Il ragazzo dimezzato

di LuHuiMeng
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Arrivano i Saotome ***
Capitolo 3: *** 2. Quant'è carina quando sorride ***
Capitolo 4: *** 3. Accetto la sfida! ***
Capitolo 5: *** 4. Il festival estivo ***
Capitolo 6: *** 5. Akane ha la febbre ***
Capitolo 7: *** 6. Il piano dei padri ***
Capitolo 8: *** 7. Lui, lei, lui, soli ***
Capitolo 9: *** 8. La scelta di Ranma ***
Capitolo 10: *** 9. Stupido Ranma ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eccola qua. La mia prima fan fiction, che ansia! Haha.

Nasce da una ri-lettura, dopo molti anni, de “Il visconte dimezzato” di Calvino. La questione del “mezzo” mi ha ricordato Ranma e mi sono chiesta cosa sarebbe successo se la maledizione fosse stata tra parte buona e parte cattiva, anziché maschile e femminile; considerando che tutti noi siamo un miscuglio di questi opposti, nell’uno e nell’altro caso.

Ho raccontato l’idea ai miei fidi compari della Kuno’s che mi hanno spronato in questa avventura per cui grazie di cuore a Neechin, Kuno ed Annarin.

E dunque, cosa leggerete?

L’ho ambientato in un periodo storico che conosco molto bene, almeno per il paese dove è ambientato il prologo e perché mi serviva un’esplosione. Ci saranno un po’ di note che approfondiscono il periodo o i termini che spero apprezziate. Su questo ho avuto l’immenso aiuto di Neechin.

Lo stile è un po’ quello della novella, non ci sono molte descrizioni o interiorizzazioni.

Troverete quindi un Ranma mezzo buono, che estremizza i comportamenti “onesti” e da amico di Ranma ed un Ranma mezzo cattivello, che al contrario mette in luce il suo lato stronzetto e arrogante. Dei personaggi ho scelto di non mettere le fidanzate perché mi sono concentrata su altri sentimenti, la gelosia di Akane non era tra questi.

Così comincia la storia del ragazzo dimezzato, che, spezzato tra male e bene, cercherà di far tornare intero il proprio cuore.

Buona lettura! 


***
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PROLOGO

 

I due sergenti dell'esercito imperiale giapponese stavano seduti l'uno davanti all'altro, fissandosi. Una birra Tsingtao li divideva, un unico pensiero li univa: la loro missione in Cina si stava concludendo con successo. 

Il sergente Soun Tendo propose un brindisi. Soltanto un giorno di servizio e lui e l’amico di sempre sarebbero tornati dalle loro famiglie, coperti di gloria e onori, in qualità di “migliori sergenti istruttori in missione estera”. 

L'incarico ormai si era protratto per diversi mesi e sarebbero rientrati nell'estate del quinto anno dell'era Taisho.

Fiumi di lacrime scorrevano sui loro volti, a sancire quel sentimento di puro sollievo. Finalmente potevano uscire dal ripostiglio dell'ufficio di comando del Beiyang, l'Esercito cinese dell'Armata del Nord, in cui si erano rifugiati dal momento in cui avevano messo piede nello Shandong. (1)

 

Il soldato superiore scelto Ranma Saotome, figlio di uno e futuro genero dell'altro, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, la schiena dritta e il mento in alto, mentre l'anziano maresciallo Happosai passava in rassegna lui e i suoi commilitoni con lo sguardo contrariato.

Erano stati inviati nello Shandong come parte dei prestiti di Nishihara(2). Per ingraziarsi il primo ministro cinese Duan Qirui, signore della guerra e comandante dell'esercito Beiyang, il Giappone aveva inviato le due cose che stavano spianando la strada all'impero per la conquista della Cina: yen a palate e sergenti istruttori per addestrare le truppe cinesi.

Quell'ultimo giorno di addestramento non prevedeva un programma diverso dai precedenti, ovvero: arrampicamento all'alba su un palo di 50 metri, con due pesi di 10 chili di disciplina sul braccio destro e 10 chili di forza sul sinistro; destrezza nell'utilizzo di spade, bastoni e forconi con cui distruggere vasi lanciati in aria o deviare la traiettoria di proiettili vaganti; saper prendere a craniate nel punto giusto massi di pietra calcarea dello Yunnan; corpo a corpo con il maresciallo; attraversamento a nuoto del fiume Yangtze in piena durante un monsone; e così via.

L'ultimo esercizio che rimaneva da svolgere quel giorno era il più semplice per un soldato scelto cinese, figlio di una patria che vantava l'invenzione della polvere da sparo. Saper utilizzare i cannoni di precisione con gittata lunga per far saltare in aria l'accampamento nemico era fondamentale.

Fu proprio in questa operazione finale che il soldato scelto Yao inciampò sul cannone a lungo calibro del soldato scelto Chen Po e la cannonata prese in pieno petto il soldato superiore scelto Ranma Saotome, che saltò in aria.

 

Nel fuggi fuggi generale – si era pur sempre colpito un parente stretto di due sergenti di rango tanto alto, da non essersi mai mescolati negli addestramenti del maresciallo Happosai – si raccattarono in fretta i resti dello sventurato ragazzo e all'ospedale militare gli abili medici cinesi si trovarono davanti uno spettacolo singolare.

Il forte spirito di sopravvivenza dei Saotome aveva avuto la meglio. Respirava, vedeva, sentiva, muoveva gli arti, tuttavia il cannone lo aveva spaccato a metà.

Il soldato superiore scelto Ranma Saotome era sopravvissuto. I medici fermarono l'emorragia, chiusero, disinfettarono, ma non riuscirono a far combaciare i due pezzi, che avevano preso vita separati.

Ranma era vivo, ma mezzo.

____________
(1) Provincia nord-orientale della Cina, con capitale Qingdao. Fu colonia tedesca fino al 1919.

(2) Sono una serie di prestiti in denaro e soldati, concessi nel 1917 dal governo giapponese, tramite l’uomo d’affari Nishihara Takezo, al signore della guerra Duan Qirui. In cambio i giapponesi ottennero il controllo delle ferrovie dello Shandong, alcuni diritti in Manciuria e la baia di Kiao-ciao, su cui sorge il porto di Qingdao.

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Capitolo 2
*** 1. Arrivano i Saotome ***


Maledetto bastardo.”
Potrei dire la stessa cosa, figlio ingrato che non sei altro.”
Perdonatemi padre, signor sergente signore.”
Non parlo con te... tu, parlo con te... lui!”
Genma Saotome indicò a suo figlio l'altra metà di suo figlio. Perché così era andata: un colpo di cannone gli aveva dimezzato fisicamente l'erede, ma a conti fatti, glielo aveva raddoppiato.
Erano appena sbarcati dalla corazzata che li aveva riportati in patria. L'amico Soun Tendo era stato trasportato d'urgenza a casa, a Nerima (1): non si era ancora ripreso dallo sgomento di ritrovarsi due mezzi futuri generi al posto di uno intero.
Dacci un taglio, stupido vecchio. Non verrò con te.”
Tu sei il promesso sposo di Akane Tendo. Una promessa è una promessa.”
Calò il silenzio.
Io vi ubbidirò, padre. La pietà filiale è un sacro valore che onorerò.”
Chiudi quella boccaccia, mezza calzetta. Guarda come siamo ridotti. Come pensi che potremo sposarla? Dividendocela?”
La condivisione è un sacro v...”
SBONK.
Genma Saotome era un uomo di poche parole ma di rapida azione. In pochi secondi tramortì entrambe le metà di suo figlio, se le caricò sulla schiena e si diresse verso casa Tendo.

Akane Tendo non vedeva il padre da capodanno. Il giorno della partenza per la missione in Cina come istruttore per l'esercito, si era presentato in camera sua annunciando che non appena fosse tornato, avrebbe cominciato le procedure per darla in sposa al figlio del suo fido compagno d'armi, Saotome.
Lei e Ranma Saotome non si erano mai incontrati. Tutto quello che sapeva di lui era che stava seguendo le orme del padre nell'esercito imperiale giapponese, con ottimi risultati. E questo era proprio ciò che voleva il sergente Tendo, suo padre: assicurarsi che una delle tre figlie sposasse un promettente cadetto, in modo da far proseguire la progenie tra le alte sfere del genio militare giapponese. Tra le tre figlie di Tendo, la scelta era ricaduta su di lei, semplicemente perché i due ragazzi avevano la stessa età. Akane si era opposta fortemente, non tanto perché non conoscesse il promesso sposo o non avesse avuto voce in capitolo, ma soprattutto perché detestava gli uomini.

Dopo mesi senza notizie dall’esercito, una mattina di inizio estate lei e le sorelle erano state informate che i tre soldati erano sulla via del ritorno e che, poiché Ranma aveva subito delle gravi ferite in addestramento, i Saotome sarebbero rimasti ospiti dei Tendo fino al matrimonio.
Akane era preparata al peggio.
Non preoccuparti sorellina, sono sicura che non sarà poi così grave.” Kasumi, la maggiore, era ottimista.
Se fa carriera militare non vi vedrete mai e non dovrai guardarlo in faccia.” Nabiki invece, era realista.
Quella mattina, una lettiga portata da un paio di soldati giunse a casa Tendo. Le tre sorelle si chiesero cosa fosse accaduto a loro padre e all'amico, per scegliere di abbandonare così un ferito grave, facendolo trasportare da estranei.
La coperta si levò e Soun Tendo fu colui che apparve. Sano come un pesce, si rizzò seduto, e si rivolse ad Akane con naso ed occhi gocciolanti:
Figlia miaaa...”
Proprio in quel momento comparvero i Saotome.
Sono Genma Saotome e questo è mio figlio.” Il sergente scaricò dalle spalle un ragazzo. Anzi, a guardarlo bene era un pezzo… di ragazzo. E a guardarlo meglio ancora, era un bel… pezzo di ragazzo.
Il poveretto però si reggeva su una gamba sola e perse l'equilibrio. Stava per rovinare a terra pericolosamente quand'ecco che una mano sicura lo afferrò per il braccio e un'altra lo cinse saldamente per il mezzo fianco. Ranma alzò lo sguardo e si ritrovò occhio negli occhi con Akane: attorno a lei crebbero rose istantanee, volarono bolle di sapone e comparvero luccichii.
S... sei troppo... vicina” sussurrò. Distolse lo sguardo, con il volto in fiamme e la metà del cuore che sembrava gli uscisse dall'orecchio.
E anche questo è mio figlio” dichiarò sospirando il sergente Saotome, e sollevò dalle spalle l'altro gran bel pezzo di ragazzo. Questi però non scese a terra. Con destrezza saltò sul muro di cinta della casa, appoggiò la spalla al lampione e a braccio conserto, squadrò Akane da capo a piedi.
Mi sta bene, vecchio. Ha il permesso di innamorarsi di me.”
Prego?” disse lei, non del tutto sicura di aver sentito bene.
Non penserai mica di sposarti con quel mezzo idiota che non si regge neanche in piedi. Sono io la scelta migliore. Sposa me.”
Non preoccuparti per me, Ranma Saotome” replicò la promessa sposa. “Non ci sarà nessuno da scegliere. Io odio i ragazzi.”
Furono le sorelle Tendo a interrompere il silenzioso imbarazzo che calò tra i presenti a quella dichiarazione.
Akane, pensa che fortuna! Ranma non è un ragazzo, è metà ragazzo.” disse Kasumi. 
“E non sembra orrendamente mutilato,” incalzò Nabiki “è solo mezzo.”
“Mezzo o intero non mi interessa. E’ un maschio come tutti gli altri.”
Il Ranma che aveva ritrovato un po’ di equilibrio di gamba e di cuore, le si avvicinò, inspirò e rosso in volto fino all’orecchio dichiarò a mezza gola: “S… SEI DAVVERO CA… CA…”.
Il cuore di Akane fece uno strano battito, ma la ragazza non ebbe il tempo di sentire la fine della frase, perché si ritrovò spalle al muro, con una mezz’ombra minacciosa che incombeva su di lei. Istintivamente chiuse gli occhi e rivolse il volto di lato.
“Tutti gli altri, dici?”
Aprì gli occhi per posarli su un bicipite teso a pochi centimetri da lei che apparteneva al Ranma che era sceso dal muro di cinta e la stava fissando intensamente. Altro strano battito.
“Te ne accorgerai. Io non sono tutti gli altri.”
Detto questo, saltò di nuovo sul muro di cinta e scomparve dalla vista. Il resto dei presenti rientrò lentamente in casa, Akane varcò la soglia per ultima.



_________

(1) Negli anni in cui è ambientata la storia, Nerima era una campagna coltivata a patate e daikon. Ha cominciato a popolarsi solo dopo il grande terremoto del Kanto del 1923. Ho voluto tenere l’ambientazione del manga anche se storicamente non è corretta.

 

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Capitolo 3
*** 2. Quant'è carina quando sorride ***


Era bella, aveva due grandi occhi scuri che avevano ispirato non pochi ragazzotti dell'accademia militare Furinkan, dove il padre insegnava addestramento di fanteria e combattimento corpo a corpo.
Ogni santo giorno, il sergente Soun Tendo la costringeva ad accompagnarlo all'accademia. Ogni santo giorno, Akane Tendo riceveva dichiarazioni d'amore da perfetti sconosciuti, che rifiutava categoricamente.
“Quanti oggi?” La voce di Kasumi arrivava dalla cucina.
“Siamo a due: 'la mia vita non ha senso senza di te' e un: 'rendimi un uomo felice.' Ma… Stai bene Ranma?”
La domanda era lecita: il ragazzo si stava strozzando con il riso avanzato dalla colazione.
“Coff coff. Sì... sto... coff... bene.”
“Non sei neanche in grado di mangiare? Sei imbarazzante.” La voce irritata dell'altro Ranma giungeva dal corridoio esterno che dava sul giardino.
Akane si sedette al tavolino a leggere il giornale.
Ranma strozzato, seduto di fianco a lei, prese coraggio, deglutì e chiese: “Ti capita spesso di ricevere dichiarazioni d'amore come queste?”
“Tutti i giorni” fece lei “per questo li odio.”
I due mezzi Ranma alzarono la testa, come stessero cogliendo lo stesso pensiero.
“Oh guarda, Kasumi!” esclamò Akane con gli occhi sulla pagina dedicata agli eventi dello Yomiuri Shinbun (1). “Sabato ci sarà il festival estivo, andiamo?”
“Volentieri sorellina! Perché non vai a controllare come è messo il tuo yukata?”
Akane le sorrise dolcemente, si alzò ed uscì dalla stanza, mentre Nabiki faceva il suo ingresso.
“Ma guarda un po' che scena interessante” osservò Nabiki incrociando le braccia.
Ranma, con le bacchette di riso a mezz’aria e lo sguardo sognante, sospirava: “Quant'è carina quando sorride.”
L'altro Ranma si era ritrovato con il pugno incastrato nel pavimento, nel punto preciso dove era seduta Akane poco prima, imprecando a mezza bocca: “Dannazione. Devo darmi una calmata.”
Nabiki e Kasumi si scambiarono uno sguardo d'intesa e proposero all'unisono:
“Chiedile di uscire.”
Quelle tre parole liberarono la stanza dalla loro presenza: uno salì nella camera che divideva con il padre con amorevole spirito di figlio, l'altro si arrampicò sul tetto dove aveva stabilito il suo alloggio per star lontano da quel branco di rammolliti.

Nella sua stanza Akane stava cercando di dare un ordine logico al suo armadio. La ragazza era tanto bella quanto disordinata, per cui quando Kasumi varcò la soglia della camera, la situazione che si trovò di fronte non era lontana da un campo di battaglia con morti e feriti.
“Sembra che tu ti stia preparando per andare in guerra” osservò Kasumi facendosi spazio sul letto tra i vestiti della sorella.
“Ho la sensazione che sia proprio così, ogni giorno cambio corazza.” Il tono era fermo ma con un velo di tristezza.
La sorella maggiore le fece segno di sedersi accanto a lei ed Akane obbedì.
“Non sembra male quel Ranma” disse Kasumi aspettando di ricevere una borsa in faccia.
“Quale delle due metà?” sbottò ironica Akane.
“Non è detto che rimanga sempre così, sai, potremmo chiedere al dottor T…”
“Oh andiamo Kasumi. Appena mi ha visto ha pensato subito di provare a dichiararsi e di pavoneggiarsi. Tanto quanto gli altri che affronto ogni giorno.”
“Ma perché ti trova davvero carina. Specie se sorridi.” disse guardando il soffitto.
“Sì, come no. Una metà lo fa per dovere, l’altra per egoismo.”
“E tu che ne sai di cosa gli passa per quel mezzo cervello?”
Akane non riuscì a controbattere, la sorella maggiore rincarò la dose: “E tu che pensi di lui?”
Il cuore si ricordò di quei due mezzi battiti e la ragazza trattenne il respiro. Kasumi se ne accorse. “È appena arrivato. Prova a conoscerlo meglio, magari ti stupirà.” Si alzò e la lasciò ai suoi pensieri.
Rimasta sola, Akane prese lo specchio che aveva sulla scrivania. Si guardò, si sorrise.
Un’ombra passò davanti alla finestra. Akane si ritrovò Ranma appeso a testa in giù che con un mezzo ghigno la fissava divertito. 
“Che diavolo ci fai in camera mia?” urlò, pronta a ridurgli la faccia ad un quarto.
“Uscirò con te, Akane Tendo.”
“Sparisci, Ranma Saotome.”
Il ragazzo fece appena in tempo a saltar via dalla finestra: lo specchio volò fuori nel giardino e la finestra si chiuse con un colpo secco.

L’altro Ranma era ritornato in cucina, si era ricordato di non aver rassettato e buttato via la spazzatura.
“Stai perdendo tempo. L'altra metà ne approfitterà. Ti sta bene?” gli chiese Nabiki preparandosi del tè.
“Oh... beh... io...” balbettò Ranma.
“Sei proprio mezzo scemo” ribattè secca lei.
In quel momento uno specchio da toeletta atterrò violentemente nel giardino e si spezzò a metà. Ranma corse a recuperarlo, lo osservò per un lungo momento e rientrò in casa.
“Avete della lacca urushi?” (2)  chiese pensoso tenendo i due pezzi in mano.
Nabiki rovistò nei cassetti e porse al ragazzo lacca, polvere e pennello. “Lo riesci a fare con una mano sola?”
Ranma si sedette e tenendo un pezzo con un piede, l'altro con la mano e il pennello in bocca, cercò di riunire le due metà spezzate.
“Sei ingegnoso” osservò Nabiki.
“Fosse così facile ritornare intero” sussurrò il ragazzo.
Metà di se stesso non gli apparteneva più, eppure a volte provava una strana sensazione, come se la gamba che non aveva fosse stanca per un gran sforzo, oppure come se il pezzo mancante di cuore accelerasse il battito. Cominciava a conoscere bene, invece, i momenti in cui era la sua metà di cuore ad accelerare i battiti: quando due occhioni scuri incrociavano il suo e un certo sorriso lo spaccava dentro in altri mille pezzi. Erano trascorsi pochi giorni da quando si erano incontrati, eppure…
“Allora, le chiederai di uscire?” Nabiki lo risvegliò da quei pensieri.
Il ragazzo si grattò la testa e diventando rosso fino all'orecchio bisbigliò: “U-un... a-a... ap...”
“Applauso?” incalzò Nabiki.
Ranma scosse la testa.
“Un a-app...”
“Appartamento? Non ti facevo così spavaldo, Ranma Saotome” disse Nabiki alzando le sopracciglia.
Il poveretto cercava di nascondere il viso incandescente mentre la ragazza divertita non gli dava scampo.
“Un appostamento allora? Vuoi coglierla di sorpresa?”
“APPUNTAMENTO!” urlò infine con tutta la mezza voce che aveva.
“Tsk! Troppo tardi babbeo. Uscirà con me.” L’altro Ranma, disceso dal tetto nel frattempo, gli si avvicinò con aria minacciosa, alzando il mento in segno di sfida.
Nabiki si godeva la scena sorseggiando il suo tè.
“Sarà lei a scegliere” replicò Ranma prendendo coraggio.
“Sta bene, accetto la sfida allora” sentenziò il compagno, ed uscì nel giardino, dirigendosi verso il dojo.
Nabiki emise un fischio: “Si aprono le scommesse!”

Specchio riparato in mano e sangue che gli ribolliva in mezzo corpo, quella sera Ranma si presentò alla porta della camera di Akane.
Si schiarì la voce e: “Ehm, A-Akane? Sono io, ti… ti posso parlare?”
La porta si aprì e la nuvola del profumo di lei lo colpì e affondò.
“Ah… eh… ecco… hai appena fatto il bagno… magari torno domani mattina.”
“Non c’è problema, vuoi entrare?” disse Akane notando quattro losche figure in attesa sulle scale.
Ranma spalancò l’occhio. “In camera… tua? No no no. Ecco, tieni. Volevo solo darti questo.”
Si inchinò faccia a terra e le porse lo specchio che lei con tanta foga aveva lanciato dietro all’altro Ranma mezzo.
Il volto del ragazzo si rifletteva nello specchio. Akane notò che lo aveva riparato con molta cura ma, nonostante questo, il riflesso rimaneva spaccato. Si addolcì e prese lo specchio.
“Grazie Ranma.”
“Figurati.” Il ragazzo alzò lo sguardo ed il sorriso di Akane lo prese in pieno come un’altra cannonata.
“Ehm… ecco… io…” Ranma tornò a guardarsi i piedi e grattarsi la testa. “Pensavo che… se tu vuoi, potremmo ecco… sabato…”
“Andare al festival? Volentieri. Ci andremo tutti e anche tu sei il benvenuto.”
“Oh, certo. Beh… Bu-buonanotte allora.” 
“Buonanotte!”
La parola ‘appuntamento’ svanì dal vocabolario di Ranma fino a data da destinarsi.



___________

(1) Quotidiano giapponese pubblicato a Tokyo, Osaka, Fukuoka e in altre città del Giappone. Fondato il 2 novembre 1874, è il giornale più diffuso al mondo.
(2) Lacca estratta dalla pianta omonima che cresce soltanto in Giappone e in alcune zone del Sud-est asiatico. E’ l’ingrediente principale per riprodurre la tecnica del kintsugi, tecnica di restauro per riparare oggetti frantumati.
 

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Capitolo 4
*** 3. Accetto la sfida! ***


Mancava un giorno a quello che per Ranma era un appuntamento e per Akane un'uscita al festival estivo con tutti quanti.
Ranma era appena sceso dal tetto e si stava allenando nel giardino d'ingresso della dimora dei Tendo. Da quando si era dimezzato, i suoi sensi di equilibrio e controllo della forza andavano affinati in misura doppia.
In quel momento un tizio in tenuta da kendo e con in mano un enorme mazzo di rose rosse si presentò alla porta.
“Sono Tatewaki Kuno, caporale della divisione di fanteria dell'esercito imperiale giapponese e sono qui per Akane Tendo.” La voce del caporale giungeva seria ed impettita da dietro al portone.
Con un balzo Ranma fu sul muro di cinta. Si mise di profilo, come spesso faceva con gli sconosciuti per evitare di far vedere la sua debolezza.
“Che vuoi da Akane?” lo apostrofò secco.
Tatewaki lo fissò ad occhi spalancati per un lungo minuto.
Ranma strinse i denti, aspettandosi l'ennesima frase di commiserazione o di orrore per la sua condizione.
“Tu! Come osi prenderti tanta confidenza con la signorina Tendo? Chi diavolo sei?”
Mentre Ranma radunava la doppia risposta con mezzo cervello, l'altro proseguì, estraendo lentamente la spada da kendo:
“Io sono il caporale Kuno. Il migliore della mia divisione. I cadetti mi chiamano il fulmine blu dell'accademia Furinkan.”
In un lampo Ranma gli si parò davanti, fronteggiando la spada ma rimanendo di profilo.
“Io vivo qui.”
Il caporale Kuno attaccò. “Cooosa? Maledetto!”
Ranma schivò il colpo con un balzo all'indietro.
“Vivi sotto lo stesso tetto dei Tendo?”
Altro colpo che Ranma schivò rispondendo: “Sono un soldato superiore scelto dell'esercito imperiale del Giappone.”
“Ti punirò, miserabile insetto” dichiarò Kuno preparando un altro fendente.
“Mi chiamo Ranma Saotome. Accetto la sfida, babbeo.”
La spada del caporale si conficcò nel portone, nello stesso momento in cui un battente si aprì.
“Oh, cielo” disse Kasumi portandosi la mano alla bocca e osservando i danni. L’oggetto della disputa tra i due ragazzi era dietro di lei.
“Cosa state combinando?” esclamò Akane incredula e già innervosita.
“Dolce ed innocente Akane.” Tatewaki mollò spada e duello e si inchinò davanti alla ragazza con quello che era rimasto del mazzo di rose. “Io, Tatewaki Kuno, sono giunto fin qui per dichiar…”
La frase rimase strozzata in gola. Ranma si era mosso sotto di lui e appoggiando la mano a terra, lo aveva colpito ripetutamente nei punti vitali con dei calci precisi. Il caporale Kuno stramazzò al suolo. 
“Davvero un fulmine” commentò sarcastico Ranma.
“Hai giocato sporco però. Aveva la guardia abbassata” osservò Akane.
Ranma le si avvicinò spavaldo, con aria di sfida.
“Vuoi dirmi che avresti accettato la sua dichiarazione?”
“Lo rifiuto ogni giorno. Me la cavo da sola. Andiamo, Kasumi.”
Le due sorelle si allontanarono, Ranma tornò ad allenarsi in giardino.

L’altra metà di Ranma continuava ad assolvere ai propri doveri di soldato scelto, nonostante la sua condizione. Aveva cominciato a recarsi tutti i giorni all’accademia Furinkan per l’addestramento: era suo compito essere sempre pronto al sacrificio per la patria. 
Per non attirare troppa attenzione sul suo corpo storpiato, indossava un cappello dell’esercito e una mantella sopra alla divisa, la quale copriva anche la gruccia che utilizzava per muoversi più rapidamente.
Si stava recando all’ufficio del padre e del sergente Tendo. Da quando avevano traslocato dai Tendo, anche il sergente Saotome era stato trasferito nel corpo militare dell’accademia Furinkan.
All’improvviso Ranma percepì una minaccia di pericolo. Riuscì a fermarsi in tempo: ruotando su sé stesso fece leva sulla gruccia, evitando per un soffio di essere trafitto da una kyuu guntou, nientedimeno che l’antica spada militare dell’esercito imperiale.
“Come al solito. Sei lesto a schivare, Saotome.” Ryoga Hibiki, che lo conosceva da quando era stato suo compagno d’armi nella campagna in Cina, si trovava dritto di fronte a lui con la spada sguainata. 
“Ryoga… Sei qui anche tu. Avevo dimenticato frequentassi la Furinkan qui a Nerima!” esclamò Ranma.
“Dimmi soltanto una cosa” chiese il soldato scelto Hibiki “perché sei fuggito in quel modo dalla Cina? È così che si comporta un soldato imperiale? Per cercarti ho vagato per giorni e giorni per le pianure dello Shandong, fino al Monte Tai.”
“Ma il porto di Qingdao è dall’altra p…”
“Taci Saotome. Il mio peregrinare mi ha rafforzato e ora sono pronto a sfidarti. Sarò io a diventare appuntato prima di te.”
Ranma lo superò, proseguendo verso l’ufficio dei sergenti.
“Non ignorarmi. Userò qualsiasi mezzo per superarti.”
“Oh, buongiorno Ranma!” La voce gentile di Kasumi li raggiunse e li fece voltare, dietro di lei Akane si guardava intorno circospetta.
“Buongiorno Kasumi… Akane.” Ranma abbassò leggermente il volto in segno di saluto, felice di vederla già dal mattino. Accanto a lui, Ryoga era stranamente immobile, poi scattò battendo i tacchi.
“Il soldato scelto Hibiki porge i suoi omaggi alle signorine Tendo” esclamò gonfiando il petto.
“Andiamo Ryoga, non essere così formale” disse infine Akane sorridendo. “Ci vediamo tutti i giorni qui in accademia.”
Davanti al sorriso di Akane, i due soldati scelti, fermi davanti alla porta, non sentirono, videro e capirono più nulla per tutto il minuto successivo.
Quando si ridestarono, le due sorelle erano già nell’ufficio del padre.
“Akane…” sussurrò Ryoga ancora con lo sguardo perso e sognante.
Ranma lo fissò, provando una strana fitta cardiaca. Un ricordo lo colpì.
“Vorrai dire: ‘Aka…ri’. Come sta la tua fidanzata, Ryoga Hibiki?” Lo sguardo di Ranma era di sincero interesse.
Alla domanda, il soldato scelto Hibiki si girò i pollici e si allontanò dimenticando la sfida con lo sguardo basso.
Ranma rimase ad aspettare le due sorelle, per accompagnarle all’uscita.
“Non ce n’è bisogno, conosciamo la strada” disse secca Akane.
“Come sei gentile Ranma” osservò invece Kasumi.
Lo scopo del ragazzo era anche evitare che Akane venisse turbata da qualche altra proposta di matrimonio non gradita. 
“Non hai evitato Ryoga”affermò lui.
“È l’unico che mi lascia in pace. Appena mi vede a malapena mi saluta. E poi è già fidanzato, quindi non è un pericolo.”
Ranma si zittì, ripensando alla reazione di Ryoga di poco prima.
“Certo, come no” sussurrò tra sé e sé.

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Capitolo 5
*** 4. Il festival estivo ***


In attesa delle ragazze, Ranma stava guardando il suo riflesso nel laghetto della tenuta dei Tendo. Sopra la sua testa brillava una mezza luna, quasi che l’astro quella sera volesse farlo sentire meno solo.
Si era avvolto in uno yukata che, lungo fino a terra, nascondeva quello che non c’era. Il problema era quella faccia sempre di profilo: aveva risolto la cosa calcando una maschera sul lato di viso mancante. La prima che aveva trovato, mentre allestivano le bancarelle del quartiere, era a forma di panda.
Tornò ad osservare la luna crescente, soffermandosi sulla parte che mancava, quella oscura. A differenza della luna però, la cui metà era solo nascosta, la sua era letteralmente altro da lui. 
Un movimento nero sul tetto gli annunciò l’arrivo dell’altro mezzo se stesso.
“Come ti sei conciato, idiota?” chiese sprezzante quello, parandosi davanti a lui con un balzo.
“Potrei dire lo stesso di te, ma capisco la tua condizione meglio di chiunque altro.”
L’altro Ranma era bardato in una nera divisa da ninja, larga sul torace per camuffare la metà di corpo mancante e per nascondere… probabilmente armi. Aveva una fascia alla cintura e un’altra intorno al viso.
“Bada di starmi alla larga stasera. Le ho chiesto io di uscire.”
“E lei è stata così gentile da invitare anche me.”
“Maledetto storpio!” Ranma stava per colpirsi, quando Kasumi aprì la porta.
“Siete tutti pronti?” chiese osservando Ranma. Akane e Nabiki erano dietro di lei.
Ranma evitò il colpo di Ranma e si voltò: “Certo, Ka… ca… cari…”
Akane era meravigliosa in yukataDopo un lungo pomeriggio di battaglie con i tessuti, ne aveva scelto uno bianco, con decorazioni azzurre che ricordavano le onde del mare e grandi fiori rossi sulle maniche e sulla parte inferiore. L'obi che lo chiudeva era di un blu intenso con un motivo di farfalle bianche. 
La ragazza diede loro le spalle e con un gesto elegantissimo si infilò i geta (1) ai piedi. Ranma rimase immobile ad osservare un punto preciso da cui non riusciva a staccare gli occhi. Akane aveva i capelli corti, come molte ragazze cominciavano a portare in quegli anni in cui la moda occidentale si stava facendo strada. Lui li adorava così e adorava quello yukata che scopriva l’attaccatura della nuca, quel punto che lo stava ipnotizzando. All’improvviso si accorse che il battito del suo cuore era doppio, quasi fosse intero. Le due metà si guardarono esitando.
“Non stare lì imbambolato, devo arrivare in tempo per la lotteria.” Il portafoglio di Nabiki lo ridestò.

Le vie del quartiere risplendevano delle ultime luci del tramonto. Le strade erano illuminate da lanterne di carta, mentre i suoni dei tamburi, dei canti festosi e di conversazioni gioiose riempivano l'aria. 
Il festival era una celebrazione vibrante e colorata: bancarelle di cibo e divertimento si alternavano tra profumi e risate.
Ranma stava lontano da tutto. L’altezza dei tetti gli permetteva di osservare tutti senza essere visto. Nonostante avesse un solo occhio, controllava attentamente qualsiasi movimento accadesse accanto a lei. Soprattutto quelli di quell’altro mezzo imbecille che le stava troppo appiccicato.
Akane camminava tra le sorelle con gli occhi scuri che luccicavano, godendosi la libertà di quelle vie festose: per una sera poteva lasciare da parte i pensieri, poteva divertirsi e basta.
Nabiki si fermò alla bancarella della lotteria e mentre la sua mente si perdeva tra i calcoli di probabilità di vincita gli altri proseguirono: l’appuntamento per tutti era previsto per i fuochi d’artificio più tardi.
Ranma osservava Akane seguendola in ogni movimento. Non aveva mai visto la sua promessa così serena prima di quella sera. Si stava davvero divertendo, chiacchierando con Kasumi, osservando gli ambulanti: persa tra i colori, sembrava brillasse. I movimenti sui tetti gli segnalavano la presenza del suo furtivo compagno, il cui occhio non lo mollava un attimo.
Le due sorelle si fermarono davanti ad una bancarella di takoyaki (2). Era il momento di farsi avanti.
“Ne vuoi Akane? Ci penso io.” Avanzò verso il venditore e ne prese… qualche chilo. Porse le polpette alle ragazze con un sorriso fino all’orecchio che rendeva difficile rifiutarsi.
Akane era davvero affamata a quell’ora e non attese altro. Infilò la prima polpetta in bocca e Ranma fece altrettanto. Kasumi, saggia, attese: un takoyaki appena tolto dalla piastra si avvicina alla temperatura di fusione del sole.
Gli occhi dei due promessi cominciarono a lacrimare, le guance ad arrossire, le bocche a boccheggiare ed esclamarono all’unisono: “Shhhcottaaahhh!”
Si guardarono l’un l’altra e le lacrime passarono dal dolore alle risate.
“Vado a prendervi dell’acqua” disse Kasumi, allontanandosi con un sorrisetto.
Ranma si riprese per primo. “Stai bene?”
“Meglio, grazie” disse Akane asciugandosi gli occhi. “Sono buonissimi!” Proseguì a mangiare, stavolta soffiandoci sopra. Ranma racchiuse quell’immagine di lei nel suo pezzo di cuore.
“Tsk! Ma quanta roba hai comprato idiota?” L’altro Ranma, alle sue spalle, era sceso dalle sue altezze e, ora che la folla era calata, aveva deciso che era il caso di camminare con lei, liberandosi di quella palla al piede sgonfia.
“Se mangi tutta quella roba ti verranno i fianchi larghi: per niente carina. Vieni con me.” La prese per un braccio per allontanarla.
“Non ci penso neanche. Anzi, ti dirò, ho voglia anche del dolce.” Si ritrasse guardandolo con aria di sfida.
“Oh c-certo.” L’altro accolse la richiesta guardandosi attorno. “C’erano dei tayaki (3) poco più indietro. Li vado a prendere subito.” Si allontanò in un alone di generosità, avvolto da fiorellini volanti.
Ranma rimasto, teneva lo sguardo fisso su di lei. Anche Akane non aveva abbassato gli occhi un attimo.
“Non ho intenzione di lasciarti a quel Dalai Lama. Non farà altro che comprarti cibo per farti contenta, fino a farti scoppiare come un’anatra laccata.”
“Non vedo come questo debba essere un tuo problema.” Akane incrociò le braccia e guardò altrove.
In un lampo se lo trovò davanti, minaccioso. “Tu. Tu sei un mio problema.” La prese, la caricò sulla spalla e sparì sui tetti di Nerima. Il cielo cominciava ad annuvolarsi.

“Mettimi giù. Subito.” Akane si dimenava picchiando la schiena del suo rapitore.
“Se ti mollassi faresti un bel volo. Stai benissimo dove sei ora” le rispose con mezzo ghigno.
Akane era furiosa. “Stavo benissimo dove ero prima” disse lei, osservando il festival che si allontanava.
Finalmente Ranma rallentò e atterrò. La mise giù ma la teneva stretta per l’avambraccio.
“Riportami indietro immediatamente. Non voglio stare co… qui.” Non lo stava guardando, non stava guardando nulla, voleva solo tornare libera al festival.
“Apri gli occhi e guarda dov’è qui”.
Non si fidava. Tenne gli occhi chiusi ma cercò di percepire i dintorni con gli altri sensi. Le arrivò un intenso profumo, da tutte le direzioni. Il vento che  cominciava ad alzarsi, muoveva dell’acqua sotto di lei. 
La curiosità ebbe la meglio sulla mancanza di fiducia negli uomini.
Davanti a lei una distesa di fiori di loto galleggiavano leggeri, bianchissimi nella nuvolosa notte della città. Il tempio Benzaiten risplendeva dei suoi secoli, custode di una delle sette divinità della fortuna. 
Gli occhi di Akane si riempirono della meraviglia del parco Shakuji Kōen di notte.
“Bellissimo…” sussurrò, dimenticando per un attimo colui che l’aveva  trasportata fin lì come un sacco di riso.
Ranma si schiarì la voce ed infilando la mano nella larga divisa da ninja, estrasse l’arma che aveva preparato per quell’occasione. 
Akane si voltò. 
Il ragazzo era sparito dietro un enorme mazzo di rose rosse. Abbassò la fascia che gli copriva il volto, si schiarì la voce e:
“Anche la bellezza delle rose svanisce al tuo cospetto.” 
La ragazza tacque. 
Ottimo segno. Proseguì: 
“È deciso che ci sposeremo. Sarai solo mia, interamente.”
La voce di Akane giunse ferma, in un tono che Ranma non si aspettava.
“Disse quello che non è tutti gli altri”. La ragazza si era voltata verso il lago.
“Chiaro. Sono il meglio” fece lui gonfiando il mezzo petto.
La calma di Akane prese il volo assieme alla gru giapponese che lasciò lo stagno spaventata.
“Il meglio?” sbottò quasi urlando. “Nemmeno io so cosa è il meglio per me! Come puoi saperlo tu! Tuo padre! Mio padre! Tutti i maschi che ogni giorno mi chiedono di renderli felici!”
“Ah la metti così? Di quel mezzo babbeo però non ti lamenti eh?” Ranma buttò i fiori per terra e li calpestò facendo un passo verso di lei.
“Siete la stessa cosa!” ribatté Akane guardandolo finalmente in faccia.
Lo sguardo e le parole di Akane lo inchiodarono. Quei due occhi scuri riflettevano le luci della notte, la rabbia del momento, la sicurezza delle convinzioni, il mezzo riflesso di se stesso.
Era troppo, anche per lui. 
Distolse lo sguardo stringendo i denti e se ne andò con un balzo.
Akane si aggrappò al ponte cercando di calmarsi e cacciare indietro le lacrime di rabbia. Era furiosa con quel Ranma per averla portata via dal festival per egoismo, con l’altro Ranma per averla lasciata andare via per troppo altruismo e con se stessa: sarebbe bastato obbedire al padre, dire di sì, non essere testarda, irascibile, sulla difensiva. Sarebbe bastato non essere se stessa.
Si chinò e raccolse una delle rose straziate, i petali erano metà.
Cominciò a piovere. Doveva tornare a casa. I geta le facevano male ma cominciò ad incamminarsi.

I taiyaki ormai erano zuppi d’acqua. Un brivido gli percorse la schiena, freddo come quella pioggia in arrivo, come quando si rese conto di aver perso Akane a causa dell'altra sua metà.
Non aveva idea di dove cercarla, così decise di incamminarsi verso casa: in ogni caso i fuochi d’artificio erano stati annullati, il ritrovo con tutti era saltato, l’appuntamento non era nemmeno cominciato. 
Appena giunse nella via dove si trovava la residenza dei Tendo, dal lato opposto notò una figura indistinta, che però ormai avrebbe saputo riconoscere tra una folla: Akane avanzava sotto la pioggia, lenta e trascinando le gambe.
Corse ai suoi piedi.
“S-stai bene? Oh!” esclamò vedendo le piaghe lasciate dai sandali.
Akane si fermò. Tremava.
Ranma si alzò per cercare di ripararla sotto alla manica del suo yukata quando Akane lo superò, ignorandolo.
“A-Akane, ti prenderai un malanno, aspetta” le disse facendo un passo verso di lei.
La ragazza si fermò. Si voltò con la rabbia negli occhi.
“Ora ti preoccupi?” Anche la voce le tremava, forse non era solo rabbia. Ranma leggeva anche un’enorme delusione.
“Mi dispiace.”
“Non devi scusarti.”
“Ma è colpa mia.”
Silenzio.
Ranma proseguì: “Sono mortificato, ti ho lasciata con l’altro me stesso pensando fossi al sicuro, volevi un dolce e sono corso a prenderlo. L’ho fatto perché mentre mangi sei così ca… ca… cari...” Ranma si girava i pollici con il viso in fiamme, la voce sempre più bassa.
“Tu faresti tutto quello che ti chiedo?” gli chiese.
“Se ti fa felice sì, mia promessa.”
“Perchè sono carina?”
“B-beh, sì. Ma anche per altri motivi… Faremo felici molte persone quando ci sposeremo: tuo padre, le tue sorelle, mio padre…”
“Quindi ti andrebbe bene chiunque. Basta che sia carina e vada bene agli altri, giusto?” Akane era furiosa, la pioggia non smetteva, era fradicia e le era scoppiato un gran mal di testa.
“N-no… Cioè… Ehm… Come dire…” Ranma cercava parole che da dimezzato non aveva. 
Rimase a grattarsi la testa in mezzo alla strada mentre Akane varcava il portone della sua casa.



______________

(1) Sandali tradizionali giapponesi a metà tra gli zoccoli e le infradito. Sono un tipo di calzatura con una suola in legno rialzata da due tasselli, tenuta sul piede con una stringa che divide l'alluce dalle altre dita del piede.
(2) Polpette di polpo, cotte alla piastra, a base di farina, cipolla e zenzero.
(3) Dolce giapponese a forma di pesce. Il suo ripieno più comune è l'anko, una pasta fatta di fagioli azuki zuccherati.
 

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Capitolo 6
*** 5. Akane ha la febbre ***


Piovve per tutta la notte ed il mattino seguente. 
Il mal di testa era peggiorato e non le lasciava tregua, assieme alla gola in fiamme. Non aveva chiuso occhio per i dolori e i pensieri. L’umore di Akane era come il meteo di quella domenica mattina: pessimo.
Scese nella sala dove Nabiki e Ranma stavano facendo colazione, poi si diresse in cucina da Kasumi.
“Hai una brutta cera, sorellina. Hai preso un raffreddore?”
“No, sto bene. Ho solo sete e voglia di dormire.”
“Riposati. Più tardi salgo a vedere come stai.”
Akane prese dell’acqua fresca e salì di nuovo in camera. Decise di ignorare un certo sguardo mezzo preoccupato che la seguiva in ogni movimento e uno mezzo risentito che la studiava da lontano.
Si mise sotto alle coperte e tentó di addormentarsi. 
Niente da fare. Le fitte e i pensieri che si affollavano le trapanavano il cervello. L’unico modo era affrontarli, almeno nella sua testa. Chiuse gli occhi.
Cosa aveva scatenato il sentimento di fastidio che provava?
“Mi stavo divertendo al festival e quello mi ha trascinata via” pensò.
Cosa l’aveva fatta arrabbiare?
“Quando mi ha fatto capire di aver deciso anche per me. Quando mi ha detto che la soluzione per tutti è sposarci.”
Cosa poteva fare per risolvere?
“È quella la soluzione? A lui sta davvero bene così?”
Non voleva farlo, ma si ritrovò costretta a pensare a Ranma. 
Cosa pensava di lui, ora che lo conosceva da un po’ di tempo? Glielo aveva chiesto anche Kasumi, incoraggiandola a conoscerlo meglio. 
“Fuori la verità, Akane” disse a se stessa.
Ranma era gentile ma strafottente. Arrogante ma altruista. Onesto ma impulsivo. La trattava con riguardo ma poi la trascinava per la città in spalla. Era egoista ma la guardava come gli altri non la guardavano. 
Ecco. 
Lo sguardo di Ranma era diverso. 
Ogni giorno all’accademia si sentiva addosso occhi speranzosi, desiderosi, bramosi, occhi che volevano, chiedevano, pretendevano. 
Ranma la maggior parte delle volte la guardava da lontano. In un pezzo di lui trovava ammirazione, nell’altro protezione, a suo modo. Certo, a volte avrebbe voluto farlo volare con un destro ma… Se metteva assieme quei due occhi celesti e lo immaginava intero, che sguardo sarebbe stato?
Il cuore le accelerò, una fitta alla testa le provocò una smorfia di dolore, aveva caldo e la gola bruciava. 
Bussarono alla porta. Si alzò per aprire a Kasumi ma riuscì a malapena ad arrivare alla porta.
Svenne, ma non cadde a terra.

“Sta male, vero?” Ranma si rivolse a Kasumi dopo che Akane aveva lasciato la cucina.
“È forte, si riprenderà in fretta. Dal raffreddore almeno…” rispose la sorella enigmatica.
L’altro Ranma lo prese per il colletto. “È colpa tua, idiota. Ha preso tutta quell’acqua per colpa tua.”
“Hai ragione, mi dispiace” si arrese subito l’altro, il senso di colpa lo attanagliava dalla sera precedente.
“Quando sono arrivata con l’acqua, però, avevo capito fosse con te. Cosa è successo?” chiese Kasumi a Ranma che si bloccò e abbassò le spalle, lasciando il mezzo rivale.
“Niente che vi riguardi” ribatté secco. 
“Oh oh!” ridacchiò Nabiki “Non dirmi che sei stato rifiutato.”
Ranma mise il piede sul tavolo e avvicinò il viso a quello di Nabiki: “Ho detto: niente che vi riguardi.”
“Mille yen che l’ha rifiutato, chi scommette? Kasumi?” lo canzonò.
“Mi dispiace, compagno.” Ranma battè sulla spalla al suo mezzo che non la prese benissimo.
“Non mi ha rifiutato, brutto idiota. Ha detto che io e te siamo la stessa cosa. Quindi… Ha rifiutato pure te!” urlò puntandogli il dito contro.
“Oooh lo sapevo! Kasumi, i miei mille yen!”
“Se la metti così, allora Akane sta male a causa di entrambi. Non solo mia” rispose l’altro.
Kasumi comparve dalla cucina con in mano una bacinella di acqua fredda e un asciugamano, li appoggiò sul tavolo e poi vi pose una ciotola con del porridge.
“Fai ammenda, allora. Portale questo. Nabiki, ti prendo i soldi. Uffa, non pensavo lo rifiutasse di già” disse uscendo dalla stanza.

Appena la porta si aprì, i riflessi da soldato risposero all’istante.
Akane stava per svenire e cadere in malo modo. 
Le fece da scudo con il petto mentre in mano reggeva la bacinella. La sua metà, con la ciotola del porridge in testa, la prese per un braccio e la strinse a sé.
Una parte di Ranma respirava il profumo dei capelli di Akane, l’altra si trovó la fronte di lei appoggiata sulla mezza bocca. Non l’aveva mai avuta così vicina e vulnerabile.
Il respiro di Akane aumentò.
“Scotta molto.” Si allontanò ad appoggiare la ciotola, lasciando la ragazza appoggiata al suo mezzo, poi la strinse di nuovo mentre l’altro appoggiava a terra la bacinella.
“È la prima volta che facciamo qualcosa in sintonia da quando siamo saltati in aria” disse quello una volta tornato indietro.
“Taci e datti una mossa. Mettiamola giù.”
La portarono a letto, tenendole delicatamente da un lato la testa e dall’altro le gambe.
“Devo andare. Vedi di tenere la mano a posto o ti disintegro.” Prese la via della finestra e scomparve.
Ranma rimase a fissare il punto dove il suo mezzo era appena scomparso. “Averla così vicina e averla a metà fa male, eh?” Sospirò e tornò da Akane, cercando di abbassarle la febbre. Rimase con lei tutto il pomeriggio.

“Dannazione, dannazione, dannazione.”
Ranma saltava da un tetto all’altro in preda alla rabbia.
“Era tutto perfetto. Come ha potuto rovinare così le cose?”
“Il meglio?” Gli occhi di Akane nel suo bruciavano. 
“Come puoi saperlo tu?” Quella domanda lo tormentava.
Era stato cresciuto per diventare il migliore, seguire le orme di suo padre, combattere per la patria e guidare uomini al suo comando. Cos’era che non le andava bene? Il suo essere mezzo non la spaventava, anzi. Era l’unica che lo aveva sempre trattato da intero. 
“Siete la stessa cosa.” 
Lui aveva la parte sicura, accorta, meschina. Lui l’avrebbe protetta. 
L’altro suo mezzo era debole, ingenuo, sprovveduto. Come potevano essere la stessa cosa? 
Chi mai sano di mente vorrebbe riprendersi la parte sfigata di se stesso, una volta separata?
“Tsk! Dov’è finita quella vecchiaccia cinese?”

Akane verso sera cominciò ad avere dei momenti di lucidità. La febbre si abbassò e la gola migliorava. Kasumi era al suo fianco.
“Ti senti meglio sorellina?”
“Sì, sto bene.”
La squadrò perplessa.
“Lo hai fatto preoccupare parecchio sai? Uno ha vagato per tutta Nerima a cercare fantomatici rimedi di medicina cinese, l’altro è rimasto con te per ore.”
“Co… COSA?” Akane si mise seduta ma la testa non glielo concesse. “Ah… Ahi.”
“Si sentiva in colpa. Voleva fare qualcosa per rimediare.”
Silenzio.
“Non mi hai ancora detto che pensi di lui.”
“Che è un cretino! È egoista e dice che lui è il meglio per me. E che sposarci farà tutti felici, ma proprio tutti.” Pausa. “E poi è troppo onesto, si fa fregare da chiunque. Ma è anche arrogante e…” Akane era un fiume in piena. Quell’intruglio dell’anziana cinese le stava facendo bene.
“Però è carino, vero?”
“...Beh non è certo brutto.” Udì un tonfo fuori dalla finestra. “Che è stato?”
“Oh niente niente. Dicevi? Non è brutto e…”
“Ed è gentile. Fa il figo ma prende le frasi dai romanzi.” Akane si lasciò scappare un mezzo sorriso. Kasumi le accarezzò la testa.
“Continua a riposare. Se hai bisogno chiama.”
Akane si coprì la faccia con la coperta, Kasumi scese le scale sorridendo.

“Ma che sta combinando?” Nabiki si rivolse al padre e al suo amico, i quali dopo cena stavano giocando a shogi (1).
Il sergente Saotome rivolse anch’egli lo sguardo al giardino. Suo figlio sembrava essere rovinato al suolo malamente.
“Tutto bene. È una nuova tecnica della scuola Saotome.”
“Sei serio?” chiese scettica Nabiki.
“È la tecnica della scimmia imbarazzata caduta dal cielo” rispose con la serietà che si addiceva ad un sergente del suo rango. Tendo annuiva vigorosamente.
“Sarebbe a dire?” chiese Nabiki.
“Consiste nel fingere imbarazzo per distogliere l’attenzione del nemico e distrarlo.”
In quel momento Kasumi entrò nella stanza. “Oh cielo! Ho sentito uno strano tonfo in effetti. Stai bene Ranma?”
Nabiki fece quadrare i conti con un sorrisetto. “Mi sa proprio che stavolta la scimmia imbarazzata è caduta da una certa finestra, giusto?”
“Andate al diavolo. Mi sto allenando come sempre” rispose Ranma rimettendosi dritto. Si ricompose e si allontanò verso il dojo che Tendo usava per allenarsi per il corpo a corpo.
“Che dici dei nostri ragazzi, Saotome?” Chiese Soun proseguendo il gioco.
“Tutto bene, amico mio. Ho un piano.”
“Genma Saotome ha un piano.” Soun si alzò, prese del sakè e lo servì all’amico. “Sono tutt’orecchi.”
Le due sorelle Tendo alzarono lo sguardo al cielo e si dileguarono.

Akane stava meglio, ma aveva bisogno di bere di nuovo dell’acqua fresca. Erano le 3 del mattino di una lunga giornata.
Scese al piano terra senza fare rumore e senza accendere le luci, conosceva ogni centimetro della sua casa anche ad occhi chiusi.
Per questo rischiò un infarto quando intravide un’ombra tremante sul pavimento della sala.
Afferrò un vaso e si preparò a colpire, quando un miagolio le giunse alle orecchie.
“Ma chi è?” chiese fermandosi.
L’ombra si mosse appena, continuando a tremare. Poi parlò.
“G… ga… ga…” 
Riconobbe la voce di Ranma.
“Gabinetto? Lo sai che è in fondo al corridoio!”
“Ga… ga…”
“Gamberi? Hai fame? Posso cucinare qualcos…”
“GATTOOO!” Ranma ansimava in preda al panico.
Akane accese la luce, si avvicinò e vide un gattino sulla spalla del ragazzo, che giocava con i capelli intrecciati di Ranma. Lui stava sdraiato sul fianco mancante, con la gamba rannicchiata al petto e la mano sull’orecchio. Il terrore nell’occhio.
La ragazza superò Ranma, prese il gattino e lo portò in giardino: era il micio dei vicini che a volte trovava una via verso i profumi della cucina di Kasumi.
“Un soldato superiore scelto terrorizzato da un gattino?” chiese tornando verso di lui.
“G-grazie A-Akane.” Ranma continuava a stare sdraiato, cercando di calmarsi. 
Akane provò un po’ di tenerezza e si sedette vicino a lui.
“Oppure è la mia ricetta dei gamberi in salsa agrodolce che temi?” disse incrociando le braccia.
Ranma finalmente sorrise e si calmò.  “Vorrei provarla un gior…”
Si era alzato e girato verso di lei di scatto. Non si aspettava di trovarsi il suo viso così vicino. E nemmeno Akane. Le cui labbra erano finite sulla guancia di Ranma. 
Spalancarono gli occhi, il rossore si espanse dalle orecchie fino al collo.  Si staccarono all’istante, rivolgendosi le schiene, mentre bolle di imbarazzo volavano tra i due.
“Pe-perdonami, A-Akane. Non era mia intenzione.”
“Non fa… niente. Non è niente, tranquillo.”
“Ehm… Ecco… Stai meglio, ora?” Si girò verso la ragazza.
Akane si rivolse verso di lui ma senza guardarlo in faccia. “Sì benissimo, mi sono ripresa del tutto come vedi!” Alzò gli occhi.
Ranma la stava guardando intensamente. Era messo di profilo, come faceva quasi sempre per nasconderle ciò che era altrove.
“Meno male” disse con un sospiro ed un sorriso sollevato che le fece perdere un battito.
Che dirgli ora? Che fare? Nelle altre situazioni con i maschi, era abituata ad essere gelida e rifiutare. Ma ricordò che aveva davanti un essere umano che aveva vegliato su di lei per tutto il pomeriggio, nonostante la discussione della sera precedente. In più le sue labbra erano appena finite su di lui.
In un sussurro gli disse: “Ti-ti ringrazio per… oggi. Kasumi mi ha detto che l’hai aiutata ad abbassarmi la febbre.”
“Oh sì. Sai ho usato una tecnica che usano gli Uiguri della Mongolia centrale (2), persone meravigliose, anche se non capivo una parola di quello che mi dicevano. Ho combattuto con alcuni di loro nello Shandong e mi porterò per sempre il ricordo d…”
“Ho capito. Ho capito. Va bene.” Lo fermò, con una mano aperta verso di lui e l’altra sulla fronte.
“Riguardo a ieri sera…” proseguì lui. Stavolta si rivolse dritto verso di lei, inginocchiato, con il pugno chiuso sul ginocchio. 
“Mi-mi… di-di… dispiace!” Si inchinò con la fronte a terra, quasi perdendo l’equilibrio.
“Ti-ti ho ferita, la-lasciata sotto alla pioggia ed è colpa mia.”
“Basta che sia carina e vada bene agli altri.” Le sue stesse parole le rimbombavano in testa. Non aveva cambiato idea. Nonostante lui fosse così gentile con lei. Non bastava solo quello.
Ranma proseguì.
“Sono stato un pessimo promesso sposo. Ma sono pronto a fare ammenda. Con te, tuo padre, le tue sorelle…”
“...e i miei antenati e gli antenati dei miei antenati?” chiese lei. 
“Tutta la stirpe dei Tendo dall’alba dei tempi.”
Akane si era alzata. “È me che vorresti sposare? O tutta la mia stirpe?”
Lo superò e tornò in camera sua. Ranma rimase lì, mezzo stordito, a chiedersi perché non capiva Akane, anzi… perché non la capisse del tutto.



(1) 
 in giapponese "gioco dei generali", fa parte della famiglia di giochi strategici da tavolo a cui appartengono anche gli scacchi
(2) 
 etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina

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Capitolo 7
*** 6. Il piano dei padri ***


“Ricapitoliamo, sergente Tendo.” Genma camminava misurando la stanza a falcate, tenendosi il mento tra pollice ed indice.
“Sono pronto, sergente Saotome.” Soun era seduto, con un’enorme borsa militare davanti a sé.
“Mappa della zona X con esterni ed interni” cominciò ad elencare l’altro.
“Sissignore.”
“Trasporto blindato fino a destinazione.”
“Confermato.”
“Abbigliamento adatto alla missione.”
“Non ho osato controllare ma mi fido delle mie figlie.”
“Necessario per la trasferta notturna allo scopo del pieno raggiungimento della missione.”
“Come sopra.”
“Piano di individuazione ed immobilizzazione dei due soggetti coinvolti, nomi in codice: Ramo di bambù spezzato e Carpa che non nuota.”
“Che gli dei ce la mandino buona.”
Saotome si bloccò all’istante e squadrò l’amico dall’alto in basso.
“Ti sembra una risposta da soldato, Tendo?” chiese severo.
“No. Cioè, è perchè penso sia la parte più difficile del piano.”
“Abbi fiducia, amico mio. Gli intrugli incantati di quella vecchia speziale cinese non hanno mai fallito.” Genma sorrideva fiero e sicuro, Soun fu rassicurato.
Lacrime dapprima deboli e poi copiose cominciarono a rigargli il viso. Tirò su con il naso e si confidò con l’amico di sempre.
“Oh, sono così felice per la mia bambina. Già mi immagino la scena. Il silenzio. La vicinanza. Due mani che si sfiorano. Genma Saotome non potevi trovare piano migliore.”
“Vedrai, andrà tutto bene. L’operazione ‘fiore appassito nell’acqua termale’ ha inizio.”

Ranma si risvegliò, confuso e stordito, in un futon che non conosceva, di una stanza mai vista prima. Si voltò, uno verso destra e uno verso sinistra: le due metà del ragazzo si trovarono faccia a faccia.
“Che diavolo è successo?”
“Mi ricordo di aver mangiato dei biscotti in cucina e nient’altro.”
“Ora che ci penso, mi sembra di essere stato legato e imbavagliato.”
“E ho anche sentito il rumore di un treno.”
Nella confusione più totale, i due mezzi Ranma si alzarono e si guardarono attorno. Ad un tratto raggelarono. Non erano soli. Un altro respiro riempiva la stanza, un profumo che conoscevano bene aleggiava nell’aria. Si voltarono, ed eccola lì. 
Nel loro stesso futon, dormiva Akane.
“Che… che… ci f-fa le-lei qui?” fece Ranma agitatissimo, cercando un angolo dove nascondersi.
“Che hai combinato brutto porco? Te la sei infilata lì a mia insaputa, vero?” l’altro Ranma era pronto a prenderlo a calci quando…
La porta scorrevole si aprì di colpo e coriandoli e suoni di trombette riempirono la stanza. Akane si svegliò di botto e i due padri geniali fecero irruzione danzando con dei ventagli in mano.
“Benvenuti alle Terme del Fiore Appassito, piccioncini” li informò Genma.
“Abbiamo pensato a tutto noi, non è meraviglioso?” disse Soun commosso.
“Vi auguriamo un piacevole soggiorno per due. Qui avete tutto il necessario per l’allenamento” proseguì l’altro mettendo in mano a Ranma una borsa militare.
Tendo gli si avvicinò, con le lacrime agli occhi: “Ti affido mia figlia, Ranma!”
Detto questo i due uscirono chiudendo la porta, in un turbinio di coriandoli, petali e shock.
“In che senso…?” disse Ranma che ancora si stava coprendo in attesa del calcio.
“Ma che diavolo?!” fece l’altro con una vena che pulsava nel collo.
“Papààà!” urlò Akane furiosa.

“Maledetti vecchiacci! Se la sono già data a gambe levate.” 
Dal tetto dell’onsen (1), Ranma osservava i dintorni. Si sedette e cominciò a ragionare.
Per certi versi, era certamente una situazione da sfruttare, poteva dimostrare il suo fascino ad Akane. D’altronde l’aveva sentita: non lo trovava brutto, nonostante da mesi lui non riuscisse a guardarsi allo specchio. Ne aveva di fegato quella ragazza, lo doveva ammettere.
Il problema era che farne del mezzo peso morto con cui lo avevano imbavagliato e che ora era nella stanza con lei. 
“Avrò io la meglio. Mio padre ha creato il campo di battaglia perfetto per questa missione.” Batté il pugno sul ginocchio e scese dal tetto con un balzo.

L’altro pezzo di Ranma stava seduto in religioso silenzio. Una volta che erano usciti il padre ed il futuro suocero, la sua metà li aveva inseguiti in preda ad una furia cieca.
Lui non aveva mosso un muscolo, il suo pensiero era tutto per Akane.
La ragazza si era alzata e percorreva la stanza avanti e indietro, arrabbiata e con il respiro affannato, non aveva però dato voce alle proprie preoccupazioni. 
Il suo andirivieni fu interrotto dalla cameriera dell’onsen, che entrò a servire il tè. Akane si inginocchiò e rimase incantata a guardare quei gesti eleganti e sicuri, di una tradizione di secoli. La cerimonia del tè la calmò e la mente si fece più lucida. Attese che la cameriera uscisse e sospirò. 
“E sia. Ci hanno messi in questa situazione. D’altronde è quello che vuole mio padre.”
Ranma la guardò da sopra il bordo della tazza di tè. Vederla così rassegnata gli provocava una piccola fitta. Non era la solita Akane combattiva.
“Sono stati gentili a offrirci il soggiorno comunque. Non vado alle terme da prima della campagna dello Shandong. Sono felice di essere qui con te.” Lo sguardo di Ranma vagò per la stanza per poi fissarsi su Akane, che si era messa con la guardia alta.
“Oh no…” Ranma si rese conto delle proprie parole. “No-non fraintendere. Ce-certo, siamo ragazzo e ragazza nella stessa stanza ma…” divenne rosso come un tramonto di Kyoto. “No-non ti sfiorerò neanche con un dito. Promesso.”
“E ci mancherebbe altro, dannata volpe!” L’altro Ranma aveva appena sfondato la porta della stanza con un calcione.
“Vieni Akane, ho trovato la piscina termale.” La prese per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza.
“Ryoga, guarda chi c’è! Sei qui anche tu, Akane?” Si voltarono e nel corridoio dietro di loro trovarono Ryoga Hibiki, a braccetto con la fidanzata, Akari Unryu, la quale aveva appena salutato la sua vecchia amica.
Rispose Ranma, che mettendosi di profilo, spinse Akane verso di sé e guardò Ryoga di sbieco: “Stavamo proprio andando alla piscina DI COPPIA a rilassarci.”
“Oh! Akane… Non dirmi che…” Akari la guardò con gli occhi che brillavano.
Akane stava per parlare quando la interruppe Ranma, sempre con l’occhio fisso su Ryoga. “Ebbene sì, sono Ranma Saotome, il suo fidanzato!”
“Che notizia meravigliosa! Non è vero Ryoga?”
Ryoga sembrò ridestarsi da un pensiero fastidioso. “S-sì. Certo.”
“Perché non andiamo anche noi nella piscina di coppia?” gli propose Akari con gli occhi dolci.
“Lo sai, Akari. Un soldato deve preservare il suo onore e quello della sua promessa, prima del matrimonio. È un dovere” disse impettito. 
Poi si rivolse a Ranma: “Non sono mica come questo maniaco che approfitta della situazione e divide il letto ed il bagno con una povera ragazza innocente.”
“Ah, la metti così? Senti chi parla, brutto porco! Pensi che non mi accorga di come guardi Akan…” Un destro secco colpì la guancia di Ranma che, preso alla sprovvista, si ritrovò in fondo al corridoio.
“AkaRI, andiamo, che ne dici? Ah ah.” Ryoga la guardava grattandosi la testa e ridendo istericamente.
“Andrò assieme ad Akane, ci vediamo dopo!” La prese sottobraccio e le due si diressero verso le terme femminili.

Ranma era rimasto nella stanza a finire la sua tazza di tè: mai sprecare del cibo offerto. Finito di bere aveva poi cominciato a sistemare la porta scorrevole che il suo mezzo aveva sfondato: quando si trattava di proteggere Akane, anche da se stesso, gli impulsi avevano la meglio.
Stava chiudendo la porta per controllare che fosse a posto, quando un rumore di passi veloci, precisi e turbolenti gli arrivò all’orecchio. Ebbe un secondo per scansarsi, evitando un fendente che sfondò, di nuovo, la porta.
“Ranma Saotome, camera 118. Ti ho trovato, essere impudente.”
Il pezzo di ragazzo fece capolino nello squarcio aperto, di fronte a lui si stagliava un giovane kendoka, mai visto prima, con la spada in alto sopra alla testa, pronto a colpirlo con sguardo omicida.
“Ehm. Con chi ho il piacere di parlare, nobile signore?” gli chiese.
Il caporale Kuno rimase basito. Da dove arrivava tutta quella formalità?
“Come osi dimenticare la mia nobile persona, soldato da strapazzo!” Entrò nella stanza squarciando del tutto la porta. Ranma balzò all’indietro.
“Ma aspetta!” Kuno si bloccò di colpo. “Può essere che… i colpi che ti avevo inferto ti abbiano danneggiato la memoria! Molto bene. Hahaha. Ho vinto!” Si inginocchiò e guardò Ranma trionfante: 
“Io sono il caporale Kuno. Il migliore della mia divisione. I cadetti mi chiamano il fulmine blu dell'accademia Furinkan. E ti ho battuto, Ranma Saotome.”
“Piacere mio, caporale Kuno. Gradisce del tè?”
“Molto bene Saotome. Vedo che capisci chi comanda.”
“Il rispetto verso i superiori è un dovere di ogni individuo. Aspettatemi qui. Vado a prendere l’acqua.” Uscito nel corridoio, si incamminò verso le cucine.
“Dove diamine sta andando quella mezza casalinga?” L’altra metà di Ranma si era ripresa dal colpo di Ryoga ed osservava se stesso zompettare allegramente con una enorme teiera gialla in mano.
Aveva percepito sprazzi di conversazione in cui Akane si era diretta verso le terme con la fidanzata di quella nullità di Hibiki. Non c’era da preoccuparsi ma un giro di perlustrazione non guastava.
Entrò in camera a prendere lo yukata.
“Ce ne hai messo di tempo, Saotome. Sbrigati a servirmi. Sono un uomo impegnato.”
Ranma si trovò davanti quell’idiota del kendo, sdraiato lascivamente sul futon, che si faceva aria con un ventaglio.
Il ragazzo pietrificò. “Se… serviti da solo, razza di maniaco.” Muovendosi a scatti per lo sdegno, prese lo yukata e se lo infilò, coprendo la metà mancante. “Sono anche io un uomo impegnato. Con Akane Tendo.”
Con un salto all’indietro schivò un fendente che gli bloccò però un angolo della manica vuota.
“Tu! Essere spregevole. Non oserai profanare i bagni dove l’innocente Akane sta per immergersi. Con quella pelle delicata, tonica, liscia…”
La temperatura della stanza raggiunse quella di un’eruzione vulcanica. Ranma si liberò la manica. Il corpo del caporale Kuno sembrava in fiamme, un rivolo di sangue gli usciva dal naso. Il soldato dimezzato gli si avvinghiò al collo e, cingendolo con la gamba come una tenaglia, lo tramortì con un pugno in testa.
“Quando hai pensieri indecenti abbassi la guardia eh?” Si alzò e si diresse alle piscine termali. Akane aveva decisamente bisogno di essere guardata a vista. 

Non era abituata a fare il bagno con altre persone che non fossero le sorelle, per cui era entrata nella piscina termale tenendo l’asciugamano addosso, togliendolo solo prima di immergersi. Lo stesso aveva fatto Akari.
L’acqua era perfetta: il vapore vorticava sulle loro teste, disperdendosi nel cielo estivo pieno di stelle. Le ragazze erano sedute sul fondo roccioso, con l’acqua che arrivava al petto.
“Che bella serata, non trovi?” Akari fu la prima a parlare.
“Sì, anche l’onsen è molto bello” replicò Akane.
L’amica le si avvicinò. “E allora dimmi, ricordo che non volevi saperne dei ragazzi dell’accademia. Ora sei addirittura fidanzata.”
Eccoli, i famigerati discorsi tra ragazze a cui Akane non aveva mai preso parte, non avendo il minimo interesse verso i maschi. Fino ad allora.
“Oh, beh, sai com'è… L’ha deciso mio padre…”
“Un matrimonio combinato?” Akari la guardava con gli occhioni luccicanti.
“Più o meno…”
“Ma la fermezza con cui ti ha stretta a sé e ha detto di essere il tuo fidanzato! Sei davvero fortunata…”
Akane non ci aveva mai pensato, quando il Ranma spocchioso la trattava così pensava solo a quanto fosse pieno di sé.
“Proprio come il mio Ryoga! Mi riempie di regali sai? A volte anche doppi!”
“Ma davvero?”
“Pensa che una volta sono entrata di sorpresa nella sua camerata. Era in piedi davanti allo specchio che provava un discorso per me!” Akari percorreva la piscina avanti e indietro, con le mani sulle guance, in preda ai ricordi d’amore. 
“L’ho sentito dire: ‘Non sono mai riuscito a confessarti il mio amore. Ogni mattina ti vedo arrivare con tuo padre. Io ti amo Aka...’ E lì non ho resistito e l’ho abbracciato. Pensa: mi ha regalato ben due fermagli per capelli a forma di maialino, uno rosa e uno nero. Non è adorabile il mio Ryoga?”
“Ce-certo, hehe.” Akane non sapeva se essere più imbarazzata per il fatto di essere nuda o per i discorsi: davvero non sapeva gestire quelle conversazioni. 
La salvò una figura che si avvicinò alla piscina per entrare. Era una ragazza molto alta e muscolosa, o almeno così sembrava dall’ombra che proiettava tra il vapore.
Non notò le due ragazze, sebbene si trovasse a poca distanza da Akane. Ad un certo punto si sentì un gran trambusto e insulti che volavano. La voce era maschile: “Bastardo maniaco! Ti ho visto entrare nel bagno delle donne, dove sei finito?”
Akane riconobbe subito quella voce. Sospirò mettendosi la mano sulla fronte. Che diamine stava combinando Ranma nel bagno delle donne? Con chi ce l’aveva?
Le urla furiose del suo fidanzato si stavano pericolosamente avvicinando all’ingresso della piscina. Akane decise di intervenire.
“Cosa fai qui? Vattene subito Ranma!” urlò  sconvolta.
“IO? E che mi dici di quel deficiente che si perderebbe anche in casa sua! Dov’è finito Hibiki?” rispose quello.
Akari si alzò: “Ryoga si è perso?”
Akane si voltò verso la persona appena arrivata, preoccupata che dovesse assistere a quella scena imbarazzante di Ranma che sbraitava nelle terme femminili.
“Mi dispia…” gelò. 
Non era una ragazza. Era Ryoga Hibiki. Il poveretto si ritrovò con la bella Akane a tre centimetri dal volto e quando si rese conto che entrambi erano nudi, gli uscirono gli occhi dalle orbite ed un fiotto di sangue dal naso. Tirando indietro la testa per allontanarsi la sbatté violentemente su una roccia. Svenne all’istante.
“Ti rendi conto della situazione in cui stai cacciando Akane, razza di idiota?” Ranma lo recuperò in malo modo, cercando di non rivolgere lo sguardo verso la fidanzata che si era voltata con le mani sulla faccia.
Akari prese in custodia il fidanzato tramortito: “Povero il mio Ryoga! Allora in realtà volevi fare il bagno insieme?”
“Non appena torna in sé lo faccio svenire di nuovo, farabutto.” Ranma teneva il pugno chiuso davanti al volto, mentre i due si allontanavano verso gli spogliatoi.
“Ranma!” La voce ferma di Akane lo fece trasalire.
Stava per voltarsi quando ricordó dove si trovasse, con chi e in che condizioni. Si schiarì la mezza voce.
“Ah, se ti avesse vista così! Ti ho salvata Akane Tendo” disse senza voltarsi. 
“Suppongo di sì”. La risposta gli arrivò inaspettata, avrebbe voluto guardare che espressione avesse Akane in quel momento ma non osava.
“Lo vedi? Sei circondata da un branco di smidollati. Sono io il migliore!” Ranma le mostrò il profilo, puntando il pollice verso sé stesso, con un sorriso trionfante.
Sei davvero fortunata. Le aveva detto Akari.
Essere così sicuri di sé, come era quella versione del suo fidanzato, era un male? Era davvero solo arroganza? Quel bel sorriso che stava fissando, era solo per quella specie di vittoria o per il fatto di averla protetta da una situazione imbarazzante? 
Si era trovata completamente nuda, nello stesso bagno con un uomo che non era né un parente né il suo promesso. Lo scandalo che le avrebbe provocato una situazione del genere avrebbe messo a repentaglio la sua reputazione e quella delle sorelle.
“Ti ringrazio Ranma, sei stato… forte” disse a mezza voce e sprofondò nell’acqua per non far vedere la faccia paonazza. Ranma rimase lì, imbambolato e non del tutto sicuro di aver sentito bene. Il tempo passava.
“Adesso vattene però che devo uscire, stupido!” 
Ranma schivò il masso che la sua fidanzata gli lanciò addosso senza tante mezze misure.

La scena che Akane trovò in camera, non appena rientrò dalle terme, aveva dell’inverosimile. Il Ranma che era rimasto in camera, era di mezza schiena, chino sul viso di… un ragazzo? Che tra l’altro era a petto nudo, sdraiato per terra privo di sensi. Distolse lo sguardo imbarazzata e si accorse che la stanza era stata decorata con candele, incensi e fiori profumatissimi. Aveva la sensazione di aver visto qualcosa che non doveva vedere.
Indietreggiò per lasciare la giusta privacy a quei due, quando una mano forte le prese la spalla e la bloccò. Alzò gli occhi sull’altro Ranma, che aveva appena finito il suo bagno sacrosanto, dopo l’incidente con Ryoga.
“Cos’è? Hai deciso di assecondare le voglie di questo maniaco?” si rivolse quello alla sua metà, in tono disgustato.
L’altro Ranma si voltò, aveva in mano bende e disinfettante e stava curando il bernoccolo sulla testa al caporale Kuno Tatewaki.
“Lo sto bendando.”
“Hai in mente qualche giochetto strano eh?”
“Ma cosa ti salta in mente? Sarai sangue del mio sangue ma sei incorreggibile.”
Akane, che finalmente aveva capito la situazione, tornò a respirare. Si avvicinò ai due.
“Ma cosa ci fa qui il caporale Kuno?” Chiese.
“Indovina chi è venuto a cercare. Pare proprio che la mia fidanzata sia la preda più ambita di Nerima” disse Ranma, avvicinandosi anch’egli e prendendo Kuno per le caviglie. 
“Come faceva a sapere che ero qui?” Chiese Akane preoccupata.
“Oh, beh ecco…” fece il Ranma soccorritore mettendo via la borsa “È il proprietario dell’intero stabilimento: terme, tempio e quartiere incluso.”
Gli altri due lo fissarono basiti. Akane si affrettò a sistemargli il kimono e controllare la ferita; Ranma, facendo collaborare le due braccia, lo mise in piedi, lo cacciò nel corridoio e chiamò una cameriera affinché se lo portasse via come un pacco regalo.
Akane e Ranma richiusero la porta, sospirarono e si voltarono verso la stanza. Finalmente un po’ di pace. 
Misero a fuoco l’ambiente: candele, petali e fiori, un biwa che suonava lungo il corridoio, i futon con due cuscini vicini. Erano finalmente soli.
E ora?



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(1) terme giapponesi

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Capitolo 8
*** 7. Lui, lei, lui, soli ***


Badump. Badump. Badump. Akane si chiedeva se il cuore le avrebbe retto.
Ba. Ba. Ba. Una parte di Ranma era elettrizzata da quella situazione.
Dump. Dump. Dump. L’altra parte era in preda al panico.
“B-Beh… Che dire… Eheh.” Grattandosi la testa, con il volto incendiato, il ragazzo dimezzato cercava un argomento per togliere quel velo pesante di imbarazzo. 
“Ah! Giusto!” Battè il pugno sulla mezza fronte. “Vediamo cos’hanno messo nel borsone i nostri padri. Sono stati così gentili a prepararlo per noi, non trovate?” disse aprendo la cerniera del borsone e cominciando a rovistare. 
Si bloccò di colpo con un “Uhn?” E cominciò a sudare copiosamente.
L’altro Ranma avanzò con passo fermo verso di lui. “Da’ qua mezzo imbecille! Hanno messo gli strumenti per allenarsi, no?”
Afferrò quello che teneva in mano il suo compagno e appena si rese conto di cos’era, gli occhi gli uscirono dalle orbite.
Le reazioni del ragazzo incuriosirono Akane che si avvicinò: “Ma che sta succedendo? Fammi ved…”
Morbido e bianco pizzo, due laccetti praticamente invisibili, due coppe della sua misura. Akane stava fissando il suo più bel reggiseno. 
Tra le mani del… suo… fidanzato…
Rossa in viso e con del vapore che le usciva dalle orecchie glielo strappò dalle mani e lo infilò nella manica dello yukata.
“TUUU non hai visto niente! O ti faccio dormire in un covo di gatti.”
I due mezzi Ranma saltarono su in preda al terrore. “Niente, niente, non ho visto niente!”
Continuarono a rovistare nella borsa per salvarsi dalla situazione. Ne uscirono una vestaglietta striminzita, poi un perizoma, un babydoll, delle bende di seta, un altro perizoma, un altro reggiseno…
Si ritrovarono con il fiatone, biancheria intima femminile sparsa per la stanza, incapaci di guardarsi in faccia. 
Akane fu la prima a reagire. 
“Ma che hanno in mente quei due padri degeneri!” urlò cominciando a raccogliere gli oggetti della vergogna e a cacciarli nel ripostiglio della camera.
“Come si permettono! E questo sarebbe l’allenamento di cui parlavano?” Era furiosa. 
Quando ebbe sistemato tutto si fermò e si mise davanti a Ranma.
“Stammi a sentire tu” esclamò puntando il dito in mezzo ai due mezzi.
“Sissignora!” scattarono con il saluto militare.
“Hai promesso che non mi avresti sfiorata con un dito.”
“Giusto!” rispose un mezzo. 
“Giusto?” chiese l’altro perplesso.
“Una promessa è una promessa” disse Akane.
“Una promessa è una promessa” ripeterono all’unisono.
Dal corridoio giunse una voce: 
“Perdonate signori ospiti. La cena è servita nella veranda che dà sul giardino.”

La cena prevedeva ogni tipo di leccornia che un onsen di quel livello poteva offrire. 
Avevano mangiato entrambi volentieri, un po’ per calmare lo stomaco dopo quella giornata di trambusto, un po’ per placare lo spirito ed evitare il più possibile di essere rinchiusi insieme nella stessa stanza.
Stavano sorseggiando il tè, entrambi in silenzio. Il giardino davanti a loro era curato nei minimi dettagli e come sfondo aveva un cielo stellato da perderci gli occhi.
“Non sono abituata a mangiare con questo silenzio” osservò Akane.
“Casa tua è peggio del porto di Qingdao durante i pasti.”
“La tua famiglia è molto variegata. Io e mio padre siamo felici della vostra ospitalità.”
“Ti ci dovrai abituare. A quanto pare” disse lei d’impulso. Con tutta quella confusione, non avevano ancora affrontato l’argomento più importante di tutti: il loro, eventuale, futuro.
“Senti Ranma…” fu Akane a prendere coraggio. “I nostri padri vogliono che ci sposiamo. Io non so cosa tu pensi di tutta questa storia ma io…”
Ecco il momento. Stava per essere rifiutato.
Si preparò per alzarsi ed andarsene, mentre Akane cercava le parole. Aveva però una cosa da chiederle. In tutto questo tempo aveva provato qualsiasi cosa per capire cosa fare: era stato gentile, aveva dimostrato la sua forza, l’aveva curata, l’aveva protetta, le aveva regalato fiori, le aveva comprato cibo. Cosa era che mancava?
Sentendola esitare, le due metà aprirono la bocca nello stesso istante: 
“Ma cos’è che vuoi tu?” I due Ranma mezzi si guardarono stupefatti. Era la prima volta da mesi in cui gli capitava di risentire la propria voce di nuovo intera.
Ad Akane invece morirono le parole in bocca. 
Cos’era che voleva lei? Nessuno fino ad allora glielo aveva mai chiesto. E ora lo aveva fatto proprio la persona che meno si aspettava.
In quel momento giunse la cameriera a portare via i vassoi. Uscendo, porse alla coppia due tanzaku. (1)
“Da molti anni non si festeggia più il tanabata” (2) disse. “Tuttavia abbiamo mantenuto almeno questa usanza per i nostri stimati ospiti. Questa sera potete scrivere il vostro desiderio e appenderlo al bambù che si trova in fondo al giardino. L’augurio che facciamo alle giovani coppie è di non dividersi mai, al contrario dei poveri Orihime e Hikoboshi. Buona serata.” Chiuse la porta e li lasciò soli.
“Non dividersi mai, eh?” osservò Ranma con sarcasmo. “Direi che per me è troppo tardi.”
“Andiamo a vedere il bambù?” chiese Akane.
Mentre camminavano nella sera estiva, Akane davanti e Ranma che la seguiva, il giardino si trasformò in un mondo incantato. Le lanterne di pietra emanavano una luce fioca e misteriosa, illuminando delicatamente il passaggio. I sentieri di ghiaia bianca si perdevano tra i cespugli, mentre la brezza notturna accarezzava lievemente i rami sussurrando un dolce lamento. 
L'acqua fluiva placida attraverso canali di pietra e cascatelle, rispecchiando l'incanto del cielo. Le stelle della via lattea brillavano intensamente, in una danza celestiale.
Akane, tormentata da cosa scrivere sul foglietto che teneva in mano, non si rese conto che aveva rallentato il passo, trovandosi tra le due metà del suo ragazzo. 
I due profili di Ranma si trovarono di nuovo in accordo: gli occhi ed il cuore fissi su di lei. Lei che camminava lentamente, stringendo il tanzaku al petto stropicciandolo, con gli occhi blu concentrati su un pensiero, illuminata da quel cielo stellato.
Ba. Dump. Ba. Dump. Ba. Dump.
Ranma strinse il pugno sopra al cuore, altro movimento condiviso con l’altra metà. Anche i battiti erano interi. Da dove arrivava quella sintonia con la parte spezzata?
Raggiunsero il bambù, che cresceva rigoglioso in fondo al giardino, lungo tutto il muro di cinta della proprietà. Nella brezza della sera, i numerosi e colorati tanzaku che erano stati appesi si muovevano in una danza tutta loro.
“Gli altri hanno le idee ben chiare, eh?” disse Akane quasi sussurrando. 
Salute. Amore. Avere un figlio. Passare l’esame. Essere ricambiati. Con la mano sfiorava i desideri e le aspirazioni degli esseri umani che li avevano preceduti. Per ognuno, il suo augurio sincero era che si realizzassero, nonostante fossero degli sconosciuti.
Su una roccia stavano pennello e inchiostro. Ranma spavaldo li prese e cominciò a scrivere, poi si fermò, scrisse di nuovo, si fermò e con un balzo lo appese al ramo più alto e inaccessibile.
L’altro Ranma guardò Akane e la incoraggiò a scrivere. La ragazza con titubanza alla fine scrisse e nascose il foglietto tra le foglie, quasi contro il muro di cinta.
Infine la metà mancante di Ranma scrisse il suo. Non ebbe dubbi su dove collocare il desiderio: balzò in alto anch’egli e lo mise nel ramo a fianco del suo mezzo.
“Che fai, spii?” disse lo scorbutico.
“Non ne ho bisogno. Un po’ mi conosco.”
“Tsk! Il mio desiderio è sicuramente meglio del tuo.”
“Piantala ora” lo rimproverò Akane. “Non esistono desideri migliori di altri. Andiamo, voglio andare a dormire” disse sbadigliando.
“Dormirò io sul pavimento, tieni tu il futon, Akane” disse il Ranma pronto al sacrificio.
“Te lo scordi di dormire nella stessa stanza con lei” sbottò il Ranma pronto alle mazzate.
“Dormirò in mezzo tra voi mezzi” sancì Akane. “Così entrambi vi terrete d’occhio. Siete autorizzati a menarvi se uno dei due ci prova con me, va bene?”
Le due metà si strinsero la mano. 
Akane dormì beata nel futon, guardata a vista da due che sembravano cani da guardia: un dobermann e un bovaro del Bernese.

Era quasi l’alba e Ranma non aveva chiuso occhio. E come avrebbe potuto con Akane così vicina? Dormiva totalmente priva di difese per cui le cose erano due: o aveva cominciato a fidarsi di lui, o era scema; una metà del ragazzo decise per la prima opzione, l’altra per la seconda.
“Ehi, tu. Che intenzioni hai quando torneremo a casa?” Si rivolse al se stesso che aveva tenuto d’occhio per tutta la notte, altro motivo per cui entrambi non avevano dormito.
“Che intendi dire?”
“Hanno architettato tutto i due vecchiacci. Di sicuro avranno in mente qualcosa. In fin dei conti… abbiamo condiviso il letto.”
L’altro sbarrò gli occhi e divenne paonazzo. 
“Dici che… diranno che… l’abbiamo ehm… compromessa?”
“Beh potrebbe essere la soluzione per chiudere questa storia. Un matrimonio riparatore.”
Calò il silenzio.
“Non ci avrei mai pensato. Sei davvero arguto.”
“Tsk” l’altro digrignò i denti e si alzò.
“Ma lei cosa ne penserebbe?”
“Lei…” cercò di rispondere, ma si prese una lunga pausa. “Con me… Non mi sembra sia felice” disse a denti stretti e pugno serrato.
L’altro pezzo di Ranma rimase stupito. Che stava accadendo alla sua metà sempre spavalda, sicura, piena di sé? Gli si strinse il cuore a vedere se stesso così infelice.
Doveva fare qualcosa, non poteva sopportare di stare con le mani in mano senza trovare una soluzione, anche a costo di sacrificare la propria volontà.
Il ritorno a casa fu silenzioso, ognuno perso tra i suoi pensieri. Se non altro, però, le terme e la notte tranquilla avevano rilassato Akane, che fissava il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino con uno sguardo sereno.
Ranma non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.




(1) Desideri o preghiere che vengono appesi ai rami degli alberi di bambù e sono tipici della festa giapponese di tanabata.

(2) Dopo il 1873, con l'adozione del nuovo calendario, il tanabata non venne più considerato un evento annuale, per questo svanì dalle usanze, per essere ripreso negli ultimi decenni.

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Capitolo 9
*** 8. La scelta di Ranma ***


Ranma trascorse tutto il giorno successivo il loro rientro a riflettere sul da farsi. Uno consumò le tegole del tetto, l’altro scavò una trincea in giardino a furia di fare avanti e indietro su una gamba sola. 
Akane invece era più distratta del solito. Se Kasumi non l’avesse fermata, avrebbe accompagnato il padre in accademia in pigiama; inoltre entrò in bagno convinta di essere in cucina e cercò di fare la spesa alle poste.
Le due sorelle maggiori la osservavano senza indagare troppo: la conoscevano bene. Sospettavano che le terme avessero smosso qualcosa nei due giovani, anche se sicuramente non era appassito nessun fiore, come invece avevano auspicato i genitori.
I sergenti Tendo e Saotome, infatti, erano sicuri del successo della loro imboscata e stavano architettando la prossima mossa per portare avanti il loro infallibile piano di far sposare i propri eredi.
Ranma, però, anticipò tutti.

Quella sera il sergente Tendo, appena varcato il portone al rientro a casa, si ritrovò davanti il mezzo Ranma arcigno.
“Akane deve sposare l’altro mio mezzo, ormai l’ha compromessa e deve risponderne. Ho deciso così, parla tu con tua figlia.”
E scomparve saltando il muro di cinta.
Soun non se lo fece ripetere due volte: “Akaneee!”
Nello stesso momento il sergente Saotome, appena uscito dal dojo dopo una sessione di allenamento, si ritrovò davanti il suo mezzo figlio titubante.
“Onorevole padre, permettete una parola. Ho molto a cuore la felicità di tutti e temo di essere causa di infelicità in questa casa. Me ne andrò, a patto che Akane sposi la mia metà. Lei merita il meglio e lui dice di esserlo, il sergente Tendo avrà un genero destinato a grandi successi in battaglia e voi ne sarete fiero. Ho deciso così, parlate voi con vostra nuora.”
E scomparve saltando sul tetto del dojo.
Genma non se lo fece ripetere due volte: “Akaneee!”

Il salotto della famiglia Tendo non aveva mai ospitato tanta tensione in un colpo solo. I patriarchi fronteggiavano la giovane Tendo, che alle spalle aveva il supporto delle sorelle. 
“Akane, tu sposerai Ranma…” dissero all’unisono per poi fermarsi e guardarsi sgomenti.
“Ranma l’ha detto a me!” esclamarono di nuovo nello stesso momento.
Akane era esasperata. “Si può sapere cosa sta succedendo?”
Il padre si schiarì la voce: “Ho parlato con Ranma e mi ha detto che vuole che sposi la metà che ha… ehm… condiviso il tuo letto.”
“Prego?” fece lei alzando un sopracciglio.
“E a me ha detto che vuole che sposi la metà più forte.”
La ragazza incrociò le braccia: “Quindi quale delle due metà dovrei sposare secondo voi?” 
Da dietro le arrivò una risatina di Nabiki e un sospiro di Kasumi.
“Oh beh” fece la sorella maggiore “se non altro ha imparato a cedere.” Akane la guardò stupita. Kasumi riprese: “Prova a pensarci. Non so cosa vi siate detti alle terme, ma sembra proprio che abbia imparato a fare un passo indietro. È perfino disposto a farti vivere per sempre con l’altro se stesso, pur di vederti felice.”
“Fe… felice?” Akane ripensò al suo tanzaku. 
“Ora tocca a te sorellina” incalzò Nabiki. “Con quale dei due preferisci stare?”
Akane si alzò in piedi, con i pugni stretti. “Io non…” si fermò e raccolse i pensieri. Quale dei due? 
Rivide Ranma vicino al suo viso, quando l’aveva vegliata, regalato le rose, riparato lo specchio, quasi baciata, salvata alle terme… che senso aveva pensarlo dimezzato?
“Io non… preferisco stare con nessuno dei due!” 
Attraversò la stanza e salì le scale. Si chiuse in camera e non uscì per tutta la sera.

“Andiamo, scendi da lì che ti devo parlare.” 
Nabiki aveva scovato una metà di Ranma vagare sui tetti attorno alla loro casa.
“Che vuoi?” fece quello senza voltarsi.
“Sempre molto cortese, eh? Non capisco proprio perché mia sorella voglia sposarti.”
In un lampo se lo trovò davanti. 
“Che hai detto?”
“Quello che hai sentito, caro il mio piccolo cognato. Le nozze sono fissate per domani, al dojo. Ci vediamo nel giardino.” 
Ranma rimase solo.
“Ha scelto me?” si disse con voce incredula. 
Poi un pensiero lo attraversò. “E non poteva farlo subito? Dannata ragazza!”

Nabiki proseguì il suo giro, finché non si ritrovò al parco, dove l’altro pezzo del ragazzo stava guardando il suo riflesso nel lago.
“Pensieri?” gli chiese avvicinandosi.
“Oh, Nabiki, buonasera.”
“Ho una notizia da darti. Akane ha deciso di sposarsi.”
Il pezzo di cuore di Ranma fece un salto all’indietro. 
“Be… bene. Sono felice per loro.”
“Loro? Voi, se mai.”
“Co… come dici?”
“Vai a prepararti. Sposerai Akane. Le nozze sono fissate per domani, al dojo. Ci vediamo all’ingresso della casa.”
Se ne andò, lasciando il povero dimezzato piegato su se stesso con la mano sul viso. 
“Ha scelto me, infine. Devo rispettare la sua decisione e onorare la promessa!”
Nabiki rientrò a casa: “Non temere sorellina” si disse “Ho tutto sotto controllo.”
Il mattino seguente Akane stava scendendo per la colazione. Non arrivò mai in cucina.

“È arrivato?” bisbigliò Kasumi.
“Sì. Un pezzo alla volta ma è arrivato. Andiamo a prenderlo”  sussurrò Nabiki.
Le due si diressero nei punti di ritrovo. Lo sposo aveva scelto l’alta uniforme dell’esercito imperiale giapponese: una metà aveva optato per il bianco, l’altra per il nero. La mantella, dello stesso colore del completo, copriva la parte mancante per entrambi, che si sorreggevano su una gruccia. 
Stava molto bene, osservarono le future cognate a distanza, ed era anche molto agitato. Almeno fino a che non arrivarono nello stesso momento all'ingresso del dojo. 
“Che ci fa lui qui?” esclamò uno, già sul piede di guerra.
“Sono felice di vedere che sei stato invitato” fece l’altro.
Ranma era pronto a colpirsi quando le sorelle Tendo spalancarono le porte scorrevoli della palestra: la musica di un biwa (1) gli arrivò alle orecchie, mista a singhiozzi.
Quando il ragazzo dimezzato si voltò, trovò il dojo pieno di gente. Riconobbe alcuni studenti dell’accademia, tra cui quell’impiastro di Hibiki che stringeva i pugni, con la fidanzata avvinghiata addosso e sorridente; il caporale Kuno che era stato legato e imbavagliato; il dottor Tofu, seduto vicino ad uno che aveva tutta l’aria di essere un altro dottore, con i capelli mezzi bianchi e mezzi neri, una katana in cintura e un piccolo assistente a fianco; erano presenti anche alcuni vicini del quartiere. 
Dal fondo della sala proveniva la fonte dei suoni che aveva sentito: da un lato Tendo che versava copiose lacrime, dall’altro suo padre che suonava il biwa.
Ranma però non ebbe più modo di prestare attenzione al contorno, perché al centro del dojo trovò ciò che gli faceva tornare il cuore a battere intero, ciò che gli uniformava il respiro e la vista. 
Akane era rivolta verso la platea, vestita con il bianco kimono nuziale, lo sguardo basso e il trucco appena accennato. Per un attimo Ranma smise di respirare e dimenticò l’altro suo mezzo. 
Stava per sposarla.
Avanzò con passo uniforme, si muoveva in maniera talmente simultanea che, se non fosse stato per quel mezzo metro di distanza tra i due pezzi, sembrava fosse tornato intero.
Ad un tratto Akane alzò lo sguardo, aprì gli occhi sbattendo le palpebre, come se si stesse svegliando, e li fissò su di lui.
“Ranma, ma che…?” 
Si mise una mano alla testa e si guardò attorno. “Che sta succedendo qui?”
Nabiki si fece avanti: “Hai detto che non preferisci nessuno dei due. Perché non vuoi sceglierne uno dei due, giusto? Quindi ecco qua: se li sposi entrambi è come sposare Ranma intero.”
Ranma si bloccò interdetto.
“Nabiki ma io…” disse uno.
“Mi hai ingannato vecchia strega.” ringhiò l’altro.
“Pensavo che Akane volesse sposare…”
“ME.”
“…me.”
I due si guardarono. Il Ranma in nero si tolse la mantella gettandola addosso all’altro e si mise in posizione di attacco.
“Ora basta. Risolviamola qui. Io e te. Chi sopravvive la sposa.”
“Ranma fermati!” La richiesta di Akane non venne ascoltata.
Anche il Ranma in bianco si mise in guardia, togliendosi la mantella e piegandola insieme all’altra. 
“Non mi sottrarrò alla sfida: che duello d’onore sia e che sia di spada.”
L’altro Ranma corse con l’aiuto della gruccia verso Hibiki, prendendogli la Kyuu guntou che quell’idiota aveva sempre con sé. La sua metà non fu da meno: corse verso quel dottore sconosciuto e gli sfilò dal fodero la katana che portava. Un brivido gli percorse le vene ma lo ignorò.
I due si sfidarono senza mezzi termini. Il pubblico spaventato lasciò la sala, nel panico Kuno venne trascinato via come una crisalide. Rimasero solo le famiglie degli sposi e i dottori con l’assistente per dovere di soccorso.
Ranma si avventò su se stesso con una spada per mano, pronto a tagliarsi in altri pezzi pur di estirpare la metà scomoda, la metà che causava infelicità all’altra. 
Trattandosi però dello stesso corpo, ognuno anticipava le mosse dell’altro, mancando ogni volta il bersaglio perché andava a colpire il punto dove non c’era nulla, o meglio dove avrebbe dovuto esserci lui stesso.
Nel frattempo Akane era spaventata, consapevole che se avesse perso uno dei due, avrebbe perso entrambi. Perché quello era Ranma, il Ranma di cui ormai non poteva più fare a meno, che non le usciva dalla testa, su cui fantasticava se mai fosse tornato intero. Ranma era sia uno sia l’altro. Dopo tutti quei mesi, sapeva che non sarebbe stato lui, senza un pezzo.
“Ti scongiuro, fermati! Razza di cretino!” urlò cominciando a correre verso i due Ranma mezzi.
Bastò questo a distrarli: per non ferirla lanciarono via le spade, le quali volarono in aria ricadendo su di loro. I due fendenti li colpirono di profilo, riaprendo di nuovo la vecchia ferita che era stata cucita in Cina. Caddero a terra svenuti. 
Akane si chinò sul ragazzo dimezzato: “Scemo! Non c’era bisogno di arrivare a tanto per…” 
Ranma non respirava.  Akane raggelò. 
“Oh cielo! Dottore… presto!” urlò la sorella maggiore.
Tofu si avvicinò. Kasumi si avvicinò. Troppo. Tofu non resse l’emozione.
L’altro dottore levò di torno il povero collega stordito e armeggiò con bende, unguenti, sigilli e maledizioni.
Ranma era tra la vita e la morte.




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(1) Liuto giapponese a manico corto

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Capitolo 10
*** 9. Stupido Ranma ***


“Ho fatto tutto quanto era in mio potere, signorina Tendo.” 
Il dottore stava informando Kasumi sulle condizioni di Ranma. “Sono più abituato a fare trasfusioni che a ricucire, ma sono fiducioso. Tornerò nei prossimi giorni a visitarlo.”
Ranma era nella camera che condivideva con il padre e non aveva ripreso conoscenza. 
Una cosa però era cambiata. Il dottore giapponese era riuscito a fare ciò che non erano riusciti a fare i medici cinesi: sul futon giaceva un unico ferito. 
Il ragazzo dimezzato era tornato intero, sebbene fosse sepolto sotto chilometri di bende strette insieme e il volto fosse ricoperto da una garza messa per il lungo.
Kasumi salì le scale e raggiunse la stanza di Ranma. Stava per aprire la porta ma questa si spalancò.
Akane era di fronte a lei, con il volto arrabbiato e due lacrime negli angoli degli occhi.
“Akane…”
“È un idiota!” esclamò attraversando a grandi falcate il corridoio.
Kasumi sospirò.
“È nella fase furiosa ora, durerà una mezz’ora.” Nabiki giunse da camera sua, osservando la sorella minore che scendeva le scale a tonfi pesanti.
“Già” osservò Kasumi. “Poi passerà alla fase preoccupata e tornerà qui.”
“Uno è tornato intero e ora è l’altra ad avere l’umore a metà.”
Le due sorelle sospirarono.

“Stupido. Stupido, stupido Ranma!”
Akane era uscita di casa, era uscita dal quartiere, aveva vagato fino ad arrivare al parco e solo lì si era fermata.
Ranma non si svegliava. Era tornato intero, l’operazione era andata bene a detta dei dottori, ma non apriva gli occhi, non muoveva un muscolo.
“Stupido. Stupido, stupido Ranma!”
Perché la faceva così preoccupare? Non appena si fosse svegliato gli avrebbe dato una testata, ora bastava un colpo solo, anziché due come prima.
“Oh sì. Appena si sveglia le prende.”
E se non si fosse più svegliato?
Quel pensiero la inchiodò a terra. Si prese la testa tra le mani e finalmente si guardò attorno.
Era nel parco in cui lui la aveva portata sulle spalle, con un mazzo di rose nascoste nella divisa da ninja, cercando di conquistarla con frasi romantiche.
“Quell’idiota…” disse sorridendo appena.
“Sarai solo mia, interamente.” Le aveva detto. 
Poi aveva litigato. Sia con uno che con l’altro. 
“Se ti fa felice sì, mia promessa.”
Ripensò a tutto quello che era cambiato in lei nelle settimane successive, a quello che aveva provato vedendolo avventarsi su se stesso a spada sguainata, alla paura di perderlo.
“Ma cos’è che vuoi tu?”
Con le mani appoggiate al ponticello, piegò le ginocchia che non la reggevano più.
“Ti prego, apri gli occhi” disse in un sussurro.

Quell’odore lo svegliò. Era nauseabondo. Era odore di pericolo e stava per balzare in piedi allarmato, ma qualcosa di stretto lo teneva immobilizzato.
Voci indistinte cominciarono ad arrivargli alle orecchie, che stranamente ora percepiva vicine l’una all’altra.
Non riusciva ancora ad aprire gli occhi e quell’odore schifoso non se ne andava, lo sentiva appiccicato addosso e probabilmente non sarebbero bastati tutti i bagni del mondo a toglierlo.
Era finito in covo di felini famelici?
“Sta bene, dottor Tofu?”
“Pare di sì, Nabiki. Lo visitiamo.”
“Ora procedo a togliere le bende” fece un altro. “Bene, non ci sono segni di cicatrici”.
Via via sentiva il corpo liberarsi da quella stretta infernale. Cercò di muoversi.
“Oh! Guardate! Si sta muovendo!”
“Ranma? Figlio mio…”
Sentì il viso libero. Piano piano aprì gli occhi. Uno era aggrottato, l’altro sereno; la bocca sembrava presa da uno spasmo: metà sorrideva, metà digrignava; una mano era stretta in un pugno, l’altra pronta ad una stretta amichevole.
Dopo qualche minuto in cui i presenti temettero non fosse cambiato nulla, sospirarono di sollievo. Era tornato simmetrico.
Aprì la bocca: “Cos’è questa puzza di gatto?”
“Temo di essere io, ragazzo. Sei guarito, puoi farti un bagno, io tolgo il disturbo.” Il dottore, quello a cui aveva rubato la katana, uscì dalla stanza seguito da Soun Tendo che, con le lacrime che gli scorrevano fin lungo il collo, si prodigava in inchini, ringraziamenti e promesse che grazie al cielo il dottore non prese sul serio. 
Rimase Tofu a finire la visita.
Ranma era di nuovo intero: mente, corpo e soprattutto cuore. E c’era una sola cosa che voleva fare.
“Dov’è Akane?”

Vagare per il quartiere l’aveva calmata, ora voleva solo tornare a casa, farsi un bagno e stargli vicino. Era l’unica cosa che poteva fare in fin dei conti.
Entrò in casa guardinga per evitare di incontrare la sua famiglia, non aveva voglia di affrontare quegli sguardi preoccupati e pietosi. Si diresse verso il bagno e aprì la porta scorrevole.
Ranma era davanti a lei. In tutta la sua interezza. In tutta la sua nudità.
Non le riuscì di urlare di imbarazzo come avrebbe dovuto fare una ragazza di buona famiglia in età da marito. 
“A… Akane” la chiamò lui.
Sentirlo chiamarla per nome, averlo davanti sano e salvo, trovarsi quello sguardo dolce e colpevole addosso, fu un’emozione che le fece battere il cuore come mai prima.
Era vivo, era di fronte a lei e stava bene.
Si voltò e attese che si mettesse addosso l’asciugamano.
“Mi sono appena svegliato, ti ho cercato per farti vedere che sono tornato intero ma non c’eri.”
“Ho capito, ho capito. Ero… preoccupata.”
I due si guardarono. Occhi negli occhi finalmente. 
Akane gli si avvicinò e passò lo sguardo sul suo viso, le spalle, il torace. “Ma vedo che stai bene” fece una pausa guardandogli le mani, poi sollevò lo sguardo nel suo: “Meno male” e gli sorrise.
Il sorriso di Akane fu come l’esplosione di un fuoco d’artificio. Ranma fece una cosa che non vedeva l’ora di fare da mesi, ciò che aveva scritto su quel tanzaku, e che da dimezzato non aveva mai voluto fare, perché l’aveva rimandata a quando sarebbe tornato intero.
Le prese il polso e la tirò a sé. La chiuse in un abbraccio con entrambe le braccia, affondò tutto il viso nel suo collo e se la strinse al petto, dove finalmente il cuore batteva intero, tutto per lei.
E Akane rispose. Si mise in punta di piedi ed appoggiò la fronte al petto di Ranma, chiudendo gli occhi per sentirne il battito. Gli cinse la schiena con le braccia.
“Bentornato Ranma” sussurrò.

Il mattino seguente, Akane era pronta come sempre ad accompagnare il padre in accademia e lo stava aspettando all’ingresso. Fu però Ranma ad arrivare, con passo sicuro e in alta uniforme. Vide Akane e rallentò il passo grattandosi la testa.
“Buongiorno, appuntato Ranma Saotome” gli disse con un sorriso e imitando il saluto militare. 
Quant’era carina, dannazione.
“Bu… buongiorno A... Akane. Ehm, cioè…” balbettò con la solita timidezza. 
Poi si ripigliò e si schiarì la voce.
“Ecco, hai visto? Oggi mi aspetta una cerimonia in accademia: passo di grado per meriti in battaglia. Sono o non sono il più forte?” disse con la solita spavalderia.
“Sì sì, come no.” Akane alzò gli occhi al cielo esasperata, ma ora era anche sollevata: Ranma era Ranma, quel misto di bene e male, di arroganza e gentilezza di cui si era innamorata. E doveva ammettere che la divisa militare faceva il resto.
Soun mandò a dire che sarebbe arrivato più tardi, per cui si incamminarono insieme verso destinazione.
Era il primo giorno di settembre, il sole brillava ma l’aria si stava già preparando all’autunno.
Giunsero nel cortile dell’accademia dove fu una folla di militari ad accoglierli, tutti pronti a dichiararsi alla giovane Tendo come erano abituati a fare ogni giorno.
Ma quel giorno era diverso.
Ranma le si parò davanti con aria minacciosa.
“Provate ad avvicinarvi ad Akane e vedrete.”
“Ooooh” dissero spavaldi i ragazzi dei gradi superiori. “Cioè…?”
“Vi faccio a pezzi. É chiaro? Akane è la mia fidanzata.”
Calò il silenzio. 
Lei lo guardò sbalordita. Ranma si voltò verso di lei, con uno sguardo impaurito quasi fosse pronto a parare un colpo.
In quel momento Akane decise che odiava gli uomini. Ma Ranma no, tutt’altro. 
Ranma era il suo fidanzato. E quello era ciò che la rendeva felice.
“Sì” confermò con il sorriso più bello che Ranma avesse mai visto.






 

FINE

 

“Alla fine uno si crede incompleto, ed è soltanto giovane.”

Italo Calvino - Il visconte dimezzato

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Grazie a te che hai letto fino a qua. Davvero. É la prima storia che scrivo e pubblico e il fatto che tu l'abbia letta tutta é davvero un onore. 
Ringrazio Kuno e Neechin per il supporto e i consigli da beta lettori. E chissà... alla prossima storia!

 

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