Paolo invece è esattamente come nella foto della squadra della scuola, stesso taglio di capelli, stessa espressione. Inizia poi a ricordarsi la giornata in cui quella foto era stata scattata, c’era anche lui. Era un pomeriggio al parco, dopo la scuola, in aprile. Elena era in apprensione per l’avvicinarsi della maturità e passavano ogni pomeriggio all’aperto, tempo permettendo, per svagarsi. Quel pomeriggio in particolare si era unito anche Paolo, che si trovava casualmente in zona. Elena aveva immediatamente abbandonato Stefano, che le aveva fatto compagnia fino a quel momento, per stare con Paolo. Stefano si ricorda di aver provato una gran gelosia nei suoi confronti, non aveva ritenuto giusto che sua sorella lo scaricasse così. Ricorda di non aver parlato per tutto il pomeriggio e di essersene rimasto in disparte a guardare i due a ridere e scherzare sulla panchina del parco, abbracciati. Loro non avevano dato troppo peso al suo sentirsi il “terzo incomodo” della situazione e, anzi, gli avevano chiesto di scattare loro una fotografia, quella fotografia, con il cellulare di Elena. Non si era impegnato troppo a farla e credeva di non averli neanche inquadrati, eppure, Elena aveva apprezzato quella foto al punto da stamparla non appena arrivata a casa, tenendola incollata sull’anta del suo armadio per molti anni. 
 
-L’hai trovato, Ste?
 
Urla sua madre, in fondo alle scale, distogliendolo dai suoi ricordi. Stefano sobbalza e per un attimo non ricorda ciò che aveva detto di star cercando. 
 
-No… forse ce l’ho io, devo guardare bene.
 
Risponde, rimanendo sul vago. Dopodiché scende, pronto per ritornare a casa. 
 
 
Il resto del pomeriggio scorre piuttosto velocemente. Arrivato a casa Stefano carica e stende un paio di lavatrici e svolge tutte le faccende domestiche che di solito riserva al weekend. Ogni tanto si ferma per dare un’occhiata al telefono, nella speranza che Paolo gli risponda ma questo non accade. 
Arrivate le sette decide che è il momento di farsi una doccia e prepararsi per uscire. Considerato il pranzo abbondante a casa dei suoi genitori non ha molta fame né ha voglia di mettersi ai fornelli.  Dopo aver scrutato a fondo il contenuto del frigorifero sceglie una busta di insalata, al limite della data di scadenza, che versa in una ciotola, aggiunge una scatoletta di tonno, un pacchetto di mozzarelline ciliegine e un paio di noci, che rompe al momento. Condisce solo con sale e aceto, rigorosamente balsamico, dopodiché si mette a mangiare sulla penisola, direttamente dalla ciotola, senza apparecchiare nulla. Appoggia il cellulare sul bancone accanto a sé e inizia a mangiare. A metà pasto si accorge di aver terminato l’acqua e di non aver più nemmeno una bottiglia in casa, deve prendere una cassa nuova dalla cantina. Non ha voglia di alzarsi e sarebbe tentato di versarsi un bicchiere direttamente dal rubinetto, ci ripensa ricordandosi del pessimo odore dell’acqua corrente, che non usa mai se non dopo di averla bollita. Sbuffa scocciato e poi prende le chiavi della cantina, che si trova fuori, vicino alla porta d’ingresso. 
Prende ben due casse d’acqua, per poterne avere in casa una scorta sufficiente, dopodiché stacca una bottiglia dalla confezione e ritorna in cucina. Nota che il suo cellulare ha lo schermo illuminato. Si avvicina e con sorpresa vede che si tratta di una chiamata persa, da parte di Paolo. 
Paolo non gli telefona mai, di solito comunicano tramite messaggi, l’unica volta in cui l’ha chiamato glielo aveva chiesto. Si domanda per quale motivo debba averlo chiamato, senza prima rispondere al suo messaggio di quella mattina. 
 
“Vorrà raccontare qualche scusa per giustificare di essere con l’ex moglie” 
 
Pensa istintivamente. Vorrebbe richiamarlo. Dopotutto, aspetta una sua risposta da tutta la giornata. Ma perché ora? Perché non rispondere quando ha ascoltato il messaggio? Il suo orgoglio lo frena. Non vuole dare l’impressione di essere rimasto tutto il giorno ad aspettarlo, non vuole fargli capire quanto sia interessato a lui. Dopotutto, perché dovrebbe? Non conosce le reali intenzioni di Paolo nei suoi confronti, perché dovrebbe essere lui a esporsi per primo?
Questi sono tutti dubbi che si affollano nella sua testa. Non vuole pensarci, gira il cellulare in modo da non vedere lo schermo e termina la sua cena. Dopo cena si lava i denti e si veste per uscire. Indossa una delle sue camicie preferite, un paio di jeans scuri e degli anfibi. Prima di uscire passa in cucina per prendere il cellulare ma ci ripensa. Non lo vuole portare con sé. Se lo portasse finirebbe per contattare Paolo e si rovinerebbe la serata. Lo lascia esattamente dov’è ed esce.
Arrivato davanti al locale vede che Alberto lo sta aspettando, con lui ci sono Andrea e Luca. Alberto ha la schiena appoggiata al muro e sta fumando, Andrea e Luca stanno vedendo qualcosa al cellulare.
 
-Buonasera, signori.
 
Esclama, avvicinandosi ai suoi amici. Tutti e tre alzano lo sguardo. Andrea e Luca ricambiano il saluto. Alberto gli va incontro e gli dà un pizzicotto sulla spalla.
 
-Ahi!
 
Esclama Stefano, infastidito dal quel gesto insensato.
 
-Scusa, volevo verificare che fossi veramente tu e non un ologramma. Non vieni mai quando ti invito.
 
Spiega Alberto, con fare spiritoso. Stefano porta gli occhi al cielo, per nulla divertito. 
 
-Ti ho scritto venti minuti fa e non hai risposto.
 
Aggiunge. Stefano in effetti non aveva pensato che Alberto avrebbe potuto chiamarlo o scrivergli, durante il tragitto. 
 
-Ho lasciato il telefono a casa, non l’ho letto. 
 
Risponde. Alberto aggrotta la fronte, deve aver ritenuto sospetto questo suo gesto.
 
-L’ho dimenticato, capita!
 
Risponde, mentendo spudoratamente. Alberto scuote il capo, non ci è cascato. 
 
-C’entra qualcosa lui, non è vero?
Chiede, seccato. Stefano non sa se rispondere sinceramente o trovare un’altra scusa. Probabilmente Alberto insisterebbe per sapere la verità, se non gliela dicesse, motivo per cui sbuffando, decide di confessare.
 
-Mi ha ghostato da ieri, da quando si è trovato a cena con l’ex moglie. Io gli ho mandato un vocale, l’ha ascoltato e non ha risposto. 
 
Alberto fa una smorfia e un’espressione di sdegno.
 
-Bisex del cazzo. 
 
Commenta, prendendo un tiro della sigaretta che fino a quel momento aveva tenuto accesa tra le dita. Stefano non apprezza il suo commento. 
 
-Albe! Non dire così… 
 
Lo rimprovera. Alberto fa spallucce.
 
-Ste, sono tutti così! Ti stanno addosso finché la troietta di turno non gliela fa annusare! Perché sono degli eterni repressi che sperano solo di poter essere “normali”. Noi gli andiamo bene solo quando parte il prurito e la voglia di… 
 
Stefano lo ferma. Non è la prima volta che lo sente esporsi in quel modo, probabilmente deve aver avuto esperienze negative dirette in merito e non deve aver superato la questione. Non ritiene comunque che si tratti del caso di Paolo. Dopotutto non c’è mai stato nulla tra loro, sono semplicemente amici, non gli deve nulla. Se anche si fosse ripacificato con l’ex moglie, le cose tra loro non cambierebbero. 
 
-Non ha fatto niente di male. Sono io ad essermi fatti dei film assurdi… 
 
Aggiunge, senza celare un velo di dispiacere. Alberto rimane della sua posizione. Fa l’ultimo tiro della sigaretta e poi getta il mozzicone in mezzo alla strada.
 
-Balle! Ti tocca, ti sfiora, te lo appoggia. Ti scrive i messaggi la notte, ti manda le foto… ti pare niente?
 
Incalza. Stefano scuote il capo, non vuole che Alberto peggiori la sua situazione. È uscito per non poterci pensare e non vuole pensarci, vuole seriamente godersi la serata, senza dover continuare a rimuginare su Paolo, immaginando cosa possa aver fatto nelle ultime ventiquattro ore.
 
-Sono venuto qui apposta. Non parliamone più, per favore. 
 
Alberto non risponde subito. Lo guarda un attimo e poi gli appoggia una mano sulla spalla. 
 
-Mi prometti allora che ti divertirai e che se ti richiama lo mandi seriamente affanculo?
 
Stefano sorride. Un sorriso nervoso in realtà. Non potrà mai fargli quella promessa, perché sa che non la rispetterà, sa una che volta arrivato a casa si affretterà a cercare il cellulare per vedere se Paolo ha tentato di nuovo di contattarlo. Tuttavia quella sera, per qualche ora almeno, vuole provare a divertirsi sul serio.
 
-Ti prometto che mi divertirò. Altro non posso giurarlo… 
 
Alberto sospira. Stringe la spalla di Stefano e poi gli da’ una pacca, in segno di solidarietà.
 
-Vabbè, dai, è già qualcosa. Entriamo?
 
Stefano si guarda in giro. Andrea e Luca non sono più fuori dal locale, quindi probabilmente sono già entrati a prendere il posto. Non ha visto però Giulio.
 
-Ok. Ma Giulio? Non l’ho visto. È già dentro?
 
Domanda. L’espressione sul viso di Alberto è curiosa, come se non si aspettasse quella domanda o come se non volesse sentirla. Si gira di spalle. 
 
-Non viene stasera. 
 
Risponde, con tono secco, accelerando il passo. 
 
-Come mai?
 
Chiede Stefano, cercando di raggiungerlo. Alberto fa spallucce.
 
-Che ne so?! Saranno cazzi suoi. Chi se ne frega.
 
Risponde, sparendo all’interno del locale. L’atteggiamento di Alberto è decisamente sospetto, dal momento che la sera prima Alberto e Giulio erano stati insieme all’aperitivo organizzato dalla banca di Giulio. Stefano si chiede se non sia successo qualcosa tra i due e se sì, cosa? Ripromette a sé stesso di indagare e di andare a fondo della faccenda non appena sarà solo con Alberto in ufficio, lunedì. 
 
I quattro amici rimangono nel locale circa un’ora, a bere e a chiacchierare. Stefano ordina tre sambuche senza ghiaccio che immediatamente lo fanno sentire più leggero. Non è la prima volta che fa un’ordinazione di quel tipo, probabilmente quella sera il suo stato d’animo è tale da abbassare di molto la sua soglia di sopportazione dell’alcool. Uscendo dal locale, è felice che Alberto lo prenda sottobraccio, perché la vista inizia a sdoppiarsi e il suo equilibrio è piuttosto precario. 
Dentro la discoteca la situazione peggiora. Le luci soffuse, i neon e il rumore generale lo fanno piombare in una strana condizione di trance. Alberto e i suoi amici parlano con lui ma è come se non li capisse, ha la sensazione di avere dell’ovatta nelle orecchie, scuote più volte la testa per riprendersi ma non cambia nulla. Dopo aver lasciato la giacca a quello che crede sia il guardaroba, entra nella sala da ballo, seguito dai suoi amici. Andrea e Luca vanno subito in pista, Andrea gli afferra il braccio per trascinarlo insieme a loro ma lui preferisce non seguirli, si appoggia al bancone del bar e respira profondamente, per riprendersi. Alberto gli sussurra qualcosa nell’orecchio ma non riesce a comprenderlo, riesce a captare solo la parola “figo” e poi lo vede sparire in mezzo alla folla. Si sfrega il viso con le mani, ha bisogno di darsi una rinfrescata ma non ha idea di dove sia il bagno. Il locale è troppo pieno, non gli è possibile scorgere insegne o notare porte particolari. Guardandosi attorno, però, viene colpito da un ragazzo di spalle al bancone, vestito con una canottiera a righe grigia e dei jeans, fisico snello, capelli biondi. 
 
-Paolo!
 
Urla. Potrebbe essere lui, sembra lui, deve essere lui. Rapidamente si fa spazio tra le persone al bancone e lo raggiunge. Con un inaspettato coraggio si avvicina al ragazzo e gli tocca la spalla. 
 
-Ehi! Allora sei qui!
 
Esclama. Il ragazzo si gira. Non è Paolo. Certo, è biondo, piuttosto avvenente, con occhi chiari e dei bei lineamenti ma non è lui, non ha il suo sguardo penetrante, non ha il suo piercing al sopracciglio, le sue labbra color vermiglio, il suo naso dritto e simmetrico… 
 
-Scusami. Ho sbagliato persona. 
 
Spiega rendendosi conto dell’errore. Si gira e si fa spazio tra le persone sulla pista e quelle al bar, per cercare il bagno. Deve assolutamente prendere aria, rinfrescarsi. Si sente un grande nodo alla gola, la testa gira e le gambe danno l’impressione di voler cedere da un momento all’altro. Quasi fortuitamente riesce a trovare i bagni e vi si getta subito dentro, appoggiandosi di forza con entrambe le mani, al primo lavandino libero. L’odore del bagno è nauseante, è un misto tra marijuana, sudore e deodorante per wc. Apre il rubinetto e comincia a sciacquarsi il viso energicamente, bagnandosi anche i capelli e la camicia. D’un tratto si sente toccare la spalla e si gira. È il ragazzo di poco prima, che aveva scambiato per Paolo, riesce appena focalizzare, poiché si trova subito a pochi centimetri dal suo viso e viene baciato. Stefano trattiene per un attimo il fiato poi, probabilmente in preda ai fumi dell’alcool, si lascia andare. Non è decisamente il bacio più romantico né eccitante che abbia ricevuto in vita sua, la bocca del ragazzo sa di alcool, menta e probabilmente tabacco. Il bacio dura qualche minuto dopodiché il ragazzo lo prende per mano e lo trascina in uno dei cubicoli dei wc, chiudendo la porta alle sue spalle. Stefano viene sbattuto con la schiena contro una parete, la sua testa continua a girare, le piastrelle rosse del bagno del locale gli sembrano in movimento, come piccoli mattoncini che collassano su loro stessi per fondersi e poi ricomporsi. Chiude gli occhi e respira, nel frattempo il ragazzo ha ripreso a baciarlo, il bacio però dura davvero poco perché il sosia di Paolo inizia a far scorrere le mani sui suoi fianchi, la sua vita e si sofferma poi sul bottone dei jeans, che apre, con forza. Dopodiché si inginocchia, sul pavimento lurido e disgustoso del locale. Stefano ha capito quali sono le sue intenzioni. Normalmente esiterebbe o cercherebbe di andar via ma in quell’occasione rimane, lo lascia fare. Il ragazzo abbassa la zip dei jeans di Stefano, facendoli scivolare appena sotto il sedere e fa lo stesso con i boxer. Stefano abbassa lo sguardo e si accorge di essere già pronto. Non credeva di essere particolarmente coinvolto nell’atto, forse è solo colpa dell’alcool o forse è la situazione in sé ad eccitarlo, tuttavia si lascia trascinare e lascia che il ragazzo faccia ciò che vuole e ci sa fare, anche piuttosto bene. Stefano si regge al muro, appoggiando entrambi i palmi delle mani alle piastrelle, sporche e unticce. L’atto dura almeno una decina di minuti dopo i quali Stefano, quasi miracolosamente, ritorna in sé. Gli effetti dell’alcool stanno iniziando a svanire. Non appena il ragazzo di alza, lui si gira per prendere un pezzo di carta igienica e ripulirsi, senza neanche guardarlo in viso. Si dà una ripulita e poi getta la carta nel wc, affrettandosi a tirare su i pantaloni. 
 
-Vogliamo continuare da me?
 
Chiede il sosia di Paolo che ora, a mente lucida, non ha veramente nulla di simile a Paolo. Non è nemmeno così biondo e gli occhi che in pista sembravano azzurri sono in realtà più scuri. 
 
-Magari un’altra volta. 
 
Risponde Stefano, uscendo di corsa dal bagno. Rientrato in sala cerca di scorgere i suoi amici da qualche parte ma non li vede. Non perde tempo a cercarli, non vuole essere seguito di nuovo da quel ragazzo. Esce in fretta dal locale, dopo aver recuperato la giacca al guardaroba e poi si allontana a piedi, a passi rapidi, per tornare a casa. 
Arrivato a casa si guarda nello specchio dell’ingresso. I capelli bagnati e sudati appiccicati alla testa e alla fronte, il viso rosso e accaldato, gli occhi lucidi e gli abiti stropicciati. Prova vergogna per ciò che vede allo specchio, non è da lui, non si riconosce.
Viene interrotto dalla vibrazione del cellulare. Corre a prenderlo. È Alberto.
 
-Dove cazzo sei?
 
Chiede, piuttosto alterato. Sta urlando, un po’ per rabbia e un po’ per evitare che la sua voce venga coperta dalla musica della discoteca. 
 
-Sono a casa… Scusami ma ho fatto un casino. 
 
Risponde, accasciandosi sullo sgabello della penisola.
 
-Aspetta… esco un attimo. 
 
Stefano rimane in attesa e sente pian piano la musica svanire, all’altro capo del telefono.
 
-Ti abbiamo cercato per tutto il locale, che fine hai fatto?
 
Domanda poi. Stefano sospira. Non vuole raccontargli, ora per telefono, quello che gli è successo. Lo farà magari domani, a mente più lucida, dopo aver dormito. 
 
-Albe….
 
Viene interrotto da un’altra voce, all’altro capo del telefono, si tratta di Giulio.
 
-Sei riuscito a contattarlo?
 
Chiede. 
 
-Sì, è a casa… 
 
Risponde Alberto. 
 
-C’è Giulio?
 
Domanda Stefano, distogliendo l’attenzione su di sé.
 
-Sì, l’ho chiamato io…. Comunque, stai bene? Voglio solo sapere se stai bene.
 
Chiede Alberto, tagliando corto, assumendo un tono meno collerico e più preoccupato.
 
-Tranquillo, sono a casa e sto bene. Ti racconterò tutto domani, dopo la partita. 
 
Lo rassicura. 
 
-Ok… sei hai bisogno chiama, tra poco torno a casa anche io.
 
Afferma. 
 
-Va bene. Buonanotte. 
 
Chiude la chiamata e fa un respiro molto lungo. Osservando l’orologio sul display del microonde nota che è l’una passata. Pensava fosse molto più tardi. Nel prendere il telefono si accorge di avere delle notifiche non lette su Whatsapp. Una di Alberto, risalente alle 22, mentre stava uscendo per raggiungerlo al locale e una di Paolo, alle 21. Si tratta di un messaggio vocale, piuttosto lungo. 
Si blocca. È arrivato soltanto pochi minuti dopo la chiamata persa. Se solo avesse aspettato… Vorrebbe continuare ad ignorarlo ma non resiste, preme il tasto di riproduzione.
 
-Ciao Ste. Scusami se non ti ho risposto ma… ho avuto, credo, una delle notti peggiori della mia vita. Ora, tralasciamo l’incontro con la mia ex che ovviamente è stato inutile, fastidioso e mi ha solo fatto incazzare. Il peggio è arrivato dopo… quel maledetto, schifoso e insopportabile sushi. Sono stato malissimo, perdonami l’immagine ma… ho trascorso l’intera notte sul pavimento del bagno e… tralascio i dettagli perché non mi pare il caso. Mi sono ripreso più o meno alle cinque, sei di mattina e poi sono andato a dormire, finalmente. Mi sono alzato giusto per bere un goccio d’acqua, verso mezzogiorno, più o meno quando mi hai scritto tu, volevo risponderti ma non ce la facevo… mal di testa, gambe che mi tremavano, terribile. Sono tornato a dormire e… mi sono svegliato poco fa, sto… bene, diciamo. Adesso sto preparando i panini per domani anche se l’odore del cibo, onestamente, mi disturba… perché voglio venire alla trasferta. Non so se riuscirò a giocare ma voglio almeno esser presente, ho già avvisato il mister. E… niente. Perdonami questo audio infinito ma non avevo voglia di stare a scrivere tutto e onestamente sono ancora un po’ stanco. Comunque, niente, ci vediamo domani. Buona serata!
 
Stefano avverte un tuffo al cuore. Si sente incredibilmente stupido. Ha trascorso le ultime ore a immaginarsi le cose peggiori, a immaginare Paolo e la sua ex in qualsiasi situazione possibile e non era vero nulla. Certo, non poteva immaginarsi quale fosse la verità. Avrebbe però potuto richiamarlo qualche ora prima, gli avrebbe spiegato tutto e lui avrebbe evitato di comportarsi in quel modo in discoteca, si sarebbe goduto la serata lo stesso, con la mente libera e il cuore leggero, non sarebbe stato necessario bere tutto quell’alcool. Decide di rispondergli subito, anche se dubita leggerà.
 
“Scusami. Ho sentito solo ora, avevo dimenticato il telefono a casa. Mi dispiace che tu sia stato male… ci vediamo domani, buonanotte.”

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Capitolo 10
*** Trasferta ***


Il giorno seguente, Stefano arriva per primo al campo sportivo, apre il cancello e va a preparare il minibus con il quale la squadra raggiungerà il luogo della trasferta. Da ormai due anni è stato designato come autista, per questo motivo prima di partire controlla che tutto sia a posto, che sia rimasta della benzina nel serbatoio, che le gomme siano gonfie e che tutte le luci funzionino. 
Sono le nove e trenta, i ragazzi della squadra arriveranno tra poco. Stefano si siede al volante del minibus, effettua i dovuti controlli e poi guida fuori dal deposito nel quale il veicolo viene lasciato durante il periodo di inutilizzo. Lo parcheggia all’ingresso, davanti agli spogliatoi, pronto per essere caricato.  Il primo ad arrivare è il mister.
 
-Sempre puntuale, Stefano!
 
Esclama, caricando uno zaino sul van. 
 
-Abbiamo due ore di viaggio, volevo essere sicuro che tutto fosse a posto. 
 
Spiega Stefano.
 
-Ci siamo tutti oggi?
 
Chiede poi. Il mister annuisce. 
 
-Sì! Abbiamo rischiato di perdere la nostra arma segreta, Paolo. Però verrà e speriamo che riesca a giocare. 
 
Stefano annuisce. In realtà lo sapeva già ma preferisce non ribadirlo, non vuole che nessuno della squadra sappia che lui e Paolo si sentono anche al di fuori del calcetto. 
Qualche minuto più tardi arrivano gli altri ragazzi, ad eccezione di Paolo che entra nel cortile, a bordo del suo SUV, poco prima della partenza. Scende e subito apre il bagagliaio dal quale prende due enormi borse del supermercato e il suo borsone da calcio.
 
-È arrivato il pranzo!
 
Esclama Simone, avvicinandosi a Paolo per aiutarlo con le borse, anche Diego e Antonio lo raggiungono. Stefano non si avvicina, rimane accanto al minivan, dove nel frattempo alcuni ragazzi e il mister hanno già preso posto. 
Si limita a osservare Paolo da lontano, capelli sempre in ordine, tuta rossa della squadra con pantaloni e giacca a maniche lunghe e occhiali da sole scuri. È la prima volta che lo vede con gli occhiali da sole. 
 
-Paolo ci ha portato il cibo! Grazie Paolo!
 
Esclama il mister, sporgendosi dal van per recuperare le borse del pranzo. 
 
-Spero vi piacciano i miei panini, sono belli carichi. 
 
Aggiunge Paolo. 
 
-Ce la fai a giocare oggi, Paolo?
 
Chiede Simone, preoccupato.
 
-In campo ci entro di sicuro, non vi garantisco dei numeri da bomber ma farò del mio meglio.
 
Risponde. Stefano nel frattempo prende posto sul sedile del guidatore, dal momento che sono arrivati tutti.
 
-Bene! Qui i posti sono tutti presi, vai davanti con Ste. Ti spiace? Di solito mi metto io davanti ma qui c’è più spazio per le gambe, è più comodo…
 
Chiede il mister. Stefano guarda accanto a sé, non si era accorto che il posto del passeggero fosse ancora vuoto. Di solito è il mister a sedersi accanto a lui, si meraviglia che si sia messo dietro. 
 
-Nessun problema. 
 
Risponde Paolo. Chiudendo il portone scorrevole del minibus e salendo davanti, con Stefano. 
 
-Buongiorno. 
 
Esclama, sorridendogli. Stefano si limita a ricambiare il sorriso. 
 
-Possiamo partire coach?
 
Chiede, alzando la voce, perché nel frattempo nel retro del minibus è iniziato un chiacchiericcio generale. 
 
-Vai, Ste! 
 
Risponde il mister, alzando la voce a sua volta. Stefano ricevuto l’ok ingrana la marcia e parte. Il minivan è piuttosto datato, i sedili davanti sono separati da quelli dei passeggeri sul retro da una mezza parete traforata, il che rende difficile la comunicazione. Per un certo verso Stefano è felice che non ci sia il mister accanto a lui, non è un grande compagno di viaggio, parla troppo di politica e si addormenta dopo neanche venti minuti di strada. Spera che con Paolo la situazione sia migliore, anche se per qualche motivo la sua vicinanza lo agita. In parte pensa alla giornata precedente, a come si è sentito deluso nel non aver ricevuto alcun contatto da parte sua e poi, pensa al suo comportamento la sera prima, causato dalla serie infinita di voli pindarici nella sua testa, immaginando cosa Paolo potesse aver fatto.
Non può fare a meno di notare quanto gli stia bene la divisa della squadra. Non è un grande fan del colore rosso ed era, insieme ad altri tre membri del gruppo, tra quelli che avrebbero voluto cambiarla, che avrebbero preferito una divisa bianca con dei richiami rossi e non il contrario. Vedendola addosso a Paolo, però, è quasi felice di non aver avuto la maggioranza. Il colore rosso si sposa perfettamente con la carnagione di Paolo e con i suoi capelli color grano, immagina possa anche fa risaltare notevolmente il suo sguardo che in quel momento è celato dietro le lenti scure degli occhiali da sole. 
Per circa venti minuti regna il silenzio, mentre dietro il vociare degli altri membri della squadra, che ridono, scherzano e canticchiano, prosegue ininterrottamente. Paolo è stranamente silenzioso, osserva l’ambiente al di fuori del finestrino, senza aprir bocca. Stefano vorrebbe dire qualcosa per rompere il ghiaccio ma non sa come iniziare. Non potrebbe sopportare un viaggio di due ore in silenzio, con Paolo lì vicino a lui oltretutto. Ci sono moltissime cose vorrebbe chiedergli, prima fra tutte vorrebbe conoscere i dettagli dell’incontro con l’ex moglie. Eppure non ci riesce. Prova un immotivato e ingiustificato senso di vergogna per ciò che ha fatto la sera prima, sebbene Paolo non sappia nulla, non abbia modo di saperlo, né possa sentirsi in qualsiasi modo offeso. 
 
-Come stai?
 
Chiede, facendosi coraggio, con un fil di voce. Paolo si gira subito verso di lui. 
 
-Come se fossi ritornato dal mondo dei morti ma… bene, diciamo. 
 
Risponde, sorridendo. Tocca di nuovo a Stefano dire qualcosa e viene preso dal panico, non sa cos’altro dire. Fortunatamente è Paolo a parlare di nuovo. 
 
-Anche tu non mi sembri fresco come una rosa… serata impegnativa?
 
Chiede, con uno strano tono malizioso. Stefano sussulta. Non è possibile che Paolo sappia della serata precedente, deve semplicemente aver fatto delle deduzioni osservando il suo viso. In effetti anche il viso di Stefano non è rilassato e riposato come al solito ma non pensava che qualcuno potesse accorgersene. È chiaro che Paolo, seppure rimanendo in silenzio, deve averlo osservato con attenzione. 
 
-Sono stato con gli amici a ballare e… ho bevuto un po’. 
 
Confessa, cercando di non farla sembrare una cosa seria. 
 
-Gli amici con i quali ti trovi a giocare a carte?
 
Domanda Paolo. Stefano annuisce.
 
-A giocare a carte e… mangiare sushi. 
 
Risponde, con tono provocatorio. Paolo fa subito una smorfia, che avrebbe dovuto essere di disgusto ma Stefano la trova estremamente carina e buffa. 
 
-Non pronunciare mai più quella parola, ti prego. Solo a sentirla mi si contorcono le budella... 
 
Stefano sorride, sente pian piano la tensione stemperarsi. Senza rifletterci troppo, decide di nominare il gigante elefante rosa nella stanza, l’argomento che preme nella sua testa come un tarlo da più di quarantotto ore. 
 
-Sai, credevo… credevamo che avresti avuto un ritorno di fiamma con la tua ex. 
 
Afferma, con un inaspettato coraggio. Paolo risponde dapprima con un verso di disgusto, poi si esprime più chiaramente.
 
-Per carità! Posso confermarti di aver provato più emozioni e brividi ieri sera abbracciato al wc, che in otto anni con la mia ex. 
 
Afferma. Stefano non si aspettava una risposta del genere, esaudiente ma al tempo stesso assurdamente ironica. 
 
-Troppi dettagli?
 
Chiede Paolo. Stefano scoppia a ridere.
 
-No, no. Hai reso bene l’idea… solo non me l’aspettavo. 
 
Confessa. Anche Paolo ride. 
 
-Volevo essere chiaro, più chiaro di così non avrei potuto esserlo. 
 
Aggiunge. Stefano decide di continuare su quell’argomento, il ghiaccio è stato rotto e vuole saperne di più. 
 
-Non sei riuscito ad ottenere quello che speravi, dall’incontro?
 
Paolo scuote il capo.
 
-Per niente e arrivati a questo punto… la vedo dura. 
 
Fa una pausa e Stefano crede che non voglia aggiungere altro al discorso. Tuttavia, poco dopo, riprende a parlare. 
 
-C’è un problema grave di proprietà. Quasi ogni bene acquistato durante il matrimonio l’ho cointestato. Scemo io, lo so. Dal momento che ho optato per la separazione dei beni avrei dovuto fare più attenzione ma, sai, quando ti sposi non vai a pensare subito al divorzio.
 
Stefano annuisce. Non dice nulla, lascia che Paolo continui a parlare, che spieghi tutto quanto liberamente. 
 
-Anche se, in cuor mio, sapevo che non sarebbe durata… discussioni, incompatibilità, forti incompatibilità. Comunque, l’errore più grande che ho fatto è stato quello di fondare una società, con lei come socio di maggioranza… mi serviva per avviare il mio progetto, quello che sto portando avanti con la Vince.  Ai tempi non avevo un soldo… avevo bisogno di liquidità per avviare la mia società e iniziare a condurre delle ricerche per il mio progetto. Mi conosci, sai che non vengo da una famiglia benestante. 
 
Stefano annuisce. Ricorda poco in realtà della famiglia di Paolo, suo padre non l’ha mai visto né conosciuto, mentre sua madre che vedeva spesso ai colloqui e alle riunioni tra genitori, la ricorda bene. Una donna alta, dall’aspetto di una modella, capelli biondi e occhi chiari, esattamente come Paolo. I compagni di classe e specialmente quelli della squadra erano sempre ansiosi di vederla e ogni volta che Paolo organizzava una pizza in compagnia per la fine della scuola o la sua festa di compleanno a casa sua, tutti facevano il possibile per essere invitati. 
 
-La mia ex moglie invece è figlia unica di una famiglia benestante e quindi… ho chiesto un prestito a mio suocero e la condizione era che mettessi la figlia in società. Il mio obiettivo era liquidarle le quote e toglierla dal mio progetto ma lei si rifiuta… il suo prezzo è sempre troppo alto, a ogni incontro aggiunge delle richieste. Ho rinunciato alla mia casa, alla macchina che avevamo in comproprietà, alla moto e a una serie infinita di beni ma… per lei non è mai abbastanza. 
 
Le parole di Paolo assumono un tono via via sempre più disperato. 
 
-Ieri speravo di essere arrivato a un punto di svolta ma alla fine ha ritrattato. Ho un appuntamento con l’avvocato domani sera per parlare… vedremo cosa si può fare.
 
Conclude.
 
-Mi dispiace tanto, Paolo. Capisco quanto possa esser importante il tuo progetto. 
 
Afferma. Paolo annuisce.
 
-È la cosa più grande che abbia mai fatto, fino ad ora. È una strada in salita ma… me la caverò, me la cavo sempre in qualche modo.
 
Sorride, un sorriso terribilmente malinconico che permane sulle sue labbra per diversi secondi. Stefano crede di non averlo mai visto così avvilito. Vorrebbe poter fare qualcosa per aiutarlo, conscio del fatto che non sia possibile. Quasi spontaneamente, gli appoggia una mano sulla gamba, in segno di conforto. Paolo sembra sorpreso ma non si ritrae. È la prima volta che Stefano sfiora Paolo, che tocca quella coscia marmorea e muscolosa che fino ad ora si era solo limitato ad osservare. 
 
-Te l’ho già detto che sei un top player, supererai anche questa.
 
Esclama, togliendo poi rapidamente la mano. Troppo rapidamente, il che gli fa temere che Paolo abbia intuito la sua sensazione di disagio e imbarazzo. 
 
Il viaggio prosegue in modo piuttosto tranquillo. I compagni e il mister sui sedili posteriori si tranquillizzando e il vociare diventa un leggero mormorio. Stefano e Paolo iniziano a parlare della partita imminente e in seguito del tempo e di una serie di argomenti casuali e mai troppo profondi. 
Arrivati al campo sportivo degli avversari, il mister inizia a dare delle disposizioni sulla formazione e propone qualche piccolo esercizio di riscaldamento, iniziando da una corsa lungo il perimetro del campo. Paolo finalmente si toglie gli occhiali da sole e li ripone nel borsone. 
 
-Ovviamente gli occhiali li ho tenuti per coprire questo scempio di faccia.
 
Commenta, notando che Stefano non ha ancora iniziato a correre e si è fermato ad aspettarlo. Lo guarda e nota che, effettivamente, il suo viso mostra dei chiari segni di stanchezza: il colorito non è roseo ma grigiastro, gli occhi sono incorniciati da due vistose occhiaie violacee e anche lo sguardo è decisamente meno luminoso del solito.
 
-Ecco, ora sì che assomigli davvero ad uno zombie. 
 
Esclama, iniziando a correre. Paolo spalanca la bocca e fa un’espressione sorpresa.
 
-Beh, grazie!
 
Risponde, raggiungendolo.
 
L’allenamento della squadra dura circa una ventina di minuti, dopodiché inizia la partita vera e propria. Paolo decide di entrare in campo da subito. Gli avversari sono molto preparati e presentano una difesa stretta e serrata, i passaggi tra loro sono a breve distanza e le azioni sono rapide. Diego, in porta, riesce a parare ben due goal mentre Antonio ne blocca un terzo, deviandolo in scivolata. Stefano fatica a recuperare la palla, in due occasioni viene subito intercettato e marcato da un avversario che riesce a sfilargliela dai piedi. Al terzo tentativo, dopo aver percorso metà campo in uno scatto, riuscendo a scartare un centrocampista e due difensori, si trova davvero vicino alla porta avversaria, tutti gli uomini dell’altra squadra sono marcati, solo uno sta correndo verso di lui per proteggere la porta. È troppo distante per poter tentare un goal, si guarda attorno in cerca di un uomo libero e vede Paolo, sulla fascia destra. Prima di venire bloccato dall’avversario gli passa la palla, Paolo la recupera a volo e scivola a sinistra, schivando gli avversari, passandosi il pallone da un piede all’altro con rapidità. Arriva in area di rigore e senza esitare tira, la palla entra: è un goal e subito dopo arriva il fischio della fine del primo tempo. La squadra esulta, i compagni si precipitano da Paolo per complimentarsi poi si dirigono verso la panchina dove li aspetta il mister. Stefano raggiunge Paolo.
 
-Tu devi sempre fare i numeri, anche mezzo morto, eh!
 
Commenta. Paolo sorride, quei suoi meravigliosi sorrisi che fanno risaltare la fossetta sulla guancia. Dopodiché gli mette un braccio attorno alle spalle e lo stringe. Stefano è colto di sorpresa e si irrigidisce. Paolo probabilmente se accorge ma non lo lascia andare, al contrario iniziano a camminare per raggiungere il resto della squadra. 
 
-Quando uno è un fenomeno, lo è sempre. 
 
Ribatte, scherzandoci sopra. Stefano sa bene che non parla su serio, pur essendo davvero un talento in diversi campi e settori Paolo rimane una persona fondamentalmente umile. 
 
-…comunque ora mi fermo perché non ho praticamente più fiato. Andate avanti voi!
 
Aggiunge, infatti. Arrivati alla panchina lo lascia andare e Stefano è quasi dispiaciuto, quell’inaspettata vicinanza di Paolo non gli dispiaceva affatto. 
 
-Mister, io il mio l’ho fatto. Ora vi guardo da qua.
 
Esclama Paolo, buttandosi sulla panchina. Il mister gli dà una pacca sulla spalla. 
 
-Vai tranquillo, ora che hai smosso la situazione vedrai che la squadra ripartirà. Vero, giovani?
 
Chiede, rivolgendosi ai ragazzi. Tutti quanti rispondono “Sì” in coro e pochi istanti dopo la partita ricomincia. La squadra avversaria che aveva dato il massimo nel corso del primo tempo si dimostra molto più stanca. I passaggi sono più lenti e le azioni in porta sono ridotte al minimo, la loro squadra riesce invece a tenere la guardia alta e a lavorare molto in difesa. La partita finisce quindi per uno a zero per la squadra di Stefano, che si guadagna anche il primo posto nel proprio girone di campionato.
Dopo la partita tutti si concedono una doccia, nello spogliatoio a loro riservato dalla squadra avversaria. Stefano come al solito temporeggia, ne approfitta per prendere il pranzo dal mini-bus e preparare la postazione per consumare ciò che ha preparato Paolo. Non riesce a fare a meno di pensare a quando prima in campo l’ha avuto cosi vicino, non era più stato così vicino a lui dal giorno in cui avevano preparato le pizze a casa sua e ogni volta ne desidera sempre di più. In più di un’occasione ha rimproverato sé stesso per non aver approfittato di quella situazione, nella sua cucina. Salvo pensare che probabilmente non l’ha fatto perché non era il momento giusto, perché non si sentiva ancora sicuro nel tentare un approccio con Paolo, perché sapeva davvero così poco di lui. Sebbene sia ancora dubbioso sulle reali intenzioni del ragazzo, vuole pensare che ora, qualora si verificasse una situazione simile, ne approfitterebbe senza pensarci troppo. 
Si accorge di aver perso fin troppo tempo quando vede che i primi membri della squadra iniziano a uscire dallo spogliatoio, tra di loro c’è Paolo, di nuovo vestito con quella tuta rossa che pare sia stata scelta apposta per lui.
 
-Ma sei ancora qui, Ste?
 
Chiede Simone, sorpreso di vederlo ancora in completo da campo. 
 
-Sì, volevo preparare il pranzo per tutti e mi sono perso… vado subito a lavarmi. Voi iniziate a mangiare.
 
Esclama, precipitandosi nello spogliatoio. Si lava velocemente e si veste. Quando esce nota che quasi tutti hanno già finito di pranzare.
 
-Scusaci Ste, avevamo fame!
 
Esclama Antonio, accartocciando la stagnola nella quale era avvolto il panino. Stefano prende dalla borsa l’ultimo panino rimasto, quello con il suo nome scritto segnato sulla carta stagnola. Si siede sulla panchina, vicino a Paolo. La scelta in realtà è casuale, si accorge dopo di essere accanto a lui e nota che il suo pranzo è diverso: si tratta di un contenitore trasparente con delle verdure a vapore: fagiolini, patate e carote lesse. Il pranzo è intatto, deve averlo aspettato per pranzare. 
 
-Vorresti mangiare il mio pranzo gourmet?
 
Chiede, ironico. Stefano scarta il panino: uno sfilatino al salame, fontina, due fette di pomodoro e una salsa chiara, diversa dalla maionese. 
 
-No, preferisco questo, grazie. 
 
Ribatte e dà subito un morso al panino. Il pane è croccante, il salame sembra essere tagliato di fresco, non ha il solito sapore di plastica degli affettati in busta del supermercato, il pomodoro è dolce e succoso e la salsa bianca ha un sapore delicato, leggermente agro, che si sposa benissimo con gli altri ingredienti. Non ha idea di che tipo di salsa sia ma è deliziosa. 
 
-È buonissimo! 
 
Commenta, con ancora la bocca piena. Paolo sorride divertito, iniziando a mangiare a sua volta. Poi si avvicina di più a Stefano e sussurra nel suo orecchio.
 
-Bene… ma non dire niente, solo tu ce l’hai così. 
 
Stefano avverte una vampata di calore, partirgli dal petto e arrivare fin sopra la testa. Non sa se sia per la vicinanza di Paolo o per quello che gli ha appena detto. Il panino assume un sapore ancora più gustoso, ora che sa che è stato preparato appositamente per lui. 
 
Dopo aver pranzato, la squadra monta sul minibus in direzione casa. I posti sono gli stessi dell’andata, Paolo si siede di nuovo accanto a Stefano, gli altri ragazzi della squadra e il mister iniziano a parlare della partita nei sedili posteriori e fare prognostici sui prossimi incontri. Paolo è silenzioso, probabilmente è stanco e a metà viaggio si addormenta. Stefano coglie l’occasione per guardarlo ancora più attentamente. Il suo profilo è così perfettamente regolare da sembrare disegnato, gli zigomi sono alti e leggermente sporgenti, le ciglia, che ad occhi chiusi si vedono appena, sono molto chiare e qualche filo d’orato riflette la luce del sole, il naso è dritto, lungo e stretto, si arrotonda sulla punta e vira leggermente all’insù, le labbra in quella posizione sembrano due petali, sono più screpolate del solito ma comunque non meno invitanti. 
 
-Ste, tu vieni allo stadio dopo?
 
Chiede Antonio, urlando da dietro. Stefano sobbalza e anche Paolo si sveglia. 
 
-No, passo per stasera. 
 
Risponde. 
 
-Paolo?
 
Chiede dunque. 
 
-No, mi spiace ma non riesco stasera. 
 
Risponde, stiracchiandosi. 
 
-Mi sono addormentato in macchina, come i bambini e gli anziani… 
 
Commenta Paolo, rivolgendosi a Stefano, sfregandosi gli occhi. 
 
-Tranquillo, ci sono abituato. Di solito al tuo posto c’è il mister e dorme sempre. Almeno tu sei più piacevole da guardare.
 
Stefano non riesce a credere che quelle parole siano uscite dalla sua bocca. Le ha pensate ma non credeva di averle dette sul serio. Si irrigidisce e il suo cuore inizia a battere senza controllo. 
 
-Non mi avevi mica detto che assomiglio ad uno zombie, oggi?
 
Chiede Paolo, sorridendo. Stefano cerca di farsi coraggio e di non mostrare la propria agitazione.
 
-Anche uno zombie è più piacevole del mister. 
 
Risponde, con tono ironico, sperando di essersi cavato d’impiccio. Paolo ride annuisce. 
 
***
 
Stefano guarda la partita da casa, come aveva anticipato ai ragazzi. Avrebbe voluto andare allo stadio, non ci è ancora andato dall’inizio del campionato. Tuttavia si sente un po’ stanco, il weekend che sta per volgere al termine è stato incredibilmente movimentato e carico di emozioni di vario tipo: dall’angoscia, alle emozioni forti in discoteca, passando per il senso di colpa e poi di nuovo al desiderio nei confronti di Paolo. 
Fa un respiro profondo, nel tentativo di effettuare un reset, per godersi la partita e prepararsi all’inizio di una nuova settimana. Quella sera ha deciso di consumare una pizza surgelata, comprata al supermercato mentre ritornava dal campo sportivo. Accende il forno per riscaldarlo e poi inizia a scartare la pizza. L’ultima volta che ha usato il forno è stato quando ha cucinato con Paolo. Si chiede se capiterà di nuovo un’occasione simile e immediatamente rivive le emozioni di quella giornata. Era lì, dietro di lui, su quello stesso bancone su cui mangia e cucina ogni giorno. I suoi pensieri sono interrotti dalla vibrazione del cellulare, rimasto nella tasca della giacca all’ingresso. Non l’ha più guardato dal ritorno a casa. Interrompe ciò che stava facendo e lo va a prendere, è una foto da parte di Paolo. Si tratta di un gigantesco frigorifero a doppia porta color acciaio, su un lato vede il dispenser del ghiaccio e sull’altro uno schermo, simile a un tablet, che in quel momento sta trasmettendo alcune immagini del prepartita. 
 
“Tu il frigo che fa vedere il Milan non ce l’hai… 👅
 
Aggiunge, in un commento, poco dopo. Stefano decide di scherzare un po’ con Paolo e gli invia una foto di come ha preparato la sala per vedere la partita: doppia sciarpa stesa lungo lo schienale del divano, cuscino a forma di cuore rossonero e bandierona infilata tra un cuscino e l’altro del divano.
 
“Tu non hai l’allestimento da stadio 🟥 ⬛
 
Paolo risponde dopo un paio di minuti, inviando una sua foto. È a torso nudo, con indosso solo i pantaloncini bianchi della divisa del Milan, portati con vita eccessivamente bassa, al punto da lasciare scoperti i fianchi e buona parte del bacino. Stefano è sicuro che l’abbia fatto apposta. 
 
“Hai vinto tu. Io ho solo questi pantaloncini dell’anno scorso… e la maglietta di Ibra, che però ho tolto perché in questa casa fa caldissimo 🥵
 
Il messaggio per accompagnare la foto arriva solo pochi secondi più tardi, seguita da un’altra foto della maglia, appena nominata, posata sulla spalliera di una sedia. Stefano, certo che Paolo lo stia provocando, cerca di stare al gioco.
“Comunque, non ti vedo deperito, nonostante tutto.” 
 
Paolo risponde con una foto di un piatto di insalata, pomodori e olive. 
 
“La mia cena di stasera. Diciamo che lo zombie sta risorgendo 😉”
 
Stefano, non sapendo come rispondere si limita ad aggiungere un pollice all’insù al suo commento. La partita sta per iniziare, Stefano spegne le luci in cucina e si precipita sul divano, con il telecomando in mano, pronto per il fischio d’inizio. Gli arriva un altro messaggio da parte di Paolo.
 
“A proposito…  facciamo giovedì la cena premio a casa mia? Ti va?”
 
Stefano si era quasi dimenticato del suo “premio” per aver vinto la partita a biliardo.  Gli eventi del weekend appena trascorso hanno completamente cancellato dalla sua testa quell’informazione. Non crede di aver alcun impegno fissato per giovedì e, anche se ne avesse, li sposterebbe. 
 
“Va bene.”
 
Risponde, come al solito con un messaggio neutrale e nessun emoji, per non rivelare il proprio stato d’animo. 
 
“Perfetto! Ci aggiorniamo meglio più in là. Ora… partita ⚽️!”
 
 
I due rimangono a messaggiare durante tutta la partita, commentandola nei momenti principali. Tuttavia, almeno quella sera, a Stefano non importa granché della partita, perché non riesce a smettere di pensare alla cena a casa di Paolo giovedì sera e spera davvero che quella sarà l’occasione giusta per farsi avanti e avere una risposta definitiva circa sulle sue intenzioni. 
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Ciao! Dopo qualche settimana, eccomi di nuovo nelle note finali. Ho due motivi:
1. Vedo che la storia è letta e seguita e mi piacerebbe ricevere un feedback... anche in forma di messaggio privato ;)
2. Da oggi pubblicherò una sola volta a settimana Venerdì o Sabato, in base alla mia disponibilità.
Alla prossima settimana ;)

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Capitolo 11
*** Attesa ***


Stefano sospira. Ha appena raccontato ad Alberto tutto quello che è successo nelle ultime ventiquattro ore, partendo dai messaggi di Paolo e dalla motivazione per la quale non si era fatto sentire per un giorno intero. Alberto si è limitato ad ascoltare in silenzio, corrugando la fronte di tanto in tanto, mentre mescolava il suo mokaccino carico di zucchero, appoggiato al termosifone vicino alla macchinetta del caffè. 
 
-Non ci credi nemmeno un po’, vero?
 
Chiede Stefano, sperando di avere un suo commento, una sua reazione. Alberto raccoglie ciò che rimane dello zucchero con la paletta del caffè, raschiando il fondo. Tiene lo sguardo basso e continua a non parlare. Dopodiché schiaccia il bicchiere vuoto e lo getta nel cestino. 
 
-Brutale o leggero?
 
Domanda finalmente, rivolgendogli uno sguardo serio. Stefano ora ha quasi paura della sua risposta, ciononostante vuole che sia più sincero possibile.
 
-Dammi una risposta all’Alberto, senza filtri. 
 
Alberto sorride e sul suo viso compare un’espressione soddisfatta, è esattamente quello che desiderava sentire. 
 
-Non metto in discussione che sia stato male, però ha capito che ti piace e ci gode un mondo a stuzzicarti e poi lasciarti lì nel tuo brodo… sta giocando con te. Non farà niente di sua iniziativa, aspetta che sia tu a cedere. Ovviamente non ha capito che se aspettasse te potrebbe morire di vecchiaia… 
 
Conclude. Stefano sorride, si ritrova pienamente nel pensiero di Alberto. 
 
-Quindi cosa faccio? Mi fido?
 
Chiede di nuovo. Alberto fa spallucce. 
 
- Ma di cosa hai paura?
 
Chiede, con sguardo confuso. Stefano non sa esattamente come spiegarlo e cerca di essere più chiaro possibile. 
 
-Ho paura di perderlo. 
 
Alberto scuote il capo e aggrotta la fronte, comunicandogli implicitamente di spiegarsi meglio.  Stefano fa un respiro profondo e inizia a camminare, facendo a cenno ad Alberto di seguirlo, il tempo per la pausa caffè è durato più del dovuto e deve fare alcune telefonate e compilare alcuni documenti, prima dell’ora di pranzo. 
 
-Ho creato un bel rapporto con lui. Abbiamo tantissimo in comune, a parte il fatto di aver trascorso un periodo della nostra adolescenza insieme… stare con lui mi fa stare incredibilmente bene. Non ho bisogno che mi parli, solo averlo vicino mi rende più leggero. Ha un modo di fare sempre spiritoso, è preciso, educato, ironico e mai fuori dalle righe. Ha una visione positiva della vita, non si arrende, mette grande impegno in quello che fa… 
 
Stefano non credeva di provare tutti quei sentimenti nei confronti di Paolo eppure, parlandone per spiegare ad Alberto la sua situazione, le parole escono spontaneamente dalla sua bocca come un fiume in piena. Si ferma solo quando si trovano davanti alla loro scrivania, Alberto si siede senza dire una parola finché Stefano smette di parlare e si siede a sua volta. Si aspetta un commento o una reazione da parte sua ma non arriva nulla. Al contrario pare divenire più accigliato e silenzioso. 
 
-Quindi… cosa mi consigli di fare?
 
Domanda di nuovo Stefano, ponendo la stessa domanda fatta qualche minuto prima di iniziare a spiegare i suoi sentimenti nei confronti di Paolo. Alberto non lo guarda, rimane concentrato sullo schermo del computer e inizia nervosamente a pigiare i tasti della tastiera.
 
-Scusa, mi è arrivata una mail a cui devo rispondere.
 
Afferma, chiudendo definitivamente il discorso. Stefano a volte fatica a comprendere i comportamenti di Alberto, specialmente quando l’argomento trattato è Paolo. Rimane ancora qualche istante a fissarlo ma Alberto lo ignora e continua a lavorare. Capisce quindi che non riceverà una risposta da lui. Motivo per cui anche Stefano riprende a lavorare, cercando di non pensarci troppo. 
 
 
All’ora di pranzo, quasi senza proferire parola, Alberto e Stefano escono dall’ufficio per andare a mangiare nel ristorantino biologico dove generalmente pranzano un paio di volte a settimana. Sono ancora sull’uscio del palazzo quando il telefono di Stefano inizia a suonare. Fruga nella tasca interna del trench per recuperarlo e quando lo trova quasi gli sfugge di mano, leggendo il nome sullo schermo: “Paolo 🍆
 
-Pronto..?
 
-Ciao Ste, ti disturbo?
 
Solo sentire la voce di Paolo gli provoca un brivido lungo la schiena, il suo tono di voce per telefono è, se possibile, ancora più avvolgente. Avendo ascoltato i suoi audio più e più volte, è in grado di riconoscerne ogni sfumatura.
 
-No. Stavo andando a pranzo, dimmi.
 
-Oh! Stavo proprio per proporti un pranzo insieme, visto che oggi sono in ufficio tutto il giorno. Posso raggiungerti?
 
Stefano esita un attimo e si ferma ad osservare Alberto, accanto a lui, che ha già indossato gli occhiali da sole, il che rende difficile interpretare la sua reazione. 
-Devo… chiedere un attimo al mio collega, non sono solo…
 
Risponde, con esitazione, rivolgendo nel contempo uno sguardo supplicante ad Alberto che si limita a fare spallucce. Stefano lo prende come un sì.
 
-Ha detto che va bene. Ti aspetto qui nel piazzale della Mirabelli.
 
-Va bene. Arrivo.
 
Dopo aver riattaccato, Stefano si gira immediatamente verso Alberto che è rimasto immobile, braccia conserte. 
 
-Grazie. 
 
Fa di nuovo spallucce, questa volta però si gira verso di Stefano. 
 
-Non ringraziarmi. L’ho fatto solo perché sono davvero curioso di vedere com’è questo tizio… 
 
Risponde, con indifferenza. Stefano sa che è solo una mezza verità, che ha acconsentito per far lui un piacere e non solo per soddisfare una mera curiosità. Sorride e non aggiunge nulla. 
Circa cinque minuti dopo, Paolo esce dall’ufficio di fronte. Anche a distanza Stefano lo riconosce immediatamente.
 
-È lui.
 
Commenta, dando una gomitata ad Alberto. Dopodiché alza un braccio per farsi notare da Paolo. Si sente emozionato nel presentarlo all’amico, quasi come se lo stesse presentando a un genitore. Mentre Paolo si avvicina, Stefano lo osserva più attentamente. È la prima volta che lo vede in abiti eleganti, da lavoro. Porta gli occhiali da sole, gli stessi del giorno prima durante la trasferta. Indossa una giacca nera dalla vestibilità regolare lasciata aperta e una camicia bianca, anch’essa aperta nei primi due bottoni. Sottobraccio tiene un cappotto grigio e porta dei pantaloni eleganti neri, dal taglio dritto e regolare, che lo fanno sembrare ancora più alto e longilineo. Infine le scarpe, lucide nere e stringate. Non credeva fosse possibile ma, vestito così, è ancora più affascinante e attraente. Quando si avvicina a loro quasi fatica a rivolgergli la parola, intento com’è a osservarlo e a notare ogni minimo dettaglio. Anche i capelli sono pettinati diversamente, sono quasi marmorei, fissati all’indietro con una cera modellante che li rende più lucidi. 
 
-Ciao. Perdonatemi se vi ho fatto aspettare. 
 
Esclama, non appena è davanti a loro. Posa la mano sinistra sulla spalla di Stefano e la stringe, accarezzandola con il pollice, quello strano gesto tra l’affettuoso e il cordiale che Stefano non è ancora riuscito a decifrare. Allo stesso tempo porge la mano destra ad Alberto, per presentarsi, senza lasciar andare Stefano. 
 
-Piacere, Paolo. 
 
Stefano con la coda dell’occhio osserva Alberto e nota una strana smorfia sulle sue labbra, una curva all’ingiù del suo labbro inferiore. 
-Alberto. 
 
Risponde, stringendo la mano di Paolo. La stretta tra i due dura diversi secondi e sembra molto stabile e decisa. Stefano rimane in disparte ad osservare. È strano vedere il suo migliore amico e Paolo uno di fronte all’altro. Entrambi hanno sentito parlare l’un dell’altro e in quel momento in cui si stringono le mani sembra quasi che si stiano studiando. Il primo a lasciare andare la presa è Alberto ma Paolo continua a stringere la spalla di Stefano. 
 
-Tutto bene, Ste?
 
Chiede, essendosi probabilmente accorto del suo silenzio. Annuisce. 
 
-Possiamo andare?
 
Interviene Alberto, tagliando corto. Paolo rivolge un sorriso a Stefano, dopodiché lo lascia andare. 
 
-Avete già in mente un posto?
 
Domanda, seguendoli. 
 
-Un ristorante biologico qui vicino, nei pressi della Hoepli. Ti va bene?
 
Chiede Alberto, precedendo Stefano che nel frattempo sta continuando ad osservare Paolo. Ora gli riesce meno difficile credere di averlo incontrato più e più volte nel tragitto tra l’ufficio e la metro. Vestito in quel modo è decisamente diverso rispetto al solito e anche la sua camminata appare differente, ha un’aria sicura e spavalda. È certo che un ragazzo così non passi in osservato e riesce infatti ad incrociare lo sguardo di almeno un paio di ragazze che si fermano a guardarlo o si girano verso di lui. Sembra quasi un modello, di quelli che si vedono spesso girare a Milano durante le Fashion-Week.
 
-Benissimo. 
 
Risponde Paolo, sfoggiando il suo solito sorriso e girandosi a guardare Stefano. 
Arrivati al ristorante tutti e tre si siedono. Non fa più così caldo da poter pranzare fuori, motivo per cui prendono posto all’interno. Il locale è tutto pieno, l’unico tavolo disponibile si trova all’angolo ed è composto da un divanetto e una sedia. Alberto prende subito posto sulla sedia, lasciando il divanetto a Stefano e Paolo, si toglie la giacca e la ripone sulla spalliera della sedia, poi toglie gli occhiali e li infila nella tasca della giacca. Paolo invece posa il suo cappotto accanto a sé, piegandolo e per fare spazio si avvicina ancora di più a Stefano, le loro ginocchia si sfiorano. Dopodiché si toglie gli occhiali, li piega e li appoggia sull’orlo del taschino della camicia. 
 
-Allora, cosa si mangia di buono qui?
 
Chiede, guardando Stefano, finalmente senza occhiali e appoggiando una mano sulla sua gamba, all’altezza del ginocchio. Stefano contrae il muscolo di riflesso, irrigidendosi. 
 
-Fanno delle insalate personalizzate. Scegli la base e ti ci fai mettere tutto quello che vuoi. 
 
Ancora una volta Alberto prende parola, anticipando Stefano. Sta sfogliando il menu ma, Stefano ne è sicuro, prenderà sempre la solita lattuga con pollo, mozzarella e pomodori. 
 
-Vuoi vedere il menù? Ci sono tante opzioni. 
 
Suggerisce Stefano, prendendo finalmente parola. Si allunga sul tavolo per porgere un meno a Paolo che lo prende subito con la mano libera, senza staccare l’altra dalla gamba di Stefano, che non sa come reagire. Rimane immobile e in silenzio, ad osservarlo mentre legge il menù. 
 
-Quindi lavori alla Vince.
 
Afferma Alberto, chiudendo il menù. Paolo annuisce.
 
-Sì, da molti anni. La conosci come azienda?
 
Domanda Paolo. Questa volta toglie la mano e inizia a sfogliare più seriamente il menù. Un cameriere li sta osservando, in attesa di presentarsi al momento giusto per prendere il loro ordine. 
 
-Sì e ne ho sentito parlare bene. So che i requisiti per entrare sono molto rigidi. Immagino tu sia un allievo cum laude
 
Paolo annuisce, sorridendo. 
 
-Lo sono. Tuttavia non dare retta a tutte le voci che girano, forse una volta erano più restrittivi. Ora valutano il curriculum principalmente, non solo il voto di laurea. 
 
Stefano ha la conferma che anche da adulto Paolo abbia proseguito la sua eccellente carriera accademica, non aveva dubbi. 
 
-Lavorate nello stesso settore, voi due?
 
Ora è Paolo a fare le domande. 
 
-Sì, contabilità per l’editoria scolastica. Siamo colleghi, collaboratori e condividiamo la stessa scrivania. 
 
Specifica Alberto. Stefano non capisce esattamente il motivo della sua puntualizzazione ma nota che il tono di Alberto si fa più serio e anche lo sguardo di Paolo assume una sfumatura più rigida. La tensione viene smorzata dal cameriere che finalmente giunge al tavolo per prendere le ordinazioni. Alberto ordina la solita insalata, come previsto, anche Stefano prende il solito: insalata con feta, pomodori e olive con crostini di pane integrale, Paolo prende una vellutata alla zucca con crostini al farro. 
 
-Siete anche molto amici, tu e Stefano. O sbaglio?
 
Paolo riprende subito a far domande, non appena il cameriere si allontana con le comande. 
 
-Stefano è il mio più caro e sincero amico. 
Risponde Alberto, immediatamente. La sua risposta lo fa sorridere, sa bene di essere molto importante per Alberto, la cosa è reciproca. Tuttavia non l’ha mai sentito esprimersi così apertamente, di solito si limita a prenderlo in giro e a dargli appellativi poco carini. 
 
-Ci credo, Stefano è una persona eccezionale. 
 
Commenta, girandosi verso Stefano e sorridendogli, posa di nuovo la mano sulla sua gamba, questa volta più su, sulla coscia. Stefano ricambia il sorriso ma deglutisce nervosamente. Inizia a sentire caldo. 
 
Alberto inarca le sopracciglia e fa di nuovo una smorfia, un mutamento impercettibile del viso che Stefano riesce a cogliere appena. 
 
-Comunque… so che sei ingegnere, che hai un tuo team e qualche amico alla Vince mi ha detto che il tuo è nome importante. Ne deduco che tu sia una persona estremamente ambiziosa, sbaglio?
 
Le parole di Alberto, come sempre, sono taglienti e dirette. Non sapeva avesse indagato su di lui, né che avesse contatti alla Vince. Non smette mai di sorprenderlo. 
 
-Non sbagli affatto. So quello che voglio e so come arrivarci, sempre. 
 
Risponde Paolo, utilizzando un tono che Stefano non aveva mai sentito prima in lui. Il ritmo della conversazione tra lui e Alberto è serrato, sembra quasi un duello. La mano di Paolo rimane sulla coscia di Stefano, a palmo aperto, come se volesse ancorarvisi. 
 
-Tu invece mi sembri una persona molto diretta. Mi piacciono le persone dirette, la spavalderia non mi spaventa, anzi. 
 
Prosegue. Alberto non fa in tempo a ribattere, perché subito arriva il cameriere. Paolo toglie la mano per poter pranzare e Stefano, pur apprezzando ogni contatto fisico da parte sua, si sente più tranquillo. Durante il pranzo per un paio di minuti nessuno parla, Stefano ne approfitta per introdurre una conversazione più rilassata.
 
-Alberto è anche uno degli amici con i quali gioco a carte e ai vari giochi di società. È uno dei più bravi. 
 
Esordisce. Paolo alza lo sguardo dalla zuppa e osserva Alberto.
 
-Davvero?
 
Alberto posa la forchetta, si pulisce la bocca col tovagliolo. 
 
-Bisogna dire però che Stefano a carte è pessimo, mentre gli altri nel gruppo sono degli avversari più degni. 
 
Fa una pausa un attimo, poi riprende a parlare. 
 
-Siamo un bel gruppo, noi cinque. Tutti uomini, tutti con gli stessi interessi. Non ci dispiacerebbe un nuovo membro, se volessi venire.
 
Il tono si fa di nuovo serrato. Anche Paolo posa il cucchiaio e smette di mangiare.
 
-Certo. Non so come giochi Stefano a carte ma ti assicuro che io so il fatto mio. Verrò volentieri. 
 
Ribatte. È insolito da parte sua vantare le proprie abilità, generalmente è più modesto. C’è qualcosa però nel suo modo di fare, nel suo tono di voce, che lo stuzzica ulteriormente. Si chiede quante e quali altre sfaccettature possa avere la personalità di Paolo e per quale motivo ogni versione di lui sia ai suoi occhi sempre così attraente. 
 
-Bene. Fatti invitare da Stefano, qualche volta. 
 
Conclude Alberto, più rilassato, riprendendo a pranzare. Il pasto termina in silenzio e i toni lentamente si smorzano, fino al momento del caffè. 
 
-Sai, devo ammettere che sei stato una sorpresa per me. 
 
Esclama Alberto, iniziando a versare la prima bustina di zucchero nel caffè. 
 
-In positivo o in negativo?
 
Domanda Paolo, prendendo la propria tazzina. Non versa zucchero nel caffè, esattamente come Stefano. 
 
-È presto per dirlo. Sei il primo ragazzo della squadra di calcetto di Stefano che riesco a conoscere direttamente. A dirla tutta, sei l’unica persona che mi abbia mai presentato al di fuori del nostro circolo di amici. Qualcosa vorrà dire… 
 
Stefano spalanca gli occhi e rivolge un’occhiataccia ad Alberto, che fa finta di non vederlo ma sogghigna. 
 
-Oh, non saprei. Chiedilo a lui… 
 
Risponde Paolo, a sorpresa. Anche lui sogghigna. Pare che lui e Alberto si siano intesi perfettamente.  Alberto si alza dal tavolo. 
 
-Vado un secondo in bagno. Ste, chiedi il conto intanto? Si sta facendo un po’ tardi… 
 
Stefano annuisce. Aspetta che Alberto si allontani e fa un sospiro. 
 
-Scusami per Alberto. Lui è fatto così, è sempre diretto. Anche se oggi ha dato il meglio di sé…
 
Commenta. Paolo scuote il capo e gli sorride. Dopodiché si gira a tre quarti, appoggiando il braccio contro la spalliera del divanetto, in modo da poterlo vedere meglio. Riesce a guardalo direttamente nei suoi occhi azzurro cielo e avendolo così vicino, vestito in quel modo, dopo ciò che ha detto nell’ultima ora, dimostrandosi sicuro, fiero e spavaldo si sente vacillare. Una vampata di calore gli parte dal petto e arriva fino alla punta dei capelli. 
 
-È un personaggio interessante. Ora sono curioso di conoscere anche gli altri vostri amici.
 
Risponde, senza smettere di sorridergli. Il suo sguardo è diverso rispetto a quello che aveva poco prima con Alberto, è come al solito dolce e delicato. 
 
-Beh sì, una sera di queste magari… 
 
Risponde. In realtà non è del tutto convinto. Con Alberto, in un contesto diverso, non è stato difficile. Portarlo nel suo ambiente e infrangere quella sua regola sul fatto che le due sfere principali della sua vita non si debbano mai incrociare, è ancora qualcosa per cui crede di non essere pronto. 
 
-Tu, piuttosto… tutto ok?
 
Domanda Paolo, con leggera preoccupazione. Stefano annuisce.
 
-Sì, perché?
 
Paolo lo scruta ancora un attimo, prima di spiegarsi. 
 
-Mi sembri quasi… sfasato. So che sei abituato a vedermi vestito sportivo, faccia sconvolta… un mezzo scappato di casa. E ti assicuro che è così che sono nel 99% delle situazioni ma sul lavoro mi tocca darmi un tono. 
 
Risponde. Avvicinandosi di più a lui. Con le dita della mano destra, quella posata sul divanetto, inizia a tamburellare sulla spalla di Stefano, salendo fino alla corda del collo. Vorrebbe rispondere alla sua affermazione ma non riesce. Osservando l’orologio sul polso di Paolo, si accorge che è molto tardi e che si è scordato di chiedere il conto, come gli ha appena ricordato Alberto.
 
-Le due meno dieci! Merda! Il conto. 
 
Esclama. Sobbalzando, facendo ritirare anche Paolo. 
 
-Sì, si è fatto un po’ tardi. Vado io, non preoccuparti. 
 
Afferma, alzandosi dal divanetto, facendo perno sulla spalla di Stefano per alzarsi. Prima che possa dire altro si allontana e Alberto ritorna al tavolo.
 
-Allora? Il conto dov’è?
 
Domanda. Recuperando le sue cose.
 
-È andato Paolo.
 
Alberto infila il cappotto, si mette gli occhiali da sole. Poco dopo Paolo ritorna al tavolo.
 
-A posto. Andiamo?
 
Suggerisce, recuperando il cappotto, che questa volta indossa. 
 
-Ma… hai pagato tu?
 
Chiede Stefano, l’unico ancora seduto. 
 
-Certo. Mi sono autoinvitato al vostro pranzo, era il minimo che potessi fare.
 
Risponde, infilando gli occhiali da sole a sua volta.
 
-A buon rendere.
 
Commenta Alberto. A giudicare dal suo atteggiamento pare si aspettasse quel gesto. Stefano si affretta ad alzarsi e in pochi istanti escono dal locale. Il tragitto dal ristorante all’ufficio è breve e nessuno parla. Alberto al contrario si mette a messaggiare col cellulare e rimane poco più avanti. Stefano e Paolo camminano fianco a fianco. Stefano vorrebbe dire qualcosa ma si sente bene anche solo avendolo a pochi centimetri, non ha bisogno di dire nulla. Arrivati alla piazza degli uffici si salutano.
 
-Beh, mi ha fatto piacere conoscerti. 
 
Afferma Paolo, porgendo di nuovo la mano ad Alberto.
 
-Altrettanto. 
 
Ribatte, ricambiando la stretta di mano. 
 
-Ti aspetto a una delle nostre serate. 
 
Ribadisce. Paolo scioglie la stretta di mano e annuisce. 
 
-Certo. Ciao, buona giornata.
 
Dopodiché si gira verso Stefano, ancora una volta gli stringe la spalla.
 
-Ciao Ste, ci sentiamo più tardi.
 
Stefano aspetta che sia sufficientemente lontano, prima di parlare con Alberto, che nel frattempo si è già allontanato ed è quasi all’ingresso, lo raggiunge rapidamente.
 
-Non mi dici niente?
 
Chiede, affiancandolo. Alberto rimane in silenzio ma con uno strano sorriso sulle labbra. Si sta prendendo gioco di lui, rimanendo di proposito in silenzio quando sa bene che Stefano non aspettava altro che sentire la sua opinione. Continua per la sua strada, pigiando il tasto dell’ascensore, nel quale entrano entrambi. 
 
-Dai, non fare lo stronzo. 
 
Insiste Stefano. Alberto scoppia a ridere. 
 
-Mi sembri quelle ragazzine che chiedono all’amica del cuore un parere sui loro fidanzati. 
 
Commenta. Riflettendoci, la situazione è simile. Stefano un po’ si imbarazza. Nel frattempo l’ascensore è arrivato al piano, percorrono il corridoio dell’ufficio. Prima di entrare Alberto si ferma. 
 
-È più tosto di quanto pensassi. 
 
Commenta. Stefano inarca le sopracciglia con stupore, è la prima volta che sente un mezzo complimento verso Paolo uscire dalla bocca di Alberto.
 
-Ed è bellissimo. Non puoi dire di no.
 
Alberto fa spallucce. 
 
-È un tipo, sicuramente.
 
Ammette. Prima che Stefano possa dire altro continua a parlare.
 
-È abbastanza palese che gli interessi, non ha fatto altro che guardarti e toccarti.
 
Stefano non pensava che se ne fosse accorto anche lui.
 
-Quindi hai visto anche tu?
 
Alberto allarga le braccia, con rassegnazione. 
 
-Era davanti a me… come potevo non vederlo? Comunque… vacci cauto. 
 
Conclude, smorzando un po’ l’entusiasmo di Stefano. 
 
-Perché dici così?
 
Domanda, un po’ deluso. 
 
-È una mia sensazione. Lasciati andare ma… con la testa. Capito?
 
La raccomandazione di Alberto ha uno strano tono, sembra quasi provenga dal cuore. Stefano ha l’impressione che parli per esperienza personale. Annuisce.
 
-Sì, certo. 
 
Alberto gli sorride e poi cambia immediatamente tono.
 
-Ora andiamo a lavorare, che è già tardi.
 
Suggerisce, indicandogli la scrivania. 
 
 
Dopo il lavoro Stefano va dritto a casa. Avrebbe dovuto fare una tappa al supermercato per prendere qualcosa per cena ma non ne ha voglia, decide che per quella sera mangerà l’ultimo pacchetto di noodles rimasto in dispensa e rimanda la spesa al giorno successivo. Arrivato a casa si fa subito una doccia e si veste in abiti comodi. Dopodiché si butta sul divano e inizia a sfogliare svogliatamente Instagram TikTok,per tirare l’orario di cena. Mentre guarda l’ennesimo video di cagnolini trattati come se fossero alla SPA, riceve la notifica di un messaggio da parte di Paolo. Si tratta di una foto. Immediatamente chiude i social e va a vedere. 
È una foto di Paolo, un selfie, scattato dall’alto. Lo ritrae sdraiato su un divano, a mezzobusto con una maglietta bianca a maniche corte. Capelli spettinati, doppia pallina in metallo ben visibile sul sopracciglio e lingua fuori con il piercing al centro, in primo piano. 
 
“Sto meglio così? Oggi mi sembravi sconvolto 🤔”  
 
In effetti il Paolo della foto è quello a cui Stefano si è abituato e che continua a ritenere molto attraente. Tuttavia vederlo a pranzo con abiti eleganti e quell’attitudine così fiera e sicura ha generato in lui certe fantasie difficili da cancellare dalla mente. Non sa come rispondere. Vorrebbe semplicemente dirgli che per lui è stupendo qualsiasi cosa indossi o non indossi ma vuole evitare di essere così diretto. 
 
“Stavi bene anche oggi.” 
 
😉
 
Non vuole smettere di parlare con lui, continua a scrivergli. Vuole sapere anche il suo parere su Alberto ma senza chiederglielo direttamente, decide di girarci attorno nella speranza che sia lui a dire qualcosa. 
 
“Ti è piaciuto il ristorante?”
 
“Bel locale, molto intimo, etico… ma uscito da lì mi sono preso un panino con la mortazza al bar della Vince. 🫢
 
Stefano ride divertito. In effetti il pranzo di Paolo era davvero misero e leggero ma credeva avesse ordinato qualcosa di così semplice per via dei recenti problemi allo stomaco. 
 
😆ops…”
 
“So di non essere molto corretto ma mi piace la carne, amo la carne. La prossima volta vi porto io in un bel posto. 😏
 
È felice nel leggere che Paolo è disposto ad uscire di nuovo a pranzo con lui e Alberto. Ne approfitta per chiedere un parere.
 
Quindi Albe non ti ha terrorizzato 😬?” 
 
“Per niente. Ci vuole ben altro per terrorizzare me. Mi sono divertito a chiacchierare con lui, mi ha sfidato tutto il tempo. Sai che a me piacciono le sfide 😏
 
Anche Stefano aveva avuto l’impressione che si sfidassero. Il loro botta e risposta serrato ma sempre con quel tono cordiale e mai offensivo pare aver soddisfatto entrambi e Stefano per un momento si era sentito escluso dai loro discorsi, anche se ne era l’indiscusso protagonista. Inizia a credere che Alberto e Paolo si somiglino molto caratterialmente, entrambi hanno due personalità molto forti. 
 
“Però a biliardo mi hai lasciato vincere…” 
 
“Sono anche un gentiluomo. Hai provato a googlare il mio nome e la parola biliardo? Prova.”
 
Stefano è incuriosito da questa affermazione. Apre il browser di ricerca e digita: “Paolo Casagrande biliardo”, come parola chiave. Immediatamente appaiono degli articoli, dal più recente andando indietro e gli salta subito all’occhio il titolo “Vittoria regionale per il due volte campione di biliardo, Paolo Casagrande.” Era chiaro che Paolo non fosse un principiante ma mai si sarebbe aspettato che fosse addirittura un campione. 
 
“Ora capisco…” 
 
“Ti assicuro che la prossima volta non mi risparmierò. Ti consiglio di gustarti per bene la cena, giovedì sera. Non ti ricapiterà molto presto 😏” 
 
Al pensiero della cena di giovedì il cuore di Paolo accelera i battiti. Teme e al contempo non vede l’ora che arrivi quel momento. 
 
“Ora scusami ma devo lavorare… dalla prossima settimana inizierò finalmente con il mio progetto e ho un po’ di cose da fare. Ci vediamo domani al campo.
 
“A domani.” 
 
 
La sera seguente, Stefano si reca al centro sportivo con un po’ in anticipo. Ha finito di lavorare presto e non si è fermato a fare aperitivo con Alberto perché, ancora una volta, era stato invitato da Giulio ad un aperitivo in inglese organizzato dalla sua banca. Gli viene quasi spontaneo chiedersi se non ci sia dell’altro al di là degli aperitivi, tra Giulio e Alberto. Ogni volta si ripromette di indagare e poi, puntualmente, viene distratto da qualcosa, da Paolo, nell’ultimo periodo. 
Arrivato sulla soglia del centro sportivo, nota che le luci sono già accese, sia nel campo sia negli spogliatoi, quindi il mister deve essere già arrivato. Accelera il passo, per prima cosa posa il borsone nello spogliatoio, poi va a cercare il mister nel suo stanzino.
 
-Ciao mister, hai bisogno di una mano?
 
Chiede, entrando nel ripostiglio/ufficio dove sono conservati i vari documenti relativi alla squadra. Il mister è seduto alla scrivania e sta guardando il cellulare.
 
-Ciao, Stefano. Sei già qua? Sto guardando se c’è qualche offerta per la trasferta a Savignano. 
 
Risponde, mostrandogli alcuni siti di booking alberghiero sul cellulare. Stefano non ha ancora esaminato con attenzione tutto il calendario delle trasferte ma ricorda che il mister era abbastanza contrariato, dal momento che più di una squadra avversaria è fuori regione, alcune anche a diversi chilometri di distanza. La prossima trasferta lontana avverrà a Savignano Mare, in provincia di Forlì-Cesena, sarà tra sole due settimane, nel weekend di Halloween. 
 
-Dici che fare andata/ritorno è troppo stancante?
 
Chiede, osservando i prezzi per nulla contenuti. 
 
-L’idea iniziale era quella… però ho visto che anche quando siamo stati vicino a Bologna, la settimana scorsa, è stato pesante. Anche qui si giocherà alle dodici… ci toccherebbe partire almeno alle sei per essere in orario, avere tempo di allenarci un po’ e schivare il traffico dell’Adriatica nel weekend. 
 
Risponde. Dopodiché riprende il cellulare e lo blocca.
 
-Non so, valuteremo insieme nel fine settimana. Ti va di iniziare a sistemare i dischetti in campo, Ste?
 
Domanda poi, alzandosi dalla sedia. Stefano accetta e recupera subito i dischetti da disporre nel campo. Inizia a posizionarli nell’area nella quale di solito si allenano, cercando di ricordare la giusta posizione proposta dal mister a inizio allenamento. Mentre è chino a sistemarne uno, viene colto di sorpresa alle spalle, due braccia lunghe, chiare, scoperte e un po’ tiepide, lo prendono per le spalle avvolgendole. Non ha dubbi di chi possa essere, dal colore dorato dei peli dell’avambraccio, al profumo ambrato, tutti gli indizi portano a Paolo.
 
-Buonasera.
 
Lo saluta poi, avvicinando le labbra al suo orecchio. Stefano rimane immobile, incerto su come comportarsi. Si trova a trequarti chino sull’erba con un dischetto di plastica arancio ancora tra le dita della mano destra. Fortunatamente Paolo si stacca, permettendogli di girarsi. 
 
-Ti ho spaventato?
 
Chiede poi Paolo, non sentendo alcuna reazione da parte sua. 
 
-No, ero sovrappensiero. 
 
Ribatte. Nota che Paolo è già in divisa d’allenamento, maglietta corta e calzoncini, nonostante il clima sia umido e stia scendendo la nebbia. Lui al contrario fatica a togliersi la casacca della felpa, che terrà addosso finché non si sarà sufficientemente riscaldato. 
 
-Per non avere freddo così scoperto… deduco che tu ti sia ripreso completamente.
 
Commenta. Paolo sorride e si passa una mano sul petto.
 
-Sono in splendida forma.
 
Risponde, con sicurezza. 
 
-Bene. Perché il mister ti farà recuperare l’allenamento che hai saltato l’ultima volta… 
 
Lo avvisa Stefano. Paolo fa spallucce.
 
-Ho giocato e segnato anche mezzo morto… un po’ di allenamento in più non mi farà nulla. Tu, invece… pronto per giovedì?
 
Risponde. Stefano sussulta. Per un attimo aveva smesso di pensare a giovedì sera.
 
-Sarà una cosa così tanto impegnativa?
 
Domanda, quasi con timore. Paolo lo guarda stranito. 
 
-Dipende da cosa ti aspetti. 
 
Il punto è esattamente quello: Stefano non ha proprio idea di cosa aspettarsi da quella serata. In realtà le aspettative sono molte ma non vuole rimanere deluso.
 
-Che il cibo sia commestibile?
 
Suggerisce, timidamente. Paolo fa una smorfia, dopodiché gli dà un buffetto sulla spalla, indugiando per qualche secondo, come suo solito.
 
-Sarà la cena migliore della tua vita… vedrai!
 
 
***
-Ste, tu cosa vuoi?
 
Domanda Alberto, sfogliando il menù asporto del sushi. È mercoledì sera e, come di consueto, il gruppo di amici si è riunito a giocare. Eccezionalmente quella sera ci sarà anche una puntata del Grande Fratello. Ad ospitare la serata è Stefano che per l’occasione ha acquistato una nuova confezione di Risiko, consegnata dal corriere la mattina stessa.  
 
-Fai un menù uno e un sedici… ah no, quindici. Il sedici è al tonno giusto?
 
Chiede, mentre apparecchia la tavola della sala da pranzo. Sono da soli, lui e Alberto, gli altri non sono ancora arrivati. Alberto è seduto su di uno sgabello dell’isola in cucina. 
 
-Sì… ma lo prendo per Giulio, è lui l’amante del tonno crudo.
 
Commenta. Stefano lo raggiunge in cucina, crede sia arrivato il momento di indagare su lui e Giulio.
 
-A proposito di Giulio… com’è andato l’aperitivo ieri sera?
 
Domanda. Alberto non risponde subito, lo vede esitare. La penna con la quale stava segnando i numeri dell’ordine gli scivola di mano. La recupera rapidamente prima che possa cadere, alimentando i sospetti di Stefano. 
 
-Una rottura di coglioni infinita… ho parlato principalmente con i formatori madrelingua, gli altri sapevano a malapena dire e chiedere il proprio nome.
 
Risponde, rapidamente. Tiene lo sguardo fisso e non guarda direttamente Stefano negli occhi, c’è qualcosa di sospetto nel suo atteggiamento. 
 
-E Giulio come se la cava con la lingua?
 
Stefano non lo fa di proposito ma la battuta risulta stranamente ambigua ed equivocabile, preferisce non chiarirsi e aspetta la risposta di Alberto. Lo vede morsicarsi il labbro inferiore. 
 
-Discretamente. 
 
Risponde, tagliando corto. Dopodiché alza lo sguardo e gli rivolge un sorriso di circostanza. Che Stefano abbia colto nel segno? Non fa in tempo ad indagare più a fondo perché viene interrotto dal suono del citofono. Alberto ne approfitta e si alza dallo sgabello.
 
-Vado io.
 
Prima che Stefano possa dire qualcosa, raggiunge l’ingresso. Anche gli altri sono arrivati, la serata può cominciare. Alberto conclude l’ordine del Sushi take-away, che viene consegnato solo mezz’ora più tardi. Dopo aver finito di cenare, Stefano tira fuori il gioco in scatola appena comprato.
 
-Stasera gioco nuovo, l’ho preso io per evitare discussioni ed evitare anche… il Trivial di Albe. 
 
Esclama. Alberto sbuffa, nonostante ritenga lui stesso quel gioco antiquato e sorpassato, gli è molto affezionato e sicuramente è dispiaciuto di averlo non con sé quella sera. Gli altri ragazzi sembrano apprezzare.
 
-Oh finalmente! Almeno per un po’ eviteremo di vedere quel coso ammuffito… 
 
Commenta Andrea. 
 
-Bravo, Ste! Non abbiamo mai giocato insieme a Risiko, qualcosa di nuovo ogni tanto.
 
Aggiunge Giulio. La sua risposta scatena immediatamente la reazione di Alberto.
 
-Se forse tu avessi portato Taboo avremmo provato anche quello…                     
 
Luca porta gli occhi al cielo, Andrea osserva la reazione divertito e anche Stefano, in silenzio, cerca di studiare i loro comportamenti. 
 
-Ancora con questa storia? Te lo regalo per il compleanno se ti piace così tanto!
 
Ribatte Giulio, con tono spazientito. 
 
-Regalami un esonero dai tuoi aperitivi di merda. 
 
Esclama Alberto, con il suo solito modo di fare tagliente. Giulio spalanca gli occhi sorpreso dalla sua risposta e diventa paonazzo in viso.
 
-Oh se vuoi ti regalo un esonero dalla mia amicizia, direttamente. 
 
Controbatte, avvicinandosi di più a lui. La situazione si sta facendo più tesa del previsto. Andrea, Luca e Stefano si rivolgono occhiate di preoccupazione. Quell’escalation di litigio tra i due non se l’aspettavano. 
 
-Sai cosa me ne frega. 
 
Commenta Alberto, con arroganza. Tiene lo sguardo basso e non per un istante guarda Giulio. 
 
-Ma sei serio? 
 
Chiede Giulio. Alberto non si risponde, si limita a fare spallucce. Il suo atteggiamento non fa che irritare ancora di più Giulio.
 
-Va bene, come vuoi. Ma sappi che quando starai male l’ennesima volta per colpa di chi-sai-tu, ti sbatterò la porta in faccia. Sii consapevole del tuo atteggiamento di merda e di quello che ne consegue. 
 
Conclude Giulio, dopodiché recupera il cappotto.
 
-Scusami Stefano ma non posso stare qui, ora. Buona serata a tutti.
 
Esclama, uscendo. Andrea cerca di trattenerlo, prendendolo per la manica del cappotto ma Giulio lo schiva e continua per la sua strada. 
 
-Ma che cazzo ti passa per la testa?
 
Chiede Luca, dando uno spintone ad Alberto, che pare essere rimasto impassibile. 
 
-Ha fatto tutto da solo, io non ho detto niente.
 
Risponde, alzandosi dalla sedia e prendendo un pacchetto di sigarette dalla giacca posata sullo schienale. Senza dire nulla si dirige verso il giardino sul retro. 
 
-Prima o poi la miccia doveva scoppiare… 
 
Commenta Andrea. Anche Luca annuisce. Stefano si sente escluso dai loro discorsi.
 
-Voi ne sapevate qualcosa?
 
Domanda Stefano, guardando i due amici con sospetto. I due si scambiano uno strano sguardo d’intesa. A spiegare la situazione è Luca. 
 
-Siamo abbastanza sicuri che ci sia stato qualcosa tra loro e che non sia finita del tutto…
 
Stefano rimane a bocca aperta. Quindi non era il solo a pensarlo. 
 
-Cioè stavano insieme?
 
Andrea fa una smorfia.
 
-Oddio, insieme magari no… ma qualcosa c’è stato, di sicuro.
 
Stefano osserva Alberto in giardino, oltre la porta a vetri della cucina. È girato di spalle e sta fumando.
 
-Speriamo che chiariscano… mi spiacerebbe perdere Giulio.
 
Confessa Andrea, anche Luca è d’accordo.
 
-Già… poi tra poco sarà il compleanno di Alberto, di solito è Giulio a prenotare il pub e a organizzare tutto… 
 
Stefano se n‘era quasi scordato. Il compleanno di Alberto sarà il prossimo martedì, deve ancora pensare al suo regalo. Ogni anno, da quando si è formato il loro gruppo, sono soliti festeggiare il suo compleanno in un pub irlandese vicino a casa di Alberto dove si fa karaoke, per poi proseguire con una serata in discoteca. L’organizzazione è sempre opera di Giulio, che conosce Alberto da più tempo, in genere si occupa di prenotare il tavolo, scegliere il menu, ordinare una torta e anche di preparare un tema particolare, l’anno precedente era stato “Ru Paul Drag Race”, tutti quanti si erano vestiti da drag queen, per il prossimo compleanno non è stato ancora deciso un programma, o meglio Giulio non l’aveva ancora comunicato ai suoi amici. 
 
-Vado a cercare di farlo ragionare.
 
Afferma Stefano, sospirando. Esce in giardino per parlare con Alberto.
 
-Allora? Hai qualcosa da dire?
 
Chiede, avvicinandosi a lui. Alberto nel frattempo si è seduto su una delle sedie da giardino, non ancora coperte. Ha finito di fumare ma è rimasto lì, con lo sguardo fisso. 
 
-Ho detto tutto quello che dovevo dire.
 
Risponde, con franchezza. Stefano sa che sarà difficile farlo parlare, quando si pone in quel modo, stando sulla difensiva, non è per nulla aperto al dialogo.
 
-Non ti sembra di aver un po’ esagerato con Giulio?
 
Insiste, mettendosi a sedere vicino a lui. Si chiede come faccia a stare seduto tranquillo, a maniche corte, il clima è umido e freddo e le sedie sono bagnate per via dell’umidità della sera. 
 
-Lo sai come sono, anche lui sa. Dico quello che mi pare. Se si è offeso… cazzi suoi. 
 
Ribatte, senza guardare Stefano. In quel momento la tasca dei jeans di Stefano inizia a vibrare. Istintivamente prende il cellulare e nota che si tratta di alcuni messaggi WhatsApp da parte di Paolo. Non li legge e ripone il telefono in tasca. 
 
-Non pensare alle mie cazzate, guarda cosa ti ha scritto… tanto è sempre solo lui che hai mente. 
 
Risponde, con asprezza, alzandosi dalla sedia. Stefano rimane basito dalla sua affermazione, si chiede se non abbia semplicemente approfittato della situazione per chiudere il discorso o se realmente sia infastidito. 
 
-Andiamo dentro, stai congelando. 
 
Suggerisce, invitandolo ad alzarsi. Stefano ci mette un istante per focalizzare, dopodiché si alza ed entra in casa, Alberto si sta infilando la giacca.
 
-Te ne vai anche tu?
 
Gli grida, correndo verso di lui. 
 
-Ho bisogno di schiarirmi un po’ le idee… Ci vediamo domani in ufficio.
 
Dopodiché esce, sbattendo la porta. 
 
-Che serata…
 
Esclama improvvisamente Andrea, probabilmente per rompere il silenzio imbarazzante calato dopo l’uscita di Alberto.
 
-Che facciamo? Partita a Scala?
 
Propone Luca. Stefano e Andrea accettano e tornano a sedersi al tavolo, cercando di non pensare a ciò che è appena accaduto. È chiaro che tutti e tre siano preoccupati per la situazione ma nessuno esprime il proprio pensiero ad alta voce.
 
Dopo un paio di partite anche Andrea e Luca decidono di andare via. Stefano sistema la sala da pranzo dopodiché si getta sul divano e apre i messaggi di Paolo, ricevuti ormai da un’ora. Si tratta di una foto di un sacchetto della spesa aperto nel quale riesce a scorgere una bottiglia di vino, basilico, pinoli, un pezzo di formaggio stagionato e altri pacchetti che non riesce a riconoscere. La foto è accompagnata da un messaggio:
 
“Spesa per domani, pronta!”
Stefano non sa se rispondere scusandosi per non aver risposto immediatamente, spiegando il motivo del suo ritardo, oppure far finta di nulla. Prima che possa pigiare qualsiasi lettera sullo schermo, riceve un nuovo messaggio.
 
“Tutto bene?”
 
Probabilmente deve aver capito che stava per scrivergli, leggendo il famigerato stato “sta scrivendo”.
 
“Sì, serata particolare… sono davvero curioso per la cena di domani!”
 
Risponde, sperando che non indaghi oltre. Per fortuna, non lo fa.
 
“Mi racconterai… a domani 😉
 
“A domani!” 

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Capitolo 12
*** Cena con sorpresa ***


Il giorno seguente, Stefano nota che Alberto non è venuto al lavoro. Inizia a preoccuparsi e chiedersi cosa possa essergli successo nelle ultime ore, dal momento in cui era uscito da casa sua. Non l’ha sentito né gli ha scritto nulla. Di solito quando è ammalato o ha qualche impegno, lo avvisa nelle prime ore del mattino.  Decide di mandargli un messaggio. 
 
“Albe, dove sei? Mi fai preoccupare…” 
 
Scrive, di getto. Nota che il messaggio non solo non viene letto ma nemmeno ricevuto. Il telefono potrebbe essere spento o potrebbe trovarsi una zona con scarsa ricezione. Mille pensieri girano per la testa di Stefano, ha paura che Alberto possa aver fatto qualche sciocchezza, che possa essersi infilato in qualche bar o qualche locale di basso livello, finendo in situazioni pericolose. Scuote il capo, non può pensare che Alberto sia così imprudente. Ama il rischio, ama l’avventura e adora provare nuove sensazioni ma non è uno sprovveduto, è un uomo adulto cosciente e intelligente.
Inizia chiedersi se sia il caso di sentire anche Giulio. Potrebbe averlo contattato, forse si sono parlati. 
Mentre continua a immaginare e fare ipotesi il suo cellulare, ancora aperto sulla chat di Alberto, vibra. Non è lui a scrivere ma Paolo. Per la prima volta Stefano non prova entusiasmo nel trovare un suo messaggio, è troppo preoccupato per Alberto e non riesce a pensare ad altro.
 
“Buongiorno! Meno 11 ore alla cena… tieniti leggero a pranzo, mi raccomando 😜
 
Sospira. Vorrebbe potersi godere l’attesa della serata con Paolo con tranquillità, senza pensare ad altro. Egoisticamente avrebbe anche voluto parlarne con Alberto, come sempre. Risponde a Paolo con una semplice emoji di un pollice all’insù e torna a controllare la chat con Alberto, dove non è cambiato nulla. Appoggia il telefono sulla scrivania e comincia a lavorare, continuando a controllare lo schermo ogni cinque-dieci minuti. 
Arrivate le dieci, l’ora in cui solitamente si concede una pausa caffè con Alberto, si alza dalla sedia senza sapere cosa fare. Vorrebbe approfittare della pausa per telefonargli, prende il telefono e si dirige verso la zona ristoro. Camminando inizia a cercare il contatto di Alberto per chiamarlo, il telefono non suona, risulta spento. Si blocca a metà corridoio. Decide che è arrivato il momento di sentire Giulio.
 
“Ciao Giù, per caso hai parlato con Albe? Non è venuto al lavoro stamattina…” 
 
Scrive rapidamente. Spera di ricevere una risposta almeno da lui, anche se sa che Giulio, lavorando alla cassa in banca e avendo continuamente incontri con i clienti, non guarda spesso il cellulare. Cammina avanti e indietro per il corridoio, in attesa di una risposta da uno o dall’altro. Non ha alcuna voglia di prendere il caffè e senza Alberto sente che non sarebbe la stessa cosa, odia bere il caffè da solo quando lui non c’è. 
 
-Ste? Non mi aspetti neanche?
 
Lo richiama qualcuno alle sue spalle. È Alberto. Stefano si gira immediatamente e gli corre incontro, abbracciandolo, noncurante dell’opinione delle persone nell’ufficio.
 
-Albe! Ma dov’eri?
 
Alberto sembra sorpreso dal suo gesto improvviso, è rigido e impacciato. Stefano lo lascia andare. 
 
-Ho preso un permesso, avevo un appuntamento dal dentista alle 8. Te l’avevo anche detto. 
 
Stefano spalanca gli occhi. Inizia a ricordare vagamente qualche discorso in cui Alberto si era lamentato di un dente del giudizio. Si sente incredibilmente stupido.
 
-Ah… sì. 
 
Alberto lo guarda con sospetto.
 
-Perché… cosa credevi?
 
Chiede. Stefano, fa spallucce. 
 
-Ma… sai… da come te ne sei andato ieri sera credevo…
 
Alberto non lo lascia finire. 
 
-Cioè pensavi che mi fossi andato a devastare da qualche parte? Per una cazzata con Giulio! Ma figurati, Ste!
 
Esclama, dandogli una pacca sulla spalla. 
 
-Dai, andiamo a berci il caffè. 
 
Suggerisce, appoggiandogli una mano sulla schiena e spingendolo verso le macchinette. Prendono le bevande e poi si siedono al tavolino. Stefano continua a tenere lo sguardo basso, senza dire una parola. Si sente terribilmente sciocco e infantile per aver avuto quei pensieri su Alberto. Una cosa però non gli è chiara e cerca immediatamente di chiarire il dubbio.
 
-Scusa ma… perché non mi hai risposto al telefono, poco fa?
 
Chiede. Alberto inarca le sopracciglia. Inizia a tastare il taschino della giacca, poi quello della camicia, si alza per controllare le tasche dei pantaloni.
 
-Non c’è…
 
Esclama, con tono sorpreso. 
 
-Forse l’hai lasciato a casa? O dal dentista?
 
Suggerisce Stefano. 
 
Alberto scuote il capo.
 
-No, deve essere…
 
Non completa la frase. Finisce il caffè, in piedi. Sembra di fretta.
 
-Lo troverò. Andiamo a lavorare?
 
Suggerisce, indicando a Stefano di sbrigarsi. Stefano butta giù il caffè e si alza, seguendo Alberto. C’è qualcosa di strano nel suo atteggiamento. 
 
-Dove sei andato ieri sera, dopo che sei scappato da casa mia?
 
Chiede. Alberto è di fronte a lui, lo vede bloccarsi per un istante, un movimento quasi impercettibile delle spalle che però riesce a notare chiaramente.
 
-Al bar, in giro… niente di che. 
 
Risponde, rapidamente, sparendo all’interno dell’ufficio. Stefano continua ad osservarlo, non è convinto dalla sua risposta. Appoggia il telefono sulla scrivania e nota che Giulio ha risposto al suo messaggio.
 
“Doveva andare dal dentista, arriverà. Tranquillo 😉
 
Anche il messaggio di Giulio è troppo sbrigativo, non ha risposto alla prima parte della domanda, quella in quale gli ha chiesto se si fossero sentiti. Dà un ultimo sguardo ad Alberto, che nel frattempo ha iniziato a lavorare e sta già inviando delle e-mail. 
 
-Alberto Bacchi?
 
Chiama una donna, apparendo sulla porta dell’ufficio. Alberto si alza.
 
-Sono io. 
 
La donna lo raggiunge e gli porge un telefono, il suo cellulare.
 
-L’ha portato adesso un certo Tavazzi. È suo il telefono?
 
Domanda. Alberto annuisce e lo prende.
 
-Sì, grazie.
 
La donna annuisce col capo e poi esce dalla stanza. Stefano riflette sul nome o meglio, sul cognome, appena nominato dalla donna. 
 
-L’hai lasciato da Giulio.
 
Esclama ad alta voce, con un mezzo sorriso sulle labbra. Alberto, ancora in piedi, gli rivolge un’occhiata fulminea. Stefano si avvicina di più con la sedia.
 
-Quindi sei stato da lui? Vi siete chiariti?
 
Domanda, con curiosità. Alberto sbuffa.
 
-Ti ho detto che era una cazzata. E comunque… pensa un po’ ai tuoi di problemi! Stasera non hai la cena con il tuo bello?
 
Suggerisce, sedendosi e cambiando discorso. Stefano annuisce.
 
-Ecco, pensa a quello e torna a lavorare… veloce!
 
Esclama, spingendo via la sua sedia. 
 
 
 
Uscendo dall’ufficio, alle 18, Stefano e Alberto percorrono un tratto di strada insieme, prima di arrivare alla metro dove ognuno prenderà una linea differente. 
 
-Mi raccomando: niente paranoie, se vedi che ci sta… fallo!
 
Ripete, forse per la ventesima volta, nel corso della giornata. Stefano annuisce. 
 
-Lo so, lo so… tu piuttosto, cosa fai stasera? Se vado nel panico ti chiamerò, sappilo. 
 
Chiede, cercando anche velatamente di scoprire se si vedrà ancora con Giulio. Non è riuscito a indagare su cosa sia successo tra loro la sera prima, dopo la lite. Alberto ha ripetutamente sviato il discorso, senza dargli possibilità di fare domande. 
 
-Sono a casa. Se non sto dormendo ti rispondo. 
 
Risponde rapidamente. Stefano non è convinto della sua risposta ma non va oltre. Deve sbrigarsi e tornare a casa, ha bisogno di tempo per prepararsi alla cena. 
 
-Va bene… ti aggiorno. 
 
Alberto annuisce.
 
-Colpisci e affonda… o fatti affondare, vedi tu quello che preferisci. 
 
Stefano non comprende subito la battuta poi si lascia sfuggire una risata, solo Alberto può uscirsene con battute del genere con naturalezza. 
 
Arrivato a casa si fa subito una doccia, da una regolata alla barba, sistema e pettina i capelli nel miglior modo possibile, cercando sempre di tenerli abbastanza voluminosi, per nascondere un po’ l’attaccatura. Si osserva allo specchio e, con un po’ di ottimismo, pensa di non essere poi così male. Non è mai troppo generoso verso sé stesso, non si ritiene una bellezza particolare eppure in quel momento allo specchio è soddisfatto di ciò che vede. Spera che i segnali che ha visto in Paolo siano giusti, che sia realmente interessato a lui. Sospira, spegne la luce dello specchio e con ancora indosso l’accappatoio va in camera per decidere cosa indossare per la serata. Non vuole essere troppo elegante ma nemmeno mostrarsi sciatto. Sa bene che Paolo, come sempre, sarà perfetto, qualunque sarà il suo abbigliamento. Decide di andare sul classico e indossare una camicia semplice bianca e un paio di jeans scuri con una cintura in pelle, nera. Non troppo elegante ma nemmeno eccessivamente casual. Sceglie di proposito abiti abbastanza leggeri, non troppo attillati e, nell’eventualità, facili da togliere. Sente che la serata sarà impegnativa e non vuole farsi trovare impreparato. A tale proposito, prende dal cassetto del comodino un paio di preservativi che nasconde all’interno del fazzoletto, infilato nella tasca posteriore dei jeans. Sente di azzardare troppo nel farlo ma spera che questo suo azzardo gli porti fortuna.
Quando si ritiene pronto, recupera il cappotto ed esce. Paolo gli ha inviato la posizione, dista circa venti minuti da casa sua: due fermate di metro, dovrà cambiare per prendere la verde e poi ancora due fermate. Cerca di tenere bene a mente il percorso da fare, per arrivare puntuale. Prima di entrare in metro ha deciso di passare al supermercato vicino casa, per prendere una bottiglia di limoncello da portare per la serata. Stando alla foto della sera prima, il vino è già stato acquistato da Paolo, non sa cos’altro portare e non è intenzionato a mostrarsi a mani vuote. 
Sulla metro, con il sacchetto di carta che contiene il limoncello in una mano e l’altra aggrappata ad un’asta verticale, comincia a fantasticare sulla serata. Non è stato detto ufficialmente da nessuno dei due e Paolo ha continuato a definirla un “premio”, eppure è innegabilmente un appuntamento, una cena a casa di Paolo, loro due soli. Inizia a tremare dall’ansia e le mani sudano, al punto che l’asta inizia a diventare scivolosa. Riesce ad accorgersi in tempo di essere arrivato al punto di dover scendere e cambiare linea, un solo attimo di esitazione e avrebbe perso la coincidenza. 
Quando finalmente esce dalla metropolitana, riprende il telefono per leggere l’indirizzo corretto. Paolo abita in uno dei due palazzi del bosco verticale, Stefano non ci aveva pensato guardando l’indirizzo e se ne accorge solo quando vi si trova davanti. Molti vip e alcuni calciatori vivono in quei palazzi, si chiede se sarà così fortunato da incrociarne qualcuno, salendo nell’appartamento di Paolo. Arrivato di fronte al cancello dell’ingresso non sa come comportarsi. Ha paura che non lo facciano entrare. Suona il campanello. Una voce di uomo, dall’altra parte, risponde. Deve trattarsi del portiere del palazzo. 
 
-Buonasera. Come posso aiutarla?
 
Stefano inizia ad agitarsi, deglutisce con forza e poi risponde.
 
-Buonasera… devo incontrare Casagrande, Paolo Casagrande. 
 
Risponde, cercando di non balbettare. 
 
-Mi può dire il suo nome, signore, gentilmente?
 
Chiede di nuovo il portiere. 
 
-Stefano Rosati. 
 
Risponde, con tono fermo.
 
-Un momento solo… 
 
Il portiere non parla per almeno un paio di minuti, dopodiché si ripresenta.
 
-Prego entri pure, venga da me alla reception, le dirò come raggiungerlo.
 
Afferma, aprendo contemporaneamente il cancello. Stefano entra, una volta entrato il cancello si chiude automaticamente alle sue spalle. Non c’è dubbio che si tratti di un palazzo destinato a Vip o persone benestanti, non pensava che Paolo potesse vivere in un posto del genere. Percorre il vialetto fino all’ingresso e raggiunge la portineria. Anche l’interno è molto elegante, esattamente come le facciate, la hall è ampia luminosa e piena di vetrate, arredata con dei divani in pelle squadrati chiari, diversi lampadari al led di svariate forme geometriche e alcune piante molto alte.
 
-Venga, dottor Rosati. 
 
A chiamarlo, al bancone, è l’uomo del citofono. Un signore sulla mezza età, brizzolato e molto alto, vestito in abiti eleganti. Stefano crede che nessuno, al di fuori del giorno della laurea, l’abbia mai chiamato “dottore”. 
 
-L’ingegnere l’attende nel suo appartamento, mi ha detto di averle già comunicato piano e numero. Prenda l’ascensore a destra. Arrivederci.
 
Esclama, indicando l’ascensore da prendere. Stefano segue l’indicazione e recupera il messaggio di Paolo per leggere il numero corretto. Quando si trova davanti alla porta esita un attimo e poi preme il bottone, Paolo apre subito.
 
-Buonasera… ti stavo per raggiungere.
 
Afferma, facendogli spazio per entrare. Paolo, come previsto, è impeccabile. Indossa una camicia nera semitrasparente, aperta nei primi tre bottoni, che lascia intravedere il suo piercing sul capezzolo, un paio di jeans attillati dello stesso colore e dei mocassini grigi, senza calze. I capelli hanno il solito stile spettinato, effetto bagnato. Una via di mezzo tra il Paolo elegante dell’ufficio e quello casual, che è solito frequentare. 
 
-Ti ho portato… del limoncello. 
 
Afferma, porgendo la borsa a Paolo. 
 
-Grazie, non dovevi. È la tua cena di premio, sei mio ospite. 
 
Risponde, prendendo il sacchetto e sorridendo.
 
-Dammi pure il cappotto, fa caldo qui dentro.
 
Suggerisce Paolo, Stefano glielo porge e lui subito lo ripone nel guardaroba, all’ingresso, un gigantesco armadio scorrevole nascosto da uno specchio.
Stefano ha modo di osservare meglio Paolo e nota qualcosa di diverso nel suo sguardo, sempre affascinante e attraente ma con qualcosa di insolito, lui si accorge subito del suo sguardo e spalanca gli occhi. 
 
-Sì, è kajal nero. Ogni tanto lo metto, quando vesto di nero, fa risaltare gli occhi azzurri. Me l’ha insegnato tua sorella anni fa, lo adorava sul cantante dei Green Day.
 
Stefano sorride, con imbarazzo. Ricorda bene dell’ossessione di Elena per i Green Day, anche la sua in realtà, anche se Elena adorava il cantante Billie Joe, mentre lui preferiva Mike, il bassista, biondo esattamente Paolo.
 
-Non ti sfugge nulla, eh. 
 
Aggiunge. 
 
-Non volevo fissarti, scusa. Ti sta bene, comunque. Tutto sta bene su di te.
 
Si giustifica, arrivando a dire troppo, più di quanto avrebbe voluto. Paolo però sembra apprezzare il suo commento. 
 
-Grazie. Anche tu stai molto bene stasera, mi piaci con la camicia. Volevo dirtelo quando abbiamo pranzato lunedì ma… non ne ho avuto l’occasione. 
 
Ribatte. Stefano non sa come reagire a quel complimento, è probabilmente la prima volta che Paolo gli fa un complimento così esplicito. Si guarda intorno per cercare di calmarsi e rimane sbalordito dall’arredamento della casa. Concentrato com’era su Paolo non si era accorto dell’ambiente circostante. 
 
-Non avevo capito che abitassi proprio qui… questo appartamento sembra uscito da una rivista di architettura.
 
L’appartamento è ampio, si tratta di un openspace nel quale le stanze sono divise solo da mezzi muri, librerie a giorno illuminate da led e divisori di vetro. I colori predominanti sono il bianco, il beige e il marrone scuro. Lo stile è moderno e pulito, nel salone nel quale si trovano ci sono due grandi divani ad angolo, uno di fonte all’altro, in pelle bianca, in mezzo ad essi un tavolino in vetro ovale con dei vasi marroni a forma di otto. L’intero ambiente è illuminato da vetrate che arrivano fino al soffitto e mostrano l’altro palazzo gemello e i grattacieli della Regione Lombardia. 
 
-Ti mostro l’appartamento, ti va?
 
Propone Paolo, posando il sacchetto del limoncello su una console a muro, in cristallo. 
 
-Certo. 
 
Risponde. Paolo gli fa cenno di seguirlo.
 
-Allora… l’ingresso l’hai già visto, è solo un corridoio con guardaroba a muro, scorrevole. Questo invece è il soggiorno e laggiù, oltre la libreria, c’è la sala da pranzo. Se non ti dispiace però ceneremo in cucina, mi è più comodo per cucinare. 
 
Stefano annuisce. La libreria menzionata da Paolo è molto ampia, è semplice e lineare con inserti di legno e metallo, alterna mensole colme di libri ad altre semi-vuote con solo qualche suppellettile. Oltre alla libreria c’è il tavolo da pranzo del soggiorno, un enorme tavolo rettangolare in vetro con sedie in legno scuro. In quel momento sul tavolo è posato un vassoio d’argento con due calici di vino e due ciotoline in ceramica bianca che contengono delle olive e qualche verdura tagliata a listelli.
 
-Ho preparato un piccolo aperitivo, qui davanti, perché mi piace questa vista. 
 
Paolo prende uno dei calici e lo offre a Stefano. Poi prende l’altro e si appoggia appena al tavolo, con lo sguardo rivolto verso la finestra. Stefano si mette accanto a lui, facendo però attenzione a non stargli troppo appiccicato. La serata è appena cominciata e non vuole sentirsi sopraffatto, vuole arrivare almeno alla cena. 
 
-È davvero bello qui, il cuore pulsante della Milano moderna. 
 
Commenta Stefano, sorseggiando il vino. Si tratta in realtà di spumante, dolce ed estremamente gradevole. Forse lo stesso che aveva portato la sera della pizza con la squadra. 
 
-È lo stesso vino dell’ultima volta?
 
Paolo sorride. 
 
-L’hai riconosciuto? Ti era piaciuto così tanto e te l’ho riproposto, però un solo bicchiere stavolta, la serata è lunga e non voglio che finisca come l’ultima volta. 
 
Risponde, rivolgendogli uno strano sguardo, Stefano lo interpreta come leggermente malizioso ma non vuole osare troppo, spera che il vino non stia già facendo effetto. 
 
-Mangia qualcosa. Le verdure sono fresche, tutte tagliate da me, a mano. 
 
Suggerisce, porgendogli la ciotolina con le verdure. 
 
Stefano prende una carota e quello che pensa sia del sedano. Dà un morso e sente subito che sono veramente fresche e croccanti. 
 
-Ti sei messo anche a tagliare le verdure… eppure ti avevo solo chiesto la pasta col pesto. 
 
Commenta Stefano, gustando anche il pezzetto di sedano.  Paolo scuote il capo. 
 
-Secondo te, ti avrei mai invitato a cena solo per una misera pasta al pesto? Ma per chi mi hai preso?
 
Risponde, spostandosi dal tavolo e ponendosi proprio davanti a lui. Sono così vicini che Stefano riesce chiaramente a percepire il suo profumo, quel suo inebriante profumo ambrato. 
 
-Mi dici sempre che sono un campione, che faccio tutto a regola d’arte. Mi offendi se credi che abbia fatto solo quello. 
 
Prosegue, continuando a sorseggiare il vino. Stefano rivolge lo sguardo alle sue labbra, umide, posate sul bicchiere e quel suo sguardo, contornato dalla matita nera. Pensa che sua sorella avesse davvero ragione: il kajal è perfetto su lui. Dovrà ringraziarla, non appena la vedrà. 
 
-Sei sempre una sorpresa, per me.
 
Risponde, cercando di mantenersi composto. Paolo si sporge ancora di più verso di lui, Stefano si chiede quali siano le sue intenzioni. In realtà, posa semplicemente il bicchiere sul vassoio.
 
-Vieni, ti faccio vedere il resto della casa.
 
Lo invita, appoggiandogli una mano sul braccio. 
 
-Le scale portano al piano rialzato dove ci sono due stanze da letto, una delle due con bagno personale poi ci sono il bagno padronale e il mio studio, che però non ho ancora finito. Magari la parte di sopra te la mostro dopo. 
 
Stefano annuisce. La scala indicata da Paolo è quasi interamente in vetro, molto elegante e scenografica. 
 
-Da questa parte andiamo verso la cucina, mentre la porta qui sulla sinistra è quella del bagno di servizio, con lavanderia annessa. 
 
Apre la porta del bagno e accende la luce. Si tratta di un ambiente lungo e stretto ma comunque molto curato, il pavimento è in marmo bianco, a differenza del resto dell’appartamento dove è posato un parquet scuro e lucido. Salta subito all’occhio in fondo alla stanza una gigantesca doccia walk-in e due lavandini rotondi in pietra, incassati in un pianale rialzato in legno. 
 
-E lo chiami bagno di servizio?
 
Afferma Stefano, sarcastico. Paolo chiude la porta. 
 
-Dopo cena ti farò vedere quelli sopra. Quello della matrimoniale ha la doccia che affaccia sulla stanza.
 
Stefano si chiede se si tratti di un invito o se stia semplicemente cercando di incuriosirlo. 
 
-Mentre qui, a vista, abbiamo la cucina. In realtà era previsto che fosse molto più piccola ma io amo cucinare ho rinunciato a un pezzo di soggiorno, per ampliarla. 
 
La cucina è perfettamente integrata nell’arredamento. Tutti i mobili e i pensili sono ciechi, dello stesso stile di quelli dell’ingresso e della sala da pranzo, l’unico pezzo stonato è il frigorifero in acciaio, con il tablet incorporato, che aveva già visto tramite foto.  I fornelli sono a induzione e sono installati in un’isola centrale, sopra la quale c’è una cappa auto-aspirante in metallo, dal design elegante. Il piano di lavoro è in marmo marrone scuro, con striature dorate che richiamano i decori delle ante della cucina. Poco distante dall’isola c’è un piccolo tavolo quadrato, con solo due sedie, già apparecchiato. 
 
-Qui è dove ceneremo.
 
Aggiunge. Dopodiché sposta leggermente una sedia, invitando Stefano a sedersi.
 
-Prego. 
 
Stefano si siede, spingendo la sedia più vicino al tavolo. Paolo rimane dietro di lui, appoggia entrambe le mani sulle sue spalle. 
 
-Rilassati un po’, Ste. Sei rigido come un blocco di legno. 
 
Aggiunge, massaggiandogli le spalle e la base del collo, con i pollici. Stefano si irrigidisce ancora di più. 
 
-Tranquillo… siamo solo io te, mi conosci da tanto. Con me ti puoi lasciare andare, lo sai.
 
Gli sussurra nell’orecchio. Stefano deglutisce rumorosamente, non credeva che Paolo sarebbe partito subito così, alla grande. Non sa come comportarsi, crede che le sue intenzioni siano palesi ma ancora non vuole azzardare. Fortunatamente Paolo si sposta, si allontana un momento e poi ritorna con una bottiglia di vino, che stappa al tavolo, davanti a Stefano.
 
-Non hai appena detto che avremmo bevuto un solo bicchiere?
 
Domanda Stefano. Paolo nel frattempo versa il vino, rosso, prima nel bicchiere di Stefano e poi nel proprio.
 
-Questo è da tavola. Mi hai detto che preferisci il bianco, però vedrai che questo ti piacerà. 
 
Si sposta di nuovo e porta al tavolo un vassoio con delle bruschette. 
 
-Antipasto, fatte mezz’ora fa. 
 
Aggiunge, questa volta si siede al suo posto, di fronte a Stefano. 
 
-Sempre le cose in grande…
 
Commenta Stefano, prendendo una bruschetta, facendo ben attenzione a non far cadere i pomodori. 
 
-Come dicono gli americani: go big or go home.
 
Risponde, portando il bicchiere di vino alla bocca. 
 
-Non vogliamo brindare a qualcosa?
 
Suggerisce Stefano, prendendo il bicchiere a sua volta. 
 
-Certo. A cosa? 
 
Domanda Paolo. Stefano si fa coraggio.
 
-Alla buona riuscita di questa serata.
 
Propone, con tono leggermente malizioso, sperando che Paolo colga l’intenzione. Questi, annuisce, sorride e porge il bicchiere.
 
-Cheers!
 
Paolo sorseggia appena il vino mentre Stefano, lo beve tutto. Qualcosa sta già entrando in circolo e intenzionato com’è ad andare fino in fondo, sente di aver bisogno di un po’ di carburante, per procedere. 
 
-Direi che posso iniziare a preparare il pesto. 
 
Esclama Paolo, alzandosi. Stefano lo osserva: si avvicina al bancone dell’isola, apre un cassetto, appena sotto il pianale ed estrae un grembiule bordeaux, che si infila rapidamente dalla testa e allaccia dietro la schiena. 
 
-Niente maglietta del gallo, oggi?
 
Domanda Stefano, versandosi dell’altro vino. Paolo inarca le sopracciglia.
 
-Piano con quello o te lo porto via. Comunque no, oggi sono professionale. 
 
Risponde, chinandosi a recuperare da un’anta dell’isola un grande mortaio in marmo bianco e un pestello nero. 
 
-Peccato, mi piaceva. 
 
Commenta Stefano. Paolo sembra compiacersi per la sua affermazione. 
 
-Oh se vuoi me la metto. Dopo però, adesso lasciami fare il professionista. 
 
Risponde. Stefano non può più restare seduto, deve avvicinarsi a Paolo, inizia a sentire caldo e i jeans sembrano sempre più stretti. 
 
-Voglio vederti da vicino, è il mio premio, no?
 
Paolo annuisce, rapidamente recupera dal frigorifero gli ingredienti: foglie di basilico, formaggio grattugiato, pinoli, olio, sale e aglio. Tutto già preparato in anticipo e tutto all’interno di piccole ciotoline in vetro. 
 
-Sono qui per te. Mi sono portato un po’ avanti, ovviamente. Ho già pronti tutti gli ingredienti. 
 
Prende una foglia di basilico e gliela porge.
 
-Fresco, preso ieri al mercato. Senti il profumo. 
 
Stefano si avvicina ancora di più a lui, e annusa il basilico con il suo aroma intenso e inconfondibile. 
 
-Sembra ottimo. 
 
 Commenta. Paolo nel frattempo inizia a versare pinoli e aglio nel mortaio, afferra saldamente il pestello con la mano destra mentre appoggia la sinistra sul bordo del mortaio. Inizia a pestare gli ingredienti. 
 
-Prima si pesta, per schiacciare, poi movimenti circolari.
 
Spiega, muovendo con maestria il pestello. Stefano osserva il suo pugno, serrato, la sua mano che stringe saldamente l’attrezzo da cucina, al punto da lasciare esposta una vena in rilievo sul dorso. Si ferma per recuperare il basilico e lo getta nel mortaio.
 
-Mi passeresti il sale?
 
Chiede. Stefano glielo porge immediatamente, ne prende un pizzico e poi ripone la ciotola sul pianale. Riprende a pestare, con gli stessi movimenti di prima, questa volta però utilizza più forza, prende il pestello con entrambe le mani e con movimenti circolari amalgama gli ingredienti. Stefano rimane incantato dall’abilità di Paolo, vederlo cucinare è senza dubbio un piacere, tuttavia non riesce nemmeno a distogliere lo sguardo dalle sue mani, quelle mani così venose, maschili ma non per questo poco curate. Si sofferma in particolare ad ammirare con il quale tiene il pestello, iniziano a formarsi nella sua testa certe immagini e certe fantasie. 
 
-Ora ci metto il formaggio. Ci andrebbero due tipi di formaggio ma a me piace un po’ più delicato, ho preso solo il parmigiano e poi l’olio.
 
Mentre spiega aggiunge gli ultimi ingredienti. Si china poi per aprire un altro cassetto della penisola dal quale recupera un cucchiaio. 
 
-Devo prelevarlo dal pestello e riportarlo al centro del mortaio, con gli altri ingredienti. 
 
Spiega, notando l’interesse di Stefano. Riprende a pestare gli ingredienti e ad amalgamarli, poi si ferma. 
 
-Ti va di provare?
 
Chiede. Stefano è dubbioso. 
 
-Non credo che…
 
Paolo fa scivolare il mortaio e si sposta più vicino a lui, arrivando al suo fianco, si trovano pochi centimetri l’uno dall’altro. Paolo fa passare il braccio sinistro dietro la schiena di Stefano e con una mano prende il suo fianco sinistro, stringendolo e portandolo più vicino a sé. Stefano lo lascia fare ma fatica a rilassarsi. 
 
-Prendilo bene, con entrambe le mani.
 
Spiega, porgendogli il pestello con la mano destra. Stefano, continuando a fissare con la coda dell’occhio la mano di Paolo sul suo fianco, si allunga per prendere il pestello. Cerca di mimare i movimenti osservati poco prima ma sbaglia qualcosa perché Paolo lo corregge subito. 
 
-No, scivola di più e stringi di più. 
 
Spiega, spostandogli le dita nella posizione corretta, con la mano libera. Il suo solito tocco, tiepido, delicato e piacevole che Stefano apprezza immensamente. Dopodiché stringe la mano sinistra di Stefano con la propria, per mostrargli la presa corretta e comincia a guidarlo nel movimento, aiutandolo a creare dei cerchi che partono dal centro del mortaio e si allargano per arrivare fino alle pareti, per raccogliere tutti gli ingredienti. 
 
-Così, bravo. 
 
Lo incoraggia, quasi con un sussurro. Stefano si lascia guidare da lui e per un attimo si dimentica di ciò che sta facendo. Il suo cuore batte ad alta intensità, ha quasi paura che Paolo se ne accorga essendo praticamente addosso a lui. Quel movimento, la mano avvolta tra le dita di Paolo, il profumo buono del pesto e quello ambrato di lui, per un attimo crede di sentirsi mancare, si trova in una situazione di totale estasi. 
 
-Direi che può andare, non vogliamo che diventi troppo molle.
 
Afferma Paolo, lasciando andare la sua mano e contemporaneamente anche il suo fianco.
 
-No, non lo vogliamo. 
 
Ribatte lui, estatico. Immediatamente lascia andare il pestello, che va a posarsi sul bordo del mortaio.
 
-Lo possiamo assaggiare però, per vedere se è venuto bene. 
 
Suggerisce Paolo. Stefano cerca di recuperare il cucchiaio usato poco prima ma Paolo lo ferma. Gli prende la mano, afferra il suo indice e lo immerge nel pesto, morbido e fresco. 
 
-Con le mani c’è più gusto. La cucina è anche questo: sporcarsi le mani. 
 
Esclama poi. Stefano rimane immobile. 
 
-Assaggia. 
 
Lo invita. Stefano porta il dito alla bocca e assaggia il pesto. Il gusto è straordinario, sente tutte le papille gustative riunirsi per poterlo assaggiare e assaporare completamente. Non aveva mai assaggiato un vero pesto preparato come si deve, non ha decisamente nulla a che fare con i sughi pronti del supermercato. 
 
-Eccezionale. 
 
Commenta. Paolo pare soddisfatto, preleva a sua volta con il dito un po’ di pesto dalle pareti del mortaio e lo assaggia. Stefano non può fare a meno di osservarlo, mentre si porta il dito alla bocca, lo appoggia sulle labbra e poi con la lingua, sulla quale riesce a intravedere il riflesso della pallina del piercing, lo succhia. Fa un respiro lungo. Teme di essere arrivato al limite. Ora come ora, anche se solo lo sfiorasse, potrebbe non rispondere più delle proprie azioni. 
 
-Se vuoi andare in bagno a lavarti le mani posso buttare la pasta, intanto.
 
Suggerisce. Stefano coglie immediatamente il suo suggerimento. La tensione è altissima e vuole almeno assaggiare la cena sui cui tanto aveva fantasticato, prima di lasciarsi andare.
 
-Certo. 
 
Risponde, dirigendosi verso il bagno, visto poco prima. Entra, si chiude la porta alle spalle, dopodiché inspira ed espira. Si sente decisamente meglio rispetto all’ultima volta a casa sua. Non ha bevuto troppo vino e le sue facoltà fisiche e mentali sono ancora complete, tuttavia il desiderio nei confronti di Paolo è aumentato, è più forte. Pur provando ancora un briciolo di timore, non vuole più contenersi. Si lava le mani e il viso per darsi un contegno e poter affrontare la cena in modo adeguato ma le sue intenzioni non cambiano. Non si tirerà indietro, accetterà qualsiasi contatto da parte di Paolo. Sente che è il momento giusto. Si asciuga le mani, si dà un’ultima controllata allo specchio e poi ritorna in cucina.  Paolo nel frattempo sta servendo i piatti. 
 
-Già pronto?
 
Chiede, riprendendo il proprio posto al tavolo. 
 
-Sì, la pasta fresca cuoce velocemente. Fatta anche questa da me… cioè, impastata dalla planetaria ma stesa e tirata da me. 
 
Spiega, sedendosi a sua volta. Il piatto è molto invitante e gradevole alla vista. Stefano è quasi dispiaciuto nel doverlo rovinare per mangiarlo.
 
-Il primo assaggio sta a te. 
 
Lo incita Paolo. Stefano prende la forchetta e raccoglie qualche trofia, cercando di prendere al tempo stesso il pesto per avere un assaggio complessivo. Socchiude gli occhi mentre mastica, il pesto che già aveva assaggiato poco prima, unito al sapore della pasta fresca fatta a mano, un po’ ruvida che trattiene bene il condimento, sono un’accoppiata vincente. 
 
-Una gioia per il palato, giuro. 
 
Esclama, posando la forchetta. Paolo sorride compiaciuto, il sorriso preferito da Stefano, quello che fa risaltare la fossetta sulla guancia. 
 
-Mi fa piacere. In realtà mi hai chiesto una cosa piuttosto semplice, potevi azzardare un po’ di più. 
 
Aggiunge, iniziando a mangiare a sua volta. Anche Stefano prende un’altra forchettata di pasta. Assapora un altro boccone, prima di parlare.
 
-Quando ti è nata questa passione per la cucina?
 
Paolo finisce il suo bicchiere di vino, si asciuga le labbra con il tovagliolo, tamponandole appena. Un gesto che Stefano ritiene estremamente sensuale. 
 
-Ti ho già detto che la mia ex era terribile. Con lei solo Quattro Salti in Padella, cose precotte e spesso cotte male. Avrai capito che io sono un po’ delicato… 
 
Stefano annuisce, si sta sicuramente riferendo alla cena al sushi con la ex. 
 
-Ecco… ho deciso di darmi da fare seriamente, ho iniziato comprando un paio di libri, alla libreria vicino a dove abbiamo pranzato con Alberto, la Hoepli. C’è un piano meraviglioso con tantissimi manuali di diverso tipo, la frequentavo spesso in pausa nei primi anni di lavoro alla Vince. Ho preso un libro sulla pasta fresca, uno sugli arrosti… e ho iniziato a sperimentare. Non sapevo di essere bravo, eppure mi usciva tutto bene, al primo tentativo. 
 
Spiega. Stefano non ha difficoltà a crederlo, qualsiasi cosa che abbia assaggiato fino ad ora, preparata da lui, è straordinaria. 
 
-Sono talenti, si vede sei proprio portato. In realtà tu sei portato in tutto… non ho ancora trovato una cosa che tu non sappia fare.
 
Afferma Stefano, pensando alle molteplici abilità di Paolo: lo sport, la cucina, il biliardo, il lavoro. 
 
-Oddio… ci sono tante cose che non so fare proprio. 
 
Confessa. Stefano vuole saperne di più. 
 
-Tipo?
 
Paolo sospira. 
 
-Non so cantare. 
 
Stefano storce il naso. Non la trova un’abilità così importante, non paragonata a tutto quello che fa. 
 
-Beh, non è proprio un’abilità di sopravvivenza, credo tu possa farne tranquillamente a meno. 
 
Risponde, terminando il proprio bicchiere di vino. L’atmosfera ora è decisamente più rilassata, rispetto a poco prima di iniziare a cenare. Sebbene Stefano non veda l’ora di scoprire fino a che punto si spingeranno entrambi, è felice di poter chiacchierare con Paolo e gustare il suo ottimo cibo. Sarebbe stato un peccato non mangiarlo. 
 
-No, però… c’è stato un momento della mia vita, la mia vita recente, dove avrei voluto saperlo fare. 
 
Risponde, con tono sorprendentemente malinconico. Stefano posa la forchetta, avendo terminato il piatto e rivolge a Paolo uno sguardo incuriosito, invitandolo implicitamente a spiegarsi. 
 
-Ti ricordi, quando mi hai detto che ho avuto una bella vita e io ti ho risposto che avrebbe potuto essere migliore?
 
Stefano annuisce, ricorda di averglielo detto la prima sera in cui avevano preparato le pizze a casa sua. 
 
-È vero, ho tutto: ho l’intelligenza, un pizzico di fortuna, buone capacità di adattamento e… bellezza, lo so, non lo nascondo. 
 
Stefano involontariamente conferma, con un sorriso ammiccante. Paolo, comunque, prosegue il discorso. 
 
-Tu hai conosciuto mia madre, te la ricordi?
 
Domanda.
 
-Certo, Anna. 
 
Risponde. Lo sguardo Paolo si fa sempre più malinconico, Stefano ha quasi paura di scoprire dove voglia arrivare con il suo discorso. 
 
-I miei genitori si sono separati quando avevo quindici anni, in realtà non sono mai stati troppo uniti, neanche prima, tuttavia quell’anno… mio padre se ne andò di casa, così una sera, senza dire niente. Da allora io e mia madre siamo rimasti solo, io e lei, sempre. 
 
Stefano non sapeva del divorzio dei suoi genitori, in effetti non sapeva nulla sul padre di Paolo, non l’ha mai visto. Ricorda bene sua madre, il suo aspetto, il suo modo di fare gentile. 
 
-Io sono figlio unico. Nato e cresciuto con il peso di dover essere tutto per i miei genitori, ho sempre creduto che il fatto che stessero o non stessero bene insieme dipendesse da me e il giorno in cui mi padre andò via… lo vidi come un mio fallimento. Perché non prendevo tutti dieci, perché non sempre alla domenica in chiesa facevo il chirichetto, perché non ero diventato capitano della squadra della scuola, tu lo eri. 
 
Stefano annuisce, aveva rivestito quella carica fino al momento del suo outing forzato, l’ultimo anno di liceo. Si chiede se Paolo non intenda arrivare a quel punto. 
 
-Comunque… dopo il suo abbandono, ancora di più, mi sono imposto di essere perfetto. Perché anche mia nonna e le mie zie continuavano a ripetermi che non potevo dare altri dispiaceri a mia madre, perché aveva sofferto già abbastanza. Perché lei non si è mai ripresa da quella separazione, mai. Quindi: fai il bravo bambino Paolo, vai bene a scuola, studia, laureati, trovati… una donna, sposati. 
 
Stefano crede di aver sentito una particolare enfasi sulla parola “donna” ma non è sicuro, in ogni modo continua ad ascoltare il discorso di Paolo con attenzione. 
 
-E così… tutta la mia vita fino a quando, un po’ per lavoro, un po’ perché probabilmente qualcosa dentro di me spingeva e voleva uscire… ho deciso di seguire un master, quel master a Pisa. 
 
Ecco di nuovo l’argomento del master, Stefano gliel’ha sentito nominare più volte, finalmente capirà perché per lui è così importante. Paolo fa una piccola pausa prima di riprendere a parlare, raccoglie le posate, prende anche il suo piatto e si alza, rimanendo fermo in piedi, accanto a Stefano, con i piatti in mano. 
 
-Ho avuto una relazione, in quell’anno a Pisa. Intensa, passionale, di quelle che ti consumano… anima e corpo. 
 
Fa di nuovo una pausa, per portare i piatti al lavandino. Stefano lo segue con lo sguardo, non si aspettava una confessione del genere da Paolo e si sorprende dall’ennesima virata di quella serata, che all’inizio sembrava dal finale così ovvio e scontato ora, invece, ha l’impressione che Paolo stia cercando di rivelarsi, di mostrare sé stesso, senza maschere, per la prima volta. 
Prima di ritornare al tavolo accende il forno. Versa di nuovo del vino nel suo bicchiere e in quello di Stefano e poi si rimette a sedere. 
 
-Perdonami Ste, se mi sto lasciando andare. Fermami pure quando vuoi.
 
Chiede. Stefano si sente abbastanza sicuro da appoggiare la sua mano su quella di Paolo, in quel momento posata vicino al bicchiere di vino. 
 
-No, ti prego, vai avanti. 
 
Lo invita. Paolo sorride, un sorriso decisamente più cupo, rispetto a quelli di prima.
 
-Ti sto raccontando tutto questo, perché a volte ho l’impressione che tu abbia paura di me, che provi una sorta di terrore reverenziale, nei miei confronti. 
 
Confessa. Stefano spalanca gli occhi, ha colpito nel segno. Fino ad ora ha sempre avuto paura della sua reazione, di dire qualcosa di sbagliato, di fare qualche riferimento fuori posto. Non si aspettava certo una serata così intensa ma ora più che mai, deve andare avanti. 
 
-Racconta, per favore. 
 
Ripete di nuovo. Paolo fa scivolare la propria mano e prende il bicchiere di vino, dal quale sorseggia. 
 
-Non avevo in programma di avere una relazione. Volevo solo studiare, essere un po’ più libero, sicuramente, ma non quello. Eravamo compagni di corso, stesse lezioni, stesso gruppo di lavoro… era abbastanza scontato. Sapevamo già, però, che non sarebbe durata perché io sarei tornato alla mia vita, a Milano… ci siamo salutati sapendo che non ci saremmo più rivisti, né sentiti. 
 
Sospira. Stefano non può fare a meno di pensare che non ci siano riferimenti al sesso della persona con la quale ha avuto una relazione. Si chiede se sia stato volutamente vago o se si sia trattato di un caso. 
 
-Comunque… l’esperienza mi ha segnato, quando sono tornato a Milano ero una persona diversa, forse più simile a quella che avrei voluto essere. Il mio matrimonio è sempre stato una forzatura, lei mi voleva solo perché sono… così. Il marito bello, biondo, con gli occhi chiari, da mostrare alle amiche come un trofeo. Io l’ho scelta perché eravamo amici all’università, anche se lei poi ha scelto un ramo differente dal mio. Non c’erano i presupposti per stare insieme, non come marito e moglie. 
 
Si ferma un'altra volta e inizia a giocherellare nervosamente con le briciole di pane, sulla tovaglia. Stefano capisce che il suo racconto si intensificherà, di nuovo.
 
-Volevo divorziare ma il giorno prima di comunicarle la mia decisione, mia madre si sentì male in chiesa, svenne e picchiò la testa contro la panca. La portai subito all’ospedale e dopo una serie di controlli si scoprì che aveva un tumore, al quarto stadio, al cervello. Che l’avrebbe portata alla morte, a breve. 
 
Il cuore di Stefano si ferma per un attimo. Non si aspettava proprio una confessione del genere, cerca di parlare, di trovare le parole, ma Paolo lo precede riprendendo il discorso. 
 
-E così… sono regredito di nuovo. Ho ripreso a credere che tutto dipendesse da me, che quello che avevo fatto a Pisa, quello che stavo per fare a Milano, fossero la causa del suo malessere. L’ho portata a casa mia, non potevo lasciarla sola. C’era una badante che si prendeva cura di lei, quando io o la mia ex eravamo al lavoro. Sembrava così felice… continuava a dirmi che era fiera di me, dell’uomo che ero, che sarebbe morta serenamente sapendo che io ero sposato e felice.
 
Fa un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo, quasi per trattenere un singhiozzo. Dopo pochi istanti prosegue.
 
-E io mi sentivo morire dentro, giorno dopo giorno… perché sapevo di non essere la persona che lei credeva e voleva che fossi. Però, a tutti i costi, volevo impormi di diventarlo. Dovevo essere il Paolo che voleva lei. Facevo tutto per lei, quando sta bene, quando non faceva le chemio, ballavamo insieme. Lei adorava ballare, anche quando ero un ragazzino la portavo a ballare latino-americano e cantavo per lei… e qui, come ti ho anticipato, sono terribile. Quando mio padre se ne andò, iniziò a sentire canzoni tristi… la sua preferita era “e dimmi che non vuoi morire”, di Patty Pravo. Gliela cantavo, a mio modo. Lei sorrideva, sembrava quasi che il dolore la stesse abbandonando. Alla fine però… negli ultimi giorni della sua vita, nulla sembrava più servire. E io continuavo a starle vicino, a cantare, male, malissimo… ma non serviva a nulla. Finché un sabato mattina d’estate, due anni fa, è morta. E per mesi, stupidamente, ho pensato che forse se avessi saputo cantare, avrebbe sofferto meno, che se ne sarebbe andata più serenamente.
 
Il discorso di Paolo si interrompe e quasi contemporaneamente, inizia a suonare il timer del forno. Paolo si alza. Stefano rimane immobile a processare tutto quanto gli è stato appena detto. Inizia a vedere Paolo con occhi differenti. È decisamente più umano di quanto pensasse, è vero che a volte ha creduto che fosse perfetto, indistruttibile. Continua però a credere che sia un uomo molto forte perché con tutto il dolore che ha vissuto e che è chiaramente ancora dentro di lui, riesce comunque ad andare avanti, a non mostrare nulla a nessuno e vivere sempre la vita positivamente. Averlo sentito parlare così, a cuore aperto, non l’ha reso meno interessante ai suoi occhi. 
 
-L’arrosto.
 
Esclama, portando in tavola una pirofila in vetro nel quale è contenuto un arrosto in crosta, fumante, su un letto di patate novelle. 
 
-Mi dispiace Paolo, non sapevo. Non ti avrei mai detto quella frase se…
 
Paolo posa una mano sul braccio di Stefano e scuote il capo.
 
-Non avevi modo di saperlo. Ti ho raccontato tutto questo perché voglio che tu mi conosca davvero, mi piace che tu mi dica che sono un campione, che so fare tante cose e tutto il resto. Il mio ego ringrazia, davvero. Però voglio che tu capisca che è questo che io sono, anche. Che tu non abbia paura di me, che ti fidi di me, come io so di potermi fidare di te. Perché tu sei sempre stato chiaro e cristallino, fin da quando eri ragazzo, ti ho sempre apprezzato e stimato, per questo. 
 
Afferma togliendo la mano da braccio di Stefano. Inizia poi a tagliare l’arrosto, con cura e precisione, in piccole fette perfettamente simmetriche. Stefano prova ora un sentimento diverso, vuole ancora stare con lui, vorrebbe alzarsi, afferrarlo, passare le dita tra quei suoi meravigliosi capelli biondi e baciarlo, fino a perdere il fiato. Si tratta però di qualcosa di diverso, più delicato e meno carnale, rispetto a ciò che ha provato prima di cena. È la prima volta, inoltre, che dichiara apertamente di averlo apprezzato, anche in passato. 
 
-Continuerò a dirti che sei eccezionale, perché lo sei. Guarda che cena hai preparato, neanche a Natale mangio così bene. È davvero la cena migliore della mia vita, per ora.
 
Commenta Stefano, rompendo la tensione. Paolo sembra apprezzare e sorride, il suo sguardo sembra meno cupo, è più disteso e sereno. 
 
-Te l’avevo promesso, no?
 
Commenta, rivolgendogli il suo solito sorriso. Serve qualche fetta e alcune patate nel piatto di Stefano e poi nel proprio, poi si mette di nuovo a sedere. 
 
-Comunque, visto che con il biliardo mi hai preso in giro, io che credevo di essere un grande campione, sono contento di sapere di sapere fare qualcosa che tu non sai fare: io so cantare. 
 
Afferma, iniziando a tagliare una fetta di arrosto. Paolo spalanca gli occhi con stupore. 
 
-Veramente? Fammi sentire, allora.
 
Lo invita, posando la forchetta, rimanendo a braccia conserte. Stefano scuote il capo.
 
-Assolutamente no. Chiedimelo come premio quando mi darai la tua lezione a biliardo, ti canterò tutto quello che vuoi, tranne l’opera, non arrivo a quei livelli. 
 
Propone, con tono di sfida. Paolo sorride. 
 
-Ci penserò, grazie per l’offerta. 
 
Riprendono entrambi a cenare. L’arrosto, come le altre pietanze, è delizioso. La crosta in pasta brisé addolcisce il sapore forte e ferroso della carne, lasciata volutamente al sangue. Stefano si sente sazio e soddisfatto, crede davvero di non aver mai cenato così bene in vita sua. 
 
-Penso che potrei esplodere.
 
Esclama, stiracchiandosi contro lo schienale della sedia.
 
-E non hai ancora assaggiato il dolce. 
 
Ribatte Paolo, terminando l’arrosto.  Stefano scuote il capo.
 
-Non stai dicendo sul serio, spero. 
 
Paolo sorride, si alza e raccoglie i piatti. 
 
-Certo che sì. Non sarebbe una cena, senza un dolce. Considerala come la tua ultima cena, quella dei condannati. Perché dalla prossima volta, toccherà a me riscattare premi. 
 
Afferma, con piglio soddisfatto. Stefano prende il telefono dalla tasca della camicia, non l’ha guardato per tutta la sera. Non ne ha sentito la necessità. Non ci sono messaggi importanti, solo quelli del gruppo di calcetto, che commentano come sempre fotografie di ragazze più o meno svestite. Si chiede cosa direbbero i ragazzi del calcetto se sapessero della loro cena, di ciò che è successo e che potrebbe succedere. Osserva Paolo, di spalle, intento ad assemblare il dolce su un piano da lavoro della sua immensa cucina. Ancora non riesce a credere a ciò che gli ha appena raccontato. Non ha fatto riferimenti chiari ma è certo che si sia esposto così, senza remore, per un motivo: fargli capire di essere interessato a lui. Non ha più dubbi, lui stesso gli ha detto di non averne, di fidarsi. 
 
-Voilà. L’ultima portata è, senza modestia, il mio canto del cigno. 
 
Spiega, appoggiando un piatto di cristallo con il dolce, davanti a lui. Stefano stenta a credere che sia reale e che non sia stato fatto da un pasticcere professionista. Si tratta di una sfera di cioccolato scuro, fondente, adagiata su un letto di nocciole tritate con una spolverata di cacao e dei ciuffetti di panna. A lato sono adagiate delle strisce dorate, probabilmente di caramello. 
 
-Devo fare una foto. 
 
Esclama Stefano, recuperando il telefono dal taschino. Scatta subito la foto. Sebbene il soggetto sia volutamente fotogenico, non riesce a coglierne i colori e l’eleganza. 
 
-Non è mica tutto qui.
 
Anticipa Paolo, mostrando a Stefano una piccola lattiera in ceramica, bianca. Inclina la lattiera verso la sfera di cioccolato, rovesciando sopra di essa del caramello, che immediatamente la scioglie, rivelando un cuore morbido, bianco, dall’aspetto di un tartufo. Stefano è rapito dalla trasformazione del dolce. 
 
-È una magia.
 
Commenta. Paolo si mette a sedere al suo posto, ripetendo la stessa operazione per il proprio dolce, Stefano la riguarda con piacere e con ammirazione. Dopodiché osserva il piatto, indeciso su dove iniziare, prende il cucchiaino ma non sa cosa assaggiare. Paolo lo ferma subito.
 
-No, solo col cucchiaino te lo gusti la metà. 
 
Stefano lo guarda confuso.
 
-Devi mangiarlo con la lingua di croccante.
 
Spiega. Stefano continua a fissare il piatto, confuso. Paolo si alza, decidendo di dargli una dimostrazione pratica. Prende una delle due lingue di croccante e caramello la spezza a metà e la intinge prima nel cuore morbido e poi la gira attorno al cioccolato fuso, noncurante di essersi sporcato le dita. La offre a Stefano, portandola direttamente sulle sue labbra. Si guardano negli occhi l’un l’altro, in silenzio per un paio di secondi, dopodiché Stefano apre la bocca, per assaggiare il suo dessert, lo prende con le labbra e con la punta della lingua lecca il cioccolato dalle dita di Paolo, praticamente posate sul suo labbro inferiore. Non distoglie lo sguardo da lui, mentre lo fa, dandogli prova di volersi fidare, di aver compreso il suo discorso. È arrivato finalmente il momento di buttarsi, si sente pronto.
 
Il suo cellulare inizia a vibrare sul tavolo, dove l’aveva posato pochi secondi prima. Entrambi rimangono immobili, nelle loro posizioni, senza far nulla. Stefano dà un’occhiata al nome sullo schermo. Paolo decide di ritirare la mano.
 
-Mio papà?!
 
Commenta, guardando il cellulare.
 
-Non mi chiama mai mio padre, specialmente a quest’ora…
 
Aggiunge preoccupato. 
 
-Rispondi.
 
Lo incoraggia Paolo, che inizia a percepire la sua preoccupazione. Stefano afferra il cellulare e risponde.
 
-Pa’… che cosa c’è?
 
Domanda, con voce tremante. Suo padre, dall’altro capo del telefono, sembra agitato.
 
-Ste, dove sei?
 
Stefano non sa bene come rispondere a quella domanda, per non dover fornire un sacco di spiegazioni. Rimane sul vago.
 
-Sono fuori. Dimmi, cosa è successo. 
 
Risponde.
 
-La Elena… ha avuto un incidente, siamo in ospedale e… 
 
Stefano spalanca gli occhi. Il cuore inizia a battergli forte. 
 
-Come…? Dove…? 
 
Chiede. Suo padre è molto agitato, fatica a rispondere, balbetta, ansima. 
 
-Papà, calma, dimmi dove siete.
 
Spiega, cercando di restare composto.
 
-Ospedale di San Giuliano. La mamma è a casa con Riccardo… se puoi venire.
 
Risponde, con voce tremante. Stefano chiude gli occhi e fa un respiro profondo.
 
-Sì, va bene. Stai tranquillo.
 
Riattacca. 
 
-Cosa è successo?
 
Domanda Paolo, preoccupato. Stefano cerca di riorganizzare le informazioni, prima di rispondere. Sono successe troppe cose nelle ultime ore, il suo cervello è sovraccarico di emozioni e informazioni.
 
-Mia sorella ha avuto un incidente, mio papà è con lei in ospedale… scioccato. Io… 
 
Paolo lo interrompe subito.
 
-Cosa? Vai! Vai subito. 
 
Lo incoraggia. Stefano non vorrebbe alzarsi, non può davvero credere che sia successo qualcosa del genere, proprio in quella sera, proprio nel momento in cui finalmente stava per ottenere ciò ha desiderato negli ultimi due mesi, dopo una serata così intensa che sperava davvero avrebbe avuto una conclusione positiva. 
Stefano si alza, sa bene che deve andare via, suo padre era decisamente fuori di sé, non può abbandonare la sua famiglia in un momento del genere. 
 
-Mi dispiace davvero, Paolo.
 
Commenta. Paolo scuote il capo. 
 
-Non ti preoccupare. Devi andare, Ste. 
 
Ribadisce lui andando subito a prendere il suo cappotto, all’ingresso. Stefano lo segue. Prende il cappotto e lo infila. 
 
-Mi dispiace…
 
Ripete di nuovo Stefano, quasi con un groppo alla gola. Non sa se sia dovuto solo alla preoccupazione per sua sorella o anche al fatto di dover andare via, proprio ora, da Paolo. Lui gli rivolge uno sguardo dolce, rassicurante. Gli appoggia una mano sulla spalla e la stringe, come al solito.
 
-Tranquillo. Vai e tienimi aggiornato. Va bene?
 
Stefano annuisce. 
 
-Va bene, ciao. 
 
Vorrebbe dargli un bacio ma non trova il coraggio, in quel momento. Si limita a guardarlo un’altra volta e poi esce. Paolo rimane sulla soglia della porta, aspettando che entri in ascensore.
Una volta dentro, da solo, Stefano sospira. Si chiede perché il mondo abbia deciso di remargli contro, proprio quando tutto era così perfetto. Uscito dal palazzo, telefona di nuovo a suo padre, per avere più informazioni. 

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Capitolo 13
*** Sabbie mobili ***


Stefano è costretto a passare a casa per prendere l’auto. L’ospedale nel quale è ricoverata Elena è vicino a casa dei suoi genitori, fuori città, non può quindi raggiungerlo con i mezzi. Inoltre, deve riaccompagnare a casa suo padre che ha lasciato la macchina parcheggiata nel posteggio del centro commerciale vicino al luogo dell’incidente, perché ha deciso di salire sull’ambulanza con Elena. 
Ultimamente ha usato davvero poco la macchina, accendendola infatti si accorge di una spia sul cruscotto. Si augura che sia semplicemente il tagliando di controllo periodico e che non ci sia nulla rilevante. 
 
-Mi manca solo di rimanere a piedi in tangenziale.
 
Esclama ad alta voce, tenendo a mente una serie infinita di imprecazioni. Sono le undici e quaranta, di una sera infrasettimanale, la tangenziale è relativamente libera e il traffico è scorrevole. Con la coda dell’occhio osserva il cellulare appoggiato sul sedile del passeggero. Non può fare a meno di pensare a Paolo. Ripensa a quanto impegno abbia messo in quella cena, a quanto sia stato bene, a come il tempo sia trascorso velocemente e infine ripercorre mentalmente le parole di quel suo discorso intimo e sincero. Non può credere che tutto sia potuto saltare così in pochi istanti, non lo riesce ad accettare. Senza nemmeno rendersene conto, le lacrime iniziano a scorrergli lungo le guance. Non ama piangere, non è nemmeno particolarmente sensibile o emotivo, probabilmente è la prima volta dopo anni che si ritrova a piangere. Cerca di far mente locale ma crede che il suo ultimo pianto sia stato per la morte del cane di famiglia, prima dell’arrivo di Biagio. Non aveva versato una lacrima di commozione nemmeno al matrimonio di sua sorella, né alla nascita di suo nipote. Ricorda anzi di essere stato rimproverato, neanche troppo scherzosamente, da sua sorella che l’aveva accusato di essere “l’unico gay al mondo senza la lacrima facile.”, mentre si ritrova ora a piangere, da solo, in auto, perché la cena con Paolo non è finita come avrebbe sperato. Nessun ragazzo, fino ad ora, l’aveva mai fatto sentire in quel modo. Frequenta uomini più o meno regolarmente da quando aveva vent’anni, ne ha vissute di delusioni e di occasioni mancate eppure non si è mai sentito così. 
Uscendo da casa di Paolo, quando gli ha ripetuto di essere dispiaciuto di doversene andare via, guardandolo fisso negli occhi, voleva trasmettergli il suo e spera possa averlo capito. Non riesce a togliersi dalla testa le sue parole, quel suo appello a non avere paura di lui, a lasciarsi andare liberamente. Non vorrebbe avere paura, non vorrebbe avere timori, eppure ne ha avuti e ne ha ancora. Ora come ora teme nel fare una qualsiasi mossa, teme che un solo errore da parte sua possa compromettere tutto, cancellando i progressi fatti con Paolo fino ad ora. Certo, non è colpa sua. Si è trattato di una fatalità, un incidente nel vero senso del termine e Paolo è sufficientemente maturo e adulto da comprendere queste cose.
 
“E se invece questa fosse stata l’unica occasione?”
 
Pensa, pessimisticamente. Cerca di fare respiri profondi, ispira ed espira lentamente per cercare di calmarsi ma ottiene l’effetto opposto. Quando finalmente arriva al parcheggio dell’ospedale, deve attendere un paio di minuti prima di scendere. Prende dalla tasca dei jeans il fazzoletto di stoffa, dimenticandosi di avervi nascosto due preservativi, qualche ora prima. Questi infatti gli scivolano sulle gambe. Preso da un momento di rabbia e di sconforto, li prende e li getta dal finestrino. Si asciuga il viso e gli occhi, guardando il proprio riflesso nello specchietto retrovisore. L’immagine di sé che vede ora: viso arrossato, gonfio, capelli spettinati e occhi lucidi, non coincide con quella che gli era piaciuta, che aveva trovato perfino attraente, solo poche ore prima nel proprio bagno e poi di nuovo in quello di Paolo. Attende ancora qualche secondo, si tampona il viso, ripiega il fazzoletto e lo rimette in tasca. 
Arrivato all’accettazione chiede di sua sorella e viene condotto in una sala d’aspetto del pronto soccorso, dove trova suo padre. 
 
-Papà…
 
Lo chiama, appoggiandogli una mano sulla spalla. L’uomo sobbalza, sicuramente era sovrappensiero. È spettinato e scomposto, è anche vestito in abbigliamento da casa: sotto al giubbotto, lasciato aperto, indossa una vecchia tuta della Diadora in acetato nera e gialla, che pensa abbia da sempre, mentre ai piedi porta delle Crocs verde militare, felpate. Deve essere uscito di casa di tutta fretta, così com’era. Non l’ha mai visto indossare quegli indumenti fuori casa, volutamente.
 
-Stefano, sei arrivato!
 
Esclama, alzando lo sguardo. La sua espressione è stanca e chiaramente preoccupata. Si siede accanto a lui.
 
-È ancora dentro? Come sta?
 
Chiede. Suo padre sospira. 
 
-Penso bene, l’ho vista circa venti minuti fa. Sta certamente meglio di quanto temessi quando ho visto la macchina… è accartocciata, da buttare via. 
 
Spiega, con voce leggermente tremante. Stefano nota che c’è del sangue sul cappotto di suo padre, sulla manica, e un po’ sul petto. 
 
-L’hai soccorsa tu? O è stata l’ambulanza?
 
Chiede. 
 
-Quelli dell’ambulanza l’hanno tirata fuori dalla macchina, però lei è sempre stata cosciente. Ha telefonato a Roberto, che era il suo numero di emergenza, dicendo di avvisare noi e poi ha chiamato l’ambulanza. Io sono corso subito. Roberto è a Francoforte per lavoro, tornerà domani. 
 
Spiega. Stefano si guarda in giro, il pronto soccorso è come al solito pieno di persone. 
 
-Posso vederla?
 
Domanda. Suo padre annuisce.
 
-Sì, dillo all’infermiera. È in una delle stanzette dell’astanteria, qui in fondo. 
 
Stefano si alza e fa esattamente come gli ha detto suo padre, è l’infermiera stessa a portarlo da Elena. La trova su un lettino, seduta, con il cellulare in mano. Ha diverse bende e fasciature sulle braccia e in testa, un collare cervicale e una flebo collegata al braccio sinistro, che tiene a riposo sul lettino.
 
-Ele!
 
La chiama. Elena alza lo sguardo dal cellulare, che posa sul tavolino di metallo accanto a sé e gli sorride. Il viso è a posto, solo qualche graffio. 
 
-Ste! Ti ha chiamato papà?
 
Chiede. Stefano la raggiunge e le accarezza la mano. 
 
-Come stai?
 
Le domanda. Elena fa una smorfia.
 
-Secondo te?
 
Stefano rimane a bocca aperta, senza sapere cosa dire. 
 
-Sto bene, sciocco. Sono solo un po’ ammaccata, dai!
 
Esclama, alzando la voce. Lo scruta per un istante. 
 
-Ma… hai pianto?
 
Chiede, incredula. Stefano spalanca gli occhi, pensava non si notasse. Elena è sempre stata molto intuitiva ed empatica nei suoi confronti, non è mai riuscito a nasconderle nulla. 
 
-No, cosa te lo fa pensare?
 
Nega lui.  Lei non è convinta dalla sua risposta, continua ad osservarlo. 
 
-Hai una faccia strana… c’è qualcosa di diverso in te. Va bene che non ci vediamo da qualche settimana ma… qualcosa non mi torna.
 
Prosegue. Stefano scuote il capo, non vuole che continui ad indagare, non è caso né il momento.
 
-Pensa alla tua di faccia! Cosa accidenti ti sei fatta?
 
Chiede, con tono serio. Elena si sposta un po’ a sinistra, indicandogli di sedersi vicino a lei. Stefano accoglie il suo invito e si siede, cercando di non schiacciarla. 
 
-Stavo tornando da una serata con le colleghe, siamo andate a teatro a Lodi a vedere Caccamo. 
 
Stefano porta gli occhi al cielo.
 
-Oddio! Di nuovo quel tizio di Instagram che fa le voci idiote con gli occhiali e gli asciugamani in testa? Non capirò mai come facciate tu e quelli della tua categoria a trovarlo divertente. A me sembra un idiota… 
 
Commenta, ripensando alle decine di video del ragazzo in questione che sua sorella condivide con le sue colleghe insegnanti e a volte anche con lui, ritenendoli esilaranti. Elena lo fulmina con lo sguardo.
 
-Non sei un insegnante, non puoi capire! Comunque… Roby è in trasferta da lunedì, a Francoforte, così ho lasciato Riccardo dai vecchi, oggi pomeriggio. Dopo lo spettacolo io e le mie colleghe ci siamo fermate in un bar a bere un the caldo. Una cosa tira l’altra e si è fatto tardi… 
 
Si ferma un istante, si sporge verso il fratello per annusare il suo cappotto, fatica a girarsi per via del collare cervicale.
 
-Che profumo sento? Non è il tuo. Tu porti solo Eau D’Issey, come Roby, lo regalo sempre a tutti e due a Natale. Perché hai cambiato?
 
Stefano sbuffa. La facilità con la quale sua sorella si distrae sui minimi particolari è una cosa che ha sempre mal tollerato, sin da quando erano bambini. Ogni volta che cercava di dirle o raccontarle qualcosa, ecco che lei partiva con osservazioni causali, interrompendo il discorso e facendogli perdere la pazienza. La cosa non è migliorata da adulta.
 
-Ele vai avanti a spiegare, per piacere. 
 
Le chiede, scocciato. Elena fa una smorfia, poi riprende a parlare. 
 
-Vabbè… niente, essendo tardi ho schiacciato un po’ il pedale. Alla rotonda vicino al Carrefour sono andata dritta, un tizio si è lanciato senza darmi la precedenza e mi è venuto addosso, sbattendomi contro il guardrail. Vedessi la macchina! È una fisarmonica, Ste, fa paura.
 
Stefano si meraviglia della tranquillità con la quale stia raccontando la dinamica del suo incidente. Ha quasi l’impressione che stia parlando di qualcun altro, non di se stessa. 
 
-Papà ha detto che hai chiamato tu, che non hai perso coscienza. 
 
Lei annuisce.
 
-Esatto. Sono rimasta incastrata ma il telefono l’avevo sulle gambe, perché volevo mandare un vocale alla mamma per dirle di preparare Riky. Così sono riuscita a chiamare Roby, dicendogli di sentire papà e poi subito il 112. Mi sono solo tagliata un po’ mentre mi tiravano fuori perché è scoppiato il vetro della portiera e ho preso un colpo al collo per l’impatto ma… sto bene. 
 
Conclude. 
 
-Quindi ti rimandano a casa?
 
Domanda lui. 
 
-Purtroppo, no. Dicono che potrei aver picchiato la testa e quindi mi vogliono tenere in osservazione per 48 ore. Starò qui, non mi daranno una camera. 
 
Spiega. Stefano annuisce, è contento di sapere che stia bene, anche se Elena tende sempre a minimizzare. Quando era adolescente per poco una peritonite non l’aveva ridotta in fin di vita perché si trovava a un concerto dei Blue e non voleva rinunciarci per, a detta sua, perder tempo al pronto soccorso. 
 
-Poi… che rimanga tra noi, credo vogliano tenermi qui per precauzione perché… sono incinta.
 
Stefano la guarda sorpreso. Non si aspettava una notizia del genere, non in quel modo. Dopotutto Riccardo ha solo poco più di un anno, non pensava avrebbe avuto un altro bambino così presto. 
 
-Oddio! Davvero?
 
Lei sorride. 
 
-Sì… ma non dire nulla a papà, per ora lo sapete solo tu e Roby. E tutti i dottori che mi hanno visitata ovviamente, però ho detto di non comunicare informazioni sanitarie a nessuno, tranne a mio marito. A proposito… domani mattina dovresti andare a prendere Roby all’aeroporto, arriva a Linate alle dieci. Sarei andata io ma ovviamente… 
 
Stefano annuisce. 
 
-Certo, non c’è problema. 
 
Dovrà prendere un giorno di permesso di lavoro ma non gli importa, non ne prende mai per nessun motivo. 
 
-Papà e mamma resteranno con Riky, così lui potrà venire. Purtroppo, come sai, abbiamo solo una macchina e… attualmente nessuna. 
 
Spiega lei. Stefano lo sa bene, suo cognato Roberto ha scelto di non avere un’auto personale perché è spesso fuori in trasferta per lavoro, essendo un rappresentante farmaceutico di una ditta tedesca. Quando si trova a Milano, esattamente come lui, si sposta solo con i mezzi pubblici, ad usare l’auto è principalmente Elena. 
 
-Ora porta a casa papà, tanto qui è tutto ok. Ci rivediamo domani mattina, quando porterai qui Roby. 
 
Stefano si alza dal lettino. 
 
-Va bene. Tanto hai il telefono e per qualsiasi cosa chiama me, non far spaventare loro. 
 
Le raccomanda. Elena annuisce. 
 
-Sei tutto in tiro stasera… dov’eri? 
 
Stefano sbuffa. Sapeva che la sua curiosità non si sarebbe placata. 
 
-Ele, stai lì tranquilla e rilassati. Ok? 
 
La rimprovera, infastidito. Elena non si lascia intimorire e prosegue. 
 
-Profumo diverso, bei vestiti… non me la racconti giusta. 
 
Stefano porta gli occhi al cielo e sospira, con rassegnazione. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento anche con lei. 
 
-Ne riparliamo domani. Riposati.
 
Conclude, dandole un bacio sulla fronte per salutarla. 
 
 
Dopo aver portato suo padre al parcheggio, ritorna a casa. Quando finalmente riesce a posare la testa sul cuscino, dopo essersi lavato e aver indossato il pigiama, osserva l’orario segnato dalla sveglia del comodino: sono le due. Paolo gli aveva detto di tenerlo aggiornato. Non vorrebbe disturbarlo essendo già molto tardi, sarà già sicuramente a letto e non leggerà il messaggio fino all’indomani. Per questo motivo pensa che non sia il caso scrivergli. Tuttavia, alla fine, lo fa. Un messaggio semplice, anche solo per riprendere contatto con lui. 
 
“Sono rientrato ora a casa. Elena sembra stare bene. Buonanotte.” 
 
Solo dopo averlo inviato, si rende conto di quanto sia sterile e impersonale, sembra più un messaggio in codice morse, un telegramma con frasi brevi e tanti punti. Paolo ha ragione: quella sfiducia e quel terrore di fare la mossa sbagliata nei suoi confronti, sono difficili da superare. Pensa, per assurdo, di impiegare più tempo a decidere come impostare un messaggio per Paolo di quanto ce ne metta per scrivere e-mail formali al lavoro, da inviare magari a figure molto importanti come presidenti o amministratori delegati. 
Cerca di modificarlo ma non ne ha il tempo, perché Paolo risponde subito. Dunque, stava aspettando un suo messaggio.
 
“Meno male! Domani me lo racconterai, buonanotte 😴
 
Non sistema la sveglia per il giorno dopo, perché dovrà comunque avvisare al lavoro della sua assenza. Spegne la luce e si sistema sotto le coperte. È stanco e si addormenta quasi subito. 
L’indomani, dopo aver avvisato in ufficio, scrive ad Alberto comunicandogli che non ci sarà ma non specifica il motivo. Alberto non insiste, dice però che gli telefonerà nell’orario della pausa pranzo, per parlare. Scrive poi a sua madre, per sapere come è trascorsa la notte con il piccolo Riccardo e infine ad Elena, per informazioni sulle sue condizioni. Fortunatamente risponde che sta bene e che i dottori non hanno rilevato anomalie. 
Terminato il giro di telefonate e messaggi, si concede una doccia e una lenta ma modesta colazione a base di biscotti e caffè. Mentre è seduto in cucina, su di uno sgabello dell’isola, si trova a riflettere sul suo stato d’animo e in particolare su come, ancora, si senta strano e diverso. È una mattinata di fine ottobre, molto fredda, tuttavia il sole continua a splendere e riscaldare tiepidamente l’ambiente. La cucina è inondata di luce e un raggio di sole particolarmente tenace riflette sulla superfice cromata del frigorifero, facendo brillare tutta la zona circostante. Stefano si incanta ad osservare l’ambiente attorno a sé, pensando che è la prima volta che si concede una colazione in tranquillità, nella sua nuova casa, nella sua cucina. Solitamente fa tutto di corsa: un caffè al volo, un paio di biscotti da mangiare salendo le scale, prima di vestirsi, poi dritto al lavoro. Immagina inoltre come sarebbe bello condividere con qualcuno momenti del genere, brevi e semplici attimi di vita quotidiana, immediatamente pensa al viso di Paolo. Avverte un vuoto allo stomaco, immaginandoselo di fronte a sé e d’un tratto si sente ancora come la sera precedente, in macchina, quando si era trovato a piangere senza nemmeno rendersene conto, senza ben comprenderne il motivo. Non ha ancora accettato ciò che è successo o meglio, ciò che non è successo, la sera prima. Percepisce dentro di sé che qualcosa è cambiato sul serio. Dopotutto, è già capitato di non concludere nulla con lui non molto tempo prima, in quell’esatto punto in cui si trova ora. Eppure, non aveva reagito così. Se n’era pentito, aveva ripromesso a sé stesso di comportarsi diversamente quand’ora se ne fosse ripresentata l’occasione ma era andato oltre, non ci aveva pensato troppo. Quello che sente ora è un vero e proprio malessere fisico e non certo che si tratti di una delusione, la conosce la delusione, è un sentimento in cui si è ritrovato spesso nella sua vita sentimentale, da ragazzo e da adulto. Si sfrega il viso con entrambe le mani, per riprendersi, per resettare i pensieri. Dopodiché si alza e va a prepararsi. Ha intenzione di passare all’autofficina per accertarsi che l’auto sia a posto, dal momento che prevede dovrà utilizzarla molto di più, nei prossimi giorni.
 
Mentre aspetta nella saletta del meccanico, in attesa che gli riconsegni l’auto, riceve un messaggio da parte di Paolo, accompagnato da una fotografia. Si tratta di una foto dello stesso dolce della sera prima, con meno decorazioni. 
 
“Oggi colazione così… non male come avanzo della sera prima, che dici? 😁
 
 Il pensiero di Stefano va immediatamente al momento in cui ha assaggiato quello stesso dolce, dalle mani di Paolo. Le sue dita posate sulle labbra, i suoi occhi cerulei e brillanti contornati dal kajal che lo guardavano fisso e il suo profumo che ormai si sentiva addosso, come aveva confermato anche Elena. Chiude gli occhi e fa un respiro profondo.
 
“Anche solo vedendolo in foto… riesco a ricordamene il sapore. Straordinario”
 
Risponde, pensando in realtà più al momento che al dolce, al quale ha potuto dare un solo fugace assaggio, esattamente come alla situazione che si sarebbe potuta creare con Paolo. Osserva l’orologio da muro davanti a sé; un vecchio analogico vintage a forma di tappo di bottiglia di birra, sicuramente l’omaggio di qualche sponsor, che segna le nove. A breve dovrà avviarsi verso l’aeroporto per andare a prendere Roberto, suo cognato, per ritornare all’ospedale da Elena. Sa che oggi non gli darà scampo, perché vorrà sapere tutto della serata, dovrà parlarle di Paolo. Cerca di decidere mentalmente cosa dirle o cosa invece tenere per sé. Non è raro che le parli di qualche ragazzo, non si è mai fatto particolari problemi a fornirle dettagli e descrizioni. Con lui però è diverso. Lei lo conosce, sa che tipo di persona sia. Certo, sono passati molti anni ma in sostanza è sempre lo stesso ragazzo tenace, determinato, cortese e modesto che aveva conosciuto a quattordici anni, quel settembre del duemila quattro. Non saprebbe però come definirlo, non si stanno frequentando, non sentimentalmente perlomeno, non è neppure certo che possa concretizzarsi qualcosa. È semplicemente un suo compagno di squadra a calcetto, sebbene gli sia stato chiaro dal primo momento in cui l’ha visto, che non sarebbe stato solo quello. 
 
“È un glitch, un errore di sistema.”
 
Suggerisce mentalmente a sé stesso, compiacendosi poi per la metafora appena pensata che apprezzerebbe anche da Paolo, dato l’argomento. Perché lui è davvero qualcosa di anomalo nel suo sistema, una falla che lo fa andare in tilt e che dalla sera precedente l’ha reso quasi del tutto inoperativo. 
Il suo cellulare vibra di nuovo, un altro messaggio da parte di Paolo.
 
“In realtà è un dolce semplicissimo, è solo molto scenografico. Un po’ come me 😅. Comunque… hai avuto novità su tua sorella?” 
 
Stefano trova il paragone tra Paolo e il suo dolce perfettamente azzeccato. 
 
“Non ancora. Tra poco andrò da lei in ospedale.”
 
Risponde. Il messaggio di Paolo arriva quasi subito, nemmeno il tempo di chiudere la chat e bloccare il telefono.
 
“Fammi sapere come sta, appena sai qualcosa. Scrivimi quando vuoi, oggi sono a casa perché ho in programma due call nel pomeriggio.”
 
Stefano risponde con l’emoji del pollice all’insù e poco dopo viene chiamato dal meccanico per ritirare l’auto e pagare il conto. Fortunatamente, come aveva sperato, aveva solo bisogno di effettuare il periodico tagliando. Rassicurato sulle ottime condizioni della macchina, parte in direzione dell’aeroporto. Arrivato a destinazione parcheggia e scrive un messaggio a Roberto per comunicargli la posizione del parcheggio, lui lo raggiunge circa cinque minuti dopo. Vedendolo nello specchietto, di corsa e con gigantesco trolley e uno zaino in spalla, scende per aprire il bagagliaio.
 
-Ciao Ste, grazie per essere venuto. 
 
Lo saluta, fermandosi davanti all’auto. Stefano apre il bagagliaio e gli fa cenno di caricare le sue valige.
 
-Figurati, Roby.
 
Risponde lui. 
 
-L’hai già sentita?
 
Aggiunge, mentre entrambi prendono posto in auto. Roberto prende il cellulare dalla tasca del giubbotto, un piumino corto blu, stropicciato e con i bottoni allacciati in modo errato.
 
-Sì, dieci minuti fa, appena sbarcato. Era Incazzata nera perché non le hanno dato il caffè ma il tè e perché voleva i biscotti e non le fette biscottate. 
 
Spiega, sorridendo. 
 
-Tipico di lei. 
 
Commenta Stefano, inserendo la retro per uscire dal parcheggio. Roberto riprende a scrivere al cellulare, probabilmente sta avvisando Elena che sono partiti.
 
-Comunque, congratulazioni papà-bis! 
 
Esclama Stefano, cogliendo di sorpresa il cognato. Roberto si gira verso di lui con uno scatto, gli occhiali da vista gli scivolano dal naso.
 
-Ah…ehm… grazie! Quindi te l’ha già detto. 
 
Commenta, preso alla sprovvista. Roberto è ragazzo, un uomo ormai, tranquillo e piuttosto silenzioso. Lui ed Elena si sono conosciuti al primo anno di università, durante un esame di inglese comune ad entrambe le facoltà. Da quel momento non si sono più lasciati. Non è un tipo particolarmente avvenente, non di certo uno di quelli che spiccano in mezzo alla folla ma non si può dire che sia brutto. Di statura media, un po’ più basso di Stefano, ha un fisico magro ma allenato, dal momento che pratica nuoto regolarmente, i suoi capelli sono ricci color castano chiaro e gli occhi piccoli e allungati sono color nocciola, sempre nascosti da un paio di occhiali con la montatura fine e metallica che uniti al pizzetto e alla barba un po’ lunga gli danno un’aria da intellettuale, tanto apprezzata da sua sorella. 
 
-Proprio ieri.
 
Risponde Stefano. 
 
-Avevamo in mente di dirlo a tutti domenica a pranzo, prima dell’incidente ovviamente. È stata una sorpresa un po’ anche per noi. Anche se Elena è felice che questo bambino sia arrivato così presto, vuole che Riccardo leghi con il fratellino o sorellina come avete fatto voi. Avranno la vostra stessa differenza d’età. 
 
Spiega Roberto, senza togliere lo sguardo dal cellulare e senza smettere di scrivere. Lo conosce da così tanto tempo che, ormai, anche lui è diventato una sorta di fratello. Essendo entrato in casa loro a soli vent’anni ha avuto modo di vivere molti dei momenti più importanti della loro vita, incluso il suo coming out. 
 
-Tu ci hai conosciuti da adulti, in un periodo in cui andavamo abbastanza d’accordo. Ti auguro che i vostri figli non siano come noi da bambini e da ragazzi…
 
Commenta Stefano, ripensando alle numerose liti con la sorella, durante l’infanzia e l’adolescenza. 
 
-Beh ma è normale tra fratelli litigare e farsene di tutti i colori. Però poi si capisce quando un legame è forte… voi ci siete sempre l’uno per l’altra. Io purtroppo con i miei fratelli non ho questo bel rapporto.
 
Aggiunge Roberto, questa volta riponendo il cellulare. Si accorge poi avere il giubbotto sistemato male e subito slaccia gli automatici, per abbottonarli correttamente. Rimane in silenzio per qualche istante, giusto il tempo di sistemarsi. 
 
-Io invece ho saputo che l’incidente di Elena ha interrotto un tuo appuntamento…
 
Afferma, con tono curioso. Stefano sospira e porta gli occhi al cielo. 
 
-Non cominciare anche tu, ti prego.
 
Ribatte, quasi supplicante. Roberto sogghigna. 
 
-Ti farà l’interrogatorio quando arriveremo, preparati!
 
L’ospedale è piuttosto vicino all’aeroporto e riescono a raggiungerlo in poco meno di quindici minuti. Una volta entrati e dopo aver parlato con l’infermiera al banco dell’accettazione, vengono condotti nella stessa saletta dove Stefano aveva visto la sorella la sera prima. La trovano in piedi, vicino a una finestra, intenta a osservare il paesaggio esterno. 
 
-Eri così impaziente per mio arrivo che speravi di vedermi dalla finestra?
 
Esclama Roberto, sarcasticamente, facendola girare. Stefano nota con piacere che il suo viso è in condizioni migliori rispetto alla sera prima. Indossa sempre il collare cervicale e un cerotto lungo sulla fronte ma non ha più la flebo e il colorito del suo viso è roseo. 
 
-Veramente mi stavo rompendo le scatole… neanche ci pensavo a te. 
 
Risponde lei, con finto tono sprezzante. Roberto si avvicina e la bacia, lei sorride e il suo sguardo si addolcisce. Nonostante faccia spesso la dura e si ostini ad essere quella che deve avere sempre l’ultima parola, è profondamente innamorata di Roberto e il loro rapporto, il loro modo di relazionarsi l’un l’altra, non ha fatto che migliorare nel corso degli anni. Stefano è sicuro che entrambi siano la persona giusta per l’altro, non li ha mai visti discutere seriamente, sebbene litighino spesso, inoltre ha più volte avuto la prova di come riescano a intendersi e decifrare le reciproche emozioni solo con un gesto o uno sguardo. 
 
-Ti vado a prendere qualcosa di buono al bar. Ste, vuoi qualcosa?
 
Chiede, girandosi verso di lui.
 
-Un caffè, grazie.
 
Roberto annuisce e gli dà una pacca di conforto sulla spalla, uscendo dalla stanza. Ha capito che deve lasciarli soli, perché Elena deve parlare con lui.
 
-Allora, fratello. Hai detto che ne avremmo parlato oggi. Cosa mi dici?
 
Chiede, a braccia conserte con un enorme sorriso che pare si estenda da un orecchio all’altro. Stefano scuote il capo.
 
-Non ti dico nulla se non ti rimetti a sedere. 
 
Le intima. Lei, sebbene non ami farsi impartire ordini, gli obbedisce. Si rimette sul lettino e lo guarda, aspettando finalmente che inizi a parlare. Stefano non sa da che parte cominciare. Prende tempo recuperando una sedia nella stanza, che posiziona vicino al letto dove è seduta Elena. 
 
-Chiedimi quello che vuoi sapere.
 
Suggerisce. Lei non se lo fa ripetere due volte.
 
-Dov’eri ieri sera quando papà ti ha chiamato?
 
Domanda, a bruciapelo, guardandolo fisso negli occhi. 
 
-Ero a casa di una persona, a cena. 
 
Risponde lui, sul vago. Ovviamente lei non è per nulla soddisfatta della sua risposta.
 
-Un uomo, ovviamente. Immagino non fosse Alberto, vero?
 
Stefano scuote il capo. Elena ha avuto modo di conoscere Alberto, l’ha incontrato diverse volte durante i compleanni di Stefano e alla vigilia di Natale, in qualche locale. In più di un’occasione gli aveva fatto notare quanto Alberto fosse attraente e interessante, cercando di spingerlo a frequentarlo, non solo come amico.
 
-No ma è qualcuno che conosci. 
 
Anticipa, stuzzicando la sua curiosità. Elena immediatamente spalanca gli occhi con stupore.
 
-Ti ricordi… di Paolo?
 
Domanda, quasi con un fil di voce. Elena aggrotta la fronte… il collegamento sembra non essere immediato. Stefano decide di darle un altro indizio.
 
-Età mia, ci sei uscita per un po’…
 
Elena si lascia sfuggire un urlo e rimane a bocca aperta.
 
-Oddio! Non sarà mica… Paolo Casagrande?
 
Chiede, con tono di voce eccessivamente alto e stridulo. Stefano le fa cenno di abbassare la voce e annuisce col capo. 
 
-Paolo Casagrande… è gay?!
 
Domanda poi, stupita, sempre senza abbassare il tono di voce. Stefano si guarda attorno, sperando che la loro conversazione così animata non abbia infastidito nessuno. 
 
-Questo lo stavo cercando di capire, ieri sera… quando papà mi ha chiamato. 
 
Risponde lui, in realtà dubbioso sulla risposta da fornirle. Elena si porta una mano alla bocca.
 
-Scusa Ste, ti ho fatto da cockblocker!
 
Esclama, questa volta abbassando finalmente la voce. Stefano non risponde a quella sua affermazione, fortunatamente Elena prosegue a parlare. 
 
-Eppure sapevo che era sposato con una donna… non so con chi ma avevo visto il suo stato su Facebookdiverso tempo fa e c’erano delle foto. In effetti le foto sono sparite, non le ho più trovate qualche anno dopo, durante il mio stalking social. 
 
Stefano sperava proprio che Elena potesse dirgli qualcosa in più sull’identità dell’ex moglie di Paolo. 
 
-Sì, era sposato ma ora è separato. Sta divorziando… 
 
Conferma. Elena annuisce. 
 
-È ancora bello come da ragazzo?
 
Domanda poi, con aria maliziosa. Stefano si lascia sfuggire un sorriso. 
 
-Dalla tua faccia direi proprio di sì… 
 
Decide di mostrarle una foto di Paolo. Prende il cellulare dalla tasca dei jeans, apre la chat con Paolo e inizia a cercare una bella foto. Scorre tutte quelle inviate e, in realtà, non ce n’è una sola in cui sia venuto male. Ne sceglie una e poi le porge il telefono. 
 
-Oh cazzo! Che bono assurdo! È invecchiato da Dio!
 
Commenta, con enfasi. La vede aprirle la foto, allargare e zoomare i particolari. 
 
-Perché c’è l’emoji di una melanzana vicino al suo nome?
 
Chiede. Stefano decide che ha visto abbastanza e le strappa il telefono dalle mani.
 
-Non sono fatti tuoi. 
 
Elena sogghigna. 
 
-È per via di quel suo soprannome, vero?
 
Stefano non commenta e sposta lo sguardo altrove. Elena si sporge verso di lui. 
 
-Non l’ho visto con i miei occhi ma… dal tatto penso che fosse davvero quello che dicevano.
 
Esclama, quasi sussurrando. Stefano inizialmente si imbarazza e sente il viso diventare bollente. Elena se ne accorge e scoppia a ridere, poco dopo anche lui inizia a ridere. 
 
-Ehi! Ti va se gli mandiamo una foto?
 
Chiede Stefano. Elena fa una smorfia.
 
-Conciata così?
 
Chiede, indicando il proprio viso.
 
-Sei comunque bella, giuro. 
 
La rassicura Stefano, mettendosi una mano sul cuore. Elena fa spallucce. 
 
-Ma sì, chi se ne frega! Facciamola, dai.
 
Si mette a sedere bene sul lettino, facendo un po’ di spazio a Stefano. Lui si stringe accanto alla sorella e apre la chat di Paolo, per caricare direttamente il selfie. Scatta una sola foto, senza preoccuparsi troppo se sia venuta bene o male e poi la invia, aggiungendo un messaggio.
 
“Elena sta bene e ti saluta!”
 
Paolo risponde solo un paio di minuti dopo. Elena legge il messaggio personalmente.
 
“Sempre tosti i fratelli Rosati 💪! Un abbraccio enorme a Elena 💗
 
-Raccontami un po’ tutta la storia…
 
Chiede poi lei. Stefano, senza spostarsi dal lettino, inizia a raccontare. Cerca di rimanere sul vago, senza fornire troppi dettagli. Elena ascolta tutto con interesse e in totale silenzio. 
 
-… e siamo arrivati a ieri sera. 
 
Conclude Stefano. Lei annuisce ma non dice nulla, si limita a guardare il fratello gli rivolge uno sguardo dolce e tenero. Dopodiché gli accarezza il viso. 
 
-Posso dirti una cosa? 
 
Domanda. Stefano annuisce. 
 
-Anche a quei tempi, ho sempre pensato che ti piacesse. Ancora prima che tu mi dicessi che ti piacciono i ragazzi. 
 
Stefano la guarda sorpreso. Non gli aveva mai detto nulla del genere. 
 
-Copiavi qualsiasi cosa facesse lui. Ti pettinavi i capelli come lui, ti sei comprato quell’orrenda maglietta a righe con cui sembravi Spugna dal cartone di Peter Pan e hai dato dei retrogradi a mamma e papà, facendoti mettere in castigo, perché non volevano farti fare il piercing al sopracciglio, come il suo. 
 
Spiega. Stefano ricorda tutte quelle cose, della maglietta, del castigo durante il quale suo padre per la prima e unica volta aveva alzato la voce e gli aveva tolto il cellulare per due settimane. Non aveva mai interpretato questi suoi comportamenti come segni d’interesse nei confronti di Paolo. Aveva sempre creduto di averlo fatto per ricevere le stesse attenzioni che riceveva lui, dai compagni e da sua sorella. Ora, però, non sa più a cosa credere. 
 
-È proprio il suo tratto distintivo il piercing al sopracciglio. Ne ha altri sai? Sulla lingua e al capezzolo.
 
Afferma. Elena apre bocca per commentare ma viene interrotta da Roberto, sulla porta, di ritorno con caffè e merendine.
 
-Posso entrare o devo aspettare ancora? Sapete, il caffè diventa freddo… 
 
Chiede. Stefano ed Elena si scambiano uno sguardo di complicità e sorridono. 
 
 
 
Stefano rientra a casa all’ora di pranzo. Giusto in tempo per una telefonata con Alberto, al quale però non racconta nulla della serata precedente, spiegandogli di volerne parlare di persona il giorno successivo, quando sarà un po’ più libero.
Nel pomeriggio dovrà fare un po’ di smart working e verso sera andrà di nuovo da Elena, per dare il cambio a sui genitori, che a loro volta hanno dato il cambio a Roberto per permettergli di tornare a casa con Riccardo. Prevede giornate molto impegnative, perlomeno finché Elena non uscirà dall’ospedale, il che pare non accadrà prima di tre giorni, dopo il weekend. Si ricorda poi che è venerdì e che ci sarà l’allenamento di calcetto ma non potrà partecipare, essendo impegnato con la sua famiglia. È dispiaciuto perché sarebbe stata l’occasione per rivedere Paolo, dopo la sera prima. Tuttavia una parte dentro di lui è felice che il confronto non avverrà tanto presto e non vuole indagare sul perché, non in quel momento. 
 
Quando rientra a casa dall’ospedale, alle dieci circa, riceve un messaggio di Paolo, un’altra foto. Il soggetto non è lui ma il campo sportivo nel quale si allenano e la foto inquadra i coni e i dischetti di allenamento.
 
“Stasera ho fatto io il tuo lavoro… 🥅 ! Mi devi un favore 😉” 
 
Si riferisce alla sistemazione degli attrezzi per gli allenamenti, dei quali si occupa di solito Stefano dopo la partita. 
 
“Grazie 😃
 
Risponde. Posa il telefono sull’isola in cucina, si toglie il cappotto e lo appende all’ingresso. Nel frattempo il cellulare vibra di nuovo. Si siede su uno sgabello della cucina, prima di rispondere.
 
“… e intanto il montepremi aumenta. Quando ti straccerò a biliardo, te le farò pagare tutte 😏
 
Stefano si lascia sfuggire un sorriso. Invidia la spontaneità di Paolo, sa farlo sorridere, sa prendere l’iniziativa e non è mai fuori luogo. Lui ha riflettuto tutto il giorno se e cosa scrivergli. Voleva avvisarlo privatamente che non ci sarebbe stato agli allenamenti, per aver modo di parlargli. Eppure dopo aver scritto e cancellato il messaggio almeno cinque volte, si era arreso preferendo inviare una comunicazione generica nel gruppo del calcetto. Sospira, passandosi una mano tra i capelli. Capelli che non si pettina decentemente dalla sera prima e che sono ancora sporchi di gel e lacca. 
 
“Addirittura montepremi?”
 
Risponde, lasciando in mano a lui la conversazione.
 
“Eh ormai siamo su quell’entità… 😏 e visto che immagino non ci sarai alla partita di domenica, possiamo solo salire.”
 
Ed eccola di nuovo, la sua capacità di dire la cosa giusta senza chiedere direttamente, messa lì quasi casualmente in una conversazione. Lui dovrà dirgli che, no, non ci sarà e Paolo avrà avuto la sua risposta. 
 
“No, domenica sarò ancora impegnato con la mia famiglia. Elena verrà dimessa lunedì mattina.” 
 
Risponde, senza proseguire il gioco di Paolo. Lui, però, riesce a cavarsela bene ugualmente.
 
“Mi ha fatto davvero piacere rivederla. Vorrei tanto incontrala, non appena si sarà rimessa in sesto.”
 
Stefano, leggendo quel messaggio, si blocca. Riflette su quanto sarebbe strano ritrovarsi tutti e tre, dopo molti anni, in una situazione così diversa da quella di allora. Si chiede se Paolo si comporterebbe davanti ad Elena come fa spesso e come ha fatto con Alberto, toccandolo, sorridendogli… crede che se proponesse ad Elena di incontrarlo lei accetterebbe subito ma ne approfitterebbe principalmente per analizzarlo, come fa con lui. Non glielo dirà, per ora. Si sente stranamente a disagio in quella conversazione. È la prima volta che vuole appoggiare il telefono e non saperne più nulla, non gli era mai capitato con Paolo. Sente di nuovo quel malessere, quel groppo alla gola, con il quale si è svegliato quella mattina.
 
“Organizzeremo. Ora scusa ma ti devo salutare, sono un po’ stanco…” 
 
Scrive, quasi a fatica. Non vorrebbe troncare la conversazione così, vorrebbe sentirlo ancora ma non riesce, non ce la fa.
 
“Tranquillo 🙂. Vai pure a riposarti. Fatti sentire ogni tanto in questi giorni, ok? Notte, Ste.”
 
Leggendo quel messaggio, ricorda subito la sera prima. Quel “tranquillo” pronunciato davanti alla porta del suo appartamento. 
 
“Notte.”
 
Una lacrima cade sullo schermo del suo cellulare. Poi un’altra e un’altra ancora. Esattamente come la sera prima, in modo del tutto inaspettato. 
 
***
 
Il giorno seguente, sabato, si sveglia abbastanza tardi. A svegliarlo è la vibrazione del cellulare. Si trova ancora a metà tra il sonno e la veglia, fatica ad aprire gli occhi. Senza alzarsi dal letto tasta alla cieca sul comodino per prendere il cellulare e rispondere. Riesce ad afferrarlo poco prima che finisca sul pavimento. Risponde, senza guardare di chi si tratti.
 
-Pronto…?
 
Si schiarisce la gola.
 
-Stavi ancora dormendo?
 
Chiede la persona all’altro capo del telefono. Stefano ci mette un paio di secondi a focalizzare. Si stropiccia gli occhi e si mette a sedere più comodo. Si tratta di Alberto.
 
-Albe…?
 
Chiede, non del tutto sicuro che sia lui. Questi gli risponde subito, con il suo solito modo di fare.
 
-No, sono Silvio Berlusconi… chi cazzo vuoi che sia? Ce l’hai il mio numero.
 
Stefano sbadiglia e si sfrega il viso con entrambe le mani. 
 
-Non ho letto. È successo qualcosa?
 
Domanda. 
 
-Ti ho scritto almeno tre messaggi… vieni al bar a bere un caffè?
 
Domanda, con tono meno aggressivo. Stefano guarda la sveglia sul comodino, segna le dieci e trenta. Non ha alcuna voglia di uscire, significherebbe vestirsi, sistemarsi e prendere i mezzi. Al momento non ha voglia di fare nulla.
 
-E se te lo facessi io il caffè? Vieni qui tu, dai.
 
Suggerisce, mugugnando. Si sdraia di nuovo e chiude gli occhi. 
 
-Sì, ok. Dammi il tempo di arrivare.
 
Risponde Alberto, accettando la proposta. Alberto ci metterà almeno mezz’ora ad arrivare, se partirà da casa. Quindi può concedersi almeno qualche istante di ozio sul letto. Ha dormito male, malissimo. Dopo la conversazione con Paolo si è messo a letto ma ha faticato a prendere sonno, avvertiva un insopportabile peso sullo stomaco, un macigno che pareva volerlo soffocare internamente. Ancora ora, appena sveglio, si sente strano. Si fa forza, conta fino a tre e si butta forzatamente giù da letto, deve prepararsi prima che arrivi Alberto.
 
 
-Credevo fosse tua sorella ad avere avuto un incidente, non tu.
 
Afferma Alberto, entrando in casa sua e appendendo il cappotto. Stefano fa una smorfia. 
 
-Se sei venuto per insultarmi, vai a casa. Non è giornata. 
 
Risponde, chiudendo la porta. Fa strada ad Alberto in cucina, dove ha già preparato il caffè, lo zucchero e qualche biscotto ritrovato negli stipetti della cucina. I due si siedono, uno di fronte all’altro, sugli sgabelli dell’isola. 
 
-Me ne vuoi parlare o devo strapparti fuori le parole?
 
Domanda Alberto, iniziando a versare lo zucchero nel caffè. Osserva anche con curiosità alcuni biscotti con la glassa zuccherata e ne prende subito uno, che immerge nel caffè. 
Stefano, questa volta senza troppi preamboli o paranoie, inizia a raccontare ciò che è successo a casa di Paolo, senza però riportare nel dettaglio i contenuti della sua confessione. Gli racconta della cena, di ciò che si sono detti, di ciò che suppone stesse per accadere prima che suonasse il telefono e di come si sono salutati. Alberto ascolta tutto con attenzione, sorseggiando il caffè e mangiando almeno cinque o sei biscotti diversi. La tazzina di Stefano, al contrario, rimane piena. Non l’ha toccata e il caffè è diventato freddo, praticamente imbevibile. Non ha voglia di berlo, non ha voglia di mangiare, sebbene non abbia fatto colazione e non tocchi cibo dalla sera prima. 
 
-Se l’è preparata bene. Ci sarei stato anche io, con lui. 
 
Commenta Alberto, ironicamente. Stefano non ha intenzione di cogliere la sua ironia. 
 
-Così bene che, quando è saltato tutto, mi sono messo a piangere. In macchina da solo, come un deficiente! Ma ci credi?
 
Scuote il capo, vergognandosi un po’ di quello che ha appena confessato all’amico. Alberto si lascia scivolare il cucchiaino tra le dita e gli rivolge uno sguardo stupito, preoccupato forse. Non è la reazione che si aspettava Stefano. Credeva l’avrebbe preso in giro, che avrebbe usato qualche sciocca metafora o una citazione, come tanto gli piace fare. Non lo fa, non dice nulla. Stefano allora insiste. 
 
-Tu dimmi se è normale, mettersi a piangere per una scopata mancata… che sono un pirla me lo dico da solo o me lo vuoi dire tu?
 
Suggerisce. Alberto scuote il capo, la sua espressione è seria. 
 
-Non sei un pirla. Te lo dico io cosa sei: un codardo. 
 
Stefano spalanca gli occhi stupito. Non riesce a trovare un significato alle sue parole. Non capisce perché lo stia accusando in questo modo. 
 
-Sai bene che non ti sei messo a piangere perché non ti sei scopato Paolo. Perché, se fosse stato questo, cosa ti sarebbe costato, magari stamattina, telefonargli e farlo venire qui? Esattamente come lo hai proposto a me. Avresti risolto in poco tempo… una botta e via. E invece no… 
 
Si alza. Stefano lo osserva. Non sembra voglia andarsene ma pare turbato. 
 
-Tu vuoi far credere a tutti di essere tanto ingenuo, di non accorgerti delle cose ed è vero, a volte sei così. Ma non adesso. Tu sai benissimo perché ti senti così: ti stai innamorando di lui o lo sei già, molto probabilmente. 
 
A quelle parole, il cuore di Stefano inizia a battere, si sente tremare e scuotere internamente. Non è d’accordo con quello che sta dicendo Alberto, non lo ritiene vero. 
 
-Albe… cosa stai dicendo?
 
Alberto picchia entrambi i palmi delle mani sul pianale della penisola, producendo un rumore molto forte che rimbomba nella stanza e fa sobbalzare Stefano. Le tazzine tremano, i cucchiaini in metallo tintinnano lungo le pareti. Si chiede anche se non si sia fatto male, avendoci messo tutta quella forza. 
 
-La verità. Ti sto dicendo la verità, te la sto sbattendo in faccia. Solo così funziona con te. Me l’hai detto tu che hai paura. Sì, hai paura di quello che provi per lui, perché sai che quando lo accetterai non potrai più far finta di niente. Tu vuoi che tutto resti sempre immutato, invariabile. Ma le persone cambiano, Stefano, tutti cambiamo. 
 
Il tono di voce di Alberto è piuttosto alto, grave. Non sta urlando ma l’enfasi nella quale pronuncia l’intero discorso è in grado di paralizzare Stefano. Non riesce ad alzarsi dallo sgabello, non riesce a distogliere lo sguardo da lui. 
 
-Guardati adesso: sei sotto shock. Perché sai che ho ragione. E io so, sono sicuro, che tu ci sia già dentro fino al collo con lui. Sei nelle sabbie mobili, Stefano. Ti ricordi quel gioco in scatola degli anni ’80? Il primo con il quale abbiamo giocato tutti insieme a casa mia?
 
Stefano annuisce. Ricorda bene quel gioco, si chiamava proprio “Sabbie Mobili”. Durante i primi incontri, quando Alberto gli aveva presentato Giulio, Luca e Andrea aveva proposto una serie di vecchi giochi di società. Un gioco semplice, vagamente simile al meccanismo del classico Gioco dell’Oca. Il vincitore doveva ritornare al campo base, superando gli ostacoli ed evitando di essere inghiottito dalle sabbie mobili. La particolarità del gioco erano le pedine, degli omini colorati, dall’aspetto di esploratori. Queste pedine erano divise in cinque parti: piedi, gambe, busto, testa e cappello. Ogni volta in cui si finiva nelle sabbie mobili, tirando il dado, bisognava rinunciare a un pezzo, partendo dai piedi per arrivare fino al cappello. Dopo il cappello, il giocatore veniva direttamente eliminato. 
 
-Quando è stato qui da te, la sera in cui mi hai telefonato, eri già arrivato al busto. Ora sei al cappello. Mi è bastato vedere… come lo guardi, come i tuoi occhi lo cercano quando ti è vicino, come tremi quando ti sfiora. Non ti ho mai visto comportarti così con nessun altro, non ti ho mai visto comportarti così… 
 
Sospira. Alza lo sguardo e si sposta dal bancone.
 
-… con me. 
 
Aggiunge. Dopodiché si allontana dalla cucina, Stefano si alza per seguirlo. È di spalle, sta prendendo il cappotto. Stefano lo osserva in silenzio, appoggiato contro il muro che separa la cucina dall’ingresso. 
 
-Ti chiedo di farti, di farci un favore: cerca di essere onesto con te stesso. Continuare a far finta di nulla è deleterio e doloroso. 
 
Conclude, allacciandosi il cappotto. 
 
-Te ne vai?
 
Chiede Stefano, con un filo di voce. 
 
-Non ho più nulla da fare qui. Se non ci vedremo lunedì in ufficio, ti aspetto al mio compleanno, martedì sera. Giulio manderà i dettagli, come sempre.
 
Spiega, non più con tono acceso ma comunque con voce grave e seriosa. Senza più guardarlo negli occhi, senza più girarsi, prende la porta ed esce

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Capitolo 14
*** Il compleanno ***


Il weekend scorre velocemente ed è già domenica pomeriggio. 
Stefano si tiene occupato andando avanti e indietro dalla sorella e offrendosi qualche ora come babysitter per il piccolo Riccardo. Lavorando dal lunedì al venerdì, avendo il calcetto con gli allenamenti e le partite e gli incontri fissi con gli amici, non ha mai avuto l’occasione di trascorrere davvero del tempo con lui, al di fuori di qualche ora durante il pranzo domenicale. Realizza solo in quel momento che suo nipote ha già un anno e presto nascerà un nuovo bambino.
Guardando gli occhioni rotondi ed espressivi di Riccardo, fatica a credere che sia veramente suo nipote, che sia figlio di sua sorella. Fatica a credere che siano già cresciuti così tanto da potersi costruire una loro famiglia, perché quando sono insieme lui ed Elena si sente sempre lo stesso ragazzino di molti anni prima. Eppure il tempo è trascorso e continua a passare inesorabile, sfuggendogli come sabbia tra le dita, lasciandogli addosso quel senso di sopraffazione con il quale non riesce a scendere a patti. Alberto ha ragione: lui non vuole che le cose cambino. È vergognosamente abitudinario, si adagia facilmente quando trova una situazione di quiete o di vantaggio e quando qualcosa cambia è come se il mondo gli stesse crollando addosso. Gli è capitato spesso nella sua vita di sentirsi come l’eterno escluso ad una festa, la festa della vita alla quale tutti quanti partecipano con gioia, banchettando con tutto ciò che ha da offrire mentre lui preferisce rimanere in disparte.
Accarezza i riccioli di Riccardo, passandoseli tra le dita e pensando a quanto la vita di Elena sia progredita nel corso degli anni, a quanti passaggi e quanti cambiamenti si sia sottoposta, accettando tutto con serenità, nel bene e nel male, senza uscirne minimamente scalfita. Elena è cambiata molto, sia fisicamente sia caratterialmente, anche se per lui rimane sempre la sorella maggiore che frequenta le compagnie più interessanti, che ha gusti migliori e più ricercati, che vuole sempre compiacere. L’approvazione di sua sorella è una costante della sua vita, gli è sempre piaciuto farsi dire da lei che era bravo e ricevere elogi e apprezzamenti, ancor più che dai suoi genitori. 
È consapevole di essere cambiato a sua volta ma indugia spesso nella staticità della propria vita perché si sente più al sicuro, i cambiamenti per lui sono terrificanti e non li prende mai con leggerezza o con coraggio, a differenza di Elena. La stessa implicita confessione di Alberto di essere o essere stato interessato a lui, l’ha sconvolto. Non che non se lo sentisse, dentro di sé. Lo sospettava a causa da alcuni atteggiamenti avuti in passato e più di recente dal suo essere diffidente nei confronti di Paolo. Eppure sentirselo dire, rendendo tutto più concreto, lo disorienta. Ancora una volta Alberto ha centrato il punto e glielo ha detto con l’usuale brutalità e schiettezza che lo contraddistinguono: ama fingere di non vedere le cose. Perché solo fingendo, solo girando la testa dall’altra parte, può pretendere che tutto sia stazionario, che tutto rimanga perfettamente immobile e invariato. Ora che sa, è chiaro che il suo rapporto con Alberto muterà in qualche modo, non proverà più la stessa leggerezza, presterà attenzione a ciò che farà o dirà nel timore di offenderlo, di ferirlo o di incrinare il loro rapporto di amicizia.  
La sua vita è fatta di certezze e di abitudini, di appuntamenti fissi, di ripetitività, di una serie di interessi ben definiti e compartimentalizzati. La domenica e le feste sono della famiglia che comprende i suoi genitori ed Elena con Roberto e Riccardo. Tre giorni a settimana c’è il calcetto con tutti i ragazzi della squadra, il mister, il Bar dello Sport, lo stadio e infine ci sono gli amici con i giochi da tavolo, le serate a ballare o a divertirsi. Tutto ha un posto, nulla può sconfinare o fondersi. Si sente sicuro nel seguire il suo programma, sa cosa aspettarsi e cosa no. 
Il vero problema sta in Paolo che ha scavallato rapidamente più ruoli nella sua vita e quell’ultimo, forse quello che teme di più, non lo riesce ad accettare, proprio perché porterebbe degli enormi cambiamenti. 
Sospira e osserva Riccardo, tra le sue braccia, ormai addormentato, mentre succhia il ciucciotto per rilassarsi. Facendo attenzione a non svegliarlo, si alza dal divano sul quale è seduto per portarlo al piano superiore, metterlo nel suo lettino e coprirlo. Roberto tornerà a breve dall’ospedale, quindi lui potrà ritornarsene a casa. Tuttavia quella situazione, quella quiete e serenità che legge e percepisce chiaramente sul viso del bambino, lo fanno stare bene, gli trasmettono un senso di pace. 
Dopo aver messo Riccardo nel lettino accanto al suo peluche preferito, un cagnolino bianco e morbido, dà un’occhiata al cellulare. Non ha avuto la voglia né la necessità di sbirciare durante quelle tre o forse quattro ore trascorse con il nipote. 
A sua sorpresa e con un pizzico di dispiacere, non trova alcun messaggio o chiamata. Dopo l’incontro di venerdì, Alberto non gli ha più scritto nulla né gli ha telefonato. Ha ricevuto solo un messaggio da parte di Giulio, come gli era stato anticipato, con i dettagli per la festa di compleanno che si svolgerà al pub sotto casa di Alberto, prevedendo una cena a base di carne alla griglia, una torta personalizzata (che sarà la sorpresa di Giulio), karaoke e per concludere con un giro in qualche locale, fino a mattina. Non ha specificato un tema, a differenza del solito. Naturalmente Stefano ha confermato la propria presenza, anche se teme di non vivere quella serata con la stessa spensieratezza degli anni passati.
Anche Paolo non l’ha più contattato. Si chiede se non si sia accorto del suo distacco e abbia deciso di lasciarlo perdere, oppure se lo stia mettendo alla prova, restando in attesa di un contatto da parte sua. 
 
-Ste, sei libero!
 
Esclama Roberto, entrando in casa. Stefano non si era accorto che fosse tornato. Scende a recuperare le proprie cose e ritorna a casa, in auto. 
Percorrendo la tangenziale per ritornare in città, si ritrova bloccato nel traffico. Per la prima volta non se ne lamenta né si sconforta. Trovarsi fermo, immobile, nell’attesa che qualcosa si sblocchi, gli procura serenità. Anche l’andamento lento delle auto incolonnate lo rassicurano, perché per i suoi gusti la sua vita ha preso fin troppe accelerate ultimamente e sente il bisogno di restare tranquillo, in stallo. 
Mentre è fermo, ne approfitta per guardare il telefono che nel frattempo ha preso a vibrare. Sono le diciotto, i ragazzi del gruppo di calcetto hanno finito giocare una partita in casa da poco più di un’ora e stanno commentandone il risultato. Qualcuno che è rimasto a bordo campo o in panchina condivide, come di consueto, delle foto. È finita in pareggio, 1 a 1, grazie a un goal di Paolo segnato al quarantesimo minuto del secondo tempo. Diego si lamenta dell’arbitro poco imparziale nelle ammonizioni, Antonio fa notare ai compagni di non avergli passato la palla a sufficienza, impedendogli di segnare, mentre il mister rimprovera in generale tutta la squadra per aver giocato, a detta sua, in modo svogliato e poco professionale. Stefano, non essendo stato presente, non scrive nulla. Viene però menzionato in un messaggio di Simone.
 
“Ci è mancato anche Stefano! Lui qualche occasione l’avrebbe creata.”
 
Stefano è felice nel leggere che la sua assenza si sia sentita in campo, dopo tanti anni nella squadra è fiero di essersi ritagliato il suo ruolo. I messaggi proseguono.
 
“Sì!  Ci sei mancato, Ste. Torna presto, che dobbiamo diventare campioni d’inverno!”
 
Scrive anche Giacomo. Stefano spera che Paolo aggiunga qualcosa, che anche lui commenti la sua assenza ma non lo fa, non scrive assolutamente nulla. 
 
Torno prestissimo. Promesso!”
 
Risponde. Paolo ha letto il suo messaggio ma ancora una volta non scrive nulla. Spera che gli scriva in privato. Nel frattempo il traffico si sblocca e Stefano riesce a uscire dalla tangenziale e ritornare a casa. 
Rincasato attende ancora che Paolo gli scriva, controlla il gruppo del calcetto che nel frattempo si è riempito di commenti all’imminente incontro del Milan che giocherà a San Siro. Infatti alcuni compagni e il mister pubblicano foto direttamente dallo stadio. Di nuovo, Paolo non scrive nulla. Neanche durante la partita, i loro sono gli unici commenti a mancare e forse per la prima volta in tutti quei suoi anni da fedelissimo tifoso milanista, non riesce a godersi una partita come si deve. Sarebbe dovuto andare lo stadio ma ha fatto tardi a casa di sua sorella, in ogni caso non è vena di uscire. Guarda svogliatamente l’incontro dal salotto, distraendosi più volte, perdendosi anche un bel goal che normalmente l’avrebbe fatto scattare esultante dal divano. Prende il cellulare con l’intento di commentare il goal con Paolo e usarlo come pretesto per parlare, come di solito fa lui. 
 
Non ci riesce. 
 
La sua mente è vuota, tabula rasa. Ha un blocco che non gli permette nemmeno di organizzare le parole più semplici e anche nel momento in cui vorrebbe scrivere qualcosa di semplice come: “Hai visto bomba ha tirato Leão?” non lo fa, perché lo ritiene fin troppo sciocco. Dopotutto, Paolo gli ha chiesto di farsi sentire e lui non l’ha fatto. Che senso avrebbe mandargli di punto in bianco un messaggio del genere?  Lancia il cellulare con rabbia all’altro capo del divano. Da quando Alberto gli ha fatto notare quel suo terrore dei cambiamenti, sebbene ne fosse più che cosciente, il suo umore è degenerato. 
Finisce quasi controvoglia di vedere la partita, dopodiché va a letto. Il giorno successivo Elena verrà finalmente dimessa dall’ospedale, andrà lui a prenderla insieme a Roberto, mentre i suoi genitori l’attenderanno a casa con Riccardo. 
 
Anche la giornata di lunedì scorre senza che Stefano se ne renda conto, dopo l’attesa di due ore per le dimissioni di Elena, il pranzo con i genitori e il pomeriggio trascorso di nuovo con Riccardo, ritorna a casa. Sono ormai le sette, è ora di cena ma non ha fame. A pranzo ha mangiato a sufficienza, con i cannelloni ripieni alla ricotta e spinaci preparati da sua madre e il pollo alla cacciatora. Si accontenta di una tazza di the con qualche biscotto, consumati sul divano giocando a FIFA. 
Si sente come se fosse stato messo in isolamento, come se fosse affetto da una malattia estremamente contagiosa e dopo tanti, tantissimi anni, avverte la solitudine. Si sente come il giorno dopo il suo outing ai tempi del liceo, dopo aver raccolto e strappato tutte quelle foto nei corridoi della scuola.  Dopotutto, non vede i suoi amici da quasi una settimana, non sente Alberto da venerdì e Paolo… deglutisce pensando a come stia svanendo tutto quanto con lui. Un'altra giornata senza sentirlo, senza ricevere un suo messaggio. Si era ormai abituato a ricevere messaggi tutto il giorno da parte sua, vederlo agli allenamenti, stare insieme anche solo per pochi minuti, stare a letto ad ascoltare i suoi vocali nel cuore della notte. Tutto d’un tratto il nulla. Mette in pausa la partita, fa un respiro profondo e scrolla le spalle. Si fa coraggio, pensando che l’indomani ci sarà il compleanno di Alberto, un evento sicuramente sottotono, ma è certo che andrà comunque bene perché, nonostante tutto, è stato Alberto stesso ad invitarlo al compleanno. Forse si sarà sentito ferito, deluso o anche infastidito dal quel suo comportamento “codardo”, come l’aveva definito a ragion veduta. Eppure non ha pensato di escluderlo. Mentre per quanto riguarda Paolo, forse davvero quella sera a casa sua era l’unica chance. Si era aperto con lui perché sperava di smuovere qualcosa e Stefano, puntualmente, aveva girato la faccia dall’altra parte andandosene via. 
 
“Avrei potuto almeno dargli un bacio, anche sulla guancia.”
 
Pensa immediatamente, ripercorrendo l’evento. Crede che se l’avesse fatto, forse Paolo si sarebbe potuto aggrappare a qualcosa e invece non ha fatto nulla, neanche quello. L’ha guardato negli occhi sperando con la sola forza del pensiero che lo capisse. È certo che l’abbia capito ma inizia a credere che potrebbe non essere più disposto ad aspettarlo. Da quando si sono ritrovati, non ha smesso per un giorno di sentirlo. Ad eccezione della giornata dopo l’incontro con la ex moglie, per la quale si era comunque giustificato e spiegato a sufficienza. 
Stanco di torturarsi il cervello, di continuare a rimuginare e fare ipotesi, decide di spegnere la console e mettersi a dormire. 
 
 
Il giorno seguente torna al lavoro ma Alberto non c’è. Apprende da alcuni che colleghi che quel giorno sarà assente per via di un convegno. Sperava di potergli parlare, prima del compleanno, per cercare di cogliere il suo umore. Dopo essersi seduto alla scrivania e aver iniziato a preparare il lavoro per la giornata si fa coraggio e decide di scrivergli.
 
“Ciao. Non sapevo che non ci fossi oggi… volevo parlare un po’, come facciamo sempre. Mi è mancato parlare con te, in questi giorni.”
 
Scrive, quasi di getto. Scrivere un messaggio ad Alberto, sebbene sia piuttosto intimo, non gli è così difficile come con Paolo. Non ha problemi a fargli capire quanto gli sia mancato, mostrarsi in un certo senso vulnerabile nei suoi confronti. Non ha bisogno di ripensare, scrivere o correggere. Ed ecco che di nuovo, le parole di Alberto, risuonano nella sua testa: “Non ti ho mai visto comportarti così con me.”.  Ha ragione, ancora.  Alberto risponde quasi subito e Stefano si sente sollevato. 
 
“Devi avere qualche problema con la memoria, come per la volta del dentista, ti avevo detto anche questo. Comunque, io sono sempre stato qui.” 
 
Il messaggio sembra uno dei soliti. Sente la tensione sciogliersi a poco a poco, forse non è ancora tutto perduto con Alberto. 
 
“Lo so… quindi sono sempre invitato al tuo compleanno?”
 
Scrive, tentando di portare la conversazione su toni più spensierati. 
 
“Per forza. Chi mi canterà la canzone di Toy Story sennò?” 
 
Stefano sorride. Anche quella è un’abitudine, piuttosto sciocca in verità, della festa di Alberto. Ad eccezione del primo compleanno trascorso insieme, l’ha sempre cantata per lui. Non ricorda nemmeno come sia nata la cosa, forse per scherzo, complice qualche bicchiere di troppo. Sa solo di essersi trovato sul palco del karaoke a richiedere la canzone “Hai un amico in me”, tratta dal film Toy Story, per dedicarla ad Alberto. Quest’ultimo l’aveva così apprezzata da richiedergliela ogni anno. 
 
“Ah, giusto… 😑
 
“Alle 20,30, puntuale. Altrimenti ti lasciamo fuori.” 
 
 
 
Terminato l’orario di lavoro, Stefano corre a casa per prepararsi. Si fa una doccia e indossa i primi vestiti che gli capitano davanti agli occhi: jeans neri, camicia grigia e un maglioncino con lo scollo a “V”, dello stesso colore. Vuole essere in ordine ma al tempo stesso non ha voglia di perder troppo tempo a studiare l’outfit migliore, anche perché l’ultima volta in cui seriamente si era impegnato, non è finita bene. Una spruzzata veloce di profumo, una passata di gel tra i capelli e senza neanche dare un secondo sguardo allo specchio esce di casa, ricordandosi quasi sulla porta di prendere il sacchetto con il regalo per Alberto. 
Arriva al locale con ben dieci minuti d’anticipo, entra e va diretto verso il solito tavolo, certo che anche quell’anno Giulio abbia prenotato esattamente quello. Un tavolo con una panca e delle sedie, non troppo attaccato alle casse dell’impianto stereo, per poter avere comunque l’occasione di chiacchierare senza urlare ma nemmeno troppo distante dal palco, per il karaoke. 
Alberto è già arrivato e sta parlando con Giulio, sono uno di fianco all’altro. Giulio gli sta mostrando qualcosa al cellulare, qualcosa che Alberto pare apprezzare, perché sta sorridendo. Il braccio sinistro di Giulio è stretto attorno alla vita di Alberto. È la prima volta che li vede così vicini. 
 
-Eccolo l’anziano del gruppo!
 
Esclama, presentandosi davanti a loro. Giulio immediatamente lascia andare Alberto. 
 
-Non fare il figo perché sei solo un anno e cinque mesi più giovane.
 
Ribatte Alberto, con il suo solito modo di fare. È tranquillo, il che rassicura in parte Stefano sull’andamento della serata. Si avvicina a lui e gli porge il regalo. 
 
-Buon compleanno.
 
Alberto lo ringrazia prende il sacchetto e lo posa sul tavolo, aprirà i regali solo dopo la cena, come di consueto.
 
-Andrea e Luca?
 
Chiede, guardandosi in giro e notando che mancano ancora gli altri membri del gruppo. A rispondere è Giulio.
 
-Andrea ha finito alle otto, Luca stacca alle otto e mezza, tra poco ci raggiungeranno. Intanto vado a prendere l’aperitivo. Solito?
 
Domanda, rivolto a entrambi. Alberto e Stefano annuiscono, Giulio li lascia soli. Stefano vuole approfittarne per dire qualcosa.
 
-Albe, io… 
 
Lui lo anticipa. Scuotendo la testa. 
 
-No, Ste. Siamo a posto così. 
 
Stefano non sa come ribatte ma rispetta le parole di Alberto. Avverte un po’ di imbarazzo ma spera che nel corso della serata, in compagnia degli amici, tutto quanto tornerà nella normalità. Alberto si avvicina a lui e lo afferra per un braccio, cogliendolo di sorpresa. 
 
-Comunque, anche se è il mio compleanno, te l’ho fatto anch’io un regalo. 
 
Esclama, indicandogli di girarsi. Stefano si gira e all’ingresso del locale, proprio accanto alla porta, vede entrare Paolo. Non si aspettava in alcun modo di vederlo. Si gira verso Alberto, in cerca di una spiegazione.
 
-Ieri pomeriggio l’ho aspettato fuori dalla Vince e l’ho invitato al mio compleanno, specificando che ci saresti stato anche tu. Non mi ha garantito che sarebbe venuto ma… eccolo lì. 
 
Stefano non sa come rispondere. Il suo cuore inizia a battere forte, mai si sarebbe aspettato una sorpresa del genere da parte di Alberto. Istintivamente lo abbraccia e gli dà un bacio sulla guancia. Alberto dapprima si irrigidisce, poi ricambia l’abbraccio. 
 
-Vedi di tenerli per lui i baci e fa che ne sia valsa la pena, perché non è stato facile… 
 
Gli sussurra, nell’orecchio. Stefano lo stringe ancora più forte.
 
-Grazie, Albe. 
 
Dopodiché scioglie l’abbraccio e si gira di nuovo per richiamare l’attenzione di Paolo. Lui lo nota subito e sorride, facendosi spazio tra la gente per raggiungerli. Vederlo di nuovo, dopo quasi una settimana, ha uno strano effetto su Stefano. Lo trova, se possibile, ancora più bello. Spicca senza dubbio in mezzo agli altri e senza metterci troppo impegno. Indossa un cappotto nero lungo, lasciato aperto, che fa intravedere un abbigliamento molto casual composto da un maglioncino bianco con lo scollo rotondo a costine leggere e dei pantaloni classici grigi. Paragonato a lui, alla sua classe e al suo modo di fare, si sente assurdamente sciatto e ordinario.
 
-Ciao, buon compleanno.
 
Saluta, porgendo ad Alberto un sacchetto regalo che è inequivocabilmente una bottiglia di vino, a giudicare dalla forma lunga e stretta della confezione. Alberto prende il sacchetto e lo ringrazia. 
 
-Ehi. 
 
Si gira verso di lui e lo guarda, dritto negli occhi. Stefano sente il cuore partirgli dal petto a salirgli fin su in gola. Ha quasi paura di mettersi di nuovo a piangere. Ora che ha sbloccato quell’emozione da tempo dimenticata, teme possa ripresentarsi a tradimento nei momenti meno opportuni. 
 
-Ehi.
 
Risponde, con un mezzo sorriso. Paolo fa per aprire bocca ma viene bloccato da Giulio, di ritorno con gli aperitivi. 
 
-Signori, si comincia. 
 
Esclama, posando il vassoio sul tavolo: un vassoio con una brocca contenente campari e vino bianco con sei bicchieri, quando loro di solito sono in cinque. Dunque sapeva anche lui dell’arrivo di Paolo. Dopo aver sistemato il tutto, alza lo sguardo e osserva Paolo. Gli sorride e gli porge la mano.
 
-Presumo che tu sia Paolo. Piacere, Giulio.
 
Paolo gli stringe la mano, sorridendo a sua volta. 
 
-Sono così famoso? Comunque sì, sono io. Piacere mio. 
 
Risponde, con tono divertito. Stefano vede Giulio scrutare con attenzione Paolo da capo a piedi, dopodiché si gira verso di lui e gli fa l’occhiolino, cercando di non farsi notare. Stefano abbassa sguardo, imbarazzato.
 
-Andre e Luca arriveranno tra poco, possiamo iniziare a fare un giro col bianchino. Che dite?
 
Suggerisce Giulio, iniziando a riempire i bicchieri. Alberto accetta e prende posto a sedere a capotavola, Giulio si posiziona al capo opposto. Stefano e Paolo si ritrovano vicini, chiusi tra loro due, costretti a sedersi sulla panca uno accanto all’altro. Stefano sa che la cosa è stata fatta apposta, guarda subito Alberto per cercare una conferma nei suoi occhi e lui gli sorride. 
 
-Ste, siediti.
 
Lo invita Giulio. Dal momento che tutti quanti, compreso Paolo, si sono già messi a sedere. Stefano si siede. La panca condivisa da lui e Paolo è decisamente più spaziosa e confortevole rispetto a quella del ristorante biologico, tuttavia rimangono molto vicini, non si sfiorano per pochissimi centimetri. Paolo non dice e non fa nulla, si limita a guardarsi in giro e ad osservare Giulio e Alberto. 
 
-Beh, tanti auguri a me.
 
Esclama Alberto, prendendo un bicchiere dal vassoio e dedicando a sé stesso un brindisi. Giulio prende un bicchiere a sua volta, così come Stefano e Paolo le cui mani si rivolgono verso lo stesso calice. Le loro dita, involontariamente, si sfiorano. Stefano subito allontana la mano, quasi avesse ricevuto la scossa, Paolo invece ritrae le dita con più discrezione, decide poi di cambiare bicchiere. 
 
-Ad Alberto!
 
Esclama Giulio, alzando il calice. In quel preciso momento arrivano anche Andrea e Luca, che salutano tutti, fanno gli auguri ad Alberto e consegnano i propri regali. Subito dopo si presentano a Paolo. Osservandoli bene, Stefano intuisce che anche loro sapessero della sua probabile presenza. Devono averlo deciso insieme, sabato sera. Pochi istanti dopo arriva anche il cameriere a portare le proposte previste nel menu prenotato da Giulio. Si tratta di una cena esclusivamente a base di carne, Stefano pensa che Paolo sarà soddisfatto, non avendo apprezzato particolarmente il pranzo nel ristorante biologico. 
 
-Questo menu è più di tuo gradimento?
 
Gli domanda, stanco di vederlo lì in silenzio. Paolo si gira verso di lui.
 
-Decisamente meglio, sì. 
 
Confessa. Si guardano negli occhi, intensamente, senza dire nulla per diversi secondi. Stefano intuisce che voglia dirgli qualcosa e lui stesso vorrebbe parlargli ma non crede sia il luogo adatto e, inoltre, non sono soli. Paolo si gira, distogliendo lo sguardo.
 
-Quindi voi siete gli amici dei giochi di società?
 
Domanda, rivolgendosi al gruppo. 
 
-E tu sei quello del calcetto.
 
Ribatte Luca. Andrea nel frattempo sta analizzando Paolo, lo vede di tanto in tanto scambiarsi sguardi con Luca e con Giulio. 
 
-Non ci ha mai portato nessuno della sua quadra di calcio. Ne parla sempre ma mai una volta che ce ne presenti qualcuno, a volte ho pensato che foste degli amici immaginari per quando Stefano non ha voglia di uscire con noi.
 
Commenta Giulio, versando un po’ di acqua nel proprio bicchiere. 
 
-Non è la prima volta che mi viene detta questa cosa…
 
Ribatte Paolo, indirizzandosi ad Alberto. Lui annuisce. 
 
-Fosse per Stefano, non l’avrebbe portato neanche stasera. Sono stato io ad invitarlo. 
 
Aggiunge, lanciando uno sguardo a Stefano. Quest’ultimo realizza che, alla fine, l’incontro tra lui e i suoi amici si sta verificando sul serio. Non aveva ancora realizzato ciò che sta succedendo. Probabilmente perché Alberto ha già incontrato Paolo, mentre Giulio sfoggia sempre un’invidiabile naturalezza, avendo doti naturali nel dialogo con le persone, facendo sempre buona impressione. Vederli tutti insieme, allo stesso tavolo, inizia a procurargli ansia. Vorrebbe alzarsi dalla panca e uscire a prendere una boccata d’aria ma si sente bloccato. Da una parte c’è Alberto e dall’altra, sulla panca insieme a lui, c’è Paolo, a sua volta bloccato da Giulio. Luca e Andrea sono seduti di fronte, sulle sedie. 
 
-Eppure mica le mangiamo le persone… 
 
Commenta sarcastico Andrea. 
 
-Abbiamo anche suggerito a Stefano di portarti a giocare con noi, te l’ha mai chiesto?
 
Domanda Giulio, in modo diretto. Stefano si sente quasi sulla graticola in quella conversazione. Si chiede se i suoi amici stiano facendo gruppo per aiutarlo o per metterlo in difficoltà. Sebbene non dubiti delle loro intenzioni, si sente a disagio. 
 
-Me l’ha chiesto Alberto, in verità. 
 
Risponde Paolo, dando uno sguardo veloce a Stefano. 
 
-Albe ma tu i cazzi tuoi mai, eh?
 
Lo rimprovera, scherzosamente, Luca. Alberto fa spallucce. 
 
-Noi lo conosciamo bene Stefano, sappiamo che per fargli fare le cose bisogna spingerlo, altrimenti rimane immobile come un sasso.
 
Spiega, spingendo veramente Stefano con una mano e facendogli urtare la spalla di Paolo. Naturalmente si ritira subito, rimettendosi composto. Rivolge ad Alberto uno sguardo d’insofferenza, cercando di fargli capire di essere a disagio, di non esagerare troppo, lui semplicemente lo ignora.
Il cameriere arriva con le portate, tutti quanti hanno scelto i bucatini all’amatriciana come prima portata, il profumo è delizioso e anche l’aspetto è gradevole. Iniziano subito a mangiare, con gusto. Stefano non può fare a meno di pensare alla cena con Paolo, alla pasta al pesto preparata da lui. Per un attimo gli si chiude lo stomaco e non riesce a mangiare. Posa la forchetta e respira. 
 
-Stai bene?
 
Chiede Paolo, a sorpresa, girandosi verso di lui. Stefano annuisce e lo guarda. 
 
-Sì ho solo… caldo. 
 
Risponde, iniziando effettivamente ad avvertire un calore insopportabile. Decide di togliersi il maglione, il locale è pieno e ben riscaldato, grazie anche al gigantesco camino presente nella sala, non molto distante da loro. Si inclina leggermente a sinistra e alza le braccia per sfilarselo, cercando di non urtare Paolo. Il maglione rimane incastrato in uno dei bottoni della camicia. Stefano tira inutilmente ma non riesce a toglierglielo, lo aiuta Paolo liberando il pezzo di stoffa del maglione. Nel farlo, appoggia una mano sul suo petto, indugiandovi per diversi secondi. Stefano sobbalza, nel sentire il suo tocco tiepido, delicato ed estremamente piacevole. Da troppi giorni non sentiva il contatto di Paolo sulla sua pelle e gli mancava molto, moltissimo. Paolo lentamente ritrae la mano e Stefano piega il maglione, mettendolo alla sua sinistra. 
 
-Grazie. 
 
Dice. Lui gli sorride, un sorriso veloce, meno caloroso del solito. 
 
-Ste, hai le caldane come le donne in menopausa? Meno male che sono io quello vecchio qui al tavolo. 
 
Commenta Alberto, prendendolo in giro e facendo sorridere anche gli altri, Paolo compreso. 
 
-Fa un caldo micidiale in questo posto.
 
Commenta, riprendendo in mano la forchetta, deciso ad iniziare a cenare, sebbene continui a non avere fame. Tutti gli altri invece pare abbiano gradito.  Alberto si alza, infilandosi il cappotto. 
 
-Vado a fumarmi una siga. Chi mi fa compagnia?
 
Annuncia. Stefano lo guarda, di solito è un segnale per invitarlo fuori a parlare. Fa per alzarsi a sua volta ma Alberto gli posa una mano sulla spalla, invitandolo a sedersi. 
 
-Tu no. Devi ancora finire il primo e poi mica puoi uscire con solo la camicia… il freddo è nemico della gola, se ti viene mal di gola come fai a cantare? 
 
Dice, guardando poi gli altri ragazzi del gruppo.
 
-No, non possiamo correre questo rischio. Vengo io con te, Albe. 
 
Suggerisce Giulio che, alzandosi, dà una spallata a Luca.
 
-Anche io esco a prendere un po’ d’aria… sono pieno ma voglio fare spazio per la grigliata. 
 
L’unico a non alzarsi è Andrea, che non ha tolto gli occhi di dosso da Paolo dal primo momento in cui l’ha visto. 
 
-Andre, non è una tua collega quella là? Mi sembra che ti stia chiamando… 
 
Suggerisce Luca. 
 
-No, non credo.
 
Risponde lui. Luca gli tira un calcio alla gamba, da sotto il tavolo. Andrea balza in piedi.
 
-Ah! Cioè… ah sì! È lei, vado a salutarla. 
 
Conferma, allontanandosi insieme al gruppo. È palese che siano andati via per lasciarli da soli, certamente anche Paolo se ne sarà accorto, lo deduce dall’espressione divertita sul suo viso. 
 
-Sono simpatici, i tuoi amici. 
 
Commenta, non appena rimangono soli. Stefano cerca di farsi coraggio e si gira verso di lui, che lo sta guardando. 
 
-Non mi aveva detto di averti invitato. 
 
Non era sua intenzione dirglielo ma vuole in qualche modo fargli capire che non sia stata una sua idea, che sia stato colto di sorpresa. 
 
-Non me lo aspettavo, sinceramente. Me lo sono trovato davanti all’ufficio. Aveva un’aria quasi minacciosa, pensavo volesse prendermi a pugni. 
 
Spiega, con ironia. Dopodiché si mette più comodo, a tre quarti, appoggiando la schiena contro il muro. 
 
-Mi ha chiesto se mi andava di venire al suo compleanno, specificando che ci saresti stato tu e che mi stava invitando non tanto perché io gli vada particolarmente a genio, ma perché ti vedeva giù di morale ed era certo che se ci fossi stato io ti saresti ripreso. 
 
Conclude. Stefano non può fare a meno di pensare quanto sia costato ad Alberto fare una richiesta del genere. Già prima di avere la conferma che fosse interessato a lui, avrebbe trovato incredibile un simile gesto da parte sua. È sempre leale e sincero ma anche estremamente orgoglioso. 
 
-Che fossi strano l’avevo intuito anche io, dall’ultima conversazione. 
 
Confessa Paolo. Stefano cerca di ribattere. È vero, è turbato e confuso ma non credeva che fosse così evidente.
 
-Capisco perché i tuoi amici dicano che tu sia pessimo a giocare a carte: non sai barare. Sei praticamente trasparente, ti legge tutto in faccia. Ogni sensazione, ogni emozione, sono tutte lì sul tuo viso. 
 
Spiega. 
 
-E adesso cosa sto provando?
 
Domanda, cercando di metterlo alla prova e cercando di rimanere impassibile. Gli è difficile guardarlo negli occhi sapendo che è in grado di leggerlo così bene, tuttavia ci prova comunque.
 
-Hai paura che mi faccia una brutta opinione su di te e stai cercando di non farmelo vedere. Ho indovinato?
 
Stefano spalanca gli occhi, rispondendo implicitamente alla sua domanda. 
 
-Te l’ho già detto, il fatto che tu sia sincero, cristallino e onesto è la cosa che più mi piace di te. 
 
Improvvisamente gli prende la mano, stringendola. Non l’aveva mai fatto prima, Stefano cerca di non irrigidirsi troppo. 
 
-Mi dispiace che tu ti senta a disagio o che soffra, qualunque sia il motivo, mi dispiace che tu non ti fidi a sufficienza per parlarne… 
 
Lo guarda dritto negli occhi, Stefano si sente quasi mancare. È lo stesso atteggiamento che ha avuto a casa sua, la sera prima. Quella versione di lui onesta e schietta che tanto l’ha mandato in tilt, provocando quello stato di disagio, da lui stesso nominato. 
 
-Ti avevo detto di farti sentire ma… non mi hai più scritto e non ho insistito. Ho immaginato avessi anche i tuoi problemi, con Elena e la tua famiglia. Però… io sono sempre rimasto disponibile, nel caso avessi voluto parlare, come tu hai fatto con me. 
 
Conclude. Stefano questa volta decide di parlare, deve dire qualcosa, non può lasciare che faccia tutto da solo, che tragga tutte le dovute conclusioni solo osservandolo, anche perché ci sono emozioni che non si sente pronto a lasciargli intravedere. 
 
-Ho solo una grande confusione in testa, per svariati motivi. È un periodo così, passerà. Comunque…
 
Inspira, cercando di prendere fiato e abbassa lo sguardo.
 
-Grazie per essere venuto stasera. 
 
Confessa, con voce bassa e tremante. Paolo continua a stringergli la mano. 
 
-Mi ha detto che avresti cantato per lui. Come potevo non venire?
 
Risponde, cambiando tono e buttando la conversazione su argomenti più rilassati. Stefano alza lo sguardo e nota che Paolo sta sorridendo, un sorriso debole ma pur sempre un sorriso. 
 
-Bene! Pronti per la grigliata?
 
Esclama Alberto, ritornando al tavolo, seguito anche dal resto del gruppo. Stefano cerca di togliere la mano da quella di Paolo ma lui gliela stringe di nuovo, più forte. Dopodiché, quando tutti si sono messi a sedere, la lascia andare. 
 
Prima del taglio della torta, Alberto decide di uscire per un’altra sigaretta, questa volta invita direttamente Stefano a seguirlo. Lui accetta volentieri, sente davvero il bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria. Si infila il cappotto e lo segue. Una volta usciti, appoggia la schiena al muro esterno del locale e aspetta che Alberto accenda la sigaretta e gli conceda almeno un tiro. 
 
-Allora? 
 
Domanda, passandogli la sigaretta accesa. Stefano la prende e fa un tiro lungo e profondo, non gliela restituisce subito. 
 
-Non posso credere che tu l’abbia invitato sul serio… 
 
Confessa, prendendo un altro tiro. Alberto fa spallucce. 
 
-Tu l’avresti fatto, da solo?
 
Domanda. Stefano scuote il capo. Cerca di prendere un’altra boccata ma Alberto gli porta via la sigaretta dalle mani.
 
-Appunto. Però era la cosa giusta da fare, ho rotto uno dei tuoi schemi: l’ho portato tra noi. Così l’hanno conosciuto tutti e tu hai visto che è di certo crollato il mondo, sembra stare bene con noi.
 
Stefano fa una smorfia.
 
-Andrea se lo sta mangiando con gli occhi. 
 
Alberto ridacchia, dandogli ragione.
 
-È vero, è vero…
 
Rimangono in silenzio per circa un paio di minuti, durante i quali Alberto finisce la sigaretta. 
 
-Mi dispiace non essermi accorto di te, Albe… 
 
Confessa Stefano, cogliendolo di sorpresa. Riesce a leggere lo stupore nei suoi occhi, lui stesso si stupisce nell’averglielo detto ma sentiva di doverlo fare, perlomeno come segno di gratitudine per ciò che ha fatto per lui. L’espressione stupita si trasforma in un sorriso.
 
-Va bene così, te l’ho detto. Cerca solo di non sprecare questa occasione con lui, questo è il massimo che posso fare.
 
Stefano annuisce e gli sorride. 
 
-Dai, entriamo. Hai ancora la mia canzone da cantarmi, non te lo dimenticare. 
 
Gli dà un buffetto sulla spalla e gli fa cenno di entrare. Nel frattempo al tavolo è rimasto solo Paolo.
 
-Dove sono andati gli altri?
 
Domanda Stefano, togliendosi il cappotto e rimettendosi a sedere. Alberto si guarda in giro.
 
-Giulio è al bar e mi ha detto di riferire ad Alberto di raggiungerlo, stanno preparando la torta. Mentre Luca ha trascinato Andrea, non ho capito dove. 
 
Risponde Paolo. 
 
-Saranno andati sicuramente al Carrefour 24h qui di fronte a prendere le candeline. Giulio se le dimentica ogni anno… 
 
Commenta Stefano, quasi sicuro della sua risposta. Alberto sbuffa.
 
-Ovviamente. Vado a vedere…
 
Commenta, lasciando il cappotto sulla sedia. 
 
-Non sapevo fumassi.
 
Esclama Paolo, sorpreso.
 
-In realtà no. Solo quando sono con Albe e solo le sigarette che si fa lui, con il tabacco… anche se a volte ci mette dell’altro… 
 
Paolo sembra infastidito dalla risposta. Si lascia sfuggire una smorfia, è la prima volta che Stefano vede quell’espressione sul suo viso. Quasi di sdegno. Non si addice per nulla al suo viso.
 
-In quella di adesso non c’era nulla. Sigaretta normale. 
 
Chiarisce. Paolo non ribatte, rimane in silenzio e si versa un bicchiere d’acqua. Lo vede guardare nervosamente l’orologio, non è la prima volta che lo fa nell’arco della serata. Inizia a chiedersi se davvero si stia trovando bene con lui e i suoi amici o se invece non veda l’ora di andarsene via. Spera che nessuno degli altri gli chieda di unirsi a loro in discoteca, soprattutto perché lo trascinerebbero in una discoteca gay, dove è ritiene improbabile sia mai stato. 
 
-Non sei obbligato a restare, sei già stato gentile ad essere venuto. 
 
Lo rassicura. Paolo si gira verso di lui, scuotendo il capo.
 
-Come? No! Non ho ancora visto il pezzo forte della serata: tu al karaoke. 
 
Risponde. Stefano non è convinto della sua risposta.
 
-Mi piacere restare qui con voi, Andrea e Luca sono simpaticissimi. Mi hanno raccontato un sacco di cose divertenti su di te e Andrea mi ha promesso uno sconto nel negozio dove lavora. Vendono dei completi magnifici, lì.
 
Spiega. Stefano si chiede cosa possano mai avergli raccontato sul suo conto, spera nulla di eccessivamente imbarazzante. Preferisce non indagare, lo chiederà più tardi ai diretti interessati. 
 
Paolo si avvicina di più a lui, arrivando a sfiorare la sua gamba con la propria. 
 
-Bella questa camicia, comunque. 
 
Afferma, accarezzandogli la manica con la punta delle dita. 
 
-Hai detto che sto bene con le camicie. 
 
Paolo annuisce. 
 
-Esattamente. 
 
Per diversi secondi nessuno dei due parla, Paolo continua a giocherellare con la manica della camicia di Stefano che lo lascia fare, senza lamentarsi. D’un tratto si blocca, e lo afferra per il polso.
 
-Comunque…
 
Lo guarda negli occhi, facendo una pausa, prima di parlare. Stefano intuisce che stia per dirgli qualcosa di importante. Che sia qualcosa di positivo o negativo non riesce ad intuirlo e inizia ad agitarsi. 
 
-In realtà stasera ho accettato di venire principalmente perché ti volevo salutare. 
 
Il cuore di Stefano si blocca per un istante, avverte un vuoto. 
 
-In che senso?
 
Chiede, cercando di mantenere un tono di voce fermo. In realtà sta tremando internamente.
 
-Nel senso che partirò per la Cina… ho il volo tra poche ore. Per quello sto controllando l’orologio.
 
Risponde.
 
-Oh… quindi…
 
Stefano non riesce a produrre una frase di senso compiuto, abbassa lo sguardo. 
 
-Non mi sto trasferendo in Cina. Si tratta di una cosa breve, un mese probabilmente. Dovrò seguire un corso a Shenzhen, la capitale della tecnologia, per il mio progetto. 
 
Chiarisce. Stefano si sente più sollevato nel sentire ciò, tuttavia non si aspettava una notizia simile. Non ora. 
 
-Ai ragazzi della squadra l’ho detto ieri sera, durante l’allenamento, anche se lo so da venerdì. Ti avrei comunque chiamato, per dirtelo. Però ci tenevo a vederti, a salutarti di persona. 
 
Stefano annuisce. In questo momento teme davvero di scoppiare a piangere. Fa il possibile per non guardare Paolo negli occhi. Fortunatamente Andrea e Luca ritornano al tavolo, con le candeline per la torta di Alberto, esattamente come aveva immaginato. Poco dopo li raggiungono anche Alberto e Giulio, con la torta. Paolo lascia andare il braccio di Stefano, che si sposta da lui, non riuscendo a sopportare di averlo così vicino dopo quello che ha appena saputo. 
La torta scelta da Giulio, come ogni anno, presenta una stampa o dei disegni ironici con Alberto come soggetto. In questo caso il suo viso è posizionato sul corpo di Re Carlo d’Inghilterra nel momento dell’incoronazione.
 
-Allora… come sapete ogni anno scelgo un tema per la festa di Albe. Quest’anno il tema sarebbero stati reali d’Inghilterra. Purtroppo per una serie di motivi non ho organizzato il tutto ma la torta l’ho fatta fare comunque. 
 
Spiega Giulio. 
 
-Ma che foto hai preso?
 
Chiede Alberto, osservando quasi imbarazzato il disegno. In effetti è la peggior foto di Alberto che Stefano abbia mai visto. Generalmente è piuttosto fotogenico ma non è quello il caso. Andrea e Luca scoppiano a ridere nel vederla. 
 
-Sembri più brutto di lui.
 
Commenta Luca, faticando a trattenere le risate, mentre posiziona i numeri 3 e 4, appena comprati al negozio. Giulio nel frattempo sogghigna, soddisfatto, ha sicuramente ottenuto il risultato sperato. 
 
-Sei uno stronzo, Giu. 
 
Commenta Alberto, stranamente non arrabbiato. Giulio lo abbraccia.
 
-Dai, soffia sulle candeline, vecchio. 
 
Alberto soffia sulle candele e tutti quanti applaudono, augurandogli buon compleanno. Stefano cerca di rimanere rilassato e tranquillo. Sta cercando di non guardare Paolo. 
 
-Ora tocca a te. 
 
Gli ricorda Alberto, prima di tagliare la torta, rifiutando il coltello portato dal cameriere. 
 
-Ma adesso, Albe?
 
Chiede. Non ha per nulla voglia di salire sul palco e cantare, non è dell’umore giusto. 
 
-Certo. Niente torta, se prima non canti.
 
Ripete. Stefano sospira e poi accetta. Dopotutto si tratta di una canzone breve, neanche impegnativa. Ci metterà poco tempo e farà felice Alberto. Mentre si allontana dal tavolo, continua a pensare che tra poco Paolo andrà via, che lo saluterà senza poterlo vedere per almeno un mese. 
 
“Se lo rivedrò.”
 
Pensa cinicamente. Si chiede come quel periodo di lontananza possa influire sul suo rapporto con lui. Un rapporto per nulla definito, che fatica ad etichettare ma al quale non vuole rinunciare, per nessun motivo. Si dà dello stupido per non averlo contattato in questi ultimi giorni, per averlo volutamente ignorato per non ritrovarsi ad affrontare sé stesso. Senza rendersene conto si trova davanti al palco, alla macchinetta del karaoke. L’intrattenitore della serata lo conosce, sa già che canzone canterà. 
 
-Ti metto la solita?
 
Chiede. Stefano annuisce. Lui cerca la canzone, la prepara sul teleschermo e poi prende in mano il microfono per presentarlo. 
 
-Buonasera a tutti e benvenuti alla nostra serata settimanale di karaoke. Il primo della serata è Stefano che, come ogni anno, vuole dedicare una canzone per il compleanno del suo amico Alberto. Tanti auguri Alberto! “Hai un amico in me” canta… Stefano!
 
I presenti nella sala applaudono e augurano buon compleanno ad Alberto. Stefano lo guarda, poco distante, in piedi ad attendere la sua canzone, si scambiano un sorriso. Dopodiché prende il microfono e inizia a cantare. La canzone è sciocca e infantile e qualcuno si lascia sfuggire una risata ma Stefano non ci fa caso, lo sta facendo per Alberto e poco gli importa dell’opinione degli altri. 
Quando termina di cantare, partono gli applausi e qualche fischio, Giulio e Luca urlano “bis”, Stefano scuote la testa, non ha intenzione di fare nessun bis. Lo sguardo gli cade su Paolo, anche lui sta applaudendo e sorride, sicuramente ha apprezzato la canzone. Sta per restituire il microfono all’intrattenitore, per ritornare al tavolo con gli amici e assaggiare finalmente la torta ma si blocca. Gli balena in testa un’idea, è un azzardo ma il suo cuore gli suggerisce che deve farlo, si sente di doverlo fare. 
 
-Senti… vorrei cantare un’altra canzone, posso?
 
Domanda. Il ragazzo accetta.
 
-Certamente, dimmi pure quello che vuoi. Se ho la base te la metto subito. Sempre per Alberto?
 
Chiede. Stefano guarda di nuovo in direzione del tavolo, i suoi amici e Paolo si sono seduti. Giulio sta scattando alcune foto con il cellulare e Alberto ha iniziato a tagliare la torta. 
 
-La canzone è “Dimmi che non vuoi morire.”, di Patty Pravo. Voglio dedicarla… ad Anna. 
 
Il ragazzo lo sguarda stranito ma accetta, cerca la canzone e poi prende il microfono per presentarlo di nuovo. 
 
-Attenzione gente, Stefano ha deciso di regalarci un’altra canzone, questa volta molto più impegnativa. Ecco a voi… “Dimmi che non vuoi morire” per Anna, da Stefano. 
 
Stefano guarda subito verso il tavolo e scorge lo sguardo di Paolo, incredulo per ciò che ha appena sentito. Alberto lo guarda confuso e scuote il capo, lo vede parlare con Giulio e Andrea, probabilmente si stanno chiedendo a vicenda delucidazioni sulla sua scelta. Glielo spiegherà più tardi. La musica parte subito e Stefano inizia a cantare. Quando intona le prime parole dalla sala parte un boato, probabilmente dopo la canzonetta di prima nessuno si aspettava che sapesse cantare veramente. Parte un applauso e poi il silenzio, sembra che l’intero locale sia rimasto paralizzato nel sentirlo. Lui si lascia trasportare e canta con passione e sentimento. Erano anni che non cantava così di gusto. Quando finisce di cantare parte immediatamente un applauso generale, lungo e sincero. Persino l’intrattenitore si avvicina per complimentarsi con lui. Stefano, però, è interessato solo alla reazione di Paolo che sta applaudendo gli sorride, il suo sorriso, quello che evidenzia la fossetta sulla guancia. È felice di poterlo rivedere e sebbene allontanandosi dal palco si senta le gambe tremare e sia del tutto sopraffatto dai complimenti e dagli applausi, è felice di averlo fatto. Mentre era su quel palco pensava solo a dare il meglio perché quello doveva essere il suo saluto per Paolo, un segnale per indicargli di averlo ascoltato e di tenere a lui, un qualcosa a cui aggrapparsi durante il periodo di lontananza. L’ha fatto anche per Alberto, che gli aveva detto di far sì che il suo sforzo per invitare Paolo quella sera non fosse vano, è certo che non lo sarà. 
 
-Oh ma che voce hai?
 
Gli chiede Andrea, fermandolo. Stefano fa spallucce e torna al suo posto. 
 
-Complimenti Ste! Chi l’avrebbe immaginato… 
 
Commenta Giulio. 
 
-Ma dove l’hai tenuta tutta sta voce fino ad ora?
 
Chiede Luca. Alberto gli porge la sua fetta di torta. 
 
-Poi mi dirai chi cazzo è Anna e perché la sua canzone è più bella della mia. 
 
Lo minaccia, scherzosamente. Stefano prende la torta e gli sorride.
 
-L’anno prossimo te ne dedico una più bella, giuro. 
 
Si gira poi verso di Paolo, che sembra veramente senza parole. Per la prima volta è lui quello paralizzato, sopraffatto. 
 
-Allora è vero che sai cantare… 
 
Gli dice, senza togliersi il sorriso dalle labbra. Lui cerca di fare il modesto.
 
-Io dico sempre la verità, sono sincero e trasparente. Me l’hai detto tu. 
 
Paolo annuisce. 
 
-Lo so. 
 
 
Dopo aver terminato di mangiare la torta e aver aperto i regali, il gruppo esce dal locale. Giulio propone di proseguire la serata altrove ma non suggerisce la solita discoteca, come Stefano aveva temuto. Tuttavia Paolo non li seguirà, dovendo partire a breve. 
 
-Purtroppo ho un volo da prendere. Altrimenti sarei venuto volentieri.
 
Risponde, alla proposta di Alberto. 
 
-Peccato. Spero ti sia divertito con noi… 
 
Esclama Giulio. Paolo annuisce. 
 
-Moltissimo. 
 
-Beh allora, quando vuoi, noi ci siamo.
 
Lo invita Andrea, che viene subito fulminato con lo sguardo sia da Luca sia da Giulio. 
 
-Certamente, alla prossima. E… ancora buon compleanno, Alberto. Grazie per l’invito. 
 
Alberto si limita a fargli un cenno col capo. 
 
-Ste, tu vieni?
 
Domanda Giulio. 
 
-Sì… saluto Paolo e vi raggiungo, voi iniziate ad andare, arrivo. 
 
Come da lui suggerito, i suoi amici lentamente si incamminano verso il locale scelto, un lounge bar a pochi passi dal pub. Stefano è davanti a Paolo ed è arrivato il momento di doverlo salutare. Non sa come comportarsi, non sa che cosa dirgli. Sa solo che non vorrebbe vederlo andare via. 
 
-Quindi… ci salutiamo…
 
Esclama, quasi a bassa voce. Paolo annuisce. 
 
-Per ora. 
 
Aggiunge. Si guardano negli occhi, uno sguardo intenso che dura diversi secondi. Stefano cerca di aprir bocca per dire qualcosa, anche solo un “ciao” ma non esce alcun suono. Fortunatamente è Paolo a prendere l’iniziativa. Lo abbraccia. Un abbraccio delicato ma molto intimo, Stefano dapprima reagisce irrigidendosi, poi si lascia andare e lo ricambia, appoggiando entrambe le mani sulla sua schiena. Chiude gli occhi e respira intensamente il suo profumo: quel suo inebriante profumo di ambra e legno. Vuole imprimerlo sulla sua pelle e tenerlo a memoria, per le prossime settimane. 
 
-Grazie per la canzone. Mia mamma l’avrebbe apprezzata davvero, cantata così. 
 
Gli sussurra nell’orecchio. Stefano non risponde, si limita a stringere più forte Paolo.  Quando l’abbraccio si scioglie, i due continuano a guardarsi. 
 
-Con questa ti posso scalare un po’ il montepremi per il biliardo. 
 
Afferma Paolo, per alleggerire la tensione. Stefano annuisce e sorride. 
 
-Oh, meno male!
 
Commenta, replicando il suo stesso tono ironico. 
 
-Allora… vado. 
 
Annuncia, visibilmente poco intenzionato ad andare via. 
 
-Sì… scrivimi quando arrivi in Cina. Appena atterri. 
 
Si raccomanda, Stefano. Paolo annuisce e gli regala un ultimo sorriso.
 
-Va bene. A presto, Ste. 
 
-A presto. 

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Buonasera a tutti! Perdonate il ritardo. Cercherò la prossima settimana, essendo quella di Natale, di pubblicare venerdì :)  Come sempre rinnovo l'invito a farmi sapere cosa ne pensate su come sta proseguendo la storia. A presto!

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Capitolo 15
*** Vista mare ***


Il giorno dopo il compleanno di Alberto, Stefano si ritrova con il gruppo del calcetto per l’allenamento infrasettimanale, in previsione della partita nel weekend.
Era indeciso se presentarsi o meno perché, anche al lavoro, si sentiva stanco. La sera prima ha fatto tardi con gli amici, nel post serata dopo il compleanno di Alberto. Inoltre, una volta arrivato a casa, ha faticato a prendere sonno continuando a pensare e a ripercorrere mentalmente ciò che è accaduto con Paolo. Mentre varca la soglia del cancello del campo sportivo, realizza che Paolo non ci sarà. Ormai si era abituato all’idea di trovarlo lì. Sebbene sia entrato in squadra di recente, per lui ormai andare a calcetto significava vedere Paolo, scherzare con lui, essere toccato da lui e passare le ore a chiedersi se l’avesse toccato in un certo modo di proposito o se la cosa fosse del tutto casuale. 
Entra nello spogliatoio, dove trova Diego e Simone, già pronti con la divisa da allenamento, intenti a parlare.
 
-Eh sarà dura senza di lui… 
 
Commenta Diego. Si bloccano non appena lo vedono entrare. 
 
-Bentornato!
 
Esclama Diego, dandogli una pacca sulla spalla. Anche Simone lo saluta. 
 
-Grazie. 
 
Risponde, sorridendo. Si concede qualche istante per osservare lo spogliatoio, sebbene sia stato assente solo una settimana ne ha davvero sentito la mancanza.
 
-Tutto a posto con tua sorella?
 
Domanda Simone. Stefano annuisce.
 
-Sì, è a casa e sta bene. 
 
In quello stesso momento entrano quasi tutti i membri della squadra, seguiti dal mister. Salutano Stefano, dandogli bentornato. 
 
-Meno male che sei rientrato! Non so se lo sai ma Paolo è partito per la Cina e starà via per un po’.
 
Afferma Antonio. Stefano inizialmente non sa se far finta di non sapere nulla o se ammettere di aver appreso la notizia direttamente da Paolo. Teme che i compagni possano sospettare sapendo che si sentono al di fuori del calcetto. Eppure non ci sarebbe nulla di male. Certo, non dirà loro di averlo visto poche ore prima della partenza né di aver ricevuto il suo messaggio di arrivo in Cina, a metà pomeriggio, con tanto di foto in aeroporto.
 
-Sì, me l’hanno detto.
 
Risponde alla fine, restando sul vago. 
 
-Della trasferta lo sai?
 
Domanda Antonio. Stefano scuote il capo. 
 
-Il mister ha trovato una buona offerta per il weekend, a Cesenatico, visto che giocheremo con una squadra lì vicino. Ti abbiamo contato ma forse hai già impegni… Verrai?
 
Stefano ricorda di aver parlato con il mister di un eventuale trasferta con pernottamento. Colto alla sprovvista non sa cosa rispondere, anche se su due piedi decide di accettare.
 
-Ma certo che verrò!
 
Conferma, con fin troppo entusiasmo. 
 
-Bene, poi dopo la partita parla con il mister che ti spiegherà tutto. 
 
Stefano annuisce, dopodiché finalmente posa il borsone e si cambia le scarpe, pronto per entrare in campo. L’allenamento risulta un po’ più faticoso, dopo una settimana di fermo. Mentre corre per il campo riflette su come la trasferta avrebbe potuto essere un’occasione per stare solo con Paolo. Immagina di essere in stanza con lui, dormire vicini, condividere gli stessi spazi, da soli, di notte. Il suo cuore inizia a battere forte accelerando ulteriormente i battiti già elevati per via della corsa. Si deve fermare un attimo per prendere fiato. Respira profondamente e poi riprende ad allenarsi.
Dopo l’allenamento, come d’abitudine, rimane per sistemare il campo, lasciando che i compagni di squadra si facciano la doccia.
 
-Stefano, ti hanno detto della trasferta?
 
Domanda il mister, avvicinandosi a lui. 
 
-Sì, volevo chiederti i dettagli.
 
Risponde, finendo di raccogliere e impilare i dischetti di allenamento. Si ferma per ascoltare il mister, il quale gli illustra i prezzi e le modalità di pagamento, specificando che il trasporto avverrà tramite il minibus della squadra e che, ovviamente, dovrà fare da autista. Stefano conferma la propria presenza, dopodiché il mister lo saluta e raggiunge i ragazzi nello spogliatoio.
 
 
Rientrato a casa, avendo già fatto la doccia al campo sportivo, può mettersi comodo e prepararsi per la sera. Non ha molta fame e decide di preparare una pasta col tonno veloce e pratica. Mentre attende che la pasta cuocia, osserva l’orologio digitale del microonde segnare le venti. Calcolando il fuso orario di sette ore con la Cina, saranno le tre di mattina da Paolo. Si chiede se stia dormendo, come sia il suo albergo e come sia trascorsa la sua giornata. Si chiede se riuscirà a comunicare con lui durante quel suo mese di assenza. Si lascia trasportare dai pensieri e non si accorge che nel frattempo l’acqua della pasta ha iniziato a bollire e a produrre schiuma, fuoriuscendo dalla pentola e spegnendo di conseguenza il fornello. Si alza di scatto per recuperare il cibo e per sistemare il disastro. Asciuga bene il fornello, pulendolo poi con una spugna e del detersivo per piatti, dopodiché scola la pasta, ormai stracotta, per poi rovesciarvi l’intera scatoletta di tonno, olio compreso, dando solo una rapida mescolata prima di trasferire il tutto in un piatto. Riflette su come le sue abilità culinarie siano pessime, paragonate a quelle di Paolo. Istintivamente scatta una fotografia al suo piatto, triste, pallido e fin troppo abbondante, posato su una spartana tovaglietta da colazione circolare in vimini, logora e sbiadita. La inoltra a Paolo, sperando che la veda più tardi.
 
“Penso che tu mi debba dare qualche lezione di cucina… 😅
 
Aggiunge. Dopodiché inizia a mangiare, senza riuscire a finire il piatto. Trascorre la serata svogliatamente, giocando con la PlayStation e sfogliando i video di TikTok. A mezzanotte, pur non avendo sonno, decide di andare a letto. Se la prende con comodo ed esegue la sua routine notturna con calma: prepara il pigiama sul cuscino, sistema le coperte, accende l’abat-jour sul comodino, mette il cellulare in carica e poi va in bagno per sistemarsi e lavarsi i denti. Quando è pronto per mettersi a letto, dopo essersi infilato il pigiama e dopo essersi sistemato sotto le coperte, sente il cellulare vibrare. Paolo ha risposto al suo messaggio. Controlla la sveglia, segna l’una, quindi da lui dovrebbero essere le otto di mattina, probabilmente si è appena svegliato. 
 
🤦‍♂️… quando torno ci penso io.”
 
Stefano sorride, un po’ perché si immagina l’espressione di Paolo davanti alla foto del suo piatto e un po’ perché è felice che gli abbia risposto. Non vuole lasciarlo andare, continua a scrivere. 
 
“Sei già sveglio? Qui è l’una di notte…”
 
La risposta di Paolo arriva subito.
 
“E sono pure in ritardo. Tra mezz’ora dovrò iniziare il corso e sono ancora in albergo, in pigiama…”
 
Il messaggio è accompagnato da una sua foto, in quello che sembra essere il bagno di un albergo. Paolo si è scattato una classica foto di riflesso allo specchio. È leggermente spettinato e indossa un elegante pigiama con bottoni, nero lucido, probabilmente in raso. Non si era mai chiesto che tipo di abbigliamento notturno indossasse Paolo, aveva quasi dato per scontato che il pigiama non lo portasse. O meglio, questo era quello che immaginava nelle sue fantasie su di lui. 
 
“Stai bene anche in pigiama. Inizio a trovarti antipatico…”
 
Decide di azzardare nel suo messaggio, un mezzo complimento. Ha deciso di andare a dormire sereno quella sera, sperando che la conversazione con Paolo prosegua ancora per un po’. Nota con sorpresa che Paolo sta registrando un messaggio vocale, non poteva chiedere di meglio. La risposta arriva dopo un paio di minuti. Stefano riproduce il messaggio con impazienza.
 
-Vuoi la verità? Io il pigiama non lo uso. Di solito indosso una maglietta vecchia e i pantaloni della tuta, rotti o scuciti. In estate proprio nulla! Questo pigiama è di seta, non ti dico nemmeno quanto l’ho pagato. L’ho comprato alla Rinascente qualche giorno fa perché il mio interprete prima di partire mi ha consigliato di portare i miei pigiami più belli e decorosi perché qui in Cina usano molto uscire in pigiama… e alcune riunioni avvengono a colazione in pigiama. Immagina se mi fossi presentato con una maglietta con i buchi, o con quella del gallo che ti piace tanto e i boxer…
 
Stefano scoppia a ridere. Immagina la scena appena descritta da Paolo ma al tempo stesso ripensa alla sua maglietta, a quella volta che l’ha indossata per preparare la pizza e al fatto che gli avesse chiesto di indossarla di nuovo durante la cena a casa sua. 
 
“Se gli asiatici sono così pudici come dicono, probabilmente avresti fatto svenire qualche donzella…”
 
Risponde, lanciandogli indirettamente una frecciatina. È curioso di sapere la sua risposta. Paolo gli manda di nuovo un vocale. Questa volta in sotto fondo sente il rumore dell’acqua scorrere, probabilmente si sta preparando per uscire. 
 
-Nessun pericolo, non ci sono donzelle in questo corso, solo uomini. Alcuni pure discutibili… Comunque, devo proprio andare. Il ritardo non è ben accetto. Visto che da te è l’una… buonanotte! 
 
Stefano non vorrebbe smettere di parlare con Paolo, non ora che stava iniziando a divertirsi. Tuttavia capisce la situazione e lo saluta. 
 
“Ti sognerò vestito male davanti a una ventina di cinesi imbarazzati 😂. Buona giornata!”
 
Il messaggio di Paolo arriva dopo pochi istanti.
 
“Contento tu 🤷‍♂️… spero che non si trasformi in un incubo 😬 Ci sentiamo presto.” 
 
Stefano posa il telefono sul comodino e si mette a dormire, con il sorriso sulle labbra. 
 
***
 
La sera successiva, Stefano si trova a casa di Alberto insieme al suo gruppo di amici. La serata giochi è stata spostata eccezionalmente a giovedì. Quella sera non è previsto nessun gioco da tavolo particolare, hanno deciso di giocare a Scala40, con un reality acceso in tv di sottofondo. Come al solito, il peggior giocatore del tavolo è proprio Stefano, che per ben due partite su cinque non è riuscito nemmeno a trovare una combinazione sufficiente per raggiungere quaranta punti e scendere al tavolo, trovandosi costretto a pagare il massimo della penalità. 
 
-Chiuso!
 
Esclama Giulio, posizionando le ultime carte davanti a sé e scartandone una. 
 
-Ancora? È già la terza che vinci!
 
Esclama Luca. Questa volta è lui a dover pagare il massimo dei punti. Stefano è stato relativamente fortunato, ha in mano solo un quattro di denari e un due di cuori. 
 
-Come si dice? Fortunato al gioco, sfortunato in amore?
 
Chiede Giulio, sorridendo. Alberto si lascia sfuggire una risatina che maschera immediatamente, schiarendosi la voce. Stefano se ne accorge subito. 
 
-Quindi: Giulio 17, Albe 37, io 148, Andre 55 e Ste 243. 
 
Commenta Luca, segnando i punti su un foglietto. 
 
-Secondo il proverbio, Stefano dovrebbe essere fortunatissimo in amore… ancora due mani ed è fuori. 
 
Aggiunge, posando la penna e raccogliendo le carte da mescolare. 
 
-Non è proprio lontano dalla verità. Paolo è un bel colpo… 
 
Commenta Andrea, sogghignando.
 
-Sarà un bel colpo quando riuscirà a prenderselo. 
 
Ribatte Alberto, dando una gomitata a Stefano, seduto proprio accanto a lui. Stefano fa finta di niente, inizia a raccogliere le carte distribuite da Luca e cerca di impostare la mano.
 
-Te l’ho detto anche l’altra sera, Ste: se rinunci mi faccio avanti io volentieri. 
 
Ribadisce Andrea, che più volte ha espresso apprezzamenti nei confronti di Paolo. 
 
-Andre! Che avvoltoio che sei!
 
Esclama Luca, rimproverandolo. Andrea fa spallucce, mentre Stefano continua a far finta di niente, fingendo di non averlo ascoltato. La partita inizia e finisce rapidamente, con un’altra vittoria da parte di Giulio. Stefano, per la terza volta, non riesce a scendere al tavolo, venendo costretto a pagare di nuovo il massimo. 
 
-Basta! Mi ritiro. 
 
Esclama, gettando le carte della propria mano sul tavolo.
 
-Direi che possiamo anche chiudere per stasera. Sono già le undici… e vi ho stracciati tutti, come al solito.
 
Commenta Giulio, soddisfatto. Luca inizia a raccogliere le carte e le mescola di nuovo, prima rimetterle nella loro scatola. Andrea si alza dal tavolo e si getta sul divano, prendendo subito il telecomando e iniziando a fare zapping. Anche Alberto si alza e posa una mano sulla spalla di Stefano, in quel momento assorto nei propri pensieri. 
 
-Siga?
 
Chiede. Stefano annuisce ed entrambi escono sul balcone. È una serata fredda e umida, c’è un po’ di nebbia, il che impedisce di vedere anche a pochi metri di distanza. Il balcone di Alberto è bagnato per via dell’umidità, infatti Stefano non si appoggia alla ringhiera, rimanendo con la schiena contro il muro dell’appartamento. Alberto sembra non badare né al freddo né all’umidità, appoggia entrambi i gomiti sulla ringhiera e inizia ad arrotolare la sigaretta, bagnandosi la punta dell’indice con la lingua per chiudere la cartina. Stefano si ferma per un attimo ad osservarlo, l’ha visto svolgere quell’azione ripetutamente e mai una volta si è soffermato ad osservare le sue mani, le sue dita, la lingua posarsi sull’indice o le sue labbra. Anche adesso, fatica a notare i particolari. Al contrario, riesce a ricordare con precisione ogni volta in cui si è bloccato a osservare le labbra di Paolo, a vederlo giocare con la lingua con la pallina del piercing. È evidente che il suo sentimento nei confronti di Paolo sia diverso rispetto a ciò che prova per Alberto ma si chiede quanto tutto sarebbe stato diverso e forse più facile, se avesse provato per lui le sensazioni che prova quando è vicino a Paolo. Avendolo al lavoro tutti i giorni da sei anni, fianco a fianco, frequentandolo almeno due volte a settimana fuori dal lavoro, sarebbe stato tutto più semplice. Lo conosce bene, sa cosa gli piace e cosa no, conosce le varie sfaccettature del suo carattere e ha accettato il suo modo di fare, all’inizio troppo diretto per i suoi gusti. Eppure non è mai scattato nulla con lui, nemmeno per una volta ha avuto il desiderio di spingersi oltre la loro amicizia. Mentre Alberto, probabilmente, si è trovato a provare per Stefano almeno una parte delle emozioni che sente lui con Paolo e pensandoci avverte un forte senso di colpa. Si pente di averlo tempestato di informazioni e dubbi su Paolo, sente di avergli mancato rispetto e se ne dispiace. Dopotutto è stata la prima volta, non gli ha mai parlato di nessun ragazzo come ha fatto con lui, questo Alberto gliel’ha fatto notare più volte. Senza farsi vedere dà un altro sguardo ad Alberto, non è del tutto immune al suo fascino: ai suoi modi di fare sicuri, al suo carattere forte, al suo viso squadrato e ai suoi capelli scuri medio-lunghi sempre tenuti in modo impeccabile. Gli è capitato di pensare, in discoteca, che se fosse capitata l’occasione in un momento di alterazione mentale dovuto all’alcool o all’euforia, non l’avrebbe certo rifiutato. Tuttavia il pensiero era finito lì, circoscritto a determinate occasioni e mai realizzato né espresso ad alta voce. Mentre con Paolo, il pensiero è costante e si ritrova a desiderarlo, a volergli stare accanto, a toccarlo, in qualsiasi occasione. 
 
-Ste, sei in catalessi?
 
Domanda Alberto, riportandolo alla realtà e porgendogli la sigaretta. Stefano la prende rapidamente ma non la porta subito alle labbra, ripensa alla reazione di Paolo durante in compleanno di Alberto, quando gli aveva detto di avere l’abitudine di fumare una sigaretta insieme.
 
-Credo che a lui non piaccia che io fumi. 
 
Commenta. Alberto ci mette un attimo a capire ciò che ha appena detto, in realtà Stefano stesso si è lasciato sfuggire quel pensiero ad alta voce, senza accorgersene. 
 
-E quindi? Non è qui adesso! Non mi dirai che stai messo così male da fare tutto quello ti dice… spero!
 
Esclama Alberto infastidito, facendo una smorfia. Stefano scuote il capo, osserva la sigaretta dopodiché la posa sulle labbra e prende un tiro. 
 
-Certo che no! È solo un pensiero che mi è venuto… l’altra sera mi ha rivolto uno sguardo terribile, mai visto sul suo viso, quando sono uscito con te a fumare. 
 
Spiega, prendendo un altro tiro prima di restituirgliela. Alberto fa spallucce.
 
-Avrà anche lui i suoi scheletri nell’armadio. Non pensare che sia un dio sceso in terra e che tutto ciò su cui posa i piedi diventi oro zecchino. 
 
Ribatte Alberto. Stefano si limita ad annuire, in silenzio.
 
-Comunque… l’hai più sentito?
 
Domanda, dopo aver preso una boccata. 
 
-Sì, ieri. Non è facile sentirsi con sette ore di fuso orario di mezzo… 
 
Risponde. Alberto rimane per un attimo in silenzio, finisce la sigaretta rapidamente e getta il mozzicone dal balcone, dopodiché si gira verso Stefano.
 
-Rientriamo?
 
Stefano annuisce. In casa gli altri ragazzi stanno discutendo su cosa fare nel weekend.
 
-Andiamo ancora al Vogue sabato? C’è un dj che mi piace.
 
Chiede Andrea, mostrando una locandina su Instagram. Luca prende il cellulare e la osserva, leggendo tutti i dettagli. 
 
-Si può fare, è il weekend di Halloween.
 
Accetta. Stefano non ci sarà, avendo programmato la trasferta con la squadra con pernottamento in albergo a Cesenatico. Non si era accorto però che fosse il weekend di Halloween, probabilmente festeggerà con i compagni di squadra in qualche locale della zona, essendo uno dei paesi più rinomati della riviera romagnola, è certo che non sarà difficile trovare un locale dove fare festa. 
 
-Io passo. Domani sera parto con la squadra, approfittiamo di un incontro in trasferta in Romagna e ci facciamo il weekend a Cesenatico. 
 
Risponde, rimettendosi a sedere al tavolo. Alberto e Giulio non dicono nulla, Giulio sta mangiando delle noccioline rimaste sul tavolo durante la partita di carte, Alberto è seduto a braccia conserte vicino a Stefano, con lo sguardo basso, rivolto verso il tavolo. 
 
-Albe? Giulio?
 
Insiste Andrea, non avendo ricevuto alcuna risposta. Alberto alza lo sguardo e dà una rapida occhiata a Giulio.
 
-Mi spiace. Sabato ci sarà la cena conclusiva del corso d’inglese della mia banca, a tema Halloween. 
 
Fa una breve pausa.
 
-Verrà anche Alberto. 
 
Aggiunge poi. Stefano nota Andrea e Luca scambiarsi uno sguardo d’intesa, probabilmente pensano ciò che sta pensando lui. 
 
-Capito. Mi sa che ci andremo solo io e te, Andre.
 
Conclude Luca, tagliando corto. Stefano cerca di cogliere sul viso di Alberto qualche segnale ma lui rimane impassibile, con lo sguardo fisso verso il tavolo. Giulio al contrario ha un sorriso soddisfatto sulle labbra.
 
La serata termina circa una mezz’ora più tardi, i primi ad andarsene sono Andrea e Luca, seguiti subito dopo da Giulio. Stefano decide di fermarsi per parlare con Alberto, offrendosi di aiutarlo a sistemare la casa. 
 
-Non mi hai detto del weekend con la tua squadra.
 
Esordisce Alberto, dopo aver passato l’aspirapolvere in salotto. Stefano è appena rientrato dal balcone, dove ha scrollato la tovaglia. La posa sul tavolo e la piega.
 
-Tu non mi hai detto della cena di Halloween con Giulio.
 
Ribatte, porgendogli poi la tovaglia piegata. Alberto la prende e la ripone al suo posto.
 
-Con la banca di Giulio.
 
Lo corregge. Stefano sorride.
 
-Mi vuoi dire una volta per tutte come stanno le cose con Giulio? Di me e Paolo sai tutto… 
 
Esclama, deciso a scoprire finalmente la verità. Alberto fa spallucce.
 
-So fin troppo di te e Paolo. Non che ci sia molto da sapere in realtà… 
 
Risponde, cercando di sviare il discorso. Stefano insiste. 
 
-Albe… 
 
Alberto sbuffa. 
 
-Scopiamo, ogni tanto. Ora un po’ più spesso…
 
Stefano spalanca gli occhi in segno di sorpresa. Alberto è chiaramente imbarazzato ma cerca di mascherare il suo imbarazzo con il suo solito di modo di fare sarcastico e scontroso.
 
-Ora che lo sai, andrai a nanna più sereno? 
 
Chiede. Stefano annuisce.
 
-Bene. Però non dire nulla agli altri due, evitiamo di farci sopra un film. Che non è proprio il caso. 
 
Aggiunge. Stefano immediatamente collega ciò che gli è stato detto al fatto che Alberto avesse lasciato il cellulare a casa di Giulio, qualche giorno prima. 
 
-Ecco perché il tuo cellulare era a casa sua la settimana scorsa! Non eri andato per chiarirti con lui… 
 
Deduce. 
 
-Ero andato per dirgliene quattro. Mi ha fatto il caffè… e anche altro. È andata come è andata.
 
Risponde, sbrigativo. Non è da lui lesinare sui dettagli, né celare informazioni eccessivamente esplicite, quel suo strano pudore lo sorprende. Ripensando a quella sera, quella prima della cena con Paolo, riesce anche a ricostruire la lite avvenuta tra Giulio e Alberto, quando Giulio se n’era andato a seguito di una provocazione di Alberto e gli aveva detto di non essere più disposto ad ascoltarlo lamentarsi di soffrire per qualcuno. “Tu sai chi”, l’aveva chiamato. Inizia a sospettare di essere proprio lui quella persona, quel qualcuno a cui Alberto era interessato ma non corrisposto. 
 
-Comunque, ripeto, tienitelo per te. 
 
Ribadisce Alberto. Stefano annuisce, non ha intenzione di dire nulla ad Andrea e Luca, che comunque avevano già intuito la situazione, nonostante abbiano già capito la situazione.
 
 
***
Il giorno successivo, venerdì, dopo il lavoro, Stefano prende il borsone da calcio, la borsa preparata per i due giorni di trasferta e si dirige a passo rapido verso il centro sportivo. La partenza è prevista per le diciannove e l’arrivo in tarda serata. I gestori dell’albergo si sono mostrati estremamente disponibili ad accettarli alla reception a qualsiasi ora. L’autostrada è libera, nessun ritardo o rallentamento dovuto al traffico. Dopo aver parcheggiato, la squadra riesce a registrarsi alle 22.30 in punto. Alcuni ragazzi chiedono di poter ricevere un panino o un piatto di pasta in camera, per cenare, altri che avevano già mangiato durante una sosta all’Autogrill, si fermano al bar per un caffè e un amaro. Stefano decide di uscire a fare due passi, per visitare la zona e magari consumare una piadina da qualche parte, nessuno si unisce a lui. Prima di uscire sale in camera per lasciare le proprie cose e a darsi una rinfrescata. La camera a lui assegnata è una doppia nella quale sono stati disposti tre lettini singoli. Ad altri compagni invece è toccata la doppia con letto matrimoniale. Pensa a quello che sarebbe potuto succedere se ci fosse stato Paolo, se la doppia con letto matrimoniale fosse toccata a loro, a come si sarebbe sentito. Avrebbe avuto paura? Sarebbe stata l’occasione per farsi avanti? Purtroppo non è in grado di darsi una risposta. 
Si sciacqua il viso e si pettina i capelli con le dita, dopodiché indossa il cappotto ed esce. La serata è tiepida, decisamente più gradevole di Milano ma comunque tipicamente autunnale. Stefano ha trascorso alcune vacanze a Cesenatico, con i compagni dell’università, conosce molto bene la città e la apprezza. Gli sarebbe piaciuto portare Paolo con sé lungo il viale, sedersi insieme nella piazza del Grand Hotel, bere qualcosa in un locale. È certo che lui non l’avrebbe lasciato uscire da solo, che sarebbero stati insieme. 
Pur essendo autunno, periodo di bassa stagione per la Romagna, le strade sono piene di persone, ragazzi principalmente, che passeggiano, chiacchierano, si tengono per mano e consumano del cibo, alcuni delle crepes o dei bomboloni mentre altri nonostante il clima, dei grandi coni gelato. Approfitta della passeggiata per trovare pubblicità di locali nei quali si possa festeggiare Halloween, l’indomani. Camminando finisce in un vicolo, una via traversa, che non conosce e che è certo di non aver mai percorso. Dando un’occhiata alle vetrine, alla ricerca di una locandina, si imbatte in un locale, un lounge bar, che organizza serate LGBT nel weekend. La sua prima idea è di passare oltre, ha paura che qualcuno della squadra lo segua e lo scopra nel caso decidesse di entrare. Tira dritto e continua a camminare per un altro po’. Successivamente ci ripensa: i suoi compagni di squadra sono rimasti in albergo, nessuno di loro era intenzionato ad uscire. Oltretutto il locale è piuttosto distante dall’albergo, se anche uscissero ora difficilmente lo troverebbero. Si fa coraggio e decide di ritornare indietro ed entrare. Il locale è molto carino ed elegante, le luci sono soffuse e la musica di sottofondo è delicata e poco invadente. Decide di sedersi al bar e ordinare qualcosa da bere o da mangiare. Sfortunatamente gli viene detto che la cucina è chiusa e che l’unico cibo disponibile sono delle patatine in sacchetto. Accetta e le ordina, accompagnate da un Long Island. 
Mentre attende che il suo drink e le patatine gli vengano serviti, controlla l’orologio al polso e nota che è passata la mezzanotte. Non credeva di aver camminato così a lungo, osserva poi il cellulare per controllare eventuali chiamate o messaggi ma non c’è nulla. È troppo presto per sentire Paolo, negli ultimi due giorni i suoi messaggi, gli unici in tutta la giornata, non sono arrivati prima dell’una di notte. Si chiede se anche quella sera gli scriverà o se ne approfitterà per dormire un po’ di più, essendo sabato. Nel frattempo il drink è pronto, ne prende subito un sorso: è dolce e non sembra eccessivamente forte.
 
-Ciao. 
 
Qualcuno si avvicina al suo orecchio e lo saluta. Stefano avverte un brivido lungo la schiena, teme possa trattarsi di un suo compagno di squadra, lentamente si gira e con sollievo nota che si tratta di una persona che non conosce. È un ragazzo, probabilmente sulla trentina come lui, capelli lisci castano chiaro, lasciati un po’ lunghi e spettinati e dei profondi occhi azzurri che subito lo colpiscono. Il ragazzo gli sorride e poi si siede al balcone, accanto a lui.
 
-Ciao… 
 
Risponde, con fil di voce. 
 
-Christian, piacere. 
 
Il ragazzo gli porge la mano, che Stefano stringe. 
 
-Stefano. 
 
Lo osserva con attenzione, è molto attraente ed è vestito con abiti eleganti: giacca nera sbottonata, camicia bianca lasciata leggermente aperta, pantaloni neri in raso, cintura in pelle dello stesso colore e mocassini che richiamano lo stile della cintura, portati senza calze. 
 
-Non sei di qui, vero?
 
Domanda il ragazzo, Christian. Stefano scuote il capo. 
 
-Sono di Milano. 
 
Il ragazzo gli sorride. Ha un bel sorriso, una bocca sottile con denti dritti, regolari e bianchi.
 
-Un milanese! Siete rari in questa stagione, di solito venite in estate e durante il Natale a vedere i presepi. 
 
Commenta. Dal suo accento e la sua cadenza, la “s” dolce e la parlata un po’ strascicata, intuisce che lui invece sia della zona. La sua intuizione viene confermata dal barista che chiede al ragazzo se vuole che gli venga portato “il solito”. 
 
-Cosa ci fai di bello, qui in Romagna?
 
Gli domanda. Stefano inizialmente è dubbioso, non sa se rispondergli con sincerità o inventarsi una scusa. Decide infine di essere sincero, si trova in un locale gay friendly, il ragazzo ci sta provando palesemente con lui e di certo non andrà in albergo dai suoi compagni a raccontarlo. Non trova ragione di mentire.
 
-Sono con la mia squadra di calcetto. Domenica mattina abbiamo una partita con una squadra della zona e abbiamo deciso di passare qui il weekend. 
 
Risponde, dopodiché sorseggia un altro po’ del suo drink, in realtà molto più carico di quanto non avesse notato al primo sorso. 
 
-Ci avrei giurato che eri uno sportivo! Hai delle belle spalle… 
 
Commenta, accarezzandogli un braccio. Non sa se ringraziarlo o fare finta di nulla, nel dubbio continua a bere.
 
-Ti ho visto entrare poco fa e volevo offrirti da bere… ma hai ordinato subito. 
 
Confessa. 
 
-Tu sei di Cesenatico?
 
Domanda Stefano, non sapendo cosa dire. Non gli capita molto spesso di essere rimorchiato al bar in quel modo, è una modalità più consona ad Alberto. Di norma lui conosce i ragazzi sulla pista da ballo, dove viene generalmente preso per mano o baciato a tradimento. Si sente in imbarazzo e il fatto che Christian sia così attraente non fa che peggiorare le cose. 
 
-Nato e cresciuto qui. Lavoro in un negozio di cellulari in centro durante inverno e gestisco una spiaggia in estate. 
 
Risponde. 
 
-Anzi. Ti va di fare un giro nella mia spiaggia? Non fa tanto freddo stasera. 
 
Propone. Stefano non sa cosa rispondere e rimane paralizzato. 
 
-Giuro che sono un bravo ragazzo. Facevo il chierichetto in chiesa da bambino. 
 
La sua risposta fa sorridere Stefano e lo convince ad accettare, si infila il cappotto e lo segue. Christian, essendo del posto, lo porta su una strada secondaria tramite la quale raggiunge rapidamente il centro e il lungomare. È buio e non c’è nessuno nei paraggi, tranne qualche ragazzino intento a sbaciucchiarsi con la fidanzatina sulle panchine. Christian usa la torcia del cellulare per farsi strada.
 
-La sbarra la dobbiamo scavalcare perché non ho il telecomando con me.
 
Suggerisce, scavalcano una sbarra di metallo che blocca l’accesso alla spiaggia. Stefano inizialmente è indeciso se continuare a seguirlo ma decide di fidarsi, è una situazione strana, nuova, in cui non si è mai trovato, è curioso. Dopo aver scavalcato la sbarra, Christian sparisce per qualche istante e poco dopo una serie di luci si accendono illuminando il vialetto. 
 
-Di qua. 
 
Lo invita, apparendo in fondo al vialetto. Stefano percorre una passerella di legno bianco, al termine della quale ci sono tre scalini. Sale e si trova su un enorme patio che affaccia direttamente sul mare, rimanendo sollevato di pochi metri. La spiaggia è totalmente diversa rispetto a quella a cui è abituato in estate: non ci sono ombrelloni e la sabbia e accumulata in alte montagne con alcuni passaggi tra una e l’altra che permettono di scorgere l’orizzonte o nel caso si voglia raggiungere la battigia. Il mare è una lastra nera, calma e piatta, che si infrange silenziosa sulla riva. Stefano chiude gli occhi e respira a pieni polmoni il profumo del mare. La brezza marina è pungente e inizia a sentire freddo, si stringe nel cappotto. Christian si avvicina a lui e gli posa una mano sulla spalla.
 
-Vieni, entriamo nel mio ufficio, c’è una stufetta. 
 
Suggerisce. Stefano lo segue. L’ufficio di Christian è ampio ed è tutto vetrato, composto dallo stesso legno bianco della passerella. I decori sono tipicamente estivi: stelle marine, conchiglie, ancore. I colori predominanti sono il bianco, il beige e l’azzurro. L’ambiente è molto gradevole e Stefano viene fatto accomodare su una poltroncina in vimini bianca con lo schienale intrecciato e un comodo cuscino rotondo sulla seduta, Christian si siede davanti a lui, su una poltrona simile. A separarli c’è un tavolino dello stesso stile delle poltrone con la superficie in vetro e un posacenere quadrato in metallo nel centro. Ai piedi del tavolo è posizionata una stufetta elettrica accesa. 
 
-Se hai freddo ho anche delle coperte.
 
Suggerisce Christian. Stefano i sente bene, la stanza è piuttosto calda e la stufetta posizionata in basso fornisce il calore sufficiente. 
 
-Li porti tutti qui i ragazzi che fermi al bar?
 
Chiede. Christian gli sorride e si mette più comodo sulla poltrona, accavallando le gambe. Stefano lo guarda attentamente. Con la luce chiara della stanza riesce a vederlo meglio. Ci aveva visto giusto nel locale: è davvero molto attraente. Ha un fisico magro ma tonico, l’addome sotto la camicia è teso e piatto, le gambe sono lunghe e snelle e ha delle belle mani, con dita lunghe e affusolate. 
 
-Solo quelli belli. 
 
Risponde, con fare provocatorio e sorriso malizioso. 
 
-Parlami un po’ di te, Stefano.
 
Chiede. Stefano non sa cosa dire, inizia a parlare sperando di essere più spontaneo possibile.
 
-Sono di Milano, lavoro in un ufficio in centro, ho trentadue anni. Nel tempo libero gioco a calcio… che sono gay direi che l’hai capito. 
 
Christian annuisce. 
 
-Abbiamo la stessa età. Sei libero?
 
Stefano non sa rispondere a quella domanda. In realtà la risposta corretta sarebbe “sì”, dopotutto non ha una relazione, non frequenta nessuno ufficialmente né ha vincoli di alcun tipo.
 
“Paolo”
 
Il suo nome continua a ripetersi nella sua testa, il suo viso, il suo sorriso, il suono della sua voce e quell’ultimo e unico abbraccio poche sere prima, quando Paolo è partito per la Cina.
 
-Deduco di no. 
 
Lo anticipa Christian, avendo ben interpretato il suo silenzio. Stefano scuote il capo, decide di chiarirsi.
 
-No. Cioè, in realtà non ho alcuna relazione. 
 
Christian lo guarda incuriosito, inarca le sopracciglia e rimane qualche istante in silenzio, prima di parlare. 
 
-È una cosa complicata, vero?
 
Stefano annuisce. Complicata è a dir poco un eufemismo, per descrivere la situazione tra lui e Paolo. Christian sospira.
 
-Ti capisco. Io sono il re delle relazioni complicate. Certo però che uno come te io non lo lascerei andare in giro così, da solo… 
 
Stefano arrossisce. Non è abituato a complimenti così diretti, non si è mai nemmeno considerato così tanto affascinante e si sorprende infatti nell’apprendere che Christian lo ritenga tale. Soprattutto perché per lui è Christian ad essere attraente, fatica a togliergli gli occhi di dosso, pur sentendosi a disagio. 
 
-Lui sa dove sei? Cosa fai? Con chi sei?
 
Domanda Christian, con voce bassa, suadente. Avvicina un po’ di più la sedia al tavolino, posandovi sopra i gomiti. In quel modo riesce ad osservarlo meglio. Stefano deglutisce nervosamente. 
-Lui… è in Cina, per lavoro. 
 
Confessa. Christian sorride. 
 
-Capito… quindi ora lui starà tranquillo, a dormire nel suo letto, non sapendo che tu sei qui, da solo, con me. Non sapendo che se tu lo volessi, se non fossi bloccato dalla paura, potrebbe succedere qualcosa tra me e te. Perché ti piaccio, no? E tu piaci a me, molto. 
 
Stefano si sente al tempo stesso spaventato ed eccitato. Sta vivendo sulla sua pelle una situazione che fino ad ora ha letto solo nei romanzetti gay scritti dalle donne per le donne (ma che lui segretamente ama leggere) o nei prologhi di qualche film erotico. Rimane bloccato, senza distogliere lo sguardo da lui. C’è qualcosa in lui che gli ricorda Paolo, non l’atteggiamento spavaldo, certo. In realtà vorrebbe che Paolo fosse così esplicito con lui, gli avrebbe risolto un sacco di problemi ed evitato innumerevoli paranoie. Non è neanche l’aspetto fisico perché, pur essendo veramente bello e affascinante, per lui Paolo resta un gradino sopra. Potrebbe essere qualcosa nei gesti, nel modo in cui si muove, nella naturalezza e la sicurezza che dimostra di sé. 
Christian si mette a sedere più composto, riprendendo la posizione di prima, con le gambe accavallate. 
 
-Anche se conosco già la risposta: se non fosse per lui, tu ci staresti con me?
 
Stefano rimane bloccato per qualche istante
 
-Sì. 
 
Risponde in tutta sincerità. Christian sorride, era sicuramente la risposta che si aspettava. 
 
-Facciamo così. Immagino che tu sia arrivato oggi e sarai stanco. È tardi e vorrai riposare. Domani sera organizzerò una festa di Halloween, qui nel mio stabilimento. Non è una festa per tutti, solo uomini e solo chi dico io. Se ti va vieni qui domani sera, stiamo un po’ insieme e… vediamo cosa succede. 
 
Stefano accetta. 
 
-Va bene. 
 
Christian si alza. 
 
-Ottimo! Se mi dici in quale albergo sei ospite, ti accompagno. 
 
Afferma, invitandolo ad alzarsi. Stefano si alza e lo segue. Non appena arrivati davanti all’albergo, prima di salire i gradini e suonare al portiere, si salutano. 
 
-Siamo arrivati. Buonanotte. 
 
Lo saluta Stefano, che inizia ad avvertire la stanchezza e non vede l’ora di stendersi. Christian lo prende per mano. 
 
-Spero di vederti domani sera, vieni quando vuoi. Sappi però che se verrai, io considererò la tua risposta come un sì e farò di tutto, davvero di tutto, per portarti a casa con me. 
 
Afferma, dopodiché si avvicina e gli dà un bacio sulla guancia. 
 
-Buonanotte. 
 
Lascia andare la sua mano e lo saluta, con un sorriso, prima di girarsi e andare via. 

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Buonasera! Eccoci di nuovo con un capitolo :) Vi avevo promesso venerdì ma ho tardato di un giorno. Spero apprezzerete comunque! Questo capitolo vi lascia con un cliffhanger: cosa farà Stefano? La risposta arriverà la prossima settimana. A presto e per chi lo festeggia: BUON NATALE!! 

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Capitolo 16
*** Dessert ***


La mattina seguente, Stefano viene svegliato da Diego e Antonio, i suoi compagni di stanza. Diego gli toglie la coperta di dosso e gli sfila il cuscino da sotto la testa, lanciandolo a terra, mentre Antonio lo chiama ripetutamente, scuotendolo per le spalle. Si è addormentato subito, la sera prima, dopo essere rientrato in albergo, Antonio e Diego erano già a letto e ha fatto il possibile per non disturbarli, decidendo di andare a dormire vestito, così com’era, per evitare di accendere la luce o far rumore in bagno. 
 
-È proprio vero, Ste: alla sera tutti leoni, mentre alla mattina…
 
Esclama Diego. Stefano fatica ad aprire gli occhi, si guarda intorno e nota che la finestra che affaccia sul balcone della stanza è aperta, è mattina, non più tardi delle otto. I suoi amici sono già pronti, in ordine e vestiti con la tuta da allenamento, questo perché il mister per quella giornata ha affittato un campo da calcio dove si dovranno allenare la mattina e dove disputeranno un’amichevole con una squadra locale, dopo pranzo. Si stropiccia gli occhi e si mette a sedere, la vista è ancora leggermente sfocata.
 
-Sai Ste, non ti facevo un tipo che esce la sera e torna talmente fuso da dormire vestito.
 
Confessa Antonio, dandogli una pacca sulla spalla. In realtà Stefano non ha fatto nulla di straordinario la sera prima, non ha nemmeno terminato il suo drink al bar. Ciononostante si sente stanco, appesantito. Ha dormito male, malissimo. È certo di aver avuto una qualche sorta di incubo ma non riesce a ricordarselo. 
 
-Anto, ti sei dimenticato quanto è bella la vita da single! Fai bene a godertela, Ste, finché dura. 
 
Esclama con entusiasmo Diego. Dopodiché i due si mettono a commentare e confrontare le differenze tra la vita dei single e quella degli uomini sposati, Stefano tuttavia non segue i loro discorsi, non gli interessano né si trova nelle condizioni migliori per poter dar loro retta. Si alza dal letto, raccoglie il cuscino e si dà un rapido sguardo allo specchio, uno specchio lungo a figura intera posto accanto a un piccolo armadio a due ante. Si chiede se Christian lo considererebbe ancora interessante vedendolo così: sfatto, spettinato, con i vestiti stropicciati, gli occhi rossi e quel rivolo di saliva secca ai lati delle labbra, dal quale deduce di aver dormito con la bocca aperta. 
 
Un vero spettacolo!
 
Pensa tra sé e sé, passandosi una mano tra i capelli. Sente il bisogno di buttarsi sotto la doccia e darsi una rinfrescata. 
 
-Perché non scendete a far colazione? Io mi faccio la doccia e vi raggiungo.
 
Suggerisce, interrompendo il discorso dei due, che nel frattempo si è fatto più animato. 
 
-Sicuro? Se vuoi ti aspettiamo, non è tardi. 
 
Risponde Antonio. Stefano scuote il capo. 
 
-No, andate. Tenetemi da parte qualcosa di buono da buffet. 
 
Aggiunge. Antonio e Diego escono dalla stanza, lasciandolo solo. Stefano non perde tempo, si chiude in bagno ed inizia spogliarsi, gettando a terra uno dopo l’altro tutti i suoi indumenti. Quando non ha più indosso nulla fa un respiro profondo, si sente molto più leggero, come se togliendo i vestiti si fosse tolto la tensione accumulata la sera precedente. Apre il rubinetto della doccia tenendo l’acqua molto calda, come è sua abitudine fare, chiude le ante di vetro della cabina alle sue spalle e si posiziona sotto il getto del soffione, completamente, capelli compresi. Chiude gli occhi lasciando che l’acqua scorra sul suo corpo e sul suo viso. Rimane immobile per un paio di minuti, senza insaponarsi. Quando si sente sufficientemente rilassato inizia a lavarsi, raccogliendo nel palmo della mano un po’ di bagnoschiuma dalla bustina fornita dall’albergo. Un liquido dorato, denso e perlescente, lo massaggia sulle braccia, sul collo, sul petto. Il profumo ha qualcosa di familiare. Prende la bustina, per capire quale tipo di fragranza sia. Oltre al nome dell’albergo e l’indicazione “docciaschiuma”, sul retro riesce a leggere “fragranza ambra e cedro”. Il collegamento a Paolo è immediato: c’è qualcosa di simile al suo profumo in quel bagnoschiuma. Ancor prima di leggere di cosa si trattasse l’aveva percepito. Non è proprio lo stesso e annusandolo da vicino gli sembra di non sentire nulla ma glielo ricorda. Si chiede cosa stia facendo ora in Cina, non ha voglia di contare il fuso orario per capire che ore siano a Shanghai. Si perde per qualche istante, nel quale ripercorre l’incontro con Christian, quando gli ha chiesto se fosse libero e come quasi meccanicamente gli sia venuto in mente Paolo. Inspira profondamente e si sciacqua di nuovo il viso per schiarirsi le idee. 
Uscito dalla doccia si avvolge in un accappatoio pulito, ancora ripiegato e posato sul lavandino. Non ha portato il cambio con sé, dovrà quindi vestirsi in camera. Prima di uscire dà una rapida asciugata ai capelli con il phon. L’espressione sul suo viso è decisamente migliorata rispetto a quando si è alzato. Raccoglie dal pavimento i vestiti sporchi per riporli in valigia. Abbassandosi per recuperare la valigia da sotto il letto, si accorge che il suo cellulare è finito sul pavimento, l’aveva messo sotto il cuscino prima di addormentarsi e nella notte deve essere scivolato per terra. Non lo controlla da diverse ore, da quando l’aveva usato come torcia per farsi luce in camera, per non svegliare Diego e Antonio. Toccando lo schermo nota che ci sono diverse notifiche: email, commenti su Facebook, aggiornamenti TikTok Instagram e dei messaggi WhatsApp. Tra questi c’è Paolo. Stefano si siede sul letto. Il primo messaggio che decide di aprire è quello di sua sorella, si tratta di una foto di Riccardo con la cuffia e la sciarpa del Milan regalategli da lui, dopo quello ne legge uno di sua madre che chiede se tutto sia a posto e infine, l’ultimo, che in realtà era il primo che avrebbe voluto aprire, è di Paolo. Ancora una volta si tratta di una foto con didascalia. La apre e il suo cuore si ferma per un istante: gli fa sempre questo effetto quando lo rivede dopo un po’ di tempo, che siano un paio di giorni o solo qualche ora. È come se ogni volta si rendesse conto di quanto sia bello e di quanto sia inevitabilmente attratto da lui. Nella foto, un selfie scattato dall’alto, Paolo è a letto, nel suo letto in albergo probabilmente, testa posata su un cuscino bianco. Sta sorridendo, quel sorriso che Stefano trova irresistibile, con quella fossetta sulla guancia e gli occhi leggermente socchiusi. Sta indossando una maglietta a maniche corte ma non è una maglietta semplice, è quella con il gallo e il cappello da cuoco. 
 
“Buongiorno! Buonanotte nel tuo caso. Oggi per me giornata totalmente libera, quindi niente pigiama da signore e si torna alle vecchie abitudini💋 🐓
 
Stefano sorride, specialmente per la scelta delle emoji. Poi si immagina di avere Paolo, in stanza con sé, così come è ritratto in quella foto. Controlla l’orario e nota che quella foto è stata inviata all’1.30 di notte, quando da Paolo erano le otto e mezza di mattina. Mezz’ora più tardi del suo rientro in albergo, dopo aver salutato Christian. 
 
-Se solo ci fossi stato tu, al suo posto…
 
Esclama, dando voce ai suoi pensieri, senza distogliere per un attimo lo sguardo dalla foto di Paolo. Sono le otto e mezza, da Paolo è pomeriggio ed essendo libero come ha scritto, potrebbe rispondere ad un suo messaggio, se gli scrivesse. Si alza dal letto, allaccia bene la cintura dell’accappatoio ed esce sul balcone, deciso a scattare una foto del paesaggio. Pur essendo autunno, gli alberi non sono ancora del tutto spogli, complice la straordinaria ondata di caldo degli ultimi mesi. Il panorama resta quindi gradevole, per nulla desolante, senza contare il mare all’orizzonte, a pochi metri. Dopo aver scattato la foto ed essersi assicurato di aver incluso nello scatto il mare e un tratto di spiaggia, la invia a Paolo, aggiungendo una didascalia. 
 
“Buongiorno! Io mi sono appena alzato… a Cesenatico! Non è come in estate ma il mare è sempre il mare. Bella la maglietta 😏
 
Non attende la sua risposta, al contrario appoggia il cellulare sul comodino accanto al letto e si veste più velocemente possibile, per raggiungere i compagni di squadra e riuscire a fare colazione. Indossa la tuta e prende il borsone. Non si aspetta una risposta immediata dai Paolo ma mentre sta scendendo le scale per raggiungere la sala da pranzo dell’albergo, sente il cellulare vibrare. È quasi sicuro che si tratti di lui. Prima di controllare decide di prendere posto al tavolo, quello riservato alla sua stanza, dove si trovano Antonio e Diego. Appena entra in sala viene accolto da applausi e fischi da parte dei suoi compagni di squadra: l’albergo è quasi a loro completa di disposizione, solo due tavoli non appartengono ai ragazzi della squadra. 
 
-Oh ce l’hai fatta!
 
Esclama Simone, battendogli le mani. 
 
-Bella Ste! Notte da leoni ieri, eh!
 
Lo incoraggia Giacomo, passandogli accanto e dandogli una pacca sulla spalla. Il mister si limita a rivolgergli uno sguardo stupito, inarcando le sopracciglia, mentre sorseggia del caffè. Dopo essersi seduto al tavolo, prima che possa aprir bocca e parlare con i suoi compagni di stanza, tutti quanti, loro compresi, si alzano in piedi e battono le mani sul tavolo a ritmo dando inizio ad una vera e propria ola da stadio.
 
-ollellé, ollallà, faccela vedé, faccela toccà!
 
Ripetuta un paio di volte, finché il mister chiede a tutti di smetterla e di rimettersi a sedere. 
 
-Ste, se la tipa che ti ha fatto far tardi ieri ha delle amiche, ricordati dei tuoi compagni di squadra!
 
Urla Simone. Stefano non risponde, sprofonda nella sedia e tiene lo sguardo basso, lanciando occhiatacce ad Antonio e Diego che non riescono a smettere di ridere. Sul tavolo ci sono un paio di brioche e dei biscotti ripieni di marmellata. 
 
-Dai, non prendertela. Di solito sei sempre quello preciso, puntiglioso… è bello vedere che sei umano anche tu!
 
Afferma Diego, smettendo di ridere. 
 
-Chissà se ci fosse Paolo, cosa direbbe di te.
 
Aggiunge Antonio, asciugandosi la bocca con un tovagliolo. Stefano è incuriosito dalla sua affermazione.
 
-Perché?
 
Domanda. 
 
-Perché lui per te ha sempre belle parole. Dice che sei l’esempio della compostezza, che sei corretto, sincero e affidabile. 
 
Spiega Antonio. Immediatamente interviene Diego. 
 
-Io gli ho sempre detto di non farsi ingannare dalle apparenze, perché sotto sotto hai anche tu il tuo bel carattere. E infatti…
 
Stefano non sa come ribattere e preferisce stare in silenzio. Non pensava che Paolo avesse espresso una propria opinione su di lui, con i compagni di squadra. Soprattutto perché lui cerca sempre di non fare commenti su Paolo per evitare equivoci. 
 
-Ah, Ste! Questa sera i proprietari dell’albergo organizzeranno una piccola festa di Halloween per noi e gli altri ospiti… si terrà nella hall. Sempre che tu non abbia di meglio da fare…
 
Lo informa Antonio, facendogli l’occhiolino. Stefano fa per aprir bocca per rispondere poi si blocca, ricordandosi che sì, in teoria avrebbe davvero qualcosa di meglio da fare: la festa allo stabilimento di Christian. Non ha ancora deciso cosa fare e ha evitato di pensarci, fino ad ora.  La sua esitazione insospettisce i suoi compagni.
 
-Lo sapevo! 
 
Esclama Antonio divertito. Stefano non smentisce né conferma la sua supposizione, si limita a prendere una brioche dal cestino, ne stacca un piccolo pezzetto e la mangia. 
 
-Ragazzi, è quasi ora! Andiamo!
 
Urla il mister, alzandosi e battendo le mani. Antonio e Diego si alzano dal tavolo.
 
-Dai, Ste. Veloce. Ti aspettiamo nella hall. 
 
Lo incoraggia Diego. Stefano rimane da solo in sala da pranzo, cerca di finire la brioche che ha appena assaggiato ma non ha fame. Si ricorda poi di aver sentito il cellulare vibrare poco prima, sulle scale. Lo prende e trova due messaggi da parte di Paolo. Uno è una fotografia del centro di Shanghai.
 
“È vero! La trasferta… mi spiace davvero di non poter essere lì con voi. Vi starete divertendo un sacco… io sto girando per Shanghai, come vedi. Sembra una città del futuro! 😲
 
Anche Stefano avrebbe tanto voluto che Paolo fosse lì con loro, specialmente perché non avrebbe incontrato Christian. Ripensando a ciò che gli ha appena detto Antonio, sull’opinione che Paolo ha di lui e che ha più volte condiviso con i compagni di squadra, prova un profondo senso di amarezza. Paolo lo ritiene corretto e sincero, il fatto che apprezzi la sua sincerità gliel’ha detto anche personalmente, tuttavia in quel momento si sente tutt’altro che sincero. Continua a ripetere a se stesso che, se andasse alla festa, non farebbe nulla di male, perché lui non ha una relazione con Paolo, non è il suo compagno, né il suo fidanzato. È un uomo libero, single, senza legami e senza vincoli.
 
Eppure non è così che si sente. 
 
Non è la prima volta che avverte senso di colpa nei suoi confronti, dopo un incontro con un altro uomo. Era capitato diverse settimane prima, in discoteca, con quel ragazzo conosciuto in discoteca, la cui conoscenza era stata approfondita nel bagno del locale. In quel caso però non si era fermato, nemmeno se n’era pentito troppo, era la sera in cui Paolo era sparito dopo la cena con la sua ex moglie, Stefano aveva avvertito il tutto come una sorta di ripicca, il classico “chiodo schiaccia chiodo”, poiché temeva che qualsiasi speranza con lui fosse svanita si era lasciato andare. Non si era sentito esattamente soddisfatto né fiero di sé, eppure era stato uno sfizio in discoteca, il risultato di qualche bicchiere di troppo. La delusione era stata principalmente per lo stato fisico e psicologico in cui si era ridotto. Ora sente che qualcosa è cambiato, dentro di sé. Decidere di andare a quella festa, che finirebbe con lui a letto con Christian, equivarrebbe a un tradimento. Non un semplice tradimento sentimentale, peggio, un tradimento alla fiducia di Paolo. Per far eco alle parole di Antonio: cosa penserebbe Paolo, se sapesse di ieri sera? Se sapesse di Christian, del fatto che Stefano l’abbia davvero trovato attraente e sia stato molto tentato dal cedere alle sue avances? Non se lo sarebbe di certo aspetto da una persona corretta e composta, come crede che lui sia. Se fosse corretto e composto non coglierebbe la prima occasione, cedendo davanti al primo bel ragazzo, mandando in fumo due mesi di parole sussurrate, gesti delicati e sottintesi, prendendo la strada più facile dell’appagamento immediato e di breve consumo, rinunciando alla possibilità di raggiungere un più intenso e futuro piacere, frutto di una lunga conquista, di un lavoro di accettazione e di trasformazione soprattutto su se stesso. E poi, se fosse davvero sincero come Paolo è convinto che sia, non avrebbe cantato davanti a tutti quella canzone per lui così importante, in quel modo e con quella passione, quasi fosse… 
 
Una dichiarazione d’amore.
 
Realizza in quell’istante. Nel contempo il battito del suo cuore rallenta, inizia a sentirsi tremare. Ebbene, non si sarebbe esposto così tanto, come mai aveva fatto in vita sua, per poi far finta di nulla e lasciarsi andare davanti al primo bel sorriso, al primo complimento di qualcuno in cui cerca comunque disperatamente di scorgere un frammento di Paolo. No, se rispecchiasse fedelmente l’idea che Paolo ha di lui, non farebbe nulla di tutto questo. Eppure, non è convinto che ciò non accadrà, non ha messo un “no” definitivo alla proposta di Christian. 
 
Si è fatto tardi, i ragazzi della squadra sono già tutti pronti nella hall e stanno aspettando solo lui. Finisce in un solo boccone ciò che rimane della brioche e beve l’ultimo goccio d’acqua rimasto nella bottiglia lasciata sul tavolo da Diego e Antonio, dopodiché raccoglie il borsone e raggiunge i suoi compagni di squadra. 
Il campo sportivo nel quale si alleneranno e giocheranno nelle prossime ore, si trova fuori dal centro della città, motivo per cui Stefano è costretto a recuperare il minibus della squadra e guidare. Il mister si siede accanto a lui, con il cellulare in mano, per dargli indicazioni su come arrivare a destinazione. Nessuno di loro è mai stato in quel posto prima e infatti, una volta arrivativi, rimangono piacevolmente sorpresi. La struttura è nuova, pulita e ben tenuta, sono presenti sia il campo da calcio a sette che quello classico a undici e riesce a scorgere in lontananza dei campi da tennis e uno da basket. Non sono i soli ad allenarsi quella mattina, poco distante vede correre un gruppo di ragazzi, con pettorine gialle e arancio. 
Il mister entra nell’ufficio amministrazione per chiedere informazioni e le chiavi dello spogliatoio, Stefano ne approfitta per fare una foto da mandare a Paolo. 
 
“Oggi giocheremo e ci alleneremo qui. Un’altra cosa rispetto al nostro campo sportivo…”
 
Aggiunge. La risposta di Paolo non tarda ad arrivare. 
 
“Fantastico! Quanto vorrei farmi una bella corsa in quel campo… divertitevi anche per me.”
 
Giusto il tempo di posare il borsone e infilarsi le scarpe da calcio e l’allenamento inizia. Il mister è carico: ha preparato tutta una serie di esercizi per permettere alla squadra di prepararsi all’incontro del giorno successivo e portare a casa la vittoria. I pareggi e le vittorie strappate all’ultimo secondo delle precedenti settimane non sono stati di suo gradimento e non ha intenzione di perdere punti e arretrare in classifica. Si inizia con un riscaldamento di corsa lungo il perimetro del campo da calcio, seguito da alcuni sprint e slalom tra i coni, posizionati dallo stesso mister durante il riscaldamento. Non verrà effettuata nessuna partita di allenamento, dal momento che nel pomeriggio ci sarà l’amichevole con la squadra locale. Il mister decide di dividere il gruppo a coppie e concentrarsi di volta in volta su esercizi di possesso palla e di dribbling, mischiando più volte le coppie. 
L’allenamento è molto intenso e Stefano è felice di potersi concentrare sulla palla, distogliendosi per almeno un’ora dai suoi pensieri. L’ultimo esercizio è lo stretching per rilassare i muscoli e alleviare la fatica, dopodiché l’intera squadra va a cambiarsi per andare a pranzo, non torneranno in hotel ma consumeranno un panino al bar fuori dal campo sportivo. È una giornata di sole, tiepida ma gradevole. Seduto sulle tribune, dopo aver pranzato, Stefano si lascia riscaldare dal sole, ancora piuttosto caldo nonostante sia quasi novembre. Sebbene siano passati solo due mesi dal suo essersi ritrovato con Paolo, gli sembra sia trascorso molto più tempo. Si è trattato di due mesi intensi, vissuti pienamente. Da tempo non gli capitava di vivere la sua vita in modo così attivo, di potersi sentire realmente il protagonista di sé stesso e non un mero spettatore passivo, come nella maggior parte dei casi. Da dopo la laurea gli è parso come di vivere in velocità aumentata, senza libero arbitrio. Tutto gli è passato davanti agli occhi e lui è rimasto a guardare, con il minimo coinvolgimento. Non ci aveva mai rifletto fino ad ora né gli è mai pesato, non fino a quando Alberto gli ha fatto notare di non essere una persona aperta ai cambiamenti. Pensando ad Alberto, vorrebbe tanto scrivergli e raccontargli della sera prima, chiedere un suo parere per decidere cosa fare e lasciarsi guidare da lui, come ha sempre fatto. Non lo fa perché ha paura di ferirlo, ora che sa cosa ha provato o cosa prova ancora nei suoi confronti, ritiene di pessimo gusto continuare ad ammorbarlo con le sue paranoie e le sue indecisioni su Paolo. Dopotutto, Alberto ha fatto fin troppo per lui, gli ha aperto gli occhi su sé stesso, gli ha permesso di arrivare alla verità. Ora tocca a lui, deve smetterla di appoggiarsi sugli altri e prendersi la briga di decidere lui stesso cosa fare, senza paura e senza esitazione. E se quella sera deciderà di accettare l’invito di Christian, dovrà accettarne le conseguenze su sé stesso e su ciò che potrebbe cambiare nel suo rapporto con Paolo. 
 
-Oh, ecco dov’eri. Ti stavamo cercando!
 
Esclama Diego, raggiungendolo sugli spalti. Stefano si è allontanato dal gruppo per riflettere e perché non era interessato a giocare al videopoker, come molti stavano facendo. Diego si siede vicino a lui.
 
-C’era già chi diceva che eri scappato con la tua conquista di ieri sera.
 
Stefano porta gli occhi al cielo, crede che i suoi compagni stiano esagerando con quella storia e inizia a infastidirsi.
 
-Spero che questa storia finisca alla svelta… 
 
Confessa, sospirando. Diego non ribatte, limitandosi ad annuire ed entrambi rimangono in silenzio per diversi minuti.
 
-Visto che siamo soli… posso farti una domanda? Mi assicuri che non ti offenderai?
 
Esordisce, di punto in bianco, Diego sorprendendo Stefano. Ha paura di quello che potrà chiedergli. 
 
-Dipende. Cosa vuoi sapere?
 
Risponde, timoroso. Diego esita un attimo, lo vede prendere fiato, prima di parlare. 
 
-C’è qualcosa tra te e Paolo?
 
Stefano rimane bloccato, l’ha colto alla sprovvista non sa come rispondere. Conosce Diego da diversi anni, insieme a Simone e al coach è stato una delle prime persone conosciute in squadra. Parla spesso con lui, durante gli allenamenti o le trasferte e più volte gli ha chiesto consigli economici e finanziari, essendo lui un broker. Tuttavia non è mai entrato nel merito della sua vita personale, sa solo che convive con una ragazza di qualche anno più giovane perché ne parla spesso con gli altri membri della squadra. 
 
-No. Cosa te lo fa pensare?
 
Risponde, cercando di non mostrarsi stupito o confuso. Diego insiste. 
 
-Nulla, è stata solo una mia sensazione. Non te la prendere, davvero. Non ne ho parlato con nessuno della squadra, nessuno ha condiviso questa ipotesi con me, se è quello che pensi… 
 
Stefano distoglie lo sguardo da Diego e rivolge di nuovo il viso verso il sole, chiudendo gli occhi. 
 
-Sai, ci conosciamo da quanto… cinque? Sei anni? Non so praticamente nulla di te, a parte dove lavori e il fatto che hai cambiato casa di recente. Non volevo essere invadente, solo… come tutti sono rimasto sorpreso dal fatto che tu sia uscito da solo ieri sera, rientrando tardi.
 
Stefano continua a rimanere in silenzio, sarebbe tentato di alzarsi e andare via. Quella conversazione con Diego sta diventando pesante e fastidiosa. Non gli è mai interessato nulla di lui, in tutti quegli anni, perché chiedere proprio ora?
 
-Nessuno di noi ti conosce bene, Ste. Ci fa piacere la tua compagnia, sei simpatico e socievole ma… cos’altro? Poi arriva Paolo e… sembra che lui sappia tutto di te, che abbia capito ogni cosa in soli due mesi che ti conosce. 
 
Stefano sbuffa. 
 
-Ci conosciamo dai tempi del liceo, anche se ci siamo persi di vista dopo il diploma. Tutto qua. 
 
Conclude, sbrigativo, sperando che questo basti a Diego per smetterla di fargli domande. 
 
-Oh… capisco. Quindi è solo questo? Siete vecchi amici d’infanzia?
 
Insiste. Stefano non può sopportare oltre, si alza dalla tribuna, deciso ad andare via. 
 
-Senti, ti ho detto come stanno le cose. Ora per favore vuoi smetterla di farmi l’interrogatorio?
 
Ribatte, con tono seccato. Diego non si lascia intimorire dalle sue parole. 
 
-Non era mia intenzione farti l’interrogatorio. Anzi, volevo solo dirti… che non hai motivo di nascondere nulla, con me e sicuramente neanche con gli altri della squadra. 
 
Stefano non è disposto a sentire altro, non risponde alle sue parole e inizia a scendere dai gradini, senza degnarlo di un ulteriore sguardo. Anche Diego si alza dalla tribuna e continua a parlare, alzando la voce. Le sue parole, il suo racconto, paralizzano Stefano. 
 
-Avevo uno zio, Pietro, al quale volevo molto bene. Era il fratello di mia mamma, poco più grande di me. Si è suicidato dieci anni fa, perché era stufo di nascondersi. L’abbiamo trovato il giorno di Natale, impiccato a una trave del soggiorno. 
 
Stefano lentamente si gira, non capisce perché Diego abbia voluto raccontargli quella storia proprio ora. È sicuramente un ricordo molto doloroso e gli è difficile mostrarsi impassibile. 
 
-Mi dispiace per tuo zio. Ma… perché mi racconti questa cosa, oggi?
 
Chiede. Diego si avvicina a lui, in modo da non dover urlare, ora che sa di aver catturato la sua attenzione.  
 
-Perché mi ricordi lui. Hai alcuni atteggiamenti che lui aveva nei nostri confronti, sempre riservato su tutto, mai una parola su sé stesso, schivo se si andava a toccare certi argomenti. Non si è mai esposto su nulla, non ci ha mai permesso di entrare nella sua vita fino in fondo.  Finché poi… non c’è stato più. 
 
Stefano cerca di ribattere ma Diego lo precede. 
 
-Non sto dicendo che credo tu voglia condividere il suo stesso destino. Solo non voglio che tu, che nessuno, si senta giudicato come si è sentito lui. 
 
Fa una pausa e gli posa una mano sulla spalla, sorridendogli.
 
-Siamo una squadra, siamo amici, ci vediamo da anni tutte le settimane, almeno due volte a settimana. Siamo stati al matrimonio di Antonio e quello di Giacomo, abbiamo visto nascere e crescere la bambina del mister… ci confidiamo, raccontiamo tutti qualcosa di noi. Credo sia il momento che lo faccia anche tu. 
 
Stefano non dice nulla, si limita ad un impercettibile cenno col capo, che a Diego sembra essere sufficiente. Toglie la mano dalla sua spalla. 
 
-Fine delle domande. Ora andiamo, tra poco inizierà la partita.
 
Diego scende a passo rapido dalle tribune, andando a raggiungere gli altri membri della squadra che nel frattempo si stanno radunando e sono pronti al riscaldamento pre-partita. Stefano esita un attimo, prima di raggiungere la squadra. Le parole di Diego l’hanno sconvolto, è vero quello che ha detto sul suo essere riservato, sul non rivelare mai nulla di sé. Tenere separata la sua vita privata, la sua sessualità, dal calcetto è qualcosa a cui si è sempre attenuto scrupolosamente. Ha mostrato solo quello che voleva mostrare. Dall’inizio aveva temuto la presenza di Paolo in squadra perché aveva il terrore che rivelasse qualcosa del suo passato, eppure Paolo non ha mai detto nulla. Non ha neanche detto di essere stato suo compagno di scuola, al liceo, dal momento che Diego non sapeva nulla. È stato lui, nel rapporto che ha instaurato con Paolo, a destare sospetti. Non credeva che qualcuno potesse accorgersene, quando lui in primis ci ha messo del tempo per comprendere. 
 
-Ste! Veloce!
 
Lo chiama il mister, urlando e fischiando. Stefano non perde altro tempo e scende i gradini a due a due. Si unisce ai compagni che entrano nello spogliatoio e si prepara velocemente. 
I ragazzi della squadra avversaria arrivano quando loro hanno già iniziato a riscaldarsi, si tratta di una squadra di giovani, nessuno pare arrivare ai trent’anni. Insieme a loro arrivano anche alcuni spettatori, familiari o amici, che si posizionano sugli spalti. 
La partita inizia dopo circa una ventina di minuti, i due mister si stringono la mano e si presentano, l’arbitro fischia l’inizio e subito Stefano parte alla conquista della palla. Essendo i ragazzi avversari molto giovani, sono più veloci e meno appesantiti rispetto a loro anche se mancano di tecnica e non è difficile portar via loro il pallone. Stefano riesce a prendere il possesso di palla quasi subito, la passa a Simone che la tira in porta. Raggiungendolo per esultare con lui, l’occhio gli cade sulla tribuna e nota una figura, un uomo alto e snello con un cappotto lungo e nero, occhiali da sole modello aviatore dalle lenti specchiate, che sembra fargli un cenno di saluto con la mano. Stefano crede di essersi sbagliato, non conosce nessuno a Cesenatico. Senza pensarci troppo ritorna a concentrarsi sulla partita, dopo un paio di azioni riesce di nuovo a recuperare la palla, passandola a Giacomo che la passa di nuovo a Simone il quale segna un secondo goal. Il mister esulta da bordo campo, come se si stesse disputando una partita di Champions League, Stefano sorride soprattutto perché si tratta di un’amichevole e un po’ si dispiace per i ragazzi avversarsi, molto acerbi ma comunque agguerriti. 
La partita termina con la loro vittoria, quattro a uno. L’unico goal degli avversari è stata una concessione, stabilita nello spogliatoio nella pausa tra il primo e il secondo tempo, per permettere ai ragazzi avversario di esultare a loro volta e ringraziarli per essersi allenati con loro con quel pomeriggio. Dopo il fischio di chiusura, i membri delle due squadre si salutano, per poi entrare nello spogliatoio a lavarsi e cambiarsi. Prima di poter entrare nello spogliatoio, l’attenzione di Stefano viene catturata da un fischio. Si gira e nota di nuovo l’uomo di prima, ora più vicino a lui, appena fuori dal cancello del campo sportivo. Si guarda in giro, per assicurarsi che non stia chiamando qualcun altro ma in campo è rimasto solo lui. L’uomo si toglie gli occhiali: si tratta di Christian, il ragazzo conosciuto la sera prima. 
 
-Ti sei già dimenticato di me?
 
Chiede, vedendolo avvicinarsi. 
 
-Non ti avevo riconosciuto, da lontano. Come facevi a sapere che mi avresti trovato qui?
 
Domanda Stefano incuriosito. Christian sorride. Vederlo alla luce del sole fa un altro effetto, ha un viso molto simmetrico e lineare e uno sguardo profondo, i suoi occhi sono di una sfumatura di azzurro diversa rispetto a quelli di Paolo, sono quasi grigi. 
 
-Ti ho ascoltato quando mi hai detto che sei qui per giocare a calcio. Si da il caso che io, in quanto proprietario di un’attività commerciale, sia anche socio di alcune società sportive. Ho saputo che una squadra di Milano avrebbe giocato con una delle nostre amatoriali. Ho fatto due più due.
 
Risponde. 
 
-Beh. Bravo!
 
Commenta Stefano, con un po’ d’imbarazzo. Non si sarebbe certo aspettato che lo cercasse. 
 
-Stai molto bene in divisa sportiva, capelli sudati, fiatone… è un’immagine che voglio conservare fino a stasera. 
 
Stefano non sa come rispondere. Più che Paolo rivede in lui la schiettezza di Alberto e i suoi modi di fare diretti e senza filtri, il tutto condito con accento romagnolo e viso da modello. 
 
-Perché verrai stasera, vero?
 
Domanda, rivolgendogli uno sguardo fiero e fulmineo. Stefano deglutisce, non ha ancora una risposta alla sua domanda. 
 
-Potrei venire. 
 
Risponde, non ancora pronto a dire di no ma non del tutto certo di dire di sì. Christian gli sorride. 
 
-Ci conto. La sbarra la alzo alle 23, quella automatica della spiaggia intendo. La mia lascerò a te il compito di alzarla, quando e quante volte vuoi. 
 
Stefano immediatamente arrossisce, si guarda intorno nella speranza che nessuno sia ascoltando la loro conversazione. 
 
-Ci vediamo più tardi.
 
Lo saluta, infilandosi di nuovo gli occhiali da sole a andando via. Stefano rimane qualche istante immobile, finché la sua figura non diventa un puntino nero e si allontana dal suo campo visivo. Si sente inequivocabilmente eccitato e stuzzicato da Christian. Ancora non ha deciso cosa fare ma la curiosità di presentarsi da lui quella sera, lasciandosi trascinare dagli eventi, è molta. 
Indugia oltre e va dritto nello spogliatoio, dove alcuni compagni si stanno già vestendo o asciugando i capelli. Senza guardare in faccia nessuno, si dirige verso il proprio borsone per recuperare l’occorrente per la doccia. Lo spogliatoio è molto più moderno e organizzato del loro, ogni doccia è chiusa e indipendente, non deve condividere lo spazio con nessuno, cosa a cui è particolarmente grato in quel momento, sentendosi stuzzicato dalle parole di Christian. È già la terza doccia che si fa in neanche ventiquattro ore, inizia a temere che la sua pelle si squami con quella di un serpente, da un momento all’altro. Quando versa il bagnodoccia sul palmo della mano, il suo solito detergente al talco che usa da quando era ragazzino, si blocca perché i suoi pensieri lo riportano al profumo buono di quello dell’albergo, così simile a quello di Paolo. In quel momento quel brivido di eccitazione provato per Christian si smorza immediatamente e viene sostituto di nuovo dall’angoscia, dal senso di colpa, provocato dal desiderio di fare qualcosa che ritiene potrebbe ferire Paolo o in ogni caso compromettere il loro rapporto. Fa il possibile per non pensarci e si lava, con forza, sfregando energicamente ogni centimetro di pelle. Terminata la doccia si infila l’accappatoio e le infradito, pronto a vestirsi. Quasi tutti i compagni di squadra sono già usciti, solo alcuni si stanno ancora allacciando le scarpe o si stanno pettinando. Inizia a frugare nel borsone per trovare il sacchetto con i boxer e i calzini e, senza volerlo, urta il cellulare accendendo lo schermo. Vede subito una notifica di un messaggio da parte di Paolo, arrivata da circa un’ora. La apre e vede che si tratta di un messaggio vocale, non può e non vuole ascoltarlo con altre persone intorno a sé. Ripone il telefono nella borsa e va ad asciugarsi i capelli, cercando di prendere tempo nella speranza che lo spogliatoio si svuoti. Quando finalmente rimane solo, si siede sulla panca vicino al borsone e riproduce il messaggio di Paolo. Gli tremano quasi le mani.
 
-Ehi… ti faccio un vocale per praticità. Credo che da te sia pomeriggio, qui sono le undici di sera e sono già in pigiama, quello costoso stavolta, pronto per andare a dormire. Domani mattina presto, alle sei circa, partiremo per una gita turistica in un tempio qui vicino a Shanghai. Ho pensato… visto che da te saranno le undici di sera, ti va di farmi compagnia nel viaggio, con una videochiamata? Dovrebbe durare circa mezz’ora, tre quarti d’ora massimo. I miei compagni di viaggio temo non saranno di compagnia… ora sono al bar e suppongo usciranno, anche stasera, completamente devastati. Ti racconterò… comunque fammi sapere. Buonanotte… anzi, buon pomeriggio. 
 
Stefano rimane con lo sguardo fisso sul cellulare con la conversazione ancora aperta nel palmo della mano. È una strana sensazione sentire la voce di Paolo, proprio ora, dopo l’incontro con Christian. La sua proposta è interessante, potrà parlare direttamente con lui, non in differita, potrà vederlo, anche se attraverso lo schermo del cellulare. Non perde tempo e risponde subito al messaggio.
 
“Certo. Avvisami quando stai per chiamare, così mi metto in un luogo tranquillo. Buonanotte.” 
 
Ripone il cellulare e si veste. Mentre sistema le proprie cose, riflette sul fatto che sia la festa di Christian, sia la telefonata di Paolo avverranno alla stessa ora. Si sente come se il destino stesse giocando con lui, si trova esattamente davanti a un bivio: stare con Paolo al telefono oppure non rispondere alla chiamata e andare alla festa di Christian. È vero tuttavia che Christian gli ha detto di andare alla festa in qualsiasi momento, quindi potrebbe comunque fare entrambe le cose: parlare con Paolo e andare alla festa, una volta terminata la telefonata. Ma sarebbe corretto, nei confronti di Paolo? Certo non saprebbe nulla… a meno che i compagni di squadra non dicano nulla né scrivano nulla sul gruppo WhatsApp. E se anche lo venisse a sapere… Stefano non avrebbe comunque fatto nulla di sbagliato, tecnicamente, perlomeno. Prova a ipotizzare di essere al suo posto e crede che si sentirebbe tremendamente ferito da un comportamento simile, se lo facesse Paolo. Fa un respiro profondo: ha ancora un po’ di tempo per pensarci, per riflettere. Si mette in spalla il borsone ed esce, per raggiungere la squadra che aspetta solo lui per partire. 
Durante il viaggio, il gruppo decide di non rientrare subito, scegliendo di fermarsi a passeggiare per la città, approfittando delle ore di luce e di sole rimanenti. Stefano, che conosce la zona, si offre di portarli a vedere Porto Canale, un’area del centro particolarmente caratteristica con un bel ponte, un’isola pedonale ricca di negozi, botteghe e locali moderni. Mentre passeggia in gruppo con i suoi compagni di squadra, tutti entusiasti della sua scelta, immagina come sarebbe stato avere Paolo accanto. Si perde nei suoi pensieri finché si accorge di aver perso di vista il gruppo, li recupera solo qualche metro più avanti, intenti a sedersi ai tavolini esterni di bar per ordinare un aperitivo. Sono le cinque e mezza, il sole sta tramontando e il cielo ha assunto delle gradevoli sfumature rossastre, velate da nuvole rosa simili a zucchero filato, la superficie dell’acqua rispecchia perfettamente queste sfumature. Quasi tutti decidono di fare una foto al paesaggio, anche Stefano ne scatta una, che invia prontamente a Paolo, è tardi e la vedrà quando si sveglierà o ne parleranno al telefono. 
Terminato l’aperitivo, quando ormai la sera è calata e il cielo si è fatto scuro, la squadra fa finalmente rientro in hotel. Giusto il tempo di stendersi, darsi una rinfrescata ed è subito ora di cena. Al ristorante dell’albergo viene servita una cena leggera, un antipasto a buffet e un primo con vellutata di zucca accompagnata da crostini all’olio, il secondo prevede un arrosto con patate. Il tutto in previsione della festa di Halloween dove verranno serviti diversi tipi di dessert e dove ci sarà l’open bar. Quest’ultima informazione viene ben accolta da tutta la squadra. Saliti in camera, Diego e Antonio si preparano subito per uscire, sostituendo la tuta da trasferta con camicie e jeans un po’ più eleganti. Anche Stefano si prepara.
 
-Quindi non ci raggiungerai alla festa?
 
Domanda Diego, vedendolo cambiarsi. Stefano non ha intenzione di dire loro della videochiamata di Paolo né di dove potrebbe andare dopo. Ha apprezzato le parole di Diego e il suo racconto personale, di quel pomeriggio. Tuttavia non si sente ancora pronto per esporsi, per raccontare qualcosa che ancora sente troppo intimo. Se deciderà di condividere quel lato della sua vita con i compagni di squadra vuole farlo gradualmente, ai suoi termini. Non certamente ora, in un momento in cui è assalito dai dubbi e dall’angoscia. 
 
-No, uscirò a fare un giro più tardi… 
 
Risponde, svogliatamente, sistemandosi i capelli con le dita davanti allo specchio della stanza. 
 
-Sei un po’ troppo elegante per uscire solo a fare un giro. 
 
Commenta Antonio, con fare malizioso. In effetti Stefano ha scelto il suo abbigliamento con cura, ipotizzando di dover uscire. Indossa una camicia blu, a più sfumature con una trama geometrica romboidale su sfondo bianco, con bottoni a scomparsa, dei jeans lavaggio scuro con una cintura in cuoio color testa di moro, abbinata a delle sneakers eleganti con suola leggermente rialzata, del medesimo colore. Sopra la camicia ha previsto di indossare una giacca blu in cotone, dal taglio regolare e le spalle dritte, in quel momento appesa ad un’anta dell’armadio per riprendere forma, essendo rimasta due giorni schiacciata in valigia. 
 
-Beh, se cambi idea noi ti aspettiamo giù.
 
Lo invita Diego, indossando una giacca nera, simile alla sua. Lui e Antonio escono insieme, lasciando Stefano solo. Sono le dieci, manca ancora un po’ di tempo prima che Paolo lo contatti e prima che la festa di Christian abbia inizio. Cammina nervosamente per la stanza, cercando di contenere i pensieri per non esplodere. Osserva le persone camminare in strada, passare sotto il balcone. La maggior parte di essi sono ragazzi in costume. Indossa la giacca, che presume rimarrà comunque stropicciata fino al prossimo lavaggio ed esce a prendere un po’ d’aria. Si appoggia alla ringhiera del balcone e rimane ad osservare il movimento sottostante, pensando a quanto gli sarebbe gradita ora una delle sigarette di Alberto, se non la presenza di Alberto stesso, per chiacchierare insieme come sono soliti fare a casa sua. Realizza improvvisamente che in quel momento Alberto si trova con Giulio, alla cena conclusiva organizzata dalla sua banca con i formatori del corso d’inglese. Si chiede cosa succederà tra lui e Giulio, a parte l’ovvio. Si perde poi nei suoi pensieri e senza che se ne accorga, arrivano le undici. Inizia ad avvertire freddo, stando fuori senza cappotto e con solo una giacca leggera. Rientra in stanza e si dà di nuovo uno sguardo allo specchio, crede che Paolo apprezzerebbe il suo look, la sua camicia. Gli ha detto che sta bene con le camicie, anzi ha detto che gli piace quando indossa le camicie. Sono le undici e cinque e Paolo non ha ancora scritto alcun messaggio. Stefano inizia a pensare che abbia cambiato idea o che se ne sia dimenticato. Si butta sul suo letto, con un po’ di sconforto, indeciso su cosa fare. Potrebbe uscire e andare subito alla festa di Christian. Deve farsi coraggio e prendere una decisione. Prima che possa trovare la forza di alzarsi, il suo cellulare, riposto nella tasca anteriore dei jeans, vibra. Lo prende subito: si tratta di un messaggio di Paolo.
 
“Io ci sono se ci sei anche tu.”
 
 Immediatamente si mette a sedere più composto, appoggiando la schiena contro il muro, sistemandosi rapidamente i capelli. 
 
“Ci sono.”
 
Scrive, con impazienza. La chiamata di Paolo arriva in una manciata di secondi. Stefano non deve nemmeno riflettere, preme subito il tasto “accetta” ed eccolo là, buio, leggermente sfocato ma è lui, Paolo. Bello anche con i pixel a distorcere la sua immagine, riconoscibile tra un milione di visi. Stefano non può fare a meno di sorridere vedendolo e il suo cuore, di nuovo, sembra dimenticarsi di dover battere. 
 
-Ehi.
 
Lo saluta lui.
 
-Ehi.
 
Risponde Stefano. Si trova su quello che sembra essere il sedile di un pullman o un autobus, indossa una felpa azzurra, con cappuccio e cerniera. 
 
-Mi senti bene?
 
Domanda. 
 
-Sì. Ti vedo anche, abbastanza bene. 
 
Aggiunge. 
 
-Ottimo. Anche io ti vedo bene, come stai?
 
Stefano vorrebbe rispondere più sinceramente possibile. Sta bene, fisicamente, se non per un fastidioso senso di angoscia e oppressione che sembrano però essere svanite, nel momento stesso in cui Paolo è apparso sullo schermo del suo cellulare. 
 
-Sono stato meglio ma… non posso lamentarmi. Tu?
 
Sente Paolo sospirare. 
 
-Anch’io. Anzi, in questo momento sono tutto bloccato. I sedili di questo pullman sono strettissimi, non sono fatti per persone alte, con le gambe un po’ lunghe. Mi sento come una sardina in scatola. Guarda.
 
In quel momento gira la telecamera e vede sullo schermo le gambe di Paolo, che sta indossano dei jeans chiari, incastrate e piegate nello spazio tra il suo sedile e quello accanto, tenuto libero. L’immagine torna poi sul viso di Paolo.
 
-Sì, non deve essere particolarmente comodo. 
 
Commenta Stefano. 
 
-È una camicia, quella che stai indossando?
 
Domanda Paolo. Stefano annuisce, e porta il cellulare più vicino per mostrargliela. 
 
-Ti piace?
 
Chiede.  Paolo sorride. 
 
-Sì, molto. Sembri vestito elegante, devi uscire? Se devi andare da qualche parte non preoccuparti, mi ha fatto comunque piacere salutarti. 
 
Esclama. Stefano scuote il capo. È vero, non ha ancora rinunciato alla possibilità di andare alla festa ma non vuole chiudere la conversazione con Paolo, non finché non sarà lui a farlo.
 
-No, rimango qui. Raggiungerò gli altri più tardi, nella hall. 
Risponde, con una mezza verità. In realtà potrebbe farlo sul serio, dopo la telefonata potrebbe scendere dai suoi compagni di squadra e terminare così la serata, senza mentire a Paolo. 
 
-Ho visto la foto che mi hai mandato, bei colori. Cos’è? Il porto delle barche?
 
Domanda Paolo. Stefano annuisce.
 
-Porto Canale Leonardo, è una delle zone centrali e più turistiche di Cesenatico. Io ci sono stato già diverse volte in estate e un paio di natali da ragazzino, con i miei genitori. Fanno un presepe sulle barche in dicembre, tutto illuminato. Ti sarebbe piaciuto. 
 
Paolo sorride, quel suo sorriso che fa impazzire Stefano.
 
-Sicuramente. Vorrei essere lì anche io… 
 
Stefano per un attimo è tentato di rispondere: “Ti vorrei anche io qui con me” ma si trattiene, decide di cambiare discorso.
 
-Comunque… dov’è che stai andando esattamente?
 
-Un tempio celebre di Shanghai, non chiedermi il nome in cinese perché non ho proprio idea di come si pronunci. Comunque deve significare qualcosa come… tempio del drago o del fiore del drago. Se ho trovato quello giusto, su Google, dovrebbe essere quei classici templi a pagoda… 
 
Spiega Paolo. 
 
-È un bel nome. Scatta qualche foto, se riesci. 
 
Chiede Stefano, incuriosito. 
 
-Ci proverò. In teoria non si possono portare cellulari, all’interno del tempio. Però se lo userò come macchina fotografica non dovrebbero farmi storie. 
 
Risponde, facendo una smorfia e sistemandosi sul sedile.
 
-Avete proprio tutto organizzato lì, eh.
 
Suppone Stefano, immaginando il fitto programma di attività previsto per la permanenza di Paolo in Cina. 
 
-Non ne hai idea! A parte un paio di sabati, come ieri, non ho un attimo di respiro: incontri, corsi, esami, pratica, conferenze, visite guidate. Non è passata neanche una settimana e sono già stanco.
 
Confessa Paolo.
 
-Beh devo dire che anche il mister è un po’ cinese, ultimamente. Anche la nostra misera vacanza a Cesenatico è programmata al minimo dettaglio. Allenamenti, amichevoli, di nuovo allenamenti e poi la partita. Sembra ci stia preparando per la Champions… 
La sua affermazione fa ridere Paolo. Una risata sincera, di gusto. Stefano è felice di averlo fatto ridere, gli piace il suono composto della sua risata, gli era mancato. 
 
-Come è stato giocare sul quel bel campo, oggi? Vi siete divertiti?
 
Domanda. Stefano inizia allora a raccontare del campo, della partita, della squadra avversaria, i goal, incluso quello regalato agli avversari. Si lascia trasportare dal racconto e Paolo annuisce e ascolta con attenzione. Dopodiché è lui a chiedere a Paolo di parlargli di Shanghai, di quello che ha visto durante la passeggiata pomeridiana. Paolo descrive minuziosamente ogni peculiarità di Shanghai, perdendosi in dettagli tecnologici che Stefano non coglie pienamente ma che ascolta comunque con interesse, perdendosi nell’entusiasmo di Paolo. I minuti trascorrono rapidamente, tant’è che senza che nessuno dei due se ne accorga, Paolo arriva a destinazione. 
 
-Oh, credo di essere arrivato…  
 
Commenta, con sorpresa. Lo sente parlare in inglese, sta chiedendo delle informazioni.
 
-Sì, il mio interprete dice che siamo arrivati. Il tempio è laggiù… oh guarda, si intravede il portone!
 
Esclama poi, spostandosi e inclinando il telefono verso il finestrino del pullman, per permettere a Stefano di vedere uno scorcio del paesaggio. Stefano aguzza la vista e riesce a intravedere delle colonne rosse, dallo stile tipicamente cinese e dei decori dorati. 
 
-Lo vedo.
 
Conferma. Paolo sistema di nuovo il cellulare indirizzandolo verso se stesso. 
 
-Ci dobbiamo salutare. 
 
Annuncia. Stefano non è felice di sentire quelle parole, il tempo in sua compagnia è volato e vorrebbe poter rimanere ancora a parlare con lui. 
 
-Ah… certo.
 
Commenta, non riuscendo a dire altro. 
 
-Cercherò di mandarti qualche foto. E… ogni tanto mandami anche tu qualcosa, di tuo. Non solo paesaggi o schifezze che ti fai da mangiare. 
 
La richiesta di Paolo lo sorprende, gli ha chiesto esplicitamente non inviargli delle sue fotografie. D’altro canto, lui gliene ne manda spesso sue. Stefano non ama particolarmente scattarsi selfie o inviare fotografie ma crede che per Paolo potrebbe fare un’eccezione, è stupito e al tempo stesso felice per quella sua richiesta.
 
-Tenterò. 
 
Risponde, con il sorriso sulle labbra. Anche Paolo gli sorride. 
 
-Ci sentiamo presto. Buonanotte. 
 
Lo saluta Paolo. 
 
-Sì, a presto. Buona visita e buona giornata.
 
Lo saluta, a sua volta. Aspetta che sia Paolo a chiudere la conversazione. Quando lo vede sparire dallo schermo sospira. È quasi mezzanotte, i suoi compagni di stanza sono ancora al piano di sotto alla festa dell’albergo. Potrebbe ancora vestirsi e raggiungere Christian alla sua spiaggia e vedere cos’ha da offrirgli. 
 
Potrebbe ma non lo fa, non lo vuole fare
 
Perché qualsiasi cosa possa offrirgli stasera, non sarà mai abbastanza, paragonato a quello che potrebbe avere da Paolo, quando ritornerà. Per quanto Christian sia attraente, affascinante e interessante, non è Paolo e questo momento Paolo è tutto ciò che Stefano desidera. Inizia a sospettare di non aver mai avuto il desiderio concreto di andare a quella festa, di averla solo voluta considerare come un’opzione, come ennesimo tentativo di nascondere a se stesso i propri sentimenti nei confronti di Paolo. Si sente però ora finalmente pronto per accettarlo, ad ammettere di essere “nelle sabbie mobili”, come gli aveva detto Alberto qualche giorno prima, di essere ormai innamorato di Paolo. Ancora non sa come si evolveranno e se si evolveranno le cose tra di loro ma crede che iniziare ad accettare ciò che prova possa essere un buon punto di partenza. 
Dopo alcuni minuti di esitazione, decide di raggiungere i compagni di squadra nella hall dell’albergo. La festa non è ancora finita: c’è musica, alcuni compagni di squadra stanno ballando con le altre ospiti dell’albergo, altri ancora ballano da soli bevendo qualche cocktail. Il suo arrivo viene accolto da Diego, che gli porge un bicchiere di spumante.
 
-Pensavo fossi uscito. 
 
Stefano scuote il capo. 
 
-No, non sono andato da nessuna parte. 
 
Prende il bicchiere e ne beve un sorso. 
 
-Il tuo appuntamento ti ha dato buca?
 
Ipotizza. Stefano dapprima pensa di non rispondere, decide poi di essere più diplomatico.
 
-Sono stato io a dare buca. Ho capito di non volermi accontentare di una fetta di torta, voglio prendermi l’intero dessert: con panna, decorazioni e tutto quanto, quando ci sarà. 
 
Risponde, alludendo chiaramente a Paolo. Non è certo che Diego abbia compreso il suo riferimento e non era sua intenzione che capisse subito. Tuttavia, gli sorride e alza il bicchiere, proponendo un brindisi e mostrando di aver apprezzato la sua risposta. 
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Ed eccoci qui con un nuovo capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento. Come sempre, se vi va, fatevi sentire :) Vi auguro una buona fine e un buon inizio anno... appuntamento tra una settimana, circa!

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Capitolo 17
*** Profumo ***


È passata una settimana dalla trasferta, una settimana dal momento esatto in cui Stefano ha deciso di accettare definitivamente i suoi sentimenti nei confronti di Paolo. Non è cambiato nulla, tuttavia si sente decisamente più leggero, meno angosciato e ansioso, sebbene passi buona parte del tempo a controllare il telefono in attesa di un contatto da parte di Paolo, ancor più di prima. Ha iniziato a mandare anche lui messaggi di buon giorno o e buonanotte, a volte anticipando Paolo. Certo, ci impiega almeno un’ora ogni volta per decidere cosa scrivere, per trovare l’argomento adatto e per non sembrare opprimente, tuttavia lo fa ed è felice nel farlo. Se non fosse che, da una settimana, la comunicazione con Paolo, ad eccezione dei due o tre messaggi di buongiorno e buonanotte sia davvero limitata. Non ha più ricevuto nessuna foto da parte sua e nessun vocale. Immagina sia molto impegnato, come lui stesso gli ha detto durante la loro videochiamata, tuttavia è dispiaciuto di sentirlo così poco.
 
-Ste, ci sei?
 
Lo chiama Alberto, picchiando la porta dello spogliatoio in cui si trova. 
 
-Sì, scusa. Arrivo!
 
Risponde, riprendendo contatto con la realtà. È entrato per cambiarsi e ci è rimasto per circa dieci minuti, perdendosi nei suoi pensieri e rileggendo l’ultimo messaggio ricevuto da Paolo. Si tratta di una risposta ad un suo buongiorno nel quale gli chiedeva se, essendo sabato, avesse la giornata libera. 
 
“Buongiorno a te. Oggi niente giornata libera. Congresso dalle 9 alle 18, con cena di gruppo. Buon sabato.”
 
Sperava di potergli proporre una videochiamata, si rattrista constatando di non poterlo fare. Più rilegge quel messaggio e più gli sembra distaccato e freddo, quasi insolito da parte di Paolo. Si morsica il labbro nervosamente, al punto da farlo sanguinare. Con rassegnazione blocca il cellulare e lo ripone nel piccolo marsupio da sport che in quel momento sta indossando, come fosse una tracolla, sulla spalla destra. Raccoglie gli abiti che ha appena tolto ed esce dallo spogliatoio.
 
-Non ci speravo più!
 
Lo rimprovera Alberto, lanciandogli un asciugamano che Stefano afferra rapidamente, cercando nel frattempo di non far cadere i vestiti che tiene sottobraccio.
 
-Mi sono permesso di prendertelo dalla borsa, avevo paura che ci avresti perso un altro mezzo secolo se ti fossi messo a cercarlo.
 
Esclama infastidito. Stefano senza perdere altro tempo getta i vestiti, senza piegarli o sistemarli, sul proprio borsone e segue Alberto. Quella mattina si trovano insieme in palestra, quella frequentata da Alberto, per poter partecipare a un corso di fitness.  Stefano non frequenta le palestre, non è un ambiente che ama particolarmente, avendo sempre preferito allenarsi all’aperto con il calcetto. Ha deciso di accettare l’invito di Alberto semplicemente perché quella settimana il suo campionato è in pausa e non si è tenuto alcun allenamento a causa dell’assenza del mister, occupato da impegni familiari. Sentiva il bisogno di scaricare le energie e tenere la testa occupata, una semplice corsa o del jogging nel parco vicino a casa non erano sufficienti. 
Quel mercoledì, durante l’abituale serata giochi, Alberto aveva proposto all’intero gruppo di partecipare come suoi ospiti al nuovo corso di rafforzamento muscolare con pesi proposto dalla sua palestra. Nessuno aveva mostrato entusiasmo, Giulio si era tirato indietro dicendo di aver già prenotato una sessione di nuoto in piscina, proprio quel sabato mattina. Andrea e Luca avevano usato il lavoro come giustificazione, lasciando la patata bollente in mano a Stefano che non aveva potuto far altro che accettare, non avendo nessuna scusa e non essendosi potuto allenare per tutta la settimana. 
La palestra frequentata da Alberto è il classico ambiente snob, con enormi vetrate dalle quali è possibile vedere tapis-roulant, bici da spinning, vogatori e una vasta serie di macchinari da allenamento che Stefano non è in grado di riconoscere. Il rumore del rullo dei tapis-roulant, la musica da discoteca hard-core e l’odore di disinfettante misto a quello della gomma del pavimento, pervadono Stefano nel momento stesso in cui esce dallo spogliatoio: non è abituato a tutto ciò e crede che non sia assolutamente l’ambiente adatto a lui. L’utenza della sala pesi è in prevalenza maschile e si tratta nella maggior parte dei casi di fisici pompati, gonfi quasi in modo irrealistico, mostrati con fierezza al di sotto di tanktop di una misura sbagliata o canotte oversize dalle spalline sottili. Osservando Alberto, nota che anche lui si è ben uniformato con gli altri frequentanti della palestra, anche il suo top sembra essere un po’ troppo piccolo e risulta tirato sullo stomaco e così corto da arrivare a malapena all’elastico dei pantaloncini. Sa bene che per Alberto, come per molti altri, la palestra è principalmente un ambiente per rimorchiare e si chiede se assisterà ancora una volta a una delle sue azzardate azioni di rimorchio. 
 
-Vuoi metterti in fondo o davanti?
 
Gli chiede, indicandogli la saletta nella quale si terrà il corso. Stefano prima di rispondere si concede qualche istante per ispezionare la stanza: è quadrata e tutta nera, dal pavimento alle pareti, non ci sono finestre ma solo due porte che la collegano alle due ali della palestra, su muro è installato uno specchio che parte da terra e arriva quasi al soffitto, mentre quello opposto è occupato da un palco e da uno schermo bianco, dove probabilmente verrà proiettato un video. Le persone stanno iniziando ad arrivare munite di tappetino e panche da step. A differenza della sala pesi, sono presenti anche diverse donne, anch’esse muscolose a livelli quasi irreali ed estremi.
 
-Magari a metà?
 
Risponde Stefano, per nulla desideroso di farsi vedere in prima fila ma non volendo nemmeno essere a ridosso dello specchio. Alberto annuisce e gli fa cenno di seguirlo.
 
-Metti qui gli asciugamani, per tenere il posto. Vado a prendere gli step. 
 
Suggerisce, allontanandosi. Stefano ne approfitta per continuare a guardarsi in giro, cercando di scorgere un ragazzo che possa essere bersaglio delle attenzioni di Alberto. Ad un primo sguardo non nota nessuno di particolarmente interessante, perlomeno nessuno che possa rientrare nei gusti di Alberto. Si accorge poi un ragazzo, probabilmente della loro stessa età, con fisico normale, muscolatura appena accennata, di statura media. Ha i capelli rasati e porta il pizzetto. Non è il tipo di ragazzo che solitamente cattura l’attenzione di Alberto, tuttavia ha diversi elementi in comune con Giulio. 
 
-Tieni, metti l’asciugamano sopra lo step. 
 
Afferma Alberto, posando gli attrezzi a terra. Stefano fa ciò che gli è stato detto, poi si siede sullo step, seguendo l’esempio di Alberto che però è impegnato a sistemare il bilanciere sul quale sta caricando i dischi dei pesi. 
 
-Devo prenderlo anche io?
 
Chiede. Alberto annuisce.
 
-Te lo porta l’istruttore. 
 
Spiega. Stefano non ha mai fatto esercizi con il bilanciere, raramente usa i pesi e di solito sono i classici manubri da 5kg, mentre Alberto ha preparato il proprio bilanciere con quattro pesi, due per parte, composti da due dischi da 5kg e altri due da 2,5kg. Ai suoi piedi nota altri due dischi, sempre da 5kg. 
 
-Come hai detto che si chiama questo corso?
 
Domanda. 
 
-Bodypump. 
 
Risponde Alberto, iniziando a fare un po’ di stretching con il collo e le spalle. 
 
-E tu sei in grado di alzare tutti quei pesi, senza fatica?
 
Domanda Stefano, scettico. Alberto fa una smorfia. 
 
-La fatica deve esserci, altrimenti non è allenamento. So che tu sei abituato a fare cardio e a correre come uno scemo tutto il tempo ma la vera palestra è ben altro.
 
Risponde, con il suo solito tono sprezzante. Nel frattempo la sala si riempie, uomini e donne di diversa età iniziano ad affollarsi e a posizionare i propri attrezzi. Stefano continua a guardarsi in giro e ad osservare, un po’ annoiato, chiedendosi quando inizierà la lezione. Alberto si è alzato dallo step e sta continuando il suo riscaldamento individuale, passando a riscaldare la parte inferiore del corpo. Anche gli altri partecipanti si alzano e si riscaldano, a coppie o in modo individuale. Stefano per non sentirsi escluso si alza a sua volta e replica gli stessi movimenti, lo stretching non è nulla di nuovo per lui, fa parte dei suoi allenamenti da calcio. Girandosi per riscaldare il collo, nota che il ragazzo simile a Giulio li sta osservando. 
 
-Albe, lo conosci quel tipo?
 
Chiede, avvicinandosi ad Alberto.
 
-Chi?
 
Domanda lui, alzando lo sguardo, senza fermarsi. 
 
-Quello con i pantaloncini della Juve. Capelli rasati, barbetta… 
 
Risponde, cercando di non farsi notare dal ragazzo. Alberto lo guarda velocemente. 
 
-No, mai visto. 
 
Commenta, con scarso interesse. 
 
-Ti piace?
 
Domanda Stefano incuriosito. Alberto non ci pensa neanche per un istante. 
 
-Ma per carità! Ti pare che possa piacermi un tipo del genere?
 
Ribatte, quasi infastidito dalla domanda. 
 
-Non trovi che assomigli un po’ a Giulio?
 
Chiede. Alberto interrompe il riscaldamento, si mette in posizione eretta e gli lancia uno sguardo fulmineo, senza aggiungere altro. Stefano sorride, sperava di ottenere una reazione da parte di Alberto, dal momento che non ha saputo più nulla circa la loro cena insieme. Avendoli osservati mercoledì sera non ha notato niente di insolito ma non può fare a meno di chiedersi se sia successo qualcosa tra loro. 
 
-Eccomi Albe, mi avevi cercato?
 
Esclama una voce alle loro spalle. Entrambi si girano, si tratta di un uomo sulla cinquantina circa. È molto alto, anche più di Stefano, indossa una canotta larga arancione con le spalline strette che ricadono sui pettorali gonfi e muscolosi, unti di un qualche olio idratante e un paio di shorts, più simili ad uno slip che a un pantaloncino sportivo. È abbronzato, dal viso squadrato e la mascella prominente, ha i capelli neri molto lunghi, raccolti in uno chignon alto. 
 
-Sì, Mauro. Oggi ti ho portato il mio amico, Stefano. Dovresti preparargli i pesi. 
 
Risponde Alberto, con tono stranamente pacato e cordiale. Stefano deduce che sia l’istruttore che terrà il corso. 
 
-Oh, hai portato un ospite! Benissimo. Piacere, Mauro, sono l’istruttore. 
 
Si presenta, porgendo la mano a Stefano che la stringe. La stretta di mano di Mauro è, ovviamente, forte e vigorosa. Stefano lo guarda bene in volto, ha un bel sorriso, sebbene il viso sia del tutto ordinario e per niente affascinante. 
 
-Non mi sembri proprio un principiante, Stefano. Possiamo cominciare con i pesi da 5 chili? Ce la fai?
 
Domanda. Stefano annuisce, non ha idea di come sia strutturato l’allenamento ma ritiene di potercela fare. 
 
-Ottimo. Ti metto anche due da due e mezzo, da usare dopo il riscaldamento. Arrivo subito. 
 
Esclama, sorridendo. 
 
-Lui non mi chiedi se mi piace?
 
Chiede Alberto, con tono soddisfatto, non appena Mauro è sufficientemente lontano. Stefano fa una smorfia. 
 
-No. Perché? Ti interessa?
 
Chiede, stupito. Alberto fa spallucce, nel frattempo Mauro ritorna da loro, porgendo a Stefano il bilanciere e due pesi sciolti.
 
-Ecco qua. Bilanciere e pesi! Come ti ho detto, i due da due e mezzo li metti dopo, quando vi dirò di aumentare i pesi. Preparatevi che iniziamo.
 
Esclama, facendo l’occhiolino ad Alberto e dandogli una pacca sul sedere. Stefano è a dir poco sorpreso dal quell’atteggiamento. Si gira verso ad Alberto con sguardo confuso, in cerca di una spiegazione, tuttavia lui lo ignora, si china per prendere il bilanciere e allarga le gambe mettendosi in posizione per iniziare. Stefano non ha il tempo di indagare o di fare domande, poiché nel giro di pochi istanti le luci della stanza vengono spente, l’unica fonte di illuminazione sono dei neon stroboscopici proiettati da una sfera vicino al palco che riflette sui muri scuri della palestra, mentre lo sfondo bianco dietro al palco proietta delle immagini di persone che si allenano. Mauro sale sul palco.
 
-Ciao a tutti! Inizia ora la nostra lezione di bodypump. Bilanciere in mano, riscaldamento. Seguite i miei movimenti: 3…2…1… go!
 
Anche la musica parte insieme all’allenamento, le stesse canzoni techno ed elettronica riprodotte nella sala dei pesi. Stefano si trova per un attimo spaesato: il buio, le luci e quella musica a volume fastidiosamente alto gli danno più l’impressione di trovarsi in una discoteca. Si guarda intorno e vede che tutti eseguono l’esercizio senza difficoltà, seguendo i movimenti dell’istruttore. Alberto sembra essere particolarmente concentrato con lo sguardo fisso davanti a sé, puntato verso il palco. Non può fare a meno di chiedersi cosa ci sia tra lui e Mauro, l’istruttore. Decide di indagare più tardi, ad allenamento finito. Cerca di concentrarsi ed eseguire gli esercizi a sua volta. 
L’allenamento dura quaranta minuti, di cui gli ultimi cinque dedicati agli addominali. Stefano non ha avuto grosse difficoltà nel sollevamento pesi, ad eccezione di un esercizio sullo step per allenare il petto e un altro sulle spalle. Non può dire tuttavia di averlo apprezzato, la musica troppo alta e l’ambiente in generale l’hanno infastidito. Quando finalmente vengono riaccese le luci, strizza gli occhi quasi d’istinto. 
 
-Allora? Piaciuto?
 
Domanda Alberto. Stefano apre gli occhi, lentamente, poi si gira verso di lui. 
 
-Neanche un po’. 
 
Risponde, sinceramente. Alberto porta gli occhi al cielo. 
 
-A volte dimentico che per te esiste solo il calcio… 
 
Ribatte con rassegnazione. La palestra intanto si svuota e Mauro si avvicina a loro.
 
-Allora? Come è andata?
 
Domanda. È sudato, la canottiera che indossa è così bagnata da essere appiccicata al corpo, ha sciolto i capelli che ora ricadono morbidi fin sotto le spalle. 
 
-Bello ma non fa per me, grazie.
 
Risponde Stefano, mettendosi l’asciugamano sulle spalle. Mauro pare dispiaciuto dalla sua risposta. 
 
-Eh… per lui solo pallone. Ci ho provato!
 
Interviene Alberto, riducendo le distanze con Mauro. 
 
-Allenamento bello tosto oggi. 
 
Aggiunge, sistemando con l’indice una spallina della canottiera di Mauro, indugiando sul suo capezzolo. Mauro gli sorride. 
 
-Stanco?
 
Gli domanda. Alberto scuote il capo. 
 
-Certo che no.
 
Stefano capisce dai loro discorsi che tipo di relazione intercorra tra i due. Non è nulla di insolito, trattandosi di Alberto. Tuttavia Mauro non è per nulla il suo tipo ed è decisamente più vecchio rispetto ai suoi standard. 
 
-Passa in ufficio, dopo. Ciao Stefano, mi ha fatto piacere conoscerti. 
 
Esclama Mauro, girandosi verso Stefano e porgendogli di nuovo la mano. Questa volta la stretta è più delicata e più breve. Dà un ultimo sguardo ad Alberto, dopodiché esce dalla stanza. Stefano non chiede nulla ad Alberto, aspetta di raggiungere lo spogliatoio. 
 
-Guardo se ci sono docce libere.
 
Annuncia Alberto. Stefano si siede sulla panca dove ha riposto il proprio borsone, ne approfitta per togliersi il marsupio per controllare il cellulare. Non c’è nessun altro messaggio da parte di Paolo. Si alza e scorge il proprio riflesso in uno specchio, davanti a sé. Sebbene abbia il viso arrossato e i capelli schiacciati e scomposti, si trova stranamente attraente. Che sia merito dell’allenamento o delle luci bianche dello spogliatoio, non è in grado di dirlo. Tuttavia decide di scattarsi un selfie. Cerca di essere più naturale possibile, di non tenere lo sguardo troppo basso né di sorridere troppo. Quando è soddisfatto scatta la foto. 
 
Non male…
 
Pensa. Ha scattato quella foto per un motivo ben preciso: inviarla a Paolo. È stato lui stesso a chiedergli di inviare delle sue foto e in quel momento si sente abbastanza sicuro di sé per farlo. Apre la chat, carica la foto e sceglie di non riguardarla, per evitare di avere ripensamenti. La invia e solo dopo aggiunge un commento.
 
“Oggi allenamento in palestra. Stanco ma soddisfatto 🏋️‍♂️
 
Spera che Paolo risponderà alla sua foto inviandone una a sua volta. 
 
-C’è libero, vieni. 
 
Lo chiama Alberto. Stefano posa il cellulare prende le ciabatte infradito, l’asciugamano e la pochette da bagno e raggiunge Alberto. La doccia scelta da Alberto è doppia ma chiusa, Alberto si è già spogliato e ha già iniziato a lavarsi. Stefano inizia a spogliarsi e solo quando arriva ai boxer si rende conto che è la prima volta che fa una doccia con Alberto, che lo vede nudo. Certo, sono stati in vacanza insieme e gli è capitato di vederlo in mutande ma mai completamente nudo e per un attimo si blocca. 
 
-Beh? Che aspetti?
 
Lo chiama Alberto, girandosi solo a tre quarti. Stefano si toglie i boxer e li getta a terra, accanto agli altri vestiti, dopodiché si mette sotto la doccia, aprendo subito il getto d’acqua. Cerca di non fissare Alberto e fa il possibile affinché lo sguardo finisca proprio lì dove non dovrebbe guardare. Alberto sembra molto più rilassato di lui, tiene gli occhi socchiusi e si insapona il petto.  Stefano fa un respiro profondo, sperando che Alberto non se ne accorga e inizia a lavarsi. Prende dalla pochette una bustina di docciaschiuma, è quello dell’albergo di Cesenatico dove è stato la settimana precedente, il bagnoschiuma all’ambra che gli ricorda il profumo di Paolo. Prima di andarsene aveva preso tutte le bustine rimaste e le aveva messe in borsa. Ne preleva un po’ ed inizia a insaponarsi, cercando di tenere gli occhi chiusi e di non guardare in direzione di Alberto. Respira il profumo forte del suo bagnoschiuma, riportando ancora una volta alla mente il profumo di Paolo. Si perde nella propria immaginazione e non si accorge che, nel frattempo, Alberto ha terminato la doccia ed è uscito. Rimane ancora qualche minuto da solo, risciacqua con cura ogni traccia di sapone, dopodiché si avvolge nel telo da doccia ed esce. 
 
Alberto si sta già vestendo. 
 
-Sei veloce.
 
Esclama, vedendolo infilarsi i jeans. 
 
-È la doccia della palestra, non una spa. 
 
Ribatte lui. 
 
-Pranziamo insieme?
 
Domanda Stefano, sistemando i vestiti sporchi nel borsone e prendendo la biancheria pulita. 
 
-Ho già un impegno. Non hai sentito Mauro, prima?
 
Gli chiede lui, spruzzandosi addosso il deodorante. Stefano ha sentito bene ma vuole una conferma da parte sua. 
 
-Quindi ti fai anche lui… 
 
Deduce, cercando di mantenere un tono neutro. Alberto gli rivolge uno sguardo confuso.
 
-Che c’è di strano?
 
Chiede. Stefano sospira. Prima di rispondere si infila i boxer, facendo ben attenzione ad infilarli con addosso l’asciugamano, senza spogliarsi davanti a tutti. Quando è certo di averli messi correttamente lascia cadere a terra l’asciugamano bagnato. 
 
-Nulla. Non mi pare proprio il tuo tipo.
 
Alberto pare infastidito dalla sua affermazione. 
 
-Perché credi che io abbia un tipo?
 
Domanda. Stefano continua a vestirsi, si limita a fare spallucce, senza guardare Alberto negli occhi. 
 
-Quale sarebbe il mio “tipo”, secondo te?
 
Insiste. Stefano questa volta si gira verso di lui, lo guarda negli occhi, sembra davvero irritato. 
 
-Giovane, sbarbato, magrolino… di solito cerchi quello. 
 
Spiega, riferendosi ai ragazzi che nel corso degli anni gli ha visto rimorchiare un po’ ovunque. Alberto aggrotta la fronte e fa una smorfia.
 
-Però tu non rientri nella descrizione. 
 
 Risponde con tono aspro, sorprendendo Stefano. Non si aspettava una risposta del genere da parte sua. Non aveva più fatto riferimento all’attrazione che prova nei suoi confronti. 
 
-No, neanche Giulio. 
 
Ribatte, rispondendo la prima cosa che gli passa per la mente. Questa volta è Alberto a rimanere sorpreso. Dapprima spalanca gli occhi con stupore poi, lentamente, i muscoli del suo viso si irrigidiscono e le labbra si incurvano fino a formare una smorfia.
 
-Cosa c’entra Giulio?
 
Domanda, quasi a denti stretti. 
 
-Mi hai detto che vi frequentate, pensavo che… 
 
Alberto scuote il capo. 
 
-Pensavi male. Ti ho detto che scopiamo, è diverso. Mi dispiace Stefano, davvero, ma io non sono come te. Io non sto dietro a nessuno, è il contrario semmai. 
 
Risponde, duramente. Stefano è abituato a quel tipo di reazione da parte sua, quando viene preso alla sprovvista o quando viene infastidito è solito irrigidirsi e rispondere a malo modo, senza misura. Decide di non dare troppo peso alle sue parole. 
 
-Come vuoi. Divertiti! Ci vediamo stasera. 
 
Esclama, mettendo in spalla il borsone e uscendo dallo spogliatoio. 
 
 
 
Stefano attende per tutta la giornata una risposta da parte di Paolo che, sebbene abbia visualizzato la fotografia, non scrive nulla né commenta. Dopo aver controllato per la centesima volta si arrende e inizia a prepararsi per uscire. Uscirà con i suoi amici e si ritroveranno nel solito pub, lo stesso del compleanno di Alberto, dove sono soliti riunirsi prima di andare a ballare o quando non hanno altro posto dove andare.
Arrivato al locale è sorpreso nel vedere Alberto, da solo, fuori dal locale a fumare, generalmente aspetta il suo arrivo prima di accendere una sigaretta. Si chiede se non sia ancora in collera con lui per la discussione avuta in palestra.
 
-Ehi… non mi aspetti neanche?
 
Lo rimprovera. Alberto gli porge la sigaretta. 
 
-L’ho accesa adesso. 
 
Non sembra arrabbiato ma neanche troppo allegro, non lo guarda negli occhi se non di sfuggita. Stefano prende la sigaretta dalle dita di Alberto. 
 
-Gli altri sono già arrivati?
 
Chiede, dopo aver fatto un tiro. Alberto annuisce.
 
-Sono dentro. 
 
Conferma. Stefano fa un altro tiro poi restituisce la sigaretta ad Alberto che la finisce con rapidità, facendogli cenno di entrare. Nel locale, Stefano nota con sorpresa che al loro solito tavolo ci sono solo Andrea e Luca, manca Giulio. D’istinto si gira verso Alberto per chiedergli spiegazioni poi si blocca, ricordandosi della discussione in palestra. Saluta gli altri due amici e si mette a sedere, senza fare domande.
Dopo il primo giro di drink, a base di sambuca per Stefano e negroni per tutti gli altri, iniziano a discutere sulla meta della serata, facendo delle proposte.
 
-Quindi che si fa?
 
Chiede Luca, finendo il suo drink. 
 
-Hai proposte?
 
Domanda Andrea, giocherellando con la cannuccia. Alberto è stranamente silenzioso, ha ordinato un secondo giro ma non ha ancora iniziato a bere. 
 
-Plastic?
 
Suggerisce Luca, alzando nel frattempo il braccio per chiamare il cameriere. Andrea fa una smorfia. 
 
-Troppo pieno di sabato… 
 
Stefano non partecipa alla discussione, per lui ogni locale è uguale all’altro, non ha particolari preferenze. 
 
-Toilet? Però non so se faranno qualcosa stasera… 
 
Suggerisce di nuovo Luca, dopodiché ordina anche lui un secondo giro di negroni. 
 
-No, è solo discoteca stasera. Non ci sono eventi.
 
Conferma Andrea. 
 
-Che palle… non vorrete andare ancora al Vogue? Ci siamo stati mille volte. 
 
Esclama Luca, stanco di fare proposte a vuoto. Andrea sembra proprio intenzionato a scegliere quell’opzione.
 
-È il migliore! Poi mi pare che Giulio andasse lì… o no?
 
Domanda, rivolgendo uno sguardo prima a Luca, poi ad Alberto. Luca risponde con un’occhiataccia, mentre Alberto fa finta di non averlo sentito, continua a bere il suo drink in silenzio. Stefano non sa se intervenire o rimanere in silenzio. 
Alberto beve tutto d’un fiato il suo drink poi si alza, improvvisamente. Stefano convinto che stia andando a fumare si alza a sua volta. Alberto si gira verso di lui, infastidito. 
 
-Perché ti sei alzato?
 
Chiede. 
 
-Pensavo andassi a fumare… no?
 
Ribatte. 
 
-Sto andando a pisciare. Se vuoi venire con me e tenermelo, fai pure. 
 
Risponde, aspramente. Stefano si rimette a sedere, mentre Andrea si lascia sfuggire una risatina. Quando Alberto si è allontanato, Stefano decide di chiedere spiegazioni ai suoi amici. 
 
-Voi sapete cos’ha in mente?
 
Domanda. Luca annuisce. 
 
-È sicuramente incazzato perché Giulio è uscito con un tipo stasera.
 
Spiega. 
 
-Non solo stasera, anche ieri. L’ha conosciuto ieri e ci è uscito anche oggi…
 
Aggiunge Andrea, guardandosi in giro per essere certo che Alberto non stia tornando. Stefano inizia a comprendere l’atteggiamento di Alberto in palestra e le sue risposte brusche e senza filtri. 
 
-Un po’ gli sta bene, lo tratta sempre male. Fossi in Giulio coglierei l’occasione per allontanarlo. 
 
Commenta Luca. Andrea non è d’accordo. 
 
-No, dai… non voglio perdere l’amicizia di Giulio.  
 
Spiega, con tono seriamente dispiaciuto. 
 
-Quindi l’ha detto anche a voi?
 
Esordisce Stefano. Sia Andrea sia Luca gli rivolgono uno sguardo confuso. 
 
-Alberto, dico, vi ha detto che… scopano?
 
Entrambi rimangono letteralmente a bocca aperta, da ciò Stefano deduce che non sapessero nulla ma che le loro fossero solo, lecite, supposizioni.
 
-L’ha detto a te?
 
Chiede Luca, stupito. Stefano non è sicuro se confermare, dal momento che Alberto gli ha chiesto di non dire nulla. Annuisce, senza aggiungere altro. 
 
-Cazzo. Allora è seria la cosa…
 
Conclude Andrea. Il discorso poi si interrompe perché Alberto ritorna al tavolo. 
 
-Avete deciso?
 
Domanda. 
 
-Sì, andiamo al Vogue.
 
Risponde Luca, in modo provocatorio. Alberto non reagisce alla provocazione. 
 
-Va bene, andiamo. 
 
Risponde, con tono relativamente calmo. 
 
 
Arrivati al locale, si ritrovano in fila in attesa di poter entrare. La fila è molto lunga e dura circa mezz’ora. Andrea e Luca continuano a chiacchierare tra di loro, mentre Alberto fuma almeno due sigarette, una dopo l’altra, senza offrirne nemmeno una a Stefano. Quest’ultimo si chiede se tutta la serata trascorrerà in quel modo: con Alberto arrabbiato, collerico e con i nervi a fior di pelle e con Andrea e Luca che cercano in tutti i modi di stuzzicarlo. Fa piuttosto freddo e Stefano, non pensando di dover aspettare fuori al freddo per così tanto tempo, è vestito troppo leggero. La giacca che indossa è di cotone, così come la camicia al di sotto di essa. Si stringe nelle spalle, cercando di riscaldarsi e di non tremare. 
 
-Ste, va bene risparmiare, però cazzo! Li vuoi spendere sti due euro per il guardaroba?
 
Commenta Alberto, togliendosi la sciarpa, uno telo grande con una trama in tartan bianca e beige di un tessuto in lana spesso. La srotola e la avvolge attorno alle spalle di Stefano, come se fosse uno scialle, poi gli passa un braccio dietro alle spalle, iniziando a massaggiare il suo avambraccio per riscaldarlo. 
 
-Vale la pena congelare per due euro? Ne spendi cinquecento all’anno per quel cazzo di stadio e ci andrai due volte!
 
Prosegue, con tono polemico. Stefano vuole ribattere ma non riesce ad aggiungere nulla, vorrebbe dire che non era sua intenzione risparmiare sul deposito del guardaroba, che semplicemente quando si è vestito qualche ora prima a casa non credeva che sarebbero rimasti in piedi al freddo, per molto tempo. Si sente stranamente a suo agio, al caldo, con Alberto accanto. Non è la prima volta che lo abbraccia o che fa qualcosa di gentile nei suoi confronti eppure, dato il suo carattere e il suo modo di fare, se ne sorprende sempre. 
 
-Lo so che preferiresti avere il tuo biondo qui… anzi, probabilmente lui è del tipo che si toglie la giacca e ti ci fa camminare sopra per non farti entrare nelle pozzanghere. Però lui è in Cina e io sono qui… questo è ciò che passa il convento. 
 
Aggiunge, stringendogli più forte il braccio. Stefano è totalmente sopraffatto dalle sue parole, cerca di rispondere e rassicurare Alberto. Ha notato una strana malinconia nella sua affermazione. Viene però interrotto da Andrea.
 
-Oh c’è Giulio là davanti! Giulio!! Giù! Siamo qui!
 
Inizia a chiamarlo e Giulio si gira. Si trova poco più avanti di loro nella fila, è abbracciato a un ragazzo, probabilmente quello a cui si riferivano Andrea e Luca. Stefano con la coda dell’occhio osserva la reazione di Alberto. Sembra impassibile e si limita a una leggera smorfia, incurvando le labbra verso il basso. Giulio li saluta e fa a loro cenno di raggiungerlo, tagliando un po’ di fila. Andrea e Luca non se lo fanno ripetere due volte e si fanno spazio tra la gente, Stefano esita, aspetta che sia Alberto a muoversi. Quest’ultimo si stacca da lui ma non si muove, rimane a fissare i loro amici a distanza. 
 
-Li raggiungiamo?
 
Lo incoraggia Stefano. Alberto tiene lo sguardo fisso, sta osservando Giulio, il quale chiacchiera con Andrea e Luca e pare stia presentando loro il ragazzo in sua compagnia. 
 
-Non sono molto più avanti rispetto a noi, non cambia niente. 
 
Risponde Alberto, senza distogliere lo sguardo. Stefano sospira, sperava davvero di accorciare la fila ed entrare al caldo. Si stringe ancor di più nella sciarpa di Alberto e rimane in fila, accanto a lui. Prima che possano entrare nel locale passa un altro quarto d’ora, il resto del gruppo riesce ad entrare circa cinque minuti prima. Entrati nel locale, davanti alla fila per il guardaroba, Stefano restituisce la sciarpa ad Alberto.
 
-No, tienila. Sta meglio a te e poi farà ancora più freddo quando usciremo da qui dentro…
 
Risponde Alberto, consegnando il proprio cappotto e prendendo il cartellino con il numero assegnato al suo indumento. Entrati nella sala da ballo, Stefano cerca di scorgere Andrea e Luca per poter riunire il gruppo, Alberto invece va direttamente al bar per ordinare un cocktail. Decide di seguirlo, il suo umore sembra ulteriormente peggiorato nell’ultimo quarto d’ora e non vuole lasciarlo da solo. Cerca di avvicinarsi a lui ma viene bloccato dalla fila, riesce a vederlo: ha ordinato da bere e sta aspettando di essere servito, tiene lo sguardo fisso sul bancone, non ha nemmeno iniziato la sua solita ispezione per cercare il ragazzo con cui passare la serata. Stefano sbuffa e cerca di farsi spazio, due persone lo separano da Alberto, si tratta di due ragazzi che si sono messi a chiacchierare e flirtare uno di fronte all’altro, noncuranti di aver bloccato la fila. 
 
-Permesso, scusate.
 
Chiede Stefano, cercando di farli spostare. Loro non lo ascoltano o fanno finta di non ascoltarlo e continuano la loro conversazione, come se fossero gli unici presenti nella stanza. Stefano cerca allora di farsi notare da Alberto, sbracciandosi e chiamandolo ma lui è girato e non lo sente. In quell’esatto momento al bancone arriva Giulio, è vicino ad Alberto e inizia a parlare con lui. Stefano preferisce restarsene in disparte, cercando di capire che cosa si stiano dicendo, ora che sono soli e non c’è nessuno del gruppo ad ascoltarli. Non è facile ascoltare la loro conversazione con la musica alta e il brusio di sottofondo. Fortunatamente i due ragazzi davanti a Stefano si spostano quanto basta per permettergli di osservare più da vicino. Giulio sembra piuttosto tranquillo, parla con tono pacato e ha una postura morbida e rilassata. Alberto invece fatica a guardarlo, rimane chino sul bancone, con lo sguardo fisso sul suo cocktail e i gomiti puntati. Giulio gli chiede qualcosa ma la musica copre completamente la sua voce e Stefano non è in grado di leggere il labiale, ancor meno nella penombra e con quelle fastidiose luci stroboscopiche. Vede però l’atteggiamento di Alberto cambiare: si allontana dal bancone e si mette in posizione eretta, completamente girato verso Giulio. Probabilmente anche lui sta parlando perché Giulio lo osserva in silenzio, mantenendo una strana smorfia sul viso e la fronte aggrottata. Stefano cerca di avvicinarsi ancora di più e, approfittando di un buco tra la folla, riesce a mettersi quasi alle spalle di Alberto, riuscendo a rimanere nascosto dietro la schiena di un uomo piuttosto alto e robusto. Da quella posizione li sente parlare, anche se non è facile decifrare le esatte le parole dei due. Riesce però comprendere quasi interamente una frase di Giulio.
 
-… ah sì? Ma tanto che ti importa? Adesso che Stefano è solo te lo puoi abbracciare e stringere quanto ti pare. 
 
Non riesce a sentire la risposta di Alberto ed è costretto a spostarsi, perchè la persona che lo separava da loro se n’è andata e non vuole che si accorgano che li stava ascoltando. Arretra, cercando di nascondersi ma in quello stesso momento Giulio si allontana, lo vede voltare le spalle ad Alberto e andar via verso la pista da ballo, furiosamente. Anche Alberto si gira e riprende in mano il suo drink, dando questa volta le spalle al bancone del bar. Lo raggiunge.
 
-Ti stavo cercando.
 
Esclama, mettendosi vicino a lui. Alberto non lo guarda, tiene gli occhi fissi sul bicchiere del drink. 
 
-Hai già ordinato? Cos’è? Long island?
 
Insiste. Questa volta alza lo sguardo e gli porge direttamente il bicchiere. Stefano lo prende e lo annusa, dall’odore sembra proprio essere un Long Island. 
 
-Vado a farmi un giro.
 
Annuncia Alberto, lasciando Stefano al bancone, da solo con il bicchiere in mano, per dirigersi verso la pista da ballo.
 
 
***
Lunedì al lavoro la mattinata scorre veloce. Stefano si sorprende nel leggere sul monitor l’orario.
 
-Sono già le dieci e mezza!
 
Esclama ad alta voce per attirare l’attenzione di Alberto. 
 
-Sì, adesso andiamo.
 
Risponde lui, senza smettere di lavorare. Sta inserendo dei dati in una tabella ed è molto concentrato. Stefano l’ha osservato per tutta la mattinata, sembra relativamente sereno. Non hanno avuto modo di parlare ma pare è meno irritato, rispetto a sabato. Non si sono più sentiti e in realtà non parla con lui da sabato sera, quando l’ha lasciato al bancone con il drink in mano, per andare alla ricerca di qualcuno con cui passare la serata. Stefano era rimasto per circa mezz’ora, da solo, ad aspettare che tornasse ma non l’aveva fatto e al contempo non era riuscito a ritrovare nessuno dei suoi amici. Il che l’aveva portato a decidere di ritornare a casa. Non era suo interesse rimanere in discoteca da solo e non cercava alcun tipo di compagnia. 
 
-Andiamo?
 
Lo invita Alberto, alzandosi dalla scrivania. Stefano lo segue fino alla zona ristoro. Alberto dopo aver preso il suo solito mokaccino si mette a sedere a uno dei tavoli vicino alla macchinetta del caffè, decidendo così di concedersi una pausa più lunga. Stefano si siede davanti a lui, posando il caffè e il cellulare sul tavolo. Vorrebbe chiedergli come si sia conclusa la sua serata ma ha paura di irritarlo. Ad attirare l’attenzione di entrambi è la vibrazione del cellulare di Stefano. Si tratta di un messaggio da parte di Paolo, non ne aveva ancora ricevuto nessuno quel giorno, né il giorno precedente. Anche per quanto riguarda la foto scattata in palestra, si era limitato a mettere un pollice all’insù.
 
-Tiro a indovinare: sua maestà imperatore della Cina?
 
Chiede Alberto, con sarcasmo. Stefano alza lo sguardo. 
 
-Hai letto il suo nome sullo schermo?
                                                                                                                             
Domanda Stefano. Alberto fa una smorfia.
 
-Ho letto la tua faccia. 
 
Risponde lui, mescolando il caffè.  Stefano apre la notifica e nota con piacere che si tratta di un messaggio vocale. Vorrebbe aprirlo e ascoltarlo subito ma non sa se sia il caso, con Alberto presente.
 
-È un vocale…
 
Commenta ad alta voce. 
 
-Aprilo. Mi alzo, se non vuoi che ascolti. 
 
Suggerisce Alberto. Stefano scuote il capo, non crede che Paolo possa dire nulla di così compromettente da non poter lasciare che Alberto ascolti. 
 
-No, figurati. Non dirà nulla di strano…
 
Risponde, facendo partire immediatamente il messaggio.
 
-Ehi… buongiorno. Qui è pomeriggio e posso finalmente respirare, ho avuto un weekend assurdo e la foto della palestra me la devi spiegare… Comunque, stavo pensando, ti va se ci vediamo su Skype? Un orario comodo in modo che tu non debba andare a dormire e io non debba andare… ovunque vogliano che vada. Tipo… sei e mezza? Dopo il lavoro e prima degli allenamenti, quando ci sono. Da me sarà notte ma… fa niente, tanto vado a letto alle nove e all’una sono già sveglio. Fammi sapere, magari ci sentiamo già domani, oggi nel tuo caso. 
 
Il messaggio di Paolo lo lascia a bocca aperta. Tralasciando il piacere di risentire la sua voce, con quel suo timbro straordinariamente basso e caldo, è sorpreso dalla sua proposta. È felice che sia lui a proporgli di sentirsi, di vedersi. Vuole rispondergli subito e dire che per lui va bene e che ci sarà già quella sera. Inizia a scrivere ma viene bloccato da Alberto. 
 
-Aspetta almeno due minuti per rispondere.
 
Lo rimprovera. Alza lo sguardo e nota che ha finito il caffè ed è seduto a braccia conserte. Lo sta osservando. 
 
-Perché? Mi dici sempre di non perdere tempo e di non fare il pirla. Non voglio rispondere di no. 
 
Esclama con decisione. Alberto lo guarda in modo sorpreso. 
 
-Ti sei deciso, bene. 
 
Ribatte, con tono neutro. Stefano risponde subito a Paolo, accettando la sua proposta e dicendosi disponibile a collegarsi quel giorno stesso. 
 
-Cerca però di farti desiderare sempre un po’… non passare direttamente dall’indeciso al sottone, è una cosa che ti smonta. 
 
Aggiunge Alberto, pungente. Stefano dopo aver risposto a Paolo blocca il cellulare e lo posa di nuovo sul tavolo. 
 
-È così che fai tu?
 
Domanda, cercando di provocarlo. A volte ha l’impressione che Alberto se ne esca con certe affermazioni solo per cercare lo scontro, per spingerlo a fargli dire cose che spontaneamente non saprebbe come dire. 
 
-Io il sottone non lo faccio mai.
 
Precisa con aria di superiorità. 
 
-No, certo. Però credo che a volte tu ti faccia desiderare un po’ troppo… 
 
Lo rimprovera, cercando di reggere il suo sguardo. Alberto fa una smorfia. 
 
-È il mio modo di fare. Chi mi apprezza si adegua. 
 
Stefano sospira e scuote il capo.
 
-Però gli altri potrebbero stancarsi di adeguarsi sempre a te.
 
Aggiunge. Alberto capisce esattamente dove stia andando a parare, infatti il suo atteggiamento cambia, si mette sulla difensiva e si irrigidisce. 
 
-Se tiri fuori ancora una volta il nome di Giulio, giuro che ti lancio addosso il tavolo. 
 
Lo minaccia. Stefano sogghigna. 
 
-Hai fatto tutto tu!
 
Afferma, alzando le mani. Alberto non risponde subito, rimane almeno un minuto in silenzio, durante il quale si calma. 
 
-Stefano, per piacere, pensa a risolvere i tuoi di problemi. Ti ho già detto di non farti film, di non fare ipotesi campate per aria. Smettila, davvero. 
 
Esclama, quasi con esasperazione. Stefano cerca di ribattere ma è lui a parlare di nuovo. 
 
-E te lo ripeto per una volta, l’ultima volta: io non sono come te, non posso, non riesco ad essere come te. Io non rimango giornate a chiedermi il perché delle cose, non mi metto a studiare e decifrare ogni cazzata, non aspetto, non paziento e non… mi compro lo stesso cazzo di bagnoschiuma di un tipo che mi interessa, solo per avere addosso il suo odore.
 
Stefano spalanca gli occhi, crede che quell’ultima frase si riferisca proprio al bagnoschiuma usato in palestra. Si chiede come possa essersi accorto anche lui della somiglianza con il profumo di Paolo. 
 
-Sì, me ne sono accorto. Perché io le noto le cose, sempre. Anche in questo siamo diversi io e te. Io sono Alberto, mi conosci, sai come sono fatto. Mi spiace ma non riesco ad essere diverso e forse se lo fossi molte cose andrebbero diversamente. Ma non è così… io l’ho accettato, accettalo anche tu. 
 
Dopodiché si alza, accartoccia il bicchierino da caffè e lo lancia stizzosamente nel cestino. Anche Stefano si alza insieme a lui, non ha guardato l’orologio ma crede sia piuttosto tardi. Percorrono il corridoio che collega la zona ristoro al loro ufficio in totale silenzio, solo prima di varcare la soglia Alberto si gira verso di lui.
 
-Se ci tieni al nostro rapporto, per favore, non farmi più ripetere queste cose.
 
Ribadisce. Stefano si limita ad annuire, Alberto lo guarda per un attimo, fisso negli occhi, dopodiché prende posto alla sua scrivania.

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Capitolo 18
*** Luna ***


Sono le sei e Stefano ha finito di lavorare, ha portato a termine tutte le consegne previste per quella giornata e può quindi spegnere il pc e andarsene a casa. Alberto invece è al telefono, ha ancora degli incarichi da concludere, probabilmente non uscirà dall’ufficio prima di mezz’ora. 
 
-Ci vediamo domani.
 
Lo saluta, a bassa voce, infilandosi il cappotto. Alberto, che sta parlando al telefono, si limita ad annuire e a fare un cenno di saluto con la mano, senza dargli troppa attenzione. Dopo la discussione durante la pausa caffè i toni si sono smorzati anche se la conversazione tra i due è stata ridotta al minimo, hanno parlato della prossima serata giochi che si terrà da Stefano e hanno lavorato insieme a un ordine di un cliente. Stefano spera che il suo rapporto con Alberto non prenda una brutta piega, ci tiene a lui e vuole continuare a ritenerlo il suo confidente, il suo amico più caro. Il fatto di dover prestare attenzione a non toccare certi argomenti per non irritarlo o non ferirlo lo fa sentire a disagio, specialmente perché Alberto è sempre stata l’unica persona con la quale riuscisse a parlare di tutto, senza filtri e senza difficoltà, dall’argomento più imbarazzante a quello più complesso. Teme anche che la sua situazione con Giulio possa portare ad una scissione del gruppo, sebbene il filo conduttore sia Alberto, essendo lui la conoscenza comune a tutti, anche Giulio è ben voluto, grazie al suo carattere amichevole e disponibile. Sabato sera sia Luca sia Andrea non ci hanno pensato due volte a lasciare soli lui e Alberto, per raggiungere Giulio e il suo nuovo amico. 
Prende posto sulla metro, in piedi, appoggiandosi di lato a uno dei pilastri, senza toccarlo direttamente con le mani. Prende il cellulare e controlla gli ultimi messaggi, per essere certo che Paolo non abbia cambiato idea. Qualche ora prima, poco dopo la sua risposta, gli ha inviato il suo contatto Skype da aggiungere, dicendo di chiamarlo non appena fosse tornato a casa e si fosse sistemato. Considerando che in Cina è notte, teme possa essersi riaddormentato o che non si sia proprio svegliato. L’ultimo suo accesso risale alle due di pomeriggio, ora italiana. Stefano alza lo sguardo e controlla che la sua fermata non sia già passata, non è raro che si perda nei propri pensieri e sia costretto a scendere due o tre fermate più in là, dovendo ritornare indietro. Si chiede perché debba essere ogni volta così pensieroso e perché debba sviscerare ogni situazione fino allo stremo, prima di tranquillizzarsi. Gli vengono ora in mente le parole di Alberto, di qualche ora prima, quando gli aveva detto di essere diverso da lui, non essere il tipo che si mette ad esaminare ogni sciocchezza. In realtà a volte nemmeno Stefano vorrebbe essere come sé stesso, crede anche lui che molte cose cambierebbero nella sua vita, che sarebbero migliori, se non avesse quel carattere.
 
-Porta Romana, fermata, Porta Romana
 
La voce registrata degli annunci della metropolitana nomina la sua fermata, deve scendere. Riesce a lanciarsi fuori dalle porte appena prima che si chiudano, quando la sirena di avviso ha smesso di suonare. Sono le sei e venti, non vuole fare tardi. Sale i gradini della scala dell’uscita uscita a due a due, superando le persone che trova davanti a sé. Arrivato fuori dalla stazione comincia a correre per arrivare a casa il prima possibile. Non vuole essere in ritardo e non vuole far aspettare Paolo. Riesce a percorrere il tragitto dalla metropolitana a casa nella metà del tempo, arrivando però senza fiato e completamente sudato. Quando inserisce la chiave del cancello per entrare si sente quasi mancare, non ha avuto nemmeno occasione prendere fiato. Entrato in casa getta il cappotto sul divano, non ha tempo di appenderlo, si toglie le scarpe calciandole via, noncurante di averle lasciate davanti alla porta d’ingresso e sale al piano superiore a recuperare il pc con il quale si collegherà con Paolo. Prende anche il caricabatterie perché è certo che sia scarico, dal momento che lo usa davvero poco. Spera inoltre che non sia troppo obsoleto e che riesca ad installarvi l’applicazione di Skype con facilità. Certo, potrebbe usare il cellulare che è sicuramente più aggiornato e più recente. Tuttavia lo schermo è troppo piccolo e questa volta vuole vedere Paolo più chiaramente, a tutto schermo. Posa il computer sull’isola della cucina e lo collega alla corrente, scarica l’applicazione e la installa. Sono quasi le diciotto e trenta. È già seduto e pronto davanti al pc ma vuole darsi una sistemata, prima di chiamare Paolo. Non vuole farsi trovare in disordine e spettinato. Approfitta del caricamento del programma per andare all’ingresso, dove si trova lo specchio, per darsi una sistemata. Ha deciso di non cambiarsi, è vestito da lavoro e sta indossando una camicia, sa che a Paolo piace che indossi le camicie. Si passa una mano velocemente tra i capelli, per dare un po’ di movimento e farli sembrare più voluminosi. Non ha tempo per controllare occhiaie o rughe e inoltre realtà è ancora piuttosto sudato per la corsa e preferirebbe cambiarsi, dal momento che la schiena sta iniziando ad asciugare mentre la camicia, ancora bagnata a contatto con la pelle, gli fa sentir freddo. Controlla l’orologio al polso, sono le 18.32, deve collegarsi, non ha tempo. Oltretutto quella sera ci saranno gli allenamenti alle 19.30, più tarderà e minore sarà il tempo di conversazione con Paolo. Fa un sorriso allo specchio, accertandosi di non avere resti di cibo del pranzo tra i denti e finalmente si posiziona al pc, inserisce il contatto di Paolo e dopo aver fatto un respiro profondo, cercando di calmarsi, lo chiama. Lo schermo vibra, suona ma nessuno risponde. Due squilli, tre, quattro… ed eccolo là, davanti a lui. Sta già sorridendo ed è bellissimo, “Ovviamente”, pensa. 
 
-Buonasera.
 
Lo saluta. È seduto su un letto, alle sue spalle riesce a vederne la testata e dei cuscini. Sta indossando un pigiama lucido, di colore azzurro, simile a quello nero che gli aveva mostrato.
 
-Buonanotte, visto che sei a letto.
 
Lo corregge Stefano, cercando di mettersi composto. Osserva il riquadro della sua immagine, quella che Paolo sta vedendo sullo schermo, cercando di posizionarsi per avere la migliore inquadratura. Paolo non se ne preoccupa e non ha motivo di farlo: anche appena sveglio, a letto e con il pigiama addosso, sembra molto più curato rispetto a lui. 
 
-Non sono ancora andato a letto, in realtà. Mi sono messo il pigiama, mi sono steso ma proprio non riesco a dormire. 
 
Risponde, stiracchiandosi. 
 
-Troppo emozionato al pensiero di vedermi?
 
Suggerisce Stefano, azzardando un po’. Non sa nemmeno lui come sia riuscito a pronunciare una frase del genere e si sente tremare internamente, dopo averlo fatto, attendendo la sua risposta. Paolo si lascia sfuggire una risatina.
 
-Chissà? Può darsi! Comunque… vogliamo parlare di quella foto in palestra? Cosa ci facevi in palestra?
 
Domanda, cambiando discorso e avvicinandosi un po’ di più alla telecamera. L’immagine su pc oltre ad essere più grande è anche decisamente più nitida e Stefano riesce a vederlo bene, quasi come se si trovasse davanti a lui. Riesce a vedere le sfumature dorate dei suoi capelli, le sue meravigliose iridi cerulee che digradano dal blu all’azzurro cielo, il piercing al sopracciglio in metallo splendente e le sue labbra rosee, delicate e petaliformi. Vorrebbe solo poterlo toccare o che lui lo toccasse, come accade più spesso. 
 
-Mi ci ha portato Alberto, è un corso di fitness. Si chiama bodypump, è un allenamento con i pesi e il bilanciere. Non è stato facile… sono passati due giorni e ancora mi tremano le gambe e faccio fatica a muovere le spalle.
 
Risponde, massaggiandosi la giuntura tra le spalle e la clavicola. 
 
-Quindi quando tornerò ti vedrò con il fisico da bodybuilder?
 
Domanda, divertito. 
 
-Non credo proprio, non ho nessuna intenzione di tornarci. 
 
Risponde Stefano, in tutta sincerità. Paolo sorride o meglio, continua a sorridere, l’espressione sul suo viso è totalmente serena e rassicurante. Non sembra affatto una persona con difficoltà ad addormentarsi. 
 
-Sì, stai bene così come sei. 
 
Risponde. Stefano si sente arrossire, non si aspettava un complimento e vorrebbe fargliene uno a sua volta ma ha paura di risultare scontato e patetico, motivo per cui cambia discorso. 
 
-Tu, piuttosto… come procede il tuo viaggio? E soprattutto… come va con il cibo?
 
Domanda. Paolo fa una smorfia, arricciando il naso. L’espressione sul suo viso è buffa e Stefano lo trova a dir poco irresistibile. 
 
-Domanda di riserva?
 
Chiede. Stefano scuote il capo, vuole proprio che risponda a quella domanda. Paolo si rassegna. 
 
-Ti dico che… sto spendendo cifre assurde per mangiare sempre e solo nei ristoranti pseudo italiani o al limite pseudo francesi, prediligendo sempre e solo cose che conosco. E non è che stia andando benissimo.
 
Confessa, con un po’ di sconforto.
 
-Quindi quante volte sei già stato male, da quando sei lì?
 
Chiede Stefano. Paolo dapprima esita, poi scoppia a ridere. Era proprio il suo obiettivo, quello di farlo ridere. Adora il suono della sua risata, l’espressione che si forma sul suo viso, che parte dal quel suo meraviglioso sorriso. 
 
-Uhm… due. Anche se solo una seriamente, nei primi due giorni che sono arrivato qui. Però… oddio questa te la devo raccontare. 
 
Fa una pausa, durante la quale si mette più comodo. Vede l’immagine muoversi e traballare, Paolo si è sistemato con la schiena contro i cuscini del letto e ha sollevato il pc, probabilmente posandoselo sulle gambe, a giudicare dall’angolazione. 
 
-Allora. Primo giorno, arrivato all’aeroporto… circa cinque minuti dopo averti mandato la foto, vado a recuperare sul rullo il mio bagaglio a mano e in modo completamente casuale, una maniglia si rompe, si sfila, strappandosi e strappando anche un bel pezzo di stoffa e da lì si apre ed esce tutto ma proprio tutto e in particolare la dose assurda di farmaci che mi sono portato. Immagina qualcosa come una decina di blister da venti pastiglie ciascuna, trasferite in due buste per i liquidi e una più piccola che conteneva tre tipi diversi di fermenti lattici. Tre tipi perché, non si sa mai. Comunque… ovviamente le bustine cadendo si sono aperte e mi sono trovato con centinaia di pastiglie ai miei piedi, mentre io, non sapendo cosa fare, sono rimasto immobile come un cretino con la maniglia rotta in mano. 
 
Racconta tutto d’un fiato, fermandosi per essere certo che Stefano lo stia ascoltando.
 
-Oddio… quindi cosa hai fatto?
 
Chiede Stefano, curioso di conoscere l’epilogo della vicenda. 
 
-Non ho fatto in tempo a chinarmi per raccogliere le mie cose che subito sono stato accerchiato da agenti di polizia cinesi. Penso mi abbiano preso per un contrabbandiere, perché non appena ho allungato la mano questi mi hanno preso, mi hanno immobilizzato e mi hanno detto, in inglese, di non azzardarmi a muovermi. Hanno prelevato tutte le mie medicine e mi hanno portato via, in uno stanzino, per farmi delle domande e perquisirmi per verificare che non avessi nient’altro addosso. 
 
Spiega.
 
-Cioè pensavano che contrabbandassi fermenti lattici?
 
Chiede Stefano, quasi divertito. Paolo sorride. 
 
-Non potevano sapere cosa fossero e se non ho capito male hanno preso dei campioni per analizzarli. Comunque, per fortuna, prima di partire mi sono fatto fare un certificato dal mio medico che dichiara la mia estrema necessità di farmaci corredato da una serie di referti di esami specialistici che faccio periodicamente. Certificato che ho fatto tradurre anche in cinese, sempre prima di partire, per essere sicuro. 
 
Specifica. 
 
-Ovviamente a loro non è bastato, hanno voluto parlare con il mio dottore, si sono fatti mandare delle e-mail… insomma, sono stato dentro là quattro ore. Alla fine neanche volevano restituirmi le mie cose, poi per fortuna li ho convinti e mi hanno lasciato andare. Sono stato l’ultimo ad arrivare in hotel e ho dovuto spiegare il motivo del mio ritardo… ovviamente mi sono presentato con la valigia rotta e le buste delle medicine in mano. Immaginati che meravigliosa impressione possa aver fatto ai formatori.
 
Conclude. 
 
-Direi che è iniziata bene.
 
Commenta Stefano, con sarcasmo. 
 
-Oh sì, benissimo. Ero qui da neanche un giorno e già volevo scappare, mi veniva da piangere, giuro. 
 
Confessa Paolo. 
 
-E poi… basta? Successo nient’altro?
 
Domanda Stefano, aspettandosi qualche altro racconto interessante. Paolo scuote il capo. 
 
-No. Almeno, non a me direttamente. Nella sfortuna, essendo arrivato per ultimo, non ho potuto scegliere il mio interprete, me n’è stato assegnato uno diverso rispetto a quello con cui avevo preso contatti prima di partire ma mi è capitato un ragazzo fantastico. È giovane, ha un paio d’anni in meno di noi, parla benissimo l’inglese e mi dà un sacco di dritte per evitare di fare cazzate. Tipo la prima sera mi ha detto di non bere nulla di alcolico alle cene e ai post cena e mi ha spiegato anche come dissimulare di aver bevuto, perché che qui se ti offrono da bere e rifiuti viene visto come un’offesa. 
 
Stefano ascolta con piacere i racconti di Paolo. È rilassante sentire la sua voce e dopo i primi cinque minuti si dimentica di essere davanti allo schermo di un pc, avendo quasi l’impressione di averlo lì di fronte a sé. 
 
-Mi ricordo che mi hai detto che i tuoi compagni di viaggio non sarebbero stati di compagnia, durante la gita al tempio.
 
Suggerisce Stefano, ricordando una conversazione con Paolo, avvenuta durante i giorni trascorsi a Cesenatico. Paolo annuisce e poi spalanca gli occhi, un’espressione divertita si fa spazio sul suo viso. 
 
-Sì, esatto! Non sai che disastri combinino qui con l’alcool. Proprio perché te ne offrono tantissimo e, come dice il mio interprete, noi occidentali non lo reggiamo come loro. Nel mio gruppo siamo in sei, tutti uomini. Io sono l’unico italiano, gli altri sono tedeschi, olandesi, svizzeri e c’è un norvegese. Ecco… uno dei tedeschi la prima sera ha iniziato a bere e non riusciva a smettere, ha accettato qualsiasi bicchiere gli venisse offerto.
 
Paolo racconta il suo aneddoto con entusiasmo, Stefano ha quasi l’impressione che sia tornato ragazzo, vedendolo così sorridente e spensierato. 
 
-E dire che i tedeschi ne bevono di birra…
 
Commenta Stefano, per mostrare il proprio coinvolgimento nel racconto di Paolo. 
 
-Sì ma gli alcolici asiatici passano abbondantemente i quaranta gradi, sono ai livelli della grappa. Questo tipo ha esagerato e… era marcio, giuro. Tutto sudato, occhi fuori dalle orbite. Ho temuto il coma etilico. Mi ha ricordato le mie serate all’università, che finivano sempre con qualcuno ubriaco fradicio. Comunque… l’abbiamo portato in camera, io e altri due, praticamente l’abbiamo strisciato lungo il corridoio perché a peso morto era pesantissimo. L’abbiamo messo a letto e… sono andato a dormire col timore che non si svegliasse l’indomani. Per fortuna, pur essendo in condizioni tremende, si è presentato a colazione. Dal giorno dopo ci è andato cauto con gli alcolici… un pochino, almeno.
 
Conclude. Stefano annuisce, si chiede come sia stato il periodo universitario di Paolo. Il suo non assomiglia per nulla all’esperienza raccontata. Del periodo dei suoi vent’anni, fino alla laurea magistrale, ha davvero pochi ricordi e nessuno particolarmente emozionante. Memore dal coming out forzato del liceo, aveva preferito rimanersene in disparte, cercando di non farsi notare e formando di conseguenza pochi legami, tutti poco profondi, tant’è che non ha più avuto modo di sentire nessuno dei suoi compagni di corso, se non tramite qualche post di auguri o qualche commento su Facebook
 
-Non sembra poi così male, questo soggiorno in Cina…
 
Deduce Stefano, con tono vagamente malinconico, di cui lui stesso si sorprende. Paolo coglie immediatamente questa sfumatura nelle sue parole.
 
-Insomma! Di certo non sto valutando se trasferirmi qui in modo permanente… è a questo che stai pensando?
 
Stefano scuote il capo. Non stava per nulla pensando a quell’ipotesi, in realtà stava ancora riflettendo sulla piattezza della sua vita universitaria e su come, ancora volta, si renda conto di aver passato buona parte della sua vita in modo passivo e superficiale. 
 
-No, in realtà… riflettevo sul fatto che mi ricordi davvero poco del mio periodo universitario. 
 
Confessa. Paolo non risponde subito, inizialmente sul suo viso appare un’espressione confusa. Aggrotta la fronte e cambia nuovamente posizione: sposta il computer a fianco a sé e si distende, a pancia in giù, avvicinandosi ancora di più alla telecamera. Stefano per un attimo sussulta nel vedere il suo viso così bene, così da vicino. 
 
-Scusami ma iniziavo a non sentirmi più le gambe, con il pc appoggiato… Comunque… non hai vissuto il bel periodo, durante l’università? Sei stato a Pavia, giusto?
 
Domanda, dopo essersi sistemato. Stefano cerca di non lasciarsi distrare dall’immagine del suo viso e inizia a parlare. 
 
-Sì, sono stato a Pavia… non è che abbia vissuto un brutto periodo. Semplicemente… non ho vissuto nulla di che. È stato tutto così silenzioso, rapido, immediato e un po’… sterile. Prendevo il treno, seguivo le lezioni, davo gli esami… tutto in solitudine, tutto in modo schematico. 
 
Spiega. 
 
-Non ti sei fatto notare. 
 
Conclude Paolo. Stefano annuisce.
 
-Certo, dopo quello che hai passato l’ultimo anno alle superiori… è comprensibile. 
 
Stefano si blocca. Per un attimo il suo cuore si ferma, è la prima volta da quando si sono ritrovati che Paolo affronta l’argomento, non sa come reagire. Per fortuna è di nuovo lui a parlare, cambiando discorso. 
 
-Il mio periodo universitario è stato… folle! Anni belli e spensierati, tra i migliori della mia vita. Forse superati solo da quell’anno di master a Pisa, lì ho veramente scoperto me stesso. 
 
L’espressione sul viso di Paolo cambia e Stefano riesce a vederla chiaramente, grazie a quel primo piano del suo viso. Gli occhi sono più spenti, come se fosse assente, lo sguardo si allontana per un attimo dall’obiettivo della fotocamera. Rimane in silenzio.
 
-A parte ubriacature, gite e momenti imbarazzanti… stai imparando qualcosa?
 
Interviene Stefano, cercando di rompere il silenzio e portare avanti la conversazione.
 
-Ma certo! Mica sono qui in vacanza. Stamattina ho anche fatto una presentazione del mio progetto… è piaciuto a tutti. Mi hanno fatto un sacco di complimenti!
 
Risponde Paolo, riprendendo il suo solito entusiasmo e il suo sguardo luminoso.
 
-Sempre il migliore, anche in Cina. 
 
Commenta Stefano, a bassa voce. Più che un’affermazione era un pensiero il suo, uscito quasi spontaneamente dalla sua bocca. Paolo immediatamente sorride e Stefano vede quella fossetta, sulla sua guancia destra, formarsi lentamente. 
 
-Raccontami tu qualcosa… 
 
Chiede Paolo, sistemandosi nuovamente. Questa volta punta i gomiti sul letto e appoggia il viso sul palmo della mano. Osserva dritto nella telecamera e il suo sguardo è così intenso che Stefano ha quasi l’impressione che stia vedendo dritto nei sui occhi. Si perde un attimo nel guardarlo e fatica a trovare un argomento da raccontare. In realtà sono successe diverse cose: l’incontro con Christian, le discussioni con Alberto, i suoi dubbi su Alberto e Giulio… tutte cose che non può o meglio non vuole raccontargli. Decide quindi di parlare della partita in trasferta. Paolo lo ascolta con piacere e pone qualche domanda di tanto in tanto anche se non sembra particolarmente soddisfatto del suo racconto, che si aspettasse qualcosa di più intimo? Di più sincero? 
Alle sette in punto Stefano è costretto a salutare Paolo, deve prepararsi per andare agli allenamenti. 
 
-Salutameli tutti, mi manca tanto la squadra. 
 
Esclama Paolo. Stefano annuisce.
 
-Senz’altro.
 
Non sa come salutarlo e non vorrebbe farlo, in realtà. 
 
-Vedremo se riuscirò a dormire almeno un paio d’ore…
 
Aggiunge Paolo, stiracchiandosi. 
 
-Allora… buonanotte.
 
Lo saluta Stefano. 
 
-Buonanotte. 
 
Rimangono entrambi fermi davanti alla telecamera, senza che nessuno prema il tasto di chiusura dalla chiamata. È Paolo a farlo, non dopo avergli regalato un suo ultimo sorriso.
 
***
È mercoledì, come deciso, la serata giochi si terrà a casa di Stefano. Negli ultimi due giorni non ha avuto modo di parlare molto con Alberto, a causa di una mole eccessiva di lavoro da gestire. Si sono concessi le solite pause caffè, sia al mattino, sia al pomeriggio, durante le quali però hanno continuato a parlare di lavoro o di argomenti superficiali e generici. 
 
-Quindi pizza, stasera?
 
Domanda Alberto, spegnendo il computer. Stefano annuisce.
 
-Sì, per non mangiare sempre sushi… 
 
Vorrebbe chiedergli se ci saranno tutti quanti, anche Giulio, dal momento che è Alberto a gestire tutte le serate. Non sa se sia il caso, dopotutto si vedranno tra poche ore, lo scoprirà e a breve comunque. 
 
-Ordino io le pizze o lo facciamo insieme quando arrivate?
 
Chiede, cercando di cogliere qualche informazione in più, senza essere troppo diretto. Alberto lo guarda confuso, gli rivolge una smorfia.
 
-Le abbiamo sempre ordinate insieme. Perché mi fai questa domanda?
 
Stefano scuote il capo. 
 
-No, nulla. Chiedevo soltanto.
 
Alberto lo guarda con sospetto, dopodiché fa spallucce e si infila il cappotto. Percorrono insieme la strada verso la metropolitana, dove prenderanno linee differenti, come al solito. 
 
-Quindi per le sette?
 
Domanda Alberto, arrivati ai tornelli della metro. Stefano annuisce. 
 
-Sì, ci vediamo dopo. 
 
Si salutano, dopodiché Stefano scende le scale mentre Alberto prosegue dritto. 
Salito sulla metro, Stefano sente vibrare il cellulare nella tasca del cappotto. Si appoggia al palo della metropolitana e lo prende. È un messaggio da parte di Paolo, non l’ha più sentito dopo lunedì, dopo la loro videochiamata. Iniziava a temere che qualcosa fosse andato storto e che non avesse più voglia di sentirlo. 
 
“Skype? Quando torni, con calma. Se ti va 😉
 
Inizia a comporre il messaggio, scrivendo “Sì”, poi però realizza che Alberto e i suoi amici arriveranno tra poco a casa sua. Non vuole dire di no a Paolo, vuole sentirlo e vederlo. Tuttavia non può nemmeno rinunciare all’appuntamento con i suoi amici, non gli sembra corretto. Si concede qualche secondo per riflettere e decidere cosa fare. Decide di accettare e quando arriveranno i suoi amici, chiuderà in qualche modo la conversazione.
 
“Va bene, ti chiamo appena rientro.”
 
Risponde. Come la volta precedente, cerca di fare più presto possibile per rientrare a casa. Il computer è rimasto in cucina, collegato e in carica. Senza preoccuparsi troppo del proprio aspetto, apre l’applicazione ed effettua la chiamata. Paolo risponde subito.  È vestito esattamente come due giorni prima, questa volta però è in una posizione diversa, è seduto lontano dal letto che vede, ancora fatto, sullo sfondo. 
 
-Buonasera
 
Lo saluta, già sorridente. Stefano si sistema istintivamente i capelli, guardando nell’immagine ciò che riprende la sua telecamera. 
 
-Stai bene, tranquillo.
 
Lo sorprende Paolo. Stefano sorride, imbarazzato. 
 
-Oh… ok. 
 
Non riesce ad aggiungere altro. Per fortuna è Paolo a parlare, di nuovo. 
 
-Scusami per il messaggio, scritto all’ultimo. Ieri è stata una giornata interminabile… oggi pure. Volevo mettermi a letto ma non ho sonno, così ho pensato di scriverti. Che rompipalle che sono, vero?
 
Stefano scuote il capo. 
 
-No. Io…
 
Vorrebbe dire che non aveva altro da fare ma mentirebbe, dal momento che a breve arriveranno i suoi amici e dovrà salutarlo. 
 
-Tutto ok, Ste?
 
Domanda Paolo, notando la sua titubanza. 
 
-Sì, tutto ok… giornata interminabile, hai detto?
 
Domanda. Paolo annuisce. 
 
-Già. Conferenza di quattro ore e poi una specie di esame, nel pomeriggio. Un esame di gruppo, con gruppi scelti a caso dai formatori. Sono capitato con due tedeschi che non si sopportano, hanno litigato tutto il tempo.
 
Inizia a spiegare, raccontando dei suoi compagni e del progetto realizzato, ancora una volta ha l’impressione di avere davanti a sé il Paolo conosciuto alle superiori, da come parla del proprio lavoro e delle difficoltà di comunicazione avute con gli altri membri del suo gruppo. C’è qualcosa di diverso nel Paolo che vede attraverso lo schermo, qualcosa che aveva notato anche durante la prima videochiamata, sul cellulare. Il suo atteggiamento sembra più rilassato, più sincero. Crede che qualcosa sia cambiato davvero, dal momento della sua partenza in Cina. Il modo in cui gli racconta delle proprie giornate, il traporto che mette nei suoi racconti, gli danno l’impressione che voglia formare un certo grado di confidenza che, ancora, non erano riusciti ad instaurare fino a prima della sua partenza. È come se si conoscessero da sempre, cosa che è vera in realtà, senza considerare quei dodici o tredici anni nei quali si sono persi completamente di vista. Stefano non può fare a meno che pensare a cosa potrà succedere tra loro, quando tornerà. 
I suoi pensieri e la sua conversazione con Paolo vengono interrotti dal suono del citofono. Dando uno sguardo all’orologio si rende conto che sono le sette passate, deve essere Alberto.
 
-Hanno suonato?
 
Chiede Paolo, interrompendo il proprio discorso. Stefano guarda in direzione dell’interfono, vorrebbe alzarsi per rispondere ma senza chiudere la chiamata con Paolo.
 
-Sì.
 
Conferma, ancora indeciso sul da farsi. 
 
-E non rispondi?
 
Insiste, Paolo. Stefano fa un respiro profondo, decide di dire la verità. Nel frattempo il citofono suona di nuovo.
 
-È Alberto. Oggi è mercoledì…
 
Confessa. Paolo spalanca gli occhi con espressione sorpresa.
 
-Ah, la vostra serata giochi! Scusami… non volevo disturbarti. Chiudo subito.
 
Risponde, avvicinandosi al pc, probabilmente per chiudere la conversazione. Stefano lo ferma immediatamente.
 
-NO!
 
Esclama quasi urlando. Paolo si blocca, sembra sorpreso dalla sua reazione. 
 
-Ti va di… salutarlo? Poi magari ci sentiamo un altro giorno…
 
Suggerisce, proponendogli la prima opzione suggerita dal suo cervello. 
 
-Va bene, volentieri.
 
Risponde Paolo. Alberto suona di nuovo, un suono lungo questa volta. Stefano si precipita alla porta, per aprire il cancello ad Alberto che poco dopo entra, infastidito.
 
-Oh ma sei sordo? Ho suonato tre volte.
 
Lo rimprovera, togliendosi il cappotto. 
 
-Sono in chat con Paolo.
 
Spiega. Alberto non ribatte ma fa una smorfia.
 
-Ti va di salutarlo? Dai, poi chiudo…
 
Chiede, a bassa voce, quasi in tono di supplica. Alberto sbuffa, poi annuisce col capo. Gli fa strada in cucina, dopodiché gli indica il pc. 
 
-Eccolo qua.
 
Esclama, spingendo Alberto davanti al pc.
 
-Ciao Alberto, come va?
 
Chiede Paolo, con il suo solito tono di voce entusiasta. 
 
-Bene. Com’è la Cina? 
 
Domanda Alberto, un po’ più rigido del solito. 
 
-Moderna e sorprendente, devo dire. 
 
Risponde lui. Alberto esita per un secondo e l’espressione sul viso, nella quale Stefano coglie una certa malizia, non promette bene.
 
-Bene. Quindi l’Italia non ti manca?
 
Chiede. Stefano guarda Alberto preoccupato, quest’ultimo tiene lo sguardo fisso sullo schermo.
 
-Certo che sì. 
 
Risponde Paolo.
 
-Cosa ti manca esattamente? Il cibo, il clima, il calcio, Stefano?
 
Stefano spalanca gli occhi stupito. Vorrebbe spingere via Alberto o chiudere il computer fingendo che ci sia un guasto. 
 
-Con Ste ci sentiamo tutti i giorni. Ah, complimenti per averlo portato in palestra, stava bene nella foto che mi ha mandato. 
 
Risponde Paolo, sorprendendo Stefano e probabilmente anche Alberto, dal momento che ci mette un attimo prima di ribattere. 
 
-Ah sì? Non credo tornerà… 
 
Ribatte. 
 
-No, me l’ha detto. Comunque vi lascio liberi… buona serata.
 
Esclama Paolo, Stefano spinge Alberto e si pone davanti alla telecamera per salutarlo. 
 
-Buonanotte Paolo. 
 
Esclama. 
 
-Notte, Ste. 
 
Risponde, chiudendo la conversazione. Stefano si accerta che la conversazione sia chiusa realmente, prima di rimproverare Alberto. Per sicurezza chiude il pc.
 
-Cosa ti è venuto in mente?
 
Gli chiede, imbarazzato. Alberto fa spallucce. 
 
-Tu glielo avresti mai chiesto?
 
Domanda, con tono fermo. Stefano scuote il capo, senza rispondere. 
 
-Appunto. Indovino il tenore delle vostre conversazioni?
 
Suggerisce, sedendosi su uno sgabello della penisola. Stefano apre la bocca per ribattere ma viene preceduto da lui.
 
-Lui cerca in tutti i modi di tirarti fuori qualcosa e tu non fai che chiedergli cosa fa, cosa guarda, cosa mangia… bla bla bla. Ho indovinato?
 
Domanda, conoscendo già la risposta. Stefano non ribatte. 
 
-Appunto. Dai, tira fuori i listini che ordiniamo la pizza. 
 
Suggerisce. Stefano decide di lasciar perdere, prende il listino delle pizze e lo porge ad Alberto. 
 
-Hai sentito gli altri, per sapere cosa vogliono?
 
Domanda. Alberto annuisce. 
 
-Andre e Luca quattro stagioni, io prosciutto, Giulio vegetariana. Tu? Margherita?
 
Annuisce. Apprende dalle sue parole che ci sarà anche Giulio, dunque. Non può fare a meno di chiedersi se le cose tra i due si siano risolte o se dovrà assistere a un’altra discussione. 
Alberto ordina subito le pizze e circa dieci minuti più tardi, anche gli altri amici del gruppo arrivano a casa di Stefano.
La cena si svolge serenamente, senza alcuna discussione. Stefano non coglie particolari atteggiamenti da parte di Alberto o di Giulio, nota però che non ci sono interazioni tra di loro. Sembra quasi che entrambi cerchino di limitare la conversazione l’uno con l’altro ma in modo discreto, per non darlo a vedere al resto del gruppo. Dopo cena decidono di giocare a Risiko, inaugurando finalmente il gioco acquistato da Stefano diverse settimane prima, con il quale non erano riusciti a giocare, a causa della lite scoppiata tra Alberto e Giulio. 
 
La partita è piuttosto dinamica e lunga. Il primo a venire eliminato è Luca, Stefano riesce a conquistare parecchi territori e si avvicina molto al suo obiettivo segreto, ovvero conquistare 18 territori. Andrea rimane in partita pur avendo ridotto drasticamente la propria armata. I più agguerriti sembrano proprio Giulio e Alberto. 
 
-Scommetto che uno dei due ha l’obiettivo di annientare l’altro. 
 
Commenta Luca, osservando la partita da spettatore. Nessuno dei due dice nulla, si limitano a guardarsi, divertiti. I loro turni sono un continuo scontro, mentre Andrea e Stefano proseguono la propria partita quasi individualmente, scontrandosi in alcuni territori. 
 
-E anche la Cina è mia.
 
Commenta Giulio, strappando definitivamente un territorio ad Alberto. 
 
-Non la vuoi tu la Cina, Ste?
 
Domanda Luca, riferendosi chiaramente a Paolo. Stefano si limita a fare una smorfia. 
 
-Lo senti ancora, Paolo? Hai qualche bella foto da farci vedere?
 
Chiede Andrea, stuzzicandolo. 

-Si sentono tutti i giorni… me l’ha detto Paolo. 
 
Interviene Alberto, stiracchiandosi sulla sedia. 
 
-Paolo? Da quando lo senti?
 
Domanda Luca. 
 
-Gli ha parlato prima. Ci sentiamo su Skype, gli ho fatto salutare Alberto prima di chiudere la conversazione. 
 
Spiega Stefano, sistemando i propri carri armati sulla plancia da gioco. 
 
-Come al solito mi ha fatto fare una figura…
 
Aggiunge. 
 
-Cioè?
 
Chiede Andrea incuriosito. Alberto fa spallucce. 
 
-Nessuna figura. Visto che Stefano perde sempre tempo in cazzate, sono andato io al sodo per lui. Ho chiesto a Paolo se sentisse o meno la sua mancanza.
 
Esclama, sbrigativo. Andrea e Luca si scambiano occhiate sorprese, Giulio alza lo sguardo, fino a quel momento fisso sul tabellone e osserva Alberto, in silenzio. 
 
-E lui cosa ha risposto?
 
Domanda Luca.
 
-Non ha risposto. Si è tenuto la sua maschera da bello e misterioso, proprio come piace a Stefano, dicendo che lo sente tutti i giorni. 
 
Risponde. Dopodiché sospira e lancia sul tavolo la carta dell’obiettivo segreto, fino a quel momento tenuta in mano. 
 
-Basta, mi ritiro. Questo gioco è troppo lungo per i miei gusti.
 
Esclama alzandosi dal tavolo.
 
-Se ti ritiri ho vinto. 
 
Commenta Giulio, mostrando la sua carta segreta, il cui obiettivo era quello di sconfiggere l’armata gialla, quella di Alberto. 
 
-Appunto. Gioco finito. Vado a fumarmi una siga… 
 
Annuncia, andando a recuperare il cappotto, per poi uscire dal giardino sul retro, quello su cui affaccia la cucina. Luca osserva l’orologio al polso. 
 
-Sono le dieci e mezza… ci vediamo qualcosa su Real time?
 
Suggerisce. 
 
-Sì, dai. 
 
Accetta Luca, alzandosi dalla sedia. 
 
-Io raggiungo Albe, sono stufo di stare seduto.
 
Commenta Giulio, alzandosi a sua volta. Stefano inizia a raccogliere e sistemare le pedine del gioco, mentre Andrea a Luca si siedono in soggiorno, sul divano, davanti alla tv. 
Alberto e Giulio sono fuori insieme. Giulio non fuma, perciò si limita a fare compagnia ad Alberto. Stefano li osserva, dalla cucina. La porta che conduce al giardino è chiusa e sono di spalle, non riesce a vedere se stanno parlando né a sentire cosa stiano dicendo. Nota però che a un certo punto Giulio posa una mano sulla schiena di Alberto e inizia a massaggiarla, ad accarezzarla. Alberto non si sposta, né si tira indietro. Stefano deduce che i due si siano in qualche modo chiariti, a giudicare dal loro atteggiamento. Si chiede però che fine abbia fatto il ragazzo con qualche Giulio stava uscendo. Che sia già finita? Che c’entri qualcosa Alberto? Sono dubbi ai quali crede di non poter avere una risposta, dal momento che Alberto gli ha chiesto esplicitamente di non fare più alcuna domanda in merito. Decide anche di non smettere di osservarli, finisce rapidamente di raccogliere le pedine e le carte del gioco, spegne la luce della cucina e raggiunge gli altri in salone.
A mezzanotte circa, Andrea e Luca salutano e se ne vanno, dovendo iniziare presto a lavorare l’indomani. Giulio e Alberto si trattengono per un’altra mezz’ora, dopodiché anche loro si preparano per andare via.
 
-Sei a piedi, Albe?
 
Domanda Giulio, dopo essersi messo il cappotto.
 
-Prendo il tram. 
 
Ribatte, vestendosi a sua volta. 
 
-Ti porto io? È di strada casa tua, non mi costa niente… 
 
Suggerisce Giulio, con il suo solito tono cortese. Non è la prima volta che si offre di accompagnare qualcuno a casa, anche se spesso si tratta di Luca, raramente è Alberto. 
 
-Come vuoi.
 
Risponde, facendo spallucce. 
 
-Notte, Ste. 
 
Lo saluta Giulio, sorridendo. 
 
-Notte, ragazzi.
 
Li saluta, Stefano. Alberto si limita a fargli un cenno con la mano. Stefano chiude la porta, spegne le luci e sale al piano superiore per andare a dormire. Senza troppa fredda svolge le sue azioni di ruotine serali, si infila il pigiama e si mette a letto. Controlla un’ultima volta il cellulare e poco prima di posarlo sul comodino e metterlo in carica, riceve un messaggio da parte di Paolo. Controlla l’orologio, segna la una di notte, mentre da Paolo è mattina. Deve essersi appena svegliato, sempre che sia riuscito a dormire.
 
“Buongiorno… qui è mattina e mi sono appena svegliato, dopo aver dormito per ben tre ore. Come è andata la serata giochi?”
 
Stefano risponde subito al suo messaggio.
 
“Serata giochi andata abbastanza bene, abbiamo giocato a Risiko. Pensavo meglio…”
 
Paolo è online, la sua risposta non si fa attendere. 
 
“Credo di averci giocato una sola volta alle medie. Hai vinto?”
 
“No, ha vinto Giulio. In realtà abbiamo abbandonato il gioco, Alberto si è stufato e Giulio che doveva sconfiggere la sua armata ha vinto.”
 
La risposta di Paolo questa volta non arriva subito, passano almeno cinque minuti, durante i quali Stefano si chiede se sia il caso di attendere o di mettersi a letto.
 
“Capito. Ste, se hai qualcosa da fare non farti problemi a dirmi di no, non mi offendo. Anzi, se non ti va di sentirmi per qualsiasi motivo, tranquillo, non me la prendo.”
 
Stefano è dispiaciuto per quel messaggio da parte di Paolo. Teme che abbia frainteso le sue intenzioni, che possa non aver gradito la conversazione con Alberto. 
 
“No, non è così. Scusami per Alberto, è imprevedibile…”
 
Scrive, sforzandosi di trovare altro da aggiungere, per far sì che non fraintenda. La risposta di Paolo lo precede.
 
“Non ti devi scusare. Ho capito come è fatto Alberto e non mi spaventa. Me la so cavare anche da qui 😏
 
Stefano ignora per un attimo quel messaggio, a suo avviso piuttosto insolito, completa ciò che stava scrivendo prima di riceverlo e preme invio. 
 
“Mi fa piacere vederti. Anche per poco, anche se io non ho mai niente da raccontarti. Non mi sento obbligato.”
 
Per lui, anche quelle semplici parole, vogliono dire molto. Gli tremano le mani, attendendo la risposta di Paolo. Ancora una volta passano alcuni minuti e inizia a pentirsi di essersi esposto così tanto, per i suoi standard. Vorrebbe poter cancellare quel messaggio e riformularlo diversamente, nella sua mente iniziano a formarsi uno svariato numero di frasi alternative e meno personali con le quali avrebbe potuto rendere meglio il concetto. Osserva la conversazione in attesa di una risposta, continuando a toccare lo schermo per evitare che vada in stand-by. La risposta di Paolo arriva tramite un vocale. Lo riproduce immediatamente.
 
-Allora ci vediamo domani, stessa ora. Buonanotte Ste. 
 
Un messaggio semplice, apparentemente povero di contenuto. Stefano però apprezza che abbia voluto confermare con la propria voce di aver letto il suo messaggio e di averlo capito. Posa finalmente il telefono e si mette a letto, è sereno e si addormenta quasi immediatamente.
 A partire da quel giorno, Stefano e Paolo si sentono quotidianamente, trascorrendo a volte anche un paio d’ore su Skype, tranne quando ci sono gli allenamenti o il mercoledì, durante la serata con gli amici. Paolo non sembra preoccuparsi del fatto di perdere ore di sonno per parlare con Stefano e lui a volte si ritrova a mangiare dopo le nove, rifiutandosi di chiudere la conversazione per primo. 
Sabato possono rimanere a parlare più a lungo, dal momento che Paolo non ha impegni la domenica mattina e può permettersi di stare in camera senza che nessuno lo disturbi. 
 
-Niente pigiamino in seta oggi?
 
Commenta Stefano, notando che Paolo ha un abbigliamento diverso. Sta indossando una t-shirt bianca sottile, molto aderente sul petto, al punto che riesce chiaramente a intravedere la forma dei pettorali, i capezzoli e il piercing sporgente. 
 
-No, domani totale libertà. Perciò abbigliamento comodo e nessuno che mi bussi alla porta alle sei di mattina. 
 
Risponde, con aria soddisfatta. Stefano non può fare a meno di continuare ad osservare la sua maglietta, era da tempo che non pensava a quel piercing che tanto stuzzica la sua fantasia. 
 
-Ste? Ci sei?
 
Lo sollecita, vedendolo immobile. Stefano annuisce.
 
-Sì, scusa. Stavo pensando… in Cina che sono tutti così rigidi e formali, come li prendono i tuoi piercing? Tatuaggi non ne hai… credo. Ma i piercing… ne hai tanti. 
 
Commenta, sempre senza distogliere lo sguardo. Paolo annuisce.
 
-No, non li amano molto. Almeno non negli ambienti formali, infatti il giorno dopo avermi conosciuto, il mio interprete mi ha fatto avere questi… aspetta che te li faccio vedere.
 
Si alza, spostandosi dal tavolo sul quale ha posato il pc e sparisce dall’inquadratura per pochi istanti, per poi apparire molto vicino alla telecamera. 
-Lo vedi?
 
Chiede, avvicinando alla telecamera un oggetto trasparente dall’asta lunga, simile a un piercing e così piccolo da poter essere tenuto tra il pollice e l’indice.
 
-È un orecchino trasparente?
 
Chiede Stefano, incuriosito. Paolo annuisce. 
 
-Esatto. Sono fatti di plastica e silicone, li uso per tutti i buchi alle orecchie e per il piercing al sopracciglio. Quando li metto sembra che non ci sia nulla. Guarda.
 
In pochi istanti si sfila, svitandolo, l’asta del piercing al sopracciglio e la sostituisce con quella trasparente, poi si avvicina alla telecamera, facendo ben attenzione ad inquadrare il sopracciglio, poi si allontana.
 
-Da vicino, come vedi, si nota qualcosa. Mentre da lontano è come se non avessi nulla.
 
Stefano non riesce a pensare a Paolo senza i suoi piercing, anche quando l’ha trovato in pausa pranzo fuori dall’ufficio li aveva, pur essendo più fini e meno vistosi. Il piercing al sopracciglio, in particolare, è qualcosa che ha sempre visto su di lui avendo fatto a quindici anni, quando ancora frequentava il liceo. 
 
-No, non ti ci vedo senza i tuoi piercing. 
 
Commenta. Paolo sorride. 
 
-Nemmeno io. Infatti, me ne ha preso anche uno per la lingua ma mi sono rifiutato di metterlo, ha un sapore tremendo. Faccio attenzione a non aprire troppo la bocca quando parlo. 
 
Aggiunge. Stefano pensa però a quante volte l’ha visto giocare con i denti con il suo piercing, abitudine che mantiene anche durante le loro videochiamate. Gli è difficile credere che l’abbia notato.
 
-Però hai quel vizio di… giocare con la pallina. 
 
Commenta, osservando le sue labbra. Paolo immediatamente gli da una dimostrazione di ciò che ha appena detto, appoggiando sul labbro inferiore la punta della lingua, e iniziando delicatamente a far roteare la pallina contro gli incisivi.
 
-Così, dici?
 
Domanda, fermandosi. Stefano annuisce.
 
-Te ne sei accorto quindi… Beh cerco di farci attenzione, spesso metto una mano davanti alla bocca per nascondere. Ho anche questo…
 
Esclama portando il petto in avanti e toccandosi il piercing al capezzolo con l’indice, inizia poi a roteare la punta del dito prima sul gioiello e poi attorno al capezzolo stesso, per qualche istante. Stefano è stupito dal suo gesto e rimane incantato a fissarlo. Immagina che ci siano le sue dita al posto di quelle di Paolo, la sua lingua magari. Poi, per evitare di farsi notare troppo, distoglie lo sguardo.
 
-Per questo basta mettere camicie scure o un po’ più larghe e non si nota. 
 
Conclude Paolo, fermandosi. Sorride, un sorriso diverso dal solito, nel quale arriccia un po’ il naso e incurva solo leggermente le labbra all’insù. Stefano è praticamente certo che lo stia stuzzicando di proposito. Decide subito di cambiare argomento, per togliersi dall’imbarazzo.
 
-La muraglia cinese, non la vedrai?
 
Chiede, così dal nulla. Paolo non aspettandosi quella domanda inarca le sopracciglia e gli rivolge uno sguardo confuso.
 
-No. È a più di mille chilometri da Shanghai, la vedo un po’ dura…
 
Risponde. Stefano sorride.
 
-Non sono pratico con la geografia della Cina… però l’ho sempre ritenuta affascinante, la muraglia. Sai di quegli artisti, Ulay Marina Abramovic?
 
Domanda. 
 
-La Abramovic era quella che si metteva seduta in silenzio al museo, lasciando che la gente facesse qualsiasi cosa?
 
Stefano annuisce. 
 
-Esatto. Ulay era il suo compagno, di lavoro e di vita, era un artista come lei… la loro è stata una storia difficile e complicata. Volevano lasciarsi ma non erano sicuri e per farlo hanno deciso di usare il linguaggio a loro più congeniale: l’arte. Hanno scelto percorrere la muraglia cinese ai due capi opposti, con l’obiettivo di rincontrarsi a metà strada. Solo arrivati lì avrebbero deciso cosa fare della loro relazione. Ci sono voluti più di due mesi, prima che si trovassero e nei mesi di preparazione lui ha pure messo incinta la sua interprete. 
 
Paolo fa una smorfia. 
 
-Oh io non corro questo rischio, il mio interprete è un uomo. 
 
Stefano si lascia sfuggire una risata. 
 
-E poi? Come è finita? Sono rimasti insieme?
 
Domanda Paolo, incuriosito. 
 
-No. Arrivati al punto d’incontro lui le ha chiesto cosa volesse fare. Marina ha detto: “io me ne vado”. È finita così… 
 
Racconta Stefano. Paolo rimane in silenzio per un attimo, riflettendo forse sulla storia appena raccontata da Stefano.
 
-E… ti affascina una cosa così triste?
 
Gli domanda stupito. 
 
-Non mi piace come è finita, però apprezzo il viaggio, il tentativo disperato, il mezzo con quale ci sono arrivati, usando l’arte non sapendo in che altro modo uscirne, come dirselo. A volte non è facile usare le parole, essere diretti… avevano il loro linguaggio.
 
Spiega Stefano, con trasporto. Si sente personalmente coinvolto in quella sua interpretazione, come se stesse parlando di sé stesso. Perché anche per lui è difficile esprimersi, anche lui vorrebbe trovare con Paolo un linguaggio comune, che non dipenda solo dalle parole. Anche Paolo sembra colpito dalla sua spiegazione, rimane in silenzio e lo vede distogliere lo sguardo dalla telecamera. 
 
-C’è già la luna, da te?
 
Domanda, di punto in bianco. Stefano non sa come rispondere, cerca di sporgersi per vedere il cielo. In effetti, pur essendo solo le sette e mezza di sera, il cielo è buio ed è probabile che la luna sia visibile. 
 
-Sì, penso ci sia.
 
Risponde. Paolo si alza, portando con sé il computer. Non riesce a capire cosa stia facendo, dal momento che la telecamera riprende solo un pezzo della sua spalla, coperta dalla maglietta. 
 
-Guarda: io la vedo così, quasi piena. Tu dovresti vedere lo spicchio rimanente.
 
Esclama, girando il computer verso il cielo. Stefano riesce a malapena a scorgere un puntino bianco, nel cielo scuro. Dopodiché Paolo volta di nuovo il computer verso se stesso ma non rientra in stanza, lo vede sedersi fuori, su una sedia del balcone. Stefano decide di alzarsi a sua volta, portando  con sé il pc, per andare a vedere dal suo giardino se, effettivamente, la luna è visibile.
 
-Sì, è vero. Ne vedo solo una piccolissima parte. 
 
Risponde, puntando la telecamera del computer verso il cielo, esattamente come ha fatto Paolo. 
 
-Se ci pensi è assurdo: stiamo guardando la stessa cosa, contemporaneamente anche se in orari differenti e l’uno al capo opposto del mondo, rispetto all’altro. Io la vedo quasi tutta e tu solo una parte ma la luna è sempre quella, una soltanto. Non vede confini di nessun tipo, supera il tempo e lo spazio… non ti sembra di essere più vicini, guardandola?
 
Domanda Paolo, con tono quasi sognante. È la prima volta che lo sente parlare in quel modo, con una sfumatura quasi romantica. Apprezza anche questa sua nuova sfaccettatura e spera che emerga più spesso. 
 
-È vero. È un bel pensiero, mi piace.
 
Commenta. Paolo sorride, un sorriso che si forma lentamente ma che rimane a lungo sul suo viso. 
 
-È ciò a cui penso ogni sera, qui, quando cerco di addormentarmi.
 
 Spiega. 
 
-Mi chiedo davvero come tu riesca a dormire così poche ore per notte ed essere sempre e comunque… così.
 
Commenta Stefano. Paolo sospira.
 
-È perché non mi vedi di persona.
 
Ribatte, con la sua solita modestia. Stefano pensa che ormai sono passate tre settimane dalla sua partenza. Dovrebbe restare in Cina ancora un paio di settimane, giorno più giorno meno. A volte vorrebbe chiedergli “Quando tornerai?”, “Quanto ti rivedrò?” ma non ha mai il coraggio di farlo, un po’ per il timore di una sua reazione negativa e un po’ perché si sente estremamente patetico. 
 
-In realtà stasera un po’ di sonno ce l’ho, se devo essere sincero.
 
Confessa, sbadigliando. 
 
-Beh, approfittane. Sarebbe un peccato… 
 
Esclama Stefano. Paolo annuisce.
 
-Sì, buona idea.
 
Stefano cerca di trovare le parole per dargli la buonanotte e salutarlo, riesce appena a pronunciare “B”, che viene preceduto da Paolo. 
 
-Mi manchi, Ste. 
 
Esclama, cogliendolo di sorpresa. Il suo cuore inizia a battere forte, teme di non aver sentito bene. Rimane in silenzio, deglutisce. Non vuole restare immobile e non dire nulla, facendogli erroneamente intendere che per lui non sia lo stesso. Tremando e sforzandosi per far uscire la voce, risponde. 
 
-Anche tu. 
 
Paolo sorride, di nuovo.
 
-Guarda la luna, ogni tanto. 
 
Aggiunge. Stefano annuisce.
 
-Lo farò, buonanotte.
 
-Buonanotte. 
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Buonasera! Breve messaggio di saluti e per scusarmi di aver postato tardi e di domenica, per due volte consecutive. Colpa del lavoro. Per farmi perdonare, dopo avervi detto all'inizio della storia a chi mi sono ispirata per la descrizione di Paolo, vi dico anche l'ispirazione di Stefano: il cestista francese Joris Ortega :) Detto ciò... buona settimana! Ah, ve lo dico: non siete pronti per i prossimi capitoli =D

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Capitolo 19
*** Pensieri ***


È mercoledì sera. Stefano ha dovuto rinunciare alla serata giochi con i suoi amici e alla videochiamata con Paolo per sostenere un incontro infrasettimanale con la squadra. Non ne è felice. Sebbene il calcetto sia da sempre una delle sue passioni, sa che sentirà la mancanza di Paolo, con il quale non si è scambiato più di un messaggio nel corso della giornata.
È appena rientrato dal lavoro, ha gettato a terra gli abiti da ufficio e si sta dando una rinfrescata veloce al lavandino, prima di mettersi la tuta e la divisa della squadra. Osservandosi allo specchio, si accorge che la barba è un po’ più lunga del solito, in effetti non la regola come si deve da qualche giorno. Il suo rapporto con la barba è conflittuale: in alcuni periodi della sua vita preferisce tenerla corta, anzi, non tenerla affatto. Durante l’università, in particolare, era solito passarsi la lametta sul viso ogni mattina, per evitare che anche il pelo più sottile risultasse visibile. Gli piaceva avere un’immagine giovanile, fresca e pulita. Recentemente, complice anche la mancanza di tempo e il fatto di essersi stancato di avere costantemente tagli sul viso, ha iniziato a lasciarla un po’ più lunga, in modo che si veda ma che non sia eccessivamente folta, le zone più visibili risultano essere i baffi e il mento, mentre sulle guance e all’altezza delle basette rimane più sfumata e rada. Accarezza entrambe le guance con i palmi delle mani, pungendosi. È irta e ispida e si è infoltita più del solito. Apre il cassetto sotto al lavandino per prendere il rasoio regolabarba, preme il bottone e lo avvicina al viso, sporgendosi in avanti verso lo specchio per avere una visuale migliore. Prima di iniziare a tagliare si blocca: osservandosi meglio crede che quella lunghezza gli stia bene e che gli conferisca un’aria diversa, più matura e seriosa. Spegne il rasoio e lo ripone nel cassetto. Osserva di nuovo il proprio riflesso allo specchio per e sorride. Anche il suo sorriso, incorniciato da un filo di barba più scura, risulta quasi misterioso. No, non taglierà la barba quel giorno e forse nemmeno l’indomani. Spegne la luce dello specchio e si infila la maglietta della squadra.
Mentre scende le scale, controllando che l’orologio al suo polso sia carico impostando parametri dell’allenamento, si chiede se Paolo apprezzerà questo suo cambio di look. Riflettendoci, si chiede se la barba in generale possa essere di suo gradimento, dal momento che lui non la porta o che comunque avendo i capelli molto chiari, è difficile notarla sul suo viso. Non si è mai soffermato chiedersi cosa Paolo possa gradire del suo aspetto fisico, in realtà fino a qualche settimana prima dubitava persino che Paolo potesse essere interessato a lui. Ora ne è più convinto, anche grazie al tempo trascorso insieme su Skype e al fatto che gli abbia detto esplicitamente di sentire la sua mancanza. Tuttavia, cosa esattamente possa gradire in lui non saprebbe dirlo.
Indossa il giubbotto, raccoglie il borsone da terra e, chiude la porta ed esce di casa, stringendo bene il bavero del giubbotto e allacciando la cerniera quasi fin sotto al naso. Anche il mese di novembre sta giungendo a termine, il clima è freddo e sempre più umido, la mattina capita spesso di trovare brina e ghiaccio per terra. L’inverno sta per arrivare, così come dicembre e naturalmente le feste di natalizie. 
 
Le trascorreremo insieme?
 
Pensa, tra sé e sé, sentendosi un po’ sciocco nel voler far progetti ancora piuttosto distanti nel tempo. Manca poco meno di mese a Natale, è presto per dire cosa accadrà. Ancora non sa quando Paolo tornerà dalla Cina e sebbene ogni sera riprometta a sé stesso di chiederglielo, non ne ha mai il coraggio. Inoltre non è sicuro di come si evolverà il loro rapporto quando saranno finalmente uno di fronte all’altro, quando non ci saranno più uno schermo e diecimila chilometri di distanza a dividerli. Gli è più facile parlare con lui in quel modo, gli è risultato meno complicato ammettere di sentire anche lui la mancanza di Paolo, seduto davanti al pc. Se fosse stato di fronte a lui, in carne e ossa, è certo che il suo atteggiamento sarebbe stato diverso: si sarebbe perso negli occhi di Paolo, facendo fatica a reggere il suo sguardo. Inoltre lui sicuramente avrebbe stabilito un contatto fisico, toccandogli la spalla o il braccio o la mano, come aveva fatto l’ultima volta. Ripensa al tocco delicato e tiepido delle mani di Paolo che accarezzano e stringono la sua spalla o il suo braccio o il suo ginocchio e il sol pensiero lo paralizza, gli fa mancare il respiro. Per non parlare del suo profumo, dall’effetto di un incenso ipnotico nel quale si perde e si confonde e infine la sua voce, quel timbro basso, caldo, a tratti un po’ roco. 
Si perde nelle sue fantasie e senza che se ne accorga è già arrivato al campo sportivo. Si affretta a raggiungere gli spogliatoi e cambiarsi, la sua squadra è già in campo per il riscaldamento e gli avversari sono arrivati, vede il loro pullmino parcheggiato vicino al cancello. 
Il campo è bagnato a causa delle recenti piogge e dell’umidità costante e la partita, sebbene fosse stata data per vinta dall’inizio, dal momento che la squadra avversaria è l’ultima in classifica, non è per nulla facile. Gli avversari sono per la maggior parte più giovani e più veloci, alcuni di loro sono in grado di padroneggiare strategie e tattiche, come fossero professionisti. Mentre corre più velocemente possibile, arrivando al massimo dei propri limiti per scartare gli avversari e riuscire a trovare un’opportunità per passare la palla agli attaccanti, Stefano si chiede se non sia arrivato il momento di ritirarsi. Il prossimo anno compirà trentatré anni e il fiato inizia ad accorciarsi, così come la resistenza e sono invece aumentati i tempi di recupero. Trentatré anni non sono pochi per un giocatore di calcio, è vero che negli anni l’età media di ritiro nel mondo del calcio si è alzata, arrivando anche passare i quarant’anni in alcuni casi, tuttavia si tratta di fuoriclasse, persone seguite, curate e affidate ad equipe di medici e professionisti sportivi, lui non è decisamente da paragonare a quelle categorie. 
Approfittando di una distrazione da parte degli avversari, riesce a bucare la difesa e passare rapidamente il pallone a Simone che scatta verso la porta e segna il primo goal della partita. Il mister esulta e alcuni dei compagni corrono verso Simone per complimentarsi con lui. Stefano rimane immobile, a prendere fiato, vuole conservare le energie per la prossima azione, ha il fiatone e non può fare a meno di chiedersi se sia davvero colpa dell’età o se semplicemente quella sera sia distratto e quindi stia sprecando energie innecessarie, non avendo per un secondo smesso di pensare a Paolo e ai vari scenari che potrebbero verificarsi al suo rientro. Giusto il tempo di rinviare l’azione dalla porta, che l’arbitro fischia la fine del primo tempo, mandando le squadre nello spogliatoio. Stefano tira un respiro di sollievo, avrà tempo per riposarsi e ricaricarsi. 
Nello spogliatoio i compagni commentano le varie azioni della partita. Antonio si avvicina a Stefano per complimentarsi con lui.
 
-Grande Ste! Se non fosse stato per te non avremmo fatto il primo goal. 
 
Esclama, dandogli una pacca sulla spalla. 
 
-Son tosti sti ragazzini. 
 
Esclama Diego, togliendosi i guanti da portiere e riscaldando le articolazioni delle dita. 
 
-Siamo noi che stiamo diventando un po’ troppo vecchi… 
 
Commenta Stefano con amarezza, dando voce ai propri pensieri. La sua riflessione non viene accolta positivamente dai compagni di squadra.
 
-Ma parla per te! Io i trenta li farò solo tra un paio di mesi… c’è tempo!
 
Ribatte Giacomo. 
 
-Sì, la maggior parte di noi è non è proprio di primo pelo… però siamo una squadra dilettantistica, mica la prima rosa del Milan. 
 
Ammette Antonio. Simone fa spallucce. 
 
-Tiziano e Martin hanno venticinque anni. Il più vecchio è Diego che ne ha trentacinque… c’è di peggio! Comunque ci manca un attaccante! Speriamo che Paolo rientri almeno per la seconda parte del campionato. Lui di sicuro un goal in più ce lo faceva e non è giovanissimo, quanti anni avrà?
 
Domanda. Stefano risponde istintivamente, senza pensarci troppo.
 
-Ne fa trentatré il sei di giugno.  
 
Si blocca. Teme di essere risultato sospetto nel dare una risposta così celere, eppure gli è venuto spontaneo. Conosce Paolo da quando erano a scuola, ricorda benissimo quella data, che cade esattamente un mese prima de suo compleanno e sei giorni dopo quello di Elena. Si guarda attorno tenendo lo sguardo basso, sperando di non aver insospettito nessuno. Dopotutto, Diego già crede che ci sia qualcosa tra di loro, come gli ha esplicitamente detto durante la trasferta in Romagna. 
 
-Ah… avete la stessa età. Sai per caso anche quando torna? Magari lo senti più di noi…
 
Chiede Simone, con un tono neutro, senza particolari inflessioni. Stefano tuttavia incrocia lo sguardo di Diego, che pare particolarmente interessato alla sua risposta.
 
-No, non lo so. 
 
Risponde, sbrigativo. Non ha mentito, davvero non sa quando Paolo rientrerà in Italia, non ha ancora avuto il coraggio di chiederglielo. Per evitare altre domande scomode, si alza e va in bagno, allontanandosi dalla discussione. Poco dopo il mister entra nello spogliatoio per richiamare la squadra e incitarli a rientrare velocemente in campo. Stefano rientra per ultimo, aspettando che lo spogliatoio si svuoti.
Il secondo tempo risulta più semplice, l’incremento di umidità della sera ha reso il campo ancor più scivoloso e anche gli avversari sono meno scattanti. Nessuna delle due squadre riesce tuttavia ad entrare in porta, la partita termina uno a zero per la squadra ospitante. Dopo aver salutato e ringraziato gli avversari, Stefano inizia a raccogliere i palloni per riporli nello stanzino. Si avvicina poi alla porta per staccare la rete e riporla a sua volta: il mister non vuole che rimanga fuori durante la notte e intende usarla solo durante le partite, mai negli allenamenti. Prima che possa sganciarla completamente viene fermato.
 
-Ste, finisci di staccare quella poi entra nello spogliatoio, che ho una comunicazione per tutti.
 
Esclama il mister. Stefano fa ciò che gli viene richiesto, mentre negli spogliatoi qualcuno ha già iniziato a svestirsi per fare la doccia. 
 
-Allora gente. Intanto, partita mediocre. Potevate fare di più, specialmente perché abbiamo giocato con i più scarsi del nostro girone.
 
Li rimprovera. Simone tenta di ribattere ma viene fermato.
 
-No. Fatemi finire. Dicevo: partita mediocre, ad eccezione di Stefano che ha giocato davvero bene. Bravo, Ste!
 
Si complimenta con lui, Stefano sorride. Non si aspettava un complimento, proprio in quella sera in cui ha seriamente iniziato a pensare di ritirarsi. 
 
-Altra comunicazione: settimana prossima vi ricordo l’annuale ritiro per il ponte dell’Immacolata a Merano. Già prenotato, già pagato e offertoci gentilmente dal Bar Sport. A noi rimangono fuori pranzo e cena. Trasporto offerto dalla ditta che ci fa maglie e accessori, quindi Ste per una volta non guiderai tu. 
 
Stefano si era completamente dimenticato del ritiro invernale. Ogni anno la squadra organizza due ritiri: quello breve invernale che dura solo tre giorni e si svolge in Trentino e quello estivo, di una settimana, che si svolge nei pressi di Como. Solitamente il ritiro a Merano è l’evento più atteso in squadra perché ad eccezione degli incontri programmati con squadre di tutta Italia, che si tengono in un palazzetto dello sport al chiuso, si tratta di una vera e propria vacanza all’insegna del relax con piscine, massaggi, spa ed è un’ottima occasione per gustare birra e cibo tirolese. 
 
-Chi non viene deve farmelo sapere entro fine settimana. Vi lascio in pace, buon rientro a tutti.
 
Conclude il mister, lasciando lo spogliatoio. Stefano rimane per un attimo immobile, sulla porta dello spogliatoio. Si chiede se Paolo riuscirà a partecipare al ritiro o se non ci sarà, come per la trasferta a Cesenatico. Il ritiro in Trentino potrebbe essere un’ottima occasione per stare con lui dal momento che, ad eccezione delle partite, il programma è molto flessibile e ognuno è libero di andare dove vuole, senza renderne conto al gruppo. Mancano meno di dieci giorni e teme che Paolo sarà ancora in Cina. Non vuole aspettare di scoprirlo da solo, si farà coraggio e glielo chiederà direttamente l’indomani, durante la loro videochiamata.
 
 
Il giorno seguente, Stefano si fa la doccia e si veste non appena rientrato a casa, cercando di impiegare non più di quindici minuti. Dopo la videochiamata con Paolo, infatti, ha appuntamento con gli amici a casa di Alberto, per recuperare la serata giochi saltata il giorno precedente. Non bada troppo al proprio abbigliamento, vuole fare presto per riuscire a parlare con Paolo almeno un’ora. 
Quando è vestito, si precipita in cucina dove il pc è già acceso e in carica, pronto per essere utilizzato. Si collega all’applicazione ed effettua al chiamata, Paolo risponde quasi subito.
 
-Ehi… ti stavo aspettando.
 
Lo saluta Paolo, apparendo sullo schermo. Diversamente dalle altre volte è seduto sul letto. 
 
-Ciao. Scusami se ho fatto tardi, mi sono preparato prima perché poi vado da Albe. 
 
Si giustifica Stefano. Paolo scuote il capo.
 
-Ma no, figurati. Non è mica un obbligo… 
 
Lo rassicura, sbadigliando e coprendosi prontamente la bocca con la mano. 
 
-Stavi dormendo?
 
Domanda Stefano, notando sul viso di Paolo, anche a distanza, qualche segno di stanchezza. È la prima volta che lo vede così spento. 
 
-No… sono solo stufo. Sto iniziando a cedere. 
 
Confessa, sistemandosi sul letto, faticando forse a trovare una posizione comoda. 
 
-Tu? Non ci credo neanche un po’. Tu sei Iron Man, non puoi cedere.
 
Afferma Stefano, ironicamente. Paolo sorride, un sorriso un po’ più debole del solito ma comunque brillante. 
 
-Addirittura?
 
Stefano annuisce.
 
-Certo, non crolli mai. Sei sempre impeccabile e fai sempre sembrare tutto così facile… più Iron Man di così! Anche se fisicamente assomigli più a Steve Rogers, Capitan America.
 
Aggiunge. Paolo si lascia andare in una risata genuina e spontanea. Stefano si sente un po’ in imbarazzo per aver lasciato emergere il suo lato nerd e soprattutto perché, dopo averlo detto, non riesce a smettere di immaginarsi Paolo con la divisa di Capitan America o la tuta di Iron Man
 
-Sei in vena di citazioni Marvel, stasera?
 
Chiede, divertito. 
 
-Comunque… fidati, sto crollando. E si vede, anche se molto carinamente non me lo fai notare. 
 
Aggiunge, spostando il pc e sdraiandosi sul letto, a pancia in giù. 
 
-“Una stella che vive di luce propria continua a brillare.”
 
Ribatte Stefano, lasciandosi sfuggire un pensiero che fino a pochi secondi prima credeva sarebbe rimasto solo nella sua testa, è la descrizione perfetta per lui. Paolo rimane colpito da queste parole, che di certo non si aspettava. Sorride. 
 
-Questa dove l’hai tirata fuori?
 
Chiede, ridendo. 
 
-Una canzone. Credo sia di Mr. Rain… lo conosci?
Paolo scuote il capo. 
 
-Me la vuoi cantare? Visto che sei così bravo… 
 
Stefano fa una smorfia. Non ricorda praticamente nulla di quella canzone, se non la strofa che ha appena citato e non si sente poi così sicuro da mettersi a cantare davanti a lui una canzone, senza essersi preparato. La sua espressione deve essere particolarmente divertente, perché Paolo scoppia di nuovo a ridere. 
 
-Scusami. Sono veramente esaurito. 
 
Aggiunge Paolo, ritornando serio.
 
-Ne vuoi parlare?
 
Domanda Stefano, quasi preoccupato. Paolo sospira. 
 
-In realtà non è successo nulla di specifico, sono solo stanco, sfinito. Gli impegni, la tensione per le conferenze, gli esami, i vari progressi da riportare… troppo di tutto. Aggiungiamoci anche il cibo e il quadro è completo.
 
Spiega. 
 
-Il cibo resta la tua croce. È colpa tua, sei abituato troppo bene con la tua cucina. Io che mangio quello che capita e che sono stato tirato su a Quattro Salti in Padella e Sofficini non ho di questi problemi. 
 
Confessa Stefano. Paolo annuisce.
 
-Sì, forse hai ragione. Ma mi accontento di poco, in realtà. Sai qual è il mio comfort food?
 
Chiede. Stefano scuote il capo, è curioso di saperlo. 
 
-Pastina. Bella calda, col brodino di carne. Le stelline sono il mio formato preferito.
 
Stefano sorride, è decisamente l’ultima cosa che si sarebbe aspettato da lui. 
 
-Le stelline? ti facevo più un tipo da risoni. 
 
Commenta. Paolo arriccia il naso e scuote il capo. 
 
-No, per niente. Comunque ieri sera, stufo di mangiare pastiglie di Maalox ogni giorno come se fossero caramelle, ho deciso di andare a cercarmi un pacco di pastina. Ho girato tutti i supermercati che vendono cibo italiano e ho trovato un pacco di ditalini rigati Barilla, prezzo assurdo: sette euro. 
 
Esclama, con tono indignato. Stefano è divertito dalla sua reazione e ascolta la storia con interesse. 
 
-L’ho comprato e sono andato nelle cucine dell’albergo, obbligando i cuochi a prepararmela. Gli ho fatto vedere io come: ho preparato un brodo con le verdure che avevano, perché la carne onestamente non so da che bestia derivasse, ho aggiustato un po’ di sale e ci ho buttato la pastina. La pastina migliore della mia vita!
 
Commenta soddisfatto. Stefano non può fare a meno di sorridere. 
 
-Non ci posso credere! Con tutte le cose buone che sai fare, proprio la pastina? Avresti potuto insegnargli a fare il pesto, come quello che hai fatto per me. O la tua pizza, o l’arrosto… 
 
Suggerisce, ripensando a ciò che ha potuto assaggiare della cucina di Paolo, riportando alla mente anche i momenti esatti nei quali ha cucinato per lui e con lui. In particolare la sera in cui ha preparato il pesto, la stessa in cui Elena aveva avuto un incidente, quando ha iniziato a capire di provare dei reali sentimenti nei confronti di Paolo, qualcosa di ben più forte di una semplice infatuazione. 
 
-E non ti ho mai fatto provare il mio risotto, né i cannelloni ripieni, né il brasato. Pesantino quello, anche se fatto da me, però eccezionale.
 
Aggiunge Paolo, stuzzicando l’appetito di Stefano. 
 
-Ok, mi hai fatto venire fame. Ma… i cuochi cinesi non hanno fatto obiezioni, quando gli hai chiesto della pastina?
 
Domanda. Paolo scuote il capo.
 
-No! Erano interessatissimi, hanno assaggiato anche loro e mi hanno fatto i complimenti. Gli ho chiesto di prepararmela ogni sera a cena, finché non me ne andrò. Anche perché sto esaurendo gli antiacidi e non ho intenzione di comprarne qui.
 
Stefano si stava quasi dimenticando di dover chiedere a Paolo se ci sarà per il ritiro in Trentino. Si è perso, come sempre, nei suoi discorsi. Decide di farsi coraggio e di interromperlo, prima che possa dire qualcos’altro. 
 
-Prima che mi dimentichi… la prossima settimana, venerdì, partiremo per il ritiro invernale a Merano. Forse te l’aveva accennato il mister quando ti ha parlato della nostra squadra. Manca poco più di una settimana, quindi non so se ci sarai…
 
Esclama, abbassando lo sguardo e sfumando via via il tono di voce. 
 
-Venerdì è il 6?
 
Domanda Paolo. Stefano annuisce. 
 
-Sì, dovrei esserci. 
 
Risponde. Stefano spalanca gli occhi, il suo cuore si ferma per un attimo per riprendere a battere sempre più forte. Quindi Paolo tornerà tra poco, tra una settimana al massimo. Sette giorni, forse meno, poi potrà finalmente rivederlo, averlo davanti a sé. Come dovrà comportarsi? Come quando si sono salutati? Oppure si abbracceranno? Gli dirà il giorno esatto in cui rientrerà in Italia? Gli chiederà di andare ad accoglierlo all’aeroporto? Il cervello di Stefano inizia a produrre una serie di ipotesi e lui rimane immobile, paralizzato. 
 
-Ti sei bloccato?
 
Domanda Paolo, con tono di sconcerto. Stefano scuote il capo. 
 
-No è che… quindi tornerai… 
 
Dice, quasi faticando ad allineare le parole in una frase di senso compiuto.
 
-Certo. Ti ho detto che non sarei rimasto qui per sempre, no?
 
Chiede conferma, confuso dalla sua affermazione. Stefano annuisce, lentamente, continuando a pensare e a fare ipotesi nel contempo. 
 
-Parlerò con il mister per confermare la mia presenza. Non lo sento da quando sono partito. A proposito… com’è andata la partita di ieri sera?
 
Domanda Paolo. Stefano finalmente riesce a sbloccarsi e inizia a raccontare del giorno precedente, parla poi del ritiro, delle attività previste, spiegando a Paolo per filo e per segno il programma. Dopodiché, essendo passate le sette e mezza, è costretto a salutarlo e dargli la buonanotte, per andare a casa di Alberto e incontrare i suoi amici.
 
 
Mentre percorre il tragitto tra casa sua e quella di Alberto, Stefano non riesce a smettere di pensare al fatto che a breve lui e Paolo si rivedranno. Da giorni voleva sapere la data esatta del suo rientro e non era mai riuscito a chiedergliela, iniziando a dubitare che il suo ritorno sarebbe avvenuto tanto presto. In realtà Paolo non gli ha detto esattamente quando tornerà, sa solo che riuscirà a prendere parte al ritiro e che quindi potrà condividere con lui quell’esperienza, sperando di cogliere qualsiasi opportunità dovesse verificarsi. 
Anche a casa di Alberto non riesce a stare concentrato, non lo ritiene giusto nei confronti dei suoi amici che, oltretutto, hanno scelto di posticipare l’appuntamento settimanale per includere anche lui. Eppure non può fare diversamente, non riesce a spegnere il cervello, non riesce a controllare i propri pensieri. È al tempo stesso felice, spaventato e ansioso, un mix di emozioni che sente potrebbero farlo esplodere.
 
-Ste ti sei fatto una canna, prima di venire qui?
 
Domanda Alberto. Si trovano sul balcone, a fumare. Sono le undici passate, Andrea e Luca sono appena andati via, Giulio sta sistemando il salotto e ha iniziato a spazzare a terra e a buttare l’immondizia. Stefano trova insolito che si sia fermato così a lungo e che non se ne sia andato via subito insieme agli altri, come accade normalmente. Non accenna inoltre a volersene andare, molto probabilmente si fermerà da Alberto per la notte. Non ha notato particolari interazioni tra i due durante la serata, anche se la sua testa era altrove e non si sarebbe accorto di nulla, nemmeno se Alberto avesse sbattuto Giulio contro il muro e si fosse messo a baciarlo. 
 
-Come?
 
Chiede lui, cercando di restare concentrato. Alberto sbuffa. 
 
-Cos’ha fatto questa volta?
 
Domanda, rassegnato. Inizia a rotolarsi la sigaretta, appoggiandosi alla ringhiera del balcone.
 
-Chi? 
 
Domanda Stefano, fingendo di non aver capito a chi si stia riferendo. Alberto porta gli occhi al cielo e fa una smorfia. Accende la sigaretta e fa un tiro, dopodiché la passa a Stefano. 
 
-Tornerà la prossima settimana. 
 
Risponde Stefano, senza aspettare ulteriore conferma. Alberto dapprima si blocca, poi si gira di scatto, tenendo lo sguardo rivolto davanti a sé, celando il viso nella penombra del balcone. 
 
-Beh prima o poi…
 
Commenta. Stefano prende un paio di tiri dalla sigaretta poi la restituisce ad Alberto, che nel frattempo è rimasto in silenzio, appoggiato alla ringhiera, con lo sguardo fisso.
 
-Sei pronto?
 
Domanda, con tono pacato, girandosi verso di lui. Stefano fa spallucce. 
 
-Secondo te?
 
Risponde, con l’intenzione di risultare serio. Alberto lo guarda, scrutandolo per qualche istante, dopodiché entrambi si scambiano un sorriso. 
 
-Farai qualche pirlata. 
 
Commenta. Stefano non può fare a meno di annuire, confermando la sua ipotesi. L’espressione di Alberto cambia e, per una frazione di secondo, Stefano riesce a scorgere un velo di malinconia nei suoi occhi, appena il tempo di un battito di ciglia, dopodiché afferra la sigaretta dalle sue dita e riprende a fumare, in silenzio.
 
***
 
La settimana seguente, Stefano è di nuovo costretto a posticipare l’appuntamento del mercoledì con i suoi amici per colpa del calcetto. Infatti, in occasione del ritiro, il mister ha concordato con gli avversari del weekend un incontro infrasettimanale, giocato eccezionalmente al campo sportivo. Stefano per farsi perdonare dai suoi amici, anche per il fatto di essere stato praticamente un fantasma nell’ultima settimana, a causa dei pensieri su Paolo, ha deciso di invitarli tutti quanti in un ristorante asiatico, il solito dal quale generalmente ordinano cibo take-away, per trascorrere una serata diversa in compagnia. Per questo motivo non potrà sentire Paolo per ben due giorni ma non è preoccupato, dal momento che ritornerà presto. Inoltre la sera prima l’ha sentito al telefono, per poco meno di mezz’ora, perché Paolo non era riuscito a rispondere alla sua videochiamata a causa di alcune difficoltà di linea. 
 
-Forza, visto che ci siamo quasi tutti possiamo iniziare a riscaldarci. Avanti!
 
Urla il mister, iniziando poi a soffiare nel suo fischietto. Stefano inizia a correre lungo il perimetro del campo, seguito dal resto della squadra. Si guarda attorno e vede che, a parte il portiere di riserva, non manca nessuno. Anche i giocatori avversari sembrano essere pronti e stanno facendo stretching nella metà campo che occuperanno durante il primo tempo. Mentre la squadra continua a correre, il mister posiziona un paio di coni per un veloce riscaldamento di dribbling. Prima di farlo, però, chiede al gruppo di fare stretching agli arti inferiori. Stefano si mette in posizione per allungare i polpacci, piega il ginocchio sinistro sul quale si appoggia e allunga la gamba destra. Quando sente il muscolo sufficientemente tirato, ripete il medesimo esercizio con la gamba opposta.
 
-Oh! Marco Polo che torna dalla Cina, non ci credo!
 
Esclama Giacomo, facendo sobbalzare Stefano che immediatamente alza lo sguardo e per un attimo crede di avere un’allucinazione: Paolo, con la tuta rossa della squadra addosso e il borsone a tracolla, sta entrando dal cancello, con il braccio destro alzato intento a salutare la squadra, una classica entrata in scena di un vip. Come tale, viene accolto dai compagni che interrompono i propri esercizi per corrergli incontro e salutarlo. Stefano vorrebbe fare altrettanto ma rimane paralizzato, in piedi con lo sguardo fisso e il cuore che batte a ritmi incontrollabili, ancora con le gambe leggermente divaricate per l’esercizio che stava facendo. Paolo posa il borsone e lo raggiunge, anche a distanza vede che sta sorridendo. Non crede che sia reale, che sia proprio lui, finché non se lo trova davanti, a mezzo metro di distanza. Gli sorride, quel suo sorriso e quella fossetta sulla guancia, così incredibilmente reali. Lo guarda dritto negli occhi e Stefano fatica a reggere lo sguardo, in realtà inizia ad avvertire un groppo in gola, teme di poter scoppiare in lacrime da un momento all’altro, a causa della tensione e dello stupore. Non si sarebbe mai aspettato di trovarselo davanti quella sera, di riaverlo così vicino dopo più di un mese, dopo averlo visto ogni sera per due settimane attraverso uno schermo ed essersi esposto con lui più di quanto credeva sarebbe mai riuscito a fare e quel suo profumo, quell’avvolgente aroma legnoso e speziato che ormai associa solo a lui. 
 
-Sorpresa!
 
Esclama Paolo, con un grande sorriso. Stefano è pietrificato, non sa come reagire. Ha paura che il lato emotivo che ha scoperto di possedere in quegli ultimi mesi possa prendere il sopravvento. 
 
-Non… mi avevi detto che saresti tornato oggi.
 
Afferma, con un filo di voce, facendo il possibile per mantenere contegno e compostezza e continuando a guardarlo per ricercare tutto ciò che apprezza in lui: i piercing, il sorriso, il naso dritto e simmetrico, gli occhi brillanti e cerulei, i capelli biondi meravigliosamente ed elegantemente spettinati, sono dettagli che ha visto ogni giorno in video ma che dal vivo trova ancor più straordinari. Paolo posa una mano sul suo braccio sinistro, tenuto teso e rigido, lo stringe e lo massaggia, come ha fatto più volte nei mesi precedenti e Stefano sente un calore improvviso partire dal punto esatto in cui Paolo posa le dita, irradiarsi in tutto il suo corpo. 
 
-Certo che no! Altrimenti che sorpresa sarebbe stata? Ho avvisato il mister per dirgli di aspettarmi, chiedendogli di non dire nulla a nessuno. Sono arrivato alle due di oggi pomeriggio, sono partito dalla Cina quando ti ho salutato ieri sera. Ti parlavo dall’aeroporto. 
 
Spiega. Ora Stefano riesce a capire il motivo della telefonata senza video e perché sia durata così poco, rispetto al solito.
 
-Non sei felice di vedermi?
 
Domanda Paolo, aggrottando la fronte. Stefano annuisce, gli è difficile fare e dire qualsiasi cosa in questo momento, specialmente con Paolo così vicino, con quel profumo che inizia già a sentirsi addosso e la sua mano, tiepida, posata sul braccio. 
 
-Lo sono, sono solo… sopraffatto.
 
Confessa, non trovando altro termine per descrivere il suo stato d’animo. Paolo sorride, stringe ancora più forte il suo braccio e con l’altra mano gli sfiora il viso, la guancia. È la prima volta che lo fa. 
 
-Devo ancora capire se questa barba scura mi convince o no. In video non sembrava così tanto folta… 
 
Commenta. Stefano si irrigidisce ulteriormente. 
 
-Non ti piace?
 
Chiede, quasi con timore. Paolo rimane in silenzio, lo guarda attentamente arricciando il naso. 
 
-Naa… sono solo geloso perché a me la barba non cresce. Mi ci devo abituare. 
 
Commenta, togliendo la mano dal braccio.
 
-Vado a cambiarmi. Ci vediamo tra poco!
 
Lo saluta, correndo a recuperare il suo borsone. Stefano rimane in quella stessa posizione, osservando ogni suo movimento, finchè non lo vede entrare nello spogliatoio. La partita inizia dopo una decina di minuti, Paolo si presenta in campo sin da subito, pronto e scattante nella divisa della squadra che, come sempre, sembra essergli cucita addosso. Stefano fa un respiro profondo e cerca di raccogliere tutte le sue forze per evitare di lasciarsi distrarre da Paolo. Correndo lungo il campo, scartando gli avversari e recuperando la palla, non può fare a meno di fissarlo e continuare a ripetere tra sé e sé: “è arrivato”, “è qui”, “è reale”. 
A giudicare da come gioca, sembra quasi che non se ne sia mai andato: corre, scarta e dribbla, senza fermarsi un attimo, quasi non sentisse la necessità di respirare. Naturalmente, a metà del primo tempo, riesce a segnare il primo goal, un goal di tacco, facendo passare la palla in mezzo alle gambe dell’avversario che aveva tentato di marcarlo durante tutta la sua azione. Di nuovo, come si trattasse copione, il suo goal scatena esultanza e grida da parte della squadra e del mister: Paolo è tornato, non c’è più alcun dubbio. 
Anche nel secondo tempo non manca di sfoggiare tutte le sue abilità e di splendere come un diamante in mezzo a tutti quanti, segna il suo secondo goal a due minuti dalla fine, decretando la decisiva vittoria della squadra.
Terminata la partita, gli avversari si fermano a complimentarsi con Paolo, il loro mister vuole conoscerlo e sapere qualcosa di più su di lui. Stefano rimane in disparte, a sistemare il campo, osservandolo da lontano. Dopo aver salutato gli avversari, Paolo raggiunge il resto della squadra nello spogliatoio. Stefano raccoglie tutto il materiale utilizzato in campo e il sacco dell’immondizia con bottigliette d’acqua vuote e fazzoletti, per portarli nel ripostiglio, dopodiché va a lavarsi. Per poco non si scontra con Paolo, che sta andando via. Ha indosso la giacca a maniche lunghe della divisa ma non sembra si sia fatto la doccia.
 
-Ehi… sempre l’ultimo tu, eh?
 
Chiede. Stefano annuisce. 
 
-Stai già andando via?
 
Domanda. 
 
-Grazie Paolo per i biscotti!
 
Esclama Diego, brandendo un pacchetto trasparente con degli ideogrammi cinesi. 
 
-Figurati! Spero vi piacciano, vanno bene sia col dolce sia col salato. 
 
Risponde, girandosi verso di lui. Dopodiché torna a parlare con Stefano.
 
-Sì, sto andando a casa. Praticamente non ho dormito nelle ultime ventiquattro ore e sto crollando. Domani mattina mi aspettano alla Vince per il debriefing. Ci sentiamo domani. 
 
Lo saluta, stringendogli la spalla e poi esce dallo spogliatoio. Nel frattempo buona parte dei compagni si sono lavati e cambiati e Stefano può farsi la doccia in tranquillità. Prima di andarsene il mister gli consegna le chiavi per chiudere lo spogliatoio e il cancello, posandole come di consueto sul suo borsone. Stefano esce dalla doccia, stringe la cintura dell’accappatoio in vita, spegne le luci dei bagni e si siede sulla panca, vicino al borsone, per recuperare i vestiti. Prende le chiavi della struttura e le infila nella tasca laterale. Si accorge però che c’è qualcos’altro in quella tasca, solitamente vuota. Infila la mano ed estrae un pacchettino rosso di forma rettangolare. Su di esso, con un pezzo di nastro adesivo, è appiccicato un bigliettino scritto a mano, in bella grafia, un corsivo lineare, pulito e dal tratto sicuro, probabilmente scritto con la stilografica.
 
“Per Stefano”
 
Il biglietto è un foglio bianco, ripiegato su sé stesso in quattro parti, sulle quali è scritta, a mano, quella che sembra essere una poesia, in quella stessa grafia pulita e ordinata. Il testo è incorniciato da alcuni disegni fatti a penna della luna, una luna realistica attorniata da dalle nuvole, è dettagliato è ricco di particolari, non è il solito disegno stilizzato dei bambini.
 
 
A Lume di luna
 
«Quando la luna sfavilla nella notturna foschia
con la sua falce tenera e lucente, 
la mia anima aspira a un altro mondo,
ammaliata da lontananze infinite.
Ai boschi, ai monti, alle candide cime
io mi affretto nei sogni come uno spirito infermo, 
io veglio sul mondo tranquillo
e dolcemente piango e respiro la luna.
Assorbo questo pallido splendore,
come un elfo vacillo in una rete di raggi,
ascolto il silenzio loquace.
Mi è lontano il tormento del prossimo,
mi è straniera la terra con la sua lotta,
sono una nube, un alito di brezza.»
Konstantin Dmitrievič Bal'mont
 
 
Stefano legge la poesia più volte e rimane stupito dal gesto e dalla calligrafia con la quale quella poesia è stato scritta. Non ha dubbi che si tratti di Paolo, il riferimento alla luna è chiaro. Annusa il foglio nella speranza che un po’ del suo profumo sia stato assorbito da esso, purtroppo non ha alcun odore. Rimane immobile, stringendo quel sottile pezzo di carta tra le dita, pensando che mai nessuno gli abbia dedicato una poesia, scritta a mano perdipiù. In solo un paio d’ore, Paolo con il suo ritorno, è riuscito a sconvolgerlo e stravolgerlo in modi davvero inaspettati. Si domanda cosa accadrà nei prossimi giorni, se il suo solo arrivo è stato così carico di emozioni. Ripiega il foglietto e lo posa sul borsone, dopodiché prende il pacchettino sul quale era attaccato e lo apre. Contiene quella che sembra essere una collana con un ciondolo, la collana è formata da palline color ambra, alternate ad anellini in legno scuro. Il ciondolo, anch’esso in ambra, ha la forma di un ovale leggermente più ampio alla base e più stretto nel punto in cui si collega alla collana. Sul ciondolo è incisa l’immagine di una divinità asiatica: una figura umana, difficile dire se si tratti di un uomo o di una donna, vestita con un abito tipico con le mani nascoste all’interno di ampie maniche, il vestito h< uno strascico lungo e la figura porta copricapo sottile che si sviluppa verso l’alto e si dirama in due corna, due piume o forse delle lunghe orecchie, simili a quelle di un coniglio.  
Stefano, pur non essendo un gran conoscitore delle divinità asiatiche, crede di non aver mai visto nulla di simile. L’unico simbolo che conosce della Cina è il gatto dorato che sorride e muove la zampa, che spesso vede nei market asiatici e nei ristoranti. Deve essere sicuramente un souvenir del tempio visitato da Paolo durante la sua permanenza in Cina. Pur non comprendendone il significato apprezza il gesto, specialmente perché si tratta di un regalo da parte di Paolo. Indossa immediatamente la collana e si mette allo specchio per osservarla. Sembra stargli bene, disegno a parte. Decide di tenerla addosso, dopodiché si veste ed esce.
 
 
La sera successiva, al ristorante asiatico, mostra ai suoi amici il biglietto scritto da Paolo. Con Alberto ne ha già parlato al lavoro, quella stessa mattina, non avendo però ricevuto grande entusiasmo da parte sua. Non ha voluto insistere nel parlargliene e ha cercato di non mostrarsi eccessivamente emozionato. Diversa invece è la reazione del resto del gruppo.
 
-È un po’ cringe eh… però che carino! Chi dedica ancora poesie al giorno d’oggi? 
 
Commenta Andrea, facendosi passare il biglietto tra le dita. 
 
-La poesia è bella. Ha un significato particolare la luna per lui?
 
 Domanda Luca, prendendo il foglio da Andrea. Stefano annuisce.
 
-Una sera mi ha detto di guardare la luna insieme a lui, perché la luna è una sola ovunque la si guardi, non ha confini, non ha tempo e guardandola ci sente più vicini, anche se si è distanti.
 
Spiega. Alberto fa una smorfia, un’espressione di disgusto.
 
-Lo facevo un po’ meno patetico. 
 
Commenta. Giulio, seduto accanto lui, immediatamente gli rivolge un’occhiataccia e gli dà una gomitata.
 
-Che c’è? Voleva sapere cosa ne penso.
 
Si giustifica. Stefano non si sente offeso dal suo commento. 
 
-Non me l’aspettavo nemmeno io. 
 
Confessa. 
 
-È stato carino. Io non la trovo una cosa patetica. 
 
Aggiunge Giulio, recuperando il foglio e restituendolo a Stefano. Questi decide di mostrar loro anche la collana, in quel momento nascosta al di sotto della camicia. 
 
-C’era anche questa con il biglietto. 
 
Esclama. Andrea e Luca si sporgono verso di lui per osservarla. 
 
-È tipo un amuleto?
 
Domanda Andrea, incuriosito. 
 
-È un regalo un po’ insolito.
 
Commenta Luca. Alberto, alla destra di Stefano, allunga la mano e stringe il ciondolo tra le dita, osservandolo con attenzione. Non glielo aveva fatto vedere quella mattina. 
 
-È una delle cose più brutte che abbia mai visto.
 
Commenta, lasciandolo scivolare sul petto di Stefano. Di nuovo Giulio sembra volerlo fulminare con lo sguardo. Andrea e Luca ridono, divertiti dalla sua reazione. Alberto si alza.
 
-Esci a fumare?
 
Propone a Stefano. Lui accetta volentieri, il secondo turno della loro ordinazione non è ancora arrivato ed essendo il locale molto pieno è probabile che si farà attendere. Prende il proprio cappotto e segue Alberto, al di fuori del locale. A differenza del solito, la sigaretta è stata preparata in precedenza. Quando gliela porge, Stefano dubita del suo contenuto.
 
-Sì, è speciale… ma non troppo.
 
Specifica Alberto. Stefano esita, poi l’accetta e prende un tiro con cautela, sperando che non sia troppo forte. La restituisce subito, un tiro è sufficiente. Inizia a giocherellare con la collana, osservandola con attenzione.
 
-È davvero tanto brutta?
 
Chiede ad Alberto. Lui la guarda con la coda dell’occhio e fa spallucce.
 
-È pacchiana. Con lo stipendio che prende avrebbe potuto regalarti una collana di Tiffany o un Cartier, non quella plasticaccia. Però capisco la mossa: ha buttato tutto sul sentimentalismo per tenerti in pugno. Te l’ha infiocchettata con quella roba della luna, tutta scritta bene da bravo bambino che a scuola prendeva tutti dieci e il gioco è fatto! Se ti avesse messo qualcosa di prezioso ma senza tutto questo preambolo non ti sarebbe piaciuto così tanto.
 
Spiega, offrendogli di nuovo la sigaretta. Stefano scuote il capo. 
 
-Per te è tutto una strategia…
 
Commenta. Alberto annuisce.
 
-Certo. È un gioco Ste, una caccia. Lui ha sondato il territorio con cautela. Ti ho detto che aspettava solo che tu ti muovessi. Dopo che gli hai dedicato quella canzone ha iniziato a fare sul serio. È bravo, ha capito quali corde tirare con te. Io non avrei mai pensato che ti piacessero queste cose… 
 
Confessa, finendo la sigaretta e gettandola lontano. Dopodiché, senza dire nulla, rientra nel locale. Stefano lo segue, si rimettono a sedere a tavola. Le ordinazioni non sono ancora arrivate e il cameriere si presenta al tavolo soltanto quindici minuti più tardi.
 
-Scusate l’attesa. 
 
Esclama, posando i vassoi e la barca del sushi sul tavolo. Il suo sguardo si posa sulla collana di Stefano che deve averlo colpito al punto da bloccarlo. Rimane con lo sguardo fisso e il cestino dei ravioli a vapore ancora in mano. 
 
-Stai guardando la mia collana?
 
Domanda Stefano, sentendosi osservato. Il cameriere finalmente posa il cestino sul tavolo.
 
-È brutta. Quello non è uno dei nostri veri dei, io non la mostrerei in giro al posto tuo.
 
Commenta, allontanandosi dal tavolo. I suoi amici si scambiano sguardi confusi, rimanendo in silenzio, dopodiché scoppiano a ridere.
 
-Ste, per non piacere nemmeno a loro, deve essere proprio terribile quella collana.
 
Esclama Luca divertito. Stefano osserva ancora una volta la collana, in particolare l’immagine raffigurata nel ciondolo. Per evitare di sconvolgere ulteriormente il personale del ristorante, la nasconde di nuovo all’interno della camicia. Ora più che mai è curioso di sapere il motivo per quale Paolo gliel’abbia regalata. Proverà a chiederglielo l’indomani, quando partiranno per il ritiro. I prossimi tre giorni saranno impegnativi e decisivi per il suo rapporto con Paolo. 
Sospira. 
Non intende pensarci ora. Chiude il bottone del colletto della camicia e inizia a mangiare, vuole dedicarsi ai suoi amici e godersi la serata con loro. 

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Capitolo 20
*** Il ballo della vita ***


Stefano fatica a ricordarsi una notte peggiore di quella appena trascorsa. Ha avuto difficoltà a prendere sonno e non ha fatto altro che girarsi e rigirarsi nel letto sperando di riuscire a chiudere occhio. Era rientrato a mezzanotte e dopo essersi lavato, preparato e sistemato a letto, si era fatta circa l’una. Da quel momento crede di aver visto tutte le ore lampeggiare sulla sveglia, riuscendo a dormire a malapena per una mezz’ora filata di volta in volta. Vuole imputare la causa alla cena, sicuramente più abbondante del solito, tuttavia i veri responsabili per la sua insonnia sono stati i pensieri. Ha iniziato a pensare a ciò che potrebbe succedere nel prossimo weekend, all’ipotesi che lui e Paolo vengano realmente assegnati alla stessa stanza e a come dovrebbe comportarsi lui, ora che sono passati certamente a un altro livello di intimità, a un grado di confidenza diverso rispetto alla sua partenza. 
Sono le sei e mezza, la sveglia per andare al lavoro suonerà alle sette ma è stufo di stare a letto inutilmente, di aspettare. Sospira pensando che dovrà trascorrere un’intera giornata di lavoro, facendo il possibile per restare concentrato e non pensare alla partenza, prevista per quello stesso pomeriggio alle 18.30. Girato su un fianco, osserva la valigia preparata il giorno prima, già chiusa e posata contro la cassettiera. Sopra di essa ha posato il borsone da calcio, indispensabile, dal momento che già il giorno seguente, sabato, si terranno due incontri. Solitamente vive con molta leggerezza la trasferta in Trentino, è sempre stato felice di andarvi, un po’ per i luoghi e un po’ perché adora il cameratismo che si crea con i compagni di squadra, durante quelle occasioni. L’ultima volta, a Cesenatico, non era stato sereno perché pensava a Paolo, al fatto che fosse appena partito ed era stato inoltre tentato dall’incontro con Christian. È passato solo un mese da allora e pensa che, almeno emotivamente, siano cambiate molte cose nel suo rapporto con Paolo. Di certo ora è in grado di ammettere, a sé stesso, di nutrire dei sentimenti per lui e crede di essere riuscito a sciogliersi un po’ di più anche se ancora fatica ad essere totalmente sé stesso con lui. Tuttavia, dal rientro di Paolo in Italia, le loro conversazioni si sono ridotte. Non si sono più visti dopo la partita di mercoledì, quando si era presentato a sorpresa nel campo, né si sono sentiti telefonicamente. Si gira a pancia in su, osservando il soffitto e respirando profondamente. Sente che, di nuovo, il suo cervello sta rimuginando più del dovuto. Afferra un lembo della coperta e lo lancia da parte, dogliendoselo di dosso e immediatamente punta i piedi a terra, scendendo dal letto. Recupera le calze dal secondo cassetto del comodino, dove è solito riporle, le infila e va subito in bagno per sciacquarsi il viso, pettinarsi e prepararsi per il lavoro.
 
Quando arriva davanti all’ufficio è ancora presto. Manca un quarto d’ora alle otto e non c’è ancora nessuno, ad eccezione degli impiegati della reception che stanno iniziando ad arrivare. Decide di aspettare Alberto ed entrare con lui, quando arriverà. Mentre attende, si gira verso l’imponente edificio della Vince, al lato opposto della piazza. Si tratta di un enorme palazzo completamente vetrato di almeno dodici piani, dallo stile moderno ed elegante. Osserva con attenzione le varie finestre e si chiede in quali di esse lavori Paolo. Continua a ritenere incredibile il fatto che abbiano lavorato per così tanti anni uno di fronte all’altro senza mai essersi incrociati. In quel preciso momento, dalla fermata della metropolitana, vede arrivare un gruppo di uomini vestiti con eleganti cappotti neri o grigi, scarpe lucide e postura impeccabile, tutti diretti verso gli uffici della Vince. In quel gruppo ne spicca uno in particolare, che salta subito all’occhio per l’altezza e per il colore dorato dei capelli che riescono a riflettere i deboli raggi del mattutino sole di dicembre. Stefano non ha dubbi che si tratti proprio di Paolo. Non sa se salutarlo, cercando in qualche modo di attirare la sua attenzione, oppure far finta di niente. Lo osserva, cercando di non fissarlo troppo a lungo. È abbastanza lontano, quindi potrebbe non essersi accorto di lui. 
 
-Già qua?
 
Una mano si posa sulla sua spalla, facendolo sussultare. Si tratta di Alberto. Stefano si gira. 
 
-Albe… sei tu.
 
Esclama, con il cuore in gola. Alberto gli rivolge uno sguardo confuso. 
 
-Chi dovrebbe essere?
 
Domanda. Stefano scuote il capo.
 
-Ero sovrappensiero. Entriamo?
 
Suggerisce. Alberto lo scruta con attenzione per un attimo, prima di annuire e farsi strada con lui verso l’ingresso. Percorrendo il corridoio e l’ascensore, rimangono entrambi in silenzio. Stefano sta ancora pensando se Paolo possa essersi accorto di lui e Alberto continua a guardarlo sottecchi, insospettito dal suo atteggiamento. 
 
-Hai dormito stanotte?
 
Gli domanda, improvvisamente. Stefano lo guarda in silenzio, cercando di capire il motivo della sua domanda. Impiega qualche secondo prima di rispondere.
 
-Ho una faccia così brutta?
 
Chiede, timoroso. Alberto sorride.
 
-Quella ce l’hai sempre. 
 
Risponde, ironico. In quel momento le porte dell’ascensore si aprono, dal momento che hanno raggiunto il loro piano. Scendono, uno accanto all’altro, camminando lentamente. 
 
-In realtà non ho dormito benissimo. Forse ho mangiato troppo!
 
Risponde, con un finto sorriso. Alberto non è per niente convinto dalla sua risposta. Arrivati nel loro ufficio, entrambi si tolgono il cappotto, appendendolo alla pedana appendiabiti accanto alla loro scrivania, per poi sedersi e accendere subito il pc. 
 
-Stai ancora pensando a quella orrenda collana?
 
Domanda Alberto, girando la sedia verso di lui. Stefano scuote il capo. 
 
-Ce l’hai ancora addosso?
 
Insiste Alberto. Stefano annuisce, infila una mano nel colletto della camicia per estrarla e mostrarla ad Alberto. 
 
-Non ho proprio idea di cosa voglia significare… Ho provato a googlare “divinità cinesi” o anche “Chinese Gods”, per trovare qualcosa che gli somigliasse ma non ho trovato nulla. 
 
Risponde. Alberto si sporge per guardare la collana più da vicino. 
 
-Il tizio al ristorante sembrava quasi infastidito. Non sarà magari una sorta di anticristo cinese? Qualcosa come la bestia caprina venerata dai satanisti?
 
Suggerisce Alberto. Stefano fa una smorfia. 
 
-Ma non avrebbe senso! 
 
Esclama.
 
-Forse è il colore. Sta bene con la tua carnagione e fa risaltare il verde degli occhi. Avrà pensato a quello. 
 
Suggerisce, tornando al suo posto e girandosi verso il proprio computer. Stefano trova quella risposta ancora più improbabile. 
 
-Ma figurati! Rivaluterei l’ipotesti dell’anticristo cinese, piuttosto. 
 
Commenta Stefano. Anche lui si gira verso il computer e inserisce la password, per iniziare a lavorare. Aspetta che il pc si connetta stabilmente alla rete e apre il provider di posta elettronica per vedere se ha ricevuto risposte o se ci sono degli ordini nuovi da gestire. Prima ancora che possa aprire una mail, viene distratto dalla vibrazione del cellulare, dimenticato nella tasca del cappotto. Senza alzarsi, si spinge con la sedia verso l’appendiabiti per recuperarlo. Si tratta di un messaggio da parte di Paolo, il primo che gli manda dopo il suo ritorno in Italia.
 
“Potevi salutarmi, prima…”
 
Il suo cuore si ferma per un istante.  Sospettava potesse averlo visto. Non si aspettava però un messaggio del genere. Rimane bloccato con il cellulare in mano, vicino all’appendiabiti. 
 
-Ste…? 
 
Lo chiama Alberto, quasi preoccupato. Stefano alza lo sguardo e gli rivolge un sorriso di circostanza.
 
-Mi sono incantato un attimo. 
 
Commenta, tornando al suo posto e posando il cellulare sulla scrivania. Sta riflettendo su cosa scrivere a Paolo, in risposta al suo messaggio. Non sa se far finta di nulla, dicendo di non averlo visto o se inventarsi qualcos’altro. Lascia passare un paio di minuti, cercando di calmarsi e riorganizzare le idee. Nel frattempo inizia a impostare il lavoro per la giornata, apre e manda in stampa alcune mail e approfitta del fatto di doversi alzare per recuperare le stampe per cercare di calmarsi e schiarirsi le idee. In realtà non sa nemmeno lui il motivo per il quale abbia fatto finta di non vederlo, forse inconsciamente non si sentiva pronto per affrontarlo, dopo la notte trascorsa a rimuginare su di lui. Rimane immobile davanti alla stampante, con lo sguardo fisso, ancora indeciso su cosa scrivere.
 
-Visto che sei in piedi: prendi anche la stampa che faccio ora, per piacere.
 
Chiede Alberto, riportandolo alla realtà. Stefano annuisce, aspetta che la stampante finisca il processo e poi recupera tutti i fogli, posando quelli di Alberto accanto a lui.  Si siede alla scrivania, cerca di farsi forza e prende il cellulare, tenterà di essere onesto.
 
“Non ero sicuro che fossi tu, poi è arrivato Alberto.”
 
Dopo aver inviato il messaggio, sente quasi una sorta di dejà-vu. Gli sembra di essere ritornato indietro, a prima della partenza di Paolo, quando faticava a inviargli anche il più semplice dei messaggi e ogni volta aveva il terrore di scrivere una parola di troppo. Si chiede come possa essere passato dal dirgli di sentire la sua mancanza, continuando a sperare che il tempo passasse velocemente e che tornasse presto in Italia, a questo. Nella sua testa risuonano le parole che Alberto gli aveva rivolto tempo prima, dopo la cena con Paolo.
 
“Codardo”
 
È esattamente così che si sente. Ancora una volta la sua vera indole, quella sua paura folle dei cambiamenti, sta avendo il sopravvento. Esporsi con Paolo mentre era in Cina, lontano da lui e lontano dalla sua vita, era stato facile perché di fatto non era cambiato nulla. Le sue serate con gli amici erano proseguite normalmente, così come gli allenamenti di calcio e le partite. Diversa cosa è mantenere lo stesso atteggiamento con Paolo lì, nella sua vita reale, nel suo mondo. Il solo fatto di non avergli mandato un messaggio per ringraziarlo né per avergli chiesto spiegazioni in merito alla collana che tanto lo incuriosisce è un segnale che le vecchie abitudini siano davvero difficili da abbandonare e che dentro di sé sia ancora terrorizzato per tutto ciò che sta vivendo. 
Con la coda dell’occhio osserva Alberto, sperando che non si sia accorto della sua esitazione e non stia iniziando a farsi delle domande. Lo vede occupato a scrivere, fortunatamente non sembra essersi accorto di nulla. 
Di nuovo la vibrazione del cellulare lo fa sobbalzare, questa volta Alberto si gira verso di lui, incrociando il suo sguardo. Deve aver sentito chiaramente il cellulare vibrare, dal momento che condividono la stessa scrivania. 
 
-Scherzi a parte, non hai un bell’aspetto stamattina.
 
Commenta, con tono preoccupato. 
 
-Te l’ho detto, credo sia la cena di ieri sera. 
 
Risponde, cercando di essere convincente. Dopodiché si alza, mettendo il cellulare in tasca.
 
-Vado a fare due passi e darmi una rinfrescata. 
 
Esclama. Sposta la sedia e cammina, a passi lenti, nel corridoio che porta verso i bagni. Camminando cerca di calmarsi, respirando ed inspirando lentamente. Una volta in bagno entra in uno dei cubicoli e si chiude dentro. Abbassa la tavoletta e l’asse del wc e si siede, allungando le gambe e appoggiando la testa contro il muro. Continua ad inspirare ed espirare ad occhi chiusi. Deve assolutamente calmarsi, non può rimanere in quello stato per tutto il tempo, per tutti i tre giorni in Trentino. Non può e non vuole rovinarsi il ritiro. Ha trascorso il weekend a Cesenatico a chiedersi quanto sarebbe stato differente avere Paolo con sé e ora che accadrà veramente è in preda al panico al punto che, più di una volta nella notte, ha pensato di rinunciare alla partenza improvvisando un malessere o trovando un’altra plausibile scusa. Apre gli occhi e decide di leggere il messaggio di Paolo. 
 
“Capito. Ci vediamo stasera… lì non puoi scapparmi. Buona giornata.”
 
Pur essendo solo un messaggio, stranamente senza alcuna emoji a dettarne il tono, Stefano riesce a percepire che l’atteggiamento di Paolo nei suoi confronti non è cambiato, rispetto a quando era in Cina. Non è necessario che risponda. Mette il cellulare in tasca e si alza, dovrà fare il possibile per rimanere concentrato sul lavoro e non pensare ad altro.
 
La giornata scorre molto velocemente. Alberto sembra non essersi accorto del suo stato d’animo turbato e non pone alcuna domanda, sembra anzi molto rilassato e tranquillo e Stefano inizia a chiedersi se possa essere merito di qualcosa successo tra lui e Giulio. La sera prima sono tornati a casa insieme, terminata la cena. Dopo quella discussione in ufficio, un paio di settimane prima, non gli ha più chiesto nulla ma, almeno all’apparenza, tutto sembra essere finito per il meglio. L’armonia è ritornata nel gruppo. Alberto e Giulio non si sono più scontrati e del ragazzo con il quale Giulio era uscito per ben due sere di fila, non c’è stata più alcuna traccia. Tutto è tornato come sempre, come se non fosse successo nulla, senza alcun cambiamento e Stefano non può che esserne felice. Specialmente in quel momento in cui lui stesso si sente in preda al caos, avere i suoi amici come un punto fermo e fisso gli è indispensabile. 
Terminato l’orario di lavoro, Stefano e Alberto percorrono insieme la strada della metropolitana, prima di separarsi per prendere le rispettive linee. 
 
-Ci vediamo lunedì!
 
Esclama Stefano, pronto a separarsi da Alberto. Lui, tuttavia, lo afferra per un braccio e lo trattiene.
 
-Fermo. 
 
Gli intima, con tono severo. Stefano è sorpreso dal suo gesto, gli rivolge uno sguardo incuriosito. Alberto non dice nulla, si limita a guardarlo. Lo fissa dritto negli occhi, rivolgendogli uno sguardo così profondo e così intimo che Stefano fatica a reggere.
 
-Mi assicuri che stai bene?
 
Chiede, con serietà. Stefano non sa cosa rispondere, si limita ad annuire ma il suo viso deve averlo in qualche modo tradito perché l’espressione di Alberto da seria diventa preoccupata. Continua a tenere il suo braccio, mantenendo una presa ferma e decisa. 
 
-Sto bene, Albe. 
 
Esclama, cercando di risultare fermo e convincente. Alberto non sembra soddisfatto della sua risposta ma annuisce. Lo lascia andare. 
 
-Se ho bisogno di qualcosa… ti scrivo. 
 
Aggiunge Stefano, istintivamente. Il quel momento gli è sembrato quasi che queste fossero le esatte parole che aveva in mente Alberto, quasi gliele avesse trasmesse telepaticamente. 
 
-Certo. A lunedì. 
 
Ribatte lui, voltandogli le spalle e prendendo la propria uscita. 
 
Arrivato a casa, Stefano si dà una rapida rinfrescata, getta gli abiti da lavoro nel cesto della biancheria e indossa la tuta della squadra, come è di consuetudine nelle trasferte e nei ritiri. Dopodiché prende valigia e borsone, infila il giubbotto ed esce, camminando a passo veloce per raggiungere il campo sportivo. Una volta arrivato, nota che il bus che li condurrà a destinazione è già nel parcheggio e qualcuno sta già salendo. Guarda le auto parcheggiate ma non vede quella di Paolo, probabilmente non è ancora arrivato.
 
-Ecco Stefano!
 
Esclama il mister, che tiene in mano una lista dove ha segnato le presenze per essere certo di non lasciare a casa nessuno. Nel ritiro oltre alla squadra e alle riserve ci saranno anche Guido, il proprietario del Bar Sport e la famiglia del mister. 
Stefano saluta il mister, ripone i propri bagagli nel baule aperto del pullman e sale per prendere posto. In prima fila sono sedute la moglie del mister e sua figlia, in quel momento intenta a giocare con la sua Nintendo Switch a pochi sedili di distanza si trova Guido mentre in fondo, negli ultimi sedili ci sono Diego, Antonio e Simone. Stefano sorride vedendoli tutti e tre appiccicati in fondo al bus, nonostante tutti i posti siano ancora liberi. Gli sembra di esser tornato ai tempi del liceo, quando l’ultima fila veniva occupata dai più vivaci della classe.
 
-Ste! Ti abbiamo tenuto il posto!
 
Esclama Antonio, facendo cenno di raggiungerli. Stefano li raggiunge, sedendosi in mezzo a loro, nel posto centrale. Anche durante i tempi della scuola era quello il suo posto, tranne per l’ultimo anno in cui tutto era cambiato. Solo dopo essersi seduto pensa che forse sarebbe stato meglio sedersi accanto a Paolo, specialmente dopo il messaggio ricevuto quella mattina. Sarebbe stata una buona occasione per parlare con lui, riabituarsi ad averlo accanto. Tuttavia se avesse rifiutato di sedersi accanto ai suoi compagni di squadra, tenendo il posto a Paolo, avrebbe creato dei sospetti, specialmente in Diego. 
 
“Codardo”
 
Ancora una volta quella parola risuona nella sua testa. Cerca di non pensarci e partecipa ai discorsi dei suoi amici. Nel frattempo il pullman si riempie e tra gli ultimi a salire è proprio Paolo. Si scambiano uno sguardo nel momento esatto in cui sale sul pullman, statuario e bellissimo nella tuta rossa e bianca della squadra che tutti quanti stanno indossando ma che solo a lui sta così bene. Stefano non sa se salutarlo o aspettare che sia lui a fare qualcosa. Prima che possa prendere una decisione, Paolo viene fermato da Giacomo. Si siede nei due sedili liberi accanto a lui, a circa metà del pullman. Quando tutti sono arrivati la porta si chiude e il mister prende parola.
 
-Buonasera ragazzi. Ci siamo tutti e quindi possiamo partire. I più veterani lo sanno già, lo spiego per i nuovi: la destinazione è Merano. Ci arriveremo tra circa quattro ore. A metà viaggio faremo una tappa in autogrill per cenare: cena libera, ognuno mangerà quello che vuole. Arrivati in hotel faremo il check-in, con assegnazione delle stanze. Andrete a sistemarvi e ci rivedremo la mattina, ve lo dico già ora: puntate la sveglia alle sette. In albergo vi distribuirò il programma. Avete domande?
 
Diego si alza in piedi dal suo posto, per fare una domanda.
 
-Mister, c’è il Milan alle otto e mezza! Ce lo fate almeno sentire?
 
Chiede. Il mister annuisce. 
 
-Ci sono anche due schermi, uno qui e uno lì in fondo. Ve lo facciamo anche vedere!
 
Risponde. La squadra, perlomeno i tifosi milanisti, è soddisfatta dalla risposta. Un boato e un applauso partono immediatamente. Dopodiché il mister si rimette a sedere e le luci del pullman vengono abbassate. Stefano continua a guardare in direzione del sedile in cui si è accomodato Paolo ma non riesce a vederlo perché ha preso posto vicino al finestrino. 
La prima parte del viaggio trascorre velocemente. La tappa in autogrill per cenare viene anticipata di mezz’ora per poter vedere il fischio d’inizio della partita sul bus. Stefano vuole approfittare di quel momento per avvicinarsi a Paolo e parlare con lui, scendendo dal bus lo cerca ma non lo vede, deve essere già entrato in autogrill. Rimane quindi unito al gruppo di Antonio, Diego e Simone. 
 
-Stefano, sempre Camogli anche tu?
 
Domanda Simone, arrivato al bancone per ordinare. Stefano annuisce e nel frattempo continua a cercare Paolo. Ci sono diverse persone oltre a loro, trattandosi del weekend dell’Immacolata in molti stanno viaggiando in autostrada per raggiungere il Trentino e visitare i caratteristici mercatini natalizi della zona del Sud-Tirolo. Riesce finalmente a vederlo, seduto a un tavolo, insieme a Giacomo e al mister con la sua famiglia. Lo vede sorridere e parlare con Amelia, la bambina del mister che sembra essere incantata da lui. “Come darle torto”, pensa fissandolo a sua volta. Paolo deve essersi accorto di avere il suo sguardo addosso, alza gli occhi e lo guarda. Non è molto distante, a separarli ci sono un paio di tavoli occupati e degli stand di cioccolatini e caramelle alti poco più un metro. Apre bocca, con l’intento di dirgli qualcosa, viene però bloccato da Diego che lo chiama a sedere.
 
-Ste, la cena è qua.
 
Si gira e si mette a sedere con il suo gruppo. Quando tutti hanno cenato, si risale sul pullman, dove l’autista ha già iniziato a trasmettere la partita. Le luci vengono spente, il pullman riparte e regna il silenzio, si avverte la tensione per la partita, una delle ultime prima della pausa invernale. A differenza dei suoi compagni, Stefano la osserva distrattamente. Non è stato particolarmente attento nemmeno durante gli ultimi incontri, perché sono capitati durante le sue videochiamate con Paolo o durante le serate con gli amici. Si mette comodo sul sedile, cercando ancora di scorgere Paolo e questa volta lo vede, sporgersi verso il corridoio. Si è spostato, sicuramente per vedere meglio lo schermo, non si è però girato verso di lui. 
La partita termina con una vittoria 2 a 0 per il Milan e la squadra esulta felice con applausi, fischi e veri cori da stadio. Stefano si lascia trascinare e intona anche lui un paio di cori, cercando di replicare l’entusiasmo dei suoi compagni di squadra ma il suo pensiero è fisso e in quel momento il Milan non è una sua priorità.
Il pullman arriva a destinazione all’orario previsto. L’albergo scelto per l’alloggio della squadra è lo stesso degli anni precedenti, vicino alle terme e non molto distante dal centro dello sport nel quale si svolgeranno le varie partite del torneo. Come di consueto, il mister e Guido si fanno avanti alla reception, per ritirare le chiavi e scegliere le stanze, mentre la squadra si accomoda nella hall. Stefano riesce finalmente ad avvicinarsi a Paolo. 
 
-Ehi… 
 
Lo saluta, comparendo al suo fianco. Paolo inarca le sopracciglia.
 
-Ehi! Finito di fare il bulletto dell’ultima fila?
 
Chiede, ironico. 
 
-Se ti ricordi, lo facevi anche tu.
 
Risponde Stefano. Paolo annuisce.
 
-Vero. Anche se sono cambiate un po’ di cose da allora. 
 
Ribatte. 
 
-Molte, in realtà. 
 
Conferma Stefano. Prima che Paolo possa ribattere, il mister chiama a raccolta la squadra per l’assegnazione delle stanze.
 
-Allora, ascoltate tutti bene: le stanze che ci hanno preparato sono tutte doppie o triple, con letti singoli, per evitare i problemi dell’ultima volta a Cesenatico.
 
Esclama. Questa notizia viene accolta positivamente dai ragazzi, alcuni dei quali si erano trovati a loro malgrado a condividere dei letti matrimoniali. 
 
-Tuttavia c’è una stanza, una sola, con un letto matrimoniale ed è prevista come doppia uso singola. Avrebbe dovuto essere la mia… ma ho deciso di portare con me la mia famiglia e quindi ne ho presa una per noi tre, lasciando libera l’altra. Insieme a Guido abbiamo deciso che sarà la stanza di Stefano.
 
Stefano spalanca gli occhi, stupito. Tutti quanti si girano verso di lui. Il mister gli consegna le chiavi della stanza.
 
-L’ho fatto perché penso che Stefano se lo meriti, visto che guida sempre il pullmino e rimane sempre per ultimo a sistemare il campo e chiudere gli spogliatoi. Siamo d’accordo, vero?
 
Nessuno fa obiezioni e Stefano non sa cosa dire.
 
-Beh… grazie!
 
Risponde, sopraffatto. È felice di avere una stanza tutta per sé, anche se questo vorrà dire non poter essere con Paolo, che invece viene assegnato a una tripla con Giacomo e Martin. 
Quando tutte le stanze sono state assegnate, i ragazzi possono finalmente prendere i bagagli e sistemarsi. Una volta salito in camera, Stefano nota con dispiacere che la stanza di Paolo non è nemmeno troppo vicina alla sua. I suoi progetti per quel weekend potrebbero sfumare del tutto, una parte di lui è quasi sollevata, perché le cose si sono complicate da sole, senza che ci si metta lui con la sua indecisione a renderle tali.
 
“Codardo”
 
Di nuovo quella parola a risuonare nelle sue orecchie, mentre fa scorrere la tessera nella serratura per entrare nella sua stanza. Si chiude la porta alle spalle e sospira. Accende la luce e rimane meravigliato dall’eleganza della sua camera. È totalmente diversa rispetto a quelle nelle quali ha alloggiato con i suoi compagni di squadra negli anni precedenti: è luminosa, grazie ad una serie di punti luce a led posizionati nel controsoffitto ribassato, è moderna con un arredamento lineare e dal tono leggermente scandinavo. Il letto matrimoniale sembra più grande del solito, Stefano ha quasi l’impressione che si tratti di un kingsize. La testiera del letto è di pelle marrone scura, imbottita e trapuntata. Di fronte al letto, sulla parete, c’è uno specchio rettangolare e lungo, sotto di esso una scrivania a penisola, in legno di faggio lucidato, con effetto rustico. Accanto alla scrivania è presente un angolo colazione con un mini-frigo, un bollitore e una macchinetta del caffè a capsule. 
Stefano posa il proprio trolley e il borsone vicino alla scrivania e prosegue nell’esplorazione della stanza. C’è un piccolo disimpegno che separa la zona letto dal bagno, occupata da due armadi a muro con ante scorrevoli. Stefano apre la porta del bagno, accende la luce e ancora una volta rimane sorpreso: il bagno è in marmo bianco, decorato con vetri e legni rustici e lucidati, simili alla scrivania, i sanitari sono sospesi di fronte ad essi c’è una base in legno nella quale sono installati due lavabo ovali in pietra. Poco più in là una doccia walk-in rettangolare molto spaziosa con una colonna idromassaggio. La parte più sorprendente, però, è la vasca, un ovale dai bordi alti, della stessa pietra del lavabo, installata in fondo alla stanza, sotto una gigantesca finestra panoramica che affaccia sulla vallata. 
Stefano ritiene quasi un peccato non poter condividere quella stanza meravigliosa con nessuno, doverci dormire tutto solo. Spegne la luce del bagno e ritorna nella zona letto, per sistemare le sue cose. Si toglie il giubbotto, lo ripone nell’armadio e apre la valigia per prendere il caricabatterie del cellulare e la pochette da bagno. Prima che possa sistemarsi, sente bussare alla porta. Si avvicina per controllare allo spioncino e aprire. 
 
-Siamo noi!
 
Esclama Antonio. Stefano apre ed immediatamente Antonio, Diego e Simone entrano nella stanza. 
 
-Va che roba!
 
Esclama Antonio, guardandosi in giro. Simone si butta subito sul letto. Diego gira per la stanza, ispezionandola in silenzio.
 
-Ma enorme sto letto! Cosa te ne fai da solo?
 
Chiede Simone. Stefano aveva avuto lo stesso pensiero. Anche Antonio si butta sul letto, vicino a Simone. 
 
-Ma che figata! C’è la tv sul soffitto!
 
Esclama, indicando verso l’alto. Stefano non se n’era accorto. 
 
-Ma dai? Penso che scenda e si possa regolare. Non c’è un telecomando?
 
Domanda Simone, guardandosi in giro. Stefano nota due telecomandi sulla scrivania, uno è del climatizzatore, l’altro deve essere della televisione. Lo lancia a Simone sul letto. 
 
-Certo che si tratta bene il mister! Doveva essere la sua stanza questa… 
 
Commenta Diego, raggiungendo Stefano, mentre Simone e Antonio continuano a commentare e provare la televisione. 
 
-Oh! Ci sono anche i canali hard con le donnine. 
 
Esclama divertito Simone, facendo zapping col telecomando. 
 
-Sì ma queste sono demo. I canali sono a pagamento! Occhio Ste a non cliccarli, sennò li addebiti al Bar Sport.
 
Commenta Antonio, ridendo. Stefano sorride, pensando che non ci sia davvero alcun rischio per lui. Diego continua a guardarsi intorno.
 
-Ma… pensate che il mister ci portasse qualche amante qui?
 
Chiede, quasi a bassa voce. Antonio e Simone gli rivolgono uno sguardo confuso.
 
-Perché dici così?
 
Domanda Simone.  Diego si gira, indicando lo specchio alle sue spalle. 
 
-Questo? Il letto enorme? E poi… voi vi siete fissati sul letto e la televisione, andate un po’ a vedere il bagno. 
 
Suggerisce. Immediatamente i due balzano giù dal letto e corrono a fare ciò che è stato suggerito da Diego. 
 
-Porca puttana!
 
Esclama, genuinamente Simone. 
 
-Sì, in quella vasca ci stai pure comodo in due… 
 
Commenta Antonio. 
 
-Penso che sia una specie di Suite.
 
Deduce Stefano. In quel momento, qualcuno entra alla porta lasciata solo accostata e non chiusa. Si tratta di Paolo. 
 
-Era aperta. 
 
Esclama, incrociando lo sguardo di Stefano. 
 
-C’è Paolo?
 
Domanda Antonio, uscendo dal bagno. 
 
-Paolo! Tu che sei un uomo di mondo… dacci un po’ un parere su questa stanza. 
 
Chiede Simone, uscendo a sua volta. Paolo inizia ad ispezionare la stanza, in silenzio. Dà una rapida occhiata al bagno, al letto, allo specchio. Controlla l’angolo colazione e poi, cosa che nessuno di loro aveva fatto prima, tira le tende della finestra, dalla quale è possibile vedere un altro scorcio della vallata, tutta illuminata, con le cime delle montagne appena imbiancate dalla neve e tante piccole case bianche sparse. 
 
-Che vista!
 
Esclama Diego. Anche Stefano rimane colpito, si avvicina alla finestra, per vedere meglio. Paolo è a pochi centimetri da lui, inizia a sentire il suo profumo. 
 
-Non vi eravate accorti del balcone?
 
Domanda Paolo, girandosi verso Diego. Dopodiché gira la maniglia della porta, dalla quale si accede a un balcone semicircolare piuttosto spazioso, decorato da un tavolino in vetro e metallo e due sedie del medesimo materiale. Sia lui sia Stefano escono, lasciando gli altri nella stanza, ancora intenti ad esplorare. Simone commenta soddisfatto i giochi di luce colorati della doccia, Antonio prova i vari getti dell’idromassaggio, mentre Diego rimane ad osservare il panorama, da dentro la stanza.
Stefano si chiede se non stia in realtà osservando loro due e il loro atteggiamento. Non si sente tranquillo sapendo di essere lì con Paolo così vicino a lui e Diego ad osservarli. 
 
-Ti ha fatto un bel regalo il mister… 
 
Commenta Paolo, appoggiandosi con entrambi i gomiti sulla ringhiera del balcone. 
 
-Non mi aspettavo che la stanza fosse così bella. 
 
Confessa Stefano, posandosi a sua volta sulla ringhiera. Il suo braccio e quello di Paolo si sfiorano. Paolo si gira verso di lui, in un primo istante si limita a guardarlo negli occhi, uno sguardo deciso e intenso, in grado di sconvolgere Stefano al punto che il suo cuore inizia a battere a ritmi incontrollati. 
 
-È giusto così. Tu ti meriti solo cose belle.
 
Aggiunge Paolo, sorridendogli. Stefano non riesce a resistere a quel sorriso, sente il battito del cuore accelerare e avverte un’improvvisa vampata di calore, il clima tiepido e pungente della montagna e della notte non lo tocca più in alcun modo. Paolo si gira, continuando a fissare il panorama di fronte a sé. 
 
-La luna è quasi piena stasera. La vedi?
 
Domanda, cambiando posizione. Afferra il braccio destro di Stefano con la mano sinistra, stringendolo come suo solito, mentre con quello destro indica il cielo. Stefano si irrigidisce, specialmente al pensiero di Diego alle sue spalle, intento ad osservarli. Cerca di girarsi, per vedere se effettivamente sia ancora dietro di loro ma non riesce a vedere nulla e, al contrario, si avvicina ancora di più a Paolo, venendo avvolto dal suo profumo. 
 
-Sì, la vedo. 
 
Conferma, schiarendosi la voce. Ripensa inoltre a quando si è trovato a guardarla, l’ultima volta. Paolo era in Cina, a quasi diecimila chilometri di distanza. Ora è lì accanto a lui e sta stringendo il suo braccio. Quante volte in quei giorni, osservandolo attraverso lo schermo del computer, aveva espresso il desiderio di poterlo toccare mentre ora che è lì, con lui, fatica a reggere la situazione. Chiude gli occhi per un istante e respira profondamente. Paolo se ne accorge e si gira verso di lui, rivolgendogli di nuovo uno sguardo molto intenso che cerca di reggere, con tutte le sue forze. Gli occhi di Paolo riescono ad essere brillanti anche al buio, anche con la luce della luna, anzi quella luce bianca e pallida riesce a conferire ai suoi tratti una bellezza diversa, quasi fiabesca. Sembra una creatura fantastica, dall’irreale bellezza, il principe delle fate. 
 
-Domani sarà luna piena. Pian piano si sta ricongiungendo. 
 
Commenta Paolo, senza distogliere lo sguardo. Sulle sue labbra inizia a formarsi un sorriso.
 
-Come noi. 
 
Aggiunge Stefano, con un fil di voce. Le parole gli sono uscite a fatica dalla gola ma ce l’ha fatta e Paolo pare apprezzare questo suo sforzo, il sorriso sul suo viso ora è ben chiaro. Dopodiché lascia andare il suo braccio ed entrambi rientrano nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. 
Diego nel frattempo si è unito ad Antonio e Simone, sul letto. Stanno ancora esaminando il televisore, le sue inclinazioni e i vari canali. 
 
-Allora? Che ne pensi della stanza, Paolo?
 
Domanda Antonio. 
 
-È bella, un po’ piccola forse, ma non manca nulla. 
 
Risponde. 
 
-Diego dice che è una stanza per portarci l’amante, perché ci sono il letto gigante e lo specchio di fronte.
 
Suggerisce Simone. Paolo scuote il capo.
 
-No. Se fosse una stanza per amanti lo specchio sarebbe sul soffitto.
 
Conclude, con naturalezza. La sua risposta sorprende tutti quanti, Stefano compreso. 
 
-Hai capito il Paolino! Te ne intendi, eh?
 
Domanda Antonio, divertito. Paolo non risponde, si limita a rivolgere un’occhiata veloce a Stefano che finge di non averlo notato. 
Dopo circa una decina di minuti, tutti i ragazzi abbandonano la stanza di Stefano, lasciandolo solo. 
Si getta sul letto, concedendosi qualche istante di relax, prima di cambiarsi e prepararsi per la notte. Ripensa al momento con Paolo sul balcone, alla sua vicinanza, al suo profumo. Si gira a destra, dove ha posato il cellulare. Vorrebbe scrivergli qualcosa, anche solo dargli la buonanotte personalmente e non in modo collettivo come ha fatto poco prima, non riesce.  Vorrebbe dirgli di trovare una scusa, di uscire dalla propria stanza e raggiungerlo nella sua. Non ha idea di cosa potrebbe succedere né crede sarebbe in grado in quel momento di affrontare una situazione simile. Non si sente preparato, non si sente pronto. Nonostante abbia avuto tutto quel mese di tempo davanti a sé per farsi coraggio e riuscire finalmente a concretizzare qualcosa con lui. Gli piace quel continuo stuzzicarsi, provocarsi in modo velato senza arrivare al dunque ma sente che il tempo per le parole sta per scadere e che se non farà presto qualcosa Paolo potrebbe stancarsi oppure, se facesse qualcosa di sbagliato, potrebbe decidere di smettere di considerarlo. Continua a guardare il cellulare, senza neanche avere il coraggio di prenderlo in mano. 
No, non farà nulla. Non adesso, non oggi. Domani, magari, forse, se riuscirà a trovarne il coraggio.
 
“Codardo”
 
Sì, lo è. Non c’è altra parola per descriverlo, sente di esserlo. Preso dallo sconforto e dal senso di impotenza interiore, prende un cuscino e lo getta con rabbia contro la finestra. Dopodiché si alza e si prepara per andare a dormire. La sveglia suonerà presto l’indomani e non ha intenzione di trascorre un’altra notte in bianco. 
 
 
La mattina successiva, dopo la colazione, il mister ricorda alla squadra gli incontri per la giornata. Nella mattina sono previsti degli allenamenti leggeri mentre i due incontri, dalla durata di quaranta minuti ciascuno, si terranno nel pomeriggio.
Il palazzetto dello sport nel quale si terranno le partite è poco distante dall’albergo, motivo per cui la squadra lo raggiunge a piedi, senza bisogno di dover scomodare il pullman. Stefano cammina a passo veloce, accanto ad Antonio e Simone, i quali ricordano gli incontri degli anni precedenti, sempre terminati in pareggio e decisi ai calci di rigore o nella migliore delle ipotesi ai tempi supplementari. Le squadre con le quali giocheranno sono entrambe del Trentino, forti e agguerrite e con una resistenza molto alta. 
 
-Questi sono mezzi austriaci, ci fanno fuori al primo turno. 
 
Commenta Simone, sconsolato. 
 
-Non essere sempre così pessimista! Non facciamo poi così schifo! Io di sicuro non mollo. Stefano sembra in ottima forma, poi c’è Paolo. 
 
Commenta Antonio, girandosi per cercarlo tra il gruppo. Anche Stefano si gira e lo vede parlare con Diego e con Martin, quasi in fondo alla fila. 
 
-Oh beh lui ha sicuramente lo stile e anche l’aspetto degli austriaci. Speriamo possa esserci utile. Quei crucchi ai rigori ci devastano sempre!
 
Afferma Simone, non del tutto convinto dalle parole di Antonio.  Stefano si limita ad annuire, pensa invece al fatto che davvero Paolo, nell’aspetto, ricordi molti i calciatori altoatesini che si ritrovano a incontrare durante i ritiri invernali. Calciatori che Stefano ha sempre trovato estremamente affascinanti e interessanti. Ogni anno, nelle squadre avversarie, era riuscito a trovarne almeno un paio il cui aspetto fosse di suo gradimento: tutti molto alti, longilinei, dalla pelle chiara, i capelli color grano e gli occhi cerulei. Inizia a sospettare di avere seriamente un “tipo” e di non averlo mai realizzato in tutti quegli anni. 
 
-Buongiorno. Dormito bene nel lettone?
 
Domanda Paolo comparendo quasi dal nulla e posando un braccio attorno al collo di Stefano. Questi quasi inchioda dalla sorpresa e per poco non inciampa, cadendo per terra. 
 
-Paolo! Ti abbiamo appena nominato. Oggi contiamo su di te per polverizzare i crucchi e passare al prossimo turno. Tu ti mimetizzi bene con loro, non ci deludere!
 
Lo averte Simone, Paolo ride divertito, continua a camminare fianco a fianco con Stefano, senza lasciarlo andare. 
 
-Farò il possibile. Promesso!
 
Non è strano camminare abbracciato a un compagno di squadra, fa parte dello spirito dello sport. Altre volte gli è capitato di rimanere in quell’esatta posizione con Diego, Antonio o Simone mai nessuno di loro l’aveva mai stretto così forte né gli aveva accarezzato la spalla. Stefano si guarda attorno con discrezione, sperando che nessuno trovi insolito quell’atteggiamento di Paolo nei suoi confronti e che sia solo lui a vederci dei segnali. Per fortuna Antonio e Simone hanno accelerato il passo, si trovano poco più avanti e stanno continuando a chiacchierare, così come gli altri dietro. Nessuno pare stia badando a loro. Dopo circa dieci minuti di cammino, raggiungono l’edificio e viene loro assegnato uno spogliatoio che utilizzeranno per entrambi i giorni.
Il riscaldamento previsto dal mister è leggermente diverso rispetto a quello tradizionale, viene posta maggior attenzione sul dribbling e sul marcaggio dell’avversario, con esercizi di stop e resistenza. Decide infatti di sfruttare tutti gli attrezzi presenti nel campo al chiuso. Stefano osserva l’allenamento di Paolo, che non mostra alcun segno di fatica, nonostante sia rimasto assente per ben un mese e abbia giocato solo l’ultima partita, il giorno del suo ritorno in Italia. Riesce però a vedere che è dimagrito. Il suo fisico rimane comunque muscoloso scolpito ma nota che nella zona dei fianchi e dell’addome è decisamente più snello e delineato, rispetto al solito. Non avendolo mai visto svestito, se non per quelle due volte in cui si è tolto la maglietta a casa sua, non è però in grado di determinare quanto esattamente sia dimagrito rispetto alla sua partenza. 
Terminato il riscaldamento, tutta la squadra si riunisce per un pranzo freddo a base di panino o insalata, nel bar del palazzetto dello sport. Viene consumato un pasto leggero e facilmente digeribile per poter affrontare più agevolmente gli incontri del pomeriggio. 
La prima squadra ad affrontarli non è nuova, ha già giocato con loro gli anni precedenti, Stefano infatti ritrova nella rosa un giocatore che aveva notato l’anno prima, dall’aspetto davvero molto simile a Paolo. Ricorda anche il suo nome: Hannes. Si era  presentato a lui o, meglio, era stato lo stesso Hannes ad averlo fermato per congratularsi per un suo goal, purtroppo non decisivo per la vittoria, durante i calci di rigore. Lo guarda da lontano, cercando di non farsi troppo notare. Certo che lui non si ricordi minimamente di avergli rivolto la parola. 
La partita inizia subito nel vivo, Paolo sembra carico e pronto e si muove con destrezza facendosi spazio tra gli avversari per recuperare la palla e riuscire ad avvicinarsi alla porta. Stefano lo osserva mentre cerca di smarcarsi dallo stesso Hannes. Rimane sulla fascia sinistra, praticamente immobile a guardarli, a distanza sembrano quasi fratelli, con la differenza che Hannes è leggermente più alto di Paolo e la sua pelle ha una sfumatura più rosata e meno lattea. Hannes riesce ad avere la meglio su Paolo e si dirige verso la loro porta.
 
-Ste! Contropiede!
 
Urla Antonio, passandogli accanto e vedendolo così imbambolato. Stefano si precipita verso la propria metà del campo, riesce a intercettare il pallone che Hannes aveva passato ad un altro compagno e lo riporta nella metà campo avversaria. Vuole passarla a Paolo ma è ancora indietro, decide quindi di temporeggiare, finché non lo vede sbucare oltre il centro campo e con un colpo di tacco, eludendo l’avversario, riesce ad effettuare il passaggio. Paolo non si lascia sfuggire l’occasione, prende la palla, scarta tutti gli avversari e tira in porta, passando il pallone al piede opposto, segnando un tiro alto che finisce in rete in alto a destra, disorientando completamente il portiere avversario. Tutta la squadra esulta di gioia, il mister balza in piedi dalla sedia.  Gli applausi sono tutti per Paolo. 
Il resto della partita prosegue sempre a ritmo serrato, la squadra avversaria riesce a segnare un gol, successivamente annullato poiché in fuorigioco. Quello decisivo, viene segnato nuovamente da Paolo, questa volta su assist da parte di Antonio. La prima partita del torneo finisce quindi 2 a 0 con la loro vittoria. Dopo la partita, la squadra rimane a fondocampo, in riposo, in attesa che i successivi sfidanti si scontrino. Buona parte della squadra si ritira per un momento nello spogliatoio, per rilassarsi, mentre Stefano non essendo stanco e non avendo particolari necessità preferisce restare a guardare. Si siede a terra, accanto alla sedia del mister, aspetta che l’incontro abbia inizio. 
 
-Ciao! Stefano, giusto?
 
Hannes, a sorpresa, si presenta davanti a lui. Si è ricordato il suo nome. Stefano immediatamente si alza e gli porge la mano. 
 
-Ciao. Sì, tu sei Hannes?
 
Domanda, pur sapendo bene quale sia il suo nome. Hannes annuisce e gli sorride.
 
-Bellissima azione prima, in campo. Spero che la mia squadra riesca a vincere la prossima così ci rivedremo domani nel giro di ritorno.
 
Esclama, con entusiasmo. Il suo accento ha una leggera flessione tedesca, è chiaro che sia bilingue. Stefano apre la bocca per rispondergli ma viene prevenuto da Paolo che ritorna dallo spogliatoio, lo stringe, come aveva fatto poco prima in strada. Questo suo gesto è del tutto inaspettato, Stefano si blocca. 
 
-Ti cercavamo nello spogliatoio? Sei rimasto qui?
 
Domanda Paolo, dopodiché si gira verso Hannes, porgendogli la mano.
 
-Hallo. Ich bin Paolo. 
 
Hannes spalanca la bocca in segno di sorpresa, probabilmente non si aspettava di trovare qualcuno che parlasse tedesco. Nemmeno Stefano ne era conoscenza, lo guarda confuso. 
 
-Hannes. Bist du Deutsch? Österreicher?
 
Risponde. Stefano crede che possa avergli chiesto se è Tedesco. 
 
-Ich bin halb italienisch und halb Österreicher. Meine Großeltern von Sterzing kommen.
 
Quest’ultima parte pronunciata da Paolo risulta totalmente incomprensibile per le orecchie di Stefano che smette di prestare attenzione alla conversazione. Paolo e Hannes si scambiano ancora un paio frasi in tedesco, dopodiché passano all’italiano, probabilmente per non farlo sentire escluso.
 
-Bel goal Paolo, speriamo di affrontarci ancora. A domani. Ciao, Stefano.
 
Stefano lo saluta, aspetta che vada via prima di chiedere spiegazioni a Paolo che non l’ha ancora lasciato andare. Nota un leggero sorriso sulle sue labbra, accompagnato da un’espressione piuttosto compiaciuta.
 
-Non sapevo parlassi tedesco. 
 
Commenta. Paolo annuisce. 
 
-Sono tante le cose che non sai di me, ancora. 
 
Ribatte, con tono misterioso. 
 
-Comunque… interessante. 
 
Esclama senza fornire un contesto. Stefano aggrotta la fronte, non ha idea a cosa si stia riferendo. 
 
-Non ti sembra che Hannes mi somigli? Potremmo essere cugini, azzarderei. Ed è venuto a parlare con te, di tutta la squadra, proprio tu. 
 
Stefano non coglie subito la sua considerazione. Rimane a riflettere per qualche istante per poi rimanere stupito, una volta giunto alla conclusione: Paolo ha capito che Stefano ha un tipo, un canone di ragazzo dal quale si sente attratto e che pare attrarre, canone nel quale rientra perfettamente. Non dice nulla e continua a far finta di non aver capito, tuttavia l’espressione soddisfatta sul viso di Paolo diventa sempre più palese e più evidente.
Pochi istanti dopo anche gli altri membri della squadra ritornano a bordo campo, Paolo lascia andare Stefano ma rimane seduto accanto a lui. Si godono insieme la partita, commentando le azioni dei giocatori. Circa un’ora più tardi è di nuovo il loro turno per entrare in campo. Il secondo match risulta essere meno impegnativo, l’altra squadra sembra essere ancora stanca per primo match della giornata e le azioni in porta sono ridotte al minimo. Paolo segna altri due goal, un terzo viene successivamente segnato da Simone. La prima giornata del torneo si conclude in trionfo. Il mister si complimenta con tutti i suoi ragazzi, felice e soddisfatto. 
La squadra rientra in hotel alle diciotto e trenta, per quella sera la cena verrà consumata nel ristorante dell’albergo. Il pasto offerto è tipicamente tirolese: antipasto di salumi e formaggi, canederli, stinco al forno cotto in riduzione alla birra con contorno patate al forno e strudel di mele, il tutto accompagnato da fiumi di birra. Le portate sono molto abbondanti e tra una e l’altra passano circa una ventina di minuti. La cena infatti termina alle undici e mezza, dopo la quale nessuno se la sente di uscire o svolgere qualsiasi altra attività. Tutti quanti si ritirano nelle proprie stanze, pieni e soddisfatti. Stefano dà la buonanotte ai compagni di squadra ed entra nella propria stanza, solo. Sebbene abbia tutti i confort desiderabili, continua a dispiacersi del fatto di non avere compagnia. Anche una chiacchierata con qualcuno prima di addormentarsi, come era successo a Cesenatico, sarebbe stata cosa gradita. Toglie le scarpe, sbottona la camicia e si getta sul letto. Non è ancora pronto per andare a dormire. Dà un’occhiata al bollitore, vicino alla scrivania. Accanto ad esso ci sono alcune bustine di the e tisane, sceglierà una di quelle. Si alza e inizia guardare l’assortimento, indeciso su cosa scegliere. Prima che possa prendere la caraffa per riempirla d’acqua, qualcuno bussa alla porta. Apre e davanti a sé trova Paolo, indossa giubbotto e sciarpa.
 
-Usciamo?
 
Suggerisce, sorridendo. Stefano, senza pensarci due volte, accetta.
 
-Ok. Dammi il tempo di infilarmi le scarpe e prendere il giubbotto. 
 
Paolo lo aspetta sull’uscio della porta, lui cerca di fare veloce. Si rimette rapidamente le scarpe e recupera il giubbotto dall’armadio, dopodiché lo segue, lasciandosi guidare da lui. Non ha idea di dove voglia andare, è quasi mezzanotte e tutti sembrano essere già andati a letto. Non fa domande, non gli importa quale sia la destinazione, il fatto di poter trascorrere del tempo da solo con lui gli è sufficiente, un posto vale l’altro. Usciti dall’albergo, arrivati in strada, Paolo spiega le proprie intenzioni. 
 
-Non so tu ma io non riuscivo proprio a mettermi a letto, dopo tutto quello che ci hanno dato da mangiare. Dovevo per forza uscire a fare due passi… 
 
Stefano annuisce. 
 
-Nemmeno io mi sarei messo a letto. 
 
Afferma, pensando alla bustina di tisana mela e cannella che aveva scelto e che avrebbe bevuto, se non fosse stato per Paolo. Camminano fianco a fianco l’un l’altro, sono molto vicini al punto che di tanto in tanto i loro giubbotti si sfiorano. Paolo tiene le mani in tasca. Fa molto freddo, anche se la serata è limpida e serena. 
 
-Ecco! Entriamo lì! Ti va?
 
Esclama all’improvviso Paolo, indicando un locale dal quale entrano ed escono diverse persone. Sente della musica provenire dal locale, musica latino-americana. Non è esattamente il suo genere ma non vuole contraddire Paolo, si limita a fare una smorfia, nella speranza che Paolo osservandolo cambi idea. Non lo fa.
 
-Dai, ci beviamo qualcosa poi torniamo in albergo. 
 
Insiste, spingendo Stefano verso l’ingresso del locale. Una volta dentro, riescono a scorgere un tavolino in fondo alla stanza dove potersi sedere. Il locale, come Stefano sospettava avendo ascoltato la musica, sta ospitando una serata a tema balli latino americani. Il tavolino scelto non è vicino alla pista da ballo o alle casse da dove viene riprodotta la musica, per questo motivo riusciranno a parlare tranquillamente. Paolo si siede subito, posando il cappotto sullo schienale della sedia. Stefano si mette di fronte a lui, facendo la stessa cosa. Nota però che Paolo è vestito diversamente rispetto alla cena: indossa una camicia nera, coperta di strass, semi-trasparente, lasciata aperta fino a sopra l’ombelico e al di sotto di essa una canottiera a costine sottili, nera, anch’essa trasparente che lascia intravedere i pettorali e gli addominali. Non può essersi confuso,
dal momento che a tavola indossava un maglione beige a scollo rotondo. Inizia a sospettare che Paolo avesse già ben le idee chiare circa cosa avrebbe voluto fare dopo cena e che non gli abbia detto nulla di proposito. 
Poco dopo arriva un cameriere a portare i listini con i cocktail per la serata. Paolo scruta la lista interessato, anche Stefano li guarda anche se il suo interesse è totalmente assorbito da Paolo, da quel suo look affascinante e provocante. Vedendolo con lo sguardo basso nota anche che ha messo di nuovo del kajal sotto agli occhi, come durante la cena a casa sua. Lo osserva riflettere la luce del locale in quella sua camicia così vistosa e ben poco discreta, che riesce a portare con totale eleganza e naturalezza. Non può che invidiare l’eleganza e la classe con le quali è in grado di indossare anche il capo più eccentrico, riuscendo comunque a risultare virile e affascinante. 
 
-Ti piace proprio brillare…
 
Commenta. Paolo alza lo sguardo dal listino, che posa immediatamente sul tavolo. 
 
-Temo di sì. 
 
Confessa, con un mezzo sorriso. 
 
-Come se non brillassi già abbastanza di tuo, senza quella camicia… 
 
Aggiunge Stefano, posando a sua volta il listino dei drink sul tavolo. Paolo non risponde al suo commento, non si riesce a capire se sia perché non ha gradito ciò che ha detto o il contrario. Ad ogni modo, il cameriere arriva al tavolo a prendere le ordinazioni. Stefano prende un Long Island, mentre Paolo un Americano
 
-Sapevi già che saremmo venuti qui, vero?
 
Domanda Stefano, cercando di riprendere la conversazione. Paolo annuisce. 
 
-Sì. Ho visto le pubblicità in hotel, sono anni che non ballo latino. Ci portavo sempre mia mamma.
 
Commenta, giocherellando con la cannuccia del drink. Esattamente come l’ultima volta, lo sguardo di Paolo si incupisce nel nominare sua madre. 
 
-Eri davvero molto legato a lei… 
 
Conclude. Paolo alza lo sguardo, uno sguardo malinconico ma non esattamente triste. 
 
-Eravamo solo io e lei. Siamo stati solo io e lei per buona parte della mia vita… mio padre, ancor prima che se ne andasse, è sempre stato una presenza incostante. 
 
Confessa, bevendo il primo sorso dal bicchiere. Un sorso rapido. 
 
-Non si è fatto sentire dopo la morte di tua madre?
 
Domanda Stefano, bevendo a sua volta. Paolo fa spallucce e sul suo viso si fa spazio un’espressione di disgusto.
 
-Non è neanche venuto al funerale, né a farle visita. Si è solo sforzato di farmi una telefonata, dopo un messaggio in cui gli dicevo era morta. Il giorno del funerale mi ha mandato un bonifico, per pagare le spese. Bonifico immediatamente rimandato al mittente. 
 
Spiega, tenendo lo sguardo basso. Stefano non pensava che la sua situazione familiare fosse così drammatica. Non ha mai visto il padre di Paolo, neanche quando erano ragazzi e ora inizia a capire il perché. Si ritiene estremamente fortunato ad avere, al contrario, una famiglia funzionale, aperta e senza grossi problemi. 
 
-E dire che sono il suo unico figlio. Si è risposato con una donna più giovane, che avrà penso una decina d’anni in più di noi… ma non ha voluto altri figli. 
 
Prosegue, mettendosi comodo sulla sedia, scivolando lungo lo schienale e appoggiando le braccia su entrambi i braccioli. In quella posizione la camicia si gonfia e risulta ancora più aperta, lasciando intravedere oltre agli addominali anche l’ombelico. Stefano cerca di non fissarlo troppo. Beve un altro sorso del suo cocktail e si rende conto di essere arrivato già a metà, mentre Paolo l’ha appena iniziato. Stefano non sa cos’altro aggiungere alla conversazione, dire un semplice “mi dispiace” gli pare scontato e misero, tuttavia non vuole esagerare o spingerlo a rivivere parti troppo dolorose del suo passato. A movimentare la situazione è una ragazza che si avvicina a Paolo, sicura di sé, con indosso un bell’abito viola con gli strass, che vagamente riprende quello di Paolo. 
 
-Posso invitarti a ballare?
 
Chiede. Paolo sorride, sorpreso. Guarda Stefano, in attesa di una sua reazione. 
 
-Ti spiace?
 
Gli domanda. Stefano scuote il capo e subito Paolo accetta la proposta della ragazza e la prende per mano, seguendola sulla pista. Stefano beve ciò che resta del drink e si gira per osservare Paolo e quella ragazza sulla pista da ballo. Non sono l’unica coppia di giovani presenti sulla pista anche se, come sempre, è impossibile per lui passare inosservato. La sua prestanza fisica, la sua bellezza e il suo abbigliamento vistoso fanno sì che sia l’oggetto delle attenzioni di tutto il locale. Si posiziona con la sua ballerina quasi al centro della pista e inizia a danzare, quella che sembra essere una bachata. Stefano non è un grande esperto di balli latini, non ha mai voluto ballare, se non con Elena a qualche matrimonio di famiglia. Tiene lo sguardo fisso su Paolo, rimanendo incantato dalla naturalezza che mostra di possedere sulla pista, i suoi piedi sembra che non tocchino terra e il bacino si muove a destra e sinistra con sinuosità ed eleganza, muovendo abilmente la ballerina e facendola girare su se stessa per allontanarla e poi riportala a sé, tenendole le mani in alto e posandola di schiena contro il suo petto. Un passo frontale, uno laterale e di nuovo una giravolta, il tutto con un movimento di bacino delicato e sensuale, eseguito con una spontaneità tale da far sembrare che ciò che sta facendo sia la cosa più semplice del mondo. Terminato il ballo, la ballerina ringrazia Paolo che non riesce ad allontanarsi dalla pista perché viene subito intercettato da un’altra ragazza e di nuovo inizia la sua danza, con le stesse mosse, con la stessa abilità. Stefano ne approfitta nel frattempo per chiamare il cameriere e ordinare un secondo bicchiere di Long Island
Paolo rimane sulla pista per altri tre o forse quattro balli, durante il quale Stefano finisce anche il suo secondo drink. 
 
-Scusami ma non mi mollavano più.
 
Esclama Paolo, ritornando a sedere. Si passa una mano tra i capelli sudati e fa un respiro profondo, il sudore fa risplendere ancor di più la sua pelle, resa visibile dalla camicia trasparente e gli trasmette un’aria ancor più sensuale, quasi erotica. Tali sono le sensazioni che Stefano prova nell’osservarlo, complici l’alcool e il fatto di averlo visto muoversi sinuosamente in pista, non desidera altro che strappargli quella camicia di dosso e averlo su di sé, petto contro petto. Abbassa lo sguardo per evitare che Paolo legga le sue intenzioni. Sta iniziando a giragli la testa e non è un buon segno. 
 
-Sei intelligente, sei bellissimo, sei un atleta, sai cucinare, parli almeno tre lingue e balli pure! Mi chiedo cosa ci faccia tu al tavolo con uno come me… 
 
Pensa, lasciandosi sfuggire dalla bocca, a voce alta, il suo pensiero. Non era sua intenzione dirlo ma il suo subconscio, alimentato dall’alcool, ha pensato diversamente. 
 
-Uno come te?
 
Domanda Paolo, incredulo. Stefano non sa come rispondere e non vuole farlo, si limita a fare spallucce. Paolo gli rivolge uno sguardo insolito, nota delusione nei suoi occhi. Rimane in silenzio per qualche secondo, prima parlare. 
 
-È vero. Sono tutto quello che hai detto, non lo nego. Però sono anche un bugiardo, un traditore, un codardo e un ex tossico dipendente, se vogliamo dirla tutta. 
 
Esclama, utilizzando un tono particolarmente duro e serio. Stefano coglie in particolare la parola “codardo”, che sente propria e non assocerebbe mai a Paolo e la parola “tossico dipendente”. 
 
-Tossico dipendente?
 
Chiede, con un fil di voce. Paolo annuisce. 
 
-Esatto. Dopo la morte di mia madre sono caduto in una profonda depressione, ho toccato il fondo, anzi sono andato anche oltre. Ho iniziato a drogarmi, pasticche prese in metropolitana, cocaina tirata sui tavoli del Just Cavalli: ho provato un po’ di tutto. 
 
Questa confessione da parte di Paolo è come un fulmine a ciel sereno per Stefano. Non se lo sarebbe mai aspettato. Lo guarda, probabilmente in modo fin troppo esplicito, dal momento che Paolo riesce a comprendere esattamente ciò che sta pensando.
 
-Lo so, non me lo aspetterei nemmeno io da me stesso. Però questa è la verità, sono stati sei mesi fuori controllo, una vera e propria discesa negli inferi. Per fortuna sono riuscito a uscirne, sono entrato in un gruppo per tossicodipendenti e non ci sono mai più ricascato. Però prima mi sono umiliato nei peggior modi immaginabili. Alla Vince sapevano tutto, sapevano quello che facevo e che tiravo sulla scrivania del mio ufficio o sull’asse del water, se capitava. 
 
Il discorso di Paolo, dai toni cupi e grotteschi, inizia a disturbare Stefano che mai credeva dover di sentire un racconto del genere da parte sua. 
 
-Credimi, fa più male a me che a te. E andrò oltre: un giorno ero così fatto che mi hanno portato fuori dall’ufficio in quattro, quattro buttafuori della Vince, più grandi e forti di me. È stato lì che mi hanno buttato in un gruppo di recupero, minacciandomi di licenziarmi se non mi fossi riabilitato e da allora ogni mese devo presentare esami del sangue ed esami delle urine, per tenermi il posto. Io che ho studiato tanto, che sono così intelligente, che dovevo e volevo essere un esempio per tutti. 
 
Conclude. Stefano continua a restare in silenzio, tutte quelle informazioni sono davvero troppe da digerire in una volta sola. In quel preciso istante arriva il cameriere, a portare il terzo bicchiere di Long Island ordinato da Stefano mentre Paolo era ancora in pista a ballare. Allunga la mano per prenderlo ma viene bloccato da Paolo, che lo trattiene, bloccando la sua mano.
 
-Vogliamo mettere tutte queste cose sulla bilancia e vedere da che parte pende? Su quello che tu pensi di me o su quello che invece ancora non sapevi?
 
Aggiunge. Stefano sospira. 
 
-Non hai bisogno dirmi tutto questo, non perderò la stima che ho per te, anche se continuerai a dirmi tutte queste cose…
 
Esclama. Paolo annuisce.
 
-Lo so. Non è per questo che te lo sto dicendo, lo faccio perché, ancora, tu pensi che io sia chissà quale divinità al di sopra di te, al di sopra di tutti. Col risultato che mi tieni sempre a distanza, ogni volta. Quando tu sei, sotto ogni aspetto, una persona migliore di me. 
 
Stefano scuote il capo. Sebbene non si aspettasse nulla di ciò che ha sentito, continua a credere che Paolo sia una persona straordinaria. Anche con tutte quelle difficoltà che ha appena esposto, è stato in grado di rialzarsi, di farlo con stile e con coraggio, senza abbattersi. 
 
-Te l’ho detto tante volte: tu sei sincero, sei onesto, sei spontaneo. Sai chi sei e non hai mai voluto nasconderlo, neanche quando eri un ragazzo. Anche quell’ultimo anno in cui ti hanno giocato quello scherzo terribile, sei andato comunque avanti per la tua strada. Sei sempre disponibile, vedi sempre il bene nelle persone. Anche adesso che ti ho raccontato tutto questo, io lo so, guardandoti, che hai pensato che comunque non sono così tanto male, perché ne sono uscito da quella situazione, perché me la cavo sempre. Mi sbaglio?
 
Stefano annuisce. È quasi terrorizzato dal fatto che Paolo riesca a leggerlo così bene e a comprendere con esattezza tutto ciò a cui sta pensando. Si chiede se sia davvero così palese nelle sue reazioni o se solo lui e forse anche Alberto, riescano a comprenderlo pienamente. 
Paolo lascia andare il bicchiere e si abbandona di nuovo lungo lo schienale della sedia, continuando ad osservare Stefano e le sue reazioni. 
 
-Non sai neanche quanto mi sia dispiaciuto, a quei tempi, non aver avuto il coraggio di sostenerti e di difenderti da tutti quei coglioni ignoranti e bigotti che ti hanno allontanato dalla squadra e dal gruppo. Avevo paura di venire isolato e temevo che per associazione pensassero di me quello di cui accusavano te. Sono stato un codardo, non ero forte come sei tu. Tu lo sei sempre stato, forte. Io invece mi sono creato una corazza grazie o a causa della vita che ho vissuto. Questa è la verità. 
 
È quasi surreale, per Stefano, sentire Paolo esprimersi così chiaramente in merito a quella vicenda del suo passato che tanto li lega e che fin dal suo arrivo in squadra ha avuto paura che facesse emergere, minando il suo equilibrio. Paradossale inoltre pensare che Paolo lo ritenga una persona sicura e fiera di sé, quando invece impiega tutte le sue forze per nascondere al gruppo la sua sessualità, la sua vera natura.  Stefano sente ancor di più bisogno di bere il suo drink, quel terzo bicchiere che ormai sente scendergli in gola come fosse acqua fresca. Le parole di Paolo e la sua confessione hanno del tutto annullato l’effetto anestetizzante dell’alcool. 
 
-Ciao, balli con me?
 
Una ragazza si avvicina di nuovo a Paolo, offrendogli di ballare. Lui guarda di nuovo Stefano che gli fa cenno col capo di andare. Quindi accetta e la segue. Stefano ha bisogno che si allontani da lui per un momento, ha bisogno di rimanere un attimo da solo per rielaborare tutto e comprendere esattamente cosa sia successo. Quando ha accettato di uscire con lui, un paio di ore prima, mai avrebbe pensato che la serata avrebbe preso un tale risvolto. Eppure, come era successo anche a casa di Paolo durante la loro cena insieme, non può che sentirsi ancor di più attratto da lui. Quel suo lato debole, decisamente umano e fallibile è ciò che mancava per delineare il suo ritratto: è un uomo dalle capacità straordinarie, dalla spiccata sensibilità, una persona che nella vita ha avuto tutto ma ha anche perso tutto. Una persona che sa rialzarsi in piedi, che non ha paura di mostrarsi debole davanti a lui, che non ha intenzione di nascondersi e che è in grado di riconoscere le proprie colpe. Ripensa poi a tutti quegli elogi sinceri gli ha rivolto, passati forse in secondo piano per via della sua sofferta confessione. Aveva inteso la stima che Paolo nutre nei suoi confronti, grazie anche alle parole dei suoi compagni di squadra. Non sapeva però quella stima partisse così da lontano, da quando ancora erano ragazzi, da quando anche lui probabilmente aveva iniziato a provare interesse sincero nei confronti di Paolo. 
Non è un essere impeccabile o perfetto ma ritiene che sia perfetto per stare accanto a lui. 
Stefano allunga la mano per prendere il bicchiere e terminare il cocktail, viene fermato da Paolo che posa una mano sulla bocca del bicchiere.
 
-Direi che hai bevuto abbastanza, per stasera.
 
Commenta. Stefano annuisce, non può che essere d’accordo.
 
-Balliamo?
 
Suggerisce, porgendogli l’altra mano. Stefano lo guarda negli occhi, per la prima volta, da dopo il suo racconto. Quei meravigliosi occhi azzurri che non hanno smesso di brillare, nonostante tutto. 
 
-Non so ballare. 
 
Confessa, poco convinto. Paolo gli sorride. 
 
-Sei un bello che non balla?
 
Domanda, con aria divertita. Stefano fa una smorfia. 
 
-“Bello”. Proprio tu lo dici a me… 
 
Risponde, ironico, lasciando ancora volta sfuggire un suo pensiero, dettato dalla bassa autostima. Questa volta Paolo la prende in modo differente.
 
-Sì, bello. Tu ritieni che io sia bellissimo, no? Avrò un po’ di competenza in materia per capire cosa è bello e cosa no? O sbaglio?
 
Chiede. Stefano abbassa lo sguardo e arrossisce. I toni si sono decisamente smorzati rispetto a poco prima e il suo cuore si è ricordato di essere di fronte a Paolo e ha ripreso a battere a ritmi incontrollati. 
 
-Ti dirò di più: non solo sei bello ma ti farò anche ballare, avanti.
 
Esclama. Sporgendosi e prendendolo per un braccio, facendolo alzare dalla sedia. Lo trascina con sé sulla pista da ballo, ancora piena di persone che danzano e si muovono senza sosta. Stefano nota che sono gli unici uomini a ballare insieme. È una cosa che non ha mai fatto al di fuori delle discoteche gay friendly, la cosa lo terrorizza. Paolo a contrario sembra molto sereno e convinto. Quando la canzone parte, Paolo prende entrambe le mani di Stefano e si mette in posizione, iniziando con i passi. Lui cerca di seguirlo, pur non avendo la benché minima idea su come muoversi.
 
-Te l’ho detto che non so ballare.
 
Commenta Stefano continuando a guardarsi i piedi per evitare di sbagliare. Improvvisamente Paolo lo fa girare su sé stesso, portandolo al suo fianco, come gli aveva visto fare con le altre ragazze durante la serata.
 
-Sono qui apposta. Guido io il ballo, tu segui me.
 
Afferma, sussurrando nel suo orecchio. Stefano sente il calore divampare in tutto il suo corpo. Avere Paolo accanto, stringere le sue mani e sentirsi il suo profumo addosso, lo manda fuori di sé. Non sa per quanto tempo ancora potrà resistere. Sente le gambe sempre più molli e deboli. Paolo lo gira di nuovo e tornano ad essere uno di fronte all’altro. 
 
-Ci stanno… anzi, ti stanno guardando tutti. È un continuo ripetersi del solito copione: tu che fai i numeri e le ragazze che corrono a vederti. 
 
Commenta Stefano, notando lo sguardo interessato delle donne che ballano accanto a loro e anche quelle sedute a bordo pista, che probabilmente aspettano solo che lui si levi di torno per ballare con Paolo. Il ritmo della musica cambia e Paolo gira nuovamente Stefano, portandolo di lato.
 
-La leggenda di Paolo Cazzogrande.
 
Sussurra Paolo, nel suo orecchio. Stefano arrossisce immediatamente, per un attimo non inciampa nei suoi stessi piedi, per la sorpresa. Quindi Paolo era a conoscenza del soprannome che gli era stato dato e se ne ricorda ancora. Stefano gira di nuovo e torna di fronte a Paolo, che questa volta lo porta un po’ più vicino. 
 
-Quindi questo era? Una leggenda?
 
Domanda Stefano incuriosito. Paolo gli sorride, quello stesso sorriso malizioso che aveva visto tramite schermo, con il labbro portato verso l’altro e il naso arricciato. 
 
-Sei avessi fatto la doccia con me qualche volta, negli spogliatoi, lo sapresti.
 
Risponde. Stefano rimane spiazzato dalla sua risposta. In quel momento la musica termina e Stefano non ha desiderio di continuare a ballare. Anche Paolo sembra intenzionato ad andare via. 
 
-Rientriamo?
 
Suggerisce Paolo, lasciandolo andare. Stefano annuisce, entrambi vanno a recuperare i giubbotti al tavolo, Paolo decide di pagare le consumazioni di entrambi, pur non avendo finito nemmeno metà del drink, dopodiché si dirigono verso l’albergo, in silenzio. È passata l’una e mezza di notte, fa molto freddo. Stefano, avendo bevuto molto, non avverte così chiaramente il freddo pungente della sera. Inoltre, perso nei pensieri e nelle riflessioni sulla serata appena trascorsa, non ha il tempo di riflettere sulle condizioni meteorologiche. Vorrebbe rompere quel silenzio e dire a Paolo qualcos’altro anche se, dopo tutto ciò che successo, non saprebbe più cosa aggiungere. Inoltre, l’ultima parte della sua serata ha preso una piega diversa, più rilassata che non vuole rovinare. In men che non si dica, sono davanti all’ingresso dell’albergo. Paolo prende la chiave, che aveva chiesto al portiere poco prima di uscire. Entrano in silenzio, cerando di non far rumore. In ascensore Stefano inizia a sbottonarsi il giubbotto, sente caldo. 
 
-Posso chiederti una cosa, ancora?
 
Domanda, cogliendo Paolo di sorpresa. 
 
-Dimmi. 
 
Risponde lui, girandosi. Quella domanda frulla nella testa di Stefano da diverso tempo e crede che, formulata in quel modo, potrebbe dissipare ogni dubbio circa i suoi intenti futuri. Ci aveva riflettuto la sera prima, sa che è quello che deve chiedere per potersi sentire sicuro, per trovare coraggio, per smettere di sentirsi un codardo.
 
-Come… 
 
Fa una pausa per deglutire e farsi coraggio. 
 
-Come si chiama la persona con la quale hai avuto una relazione, a Pisa?
 
Domanda, facendo il possibile per non abbassare lo sguardo. Paolo gli sorride. 
 
-Mattia. 
 
Risponde. In quel momento l’ascensore si apre, sono arrivati al piano. Stefano si ferma davanti alla porta della propria stanza. 
 
-Quindi… buonanotte.
 
Esclama Stefano. 
 
-Buonanotte.
 
Risponde Paolo, proseguendo lungo il corridoio. Stefano lo osserva, senza entrare in camera. Lo vede proseguire dritto fino allo svincolo del corridoio che lo conduce alla propria stanza. Lascia passare qualche istante dopodiché entra nella propria camera. Accende la luce, si sfila le scarpe e ripone il cappotto nell’armadio. Passando accanto allo specchio, il chiacchierato specchio della sua stanza, nota che la curiosa collana regalatagli da Paolo era ben visibile al suo collo. Dati gli eventi della serata si è dimenticato di chiedergli il significato di quel regalo. 
 
“Mattia”
 
Ripensa alla risposta di Paolo. Quindi quella persona che aveva completamente cambiato le sue prospettive era proprio un uomo, come Stefano aveva sospettato. Si dà una sistemata allo specchio e poi posa il cellulare sul comodino, deciso di andare in bagno e prepararsi per la notte. Proprio in quell’istante sente bussare la porta. Il suo cuore si ferma.
 
-Sono io.
 
È Paolo. Si avvicina lentamente alla porta. 
 
-Mi sono dimenticato di dirti una cosa.
 
Aggiunge.

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Capitolo 21
*** Folgorante ***


Stefano fa un respiro profondo. Non si aspettava che Paolo ritornasse ed era già pronto per mettersi a dormire: è scalzo, ha già sfilato la camicia dai pantaloni l’ha sbottonata. L’alcool consumato durante la serata ha iniziato a farsi sentire, sente il suo corpo in preda alle fiamme. 
Appoggia la mano sulla maniglia della porta e la apre. Paolo è davanti a lui, con il giubbotto ancora addosso, slacciato, la sciarpa che ricade morbida dal collo sulle spalle. Riesce ad osservarlo chiaramente per una frazione di secondo, deducendo dal suo abbigliamento che non sia affatto rientrato nella sua stanza, finché Paolo lo afferra con forza per un fianco, portandoselo vicino. La sua vista si annebbia e quando riprende lucidità sente le labbra di Paolo sulle sue. Morbide, delicate, avvolgenti e calde, esattamente come aveva immaginato potessero essere, tutte le volte nelle quali se è soffermato a guardarle. Lo bacia, senza lingua, semplicemente succhiando le sue labbra, partendo dalla parte centrale del suo labbro inferiore per poi arrivare all’angolo della bocca. Mentre lo fa, la sua mano scivola sotto la camicia di Stefano, posandosi sul suo fianco, sulla sua pelle nuda e accaldata. Si ferma, alza lo sguardo, arrivando a guardare Stefano negli occhi così da vicino da potervisi vedere riflesso. Non parla, non dice nulla, sta però aspettando un segnale per poter procedere, per andare oltre. Stefano allora lentamente arretra, facendolo entrare nella sua stanza. Paolo varca la soglia, senza staccarsi dal fianco di Stefano, senza distogliere lo sguardo, con la mano libera chiude la porta alle sue spalle, dopodiché, con decisione e con il proprio peso, spinge Stefano contro la parete, contro una delle ante scorrevoli dell’armadio e riprende il bacio esattamente dove l’aveva lasciato ma con più decisione, afferrando il labbro inferiore di Stefano con i denti, infilando poi rapidamente la lingua nella sua bocca. Stefano si decide a rispondere al bacio, iniziando una danza tra le due lingue, divertendosi a sfiorare il suo piercing che lo solletica e lo diverte, andando a toccare ogni parte della sua lingua, dalla punta ai lati e sbattendo di tanto in tanto contro i suoi denti. Si perde nel suo bacio, ad occhi chiusi, con il petto di Paolo premuto contro il suo in modo quasi simmetrico, dal momento che è solo pochi centimetri più alto. Paolo gli lascia andare il fianco allontanando il suo corpo per un attimo, per farsi scivolare dalle spalle la sciarpa e il giubbotto. Si allontana anche dalle sue labbra, dando un ultimo morso a quello inferiore, prima di farlo. Stefano lo guarda quasi con dispiacere, temendo che abbia già smesso, che sia già finita. Paolo lo guarda di nuovo, sorridendo. Stefano ha quasi l’impressione che i suoi polmoni abbiano esaurito ossigeno, che si siano invece riempiti di quel suo inebriante profumo d’ambra e cedro, gli manca il respiro, gli gira la testa. Ne vuole ancora, si sporge in avanti per prendere lui l’iniziativa, tuttavia Paolo lo precede. Posa una mano di nuovo sul suo fianco, con l’altra gli sfiora il viso, la guancia destra, sale fino ad arrivare alla tempia, allarga le dita che passa tra i suoi capelli, li stringe e poi di nuovo posa le proprie labbra sulle sue, un bacio rapido, poi un altro, quasi per testare la sua pazienza. Dopodiché riprende a fare sul serio, lasciandolo di nuovo giocare con il suo piercing. Quello stesso piercing che l’ha incantato più e più volte nel corso di quei mesi. Stefano deve aprire gli occhi di tanto in tanto per accertarsi che sia reale, che stia succedendo davvero. Non riesce a credere che quel momento su cui ha fantasticato tanto a lungo si stia concretizzando: le labbra di Paolo sulle sue, le loro lingue che danzano con la stessa sensualità dimostrata da loro stessi sulla pista da ballo, quelle sue mani addosso: le dita della mano destra che stringono in fianco, quelle della sinistra tra i suoi capelli. Vorrebbe toccare Paolo a sua volta ma si sente quasi paralizzato, tiene i palmi delle mani aperti contro il muro. Paolo si stacca da lui, entrambi prendono fiato. Così vicino riesce a sentire il battito del suo cuore, la mano sul fianco scivola così come quella tra i capelli, le posa entrambe sulle sue, insinuando le sue dita tra quelle di Stefano, con una leggera pressione lo sposta dal muro, tenendogli entrambe le mani e posandole poi sui suoi fianchi, al di sotto della camicia con gli strass, sulla canottiera a costine trasparente. Stefano lo stringe, i suoi fianchi sono ben delineati, il suo corpo è muscoloso, caldo al tatto, a differenza delle sue mani, sempre un poco tiepide. Si guardando negli occhi senza dire nulla, non c’è n’è bisogno. Di nuovo Paolo accarezza i suoi capelli, passandovi le dita di entrambe le mani, stingendo entrambi i lati della sua testa e intrecciando le dita sulla sua nuca. Si spinge di nuovo in avanti per un altro rapido bacio, appena appena impresso sulle sue labbra, Stefano rimane con la bocca semi aperta, aspettando qualcosa di più intenso, continua a stringergli i fianchi, salendo con il pollice fino all’addome, del quale riesce chiaramente a sentire ogni curva, ogni muscolo. Paolo sorride, quello stesso sorriso malizioso che sta vedendo di frequente sul suo viso. Lo bacia di nuovo, un altro bacio fugace che Stefano riesce a intercettare, afferrando il suo labbro inferiore, simulando ciò che lui stesso ha fatto poco prima. Paolo sembra divertito, si lascia sfuggire una risata, che viene soffocata dal bacio. Si stacca poi con più forza e si spinge in avanti con il proprio corpo, indirizzando Stefano verso il letto. Stefano si trova con i polpacci premuti contro il giroletto in pelle, fa forza sui muscoli per non cadere all’indietro, per restare in equilibrio, utilizzando la stessa presa sul corpo di Paolo per farlo. Questi tuttavia, lo afferra per gli avambracci, allontanando le sue mani dal proprio corpo e facendolo cadere all’indietro, con la schiena sul letto, con i piedi ancora ben saldi a terra e le ginocchia piegate. Sente una fastidiosa vertigine, come se l’intera stanza si fosse ribaltata con lui su quel letto. Chiude per un secondo gli occhi per riprendere lucidità e quando li apre Paolo è sopra di lui, sente le sue ginocchia sfiorargli le cosce. Non fa nulla, lo guarda soltanto e sorride, questa volta quel suo sorriso meraviglioso al quale non riesce a resistere. Cerca di farsi forza con i gomiti per alzare il busto, per baciarlo. Paolo non glielo permette. Prende entrambi i suoi polsi, afferrandoli, li alza di sopra della sua testa e poi li unisce, come se volesse legarli. Con una mano li tiene premuti contro materasso mentre con l’altra finisce di sbottonargli la camicia, aprendola e lasciandola ricadere sui lati, esponendo completamente i suoi pettorali, sui quali si posa la collana e il suo addome. Dopodiché si china verso di lui, continuando a mantenerlo bloccato al materasso, con le mani quasi letteralmente, legate. Stefano apre la bocca, portando in avanti il mento ma lui lo ignora. Gli dà un bacio sulla fronte poi uno sulla tempia, sulla guancia, infine scende alla mandibola, imprime un bacio leggero e poi lo morde. Stefano sente le labbra e i denti di Paolo succhiare l’osso della sua mandibola. Qualcosa che nessuno ha mai fatto prima e che ritiene estremamente eccitante, il suo cuore aumenta un battito ogni volta che Paolo posa le sue labbra o le sue mani su una parte diversa del corpo, e a un certo punto diventa così forte da diventare quasi un ronzio insopportabile, che gli rimbomba nelle orecchie, oltre che nel petto. Paolo si dedica con estrema attenzione alla sua mandibola, è certo che ne rimarrà qualche segno l’indomani ma non gl’interessa, lo lascia fare. Quando ne ha avuto abbastanza, scivola un po’ di più lungo i fianchi di Stefano, andando ad appoggiare il proprio corpo sul suo. Stefano riesce a sentire gli strass della camicia premere sulla sua pelle, mentre Paolo si sposta bacio dopo bacio dalla mandibola, alla guancia, al lato della bocca fino alle sue labbra dove finalmente Stefano può avere un ruolo più attivo, mostrargli di essere realmente coinvolto in ciò che sta succedendo, per quanto tutto gli sembri ancora irreale e impossibile. Il bacio questa volta è più lungo, una lunga apnea di piacere. Paolo si prende una pausa, durante la quale lascia andare i polsi di Stefano e si toglie la camicia lanciandola a terra, si sfila anche la canottiera, permettendo a Stefano di vedere il suo piercing: una doppia pallina dorata. 
 
-Quindi… mi hai già detto tutto quello che ti eri dimenticato di dirmi?
 
Lo stuzzica Stefano, facendo estrema fatica a recuperare il fiato e le parole necessarie. Paolo sorride e scuote il capo. 
 
-Non sono neanche a metà. 
 
Replica, riprendendo a baciarlo, appoggiandosi completamente con il suo corpo su quello di Stefano. Si stacca dalle sue labbra, passando di nuovo alla mandibola, questa volta dall’altro lato del viso ma non si ferma su di essa, decidendo questa volta di scendere sul collo che bacia e succhia, con estrema precisione. Stefano, ora che ha le mani libere, riesce ad accarezzare i suoi capelli, riuscendo finalmente a passarsi tra le dita quei meravigliosi fili dorati, soffici, morbidi e sottili, molto più sottili dei suoi. Con l’altra mano stringe la sua spalla, ampia, muscolosa e tesa. Paolo si interrompe, alza lo sguardo e lo fissa per qualche secondo, sorridendo. Si solleva, scivolando un po’ più verso il bordo del letto, con l’indice traccia tutto il corpo di Stefano, dal mento, al collo, allo sterno, evitando la collana e arrivando più giù, fino all’ombelico. Si ferma per un istante e scende, seguendo precisamente la linea di peluria scura che da sotto l’ombelico arriva fino al bacino, fino al bottone dei jeans. Prende il bottone tra pollice e indice e lo apre, facendo poi scivolare la zip. Il corpo di Stefano reagisce ancor più intensamente a quel tocco, all’intuizione di ciò che succederà ora. Sente come una scossa elettrica percorrergli tutto il corpo. Paolo si alza, posa una mano sul suo addome. 
 
-Non osare muoverti da lì. 
 
Lo avvisa, con tono minaccioso. Stefano, che fino a quel momento ha lasciato che facesse qualsiasi cosa di lui, non può che accettare. 
 
-Non ne ho la benché minima intenzione. 
 
Risponde. Paolo gli sorride, soddisfatto della sua risposta. Si allontana verso la porta, dove ha lasciato il giubbotto. Prende il portafogli da una tasca e da esso estrae una cartina metallica viola e argento. Stefano capisce subito che si tratta di un preservativo.
 
-Te lo sei preparato bene il discorso. 
 
Commenta, sorpreso dalla sua stessa arguzia. Paolo ride, compiaciuto. 
 
-Faccio le cose per bene io, lo sai.
 
Ribatte, con tono malizioso e decisamente più sicuro rispetto al solito.
 
-Non per niente, sei il migliore.
 
Aggiunge Stefano, vedendo un’espressione di gioia sul volto di Paolo, che ritorna verso il letto, iniziando a slacciarsi i pantaloni e facendoli cadere sul pavimento. Quando gli è di nuovo vicino, lancia il preservativo sul suo petto. Sta indossando solo uno slip nero, semplice, dal quale riesce bene a vedere che Paolo è coinvolto esattamente come lo è lui. Afferra due lembi dei suoi jeans e Stefano si solleva per permettergli di sfilarglieli, lo stesso fa con i suoi boxer.
Anche il quel caso Stefano rimane totalmente in balia di Paolo, lasciando che guidi ogni singola azione di quel loro primo e straordinario incontro d’amore. Lo fa perché è talmente rapito da lui, dai suoi modi fare, intrappolato dal suo corpo, dal suo odore, dal suo sapore al punto di perdere qualsiasi facoltà mentale, già messa a dura prova dall’alcool. 
Alla fine, all’ultimo atto, all’apice dell’estasi, proprio prima di staccarsi da lui, Paolo posa un bacio sulla sua fronte, per poi scivolare al suo fianco. Rimangono immobili, uno accanto all’altro, il cuore di Stefano ha rallentato il battito ma non troppo, teme ancora possa scoppiare da un momento all’altro. Si guardano, in silenzio, cercando di prendere fiato. Stefano si fa coraggio e accarezza il viso di Paolo, le sue guance morbide e lisce. A differenza sua non c’è un filo di barba. Paolo continua a giocare con i suoi capelli, arricciandoli tra le sue dita. Glieli ha toccati più volte durante il loro rapporto, accarezzati, stretti. Non pensava potessero piacergli. 
 
-Cos’hanno di così speciale i miei capelli?
 
Domanda incuriosito. Paolo li stringe ancora più forte. 
 
-Sono meravigliosi. Così scuri, così folti e mossi… ne hai tanti. 
 
Risponde. Stefano ne rimane sorpreso, dal momento che li ha sempre detestati per quegli stessi motivi. 
 
-Preferisco i tuoi, Sono dei fili d’oro, sono… i capelli di un angelo. O di un Dio greco. 
 
Stefano si sistema sul fianco, Paolo è costretto a ritirare la mano. 
 
-Sei… come Apollo. La personificazione del sole. 
 
Aggiunge, osservando il suo viso in pura estesi e sentendo di nuovo l’irrefrenabile bisogno di sentire il suo calore addosso, di baciarlo. Paolo scoppia a ridere e si mette a sedere. 
 
-Perché ridi? È vero. Sei perfetto… e ora che ti ho visto bene, molto bene, ne ho la conferma. 
 
Confessa, non senza un po’ di imbarazzo. Fa il possibile per non abbassare lo sguardo. 
 
-Ti piaccio proprio, eh? 
 
Commenta, con tono sarcastico. Stefano aggrotta la fronte, stupito dalla sua affermazione. 
 
-Non era ovvio?
 
Chiede. Paolo scoppia di nuovo a ridere, una risata fragorosa che fatica a contenere. Stefano continua a non comprendere. 
 
-No, per niente. 
 
Paolo si sporge verso di lui, posando un bacio delicato sulle sue labbra.
 
-Mi do una rinfrescata e poi ne parliamo.
 
Aggiunge, alzandosi il letto e dirigendosi verso il bagno. Stefano si mette a sedere, guardandosi attorno: la stanza è la testimonianza che ciò che ha vissuto è reale, non è stato un sogno o una fantasia. I vestiti di Paolo sul pavimento, i suoi ai piedi del letto e sul letto, le lenzuola stropicciate, i cuscini spostati e il profumo di Paolo che riempie tutta la stanza: lo sente sulle lenzuola, lo sente sulla sua pelle. Si chiede come è possibile che un solo profumo possa mandarlo così tanto in estasi, portarlo alla perdita dei sensi. Approfitta dell’assenza di Paolo per darsi una sistemata, si mette in ginocchio sul letto cercando di vedere il proprio riflesso allo specchio. Sistema i capelli, controlla che i segni lasciati di Paolo non siano visibili e lo sono, li riesce anche a sentire passandosi una mano sulla mandibola destra, sul collo, sulla clavicola. Era chiaro che fosse una persona molto fisica, la sua continua ricerca di un contatto con lui ne era la prova, tuttavia non si aspettava qualcosa di così intenso. 
Prende un capo del lenzuolo e lo porta sulle gambe. Paolo ritorna dopo circa una decina di minuti ma non si veste e Stefano cerca di non osservarlo troppo, non vuole dargli l’impressione di essere disperato. 
 
-Quindi?
 
Domanda Stefano, aspettando di riprendere il discorso. Paolo lo raggiunge sul letto, mettendosi su un fianco, appoggiato su un gomito. In quella posizione ha ancor di più l’aspetto di una statua classica, perfettamente armonica e proporzionata. 
 
-Quindi ho cercato in ogni modo di farti capire che sono interessato a te, ti ho corteggiato come si fa con una donna difficile. Cosa che, ti giuro, no ho mai fatto con nessun uomo. Eppure… niente. 
 
Confessa Paolo, con tono quasi esasperato. Stefano è sorpreso dalla sua confessione ma non dice nulla. Tuttavia, essendo Paolo perfettamente in grado di leggere le sue espressioni, si spiega meglio. 
 
-Sì, sono stato con diversi uomini. Pensavo l’avessi capito, da come mi sono comportato poco fa.
 
Stefano annuisce. In effetti Paolo si è mostrato molto sicuro, dimostrando di sapere bene cosa dovesse fare e come. Stefano a sua volta ha avuto diverse esperienze sessuali ma con quella con Paolo è stata di certo la più intensa di tutte, fino ad ora. 
 
-Quindi Mattia è stato solo il primo… 
 
Deduce Stefano. Paolo scuote il capo. 
 
-No, Mattia è stata la mia prima esperienza completa: corpo e anima. Faccio sesso con gli uomini da quando avevo diciotto anni. 
 
Alle orecchie di Stefano sembra ancora strano sentire parlare Paolo in quel modo. Non solo per il contenuto delle sue parole ma anche per il modo disinvolto con il quale ne parla con lui, completamente nudo, esposto fisicamente e mentalmente. Mentre lui, nonostante tutto, fatica ancora a lasciarsi andare completamente e rimane seduto, con il lenzuolo sulle gambe, tenuto stretto tra le mani. Come se Paolo non avesse già visto tutto ciò che c’era da vedere. 
 
-Quindi lo sapevi già, alle superiori…
 
Deduce Stefano, ricordando anche il suo discorso un paio di ore prima. Paolo annuisce, sul suo viso si fa spazio un’espressione dispiaciuta.
 
-L’ho sempre saputo, in realtà. Solo… non ho voluto disattendere le aspettative della mia famiglia. Dovevo essere perfetto, per mia madre e le mie zie, cattoliche com’erano, un figlio gay non sarebbe decisamente rientrato nei canoni della perfezione.
 
Confessa, mettendosi a sedere in una posizione più comoda e spostandosi un po’ più vicino a Stefano. 
 
-Eppure, alle superiori, di ragazze ne hai avute tante e viste le voci che giravano, non erano relazioni platoniche. 
 
Suggerisce Stefano, stringendo ancora più forte il lenzuolo. Paolo afferra la sua mano, facendogli scivolare il lenzuolo dalle dita. 
 
-In adolescenza avevo sempre gli ormoni a palla. Chiunque mi sfiorasse mi andava bene: femmina, maschio, alieno… tutti! Il problema è sorto crescendo. 
 
Spiega. Stefano gli rivolge uno sguardo veloce, la sua presenza, in quel modo, mentre lo tiene per mano, scatena in lui certi istinti, certi desideri. Vorrebbe lo mettesse di nuovo con la schiena al materasso, replicando tutto ciò che hanno fatto poco prima e anche di più. 
 
-Leggo sul tuo viso che non ti aspettavi neanche la metà di quello che ti ho detto. Ti dirò di più… però prima devi fare qualcosa per me.
 
Esclama, con un mezzo sorriso sulle labbra. Stefano spalanca gli occhi, non ha idea di cosa voglia chiedergli ma annuisce, aspettando che si spieghi.
 
-Togliti quel lenzuolo di dosso, alzati e fatti guardare. 
 
Propone, come fosse un ordine. Stefano aggrotta la fonte, non gli ha chiesto nulla di eccezionale, in realtà sperava che la sua richiesta fosse più spinta, più intima, magari. Tuttavia anche quello che ha appena chiesto richiede molto coraggio da parte sua. Non ha mai amato mostrarsi nudo, rimanere esposto. È il motivo stesso per il quale non si fa la doccia con i suoi compagni, perché si vergogna del suo corpo e delle reazioni che potrebbe avere. Non che ci sia nulla di cui vergognarsi, naturalmente. Fa un respiro profondo, lascia andare il lenzuolo e si alza, ponendosi ai piedi del letto. Paolo lo guarda con interesse, mettendosi più comodo, incrociando le gambe. È perfetto: anche piegato non ha in filo di grasso, i suoi addominali sono del tutto immobili, quasi fossero di marmo, nemmeno un po’ di pelle in eccesso. 
 
-Fai un mezzo giro su te stesso.
 
Suggerisce Paolo, visibilmente compiaciuto. Stefano fa ciò che gli è richiesto, pronto a rimettersi di nuovo sul letto. Paolo glielo impedisce.
 
-No. Fermo lì: lasciati guardare.
 
Esclama, portandosi più vicino a lui, scivolando fino al bordo del letto. Gli fa cenno con il dito di girarsi di nuovo, dopodiché si alza, lo prende per mano, continuando ad osservarlo. Stefano fatica a guardarlo negli occhi, in quella situazione. Lo guarda e abbassa poi lo sguardo, rimanendo in silenzio.
 
-Sì, sei fatto proprio bene. Ci avevo visto giusto. 
 
Conclude Paolo, senza lasciare la sua mano. Stefano si lascia sfuggire una smorfia, che Paolo coglie immediatamente. 
 
-Cosa? Io sono meglio? Volevi dire questo?
 
Suggerisce, leggendo perfettamente i suoi pensieri. 
 
-Non sono d’accordo. Tu sei anche più snello all’altezza della vita, molto più asciutto.
 
Afferma, posando l’indice sull’addome di Stefano e tracciando con esso una linea, da parte a parte. Il tocco di Paolo, in parti che fino a quel momento non aveva ancora toccato, non smette di fargli avvertire un brivido lungo tutto il corpo, nonché il desiderio che continui a toccarlo, senza lasciarlo andare.
 
-Io sono molto più grosso e più pesante, meno aggraziato. Anche se ultimamente ho perso sei chili. Grazie Cina!
 
Esclama, sarcastico, con il sorriso sulle labbra. Si siede sul bordo del letto, trascinando Stefano con sé, accanto a lui, corpo contro corpo. Stefano lo guarda negli occhi e si sporge verso di lui, con l’intento di baciarlo. Paolo continua a tenergli la mano, ora posata sulla sua coscia. Le loro dita si intrecciano. Finge di non aver compreso le intenzioni di Stefano avvicinandosi ma senza fare nulla dopodiché cede e lo bacia, indugiando sulle sue labbra per qualche istante. 
 
-Comunque, che rimanga tra noi: quando baciavo Elena, tanti anni fa, fingevo fossi tu. 
 
Confessa. Stefano rimane letteralmente a bocca aperta. La sua reazione genuina diverte Paolo. 
 
-Specialmente l’anno in cui si è diplomata, in cui si è tagliata i capelli cortissimi, ti assomigliava così tanto che credevo di impazzire. 
 
Aggiunge, passando di nuovo una mano tra i capelli di Stefano, prendendone una ciocca intera nel pugno. Libera l’altra mano dalle dita di Stefano e gli accarezza il viso massaggiandolo con il pollice e andando a soffermarsi nel punto esatto della mandibola in cui poco prima l’aveva quasi divorato. Riprende a baciarlo, intensamente, tenendogli il viso e portandolo a stendersi sul letto, allunga una gamba su di lui, spingendolo dal fianco verso di sé, per averlo più vicino, senza interrompere il bacio. Stefano accarezza il suo viso, i suoi capelli, il suo collo. Lo tocca appena, sfiorandolo con la punta delle dita, perché ancora non riesce a realizzare che sia davvero lì. 
 
-Non pensavo l’avresti indossata davvero…
 
Commenta Paolo, staccandosi dal bacio e prendendo il prendente della collana di Stefano tra le dita.
 
-L’ho messa la sera stessa in cui me l’hai fatta trovare nella borsa e non l’ho ancora tolta. 
 
Confessa Stefano, abbassando lo sguardo per vedere le dita di Paolo che scorrono sull’immagine in rilievo della medaglietta. Crede sia arrivato il momento di chiedergli il significato di quel preciso regalo. 
 
-Ha funzionato. 
 
Lo precede Paolo, confondendolo ancora di più.
 
-Non hai cercato su Google, per capire che cos’è?
 
Domanda poi, iniziando ad accarezzare il suo petto, oltre alla collana. 
 
-Sì ma non ho trovato nulla. Albe sosteneva che me l’avessi regalata solo perché mi sta bene, perché si addice ai miei colori. Immagino non sia così… 
 
Paolo sorride e annuisce. 
 
-Alberto deve proprio detestarmi…
 
Commenta, con tono quasi compiaciuto. Stefano scuote il capo, non è d’accordo con ciò che ha appena detto. Specialmente perché in più di un’occasione Alberto è stato decisivo nell’evoluzione del loro rapporto. 
 
-No! Perché dici così? Alberto ha sempre cercato di farmi coraggio: la volta in cui siamo stati a pranzo, quando ti ha invitato al suo compleanno e anche… quanto ti ha chiesto su Skype se sentissi la mia mancanza… 
 
Spiega, abbassando lo sguardo, tenendo la mano posata sul fianco di Paolo. Questi cerca di trattenersi mordendosi il labbro inferiore, non resiste e si lascia sfuggire una risata.
 
-Ste… non l’ha fatto per aiutare te, l’ha fatto per mettere me in difficoltà. Che gli piaci te ne sei accorto, vero?
 
Chiede, inarcando le sopracciglia. Stefano annuisce.
 
-Me l’ha praticamente detto…
 
Confessa. La mano di Paolo è ancora sul suo petto, tamburella con i suoi pettorali e con il pollice esegue dei momenti circolari, come se stesse creando dei disegni nella sabbia. 
 
-Però un suo suggerimento l’ho colto. La sera del suo compleanno ha detto che per farti fare qualcosa bisogna spingerti e così ho fatto: ti ho spinto contro un muro, non potevo permetterti di sfuggire di nuovo. 
 
Risponde, questa volta lo spinge sul serio, premendo una mano contro il suo petto e facendogli perdere l’equilibrio, Stefano stringe più forte il suo fianco, per non scivolare. Paolo riduce la distanza tra i due stringendolo ancora più forte con la gamba. Lo guarda negli occhi e lentamente si avvicina, i loro visi sono di nuovo a pochi centimetri. Le loro fronti si sfiorano, come i loro nasi. Stefano chiude gli occhi e apre la bocca, in attesa che lo baci ma Paolo non lo fa.
 
-Comunque, ritornando alla collana… 
Prosegue, riprendendo a parlare. Stefano, con riluttanza, decide di aprire gli occhi. Ascolta ciò che Paolo ha da dire, senza però distogliere lo sguardo dai suoi occhi, dalla sua bocca, dalle sue labbra umide e rosee. 
 
-Non ti so dire quale sia il nome esatto in cinese, però è il “Dio Coniglio”, il protettore delle relazioni omosessuali. Gli si chiede di intercedere in favore di una relazione tra uomini. Come ti ho detto: ha funzionato. 
 
Risponde. Stefano spalanca gli occhi, ora gli è tutto più chiaro. Riesce quindi a capire i motivi davanti alla reazione, bigotta, del cameriere al ristorante asiatico. 
 
-Ovviamente questo vale per la medaglietta, i colori della collana li ho scelti veramente perché sapevo che ti sarebbero stati bene, l’ambra richiama le pagliuzze dorate dei tuoi occhi e ne fa risaltare la parte verde.
 
Stefano arrossisce. Sente di nuovo caldo e non è soltanto perché Paolo è avvinghiato a lui, ciò che appena detto l’ha colpito su due livelli: in primis perché non credeva che si fosse soffermato così attentamente a guardare i suoi occhi e secondo perché ciò che ha detto è esattamente ciò che aveva sospettato Alberto. Inizia a chiedersi quanto i due siano simili tra loro. 
 
-C’è tutta una storia dietro questa medaglietta. La vuoi sentire?
 
Domanda. Stefano annuisce, sorridendogli. 
 
-Se ti ricordi, ti ho detto di aver avuto fortuna con il mio interprete. 
 
Inizia. 
 
-Sì, mi hai detto che era un uomo di circa la nostra età, che parlava bene l’inglese e che ti ha dato buoni consigli. 
 
Paolo annuisce. 
 
-Infatti. Una delle prime sere, nel corso della prima settimana, i nostri interpreti avevano il compito di portarci in un luogo di svago, dove potessimo sfogare i nostri desideri. 
 
Stefano si lascia sfuggire una smorfia, che fa sorridere Paolo.
 
-Ovviamente io sono stato l’unico del gruppo ad aver rifiutato l’offerta. Sicuramente perché il tipo di mercanzia offerta non era del genere a me più congeniale e poi anche perché non è una cosa che mi entusiasma, fatta in quel modo. 
 
Spiega, stringendo ancor di più Stefano a sé. È posizionato sul fianco, l’intero peso del suo corpo è sorretto dal gomito destro, puntato sul materasso, mentre con l’altra mano accarezza il corpo di Stefano, dalla spalla al fianco. 
 
-Lui era abbastanza sveglio e ha capito. Tant’è che una sera mi ha detto: posso anche portati degli uomini, se preferisci. 
Stefano lo guarda stupito, a bocca aperta. 
 
-Già. Non sapevo cosa dire, sé negare l’evidenza o semplicemente far finta di nulla dicendo che non mi interessava. Ho optato per la seconda possibilità, ringraziandolo comunque per l’interessamento. Con il tempo, parlando, ha ammesso di essere anche lui gay, pregandomi però di non farlo sapere a nessuno. Durante una delle ultime visite in un tempio, gli ho chiesto se esistesse qualcosa, qualche divinità da invocare per entrare nelle grazie di un certo moretto di mia conoscenza… 
 
Spiega, sorridendo. Stefano sorride, compiaciuto del fatto che stia parlando proprio di lui. 
 
-È stato lì che mi ha parlato di questo “Dio Coniglio”, raccontandomi tutta la leggenda. In sostanza: tanti anni fa in un villaggio in Cina un soldato si innamorò di un suo ufficiale e desiderava vederlo nudo. Quindi un giorno si mise a spiarlo mentre questo era in bagno ma sfortunatamente fu scoperto e fu ucciso. Subito dopo, si dice, che la sua anima sotto forma di lepre sia apparsa in sogno al capo del villaggio e che questi abbia capito che dietro al suo gesto non ci fosse malizia ma amore. Il capo del villaggio dunque per onorarlo decise di erigere un tempio in suo onore, dove venisse raffigurato come “uomo coniglio” e dove le persone potessero andare per chiedere aiuto sulle faccende tra uomini. 
 
Conclude. 
 
-Nella Cina dittatoriale e repressiva esiste una divinità gay? Non l’avrei mai immaginato…
 
Commenta Stefano, sorpreso e divertito al tempo stesso sapendo di aver girato per qualche giorno con al collo un elemento avrebbe potuto svelare la sua sessualità a chiunque, proprio lui che evita accuratamente di indossare anche solo la bandiera arcobaleno, se non nei luoghi a suo dire più adatti.
 
-Infatti non è ben visto, né particolarmente venerato dalla maggior parte dei cinesi. Esiste un solo tempio ancora dedicato a questa divinità, a Taiwan. E secondo te, io cosa ho fatto?
 
Domanda Paolo, sorridendo. 
 
-Sei andato a Taiwan?
 
Deduce Stefano. 
 
-Esatto. Durante una mattina libera, sabato, ho preso l’aereo e sono volato a Taiwan, alla ricerca del tempio. La mia guida mi ha portato fino all’ingresso, non ha voluto entrarvi per evitare di essere additato pubblicamente come omosessuale. Sono entrato e ho fatto una specie di offerta con incenso, biglietto e tutto quanto e mi hanno dato quella collana, facendomi scegliere tra i vari colori e dicendomi di donartela, come segno di buon auspicio. 
 
La confessione di Paolo ha dell’incredibile, per Stefano. Quando ha cercato di capire cosa ci fosse dietro a quel suo souvenir, mai avrebbe pensato che potesse rivelare un racconto del genere. Il fatto che Paolo si sia preso la briga di prendere un aereo nel suo giorno libero e andare in un tempio solo per lui è sorprendente. Si chiede come possa aver avuto dubbi su di lui, in tutto questo tempo. 
Toccando la pelle di Paolo sente che è fredda e anche lui inizia ad avere freddo, sebbene il suo corpo, con Paolo avvinghiato a sé, rimanga bollente.
 
-Ti spiace se alzo un po’ la temperatura? Inizia a far freddo… 
 
Suggerisce, indicando il termostato vicino allo specchio. Paolo annuisce, togliendosi da lui.
 
-Fai pure. 
 
Stefano si alza e respira profondamente. In realtà aveva bisogno staccarsi per un momento da Paolo, sa che potrebbe perdersi nel suo profumo, nel suo abbraccio, tra le sue labbra. Cerca di studiare per un attimo i comandi del termostato, per capire esattamente come impostarlo. È totalmente digitale e c’è un solo bottone. Scorre tra le varie voci del menù ma non riesce a capire cosa selezionare.
 
-Serve una mano?
 
Domanda Paolo, vedendolo in difficoltà. Stefano fa spallucce, senza girarsi a guardarlo. Se lo osservasse perderebbe di certo la concentrazione. Sente però che si alza dal letto e, infatti, è già accanto a sé, con un braccio attorno al suo collo e le dita sul menù del termostato.
 
-Voilà
 
Esclama, facendo apparire sullo schermo una ruota graduata che imposta, aggiungendo due gradi. 
 
-Grazie, ingegnere. 
 
Risponde Stefano, sarcastico. Paolo finge un’espressione di sufficienza. 
 
-Sciocchezze… per me. 
 
Dopodiché sorride, anche Stefano sorride guardandolo. Paolo però sposta subito lo sguardo, per osservare oltre la finestra del balcone. 
 
-Luna piena. 
 
Esclama. Stefano ricorda che proprio Paolo la sera prima, su quel balcone, aveva anticipato che ci sarebbe stata la luna piena. 
 
-“Quando la luna sfavilla nella notturna foschia, con la sua falce tenera e lucente, la mia anima aspira a un altro mondo, ammaliata da lontananze infinite…” 
 
Esclama, con tono tremante, ripetendo a memoria la prima strofa di quel biglietto che ha letto e riletto centinaia di volte, negli ultimi giorni. Paolo guarda stupito, rapito, vede nei suoi occhi quella stessa espressione che gli ha rivolto la sera in cui ha cantato per lui al karaoke, durante il compleanno di Alberto. 
 
-La conoscevi già?
 
Domanda. Stefano scuote il capo. 
 
-No. L’ho imparata a memoria leggendo e rileggendo il tuo biglietto, che tengo nello stesso posto dove tu tieni i preservativi: il portafogli. Il che la dice lunga su quanto io sia sveglio. Comunque la so tutta, sai?  “Ai boschi, ai monti, alle candide cime io mi affretto nei sogni come uno spirito infermo. Io…”
 
Prima che possa proseguire, viene interrotto da Paolo che prende il suo viso tra le mani e lo bacia, rapidamente e intensamente, con la stessa passione dimostrata sulla soglia di quella stanza, qualche ora prima. Stefano ancora si lascia guidare, ricevendo e ricambiando a sua volta e Paolo, prendendolo per mano, lo riporta di nuovo a letto. Questa volta è lui a gettarsi di schiena sul materasso, tenendo Stefano sopra di sé, stringendo entrambe le sue mani, le loro dita si intrecciano, le loro labbra sembrano non volersi separare, finché Stefano è costretto a staccarsi per prendere fiato, per recuperare i sensi. Sente il corpo di Paolo, sotto di sé, fremere forse anche più del suo e decide, questa volta, di prendere l’iniziativa. Il suo sguardo cade sul piercing al capezzolo. Decide di partire da lì. Scivola lentamente lungo il corpo di Paolo e con la lingua inizia ad esplorare la zona, prima limitandosi al piercing, leccandone prima un capo e poi l’altro, successivamente si concentra sul capezzolo stesso, ricevendo approvazione da parte di Paolo. Dopo essersi dedicato con cura ad esso scende, percorrendo con la lingua la linea degli addominali, fino ad arrivare alla zona dell’ombelico e a trovarsi di fronte a quell’unico filo di peluria biondo scuro, sulla quale fantastica da quel giorno in cui ha cucinato a casa sua. Proprio lì, un po’ più a sud, è dove voleva arrivare. Prima di farlo, però, alza lo sguardo e guarda Paolo negli occhi.
 
-Sai… non era per niente una leggenda quella che girava alle superiori.
 
Esclama, con malizia. Paolo sorride, quel travolgente sorriso che fa risaltare la fossetta sulla sua guancia e che ancora di più motiva Stefano ad andare avanti. 
 
-Ma non mi dire!
 
Esclama Paolo, compiaciuto. Dopodiché Stefano procede.

 
 ***
 Il mattino seguente, la sveglia del cellulare di Stefano suona alle sette. Spalanca gli occhi immediatamente, scordandosi per un attimo di dove si trova e soprattutto senza accorgersi di essere abbracciato a Paolo, con la testa appoggiata sul suo petto. Si alza di scatto, facendo sobbalzare anche lui.
 
-Cazzo!
 
Esclama, balzando immediatamente dal letto. Per sua sfortuna, il suo corpo non sembra intenzionato a voler lasciare il letto, le gambe cedono, la testa inizia a girare e solo per caso riesce a cadere di faccia sul letto, a pochi centimetri dal fianco di Paolo. 
 
-Beh prima o poi l’alcool di ieri sera doveva metterti fuori il conto.
 
Esclama Paolo, allungando una mano per accarezzargli i capelli. Stefano punta entrambi i gomiti sul materasso, cercando di alzarsi. Incrocia subito lo sguardo di Paolo, quei suoi stupendi occhi cerulei, che con la luce del mattino, possono solo aumentare il suo senso di vertigine. 
 
-Devi andare! Sono le sette. Chissà cosa penseranno gli altri… 
 
Esclama Stefano, tutto d’un fiato. Paolo fa una smorfia. 
 
-Con tutta la fatica che ho fatto per entrare nel tuo letto non ci penso proprio ad andarmene. 
 
Ribatte. Stefano gli rivolge uno sguardo serio, mentre Paolo scoppia a ridere. 
 
-Tranquillo. Dirò a tutti che sono rimasto a sorvegliarti perché ieri sera hai bevuto come una spugna e sei in totale hangover, che è una mezza verità, dopotutto.
 
Risponde, con tono sicuro. Stefano non è convinto di quella sua proposta ed è certo che il fatto che siano usciti insieme e siano rimasti nella stessa stanza, tutta notte, possa comunque destare sospetti, perlomeno in Diego. Tuttavia nemmeno lui vuole che Paolo se ne vada, che esca dal quel letto. 
 
-Datti una rinfrescata. Io vado di là a procurarci un po’ di tempo, così avremo la mattina libera, tutta per noi. Abbiamo giocato ieri, anche se saltiamo un allenamento non ci sarà alcun problema. 
 
Commenta, sporgendosi verso di lui e dandogli un bacio sulla fronte.
 
-Torno presto. 
 
Esclama, alzandosi dal letto. Recupera tutte le cose dal pavimento, si riveste, dà una rapida sistemata ai capelli ed esce dalla stanza, lasciandolo da solo. Stefano impiega almeno una decina di minuti prima di focalizzare, di processare tutto ciò che è successo. Quando è sicuro che il suo corpo abbia deciso di collaborare si alza e si guarda allo specchio. I segni lasciati da Paolo nel corso della notte sono ancora ben visibili, si chiede come farà a nasconderli ai compagni di squadra. Mentre la sera precedente non gli era importato granché, ora a mente fredda inizia a sentirsi nel panico più totale. Cercherà di indossare una sciarpa ma in campo sarà difficile nascondersi. Sospira. L’ambiente è ancora pervaso dal profumo di Paolo, la sua presenza è ovunque, sebbene sia uscito dalla stanza. Cerca di non focalizzarsi troppo sulla propria immagine nello specchio e prende alcuni vestiti dalla valigia, tenendo per ora da parte tuta e completo da calcio. 
 
 
Paolo bussa alla sua porta circa un’ora più tardi. Si è cambiato, porta gli occhiali da sole e un paio di pantaloni chiari, kaki, modello cargo. I suoi capelli sono perfettamente pettinati e in ordine e il suo aspetto sembra molto più rilassato e disteso, si chiede come faccia a mantenere quell’apparenza eterea e composta, nonostante tutto.
 
-Tutti sono andati al palazzetto ad allenarsi. Mattinata libera! Andiamo a fare colazione?
 
Suggerisce soddisfatto. Stefano senza dire nulla lo raggiunge, Paolo lo ferma.
 
-No, prendi il giubbotto. Non la facciamo qui la colazione, ti porto io in una vera konditorei, fidati di me. 
 
Stefano fa ciò che gli è stato detto, pur non avendo idea di cosa sia una konditorei, ha ormai dimostrato di fidarsi pienamente di Paolo. Lo segue, qualunque sia il luogo in cui intenda andare. 
Camminano per circa una decina di minuti a piedi, arrivando a raggiungere il centro e percorrendo la stessa strada della sera prima, quando sono andati a ballare. Ripensandoci ora, la sera prima mentre stava seguendo lo stesso percorso, mai avrebbe immaginato ciò che sarebbe successo tra lui e Paolo da lì a poco. Camminano fianco a fianco in silenzio, lo guarda con la coda dell’occhio e lo vede, se possibile, ancora più bello del giorno precedente.
 
-Siamo arrivati.
 
Esclama, posandogli una mano sulla spalla e indicandogli una vetrina. La konditorei non è altro in che una pasticceria, traduzione letterale dal tedesco. Il locale è molto elegante e dall’atmosfera retrò, come un cafè viennese del settecento. Di sottofondo musica classica, strumentale. I tavolini sono in vetro con decori dorati e il bancone, che occupa buona parte del locale, è una mezzaluna con un espositore dal quale è possibile osservare torte, brioche e pasticcini dalle svariate forme e colori. Il profumo dolce della vaniglia, del burro e dello zucchero riempie la stanza. Stefano è incantato e ha quasi l’impressione di essersi trasportato in un’altra era.
Un cameriere fa loro cenno dove sedersi, prendono posto a un tavolino vicino alla vetrina dell’ingresso, che affaccia sulla piazza e sul campanile della chiesa. 
 
-Allora? Ti piace?
 
Domanda Paolo, mettendosi comodo sulla sedia di fronte a lui. Stefano lo guarda per un istante, prima di rispondere. Adora la disinvoltura con la quale si siede, quasi sia inconsapevole della propria bellezza e di che sensazioni susciti negli occhi di chi lo guarda, nei suoi in particolare. Credeva che dopo averlo visto nudo non avrebbe più sortito in lui nessun effetto eppure è tutto il contrario, fatica a togliergli gli occhi di dosso. Osserva il gambale dei pantaloni tirare sulla sua coscia, la manica del maglione grigio intrecciato che sta indossando, arrotolata sotto il polso, che lascia scoperto parte del suo braccio muscoloso e venoso. Finge di guardarsi attorno. 
 
-Molto.
 
Risponde, sinceramente colpito dal locale. 
 
-Sapevo ti sarebbe piaciuto. Io in realtà preferisco qualcosa di più moderno… ma ho capito che tu hai un’anima più antica. Sei un romantico. 
 
Commenta, sorridendogli. Stefano non ha mai pensato a sé stesso come a un romantico. Non ha mai avuto una relazione sentimentale né ha mai desiderato di averne una.
 
Fino ad ora.
 
Pensa, fissando il sorriso di Paolo. 
 
-Guten Morgen.
 
Un cameriere si avvicina a loro e si rivolge a Paolo, in tedesco. Pur essendo Merano una città italiana, il bilinguismo è comune, gli capitato in alcuni casi che commessi o camerieri parlassero quasi esclusivamente in tedesco. 
 
-Morgen.
 
Risponde Paolo, proseguendo la conversazione in tedesco. Stefano riesce a malapena a capire cosa si stiano dicendo, riesce a captare le parole “Kaffee”, “Milch“ e “Zucker” anzi “ohne Zucker”, che da quanto ricorda, avendo letto etichette di cibi in varie lingue, deve significare “senza zucchero” e infine un danke schon”, quando il cameriere si allontana prendendo i listini. 
 
-Mi sono permesso di ordinare per te. Spero apprezzerai. 
 
Spiega Paolo, avendo notato l’espressione di sconcerto sul viso di Stefano. 
 
-Ho quasi creduto stessi flirtando con il cameriere. 
 
Esclama, lasciandosi sfuggire dalle labbra un pensiero. Ultimamente gli capita sempre più di frequente di lasciarsi andare nei confronti di Paolo. Dopotutto, dopo la notte appena trascorsa, teme che ogni freno inibitore possa essersi spezzato per sempre. Paolo risponde alla sua affermazione con un sorriso.
 
-In realtà stavo flirtando con te, facendo sfoggio del mio fluentissimo tedesco madrelingua. 
 
Ribatte, spavaldo.
 
-Dove l’hai imparato il tedesco?
 
Domanda, cercando di riportare la conversazione su tono più sobri. 
 
-Alla nascita, direi. I miei nonni materni sono di Vipiteno, Sterzig, in tedesco. Mio nonno era madrelingua italiano, mentre mia nonna era madrelingua tedesca, vivevano a Milano da anni anche se in estate tornavano in Trentino. Purtroppo sono morti quando avevo dieci e tredici anni.
 
Spiega. Non avendo conosciuto Paolo prima dei quattordici anni, non sapeva di questo dettaglio della sua vita, in realtà non sapeva nulla di lui. Mentre Paolo, avendo frequentato la loro casa per via di Elena ha avuto modo di scoprire molto di più. Questo spiega anche la somiglianza fisica tra Paolo e i calciatori altoatesini, che ha sempre ritenuto attraenti.
 
-Non è esattamente la lingua più romantica del mondo, il tedesco, mi spiace. Forse il francese sarebbe stato meglio ma l’hai studiato più tu di me. Puoi immaginarmi come un principe tedesco di una nobile casata decaduta, credo sia abbastanza romantico così.
 
Afferma, abbassando il tono di voce e avvicinandosi di più al tavolo. Stefano, senza motivo, arrossisce ma distoglie lo sguardo da Paolo, per non farglielo notare. 
 
-Non capisco perché tu insista su questa cosa del romanticismo.
 
Chiede, cercando di non mostrarsi troppo coinvolto. 
 
-Perché ti piace e perché il tuo viso cambia colore. Mi piace vederti diventare tutto rigido e composto, facendo di tutto per rimanere integro e composto.
 
Stefano non fa in tempo a ribattere (non ne sarebbe comunque stato in grado) perché il cameriere arriva con le loro ordinazioni. Caffè con latte freddo per Paolo, accompagnato da un dolce alla cannella, mentre caffè corto senza zucchero per Stefano con una fetta di torta foresta nera e panna extra. 
 
-Ho scelto bene?
 
Domanda, già sicuro della risposta. Stefano annuisce. 
 
-Ti faccio assaggiare un po’ del mio, se vuoi. Ma la cannella non credo che rientri nei tuoi gusti. 
 
Spiega, mostrando il piattino con il proprio dolce.
 
-No, non sono un grande amante della cannella. 
 
Conferma, prendendo la forchetta, impaziente di assaggiare il dolce.
 
-L’ho intuito da come hai mangiato lo strudel ieri sera in albergo. 
 
Spiega Paolo. Stefano rimane immobile con il manico della forchetta tra le dita. Non credeva che Paolo lo osservasse così tanto, era sicuro che quella fosse una sua prerogativa. Il dolce, ad ogni modo, è delizioso: consistenza morbida e gusto perfettamente bilanciato tra la ciliegia un po’ aspra e la crema chantilly, dolce e zuccherina. Prende piccoli pezzi e li intinge nella panna montata, chiudendo gli occhi mentre la porta la forchetta alle labbra. 
Dopo aver terminato la colazione, Paolo propone una passeggiata per vedere i caratteristici mercatini natalizi. La squadra si allenerà fino a mezzogiorno, quando si ritroverà al bar del palazzetto per il pranzo, come il giorno precedente. Li raggiungeranno lì, dopo essere passati in albergo a recuperare i borsoni da calcio. 
 
-Non dovevi pagare di nuovo tu, l’hai già fatto ieri sera con i cocktail.
 
Esclama Stefano, un po’ imbarazzato per non essere riuscito a precedere Paolo nel pagamento della colazione.  Paolo scuote il capo.
 
-Ti ho scopato senza nemmeno offrirti la cena, la colazione è il minimo. 
 
Stefano si paralizza davanti a questa sua affermazione, sente come se le fiamme avvolgessero il suo viso. Non è tanto per il linguaggio scurrile, al quale è abituato anche per merito di Alberto, tanto per il modo in cui ha pronunciato quelle parole, con disinvoltura e naturalezza.
Paolo scoppia a ridere, era chiaramente una provocazione.
 
-Ti prego, non prendere fuoco. Prometto che non lo faccio più, volevo solo vederti implodere un’altra volta. 
 
Esclama, divertito. Stefano cerca di calmarsi e ritornare in sé, questo nuovo lato di Paolo più libero, più imprevedibile, deve ancora imparare a gestirlo. Sempre a proposito di imprevedibilità, si avvicina di più a lui e lo bacia, spostandosi poi nell’angolo della bocca, leccando un baffetto di panna rimasto dalla colazione. 
 
-Così è anche più buona. 
 
Commenta poi, prendendolo a braccetto e iniziando a camminare. Stefano rimane totalmente in balia di Paolo, lascia che faccia qualsiasi cosa, che prenda qualsiasi tipo di iniziativa e accoglie tutto di buon grado. Nessun ragazzo l’aveva mai baciato in una piazza, in mezzo alla gente, alla luce del sole. L’unico bacio con uomo all’aperto e di giorno è stato un paio di anni prima al Pride ma in un ambiente totalmente diverso e nel quale non gli è sembrato strano. Nemmeno si ricorda chi fosse e non crede si sia trattato di un bacio particolarmente entusiasmante, a differenza di quello appena ricevuto. Paolo lo stringe più forte a sé sottobraccio, al punto che sente chiaramente la forma del suo corpo, al di sotto del giubbotto. Cerca di raccogliere tutte le forze ancora rimaste nel suo organismo per evitare di pensare a ciò che ha fatto alla sera prima con stesso corpo, per evitare di cadere in trance. Anche se il profumo Paolo sta iniziando di nuovo ad incantarlo. 
 
-Il tuo profumo… 
 
Afferma, senza essere in grado di finire la frase. Paolo rallenta il passo e lo guarda.
 
-Cosa?
 
Domanda. 
 
-Mi piace. 
 
Risponde Stefano, non riuscendo a dire altro. Paolo sorride.
 
-Bene. Perché mi costa un occhio della testa. 
 
Confessa. Stefano immaginava potesse essere qualcosa di costoso, di raffinato. Non si sarebbe aspettato di meno da Paolo. Inoltre, non l’ha mai sentito addosso a nessun altro, al di fuori di lui. 
 
-Hai sempre portato lo stesso?
 
Domanda, incuriosito. 
 
-No. Per anni ho portato Gentleman, di Givenchy. Simile ma più floreale e meno intenso. Un paio d’anni fa, quando sono andato a riacquistarlo, una commessa alla Rinascente mi ha proposto quello che indosso ora: Foudroyant, sempre di Givenchy. Diceva che era il profumo adatto a me, alla mia pelle e alla mia personalità.
 
Stefano non può che essere d’accordo con quella commessa. Foudroyant, ovvero “folgorante”, che è esattamente l’effetto che ha su Stefano, che ha avuto su di lui dal primo momento.
 
-Io, che sono molto suscettibile alle lusinghe l’ho comprato subito, finito e ricomprato. Anche se la mia ex moglie lo detestava e me ne ha regalati altri per sostituirlo, diceva che era troppo forte e troppo invasivo. 
 
Prosegue, accelerando di nuovo il passo. 
 
-Quindi tu hai preferito le lusinghe di una qualsiasi commessa della Rinascente al parere della tua ex moglie?
 
Chiede Stefano, stupito. Paolo rallenta di nuovo, si ferma e si pone davanti a Stefano, allentando la presa sul suo braccio. 
 
-Certo. La mia ex ha sposato un gay e non se n’è neanche accorta, cosa vuoi che ne capisse di uomini?
 
Stefano dapprima rimane paralizzato da questa sua affermazione poi lo guarda e scoppia a ridere.
 
-È terribile quello che hai appena detto.
 
Commenta, cercando di rimanere serio. Paolo si sporge verso di lui, portando le braccia attorno al suo collo e avvicinandosi per baciarlo. Stefano si lascia andare, godendosi questa nuova sensazione, questa nuova libertà. Ci sono molte persone attorno a loro e nessuno sembra essersi accorto di ciò che stanno facendo. Chiude gli occhi e si lascia andare nel bacio tenero e delicato di Paolo. 
 
 
Dopo aver passeggiato per i mercatini natalizi, senza staccarsi l’uno dall’altro, rientrano in albergo per recuperare le proprie cose e raggiungere il resto della squadra nel palazzetto dello sport. Stefano decide però che non giocherà quel giorno, dando la colpa all’alcool del giorno precedente. Rimarrà vestito, esattamente com’è, con sciarpa e maglione, sperando comunque di non destare sospetti. Dopotutto, dopo cena ripartiranno per ritornare a casa e l’allenamento successivo, l’ultimo prima della chiusura della prima metà di campionato, sarà martedì. Nel frattempo la situazione dovrebbe essersi risolta. Sempre che non ci sia un nuovo incontro con Paolo a peggiorare le cose e Stefano, sinceramente, ci spera. 
Il mister e la squadra sono dispiaciuti e si mostrano preoccupati nei sui confronti. Solo Diego continua a guardarlo con sospetto, avendo sicuramente intuito cosa sia successo tra i due la notte precedente. Cerca di non incrociare il suo sguardo e spera che non gli chieda nulla. 
Osserva le partite da fondo campo, facendo il tifo per la sua squadra e chiacchierando con il mister, di tanto in tanto.
Il torneo termina con la loro vittoria, per la prima volta da quando Stefano si è aggiunto alla squadra, riescono a portare a casa la coppa del torneo del ritiro invernale. Il mister e il proprietario del Bar Sport esultano felici, come se avessero vinto un campionato in Serie A. Tutti quanti esultano felici ed elogiano Paolo, senza il quale questo successo non sarebbe stato possibile. 
Stefano rimane a bordo campo ad osservarli, riflettendo su come Paolo, nonostante continui a negarlo, sia una persona fuori dal comune. La sua intera vita è stata travolta da quando lui vi è prepotentemente rientrato, passando da comparsa ad indiscusso coprotagonista. Nel giro di pochi mesi è riuscito a fargli provare emozioni a lui sconosciute e freme al pensiero di scoprire cosa succederà ora, dopo essersi finalmente esposti totalmente l’uno all’altro. 
 
Se proseguirà.
 
Una voce nella sua testa, che fatica a zittire, fa sì che continui a dubitare della buona riuscita delle cose tra di loro. Anche la notte scorsa temeva che Paolo se ne andasse di punto in bianco, che non fosse sufficientemente soddisfatto da ciò che riceveva da lui, rispetto a ciò che gli stava dando ed era sicuro che la mattina seguente si sarebbe svegliato in un letto vuoto e che Paolo avrebbe fatto finta di nulla, pretendendo che dimenticasse ciò che poteva essere solo una follia momentanea. Non riesce inoltre a smettere di pensare che tutto quanto è successo in un terreno neutrale, in vacanza. Teme che quando rimetterà a piede a Milano, ricominciando la sua vita di tutti i giorni, tutto quanto svanirà come un fuoco di paglia e quella meravigliosa notte trascorsa insieme sarà stata solo un ricordo, la conclusione di un percorso destinato ad esaurirsi in breve tempo.
 
-Complimenti campione!
 
Esclama il mister. Stefano si gira, perso com’era nei suoi pensieri non si era accorto che Paolo è proprio lì accanto a lui, a ricevere i complimenti del mister. Si gira poi verso di lui, aspettando di ricevere una gratificazione anche da parte sua. 
 
-Complimenti!
 
Esclama, cercando di essere sufficientemente convincente. Sa che Paolo è in grado di leggere le sue espressioni e, infatti, non è per nulla convinto. 
 
-Tutto bene?
 
Gli chiede, posandogli una mano sulla spalla. Non è la prima volta che lo fa ma Stefano, ora, ha ancora più paura di essere notato. Sposta indietro la spalla, facendo sì che smetta di toccarlo.
 
-Sì, sto solo iniziando ad accusare un po’ la stanchezza. Non vedo l’ora di ritornare a casa.
 
Risponde, mentendo. Il ritorno a casa, alla realtà, è qualcosa che lo terrorizza. 
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Io vi avevo avvisato: non eravate pronti per questi ultimi capitoli! Vi avviso ancora: non abituatevi troppo ;) Altra cosa: esiste una versione ESPLICITA delle due scene di sesso tra Stefano e Paolo. Non ho l'inclusa per tenere un rating medio e non sfociare nel mature. Se vi interessano scrivetemi in privato, ve le manderò il prima possibile. 

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Capitolo 22
*** Blocco ***


Arrivato a casa, Stefano si mette subito a letto senza neanche farsi la doccia. Si dà una rinfrescata veloce e si infila il pigiama, poiché è quasi mezzanotte e l’indomani dovrà andare al lavoro. Non si preoccupa neanche di disfare la valigia, che ha lasciato al piano inferiore, vicino alle scale. 
Si sistema nel letto, tirando bene le coperte fino alle spalle, controlla che il cellulare sia in carica sul comodino e spegne la luce, nella speranza di prendere sonno velocemente.
 
Non ci riesce.
 
Si rigira diverse volte nel letto, senza trovare pace. Non riesce a smettere di pensare a tutto ciò che è successo durante la trasferta, a ciò che è accaduto tra lui e Paolo nelle ultime ore: solo quella mattina erano insieme a passeggiare per il centro di Merano, a braccetto. Ora come ora stenta a credere che sia accaduto davvero, perché nel momento stesso in cui ha varcato la soglia di casa ha avuto la sensazione di essere travolto da una ventata di realtà, ne ha sentito quasi l’odore: quell’odore stagnante di mediocrità e mestizia. Sente che l’indomani, quando la sveglia suonerà e si alzerà per andare al lavoro, tutto quanto sarà passato, dimenticato. Paolo probabilmente riprenderà a scrivergli messaggi ambigui, a toccarlo fugacemente durante le partite, finché non ricapiterà un’altra occasione simile e avranno un altro “episodio”, parola con la quale intende definire ciò che c’è stato tra loro, intenso ma fine a sé stesso. È capitato dopo aver preparato la pizza insieme, è capitato dopo aver cenato a casa sua e ricapiterà di nuovo, se lo sente. 
 
O forse lo spera?
 
Forse è soltanto il suo meccanismo di difesa, che lo spinge a partire prevenuto a prescindere, evitando di investire tutto sé stesso per non rimanere deluso. Soprattutto perché, per i suoi standard, è andato fin troppo oltre. Tutta colpa di quella sua tendenza a tenere la sua vita invariata, a restare in stallo. Proprio questo motivo, dopo la partita alla quale non ha giocato, ha evitato contatti diretti con Paolo, ha evitato di rimanere solo con lui e, ancora una volta, si è seduto nell’ultimo posto sul pullman, temendo che se si fosse seduto accanto a lui i compagni avrebbero fatto due più due e avrebbero capito con certezza che cosa è successo tra loro. Anche al rientro a campo sportivo è scappato via come un ladro, salutando tutti velocemente, senza fermarsi neanche un istante a chiacchierare, per il timore di rimanere solo con lui. Paolo, dal canto suo, non ha fatto nulla, non l’ha cercato né ha insistito. 
 
Per questo, però, si sente un po’ ferito.
 
Anche mentre camminava spedito verso casa, cercando di far più veloce possibile, sperava di ricevere un messaggio o una chiamata da parte di Paolo, aveva anche creduto che l’avrebbe seguito in macchina fino a casa, per parlargli.
 
“Quanto sono stupido”
 
Pensa, girandosi un’altra volta nel letto. Si vergogna del fatto di aver anche solo pensato una cosa simile ed essersi girato ogni volta in cui una macchina sembrava volesse rallentare vicino a lui, sperando di ritrovarsi faccia a faccia con Paolo, di venire afferrato per un braccio da lui e baciato, improvvisamente, come era successo la notte precedente. Ricorda le labbra morbide di Paolo e il suo bacio all’esigenza romantico o sensuale e il sol pensiero gli è sufficiente perché il cuore inizi a battergli più rapidamente nel petto, facendogli mancare il respiro. Nessuno l’ha mai baciato in quel modo, con nessuno si è sentito così felice, così coinvolto. Ha baciato diversi ragazzi nel corso della sua vita e sebbene ricordi chiaramente alcuni visi, non saprebbe associare a nessuno di essi un bacio particolarmente degno di nota. Men che meno ciò che è avvenuto dopo il bacio e le attenzioni che ha dedicato al suo corpo. Si sfiora la mandibola e il collo, scendendo fino alla clavicola, dove Paolo ha lasciato chiari segni del proprio passaggio. Non credeva avrebbe scoperto a trentadue anni che i succhiotti sono qualcosa di reale, che non sono solo esperienze per ragazzini descritte nei libri o nei telefilm adolescenziali. 
Si gira un’altra volta, sospirando. È rivolto verso il comodino, allunga una mano verso di esso per controllare il cellulare: segna l’una passata e non c’è alcuna notifica, nessun messaggio. 
Si rigira al lato opposto stringendo forte gli occhi e, dopo circa un’ora, si addormenta. 
 
 
La mattina seguente si sveglia poco prima delle sette. Si alza e si fa una doccia, dal momento che non l’ha fatto la sera prima. Davanti allo specchio, mentre si asciuga i capelli, osserva i succhiotti e nota che stanno iniziando a sbiadire, assumendo un colore giallognolo e non più violaceo, come il giorno precedente. Non dovrebbero esserci problemi al lavoro, dal momento che quelli sotto il collo saranno nascosti dalla camicia mentre quello sulla mandibola è parzialmente celato dalla barba che, come sempre, cresce a ritmi spaventosi. Si veste e scende per consumare il solito caffè al volo con biscotti.
Arrivato in ufficio, nota che Alberto è già seduto alla scrivania. Apre bocca per salutarlo, poi si blocca. Coinvolto com’era dalle sue paranoie ed elucubrazioni mentali, non ha pensato a come affronterà Alberto, quella mattina. Normalmente avrebbe esordito raccontandogli ciò che è successo, dimostrandosi felice per essere finalmente riuscito nel suo intento, fornendogli tutti i dettagli richiesti, senza troppo imbarazzo. 
Perlomeno, così si sarebbe comportato solo un paio di mesi prima, quando Paolo era semplicemente un ragazzo estremamente attraente che voleva solo portarsi a letto e quando ancora Alberto non gli aveva fatto capire di essere interessato a lui. Alberto avrebbe sorriso, gli avrebbe dato una pacca sulla spalla complimentandosi con lui e prendendolo in giro per averci messo così tanto tempo, molto più di quanto ce ne avrebbe impiegato lui. Sarebbe finita così, tra una risata e qualche battuta spinta.
 
Le cose sono cambiate.
 
Constatando questo, Stefano avverte un tuffo al cuore. Lui con quella sua paura folle dei cambiamenti, non si è accorto qualcosa tra lui è Alberto è cambiato seriamente e irreparabilmente.
 
-Ciao Albe. Sei già arrivato?
 
Esclama, attirando la sua attenzione. Alberto si gira, il suo sguardo non lascia trapelare nulla circa le sue emozioni.
 
-Mancano solo cinque minuti, sono in orario.
 
Risponde, con tono neutro. Stefano appende il cappotto e si siede alla propria postazione, iniziando ad accendere il pc. Alberto non lo guarda e comincia a lavorare, in totale silenzio. Non è la prima volta che rimane tranquillo per diverso tempo senza aprir bocca, specialmente il lunedì mattina. Potrebbe essergli successo qualsiasi cosa durante il passato weekend, non è detto che sia lui la causa. Proprio mentre Stefano cerca di convincersi di ciò, vede Alberto osservarlo con la coda dell’occhio e immediatamente spostare lo sguardo altrove. 
 
“Sì, è colpa mia.”
 
Pensa tra sé e sé, sospirando. Cerca di tenersi occupato, sfogliando le e-mail con le consegne e i rapporti della giornata. Di tanto in tanto guarda Alberto, chiedendosi se non sia il caso di dire qualcosa ma non ha il coraggio di dire nulla. Si dedica completamente al lavoro e attende fino al momento della consueta pausa caffè. Osserva l’orario nell’angolo a destra del monitor, segna le 10.06 e ancora Alberto non ha detto nulla, non gli ha proposto di bere il caffè e sta continuando a lavorare, a rispondere ed effettuare telefonate, rimanendo fisso alla propria postazione, come se Stefano non esistesse, come se ci fosse un muro a separarli e Stefano riesce a percepirlo quel muro invisibile, è quasi tangibile.
 
-Caffè?
 
Domanda, facendosi coraggio. Il suono della sua stessa voce, dopo due ore di silenzio, gli risulta quasi stonato. Alberto si gira verso di lui, lo guarda solo per un istante. 
 
-Sì. 
 
Risponde, alzandosi dalla sedia. Percorrono insieme il corridoio che conduce all’angolo della caffetteria, senza dirsi nulla. Arrivati alla macchinetta Alberto seleziona, meccanicamente, il caffè di Stefano e glielo porge, dopodiché seleziona il suo mokaccino, rimanendo con lo sguardo fisso verso lo sportellino dove viene erogato il caffè. Stefano non sa come comportarsi, tiene in mano il caffè, senza berlo, cercando di capire se Alberto lo berrà subito o se invece si accomoderà al tavolino.
 
-Non ti siedi?
 
Gli domanda infine, prelevando il proprio bicchiere. Stefano annuisce e si siede, Alberto si posiziona sulla sedia opposta a lui e inizia a mescolare. 
 
-Dove siete andati questo weekend?
 
Domanda Stefano, con l’intento di rompere il ghiaccio. Alberto continua a mescolare il mokaccino, senza guardarlo. Fa spallucce. 
 
-Al Vogue, come sempre. 
 
Risponde Alberto, senza particolare entusiasmo. Stefano per un attimo ha temuto che Alberto chiedesse anche a lui qualcosa ma non lo fa, non sembra averne alcun interesse. 
 
-C’era qualche serata interessante?
 
Insiste Stefano, cercando di farlo parlare. 
 
-Il solito.
 
Replica lui, ermeticamente. Stefano decide quindi di smetterla di insistere, è chiaro che non abbia voglia di parlare. Beve il caffè, pronto ad alzarsi e ritornare al lavoro. 
 
-A te immagino sia andato tutto bene, dal momento che non ti sei fatto sentire. 
 
Esclama Alberto, a sorpresa, alzando lo sguardo e iniziando a fissarlo con una strana espressione, che Stefano fatica a decifrare. Potrebbe essere compiaciuto oppure infastidito, il suo tono di voce piuttosto neutro ne dà una difficile interpretazione. 
 
-Diciamo di sì. 
 
Risponde, rimanendo sul vago e cercando replicare quel suo stesso tono neutrale. Alberto inarca le sopracciglia.
 
-Sai… dopo tutte quelle menate che ti sei fatto su di lui, pensavo che quando finalmente saresti riuscito a fartelo, saresti stato un po’ più felice. 
 
Commenta, con tono sprezzante. È infastidito, è evidente. 
 
-Non è questa gran cosa, è solo sesso. Tu lo fai sempre. 
 
Ribatte Stefano cercando di tenere un tono pacato, nella speranza che Alberto rimanga tranquillo. 
 
-Già. Io, non tu.  
 
Replica, con una smorfia. 
 
-Spero per te che non sia stata una delusione. 
 
Aggiunge. Stefano annuisce. 
 
-È stato… normale. 
 
Risponde, sapendo di mentire. Non vorrebbe mai definire il rapporto che ha avuto con Paolo come qualcosa di “normale”. Facendo riferimento alle sue personali esperienze, si è trattato di qualcosa di eccezionale. Alberto, pur non sembrando in alcun modo convinto dalla sua risposta, si accontenta. Beve il mokaccino tutto d’un fiato e si alza. Stefano fa altrettanto, rimanendo qualche passo indietro. 
Arrivato alla scrivania, prima ancora di mettersi al lavoro, viene distratto dalla vibrazione del cellulare. Alberto non se n’è accorto, dal momento che il cellulare è ancora nella tasca dei pantaloni di Stefano, non l’aveva posato sul tavolo. Lo prende e legge sullo schermo il nome di Paolo. Il suo cuore si blocca per un istante, non si aspettava un suo messaggio in quel momento e ha quasi paura a leggerlo.
 
“Buongiorno! Oggi vieni a pranzo con me? Puoi solo dire di sì 😉. Ovviamente è invitato anche Alberto. Ci troviamo nella piazza verso le 12.30. A dopo!
 
Stefano guarda Alberto, in quel momento gli sta dando le spalle ed è chino sulla stampante, sta inserendo dei fogli nel vano carta. 
Quel messaggio da parte di Paolo l’ha spiazzato, non si aspettava un suo invito a pranzo, tant’è che si è portato il solito panino comprato strada facendo. Oltretutto, non è per nulla propenso a dirlo ad Alberto, in quel momento. L’opzione migliore sarebbe quella di declinare l’invito, dicendo di aver già provveduto al pranzo. Alberto non saprebbe nulla e probabilmente il suo umore ne beneficerebbe. Paolo non se ne farebbe una ragione, non può certo aspettarsi che lui sia a disposizione in qualsiasi momento, senza il minimo preavviso. Sospira. Alberto in quel momento sta tornando a sedersi e lo guarda per un secondo, prima di girarsi verso il pc.
 
-Albe… usciamo a pranzo?
 
Domanda. 
 
-No. Mi sono portato una zuppa da casa. 
 
Risponde, indicando un contenitore blu, vicino al tavolino della stampante. 
 
-Perché… Paolo ci ha invitati a pranzo, se ti va. 
 
Esclama, quasi con un fil di voce. Teme una risposta brusca da parte di Alberto. 
 
-Vai, non ti trattengo qui.
 
Risponde, senza guardarlo, iniziando a scrivere qualcosa sulla tastiera. Sebbene risulti calmo e impassibile, Stefano è sicuro che sia ancora infastidito. 
 
“Va bene. Verrò solo io, Alberto si è organizzato diversamente.”
 
 
All’orario concordato, Stefano spegne il pc e si prepara a scendere per raggiungere Paolo. Anche Alberto smette di lavorare e si alza dalla scrivania, rilassando braccia e collo. 
 
-Sicuro di non voler venire?
 
Domanda Stefano, prima di uscire.
 
-Per fare il terzo incomodo? No, grazie. 
 
Risponde Alberto, prendendo il contenitore del pranzo. 
 
-Non faresti il terzo incomodo, abbiamo già pranzato insieme. 
 
Insiste Stefano. Alberto scuote il capo, si avvicina a Stefano e gli posa una mano sulla spalla. 
 
-Il tuo biondo sarà già lì fuori, non farlo aspettare. 
 
Commenta, passandogli vicino e andando in direzione della caffetteria. Stefano lo osserva da lontano per un istante, prima di decidersi ad uscire.
Sull’ascensore e lungo il corridoio che porta all’ingresso, si chiede se sia stata una buona idea accettare l’invito di Paolo. In primis per la reazione di Alberto e poi perché lui stesso non sa come comportarsi, non sa come relazionarsi con Paolo, ora. 
Quando esce dall’ufficio si sorprende nel trovarlo già davanti a sé, in tutta la sua bellezza. Perfettamente in ordine e con i capelli pettinati all’indietro, indossa un lungo cappotto di lana grigio e dei guanti neri in pelle, che richiamano il colore della sciarpa e degli stivaletti, lucidi e leggermente appuntiti. 
 
-Buongiorno. 
 
Lo saluta, sorridendogli. Stefano non ha nemmeno il tempo di ribattere perché Paolo si avvicina di più a lui, lo cinge per i fianchi e lo bacia. Un bacio fugace ma non per questo poco piacevole o meno intenso. Stefano non si aspettava un saluto del genere, in un luogo pubblico e davanti al suo ufficio. Credeva che Paolo fosse stato così disinibito il giorno prima perché erano in luogo estraneo ad entrambi. La disinvoltura deve essere invece una sua caratteristica, che sfoggia in ogni modo: dagli abiti all’atteggiamento che ha verso gli altri. 
 
-Tutto bene?
 
Chiede, guardandolo negli occhi, senza lasciarlo andare. Si limita ad annuire. 
 
-Non mi aspettavo un invito a pranzo.
 
Risponde, faticando a distogliere lo sguardo dalle labbra di Paolo. Quel bacio appena ricevuto è stato inaspettato ma ne vorrebbe subito un altro, magari più lungo. 
 
-Ti ci abituerai. 
 
Risponde, sorridendo. Dopodiché lo lascia andare inizia a camminare. Stefano lo segue, è curioso di sapere dove abbia intenzione di portarlo. Camminano per pochi minuti, dopodiché Paolo si ferma. Il ristorante da lui scelto è poco distante dal centro, ha l’aria di essere un locale raffinato. Stefano crede di averlo visto di sfuggita, percorrendo la strada in direzione della metropolitana.
 
-Ti avviso: non si mangiano solo verdurine biologiche qui. 
 
Esclama Paolo, facendogli cenno di entrare. Stefano si guarda attorno, ispezionando con attenzione il ristorante. Lo stile è molto moderno ed essenziale, la sala da pranzo è ampia ma i tavoli sono ben distanziati e nell’aria sente un profumo delicato e agrumato, non il classico odore grasso e invadente dei ristoranti durante l’orario della pausa pranzo. Un cameriere li accoglie indicando loro un tavolo e prendendo i loro cappotti. 
 
-Sai vero che alle due devo rientrare?
 
Domanda Stefano, sedendosi al tavolo. Un locale del genere non è, a suo avviso, adatto ad un pranzo veloce prima di rientrare a lavoro. Paolo annuisce, sorridendo. 
 
-Certo. È uno dei ristoranti convenzionati con la Vince, sei mio ospite oggi. 
Spiega, sistemandosi la giacca. Una giacca grigio perla, che esalta il colore dei suoi occhi. Al di sotto di essa porta una camicia bianca con delle bretelle nere, stesso colore dei pantaloni. Stefano crede di non aver mai visto nessuno, nella vita reale e non nelle pubblicità, indossare delle bretelle. 
 
-Solo tu puoi andartene in giro con le bretelle al giorno d’oggi e farlo sembrare naturale. 
 
Commenta, prendendo il menù dal tavolo, cercando di non fissarlo troppo. Il sorriso sul viso di Paolo si allarga. 
 
-Mi stanno bene?
 
Domanda, tirando una bretella con l’indice e facendosela schioccare contro il petto. Stefano non può che alzare lo sguardo dal menù e osservarlo. 
 
-Non ti rispondo. 
 
Annuncia Stefano, cercando di concentrarsi sul pranzo. Il menù presenta una serie di proposte per il pranzo, tutte composte da un primo, un secondo con contorno, caffè e dolce. 
 
-Scegli pure quello che ti piace, è tutto molto buono. 
 
Suggerisce Paolo. Il suo menù è chiuso, probabilmente lo conosce abbastanza da non aver bisogno di guardare. Il cameriere che li ha accolti poco prima ritorna al tavolo per prendere le ordinazioni e versare del vino nei loro bicchieri. Stefano vorrebbe evitare di bere alcolici in pausa pranzo, soprattutto perché dovrà lavorare ancora nel pomeriggio e anche perché il suo autocontrollo, con Paolo davanti, potrebbe venire meno. Ne assaggia un sorso e nota che è molto delicato e leggero, anche Paolo lo beve. 
 
-Mi spiace che Alberto non sia potuto venire. 
 
Commenta Paolo. Stefano annuisce.
 
-Volevo ringraziarlo per i suoi ottimi consigli. 
 
Aggiunge Paolo, sorridendo maliziosamente. Stefano abbassa lo sguardo. 
 
-Siamo diretti oggi… 
 
Commenta Stefano, prendendo un grissino dal cestino del pane. 
 
-Certo. Credevi che ti dicessi: “quello che succede a Merano rimane a Merano” ?
 
“Sì”, vorrebbe rispondere Stefano. Si limita invece a fare un mezzo sorriso, continuando a sgranocchiare il grissino.
 
-Ieri dopo la partita mi hai evitato e quando siamo arrivati al campo sportivo ti sei precipitato giù dal pullman, scappando via. Se c’è qualcosa che non va, per favore, dimmelo. 
 
Lo invita, con tono più serio rispetto alle affermazioni di poco prima. Stefano non sa come rispondere, non vuole esporre le sue perplessità perché ha paura che Paolo non lo capisca, ha paura che lo ritenga un immaturo. Non vuole esporlo alle sue paranoie, alle sue paure. Nessuno l’aveva mai trattato così fino ad ora, motivo per cui non sa come comportarsi.  Non vuole darlo troppo a vedere perché teme che Paolo potrebbe perdere interesse nei suoi confronti se lo facesse, interrompendosi qualsiasi cosa si stia creando tra loro. 
 
“Tanto finirà comunque”. 
 
Di nuovo i suoi pensieri tentano di avere il sopravvento. Cerca di scacciarli via. 
 
-No, ero solo stanco. È stata una lunga giornata… 
 
Risponde, improvvisando un sorriso. Paolo non è convinto della sua risposta, lo percepisce dal modo in cui lo guarda, come se volesse studiarlo. 
 
-Mi sono esposto solo perché mi è parso che tu fossi d’accordo. Ho cercato di cogliere dei segnali… che ad un certo punto mi parevano quasi ovvi. Tuttavia, se mi sono sbagliato, ti chiedo scusa. Non era mia intenzione spingerti a fare qualcosa controvoglia. 
 
Suggerisce Paolo, con tono pacato. Stefano scuote il capo, non vuole che Paolo pensi che non sia attratto da lui o che non voglia ricevere attenzioni da parte sua. Quando in realtà desidera le sue attenzioni, desidera lui, così tanto da temere che sia troppo, che sia eccessivo. 
 
-No, certo che non ti sei sbagliato. Io non so essere così diretto come te. Però… tu devi solo guardarmi.
 
Risponde, facendosi coraggio e alludendo alla capacità di Paolo di interpretare perfettamente le sue emozioni, leggendo le espressioni del suo viso. 
 
-Ti guardo, infatti. Vedo che c’è qualcosa che ti blocca. 
 
Ribatte Paolo. Stefano abbassa lo sguardo, si morde il labbro inferiore in segno di nervosismo. Osserva la mano sinistra di Paolo, posata sul tavolo. Delicatamente e con cautela, posa la propria mano su di essa, per poi stringerla. 
 
-E allora sbloccami tu. 
 
Afferma, guardandolo dritto negli occhi e impiegando tutte le sue energie per non abbassare lo sguardo. Paolo gli sorride, quel suo sorriso che Stefano adora. 
 
 
Terminato il pranzo, Paolo riaccompagna Stefano davanti al suo ufficio. Il pasto è stato molto gradevole e per il resto del tempo hanno conversato piacevolmente, stuzzicandosi di tanto in tanto. 
 
 -Grazie per il pranzo, ancora. 
 
Commenta Stefano, imbarazzato dal fatto che Paolo abbia di nuovo pagato per lui. 
 
-Figurati. Preciso che non l’ho fatto con secondi fini. Anche se, ovviamente, tutto ciò che arriverà sarà ben accetto. 
 
Ribatte Paolo, con fare malizioso. Stefano lo guarda, con quel mezzo sorriso sulle labbra, l’angolo sinistro leggermente rivolto all’insù e il naso arricciato. Si fa coraggio, gli prende entrambe le mani e con il cuore in gola, quasi tremando, si sporge verso di lui e lo bacia. Si sente elettrizzato e al tempo stesso spaventato: ha paura che qualcuno lo osservi, che qualcuno del suo ufficio esca o rientri in quel momento ma al tempo stesso avverte una scossa di adrenalina per essere uscito dalla sua comfort zone
 
-Ci sentiamo più tardi?
 
Chiede poi, faticando a ritrovare la voce. Paolo annuisce sorridendogli.
 
-Certamente. 
 
***
 
La sera successiva si tiene il primo dei due allenamenti settimanali in preparazione all’ultima partita della prima parte del campionato. Paolo non ci sarà poiché si trova a Monza, a un meeting di lavoro.
 
-Ragazzi, veloci che abbiamo da fare!
 
Li richiama il mister, presentandosi negli spogliatoi. Da dopo la vittoria al torneo del ritiro sembra ancora più carico, anche nella chat della squadra scrive costantemente messaggi di incoraggiamento, cercando di spronare i ragazzi a dare il massimo per poter esser eletti campioni d’inverno. La partita finale si disputerà domenica pomeriggio e giocheranno in casa. 
Stefano si allaccia le scarpe e si prepara ad entrare in campo per iniziare il riscaldamento. È una serata particolarmente fredda e il mister chiede alcuni giri di campo per riscaldarsi e risvegliare i muscoli. Nel frattempo posiziona i birilli delineando il percorso dell’allenamento per potenziare i tempi di reazione, rapidità e velocità. La squadra che incontreranno quella settimana è composta principalmente da ragazzi tra i 20 e i 25 anni, motivo per cui essere rapidi e scattanti è essenziale. Dopodiché decide di dividere la squadra in gruppi da tre: i ragazzi vengono disposti in modo da formare un triangolo allungato, due ai vertici opposti e uno al centro. Quelli ai vertici opposti hanno entrambi un pallone, che devono passare a turno a chi occupa il posto centrale, cercando d colpire la palla in modo differente (interno, punta, tacco) di volta in volta. Nel gruppo di Stefano rientrano Giacomo e Martin, quest’ultimo è molto veloce ed energico e Stefano mostra non poche difficoltà a recuperare la palla rinviata da lui, quando viene messo al centro. Il mister si accorge delle sue difficoltà. 
 
-Stefano, ti manca il fiato?
 
Domanda, sorpreso. Stefano ne approfitta per fermarsi un attimo. Tiene fermo il pallone appena lanciato da Giacomo. 
 
-Sto diventando vecchio, mister! Mi sa che quest’anno è l’ultimo per me… 
 
Commenta, prendendo fiato. Già prima di Merano Stefano ha iniziato a valutare l’ipotesi del ritiro, come aveva esposto anche ai compagni. 
 
-Ma va là! Sei stato uno dei migliori al torneo. Se solo non avessi bevuto sabato sera, magari. 
 
Lo redarguisce il mister, avvicinandosi a lui. Stefano annuisce, effettivamente durante la partita di sabato il suo intervento è stato cruciale. 
 
-Vedi di non bere anche questo sabato. Evita discoteche e bar, ci servi alla partita. 
 
Suggerisce, dandogli una pacca sulla spalla. 
 
-Tu e Paolo insieme fate i numeri. Spero giocherete entrambi. 
 
Aggiunge. Stefano fa il possibile per non lasciarsi sfuggire una risata. L’affermazione del mister è risuonata vagamente ambigua nelle sue orecchie.
 
-Io ci sarò di sicuro. 
 
Conferma. 
 
-Bene. Allora adesso vai ad allenare Diego in porta, dai il cambio a Simone e dì a lui di venire al tuo posto. 
 
Stefano annuisce e fa ciò che gli è stato detto. 
 
-Ti ha messo a riposo?
 
Domanda Diego, continuando a riscaldarsi, spostandosi a destra e sinistra della porta. 
 
-L’ho detto che inizio ad essere vecchio. Martin è un cannone: riuscivo a malapena a girarmi a rilanciare la palla a Giacomo che già avevo la sua tra i piedi. 
 
Esclama, chinandosi a raccogliere la palla da lanciare a Diego. Gli capita di rado di allenare il portiere, essendo un centrocampista solitamente il mister lo fa allenare con il dribbling e gli stop, senza dargli tregua. 
 
-Forse semplicemente il calcetto non è più una tua priorità. 
 
Suggerisce Diego, fermando con i piedi la palla appena lanciata e rinviandola a Stefano. 
 
-Non credo sia quello. Non ho mai saltato un allenamento o una partita, semplicemente gli anni passano… 
 
Risponde lanciando la palla con più forza. Questa volta Diego la prende con le mani, la tiene ferma. 
 
-In realtà hai saltato la partita di domenica, quella del torneo. 
Lo corregge, rilanciandogli il pallone. Stefano lo prende di petto, lo passa al ginocchio ed effettua un paio di palleggi, prima di rilanciarglielo. 
 
-Non ero al massimo della forma, ho preferito non appesantire la squadra. 
 
Ribatte. 
 
-Se lo dici tu! Certo che è strano: tu che ti ubriachi prima di una partita e non giochi. Non è da te!
 
Commenta Diego, recuperando la palla con i piedi e lanciandola direttamente a Stefano che subito gliela rilancia, senza aggiungere nulla. 
 
-Sempre che il motivo fosse quello… 
 
Ipotizza Diego, insistendo. Stefano ha paura di capire dove voglia arrivare. 
 
-Certo. Altrimenti avrei giocato.
 
Insiste. Diego recupera il pallone con le mani ma non glielo lancia subito. 
 
-Paolo ci ha detto che eri così fuori di te, da non essere riuscito a lasciarti solo. Gentile da parte sua!
 
Esclama. Stefano sbuffa. 
 
-Mi rilanci la palla? 
 
Lo invita, poco interessato a quel discorso. 
 
-Comunque è certo che abbia fatto uscire un lato di te mai visto prima, molto più umano. Sono felice che sia entrato in squadra, anche per questo.
 
Conclude, rilanciandogli finalmente il pallone. 
 
***
Il giorno successivo, mercoledì, si tiene la consueta serata di giochi con gli amici, a casa di Alberto. Stefano fino all’ultimo momento era indeciso se andare o meno. Negli ultimi tre giorni i rapporti tra lui e Alberto si sono ridotti al minimo: saluti freddi, pausa caffè passata quasi in silenzio, contatti solo per questioni strettamente lavorative. Si è sorpreso infatti che gli avesse chiesto, poco prima di prendere la metro uscendo dall’ufficio, se ci sarebbe stato per la serata a casa sua. 
Non pare aver preso molto bene la nuova abitudine di Paolo di invitarlo a pranzo, anche quel giorno infatti si sono visti e hanno pranzato nello stesso ristorante, come è accaduto lunedì. 
 
Quando Stefano arriva a casa di Alberto, è Giulio ad aprire la porta. È arrivato per primo, al contrario del solito. 
 
-Ma buonasera!
 
Esclama, sorridendo. Stefano ricambia il saluto ed entra. Alberto è seduto sul divano e sta guardando qualcosa sul cellulare. Alza appena lo sguardo nel momento in cui Stefano entra in casa, per poi ritornare a ciò che stava facendo. Giulio gli fa cenno con il capo di seguirlo in cucina. 
 
-È così da quando sei andato a Merano.
 
Spiega Giulio, sottovoce. Fingendosi occupato, aprendo e chiudendo il cassetto delle posate e della tovaglia. 
 
-Mi dispiace… 
 
Commenta Stefano, guardandolo. Giulio prende i bicchieri dal mobile sopra il lavandino e li porge a Stefano. 
 
-Non hai nulla di cui dispiacerti. Gli passerà, è solo un bambino che tiene il broncio. 
 
Spiega Giulio, sorridendo. Stefano tuttavia non può a fare a meno di pensare che starsene a casa sarebbe stata la scelta più opportuna. Giulio al contrario sembra molto sereno e positivo. 
 
-E poi, visto che molto probabilmente Paolo continuerà a far parte della tua vita, ci si deve solo abituare. Deve capire che non può tenere tutti in scacco come vuole lui. 
 
Conclude, probabilmente riferendosi anche alla sua personale relazione con Alberto. Stefano sospira, non riesce a vivere quella situazione serenamente, soprattutto perché il suo rapporto con Alberto è sempre stato molto sincero e libero. Gli fa male vederlo in quello stato e soprattutto, egoisticamente, gli fa male non potergli raccontare di come stanno procedendo le cose tra lui e Paolo, di quanto ancora sia pieno di dubbi e insicurezze. È certo che se ricevesse un consiglio o un incoraggiamento da parte sua si sentirebbe più leggero e non sarebbe costantemente soffocato dall’ansia e dalla preoccupazione. 
 
Pochi istanti dopo anche Andrea e Luca arrivano e con loro la cena a base di sushi. Stefano nota subito che Andrea continua a rivolgergli sguardi e mezzi sorrisi, è sicuramente impaziente di sapere qualcosa sul weekend trascorso in compagnia di Paolo. Luca è più discreto, non chiede nulla ma ascolta attentamente ogni cosa detta da Stefano, nell’attesa che si lasci sfuggire qualche dettaglio. 
 
-Quindi che si fa stasera?
 
Domanda Stefano, riferendosi all’attività prevista per la serata. 
 
-Avevo pensato di giocare a Monopoly, è da tanto che non ci giochiamo. 
 
Suggerisce Giulio. 
 
-Monopoly? L’ultima volta abbiamo finito alle due e non ha vinto nessuno… 
 
Ribatte Luca, poco convinto. Stefano non si esprime, per lui un gioco vale l’altro, non ha particolari preferenze. 
-Qualcosa di vintage? Tipo Hero Quest? Saranno due anni che non ci giochiamo. 
 
Propone di nuovo Giulio. Luca fa una smorfia. 
 
-Quella roba vecchia da nerd? A quel gioco vince sempre Stefano. 
 
Aggiunge. Stefano sorride, effettivamente non ha mai perso a quel gioco, che è a tutti gli effetti un gioco di ruolo, simile ai videogiochi con i quali ancora si diverte di tanto in tanto. 
 
-A me va bene. 
 
Interviene questa volta. Sia Giulio sia Luca ignorano la sua risposta.
 
-Un semplice Scarabeo?
 
Suggerisce questa volta Luca. Giulio cerca di ribattere ma viene interrotto da Andrea. 
 
-Oh che palle! Perché perdiamo tempo con queste cazzate quando tutti ci stiamo chiedendo una cosa sola: Stefano, è successo qualcosa tra te e Paolo?
 
Esclama, quasi urlando e cogliendo tutti alla sprovvista, Alberto compreso. Fino a quel momento è rimasto in silenzio, non apportando alcun contributo alla conversazione.
 
-Veramente… 
 
Luca cerca di mitigare la situazione, cambiando discorso. Giulio rivolge ad Andrea uno sguardo severo, quasi volesse fulminarlo sul posto. 
 
-Sì Stefano, racconta.
 
Interviene Alberto. Lo guarda a braccia conserte, con aria di sfida. Stefano non sa come comportarsi, guarda Giulio in cerca di risposte, si limita a scuotere il capo lentamente in segno di dissenso, facendo il possibile per non farsi notare da Alberto. 
 
-Non c’è niente da raccontare. 
 
Risponde. Andrea insiste. 
 
-Ma come? Te lo sei fatto, no? Era davvero una melanzana, alla fine?
 
Chiede, con un sorriso enorme sul viso. Luca cerca di trattenere le risate. Giulio si passa una mano sul viso in segno di esasperazione. Stefano abbassa lo sguardo ed evita di rispondere, si versa un bicchiere d’acqua e beve, facendo finta di nulla. Alberto si alza dal tavolo, spingendo via la sedia. Apre con rabbia la maniglia della porta del balcone ed esce a fumare, da solo, senza invitare Stefano. 
 
-Andre… un po’ di buon senso ogni tanto, cazzo!
 
Lo rimprovera Giulio, facendo un respiro profondo. Andrea non sembra particolarmente preoccupato per la reazione di Alberto. Luca si gira verso il balcone, per vedere Alberto. 
 
-Però è vero che vogliamo sapere.
 
Confessa. 
 
-Visto?!
 
Esclama Andrea, soddisfatto di aver ottenuto l’appoggio di Luca. Giulio si alza e inizia a raccogliere i contenitori vuoti per liberare il tavolo. 
 
-Vi dico solo che è notevole, ben al di sopra della media.
 
Esordisce Stefano, sorridente. Andrea spalanca la bocca in segno di sorpresa. 
 
-Beh, si capiva... 
 
Ammette Giulio, lasciandosi sfuggire un sorriso. 
 
-Ma pensa te, Giulio! Zitto zitto e l’hai pure guardato… Ipocrita!
 
Esclama Andrea, prendendo un cuscino dal divano dietro alle sue spalle e lanciandoglielo addosso. 
 
***
L’allenamento del giovedì sera, l’ultimo prima della partita, viene vissuto con particolare serietà da parte di tutta la squadra. Nessuno si lamenta degli esercizi proposti dal mister, né viene perso tempo in chiacchiere.
 
-Mi raccomando, vi voglio così anche domenica pomeriggio. Non mi deludete! Ora.. docce!
 
Esclama, applaudendo. La squadra risponde al suo applauso, dopodiché tutti quanti entrano nello spogliatoio, tranne Stefano che come di consueto si ferma a sistemare. Ci impiegherà diverso tempo a raccogliere tutto quanto, poiché il mister non si è sprecato con i percorsi e gli esercizi, impiegando tutti i coni, i dischi e i paletti disponibili, senza contare i vari palloni e persino la rete, che normalmente viene utilizzata solo per le partite ufficiali e mai per gli allenamenti. 
Vede pian piano tutti i membri della squadra uscire dallo spogliatoio e anche il mister gli consegna le chiavi del ripostiglio e dello spogliatoio, dandogli appuntamento all’indomani. 
Quando ha raccolto e sistemato ogni cosa al proprio posto, può finalmente andare a lavarsi e scaldarsi un po’. 
Entrando nello spogliatoio vede Paolo, seduto su una panca, già vestito e pronto per uscire. 
 
-Pensavo fossi già andato.
 
Esclama. Paolo si alza andando verso di lui, lo stringe tenendolo per le spalle. 
 
-Ti ho aspettato per darti la buonanotte. 
 
Risponde, avvicinandosi di più e baciandolo. Inizia con un bacio delicato, leggero e con le labbra appena sfiorate e poi prosegue in modo più deciso, con la lingua, permettendogli di giocare con il suo piercing. Stefano sta iniziando ad abituarsi ai baci di Paolo, in realtà ne è diventato quasi dipendente. 
 
-Sei congelato. 
 
Esclama, massaggiandogli le spalle per scaldarlo. 
 
-Non fa molto caldo fuori, in effetti. 
 
Ammette Stefano, che in realtà ha smesso di sentire freddo nel momento stesso in cui Paolo si è avvicinato a lui. 
 
-Ti lascio andare a fare la doccia, così ti scaldi un po’. Volevo solo dirti che sabato sera sei invitato a cena, da me. Mi farebbe piacere che ti fermassi per la notte. 
 
Stefano non si aspettava un simile invito. Colto alla sprovvista non riesce a trovare una risposta subito.
 
-Ok. 
 
Si limita a dire. Paolo sorride e lo bacia di nuovo. 
 
-Devo scappare. Domani mattina presto devo partire per Bergamo, ho un convegno con cena finale e dovrò fermarmi lì a dormire.
 
Spiega, sospirando. 
 
-Buonanotte.
 
Lo saluta, con un altro bacio, più breve.
 
 
Rientrando a casa, Stefano pensa all’invito di Paolo. L’ultima volta in cui è stato a casa sua e ha cucinato per lui non è finita affatto bene e spera che il ricordo di quella sera, che fino al momento della telefonata di suo padre, era stata splendida, non lo tormenti, rovinandogli l’umore e facendolo sentire sempre più ansioso. Poco prima di arrivare a casa, sente il telefono vibrare nella tasca del giubbotto. Lo prende subito, credendo possa trattarsi di Paolo. Con sorpresa, nota che è un messaggio da parte di Elena, un messaggio vocale.
 
-Fratello, sono appena stata a cena dai vecchi con Ricky e Roby. Con orrore ho notato che la mamma non ha ancora fatto l’albero e non ha tirato fuori nulla di tutte le sue cose di Natale… e siamo già al 12 dicembre! Urge un intervento. Perciò sabato mattina, quando la mamma sarà in giro a fare le sue cose, andremo a casa a preparare tutto per lei. Io e te. Devi esserci e non accetto scuse, grazie!
 
Stefano sospira. Sa bene che quando Elena si mette in testa qualcosa è impossibile farle cambiare idea o tirarsi indietro. L’indomani andrà a ballare con i suoi amici e come sempre tornerà tardi, motivo per cui avrebbe preferito rimanere a letto un po’ a lungo sabato mattina. Le risponde con un semplice pollice all’insù, senza mostrare particolare entusiasmo.
Sabato sarà una giornata particolarmente impegnativa, considerando che la sera andrà da Paolo, dove trascorrerà anche la notte. 
 
Mentre si prepara per la notte, riflette sul fatto che sia passata già una settimana dal giorno della trasferta. La notte tra giovedì e venerdì l’aveva passata in bianco, continuando ad ipotizzare su cosa sarebbe potuto succedere e, ripensandoci ora, tutto quanto è accaduto superando di gran lunga le sue aspettative. Anche domenica sera, rientrando da Merano, non era riuscito a darsi pace pensando che una volta tornato a Milano tutto sarebbe tornato come prima e, al contrario, Paolo non si è tirato indietro nemmeno di un passo. Si vedono quasi tutti i giorni, pranzano insieme e lui continua a sorridergli, a farlo stare bene, a toccarlo come solo lui sa fare e a baciarlo.
I baci, i suoi baci. Anche solo ripensarci gli fa battere il cuore e desidera riceverne uno proprio ora, immediatamente. Non baciava così di frequente dai suoi primi anni all’università, quando aveva iniziato a frequentare serate Gay Friendly organizzate dai gruppi studenteschi. A dirla tutta non è mai stato un vero estimatore dei baci, li ha sempre visti come semplice preliminare, qualcosa che serviva per arrivare al dunque. Con Paolo, al contrario, sono delle esperienze sensoriali complete: osserva e desidera le sue labbra, sente il tocco tiepido delle sue mani su di sé, viene pervaso dal suo inconfondibile profumo, assaggia il suo sapore esplorando la sua bocca e tutto l’ambiente circostante si annulla: riesce a udire solo il suono delle loro lingue danzare, delle loro labbra che si scontrano e della sua lingua che gioca con il piercing di Paolo. 
Tutte quelle settimane, quei mesi, persi in paranoie e paure e ora finalmente che ha ottenuto ciò che voleva e anche di più, non riesce comunque a darsi pace. Non riesce a viversi e godersi Paolo serenamente come vorrebbe, come dovrebbe. In parte perché contestualmente all’evoluzione del suo rapporto con Paolo quello con Alberto è regredito, andando a sostituire anni di amicizia, di supporto e rispetto reciproco con silenzi, rancori e frasi dette a metà. Alberto è stato il suo primo vero amico dai tempi della scuola e dover rinunciare al loro rapporto è estremamente doloroso, è un cambiamento che non è pronto ad affrontare. 
 
Cambiamento.
 
Sempre la stessa parola che lo perseguita, che lo tormenta. Questa nuova fase nel suo rapporto con Paolo è a sua volta un grande cambiamento che sente essergli piovuto addosso così, dall’oggi al domani. Eppure, ripensandoci, non è stato poi così immediato: sono passati più di tre mesi da quel giorno in cui ha stretto la sua mano nello spogliatoio. Durante quel tempo si sono ritrovati, l’ha riscoperto, ha imparato ad apprezzare la sua presenza, i suoi modi di fare, ha avuto modo di conoscere diversi lati del suo carattere, lo stesso Paolo gli ha confessato dettagli anche importanti e dolorosi della sua vita che non sapeva, in modo che potesse capire che persona è, che tipo di uomo sia diventato. Ha capito che l’attrazione che prova verso di lui supera il suo aspetto fisico, ha capito di nutrire un sentimento sincero nei suoi confronti.
Tuttavia, capire qualcosa e accettarlo sono due faccende ben distinte. Sa tutto questo ma c’è ancora un blocco in lui, come lo stesso Paolo gli ha fatto notare, che non gli permette di accettarlo. Perché accettarlo significherebbe concretizzare la loro relazione in tutti gli aspetti della propria vita, significherebbe non nasconderlo ai compagni di squadra, parlarne alla propria famiglia, inserirlo concretamente nel proprio gruppo di amici, distruggendo anche quel poco che rimane del rapporto con Alberto. 

“Perché arrivare a tanto, quando sai che finirà presto?”
 
Ed ecco che di nuovo la voce nel suo cervello prende il sopravvento. Quella voce che cerca in ogni momento di prendere il controllo, che crea un sacco di ostacoli alla sua vita, lo blocca e lo paralizza. Quella stessa voce che lo porta a credere che Paolo si stancherà presto di lui, rendendosi conto che la persona meravigliosa, sincera e onesta che vede in lui sia soltanto in realtà una maschera in grado di celare un povero misero uomo tenuto in piedi dall’ansia, dalla paura e dalla mediocrità. Perché teme che Paolo capirà di non aver nulla da spartire con lui e deciderà di lasciarlo indietro, trasformando quel cambiamento in qualcosa di doloroso, una delusione che non è in grado di affrontare, che è sicuro di non poter superare.
Si getta sul letto, stanco, esasperato, sfinito da tutti quei suoi pensieri. Gli fa male la testa, sente una morsa all’altezza del petto che gli fa mancare il respiro. Chiude gli occhi e, sfinito, si addormenta. 
 
Il giorno seguente Alberto si mostra più sereno. Anche durante il pranzo riesce a chiacchierare in modo quasi normale, senza parlare a monosillabi e lasciandosi andare a qualche battuta. Stefano inizia a credere che Giulio possa avere ragione, che forse si debba solo abituare all’idea di lui e Paolo insieme e spera che presto le cose tra loro si sistemino. 
Quella sera hanno deciso di andare a ballare, decisione presa mercoledì durante la serata giochi, Giulio aveva iniziato a parlare di eventi e serate per il weekend, cercando di coinvolgere Alberto e di distogliere l’attenzione da Stefano. Hanno scelto di provare un nuovo locale, di recente inaugurazione. Dopo aver bevuto il solito drink pre-serata nel locale vicino alla casa di Alberto, hanno preso il tram per raggiungere il locale e si trovano in fila ad attendere di poter entrare, una fila lunghissima. 
 
-Mi sa che l’hanno pensata tutti come noi, stasera…
 
Commenta Luca, sporgendosi per cercare di capire quanto esattamente sia lunga la fila. 
 
-Se non si muovono, non riusciremo ad entrare prima di mezzanotte. 
 
Esclama Giulio, con sconforto. Stefano prende il cellulare per controllare l’orario e nota che Paolo ha inviato un paio di messaggi nell’ultima ora. Li apre subito. 
 
“Finalmente in hotel… non ne potevo più! Scusami se non mi sono fatto sentire oggi ma mi hanno chiesto di parlare della mia esperienza in Cina.”
 
 Il secondo messaggio è stato inviato circa una decina di minuti più tardi.
 
“Tu cosa fai di bello stasera?”
 
Stefano risponde subito.
 
“Sono uscito a ballare con i miei amici. C’è un nuovo locale, nella zona dove abiti tu. Siamo in fila…”
 
Paolo probabilmente non ha niente di meglio da fare in albergo, dal momento che risponde subito e iniziano a conversare, dando il via a un continuo botta e risposta.

“Ballare? Mi era parso di capire che non fosse qualcosa nelle tue corde.”
 
“No, infatti. Per me ballare vuol dire stare vicino al bancone del bar ad osservare gli altri, muovendo ogni tanto la testa e il busto se c’è una canzone che mi piace.”
 
“Io ti ho fatto muovere un po’ di più, dai!”
 
“Con te è stato diverso…”
 
“Meglio o peggio?”
 
“Meglio…”
 
😏 quindi posso portati a ballare latino, prossimamente?”
 
“Neanche per sogno.”
 
🥲
 
“Comunque… tu cosa farai stasera?”
 
“Dormirò… spero! Al momento sto osservando al di fuori dalla finestra? Si intravedono le montagne. Vuoi vedere il panorama?”
 
“Ok…”
 
Dopo un paio di minuti Paolo invia una foto, scattata direttamente dal letto per mostrare ciò che lui sta vedendo al di là della finestra della sua stanza. È buio e le montagne si intravedono appena, riesce solo a scorgere alcuni puntini illuminati. La foto in sé è piuttosto banale e del panorama non c’è quasi traccia. Si accorge poi, analizzando bene la fotografia, del riflesso di Paolo nei vetri della finestra, mentre scatta la foto, con un gomito puntato sul materasso. È sdraiato sulla pancia ed è completamente nudo. Riesce a vedere chiaramente dalle spalle in giù, fino alla curva della schiena. Era sicuramente quello il panorama al quale si riferiva. 
 
“Interessante… 🧐
 
Risponde, divertito. Vuole aggiungere qualcos’altro ma viene interrotto da Andrea.
 
-Vero, Ste?
 
Gli domanda. Stefano non ha la benché minima idea di cosa i suoi amici stessero dicendo, essendo rimasto concentrato sulla conversazione con Paolo. In quel preciso istante ha ancora in mente la sua foto.
 
-Scusami, non ti ho ascoltato Andre. Cosa mi hai chiesto?
 
Risponde. Andrea apre bocca per cercare di ripetere ciò che ha detto ma viene preceduto da Alberto.
-Ma certo. Eri impegnato a scrivere al tuo fidanzato! Figurati se ci dai retta… 
 
Commenta aspramente. 
 
-Non è il mio fidanzato. 
 
Risponde Stefano, utilizzando un tono duro. Alberto fa una smorfia. 
 
-Però ci stiamo riferendo alla stessa persona, giusto? Non ho detto neanche il suo nome eppure hai capito che stavo parlando di lui ed è proprio lui quello che ti sta scrivendo.
 
Aggiunge, avvicinandosi di più a lui, spostando con una spallata Luca. Giulio, al suo fianco, si avvicina con sguardo preoccupato.
 
-Sei sempre a scrivere a lui, a pensare a lui, uscite a pranzo ogni santo giorno. Osi dire che non è il tuo fidanzato? Fai un po’ di chiarezza nel cervello. 
 
Gli urla quasi addosso. Stefano non si lascia intimorire, non è la prima volta che si scontra con Alberto. Giulio cerca di trattenerlo stringendogli una spalla ma lui riesce a liberarsi dalla sua presa.
 
-Ti ho invitato ogni giorno a pranzare con noi, Paolo me lo chiede sempre. Sei tu che non vuoi venire. 
 
Specifica, ignorando accuratamente la questione del “fidanzato”.
 
-Oh il generoso e meraviglioso Paolo, che dalla bontà del suo cuore non vuole farmi sentire messo in disparte! Pensi che sia così, non è vero?
 
Chiede. Ora è così vicino a lui da poter sentire il suo respiro, il suo profumo e l’odore del sambuca bevuto poco prima al bar. 
 
-Lo fa perché sa che ci tengo, sa che ci tengo a te.
 
Risponde Stefano, a cuore aperto. Sperando che le sue parole facciano calmare Alberto, al contrario, il suo stato d’animo ne risulta ulteriormente alterato. Si lascia sfuggire una risatina isterica. 
 
-Tipico di te, far finta di non capire le cose. Lo hai capito anche tu, non fare l’ingenuo. Lui vuole che io venga con voi così può sbattermi in faccia che lui è riuscito dove invece io ho fallito. 
 
Risponde. Il suo viso è a pochi centimetri da quello di Stefano. La loro discussione cattura l’interesse delle persone circostanti. In molti si girano ad osservare, interessati a capire cosa succederà. 
 
-No, ti sbagli. 
 
Chiarisce Stefano. 
 
-Albe, datti una calmata, vi stanno guardando tutti.
 
Suggerisce Luca, visibilmente preoccupato. Alberto lo ignora completamente. Il suo viso è teso, il suo colorito è sempre più acceso.
 
-Mi sbaglio, dici? No, non credo. Perché il tuo bel biondo, mio caro Stefano, non ha alcuna intenzione di condividerti con nessuno. Ha deciso che sei di sua proprietà e sta cercando di marcare il suo territorio, in ogni modo. 
 
Urla, di nuovo. 
 
-Non capisco a cosa tu ti stia riferendo. 
 
Esclama Stefano, cercando di mantenere un tono pacato. 
 
-Ah no? E tutti quei segni che ti ha lasciato addosso quando ti ha scopato? Sulla faccia, sotto il mento e chissà in quali altri posti! La prossima volta, digli di marchiarti a fuoco con le sue iniziali, direttamente qui, in fronte, così tutti sapranno a chi appartieni!
 
Con l’indice spinge sulla fronte di Stefano, che colto alla sprovvista arretra, perdendo l’equilibrio. Andrea, vicino a lui, lo tiene fermo per un braccio, evitando che cada. 
 
-Alberto, davvero, stai esagerando. 
 
Ribadisce Luca, utilizzando un tono duro. 
 
-Ah, io starei esagerando? Non lui che continua a sbatterci in faccia il suo meraviglioso principe azzurro? Lui che stasera ci ha degnati della sua presenza solo perché sua maestà è in giro per i cazzi suoi e l’ha lasciato libero?
 
Risponde Alberto, girandosi verso Luca. Stefano vorrebbe intervenire ma viene preceduto da Giulio. 
 
-Sei ridicolo! Sei stato tu il primo a lanciarglielo tra le braccia, spingendolo a farsi avanti. Non hai nessun diritto di dargli colpe, l’errore l’hai fatto tu. Puoi solo prendertela con te stesso. 
 
Esclama. Alberto si blocca e lo guarda infastidito, ci mette un attimo prima di ribattere. 
 
-E tu non mi hai fermato, o sbaglio? Mi hai incoraggiato, anzi. Ma certo, così almeno potevi avermi tutto per te, non è così?
 
Ribatte, con rabbia. Giulio scuote il capo in segno di disapprovazione, senza aggiungere altro.
 
-Siete voi quelli ridicoli, tutti quanti. Sapete cosa vi dico? Mi avete rotto i coglioni, me ne vado.
 
Esclama, facendosi spazio tra la gente e allontanandosi a passo rapido da loro. 

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Capitolo 23
*** Impasse ***


Guidando lungo la tangenziale sabato mattina, per raggiungere Elena a casa dei loro genitori, Stefano non può fare a meno che pensare a ciò che è successo la sera precedente con Alberto. Credeva che le cose si fossero sistemate, si era illuso che il suo comportamento cordiale e amichevole al lavoro potesse significare un’accettazione da parte sua del rapporto tra lui e Paolo. Non si aspettava certamente una scenata simile in fila al locale e nemmeno i loro amici, giudicando le loro reazioni. Giulio in particolare era rimasto pietrificato. Anche dopo che Alberto se n’era andato via, Luca e Andrea avevano cercato di convincerlo a raggiungerlo, per tentare di parlargli a farlo tornare in sé e si era rifiutato, dicendo che nemmeno lui sarebbe riuscito a calmarlo in quello stato. 
Stefano sospira pensando che anche le cose al lavoro saranno difficili nei prossimi giorni, lo rincuora però il fatto che a breve l’ufficio chiuderà per la pausa natalizia e quindi potranno stare lontani un po’ di giorni, dando il tempo ad Alberto di calmarsi. Oltretutto Alberto e la sua famiglia partiranno come di consueto per Livigno, nella loro casa delle vacanze, certamente troverà una distrazione che gli permetterà di rilassarsi.
 
Il vero problema ce l’ha lui. 
 
Non ha ancora deciso come trascorrerà le vacanze di Natale e non ha avuto occasione di parlarne con Paolo né di persona né telefonicamente. Sa che Paolo non ha più nessuno in famiglia, essendo morta sua madre e non avendo alcun rapporto con il padre. Quindi probabilmente trascorrerebbe le feste in solitudine e un invito da parte sua potrebbe essere accolto positivamente. 
 
E se così non fosse?
 
Stefano teme che Paolo possa vedere un suo invito come un tentativo di accelerare le cose, teme che invitarlo a pranzo a Natale con la sua famiglia significhi voler spingere il loro rapporto troppo in là, troppo oltre. Crede che sia troppo presto, che Paolo potrebbe spaventarsi e allontanarlo, dopotutto non ha ancora ben chiara la natura del loro rapporto. Sebbene ora abbiano palesato la reciproca attrazione uno nei confronti dell’altro, nessuno dei due ha espresso chiaramente il desiderio di essere una coppia. Potrebbero essere semplicemente due amici che si frequentano e che ogni tanto finiscono a letto insieme.
 
“Amici con benefici”
 
Pensa Stefano, rabbrividendo al suono stesso di quella ridicola definizione. Non si è mai trovato in una situazione del genere. Tutte le sue frequentazioni sono state molto brevi e si sono risolte quasi spontaneamente nel giro di un paio di mesi, quando lui o l’altro avevano smesso di cercarsi o di mandarsi messaggi. Con Paolo invece la situazione è totalmente differente e non sa come comportarsi. Non avendo mai avuto una relazione sentimentale non ha nemmeno i parametri per capire se possa definirla tale o se davvero lui e Paolo siano semplicemente degli amici che provano attrazione fisica uno nei confronti dell’altro. 
Prova a pensare a degli esempi di persone che conosce che da amici siano diventati una coppia ma non trova nessuno, ad eccezione di Elena e Roberto ma crede che per loro sia stato differente. Da subito era chiaro che i due fossero attratti l’uno dall’altra ed Elena, con il suo carattere fermo e deciso, non c’aveva messo molto a confessare i propri sentimenti a Roberto. Dopo soli tre mesi di frequentazione aveva iniziato a portarlo a casa, a trascorre tutto il tempo con lui e trascinarlo a qualsiasi evento in famiglia: Natale, matrimoni, compleanni… senza porsi il benché minimo dubbio, senza temere che lui si spaventasse o scappasse via da lei. Al contrario, Roberto sembrava felice di questo desiderio di parte sua di includerlo nella sua vita e non si è mai tirato indietro né ha mai rifiutato un invito. Per questo ha sempre pensato che Elena e Roberto fossero realmente anime gemelle, perché non ha mai visto né l’uno né l’altra esitare per un secondo o dubitare del loro rapporto. Lui li ha sempre guardati con ammirazione e con un senso di genuina invidia, sperando un giorno di poter trovare anche lui un rapporto che potesse essere minimamente paragonabile al loro.
Tuttavia, fino ad ora, non ha mai avuto fortuna. Benché dentro di sé desiderasse avere una relazione sentimentale, ha sempre sentito che tutti i ragazzi e gli uomini che ha incontrato o che ha anche brevemente frequentato non fossero adatti, che non rientrassero in quel quadro di “relazione ideale” che si è costruito nella sua testa per anni, osservando prima i suoi genitori e poi Elena e Roberto. Ad un certo punto era arrivato a credere, spinto anche da Alberto e il suo modo di fare libertino, che la sua stessa natura di omosessuale andasse a cozzare con l’idea di una relazione sentimentale sincera e duratura, che per “quelli come lui” non ci fossero altre opzioni se non una serie infinita di incontri fugaci nei locali o una relazione aperta all’interno della quale ognuno possa prendersi qualsiasi tipo di libertà.  Eppure le ha sempre viste le coppie gay in giro, ha prestato attenzione e ha notato che alcuni ragazzi che si sono conosciuti per caso una sera al bar sotto casa di Alberto, hanno continuano a frequentarsi e li ha visti per anni seduti uno accanto all’altro, mano nella mano. È andato ben oltre, cercando quelli che credeva fossero delle coppie su Instagram e Facebook monitorandoli per un po’ di tempo, per capire se e come stesse procedendo la loro vita di coppia. Certo, alcuni di loro si erano realmente lasciati dopo pochi mesi, mentre altri avevano continuato a frequentarsi per anni, continuando a dar traccia del loro rapporto sui social network, documentando ogni piccolo passo fatto insieme come coppia. 
La parte più cinica di lui l’ha più volte spinto a credere che anche quelle coppie “ce l’hanno fatta” siano in realtà delle facciate ma ha sempre cercato di allontanare quei pensieri negativi e di tenere quegli esempi come punto di forza, per poter continuare a credere nell’esistenza dell’amore, nella speranza che prima o poi qualcuno per lui sarebbe arrivato davvero. Ora come ora spera che quel qualcuno possa essere Paolo, lo desidera con tutto sé stesso ma fa il possibile per non pensarci troppo, per non lasciarsi trasportare dalla fantasia per poi trovarsi, come sempre, illuso e ferito.
 
Senza rendersene conto, si trova davanti a casa dei suoi genitori, nel vialetto. Vede la macchina di Elena: una Cinquecento giallo limone acquistata dopo l’incidente, già parcheggiata. Si chiede a che ora sia arrivata e cosa abbia già fatto da sola, sapendo che non sarà di certo rimasta con le mani in mano ad aspettarlo. 
Prima di scendere si dà una sistemata osservando il proprio riflesso nello specchietto retrovisore, non vuole che Elena vedendolo così pensieroso inizi a fargli domande. Conosce sua sorella, sa che non gli darà tregua finché non avrà ricevuto le esatte risposte che intende ottenere. 
Quando è sicuro che il suo viso non lasci trapelare alcun tipo di emozione, scende dall’auto e si avvicina al cancello. Non ha le chiavi di casa, ragion per cui dovrà citofonare. Prima che possa farlo, la sua presenza viene annunciata da Biagio, che inizia ad abbaiare e lo raggiunge al cancello. 
 
-Ehi! Mi hai già sentito?
 
Lo saluta, infilando una mano oltre il cancello. Biagio si tranquillizza, spinge il muso tra le sbarre per farsi accarezzare e inizia a leccare le dita di Stefano. 
 
-Ste? Sei tu?
 
Lo chiama suo padre, da dentro il giardino. 
 
-Sì, papà. 
 
Risponde. In pochi istanti suo padre si avvicina al cancello e lo apre manualmente. Indossa la sua solita tuta da casa e una giacca a vento, in mano tiene un fascio di lucine natalizie da esterno arrotolate e intrecciate l’una con l’altra. Stefano ne deduce che anche lui sia stato messo al lavoro da Elena.
 
-Ha coinvolto anche te?
 
Domanda, entrando in giardino e chiudendosi il cancello alle spalle, cercando di tenere calmo Biagio che continua a saltargli addosso per attirare la sua attenzione. 
 
-Avevi dei dubbi? Mi ha spedito in cantina a prendere tutte le luci fuori. Sto cercando di srotolarle da mezz’ora. Ancora cinque minuti e le lancio in strada. 
 
Esclama esasperato, continuando a passarsi i fili tra le dita. Stefano sorride, divertito dall’immagine di suo padre alle prese con le luci natalizie, qualcosa che ormai è diventato una tradizione nella sua famiglia. Dà un’ultima carezza a Biagio e poi entra in casa, come sospettava Elena ha già tolto l’albero di Natale dalla scatola e sta iniziando ad aprire e distendere i rami. La trova seduta per terra, con lo sguardo concentrato e il capo chino. Vedendola in quel modo la sua mente ritorna agli anni in cui erano bambini, quando loro madre li obbligava a svolgere quel noiosissimo lavoro per evitare di farlo lei stessa. Ad Elena non ha mai pesato, l’ha sempre fatto ben volentieri. Stefano semplicemente si ritrovava coinvolto, non ha mai saputo dire di no a sua sorella. 
 
-Le vecchie abitudini sono dure a morire… 
 
Esclama, facendola sobbalzare. 
 
-Oh, finalmente! 
 
Lo rimprovera. Stefano le porge la mano per aiutarla ad alzarsi. Nell’ultimo mese la sua pancia è cresciuta. Sebbene abbia già visto Elena incinta, quella versione di lei continua a sorprenderlo. 
 
-Vedo che il bimbo ha iniziato a farsi spazio… 
 
Esclama, sorridendo. Elena si guarda la pancia e annuisce. 
 
-Sì… sto diventando enorme, come con Riky. Per questo temo che sia un altro maschio. 
 
Commenta, con un briciolo di tristezza. 
 
-Ancora nulla dall’ecografia?
 
Domanda Stefano. Elena scuote il capo. 
 
-No. Si sta facendo desiderare! A meno che non faccia esami specifici, finché non si girerà non lo sapremo. 
 
Spiega Elena, sospirando. 
 
-Allora deve essere sicuramente una femmina. Solo una figlia tua potrebbe essere così dispettosa. 
 
Elena lo guarda sorpresa dalla sua battuta e gli tira un pugno sul braccio. 
 
-Attento a quello che dici, fratello! Anche se hai trent’anni e mi superi di venti centimetri, ho ancora le mani per menarti come da bambino! Anzi, le mie doti da mamma mi hanno potenziata. 
 
Commenta con convinzione. Stefano non riesce a trattenere una risata e anche Elena scoppia a ridere. Dopodiché lui inizia a raccogliere i rami e continua il lavoro svolto dalla sorella. Ci impiegano circa una ventina di minuti, dopodiché l’albero è finalmente pronto per essere decorato. 
 
-È ancora bello nonostante abbia venticinque anni!
 
Esclama Elena, ammirando l’albero di Natale. Stefano lo osserva: un bell’abete sintetico con le estremità innevate e i rami molto fitti, alto più di due metri, comprato in sostituzione di un vecchio albero di Natale bianco da un metro e mezzo, quando Elena e Stefano erano ancora bambini. 
 
-Quanti ricordi legati a questo albero!
 
Commenta Stefano, ripensando al fatto che sia la prima volta, da quando Elena è uscita di casa per convivere con Roberto, che si ritrovino insieme ad addobbarlo. Negli ultimi anni era sempre stata loro madre ad occuparsene. 
 
-Chissà perché la mamma non l’aveva ancora tirato fuori quest’anno… 
 
Si chiede Stefano, iniziando ad aprire lo scatolone delle luci, dando nel contempo uno sguardo in giardino e notando che suo padre è ancora alle prese con la prima fila di luci esterne. 
 
-Credo che sia un po’ giù di morale. Dopo il mio incidente, papà che è andato in pensione e le sta sempre tra i piedi e tu che sei praticamente diventato uccel di bosco… 
 
Ipotizza lei, togliendo una matassa di luci dalla scatola. 
 
-Non è vero che sono diventato uccel di bosco. Vengo spesso a mangiare con voi la domenica!
 
Ribatte Stefano. 
 
-Dall’ultima volta sono passate tre settimane. All’Immacolata non c’eri e purtroppo nemmeno noi, perché Riky era malato. Poi non ti sei fatto sentire neanche per messaggio… 
 
Lo rimprovera Elena, che nel frattempo ha già snodato una fila di luci. Stefano non ribatte perché realizza sono il quel momento che nel weekend precedente, tutta la sua attenzione si è concentrata su Paolo. Anche Alberto gli ha fatto notare di non essersi fatto sentire. Cerca di non pensarci e si concentra sulle luci. Dopo averle srotolate tutte, sale in piedi su di una sedia e le posiziona, secondo le istruzioni di Elena, sui rami. Quando sua sorella si ritiene soddisfatta, possono finalmente passare alle palline e ai decori. 
 
-Ma dimmi un po’… nel weekend appena trascorso, l’hai pucciato il biscotto?
 
Esclama Elena inaspettatamente. Stefano colto dalla sprovvista si lascia sfuggire una pallina natalizia dalle mani che va a finire sotto al divano, fortunatamente senza rompersi. 
 
-Ma Ele! Che domande fai?
 
La rimprovera imbarazzato, chinandosi a raccogliere la pallina. Elena ride, divertita per la sua reazione.
 
-Ti ricordi che te lo chiedevo sempre quando eravamo ragazzini? Finché un giorno mi hai risposto: “Se qualcuno l’ha pucciato con me, vale lo stesso?”
 
Esclama. Stefano ricorda bene quel momento, aveva diciannove anni ed era stato il suo spontaneo coming out con la sorella. Le aveva fatto intuire qualcosa nei mesi precedenti, specialmente a seguito di ciò che era successo a scuola ma non era stato mai esplicito, fino a quel momento. 
 
-Dai, tanto la mamma tornerà tra almeno un’ora e papà è ancora lì fuori con le luci! Siamo solo noi, come ai vecchi tempi: dammi un po’ di dettagli! 
 
Insiste Elena, sedendosi sul bracciolo del divano e continuando a fissare Stefano nell’attesa che dica qualcosa. 
 
-Non capisco perché tu debba essere così morbosa… 
 
Commenta lui, continuando ad appendere le palline sull’albero. 
 
-Non sono morbosa! Sei tu che mi hai abituata così! Gli altri anni mi mandavi sempre le foto dei tizi austriaci delle altre squadre. Quest’anno nulla! 
 
Si giustifica lei, sempre più convinta. 
 
-Ma non ho mai combinato nulla con quei tizi. Ci ho a malapena parlato! Te li mandavo solo perché sono belli… 
 
Spiega Stefano, sperando che di poter aggirare l’argomento. Elena sbuffa.
 
-Noioso! Però aspetta… c’era anche Paolo in ritiro?
 
Domanda, alzandosi e andando più vicino al fratello. 
 
-Sì, c’era.
 
Risponde lui, mordendosi la lingua e pentendosi immediatamente della propria risposta. Un’espressione maliziosa si fa immediatamente spazio sul viso di Elena. 
 
-Quindi… l’hai pucciato o no ‘sto biscotto? O l’ha fatto lui?
 
Insiste scuotendolo. Stefano sbuffa. 
 
-Se ti dico di sì, la pianti?
 
Le chiede, abbassando lo sguardo. Elena spalanca la bocca con sorpresa.
 
-Oddio! E com’è stato? È davvero come si diceva? 
 
Chiede, con un tono di voce estremamente alto e con visibile entusiasmo. Stefano le rivolge uno sguardo quasi imbarazzato. 
 
-Dai! Soddisfa la curiosità di una povera donna incinta!
 
Esclama lei. 
 
-È stato… intenso. Mentre per quell’altra cosa, “grande” di nome e di fatto. E ti parlo di circonferenza, anche… 
 
Elena sembra pienamente soddisfatta, i suoi occhi sono spalancati e non riesce a dire nulla, si limita a sorridere compiaciuta. Stefano riprende a sistemare le palline sui rami dell’albero, sperando che la conversazione sia terminata. 
 
-Quindi state insieme, ora?
 
Domanda lei, con tono diverso e più serio. Stefano scuote il capo. 
 
-Ma come? Solo una follia di una notte? Tutto lì?
 
Insiste Elena.  Stefano fa spallucce. 
 
-Credo sia una frequentazione, non lo so. Lui non ha detto chiaramente che siamo una coppia… 
 
Spiega, piegando un ramo per sistemare meglio una decorazione. Elena aggrotta la fronte, non è sicura che Stefano si parlando seriamente. Quando capisce che è serio, gli rivolge uno sguardo pietoso, senza perdere l’opportunità di prenderlo in giro.
 
-Ste, hai trentadue anni! Ti aspetti che ti mandi un bigliettino di carta come alle medie, chiedendoti se vuoi essere il suo fidanzato?
 
Chiede, in tono canzonatorio, dando una spallata al fratello. Stefano non può fare a meno di sorridere. In quel momento sente la tasca dei pantaloni vibrare. Si sposta per poterlo guardare. Si tratta di un messaggio di parte di Paolo. 
 
“Buongiorno… sono finalmente a casa. Vieni quando vuoi.”
 
Stefano riflette solo ora sul fatto che deve ancora prepararsi per andare a casa di Paolo. 
 
“Sono dai miei. Verrò dopo le diciotto… devo portare qualcosa?”
 
Scrive velocemente, sperando che Elena non faccia domande. Paolo risponde subito.
 
“La borsa del calcetto per domani. Non ti servirà altro, neanche il pigiama 😏
 
Stefano si ritrova a sorridere spontaneamente davanti allo schermo ed Elena lo nota subito. Si precipita accanto a lui e cerca di leggere i messaggi. Stefano spegne subito lo schermo, sperando di essere più veloce di lei. Speranza vana, naturalmente. 
 
-Ti aspetta una bella serata, eh?
 
Commenta, con fare malizioso. Stefano decide di non risponderle e riprende a sistemare l’albero di Natale. Dopo circa mezz’ora l’albero è completo e i due fratelli si siedono sul divano ad ammirare il lavoro appena svolto. 
 
-Siamo stati bravi, non credi?
 
Domanda Elena soddisfatta. Stefano annuisce, hanno fatto il possibile per decorare l’albero esattamente come fa di solito loro madre, sperando che sia di suo gradimento. Nel frattempo anche loro padre ha terminato di posizionare le luci all’esterno e sta sistemando i collegamenti elettrici e i temporizzatori. 
 
-Anche quest’anno il Natale è salvo!
 
Commenta Stefano, osservando fuori dalla finestra. 
 
-Sì, speriamo che la mamma riacquisti un po’ di spirito natalizio e che tutto sia bello come lo è sempre stato. Certo, se portassi Paolo a pranzo, sarebbe perfetto… 
 
Stefano rivolge uno sguardo sorpreso alla sorella. 
 
-Che c’è di male? Lo conoscono già! Sarebbe un’ottima sorpresa. 
 
Stefano non è d’accordo. 
 
-Non lo so, Ele. È troppo presto…
 
Conclude, dubbioso, giocherellando con la cordicella dei pantaloni della tuta che indossa in quel momento. 
 
-Almeno chiediglielo. Se ti dirà di no, pazienza!
 
Insiste Elena. Stefano non risponde. 
 
-Promettimi che glielo chiederai.
 
Stefano non si sente di farle quella promessa, è terrorizzato al sol pensiero di nominare il Natale con Paolo. Non ha idea di cosa pensi lui a riguardo e di certo non se la sente di uscirsene con un discorso simile proprio quella sera, quando dormirà da lui per la prima volta. 
 
-Tenterò.
 
Risponde, con un mezzo sorriso, nel tentativo di rassicurare sua sorella.
 
 
 
Dopo essere rientrato a casa, si fa una doccia veloce e si cambia per poter andare da Paolo. Sono già le diciassette e trenta, la giornata è volata. Stefano è felice che sua madre abbia accolto positivamente la sorpresa fattale e lo è ancor di più per aver potuto trascorrere una piacevole giornata insieme, prima con un pranzo e poi con un pomeriggio in famiglia, infatti anche Roberto e Riccardo sono arrivati a mezzogiorno, come era già stato deciso da Elena. Da diverse settimane non riusciva a godersi del tempo di qualità in compagnia della sua famiglia al completo e ne aveva sentito la mancanza e la necessità. 
Si ritrova poi a pensare alla proposta di Elena e si chiede se sia possibile inserire in quel rassicurante quadretto familiare anche Paolo. Sebbene è vero che i suoi genitori già conoscano Paolo, sarebbe sicuramente una sorpresa portarlo come suo accompagnatore, ancor di più perché non ha mai portato nessuno in famiglia dei ragazzi che ha frequentato. Riuscire a portare Paolo in famiglia, superando anche quell’ostacolo, è il passaggio che ancora gli manca e per il quale non si sente sufficientemente pronto. Farlo significherebbe dare una definizione al loro rapporto e ha paura che sia troppo presto, che Paolo possa decidere di fare un passo indietro, questa volta. Dopotutto ci hanno impiegato mesi prima di decidere di voler esser onesti l’uno nei confronti dell’altro e crede che ci vorrà ancora del tempo prima di capire come si evolverà la loro relazione.
 
“Se si evolverà”
 
Suggerisce di nuovo una voce nella sua testa. Stefano si sfrega il viso con le mani, sperando di allontanare i pensieri e di potersi fare coraggio per trascorrere serenamente la serata con Paolo. Ha scelto di indossare una camicia lilla e dei jeans con vita regolare non troppo attillati, un abbigliamento semplice, comodo e simile a quello indossato l’ultima volta che è stato a casa sua. È passato diverso tempo dal quel giorno e il loro stesso rapporto è mutato, anche se è certo che il punto di svolta sia avvenuto proprio in quel momento. È stato proprio lì che è maturata in lui la consapevolezza di provare qualcosa di più intenso di una semplice infatuazione. 
 
Controlla che tutto l’indispensabile del calcetto sia contenuto nel borsone dopodiché si veste ed esce, sperando di ricordarsi l’esatto tragitto per arrivare a casa di Paolo. Una volta dopo essere arrivato davanti al suo palazzo e aver ricevuto l’accesso da parte del portiere, sale al piano corretto e trova Paolo già pronto ad attenderlo sulla soglia di casa sua, con la porta aperta. 
 
-Buonasera, dottore.
 
Lo saluta, facendogli cenno di entrare. Stefano entra in casa, posando il borsone sul pavimento. Dà finalmente uno sguardo a Paolo e nota, con sorpresa, che sta indossando la t-shirt del gallo con il cappello da cuoco, la stessa che ha indossato a casa sua ormai tre mesi prima. Quella maglietta consumata, dal tessuto leggero, che cade perfettamente su ogni muscolo e curva del petto di Paolo, lasciando intravedere in rilievo il piercing del capezzolo. 
 
-Questa volta ti ho accontentato, ho fatto bene?
 
Domanda, avvicinandosi a lui, con aria compiaciuta. Si è sicuramente accorto del fatto che Stefano sia rimasto incantato a guardarlo, fermo davanti alla porta d’ingresso come uno stoccafisso, con ancora il giubbotto addosso. Gli prende il viso tra le mani e lo bacia, un bacio piuttosto lungo, non come quelli con i quali lo saluta davanti all’ufficio in pausa pranzo. Il cuore di Stefano inizia ad accelerare i battiti. 
 
-Ho ancora in mente l’immagine di te nella mia cucina, con quella maglietta.
 
Confessa Stefano, slacciandosi il giubbotto e porgendolo a Paolo che immediatamente lo ripone nel guardaroba a specchio, insieme al borsone da calcio. 
 
-Non credevo di esserti rimasto così impresso, in quel momento. 
 
Commenta Paolo, sorpreso. Stefano annuisce. 
 
-Eri anche un po’ più abbronzato… e poi ti sei tolto la maglietta e… 
 
Non riesce più a proseguire il discorso. Paolo gli è di nuovo vicino, una mano sul suo fianco destro, l’altra sul suo viso che accarezza delicatamente. 
 
-E…?
 
Domanda, a bassa voce, quasi sussurrando. Stefano inizia a sentire caldo, sente il suo corpo sciogliersi proprio nel punto in cui Paolo ha posato la mano. Deglutisce con forza, cercando di trovare la voce. 
 
-E mi sono partiti certi pensieri… 
 
Confessa, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. Paolo sorride, incurvando l’angolo sinistro della bocca verso l’alto. Riduce ancor di più le distanze, sente il suo respiro addosso, il suo fiato caldo sul collo e vicino all’orecchio. Un brivido corre dalla nuca fin lungo la spina dorsale. 
 
-Del tipo…?
 
Gli domanda, posandogli un bacio sulla guancia, poi uno sulla mandibola e giù verso il collo, nel punto scoperto appena sopra ai bottoni della camicia. Stefano si regge ai fianchi di Paolo, sente che le gambe iniziano a cedergli. Non si aspettava che Paolo lo accogliesse subito così, non che gli dispiaccia ovviamente. 
 
-Vediamo se riusciamo a ricreare l’atmosfera di quella sera.
 
Suggerisce Paolo, staccandosi da lui e prendendolo per mano. Lo conduce fino alla cucina, dove nota che ha già apparecchiato e preparato tutto quanto. Sull’isola sulla quale ha preparato il pesto quella sera, sono già pronte diverse ciotole con differenti ingredienti e sul bordo di essa nota avvitata una macchina manuale con manovella che serve per tirare la pasta. 
 
-Ho pensato di preparare delle tagliatelle, fatte a mano. Ovviamente le faremo insieme.
 
Spiega, indicando il piano di lavoro. Stefano osserva tutto con interesse e vede che sul tavolo sono pronti anche due calici e una bottiglia di vino. 
 
-Tu cerchi sempre di ubriacarmi… 
 
Lo accusa, prendendo tra le mani uno dei due calici. Paolo gli sorride, quel suo meraviglioso sorriso che gli fa perdere la testa ogni volta. 
 
-È solo un aiutino. 
 
Ribatte, togliendo la carta dal collo della bottiglia e stappandola subito dopo. Si tratta dello stesso vino bianco bevuto le ultime due volte insieme. Versa il vino nel proprio calice e poi in quello di Stefano. 
 
-Al ritorno del gallo!
 
Esclama Stefano, portando in alto il calice e proponendo un brindisi. Il suo commento diverte Paolo al punto da suscitare in lui una genuina risata. Porta poi il bicchiere alle labbra e ne beve un sorso, dopodiché posa il calice e suggerisce a Stefano di fare altrettanto. 
 
-Iniziamo!
 
Stefano annuisce. 
 
-Devo venire lì al bancone?
 
Domanda. Paolo si sposta e gli indica dove posizionarsi, dopodiché si mette dietro di lui, esattamente come aveva fatto a casa sua, posa una mano sul suo fianco destro e l’altra sul bancone.
 
-Allora… prendi la farina e versala sul bancone. 
 
Gli spiega, porgendogli la ciotola contenente la farina. Stefano deve concentrarsi per capire cosa gli sta dicendo e non farsi distrarre da quella vicinanza estrema. Fa ciò che gli viene detto e immediatamente Paolo, con la mano libera, crea una conca nella montagnetta di farina. 
 
-Prendi le uova e rompile nel buco che ho fatto.
 
Prosegue. Stefano cerca le uova e le trova alla sua sinistra. Intanto Paolo ha sollevato un lembo della camicia di Stefano, facendola uscire dai pantaloni e ha posato la propria mano direttamente al sotto di essa. Riesce a sentire il tocco tiepido delle sue dita sul suo fianco, appena al di sotto delle costole. Non vuole farsi distrarre. Rompe le uova e allontana subito i gusci. 
 
-Ora con le punte delle dita, come se avessi una forchetta, mescola il tutto. 
 
Lo istruisce, spiegandogli il movimento. Accarezza delicatamente il suo braccio dalla spalla fino al polso finché raggiunge il dorso della sua mano, intreccia le sue dita con le proprie e gli mostra il movimento corretto, muovendo le dita di Stefano nel composto appena creato, per formare un impasto. 
 
-Mescola e impasta. 
 
Sussurra nel suo orecchio, lasciandogli andare la mano. Stefano sospira e cerca di impastare, impegnandosi per svolgere un buon lavoro. Paolo appoggia anche l’altra mano sul suo fianco e inizia a sbottonargli la camicia, partendo dal basso. Il suo corpo preme contro quello di Stefano, il quale deve impiegare tutte le sue forze per non lasciarsi distrarre e continuare il suo compito. Paolo lo bacia sul collo e sale fino alla mandibola, lo zigomo e morde delicatamente il lobo del suo orecchio sinistro. Stefano sussulta, non riesce più a concentrarsi e le sue mani si fermano. 
 
-Vai avanti.
 
Lo incoraggia Paolo, sussurrandogli nell’orecchio. Lascia andare i suoi fianchi e gli prende le mani, impastando insieme a lui, guidando i suoi movimenti. Il tutto continuando a baciarlo lungo il collo, prima da un lato e in seguito, dopo essersi spostato, dall’altro. Stefano è completamente in estasi, per un attimo si dimentica di dove si trova e si lascia trasportare da Paolo, è totalmente sotto il suo comando. Sente il suo profumo il suo calore avvolgerlo completamente. D’un tratto Paolo si ferma, gli lascia andare le mani e si sposta leggermente alla sua destra, per recuperare l’impasto. Rapidamente crea una pallina e la mette da parte, ricoprendola con un foglio di pellicola trasparente. Stefano si gira verso di lui confuso e dispiaciuto dal fatto che abbia interrotto così rapidamente ciò che stavano facendo. Lo osserva con la bocca semiaperta e lo sguardo estasiato. Paolo gli rivolge quel suo sorrisino malizioso, arriccia il naso e si lascia sfuggire una risata. 
 
-Deve riposare per almeno mezz’ora… hai qualche idea su come occupare il tempo?
 
Domanda, suggerendo implicitamente la risposta. Stefano si gira verso di lui, si trovano faccia a faccia. Si sporge e lo bacia. Paolo risponde immediatamente al bacio, dopodiché lo spinge con il peso del proprio corpo verso il bancone, afferrandolo di nuovo per i fianchi. Stefano sente le mani di Paolo ruvide e sporche di farina e di impasto, percorrergli lungo tutto il busto. Afferra la sua maglietta, sfilandola dai pantaloni che indossa, dei semplici pantaloni neri della tuta, passando poi entrambe le mani al di sotto di essa. Posa una mano sul fianco di Paolo e con l’altra cerca il piercing al suo capezzolo, iniziando a stringerlo tra le dita, il tutto senza staccare le proprie labbra da quelle di Paolo. 
 
-Erano più o meno queste le tue fantasie?
 
Domanda Paolo, interrompendo il bacio. Stefano annuisce.
 
-Così è anche meglio.
 
Risponde, con un fil di voce. Paolo lo stringe ancor più forte all’altezza dei fianchi e lo solleva, mettendolo a sedere sul bancone, in mezzo alla farina, i residui di impasto e i gusci d’uovo. Stefano è sorpreso e intrigato da questo suo gesto. Si sporge verso di lui, baciandolo di nuovo. Dopodiché, ancora una volta, si lascia guidare permettendogli di fare qualsiasi cosa abbia in mente e realizzando finalmente quella fantasia aleggiava nella sua testa da mesi.
 
 
L’operazione finale di stesura e di taglio della pasta viene fatta esclusivamente da Paolo. Stefano lo osserva dal tavolo, seduto alla sedia, mentre passa e ripassa piccoli quadrati d’impasto al di sotto del rullo della macchina per ottenere il formato desiderato. Dopo aver terminato il lavoro e aver arrotolato le tagliatelle in modo da formare dei nidi, mette sui fornelli una pentola con acqua salata e un’altra più piccola con il ragù, preparato in anticipo. 
 
-Quindi preparare la pasta era solo un pretesto? Visto che hai già fatto tutto... 
 
Domanda Stefano, sorseggiando un po’ di vino. Paolo sorride. 
 
-Si chiamano preliminari. 
 
Specifica, gettando la pasta nella pentola. Stefano lo osserva in silenzio. Quando si è trovato in quella stessa posizione l’ultima volta, non avrebbe mai immaginato di poter realizzare ciò che è appena accaduto. 
 
-Voilà!
 
Esclama Paolo, posando il piatto di tagliatelle al ragù davanti a Stefano. Prima di sedersi e mettersi a mangiare, rovescia il calice di vino nel lavandino e versa dell’acqua al suo posto. 
 
-Non reggi l’alcool, per caso?
 
Domanda Stefano. Non è la prima volta che Paolo non termina di bere un alcolico o che ne butta via più di metà, anche alla discoteca dove hanno ballato insieme non aveva terminato il proprio drink, mentre Stefano ne aveva bevuti ben tre. 
 
-No, lo reggo molto bene in realtà. Solo… devo evitare le dipendenze. 
 
Spiega Paolo, avvolgendo le tagliatelle con la forchetta. Stefano si ricorda della confessione di Paolo circa la sua dipendenza da stupefacenti, a seguito della morte della madre. Decide di non aggiungere altro e inizia a cenare. 
 
-Quando si esce da un tipo di dipendenza, per evitarla, spesso si ricade in un’altra in genere diverso. A volte è l’alcool, altre il fumo… io faccio il possibile per evitarle tutte. 
 
Specifica. 
 
-Ti è più capitato di sentire il bisogno di fare di nuovo uso di qualche sostanza?
 
Domanda Stefano, sperando di non essere inopportuno. Paolo risponde immediatamente, senza particolare fastidio.
 
-All’inizio sì, mentre dopo i primi due mesi mi repelleva il solo pensiero. Ora come ora credo non lo farei mai più. Eppure, mai dire mai nella vita. Una minima percentuale di rischio c’è sempre.
 
Stefano ricorda di quando Paolo l’aveva guardato storto il giorno del compleanno di Alberto, quando gli aveva confessato di concedersi una “sigaretta speciale” di tanto in tanto. Riesce solo ora a realizzare il motivo di quella smorfia comparsa sul suo viso. Pensa poi di nuovo ad Alberto e al fatto che, probabilmente, non si concederanno più quel piccolo sgarro insieme, visto come si sono evolute le cose. 
 
-Ho detto qualcosa che non va?
 
Domanda Paolo, accorgendosi dell’attimo di riflessione di Stefano.
 
-No, no. Stavo solo pensando… 
 
Prima che Paolo possa indagare oltre, cerca di farsi venire in mente un’idea, un modo per cambiare discorso.
 
-Mi chiedevo: l’ultima volta che sono stato qui, quali erano le tue intenzioni?
 
Domanda, sorprendendo Paolo e anche sé stesso. 
 
-Sicuramente capire se ci saresti stato. Poi qualsiasi cosa mi sarebbe andata bene. 
 
Risponde, allungando una mano sul tavolo e intrecciando le dita di Stefano con le proprie. 
 
-Tu invece?
 
Domanda. Stefano si concede un attimo prima di rispondere. Osserva Paolo negli occhi, osserva il suo sorriso. 
 
-Anch’io.
 
Risponde, senza argomentare. 
 
 
Dopo aver terminato la cena Paolo sistema la cucina, ripone tutti i piatti in lavastoviglie e invita Stefano a mettersi comodo in salotto, proponendogli di vedere un film insieme. Lui si mette sul divano e attende che Paolo lo raggiunga. Si guarda intorno e non può fare a meno di rimanere stupito dall’eleganza dell’appartamento in cui si trova. L’ambiente rispecchia alla perfezione la personalità di Paolo: bello, ordinato, curato ed estremamente elegante.
Stefano pensa che in confronto a quell’appartamento casa sua sia estremamente ordinaria, banale e mediocre. 
 
“Come me.”
 
Pensa, con vergogna. Per quanto si sforzi, non riesce a smettere di pensare di non essere abbastanza per Paolo, di non meritarselo. Teme che prima o poi arriverà il momento in cui anche lui se ne renderà conto. Teme che questa sua realizzazione possa arrivare presto, è certo che Paolo dopo aver trascorso tutto quel tempo con lui capirà che non ha nulla di eccezionale da offrirgli e deciderà di tagliare i ponti. Sicuramente l’avrebbe fatto da tempo, se ciò che è successo tra loro prima di cena in cucina si fosse realizzato la sera in cui ha cucinato per lui. 
 
-A cosa pensi?
 
Domanda Paolo, sedendosi accanto a lui, con un braccio lungo lo schienale del divano e un ginocchio piegato e posato sulla seduta del divano. Stefano lo osserva: pur avendolo avuto davanti per tutto il tempo, pur avendolo avuto addosso di sé, non riesce smettere di guardarlo. A differenza del solito, è vestito in abiti tipicamente da casa, non ha messo la matita sotto gli occhi e non indossa nemmeno le scarpe. Eppure è bellissimo, da perdere il fiato. Stefano capisce perfettamente quello che provavano le ragazze ai tempi del liceo guardandolo: non potrebbe essere più bello di così, nemmeno se venisse disegnato o modellato da un artista. 
 
-Penso che sei bellissimo. 
 
Risponde, facendolo sorridere. 
 
-Incredibile! Io mi sforzo sempre per mettermi al meglio, vestirmi elegante, sistemarmi i capelli, mettermi tutto fighetto. E a te piaccio sfatto, con i vestiti della taglia sbagliata e questa maglietta ridicola. 
 
Si lamenta, sospirando. Stefano in realtà lo apprezza in ogni sua forma, sia elegante, sia sportivo, sia vestito, sia svestito. Non c’è una versione di lui che non gli piaccia. 
 
-Comunque… vogliamo vedere un film? Possiamo cercare qualcosa su Netflix… 
 
Propone, prendendo un telecomando dal tavolino di vetro davanti a sé. Stefano non sa cosa proporre, è la prima volta dai tempi del liceo e forse dai primi anni all’università, che si ritrova in una situazione simile. Non ha mai frequentato nessuno al punto da essere invitato a casa a vedere un film e il solo concetto di serata romantica l’ha sempre vissuto solo indirettamente, attraverso i libri e la televisione, non ha alcuna esperienza in quel campo. 
 
-Possiamo anche fare qualcos’altro se preferisci. Vuoi uscire a fare una passeggiata per il Corso? Ci metto un attimo a cambiarmi. 
 
Suggerisce Paolo, avvicinandosi di più a lui e accarezzandogli la spalla con dita. Stefano non sa come rispondere.
 
-Rilassati, Ste. Se non ti senti a tuo agio e vuoi andare a casa dimmelo pure, senza problemi.
 
Esclama, con tono preoccupato. Stefano scuote il capo. 
 
-No, non voglio andare via. Pensavo all’ultima volta che sono stato qui. 
 
Confessa. Paolo gli rivolge uno sguardo confuso.
 
-Di nuovo? C’è qualcosa che non ti torna?
 
Chiede. 
 
-No è che… pensa se non mi avesse chiamato mio padre, se Elena non avesse avuto quell’incidente… a che punto saremmo ora?
 
Esclama, lasciandosi sfuggire parte dei suoi pensieri, senza fargli capire chiaramente di essere terrorizzato dal fatto che perda interesse nei suoi confronti. 
 
-Chi può dirlo! Semplicemente… non era il nostro momento, non era destino. 
 
Conclude Paolo, riducendo ancor di più le distanze, portando un braccio al collo di Stefano.
 
-Tu credi nel destino, Ste?
 
Domanda. Stefano fa spallucce. 
 
-Non lo so. Tu sì?
 
Risponde, rigirandogli la domanda. Paolo sorride, gli accarezza il viso delicatamente. 
 
-Credo che ci sia sempre una ragione per tutto. Io e te ci conosciamo da tanti anni, ci siamo persi di vista ma eravamo destinati a rincontrarci. Nonostante ci siano state di mezzo tante cose, mi sia sposato, abbia vissuto una serie di esperienze… alla fine ho ritrovato te. 
 
Il cuore di Stefano riprende a battere forte, non capisce se questo sia dovuto alla vicinanza di Paolo o a ciò che gli ha appena detto. 
 
-Lo dici solo perché sai che a me piace sentire queste cazzate…
 
Lo rimprovera, abbassando lo sguardo. Paolo spalanca gli occhi sorpreso. 
 
-Credi che ti abbia detto questo per portati a letto? Certo che no, per quello c’è la maglietta del gallo. 
 
Stefano scoppia immediatamente a ridere, anche Paolo sorride, dopodiché lo bacia delicatamente sulle labbra. 
 
-Personalmente sono felice che non sia successo nulla, né a casa tua né qui. Ci ha dato del tempo per conoscerci meglio. Anche il mio viaggio in Cina che ci ha permesso di vederci ogni sera, anche solo per dire una serie di stronzate… 
 
Aggiunge Paolo. 
 
-Aspettavo quel momento per tutta la giornata. 
 
Confessa Stefano, con un fil di voce. 
-Anch’io. Ho pensato a te per tutto il tempo durante quel mese, sei stato il mio pensiero fisso. 
 
Afferma Paolo. 
 
-E a cosa pensavi, esattamente? 
 
Domanda Stefano, sempre dubbioso circa l’idea che Paolo abbia di lui. 
 
-A tutto quello che sei. A quando scoppi a ridere dal nulla quando dico una cazzata, come prima. A come i tuoi occhi cambino quasi colore quando mi vedi, al fatto che tutte le volte che ti sfioro tu cerchi di contenerti nonostante il tuo sguardo dica ben altro. 
 
Spiega, continuando ad accarezzargli il viso. 
 
-Quando sto con te mi sento meglio. Anche quel giorno in cui ho incontrato la mia ex, quella volta del sushi… probabilmente se non fosse stato per te nemmeno mi sarei alzato dal letto il giorno dopo, figuriamoci andare a giocare una partita. L’ho fatto solo per vedere te, per stare con te. 
 
Queste rivelazioni da parte di Paolo prendono Stefano completamente alla sprovvista ma è felice di sapere che Paolo provi le sue stesse emozioni, anche lui sta meglio in sua presenza, anche lui si sente bene solo a vederlo. Stefano si avvicina di più a Paolo e lo bacia, un bacio intenso, ad occhi chiusi, nel quale intende assaporarlo completamente. Dopodiché Paolo, avendo inteso le sue intenzioni si mette più comodo a sedere, appoggiando entrambi i piedi a terra. Stefano lo scavalca, andando a sedersi sulle sue gambe, appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle. Lo bacia di nuovo e Paolo lo lascia fare, cingendolo per i fianchi con entrambe le mani. 
 
-Sto riuscendo a sbloccarti un po’?
 
Domanda Paolo, interrompendo il bacio. Stefano annuisce.
 
-Non ho mai fatto niente di ciò che faccio con te, con nessuno. 
 
Confessa. Paolo sorride, si sporge e gli dà un bacio delicato sulla fronte.
 
-Nemmeno io.
 
Stefano riprende a baciarlo, accarezzandogli i capelli, mentre le mani di Paolo scorrono lungo la sua schiena, la di sotto della camicia. 
 
-Non ti ho ancora fatto vedere il piano di sopra. Ti va di vederlo?
 
Domanda Paolo. Stefano annuisce, si alza dalle sue gambe e lo segue. 
 
 
Più tardi, Stefano si trova sul letto di Paolo, nella sua camera da letto: una gigantesca matrimoniale che include una vetrata che affaccia sulla doccia del bagno privato e una cabina armadio molto profonda che riesce a scorgere appena. La stanza è illuminata da una vetrata identica a quella del soggiorno, che affaccia su Palazzo Lombardia e sulla zona più moderna di Milano. Non se n’era accorto prima, essendo impegnato a fare altro, ma la vista è meravigliosa, ancor di più nella penombra della camera da letto. 
Paolo si sta facendo la doccia, mentre lui si è già lavato ed è pronto per andare a letto. Indossa una vecchia tuta di Paolo, un completo di una squadra di calcio nel quale giocava durante i primi anni di università. La maglietta è nera con le maniche corte, su di essa riporta lo stemma della squadra e il nome “Paolo” in bianco all’altezza del cuore, mentre sulla schiena è stampato il suo cognome, al di sopra del numero 11, lo stesso numero che utilizza nella loro squadra, il suo preferito. Anche i pantaloni, lunghi e dello stesso colore della maglietta, riportano il suo cognome lungo la gamba sinistra. Stefano ha una strana sensazione ad avere i vestiti di Paolo addosso, vestiti che riportano il suo nome. Annusa la maglietta ma con dispiacere nota che, pur avendo un gradevole profumo di talco, non si tratta della stessa fragranza che porta Paolo. Probabilmente non mette quegli indumenti da diverso tempo.
 
-Vanno bene?
 
Domanda Paolo, uscendo dal bagno. Indossa una maglietta bianca con scollo rotondo senza alcun disegno e un paio di pantaloni grigi della tuta, simili ai suoi. 
 
-Che razza di squadra ti fa il completo con nome e cognome personalizzati?
 
Chiede lui, incuriosito, pensando a quanto invece sia anonima e semplice la loro divisa. Paolo si siede accanto a lui, in fondo al letto.
 
-Una squadra con una quota associativa molto alta. Ha dieci anni quel completo ed è ancora buono. Ti sta bene! A me la maglietta tira sullo stomaco e i pantaloni non mi salgono nemmeno. Sapevo che non dovevo buttarla!
 
Esclama, osservando Stefano con soddisfazione. 
 
-Sarebbe la prima volta che qualcosa sta meglio a me che a te. Mia sorella ancora mi prende in giro per quella volta che ho comprato una maglietta come la tua, convinto che anche a me sarebbe stata altrettanto bene. 
 
Commenta. Paolo annuisce. 
 
-La maglia a righe bianca e rossa! Me lo ricordo… però secondo me ti stava bene. Mi piacevi anche con quell’improbabile felpa dell’omino ambiguo che sembrava una A con due pallini ma in realtà era tutt’altro… 
 
Confessa. Stefano si ricorda bene di quella felpa, gliel’aveva regalata sua nonna, l’aveva comprata al mercato senza essersi accorta dell’ambiguità del logo. 
 
-Forse quella felpa era una premonizione su quello che sarebbe successo tra me e te.
 
Aggiunge Paolo. Stefano sorride.
 
-Può essere… 
 
Afferma, dando uno sguardo fuori dalla finestra. 
 
-Hai una bella vista da qui… 
 
Commenta, alzandosi e andando vicino alla finestra. Paolo lo raggiunge. 
 
-Questo appartamento è stato una follia. E ti dirò che l’ho anche pagato relativamente poco, grazie alla mediazione dei miei capi alla Vince. Però vale tutto ciò che costa… 
 
Afferma, portando un braccio attorno alla vita di Stefano e mettendosi al suo fianco. Stefano lo osserva con la coda dell’occhio, nota il suo sorriso e il suo sguardo sereno. Pensa a quanto sia riuscito ad ottenere Paolo nella sua vita, dai successi al lavoro, alla sua posizione sociale. Invidia la sua determinazione e la sua forza di volontà, ancor più alla luce degli ostacoli che gli ha confessato di aver dovuto superare. 
 
-Sei praticamente un uomo arrivato. Non ti manca più nulla e hai solo trentadue anni…
 
Commenta Stefano. Paolo si gira verso di lui. 
 
-Premesso che non credo che potrò mai definirmi “arrivato” ma… ho quasi tutto, mi manca solo un tassello ma ci sto lavorando.
 
Afferma, prendendolo per entrambi i fianchi e portandoselo al petto. 
 
-Mi fa un certo effetto vederti con i miei vestiti e con il mio nome addosso… 
 
Confessa, stringendolo.
 
-Effetto positivo o negativo?
 
Domanda Stefano. Paolo gli sorride.
 
-Dimmelo tu.
 
Risponde, dopodiché si sporge verso di lui e lo bacia.
 
 
 
La mattina seguente Stefano si sveglia abbracciato a Paolo, completamente avvolto nel suo calore e nel suo profumo. È la prima volta in vita sua che si ritrova a svegliarsi accanto a qualcuno, tra le braccia di qualcuno. La seconda con Paolo, considerando Merano, ma in quel caso era stata la loro prima volta e più che dormire erano entrambi letteralmente crollati. Tiene il capo appoggiato contro il petto di Paolo e chiude gli occhi rilassandosi con battito del suo cuore e il ritmo del suo respiro. Si concede qualche istante per godersi il momento. 
 
“Goditelo finché puoi, non durerà.”
 
Gli suggerisce di nuovo la sua testa. Non vuole lasciarsi trascinare dai pensieri negativi. Involontariamente fa un movimento brusco, facendo svegliare Paolo. 
 
-Ehi… già sveglio?
 
Gli chiede, con voce roca. Stefano si sposta un po’, alzando lo sguardo per poterlo guardare negli occhi. 
 
-Scusami, ti ho svegliato. 
 
Esclama Stefano.  Paolo si stiracchia e si sporge per leggere l’orario sulla sveglia posata sul comodino alle spalle di Stefano. 
 
-Abbiamo ancora un po’ di tempo. Sono le otto… 
 
Commenta, tornando ad abbracciare Stefano. Con una mano gli accarezza i capelli. 
 
-Ho prenotato un brunch alle undici, in Corso Como. 
 
Afferma. 
 
-Un brunch? 
 
Chiede Stefano, incuriosito. Nonostante abiti a Milano da sempre, non ne aveva mai fatto uno e soprattutto non in una zona così centrale ed esclusiva. 
 
-Sì, visto che avremo la partita alle tre non mi sembrava il caso di pranzare ma volevo comunque fare qualcosa con te per pranzo… vedrai che ti piacerà. 
 
Lo rassicura, prendendo il suo viso tra le mani e dandogli un bacio sulla fronte.
 
 
 
Nel cambiarsi per uscire, Stefano è quasi dispiaciuto nel dover togliere i vestiti di Paolo. Per prima cosa, perché sono comodi e soprattutto perché, dopo una notte passata tra le sue braccia, si sono impregnati completamente del suo profumo. Si osserva, così vestito, nello specchio del bagno di Paolo. Il bagno della sua camera da letto è molto vasto e il piano dei lavelli è una lunga lastra di marmo bianco dentro al quale son incassate le due sezioni quadrate delle vasche dei lavelli. Lo specchio è rettangolare, stondato ma senza cornice e segue tutta la lunghezza del piano. Stefano si gira a tre quarti per vedere la parte posteriore della maglietta. Immediatamente gli viene in mente Alberto, due sere prima, quando aveva accusato Paolo di voler tenere Stefano tutto per sé. Si chiede cosa penserebbe di lui nel vederlo indossare gli abiti di Paolo, con il suo nome stampato sopra. 
Non aveva più pensato ad Alberto nelle ultime ore e il pensiero di rivederlo, l’indomani al lavoro, lo paralizza. Non ha idea di come potrà essere il suo atteggiamento dopo la litigata di venerdì sera. Sospira e si cambia, riponendo gli abiti di Paolo sul bordo del lavello e rindossando quelli con i quali è uscito la sera prima. 
 
Il locale scelto da Paolo per il brunch è elegante, in uno stile industriale con dei richiami liberty. Si tratta di una terrazza coperta e completamente vetrata totalmente decorata da fiori e piante rampicanti di diverso genere. Dal soffitto pendono delle file di luci al led dal colore caldo e diversi decori natalizi. Mancano ormai solo una decina di giorni a Natale, l’atmosfera è inequivocabilmente natalizia. Vengono fatti accomodare a un tavolino in un posto laterale, piuttosto riservato e vicino ad una vetrata, dalla quale è possibile scorgere il Corso. Il tavolo è rotondo e di metallo e vi sono due sedie, una di fronte all’altra. 
 
-Cosa si mangia a un brunch?
 
Domanda Stefano, alla sua prima esperienza. 
 
-Generalmente toast, uova e qualcosa come salmone o bacon, della verdura o delle patate e un dolce. Dovrebbe esserci il menù. 
 
Risponde Paolo, sistemandosi sulla sedia. Ovviamente non è più vestito da casa ed è pettinato come sempre in modo impeccabile, indossa un maglioncino rosso intrecciato al di sopra di una camicia azzurra rossa. Il rosso è lo stesso della divisa della squadra e lo porta divinamente. 
Stefano prende i vari listini dal tavolo e il primo che gli capita tra le mani è quel del Menù di Natale. Rimane per un attimo bloccato. 
 
-No, quello è il menù di Natale. Prendi questo. 
 
Spiega Paolo, porgendogli il foglio corretto e prendendo quello tra le sue mani. 
 
-Natale… ci credi che mancano solo dieci giorni a Natale?
 
Domanda Paolo, leggendo il menù. Il cuore di Stefano inizia a battere, quello potrebbe essere il momento giusto per invitarlo a casa dei suoi genitori. 
 
-Sì, il tempo passa velocemente. Ti piace il Natale?
 
Gli chiede, fingendo di leggere il menù per evitare che i loro sguardi si incrocino. Deve farsi coraggio e avanzare la proposta. 
 
-Mi piaceva da bambino, come a tutti. Crescendo un po’ meno… A te piace?
 
Domanda a sua volta. Stefano fa spallucce. 
 
-Né mi piace né mi dispiace. 
 
Risponde, sbrigativo, senza distogliere gli occhi dal menù. 
 
-Eppure hai una bella famiglia. I tuoi genitori me li ricordo bene: tua madre, così dolce e disponibile e tuo padre così alla mano e giovanile. Quando Elena mi portava da voi ero sempre accolto con piacere. Ho dei bei ricordi delle domeniche pomeriggio a casa tua. Immagino che il Natale da voi sia sempre stato molto sentito… 
 
Commenta Paolo, con malinconia. Stefano non ha il tempo di ribattere perché Paolo prende nuovamente la parola. 
 
-Anche quando ero bambino il mio Natale era abbastanza triste. Alcuni li ho passati con i miei nonni materni ma sono morti quando andavo alle medie. Mio padre è sparito quando avevo quindici anni… e prima di allora non è che fosse poi così rilevante la sua presenza a Natale.
 
Conclude, posando il menù sul tavolo. 
 
-E dopo che ti sei sposato?
 
Chiede Stefano. Paolo fa una smorfia.
 
-Anche peggio. Lo trascorrevo con i miei suoceri, ogni volta dovevo letteralmente pregarli per poter invitare mia madre. Non l’hanno mai considerata. Sono felice di non aver più nulla a che fare con loro. Di non dovermi sedere accanto a mio suocero, mai a capotavola ovviamente perché bisogna rispettare le gerarchie, a sentirlo dire quanto lui fosse uomo e quanto io invece facessi schifo… 
 
Confessa, con amarezza. 
 
-Ti accusava di non essere uomo?
 
Domanda Stefano. Paolo porta gli occhi al cielo e fa una smorfia.
 
-Certo. Lui con la tessera di Forza Italia, che partecipava ai festini con le donnine, che si teneva il busto del Duce esposto con fierezza e in bella vista sopra il camino, non poteva che disprezzarmi. Per i miei capelli, per i miei piercing… persino perché un giorno ho osato indossare un maglione rosa. 
 
Spiega. 
 
-L’ultimo Natale con loro, l’anno scorso, è stato un incubo. Sarò solo, non farò nulla e mi sembrerà un giorno qualsiasi ma… non mi importa. È solo una giornata, passerà in fretta come passa qualsiasi altro giorno… no?
 
Domanda, con un mezzo sorriso. Stefano è certo che sia arrivato il momento giusto per invitarlo a Natale. Considerato ciò che gli ha appena detto, non dovrebbe rifiutare l’invito. Anzi, osservandolo, guardandolo negli occhi, ha quasi l’impressione che lui stesso gli stia chiedendo di invitarlo a trascorrere il Natale insieme. Cerca di farsi coraggio ma non riesce ad aprire bocca, non riesce ad emettere nemmeno un suono. Viene infine preceduto dal cameriere che arriva al tavolo a prendere le ordinazioni. Paolo immediatamente cambia discorso e Stefano non ha più coraggio di dire nulla. 
 
Terminato il brunch, ritornano rapidamente a casa di Paolo per cambiarsi e prepararsi per andare al campo sportivo per disputare l’ultima partita della prima metà di campionato. 
Sebbene il brunch sia stato gradevole e abbiano conversato in modo rilassato per tutto il tempo, Stefano ha notato un lieve cambiamento di umore in Paolo. Ha smesso di sorridere, o meglio, i suoi sorrisi sembrano più circostanziali e meno sinceri. 
 
-Grazie. 
 
Esclama Stefano, mentre salgono sull’ascensore nel palazzo di Paolo. 
 
-Di cosa?
 
Domanda lui, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. 
 
-Per il brunch, per la serata, per la cena… per ogni cosa. 
 
Risponde Stefano, sorridendogli. Paolo lo guarda per un attimo in silenzio, prima di rispondere.
 
-Stai pensando di andar via?
 
Domanda infine. La sua domanda suona quasi insensata nella mente di Stefano che gli rivolge uno sguardo confuso. 
 
-“Addio e grazie per tutto il pesce”, suonava un po’ così. Come se dovessi partire per una galassia lontana, da un momento all’altro… 
 
Stefano scuote il capo, cercando di chiarirsi. Paolo gli posa una mano sulla spalla. 
 
-Non mi devi ringraziare. Comunque, sbrighiamoci, abbiamo una partita importante da giocare.
 
lo esorta, togliendo la mano dalla sua spalla. Il suo tocco è diverso dal solito, decisamente diverso da quello delle ultime ventiquattro ore e dell’ultima settimana. Stefano inizia a temere di aver fatto una mossa sbagliata, o meglio, teme che la sua indecisione abbia provocato l’effetto contrario, spingendo Paolo ad allontanarsi da lui. 

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Capitolo 24
*** Black out ***


Stefano e Paolo raggiungono il campo sportivo in auto, quella di Paolo. All’inizio Stefano era titubante al pensiero, temendo che vedendoli arrivare insieme sulla stessa vettura, i membri della squadra potessero sospettare qualcosa. Ha deciso però di non condividere il suo pensiero con Paolo, avendo notato un cambiamento nei suoi modi di fare, da dopo il brunch. Dopo essere rientrati si sono cambiati d’abito per indossare completi da calcio senza soffermarsi in particolari discorsi, senza nemmeno sfiorarsi. Stefano, che ha imparato ad accettare la costante necessità di Paolo di aver un contatto fisico, trova strano che non l’abbia più baciato, né accarezzato, una volta ritornati al suo appartamento. Anche in auto si aspettava quantomeno che gli posasse una mano sulla gamba, sul ginocchio. Ciò non è accaduto, dal momento che è rimasto con lo sguardo fisso davanti a sé ed entrambe mani salde sul volante. Non l’ha più visto sorridere e anche nei suoi discorsi è sembrato distaccato, limitandosi a commentare il traffico e il tempo uggioso. Stefano dal canto suo non è stato particolarmente eloquente, non è riuscito ad iniziare alcuna discussione, si è solo sforzato di rispondere ai suoi commenti, continuando mentalmente a ipotizzare quali possano essere i pensieri nella testa di Paolo. 
 
“Ho fatto una cazzata.”
 
Continua a ripetere tra sé e sé, pensando al fatto di non aver avuto il coraggio di invitare Paolo a casa sua a Natale, specialmente dopo le sue parole oneste e sincere. Lo guarda con la coda dell’occhio, senza avere il coraggio di girarsi completamente verso di lui. L’espressione sul suo viso è indecifrabile, non sembra particolarmente crucciato o seccato, tuttavia avverte qualcosa di diverso in lui, specialmente paragonato a come si è mostrato nei suoi confronti nelle ultime ventiquattro ore. Fa un respiro profondo, mordendosi il labbro e giocando nervosamente con la cerniera del giubbotto. Sente un groppo in gola, ha la sensazione che qualcosa in fondo alla trachea si stia ingrossando sempre di più con l’intento di soffocarlo. Deglutisce con forza, cercando di allontanare quella terribile sensazione. Assorto nei propri pensieri, non si rende conto di essere giunto a destinazione fino al momento in cui Paolo apre la portiera per scendere. Sobbalza e scende a sua volta. Si guarda in giro con circospezione, nella speranza che nessuno della squadra lo veda scendere dall’auto di Paolo. Fortunatamente non c’è nessuno, la maggior parte della squadra deve essere già in campo, a giudicare dalle auto parcheggiate. 
 
-Grazie. 
 
Esclama Stefano, non appena Paolo gli porge il borsone, quest’ultimo non aggiunge nulla, chiude l’auto e si avvia verso il cancello del campo sportivo. Stefano lo lascia andare, evitando di camminare fianco a fianco con lui. Paolo cammina a passo spedito e non lo aspetta, pare non essersi accorto che sia rimasto indietro. 
Nel campo da calcio la squadra avversaria si sta già riscaldando, correndo e svolgendo esercizi di stretching, mentre i compagni di Stefano sembrano essere ancora all’interno dello spogliatoio.
 
-Mi raccomando: dobbiamo mettercela tutta. 
 
Esclama il mister, che pare aver terminato uno dei suoi usuali discorsi esortativi. Stefano saluta i compagni e il mister e si siede su una panchina per cambiarsi le scarpe. Paolo, poco più distante, si è già cambiato e sta parlando con Simone. Lo vede rilassato, decisamente più sorridente e meno pensieroso rispetto a poco prima in auto. Distoglie lo sguardo per evitare che si accorga che lo sta fissando e di nuovo cerca di inghiottire quel groppo in gola che pare non volergli dare tregua. Paolo non lo aspetta, entra in campo insieme a Simone, senza girarsi verso di lui nemmeno per un istante. Non si aspettava un cambiamento così repentino da parte sua e non sa come reagire, riesce solo ad avvertire un tremendo senso di colpa, si sente incredibilmente stupido al pensiero di aver rovinato quel rapporto con Paolo che sta faticosamente cercando di creare. 
Entrato in campo, si aggrega ai compagni per il riscaldamento, cercando di non badare a Paolo, nemmeno quando gli è vicino. Paolo, comunque, non gli rivolge una parola né uno sguardo. 
Dopo circa quindici minuti, il mister si avvicina ai ragazzi per dir loro che la partita sta per avere inizio. Stefano chiude gli occhi, fa un respiro profondo contando fino a venti. Cerca di applicare un po’ di ispirazione ed espirazione rilassata, nel tentativo di calmarsi, per potersi concentrare sulla partita e non sulla sua disastrosa situazione. Ogni tentativo è inutile perché il suo sguardo sembra essere attratto in direzione di Paolo quasi fosse un magnete. Quando l’arbitro fischia l’inizio dell’incontro, Stefano ci impiega almeno una trentina di secondi prima di focalizzare e capire cosa stia facendo esattamente in quel campo. In quel momento la sua mente è totalmente vuota, tabula rasa. Si muove a passi lenti trascinandosi lungo il campo e gli pare quasi che il suo cervello si sia spento. I suoi occhi non riescono a rimanere focalizzati sulla palla ma cercano incessantemente Paolo lungo il campo da calcio che, al contrario suo, sta giocando con estremo impegno come è solito fare.
Anche la resistenza di Stefano pare essere compromessa: una semplice corsa per tentare di intercettare la palla dal centro campo all’area di rigore gli risulta difficoltosa, gli manca il fiato e quel fastidioso groppo in gola decisamente non gli è di aiuto, sente che le sue capacità respiratorie sono limitate, ridotte al minimo. Senza che nemmeno se ne accorga, Paolo segna il primo goal della partita. I compagni vicino a lui nei esultano, abbracciandolo e stringendolo per la maglietta. Paolo è, naturalmente, euforico e festeggia con i compagni. Stefano continua ad osservarlo da lontano, da metà campo, in stato di totale alienazione. Vede che con i compagni di squadra è sereno e spensierato, come sempre. 
 
“Quindi il problema sono proprio io.”
 
Conclude, tra sé e sé. Nel frattempo l’azione è ripartita e nel campo tutti quanti stanno riprendendo i loro ruoli, tranne Stefano, che rimane immobile senza riuscire a capire esattamente quale sia il suo posto quel giorno in campo. Si sente totalmente perso e spaesato, al punto che non riesce a sentire nemmeno il fischio dell’arbitro a conclusione del primo tempo. Rimane l’unico in campo, mentre i suoi compagni sono già rientrati nello spogliatoio. Velocizza il passo per raggiungerli e quando entra il mister lo ferma immediatamente, afferrandolo per una spalla.
 
-Stefano, ti senti bene? Non ti vedo per niente in forma oggi. 
 
Gli domanda, con preoccupazione. Stefano cerca di abbozzare un sorriso, era certo che il suo atteggiamento si fosse notato. Soprattutto perché, generalmente, pur non avendo le stesse abilità di Paolo, di Simone o di Martin, riesce a dare un piccolo contributo alle partite. Quel giorno, invece, è come stesse giocando con il corpo di un altro, una persona che non ha mai messo piede su un campo da calcio e non che ha la benché minima idea di cosa debba fare.
 
-Tutto bene, mister. Mi do una rinfrescata e vedrai che sarò come nuovo!
 
Risponde, cercando di essere convincente. Il mister scruta l’espressione sul suo viso, non è riuscito a convincerlo. Tuttavia pare essere intenzionato a dargli il beneficio del dubbio e lo lascia andare, senza aggiungere altro. Stefano, per andare in bagno, passa davanti a un gruppo di compagni, intenti a bere dell’acqua e commentare la partita. Si blocca quando viene trattenuto da una mano che afferra l’orlo del gambale dei suoi pantaloncini. Si gira e nota che si tratta di Paolo, seduto su una panchina. 
 
-Tutto ok?
 
Gli chiede. Il suo tono di voce è diverso dal solito, monocorde e senza evidenti inflessioni. Stefano ha quasi l’impressione che la sua domanda sia più circostanziale che sentita. Gli risponde con un mezzo sorriso e un cenno di capo, dopodiché si dirige verso il lavandino dove inizia a sciacquarsi il viso rapidamente con abbondante acqua fredda. Spera che lo shock termico generato tra il calore che sente in viso e l’acqua gelida possano risvegliare i suoi sensi e permettergli di affrontare la partita in modo adeguato. Alle spalle sente i compagni ipotizzare il risultato finale dell’incontro, qualcuno chiede conferma al mister circa l’apericena che si terrà al Bar Sport al termine della partita per poter eventualmente festeggiare il provvisorio titolo di “Campioni d’inverno”. Stefano non avverte il desiderio di festeggiare, crede che la sua testa non possa reggere una serata intera a dover far finta di nulla, a cercare incessantemente di non guardare Paolo né di arrovellarsi su cosa accadrà fra di loro, d’ora in avanti. Non crede voglia tagliare i rapporti con lui così presto ma è certo che la loro relazione si raffredderà, teme che il suo atteggiamento insicuro non sia stato apprezzato da Paolo. Lo vede riflesso nello specchio mentre ripone la borraccia nel borsone e si prepara per uscire in campo, insieme al resto della squadra. Stefano chiude il rubinetto dell’acqua, recupera un asciugamano dal proprio borsone da calcio e si tampona mani e viso, dopodiché si unisce ai compagni in campo.
Sfortunatamente, aver rinfrescato il viso con un po’ d’acqua, non è stato sufficiente a Stefano per riprendersi. Al contrario, un fastidioso torpore pervade tutto il suo corpo, un intenso formicolio che parte dalle gambe e culmina alla base del collo, come un brivido. Con la coda dell’occhio riesce a vedere il pallone alla sua sinistra e, senza pensarci troppo, scatta verso di esso cercando di recuperarlo. Le sue gambe, però, sembrano di essere di tutt’altro avviso: le sente rigide, fatica quasi a piegare le ginocchia e anche un minimo scatto di corsa è impossibile. La palla viene intercettata da Antonio che la recupera al suo posto, sfrecciandogli accanto. Questi poi la passa a Paolo che, immediatamente, la prende e dopo aver eluso i suoi marcatori la tira in porta con potenza, colpendo prima l’angolo alto superiore della porta e finendo di seguito in rete. Esattamente come nel primo tempo, quasi tutti i compagni si avventano su di lui per esultare. Stefano, con il fiato corto e le gambe tremanti, lo osserva di nuovo da lontano. Osserva il suo sorriso, non rivolto verso di lui, il suo sguardo che pare voglia non guardarlo di proposito, posandosi ovunque fuorché su di lui e infine nota Paolo sussurrare qualcosa nell’orecchio di Simone, appoggiando una mano sulla sua schiena. 
In quel momento, anche la vista di Stefano inizia a mostrare segni di cedimento. Il groppo in gola sembra aver assunto le dimensioni di una pallina da tennis, portando Stefano quasi al soffocamento, anche il cuore nel frattempo ha iniziato a battere all’impazzata. Stefano cerca di chiudere gli occhi e deglutisce con forza per calmarsi ma non trae alcun beneficio, al contrario sembra che la situazione stia degenerando. Si posa una mano sul petto per capire se il suo cuore stia realmente battendo all’impazzata o se sia solo una sua sensazione e si accorge di star tremando, un tremolio rapido e incontrollabile. Non è la prima volta che si sente così, non è la prima volta che il suo corpo manifesta reazioni così violente e invalidanti, è però passato molto tempo dall’ultimo episodio, molti anni. Conosce quella sensazione, l’ha vissuta spesso durante l’adolescenza: è nel bel mezzo di un attacco di panico. Non ne provava uno così intenso dall’ultimo anno di scuola superiore, credeva di essersene dimenticato, di potersene dimenticare, non avendone più avuti da oltre un decennio. Gli capitava sempre a scuola e riusciva a calmarsi dopo una decina di minuti, rannicchiato in un angolo vicino al calorifero del bagno dei ragazzi, stringendosi le ginocchia al petto, con gli occhi chiusi, inspirando ed espirando a lungo. A volte, gli episodi più intensi, sfociavano in una breve perdita di coscienza, un momento in cui la sua vista si oscurava, per poi riprendersi rapidamente nel giro di un paio di minuti. Inizia a sospettare che possa essere un caso di quelli, le gambe da rigide immediatamente diventano molli, incapaci di reggere il peso del suo corpo. Si gira verso la panchina del mister, con l’intenzione di chiedergli di esser chiamato fuori dal campo, non riesce però a muoversi perché la vista si annebbia, le gambe lo abbandonano definitivamente e cade a terra. Il mondo attorno a lui scompare, per almeno un paio di minuti. Quando ritorna in sé fatica ad aprire gli occhi e riconoscere l’ambiente circostante, sente delle voci che non sa distinguere e che si uniscono formando un ronzio fastidioso e lontano nelle sue orecchie. La vista è ancora offuscata e ciò che riesce a vedere sono semplicemente delle macchie di colore e luci di diversa intensità, in particolare una luce azzurra molto forte. Sente qualcosa stringergli il viso, all’altezza del naso e della bocca, cerca di alzare il braccio destro per liberarsi ma non ha la forza. Cerca quindi di alzare il braccio sinistro ma la sua mano è bloccata, trattenuta da qualcosa, dal qualcuno, per l’esattezza.
Stringe forte gli occhi e li riapre per cercare di mettere a fuoco e piano piano i contorni sfumati iniziano a delinearsi. È sdraiato, il suo corpo è immobilizzato. Riuscendo a mettere a fuoco distingue chiaramente il retro di un’auto, di un furgone e una scritta con lettere bianche  scritte al contrario, che non riesce a decifrare. Alla sua destra vede macchinari, una bombola ossigeno e un uomo girato di spalle vestito con una tuta arancione che sta controllando un piccolo monitor. Gli bastano pochi istanti per capire di essere finito in ambulanza. 
Abbassando lo sguardo nota di essere su una lettiga, imbragato e legato, sul suo viso una mascherina di ossigeno che limita il suo campo visivo e che spinge fastidiosamente al di sotto degli occhi. Si gira a sinistra e vede Paolo, seduto e leggermente chino in avanti, intento a stringere la sua mano tra le proprie. Quando si accorge del suo sguardo su di lui gli sorride.
 
-Si è svegliato!
 
Esclama con sollievo, rivolgendosi all’altra persona alla destra di Stefano, il paramedico dalla tuta arancione. 
 
-Sì, anche i valori stanno migliorando. Siamo quasi arrivati, tieni duro!
 
Lo incoraggia l’uomo. Stefano si gira verso Paolo, con l’intento di chiedergli qualcosa, chiedergli come sia finito su quell’ambulanza. Tuttavia a causa della maschera di ossigeno e poiché le forze non si sono del tutto ristabilizzate, non riesce nemmeno ad aprire bocca. Rimane immobile a fissarlo. Paolo gli sorride di nuovo e gli stringe più forte la mano. 
 
In pochi minuti, come annunciato dal paramedico, l’ambulanza raggiunge l’ospedale. Stefano viene portato con la lettiga direttamente in pronto soccorso dove due medici lo accolgono e iniziano subito a visitarlo e sottoporlo a svariati esami del sangue. Paolo naturalmente rimane fuori, Stefano riesce a vederlo con la coda dell’occhio avvicinarsi al bancone dell’accettazione, prima di essere portato via. 
Prima che tutte le visite e i controlli siano terminati, Stefano riacquista pienamente possesso del proprio corpo e dei propri sensi e riesce finalmente a ragionare, cercando di comprendere ciò che è appena successo. È stato spostato dalla lettiga ma è sdraiato su un lettino, in una grande stanza con quattro posti letto ma in quel momento occupata solo da lui. Un vistoso cerotto copre buona parte del suo zigomo destro, è collegato a una flebo e l’indice della sua mano sinistra è bloccato da uno macchinario che tiene il suo dito stretto come fosse molletta, osservandolo bene si accorge che si tratta di un pulsossimetro, impiegato per la rilevazione dell’ossigenazione sanguigna. Si accorge anche di essere ancora vestito con la divisa da calcetto: scarpe chiodate, calzettoni e pantaloncini, l’unico pezzo che non ricorda di aver indossato è la felpa a manica lunga, che è certo di non aver avuto in campo. 
Alza lo sguardo e nota che Paolo è appena apparso sulla porta della stanza, anche lui indossa ancora il completo da calcio, senza felpa, a differenza sua. 
 
-Ehi… 
 
Lo saluta, avvicinandosi al letto. 
 
-Ehi…
 
Risponde lui, ancora un po’ intontito e con la gola secca. 
 
-Come ti senti?
 
Gli chiede Paolo, fissandolo dai piedi del letto. Tiene le braccia conserte e lo sguardo fisso verso di lui. L’espressione sul suo viso è seria. 
 
-Confuso. 
 
Risponde, in piena sincerità. Non riesce ancora a capire cosa gli si sia successo né come abbia fatto a trovarsi lì. Abbassando lo sguardo sente improvvisamente una ventata del profumo di Paolo ma lui è troppo distante per poterlo sentire. Prende tra le dita e un lembo della felpa e l’annusa. 
 
-Sì, è la mia. 
 
Spiega Paolo, essendosi accorto del suo gesto. Stefano lo guarda perplesso. 
 
-Prima di salire in ambulanza sono andato nello spogliatoio per recuperare la tua felpa e le cose più importanti: portafogli, chiavi e cellulare. La felpa non l’ho trovata, non era vicino al tuo borsone, così ho pensato di darti la mia. Le altre cose invece sono lì sul tavolino.
 
Stefano si gira nel punto indicato da Paolo e nota tutti gli oggetti nominati da Paolo. Pensa che potrebbe chiamare suo padre o Elena, per farsi riaccompagnare a casa. In ogni caso dovrebbe avvisarli di essere in ospedale, anche se il motivo esatto per il quale si trovi lì non gli è chiaro. Dopo essere rientrato in campo per il secondo tempo della partita ha un vuoto, un totale black-out. 
 
-L’infermiera ha detto che puoi bere qualcosa di caldo, se ti va. Vuoi che ti prenda un tè dal bar dell’ospedale?
 
Suggerisce Paolo. Stefano annuisce, accettando la sua proposta. In realtà vuole semplicemente restare solo per poter telefonare a Elena, senza che Paolo ascolti la sua conversazione. 
 
-Vado subito. 
 
Annuncia, uscendo dalla stanza. Stefano annusa di nuovo la felpa di Paolo, per sentire più da vicino il suo profumo che ha in un certo senso un effetto rilassante su di lui, è dispiaciuto che Paolo sia costretto a girare per l’ospedale in divisa da calcio, in pieno inverno, per colpa sua. Pensa però che le infermiere del reparto non saranno decisamente dispiaciute di vedere una tale bellezza nelle corsie del pronto soccorso. 
Senza perdere altro tempo prende il cellulare e telefona ad Elena, una telefonata breve nella quale la rassicura circa le sue condizioni e le chiede di raggiungerlo all’ospedale indicandole piano e stanza. 
Paolo ritorna in stanza pochi minuti dopo aver terminato la chiamata con Elena.
 
-Ti ho preso anche un pacchettino di biscotti, sono di riso. 
 
Spiega Paolo, avvicinandosi a lui e posando un bicchiere di tè fumante sul tavolino e un pacchetto di due biscotti al cioccolato con farina di riso, come gli è appena stato detto da Paolo. Prima che possa allontanarsi Stefano lo afferra per il polso. Non vedendolo interessato a stabilire alcun contatto fisico nei suoi confronti, decide di prendere lui l’iniziativa. Paolo sembra sorpreso ma non si ritrae. 
 
-Grazie.
 
Esclama, stringendogli il polso. 
 
-È di nuovo calda.
 
Commenta, rimanendo immobile al lato del letto. Stefano aggrotta la fronte, non avendo compreso a cosa si stia riferendo.
 
-La mano, intendo. Stai tornando bollente come tuo solito, finché eri sull’ambulanza avevi le mani fredde, ghiacciate. 
 
Spiega, guardandolo negli occhi. Lo osserva per diversi secondi, durante i quali deve aver probabilmente letto una particolare espressione, dal momento che le linee del suo viso si ammorbidiscono e ritorna ad avere l’atteggiamento sereno e rilassato che è solito rivolgergli. Stefano lascia andare il suo polso e Paolo si siede sul letto, accanto a lui. Gli porge il tè e apre il pacchetto di biscotti. Stefano si fa forza con i gomiti e si mette a sedere più comodo, lasciando a Paolo più spazio per accomodarsi. 
 
-Non mi ricordo niente. 
 
Confessa, sorseggiando un po’ di tè. 
 
-Non ti so dire come sia successo, so solo che sei caduto di fianco e cadendo hai battuto lo zigomo e il gomito destro. La testa sembra non aver nulla per fortuna ma… non avevi un bell’aspetto. Eri bianco, freddo, sudato… ci siamo spaventati e abbiamo deciso di portarti al pronto soccorso. 
 
Spiega Paolo, pacatamente. Stefano inizia lentamente a ricordare e a ricostruire i fatti. Ricorda le sensazioni fisiche sgradevoli provate durante il corso di tutto il primo tempo della partita, tutto quanto pare essere precipitato nel momento in cui è rientrato in campo, quando Paolo ha segnato il secondo goal e l’ha visto felice e sorridente con i compagni di squadra, mentre lui era stato lasciato in disparte, nell’altra metà campo. Abbassa lo sguardo e appoggia una mano sul petto, all’altezza del cuore che pare aver ripreso a battere a ritmi eccessivi.
 
-Non ti senti ancora bene?
 
Domanda Paolo, preoccupato. Stefano scuote il capo. 
 
-No, sto bene. Non è la prima volta che mi succede, anche se non mi capitava da moltissimi anni. È stato un attacco di panico, temo. 
 
Confessa, sorseggiando un altro po’ di tè e prendendo un pezzo di biscotto. 
 
-È quello che ha detto anche il paramedico in ambulanza. Quindi è qualcosa di familiare, per te… 
 
Conclude, attendendo una sua conferma. Stefano annuisce. 
 
-Capito. A me non è mai capitato e… mi sono spaventato, davvero. Anche il mister era terrorizzato, voleva accompagnarti lui in ospedale. Diceva di averti visto strano dal momento stesso in cui sei entrato in campo. 
 
Stefano nota sincera preoccupazione nelle parole di Paolo e ricorda di aver parlato con il mister nello spogliatoio durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo. Ripensandoci, non ha nemmeno idea di che ore siano né di come sia finita la partita. 
 
-Non ti saresti dovuto disturbare per venire con me… era la tua partita, tutti erano lì per te. 
 
Esclama Stefano, con la testa bassa, posando il bicchiere di tè sul comodino. Quando alza gli occhi e incontra lo sguardo di Paolo rimane pietrificato, il suo sguardo è gelido, inflessibile. 
 
-Pensi davvero che a me importi più di una partita di calcetto, che di te?
 
Gli domanda, infastidito. Stefano non fa in tempo a rispondere, poiché viene interrotto da Elena. 
 
-Ste? Ti ho trovato finalmente!
 
Esclama, entrando nella stanza. Paolo si gira e si alza dal letto. Entrambi rimangono immobili a fissarsi per qualche secondo. Stefano osserva l’espressione sorpresa di Elena, i suoi occhi sono spalancati, la sua bocca è semiaperta, non parla ed è strano da parte sua rimanere in silenzio. Non riesce a vedere la reazione di Paolo, poiché gli sta dando le spalle, presume però che anche lui sia sorpreso di vederla. 
 
-Paolo? 
 
Domanda lei, sorridente e incredula. 
 
-Posso abbracciarti?
 
Le chiede lui. Elena non gli risponde nemmeno, avanza verso di lui e lo abbraccia con forza, appoggiando il capo contro il suo petto. Paolo le carezza la schiena, dopodiché scioglie l’abbraccio, tenendole le mani sulle spalle. Elena lo guarda, estasiata, rivolgendo lo sguardo verso l’altro, dal momento che Paolo è molto più alto di lei. 
 
-Sei sempre bellissima, Ele. 
 
Afferma lui, con dolcezza. Elena gli sorride. 
 
-Un po’ più grossa di come mi ricordavi, magari. 
 
Aggiunge, riferendosi alla sua pancia. 
 
-Ah, giusto! Congratulazioni!
 
Esclama Paolo, con entusiasmo. Stefano li osserva provando una strana sensazione di déjà-vu: ricorda bene i loro abbracci e la loro complicità durante gli anni del liceo ed esattamente come a quei tempi si sente di troppo in loro presenza, dimenticandosi che entrambi siano lì esclusivamente a causa sua. 
 
-Quel cretino di mio fratello non mi ha detto che eri qui! 
 
Esclama Elena, rivolgendo uno sguardo fulmineo a Stefano. Paolo si volta verso di lui per una frazione di secondo, per poi tornare a rivolgere lo sguardo su Elena. 
 
-Comunque… non sei invecchiato di un giorno. Sempre un figo assurdo, tu!
 
Si complimenta Elena, come al solito senza vergogna né imbarazzo. Stefano a volte vorrebbe avere un po’ della faccia tosta di sua sorella. Lui ci ha messo mesi per fare un semplice complimento a Paolo, pur pensandola esattamente come lei. Paolo si lascia sfuggire una risatina dopodiché abbraccia di nuovo Elena, un abbraccio più breve, dopodiché si stacca da lei ed entrambi si girano verso Stefano. Elena guarda Stefano con apprensione, poi guarda di nuovo Paolo. 
 
-Non devo far finta di non sapere, vero?
 
Domanda, rivolgendosi ad entrambi. Stefano spalanca gli occhi, sorpreso da quella sua domanda. Paolo ride.
 
-Chiedilo a tuo fratello. 
 
Suggerisce, lanciando un’occhiata a Stefano. Elena, come sempre, non dà troppa importanza a Stefano e ritorna a rivolgersi a Paolo. 
 
-In ogni caso sono davvero felice di rivederti. Dobbiamo proprio piacerti tanto noi fratelli Rosati, eh?
 
Domanda, con sarcasmo. 
 
-Temo di sì, anche se siete davvero diversi l’uno dall’altra. 
Risponde lui. Stefano nota che Paolo è totalmente a suo agio con Elena, esattamente come ai tempi del liceo. Sembra che, nonostante siano passati anni dal loro ultimo incontro, il rapporto tra di loro sia rimasto lo stesso. Elena lo guarda con adorazione e Paolo le sorride con dolcezza, utilizzando per lei un tono decisamente più pacato e delicato. 
 
-Meglio io o meglio lui?
 
Domanda Elena, storcendo il naso e indicando il fratello. 
 
-C’è bisogno che te lo dica?
 
Ribatte Paolo. Entrambi scoppiano a ridere, mentre Stefano continua ad osservali, completamente escluso dalla loro conversazione. 
 
-Non hai idea di quanto sia contenta rivederti! Ci sono così tante cose che ti vorrei raccontare!
 
Esclama Elena, con commozione. Anche Paolo sembra condividere la sua emozione.
 
-Anch’io, Ele. 
 
Risponde. 
 
-Bene! Immagino che ora che stai con mio fratello, avremo diverse occasioni per vederci.
 
Stefano impallidisce nel momento esatto in cui Elena pronuncia quella frase. Il suo cuore ritorna a battere all’impazzata, osserva Paolo terrorizzato, temendo la sua risposta e temendo che possa negare a chiare lettere di “stare” insieme a lui. Inizia ad agitarsi sul lettino e distrattamente dà uno strattone al tubo della flebo. Sussulta e si lascia sfuggire un lamento di dolore, facendo preoccupare immediatamente sia Paolo sia Elena. Paolo istintivamente si gira verso di lui e gli appoggia una mano sulla gamba, Elena si precipita al suo fianco.
 
-Stai bene?
 
Domanda la sorella, con tono serio, cambiando totalmente atteggiamento rispetto a poco prima. 
 
-Sì, ho solo dato uno strattone alla flebo, niente di che. 
 
Risponde lui, sminuendo la faccenda. È felice di averli distratti entrambi, evitando conversazioni che in quel momento non è in grado di sentire. Paolo non toglie la mano dalla sua gamba e continua ad osservarlo con apprensione. 
 
-Sei incredibile! Giochi a calcetto da quando andavi all’asilo, mai una volta ti sei fatto male sul serio o sei finito all’ospedale e decidi di farlo alla veneranda età di trentadue anni! Ti sembra normale?
 
Domanda Elena, sorpresa. 
 
-Non mi sono fatto male a calcetto, nemmeno oggi. Ho avuto un mancamento, il fatto che fossi sul campo da calcio non è rilevante… 
Risponde Stefano, facendo spallucce. 
 
-Quindi sei svenuto? Hai pranzato, almeno?
 
Insiste Elena. Stefano annuisce.
 
-Sì, certo. È stato… un attacco di panico. 
 
Chiarisce Stefano, con tono sommesso, guardando la sorella sottecchi e facendo il possibile per evitare lo sguardo di Paolo. Elena è stupita da questa sua spiegazione.
 
-Davvero? Ma adesso? Dopo tutti questi anni?
 
Domanda, incredula e stranita. Elena è l’unica della sua famiglia ad essere a conoscenza degli episodi verificatisi in passato. Stefano gliene aveva parlato dopo che si era trovata ad assisterlo durante una crisi di panico, nella stazione della metropolitana diversi anni prima, a pochi mesi dagli esami di maturità. 
 
-Eppure ora dovresti essere rilassato! Tu e i tuoi stramaledetti film mentali! Arriverà mai il giorno in cui riuscirai a startene un po’ tranquillo? Senza dover per forza sviscerare ogni cosa?
 
Domanda, esasperata. Stefano non ha una risposta a quella domanda, lui in primis vorrebbe che ci fosse. Paolo nel frattempo ha tolto la mano dalla sua gamba e lo osserva a braccia conserte in silenzio.
 
-Se devi andare via, vai pure. C’è Elena, adesso. 
 
Esclama Stefano, rivolgendo uno sguardo rapido a Paolo. Solo dopo aver pronunciato quelle parole si rende conto di essersi espresso male, di aver utilizzato il tono sbagliato. 
 
-Mi stai cacciando?
 
Domanda Paolo, nascondendo un evidente senso di disappunto dietro un sorriso sarcastico. Stefano cerca di correggersi, spalanca gli occhi e scuote il capo. 
 
-No, io non… 
 
Cerca mentalmente di trovare le parole giuste per spiegarsi ma viene preceduto da Elena.
 
-Ma che modi, Ste! Ti pare? Scusa, Paolo. A proposito… sei con la tua auto, vero?
 
Chiede. Paolo scuote il capo.
 
-No, sono salito in ambulanza con Stefano. Ma non ti preoccupare, prendo un taxi. C’è la fermata qui sotto l’ospedale, mi farò portare al campo sportivo per recuperare l’auto. 
 
Stefano si sente tremendamente in colpa per ciò che ha appena detto. 
 
-Ma no! Se non è un problema, aspetta che dimettano Ste, così ti porto io. Quando sono arrivata ho chiesto all’infermiera e mi ha detto che se gli esami sono a posto lo dimetteranno subito.
 
Propone Elena. Paolo le sorride, un sorriso delicato e appena accennato.
 
-Ti ringrazio ma credo che andrò a casa ora col taxi. Domani mattina ho un impegno molto presto e ho ancora delle cose da sistemare.
 
Spiega. Stefano non sapeva nulla di questo impegno, lo guarda in attesa di una spiegazione ma Paolo, pur avendo incrociato il suo sguardo, non dice nulla. Elena è dispiaciuta per questa sua risposta e lancia uno sguardo fulminante al fratello, ritenendolo colpevole della decisione di Paolo. 
 
-Come vuoi. Tanto ci rivedremo presto, no?
 
Chiede Elena. Stefano è sicuro che stia alludendo al pranzo di Natale e al sol pensiero il suo cuore inizia a spingere forte nel petto, quasi volesse uscire. La guarda con occhi spalancati, cercando di trasmetterle la sua angoscia ma lei semplicemente lo ignora.
 
-Presto o tardi, comunque ci rivedremo.
 
Risponde Paolo con diplomazia. Dopodiché si avvicina a Stefano. 
 
-Scrivimi quando torni a casa. 
 
Stefano annuisce e Paolo si avvicina a lui, dandogli un bacio sul capo. Stefano si paralizza mentre vede Elena, con la coda dell’occhio, sorridere compiaciuta. Dopo averla salutata di nuovo se ne va, lasciando soli due fratelli.
 
-Non ti prendo a sberle perché sei in ospedale ma che sei un coglione te lo devo proprio dire!
 
Lo rimprovera Elena, sporgendosi prima dalla porta per verificare che Paolo se ne sia effettivamente andato. Stefano sospira.
 
-Lo so. 
 
Ammette lui, non potendo fare a meno di concordare con la sorella. 
 
-L’hai mandato via, te ne sei reso conto?
 
Insiste Elena, aumentando il già forte senso di colpa avvertito da Stefano. 
 
-Ele, sto già abbastanza di merda, non ti ci mettere anche tu.
 
Le chiede, supplicante. Elena lo scruta per un secondo, fa una smorfia e poi si siede sul letto accanto a lui, nello stesso punto in cui era seduto Paolo prima che lei arrivasse. L’espressione sul suo viso si fa più seria e anche il tono di voce cambia.
 
-Seriamente parlando: davvero hai avuto di nuovo un attacco di panico?
 
Domanda, preoccupata. Stefano annuisce.
 
-Non ne ho la certezza ma i sintomi sono quelli. Come quella volta in metro, quando c’eri tu, che sono svenuto sulla panchina. 
 
Spiega, riportando alla mente quell’episodio di cui anche Elena pare ricordarsi molto bene. Lei non riesce però a spiegarsi il motivo di questo nuovo episodio, scuote il capo e lo osserva perplessa.
 
-Ma perché adesso? Adesso che sei sereno! Hai appena acquistato la casa che desideravi da tempo, sei sempre impegnato con le tue partite, il tuo amato Milan sta andando bene e poi… hai lui, cazzo! Ma ti sei accorto di come ti guarda? Nemmeno mio marito mi guarda così, nonostante sappia con certezza che darebbe l’anima per me!
 
Esclama, prendendogli le gambe e scuotendolo, quasi volesse farlo riprendere e fargli acquistare un po’ di senno. 
 
-Quando hai detto: “ora che stai con mio fratello” ti avrei uccisa. 
 
La rimprovera Stefano, borbottando. Elena fa una smorfia di sdegno.
 
-E cosa avrei detto di così scandaloso, secondo te? 
 
Domanda, non avendo colto il problema del fratello. Stefano sospira.
 
-Credo che abbia deciso di andar via anche per quello: si è spaventato. Non vedi che non ha detto nulla?
 
Elena reagisce bruscamente a questa affermazione, spalanca gli occhi e inarca le sopracciglia. Anche il suo tono di voce si fa più acuto.
 
-Che cosa?! Non ha detto nulla perché è corso a vedere te! Mi stai dicendo che la colpa è mia? Non tua che gli ha detto esplicitamente di andare via, perché non ti serviva più! Ma sei impazzito, Stefano? 
 
Stefano si rende conto di aver detto una cosa sciocca e insensata, abbassa lo sguardo e non risponde alla sorella. Questa però non è soddisfatta e continua ad istigarlo.
 
-No, scusa, dimmi davvero quale problema c’è nel dire che stai con lui. Ma in quanti farebbero la firma per poter dire lo stesso, di uno così? Ma ti ascolti quando parli?
 
Stefano questa volta decide di parlare, in propria di difesa. La tecnica del silenzio con Elena non ha mai funzionato, sa che lei continuerà a provocarlo finché non cederà, tanto vale parlare subito.
 
-Non ci sarebbe nulla di male se fosse vero. Ma non è così, te l’ho detto ieri mattina! Non so in che situazione siamo io e lui. Ogni passo che faccio è come se camminassi sulle uova… 
 
Confessa, sconfortato. 
 
-Non mi dire che ti sei fatto venire un attacco di panico per questa cosa? 
 
Stefano cerca di ribattere ma Elena non gliene dà modo, infatti si scalda ancora di più, al punto da doversi alzare dal letto. La vede agitata, andare avanti e indietro scuotendo il capo in segno di disapprovazione.
 
-No, Stefano, tu stai scherzando! Hai trentadue anni, non tredici! Hai dei dubbi? Chiedi, cazzo, chiedi! Anche se francamente mi pare abbastanza ovvia la vostra situazione… cosa temi possa succedere se gli chiedi dei chiarimenti?
 
Domanda, tutto d’un fiato. Stefano cerca di farsi coraggio prima di rispondere alla sorella. Tutta quella situazione lo sta facendo agitare di nuovo e teme di rischiare un ulteriore attacco di panico, a breve. 
 
-Temo che lui mi dica che non siamo nulla. Temo che si spaventi del fatto che voglia etichettare a tutti i costi il nostro rapporto, che si allontani da me, che capisca che sono fragile e insicuro e che non mi trovi più così interessante… temo di perderlo per sempre. 
 
Elena, sentite quelle parole cambia repentinamente il suo atteggiamento. Torna sul letto di Stefano e gli prende le mani. 
 
-Ti sei innamorato! 
 
Stefano distoglie lo sguardo da lei, girando gli occhi a destra e sinistra lungo la stanza, senza confermare nulla a sua sorella. Si stringe nella felpa di Paolo, ricordandosi di averla ancora addosso, annusando quel poco del suo profumo ancora rimasto su di essa.
 
-A maggior ragione, devi chiarire le cose con lui. 
 
Suggerisce Elena, questa volta con tono calmo e rassicurante. Stefano fa un lieve cenno di assenso col capo, non aggiungendo altro. 
 
 
Dopo aver ricevuto gli esiti degli esami del sangue, Stefano può rientrare a casa con la raccomandazione di tenersi controllato e di effettuare ulteriori accertamenti nelle settimane successive. Elena lo accompagna fino in casa.
 
-Sei sicuro di voler restare da solo? Da noi c’è posto, puoi stare quanto vuoi.
 
Gli chiede, per la decima volta. Stefano sbuffa.
 
-Sì, Ele. Sto bene, non vedi? Mi farò una doccia e poi andrò a dormire.
 
Ripete. Elena scuote il capo con disappunto. 
 
-Mi raccomando: ricordati di cenare! 
 
Stefano porta gli occhi al cielo, quando lo rimprovera Elena ha tutto l’aspetto di loro madre. 
 
-E senti Paolo. Fallo! Non fare il cretino. 
 
Aggiunge, con tono minaccioso. 
 
-Ti ho già detto di sì, Ele. Vai a casa, hai la tua famiglia che ti aspetta. Hai già fatto fin troppo per me, posso cavarmela da solo.
 
La invita, posandole una mano sulla spalla. 
 
-Perché, tu che cosa sei? Non fai parte anche tu della mia famiglia?
 
Lo rimprovera lei, infastidita. 
 
-Ele, vai. Hai Ricky e Roby che ti aspettano e sei in piedi da troppe ore, nelle tue condizioni non è consigliabile. 
 
Suggerisce Stefano. Il suo suggerimento non ben accolto da Elena che storce il naso e alza ulteriormente il tono di voce.
 
-Le mie condizioni? Guarda, bello, che tra me e te la fighetta sei tu! 
 
Ribatte, con convinzione. Stefano sorride, divertito dalla sua reazione. Sa bene che Elena non accetta che la si ritenga fragile. 
 
-Senza dubbio! Vai, dai. Ci sentiamo più tardi, ok?
 
Replica Stefano. Questa volta Elena si lascia convincere e lo lascia solo. Stefano immediatamente ne approfitta per salire al piano superiore e lavarsi. Si sente ancora addosso il sudore, la sporcizia del campo da calcio e la stanchezza dell’intera giornata. Lascia che il vapore e il calore lo avvolgano completamente e si concede una doccia lunga, senza tenere conto del tempo. 
Uscito dalla doccia raccoglie gli indumenti sporchi gettati sul pavimento, tra questi anche la felpa di Paolo. La prende e se la fa passare tra le dita, cercando ancora una minima traccia del suo profumo ma non sente nulla. La tiene comunque in mano per qualche istante, ripensando a Paolo e al modo con il quale l’ha mandato via in ospedale. Si sente un ingrato, dal momento che Paolo non ha fatto altro che preoccuparsi per lui, lasciando la partita per seguirlo in ambulanza, preoccupandosi di recuperare le sue cose e rimanendo con lui fino all’arrivo di Elena. Probabilmente sarebbe rimasto con loro fino alle dimissioni, se lui non l’avesse mandato via. 
 
“Quanto sono stupido!”
 
Pensa, con vergogna. Dopodiché piega la felpa di Paolo e la mette nel cesto dei panni sporchi, per lavarla prima di restituirgliela. 
Indossa gli abiti da casa e scende in cucina dove mette a bollire sul fuoco una pentola con un po’ di brodo vegetale, per prepararsi della pastina. Solo dopo aver deciso cosa mangiare per cena, si chiede se effettivamente in dispensa sia rimasta della pastina, apre lo stipetto nel quale conserva la pasta e si mette a cercare. Rigatoni, fusilli, mezze penne… tutti i formati di pasta corta aperti o ancora da aprire ma non un solo pacchetto di pastina. Spostando una scatola di pelati in lattina, nota però una bustina aperta e un po’ accartocciata, chiusa per metà con una molletta chiudi pacco arancione. Allunga la mano e nota che si tratta proprio di pastina, sono delle stelline. Avverte un tuffo al cuore.
 
“La pastina preferita da Paolo.”
 
Pensa, lasciandosi sfuggire il pacchetto dalle dita. La busta si rovescia sul pavimento, riversandovi tutto il suo contenuto. Stefano, preso dallo sconforto e dalla rabbia, calcia lontano il pacchetto e getta il brodo nel lavandino, sostituendolo con dell’acqua fresca. Non avendo altre alternative, decide di preparare una semplice pasta in bianco. Dopodiché raccoglie la pastina caduta e la getta nel secchio dell’immondizia.
Si siede su di uno sgabello dell’isola attendendo che l’acqua giunga a ebollizione e, osservando il cellulare, pensa che dovrebbe proprio scrivere a Paolo, come anche Elena gli ha più volte raccomandato. Non controlla il cellulare da diverse ore, da quando l’ha usato per telefonare a sua sorella in ospedale. Prima di scrivere a Paolo controlla altri eventuali messaggi e notifiche. Fa scorrere velocemente le email e apre WhatsApp. Il gruppo della squadra di calcetto è inondato da messaggi e fotografie. Scorrendo la conversazione, Stefano scopre con piacere che la squadra ha, effettivamente, vinto la partita. L’incontro è terminato 3 a 0, il terzo goal è stato segnato da Martin, a pochi minuti dalla fine. La squadra, come concordato, si è trovata dopo la partita per un’apericena al Bar Sport. Stefano scorre le foto: gli unici assenti sono lui e Paolo. 
Si rattrista per il fatto non aver potuto partecipare alla partita e alla festa con i suoi compagni di squadra. Da anni non ottenevano un punteggio così alto in classifica già nella prima metà di campionato e avrebbe voluto gioire con i compagni e festeggiare insieme, dopo anni di pareggi, sconfitte e delusioni. Inoltre, si sente in colpa per aver privato anche Paolo di quell’occasione.
Riflette e rimugina sul fatto che quel weekend avrebbe potuto essere perfetto, se solo non si fosse fatto frenare come sempre dalla paura e si fosse deciso a lasciarsi andare. Se solo avesse avuto il coraggio di invitare Paolo a Natale, anche solo accennargli qualcosa, la conversazione tra loro non si sarebbe arenata, il rapporto che fino a quel momento era stato un’esplosione di emozioni forti non si sarebbe raffreddato e molto probabilmente non avrebbe avuto nemmeno quella fastidiosa crisi di panico. 
Sospira. Deve farsi coraggio e scrivere a Paolo. Ci impiega diversi minuti prima di avere la forza di aprire la conversazione e iniziare a scrivere davvero qualcosa. Dopo aver scritto e cancellato diverse volte, opta per un messaggio semplice ed essenziale.
 
“Sono a casa.”
 
Invia e chiude subito la conversazione, bloccando il telefono. A sua sorpresa Paolo non risponde al messaggio ma lo chiama, subito, in pochi secondi. Stefano esita per un attimo, l’indice gli trema mentre si posa sullo schermo per accettare la telefonata. 
 
-Pronto…?
 
Si sforza per trovare la voce. 
 
-Ehi… ti senti meglio?
 
Domanda Paolo. Il suo tono di voce è, come sempre, caldo e rassicurante. Al telefono risulta anche più profondo.
 
-Sì, sto preparando un po’ di pasta per cena.
 
Risponde.
 
-Bene. Ti hanno detto qualcosa in ospedale?
 
Chiede Paolo, con fermezza. 
 
-Nulla di che. Devo solo fare qualche controllo per verificare che sia tutto a posto. Ma non ho nulla, è stata solo… una piccola crisi. 
 
Lo rassicura. Mentre parla al telefono con Paolo tamburella sul pianale dell’isola con le dita. La conversazione sembra tranquilla ma teme che a breve i toni possano cambiare. Decide di introdurre un altro argomento, sperando di mantenere un tono rilassato.
 
-Ho visto che abbiamo vinto la partita! Che peccato non esserci stati… alla fine abbiamo vinto grazie a te, te lo meritavi.
 
Esclama. Paolo non risponde subito e Stefano, temendo di aver detto qualcosa di sbagliato, cerca di correggersi.
 
-Scusami per averti costretto a una giornata in ospedale, sarebbe stata una bella giornata. Anzi grazie anche per la felpa, la lavo e poi te la restituisco quando…
 
Questa volta viene interrotto da Paolo, che non gli dà il tempo di concludere la frase.
 
-Basta, Stefano.
 
Lo ferma. La mano di Stefano sul bancone si blocca, il suo cuore ha un sussulto. Rimane in silenzio e aspetta che Paolo riprenda a parlare.
 
-Mi spiace che tu mi ritenga così egocentrico da credere che a me freghi veramente qualcosa di una partita di calcio. Che pensi che io sarei andato avanti a giocare serenamente in campo vedendo te in quello stato, giusto per farmi dire che sono bravo, per ricevere l’ennesimo complimento vuoto che non porta a nulla. 
 
Da quelle parole, Stefano capisce di aver ferito davvero Paolo. Il suo tono di voce è serio e inflessibile.
 
-Mi spiace anche che tu abbia voluto far venire Elena per stare con te, quando c’ero già io e ti assicuro che non me ne sarei andato, se non me l’avessi chiesto tu. 
 
Stefano inizia a tremare. Deve ribattere, deve cercare di sistemare le cose.
 
-Non volevo che disturbassi per me, non volevo mandarti via.
 
Cerca di spiegare. 
 
-Disturbarmi? Che persona credi che io sia? Non riesci proprio a rinunciare a quell’idea che ti sei fatto di me… 
 
Afferma, con tono sorpreso. Stefano non ha nemmeno il tempo per rispondergli, Paolo di nuovo riprende a parlare.
 
-Io vorrei davvero capire cosa ti passa per la testa. Ti giuro, sei un mistero per me. Per quanto cerchi di osservarti, di capire dalle tue azioni cosa stai pensando… a volte non ci riesco! So di essere stato io la causa della tua crisi, mi è chiaro. Tuttavia non ho capito cosa possa averti detto o fatto.
 
Stefano si sente di nuovo soffocare, quel nodo in gola che ha avvertito quel pomeriggio durante la partita si sta facendo di nuovo prepotentemente spazio. Deglutisce e cerca di replicare.
 
-No, Paolo. Non sei tu… 
 
“Sono io”, vorrebbe dire. Non ci riesce, le parole gli muoiono in gola, prima che possa pronunciarle.  
 
-Hai totalmente cambiato atteggiamento nei miei confronti da dopo il brunch. Ho provato e riprovato a ripercorrere e a ripensare a tutto quello che è successo… ma non ho trovato nulla. So che tu non mi dirai nulla, perché sei fatto così. So di doverci arrivare da solo e, onestamente, non ci riesco.
 
Confessa, sconfortato. Lo sente sospirare rumorosamente all’altro capo del telefono.
 
-Non è una conversazione che avrei voluto fare al telefono ma non mi piace lasciare le cose in sospeso.
 
Fa una breve pausa, poi riprende a parlare.
 
-E anche quello che ti sto per dire, davvero, non so come dirtelo.
 
Quelle parole allarmano Stefano, in primis per il tono grave con le quali le pronuncia e poi perché generalmente parole del genere non preannunciano mai qualcosa di buono.  
 
-Domani dopo pranzo partirò per Firenze. Starò via fino a mercoledì e poi andrò a Roma, per un altro incontro. Ne approfitterò per trascorrere lì anche il Natale. Avrei voluto vederti domani per pranzare insieme prima di partire ma… non credo sia il caso. Credo che questa mia nuova partenza potrebbe essere un’occasione per entrambi per schiarirci le idee. 
 
Il timore di Stefano non era infondato. Apre la bocca per replicare in qualche modo ma ciò che esce non sono parole ma un singhiozzo, che cerca immediatamente di reprimere, portandosi una mano alla bocca. 
 
-Ok… 
 
Riesce a dire, a fatica. Continuando a comprimere i muscoli facciali per evitare di scoppiare in una crisi di pianto, al telefono con Paolo. 
 
-Ovviamente non sto dicendo che non ci dovremo scrivere o sentire, perché io di sicuro lo farò. Vorrei che lo facessi anche tu, se ne sentirai il desiderio. 
 
Aggiunge, concludendo il discorso e aspettandosi sicuramente una reazione da parte di Stefano. 
 
-Va bene.
 
Commenta Stefano, cercando di non lasciar trasparire dalle sue parole alcuna emozione. In realtà, non va bene per niente e dentro di sé si sente morire. Tutto ciò che temeva sarebbe potuto accadere e per il quale ha cercato di agire con attenzione, evitando qualsiasi mossa azzardata, evitando di dire anche la benché minima cosa che, secondo la sua testa, avrebbe potuto creare conflitti, è accaduto comunque. 
 
-Quindi volevi questo? 
 
Chiede conferma Paolo. Stefano non dice nulla e scuote il capo, pur sapendo che Paolo non sia in grado di vederlo, stando al telefono. 
 
-D’accordo. Se le cose stanno così… buonanotte, Stefano.
 
Lo saluta. Stefano non ha nemmeno il tempo di replicare, poiché Paolo chiude immediatamente la telefonata. Per la prima volta da quando si conoscono, ha riattaccato il telefono. 
Stefano non è più in grado di trattenersi e scoppia a piangere. Osserva il telefono con le lacrime agli occhi, con la vista appannata. Si rifiuta di credere che quella telefona sia stata reale, che sia accaduta veramente.
Nel frattempo l’acqua della pasta ha continuato a bollire ed è evaporata fino a dimezzarsi. Stefano, tuttavia, non ha più intenzione di mangiare. Spegne il fornello, spegne le luci e si getta sul divano in salotto al buio, senza avere la forza di fare altro.  
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Ciao a tutti! Come avrete notato l'aggiornamento è passato da settimanale a quindicinale. Purtroppo il lavoro al momento mi lascia davvero poco tempo libero per fare altro. Pertanto, vi do appuntamento tra due settimane, rinnovando il mio invito a lasciarmi in feeback, come commento o privatamente. A presto!

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Capitolo 25
*** Dieci ***


Il giorno seguente, Stefano si presenta al lavoro in pessimo stato. Gli antinfiammatori somministrati in ospedale hanno terminato il loro effetto e sente dolore lungo tutta la parte destra del suo corpo, quella sulla quale si è accasciato svenendo. Non ha nemmeno avuto la forza di rimuovere il cerotto sulla faccia, perché il solo gesto di sfiorare lo zigomo gli ha provocato brividi lungo la schiena. 
Ripensandoci, mentre è seduto sulla metro in modo totalmente scomposto, avrebbe fatto bene a restare a casa. Un giorno di riposo non sarebbe stato poi così male, considerato che durante la notte non è riuscito a chiudere occhio. Si è addormentato sul divano, la sera prima, stremato dopo aver passato ore a ripensare alla telefonata con Paolo e a quel suo tono di voce freddo e distaccato, che mai fino ad allora aveva avuto nei suoi confronti. 
Ha deciso di presentarsi al lavoro, poiché temeva che se fosse rimasto a casa non avrebbe fatto altro se non torturarsi pensando a Paolo, ma non ha considerato che in ufficio si troverà fianco a fianco con Alberto, con il quale non parla da venerdì sera. Si lascia cadere mollemente sul seggiolino della metropolitana, il primo della fila, appoggiando il lato del corpo non dolente sulle sbarre laterali di contenimento. Solitamente in metro riceve un messaggio di buongiorno da parte di Paolo ma è certo che quel giorno non accadrà. Potrebbe fare lui la prima mossa e scrivergli, dopotutto Paolo gli ha espressamente detto di farsi sentire, qualora ne avesse avuto la necessità.
 
Ovviamente non lo farà, non farà nulla.
 
Rimane in stato catatonico per tutta la durata del viaggio finché, alla stazione di arrivo, scende, balzando come una molla dal proprio posto, rischiando di cadere faccia a terra sul pavimento della metropolitana, poiché si era dimenticato della parte del corpo sofferente. 
È molto presto e in ufficio non è ancora arrivato nessuno, nemmeno Alberto. Stefano sistema le sue cose: appende il cappotto all’appendiabiti, accende il pc e posa sul tavolino della stampante il contenitore del pranzo che si è preparato velocemente poco prima di uscire, una misera porzione di pasta in bianco con qualche pomodorino e dei cubetti di feta. Non vedrà Paolo a pranzo quel giorno, dopo una settimana passata a vederlo costantemente, a mangiare insieme e stare insieme. Ora come ora, quei momenti sembrano solo un lontano ricordo e Stefano si sente sciocco anche solo a pensarlo. 
Si siede alla propria scrivania e osservando fuori dalla finestra riflette sul fatto che Paolo in realtà sia così vicino a lui in quel momento. Si trova nel palazzo adiacente a nemmeno cinquecento metri di distanza da lui. Non partirà fino a dopo pranzo, perciò sarà certamente in ufficio ora. Basterebbe uscire e raggiungerlo. Stefano mentalmente pensa a come potrebbe fare: approfitterebbe della pausa caffè per uscire, andare alla Vince, presentarsi alla reception e chiedere di lui, chiedere di poter parlare con lui urgentemente. Paolo arriverebbe con uno dei suoi eleganti completo da lavoro, in tutta la sua bellezza e la sua eleganza e inizierebbe a scrutarlo con quei suoi profondi occhi celesti, per comprendere, prima che lui apra bocca, quale sia il motivo della sua visita. Allora Stefano confesserebbe tutto, anche davanti agli altri impiegati, le guardie di sicurezza e gli addetti alla reception. Direbbe a Paolo che non voleva trattarlo in quel modo, si scuserebbe per il suo essere vigliacco e gli confesserebbe una volta per tutte di essersi innamorato di lui, di essere così legato a lui al punto di temere di fare qualsiasi cosa nel timore di vederlo andare via. 
Deglutisce rumorosamente, cercando di non farsi prendere dall’emozione e distoglie lo sguardo dalla finestra, cercando di cancellare quel fiume di pensieri che ha iniziato a riversarsi nel suo cervello.
Girandosi si accorge che è arrivato Alberto, si sta sedendo alla scrivania e ha appena acceso il pc. Perso com’era nei propri pensieri, non si era accorto del suo arrivo.
 
-Ciao.
 
Lo saluta, con non poco timore. Alberto gli rivolge solo una rapida occhiata e ricambia il saluto, senza astio ma senza particolare interesse nei suoi confronti.
Entrambi iniziano a lavorare, Stefano riesce per circa un’ora e mezza a distrarsi, rimanendo concentrato sul proprio lavoro e non permettendo quindi alla sua mente di vagare e generare altri pensieri dolorosi. 
Si alza per recuperare un foglio appena stampato e involontariamente urta la sedia di Alberto, gli chiede immediatamente scusa. Alberto pare non badare al suo gesto ma istintivamente si gira verso di lui. Lo guarda bene in viso, essendosi accorto solo ora del cerotto sul suo viso, avendo rivolto verso di lui fino a quel momento solo il lato sano. Stefano cerca di non notare l’insistenza e la curiosità nei suoi occhi. Recupera il documento e ritorna al suo posto. Quando crede ormai che Alberto abbia deciso di rimanere in silenzio, viene sorpreso. 
 
-Ha trovato un altro modo per marchiarti, il tuo biondo? Gli hai dato il mio suggerimento?
 
Chiede, con malcelato disprezzo, noncurante del fatto che le persone nei cubicoli adiacenti possano aver ascoltato la sua affermazione e possano essersi poste delle domande. Stefano si limita a scuotere il capo.
 
-È stato il calcetto.
 
Risponde, sintetico, continuando a fissare lo schermo del pc e facendo il possibile per non farsi distrarre. Alberto, al contrario, gira la sedia verso di lui e continua a guardarlo. Lo fissa con un’intensità tale al punto di rendergli difficile proseguire il proprio lavoro.
 
-Come è successo?
 
Domanda, con tono totalmente diverso e con una nota di preoccupazione. Stefano decide di sminuire la faccenda, facendo spallucce. 
 
-Sono caduto, niente di che. 
 
Risponde, facendo il possibile per rimanere concentrato. Alberto rimane a fissarlo per un altro po’, dopodiché, avendo compreso che non aggiungerà altro, ritorna a svolgere il proprio lavoro.
Circa mezz’ora più tardi si gira nuovamente verso di lui.
 
-Caffè?
 
Domanda, facendo sobbalzare Stefano sulla sedia. In quel momento era concentrato nell’incolonnamento di un dato in una tabella Excel e non si aspettava di essere interrotto. 
 
-No, devo finire qui. Tu vai pure. 
 
Risponde, facendogli cenno di andare con la mano, tenendo sempre gli occhi fissi sul monitor. Alberto si alza e lo afferra per l’avambraccio.
 
-Muoviti. 
 
Gli ordina, alzandolo per il braccio e sollevandolo dalla sedia. Stefano gli rivolge uno sguardo infastidito che Alberto ignora totalmente, continuando a stringere il suo braccio e cercando di spostarlo dalla sedia. Alla fine si arrende, si alza e riesce a liberarsi dalla presa di Alberto, che inizia ad avviarsi verso la zona ristoro.
Una volta ordinate le bevande, i due si siedono insieme al tavolo.
 
-Quindi non è il risultato di un giochino finito male?
 
Domanda Alberto, mescolando la montagna di zucchero nel suo mokaccino. Stefano sospira, alza appena lo sguardo dal tavolo per rispondergli.
 
-No, te l’ho detto prima. Sono caduto in campo e ho picchiato questo lato del corpo. Può succedere.
 
Risponde, lasciandosi sfuggire una smorfia di dolore, che Alberto coglie all’istante.
 
-E lui dov’era in tutto questo? Sai, da come si prodiga nei tuoi confronti mi aspetterei che ti avesse raccolto da terra in braccio come una principessa. 
 
Ribatte, con il suo solito sarcasmo. Stefano non è in vena di ascoltare le sue chiacchiere, gli rivolge una smorfia e risponde seccato. 
 
-Piantala. 
 
Esclama. Alberto pare sorpreso dalla sua reazione brusca, inarca le sopracciglia in segno di stupore.
 
-È successo qualcosa con lui, per caso?
 
Domanda, praticamente certo della risposta. Stefano, tuttavia, non dice nulla. In un sorso beve ciò che rimane del caffè e si alza dal tavolo per andare a gettare il bicchierino nel cestino dell’immondizia. Alberto, vedendoselo passare accanto, lo afferra subito, trattenendolo per il polso. Non si accorge però che si tratta proprio del polso destro e Stefano si lamenta per il dolore.
 
-Ahi! Mi fai male! Ma sei impazzito, stamattina?
 
Esclama Stefano, con risentimento. Alberto allenta la presa sul suo polso, senza lasciarlo andare. Si alza, arrivando ad essere a pochi centimetri da Stefano.
 
-Scusa. Ora dimmi cosa ti ha fatto. 
 
Gli intima, ormai sicuro di aver intuito qualcosa. Stefano scuote il capo. 
 
-Non prendermi per il culo. Sei stravolto, malconcio, non parli e hai l’espressione di uno che ha un morto in casa. Dimmi cosa ti ha fatto, se non vuoi che vada io di persona a chiederglielo. 
 
Le sue parole hanno quasi il tono di una minaccia, le pronuncia duramente e tutte d’un fiato, senza distogliere gli occhi da Stefano, che a stento riesce a sostenere il suo sguardo.
-Perché deve essere proprio lui il motivo? Non pensi che voglia evitarti dopo lo show che hai fatto venerdì sera?
 
Risponde, cercando di cambiare argomento. Alberto non si lascia ingannare dalle sue parole.
 
-No. Mi conosci, mi conoscete tutti. Per me tutto quanto era passato già il mattino dopo, non è la prima volta che ci scorniamo io e te e Giulio era a casa mia, ieri sera. Dimmelo o giuro che prendo l’ascensore e mi presento davanti a sua altezza, senza se e senza ma.
 
Ribatte, con ferocia. Stefano, che inizia a sentirsi gli occhi di tutto l’ufficio addosso, decide di rispondere.
 
-Siamo… come dire… in pausa. 
 
Alberto fa per aprire bocca ma Stefano lo precede.
 
-No, ascolta. Non è stata colpa sua ma mia, ci sono stati diversi fraintendimenti. Parole non dette da parte mia e… basta. 
 
Alberto lo lascia andare. Rimane per un istante in silenzio. Stefano ne approfitta per raccontagli in modo più chiaro come stanno le cose. Alberto non aggiunge nulla, ascolta il suo racconto senza intromettersi e senza commentare. Dopo aver sentito tutto quanto, ritornano in ufficio a lavorare.
Entrambi rimangono concentrati sulle rispettive postazioni, senza rivolgersi una parola. Tuttavia Alberto appare pensieroso e Stefano sospetta che la loro conversazione non si sia esaurita, ancora.
Infatti, approfittando dell’ufficio vuoto in occasione della pausa pranzo, torna a rivolgersi a lui.
 
-Ne va a mio discapito, lo so. Però… per quello che ho capito io, lui è onesto nei tuoi confronti. 
 
Esclama, di punto in bianco. Stefano per un attivo non si lascia sfuggire la forchetta che sta utilizzando per pranzare. 
 
-È un borioso e presuntuoso stronzo ma ha intenzioni serie.
 
Aggiunge, tenendo lo sguardo basso e giocherellando con i pomodori dell’insalata nel proprio contenitore di cibo. 
 
-Ti sta sempre più simpatico, eh? E dire che credevo ti fosse piaciuto, la prima volta che l’hai visto.
 
Commenta Stefano. Alberto non risponde subito e fa spallucce.
 
-In circostanze diverse, forse, mi starebbe anche simpatico. 
 
Ammette. Dopodiché riprende a parlare. 
 
-Poi tu puoi fare come credi. Se ritieni di doverlo lasciare stare, allora basta. Chiudila lì e non pensarci più. Io ti posso solo dire che vedendoti, è chiaro che non tu non voglia lasciarlo perdere. Quindi basta cazzate! Trova un modo per rimediare e digli chiaramente come stanno le cose, non ne rimarrai deluso… fidati di me.
Le parole di Alberto colpiscono profondamente Stefano. Ancora una volta ha la conferma di quanto sia profonda l’amicizia che li lega, al punto che Alberto pur di vederlo star bene si ritrovi costretto a difendere Paolo e le sue intenzioni. Quando la cosa più semplice e più conveniente per lui sarebbe dire a Stefano di fidarsi del proprio istinto e di dimenticarsi di Paolo. 
 
-Lo sai che io mi fido ciecamente di te, è proprio il fatto di non avere i tuoi consigli che mi fa sentire perso.
 
Confessa Stefano. Alberto sorride, un sorriso parzialmente malinconico ma persistente. 
 
-E fai bene a fidarti! Anche perché, e questa cosa non te l’avrei voluta dire, sono stato estremamente chiaro nei suoi confronti. 
 
Afferma, incuriosendo Stefano che gli rivolge uno sguardo confuso, chiedendogli implicitamente di spiegarsi. Alberto si mette meglio a sedere sulla propria sedia, posa la forchetta e il contenitore del pranzo sul tavolo.
 
-Quando l’ho invitato alla mia festa di compleanno gli ho detto che se avesse dimostrato intenzioni poco chiare nei tuoi confronti, gli avrei spaccato quella bella faccia che si ritrova, senza pensarci per un secondo. 
 
Confessa. Stefano è sbalordito dalla sua confessione, rimane letteralmente a bocca aperta. Sa bene quanto Alberto sia diretto ma non credeva si fosse posto in quel modo nei confronti di Paolo. 
 
-E lui cosa ha risposto?
 
Domanda, timoroso. Alberto porta lo sguardo al cielo e sospira.
 
-Cosa pensi possa avermi risposto il tuo adorato principe delle fiabe? 
 
Fa una breve pausa, una smorfia di disgusto e poi riprende a parlare.
 
-Mi ha detto che non si sarebbe aspettato un trattamento diverso e che se mai si fosse dimostrato scorretto se lo sarebbe solo meritato. 
 
Spiega. Stefano rimane in silenzio, lasciandosi sfuggire un sorriso. Entrambi riprendono a mangiare il proprio pranzo, senza più scambiarsi una parola. Il primo a parlare è di nuovo Alberto, alzandosi per andare al cestino a buttare un tovagliolo di carta con il quale ha pulito le posate, appoggia una mano sulla spalla di Stefano. 
 
-Non ascoltare tutte le cazzate che dico, tutte le scenate che faccio. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, vieni da me e basta. Ora basta con tutto questo sentimentalismo smielato, che inizia a venirmi la nausea.

 
 ***
 Mercoledì sera, Stefano non partecipa alla serata giochi con i suoi amici, per poter essere presente alla cena natalizia della squadra che si tiene come di consueto al Bar Sport.
Mentre cammina a piedi per raggiungere il locale, pensa che nemmeno in quell’occasione ci sarà Paolo, il quale è risultato assente alla maggior parte degli incontri extra-calcistici della squadra. Non l’ha più sentito da domenica sera e ha solo ricevuto una sua foto, scattata di fronte alla Cattedrale di Firenze, il giorno precedente. Da dopo la conversazione con Alberto, ha riflettuto più volte su come comportarsi con Paolo per poter sistemare le cose tra loro. Ha provato a scrivere e poi cancellare diversi messaggi, ha scattato alcune foto, sempre cancellate. Ha persino valutato l’idea di telefonargli la sera prima, rimanendo per circa una decina di minuti sulla rubrica del telefono con il suo nome selezionato, senza avere mai coraggio di premere il tasto “chiama”. In ultimo ha deciso di affrontarlo al suo ritorno, dopo Natale. Mancano tuttavia diversi giorni e non crede di poter aspettare per molto. 
Esita per un istante prima di entrare al bar, cercando di sfoggiare il suo sorriso migliore e non rattristare nessuno con il suo stato d’animo. 
Al suo arrivo tutti lo accolgono con gioia, non avendolo più visto dal giorno della partita. Diego e Giacomo lo invitano a sedersi vicino a loro, nel posto che gli è stato riservato. Il mister si avvicina per chiedergli se sia tutto a posto, dopodiché iniziano ad arrivare i primi boccali di birra e gli antipasti. Il menù della cena di Natale è sempre lo stesso: antipasti a base di salumi e formaggi accompagnati da gnocco fritto e pizza alta al trancio, un primo di lasagne alla bolognese e un secondo composto da una grigliata mista, posizionata su vassoi in più parti del tavolo dal quale ognuno può servirsi a sazietà, il tutto accompagnato da birra o da vino, per chi lo preferisce. Stefano quella sera si limita a bere un boccale di birra media, non ha intenzione di esagerare e preferisce godersi la serata in compagnia. 
Osservando la dose massiccia di carne e derivati arrivare quasi senza sosta al tavolo, non può fare a meno di pensare a come tutto ciò sarebbe stato gradito da Paolo, se fosse stato presente. Prende una costina di maiale dal piatto e inizia a mangiarla, partecipando passivamente alla conversazione dei compagni di squadra accanto a lui. Per quanto si sforzi, non riesce a concentrarsi sulla serata e ogni pensiero finisce immediatamente su Paolo, peraltro continuamente nominato ed elogiato dai compagni. 
 
-Quindi Paolo è via fino al 26?
 
Domanda Giacomo, rivolgendosi proprio a Stefano. Questi in un primo momento non è sicuro che stia parlando con lui e pensa che sia una domanda generica per chiunque voglia rispondere, dal momento che Paolo ha scritto nel gruppo di WhatsApp della squadra che non ci sarebbe stato, spiegandone il motivo. Vedendo gli occhi di Giacomo fissi su di lui, tuttavia, non può far altro che rispondere. Si limita a un distratto “sì”, sperando erroneamente che non voglia sapere altro. 
 
-Credevo avreste trascorso insieme il Natale. 
 
Esclama, nuovamente, sorprendendo Stefano. 
 
-Come?
 
Chiede, non certo di aver capito. Giacomo lo guarda sbalordito, come se gli avesse appena chiesto la cosa più ovvia del mondo. 
 
-Mi sembrate molto legati tu e lui, per quello ho pensato così… 
 
Stefano scuote il capo e non aggiunge altro alla sua affermazione. Diego nel frattempo, accanto a lui, continua a fissarlo. Stanco di avere gli occhi puntati addosso decide di affrontarlo.
 
-Ho qualcosa in faccia per caso? È da quando mi sono seduto che mi fissi!
 
Chiede. Diego scuote il capo e si avvicina di più a lui, abbassando il tono di voce.
 
-Speravo volessi smetterla di far finta di nulla. Ormai credo che sia palese a tutti come stanno le cose… 
 
Esclama. Il cuore di Stefano inizia a battere forte, spera davvero che Diego non intenta ciò che sospetta. 
 
-E cioè?
 
Chiede, quasi con voce tremante. 
 
-Ti assicuro che io non ho detto niente. Mi sono tenuto le mie opinioni tutte per me ma… dopo quello che è successo domenica, penso che tutti ci siano arrivati. 
 
Spiega. Stefano corruccia la fronte, a parte il suo svenimento in campo non ha idea di cosa possa essere accaduto. A rispondere è Giacomo che pare aver ascoltato la discussione tra lui e Diego. 
 
-Quando sei svenuto, Paolo è stato il primo a correre verso di te. Ha mollato il pallone senza pensarci un attimo, come se ti avesse tenuto d’occhio per tutto il tempo. Quando eri svenuto per terra lui era seduto in ginocchio accanto a te, insieme al paramedico del 118 e non ha fatto altro che accarezzarti il viso e tenerti la mano, non te l’ha lasciata neanche per un attimo. 
 
Si ferma e riprende Diego il discorso.
 
-Il mister voleva accompagnarti sull’ambulanza perché non ti stavi riprendendo ma Paolo ha insistito dicendo che si sarebbe sentito più sereno nel venire lui con te, dicendo che tanto ormai il suo contributo alla partita l’aveva dato e visto come stavano le cose non sarebbe più riuscito a fare nulla. Anche quando ti hanno messo sulla barella, ti ha messo addosso la felpa e ha continuato a tenerti per mano finché l’ambulanza non è partita… 
 
Stefano rimane totalmente paralizzato durante il racconto dei suoi compagni. Essendo in quel momento privo di sensi, non ha idea di cosa possa essere successo dal momento del suo svenimento a quando aveva iniziato a riprendersi, in ambulanza. Ripensandoci, lui stesso avrebbe dubitato qualcosa se si fosse trovato al loro posto. Rimane senza parole, non è in grado di dire nulla. Prende l’ultimo goccio di birra rimasto nel bicchiere, cercando di prendere tempo.
 
-Non devi spiegarci nulla Stefano. Solo, vivi più serenamente! A nessuno di noi importa cosa fate tu e Paolo quando siete soli. 
 
Conclude Giacomo. 
 
-Poi se quello che fate permette a Paolo di fare tutti quei numeri da bomber che fa, continuate pure! Anzi, se vuoi svelarci qualche trucco, magari…
 
Aggiunge improvvisamente Antonio, di fronte a loro, avendo chiaramente ascoltato i loro discorsi. Stefano arrossisce immediatamente, si alza in piedi con il bicchiere di birra vuoto. 
 
-Credo di aver bisogno un refill di birra, grazie!
 
Esclama, in direzione del cameriere. I suoi amici immediatamente scoppiano a ridere per la sua reazione, dopodiché il discorso passa alle previsioni sulla seconda parte del campionato e sulle ipotesi dello svolgimento del calciomercato per il Milan.

 
 ***
 L’ultimo giorno di lavoro, venerdì, Stefano saluta Alberto che partirà con la famiglia per Livigno dove rimarrà fino a primo di gennaio. Usciti dall’ufficio si sono concessi un aperitivo veloce in un bar nelle vicinanze, dal momento che Alberto dovrà preparare le valigie e recarsi presso casa dei propri genitori, dove trascorrerà la notte prima della partenza dell’indomani.
Arrivati in metropolitana, Alberto si rivolge a lui per le ultime raccomandazioni.
 
-Il mio telefono è sempre accesso.
 
Gli ricorda, di nuovo. Stefano gli sorride e annuisce. 
 
-Se a Capodanno non hai niente da fare, chiama Giulio e fatti caricare in macchina, c’è posto per tutti. 
 
Specifica. Giulio, infatti, trascorrerà Capodanno come ospite in casa sua. Una novità rispetto agli anni precedenti, segno che forse qualcosa tra loro si stia realizzando. Alberto, in realtà, ha esteso all’intero gruppo l’invito anche se il primo con il quale ne ha parlato è stato proprio Giulio. Sapeva inoltre che Luca sarebbe stato impegnato nel bar nel quale lavora, mentre Andrea finendo tardi di lavorare in negozio, non sarebbe riuscito a prepararsi e arrivare per tempo. 
 
-Ti aggiornerò. 
 
Conferma Stefano. 
 
-Sul serio questa volta. Per favore, quando ti sarai ripreso il tuo biondo non sparire nel nulla. 
 
Lo rimprovera Alberto. Stefano non risponde a parole, si limita ad annuire e ad abbracciare Alberto, prendendolo di sorpresa. 
 
-Te lo prometto.
 
Aggiunge, stringendosi nel suo abbraccio. 
 
 
 
Arrivato a casa, Stefano trova uno strano pacco ad attenderlo davanti al cancello di casa. Non ricorda di aver ordinato nulla di recente e facendo mente locale crede che tutti i regali presi online per la famiglia siano già incartati da tempo e pronti per essere consegnati ai rispettivi destinatari. Esita per un attimo prima di raccoglierlo, si tratta di una piccola scatola rettangolare con la dicitura “fragile”. Ispezionando l’etichetta, nota che il destinatario non gli è noto. Dopo averci riflettuto, raccoglie la scatola e la porta in casa.
Si toglie le scarpe, il cappotto e posa il pacco sulla penisola della cucina, con l’intenzione di aprirlo e scoprire finalmente il suo contenuto. Non ha dubbi che si tratti di qualcosa destinato a lui, dal momento che il suo nome e il suo indirizzo sono ben specificati sull’etichetta e si tratta inoltre di un pacco celere, da questo Stefano deduce che chiunque sia il destinatario, abbia avuto fretta nel consegnarglielo. Senza esitare oltre, prende una forbice e taglia il nastro adesivo. Apre e con sorpresa nota che al suo interno si trova un altro pacco, incartato con della carta da regalo natalizia, al quale è appiccicata una busta. Quasi tremante preleva il pacco dal fondo dello scatolone e lo appoggia sul pianale. Prende la lettera e nota la scritta “Per Stefano”, scritta a mano in corsivo.
È la scrittura di Paolo, non ha dubbi. È la stessa identica calligrafia pulita, elegante e ordinata che ha trovato sulla busta che conteneva la collana presa in Cina. 
Vorrebbe aprire la busta ma ha quasi paura a farlo, le mani gli tremano e il suo cuore inizia a battere forte. Prende il cellulare dalla tasca dei pantaloni e invia una foto del pacchetto a Paolo, in attesa di spiegazioni. È la prima volta da quella loro telefonata di domenica sera nella quale gli invia un messaggio. Gli altri sono stati tutti da parte di Paolo e si sono limitati a qualche foto di Firenze e una di Roma, quella stessa mattina. 
Non aggiunge alcun messaggio alla fotografia, aspetta che sia Paolo a spiegare. La sua risposta non si fa attendere.
 
“Non aprire nulla prima di Natale.”
 
Stefano risponde con una emoji con il pollice all’insù e ripone il pacco su tavolino della sala da pranzo, decidendo di rispettare quella richiesta da parte di Paolo nonostante la curiosità di scoprire cosa contenga quel pacchetto sia forte.
 
 
 
Il giorno di Natale, Stefano si alza presto per potersi preparare e raggiungere la casa dei propri genitori in tempo per poter aiutare a sistemare, così come sono stati da sempre abituati lui ed Elena. 
Uscendo di casa, controllando di aver preso i regali per tutta la famiglia, dà un ultimo sguardo al pacchetto da parte di Paolo. Avrebbe voluto aprirlo la sera prima ma ha deciso di rimandare, è al contempo curioso e preoccupato per ciò che ci sarà al suo interno. Proprio per questo motivo ha preso la decisione di aprirlo solo dopo il consueto pranzo con i suoi genitori, quando tornerà a casa e sarà solo e sereno. Non vuole rimanere turbato per la durata dell’intero pranzo, ha intenzione di godersi la giornata con la sua famiglia nel modo più spensierato possibile. Chiude la porta e sale in auto, in direzione della casa di famiglia.
Quando arriva, nota che sua sorella è già arrivata, Roberto è in salotto con Riccardo e sta montando l’ennesimo complicatissimo ed enorme giocattolo che i suoi genitori hanno deciso di regalare al bambino. 
 
-Buon Natale!
 
Esclama entrando in casa. I suoi genitori sono i primi a salutarlo, successivamente arriva Elena che lo abbraccia con la sua solita forza, noncurante del suo enorme pancione. Dopo essersi offerto per preparare e apparecchiare, gli viene detto che tutto quanto è già pronto e viene quindi mandato in soggiorno ad aiutare Roberto con il montaggio dei giocattoli. 
 
-Certe cose non cambiano mai, eh.
 
Domanda vedendo il cognato in preda alla disperazione, nell’intento di trovare la lingua italiana nelle istruzioni di montaggio. Alza gli occhi dal foglio e lo guarda con rassegnazione.
 
-Perdonami se non sono venuto a salutarti ma questa cosa mi sta facendo disperare!
 
Stefano sorride. Posa i regali al di sotto dell’albero di Natale e si avvicina al piccolo Riccardo, in quel momento seduto sul tappeto a giocare con dei cubi. Il bambino gli sorride felice, Stefano gli accarezza la testa e gli dà un bacio sulla fronte, per salutarlo. Dopodiché si siede accanto a Roberto, nel tentativo di aiutarlo. Ciò che ha davanti dovrebbe essere un tavolo multi-funzione con diverse attività di stimolazione sensoriale per il bambino. Al momento è riuscito solo a capire come montare le gambe e il pianale, mentre alti pezzi si trovano sparsi sul pavimento in attesa di essere montati.
 
-Pensa a quando inizieranno a regalargli i Lego! Ci passerai le giornate.
 
Suggerisce Stefano, per nulla d’aiuto in quel momento. Roberto lo fulmina con lo sguardo, senza degnargli risposta. 
 
-Anzi, pensa che tra poco ne avrai due di bambini. E il prossimo Natale sarai qui a montare due cose difficilissime, contemporaneamente!
 
Insiste. Questa volta Roberto decide di rispondergli. 
 
-E pensa che se andrai avanti a dire queste cose lancerò te e questa roba dalla finestra! Dammi una mano, invece di sprecare fiato!
 
Afferma, dandogli il foglio delle istruzioni e sbuffando esasperato. Stefano decide di smetterla di prenderlo in giro e si impegna seriamente nel montaggio del giocattolo. In poco più di mezz’ora riescono a decifrare ogni pezzo, capendo dove e come montarli all’interno del tavolo. Poco prima di poter incastrare l’ultimo pezzo, vengono chiamati a tavola da Elena, il pranzo di Natale può finalmente iniziare. 
Il menù non è mai stato cambiato, da quanto Stefano ha memoria. Si comincia con vari antipasti a base di salumi, pesce freddo, vol-au-vent con salse di vario tipo, sottaceti e mostarda per proseguire con crespelle ai funghi e al salmone, seguite da un arrosto con patate al forno e per concludere una fetta di panettone con mascarpone, frutta secca e ananas sciroppato. 
La durata dell’intero pranzo varia dalle 3 alle 4 ore e generalmente alla fine di esso tutti i presenti sono talmente sazi e stanchi di tutto quel cibo da volerlo vedere sparire ed essere grati che il pranzo di Natale arrivi solo una volta l’anno. 
La madre di Stefano, infatti, non perde tempo a sparecchiare portando via rapidamente portata dopo portata, lasciando sul tavolo solo i bicchieri dell’acqua e le tazzine nelle quali versare il caffè. 
Cibo a parte, Stefano ha sempre amato l’atmosfera Natalizia a casa sua, anche se ripensa ancora con affetto a quei natali nei quali lui ed Elena erano più giovani e i loro nonni materni, gli unici che abbiano conosciuto, erano ancora presenti ed erano seduti accanto a loro. Ricorda con dolcezza i racconti di nonno Carlo e la premura di nonna di Rina nell’assicurarsi che sia lui sia Elena avessero mangiato abbastanza. 
 
-L’anno prossimo dovremo mettere un posto in più!
 
Esclama dolcemente Maura, accarezzando il viso di Elena. 
 
-Facciamo due, magari. Eh, Ste?
 
Suggerisce Elena, girandosi verso di lui. 
 
-Io non ho la facoltà di partorire, mi spiace. 
 
Commenta lui, avendo in realtà ben compreso a cosa si stia riferendo la sorella.
 
-Sai bene che non mi riferisco a quello. 
 
Ribatte lei, in questo caso stuzzicando la reazione di loro padre che fino a quel momento era intento a leggere e rispondere ai messaggi di auguri di Natale sul cellulare.
 
-Sarebbe anche ora! Te l’ho già detto un’altra volta, Ste: il tempo va avanti per tutti. 
 
Esclama. Ancora una volta Maura interviene, difendendo il figlio. 
 
-E io ti dico sempre di farti i fatti tuoi, Erio. Se Stefano sta bene da solo, non continuare a rompere! Più invecchi e più diventi una fastidiosa ciabatta. 
 
Lo rimprovera. Erio non risponde e riprende a guardare il cellulare. 
 
-In realtà non è affatto solo… 
 
Rivela Elena, sorprendendo entrambi i genitori che si girano immediatamente in direzione di Stefano per ricevere una conferma da parte sua. Questi decide di non commentare ma si limita a rivolgere uno sguardo fulminante alla sorella. 
 
-Cosa? È vero! Ce l’hai un fidanzato, anche se non lo vuoi ammettere e non lo hai voluto portare a pranzo con noi. 
 
Aggiunge lei. Stefano si alza dal tavolo. 
 
-Non ho nessun fidanzato, smettila di fare la pettegola. Vado a finire di montare i giochi di Riccardo. Roby, vieni?
 
Chiede. Roberto annuisce e lo segue in sala da pranzo.
 
 
Elena e la sua famiglia sono i primi ad andare via, dal momento che Riccardo deve essere messo a letto per il suo riposino pomeridiano. Stefano invece si ferma ad aiutare sua madre a sistemare e sparecchiare tutto quanto dal momento che suo padre, come al solito, si è addormentato sul divano davanti all’ennesimo film datato trasmesso su una rete locale, solitamente si tratta di “L’albero degli zoccoli” o qualche film della serie di “Don Camillo”. 
Dopo aver messo tutto quanto in lavastoviglie, aver riposto gli avanzi in vari contenitori da riporre in frigo o nel congelatore e aver sistemato il tavolo e le sedie, Stefano è pronto per tornare a casa. 
 
-Ti serve ancora qualcosa, ma’?
 
Domanda, controllando che sia tutto a posto. Maura dà uno sguardo al marito, sempre addormentato sul divano, prima di rispondere. Si avvicina a Stefano e gli posa una mano sulla spalla. 
 
-Lo sai, vero, che non devi nascondere nulla a noi?
 
Domanda, con tono preoccupato. Stefano immaginava che dopo l’affermazione di Elena quella a riflettere di più sarebbe stata proprio sua madre. 
 
-Certo. 
 
La rassicura. Maura tuttavia sembra non essere convinta. 
 
-Se hai qualcuno di importante nella tua vita, avremmo piacere di conoscerlo. 
 
Insiste lei. Stefano vorrebbe dirle che in realtà già conoscono quella persona a quale si riferiva Elena ma preferisce rimanere in silenzio, annuendo col capo. Sua madre, vedendo che non ha intenzione di raccontare nulla, lo lascia andare dandogli appuntamento all’indomani, altro giorno festivo e suo onomastico. 
 
Ritornando a casa, Stefano riflette su come sarebbe stata diversa quella giornata se ci fosse stato Paolo. Pensa che lui sicuramente non avrebbe avuto difficoltà a montare i giocattoli di Riccardo, che avrebbe apprezzato ogni singola portata di quell’interminabile pranzo natalizio e che, forse, l’avrebbe ulteriormente arricchito portando qualcosa preparato da lui, facendo sfoggio delle sue eccellenti capacità culinarie. Avrebbe conversato con Roberto, ricordato aneddoti divertenti con Elena e avrebbe stupito i suoi genitori con i suoi eccellenti meriti scolastici e i suoi successi lavorativi. La sua presenza avrebbe reso la giornata, già gradevole, ancora più bella. Stefano se ne rende conto solo ora e maledice sé stesso per non aver provato nemmeno ad invitarlo, innescando tutta quella serie di fraintendimenti che l’ha portato ora a trovarsi in quella strana situazione di incertezza.
Una volta arrivato a casa, nota subito il pacchetto di Paolo lasciato sul tavolo del soggiorno. Sicuramente Paolo sarà rimasto deluso dal non ricevere un ringraziamento per quel dono, dal momento che quella mattina gli ha solo inviato un impersonale messaggio di “Buon Natale”, senza aggiungere altro. Messaggio al quale Paolo ha replicato con l’invio di un’immagine natalizia, sicuramente ricevuta a sua volta da qualcun altro. 
Toglie il cappotto e lo appende all’appendiabiti, dopodiché si siede sul divano e prende, per prima cosa, la lettera di Paolo. La apre, estraendo il biglietto al suo interno. Non si tratta di un messaggio natalizio ma di un semplice foglietto di carta bianca, scritto a mano.

“Con la speranza che il prossimo Natale vorrai trascorrerlo con me. Con tutto il mio cuore, Paolo”
 

Stefano avverte un tuffo al cuore, soltanto nel leggere le parole di Paolo, scritte proprio di suo pugno. Riesce a immaginarlo nel momento in cui le ha scritto, con lo sguardo chino sul foglio, la sua mano tiepida e forte che stringe la penna, mentre scorre con velocità ed eleganza sulla carta. 
Si concede un attimo prima di aprire il pacchetto, sperando che il contenuto possa trasmettergli meno emozioni di quella lettera ma quando lo apre si accorge che il biglietto era solo il preludio. 
Si tratta di un oggetto personalizzato, una cornice con una foto, una foto di Stefano addormentato su un fianco, con indosso un accappatoio bianco, che non credeva Paolo potesse aver scattato. La osserva con attenzione e dall’ambiente circostante intuisce che si tratti della loro prima notte trascorsa insieme, durante a trasferta a Merano. La loro prima volta. Si concede un attimo per poter cogliere i dettagli della foto e, forse per la prima volta da tanto tempo, è in grado di apprezzare una fotografia nel quale lui sia il soggetto. La cosa più sorprendente, tuttavia, non è la foto ma ciò che la circonda. La foto infatti è presentata sottoforma di puzzle di legno e tutto intorno ad essa ci sono altri pezzi di puzzle, recanti delle frasi. In cima a questi pezzi una scritta che immediatamente fa fermare il cuore a Stefano
 
“10 motivi per cui ti amo”
 
Deve rileggere più volte quella frase, prima di essere sicuro di aver letto bene. Quando ne è sufficientemente convinto, passa a leggere il resto delle frasi. 
 
1.Sei onesto 
2.Sei un inguaribile romantico
3.Sei sincero 
4.Sei leale
5.Rendi le mie giornate migliori
6.Credi sempre in me
7.Sono sempre il tuo primo pensiero (e tu il mio)
8.Mi spingi ad essere una persona migliore
9.Mi accetti per quello che sono
10.Sei la mia luna
 
Stefano legge ogni frase con il cuore in gola. Non si aspettava in alcun modo un dono del genere da parte di Paolo e si ritiene davvero stupido per aver dubitato di lui, per aver esitato nei suoi confronti. 
Non sa come reagire, vorrebbe solo averlo davanti a sé, abbracciarlo, farsi leggere da lui tutte quelle frasi, sentirle uscire dalla sua bocca. 
Non gli basta sentirlo per telefono, ha bisogno di vederlo fisicamente, di toccarlo, di essere travolto dal suo profumo. Improvvisamente gli balza in testa un pensiero, si tratta di qualcosa di azzardato che la sua parte riflessiva e moderata gli suggerisce di non fare. Tuttavia il suo cuore sta iniziando a farsi prepotentemente sentire, annullando qualsiasi voce nella sua testa. Deve rispondere immediatamente a quel gesto da parte di Paolo. Si fa coraggio e decide che è la cosa giusta da fare.

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Capitolo 26
*** Improvviso ***


Stefano fatica a svegliarsi: sbadiglia, si stropiccia gli occhi e finalmente, quando la sua vista riesce ad adattarsi alla luce, mette a fuoco e inizia a guardarsi intorno. Si trova a letto e non ha idea di quando ci sia finito. Perdipiù, il letto nel quale è sdraiato non è il suo e non riconosce nemmeno la stanza in cui si trova. Davanti a sé vede una grande finestra a due ante, in alluminio dorato, che conduce a un balcone. Alla sua destra nota una piccola porta in legno verniciata di bianco, mentre alla sua sinistra, divisa da un arco, vede quella che pare essere una cucina con un tavolo in legno con due sedie, un frigorifero a due ante, un lavello, un piano cottura con fuochi e forno e un piccolo piano di appoggio. L’appartamento è poco più grande di un monolocale, molto piccolo e modesto, con soffitti alti e pavimentazione in cotto, molto datato, apparentemente dei primi anni sessanta o settanta. Si fa forza con i gomiti e si mette a sedere. Abbassando lo sguardo, nota che la maglietta che indossa non è la sua, è molto ampia e lunga e osservandola bene riconosce perfettamente il disegno applicato su di essa. 
 
-La maglietta del gallo…?
 
Rimane sorpreso dal suono della sua stessa voce. Proprio in quell’istante, dalla cucina, emerge Paolo che lo osserva, appoggiando la schiena contro lo stipite dell’arco divisorio, a braccia conserte. 
 
-Buongiorno.
 
Lo saluta, sorridendogli. Stefano riesce pian piano a ricollegare una serie di informazioni nel suo cervello, cercando di capire perché Paolo sia proprio di fronte a lui, inizialmente chiedendosi se stia ancora dormendo o se lui sia lì realmente.
 
-I tuoi vestiti sono sulla sedia, lì davanti. Ti ho messo io quella maglietta, per i pantaloni purtroppo non ne avevo che ti andassero bene. 
 
Spiega Paolo. Stefano osserva sulla sedia, piegati e in ordine, il suo maglione bordeaux, la camicia bianca a pois bordeaux e oro e i jeans, stesi lungo lo schienale. Sono gli stessi abiti che ha indossato il giorno di Natale, a casa dei suoi genitori. Si accorge di essere in mutande e istintivamente si copre, trascinando il lenzuolo fino allo stomaco. 
 
-Mi sono addormentato… 
 
Conclude, a voce bassa e con filo di imbarazzo. 
 
Paolo lo raggiunge e si mette a sedere ai piedi del letto. 
 
-Sei, letteralmente, crollato. 
 
Specifica, trattenendo una risata. Stefano non riesce a guardarlo negli occhi, stringe nervosamente tra i pugni due lembi di lenzuolo. 
 
-Che figura…
 
Commenta, vergognandosi di sé stesso. Paolo si avvicina di più a lui e gli prende entrambe le mani, togliendo da esse il lenzuolo stropicciato.
 
-Non dire così. Eri esausto, ti si sono scaricate le pile.  Non credo di averti mai sentito parlare così tanto, tutto in una volta sola. 
 
Lo rincuora, accarezzandogli entrambe le mani. Stefano si fa coraggio e alza lo sguardo, riesce a vedere il proprio riflesso nelle iridi celesti di Paolo e il suo cuore, stranamente tranquillo fino ad ora, inizia a battere all’impazzata. Immediatamente gli ritornano in mente tutti gli eventi delle ultime dodici ore, dal momento in cui ha aperto il regalo di Paolo al suo risveglio in quel letto sconosciuto. Un sorriso si forma spontaneo sulle sue labbra. 
 
-Ho rotto gli argini, il fiume di parole che mi tenevo dentro… non poteva essere più contenuto.
 
Confessa. Paolo annuisce. 
 
IL GIORNO PRIMA, ORE 17,30
 
Stefano cammina nervosamente avanti e indietro per il soggiorno, tenendo stretto tra le mani il regalo di Paolo. Continua a leggerlo e rileggerlo, prima a mente, poi ad alta voce. L’ha memorizzato, al punto di poterlo disegnare a occhi chiusi. Avrebbe davvero voluto riceverlo da lui in persona. Posa la cornice sul tavolino e si getta sul divano, chiudendo gli occhi per cercare di calmarsi. Pensa a quanto sia stato sciocco nel suo trattenersi nei confronti di Paolo, rimprovera sé stesso per essersi tenuto dentro tutto quanto e non essere riuscito nemmeno a dirgli quanto per lui sia importante. Apre gli occhi e fissa di nuovo quell’oggetto.
 
Ti amo
 
Quelle due parole continuando a ripetersi come un loop nella sua testa. Immagina di sentirlo con la voce di Paolo. Alla fine è riuscito di nuovo a sorprenderlo, a sconvolgerlo. Sì, perché mentre Stefano viveva nella paranoia, lui non ci ha pensato molto nel recapitargli un dono simile, dal significato così importante. Stefano è certo che Paolo sia sincero in ciò che dice, lo stesso Alberto glielo ha confermato, qualche giorno prima. Eppure vorrebbe che glielo confermasse, ha bisogno che glielo confermi. Potrebbe sempre prendere il telefono e chiederglielo ma sente che non basta, non gli è sufficiente per sentirsi in pace e sereno, deve averlo davanti a sé. Qualche minuto prima, proprio dopo aver scartato il regalo, si sentiva pronto a uscire e andare da lui perché la sua testa gli aveva suggerito, d’impulso e in modo immediato, di salire in macchina e raggiungerlo, che sia Roma o che siano due fermate di metropolitana, poco importa. 
 
Si calma e inizia a credere che possa non essere la scelta migliore. Non ha mai fatto nulla di così impulsivo in vita sua, non si è mai comportato in modo imprevedibile e non ha mai agito senza calcolare matematicamente tutte le possibili conseguenze. 
 
“E guarda la mia cautela dove mi ha portato!”
 
Pensa, riflettendo sulla serie di fraintendimenti che hanno causato quel suo raffreddamento nei confronti di Paolo, portandolo a non vederlo né sentirlo da quasi una settimana. Rimane per circa una decina di minuti immobile sul divano, con lo sguardo fisso davanti a sé. Sa che deve prendere una decisione, sa che deve fare qualcosa e soprattutto deve rispondere a quella mossa di Paolo in modo adeguato, non vuole creare altre incomprensioni e non vuole dare a intendere a Paolo di non essere rimasto colpito dal suo gesto. Non basteranno un messaggio, una telefonata o una chiamata di Skype
 
Sospira. Si alza di scatto dal divano e per una volta decide di agire di impulso, di comportarsi come non ha mai fatto in vita sua. Si sente quasi tremare e avverte una forza avversa dentro di sé, una calamita, che lo trattiene e gli suggerisce di fermarsi, di tornare ad essere razionale e realista, come è sempre stato. Si fa spazio una voce nella sua testa, la quale lo invita a non tradire sé stesso, perché tutto sommato in quei trentadue anni della sua vita, vivendo con cautela, con prudenza e con la testa ben salda sulle spalle, non se l’è cavata poi così male. Ha raggiunto diversi traguardi, vive una bella vita, ha avuto molte soddisfazioni e il tutto seguendo una serie di calcoli e di valutazioni di rischi ben ponderati. 
 
Finché non è arrivato Paolo. La sua variante, il suo errore di sistema, il suo glitch, la sua ossessione. In altre parole: l’amore. 
 
Con enorme coraggio, sfidando sé stesso e le sue paure, prende le chiavi dell’auto ed esce. Non ha mai guidato da solo per così tanti chilometri, non ha mai fatto un viaggio del genere, totalmente impreparato e deciso all’ultimo secondo. Ciononostante sente di doverlo fare, pur non avendo nemmeno idea di dove debba andare e di quale strada debba prendere. Una volta salito in auto imposta la generica destinazione “Roma” nel navigatore, senza inserire alcun indirizzo preciso. Per ora la priorità è arrivare alle porte di Roma, quando sarà arrivato all’ultimo casello autostradale vedrà cosa fare. 
 
Entrato in autostrada nota che è quasi deserta, sono le 18.30 del giorno di Natale, sicuramente tutti quanti sono ancora a tavola a terminare gli avanzi del pranzo di mezzogiorno. Stefano percorre le strade indicate dal navigatore, dovrebbe arrivare poco prima di mezzanotte. Spera di riuscire a vedere Paolo prima che cambi il giorno, per potergli fare gli auguri e per poter, in un certo senso, trascorrere il giorno di Natale con lui, come avrebbe dovuto fare. 
Quando si trova a Bologna, a circa due ore di viaggio, durante le quali ha continuato a chiedersi se il suo gesto non sia una pazzia, inizia a sentirsi mancare il respiro, a sospettare che questa sua decisione avventata sia uno sbaglio. Certo, Paolo potrebbe anche essere sincero… ma come reagirà?
 
“E se mi prendesse per pazzo?”
 
Inizia a chiedersi di punto in bianco. Guarda le indicazioni dei cartelli, cercando di capire se sia ancora possibile tornare indietro e far finta che non sia successo nulla. Dopotutto, nessuno sa della follia che sta per compiere, se uscisse al primo casello e riprendesse la strada per Milano potrebbe convincere persino sé stesso di non essere salito in macchina quella sera. 
Scuote il capo. Non può farlo, non vuole farlo. Non si è mai preso un rischio così grande ma crede che per Paolo possa valerne la pena. Vorrebbe soltanto non essere così solo in quell’auto, in balìa dei suoi pensieri e delle sue paure. 
Decide di fare una telefonata ad Alberto. Non vorrebbe disturbarlo e non vorrebbe parlargli, ancora, di Paolo. Tuttavia è stato lui stesso a dirgli di contattarlo qualora ne avesse avuto bisogno e in quel momento, più che mai, ha bisogno del conforto e della rassicurazione del suo migliore amico.
Collega il cellulare alla radio dell’auto, in modo da poterlo chiamare liberamente e sentire la sua voce diffondersi nell’abitacolo della macchina, come se fosse lì seduto accanto a lui. 
Dopo aver chiesto all’assistente vocale di telefonargli, attende con impazienza che risponda. Solo pochi squilli e poi, finalmente, sente la sua voce.
 
-Dimmi. 
 
Risponde, con tono rassegnato. Sicuramente ha intuito che, avendolo chiamato ad un orario così insolito il giorno di Natale, possa esserci un qualche tipo di problema.
 
-Albe… ti posso disturbare?
 
Domanda Stefano, cercando di mantenere la calma. Sente Alberto sospirare dall’altro capo del telefono con il sottofondo un vociare generale, sicuramente è a tavola con la sua famiglia. 
 
-Hai fatto qualche pirlata?
 
Chiede. Stefano sorride, forse “pirlata” è il termine giusto per definire ciò che sta facendo. 
 
-Sto facendo la pirlata più grande di tutta la mia vita. 
 
Ammette, temendo quasi la reazione di Alberto. Questi non risponde subito ma sente diversi rumori, dall’altro capo del telefono, rumori di sedie, passi e infine di una porta chiudersi. 
 
-Ok. Sono da solo e tu sei in vivavoce, dimmi cosa cazzo hai fatto e dimmi subito se devo mandare Giulio a prenderti domani mattina. 
 
Stefano non riesce a trattenere una risata, un po’ per nervosismo e un po’ per sincero divertimento.
 
-No, tranquillo. Anche perché… non sarò a Milano, credo. Sto andando a Roma, da Paolo. 
 
Confessa, tutto d’un fiato. La sua confessione lascia Alberto stranito, dal momento che non risponde subito e rimane in silenzio per diversi secondi, al punto che Stefano deve controllare che la chiamata sia ancora in corso e che non sia caduta la linea. 
 
-Sei serio?
 
Domanda poi, incredulo.
 
-Serissimo. 
 
Conferma, iniziando poi a raccontare il motivo della sua decisione improvvisa, descrivendo per filo e per segno il regalo ricevuto da Paolo, le emozioni che esso ha suscitato in lui e i dubbi, prima di decidersi di salire in macchina in direzione Roma. 
 
-E una volta arrivato, cosa farai?
 
Domanda Alberto, ponendogli quella stessa domanda che lui stesso si pone dal momento in cui è salito in auto.
 
-Mi lascerò guidare dall’istinto! Non lo so, Albe. Non ho mai fatto nulla del genere ma… ho bisogno di vederlo, adesso. E lui è là e io sono… ero a Milano. Forse nemmeno mi vorrà vedere o mi prenderà per pazzo… però devo farlo, soprattutto per me stesso. 
 
Confessa, con il cuore in gola. Alberto sospira, non risponde immediatamente.
 
-Doveva proprio arrivare il tuo biondo, per farti prendere un po’ di coraggio!
 
Esclama, con il suo solito tono sarcastico, nel quale Stefano legge un velo di amarezza.
 
-Non credevo ti avrei mai visto… innamorato. 
 
Aggiunge, confermando il sospetto di Stefano che immediatamente inizia a pentirsi di non aver avuto più riguardo nei confronti di Alberto. Non sa come rispondere a questa sua constatazione e, fortunatamente, Alberto riprende a parlare, cambiando il tono della conversazione. 
 
-Almeno una borsa con due vestiti te la potevi fare, però. 
 
Esclama. Stefano effettivamente ha sottovalutato tutte le questioni pratiche, non ha nemmeno valutato l’ipotesi di preparare una valigia e ha dato per scontato che Paolo lo ospiterà, ovunque sia. A conti fatti, non ha programmato proprio nulla, ha solo deciso di andare all’avventura, senza pensare a cosa accadrà dopo che, coraggio permettendo, riuscirà a dire a Paolo tutto ciò che ha in mente. 
 
-Ci stavo riflettendo proprio prima di chiamare te… però più ci penso e più sono convinto che sia una follia. Ho avvertito la tentazione di impostare “Milano” e tornarmene indietro, facendo finta di niente. 
 
Confessa, con rammarico. 
 
-Ecco, così mi sembri più il mio Stefano. Iniziavo a preoccuparmi!
 
Ribatte Alberto, divertito. 
 
-Comunque… hai preso una decisione: vai fino in fondo.
 
Conclude. Dopodiché Stefano, nel rispetto dei sentimenti di Alberto, decide di cambiare il discorso, chiedendogli di raccontargli come ha trascorso il giorno di Natale e a sua volta gli parla del pranzo con la propria famiglia. I discorsi proseguono finché si avvicinano le nove e trenta e Alberto, scusandosi, è costretto a chiudere la conversazione per ritornare a tavola con la propria famiglia invitandolo però a farsi sentire più tardi, arrivato a Roma.
 
Il traffico in autostrada è scorrevole, poche auto e nessun rallentamento. Stefano riesce ad arrivare a destinazione all’orario previsto, riuscendo a parcheggiare in Stazione Termini, esattamente come gli è stato suggerito da Alberto, prima di chiudere la telefonata. Riesce a trovare un parcheggio in una zona non troppo lontana dalla stazione. Non conosce la zona non essendoci mai stato prima e non è sicuro se e come ritroverà l’auto, quando ritornerà a prenderla. In situazioni diverse, a Milano, non si sognerebbe mai di lasciare l’auto incustodita a Centrale o ancor peggio a Rogoredo ma in quel momento non ci pensa. Vuole andare fino in fondo a quella sua decisione folle. Chiude l’auto e si affretta a raggiungere la metropolitana. Sfortunatamente sono passate le 23.30 e pare non ci saranno più corse, fino all’indomani, ragion per cui decide di prendere un taxi. Dopo esser riuscito a chiamarne uno, accordando una cifra a dir poco esorbitante, dato l’orario e la Festività, decide di farsi trascinare da quel suo lato romantico a cui più volte si riferisce Paolo, chiedendo all’autista di portarlo alla Fontana di Trevi, pur non avendo la benché minima idea di dove si trovi, essendo stato a Roma solo moltissimi anni prima, in gita in terza media.
 
Dopo essere giunto a destinazione, rimane per un attimo sopraffatto di fronte alla fontana, più buia di quanto se la ricordasse ma non per questo meno romantica. Inspira ed espira profondamente dopodiché si fa coraggio e prende in mano il cellulare, pronto per prendere contatti con Paolo. Mentre era seduto sul taxi ha riflettuto su come impostare il loro incontro, ci ha pensato e ripensato più volte. Inizialmente voleva telefonargli, poi ha deciso di optare per una nota vocale e infine la scelta è ricaduta su un messaggio, un messaggio accompagnato da una fotografia, sperando che Paolo non stia già dormendo e sia disposto ad incontrarlo. Scatta una foto alla Fontana di Trevi, senza badare troppo all’angolazione o alla luminosità, dopotutto il soggetto è sufficientemente riconoscibile. Dopo aver allegato la foto si fa coraggio e inizia a scrivere il messaggio, digitando esattamente la prima cosa che gli balena in mente.
 
“Se ti dicessi che sono qui, quanto tempo ci metteresti per arrivare?”
 
Invia subito il messaggio e chiude la conversazione, senza ricontrollare. Il cuore il gli batte all’impazzata e comincia camminare nervosamente, sperando che Paolo risponda quanto prima. Tiene il cellulare stretto nel palmo di una mano ma non lo guarda, rivolge lo sguardo verso l’alto, verso il paesaggio circostante. La vibrazione del telefono lo fa sobbalzare, Paolo ha già risposto. Apre immediatamente il messaggio.
 
“Dieci minuti.”
 
“Ti aspetto.”
 
Risponde, volendo essere chiaro per far intendere a Paolo di essere lì, per davvero. Inizia a camminare a passi spediti avanti e indietro, cercando di non allontanarsi troppo dalla fontana, per paura di non riuscire a vedere Paolo arrivare. Nel frattempo ripete tra sé e sé ciò che vuole dire, non si è preparato un vero e proprio discorso ma ci sono delle cose che ha bisogno di sapere e altre che ha bisogno che Paolo sappia. Il tempo sembra non passare mai e ogni volta che Stefano controlla sullo schermo del cellulare l’orario, sono passati prima due, poi tre e poi cinque minuti. L’attesa risulta interminabile, al punto che Stefano inizia temere che Paolo possa non presentarsi o possa aver frainteso il suo messaggio. Riapre la conversazione e rilegge il loro ultimo scambio, verificando che abbia effettivamente letto il suo ultimo messaggio. Quando alza lo sguardo dal telefono, lo scorge in lontananza. Non è il solo nella piazza ma lo riconosce immediatamente, lo vede incedere con il suo passo sicuro, con la sua solita eleganza. Indossa un cappotto grigio lungo, che gli ha già visto altre volte, lasciato aperto. Non è pettinato con cura come al solito, dà anzi l’impressione di essere uscito così, esattamente com’era vestito, senza badarsi troppo del proprio aspetto. Nonostante questo, agli occhi di Stefano, rimane comunque di una bellezza da perdere il fiato, al punto che quando se lo trova davanti rimane senza parole e tutto ciò che ha ripetuto a sé stesso fino a pochi istanti prima si cancella istantaneamente dalla sua testa. 
 
-Buon Natale!
 
Esclama, non riuscendo a trovare altre parole e prendendo tempo. Paolo aggrotta la fronte, sorpreso dalla sua esclamazione. 
 
-Buon Natale… 
 
Risponde a sua volta, confuso. Stefano continua a fissare Paolo, i suoi occhi, i suoi capelli spettinati, il cappotto aperto sotto il quale indossa una semplice tuta grigia. Si chiede come possa aver trascorso quella giornata, da solo. Immediatamente se ne dispiace e il suo cuore sussulta. 
 
-Sei venuto fino a qui solo per fargli auguri? Mi potevi telefonare… 
 
Suggerisce Paolo, non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo da lui. Stefano avverte un fastidioso groppo in gola, sente come se tutte le parole che ha intenzione di rivolgere a Paolo si siano incastrate lì, in fondo alla laringe, incapacitate ad uscire. Esattamente come quella volta durante il brunch, non riesce a dire a Paolo ciò che vorrebbe. Tuttavia, adesso, non può permettersi di stare in silenzio. Deve farsi coraggio e sbloccarsi, a qualunque costo. Deglutisce rumorosamente e respira. 
 
-Per prima cosa: voglio sapere se intendi davvero quello che c’è scritto nel regalo che mi hai mandato. 
 
Esclama. Paolo annuisce. 
 
-Certamente. Te lo posso ripetere, se vuoi, quante volte vuoi. 
 
Conferma. Stefano si sente mancare di fronte a quella risposta. Vorrebbe davvero sentire quelle parole pronunciate da lui ma non ora, prima deve chiarirsi.
 
-No, aspetta. Prima ti devo chiedere scusa. 
 
Paolo apre bocca, nel tentativo di dire qualcosa ma Stefano lo ferma, appoggiandogli una mano sul petto. 
 
-Lascia parlare me, per favore. 
 
Chiede, con tono di supplica. Paolo lo lascia fare, Stefano ritira ma mano dal petto di Paolo e riprende a parlare. 
 
-Ti chiedo scusa, per prima cosa per non averti invitato a Natale con la mia famiglia. Nessuno meriterebbe di stare da solo a Natale.
 
Afferma, fermandosi solo per un attimo a prendere fiato e a raccogliere le idee. Paolo gli concede il suo tempo, senza intervenire e senza mostrare particolari reazioni. Prosegue. 
 
-Poi, perché faccio fatica ad essere sincero con te. Perché tu sei… il mio glitch, metti completamente in discussione tutto il mio sistema. Non ho mai provato per nessuno quello provo per te, per mesi ho faticato a dargli una spiegazione e a dargli un nome e poi quando l’ho capito… mi ci è voluto un po’ per accettarlo. Però ho continuato a temere che si trattasse di una cosa troppo grande, troppo pesante e avevo paura a dirtelo, a fartelo capire, perché… non ti volevo spaventare, non ti volevo perdere. 
 
Pronuncia l’intero discorso tutto d’un fiato, facendo il possibile per non togliere gli occhi da Paolo la cui espressione nel frattempo sembra essersi addolcita. Stefano cerca di non lasciarsi trasportare e prosegue, ha ancora altro da dire e deve farlo prima che quell’improvvisa carica di coraggio si esaurisca.
 
-Sei diventato davvero troppo importante per me. Mi sentivo male solo al pensiero di rinunciare a vederti, di sentire la tua voce, di non ricevere tuoi messaggi vocali che ho ascoltato e riascoltato mille volte, tutti quanti, fino ad impararli a memoria. Alle tue foto… a tutte le volte che mi hai sfiorato e che ho desiderato che mi sfiorassi, al tuo profumo e ultimamente ai tuoi baci e… 
 
Si ferma. Non è così coraggioso dall’esternare dettagli troppo intimi, in pubblico e ad alta voce. Riorganizza i pensieri, prima di riprendere a parlare. 
 
-Insomma a tutto quello che sei. E adesso che ho provato davvero cosa vuol dire rinunciare a tutte queste cose, per una sola settimana…  mi sono sentito perso. Mi sono pentito amaramente di non aver avuto il coraggio di essere sincero, di non averti fatto capire quanto tu sia importante per me. Ma io non sono bravo in queste cose, non le conosco.
 
Fa un’altra pausa, ora che sta arrivando alla conclusione inizia a sentirsi tremare e teme di non riuscire a proseguire. Paolo, questa volta, interviene. 
 
-Ste, è la prima volta anche per me. 
 
Confessa, con tono rassicurante. 
 
-Ma tu sei sempre così sicuro di te, sai sempre quello che fai, non vacilli mai. Mentre io… io sono entrato nel panico quando mia sorella ha detto, davanti a te, che stiamo “insieme”. Quando io non sapevo se fosse così ed ero troppo spaventato per chiedertelo, perché avevo paura che se te l’avessi chiesto sarebbe andato tutto in fumo. 
 
Quest’ultima parte del discorso è particolarmente difficile per Stefano, la voce gli trema ed inizia a faticare a restare fermo. Il suo cuore batte sempre più forte e lo sguardo fisso di Paolo su di lui non lo aiuta. Quest’ultimo si lascia sfuggire un sorriso. 
 
-Io pensavo fosse ovvio. Mi spiace non aver capito che ti servisse questa conferma, so che tu non dici mai nulla e devo sempre interpretarti, come fossi una versione di latino. Se me l’avessi chiesto, ti avrei risposto serenamente. 
 
Si giustifica Paolo, sorpreso da ciò che Stefano ha appena confessato. Questi, immediatamente arrossisce davanti alle sue parole.
 
-Te lo chiedo adesso: stiamo o stavamo insieme, io e te?
 
Domanda, abbassando lo sguardo. 
 
-Sì, stavamo e stiamo e staremo insieme, mi auguro. 
 
Risponde, con fermezza. Stefano fa un respiro profondo. 
 
-Bene. 
 
Ribatte, non essendo per il momento in grado di andare oltre, di dire altro. In quel momento il suo cervello sta processando tutto quanto, mentalmente sta maledicendo sé stesso per aver tanto esitato nel porre una domanda alla quale Paolo ha risposto senza la benché minima incertezza. Alza a malapena gli occhi per guardarlo e incrocia il suo sguardo profondo e intenso. Riesce a mantenere il contatto visivo, cercando come sempre di trasmettergli i propri pensieri, permettendogli di leggere il proprio viso e le proprie emozioni. Paolo si avvicina di più a lui, i loro visi sono così vicini dal poter sentire il suo respiro. 
 
-Coraggio. Sei arrivato fino a qui, a mezzanotte del giorno di Natale e ti accontenti di dirmi solo giri di parole? Me lo vuoi dire o no? Oppure preferisci che sia io a farlo, per primo?
 
Lo incita, appoggiandogli una mano sulla spalla e l’altra su di un fianco. Stefano sussulta nel momento stesso in cui le mani di Paolo si posano sul suo corpo. Quel contatto fisico con lui, di cui tanto aveva sentito la mancanza, è in grado di paralizzarlo. Non sa come rispondere alla sua affermazione. Da un lato, si trova lì proprio perché voleva sentirsi dire da Paolo quelle stesse parole che ha letto nella cornice puzzle, dall’altro, però, vorrebbe compiere quell’ultimo sforzo e lasciarsi definitivamente andare. 
 
-Ti amo, Paolo. 
 
Confessa, finalmente, sentendosi quasi mancare nel momento stesso in cui pronuncia quelle semplici parole. Paolo lo stringe più forte, sul suo viso compare quel meraviglioso sorriso che ogni volta colpisce Stefano nell’osservare quelle labbra vermiglie lucide perfettamente incurvate e quella fossetta sulla guancia che fanno sembrare che il suo viso, oggettivamente perfetto e armonico, sia scolpito nell’alabastro. 
 
-Ti amo anch’io, Stefano. 
 
Ripete lui. Dopodiché prende il viso di Stefano tra le mani e lo bacia, un bacio profondo e intenso. Per Stefano, che in quel momento sente il suo mondo completamente stravolto, è il più bel bacio mai ricevuto. 
 
PRESENTE
 
Stefano è seduto al tavolo della cucina di quello strano appartamento. Di ciò che accaduto la sera precedente non si ricorda nulla, rammenta a malapena di essersi spostato a piedi, insieme a Paolo e di aver continuato a parlare, percorrendo stradine e vicoli del centro, arrivando davanti ad un portone, probabilmente l’ingresso dell’appartamento in cui si trova ora, ricorda il momento in cui Paolo l’ha preso per i fianchi e l’ha baciato, di nuovo. 
 
-Purtroppo il giorno di Natale le brioche sono difficili da reperire… mi spiace ma ho trovato solo queste.
 
Spiega Paolo, posando davanti a lui un cornetto alla marmellata con una spolverata di zucchero a velo. Stefano lo ringrazia, rimanendo perso nei propri pensieri. Paolo gli posa entrambe le mani sulle spalle e si sporge, dandogli un bacio sulla guancia.
 
-Buon onomastico.
 
Esclama, mettendosi poi a sedere a sua volta. È il giorno successivo a Natale, il 26 dicembre: Santo Stefano, è il suo onomastico lui se n’P quasi dimenticato. Paolo nel frattempo prende la caffettiera con la quale ha precedentemente preparato il caffè.
 
-Spero sia buono e che non sappia di acqua sporca. Saranno almeno dieci anni che non uso la moka…
 
Commenta, osservando con poca convinzione il rivolo di liquido marrone scuro scendere dal beccuccio della caffettiera, mentre riempie due tazzine in ceramica bianca con dei decori e dei motivi geometrici. Dopo aver versato la stessa quantità di caffè nelle tazze, ne porge una a Stefano. 
 
-Il profumo sembra buono.
 
Commenta lui, pervaso dal gradevole aroma del caffè. Paolo non sembra troppo convinto, porta la tazza alla bocca e ne beve un sorso. Dopodiché fa una smorfia e la posa immediatamente sul tavolo, scuotendo il capo.
 
-No, non ce la posso fare.
 
Esclama. Stefano sorride; il rapporto di Paolo con il cibo è una sfaccettatura della sua personalità che trova estremamente divertente, perché è l’unica situazione nella quale riesce a vederlo seriamente in difficoltà. Al contrario, lui non è mai stato particolarmente difficile o schizzinoso e anche quel caffè che per Paolo è terrificante, per lui è tutto sommato gradevole. Lo osserva spezzettare la brioche e mangiarla malvolentieri. Rivede nei suoi gesti l’atteggiamento di un bambino capriccioso, con la fronte corrucciata e l’espressione seria. Lo guarda, soffermandosi sul suo profilo simmetrico, sulla linea dritta che forma il suo naso e sulla sua mandibola ben delineata e scolpita e continua a chiedersi se arriverà il giorno in cui smetterà di guardarlo con ammirazione e rimanere ogni volta colpito da un’angolazione differente del suo viso. 
Prende un morso della propria brioche, giudicandola piuttosto gustosa. Si trova poi, nel silenzio, a pensare a quanto tutta la situazione che sta vivendo sia surreale: solo ventiquattro ore prima si trovava a casa sua, a Milano, pronto a raggiungere la casa dei suoi genitori per festeggiare insieme il Natale. Invece ora si trova a Roma, in un contesto totalmente differente, nel quale fatica a collocarsi sia dal punto di vista temporale che spaziale. Oltretutto, la luce calda del sole che filtra dalle persiane e la temperatura decisamente più mite rispetto a quella di Milano, gli rendono difficile pensare che si tratti di Natale, del 26 dicembre.
Dopo aver terminato la colazione, si stiracchia sulla sedia e sbadiglia. Nonostante siano le undici di mattina si sente ancora stanco. Avverte prepotentemente la stanchezza causata dalle sei ore di viaggio e il calo di energie, a seguito del picco adrenalinico della sera precedente. Ricorda poco delle ultime ore, nello specifico ha un vuoto dal momento dalla sua confessione a Paolo a quando si sono spostati a piedi verso l’appartamento. La sua mente gli suggerisce solo dei piccoli frammenti. Si stiracchia di nuovo e osservando il piccolo divano a due posti, accanto al tavolo, ricorda di essersi seduto e probabilmente addormentato lì. 
 
-È tuo questo appartamento?
 
Domanda, rompendo il silenzio. Paolo, che nel frattempo ha preso a giocherellare con il cucchiaino da caffè, scuote il capo.
 
-No, questo locale e l’intero palazzo in cui si trova sono di proprietà di un socio della Vince. Li mette a disposizione a chi fa trasferte qui o nel Lazio, in generale. 
 
Spiega. 
 
-Quindi non ti faranno storie perché mi hai portato qui, vero?
 
Domanda Stefano, preoccupato. Paolo gli sorride. 
 
-Tranquillo, ci sono stato molte volte ed è un po’ come se fosse davvero casa mia. Non mi dirà nulla nessuno. 
 
Lo rassicura, dopodiché si alza a si avvicina a lui, posandogli una mano su un braccio. 
 
-Purtroppo dobbiamo uscire a cercare qualcosa di mangiare, non avevo previsto ospiti e non ho nulla in frigorifero. 
 
Aggiunge. Stefano annuisce e si alza, ricordandosi però di avere indosso solo la maglietta di Paolo e i boxer. 
 
-Peccato che io non abbia portato nulla con cui vestirmi…
 
Commenta, riflettendo solo ora sul fatto di essere stato così sciocco da non aver portato nemmeno una borsa con un cambio. Paolo gli sorride e lo cinge per la vita, portandolo vicino al suo petto. 
 
-Ti presterò io tutto ciò che ti serve per uscire, oggi. Mentre domani, quando riapriranno i negozi, vedremo di comprare qualcosa. Ti avviso però che la mia idea è che i vestiti non ti servano affatto, finché sarai qui. 
 
Afferma, con tono di voce basso e con quel suo usuale sorriso malizioso, appena accennato sulle labbra. Stefano risponde di riflesso al suo sorriso. 
 
-Però se la maglietta del gallo l’hai data a me, come pensi di sedurmi?
 
Ribatte, cercando di mostrarsi sicuro quanto lui. La sua provocazione pare catalizzare l’interesse di Paolo che lo stringe ancora di più e lo fa roteare, tenendolo per i fianchi, facendo sì che dia le spalle al tavolo e trattenendolo contro di esso con il proprio corpo. 
 
-Hai ragione. Forse dovresti essere tu a sedurre me, questa volta. 
 
Suggerisce, spingendolo in avanti. Stefano si siede sul tavolo, allargando le gambe per permettere a Paolo di inserirsi tra di esse, dopodiché lo tira a sé, facendo pressione con i polpacci e bloccandolo tra sé stesso e il tavolo in una morsa stretta. 
 
-Tipo così?
 
Domanda Stefano, ammiccante. Paolo si passa una mano tra i capelli e si bagna le labbra con la lingua dopodiché si sporge verso Stefano, posando entrambi i palmi delle mani sul tavolo, ai suoi fianchi. 
 
-Oh… le magie che sa fare quella maglietta!
 
Commenta, avvicinandosi al suo orecchio e sussurrando. Posa un bacio leggero sulla sua guancia e poi prosegue, fino ad arrivare alle labbra. Stefano allenta la presa delle gambe e scivola all’indietro sul pianale del tavolo, per dare più libertà di movimento a Paolo che subito ne approfitta e riprende a baciarlo con più intensità, scendendo poi verso la mandibola e il collo, nelle parti lasciate scoperte dalla maglietta, nel frattempo afferra un lembo della maglia e la solleva, passando una mano al di sotto di essa e spingendo Stefano fino a farlo sdraiare sul tavolo. Lui come sempre si lascia guidare e si lascia travolgere, lasciando che si realizzi ciò che aveva intenzione di compiere la sera precedente, quando invece si era addormentato sul divano.
 
LA SERA PRIMA, ORE 00.00
 
Dopo essersi confessati reciprocamente i propri sentimenti, Stefano si sente sollevato e più volte deve toccare e stringere Paolo, per essere certo che tutto quanto sia successo davvero e che non sia un semplice frutto della sua immaginazione. Cammina affianco a Paolo che lo stringe a sé, lo segue senza fiatare e senza chiedere dove abbia intenzione di portarlo, poiché in quel momento la destinazione non gli interessa, stare insieme a lui gli è più che sufficiente. 
 
-Però domani mattina devo davvero recuperare la mia macchina, se ci sarà ancora!
 
Esclama, all’improvviso, ricordandosi in quel momento di averla abbandonata in una zona periferica vicino alla stazione Termini.
 
-Domattina ci pensiamo.
 
Lo rassicura Paolo, continuando a tenerlo stretto. Stefano annuisce ma poi altri pensieri affollano la sua testa.
 
-E i vestiti! Non ho portato nessun vestito, nemmeno un paio di mutande. Come faccio?
 
Chiede, con spontaneità. Qualcosa nel suo tono di voce deve aver divertito Paolo, che si lascia sfuggire una breve risata. 
 
-Te ne presterò un paio. 
Propone. Stefano scuote il capo, la biancheria indossata da Paolo non è per niente adatta a lui. Certo, su Paolo fa un effetto incredibile, ma non su di lui.
 
-No, io non me li metto i tuoi slip! Cosa ci metto dentro? Non ho tutta la quella… roba da contenere.
 
Esclama, senza badare alle parole. Questa volta Paolo non può proprio trattenersi, scoppia a ridere di gusto. Si ferma e si pone davanti a Stefano, tenendolo stretto per i fianchi e cercando di smettere di ridere. Stefano dopo essersi reso conto di ciò che ha detto arrossisce e cerca di rimediare.
 
-E… non ho neanche uno spazzolino, un deodorante… oddio! Non mi faccio la doccia da stamattina. 
 
Esclama, terrorizzato e cercando nel contempo di liberarsi da Paolo che di tutta risposta lo stringe sempre più forte. Si avvicina al suo viso, al suo collo e lo annusa, posando poi un bacio tra la mandibola e il collo. 
 
-La tua pelle sa sempre di buono, non ti preoccupare. 
 
Lo rassicura. Stefano si paralizza e immediatamente viene pervaso dal profumo di Paolo. 
 
-Beh in effetti tutto il profumo che ti metti tu, basterà per tutti e due.
 
Commenta. Paolo inarca le sopracciglia. 
 
-Ste, ma stai bene? Sembri una radio! Come faccio a spegnerti?
 
Esclama, con tono ironico. Stefano cerca di rispondere ma Paolo lo precede e posa l’indice sulle sue labbra, per azzittirlo.
 
-Lo sai, i motivi per cui ti amo sono molti più di dieci ma non c’era abbastanza spazio. Posso dirtene qualcun altro?
 
Stefano annuisce.  Paolo toglie il dito dalle labbra di Paolo e gli accarezza il viso.
 
-Perché sei una sfida e mi piace decifrarti, perché non c’è un briciolo di cattiveria in te, per come mi guardi.
 
Il cuore di Stefano batte all’impazzata, osserva Paolo a bocca aperta, incapace di ribattere. Se l’intento di Paolo era quello di azzittirlo, ci è riuscito perfettamente. Dopo essersi concesso qualche istante per osservarlo e godersi l’espressione stupita e rapita sul suo viso, Paolo riprende a parlare.
 
-Perché mi fai sentire, veramente, una persona speciale, per come ti lasci andare quando sei con me e anche perché sei davvero bravo a farmi i… 
 
Stefano il quel momento si irrigidisce e sente una vampata di calore divampare dal petto fino alla punta dei capelli. Paolo, scoppia di nuovo a ridere.
 
-I complimenti! Perché? Pensavi dicessi po-
Questa volta Stefano non gli permette di finire la frase, si sporge verso di Paolo e lo bacia, aggrappandosi a lui. Paolo ricambia immediatamente il bacio, stringendo a sua volta Stefano e accarezzandogli i capelli con una mano. 
 
-Dai, velocizziamo il passo che inizia a fare freddo.
 
Suggerisce Paolo, staccandosi dal bacio e riprendendo a camminare. Effettivamente, pur riscaldato dal tepore del corpo di Paolo, inizia a sentire freddo, dal momento che gli abiti che indossa non sono sicuramente adeguati a stare fuori nel cuore della notte. Camminando tra i vicoli del centro di Roma, Stefano ha quasi l’impressione di trovarsi in un film o in un romanzo d’amore e il fatto che Paolo sia lì con lui rende tutto più surreale. 
 
-Credo che tu abbia ragione, quando dici che sono un romantico. Guarda dove siamo! E… 
 
Alza gli occhi verso l’alto e osserva il cielo, limpido e puntellato da tante piccole stelle luminose. Indica un punto preciso, nel quale si trova la luna.
 
-Eccola, eccola là: la luna! Ed è ancora piena. Noi ci siamo riuniti e anche lei l’ha fatto, come a Merano.
 
Esclama, girandosi verso Paolo il quale sembra sempre più colpito dall’eloquenza di Stefano. Questa volta non si ferma ma continua a camminare.
 
-Me l’hai scritto tu che sono la tua luna, no?
 
Domanda Stefano, che a questo punto ha smesso di porsi freni nel fare domande a Paolo. Si sente preso da una ventata d’euforia, al punto di credere che il proprio cuore possa scoppiare. 
 
-Certo. Te l’avevo già detto, no?
 
Chiede. Stefano annuisce. 
 
-Sei la mia luna perché sei il raggio di luce nel buio della mia esistenza. 
 
Spiega Paolo, lasciando di nuovo Stefano senza parole. Questa volta è lui a fermarsi, costringendo Paolo a fare altrettanto. 
 
-Che c’è? Troppo patetico?
 
Domanda. Stefano scuote il capo.
 
-No, no. È che… io ho sono venuto fin qui, armato di buone intenzioni, pronto a dichiararmi a te e alla fine quello che se ne esce con le parole più belle sei sempre tu.
 
Spiega, con sincero disappunto. Paolo gli sorride e posa un bacio delicato sulle sue labbra, breve ma molto dolce. Dopodiché entrambi riprendono a camminare. Stefano rimane in silenzio per qualche minuto godendosi il momento e poi, forse perché la sua gioia in quel momento è così forte da essere incontenibile, inizia a cantare.
 
-E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’! Passo le notti a camminare, dentro un metrò 
sembro uscito da un romanzo… giallo! Ma cambierò, sì cambierò!
 
Paolo lo guarda stranito, Stefano lo ignora e continua a cantare.
 
-Gettando arance da un balcone, così non va! Tiro due calci ad un pallone e poi chissà, non sono ancora diventato matto, qualcosa farò, ma adesso no. Luna!  
 
Si ferma e guarda Paolo.
 
-È “Luna”, di Gianni Togni. La conosci?
 
Gli domanda. 
 
-Sì ma… Ste, seriamente, hai bevuto mentre eri al volante?
 
Stefano sorride e riprende a cantare, prende Paolo per mano, facendo una mezza giravolta.
 
-Luna non mostri solamente la tua parte migliore, stai benissimo da sola, sai cos’è l’amore. E credi solo nelle stelle, mangi troppe caramelle… luna! Luna ti ho vista dappertutto anche in fondo al mare ma io lo so che dopo un ti stanchi di girare, restiamo insieme questa notte, mi hai detto no troppe volte… luna!
 
Improvvisamente Paolo spinge Stefano con il proprio corpo, facendo scontrare la sua schiena con un grosso portone di legno, al di sotto di un arco in mattoni. 
 
-Ma come?! Mi hai detto che sono bravo a cantare.
 
Chiede Stefano, sorpreso dal suo gesto. 
 
-Sei straordinario. 
 
Conferma Paolo, prendendolo per i fianchi e sporgendosi per baciarlo. Stefano questa volta si sposta, evitando il contatto. 
 
-Allora perché mi hai fermato? Potrebbe essere la nostra canzone, visto che si chiama proprio “Luna”.
 
Insiste Stefano, convinto del suo pensiero. Paolo scuote il capo.
 
-No. Io non ti ho mai detto di no e mai te lo dirò. 
 
Spiega. Stefano sorride.
 
-Infatti è la luna a dire no a Gianni Togni, io sono la luna, non tu. Sono io la… “donna difficile”, come mi hai detto un po’ di tempo fa. La dovresti cantare tu la canzone ma visto che non lo sai fare, lo faccio io per te.
 
Paolo questa volta non lo lascia sfuggire, lo stringe ancor più forte e lo bacia, togliendogli il fiato. 
 
PRESENTE, ORE 12.30
 
Il centro di Roma è quasi deserto e il sole, alto e splendente in cielo, ricorda più una giornata primaverile che dicembrina. Camminano l’uno al fianco dell’altro, staccati di pochi centimetri, al punto che le loro spalle riescono quasi a sfiorarsi. Stefano sta indossando il cappotto di Paolo e si sente impacciato e ridicolo: le spalle sono decisamente troppo larghe rispetto alle sue e ha dovuto arrotolare le maniche due volte, perché erano molto lunghe. Si sente come se avesse indosso il cappotto di suo padre ed è felice che non ci sia quasi anima viva in giro, a vederlo. Paolo al contrario è sempre impeccabilmente perfetto: indossa solo una giacca blu e al di sotto di essa una camicia color glicine, pantaloni dal taglio dritto e dello stesso colore della giacca. Deve trattarsi sicuramente di capi di alta moda, dal momento che anche il cappotto che gli ha prestato lo è, si tratta infatti di un cappotto in pura lana di Hugo Boss, lo stesso della sera prima che su Paolo era straordinariamente perfetto, anche al di sopra di una semplice tuta, mentre Stefano si sente come in  quel periodo da bambino in cui i suoi cugini più grandi gli passavano i loro vestiti usati, di almeno due taglie più abbondanti rispetto alla sua, essendo tutti molto più robusti di lui. Con la coda dell’occhio osserva Paolo, il cui sguardo è nascosto dietro alle lenti scure degli occhiali da sole. Tiene le mani in tasca e cammina disinvolto, apparentemente spensierato. Passando per un vicolo, incontrano alcuni gruppi di persone, perlopiù turisti e Stefano inizia a notare diversi sguardi indirizzati verso Paolo, sia da parte di donne sia da parte di uomini o ragazzi. In particolare, una donna apparentemente sulla cinquantina passa accanto a loro e si ferma, quasi pietrificata, per osservarlo, lasciandosi sfuggire un’espressione compiaciuta, prima di riprendere a camminare. Paolo sembra non essersene accorto.
 
-Certo che andare in giro con te è un’esperienza… 
 
Afferma Stefano, sospirando. Paolo si gira verso di lui.
 
-Perché?
 
Domanda sorpreso. Stefano fa una smorfia, cercando di capire se davvero non si sia accorto di nulla o se stia invece facendo il modesto.
 
-Quando cammini in mezzo alla gente si girano tutti a guardarti, la signora di prima ti avrebbe spogliato con lo sguardo, se avesse potuto. 
 
Spiega Stefano. Paolo si ferma, sollevando appena gli occhiali per osservare meglio Stefano. Prima che possa dire qualcosa viene fermato da un commento colorito, provenire da una donna piuttosto giovane.
 
-a’ bono!
 
Esclama, ad alta voce. Stefano abbassa lo sguardo e arrossisce.
 
-Appunto…
 
Commenta, a bassa voce. Paolo sorride. 
 
-Non sarai mica geloso?
 
Domanda Paolo, sorridendo maliziosamente e con aria compiaciuta. Stefano scuote il capo e riprende a camminare. Paolo lo raggiunge subito e lo trattiene, mettendo un braccio attorno alla sua vita, al di sotto del cappotto. 
 
-Colpa tua che fai il vergognoso e non vuoi neanche tenermi per mano.
 
Lo rimprovera scherzosamente. Stefano rimane in silenzio, tenendo lo sguardo basso, effettivamente, poco prima mentre stavano uscendo dall’appartamento, Paolo aveva cercato di prenderlo per mano, mentre lui si era ritirato vedendo arrivare delle persone nella sua direzione. Naturalmente non pensa ci sia nulla di male nel fatto che due uomini mostrino affetto reciproco, il vero problema per lui non è il fatto che siano due uomini, quanto la dimostrazione di affetto in pubblico, anche a Milano gli è difficile accettare i baci e gli abbracci di Paolo, che da tipo estremamente fisico quale è non ha intenzione di trattenersi, tuttavia trovandosi in una città diversa dalla propria e sconosciuta, non si sente sicuro. Insicurezza che ricorda di non aver mostrato la sera prima. Mentre riflette, cercando di ricordare cosa esattamente possa aver fatto la sera precedente, Paolo lo bacia sulla guancia. Un bacio rapido e delicato che ha il potere di congelare immediatamente i suoi pensieri.
 
-Vedrai che adesso non mi guarderà più nessuno, con occhi desiderosi. Sono tutto per te.
 
Commenta, sussurrandogli nell’orecchio. Stefano si irrigidisce e Paolo sorride, provando grande divertimento nel metterlo in difficoltà in quel modo. 
Riprendono a camminare in silenzio, guardandosi attorno per trovare un locale aperto dove poter acquistare almeno un pezzo di pizza. Improvvisamente il cellulare di Stefano, nella tasca del cappotto, inizia a vibrare. Lo prende e accetta la telefonata senza leggere di chi si tratti, la luce del sole non gli permette di vedere bene lo schermo del cellulare. 
 
-Pronto…?
 
Risponde, con incertezza. La persona all’altro capo del telefono sembra essere decisamente più determinata di lui.
 
-Dove cazzo sei finito?! Sono le dodici e mezza passate e stiamo aspettando solo te!
 
È Elena ed è arrabbiata. Stefano spalanca gli occhi, ricordandosi solo in quel momento che sarebbe dovuto andare a pranzo anche oggi dai suoi genitori. Non ha avvisato nessuno della sua partenza e nemmeno gli è balenato in testa di doverlo fare, perché dal rientro a casa il pomeriggio precedente la sua mente è stata occupata da Paolo e non c’è stato spazio per altro. 
 
-Sono…
 
Fatica a rispondere ed Elena prende di nuovo la parola.
 
-Ti ho mandato almeno tre messaggi, un sms, ti ho fatto un vocale e adesso ti ho chiamato due volte! Ci vuoi dare una spiegazione? Siamo tutti a tavola.
 
Lo rimprovera. Stefano cerca di prendere coraggio, nel frattempo Paolo è girato verso di lui e sicuramente sa ascoltando tutto, dal momento che Elena parla così forte, quasi avesse inserito il vivavoce.
 
-Sono a Roma. 
 
Risponde, non riuscendo a dire altro. Ovviamente l’ira di Elena accresce.
 
-A Roma? Adesso? Ma cosa... ?
 
Paolo prende il telefono dalle mani di Stefano e lo porta all’orecchio.
 
-Ciao Ele, prima cosa Buon Natale. Secondo, tranquilla, il tuo fratellino è con me.
 
Risponde, con disinvoltura. Stefano lo guarda stranito, spalcando gli occhi. Anche Elena sembra essersi azzittita. 
 
-Paolo..?
 
Domanda, riprendendo il suo solito tono di voce ma senza alcuna sfumatura astiosa. 
 
-Sì. Stefano è arrivato ieri sera. Davvero non poteva stare un altro giorno senza di me. 
 
Risponde, con un grande sorriso. Stefano al contrario si sente impallidire e vorrebbe strappargli il telefono di mano. Elena è sicuramente a tavola di suoi genitori, che potrebbero aver ascoltato ogni cosa. 
 
-Ah… ok! Nessun problema, bastava saperlo. Quel decerebrato di mio fratello non ha detto nulla nessuno ed eravamo qui tutti a tavola a chiederci che fine avesse fatto!
 
Si giustifica lei, mantenendo sempre un tono alto e sostenuto. 
 
-Mi spiace. Si è fatto tardi e probabilmente deve essergli sfuggito di mente… tranquilla, non gli è successo nulla. Anzi, me lo terrò fino al due di gennaio, se per voi non è un problema. 
 
Annuncia Paolo, rivelando qualcosa di cui Stefano non era ancora a conoscenza. 
 
-No, no. Tienitelo pure quanto ti pare! Noi l’abbiamo avuto abbastanza. 
 
Conclude lei, dopodiché si salutano ed Elena riattacca, senza chiedere di parlare di nuovo con Stefano. Paolo gli porge il cellulare, con aria soddisfatta. Stefano lo prende e lo ripone nella tasca del cappotto, sospirando.
 
-Mi sono totalmente dimenticato di avvisare, è colpa tua!
 
Lo rimprovera, infastidito. 
 
-Colpa mia? 
 
Domanda, aggrottando la fronte. Stefano annuisce.
 
-Mi mandi completamente in palla il cervello. Se ci sei tu di mezzo… non riesco a pensare ad altro!
 
Si lamenta, abbassando lo sguardo e rendendosi conto di aver detto più di quanto in realtà volesse dire. Paolo afferra più saldamente il fianco al quale è aggrappato e porta Stefano davanti a sé, contro il suo petto. Con la mano libera gli carezza il viso e si avvicina lentamente a lui, per baciarlo, posa le proprie labbra sulle sue in un bacio dolce, delicato e fugace. 
 
-La stessa cosa vale per me. Non appena mi hai mandato quella foto sono uscito di casa così com’ero vestito, dimenticando il fatto che stessi andando a fare pipì. 
 
Confessa, sorridendo. Stefano grazie a quel dettaglio riesce a ricordare più chiaramente l’ultimo passaggio della sera precedente.
 
 
LA SERA PRIMA, ORE 00.30
 
Stefano segue Paolo all’interno di un cortile elegante e signorile, con archi e vetrate, di stile totalmente diverso rispetto al suo moderno e lussuoso appartamento di Milano. Dopo aver salito due rampe di scale, Paolo si ferma ed estrae un mazzo di chiavi dal cappotto. Apre la porta davanti a sé e invita Stefano ad entrare, dopo aver acceso le luci. Il locale è molto più modesto di quanto si aspettasse, considerati gli standard di Paolo.
 
-Perdonami il disordine, decisamente non aspettavo ospiti.
 
Si scusa Paolo, sistemando il tavolo occupato da un pc portatile, alcuni documenti e un bicchiere d’acqua mezzo pieno. Stefano ripensa di nuovo al fatto di aver lasciato Paolo da solo, il giorno di Natale. Ripensa al suo pranzo in famiglia e si immagina lui, seduto a quel tavolo, in completa solitudine. 
 
-Ti sei spento, tutto d’un tratto?
 
Domanda Paolo, vedendolo pensieroso. Stefano cerca di abbozzare un sorriso. 
 
-No, mi stavo solo guardando intorno. Questo posto… non è proprio da te.
 
Commenta. Paolo si avvicina a lui, prendendolo per mano. 
 
-È vero, è terribile. Stai pensando di tornartene a Milano?
 
Chiede, intrecciando le proprie dita con le sue. Stefano scuote il capo. 
 
-Non me ne vado finché non te ne vai tu. Sono venuto a prenderti e non tornerò senza di te. 
Risponde. 
 
-Ma a Milano ci sarei tornato comunque, lo sai vero?
 
Stefano annuisce. 
 
-Ma saresti venuto a cercarmi? 
 
Domanda, titubante. Paolo non gli risponde subito, gli rivolge uno sguardo enigmatico con l’obiettivo di lasciarlo sulle spine. Stefano lo fissa profondamente negli occhi, in attesa di una risposta e il battito del suo cuore accelera, immediatamente. Paolo si lascia sfuggire un sorriso.
 
-Se non avessi fatto tu la prima mossa, sì. Mi sono comportato da stronzo, facendo quella telefonata, però ero davvero infastidito quella sera e sapevo che se ti avessi affrontato faccia a faccia non sarei riuscito ad essere impassibile, ti avrei guardato negli occhi e avrei ceduto. 
 
Spiega, continuando a tenergli stretta la mano destra e posando quella sinistra sul suo fianco. 
 
-Ti aspettavi che venissi qui?
 
Chiedi Stefano, con un fil di voce. Paolo scuote il capo.
 
-No, hai superato completamente le mie aspettative. 
 
Ammette, risalendo dal fianco fino al petto e accarezzandolo seguendo movimenti circolari. Stefano inizia a sentire caldo e quel suo maglione, in realtà molto leggero, diventa di troppo. 
 
-Ho imparato dal migliore.
 
Azzarda Stefano, ben sapendo che quel complimento sarà apprezzato da Paolo il quale, immediatamente, lo spinge contro il muro premendo sul suo petto e lo bacia, con passione e avidità. Percepisce chiaramente il desiderio nel movimento delle sue labbra, della sua lingua, della sua mano destra che sale fino ad accarezzargli i capelli, mentre con l’altra continua a tenerlo fermo contro il muro, quasi avesse il timore di una sua fuga. Stefano, ovviamente, non ha alcuna intenzione di andare via, al contrario risponde agli stimoli di Paolo, posandogli una mano sulla schiena e portandolo ancora più stretto addosso a sé. Dalla schiena la sua mano arriva alla nuca, scompigliando suoi capelli biondi, così elegantemente spettinati. Si lascia trasportare dalla voracità e l’intensità dei baci di Paolo, che assaggia la sua bocca e le sue labbra, quasi con l’intento di divorarlo. Se anche volesse farlo, Stefano glielo concederebbe. 
 
-Aspetta.
 
Si ferma improvvisamente, prendendo fiato ma senza staccarsi da Stefano. Gli posa un dito sulle labbra, che Stefano istintivamente lecca, facendolo sorridere. 
 
-Ti chiedo solo due minuti di pazienza. Prima che mi contattassi stavo andando a fare pipì, dammi il tempo di andare in bagno e riprendiamo da dove abbiamo lasciato. Siediti lì, sul divano, concentrato così come sei. 
Propone, indicandogli un piccolo divano, contro una parete. Stefano annuisce e si siede, mentre Paolo si allontana per andare in bagno, come gli ha appena detto.  Ci mette qualche istante prima di riprendersi e un po’ si dispiace che Paolo abbia interrotto ciò che stavano facendo, proprio sul più bello. Girandosi a destra nota che, dalla finestra, si intravedono le luci di Roma. Solo in quel momento realizza di aver ottenuto il suo intento, di aver compiuto il primo atto sconsiderato e irrazionale della sua vita e di esserne uscito vincitore. Ripensa al momento in cui lui e Paolo si sono confessati i reciproci sentimenti, spazzando via tutte le paure che fino a quel momento l’avevano tormentato, fino a togliergli il sonno. Ripensa al giorno prima, quando per l’ennesima volta aveva ripetuto a sua sorella e davanti a tutta la sua famiglia di non avere una relazione. Solo poche ore più tardi, ha ricevuto da Paolo la risposta a quella domanda che avrebbe voluto e dovuto porgli da diverso tempo. Si sente leggero, sollevato, come se un macigno enorme fosse stato prelevato dal suo petto e dal suo cuore. 
 
Ovviamente nella sua testa stanno iniziando a formarsi altri interrogativi e altri dubbi: inizia a pensare che presto dovrà portare Paolo nella sua famiglia, che dovrà inserirlo stabilmente nel suo gruppo di amici e che dovrà forse smetterla di far finta di niente, con i compagni di squadra, specialmente dopo che all’ultima cena di Natale, nessuno si è mostrato contrario all’eventualità di una relazione tra lui e Paolo. 
 
Si tratterà di affrontare diversi cambiamenti, anche grandi, che potrebbero modificare radicalmente la sua vita e, soltanto a valutarne il peso, Stefano inizia a preoccuparsi. Fortunatamente riesce a spingere via temporaneamente tutte le preoccupazioni, si mette più comodo sul divano chiudendo gli occhi e cercando di rilassarsi, per godersi di quel suo bel momento e quel traguardo importante, appena raggiunto. Si rilassa al punto di addormentarsi, è più sereno di quanto non fosse quando è partito qualche ora prima e ha un gran sorriso sulle labbra.
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Ciao a tutti! Perdonate l'attesa, spero ne sia valsa la pena :) Io mi sono divertita molto nello scrivere questo capitolo. Mi auguro di ritornare a postare regolarmente! Lasciatemi i vostri feedback, se vi va ;) a presto!

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