Science is magic

di MollyTheMole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Punalu'u ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Blackest black. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Oblivious narcissism ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Liquid nitrogen ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Punalu'u ***


SCIENCE IS MAGIC

Capitolo 1: Punalu’u 

 

Monique Dubois era una donna di enorme talento.

Piccola e un poco maschile nei tratti, l’agente Dubois era l’esempio perfetto del melting pot genetico della Grande Mela: madre nativa americana con parenti portoricani e padre danese in parte francese, Cielo negli Occhi era il suo secondo nome. I suoi tratti genetici ereditari avevano fatto sì che Monique apparisse nel modo in cui appariva: sottile e ossuta, pelle olivastra ed occhi a mandorla, zigomi larghi, nasino all’insù e un paio di luminosi occhi azzurri dietro una cascata di capelli d’ebano. 

Era teologa, specialista in culti indigeni e tradizioni tribali. 

Ma non aveva avuto pregiudizi, no, anche se lei era quanto di più lontano potesse esserci dalla sua idea di professione. Anche lui amava le lettere ed era un asso con le lingue morte. Con Monique c’erano stati punti di contatto e gli era piaciuto molto lavorare con lei. Tuttavia con il passare del tempo la giovane agente aveva mostrato tutti i suoi limiti. 

Shuichi aveva trascorso un anno da matricola all’Unità Analisi Comportamentale, a stilare profili psicologici dei peggiori criminali del paese. Poi, era riuscito finalmente ad ottenere un posto agli Affari Interni, ma la strada era ancora lunga prima di riuscire a fare ciò che aveva sempre desiderato fare. 

All’epoca il giovane agente Akai non lo sapeva, ma avrebbe dovuto attendere ancora un anno prima di riuscire ad affrontare personalmente l’Organizzazione degli Uomini in Nero, il gruppo criminale che gli aveva rovinato la vita e che ancora perseguitava i suoi peggiori incubi.

Al momento, Shuichi era orfano della giovane agente Dubois, alla quale aveva dato il benservito dopo l’ennesimo sabotaggio. In un anno aveva già cambiato tre partner. Quando Monique era arrivata, si era convinto che sì, lei sarebbe stata quella giusta se fosse riuscita ad ingranare la quarta. Invece, gli aveva mandato all’aria ben tre casi su cinque. 

Non era colpa sua, poverina. Semplicemente non era adatta per il lavoro che faceva. All’Analisi Comportamentale avrebbe fatto faville, e anche all’antiterrorismo. Quello che faceva lui, però… No, Monique si lasciava trasportare troppo dalle emozioni.

Da quando era approdato agli Affari Interni gli avevano affidato i peggiori crimini compiuti nel paese, tanto per cambiare. Gran parte di essi erano cold cases vecchi di anni a cui nessuno era mai riuscito a trovare una soluzione. Aveva dato prova delle sue attitudini e ben presto gli era stato riconosciuto l’enorme talento di cui era dotato, ma gli avevano sempre affidato partner poco attendibili, le cui caratteristiche sarebbero state adatte ad ogni incarico fuorché al suo.

Aveva parlato con James Black innumerevoli volte, chiedendogli espressamente un agente che fosse dotato di una formazione scientifica, che bilanciasse le sue conoscenze umanistiche.

Aveva ottenuto un veterinario, un sociologo e una teologa. 

Col veterinario il rapporto professionale si era troncato di netto nel giro di una settimana. Tempo dopo avrebbe scoperto che era stato addirittura licenziato e allontanato dall’FBI con l’accusa di spionaggio.

Col sociologo invece era rimasto in ottimi rapporti. Era un criminologo dotato, ma sul campo si perdeva in un bicchiere d’acqua ed aveva paura ad usare le armi da fuoco. Il che per un agente dell’FBI era il colmo, e Shuichi gli aveva scritto una bella lettera di referenze per l’accademia a Quantico, dove a quanto ne sapeva ancora insegnava con ottime valutazioni.

Era rimasto in buoni rapporti anche con Monique, alla quale aveva scritto una lettera di referenze per l’Unità Analisi Comportamentale. 

Sperava davvero che si trovasse bene. Era bravissima in ciò che sapeva fare. 

Seduto alla sua scrivania con una pila di carte che sembrava non finire più, il giovane agente Akai si massaggiava le tempie senza sapere che pesci prendere.

Il problema del suo lavoro - e il suo problema in generale - era che, a dispetto delle apparenze, si lasciava trasportare emotivamente anche lui. Quella pila di carte era spiacevole, molto spiacevole. C’era gente là fuori che come lui voleva risposte relative alla perdita o alla scomparsa dei loro cari. 

Risposte che lui da solo non poteva fornire. O meglio, certo che poteva, il problema era che sarebbero arrivate con tempi doppi, se non tripli, senza un partner che gli desse una mano nella ricerca delle prove.

E lui sapeva quanto potesse essere estenuante aspettare. Al punto tale da andare a cercare risposte da soli, perché ci si sente abbandonati.

Nonostante dunque una parte di lui fosse estremamente consapevole che sì, non c’era altro che potesse fare oltre farsi in quattro per il suo lavoro, l’altra parte sapeva di non star facendo abbastanza e si sentiva in colpa.

Per quanto amasse lavorare da solo, aveva bisogno di un partner che lo aiutasse in quel lavoro così complesso.

Non aveva però la benché minima voglia di riprovarci. Avrebbe dovuto ricominciare da capo, con una persona nuova, con attitudini diverse dalle sue. Per lui quel genere di contatto era estenuante. 

Così era finito seduto alla scrivania, immerso in una pila di carte, a massaggiarsi le tempie, con il telefono dell’ufficio davanti a lui pronto per essere usato.

Sospirò, posando i palmi sul tavolo e chiudendo gli occhi. Nell’aria c’era il solito odore di stantio con un vago retrogusto di carta e cartone vecchio e rovinato, bagnato dall’umidità dell’archivio in cui i suoi casi erano rimasti rinchiusi per anni. 

Aprì le palpebre e digitò una serie di numeri sulla tastiera.

Il telefono suonò libero.

- Chi è?-

- James, sono Akai.- 

- Oh, ragazzo. Passa da me, non ho impegni. No, anzi, passo io, così sgranchisco un po’ le gambe.-

 

- E così è andata buca anche stavolta.-

Shuichi avrebbe tanto voluto replicare che un veterinario con opinioni politiche sovversive, un sociologo che non sapeva impugnare una pistola e una teologa che vedeva spiriti dovunque non erano un problema suo, ma dell’FBI. 

Si limitò ad aprire le braccia.

- Se può consolarti mi ha chiamato Barnes della BAU. Dicono che Monique si stia comportando divinamente. Ha risolto brillantemente un caso a Tampa.-

- E’ giusto che lavori in un luogo che le permetta di esprimere il suo talento.-

James annuì e si pulì gli occhiali con la cravatta. 

- E così sei a piedi di nuovo. Mi piacerebbe essere come tutti gli altri capi, per cui la colpa è sempre dei dipendenti, ma devo essere onesto: nel tuo caso c’è stata anche una buona dose di sfi… ehm, sfortuna.-

Shuichi dondolò il capo in cenno di assenso. 

- A questo proposito, James, è indubbio - ed aprì le braccia ad indicare la pila di carte che aveva preso possesso anche di parte del pavimento - che mi serva una mano. Un lavoro del genere non può farlo un agente da solo. Nemmeno due, ad essere onesti. Ci vorrebbe una squadra, ma…-

- Rinunciaci, figliolo. Siamo in crisi economica. La spending review ha colpito anche i nostri uffici e più di così non possiamo fare. Un altro, uno solo. Non di più.-

Il giovane agente mise su la sua miglior maschera di rassegnazione e posò i palmi aperti sul tavolo.

- Uno.-

- Come lo vuoi?-

Shuichi sorrise, sentendosi un po’ come se stesse scegliendo il caffè da Starbucks.

- Uomo o donna, non fa differenza. Con una formazione STEM: possibilmente fisica, medicina o chimica, ingegneria biomedica, roba così.-

- Ho un ingegnere edile.-

- Non ci faccio niente. Mi serve gente che sappia vedere quello che di solito non si vede. Di norma queste prove sono sui cadaveri o nella dinamica. Se mi serve un perito, te lo chiedo.-

I due si scambiarono un’occhiata tra il divertito e l’esasperato.

- Quindi genere indifferente, formazione scientifica.-

- Possibilmente matricola. A questo punto preferisco plasmare un agente come dico io, piuttosto che acquisire un altro agente con esperienza e una laurea in tuttologia.-

- Un agente più navigato arriva con un enorme bagaglio di esperienza.-

- Per quello ci sei tu. Un agente più navigato arriverebbe con la pretesa, per via della suddetta esperienza, di darmi ordini nonostante qui comandi io. Non ho bisogno di un secondo capo.- 

Gli fece un sorriso. 

- Senza rancore.-

James Black si appollaiò meglio sulla sedia, arruffandosi i capelli grigi sempre, perennemente pettinati all’indietro che profumavano vagamente di lacca.

- Sai, sei fortunato. Le matricole sono uscite due settimane fa da Quantico, fresche d’accademia. Ho una pila gigantesca di curriculum da esaminare. Alcuni sono molto promettenti.-

Gli occhi verdi di Akai si illuminarono.

- Temo però che mi ci vorrà un po’ per esaminarli tutti. Almeno altre due settimane. Considera che la gente che vuole entrare all’FBI difficilmente fa domanda per i crimini informatici o per il reparto traffico d’arte. Indovina dove vogliono andare tutti?-

- Agli Affari Interni.-

- Viva la sicurezza nazionale.-

- Hanno guardato troppe serie tv.-

- Tu eri uno di quelli.-

- Avevo ragioni diametralmente opposte. A proposito…-

- Dammi retta, figliolo. Aspetta. Il vento sta cambiando. Vedrai che tra un po’ trovo il modo di assegnarti al caso che sai.-

Shuichi gli fece un bel sorriso disteso. 

- Bene. Quanto tempo ti serve?-

- Almeno un paio di settimane. Nel frattempo, tu te ne vai in ferie.-

Nella piccola sala cadde il silenzio.

A Shuichi era stato assegnato un bell’ufficio luminoso al sesto piano, situato in fondo ad un corridoio stretto e lungo su cui affacciavano altri sette uffici simili al suo e un bagno che non voleva saperne di funzionare. Tra porte di vetro e veneziane da ufficio, c’erano due scrivanie con due lampade, due computer, due schedari e una innumerevole serie di cassetti pieni di scartoffie in condivisione tra gli inquilini. 

Al momento, in quell’ufficio che odorava di chiuso regnava il caos più assoluto fatto di carte, cibo, spuntini e bottiglie d’acqua finite, misto ad un vago sentore di fumo. 

Un caos che rifletteva quello nella testa del giovane agente.

- Aspetta, come in ferie?-

Black arricciò il naso, annusando l’aria.

- Akai - kun, quante volte ti ho detto di non fumare in ufficio?-

- Ho un sacco di lavoro, James, non posso andare via!-

- E per questo fumi? Ragazzo, dovresti avere delle abitudini più salutari. Chiuderti qua dentro a fumare come una ciminiera non aiuterà la gente che vuoi aiutare.- e fece spallucce, aggiustandosi la cravatta. - Per questo andrai in ferie. No, niente ma. Così è deciso, l’udienza è tolta.-

Shuichi sospirò, fingendo rassegnazione.

James Black aveva conosciuto suo padre, tanti anni prima. Anzi, sarebbe più corretto dire che aveva conosciuto praticamente tutta la sua famiglia. Era inglese come loro, aveva lavorato in settori che non si potevano specificare su casi che non si potevano raccontare. Aveva stima di lui, anche se non aveva mai fatto esperienza diretta del suo comando fino a poco tempo addietro. 

Dopo un iniziale periodo di deferenza e distacco, James Black si era aperto gradualmente fino ad assumere un ruolo quasi familiare. Niente e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzare suo padre, ma il buon vecchio inglese sapeva andarci vicino.

A volte anche troppo.

- Oh, non pretendere di ingannarmi, figliolo. Tu andrai in vacanza e non ti porterai il lavoro a casa. No, non fare quella faccia, ormai ti conosco come le mie tasche. Questa volta metterai il tuo stacanovismo in valigia assieme alla biancheria intima e al costume da bagno. Sì, hai capito bene. Te ne vai alle Hawaii, a mollo nell’acqua di una splendida spiaggia nera. Punalu’u.-

Questa volta lo sbigottimento sul volto di Shuichi era genuino e James Black ne rise di cuore.

- James, sai perfettamente che adesso non è né il momento, né…-

- Fosse per te non sarebbe mai il momento, figliolo.-

- E se io avessi preferito andarmene a sciare o a vedere le cascate del Niagara?-

- Non ti avrei mandato in ferie, perché ti saresti rinchiuso in un qualche chalet a lavorare da solo come un cane o avresti visto le cascate da una cartolina sul muro di un motel. No, la verità è che ti ho comprato i biglietti per Punalu’u perché c’è un ritiro dell’FBI. Ci sarà un bel po’ di gente, avrai compagnia e il panorama è meraviglioso. Ci saranno anche alcune matricole, magari trovi qualcuno che ti va a genio. Siamo d’accordo, dunque? Lo sapevo. Fa’ attenzione alle correnti quando nuoti, mi raccomando.- 


LA TANA DELLA TALPA

*Rullo di tamburi*
Molly la Talpa è di nuovo in pista!
Tempo fa ho scritto un'altra storia, dove insinuavo che i nostri eroi si fossero conosciuti alle Hawaii ad un ritiro dell'FBI trasformatosi in una vacanza con delitto. 
Ecco, questo è ciò che l'unico neurone della mia scatola cranica - solo come una piccola particella di sodio - è stato in grado di produrre. 
Fatemi sapere che cosa ne pensate. Spero di strapparvi una risata in questi tempi bui.
A presto,

Molly. 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Blackest black. ***


Capitolo 2: Blackest black

 

I pigmenti che assorbono la luce piuttosto che rifletterla danno luogo a ciò che viene chiamato “nero”. E’ un fenomeno che si può ottenere in diversi modi. Uno di questo è la cosiddetta mescolanza o sintesi sottrattiva.

Prendiamo ad esempio due pigmenti o due colori diversi, e mettiamoli sotto una luce particolare con una determinata composizione spettrale. Essi avranno un colore specifico perché assorbono bande diverse della luce incidente. Una volta mescolati o sovrapposti e illuminati dalla stessa, medesima luce, si avrà la sensazione di essere di fronte ad un colore diverso. E’ un processo che avviene di continuo. Se un colore appare giallo è perché assorbe la banda blu, se appare magenta è perché assorbe la banda verde. Se li si mescola, vedremo rosso. 

L’uomo ha dipinto con questo principio per secoli. Più recentemente, si è dedicato alla fotografia e alla stampa. 

Quando la mescolanza sottrattiva coinvolge pigmenti che assorbono tutta la banda luminosa, la luce di ogni colore, si ha quindi il nero. 

La sostanza artificiale che assorbe il maggior spettro di luce - il 99,995% di tutta la radiazione luminosa - è la cosiddetta Blackest Black. Composta da nanotubi di carbonio, è stata progettata al MIT nel 2019 e ad oggi rappresenta il nero più nero che l’uomo abbia mai creato.

Ecco, qualche anno prima che fosse inventato la giovane agente speciale Jodie Starling si sentiva come se fosse sdraiata su quel famoso composto di nanotubi di carbonio.

A convincerla ad andare a quel ritiro a Punalu’u era stata la sua migliore amica Jenny Kinnear. Aveva conosciuto Jenny in accademia a Quantico, una ragazza di origini irlandesi, spumeggiante e divertente che sapeva renderle leggere le giornate con la sua innata frivolezza. Era un tipo di svago di cui aveva bisogno ogni tanto, anche se a volte non la capiva. Jenny sapeva tutto di tutti, era un pozzo senza fondo per gossip e altre nozioni superficiali delle quali Jodie non sapeva esattamente che fare. Tuttavia, Jenny era sveglia ed intelligente, sapeva tenere un segreto ed era una boccata d’aria fresca in contesti ad alta tensione senza essere inappropriata, stupida o inopportuna.

In quel momento Jenny era distesa sul telo da mare accanto a lei, la chioma rossa sparsa al sole. Nonostante fosse di Orlando parlava con un fortissimo accento irlandese, come se ci tenesse a rimarcare le sue origini.

L’agente Starling si chiese se non stessero facendo davvero un bel quadretto. Jenny rossa e pallida come una mozzarella; lei bionda e bianca come un panno lavato in varichina. Tutte e due stese al sole su una spiaggia delle Hawaii nella vaga speranza di abbronzarsi un poco salvo poi cospargersi di crema doposole e pentirsene amaramente. 

I loro fenotipi non si abbronzano. Diventano rossi come aragoste, ci restano per un po’ e poi squamano come serpenti in muta, per diventare di nuovo bianco latte e tornare a mimetizzarsi col muro.

E poi diamine, erano su una spiaggia nera.

Il nero assorbe i raggi solari. Questo significa che il calore si percepisce il triplo. E la loro pelle ne risentiva.

Si sentiva davvero come un’aragosta gettata nell’acqua bollente.

Aveva provato a far ragionare Jenny, ma lei era stata categorica. Anzi, era riuscita a convincere la stessa Jodie che sarebbe stata una grande idea andare a quel ritiro. 

- Primo: ci saranno anche altri ragazzi che si sono appena diplomati. Ragazzi molto, molto carini. La nostra vita è già complessa così, vuoi anche privarti dell’occasione di vedere un bel paio di addominali in costume da bagno? E poi, ci saranno i professionisti. Gli agenti speciali navigati. Quelli che contano. Magari sarà un’occasione per fare bella mostra di noi. Chissà, magari troviamo lavoro!- 

Jodie sapeva che le assegnazioni le facevano dall’alto, tenendo vagamente conto delle loro preferenze. Di norma, infatti, nessuno aveva davvero voglia di rinchiudersi in uno stanzino buio odorante di muffa a esaminare milioni di messaggi Whatsapp o filmati delle telecamere di chissà quale buco sperduto negli Stati Uniti. Tutti - forse complice l’eccesso di filmografia in proposito - volevano indiscutibilmente andare a fare i fighi agli Affari Interni, alla Sicurezza Nazionale o all’Antiterrorismo.

Se tutti coloro che ne facevano richiesta fossero andati davvero agli Affari Interni, all’FBI sarebbero stati freschi.

Jenny sapeva già che sarebbe andata al Traffico d’arte ed era felicissima, perché era quello che aveva sempre voluti. Lei, invece, stava ancora aspettando la telefonata di James Black.

Un uomo che per lei era stato come un padre.

Tuttavia, Jenny aveva colto nel segno, almeno in parte. No, non per gli addominali dei loro colleghi. Piuttosto, perché le cose si potevano cambiare. Era un’occasione per farsi conoscere. Le sue attitudini potevano piacere a qualcuno. Certo, ci sarebbe voluta una disgrazia in cui fare sfoggio delle sue capacità e Jodie non se lo augurava di certo. La gente pensava che la vita a Quantico fosse complessa, ma appagante. A volte, invece, era stressante e basta. Non aveva voglia di morti o disgrazie. 

Magari le sarebbe bastato un mojito e la giusta compagnia per spargere la voce che la giovane e volenterosa agente Starling aveva davvero i numeri per gli Affari Interni.

Doveva averli. Altrimenti, la sua famiglia non avrebbe mai trovato giustizia.

Sospirò, mettendosi seduta e asciugandosi il sudore dalla fronte con il palmo della mano.

Erano quasi alla fine del loro soggiorno alle Hawaii e non avevano ancora combinato nulla di buono.

E poi no, non avrebbe pensato all’Organizzazione degli Uomini in Nero sulla spiaggia nera di Punalu’u. 

Già c’era troppo nero - e troppo caldo - così.

- Vado a fare il bagno. Si soffoca qui.-

Jenny le rispose con un cenno della mano, il viso nascosto sotto il cappello di paglia ad ampie tese.

 

L’acqua era fresca, persino fredda. Era normale. L’oceano è profondo e l’acqua è per forza fresca. Il sole e il caldo le davano l’impressione che fosse più fredda di quello che era, ma a lei andava bene così. Un po’ di frescura era tutto ciò di cui aveva bisogno. 

Cominciò a nuotare. Era consapevole delle correnti, ma Jodie aveva imparato a nuotare bene. Negli anni si era sottoposta ad un rigidissimo addestramento. La sua famiglia adottiva non aveva mai capito del tutto per quale ragione il folletto biondo che si trovavano in casa fosse così ostinato a fare tutto ciò che ai loro occhi rappresentava un’attività - come dire? - eccentrica. Non di certo per quanto riguardava ascoltare l’heavy metal e laurearsi al college in una branca stranissima della medicina, questo no. Quelle erano attività curiose, ma accettabili. A sollevare la loro perplessità era stata la sua volontà di voler imparare un po’ di arti marziali e difesa personale, a guidare una moto, vestirsi di scuro, tingersi i capelli di colori strani, andarsene in giro con una BMX vintage che sembrava uscita dall’ultima stagione di Stranger Things, persino frequentare un corso di apnea. 

Jodie non era mai stata un’attaccabrighe. Non se la prendeva con tutti per partito preso, ma con qualcuno era arrivata ai ferri corti perché, a dispetto della sua apparenza da bambola di porcellana, era libera come l’aria. Non voleva il controllo. Ne doveva subire già abbastanza. 

La Jodie bambina aveva perso la sua casa, la sua famiglia, il suo nome. Tutto era stato modificato. A Jodie piacevano gli orsacchiotti di pezza, quindi alla sua falsa identità dovevano piacere i conigli di peluche. A Jodie piaceva la pizza, quindi il suo cibo preferito sarebbe dovuto diventare il cioccolato. A Jodie piaceva cantare, quindi avrebbe dovuto fare la ballerina. 

Per essere irrintracciabile doveva arrivare a mentire così bene da crederci lei stessa. 

Il risultato era stato che a domanda precisa aveva sempre dato una risposta precisa. 

Che cosa ti piace di più? 

L’orsacchiotto di pezza. 

Qual è il tuo cibo preferito? 

La pizza. 

Cantare o ballare? 

Cantare ovviamente. 

James era quasi diventato matto.

Però aveva voluto essere preparata. Non era mai stata così scema da credere che ciò non avesse delle conseguenze, così aveva cominciato la sua ferrea e rigida preparazione per diventare un’agente dell’FBI partecipando a qualsiasi corso che potesse tornarle utile in futuro. 

Quello era stato il baratto che aveva fatto con James: io accetto il programma protezione testimoni, tu accetti me all’FBI quando avrò l’età giusta per entrare. Sapeva che era stato un caro amico di suo padre e sapeva anche che sperava che le passasse la fregola di giocare al poliziotto. Era buono, James Black. Non avrebbe mai voluto che lei avesse lo stesso destino della sua famiglia o che facesse la stessa vita di privazioni che aveva fatto lui.

Invece si era trovato il summenzionato folletto biondo in piedi sulla soglia fresca di laurea, col suo migliore sorriso entusiasta, a presentargli il conto.

Per questo si sentiva sicura. Era una vita che Jodie nuotava e sapeva tutto dell’oceano. Sapeva che c’era corrente. Sapeva che era profondo. Sapeva che la spiaggia era nera.

Col senno di poi, non seppe spiegarsi per quale motivo reagì nel modo in cui reagì.

Dopo qualche bracciata sul dorso, fissando l’azzurro del cielo hawaiano, si voltò ed inabissò la testa per rinfrescarsi. 

E le mancò l’aria. 

Il nero del fondale le sembrava eterno, infinito, come l’abisso di quel modo di dire, che ricambia il tuo sguardo quando ci guardi dentro. Le parve di andare giù, sprofondare trascinata nelle viscere nere ed oscure della terra in balìa delle onde, senza controllo alcuno. 

Aprì la bocca d’istinto e l’acqua le invase i polmoni.

Con un’ultima bracciata riuscì a raggiungere la superficie e prese ad annaspare, tossendo e sputacchiando acqua mentre la corrente la portava sempre più al largo.

Cercò di chiedere aiuto, sbracciandosi nei confronti di Jenny, che però non la calcolava nemmeno.

Un’onda le passò sopra la testa e la ruzzolò sott’acqua, nera come il fondale, nero dovunque, un vortice in cui l’unica via d’uscita era la luce del sole sulla superficie.

Cercò di raggiungerla, mise la testa fuori dall’acqua in cerca d’aria, si sbracciò e vide Jenny seduta sulla riva che la guardava mentre affogava.

Le fece cenno di aiutarla e quella le fece ciao con la manina.

Un’onda la portò di nuovo sott’acqua.

L’unico pensiero che la spingeva a nuotare, nuotare e nuotare ancora contro l’acido lattico e la carenza di ossigeno era che non poteva fare la figura dell’imbecille davanti a tutta l’FBI, ma l’aria le mancava e la gola le bruciava, erosa dal sale marino.

Una parte del suo cervello - tu guarda dove va il cervello in certi momenti!- le ricordò che persino l’acqua dolce di Punalu’u non era potabile, contaminata dall’eruzione vulcanica che aveva generato la spiaggia. Figurarsi quella salata.

Tra lo sciabordare delle onde, udì un tonfo e vide un’ombra scura inabissarsi sopra di lei, la sagoma di un essere umano che nuotava in profondità, cercando di raggiungerla. Jodie d’istinto tese una mano verso l’alto e afferrò il braccio del suo salvatore mentre l’aiutava a risalire.

Vide la luce del sole avvicinarsi e chiuse gli occhi, rilassandosi un attimo nella certezza di essere in salvo.

Quando aprì di nuovo le palpebre era a galla, con l’aria fresca sul viso e due braccia forti che la tenevano in superficie. 

Udì vagamente una voce chiederle di respirare e lei annuì in automatico, beandosi del vento di mare e della sicurezza che le dava non essere più sola nell’oceano, immersa in tutto quel nero.

Si sentì trascinare all’indietro e in un impeto di orgoglio decise di non lasciare il suo salvatore - chiunque fosse - a nuotare da solo contro la corrente e con un peso morto in braccio. Prese a mulinare bracciate a casaccio, senza sapere esattamente dove fosse diretta, affidandosi completamente alla persona che la stava trainando a riva.

Quando riuscì a toccare i piedi sul fondale, Jenny, preoccupatissima, le venne in contro gridando con quel suo fortissimo accento irlandese:

- Jodie! Che è successo?-

- E’ finita in una corrente insidiosa. Quando caschi lì dentro, non c’è addestramento che tenga. Ha fatto quello che poteva per sopravvivere e se l’è cavata egregiamente. Adesso fuori dai piedi tutti, lasciatela respirare.-

- Vieni qui, mettiti sull’asciugamano.-

- La faccia riprendere, poi la porti all’ombra. Ha bisogno di calma e riposo, non le serve un colpo di calore. Siamo d’accordo?-

- Sì, certo!-

- Ottimo. Stai bene?-

Jodie era ancora frastornata, stordita. La gente che si era accalcata intorno a lei la confondeva ancora di più e la vaga sensazione di essere oggetto dell’attenzione e del giudizio di tutta la spiaggia si stava insinuando dentro di lei. Si guardò in giro, spaesata, ed incrociò lo sguardo serio e preoccupato di un paio di profondi occhi a mandorla, verdi come i prati d’Irlanda, circondati da folte ciglia nere. 

- Mi senti?-

- S - sì…-

- Stai bene?-

- Sì, credo di sì.-

- Mi riconosci?-

- Dovrei?-

Le parve soddisfatto, ma attorno a lei decine di volti continuavano ad apparire e scomparire. Era distratta, confusa, il caldo le bruciava i piedi nudi e si sentiva debole, senza fiato e con le gambe molli.

- Adesso la metta qua e la lasci riposare per qualche minuto.-  disse a Jenny il suo benefattore. - Poi la porti all’ombra e la faccia riprendere. Le dia da bere qualcosa di fresco e zuccherato. Fresco, mi raccomando, non freddo. Non le serve un colpo di calore, ma nemmeno una congestione. Se avete bisogno di me, sarò nei paraggi. E voi circolare! Non c’è nulla da vedere. Lasciatela in pace, si riprenderà presto.- 

Jenny fece come le era stato detto e rimase seduta accanto a lei fino a che Jodie non riprese la piena cognizione di sé e di ciò che la circondava. Mano mano che il respiro si faceva più lento e regolare la realtà riprendeva a farsi chiara.

Era finita in una corrente. 

Il nero del fondale l’aveva mandata nel panico ed aveva perso il controllo del respiro.

Jenny che le faceva ciao con la manina.

Un uomo l’aveva salvata.

Un uomo dagli occhi verdi a mandorla. Forse un nativo. Uno che sembrava sapere il fatto suo.

Che era successo? Come aveva fatto a notarla?

Come aveva vinto la corrente?

- Insomma, mi stai ascoltando?-

- Eh? No, che cos’hai detto?-

Jenny la guardò con gli occhi brillanti.

- Che nella sfi… Ehm, sfortuna, sei stata fortunata, diamine.-

- Sì, ad essere viva. Tu che mi fai ciao, Jenny, davvero?-

- E che ne sapevo io? Tu sei un accidenti di pesce, li staccavi tutti in vasca a Quantico! Quando me ne sono accorta, sono subito corsa in tuoi aiuto, ma aveva fatto prima lui. Che botta di fortuna, Jodie!-

- Perché, chi è? Il Supremo Pezzo Grosso?-

- E che ne so io? Ma una cosa è certa: ti ha raccattata il nativo più figo di tutte le Hawaii!-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Oblivious narcissism ***


Capitolo 3: Oblivious narcissist

 

Se avesse potuto scavare una buca e seppellircisi dentro per sparire alla vista di tutti i suoi colleghi dopo la disavventura nell’oceano, Jodie l’avrebbe fatto volentieri. Purtroppo, però, non era un’opzione praticabile, ed era stata costretta a sorbirsi le continue domande e i nemmeno troppo celati commenti ironici e maliziosi degli altri agenti, soprattutto dei suoi colleghi uomini.

“Sì, sì, bravo, adesso vai a fare il figo da un’altra parte” era stato solo uno dei caustici commenti di Jenny all’ennesima domanda banale o al centesimo sorriso sornione. 

Per quanto riguardava invece la giovane agente, ne aveva già le tasche abbondantemente piene di Punalu’u. Il loro soggiorno era servito a nient’altro che a procurarle la fama di assoluta incapace. Nemmeno la cena le aveva dato la necessaria soddisfazione. L’albergo in cui alloggiavano, a pochi metri dalla spiaggia, era molto caratteristico e dotato di tutti i comfort. C’erano bungalow e piccole case in muratura nascoste nel verde, e lei e Jenny condividevano una di queste all’estremo margine est del residence. Inoltre, i titolari avevano aperto un’attività di ristorazione all’interno dei locali del sito alberghiero, ed era un’attività di tutto rispetto che si era guadagnata un posto persino sulle guide turistiche internazionali. Aveva una bellissima terrazza circondata da tende bianche, hibiscus colorati e fiori di ogni tipo, con una straordinaria copertura in legno, sotto alla quale servivano degli splendidi cocktail e del buonissimo cibo locale, contaminato dalle vicine cucine orientali e con qualche tocco di cucina stellata. Jenny era stata categorica e l’aveva costretta a provare il gelato, dicendo che “lo congelano in un modo stranissimo, fattelo spiegare dal cuoco, ma dobbiamo assolutamente assaggiarlo”.

Se fosse stata di umore diverso, probabilmente Jodie avrebbe anche apprezzato la singolare bellezza del luogo e il curioso sapore del gelato, ma aveva un’arrabbiatura tale da voler soltanto andarsene a letto.

Così, al mattino dopo, se ne uscì dalla sua stanza con una faccia da funerale quasi pari a quella del giorno precedente per il solo pensiero di dover fare colazione di nuovo sotto quella splendida tettoia, circondata da un numero indefinito di agenti boriosi.

Gli stessi agenti che - almeno in teoria - lei e Jenny avrebbero dovuto conquistare con le loro competenze. 

- Dai, sono sicura che non se lo ricorderanno più.- 

- Sì, hanno la memoria di un pesce rosso.-

- No, di meno. Il cervello di un pesce rosso può mantenere la concentrazione per otto secondi, quello umano per molto meno. Sei stata tu a dirmelo!-

Jodie sospirò, consapevole di essersi fregata con le proprie mani.

Tuttavia, era decisa a vendere cara la pelle. Era convinta che un comportamento propositivo potesse far rivalutare l’opinione che gli altri avevano di chi li interfacciava ed era decisa a non gettare la spugna. 

Così si sedette al bancone, sfogliò il giornale del mattino, ordinò un succo di frutta e qualcosa da mangiare. Rivalutò il cibo alla luce di un umore decisamente migliore. Quel giorno si erano alzate presto e il sole non era ancora alto nel cielo. Una bella brezza fresca muoveva le foglie della vegetazione. 

Non c’era quasi nessuno, il che la metteva particolarmente di buon umore.

Ben presto, però, il locale si riempì di agenti. Jodie era felice che tutti si stessero facendo gli affari propri, ma preferì comunque svignarsela il prima possibile. Pagò il conto e lei e Jenny fecero per andarsene quando un grosso tipo le placcò al bancone, tagliando loro la strada e vanificando ogni sogni di libertà della giovane agente. 

Le bastarono cinque secondi per comprendere che ormai la frittata era fatta.

Esistono diversi tipi di narcisismo. Gli specialisti del settore sono giunti a dividere tali individui tra narcisisti overt e covert: esibizionismo, arroganza ed evidente superiorità per i primi, malcelato senso di impotenza e inferiorità nei secondi. Ai tempi dell’università, però, Jodie aveva apprezzato particolarmente la distinzione tra narcisista inconsapevole (oblivious narcissist) e ipervigile (hypervigilant narcisisst).

Gli inconsapevoli sembrano  impermeabili ad ogni critica, invulnerabili, perché escludono le reazioni degli altri dalla propria consapevolezza di sé. Vanagloriosi, arroganti e concentrati soltanto su loro stessi, usano gli altri come spettatori del grande spettacolo teatrale che è la loro vita. 

Un’armatura che serve loro per proteggersi dal dolore e dalla fragilità. 

Gli ipervigili, invece, sono l’esatto opposto. Fin troppo sensibili agli impulsi esterni e alle reazioni altrui, cercano di ritrarsi da contesti in cui subire ferite è altamente probabile. Il loro senso di grandezza è più silenzioso, poiché credono di avere diritto ad essere trattati in un modo molto speciale rispetto al resto dell’umanità. 

- Oh, scusate, signorine. Andate da qualche parte?-

Jodie e Jenny si guardarono.

Inconsapevole, decisamente. Almeno a giudicare dalla massa muscolare che si intravedeva da sotto la maglietta aderente. Fin troppo aderente.

- Beh, ecco…-

- Avete già fatto colazione? Permettete che vi offra qualcosa.- fece, sfoderando un sorriso bianco ottico, sul quale mancava solo l’artificiale effetto brillante delle peggiori pubblicità del dentifricio. 

- Grazie, ma abbiamo appena finito di mangiare. Adesso se non le dispiace…-

- Come vi chiamate, signore belle? Io sono Williamson, Antiterrorismo.-

Jodie e Jenny si guardarono di nuovo.

- Jenny Kinnear, Traffico d’arte. Jodie Starling, Affari Interni, forse.-

- Ah!- gli occhi del colosso dell’Antiterrorismo si fecero volpini. - Affari interni, eh?-

Jodie sentì la colazione tornarle su per l’esofago. Chiaramente si era già dimenticato di Jenny e questo voleva dire una cosa soltanto.

- Mia cara, per gli Affari Interni è necessario anche saper nuotare, sai.-

- Io so nuotare.-

- Non mi è sembrato.-

- Sono finita in una corrente. Mi ha trascinata a fondo. Sono rimasta a galla.-

- Non sei stata ripescata, dunque?-

- Lui, chiunque fosse, è stato cortese ad aiutarmi, ma no, non mi ha ripescata. Avrei potuto cavarmela benissimo da sola.-

- Non ne dubito.-

- Ne sono lieta. Adesso, se non le dispiace…-

- Siete nuove di qui.-

No, non voleva proprio saperne di demordere.

Decisamente inconsapevole.

- E’ la prima volta che veniamo alle Hawaii.-

Jenny, però, non capì il doppio senso.

- Oh, sì, ci hanno assunto quest’anno!-

Sul volto del narcisista si dipinse il solito sorriso tra il meschino e il patetico.

- Ah, ecco perché. Mancate di esperienza. Non preoccuparti, biondina, un paio di anni di lavoro con un agente che ti insegni il mestiere e vedrai che non affonderai più come un sasso!-

- Dì un po’ - proruppe Jodie, la pazienza che era ormai espatriata in un altro continente. - Vi servite tutti dallo stesso ghost writer? No, perché fate tutti quanti le stesse battute. Almeno variate un po’, vi fa sembrare intelligenti…- 

Un forte boato scosse la tettoia e fece tremare i bicchieri dietro al bancone. Uno stormo di uccelli si alzò in volo e un paio di colibrì sfrecciarono via a tutta birra. Il rombo era stato così forte da coprire anche la risposta piccata di Jodie - per fortuna o meno, non avrebbe saputo dirlo - che non raggiunse mai le orecchie dell’agente Williamson, il colosso dal sorriso di marmo, i cui occhi adesso saettavano a destra e a manca alla ricerca della fonte di quel rumore.

Nel ristorante calò un profondo silenzio di tomba.

- Che accidenti è stato?-

- E’ un’esplosione!-

- Da dove veniva?-

- Non saprei.-

Jodie e Jenny si guardarono in giro a loro volta. Con la coda dell’occhio, la giovane agente vide il barman lanciarsi di corsa verso una porta di servizio che dava sul retro, e d’istinto Jodie mise le gambe in spalla e gli andò dietro.

- Per la miseria, Jodie, aspettami!-

Scivolò tra i suppellettili della cucina e schivò abilmente un paio di cuochi frastornati, imboccò un’altro paio di porte e giunse finalmente sul retro, ad un piazzale in terra battuta, dove trovò uno spettacolo davvero curioso.

Un grosso bidone dell’immondizia, di colore blu, giaceva in pezzi fumanti tutt’attorno. Sul riquadro di terra battuta c’era acqua, acqua dovunque, e nell’aria si percepiva uno strano odore di ammoniaca. 

Consapevole di avere pochi secondi a disposizione, Jodie si avvicinò a ciò che restava del telaio del bidone: un paio di ruote crepate e un basamento di plastica accartocciato. Lo toccò con la mano e lo sentì freddo.

Poi si avvicinò ad uno dei pezzi fumanti poco lontano. Il materiale era appena più caldo.

Non c’era fumo nell’aria, o odore di bruciato, eppure era evidente che a causare quel disastro fosse stata un’esplosione, e anche forte, a giudicare dal fracasso che aveva fatto pochi minuti prima.

Potè percepire un rumoroso scalpiccio di piedi e fece per farsi da parte quando la grossa mano del tipo dell’Antiterrorismo la spinse via.

- Con tutto il rispetto, biondina, adesso lascia fare ai professionisti.-  

- Non mi chiamo biondina. Il mio nome è Jodie Starling.-

- Va bene, matricola…-

- Sono un agente. Agente speciale, per la precisione.-

Williamson ascoltò con un orecchio e la ignorò con l’altro.

- Adesso lascia fare a noi.-

Consapevole di non poter ottenere nulla di più, Jodie si ritirò fumante di rabbia nelle retrovie.

- Che fai, molli così?- le fece Jenny, avvicinandosi a lei con aria indignata. - Guarda che quello è un pallone gonfiato! Se vuoi lo sgonfio io! Deve aver preso talmente tante pillole per essere così grosso che, ne sono convinta, dovessi bucarlo con uno spillo sfreccerebbe sul soffitto come un palloncino, con tanto di pernacchia!-

- Non è sconfitta, è strategia. Andiamo Jenny, ci sono altri posti dove indagare.-

 

Il titolare le sembrava in linea di massima un tipo a posto.

Lo individuò immediatamente tra la folla, la pelle olivastra e gli occhi a mandorla tipici dei locali, ben vestito nel suo completo di eccellente fattura - forse di una grande firma - nello stile casual elegante che andava di moda in quei tempi: sgargiante camicia hawaiana, giacca di lino color crema e pantaloni abbinati, scarpe che dovevano valere al paio quanto lo stipendio mensile da medico di Jodie. 

L’uomo scuoteva la testa, l’aria delusa. Jodie ne aveva approfittato per chiacchierare con lui per qualche tempo da sola dopo avergli mostrato il distintivo lucente, fresco di scatolina appena ricevuta.

- Le va di fare due chiacchiere?-

Così si erano seduti ad uno dei tavoli lasciati vuoti, Jodie accigliata, Jenny spaesata e l’uomo afflosciato dentro i propri vestiti.

- Ha l’aria afflitta. Ci sono stati altri episodi di questo tipo?-

- Oh, no, fortunatamente no.- disse, sforzandosi di essere affabile. - Abbiamo soltanto ricevuto qualche lettera minatoria, una roba da niente. Qua attorno ci sono alcuni che dicono che stiamo profanando la natura, sa come sono gli ambientalisti…-

- Avete avuto problemi con loro?-

- Non lo sappiamo di preciso, abbiamo soltanto ricevuto delle lettere strane, qualche piccolo animale morto, insomma… Oh, ecco che arriva Mark! E’ l’altro titolare, siamo in due a gestire questo posto. Mark! Vieni qui! Le signorine vogliono sapere della lettera minatoria!-

L’uomo di nome Mark spuntò dal retrobottega. A differenza del suo compare, era chiaramente americano ed occidentale, dall’incarnato abbronzato e gli occhi chiari. A giudicare dall’estrema confidenza intercorrente tra i due, la ragazza immaginò che fossero amici di lunga data o addirittura una coppia.

Sfilò rapido dietro al bancone e raggiunse il terzetto al tavolo senza spiccicare parola, mentre si rimboccava le maniche della camicia.

- Le due signorine sono agenti dell’FBI…- 

- Non ne dubitavo. Sono tutti qua in ritiro.-

Tese loro la mano. Jodie e Jenny mostrarono di nuovo i rispettivi distintivi.

- Abbiamo ricevuto delle lettere minatorie. Ecco, le ho portate.- disse, tendendo loro una cartellina di cartone rosso.- Roba amatoriale. Forse qualche ambientalista o qualche indigeno che rivuole la sua terra. Oppure qualcuno che pensa che esista un disegno divino nell’eruzione vulcanica che ha fatto nascere Punalu’u. La gente è strana, crede a qualsiasi cosa.-

- Non avete mai capito chi potrebbe esserci dietro?-

- Non ne ho idea, ma un botto così deve averlo fatto per forza qualcuno che ce l’ha con noi, non trova?-

- Questo me lo dica lei. Avete qualcosa nel ristorante che potrebbe esplodere, soprattutto se buttato via o lasciato incustodito?-

-  Abbiamo diverse bombole del gas e altre sostanze che potrebbero esplodere, certo. Non le buttiamo nei bidoni, mica siamo matti.-

- Non vorrei che fosse qualcosa di peggio.- borbottò il socio dai tratti indigeni, torcendosi le dita.- Questa non è stata una banale molotov. Sinceramente non capisco nemmeno come abbiano fatto a far esplodere il bidone in quel modo. Voglio dire, l’hanno fatto a pezzi. Chi è che ci vuole far chiudere?-

Jenny guardo Jodie e Jodie guardò Jenny.

In effetti le lettere minatorie non lasciavano molto spazio all’immaginazione. 

 

Se non chiudete immediatamente vi faremo chiudere noi.

 

Pagherete caro ciò che state facendo alla nostra natura.

 

Questo non è il posto per i ricchi. Andate via e ridateci la nostra terra!

 

Create con dei ritagli di giornale, probabilmente di stampa locale - Jodie riconobbe alcuni caratteri simili a quelli del quotidiano che aveva letto a colazione - sembravano uscite da un fumetto retrò a tema giallo. Se non fosse stato per l’esplosione così strana, avrebbe optato immediatamente per il profilo di un soggetto semplice, povero di conoscenze, che imita ciò che vede alla televisione e si ingegna con quello che ha a disposizione senza sapere di star seminando tracce dovunque.

In tutta quella storia, però, c’era qualcosa che stonava.

- Come spiegate ciò che abbiamo visto? Intendo l’acqua, l’odore di ammoniaca…- 

- Sicuramente la donna delle pulizie ha svuotato il secchio stamattina presto. Le abbiamo detto molte volte di non disperdere il contenuto nell’ambiente, i detersivi fanno male all’ecosistema.-

- La vostra dunque è una struttura green.-

- Assolutamente, siamo progettati per il turismo sostenibile.- 

- Capisco. La polizia sa che siete stati minacciati?-

- No. Abbiamo sottovalutato la cosa. Pensavamo che fosse qualche svitato, e invece… Vero Mark?-

- Sì, giusto Simon.-

Jodie si accigliò.

Sì, c’era più di un dettaglio che non tornava in tutta quella storia.

- Che cosa le è successo?-

L’uomo di nome Mark scosse la testa, perplesso.

- Come, prego?-

- Che le è successo? E’ arrivato tardi, no?-

- Oh, quello.-  fece, e si stampò in faccia un sorriso bianco da far invidia a Mister Muscolo dell’Antiterrorismo, ancora nel cortile sul retro. - Niente, ho dormito troppo. Scusa Simon.-

Jodie lanciò uno sguardo ai suoi vestiti. Erano tutti di buona fattura come quelli del suo socio, ma avevano qualcosa di diverso. Il pantalone non si abbinava alla camicia. La giacca mancava e le maniche erano rimboccate fino al gomito. Forse non aveva avuto nemmeno tempo per lavarsi, eppure non aveva nemmeno una traccia di terriccio, fango, nulla di nulla neppure sulle scarpe.

L’uomo di nome Mark dovette accorgersi che Jodie stava ponderando diversi elementi dentro la sua testolina bionda, perché il suo sorriso si trasformò pian piano in una paresi, mentre il compare di nome Simon non accennava a sollevare le spalle, lo sguardo fisso su un gambo di tavolino.

- Vorrei scattare delle foto alle lettere che avete prodotto.-

- Prego, faccia pure.-

Mentre Jodie scattava le foto, una collega con la pelle color dell’ebano arrivò di corsa dalla spiaggia. La conosceva di vista, si chiamava Nia ed aveva origini etiopi, un vero e proprio genio dei software. La ragazza si mise a confabulare fitto fitto con altri agenti, poi all’improvviso si fecero tutti seri e si mossero in gruppo verso la spiaggia. 

- Ehi, Nia, che è successo?- 

La donna si voltò a guardarla, gli occhi scuri da gazzella tra un mare di trecce nere.

- Hanno trovato un corpo in riva al mare.-

I due titolari si guardarono, l’aria di chi non sapeva trovare un limite al peggio.

Jodie, dal canto suo, si congedò da loro e si diresse a rotta di collo verso la spiaggia mentre Jenny le trotterellava dietro.

- Nia, vi serve un medico?-

- Ah, sarebbe perfetto, anche se non credo che ci sia molto da fare, ormai.-

Mentre la spiaggia nera crepitava sotto le loro ciabattine, Jenny riuscì ad avvicinarsi a Jodie.

- Insomma, che ti prende?-

- Come avevi detto, facciamo sfoggio delle nostre qualità.-

- Sì, ma io l’avevo detto così, per dire. Poveraccio, quello è pure morto…-

- Mi dispiace moltissimo per lui ed è proprio per questo che non ho intenzione di restarmene con le mani in mano. Ho tutta l’intenzione di venire a capo di questo mistero e di farlo nel più breve tempo possibile. Anche perché non ne abbiamo molto a disposizione prima che il nostro soggiorno finisca.-

- Ci toccherà lasciare tutto in mano a quell’imbecille di Williamson.-

Gli occhi blu di Jodie si fecero torvi.

Il senso di giustizia premeva sull’acceleratore dentro al suo cervello tanto quanto quello di rivalsa.

- E’ per questo che, puoi star certa, risolverò questo caso prima di quel pallone gonfiato.-

 

I titolari riconobbero l’uomo come Leilani Mitchell, di padre americano e madre nativa. Era stato assunto presso la struttura come cameriere, ma ben presto aveva dimostrato grande flessibilità e competenza ed era diventato una specie di tuttofare. Spesso serviva ai tavoli, ma sapeva essere un ottimo barman all’occorrenza e talvolta aiutava anche in cucina. Jodie alzò un sopracciglio, suggerendo che forse non era legale affidare al dipendente mansioni fuori contratto, e i due titolari tornarono zitti zitti a guardarsi le scarpe.

- Ieri era in turno?-

- No, ha staccato la notte precedente e ieri era di riposo. Sarebbe dovuto rientrare stamattina, ma non si è presentato. Era un ragazzo d’oro.-

Alla fine, lo sfruttamento del povero Leilani era il male minore, considerata la fine che aveva fatto.

Williamson ovviamente era già sulla scena ed aveva decretato che il poveretto era morto annegato.

Jodie roteò gli occhi al cielo.

Niente di più falso.

Già a colpo d’occhio Jodie comprese che l’annegamento non era stata la causa della morte.

Quando lo disse, l’energumeno trattenne un sorriso.

- Mi dispiace, ragazzo mio, ma questo è il mio campo.- commentò, chinandosi vicino al corpo.

- L’ora della morte è impossibile da stabilire. L’acqua e le variazioni di temperatura non mi permettono di fare una stima certa. A giudicare però dallo stadio di rigidità del corpo, posso supporre che, salvo alterazioni, quest’uomo sia morto da qualche ora al massimo. E no, non è annegato.-

Si vedeva anche bene. Niente colorito alterato, niente segni di fauna marina, niente schiuma alla bocca, nulla di nulla. Indossava abiti comodi analoghi a quelli che aveva visto indosso agli altri camerieri, ma non aveva la camicia. Indossava solo una canotta di cotone. 

Ed aveva ancora indosso le scarpe.

Quel corpo non era stato restituito dal mare, assolutamente.

In più, c’era qualcosa di molto strano nella sua posizione. 

Jodie si chinò sul corpo e percepì distintamente un vago odore di ammoniaca.

Ammoniaca sul cadavere, ammoniaca nel retro del locale. Non poteva essere una coincidenza.

Inoltre, si trovava esattamente sulla rima della risacca. Se fosse morto in mare, la corrente lo avrebbe fatto arenare non appena avesse toccato la sabbia, invece il corpo si trovava decisamente più in alto, dove l’acqua lo lambiva appena fino alla vita. 

Eppure il corpo era tutto zuppo, nonostante l’acqua non potesse arrivare fino ai capelli. 

Mosse piano il collo e sentì chiaramente dell’umidità sospetta sotto le dita assieme ai capelli e a del tessuto molle. Sfilò le dita da sotto il capo e le scoprì coperte di una sostanza rosso vivo mescolato a sabbia nera e materia cerebrale.

- Il colpo letale è stato inferto alla nuca. Non è un suicidio, signori. Quest’uomo è stato ucciso.-

Tra i colleghi si diffuse un brusio come il ronzare di api.

 

Jodie osservava assorta la polizia locale che cercava di gestire la situazione. Non era facile, doveva ammetterlo. L’FBI non aveva giurisdizione in proposito, eppure faceva di tutto per impicciarsi. Gli agenti di polizia, dal canto loro, stavano facendo di tutto per far rispettare i ruoli e mettere in sicurezza l’area, ma mancavano di determinazione ed esperienza. Erano giovani, nuovi del posto e non avevano chiaramente idea di come gestire un crimine così grave. Il tasso di criminalità in quell’angolo di arcipelago doveva essere davvero molto basso.

Li ascoltò rispondere con dei vaghi “sissignore”, “nossignore”, “non saprei, signore” alle ficcanti domande dei suoi colleghi e le dispiacque per loro.

L’inesperienza della polizia locale, tuttavia, poteva giocare a suo favore. 

Si avvicinò quando anche finalmente l’ultimo dei suoi colleghi dell’FBI se ne fu andato, pregando che nessuno tra essi avesse avuto la folle idea che aveva avuto lei, fregandole una grandissima opportunità.

- Scusate…-

- No, agente, mi spiace, ma abbiamo appena finito di spiegare ai vostri  colleghi che non potete assolutamente intromettervi nell’indagine. E’ la nostra giurisdizione, non la vostra.-

La ragazza alzò un sopracciglio. Ripensò al narcisismo e ci provò.

- Avete paura che vi soffiamo il caso? Non vi preoccupate, non ne abbiamo intenzione. Anzi, io non ne ho intenzione. Non so che cosa vi abbiano detto i miei colleghi, ma per quanto mi riguarda, io sono in vacanza e vorrei restarci. Il caso è vostro e lo risolverete voi. Io voglio solo… Come posso dire? Togliermi uno sfizio personale.-

I poliziotti si scambiarono uno sguardo perplesso.

- Sarebbe?-

Jodie calò l’asso.

- Vi serve per caso qualcuno che si intenda di scienza forense?-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Liquid nitrogen ***


CAPITOLO 4: LIQUID NITROGEN

 

Si grattò la testolina bionda mentre aspettava che Jenny finisse di prepararsi. Ormai era quasi l’ora di cena e le due avevano decisamente fame.

La sua scampagnata con la polizia locale non era stata molto redditizia, almeno non per i poveri poliziotti. Uno grosso come un armadio e con la voce da basso, l’altro mingherlino e con i denti da roditore, sembravano la classica coppia stereotipata da film. E come nei peggiori film sui grandi detective, non avevano la più pallida idea di quello che stavano facendo.

Quell’area delle Hawaii doveva davvero essere un paradiso se i due agenti erano andati nel panico in quel modo di fronte ad un crimine maggiore.

L’appartamento del giovane e sfortunato Leilani era tutto fuorché interessante. Quella mattina non c’era stato assolutamente bisogno di un’esperta di scienza forense, così come lei stessa si era definita. Tuttavia, aveva provato a fare del suo meglio, fosse anche solo per giustificare la sua presenza agli occhi dei due spaesati poliziotti. 

Jodie si era ritrovata immersa in un sacco di cianfrusaglie tipiche di chi ha la sua età. Non c’era molta differenza, infatti, tra lei e la vittima, forse giusto un paio di anni. La camera del giovane avrebbe potuto essere la sua. Come lei, aveva incorniciato alcuni poster e stampe che aveva trovato interessanti. Le fotografie con gli amici stipate nel Cloud - beh, no, lei era un’agente dell’FBI e un ex testimone di giustizia sotto protezione, col cavolo che teneva i propri dati sensibili in un Cloud! - e i biglietti di un qualche concerto sulla scrivania. Diversi libri di vario genere: dei gialli, molti classici della letteratura americana, diversa roba sul cambiamento climatico e sul rispetto dell’ambiente. C’erano delle magliette di ONG che si dedicavano alla salvaguardia dell’ambiente marino: qualcuna proteggeva le balene, qualcun’altra raccoglieva la plastica, una era contro le trivellazioni del fondale per l'estrazione di petrolio o gas naturale. 

Ninnoli vari.

La foto della mamma e della nonna incorniciata sul comodino.

Leilani era un giovanotto sulla ventina come molti altri, dunque, con una forte passione per l’ambiente. Riciclava, usava sapone di marsiglia ed altri detersivi green, tuttavia non sembrava un fanatico. Le pile della sveglia erano usa e getta e non ricaricabili. Le bollette indicavano un discreto consumo di elettricità e riscaldamento. La doccia profumava ancora di bagnoschiuma e Jodie ne aveva trovato una bottiglia vuota dentro il secchio del bagno.

Insomma, era un ragazzo attento, ma sapeva anche godersi la vita come era giusto che fosse alla sua età. 

Un ragazzo come tanti.

Sicuramente Jodie non lo vedeva a spedire lettere minatorie con i ritagli di giornale per difendere l’ambiente. No, Leilani era un giovanotto aitante, nativo digitale e tecnologico quanto bastava per evitare un trucchetto mediocre come quello usato per minacciare i titolari dell’albergo. Avrebbe mandato una mail da qualche indirizzo fasullo o avrebbe mandato dei messaggi da una SIM diversa dalla sua, ma delle lettere? No, non era nemmeno plausibile a giudicare dai gialli che leggeva.

Quello che però aveva dato una svolta alla giornata di Jodie era stato il contenuto di una busta da lettere bianca adagiata sulla scrivania del ragazzo, che la polizia aveva liquidato come “curiose analisi del sangue”.

Beh, altro che analisi.

 

Jodie si guardò allo specchio e si trovò carina. Decente. Passabile per una serata coi colleghi senza dare nell’occhio. 

- Un minuto!- sbraitò Jenny dal bagno.

Jodie rispose solo con un soffice “mmmh”, assorta. 

 

Analisi erano analisi. Fino a lì la polizia c’aveva preso. Solo che il contenuto non era un normale emocromo, bensì dell’acqua. Leilani aveva fatto analizzare dell’acqua di mare e i risultati dimostravano la presenza di numerosi batteri e sostanze tipiche delle contaminazioni.

La provenienza era chiara: Punalu’u Bay. Ricevute una settimana prima dell’omicidio.

Enterococchi, Escherichia Coli, azoto, tetracloroetilene, trielina, vanadio, persino del naftalene. 

 

Al contrario di lei, Jenny - a cui aveva affidato il compito di cercare gli indumenti insanguinati del povero Leilani - aveva fatto un clamoroso buco nell’acqua.

Dovunque fossero, l’assassino doveva aver nascosto bene le proprie tracce. 

Gli ingranaggi nel cervello di Jodie avevano cominciato a girare all’impazzata e un’idea aveva cominciato a farsi strada nella sua testolina bionda.

Forse sarebbe davvero riuscita a risolvere il caso prima di quel pallone gonfiato di Williamson.

In quel momento, Jenny uscì dal bagno con un bel vestitino floreale e i capelli rossi e vaporosi al vento.

- Sono pronta! Possiamo andare!-

 

Quella sera il ristorante era più affollato del solito.

I titolari avevano deciso di non chiudere, d’accordo con la polizia locale. Jodie l’aveva giudicato un azzardo. C’era il forte rischio di contaminazione delle prove che ancora non erano state rilevate, ma il sistema in quell’occasione era finito in un clamoroso corto circuito. Da una parte, la polizia locale non aveva nessuna familiarità con crimini come quello. Dall’altra, diamine, in quel posto c’era l’FBI. Se gli agenti dicevano che non c’erano prove, non c’erano prove. Quindi, si poteva tranquillamente riaprire tutto per non darla vinta agli ambientalisti che vogliono vederci fallire. Almeno, a detta del titolare.

Jodie era una ferma sostenitrice del principio di innocenza fino a prova contraria e non considerava l’assenza di prove come indice della tendenza a delinquere del sospettato. Il fatto, però, che le prove non siano ancora state ritrovate non è sintomo della loro assenza. Soprattutto a meno di ventiquattr’ore dal ritrovamento del cadavere.

A detta sua, sarebbe servito più tempo per fare un buon lavoro.

Prese posto con Jenny ad un tavolo centrale, da cui si godeva un’ottima vita sulla baia da un lato, circondata da fiori di ibisco, e una vista altrettanto interessante sul bancone del bar, dove le pietanze venivano esposte prima di essere servite. In quel momento, però, non c’erano ancora gamberi, aragoste e frutta esotica impiattati in modo stravagante: soltanto un nutrito gruppetto di agenti stava facendo aperitivo, sorseggiando cocktail colorati e, sicuramente, parlando del caso.

Un caso che Jodie credeva di avere risolto, e le sarebbe veramente saltata la mosca al naso se tutte le prove - che al momento non aveva ancora trovato - fossero andate perdute per le scelte scellerate di altri.

Osservò i due titolari sorridere di circostanza da dietro il bancone per poi scomparire nel retro verso le cucine e le venne la voglia di arrestarli lì, seduta stante.

Se soltanto avesse avuto uno straccio di prova tangibile!

 

Jenny aveva ordinato due analcolici che furono loro serviti su un vassoio pieno di invitanti stuzzichini. Jodie decise di approfittarne per fare due domande di circostanza al cameriere.

- Hai un minuto? Puoi sederti?-

Il ragazzo era giovane e prestante quasi quanto Leilani, ma non aveva origini native, anzi, parlava con un forte accento di Chicago. Si guardò attorno, notò alcuni colleghi sfaccendati e fece un’alzata di spalle.

- Sì, tanto non siamo messi male per ora, c’è chi può servire al posto mio. Se però il locale si fa più affollato, devo andare.- 

- Non preoccuparti, non ci metteremo molto.-

Il ragazzo si sedette e cominciò a giocherellare con i bottoni del polsino della camicia, evidentemente nervoso.

- Qualcosa non va?-

Il ragazzo si guardò intorno, come per cercare qualcuno, concentrandosi prevalentemente in direzione del bancone e del retro.

- Mi ammazzano se mi vedono qua seduto. Sembrano tanto carini ed affiatati, ma in verità sono molto duri con noi. Non mi posso lamentare, ma le regole sono regole. Stamani avevo una visita medica e sono entrato con qualche ora di ritardo, avevo avvisato ma sono stati molto bruschi con me, soprattutto ad un certo punto.-

- Stai parlando dei titolari?-

- Sì.-

- Quando sei arrivato stamattina?-

- Verso le dieci e mezza, quando ormai era già successo tutto. Ho trovato un disastro nel retro. C’è l’entrata di servizio per il personale, sa? Passiamo sempre di lì, in mezzo ai bidoni della spazzatura.-

Jodie ne approfittò.

- Immagino il disagio, soprattutto quando la donna delle pulizie vuota il secchio nel mezzo al cortile.-

Il ragazzo le parve perplesso.

- La donna delle pulizie? No, Sonia è una brava donna e tiene molto alla sua terra. Mai successa una cosa del genere. I detersivi che usa sono tossici, mica li può gettare così!-

Gli occhi della ragazza si illuminarono.

Finalmente un indizio concreto!

 - Mi stai dicendo che la signora non ha mai disperso gli scarti delle pulizie nel cortile sul retro?-

- Mai e poi mai. Mai vista né sentita una circostanza del genere.-

Jenny guardò Jodie e Jodie guardò Jenny.

- Hai detto che stamattina ti hanno ripreso. Per quale motivo?-

Il ragazzo fece spallucce e lanciò un’occhiata al bancone.

- Come ho detto, avevo una visita medica e sono arrivato in ritardo, verso le dieci e trenta. Avevo segnalato il tutto ai titolari, lo sapevano e mi avevano dato un paio di ore di permesso. Poi ho scoperto il disastro. Povero Leilani, era davvero un bravo ragazzo e un ottimo collega. Mai una virgola fuori posto. Su gente come lui puoi sempre fare affidamento. Insomma, stavo dicendo che sono arrivato tardi. Sicuramente era su di giri per la morte di Leilani, per questo è stato più duro del solito, e se me ne fossi stato zitto e non avessi sollevato l’argomento forse non sarebbe successo nulla. Sono stato io ad essere indelicato.-

- In che senso?-

- Ho fatto notare che c’era una terribile puzza di bruciato nell’aria e lui si è indispettito parecchio. In buona sostanza mi ha detto di farmi gli affari miei e di andare a lavorare, che ero un lavativo. Sicuramente era nervoso, ve l’ho detto…-

Fu come se Jodie si fosse svegliata di colpo. Era certa, infatti, di non aver sentito proprio nulla di simile sulla scena del delitto. Era proprio ciò che era stato strano di tutta la scena: una bomba, senza odore di bruciato. Solo ammoniaca.

- Hai trovato qualcosa che bruciava durante il tuo turno?-

- Sì, sono andato a vuotare i bidoni e mi sono reso conto che in quello blu c’era qualcosa che bruciava sul fondo. Non so cosa fosse, sembrava del tessuto. Quando mi hanno detto della bomba ho pensato che fosse l’avanzo di un altro ordigno, così l’ho messo da parte, ma non l’ha chiesto nessuno, quindi credo che a questo punto dovrei buttarlo via…-

- Te lo chiedo io!- fece Jodie, alzando la manina e dando un calcio sotto il tavolo a Jenny. - Consegnerai quella prova alla mia amica, qui. Jenny Kinnear, anche lei FBI.-

- Immaginavo. Siete tutti dell’FBI qui. -

- Touché. Hai parlato al singolare, però.-

- Sì, ce n’era solo uno, l’hawaiano. L’altro è arrivato dopo.-

Poi il giovane si fece circospetto e si avvicinò sul tavolo con fare guardingo. 

- Senta, potete rintracciare i telefoni, le chiamate, insomma, come in CSI?-

Jodie guardò Jenny. Jenny guardò Jodie.

- Beh, quella è un po’ fantascienza, non trovi?-

Il ragazzo divenne rosso e fece spallucce abbassando lo sguardo sulle scarpe.

Jodie ebbe pena per lui.

- Perché lo chiedi? Hai problemi?-

- No, è che forse sarebbe utile per il vostro caso. Ho visto Leilani discutere animatamente al telefono con qualcuno qualche giorno fa, ma non so chi fosse.-

- Ricordi che cosa ha detto?-

- Qualcosa tipo: “Se non lo farai tu lo farò io. Non puoi continuare così, come se niente fosse”. Ecco, mi ricordo bene questo: come se niente fosse. Non so che cosa volesse dire, però. Mi spiace.-

Lanciando un’ultima occhiata alle spalle, il giovane cameriere vide rientrare i titolari e balzò in piedi.

- Adesso devo proprio andare.-

- Va bene.- concluse Jodie stringendogli la mano. - Sei stato davvero molto utile, ti ringrazio. Ti chiedo soltanto qualche minuto del tuo tempo per consegnare quella cosa che hai trovato alla mia collega, ti dispiace?-

- Posso prendere un paio di ordini, poi ce la porto? Mi scusi, ma devo salvare almeno le apparenze.-

- Va bene, ma prima si fa, meglio è.-

 

Quando Jenny tornò dal retro, Jodie aveva appena riattaccato. 

James era stato il suo primo pensiero. Se c’era qualcuno che poteva farle avere un tabulato a tempo di record, quello era lui. E avrebbe potuto farlo avere a lei in anteprima, prima di girarlo come favore personale alla polizia locale.

Jenny non sapeva nulla della sua parentela allargata con James e così sarebbe dovuta restare: segreta. 

Non voleva perdere la sua amica per false storie di nepotismo.

False, sì, perché Jodie si era fatta un gran mazzo per entrare all’FBI. Aveva studiato moltissimo, sudato moltissimo, passato innumerevoli notti insonni e lasciato diversi strati di pelle - a volte anche qualche osso - in difesa personale. Si poteva dire che aveva votato la sua vita a quella carriera, lei più di altri. James era un ottimo aggancio, una benedizione che molti avrebbero voluto avere, ma no, i suoi voti e i suoi esami Jodie se li era abbondantemente guadagnati. 

Non  voleva che tutto andasse all’aria per così poco.

Gli aveva spiegato la situazione. Il suo vecchio si era detto fiero di lei e non aveva esitato a prometterle qualche prova in più.

Sperando che non ci fosse già arrivato qualcun altro.

Il contenuto della busta di plastica in cui il cameriere aveva raccolto i pezzi di tessuto bruciacchiati era indiscutibilmente assimilabile ad un indumento. A giudicare dal taglio, una camicia o forse più di una. Parte del tessuto era rimasta intatta, mentre altre fibre avevano preso fuoco più velocemente. Una notevole differenza se si considera la composizione di esse: quelle più a buon mercato fatte di fibre naturali miste a plastiche, quelle di maggior pregio in 100% fibra naturale. Una prende fuoco meglio, l’altra no.

Su alcune c’erano delle evidenti macchie brunastre, chiaramente sangue.

Certo Jodie avrebbe avuto bisogno di un’analisi completa per poter stabilire con certezza che fosse di Leilani, ma non aveva tempo per questo.

Doveva inchiodarli e doveva farlo presto.

Jenny, però, la distolse dai suoi pensieri.

- Oh, che bellezza! Guarda là!-

- Eh?-

Jodie si guardò in giro, ma non vide niente. Sorseggiò il suo cocktail analcolico e scosse il capo.

- Jenny, sto aspettando i tabulati telefonici dalla polizia per chiudere il caso, non ho voglia di leggerezze adesso…-

- Oh, no, fidati, di questa hai voglia. Guarda chi c’è, seduto al bancone?

- Jenny, c’è un mondo di gente…-

- Il nativo! Il nativo fighissimo che ti ha salvata in mare ieri mattina!-

Jodie osservò l’uomo che la sua amica le stava indicando e dovette ammettere che era effettivamente fighissimo, così come lo aveva descritto. Aveva sempre dubitato del concetto di bello di Jenny, che nella sua frivolezza si accontentava di una bellezza oggettiva, basata su una bella apparenza. Forse era per via degli studi sull’arte che la sua amica preferiva un’estetica michelangiolesca, mentre Jodie aveva sempre avuto un debole per il fascino, più che per la bellezza propriamente detta. 

Quell’uomo era bello e aveva fascino. Sulla sua struttura, alta, forte e longilinea, non c’era nulla da dire. Così come non c’era nulla da commentare sui lineamenti sottili del viso, forse fin troppo marcati per il suo fenotipo. Il profilo era disegnato, il naso era diritto, gli zigomi erano alti e gli occhi leggermente infossati a sottolineare la sua provenienza in parte occidentale. 

Niente da eccepire sulla camicia di lino bianca, sul colletto alla coreana sbottonato per il caldo, sulle maniche arrotolate casualmente fino ai gomiti e sulle lunghe dita da pianista avvolte attorno al bicchiere. Nemmeno sul pantalone morbido e sui mocassini da barca. 

Ciò che rappresentava una calamita per Jodie era il fatto che se ne stesse seduto da solo al bancone, senza fare comunella con nessuno, avvolto nei suoi abiti semplici, la testa ad inseguire chissà quale pensiero mentre rigirava il ghiaccio nel bicchiere, lo sguardo malinconico perso nel vuoto. 

Per non parlare della fulgida cascata di capelli scuri, di un bel mosso naturale, che gli cadeva sulle spalle e sulla schiena. 

Figo era figo, non c’era nulla da dire.

- Dai, approfittane!-

Jodie fece tanto d’occhi.

- Ma sei matta? Dopo la figura barbina dell’altro giorno? No no no no no, scordatelo.-

- E dai! Cogli l’occasione per andarlo a ringraziare, no? Offrigli un drink, chiacchierate del più e del meno e oltre al caso stasera ti porti a casa anche il fidanzato!-

Per poco Jodie non soffocò deglutendo il cocktail.

- Ma io…-

- Dai, su, su! Alzati e vai! Alle prove faccio la guardia io, non preoccuparti!-

- Ma, Jenny! Che vuoi che gli dica?-

- E che ne so io? Parlagli. Ringrazialo. Offrigli il drink. Insomma, abbordalo!-

E di cosa avrebbe mai dovuto parlargli? Della sua vita, che era top secret? Della sua vecchia identità fittizia? Di medicina legale?

- No, ecco, di questo no. Poi ogni argomento va bene. Musica, cinema, che devo dirtelo io? Qual è un argomento che ti fa sentire a tuo agio?-

- Scienza?-

Jenny alzò gli occhi al cielo.

- Sì, parlargli di scienza. Semmai presentamelo, ok? Se vuoi buttare via un’occasione fai come ti pare, ma io con uno così non la spreco di certo. Adesso vai!-

 

- Mi scusi, è libero?-

L’uomo parve tornare alla realtà ed alzò gli occhi dal drink. 

- Sì, certo.-

Jodie sorrise a stento e si sedette sullo sgabello accanto a lui, al bancone, mentre reggeva tra le dita il cocktail analcolico ormai a metà. 

La verità era che Jodie faceva schifo in quelle cose. Non che l’amore fosse secondario per lei, beninteso, ma le stesse circostanze della sua vita le avevano imposto di farlo passare in secondo piano. Come si fa a creare una relazione stabile quando persino la carta d’identità riporta il tuo nome falso?

Abbordalo, diceva Jenny.

La faceva facile, Jenny.

Tossicchiò, mentre nascondeva una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.

- Vuole prendere qualcos’altro?-

L’uomo la guardò assorto e solo in quel momento Jodie lo riconobbe come il suo salvatore.

Aveva gli occhi di un verde brillante, come i prati d’Irlanda.

- Questo mi basta, grazie.-

- Ha già pagato?-

Il tipo sembrava spaesato.

- Se permette vorrei pagarglielo io. Per ringraziarla di avermi salvato la vita giù in spiaggia. Sono quella che ha fatto la figura da scorfano ieri mattina…-

- Sì, so chi è lei. Si sente meglio?-

Questa volta fu il turno di Jodie di essere perplessa.

- Chi, io? Beh, sì, cioè, stavo bene anche prima, ma non so che è successo, forse è stata una corrente, insomma io so nuotare, come potrebbe essere altrimenti?-

Era giovane, molto giovane. Forse aveva solo tre, quattro anni più di lei. La guardava davvero come se stesse osservando uno strano pesce sul banco del mercato, con gli stessi occhi sorpresi.

Erano d’età e si stavano dando del lei.

Che imbarazzo.

Poi l’uomo si lasciò sfuggire un sorriso.

- Sì, quelle correnti sono molto insidiose. Mi sono accorto che sapeva nuotare e bene anche. Restare a galla là dentro non è facile. Ha fatto del suo meglio e fortunatamente è bastato. Meno male che non si è trattato di un malore.-

- No no, anzi, stavo benissimo, ero solo un po’ disorientata, mi dispiace di non averla ringraziata prima. Anche lei nuota molto bene sa? Voglio dire, lei è rimasto a galla, non è andato a fondo come ho fatto io, cioè…-

- Intende dire che non ho fatto, come ha detto? La figura dello scorfano?-

Jodie avrebbe soltanto voluto che una voragine le si aprisse sotto i piedi e la fagocitasse in un mare di magma rovente scuro come la spiaggia che aveva creato.

In tutta risposta l’uomo rise di una bella risata, cristallina e soffice come una piuma.

Aveva una bella voce profonda. Infondeva calma, pacatezza e armonia.

- Non si preoccupi. Non dovrebbe essere così dura con sé stessa. A me è andata bene perché lei è stata brava abbastanza da restare a galla. Mi ha dato il tempo di studiare il modo di entrare in acqua ed aiutarla senza essere travolto a mia volta dalla corrente. Cinquanta e cinquanta, quindi.-

Aveva i denti bianchissimi e gli occhi verdissimi nella luce soffusa del locale.

- Grazie. E’ l’unico ad essere stato gentile con me in questi giorni.-

- Non se ne faccia un cruccio. Il novanta per cento delle persone in questo ristorante è convinta di sapere tutto.-

- E il restante dieci per cento?-

- E’ convinta di essere Dio.-

- Non ha una grande opinione della forza pubblica americana, vero?-

- Diciamo che conosco l’ambiente.-

Era un agente anche lui, quindi. 

- Agente speciale Jodie Starling. Piacere di conoscerla.- 

- Agente speciale Shuichi Akai. Piacere mio. Smetta di darmi del lei, per favore. Mi fa sentire Matusalemme.-

Questa volta le strappò un sorriso e Jodie ebbe la sensazione di aver trovato se non un amico, almeno un alleato. Sembrava genuinamente gentile e convinto di quello che stava dicendo. Se lo fece bastare.

- E tu, quindi, a quale categoria appartieni? Al novanta per cento di tuttologi o al dieci per cento di divinità?-

- Non saprei. Non mi piacerebbe rientrare né nell’una, né nell’altra, ma sospetto che se tu chiedessi in giro troveresti opinioni contrastanti.-

- Gli altri pensano di te quello che tu pensi di loro. Ha senso.-

- Esattamente.-

Jodie sorseggiò il suo drink, a corto di idee. L’uomo seduto accanto a lei fece altrettanto, lo sguardo solo apparentemente perso nel vuoto.

Era certa che la stesse tenendo d’occhio.

- Giapponese, dunque? La mia amica credeva che tu fossi un nativo del posto.-

- Chi, la rossa?-

Chissà per quale motivo tutti si ricordavano sempre di Jenny.

- Jenny, sì. Lei è irlandese.-

- Dovresti insegnarle a non scambiare un segnale d’aiuto per un saluto.-

Jodie abbozzò un sorriso.

- Non è sempre così svampita. E’ al traffico d’arte.-

L’uomo - agente Akai, aveva detto - sorseggio ancora un po’ del suo drink ghiacciato.

- Mio padre era di Okinawa.-

Di nuovo silenzio.

Jodie notò l’uso dell’imperfetto.

- Starling invece è molto americano.-

Famiglia. Vita privata. Argomento top secret.

Si limitò ad un sorriso.

- Puoi condividere che cosa ti dà da pensare o si tratta di un caso segretissimo dell’FBI?-

- Con una collega potrei anche condividerlo.-

- Sono matricola.- 

- Lo sono stato anche io. Non significa niente.-

Il barista aveva cominciato a servire piattini, forchette e vassoi pieni di pesce e cibo da accompagnare agli alcolici dell’aperitivo. Abbandonata bruscamente una bottiglia di prosecco per servire un cliente, il tappo di sughero rotolò fino a Jodie. 

Nervosa, cominciò a giocherellare con il tappo e uno stuzzicadenti.

- Sto solo pensando agli straordinari che dovrò fare per recuperare gli arretrati accumulati in queste due settimane di ferie. Considerando anche l’ultima disgrazia, non so quanto sia stata una brillante idea venire qui… Che cos’è?-

Quando Jodie era nervosa e si permetteva di allentare i freni inibitori, non sentendosi a proprio agio nella compagnia in cui si trovava, giocherellava sempre con qualcosa. Carta, tovaglia, posate, capelli, lacci dei vestiti, bottoni, qualunque cosa le capitasse a tiro.

Pensò di aver fatto un passo falso mentre teneva in perfetto equilibrio sull’indice il tappo del prosecco infilzato su uno stuzzicadenti, e si stupì non poco quando notò sul viso del suo commensale una genuina aria di interesse.

- Oh, questo? Scusami, ma dopo l’incidente in mare non mi sento molto a mio agio con nessuno qua intorno. Mi sono messa a giocherellare… E’ una cosa stupida.-

L’uomo rimase in attesa, come se si aspettasse una spiegazione da Jodie.

Aveva gli occhi verdissimi nella luce soffusa del locale. 

Forse però l’aveva già notato prima.

- Non ho fatto altro che spostare il centro di gravità. Se infilzi il tappo sullo stuzzicadenti - ecco, così! - il tappo è molto più pesante. Quindi non può restare in equilibrio sul dito, anche perché lo stuzzicadenti non ha un punto d’appoggio valido. Soltanto se bilancio il peso del tappo riesco a farlo. Se ad esempio conficcassi nel sughero questa forchettina per le olive - ecco, così! - farei scivolare il peso dal tappo alla fine del manico della forchetta, che cade esattamente sotto l’indice. Così ho bilanciato tutto e posso tenerlo in equilibrio sul dito!- 

Le parve di cogliere un barlume di interesse negli occhi del bell’agente e si permise di sognare che la stesse trovando vagamente interessante.

Da uno così sarebbe stato un bel complimento.

- Fisica?-

- Eh? No, medico. Ma sono nerd abbastanza da divertirmi con queste cose.-

Questa volta l’agente Akai aveva l’ombra di un sorriso sul volto e Jodie si sentì vagamente esposta, come se fosse completamente nuda sotto il suo sguardo, analizzata con la lente d’ingrandimento. Non seppe che cosa le trasmise quella sensazione, visto che l’uomo era quanto di più composto ed educato avesse mai incontrato.

- Allora immagino che tu ti sia fatta un’idea del caso, giusto?-

Jodie annuì.

- Sì, credo di avere le idee chiare.-

- Peccato che non ci sia uno straccio di prova.-

- Mh.-

Fu l’unico commento che si lasciò sfuggire.

- Il simpaticone dell’antiterrorismo, quello col sorriso da pubblicità del dentifricio, è ancora convinto che si tratti di annegamento. Vuole la perizia del medico legale.-

- Sono io il medico legale. Per lui, però, sono uno zero.-

- Sai come si dice, più grossi sono…-

- … Più forti sono, sì, lo so…-

- … Più fessi, Starling. Più fessi.-

E sorseggiò il suo drink con nonchalance. 

Jodie si lasciò sfuggire una risata, mormorò che lo avrebbe tenuto a mente e si servì dal vassoio, riempiendosi il piatto di pesce. Chiese al suo compare se volesse favorire e lui le avvicinò il piatto per permetterle di riempirglielo. 

Mangiarono in silenzio, Jodie concentrata sulla sua cena senza sapere che altro dire, l’agente Akai apparentemente incurante di tutto ciò che non fosse il suo sushi. 

- Che c’è?- proruppe ad un certo punto, accantonando le bacchette e pulendosi la bocca nel tovagliolo di carta. - Niente più giochi di prestigio?-

Per un attimo Jodie si guardò intorno come se l’agente si fosse rivolto a qualcun altro.

- Io? Beh, non sono esattamente giochi di prestigio, anche se è scienza, quindi sì, si può dire che in un certo senso la scienza sia magia. Ne conosco altri ma non so, non mi sembra il caso, non vorrei annoiare…-

- Nessuna noia. Nulla di più noioso di questa cena in una scena del crimine, comunque. Senza offesa per la compagnia, si intende.- commentò Akai, allargando le braccia e indicando i dintorni. 

Sì, in effetti quella era una serata molto moscia. I camerieri erano provati dalla perdita, i titolari avevano i nervi a fior di pelle, alcuni agenti erano frustrati perché non avevano ancora risolto il caso, ad altri pareva che non potesse importar loro di meno, tranne per il fatto che l’aria nervosa e tesa avrebbe turbato la serata anche del più calmo e pacato degli spiriti.

Sì, decisamente sottotono, e la musica troppo alta non aiutava.

 Così, Jodie prese coraggio e rubò dal centrotavola un po’ di ghiaccio secco con delle bacchette che poi gettò nel cestino (non si può toccare il ghiaccio secco con le mani!). Fece cadere il ghiaccio in un bicchiere con poca acqua e quello cominciò a fumare in dense nuvole bianche. 

Poi, si pulì le mani con l’apposita salvietta profumata che il ristorante forniva a tutti per eliminare l’odore di pesce. Distese la salvietta e la passò sul bordo del bicchiere.

Incredibilmente, la nuvoletta di vapore smise di uscire. Sembrava compatta, tesa, condensata, mentre formava una grossa cupola sopra il bordo del bicchiere, come se fosse stata una soffice bolla bianca. 

Infine, la bolla esplose e il vapore bianco riprese a traboccare da tutte le parti in una massa informe. 

Notò che aveva catturato di nuovo l’interesse del suo commensale. Non seppe dire se fosse un bene o un male.

- Adesso come hai fatto? Immagino che abbia a che fare con l’acqua e il sapone.-

- Immagini bene. La tensione delle molecole d’acqua e sapone trattiene il vapore fino a che non riescono più a tollerare la pressione, si rompono e il gas va da tutte le parti.-

- Magic bubbles, quindi.-

- Sì. Ci sono molti modi per farlo. Ad esempio, se io soffiassi delle bolle di sapone su quel centrotavola, probabilmente non cadrebbero né volerebbero via. Potrei vincere la gravità.-

Il centrotavola era giusto a pochi passi da loro. Consisteva in niente meno che una vaschetta di plexiglas all’interno del quale c’erano rocce multicolori e strane piante - finte - dall’aspetto esotico. Un grosso sasso rotondeggiante vorticava su un meccanismo, come un vaso su un tornio, e il ghiaccio secco fumante attorno ad esso dava la sensazione di star osservando una enorme luna che spunta tra le nubi sopra una foresta.  

- Come?-

- Semplicemente una differenza di densità. A cose normali le bolle vengono attratte al suolo dalla forza di gravità. Con il ghiaccio secco, invece, le bolle galleggiano. Le bolle sono meno dense dell’anidride carbonica, che le spinge in alto.-

- La gravità però continuerà a spingerle in basso.-

- Se le due forze dovessero equivalersi, le bolle resterebbero in sospensione nell’aria. Probabilmente servirebbe un recipiente molto più alto di quel centrotavola, ma…-

Si fermò, come se avesse preso un’enorme botta in testa.

Il suo interlocutore intuì che Jodie aveva capito qualcosa e la guardò con sospetto.

- Starling? Tutto bene?-

La ragazza annuì, gli occhi brillanti. Stese il suo miglior sorriso da ebete e balzò in piedi.

- Sì, ho appena risolto il caso!-

L’agente Akai alzò le sopracciglia, perplesso.

- Davvero?-

- Sì, davvero! Grazie, grazie di tutto!-

L’uomo scosse il capo, spaesato, i lunghi capelli neri che ondeggiavano sulle sue spalle.

- Non capisco. Grazie di cosa?-

- Di avermi fatto fare le bolle! Diamine, era così ovvio! Grazie, grazie ancora!-

- Ovvio che cosa?-

- Science is magic! Senti, se dovessi avere bisogno all’FBI, dammi un colpo di telefono. A buon rendere!- disse, e scappò via in direzione di Jenny.

- Aspetta!- fece l’agente Akai, cercando di fermarla. - Come dovrei contattarti? Non ho il tuo recapito!-

- Sì che ce l’hai. Nel taschino della camicia!-

Il bel nativo - che poi nativo non era - la guardò quasi compatendola, ma per scrupolo portò una mano al petto, verso il taschino della camicia.

La sua espressione mutò da compatimento a stupore quando estrasse un bigliettino da visita.

Jodie se ne andò, facendogli l’occhiolino.

- Science is magic!- 

Se avesse avuto cura di voltarsi indietro, Jodie avrebbe potuto vedere il bel sorriso spensierato dell’agente mentre rigirava incantato il biglietto da visita tra le dita. 

Solo mesi dopo avrebbe compreso quanto fosse importante riuscire a far ridere Shuichi Akai.

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