The dark master

di dragun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

 


L’acqua del porto era calma e senza alcuna onda, questo era decisamente un buon segno. E con il fatto che la luna fosse coperta, rendeva l’affare ancora più facile. O almeno ci sperava.
Remando molto lentamente, si avvicinò ad uno dei moli portuali, passando vicino alle navi mercantili ormeggiate. L’uomo sulla piccola barca, aveva paura di urtarle e farsi scoprire. Non aveva voglia di farsi trovare con il carico che trasportava. Attraccò ad uno dei moli legando la barca ad uno dei pali del molo sottostante.
 
Appena mise piede sulla banchina, accese la candela che portava con sé, meno luce faceva e meglio era. Si mosse silenzioso, stringendo sottobraccio un sacco. Come se da ciò ne dipendesse la sua stessa vita. E forse era proprio così.
Si mosse nascondendosi dietro alle casse piene di merce lasciate lì, per essere caricate il mattino seguente. Anche se trovava strano che non ci fosse nemmeno una guardia nelle vicinanze.
 
“Forse hanno cambiato i turni di ronda?” trovava strano però visto che il porto, era una delle zone più sorvegliate di K
ē. Era impossibile che battessero la fiacca. Visto e considerando quanto venivano pagati dai nobili per proteggere la loro merce.
 
-Eccoti qui!- l’uomo si girò di scatto spaventato a morte. La luce della candela era fiocca, ma sufficiente ad illuminare la figura che gli stava davanti. Indossava un pesante giacca nera come la notte con morivi rosso scuro ricamati e un cappuccio ornato da piume rosse gli nascondeva il volto. L’uomo iniziò a sudare freddo, il suo istinto gli fece volare il pensiero alla pistola che portava nella giacca. Ma non era sicuro di fare in tempo a tirarla fuori.
 
-Hai la merce che ti ho rischiesto?- sentendo quella domanda, il poveretto riprese a respirare.
 
-Signor Nergal?- l’incappucciato annuì, avvicinandosi così silenziosamente che sembrava non produrre alcun suono. Allungando la mano. L’uomo deglutì allungandogli velocemente il sacchetto, come se non vedesse l’ora di liberarsene.
 
-Non ti dispiace se controllo. Sai non mi fido?- l’altro annuì, medito di sudore. Come se avesse in mente di fregare uno come lui, non ci pensava neanche lontanamente. Ci teneva ancora alla vita.
Nergal slegò la corda che teneva legato il sacco, appena lo aprì venne investito da una sensazione di pesantezza. Causata da una densa e nera aura di Mana. Sorrise compiaciuto, il contenuto era autentico e non una fregatura.
Mosse la mano lanciando all’uomo un sacchetto. Appena quest’ultimo lo aprì, vi trovò all’interno una cinquantina di monete in oro. Rimase letteralmente con gli occhi sgranati, era più della somma che gli era stata pattuita.
 
-Noi due non ci siamo mai visti. Giusto!-
 
-S..si- rispose con un fil di voce. Nergal si voltò per andarsene, anche se non c’era il rischio di essere scoperto. Dato che aveva pagato le guardie perché in quella sera non controllassero quella zona. Si fermò scoccando un ultimo sguardo al suo fornitore, prima di infilare la mano nei pantaloni e lanciargli un’altra moneta.
 
-Un’extra per averlo trasportato fin qui- si trattava di una moneta d’oro con al centro un piccolo rubino rosso. Era un Conio reale. Non poteva credere ai suoi occhi, uno solo di quello poteva valere quanto metà dell’intero sacchetto che gli aveva dato. Alzò la testa, ma della figura del suo cliente non c’era più alcuna traccia.
 
Riemerse dalle tenebre, ritrovandosi ad osservare la luminosità del suo appartamento. Nergal congedò la radice oscura di cui si era servito per tornare indietro velocemente. Forse uno spreco di energie, ma non riusciva ad aspettare di poter dare un’occhiata a quel Grimorio.
Si avviò nell’altra stanza, dove c’era il suo ufficio personale. L’arredamento era molto elegante, con una moquette rossa e mobili totalmente di colore nero, i lampadari illuminavano tramite delle candele. Così da fare un’illuminazione sufficiente, ma che lasciasse un’atmosfera quasi tetra e antica. Una cosa che a lui piaceva molto.
 
Dopo aver appoggiato il sacco, si poté togliere il cappuccio. A giudicare dall’aspetto non doveva dimostrare più di trent’anni, era molto bello con la carnagione bianco pallida. Che faceva da contrasto con i lunghi capelli color carbone che teneva legati in una coda con un nodo di spine. Tra i capelli si poteva intravedere delle orecchie lunghe a punta e un paio di piccole corna sulla fronte nere con delle crepe rosse che davano l’impressione di magma solidificato.
Lasciò cadere il cappotto alle sue spalle e tolse il Grimorio dal sacco. Il libro aveva una copertina di un colore rosso scuro e dall’aspetto era molto rovinato. Tuttavia si riusciva ancora a vedere un simbolo nero sulla copertina.
 
Appena lo strinse con le mani, avvertì il mana malsano che lo impregnava investirlo come un’onda che sembrava volergli entrare dentro. Quei libri antichi, contenevano magie potenti, ma anche molto pericolose e oscure. Anche per quello erano stati banditi millenni orsono e ritenuti proibiti.
Ma una dose così di Mana, anche se densa, non poteva fargli alcun male. Aprì la copertina sfogliandone le pagine, anche se erano diventata giallastra per il passare degli anni, le scritte erano ancora leggibili. Ed erano tutte rosse come il sangue. Diede uno sguardo veloce a tutti i simboli delle prime pagine. Ora che era aperto, gli sembrava che il Mana del Grimorio fosse ancora più forte.
 
“Che generi di magie conterrà?” pensò mettendosi a decifrare gli incantesimi e rituali che conteneva. Come se fosse un libro di storie, che dovevi sapere assolutamente come finiva.
 
-È un Grimorio di necromanzia- sospirò scuotendo il capo. Non era qualcosa che faceva per lui, anzi non gli andava di strappare i morti dal loro riposo.  Ma alla fine era quello che succedeva, se prendevi oggetti antichi e che nessuno vuole. Non sapevi mai che incantesimi potevi trovarci.
 
-Beh, non si può vincere sempre!- poggiò il libro sulla scrivania. Per poi allungare la mano concentrandosi su un punto. Dalla moquette sbucò un piccolo rovo nero che iniziò a crescere diventando sempre più grande fino a raggiungere le dimensioni di Nergal, con un bocciolo pieno di denti. Come una pianta carnivora.
Il moro gli passò il Grimorio e la pianta aprì le fauci, tirando fuori una lingua spinata che si avvolse intorno al libro circondandolo in un bozzolo di spine. Dopo di che lo ingoio e sparì com’era apparsa.
Fatto ciò si stiracchio tornando nell’altra stanza e con uno schiocco di dita accese il fuoco del caminetto, prima di lasciarsi cadere sulla poltrona.
 
-Credo dovrò aspettare, per avere informazioni su un altro Grimorio- allungo la mano per prendere la bottiglia di liquore sul tavolo vicino, era caldo, ma meglio di niente. Rimase ad osservare le fiamme nel camino, sentendo la stanchezza chiudergli le palpebre.
Era meglio, concedersi un piccolo momento di riposo, così chiuse gli occhi abbandonandosi al sonno che lo stava colpendo.

 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

Si stava godendo un po' di meritato riposo, quando venne svegliato da uno forte boato proveniente dall’esterno. Alzò la testa di scatto, voltandosi verso la finestra. Con uno slanciò separò la distanza tra la poltrona e la finestra per vedere cosa fosse successo.
Una colonna di fumo, si innalzava verso il cielo notturno. E a giudicare dal punto, doveva trattarsi di uno dei depositi navali. Chi accidenti avrebbe provato a derubare quel posto. Per quanto facesse gola a molti, erano anche le zone più sorvegliate.
 
Da dove si trovava non si trattava della zona del porto che era stata interessata per i suoi affari. Anche se era un sollievo la cosa non lo faceva stare tranquillo, il suo istinto gli stava dicendo di andare a controllare.
 
Al molo, le forze di protezione della città stavano provvede a spegnere l’incendio che aveva avvolto un deposito.
 
-Muovetevi con quei tubi. Dobbiamo spegnere le fiamme- grido la persona che dava indicazioni a chi stava usando i tubi che raccoglievano l’acqua direttamente dal molo per spegnere il fuoco.
Ad osservare la scena c’erano anche le guardie cittadine di Kētō. Che si occupava di proteggere e arrestare chi violava le leggi della città. Il detective Rhaul guardò lo spettacolo del magazzino ormai distrutto. Era un uomo maturo dai capelli neri e una barba ispida, che sembrava non radersi da giorni.
 
-Detective, stiamo provando a spegnere l’incendio. Ma credo ci vorrà un po'- l’uomo annuì. In quei magazzini c’erano solo merci, chiunque l’avesse fatto era sicuro di voler colpire i possibili traffici di qualcuno. Avrebbe però dovuto aspettare l’estinzione delle fiamme per vedere se la sua teoria fosse giusta o no.
 
-C’è il registro di cosa contenesse il magazzino?- chiese il detective a chi gli aveva appena parlato. In quel momento il terreno iniziò a creparsi e una sostanza nera e viscosa sgorgò dalla crepa. Tutti videro Nergal uscire da quella sostanza totalmente pulito e senza residui.
 
“Che cazzo ci fa lui qui?!” si chiese il membro delle Guardie cittadine. L’unico motivo che gli venne in mente per cui uno dei signori della parte basse della città fosse lì. Era che il magazzino appena esploso fosse di sua proprietà e che fosse venuto a controllare i danni.
Si avvicinò con passo silenzioso verso i resti del magazzino. Le persone indietreggiarono subito per lasciarlo passare, in parte spaventate e in parte con rispetto. Diede un lungo sguardo il magazzino in fiamme, qualcosa era decisamente successo.
 
-Ehy è una scena del crimine, non puoi stare qui- lo riprese Rhaul. Il corvino gli lanciò un’occhiata veloce e ritornò a guardare il magazzino. Il detective si infuriò, non gli importava che fosse una persona influente, non gli andava che gli si mettessero i piedi in testa.
Nergal intanto si abbassò per esaminare possibili residui sul terreno, ma tanto non sarebbe servito. Ciò che aveva causato l’esplosione era di natura magica, lui questo poteva vederlo bene. Chiunque avrebbe avuto un minimo di buona percezione della magia avrebbe potuto farlo.
 
“Che razza di persone addestrano quelli della Guardia cittadina?” possibile che non se ne fossero accorti.
 
Rhaul allungò la mano per afferrare la spalla di Nergal, ma il mantello di quest’ultimo si mosse da solo come se fosse stato vivo, bloccandolo a pochi centimetri. L’uomo sgranò gli occhi provando a liberarsi, ma sembrava che quel tessuto fosse fatto di acciaio e più si agitava e maggiormente il tessuto si stringeva sul suo polso.
 
-L’esplosione è stata causata da qualcuno che sa usare la magia. Questo dovrebbe darvi una pista!- disse ritirando il mantello e superando il detective che si tenne la mano dolorante. Questo lanciò uno sguardo rabbioso al moro digrignando i denti.
 
-Perché il “Maestro oscuro” vuole aiutarci?-
 
-Aiutarvi? Nah era solo preoccupato che avessero toccato la mia merce. Fosse successo qualcosa ai miei affari…allora si, che vi avrei intercettati per trovare il responsabile!- rispose serio lanciando uno sguardo all’uomo che trasalì non appena vide i suoi occhi rosso sangue brillare come tizzoni ardenti.
Nergal schioccò le dita e un fiore nero sbucò dal terreno, per poi entrarvisi dentro. I petali si chiusero intorno a lui fino ad inghiottirlo e tornare sotto terra. Sparendo dal porto, mentre il resto delle persone era ancora impegnata a combattere contro le fiamme.
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Salve a tutti. Eccomi con una nuova storia fantasy. Iniziamo facendo un viaggetto tra i porti di Keto che si direbbe una città portuale. E subito facciamo la conoscenza di Nergal. E già vediamo che è molto temuto da molti o quasi.
Per ora questo è solo l’inizio di questa storia che spero di condire con mistero e un tocco di tenebre (Almeno spero di riuscirci). Per ora ringrazio chi è arrivato fin qui e ci vediamo al prossimo aggiornamento.
A presto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

 


Il suo sonno era disturbato, accadeva quasi ogni notte e ormai Nergal c’era abituato. Sentiva come se le ombre e le tenebre della stanza e della notte si allungassero verso di lui, per afferrarlo. Come se dei tentacoli stessero cercando di insinuarsi sotto la sua pelle, per corromperlo.
Il richiamo delle tenebre era molto forte, ma lui non si sarebbe lasciato corrompere così facilmente. Si mise seduto lentamente sul letto, grattandosi la testa.
 
“Non questa notte!” disse aprendo lentamente gli occhi per vedere i tenui raggi che facevano fatica a filtrare tra le tende nere della stanza. Ormai era arrivato il giorno. Scivolò giù dal materasso sentendo il pavimento freddo sotto i piedi che gli provocò un lievissimo brivido.
Lentamente si avvicinò alla finestra, ad ogni passo che faceva gli sembrava i suoi piedi fossero bloccate nel fango e più andava avanti e più sprofondava. Con la forza di volontà raggiunse la finestra, aprendo le tende così da far entrare il sole.
 
La luce lo costrinse a chiudere gli occhi, mentre le tenebre sembrarono ritrarsi spaventate.  Si coprì gli occhi con la mano per abituarsi nuovamente alla luce, prima di dare uno sguardo fuori. Per le strade della parte bassa, le persone erano già fuori a lavorare da un bel po'. Spostando lo sguardo verso il porto, gli venne da chiedersi se dagli interrogatori di chi facesse la ronda. Avessero scoperto che li aveva pagati per chiudere un occhio su una zona.
 
“Anche se fosse, non era la zona interessata dall’esplosione” avrebbero anche potuto accusarlo di corruzione. Ma sapeva come tenere a bada quei miseri galletti. Diede uno sguardo all’orologio a pendolo, la sera precedente non aveva toccato cibo. E aveva voglia di fare una colazione abbondante.
Ma sapeva di avere un debito da saldare e preferiva farlo il prima possibile. Andò all’armadio vedendo gli abiti che aveva a disposizione.
 
-Vediamo…che mi metto?- si trattava di un incontro formale, ma non gli piaceva non essere elegante. Mentre ci rifletteva sul suo corpo si potevano vedere quelli che sembravano essere tatuaggi di varie forme. Ma da più vicino era chiaro che invece si trattava di marchi a fuoco.
Si infilò una camicia nera con dei bottoni in argento e prese una giacca rosso scuro con un grosso cappuccio, pantaloni neri e delle scarpe in pelle. Dopo aver scelto cosa indossare aprì un secondo scomparto nascosto dell’armadio, che risultava pieno di varie armi da taglio e pistole.
 
Passò in rassegna tutte le lame, i coltelli erano una scelta più comoda. Ma quella mattina preferiva delle lame più lunghe e delle mini pistole facili da nascondere negli abiti.
 
-Direi che è ora di uscire!- prese una grossa scatola in acciaio totalmente sigillato e schiocco un paio di volte le dita. La sua ombra sembrò quasi tremolare, come se avesse appena ricevuto un ordine. Dopo di che aprì la porta ed uscì in strada.
 
Nell’aria si sentiva il classico odore salmastro del mare. Ma visto che Kētō era una città portuale era perfettamente normale. A questo il suo naso sentì anche l’odore del pesce, del pane appena sfornato e dei rifiuti che si mischiavano insieme. Per le strade c’erano persone che uscivano per lavorare e mendicanti che chiedevano l’elemosina.
Qualcuno abbassò lo sguardo per non incrociare il suo, mentre altri preferirono andarsene o farsi da parte per cedergli il passo. Erano le reazioni che più si aspettava, di vedere la paura e il timore nei loro occhi. E in certo senso ne andava fiero.
Ma tutti gli sguardi si soffermavano di più sulla scatola che si stava portando dietro, chiedendosi che cosa contenesse. Alcuni pensavano che fossero oggetti magici e proibiti, altri invece di soldi per finanziare i suoi traffici. Una cosa era certa, nessuno era così stupido da provare a derubarlo, almeno che non volesse morire.
 
Si insinuò lungo alcuni vicoli stretti, non era di certo uno dei posti che amava. Aveva come la costante sensazione che qualcuno lo osservasse in tutte le direzioni. Alla fine raggiunse l’ingresso di un edificio, la porta era molto arrugginita e rovinata con al centro un disegno troppo sbiadito per riconoscerlo.
Allungò la mano bussando un paio di volte. Il suono riecheggiò contro le pareti del vicolo che sembrava amplificarlo. E dopo un minuto di silenzio dalla porta si aprì uno spioncino.
 
-Spiacente, ma siamo chiusi tesoro. Torna stasera per lo spettacolo- gli parlò una voce femminile.
 
-Di alla tua capa, che il Maestro oscuro è venuto a trovarla- rispose abbassandosi il cappuccio. La Persona dietro la porta trattenne il fiato mentre sentiva la paura crescere dentro di lei. Richiuse lo spioncino e lui poté chiaramente sentire il suono di passi svelti dall’altra parte.
 
Alla fine la porta si aprì nuovamente e una ragazza si piegò di centosessanta gradi chinando il capo e le orecchie da volpe verso il basso così come la coda. Il Fox perfume, era uno dei locali notturni più visitati della parte bassa. Soprattutto perché tutto il personale che ci lavoravano erano Hŭli jīng.
 
-Sono desolato Maestro oscuro. Non credevo che si trattasse…di voi- la poveretta iniziò seriamente a sudare freddo e avere il fiato corto. Parlare in quel modo al Maestro oscuro, era un chiaro invito a scavarsi la fossa da soli. Aveva sentito di come uccidesse alla leggera anche solo per un fastidio di poco conto.
Il moro sbadigliò ancora leggermente assonnato. Non era venuto per incutere timore. Ma per un’altro affare.
 
-Non ha importanza. Suzue è sveglia ho qui la sua grana- disse alludendo al contenuto della valigetta. La giovane annuì facendosi la parte per farlo accomodare.
Appena entrato venne investito dall’odore di incenso e spezie che impregnavano tutto il locale. Si avviò verso uno dei due bar posizionati ai lati del palcoscenico che occupava parte della stanza al piano terra. Poggiò la scatola sul bancone e sedendosi ad aspettare. L’odore dei rimasugli dei fumi ancora presenti nell’aria, gli faceva storcere il naso. Sentiva un aroma dolciastro oltre a quello del fumo e ciò voleva dire che non avevano bruciato solo tabacco.
 
-Ti ho sempre fatto una specie notturna. Cosa ti ha spinto qui a quest’ora?- gli chiese una voce femminile che conosceva bene.
Si voltò guardando una donna dalla bellezza ammaliante, anche lei come le Hŭli jīng aveva tratti da volpe come orecchie e code. La carnagione era di un color pesca perfettamente lucente con un fisico prospero e slanciato coperto da un kimono bianco che lasciava intravedere la spaccatura del seno. Il viso era incorniciato da dei lunghi capelli rosa scuro, lo stesso colore della pelliccia delle orecchie e la folta coda, sulle guance aveva dei segni come di baffi, occhi azzurri e labbra leggermente carnose e rosee completavano il tutto.
La donna guardò Nergal per poi passare al contenitore poggiato sul tavolo. Ora capiva perché si trovasse lì.
 
-Potevi venire anche questa sera- non gli piaceva aprire il locale presto, nemmeno per i suoi clienti o amici. Ma con lui doveva per forza fare un’eccezione.
 
-Lo sai che non mi piace avere debito troppo a lungo- la donna volpe annuì.
 
-Hai già fatto colazione?- lui negò con la testa. Suzue schioccò le dita per richiamare altre due ragazze e dandogli ordine di preparare qualcosa da mangiare per il loro ospite.
 
Usare le bacchette poteva essere piuttosto complicato per qualcuno che non ne era abituato. Ma a Nergal non dava fastidio, era avvezzo ad usarle, ance solo per allenare la manualità. Prese un po' di riso portandolo alla bocca. La proprietaria del locale gli aveva offerto una colazione orientale.
Il silenzio che si era venuto a creare nella stanza sembrava di suspense. Era come se uno dei due aspettasse che l’altro si decidesse a parlare. La rosa prese un sorso di tè prima di fare la fatidica domanda.
 
-Il Grimorio ti è stato utile?- lui fece spallucce.
 
-Era pieno di incantesimi di negromanzia. Non è ciò che mi interessa- rispose portando un po' di pesce alla piastra alla bocca. Su questo Suzue doveva dargli ragione. Disturbare i morti che riposavano era qualcosa che dava i brividi anche a lei. Chiunque avesse trascritto tali incantesimi aberranti doveva essere un pazzo.
 
-Non si può avere sempre ciò che si vuole. Ma spero che ciò non ti impedisca di pagarmi!- era grazie a lei che aveva avuto gli agganci per ottenere il Grimorio su cui aveva messo le mani la sera prima. Nergal prese un sorso di zuppa di miso per poi schioccare le dita indicando la valigetta che aveva portato.
La donna diede ordine ad un uomo anche lui in parte volpe di prendere la valigetta e portargliela. Lei l’aprì lentamente e sul suo volto si dipinse una smorfia.
 
-Il tuo solito scherzetto?- dentro c’era una grande pietra di piombo, grande quasi il doppio di una mano. Non era certo il pagamento che si aspettava per le informazioni che aveva venduto al ragazzo. Questi trattenne a stento una piccola risata, divertito.
 
-Dimmi, ti va bene di quella dimensione?- lei annuì per poi dire al suo sottoposto di portare la valigetta al suo proprietario. Nergal poggiò le bacchette e si tolse lentamente i guanti in pelle e metallo decorativo. Poggiò la mano nuda sul pezzo di piombo e quest’ultimo iniziò a cambiare colore diventando dorato. Dopo qualche istante il pezzo di piombo cambiò diventando una grossa pepita d’oro.
L’uomo sgranò gli occhi. Quello era il tocco di Mydas. Un incantesimo proibito, contenuto in alcuni Grimori. Quindi le voci su cui quel tipo inquietante collezionasse oggetti proibiti e magici era vera.
 
-Soddisfatta?- Suzue annuì con un sorriso.
 
-Allora, che sai dirmi dell’esplosione di ieri notte?- il moro si aspettava quella domanda. La città per quanto grande, se succedeva nella parte bassa le notizie volavano in fretta. Soprattutto se ciò che era saltato era un posto importante come il porto.
 
-Solo che chiunque sia stato era dotato di magia. Ma su chi fosse non è un mio problema. Quello che ha colpito non era un mio deposito…- le lanciò un’occhiata alzando il sopracciglio, per chiedergli se per caso quel magazzino fosse stato di sua proprietà. Ma lei scosse la testa.
 
-Immagino che ci penserà la Guardia cittadina ad indagare-
 
-Con quegli incapaci a lavoro, credo sarà un mistero irrisolto- non riusciva a credere che tra quegli incapaci che avrebbero dovuto proteggere gli abitanti se non ce ne fosse nemmeno uno che non aveva la percezione del Mana.
 
-Da quando in qua ti innervosiscono quegli idioti?- sapeva anche lei che la maggior parte fosse degli incompetenti.
 
-Non me ne importa infatti!- rispose secco: -Hai altre dritte riguarda a possibili affari da darmi?-
 
-Se ti riferisci all’importo di spezie e afrodisiaci, certamente. Altrimenti no, non ho altre informazioni riguardo ai Grimori al momento- si aspettava quella risposta. Trovarne uno non era mai facile, vista la loro rarità e anche perché estremamente pericolosi. Annuì ringraziandola, sapeva che in caso avesse avuto informazioni di passagliele. Era disposto a pagarle a peso d’oro.
 

 
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Visto che aveva finito di togliersi quel debito ed era già fuori di casa. Pensò che era il caso di fare un salto al negozio di libri di una sua vecchia conoscenza. L’edificio si trovava quasi alla linea immaginaria che separava la parte bassa da quella alta.
Solo pochi avevano il coraggio di avventurarsi nella parte alta di Kētō. Ad eccezione della Guardia cittadina che aveva il compito di vigilare su ambedue le parti della città. Il negozio che stava cercando era facile da riconoscere, vista la grossa insegna su cui c’era scritto: Libri. Non molto originale, ma almeno aiutava a trovarlo più facilmente.
 
Si sentì il suono di un campanello non appena entrò dalla porta. L’interno era arredato con librerie alle pareti, poste per non bloccare le finestre che aiutavano a far entrare la luce. Al soffitto c’era un lampadario ad olio e una scala di fianco al bancone che portava ad un piano superiore.
Si guardò intorno cercandone il proprietario, ma comunque la sua attenzione venne catturata dai libri sugli scaffali. Ne prese uno dalla copertina in cuoio, mettendosi a sfogliare alcune pagine. Da quello che lesse si trattava di un libro di ricette delle terre del nord.
 
-Percepisco il vostro odore, Maestro oscuro- chiuse il libro rimettendolo a posto, sentendo qualcuno scendere le scale che davano al piano superiore.
 
-Dhalsim- lo saluto lui. L’uomo in questione era un vecchio dalla pelle bruciata dal sole, con degli ispidi capelli grigi dovuti all’età. Indossava degli abiti dei paesi della sabbia, e dagli occhi vitrei si capiva che era cieco. Ma questo non era certo una debolezza per lui.
 
-È da un po' che non venivate nel mio negozio- disse l’uomo andando dietro al bancone per sistemare dei libri da una cassa.
 
-Sono stato impegnato con i miei affari- rispose continuando a dare uno sguardo ai libri sullo scaffale, come se stesse cercando qualcosa che catturasse la sua attenzione. L’uomo annuì con la testa poggiando i libri sul bancone.
 
-E ditemi, cosa sapete dell’incidente di ieri notte?- Nergal sospirò infastidito, portando l’attenzione sull’uomo. Questi percepì il Mana nero e denso che traboccava dalla figura del suo cliente. Era anche grazie a quella percezione magica, che non gli serviva la vista per vedere.
 
-Non potete certo aspettarvi che non faccia domande. Insomma è chiaro che questo evento attiri molta curiosità ed attenzione- su questo non poteva dargli torto, anche se le criminalità era all’ordine del giorno nella parte bassa. Un assalto al porto era qualcosa che suscitava tanto scalpore.
 
-Non era un mio problema. Ci stanno pensando quelli della Guardia cittadina- disse secco, non aveva voglia di parlare di quello. Anche perché ciò per cui era venuto era altro. Si avvicinò al bancone mettendosi ad osservare l’uomo con le braccia incrociate al petto.
 
-Bene, allora ditemi. Come posso esservi utile oggi?- chiese infine Dhalsim con un piccolo inchino.
 
-Mi chiedevo se avessi informazioni per procurarmi…un libro nero- disse le ultime parole in sottovoce, anche se nel negozio c’erano solo loro due. Quando si parlava di Grimori era sempre meglio essere cauti. Il vecchio librario sembrò pensarci su per qualche minuto. Alla fine si abbassò dietro al bancone, e quando si rialzò aveva un libro dalla copertina nera in mano.
 
-Questo libro dovrebbe essere di vostro gradimento- Nergal lo guardò annuendo.
 
Gli occhi rossi del moro si soffermarono sul libro dalla copertina nera, gli producevano le mani dalla voglia di aprirlo. Ma sapeva che doveva trattenersi per il momento. Portò la mano sotto al mantello e ne tirò fuori un sacchetto in cuoio nero finemente lavorato.
 
-Dieci monete d’oro bastano?-
 
-Ne bastano anche cinque, Maestro- rispose cordiale. Aveva un debito di riconoscenza con quel ragazzo. Sia perché lo aveva preso in simpatia, nonostante l’aspetto minaccioso e anche perché quel negozio era sotto la sua protezione. Nergal fece un piccolo sorriso poggiando dieci monete sul bancone.
 
-Per tali informazioni, questo è un prezzo adeguato. A presto Dhalsim- disse andando verso la porta.
 
-Ritornate quando volete Maestro. La mia porta è sempre aperta per voi- rispose il vecchio con un inchino, mentre Nergal usciva dal negozio.
 

 
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Appena uscito dal negozio fece un paio di passi infilandosi in un vicolo lì vicino, così da non avere occhi indiscreti addosso. Troppa era la voglia di sapere che cosa il suo informatore ed amico avesse da rivelargli. Che non riusciva ad aspettare di tornare alla sua dimora.
Iniziò a sfogliare il libro che gli aveva lasciato. Ma tolte le prime pagine, le altre erano totalmente in bianco. Avvicinò le pagine al viso annusandole. Avevano l’odore del limone, un vecchio trucchetto per nascondere delle informazioni.
 
Fece apparire una minuscola fiamma nera sulla punta del dito e con attenzione l’avvicinò alla pagina. La distanza sbagliata e avrebbe rischiato di bruciare le pagine. Al calore prodotto dalla fiamma, iniziarono a comparire delle parole, scritte con inchiostro invisibile.
 
“Eccole qua!” la scritta diceva: Asta clandestina tra cinque giorni, sotto al teatro di mezzo che confine tra le due parti della città. Verranno messi all’asta oggetti particolari e secondo alcune mie fonti, anche magici tra cui un Grimorio. Sfortunamente, non mi ha saputo dire che magie contiene.
Ti consiglio di andare con una maschera e ovviamente un bel po' di monete. Buona fortuna, possa tu trovare ciò che cerchi.
 
Chiuse il libro sentendosi soddisfatto. Se c’era davvero un Grimorio, se lo sarebbe accaparrato senza dubbio. Anche a costo di uccidere chiunque avesse osato sottrarglielo.
Chiuse il libro infilandolo all’interno del mantello e uscì dal vicolo. Aveva ancora cinque giorni prima dell’asta, il che voleva dire che poteva prepararsi con calma. E decidere quanto si sarebbe portato. Mentre ci pensava le sue orecchie captarono un grido. Si fermò di colpo concentrandosi sul rumore che sentiva.
 
-Piccola, inutile merdina. Credevi di fregarmi?- gridò un uomo mentre prendeva a calci un ragazzo che doveva avere al massimo undici anni. Il poverino era rannicchiato in posizione fetale, mentre veniva colpito ripetutamente.
 
-Dov’è il resto?- gridò lanciando a terra i pochissimi spiccioli di rame.
 
-N..non c’è altro…lo giuro- rispose il poveretto piangendo. Ma l’uomo lo colpi al volto e gli pestò la testa col piede per farlo stare a terra.
 
-Se solo un verme inutile. Non riesci neanche a farmi fare qualche spicciolo. Dovrei gettarti in mare come cibo per i pesci- gridò l’uomo ancora più furioso con il ragazzo. Quando si bloccò di colpo sentendo un forte dolore alla nuca, iniziando a vedere rosso. Alzò le mani sentendo una lama che gli aveva bucato la testa. Il povero ragazzino sgranò gli occhi vedendo l’uomo cadere in ginocchio con la figura ammantata di rosso scuro che reggeva la lama che aveva bucato la testa di quello che lo stava aggredendo. I suoi occhi incrociarono quelli rossi di Nergal e per poco non si fece la pipì addosso.
 
-Tutto bene, ragazzo?- questi deglutì annuendo con la testa. Con la paura che lo attanagliava quella era l’unica risposta che riusciva a fare.
Il moro guardò il ragazzo vestito di stracci e sporco, sicuramente doveva trattarsi di un orfano mendicante. Una condizione comune per alcuni bambini senza genitori in quella parte di Kētō.
Estrasse la lama con un colpo secco lasciando che il corpo dell’uomo caddesse all’indietro. Facendolo spostare per non sporcarsi le scarpe di sangue. Che sarebbe stato anche difficile rimuovere.
 
-Parassita- sputò ritornando a guardare il ragazzino che si era messo in posizione fetale per la paura. Sicuramente si aspettava di essere picchiato.
Nella sua mente iniziò a ritornare a galla un ricordo sopito. Quello di un ragazzino con delle piccole corna che si nascondeva da dei cacciatori tappandosi la bocca, nascosto all’interno di un tronco marcio. Sperando che non venisse trovato. Scosse la testa per scacciarlo.
 
-Credo che questo sia il tuo giorno fortunato!- il ragazzino spostò le braccia per guardarlo. Nergal si era inginocchiato davanti a lui, dandogli un foglio e un sacchetto.
 
-Se non hai dove andare e sei stanco di vivere di stenti. Segui questa mappa fino all’orfanotrofio. È gestito da una suora chiama Laia, digli che ti manda il Maestro oscuro. Lei capirà- concluse rimettendosi in piedi e rialzandosi il cappuccio sulla testa uscì dal vicolo ignorando il corpo dell’uomo. Facendo attenzione a non pestare il sangue.
Il ragazzo guardò prima la mappa disegnata e poi aprì il sacchetto. All’interno erano presenti delle monete in argento e oro. I suoi occhi si sgranarono, iniziando ad inumidirsi. Mentre alzava la testa pensando a chi fosse quell’individuo spaventoso e soprattutto ringraziandolo.
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Eccomi con il secondo capitolo. Qui facciamo la conoscenza di alcuni nuovi personaggi una donna volpe che sembra essere amica di Nergal e un librario che gli vende informazioni oltre che hai libri.
Qui vediamo un accenno di com’è strutturata la città di Kētō, e che la parte bassa sia molto più degradata di quella alta. Ma vedremo quando daremmo uno sguardo anche all’altra parte, più avanti. Per ora vediamo che il protagonista sembra avere un cuore salvando e dando un posto ad un orfano, ma anche molto violento.
Per ora questo è tutto, ringrazio chi legge la storia e ci vediamo al prossimo aggiornamento.
A presto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

 


Il dipartimento della sicurezza che si trovava nella parte alta di Kētō era in fermento. Mentre era in attesa, Rhaul si guardava intorno irritato.
Stava aspettando che il Comandante lo chiamasse nel suo ufficio. Aveva però il sospetto che gli altri lo guardassero parlando alle sue spalle. Anche se avrebbero dovuto essere colleghi, tra i membri della parte bassa e quella alta non scorreva proprio buon sangue. Per via del fatto che la sicurezza della parte alta si credeva superiore rispetto a quella che sorvegliava la parte bassa della città.
 
-Detective Rhaul- l’uomo alzò lo sguardo sulla guardia che l’aveva appena chiamato.
 
-Il Comandante Alpha vi sta aspettando- il detective annuì, seguendo la donna. Ignorando gli sguardi degli altri tirò fuori dalla giacca una pipa facendo per prendere il tabacco.
 
-Qui è vietato fumare- sbuffò rimettendola nella giacca. In quel momento avrebbe di certo voluto farsi una bella fumata. Visto chi stava per incontrare. La guardia aprì le porte dell’ufficio facendo entrare il detective.
 
-Comandante Alpha, ho portato qui il detective Rhaul come mi aveva chiesto-
 
-Molte grazie- rispose il Comandante Alpha. Il detective si sorprese di trovarsi davanti una donna, non l’aveva mai incontrata di persona. Ma dal nome pensava che si trattasse di un uomo. La guardia fece il segno di saluto e uscì dalla stanza, ora erano solo loro due.
 
-Prego detective, si accomodi- lo invitò la donna a sedersi sulla sedia davanti alla sua scrivania. Rhaul si accomodò, guardando meglio il suo superiore. Era una bella donna dai lunghi capelli neri dai riflessi bluastri e dei penetranti occhi azzurri. L’unica pecca era una piccola cicatrice sulla guancia, ma che tuttavia non smorzava il suo fascino.
 
-È venuto perché ha una pista riguardo l’attacco al porto di due giorni fa- andò dritta al punto incrociando le mani davanti al volto. L’uomo annuì, non sapeva perché ma quella donna emanava un’aura di autorità e freddezza.
 
-Non devo rammentargli che quel luogo è di vitale importanza per la città!- questo lui lo sapeva bene. Tutti i traffici di maggior profitto per Kētō riguardavano il commercio via mare. E quindi il porto era la cosa più importante della città.
 
-Sappiamo che chiunque sia stato era dotato di abilità magiche-
 
-Come fa ad esserne certo?- L’atteggiamento del detective divenne più agitato. E questo non sfuggì agli occhi del Comandante.
 
-C’è l’ha rivelato Nergal Farigh. Che era sopraggiunto sul luogo- questa notizia di certo non se l’aspettava. Ma se qualcuno come il Maestro oscuro aveva rivelato che c’entrava la magia, allora doveva dargli ragione.
Anche se non capiva come mai si trovasse al porto. Subito si chiese se fosse stato lui. Anche se da quanto gli era stato detto non attaccava mai se non era minacciato e tendeva a preoccuparsi dei suoi traffici ignorando tutto il resto.
 
“A meno che il deposito distrutto non fosse uno dei suoi?” gli sembrò la spiegazione più ragionevole. E se era questo il motivo, allora avevano una bella patata bollente tra le mani.
 
-Il magazzino, era per caso il suo?- Rhaul scosse la testa. Aspettava solo quel momento. Tirò fuori dalla giacca un fascicolo e lo poggiò sulla scrivania. La donna abbassò lo sguardo iniziando a leggere, si trattava del contratto di protezione da parte della guardia cittadina al suddetto magazzino. Appena però lesse il nome di chi l’aveva stipulato, sgranò gli occhi, per poi buttare la testa indietro sospirando.
 
-Bàthory – pronunciò quel nome come se avesse qualcosa di fastidioso incastrato tra i denti e che cercava di rimuovere. Il detective capiva benissimo la sua frustrazione.
Nella parte alta di Kētō dove abitavano per lo più nobili e benestanti, erano cinque le famiglie più potenti e influenti che si contendevano le parti più ampie dei moli della città. Qualunque cosa coinvolgesse una delle cinque famiglie, voleva dire molto lavoro e guai. E per lo sfortuna la famiglia Bàthory era la seconda per importanza e influenza.
 
-Non sono già venuti a chiedere come va l’indagine?- Alpha rimise dritta la testa, scuotendo il capo. Ma sapeva che era solo questione di tempo. Le notizie giravano in fretta, soprattutto una come quella.
Mentre ripresero a discutere sui fatti raccolti dal detective, sentirono un vociferare proveniente da dietro alla porta. Questa successivamente venne aperta e un individuo fece il suo ingresso nell’ufficio.
Era un giovane molto bello e dal magnetismo glaciale, che sembrava risaltare ancora di più negli abiti eleganti scuri e il mantello con i bordi di pelliccia che indossava. Il viso era incorniciato da dei capelli argentati corti con delle piccole trecce ai lati, gli occhi erano azzurri come il ghiaccio che si abbinavano bene alla carnagione bianco latte.
 
Fenrir Bàthory era l’attuale capofamiglia della sua casata. E vederlo entrare nell’ufficio, fu un momento di shock per i due membri della Guardia cittadina. Anche se in parte si aspettavano che avrebbero ricevuto una sua visita. L’uomo guardò prima il detective lanciandogli uno sguardo di sufficienza, puntando lo sguardo sul Comandante.
 
-Spero che abbiate delle buone notizie!- disse con tono deciso e glaciale avvicinandosi alla scrivania. La donna sostenne il suo sguardo, che sembrava congelare chiunque lo fissasse. E lei ne conosceva il motivo, il Mana dell’argenteo era piuttosto denso, il che voleva dire che era in grado di usare la magia. Un po' come la maggior parte dei nobili.
 
-Le indagini sono ancora in corso. Non posso rivelarle molto- rispose rimanendo professionale. Lui in risposta serrò la mascella rimettendosi dritto così da guardarla dall’alto in basso.
 
-Vorrei ricordarvi che la maggior parte dei finanziamenti per la Guardia cittadina vengono dalle mie tasche- disse in risposta: -Per tanto, gradirei essere informato, se l’indagine riguarda un attacco al mio casato!- l’aria all’interno della stanza sembrò abbassarsi di qualche grado e di questo il Rhaul se ne accorse. Parlare con un mago non era mai facile, soprattutto quando si credevano superiori a tutti.
 
-Sappiamo che nell’attacco era implicato un utilizzatore di magia. Tuttavia non sappiamo cosa ci fosse nel magazzino per valutare i danni e se manchi qualcosa…- rispose Alpha mostrandogli i documenti che il detective gli aveva portato. Anche perché la maggior parte delle note importanti era cancellata.
Da ciò intuì che quello che c’era nel magazzino, fossero oggetti magici non proprio legali. Fenrir guardò la lista degli oggetti contenuti nel magazzino, preoccupato per la perdita di ciò che aveva fatto arrivare da lontano. Pagando anche un mucchio di monete.
 
-Ci sono stati feriti?- chiese infine, la donna scosse il capo. Una magra consolazione che nessuno fosse rimasto ferito o peggio. Ma il problema era che avevano osato colpirlo nei suoi affari, un affronto che non poteva perdonare.
 
-Se ha dei sospetti su chi potesse essere stato, siamo tutt’orecchie- Fenrir lanciò uno sguardo a Rhaul, come a dirgli di alzarsi dalla sedia. Lui recepì il messaggio, ma anche se non voleva il suo corpo si mosse da solo. Come se la sola presenza autoritario di quel tipo riuscisse a farlo muovere d’istino.
Il Capofamiglia si sedette poggiandosi allo schienale e accavallando le gambe.
 
-La lista sarebbe lunga. Includerei tutta la bassa nobiltà della città alta e anche le restanti quattro famiglie al potere. Mi sono fatto molti nemici- quella risposta costrinse la Comandante a poggiare il volto sulla mano. Indagare sulla nobiltà non era una cosa facile, già prevedeva ripercussioni e proteste. Ma la cosa non la sorprese, i nobiliti di Kētō erano soliti danneggiarsi a vicenda per avere i possedimenti degli altri.
 
-E che mi dice del Maestro oscuro?- si azzardò a dire Rhaul.
 
-Perché questa domanda? Sospettate di Lui?- chiese di rimando Fenrir.
 
-Beh…si è presentato a fare domande, dopo l’esplosione. Quindi dei sospetti, ci sarebbero- rispose il Detective. Fenrir chiuse gli occhi.
 
-No. Dubito c’entri lui- rispose alzandosi e guardando il Comandante.
 
-Vi farò avere ciò che vi serve e le informazioni criptate del carico. Tuttavia, pretendo la massima riservatezza…mi spiego?- Alpha annuì lentamente. Ribattere sarebbe stato inutile e poi sapeva che aveva occhi e orecchie dappertutto. Anzi gli sembrava strano che non avesse ancora trovato il colpevole.
L’argenteo si alzò dalla sedia facendo per uscire dall’ufficio, ma si fermò proprio davanti alla porta.
 
-Un’ultima cosa. Non è che non abbia fiducia in voi. Ma se scoprirò che prima di distruggere il mio magazzino hanno sottratto qualcosa …sguinzaglierò i miei segugi per trovarli. Non so se mi spiego?!- la temperatura della stanza sembrò abbassarsi di colpo, tanto che il respiro di Rhaul si condensò. Il Bàthory stava usando la sua magia per abbassare la temperatura.
 
-Certamente, Lord Fenrir- dopo tale risposta si si limitò ad annuire prima di usciere dalla stanza.
 

 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

Poggiò le pepite di oro nel baule, che era ormai pieno quasi a metà. In due giorni Nergal era riuscito a riempire quasi cinque bauli di oro. Che poco prima erano semplici pezzi di piombo. Tutto merito dell’incantesimo del tocco dorato. Un antico incantesimo che per poi non portò uno dei regni più grandi dell’antichità ad uccidersi a vicenda.
Si fermò per prendersi un attimo di respiro e riposo. Mancavano ancora tre giorni all’asta ed era già ansioso di avere tra le mani quel Grimorio.
 
“Chissà che magie contiene?” era un pensiero fisso. Provare a indovinare il contenuto di uno di quei libri, era molto più facile prevedere quale faccia di un dado sarebbe uscita. Avrebbero potuto esserci incantesimi proibiti di ogni tipo. Ma una parte di lui aveva timore che sarebbe potuto trattarsi di un falso. Gli era già capitato in passato di venire fregato o di aver comprato un Grimorio che si fosse rivelato un falso.
 
-Anche questo fa parte del gioco. Giusto?- chiese rivolto alla sua ombra. Questa sembrò tremolare come a dargli ragione. Dopo di che si allungò da sola come se fosse vita, arrivando fino alla bottiglia di acqua gassata posta sulla scrivania nella stanza adiacente. Si avvolse intorno alla bottiglia per afferrarla e ritirarsi indietro fino al suo proprietario.
Lui prese la bottiglia facendo un cenno del capo, dando poi uno sguardo alle notizie sul giornale. Le più interessanti riportavano: “Attacco al porto, magazzino distrutto. Caccia ai colpevoli” e “La famiglia più influente di Kētō, punta al cielo. Costruzione di un nuovo dirigibile
 
Delle due trovava più interessante la seconda. Anche se conoscendola non era una novità che puntassero a darsi un sacco di arie. Si versò un po' di acqua gassata in un bicchiere, per dare una gioia alla sua gola assetata. Quando qualcuno bussò alla porta.
Guardò l’ingresso chiedendosi chi potesse essere a disturbarlo. Fece cenno alla sua ombra di andare a controllare. Quest’ultima di allungò fino a sotto la porta per poi tornare indietro assumendo la stessa posizione del suo padrone.
 
“Che diavolo vogliono?” si alzò chiudendo il forziere pieno di oro ed evocando una pianta nera per farglielo ingoiare e tenerlo al sicuro. Tenendo ancora il bicchiere in mano aprì la porta agli agenti della Guardia cittadina.
 
-Oh tu…- disse riconoscendo il volto si Rhaul: -Sei il tizio del porto…che cosa vuoi?-
 
-E così che ti rivolgi alle forze dell’ordine?- chiese il detective irritato. Nergal lo guardò con sufficienza bevendo la sua acqua.
 
-Ripeto, che cosa volete?- domandò nuovamente. L’uomo si era portato dietro altri cinque agenti. Ma dal loro linguaggio corporeo era ovvio che non erano felici di esseri lì. Rhaul si schiarì la voce, tirando fuori un paio di manette di un colore argento con delle crepe rosse.
Manette di Oricalco, il metallo in grado di inibire le abilità magiche. Questo confermava che erano venuti per lui.
 
-Con quale accusa mi arrestate?-
 
-Non ti stiamo arrestando! Ma dobbiamo farti delle domande, per cui devi seguirci in centrale- precisò il detective indicando la vettura blindata dietro di sé.
Il moro alzò un sopracciglio. Sapeva che domande dovevano fargli o almeno lo intuiva. Ma il fatto che fossero venuti a prenderlo, lo faceva quasi da ridere, tanto che un ghigno si formò sul suo volto e una strana emanazione vibrò dal suo corpo come un battito cardiaco. Gli agenti tremarono iniziando a sudare, non sapevano che cosa stesse facendo, ma il loro istinto di sopravvivenza gli diceva che erano in serio pericolo di morte.
 
-Seguirvi in centrale?- sussurrò e Rhaul deglutì agitato. Si aspettava che li avrebbe attaccati. Invece mise via il bicchiere e gli mostrò i polsi.
 
-Starò al vostro gioco, ma vediamo di sbrigarci. Non voglio saltare il pranzo- rispose mentre l’emanazione spariva. Il Detective deglutì annuendo lievemente, mentre con le mani che ancora gli tremavano. Infilò le manette al Maestro oscuro.
 
Tutti nella parte alta conoscevano il famoso Maestro oscuro. Il personale del dipartimento di sicurezza si ritrovò non poco stupito nel vederlo entrare dalla porta in manette. Alcuni dei presenti ebbero dei sussulti, sapendo delle voci che giravano su di lui. Ma nonostante fosse in catene tutti avevano paura per guardarlo o incrociare il suo sguardo.
Venne lasciato in una stanza per gli interrogatori incatenato alla sedia su cui l’avevano fatto sedere. Rimase a guardarsi intorno tra le pareti di quella stanza, facendo schioccare qualche volta la lingua. Alla fine la porta si aprì nuovamente e fecero il loro ingresso un altro agente.
 
Quest’ultimo non lo guardò nemmeno andando direttamente a sedersi davanti a lui con delle carte in mano.
 
-Signor Nergal Farigh o preferisce che la chiami Maestro Oscuro?- non rispose, visto che gli sembrava uno spreco di tempo, così come avergli fatto aspettare così tanto in quella stanza.
 
-Mi avete fatto aspettare venti minuti. Ve la siete presa comoda!- rispose invece facendo alzare la testa dell’agente, che lo scrutò in quegli occhi occhi. Gli venne un brivido, come se quello sguardo cercasse di guardarlo dentro fino a strappargli via l’anima.
 
-Beh, siamo piuttosto impegnati- rise a quella risposta, era ovvio che volevano solo mettergli pressione. Ma avevano scelto l’approccio sbagliato con lui. Visto che sapeva rispondere a tono.
 
-Sicuro. Impegnati a dormire e grattarvi la pancia!- la Guardia cittadina fu punto proprio sul suo orgoglio. Lasciò cadere a terra i fogli, incrociando le braccia al petto. Stava assumendo una posa difensiva, proprio quello che il corvino sperava.
 
-Va bene Maestro oscuro. Andiamo dritti al punto…che ci facevi sul luogo dell’esplosione?- proprio come sospettava, lo credevano colpevole o forse un complice in quel casino. Quello stupido detective doveva aver fatto il suo nome. Se lo avesse incontrato da solo più tardi gli avrebbe fatto passare volentieri un brutto quarto d’ora.
Nergal alzò la testa mettendosi il più dritto possibile con la schiena per darsi una sensazione di superiorità.
 
-Tanto per cominciare io sono arrivato sul luogo dell’esplosione, subito dopo i soccorsi e le forze di guardia. Quello stupito del vostro collega può confermarlo. Sempre se non se n’è scordato- era certo che quel tipo stesse ascoltando la conversazione forse dalla stanza adiacente e poi continuò: -Inoltre se fossi stato io. Avrei agito nel modo più silenzioso possibile e non di certo facendo tutto quel casino!-  la Guardia non sapeva come ribattere a quelle parole. Le voci che aveva sentito, dicevano che aveva le mani perennemente macchiate di sangue ed era per questo che portava i guanti.
 
In quel momento il Comandante Alpha fece il suo ingresso nella stanza. Il suo sottoposto fu stupito di vederla, ma prima che potesse dire qualcosa, lei gli lanciò uno sguardo per dirgli di congedarsi. La Guardia non se lo fece ripetere e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta dietro.
La donna scrutò il giovane davanti a lui, il Mana che proveniva da lui era così scuro da fargli venire quasi un attacco di vomito. Nonostante avesse le manette per limitarne le capacità magiche. Ne aveva sentito parlare ma ora le era chiaro che quell’individuo era realmente pericoloso.
 
-A giudicare da come quello è uscito, tu devi essere un pezzo grosso!-
 
-Sono il Comandante Alpha, signor Nergal- rispose avvicinandosi e togliendogli le manette. Quel gesto lo stupì un po', anche se avrebbe potuto farlo da solo. Non percependo alcun intento malvagio la donna non era preoccupata di togliergli le manette. Ma niente presagiva che sarebbe potuto diventare violento da un momento all’altro.
 
-Da questo gesto mi pare di capire che non mi considera una minaccia?- quella donna doveva essere troppo fiduciosa. Ma di certo non era una stupida.
 
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Alpha continuò per altri cinque minuti a fargli domande. Ma già dal suo sguardo che dalle risposte, era chiaro che lui era totalmente estraneo ai fatti.
 
-Può andare, scusi il fastidio- rispose in fine. Nergal si alzò senza dire niente, fermandosi sulla porta.
 
-Fossi in voi addestrerei meglio i vostri uomini, perché senza il mio consiglio era chiaro che avreste brancola nel buio- la blu non disse niente ma strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Non sapeva però se quel gesto fosse dovuto perché aveva appena insultato la Guardia cittadina o del fatto che avesse effettivamente ragione.
Appena aprì la porta trovò appoggiato al muro proprio il detective che lo aveva arrestato. L’uomo deglutì incontrando gli occhi rossi del corvino che ricambiò lo sguardo. Ma il suo sguardo più che rabbia era di totale indifferenza. Senza dire niente percorse il corridoio fino alla porta d’uscita della stazione. A quel punto tutte le persone all’interno poterono tirare un sospiro di sollievo.
 
Alpha lo guardò andarsene per poi richiamare la guardia che lo aveva interrogato.
 
-I Bàthory ci hanno fatto avere la lista completa di ciò che conteneva il magazzino?-
 
-Si Comandante. Ci è appena stata consegnata- rispose lui porgendogli i fogli. La donna li prese iniziando a guardarli, ma già dando uno sguardo alle parole che erano state rimosse dai verbali di carico. Capì che c’era di mezzo qualcosa di magico.
 
“Mai che il mio lavoro sia tranquillo per una volta!” si maledisse lei stessa.
 
 
Se già era di pessimo umore per essere stato convocato con l’accusa di essere un sospettato non fosse abbastanza. Lo stomaco di Nergal iniziò a reclamare del cibo, ed in effetti guardando il suo orologio da taschino, era proprio ora di pranzo.
Visto che già si trovava nella parte interna della città, poteva anche concedersi un pasto costoso una volta ogni tanto.
 
-Bene signor Farigh, la riportiamo alla sua dimora- disse un’agente aprendo la portiera della vettura. Ma quando si girarono del moro non c’era più traccia, si guardò intorno senza trovarlo.
 
La parte esterna di Kētō non poteva certo competere con quella interna. Le strade erano pulite e lastricate con marmo tagliato e levigato alla perfezione, talmente lucido che ci si sarebbe potuti specchiare. Anche gli edifici erano fatti in materiali costosi e con un design vittoriano ed elegante. Tutte le persone che camminavano per strada trasmettevano un senso di eleganza e potere.
Anche se la maggior parte erano della bassa nobiltà, avevano comunque più soldi di tutte le persone della parte bassa.
 
In un posto simile uno come lui saltava subito all’occhio, ma gli sguardi non gli davano molto fastidio. Infilò la mano nella giacca tirandone fuori un capello a cilindro nero con motivi rossi e due grosse piume rossastre ai lati. Si infilò il capello in testa e prese il suo bastone da passeggio con il manico in osso levigato a forma di teschio di cervo, mettendosi a camminare per le strade.
Tutti i passanti si fermavano a lanciargli delle occhiate, chi per curiosità e chi per indignazione nel vedere una persona del genere nella parte alta.
 
“Vediamo dove posso andare a fare uno spuntino?” i negozi erano per lo più abiti abiti e accessori. Ma ce n’era anche qualcuno legato alla magia, avrebbe voluto visitarne qualcuno per curiosità. Anche se sapeva che lì non avrebbe certo trovato il tipo di oggetti che gli interessava
La sua attenzione fu infine attirato da un negozietto con dei tavoli all’aperto. La struttura aveva un’architettura vittoriana dai colori chiari. Si avviò ad uno dei tavoli vuoti sedendovisi, aspettando che qualcuno venisse a prendere il suo ordine.
Una delle cameriere uscì per prendere l’ordinazione del nuovo cliente, ma appena lo vide tornò di corsa dentro.
 
-Capo abbiamo un problema!- disse rivolgendosi alla proprietaria.
 
-Quale problema?- la cameriera la portò alla finestra indicando la persona seduta al tavolo. Anche lei riconobbe subito il Maestro oscuro. Il suo pensiero fu come mai si trovasse nella parte alta, visto che di solito stava nella parte bassa.
 
-Che facciamo? Dobbiamo dirgli di andarsene?- la giovane non ci pensava minimamente a parlarci. Se si fosse arrabbiato avrebbe potuto scorticarla viva senza nemmeno toccarla. La proprietaria usò un campanello e un omone dalle orecchie lupine si presentò davanti a lei.
 
-Mi ha chiamato signora?- chiese il membro dei Fjellálfar, una sottoclasse di elfi più grossi e massicci dei suoi cugini e con una carnagione del colore della pietra. Anche per questo erano chiamati Elfi rocciosi. Molto forti e resistenti, perfetti come guardie del corpo o lavoratori. E dal collare nero che portava era chiaro che fosse uno schiavo, una cosa comune per i nobili possedere degli schiavi anche di altre razze.
 
-Si…potresti andare da quella persona e dirgli di andarsene- disse la donna indicando la persona seduta al tavolo. Sebbene la sua razza non brillasse per intelligenza, capì grazie alla percezione della magia che quell’individuo era mortalmente pericoloso. Il gigante deglutì agitato, il suo istinto gli stava dicendo di rifiutare, ma non poteva sottrarsi ad un ordine della sua padrone.
 
Nergal rimase ad aspettare che qualcuno venisse a prendere il suo ordine, ma ci stavano mettendo troppo tempo per un luogo di classe. Ciò gli fece sorgere il dubbio che forse non volevano servirlo. Mentre ci pensava vide un Fjellálfar vestito da cameriere uscire dal locale e fermarsi davanti al suo tavolo.
 
-Beh era ora. Cosa mi consiglia del menù e la lista dei tè da abbinare?- chiese togliendosi il cappello e poggiandolo sul tavolo.
 
-Veramente, sono qui per chiederle di andarsene- appena lo disse i loro occhi si incontrarono. Quelle pozze rosso fecero venire un brivido sotto la spessa pelle dell’elfo roccioso. Il Mana che quell’individuo stava emanando lo stava facendo sentire male.
Non volevano servirlo, forse perché era della parte bassa e povera di Kētō. Un comportamento prevedibile, visto l’ambiente raffinato, avevano paura che li macchiasse con il suo lerciume. Peccato che lui aveva fatto la doccia ed era affamato.
Portò la mano ad aprirsi la giacca mostrando le lame nascoste in essa, lo schiavo si mise subito in posizione di guardia. Ma l’altro non afferrò le lame ma qualcosa dalla tasca interna e metterlo sul tavolo.
 
-Questi dovrebbero farvi cambiare idea- lo Fjellálfar sgranò gli occhi prendendo con mani tremanti quello che aveva lasciato e tornare subitodentro.
 
-Che cosa ti ha dato?- chiese la padrona che aveva assistito a tutta la scena oltre la finestra. Lo schiavo gli mostrò i cinque Coni reale a cui la donna sgranò gli occhi. Deglutì guardando le monete e poi la persona seduta fuori.
 
-Signora…uhm che facciamo?- chiese la cameriera confusa. Un profitto del genere non poteva farselo scappare. Inoltre aveva già pagato, come imprenditrice sarebbe stato un disonore non servirlo.
 
-Va e prendi la sua ordinazione!- rispose secca intascandosi subito le monete.
 
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Il tramezzino di salmone striato e formaggio di capra con caviale non era niente male. I sapori si abbinavano molto bene per i suoi gusti. Aveva ordinato un vassoio a torre pieno con prelibatezze soprattutto salate, come tramezzini formaggi con cracker e miele e bignè ripieni di una spuma al caviale.
Si versò una tazza di tè nero speziato, portandolo alle labbra. Il contrasto dei chiodi di garofano, cannella e noce moscata era un buon abbinamento con qualcosa di salato come quel vassoio.
 
“La cameriera sa proporre bene” doveva ammettere. Ma considerando dove si trovava, non poteva aspettarsi niente da meno. Se non fossero stati efficienti in quel posto, avrebbero dovuto chiudere baracca in un battito di ciglia. Mentre si gustava il suo pranzo, le persone in strada e nei negozi vicini che lo vedevano spostavano lo sguardo altrove o iniziavano a spettegolare.
 
“Quando torno a casa devo riprendere la produzione dell’oro” aveva ancora tre giorni prima dell’asta e avrebbe dovuto produrre più oro possibile, se voleva accaparrarsi il Grimorio in palio. Questo al momento era il suo obbiettivo primario.
 
-Levati dai piedi spazzatura!- sentì dire dalla strada. Alzò la testa per vedere quattro guardie corazzate disposte agli angoli di un giovane uomo. Doveva avere più o meno la sua stessa età, forse con uno o due anni di meno.
Era alto nella media dal fisico magro e non proprio muscoloso, era carino ma di certo non bellissimo, con dei capelli neri tagliati corti ed occhi viola come l’ametista. Indossava un abito di seta viola e bianco con ricami a mano, cintura in pelle di serpente marino e dei gioielli soprattutto di ametista ornavano la sua persona. Da come si atteggiava doveva di sicuro essere una persona molto influente. Quando gli occhi di Nergal videro lo stessa sulle armature delle guardie che lo seguivano: Un corvo viola con dietro due asce incrociate.
 
“I Kragebrats ” la quinta delle famiglie più potenti e influenti della città e quel ragazzo doveva essere uno dei loro rampolli. Lo ignorò ritornando al suo tè.
 
-Che ci fa qui un mostro?- chiese la voce del giovane facendogli fermare dal bere il suo tè, notando che sembrava averlo puntato.
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Ecco il nuovo capitolo. Qui facciamo la conoscenza di ben due delle cinque famiglie più influenti di Kētō: I Bathory e i Kragebrats.
E della prima vediamo anche l’attuale capofamiglia Fenrir Bathory che a quanto pare non ha preso bene la distruzione del suo magazzino ed ha intimato freddamente alla Guardia cittadina di aggiornarlo sugli sviluppi. La dice lunga su di lui e la sua influenza.
Al contrario Nergal dopo un interrogatorio inutile decide di pranzare nella parte alta della città finendo per incontrare anche un fastidioso imprevisto.
 
Per ora questo è tutto, vi do appuntamento al prossimo capitolo per vedere come reagirà il protagonista davanti al rampollo di una delle cinque famiglie più influenti. Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e vi saluto al prossimo.
A presto

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

 


Sperava non stesse parlando con lui, non gli andava di avere una discussione con un nobile. Voleva solo finire il suo pranzo.
 
-Ehy tu. Il signorino Askew sta parlando con te- lo riprese una delle guardie del corpo. Il moro avrebbe scelto di ignorarli, ma avrebbe solo finito per attirare attenzioni indesiderate. Come quell’idiota che si stava rivolgendo a lui.
 
-Come se questa bestia capisse. Scommetto che non sa nemmeno parlare!- rise divertito il signorotto dai capelli neri. Si atteggiava da re, anche se era alla base della piramide di potere delle famiglie. Per molti nobili sarebbe potuto sembrare un onore, ma era anche uno schifo.
 
-Ha ragione signorino- concordarono la sue guardia del corpo, ridendo insieme al loro protetto. Nergal non rispose con ancora la tazza alle labbra. La poggiò sul tavolo aggiungendovi una spruzzata di limone e mescolando come se non avesse sentito. In genere provocazioni simili se le lasciava scivolare via come l’acqua limitandosi ad ignorarli.
Quell’atteggiamento disinvolto però non piacque al giovane rampollo. Il quale schioccò le dita e una delle sue guardie si avvicinò, facendo volare via la tazza sul tavolo. Nergal guardò la tazza e poi la guardia in armatura. Non appena questi incontrò i suoi occhi venne pervaso da un senso di terrore che lo costrinse ad indietreggiare di qualche passo.
 
-Capisco bene quello che dite!- sussurrò lui alzandosi dalla sedia. Se volevano la sua attenzione, ora l’avevano eccome.
 
-Quindi il mostro parla. Chi lo avrebbe detto- si stupì il rampollo. Evidentemente non sapeva quanto il “mostro” come lo chiamava lui fosse pericoloso, perché se lo avesse saputo, sarebbe già scappato a gambe levate.
 
-Parole grosse, dette dal verme che sta in fondo alla gerarchia- tutto sembrò fermarsi. Tutta la gente in strada si congelò sul posto, mentre alcuni rimasero fermi altri preferirono rifugiarsi nei negozi più vicini. L’istinto gli stava dicendo che presto la situazione sarebbe precipitata e di mettersi al riparo.
 
-Che hai detto spazzatura? Sai chi sono io?!- gli urlò Askew rosso di rabbia, come si permetteva quello scherzo della natura di insultarlo. Nergal però non sembrò minimamente preoccupato, aveva previsto quella reazione.
 
-Si. Un rampollo idiota- il giovane membro dei Kragebrats a quel punto non ci vide più. Con gli occhi ardenti di rabbia scoccò le dite e le sue guardie personali estrassero dalla cintura dei manganelli in metallo ricoperti di cristalli neri. Quando li strinsero in mano questi vennero percosse da delle lievi scariche elettriche.
Si trattava di armi di autodifesa e guardia pensate per folgorare e mettere fuori gioco l’aggressore senza ucciderlo.
 
“Vogliono folgorarmi e percuotermi. Forse con un altro avrebbe funzionato” ammise senza fare una piega.
 
-Puoi sempre inginocchiarti e implorarci, forse non ti faremmo troppo male- lo provocò la guardia che si era messa davanti a lui, ma in risposta ottenne solo il silenzio e uno sguardo di fastidio. Possibile che volessero tutti attaccare briga o prendersela con lui quel giorno. A quella reazione il bodyguard alzò il manganello per colpirlo. Ma prima che l’arma elettrica potesse colpirlo qualcosa gli afferrò il braccio.
Ciò che l’aveva fermato non era di certo umano anche se ne aveva i tratti. Si trattava dell’ombra di Nergal stesso. La quale si era allungata diventando tangibile e fermando l’aggressore del suo padrone. Tutti restarono a bocca aperta, incluso il giovane rampollo dei Kragebrats.
 
-Ma cosa?...-
 
-Toglimelo dai piedi- come ordinato l’ombra piegò il braccio della guardia per appoggiare il manganello elettrico contro la sua armatura e fargli prendere la scossa. Mentre era stordito gli strappò l’arma di mano e la uso per colpirlo alla testa mandandolo a terra. Gli altri tre si misero in guardia avvicinandosi al loro protetto. Anche se prendevano ordini il loro dovere primario era la protezione di Askew.
 
-Che diavolo è quella?- chiese il giovane indicando la figura nera.
 
-È solo la mia ombra- rispose tranquillamente l’altro mentre l’ombra tornava ai suoi piedi come era prima. Askew strinse i denti furioso, una feccia simile si stava davvero ribellando a lui. Un membro di una delle cinque famiglie più influenti di Kētō.
 
-Credi che ti perdonerò dopo questo affronto? Tu sei solo un…- prima che potesse finire la frase dei rovi neri spuntarono dal terreno immobilizzando le sue guardie. I tre provarono a liberarsi, ma erano completamente immobilizzati, ora era totalmente solo e senza alcuna difesa. Il giovane Kragebrats deglutì sentendo la paura crescere dentro di lui, mentre Nergal fece un passo in avanti.
 
-Pensi che con il tuo grado di Nobile di una delle “Cinque famiglia”, ti possa permettere di fare tutto quello che vuoi?!- a grandi falcate il corvino superò le guardie imprigionate, arrivando a tre metri da Andrew, che sussultò facendo un passo indietro iniziando a sudare freddo. Mentre Nergal lo scrutava da capo a piedi, poteva sentire l’odore di paura che il giovane stava emanando.
 
-In confronto a te, Fenrir ha più onore e classe- dopo quelle parole la paura che attanagliava Askew sparì facendo spazio alla rabbia che ardeva come un incendio. Come si permetteva di tirare in ballo i Bàthory, quei maledetti cani non facevano altro che guardarli dall’alto in basso. Ma lui era un nobile. Non poteva permettere che un mostro come quello lo trattasse così, ne andava del suo orgoglio e di quello della sua casata.
 
-NON SOTTOVALUTARMI SPAZZATURA!- alzò il braccio contro Nergal concentrando il potere magico per lanciare un incantesimo. La vampata di fuoco che scaturì dal suo palmo invece di essere lanciata in avanti, venne diretta verso il cielo. Il moro spostò lo sguardo vedendo che l’ombra del Maestro oscuro si era nuovamente allungata, afferrandogli e spostando la direzione del braccio con cui stava lanciando l’incantesimo.
Andrew preso in contropiede, provò a liberarsi. Ma la presa era ferrea anche se quella figura era fatta solo di ombra.  Strinse i denti portando la mano libera alla cintura per prendere la pistola, ma Nergal lo intercettò fermandolo e costringendolo a guardarlo negli occhi. Appena si specchio in quelle pozze rosse il giovane sentì tutte le forze e la rabbia scemare.
 
-…Già ero irritato. Ma ora tu mi hai fatto leggermente arrabbiare- disse rilasciando parte del suo potere. Sentendo quell’esposizione di mana da quella distanza ravvicinato, il giovane rampollo ebbe un conato di vomito, finendo per sporcarsi gli abiti costosi. Nergal si avvicinò al suo orecchio per sussurrargli qualcosa prima di lasciare la presa su di lui.
Askew cadde in ginocchio, stava tremando ed aveva un’espressione sconvolta stampata in volto.
 
-Ora se vuoi scusarmi, ho delle faccende da fare- schioccando le dita richiamò i rampicanti che teneva immobilizzate le guardie, mentre la sua ombra gli riportava il suo cappello che aveva lasciato sul tavolo.
Come se non fosse successo niente, si mise il capello in testa e si avviò sulla strada di casa. Le persone che avevano assistito alla scena erano incredule e confuse, mentre guardavano il membro della casata dei Kragebrats ancora in ginocchio. Che cos’aveva fatto e detto per farlo finire in quello stato.
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

-Davvero non ha notato niente di insolito, durante la ronda?- chiese l’agente nella stanza degli interrogatori.
 
-È quello che ho detto. Non ho notato niente di sospetto o insolito- disse Orio. Era una delle guardie assunte personalmente dai Bàthory per sorvegliare i loro magazzini portuali. Una cosa normale per dei nobili, e quindi avevano la maggior responsabilità sulle loro spalle.
 
-C’e lo ha già detto- disse l’agente sospettoso: -Ma è tutto quello che può dirci?- l’agente puntò gli occhi sull’uomo con sguardo affilato, per mettergli pressione e ottenere qualche informazione utile. Ma l’altro rise.
 
-Credete sia un lavoro fatto dall’interno?- la domanda di Orio non ottenne risposta, ma era chiaro che quella fosse l’ipotesi più accreditava che gli veniva in mente.
 
-Stiamo parlando dei Bàthory. Crede davvero che sia così stupido da mettermi contro di loro? Ci tengo alla mia vita! E poi sa quanto mi danno per fare il mio lavoro. Perché danneggiare gli affari di chi mi paga?- l’agente non si fece impressionare da quelle parole, limitandosi a guardarlo freddamente.
 
Dall’altra parte della stanza Alpha stava assistendo all’interrogatorio mediante il “Globo di osservazione” un oggetto delle dimensioni di una grossa sfera metallica con un frammento di cristallo posto davanti e da cui trasmetteva le immagini e il suono nella stanza.
 
-Facciamo entrare il prossimo?- gli chiese il suo assistente Bokkai. Un giovane agente proveniente dai paesi orientali oltre mare, dai capelli neri così come gli occhi e un’andatura timida. La donna scosse la testa, stavano solo facendo buchi nell’acqua.
 
-Dirgli di lasciarli andare tutti- sospirò infine poggiando il globo sulla scrivania e andando a sedersi sulla sedia, buttando la testa indietro. Le indagini andavano avanti e non avevano un solo misero indizio o poco più. Anche se la teoria della talpa non fosse totalmente da scartare e che avessero fatto esplodere il tutto per depistare le indagini. Ma gli sembrava tutto troppo elaborato per delle semplici guardie o un normale cittadino.
 
“Potrebbero anche aver assoldato dei professionisti?” si chiese. Non era da escludere anche tale eventualità, vista la lista di nemici che il capo famiglia dei Bàthory si era creato. Molti lo volevano fuori dai giochi sia a livello fisico che finanziario.
 
-Non crede siano stati loro?- chiese il suo aiutante notando l’espressione della donna.
 
-Che senso avrebbe rubare a chi li paga e anche profumatamente. E anche fosse stato qualcosa di molto prezioso, credi davvero che queste persone avrebbero rubato ai Bàthory?- il suo assistente sentì un brividio lungo la schiena scuotendo la testa.
Aveva sentito che i Bàthory non prendessero bene i tradimenti. C’era anche una storia su di un loro stretto collaboratore che avrebbe provato a vendere informazioni ad un‘altra famiglia. Questi dopo essere stato scoperto, come punizione venne smembrato vivo dal capofamiglia in persona e successivamente i suoi resti furono usati come pastura per la pesca al serpente marino.
 
-Solo un pazzo lo farebbe- la Comandante annuì.
 
-O qualcuno che non ne avrebbe paura- ammise lanciando i fogli sulla scrivania. Il giovane guardò i nomi segnati, trovandone due che la donna aveva evidenziato. Entrambi della cerchia delle cinque famiglia più potenti della città: i Matiboj e i Silverash.
 

 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

Nella stanza il rumore più preponderante era il suono del “Musicante” uno strumento che emetteva il suono di strumenti sia singoli che insieme. In questo caso era il suono del piano forte unito a quello del violino. Era un’armonia dolce ed elegante che a Fenrir piaceva tanto. Il capofamiglia era nella grande libreria della sua tenuta intento a controllare dei libri.
Questa ospitava molti libri e manoscritti sia classici che su argomenti approfonditi nel dettaglio e scoperte scientifiche. Secondo il suo parere non bastava la dote del comando per essere un leader, ma occorreva anche una vasta conoscenza in più campi.
 
Prese un volume dalla sezione dei testi antichi tornando ad uno dei tavoli della stanza. Si accomodò ad una delle poltrone iniziando a sfogliarlo. Dopo un’ora o poco meno sentì che qualcuno era entrato nella biblioteca.
 
-Rivelati- disse senza staccare gli occhi dal volume, sentendo il suono di passi che si avvicinava.
 
-Sono Kaien, my lord- disse la donna inchinandosi davanti a lui. L’argenteo alzò la testa dal volume osservando la sua guardia. Kaien era una donna molto bella dalla pelle diafana e le curve prosperose, il viso era incorniciato da lunghi capelli biondo chiaro con un ciuffo che nascondeva l’occhio sinistro. L’occhio visibile quello destro era verde smeraldo e le labbra erano sottili e rosee.
Indossava un uniforme argentata e nera con le parti del colletto e dei polsi in pelliccia e una cintura metallica a placche. In testa indossava un cappello basco in pelliccia con sul lato il simbolo dei Bàthory. Composto da uno stemma circolare con dei cristalli in basso e un lupo seduto su corpo di un drago morto.
 
-Come sta mia sorella?- chiese subito lui alzandosi e guardando la sua guardia.
 
-Lady Elizabeth è a riposo nella sua stanza. Le medicine stanno facendo effetto- Fenrir annuì abbozzando un sorriso. Per lui sua sorella era la cosa più importante e la sua protezione e benessere non aveva alcun prezzo o mezze misure.
 
-Avete scoperto qualcosa riguardo al furto ai nostri danni?- era lì per questo. Kaien non solo era una delle guardie più fidate della famiglia che proteggeva la tenuta, ma si occupava anche della divisione interna riguardo al raccogliere informazioni.
 
-Come da sua richiesta stiamo ricercando gli utilizzatori di magia che potrebbero aver organizzato il colpo. Visto il depistaggio, deve trattarsi di qualcuno di abile e che di certo non può aver agito da solo. Teniamo d’occhio il resto della nobiltà, mio signore- la cosa però non lo faceva restare tranquillo. Voleva quel maledetto ladro nelle sue segrete così da poterlo torturare, dovevano capire che non si scherzava con il suo casato.
 
-Posso chiedervi una cosa, lord Fenrir?- si permise la donna, lui annuì: -Perché pensate che il Maestro oscuro non c’entri? È stato visto sulla scena del crimine-
 
Era sicuro che avrebbe voluto tirare in ballo Nergal. Anche perché nonostante si fosse presentato sulla scena, non risultava sulla lista dei sospetti, ma aveva i suoi buoni motivi.
 
-Vero. Ma è meglio andarci cauti ad indagare con individui come lui- ammise tornado a sedersi sulla poltrona: -Inoltre gli oggetti magici che lui ricerca sono di tutt’altro genere da quelli che ricerco io. E anche se io avessi avuto qualcosa che voleva non avrebbe agito in quel modo. Si sarebbe presentato da me con un’offerta che non avrei potuto rifiutare, non è un mostro incivile come la maggior parte pensa-
 
-Quindi non indagheremmo sui suoi spostamenti?- l’argenteo scosse il capo.
 
“Preferirei evitare di mettermelo contro” si disse. L’ultima cosa che voleva era farselo nemico, non erano proprio amici del cuore. Ma si rispettavano a vicenda tanto da non mettersi i bastoni a vicenda. E sapeva che era meglio tenersi vicino gli amici e i nemici ancora più vicini, anche quelli possibili.
 
-Continuate le ricerche. E mentre andate dite alle cucine di prepararmi dell’Earl grey tea e una bella caraffa di caffè caldo. Avrò molto da leggere- la donna annuì con un inchino prima di uscire dalla stanza, lasciando il suo signore a continuare la sua lettura.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Salve a tutti e ben tornati ad un nuovo capitolo. Come ci eravamo lasciati nel precedente ecco che Nergal si ritrova a dover fare i conti con un rampollo nobile. Peccato che Askew non sia intelligente o avrebbe fatto meglio a lasciare stare e invece è stato umiliato.
Nel mentre le indagini sull’assalto al porto continuano ma senza successo, anche se dei sospettati scomodi ci sono.
Infine vediamo che anche Fenrir ha mobilitato le sue risorse per trovare il colpevole. Si vede che l’ha presa molto sul personale.
 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio chi segue e legge la storia e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
A presto.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

 

 
Il rumore delle grida riecheggiò tra le pietre delle mura di cui erano composte le segrete, amplificandone il suono. Per Askew, le sue stesse grida di dolore erano come delle coltellate alle sue stesse orecchie. Anche se meno dolorose delle frustate che stava ricevendo.
 
-Sei un’inutile idiota- gli gridò dietro suo fratello maggiore facendo schioccare la frusta, che provocò un segno sanguinante sulla schiena del giovane.
 
-Fratello…non è stata…AAAHHHH- cercò di giustificarsi ma si ritrovò solo da gridare quando venne frustato nuovamente. Geert Kragebrats, era il primo genito della casa e fratello maggiore di Askew. Ma in quel momento ne era così disgustato che avrebbe solo voluto vederlo sparire dalla faccia della terra.
 
-Hai idea dell’umiliazione che ci hai causato, coglioncello? Farsi trattare in quel modo da quello sgorbio cornuto!- suo fratello era furioso, così come lo era loro padre. Per loro un’umiliazione pubblica era un grave disonore.
 
-Non basta essere l’ultima famiglia della piramide. Getti ancora più fango su di noi!- gli urlò insultandolo e continuando a frustarlo per farlo urlare. Askew dovette stringere i denti ma il dolore era così forte che non riusciva a farlo uscire dalla sua bocca.
 
-…quel agh, tipo…non è nor..male…è un vero anf…mostro- si cercò di giustificare. Se suo fratello fosse stato lì insieme a lui, avrebbe di certo percepito quello che aveva percepito lui. Il mana di quel tipo con le corna era così denso e forte, che non poteva essere umano. Ma Geert strizzò gli occhi facendo schioccare nuovamente la frusta. Non voleva sentirlo, suo padre gli aveva detto di punirlo ed è quello che stava facendo.
Continuò a frustarlo finché non perse i sensi. A quel punto schioccò le dita ed una persona con il volto incappucciato, un torturatore si avvicino prendendo la frusta.
 
-Continuate finché non impara la lezione!-
 
-Si, signorino Geert- rispose il torturatore vedendolo uscire. Appena chiuse la porta fece cenno ad un altro torturatore di far riprendere i sensi ad Askew con dei sali. Un secondo dopo la stanza si riempì nuovamente di urla e schiocchi di frusta.
 
Geert uscì dalle segrete, tornando ai piani superiori. Quell’idiota di suo fratello lo aveva messo di pessimo umore e lo era anche suo padre. Con la figuraccia che aveva fatto, la loro reputazione aveva ricevuto un duro colpo ed era sicuro che qualcuno avrebbe potuto approfittarne.
Si fermò davanti ad uno dei numerosi specchi esposti nei corridoi della sua tenuta, ritrovandosi ad ammirare il proprio volto. Se paragonato a quello del suo fratellino, lui era molto più bello con la pelle chiara quasi pallida che metteva in risalto i capelli neri con qualche ciocca rosso scuro e gli immancabili occhi color ametista, una caratteristica della sua casata. Sotto all’occhio sinistro però partiva un tatuaggio viola scuro che scendeva per tutta la guancia, che ricordava una fune intrecciata con delle rune nere scritte all’interno dei nodi.
 
Avrà anche punito suo fratello, ma non poteva di certo lasciare impunito chi li aveva umiliati. Tirò fuori dalla tasca un fischietto in argento portandoselo alle labbra e soffiando. Ciò nonostante non venne prodotto alcun suono o almeno non uno di quelli percepiti dall’orecchio umano.
Qualche istante dopo quattro figure vestite interamente di nero si palesarono davanti a lui inchinati in prostrazione.
 
-Ci ha chiamati Lord Geert- disse uno dei quattro con una voce dal timbro femminile, restando con la fronte poggiata al pavimento.
 
-Si…- disse freddo continuando a guardarsi allo specchio senza guardarli direttamente: -Ho bisogno che raccogliate informazioni su Nergal Farigh- le quattro figure non fecero nemmeno una piega a sentire quel nome. Ma produssero delle specie di miagolii impercettibili.
 
-Vuole che…lo eliminiamo?-
 
-Mi stupirebbe se voi vermi ne foste capaci!- era chiaro che sebbene quegli sciavi fossero dei Birāla, anche con la loro innata silenziosità non potevano vincere contro uno come il Maestro oscuro. Di questo anche lui ne era consapevole.
 
-Sorvegliatelo a distanza, senza farvi scoprire. Voglio che abbiate informazioni su cosa fa e i suoi contatti. Andate!- le quattro figuro miagolarono appena per poi sparire silenziosamente così com’erano apparse. Quell’idiota di Askew aveva sbagliato a sfidarlo a viso aperto, lui preferiva altri metodi più subdoli. Ma prima di tutto gli servivano informazioni concrete e non solo le voci che girava, solo allora avrebbero potuto mettere in atto la loro ritorsione.
Quel mostro cornuto doveva capire che non si scherzava con i Kragebrats.
 

 
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[Tre giorni dopo]
 
Finalmente il giorno dell’asta clandestina era arrivato. Nergal non resisteva più, erano passati solo tre giorni è vero. Ma per lui erano state ore interminabili, passate a trasformare piombo in oro e a pensare a quando avrebbe avuto quel Grimorio tra le sue mani. E ora mentre si stava preparando sentiva le sue mani fremere.
Prese un profondo respiro asciugandosi i capelli. Prima di andare si era fatto una bella doccia fredda per cercare di sbollire la sua impazienza dell’inizio dell’asta.
 
Con solo un asciugamano alla vista stava guardando cosa mettersi tra gli abiti del suo armadio. Era indeciso su cosa mettersi, di certo non poteva andare in modo informale. Anche se era un’asta clandestina non voleva fare una pessima figura. Anche se nessuno avrebbe mai osato criticarlo o solo in pochi osavano farlo. Dopo una quindicina di minuti scelse il completo.
Optò per una camicia in seta rosso scuro dal bavero con rifiniture in argento e i bottoni in avorio, abbinati a pantaloni del medesimo tessuto ma neri e una cintura nera con fibbia in argento. Sopra invece indossava una ciacca in cuoio nero di Lindworm con delle lame ricurve in vero metallo sulla spalla sinistra come decorazione, scarpe e guanti erano entrambi neri con delle coperture metalliche affilate. E come decorazione ai polsi portava dei gemelli in argento e oro a forma di foglia.
 
Si fermò un attimo allo specchio per guardarsi e sistemarsi il colletto della camicia. Di certo era uno stile che non passava in osservato e poteva incutere un po' di timore. Ma era perfetto per l’evento a cui avrebbe partecipato.
 
-È il momento di andare- disse avviandosi verso la porta, ma si fermò un’istante prima di uscire. Non poteva lasciare la sua dimora così incustodita, anche se non credeva che si sarebbe avvicinato qualcuno.
Schioccò le dita un paio di volte e l’aria all’interno dell’abitazione tremolò per un’istante. Dopo un secondo si sentì un rumore, come se qualcosa stesse strisciando sotto il parquet e la carta da parati. Non si capiva cosa lo stesse producendo ma erano tanti e piuttosto grossi.
 
“Io esco, se entra qualcuno di sospetto catturatelo” disse telepaticamente prima di uscire ed affidare la protezione ai suoi “guardiani”.
 
 
Il teatro Middle tent, era un classico teatro in stile europeo, fabbricato in marmo e legno alto due piani. Una struttura imponente se si valuto che si trova sulla soglia che separava la parte bassa da quella alta di Kētō. La struttura era stata pensata per le classi “benestanti” dei bassi fondi e quelle più povera della parte alta.
Ma questo teatro in realtà aveva anche una doppia faccia. Dato che oltre agli spettacoli si tenevano anche incontri clandestini per la vendita di oggetti esotici e preziosi o quello degli schiavi.
 
Quando Nergal ci si trovò davanti, notò che era tutto chiuso. O almeno da fuori. Stando dalle informazioni lasciategli da Dhalsim, si entrava da dietro e con una parola d’ordine. Per fortuna il librario si era premurato di scrivergli anche quella.
Si guardò intorno per vedere di non essere seguito e sgusciò nel vicolo vicino alla struttura fino alla porta di emergenza. Afferrò la maniglia ruotandola tre volte a destra. La porta si aprì e lui si ritrovò dei fucili puntati contro, da quattro individui mascherati. Il corvino li osservò uno per uno senza minimamente battere ciglio.
 
-Devo comprare un biglietto per lo spettacolo- disse semplicemente. I quattro tirarono indietro la sicura delle armi.
 
-Prima classe o popolano?- chiese uno di loro. Questo era il momento della verità, se avesse sbagliato gli avrebbero sparato e dato l’allarme.
 
-Posto sotterraneo con vista sulle gabbie grazie- ci furono qualche secondo di silenzio e alla fine i quattro si fece da parte facendolo entrare e chiudendo subito la porta.
 
-Più avanti c’è una botola che porta alla sala dell’asta- lo informò una delle guardie: -Le consiglio di indossare una maschera se vuole restare anonimo- ringraziò andando verso la botola indicata che era aperta e tirando fuori da sotto la giacca una maschera a punta in metallo che copriva fronte fino alla punta del naso con delle lenti rosso scuro sui buchi degli occhi. Se la infilò in volto e scese giù nella botola.
Quando giunse alla fine di essa si ritrovò in un’ampia stanza ad arco, con al centro un grande palcoscenico. All’interno c’erano almeno un centinaio di persone sedute a dei tavoli. Tutti con indosso delle maschere.
 
-Salve caro ospite- disse una voce facendolo girare di scatto incontrando un cameriere con una maschera meta bianca e metà nera.
 
-Vuole accomodarsi ad un tavolo?- il corvino annuì: -Prego mi segui- gli disse il cameriere conducendolo lungo i tavoli già occupati. Non riconosceva nessuno degli ospiti anche se non gli importava poi molto. Era venuto solo per un’oggetto in particolare e nient’altro.
Lo fecero accomodare ad un tavolo circolare completamente da solo.
 
-Gradisce dell’idromele?- gli domandò una cameriera in abito molto succinto che risalvata molto le sue forme e faceva intravedere lo spacco dei seni e le gambe. Anche lei aveva una maschera come il cameriere.
Ci pensò su un’istante per poi fargli segno di si con le dita, mettendo sul tavolo una moneta d’oro. La cameriera gli versò un bicchiere del nettare giallastro, e con rapidità prendere la moneta. Nergal prese il bicchiere facendo ondeggiare l’alcool fermentato nel bicchiere e prendendone un sorso. Sentì in bocca prima il retrogusto dolciastro del miele e poi quello forte dell’alcool. Non era il suo alcolico preferito ma per una serata come quella ci stava bene.
 
Dopo una ventina di minuti, un uomo mascherato con degli abiti appariscenti salì sul palco scenico facendo un inchino ai partecipanti.
 
-Do il benvenuto a tutti i partecipanti all’asta. Prima di iniziare vi spiegherò le regole: Chi rilancia di più per un’oggetto se lo aggiudica, gli oggetti verranno consegnati solo a fine asta con il compenso in denaro…ed ora bando alla chance, diamo inizio all’asta!- un lieve coro si alzò dalle persone nella sala, mentre due grossi e muscolosi schiavi, portavano sul palco il primo oggetto.
 
-Il primo pezzo di oggi è un grosso contenitore di: Gjesnekool. Invecchiato per più di tre secoli- il contenitore era fatto in vetro scuro e spesso grande come un uomo, all’interno c’era quello che sembrava un serpente marino striato con una grossa pinna rossa lunga tutto il corpo, che galleggiava in dell’alcool. Il Gjesne era forse uno dei più piccoli e sfuggente tra le specie dei serpenti marini, molto difficile da avvistare. Catturarne uno, era una vera rarità.
 
-La base d’asta è di cinquanta milioni- comunicò gli annunciatori dando inizio alle offerte.
 
-Sessanta milione- disse qualcuno dei presenti, mentre altri rilanciavano alzando i prezzi.
 
-Venduto a centocinquanta milioni- si congratulò il banditore facendo segno di portare il prossimo oggetto. Questa volta era una gabbia in ferro e vetro con all’interno un uccello simile ad un pappagallo ma al posto delle piume aveva una corazza cheratinosa simile ad un cervo volante e dei barbigli marrone scuro che spuntavano appena dalle giunture.
 
-Proseguiamo con un esemplare di uccello Zhen delle terre orientali. Questa specie è classificata come animale pericoloso per la polvere velenosa che secerne. La base d’asta è di cento milioni-
 
-Duecento milioni- offrì qualcuno tra la folla. Nergal si chiese chi volesse avere così tanto quell’uccello. L’unico pregio era la polvere che oltre ad essere letale, aveva anche un effetto dipendente su chi la usava, come una droga. Chi li capiva i gusti degli altri era proprio bravo.
 

 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

-Duecentotrenta-
 
-Trecento- ribatte qualcun altro.
 
-Non pensavo potesse interessarti- disse Nansen rivolto alla persona seduta al suo stesso tavolo.
 
-Ho una predilezione per gli animali esotici- rispose Ju-Won. Era un individuo di più di vent’anni abbastanza in carne e con degli abiti tradizionali orientali con rifiniture in oro e dei fermagli decorati con delle gemme. Come maschera ne indossava una che mostrava un grande sorriso e un pizzetto finto. Ma questa non nascondeva i capelli neri legati in una piccola coda bassa e le grandi orecchie i cui lobi erano più lunghi del normale.
 
-Vuoi mangiartelo?- chiese l’altro, un membro dei Matiboj. Mentre l’altro era un membro della famiglia Shangdi.
 
-Certo che no! La sua polvere ha molti utilizzi dalla medicina all’assassinio- spiegò velocemente lui, aspettando che qualcuno ribattesse la sua offerta.
 
-Trecentocinquanta mila-
 
-Quattrocentocinquanta- aumentò lui, non voleva certo farsi sfuggire una specie vietata come quella.
 
-Comunque ti sei accorto di chi c’è laggiù?- chiese il biondo, dietro alla maschera da drago indicando un punto sotto al piano rialzato dove si trovavano. Ju-Won seguì il punto indicato, vedendo una persona solitaria al tavolo con una maschera metallica. Per sfortuna però non nascondeva le corna che erano irriconoscibili.
Il giovane degli Shangdi si stupì di ritrovare lì una creatura più unica che rara come quella.
 
-Non mi aspettavo di vederlo qui. Chissà cosa cerca?- si chiese mentre il battitore chiudeva l’asta per lo Zhen a suo favore.
 
-Ho sentito che dovrebbero mettere all’asta un Grimorio- ora gli era tutto chiaro. Si trovava lì solo per accaparrarselo.
 
-Vorresti fare un offerta per quel libro?- Nansen rise divertito.
 
-Potrei solo per fare un dispetto a quel Cervo nero. Ma non mi interessano quei vecchi libri ammuffiti, sono troppo pericolosi- il paffutello dovette dare ragione al suo “amico”, anche la sua famiglia lo aveva messo in guardia dalle magie contenute nei Grimori.
 
Il picchiettio della protezione metallica del dito contro il legno del tavolo, stava diventando un suono ritmico di impazienza. Non ne poteva più di aspettare. Sapeva che in ogni asta lasciavano i pezzi migliori per la fine, ma quel chiacchierone del battitore parlava troppo e anche i presenti erano assurdamente lenti.
Lo facevano apposta a farlo aspettare per farlo innervosire. Strinse la presa sul bicchiere che iniziò a creparsi. Mentre digrignava i denti per l’impazienza di aspettare l’oggetto che gli interessava, allora si chiese: Perché dovesse aspettare. Avrebbe fatto meglio a liberare i suoi poteri per prendere il Grimorio con la forza. Per lui sarebbe stato facile e se qualcuno avesse provato a fermarlo non avrebbe dovuto far altro che farlo fuori.
 
“Liberati da queste buone maniere e sfoga tutto il tuo potere” la voce che la pronunciò non sembrava quella dei suoi pensieri. Era qualcosa di più oscuro come le tenebre che lo circondavano e che erano parte di lui. Erano come parassiti sottopelle che si contorcevano per essere alimentati.
 
-Mi scusi signor ospite, gradisce ancora da bere?- chiese il cameriere avvicinandosi al suo tavolo. Strinse il bicchiere mandandolo in frantumi e facendo sobbalzare il poveretto. Attirando l’attenzione di qualcuno dei tavoli vicini.
Nergal si rivolse a chi lo stava disturbando, scrutandolo con i suoi occhi rossi che sembravano brillare come tizzoni di magma fuso.
Il poveretto deglutì sentendo un vento gelido entrargli fin dentro le ossa. Tutto quello che voleva era solo il Grimorio e lui si stava stufando di quell’attesa. Graffiò il tavolo con gli artigli metallici del guanto, mentre l’oscurità del locale sembrò convergere sotto i suoi piedi, come se lui la stesse richiamando a se.
 
-Forse…dovrei farlo sul serio…- sussurrò dando ascolto al pensiero nella sua mente. Alcune delle persone percepirono una densa e forte sorgente di mana oscuro. Inclusi i Ju-Won e Nansen che guardarono subito il Maestro oscuro, chiedendosi cosa avesse in mente di fare, mentre la paura cresceva, facendosi strada dentro di loro.
A Nergal sarebbe bastato uno schiocco di dita, per richiamare i suoi rampicanti e tingere quella stanza di rosso sangue. Un solo schiocco e avrebbe liberato il suo potere.
 
-Venduto per quattrocentotrenta monete- disse il battitore mentre i due schiavi portavano via l’antico spadone: -Ed ecco l’ultimo oggetto della prima parte dell’asta- sul palco venne portato un piedistallo con una teca in vetro e dentro di esso un libro. Appena lo vide si bloccò, poco prima di schioccare le dita. Il Grimorio era finalmente arrivato.
A quella vista sentì tutta la sua frustrazione, la rabbia e l’istinto di distruzione, scemare da dentro di lui. Come se l’oscurità che stava cercando di possederlo non avesse più alcun appiglio su di lui, finendo per ricadere da dov’era venuta. Si alzò di scatto per provare a vederlo meglio, fermando l’afflusso della sua magia. Il cameriere a quel punto ne approfittò per defilarsi.
 
-Un autentico Grimorio, recuperato da delle antiche rovine del deserto Khurrai. Il prezzo iniziale è…- l’uomo non finì la frase che sentì qualcuno che gli passava di fianco. Nergal era salito sul palco mettendosi proprio davanti alla teca che conteneva il libro per guardarlo più da vicino. Aveva una copertina a motivi a squame bluastro con piccole decorazioni in osso e il disegno in rilievo del teschio di un animale non ben definito.
Si era avvicinato anche perché voleva sentire che fosse autentico e non una contraffazione. Ma dal residuo di mana che percepiva da oltre la teca, era chiaramente autentico. Preso ad osservarlo non si rese conto di essere stato circondato e tenuto sotto tiro dalle guardie dell’asta.
 
-Signore è vietato salire sul palco. Le chiedo cortesemente di scendere, oppure verrà scortato fuori- in risposta si tolse la maschera dal volto, girandosi lentamente così che l’uomo e il resto dei partecipanti potessero vedere con chi avevano a che fare.
 
-Offro settecento milioni per il Grimorio- disse secco. Il battitore per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, mentre nella stanza si alzò un brusio di stupore. La sua battaglia, se così si poteva chiarare iniziava adesso. Voleva vedere chi avesse avuto il coraggio di sfidarlo.
 
-O..offro ottocento…- provò a dire un’altra persona interessata, ma lo sguardo che il corvino gli lanciò ebbe lo stesso effetto di una spada che gli lacerava le carni. Il poveretto si morse la lingua facendo segno di volersi ritirare.
 
-Allora sono settecento milioni…nessuno offre di più?...- nessuno osò alzare la mano per ribattere: -Settecento milioni e uno…due…tre…Venduto per Settecento milioni. Ora signore potrebbe tornare cortesemente al suo posto- lo pregò il battitore. Nergal lanciò uno sguardo al Grimorio poggiando la mano sul vetro della teca, prima di rimettersi la maschera e scendere dal palco tornando al suo posto. A quel punto tutti sembrarono tirare un sospiro di sollievo.
 
-Mi scusi cameriere- tutti i camerieri sobbalzarono sentendosi chiamare, nessuno di loro voleva andare a vedere cosa volesse. L’uomo più vicino al tavolo spinse una sua collega verso il corvino. Questa squittì appena sentì il suo sguardo su di sé.
 
-C..co..cosa po..posso fare per…voi?- balbettò tremando per la paura.
 
-Posso avere della birra se possibile?-
 
-C..certo signore. Gliela vado subito a prendere- disse lei sparendo a prendere quello che gli era stato ordinato.
 

 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 

-Venduta per quattrocento ottanta milioni- il banditore chiuse l’asta per una donna avvenente vestita con una toga bianca e i capelli marrone scuri raccolti sulla testa. La seconda parte dell’asta clandestina consisteva in schiavi di varie razze e terre. Portati lì solo per essere venduti al miglior offerente.
 
-Peccato, era molto carina!- si lamentò il membro dei Mariboj.
 
-Se la volevi davvero avresti offerto di più. O sei a corto di soldi?- rise Ju-Won. L’altro gli fece il dito medio per mandarlo a fare in culo. Mentre un’altra donna veniva portata sul palco. Anch’essa vestiva con una toga bianca che metteva in mostra il fisico ben sviluppato ma non troppo. Aveva dei capelli ricci color nocciola e un solo grande occhio di colore azzurro.
 
-La prossima merce è una Ciclope di vent’anni. Base d’asta trecento milioni-
 
-Trecento-
 
-Cinquecento-
 
-Seicentoventi- offrì Nansen. Quella femmina lo attirava molto.
 
-Settecento-
 
-Ottocentocinquanta- rilanciò il biondo, deciso a non perdere quella battaglia.
 
-La vuoi proprio quella schiava è?- gli chiese l’asiatico, l’altro non rispose, ma da quanto offriva era chiaro che la volesse.
 
Nergal invece passò il tempo a bere, anche se quello spettacolo nauseabondo gli faceva quasi chiudere lo stomaco. L’idea di avere uno schiavo per lui era qualcosa di impensabile.
E se davvero avesse voluto degli schiavi, avrebbe preferito il rispetto o al massimo la paura per tenerli al suo servizio. Invece del Collare di controllo.
Mandò giù forse la birra numero cinque, non lo sapeva. Dopo che si era accaparrato il Grimorio, avrebbe dovuto aspettare la fine dell’asta per averlo e già questo gli dava fastidio. Così vicino ad assaporare il potere che conteneva eppure bloccato. Poteva sentire nuovamente l’impazienza che tornava, ma questa volta si impose di ricacciare l’oscurità in fondo e lasciarla lì dov’era. Ormai era quasi finita e dopo quelle ultime fasi avrebbe lasciato a quelle sanguisughe i soldi e sarebbe tornato a casa per vedere meglio il suo acquisto.
 
“Resisti ancora un po' e non perdere la calma” si diceva picchiettando lo stesso nervosamente, il dito contro il legno.
 
-Ed ora eccoci arrivato all’ultima asta della serata. Per voi abbiamo tenuto il pezzo migliore per la fine- l’uomo fece segno di portare sul palco l’ultima merce dell’asta di schiavi. Tre figure vennero costrette a salire sul palco, causando lo stupore generare. Quando il moro alzò lo sguardo sgranò gli occhi anche lui davanti a ciò che stavano mettendo all’asta.
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Ed ecco finalmente il momento dell’asta clandestina è arrivato. Ma prima vediamo nuovamente Askew che però viene punito per essere stato umiliato da Nergal. Si vede che i Kragebrats tengono più all’onore che al legame di sangue.
Chissà che avranno in mente di fare per ripercussione contro il Maestro oscuro?
L’asta si è svolta in maniera tranquilla, se si toglie il fatto che il protagonista voleva fare una strage solo perché era stufo di aspettare. Ma alla fine ha avuto quello che voleva e non ha nemmeno dovuto faticare.
 
Chissà cosa avrà stupito tutto incluso il nostro caro Nergal? Dovrete aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo. Ringrazio chi è arrivato a leggere fin qui e spero che la parte dell'asta non sia stata pesante, visto che è la prima volta che ne scrivo una. A presto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

 
 
Una scintilla che dava inizio ad un incendio. Erano le parole perfette per descrivere cosa sentiva Nergal in quel momento. Quando sul palco vennero portate con la forza tre avvenenti e magnifiche donne. Ma non si trattava di donne di una razza qualsiasi, ma delle Ninfe.
Creature femminili leggiadre e dame della natura, la loro bellezza e padronanza della magia le rendeva delle prede succulente per i mercanti di schiavi. Ma vista la loro natura sfuggente era molto raro vederne un esemplare sul mercato.
 
Dai fiori chiusi che avevano tra i capelli e che sembravano in simbiosi con loro, dovevano trattarsi di ninfe dei prati o delle foreste. Strinse il tavolo fino a bucarlo con gli artigli, mentre sentiva una rabbia che divampava come un incendio pronto ad inghiottire un’intera foresta che cresceva dentro di lui.
 
-L’ultimo articolo della seconda parte dell’asta e della serata, sono tre splendide ninfe catturate direttamente da Tír na nÓg. La base d’asta per tutte e tre è di cinquecento milioni di monete d’oro- appena il battitore annunciò il prezzo nella sala si scatenò il deliro. Tutti che rilanciavano per accaparrarsi quelle splendide fanciulle.
Quel comportamento non fece altro che aggiungere benzina sul fuoco. Ora si che sentiva il netto impulso di imbrattare la stanza di sangue e portare via le ninfe. Le vite di quelle inutile sanguisughe erano niente in confronto a quelle delle fanciulle del popolo nascosto.
Le tenebre nel suo animo attecchirono nuovamente nel suo animo. I parchi appuntiti delle sue corna sembrarono estendersi verso l’alto e le increspature su di esse si fecero più luminose. Anche i marchi sul suo corpo causati dai Grimori iniziarono nuovamente a farsi sentire, come se fossero appena stati fatti. L’aria nella stanza sembrò farsi più pesante e gelida, tanto che alcuni sentirono dei brividi. Ma nessuno ci fece caso a questi cambiamenti, a parte una davvero ristretta di persone.
 
“Non di nuovo!” si disse Nansen richiamando il suo mana e preparandosi a lanciare un incantesimo, così come Ju-Won che strinse un amuleto di protezione. Non capivano cosa passasse nella mente di quel mostro o se avesse degli sbalzi di umore. Ma se voleva attaccarli avrebbero venduto cara la pelle, erano dei nobili dopotutto.
 
“Uccidili tutti…non permettere che macchino la purezza della tua gente…UCCIDILI!” i suoi occhi diventarono due puntini rosso brillante. E tutte le ombre della stanza si mossero minacciose, senza che nessuno si accorgesse. Troppo presi dall’asta in corso e dal premio. Quell’impulso stava chiedendo del sangue e lui era ben lieto di versarlo. Mentre faceva quel pensiero, continuò a tenere lo sguardo sulle tre fanciulle, guardando quella che sembrava la più giovane.
 
I fiori sono creature buone ma delicate. Quando te ne prendi cura devi essere delicato e sensibile con loro” quelle parole risuonarono nella sua testa, gettando acqua sul fuoco che lo aveva invaso. E tutta la forza ostile che si percepiva nella stanza sparì come quel fuoco.
Un ricordo, di una voce leggera e melodiosa come una dolce brezza mattutina. Qualcosa che era tornato dalle profondità della sua mente, per calmare le tenebre e fargli riacquistare la lucidità.
 
 
Scosse la testa guardando la giovane ninfa, aveva un viso di porcellana e la carnagione color miele con dei lunghi e mossi capelli color nocciola pieni di boccioli chiusi. Gli occhi erano molto particolari, con la sclera verde chiaro e la pupilla marrone.
Si stringeva forte alla maggiore del trio, con gli occhi pieni di lacrime. Stava morendo di paura, sotto gli occhi di tutti quelle persone che vedevano in loro solo degli oggetti. Era sicuro che anche le altre due provassero la stessa cosa, se non fosse stato per le catene in Oricalco sarebbero già scappate.
 
-Offro Novecentosessanta milioni- disse un individuo grasso e disgustoso.
 
-Novecentosessanta milioni. Nessuno offre di più?- chiese il banditore osservando i presenti. Nergal lanciò uno sguardo di fuoco alla palla di lardo che aveva fatto l’offerta. Questi si stava già leccando le labbra con espressione lasciva, pensando di essersi già accaparrato le tre fanciulle. Era arrivato il momento che anche lui fosse sceso in campo.
 
-Offro un miliardo- un brusio riempì la sala mentre tutti si voltarono a guardarlo. Anche i due membri delle cinque famiglia rimasero stupiti. Le tre ninfe attirate da quel brusio di stupore, guardarono chi aveva fatto l’offerta.
 
-Un miliardo e cento milioni-
 
-Un miliardo e trecento milioni- ribatté Nergal, ma il grassone non sembrava intenzionato a mollare l’osso continuando a ribattere.
Il resto dei partecipanti rimase con il fiato sospeso. Più interessati a vedere lo scontro di rialzi tra i due che da quello che si stavano contendendo. Inoltre quel tipo stava sfidando il Maestro oscuro, non sapevano dire se fosse più stupido o coraggioso.
 
-Quel tipo non ha il senso della sopravvivenza vero?- chiese Ju-Won, ricevendo un no con il capo dal biondo.
 
-Mi stupisce che stia rilanciando per delle schiave- ammise Nansen. Da quanto suo padre gli raccontava e dai suoi informatori, quel tipo preferiva la solitudine. Trovava bizzarro che volesse compagnia, ma dopotutto anche lui era un uomo e forse non resisteva alla tentazione della carne.
 
-Come se tu non avessi fatto delle offerte- rise il giovane grassottello degli Shangdi. Il membro dei Mariboj non poteva certo ribattere. Ma quando anche il corvino era entrato in gioco, aveva preferito ritirarsi. Il gioco non valeva la candela.
 
-Certo che stanno rilanciando parecchio…dici che hanno davvero tutto quel denaro?-
 
-La mia famiglia li guadagna in pochissimo tempo, così come la tua…ma il Maestro oscuro…- sapendo che abitava nella parte bassa, la cosa gli puzzava. Perché se aveva davvero tutto quel denaro, avrebbe anche potuto trasferirsi nella parte alta.
Certo non sarebbe stato tra i più ricchi, ma un posto attaccato alle mura di divisione per la bassa nobiltà, poteva anche trovarlo. Scosse subito la testa a quel pensiero. L’idea di averlo vicino gli faceva venire i brividi, più lontano stava dalla parte alta di Kētō e meglio era per loro.
 
Intanto il continuo ribattere di quel tipo, gli stava davvero facendo perdere la pazienza. Anche se non si aspettava di prendere altro, era sicuro di poter pagare. Non era preoccupato per la somma che continuava ad alzarsi, aveva prodotto molto oro per il Grimorio.
 
-Un miliardo e ottocentocinquanta milioni- rialzò l’uomo. Una vena iniziò a pulsargli sulla fronte, nascosta dalla maschera. Nergal iniziò a muovere il dito sul tavolo in una maniera nervosa. Era il momento di chiudere quella faccenda il più presto possibile.
 
-Ho capito…OFFRO DUE MILIARDI!- tutti nella stanza emisero un verso di stupore. Anche il banditore era rimasto spiazzato da quell’offerta.
Il grassone grugnì infuriato, quella pulce gli stava facendo spendere più del dovuto. Ma prima che potesse ribattere sentì l’aria mancargli dai polmoni, come se una mano gli stesse stringendo il collo impedendogli di parlare. Provò ad alzare le mani per chiedere aiuto, ma anche queste vennero bloccate dalla sua stessa ombra.
 
-Se nessun’altro offre di più allora vendute per un Due miliardi…con questo si conclude l’asta. Grazie a tutti per la partecipazione- dichiarò il banditore, mentre Nergal costrinse l’ombra del tizio a tenerlo bloccato ancora per un minuto o due.
Finalmente ora che quella sceneggiata era finita, poteva reclamare i suoi premi. Solo in quel momento riuscì a far incrociare il suo sguardo con quello delle ninfe. Anche se era stato solo un contatto visivo tutte e tre provarono paura per ciò che gli sarebbe successo, ma stranamente sentirono anche un senso di serenità.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
-Dovrei ringraziarla per questo spettacolo. È stato magnifico- ammise il banditore dopo aver fatto accomodare Nergal in un’altra stanza privata, per riscuotere gli oggetti presi all’asta e dargli i soldi.
La stanza dove l’avevano fatto accomodare era abbastanza fatiscente, non al livello degli edifici della parte alta della città. Ma comunque aveva un arredamento che le persone della parte bassa, potevano solo sognarsi.
 
-Quindi oltre che a fare il battitore, sei anche l’organizzatore dell’asta?- chiese poggiando i gomiti sul tavolo che separava lui dall’uomo mascherato. Questo scoppiò a ridere divertito.
 
-Bella domanda…ma irrilevante alla fine. Non trova anche lei?- non rispose. Si portò la mano a togliersi la maschera, così da guardare il tipo faccia a faccia.
 
-Evitiamo i convenevoli, voglio quello per cui ho pagato!- affermò secco, voleva assolutamente mettere le mani sul Grimorio e anche le ninfe. L’uomo annuì mantenendo una postura dritta, ma sotto stava avendo i brividi. Le voci secondi i quali gli occhi del Maestro oscuro ti scavano dentro erano vere.
 
-Le farò portare qui…subito dopo che ci avrà pagato l’intera somma. È la norma dell’asta- il corvino concentrò il suo mana per far crescere una grossa pianta carnivora rampicante, piena di rovi. L’uomo sobbalzò pensando che l’avrebbe divorato, ma invece la pianta rigurgitò tre casse.
 
-Quelli sono per il Grimorio- il banditore schioccò le dita. Due uomini armati entrarono nella stanza, aprendo le casse, che erano stracolme di pietre d’oro.
 
-Non le dispiace se controllo meglio?- disse prendendo dalla tasca un monocolo con ben tre lenti le cui due più avanti diventavano più piccole. Lo poggiò all’apertura dell’occhio della macchina e lasciò che il Monocolo d’analisi facesse il suo lavoro. Dopo un paio di istanti l’uomo annuì, quell’oro era vero.
Ora rimaneva solo il pagamento per le tre ninfe, che superava ben due miliardi. Non era certo una somma da poco. Nergal schioccò nuovamente le dita e la pianta vomitò un forziere blindato, per poi sparire.
 
-Che c’è lì dentro?- chiese guardando il forziere. In risposta il corvino sbloccò la sicura magica e lo aprì. Al banditore per poco non cadde la maschera vedendone il contenuto.
 
-Però…- riuscì solo a dire guardando la grande quantità di Coni reali: -Non ho mai visto così tanti Coni reali tutti insieme. Visto il numero, temo dovremmo fare i conti-
 
-Basta che ti sbrighi- disse con uno sbuffo infastidito e ansioso.
 
Ci volle più di un’ora per completare la conta delle monete. Nergal contò ogni singolo secondo sentendo i suoi nervi logorarsi ad ogni numero che aggiungeva. Doveva davvero avere quel Grimorio in quel momento, o avrebbe potuto richiamare la sua pianta e fargli divorare quella lumaca mascherata.
 
-Visto che ha pagato tutta la somma che aveva offerto- schioccò le dita e altri tre uomini portarono nella stanza il Grimorio e le ninfe. Nei loro sguardi riuscì a leggere paura e in parte rassegnazione. Quello per lui fu come ricevere delle pugnalate al cuore.
 
-Eccovi il Bracciale del padrone, così che non disubbidiscano- il banditore poggiò sul tavolo un bracciale nero con sopra una gemma rossa. Come diceva il nome, era l’oggetto collegato ai collari degli schiavi e che costringeva questi ultimi a fare quello che i loro padroni volevano. Si alzò dalla poltrona, indossando il bracciale e prendendo il libro sotto braccio.
 
-Andiamo- le tre sobbalzarono mentre i loro corpi sembrarono muoversi contro la loro volontà, avvicinandosi al corvino.
 
-Spero di vedervi ancora ad una delle nostre aste- gli augurò l’uomo mascherato. Ma lui era di tutt’altro avviso, sperava vivamente di non dover più andare in quel posto.
Uscì dalla porta sul retro dov’era entrato seguito dalle sue schiave. L’aria si era fatta fredda per la sera e le ragazze indossavano solo delle toghe leggere. Doveva sbrigarsi a portarle a casa o avrebbero preso freddo.
 
-Complimenti per la tua vincita. Lasciatelo dire, mi hai stupito- disse Nansen bloccandogli la strada. Ora che non aveva più la maschera si poteva vedere meglio il viso dai tratti duri e gli occhi verde acqua. Il membro dei Mariboj ghignò con dietro di sé la sua scorta personale e la ciclope che aveva acquistato all’asta.
 
-Tu chi sei?- quella domanda lo colpì alla testa come un martello. Possibile che non lo riconoscesse.
 
-SONO NANSEN DEI MARIBOJ, UNA DELLE CINQUE FAMIGLIE!- gli gridò in faccia punto sul viso. Nergal alzò un sopracciglio e dalla sua espressione era chiaro che non sapeva di cosa stesse parlando. Il biondo si morse il labbro inferiore incazzato dalla situazione. Ma anche se avesse voluto lanciargli un fulmine, doveva essere diplomatico.
 
-Vengo subito al punto, vorrei acquistare le tre schiave che hai comprato. Ti ridarò la stessa somma che hai speso per loro e…anche informazioni su un altro Grimorio- aveva gettato l’esca, ora doveva solo aspettare una sua risposta affermativa. Sapeva che quel tipo con le corna era disposto a sborsare qualunque cifra per avere informazioni o direttamente quei polverosi libri. Lui aveva le schiave e l’altro recuperava il denaro e informazioni utili. Un’offerta vantaggiosa per entrambi.
Iasgach la più grande delle tre ninfe, era molto preoccupata per la piega della conversazione. Già essere state vendute come schiave era un vero disonore, ma essere trattate come oggetti. Se non fosse stato per le manette di Oricalco avrebbe già attaccato quei due uomini, anche se capiva che fossero pericolosi. Soprattutto quello che le aveva acquistate. Alla sua vista gli sembrava più una figura totalmente nera con dei grossi palchi di corna sulla testa.
 
“Cosa accidenti è?” si stava chiedendo, stringendo le altre due a sé. Preoccupata per le sue sorelle più giovani. Nergal in risposta alla proposta, si avvicinò con un paio di falcate arrivando davanti al membro dei Mariboj, guardandolo negli occhi.
 
-Di un po'…mi credi così stupido da abboccare all’amo come un pesce?- Nansen fece un passo indietro sentendo la forte pressione del mana rilasciata dal corvino. Il suo respiro si fece irregolare e il suo sesto senso gli stava dicendo che era in pericolo.
 
-N..no…io ti stavo…solo f…facendo una propos…- non finì la frase che dei rovi neri spuntarono intorno a lui e alla sua scorta bloccandola in caso avessero provato ad intervenire. Il Maestro oscuro gli lanciò un’ultima occhiata, come a dirgli di non provarci più o ne avrebbe pagato le conseguenze.
Tornò indietro verso le ragazze che lo guardavano spaventate. Lui le sorrise appena come per tranquillizzarle.
 
-Non dovete temere- gli disse prima di schioccare le dita e tutti e quattro vennero inghiottiti da delle radici rampicanti nere. Sparendo nel nulla sotto lo sguardo dei presenti.
Quando anche i rovi vicino al biondo sparirono, potè tornare a respirare di sollievo. Una cosa però se l’era segnata, ed era di non provare più a contrattare con quel mostro.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
Le radici che le avvolsero come un fiore chiuso, davano una sensazione di pesantezza e freddo, anche se non erano strette come delle corde. Le ragazze si strinsero di più per non toccarle, avevano il presentimento che se lo avessero fatto, avrebbero sentito una morsa gelida nel loro spirito.
Quando il buio e le radici si ritirarono, non si trovavano più in strada. Ma all’interno di un’abitazione con un arredamento elegante dai toni del rosso scuro e nero, illuminato da delle candele che rendevano il tutto molto tetro.
 
Si guardarono intorno spaventate, ma anche piuttosto curiose. Era la prima volta che visitavano una dimora come quella, così diversa dalle loro case, create all’interno di un grande albero o in una collinetta.
 
-Benvenute a casa mia- le disse poggiando il Grimorio sul mobile più. Le due ninfe più giovani si strinsero a quella più grande che sembrava volerlo sfidare.
 
-Dè ta sinn a ‘dèanamh?* (Che facciamo?) -
 
-Chan eil fios agam*… (Non lo so) - rispose Iasgach, senza perdere di vista quell’uomo. Quel tipo decisamente non era umano e soprattutto era molto pericoloso, più di qualunque cosa lei avesse visto in tutta la sua vita. Un brivido le percorse, facendole girare lo sguardo in tutte le direzioni, sentendosi osservate. Come se qualcosa dentro i muri e il pavimento le guardasse.
 
-Ah giusto- Nergal schioccò le dita e le presenze che aveva lasciato a guardia della casa scomparvero. Si era completamente dimenticato dei suoi “guardiani” anche perché non pensava di avere ospiti e nemmeno li aveva spesso. Che ora che se ne rendeva conto, casa sua era accogliente più per lui, ma per gli altri forse non era così. Ma non era il momento di perdersi in quei pensieri.
Si avvicinò ad un mobile, prendendone una piccola cassa di legno per poi rivolgersi alle tre.
 
-Seguitemi- nessuna di loro fu in grado di disubbidire, mentre le superava i loro corpi furono costretti a seguirlo. Con il collare e le manette, quelle creature del popolo nascosto erano in tutto e per tutto come delle donne umane. Ma il suo intento non era certo quello di spaventarle.
Le portò nella stanza da bagno dove c’era una vasca in ceramica, adatta per una persona, massimo due più minute.
 
-Oir thug e an so sinn?* (Perché ci avrà portate qui?) - chiese quella che doveva essere la ninfa di mezzo delle tre guardando la piccola stanza da bagno.
 
-Bidh e airson gun nigh sinn a chorp* (Vorrà che laviamo il suo corpo) - il solo pensiero di denudarsi davanti ad un uomo non di propria scelta, per loro era qualcosa di sacrilego e vergognoso. Iasgach, strinse di più le spalle delle due più giovani come se volesse dargli forza. Non avrebbe permesso che venissero sfiorate da mani umane più di quando erano state catturate.
 
-Fuirich sàmhach peathraichean. Cha bhean e riut fhad ‘s a bhios mi timcheall!* (State calme sorelle. Lui non vi toccherà finché ci sono io!) - pensavano che parlare la lingua delle terre del giovane eterno, sarebbe stato sicuro. Solo poche parole erano uscite dalla loro casa e nessun’altro oltre gli abitanti della loro terra conosceva la conosceva per intero.
 
-Chan eil dùil agam suathadh riut eadhon la falt* (Non ho intenzione di sfiorarvi nemmeno con un capello) - le ninfe alzarono di scatto la testa incredule. Possibile che le loro orecchie le stessero ingannando o quell’uomo aveva davvero parlato fluidamente la loro lingua.
Prese dei contenitori in ceramica tornando da loro. Le tre deglutirono facendosi piccole piccole sotto il suo sguardo.
 
-Si…parlo e capisco la vostra lingua. E sono certo che anche voi capiate la mia- tutte tacquero non sapendo cosa dire o fare: -Qui ci sono dei sali da bagno e del sapone, non è come quello fatto con fiori freschi e linfa. Ma è la cosa migliore qui. Nella cassettina di legno ci sono delle bende in caso ne aveste bisogno- gli lasciò i contenitori per poi andare verso la porta così da dargli la loro privacy. Ma prima di chiudere la porta si fermò sentendo ancora i loro occhi pieni di stupore e confusione.
 
-So che non mi crederete, ma non vi ho comprato per farvi mie schiave. Ne parleremo meglio dopo, per ora pensate a lavarsi e rilassarvi dopo tutto questo. Vi prometto che non sbircerò- si girò lanciandogli un ultimo sguardo: -Peathraichean* (sorelle)-
 
Quando la porta si chiuse le ninfe restarono sole nella stanza da bagno. Tutte e tre si guardarono più confuse che mai, troppe emozioni in una sola sera. Ma una domanda nelle loro menti riusciva a scacciare il resto: Chi o cosa era davvero quell’uomo?
 
Nergal dopo aver chiuso la porta sospirando. Non sapeva se lo avessero ascoltato, ma sperava che con quel gesto comprendessero che non aveva cattive intenzioni. Andò a sedersi alla poltrona del soggiorno buttando indietro la testa e lasciando sciolti i capelli.
Rimase ad osservare il soffitto sfregando la lingua contro il palato della bocca. Riparlare la lingua nascosta dopo tanto tempo, per lui era strano. Si sentiva inadatto e nostalgico, ma in parte anche felice. Riportò la testa dritta osservando il Grimorio sul tavolo e un sorriso si formò sul suo volto. Le sue “Ospiti” non ci avrebbero messo poco a lavarsi, poteva concedersi una meritata lettura.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
Fenrir stava ascoltando la sua sorellina Elizabeth che si esercitava al piano forte. La sinfonia del piano era molto rilassante e melodiosa, mentre le dita sottili e affusolate si muovevano sui tasti come se danzassero.
Quando alla fine la melodia si concluse l’argenteo applaudì lentamente, per manifestare il suo compiacimento.
 
-Magnifica performans sorella mia- si complimentò il capo famiglia dei Bàthory. La giovane si diciassette anni si sorrise dolcemente.
 
-Troppo buono fratello mio- rispose alzandosi dallo sgabello del pianoforte e andando al tavolo dov’era seduto il fratello maggiore.
 
-Gradisci del tè?- lui annuì, guardandola versargli una tazza con eleganza e grazia. Elizabeth Bàthory aveva una grazia e bellezza pari a quella del fratello, con dei lunghi e boccolosi capelli biondo perla, uniti a degli occhi azzurro ghiaccio e un fisico sottili e minuto.
Fenrir ringraziò per il tè prendendone un sorso, poggiando la tazza sul piattino.
 
-Questo non è Earl grey-
 
-No è tè nero con estratto di lampone. Come lo trovi?- chiese lei sorridendogli. Lui sorrise di rimando.
 
-È fruttato ma buono- quei momenti di tranquillità con sua sorella minore erano i momenti che preferiva. In cui lasciava andare tutta la sua freddezza e crudeltà, assumendo un ruolo più protettivo e gioviale.
 
-Come stai oggi?- domandò infine con una leggera punta di preoccupazione nella voce, che non riuscì totalmente a nascondere. Elizabeth sembrò lievemente a disagio a quella domanda.
 
-Meglio, la medicina nuova..sembra fare effetto- ma dal suo tono, Fenrir capì che qualcosa la preoccupava. Questo lo faceva sia infuriare che preoccupare. La salute di sua sorella era cagionevole ed eventuali preoccupazioni e stress rischiavano solo di farla peggiorare ulteriormente.
 
-Non c’è niente che ti preoccupa?- insistette lui. Voleva sapere se poteva fare qualcosa per evitare di farla stare male. La giovane si attorcigliò una ciocca di capelli sull’indice abbassando lo sguardo.
 
-Stavo pensando…all’attacco al nostro deposito- Fenrir serrò la mascella. Non voleva che sua sorella si preoccupasse per una cosa simile.
 
-Non devi preoccuparti Elizabeth, stiamo indagando sul colpevole e lo troveremo- cercò di rassicurarla versandole dell’altro tè.
 
-Ci hanno attaccati Fenrir. Questo non è qualcosa di cui non posso preoccuparmi, la nostra posizione nella gerarchia…sia dei bersagli- la loro posizione come seconda famiglia più influente di Kētō, gli metteva automaticamente dei bersagli sulla schiena per l’invidia di tutti gli altri nobili sotto di loro.
L’argenteo sapeva bene di cosa parlava, in pochi osavano sfidarli e quello era un attacco diretto a loro. Allungò la mano accarezzando dolcemente la testa della sorella, per alleviare la sua preoccupazione e farla calmare.
 
-Capisco come ti senti, ma dobbiamo essere forti. E non dimenticare che ci sono io, nessuno ti toccherà finché sarò vivo!- quelle parole rincuorarono Elizabeth che gli sorrise. Sapeva che per lei, lui ci sarebbe stato sempre.
 
Fenrir le sorrise di rimando. Ma sotto anche lui era un po' preoccupato. E non solo per l’audacia dimostrata, ma anche perché aveva ricevuto la valutazione degli oggetti distrutti nell’esplosione. Grazie anche alle sue spie nelle forze dell’ordine. Scoprendo che qualcosa mancava all’appello e per giunta era qualcosa che aveva fatto arrivare da lontano in gran segreto.
Di certo non avrebbe condiviso questa informazione con il comandante Alpha, voleva risolvere la faccenda da solo.
 
“Nessuno mi deruba e la passa liscia!” in quel momento qualcuno bussò alla porta, mettendo in allarme l’argenteo. Mentre una cameriera entrava nella stanza con un inchino.
 
-My lord, my lady. Mi duole disturbarvi, ma abbiamo delle visite- li informò la cameriera.
 
-Se si tratta di Corinna, l’avevo invitata per delle questioni di affari-
 
-Uhm…lady Corinna è arrivata. Ma si è presentata anche la capo famiglia dei Silverash- fantastico, quella era una seccatura che non si aspettava.
 
-Che cosa vuole?- non aveva voglia di avere quella donna tra i piedi al momento.
 
-Ha detto che vuole parlare con voi e che non si muoverà da qui finché non l’avrà fatto. Devo…chiamare le guardie?- l’argenteo scosse la testa. Cercare di allontanare quella piccola sanguisuga con la forza sarebbe stato controproducente.
 
-Falla accomodare insieme a Corinna e digli che sto arrivando- la cameriera face un inchino uscendo dalla stanza. Fenrir tornò al tavolo prendendo la tazza e tracannandola con un solo sorso. Sarebbe stata una serata pesante.
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Eccoci arrivati alla fine dell’asta e l’ultimo articolo erano tre ninfe che neanche a dirlo Nergal se le aggiudica per una cifra assurda.
Anche se il protagonista non è tipo da avere schiavi sembra molto protettivo con le ninfe, tanto da mettere paura anche ad uno dei Mariboj senza averne timore. Chissà che legame ci sarà tra lui e le ninfe?
Nella scena finale invece conosciamo la sorellina di Fenrir, a cui sembra molto legato. E nel finale ha delle visite di cui una inaspettata e che sembra infastidirlo. Ma vedremo cosa succederà nel prossimo capitolo.
Ringrazio chi è arrivato a leggere fin qui e a presto.
 
P.S: Per la lingua in cui parlavano le ninfe ho scelto il Gaelico scozzese. Per le frasi ho usato il traduttore, quindi se non sono esattissime. Mi scuso in anticipo.
Ho deciso di sistemare e mettere le traduzioni di fianco alle frasi, così da rendere più scorrevole la lettura e anche più comprensibile.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 

 
Camminò spedito per i corridoi della sua magione. Una serie di domande riempiva la testa del capo famiglia dei Bàthory. Possibile che quella piccoletta avesse scoperto che stava indagando su di lei.
La cosa non lo stupì troppo, anche se non si aspettava che sarebbe stata così veloce. Inoltre non poteva venire in un momento peggiore, quando aveva un colloquio con Corinna. Affettò il passo, sperando che quelle due donne non si fossero già saltate alla gola.
 
In uno degli studi della villa, le cameriere avevano fatto accomodare le due ospiti, offrendogli anche del tè. Corinna Villan membra della famiglia Villan. Una delle famiglia che stavano al disotto della piramide dei cinque, non erano potenti quanto le altre, ma i loro patrimoni gli permetteva una vita molto agiata.
 
“Che diavolo ci fa lei qui?” si chiese guardando l’altra persona seduta sul divanetto opposto al suo, come se con lei non volesse averci niente a che fare.
Era una ragazza piuttosto minuta e non molto alta, dalla carnagione chiara e un viso di porcellana, ornato da dei capelli che arrivano fino al collo e leggermente mossi di colore bianco con delle sfumature di azzurro. Tra di essi spuntavano la punta delle orecchie. Segno che non era umana.
Era vestito in modo elegante, con una giacca a coda di rondine blu scuro con i risvolti delle maniche in oro, una camicia nera dal bavero a foglia con doppia fila di bottoni in zaffiro. Una gonna corta blu con il bordo bianco. Lunghe calze nere con degli stivaletti blu e oro e un piccolo cappello a cilindro blu con delle punte in oro sul lato destro della testa.
 
Astrea Silverash, era l’attuale capo della famiglia più influente di Kētō. Coloro che stavano in cima alla piramide e che deteneva più potere di tutto il resto dei nobili della parte alta e forse di tutta la città. Era conosciuta per essere una grande inventrice e soprattutto per essere la più giovane dei capi famiglia. Anche se la sua natura di vampira faceva dubitare degli anni che dimostrava.
Seduta composta si guardo intorno per osservare meglio lo studio. Le pareti erano coperte da della carta da parati bianca e azzurra, con un pavimento in tavole di mogano che si abbinava al resto dell’ambiente e alla scrivania. Agli angoli della stanza c’erano delle grosse colonne levigate che davano l’impressione di sostenere il soffitto.
 
“Stanza carina per uno studio” ammise prendendo un orologio da taschino per vedere l’ora, infastidita. Quello stupido cane l’aveva fatta accomodare e non si era ancora presentato. Questa cosa la faceva innervosire.
 
-Non mi aspettavo di vedere la capo famiglia dei Silverash qui- Astrea punto gli occhi azzurri con delle pagliuzze rosse sull’altra persona nella stanza. Non ci aveva fatto caso prima, quando era arrivata.
 
Ad occhio doveva avere la stessa età del Bàthory. Con un fisico magro e voluminoso coperto da un abito vittoriano viola a bianco e nero che faceva intravedere la spaccatura dei seni, una cintura metallica in oro e argento con una gemma rossa che separava la parte superiore dalla gonna ampia, che presentava una spaccatura al lato fino alla coscia così da lasciar intravedere le lunghe calze di pizzo che portava.
Aveva un viso delicato ed era molto bella, con dei lunghi e vaporosi capelli marrone scuro con un ciuffo viola scuro, occhi color porpora e labbra leggermente carnose ornate con un neo sotto il labbro inferiore.
 
-Nemmeno io volevo venirci. Ma sono stata costretta per una questione di massima importanza!- rispose secca la bianca distogliendo lo sguardo: “Chi sarebbe questa comunque?”.
Non gli sembrava di conoscerla, anche se il suo vestito era molto carino. Ma di certo non avrebbe usato quel miscuglio di colori, troppo pacchiani per lei.
 
-Capisco…io sono un membro dei Villan, mi chiamo Corinna- allungò la mano guantata in segno di cortesia. Astrea la guardò pensierosa.
 
-Villan…scusa il nome non mi dice niente- il sorriso sul volto della castana sembrò farsi tirato, mentre avvertiva una certa irritabilità per quella risposta.
 
-La mia famiglia si occupa di vestiti, abbiamo molti negozi di abiti e moda. Il cappello che indossate è una nostra creazione-
 
-Ah davvero, non ci ho fatto caso- ammise lei prendendo e guardando il suo cappello per trovare il marchio di fabbrica. Quell’atteggiamento fece spuntare una vena sulla fronte di Corinna. Era sempre così, le famiglie più influenti non si ricordavano di quelle che stavano sotto di loro. Almeno i Bàthory avevano la decenza di ricordarsi i nomi con cui avevano degli affari.
 
“Piccola nana succhia sangue. Chi si crede di essere?!” avrebbe tanto voluto prenderla a schiaffi. Ma in quel momento la porta si aprì e Fenrir fece il suo ingresso.
 
-Buona sera, signore. Scusa il ritardo ma ero…-
 
-Stupido botolo, tu mi devi dare delle spiegazioni!- la capo famiglia dei Silverash fece uno scatto interrompendolo e arrivandogli per guardarlo dritta in faccia. È vista la differenza di altezza che c’era tra di loro, essere guardata dall’alto in basso la faceva incazzare di più. Erano così vicini che l’argenteo poté vedere le pagliuzze rosse negli occhi della ragazza farsi più intensi.
 
-Uhm…lady Astrea, cosa dovrei spiegarvi di preciso?- chiese lui senza capire. Lei lo afferrò per il bavero della camicia costringendolo ad abbassarsi al suo livello, guardandolo con le sopracciglia inforcate sugli occhi. Anche Corinna era rimasta stupita, cosa aveva fatto Fenrir per meritarsi le ire dei Silverash.
 
-Non fare lo gnorri con me, Bàthory!- disse subito mostrandogli i canini lunghi ed appuntiti in un segno istintivo di minaccia: -So che stai indagando sui miei recenti spostamenti. Credevi davvero di fregarmi eh?-
 
A quella domanda, serrò la mascella. Aveva detto ai suoi uomini di non farsi scoprire ed essere discreti. Ma sapeva quanto un vampiro potesse avere sensi più sviluppati di quelli umani. Evidentemente dovevano aver fatto un passo falso, più tardi li avrebbe puniti. Ora doveva risolvere quella situazione che era diventata ancora più fastidiosa.
 
-Posso spiegarvi tutto- lei lo lasciò andare facendo un passo indietro ed incrociando le braccia al petto.
 
-Non serve, posso intuirlo da sola! Immagino riguardi l’esplosione del tuo deposito portuale- il silenzio che si creò nella stanza e il linguaggio corporeo gli diedero già la risposta. E ciò non poté che farla arrabbiare ancora di più.
 
-Sei proprio un sesquipedale idiota. Credi davvero che una donna bella e intelligente come me, possa fare qualcosa di simile?- gli chiese gonfiando le guance. Non avrebbe mai attaccato i Bàthory, anche perché era più il tipo da difesa che d’attacco. Sempre che non fosse stata costretta. Gli occhi di Fenrir si fecero più affilati, mentre il sorriso svanì dalla sua faccia.
 
-Uhm…forse dovrei tornare un’altra volta- se ne uscì fuori Corinna, sentendosi di troppo in quella conversazione tutt’altro che rosea e che non la riguardava minimamente.
 
-Non preoccuparti Corinna. Finisco con le spiegazioni e sono subito da te- le disse lui.
 
-Allora dammele invece di parlare con la tua amichetta- quel termine non piacque per niente alla castana, che si sentì chiamata in causa.
 
-Tanto per chiarire, non sono una sua “Amichetta”. Ma una collaboratrice e avevamo un appuntamento per discutere d’affari. Siete voi quella imbucata qui!- rivolgersi in quel modo alla famiglia Silverash, credeva che non l’avrebbe mai fatto in tutta la sua vita. In pochi si rivolgevano sfrontatamente alle cinque famiglie. Ma quella piccoletta non le faceva paura.
 
-Tu stanne fuori! Stiamo discutendo di una questione tra capi famiglia- gli rispose rossa di rabbia. Già c’è l’aveva con quel cagnaccio, non aveva voglia di sorbirsi anche una persona che non c’entrava niente in quel discorso. A prima vista e dal vestito che indossava e che scopriva molta pelle, pensò che fosse una meretrice o un’amante del Bàthory.
 
-Detto da un capo famiglia, senza alcun potere magico- ridacchiò Corinna divertita prendendo una tazza di tè. Un suono sferzò l’aria e la tazza che aveva in mano andò in frantumi facendo rovesciare il tè sul suo vestito.
Alzò lo sguardo sulla bianca, che teneva in mano quello che sembrava l’impugnatura di un fioretto con la guardia a cesto oro e nera. La lama però, invece che essere in metallo era in pura acqua. All’interno del manico si poté vedere un lieve bagliore bluastro.
 
-Oh…ti ho sporcato il vestito. Scusa, mi è scivolata la mano- rispose lei con aria da finta innocente, cercando di nascondere dietro la schiena il suo Elementi ffoyle.
Quello era proprio quello che Fenrir temeva, che una delle due diede all’altra un pretesto per attaccarla. Corinna si alzò dalla poltrona, togliendosi la cintura che portava. Tenendo la parte finale ne fece uscire delle piccole lame ricurve ai lati e distanziare lievemente le parti come se avesse una frusta.
 
-Quella non è la Royal fragellum. Uno dei modello che la mia compagnia produce- la Villan non rispose, ma era chiaro che fosse quella. Dopotutto era stata la famiglia di quella nanerottola ad inventarla, come arma di autodifesa per i nobili. Concentrò il suo mana lasciando che l’arma venne avvolta da scariche elettriche.
 
-Ora tocca a me rispondere, giusto?- chiese lei con un sorriso di sfida. Astrea storse le labbra mettendosi in posizione di attacco. Non avrebbe certo lasciato che quella sciacquetta gli facesse un singolo graffio senza prima avergliene fatti cento, per averla sfidata.
Prima che potessero scontrarsi però delle pareti di ghiaccio le impedirono di scagliarsi l’una contro l’altra.
 
-Signore vi chiedere di risolverla con diplomazia. Invece di rischiare di distruggere un’abitazione che non vi appartiene- doveva fermare quello scontro prima che degenerasse. Non voleva dover chiamare i restauratori per delle possibili riparazioni. Astrea si portò la mano al naso dolorante, per aver sbattuto contro il ghiaccio, lanciando uno sguardo di fuoco all’argenteo.
 
-Non intromettermi tu. Devo dare a questa vacca una lezione per la sua lingua spudorata- gli puntò la lama d’acqua contro in segno di minaccia. Agli altri quel cane poteva anche far paura, ma a lei no di certo.
 
-Cos’è sei gelosa piccola?- la provocò Corinna gonfiando il petto. Fenrir si portò la mano agli occhi, voleva proprio combattere. Astrea invece strinse i denti esponendo i canini, come si permetteva quella inutile donnaccia da due soldi. L’avrebbe volentieri dissanguata solo per sputare il suo sangue che sicuramente avrebbe saputo di aceto.
 
-Adesso ti faccio vedere io- fece per saltare sul muro di ghiaccio, ma questo scomparve improvvisamente. Il padrone di casa batté le mani attirando l’attenzione su di sé.
 
-Signore per favore vedete di ricomporvi e parliamone come persone civili. I modi definiscono chi siamo- tirò fuori dalla tasca un campanellino suonandolo. Dopo un’istante dalla porta della stanza entrò una cameriera: -So che è tardi, ma per favore di ai cuochi di turno di preparare un dolce per le nostre ospiti- così facendo sperava che almeno la piccola vampira si desse una calmata.
Sentendo la parola dolci, Astrea rizzò le orecchie. Guardò la donna che aveva osato insultarla. Voleva ancora fargliela pagare, ma voleva anche i dolci. Una scelta difficile. Alla fine mise via il suo fioretto e si risedette composta sul divano.
 
-Va bene Cagnaccio. Risolviamola da gentil uomini e gentil donne- gli disse seccata prendendo un sorso di te, trovandolo amaro. Gli serviva dello zucchero.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
I cuochi della villa si stavano mettendo a lavoro, nonostante l’ora tarda. Sapendo che quel dessert era per la capo famiglia dei Silverash, non potevano certo servire qualcosa di imbarazzante. Ne andava sia del loro onore che di quello del loro signore.
 
-Torta al cioccolato con ripieno di frutti rossi. Pronta!- gridò il capo cuoco del turno serale, poggiando la torta marmorizzata al cioccolato. Una cameriera la prese subito e camminò spedita verso lo studio. Era meglio non far aspettare un ospite influente e volubile come quella persona.
Anche se una parte di sé, si chiedeva perché mangiasse dolci. Considerando che era una vampira, non doveva nutrirsi di sangue. A meno che nella torta che stava portando non ce ne fosse. Storse le labbra disgustata a quel pensiero, evitando di farsi quella domanda.
 
-Se permetti vorrei spiegarti le ragioni dietro il tuo…uhm “pedinamento”- iniziò l’argenteo. Astrea gonfiò le guance come uno scoiattolo con il cibo in bocca, facendogli segno di tacere.
 
-Prima voglio il dolce che mi hai promesso! Poi puoi prendere ad abbaiare le tue spiegazioni- il padrone di casa restò zitto, ma strinse i denti. Quella nanetta dava troppi ordini per essere solo un’ospite in casa sua. Avrebbe tanto voluto congelarla e farla volare fuori dalla finestra. Ma per lui era meglio evitare scontri inutili con la famiglia più in alto della sua. Anche Corinna si trovava infastidita dal suo comportamento.
 
“Vorrà anche atteggiarsi a capo famiglia. Ma è solo una bambina che gioca a fare l’adulta!” eppure anche se si comportava in modo infantile, non toglieva che riuscisse a mandare avanti un’attività da ben otto zeri. Una cifra esorbitante anche per una nobile come lei.
La cameriera entrò nella stanza con la torta richiesta. Appena la vide gli occhi della bianca si illuminarono. Appena gliene servirono una fetta, Astrea la guardò con occhi indagatori, come quando analizzava gli oggetti da lei creati. In cerca di imperfezioni da migliorare. Alla fine ne prese un pezzo con la forchetta portandolo alla bocca. Subito sentì un’esplosione di cioccolato, seguito dal gusto acido della crema di frutti rossi.
 
-Wow…i tuoi cuochi ci sanno fare- ammise prendendo un altro boccone. Fenrir non sapeva se trovare quella scena carina o imbarazzante, vedere una donna che si definiva adulta, sembrare una bambina. Ma se non altro sembrava si fosse calmata.
 
-Ora puoi anche spiegarmi perché credi che io c’entri con l’esplosione al deposito!- disse lei prendendo ancora del te per mandare giù il boccone di torta. La cameriera provò ad offrirne anche a Corinna ma lei rifiutò con un gesto della mano.
 
-Non sto dando la colpa a te, ho molti nemici. Ma ho scoperto che c’entrava qualcuno con la magia…-
 
-Allora avresti dovuto escludermi subito stupido Bàthory. Un’altra fetta!- mostrando il piatto vuoto e la cameriera si affrettò a servirla: -Inoltre come hai detto tu hai molti nemici, non dovresti iniziare da loro-
 
-Acuta osservazione. Ma dimmi, se provassero a farti un torto. A chi penseresti subito che abbia il coraggio di prendersela con te?- gli fece di rimando. Astrea serrò la mascella, sapendo dove voleva arrivare. Era ovvio che avrebbe pensato subito alle altre quattro famiglie sotto di lei, prima di tutto.
Avevano i mezzi e i fondi per assoldare qualcuno per non sporcherebbe le mani e danneggiarlo nell’ombra. E soprattutto il fegato per farlo.
 
-Okey Cagnaccio, ma considerando che il danneggiarti non mi darebbe più profitti di quanti non ne abbia già. Anzi andrebbe solo a favore di quelli sotto di noi. Inoltre dovresti sapere che i tuoi affari inclusi quelli dei tuoi hobby, non sono di mio interesse!- lanciando poi uno sguardo a Corinna. Questa si sentì offesa da tale insinuazione. Come se avesse avuto l’ardire di pugnalare un suo collaboratore alla schiena. Lo avrebbe fatto sì, ma non certo con uno come i Bàthory.
 
-Per quanto detesti dirlo. Do ragione a questa sanguisuga nana- gli occhi azzurri di Astrea la squadrarono come a dirgli che se avrebbe continuato così, l’avrebbe morsa: -Inoltre si vocifera anche che potrebbe c’entrare il Maestro oscuro-.
 
Ora si che a Fenrir, stava iniziando a venire mal di testa. Sapeva che le voci sarebbero girate in fretta, ma non si aspettava che questo particolare fosse già sulle bocche degli altri. Già non gli andava di tirare in mezzo quel tipo, se poi la gente cominciasse a pensare che era coinvolto. Sapeva che al corvino non interessavano le voci, ma se non avesse mostrato forza. La sua immagine come capo famiglia ne avrebbe risentito.
 
“Devo chiamare Nergal per parlargli, al più presto” pensò irritato.
 
-Ilg maescro oscukho?- chiese con la bocca piena di torta, non capendo cosa stessero dicendo.
Gli altri due rimasero scioccati da quella domanda. Davvero non lo conosceva, tutta Kētō sapeva il suo nome. Su che pianeta o grotta viveva quella ragazza.
 
-Sul serio? Il Maestro oscuro, non ti dice niente?…il tipo inquietante che vive nella parte bassa, con quel forte e denso mana nero che fa venire i brividi e gli occhi rossi che sembrano trapassarti l’anima congelandoti- il solo pensiero fece venire un brivido lungo la schiena della Villan che si strinse nelle spalle. L’altra sembrò pensarvici sopra, finché non gli si accese una lampadina.
 
-Oh, vuoi dire il Cervo nero della parte bassa!- Fenrir deglutì freddo come una statua, muovendo la testa per annuire. Chiamare in quel modo Nergal, non sapeva se era coraggio o stupidità guidata dal suo lato infantile. Anzi era una fortuna che lui non fosse lì ad ascoltare, non credeva gli sarebbe piaciuto essere chiamato in quel modo. Si sistemò il colletto della giacca prima di rispondergli.
 
-Si, proprio lui!- Astrea si accorse del suo blocco e non ne capiva neanche il motivo. Possibile che quel tipo con le corna di cui si vociferava, facesse tanta paura anche ad un bastardo sanguinario come Fenrir Bàthory.
Prese il suo orologio da taschino, vedendo l’ora tarda che si era fatta. Certo non lo era per lei e di certo aveva ancora voglia di dirgliene ancora a quel botolo. Ma la mattina seguente avrebbe dovuto mettersi a lavoro per finire un progetto e aveva bisogno di dormire.
 
-Scusate ma si è fatto tardi per me- disse poggiando la tazzina sul tavolo per togliere il disturbo. Ma prima si fermò davanti all’argenteo con le mani sui fianchi, puntando gli occhi in quelli di ghiaccio dell’uomo.
 
-Ma ti avverto…osa ancora dubitare della mia illustre parola. E ciò che ti capiterà, sarà paragonabile all’inferno, cagnaccio pulcioso. Rammenta che un Silverash non rinnega mai le proprie parole, nemmeno quando si tratta di velate minacce alla tua persona!- lo avvertì con tono glaciale e serio. Mostrandogli i canini, come a dirgli di non scherzare con lei.
 
-Sei stata cristallina- a quel punto Astrea prese la torta rimasta ed uscì sbattendo la porta dietro di sé. Quando finalmente se ne andò, la tensione della stanza si allentò.
 
-Finalmente se n’è andata- sospirò Corinna e per fortuna, quella peste riusciva a fargli saltare i nervi. Il Bàthory non disse alcuna parola limitandosi ad andarsi a sedere sul divano dove prima stava la vampira.
Sperava di avere una serata tranquilla ed invece, l’ultima cosa che voleva era una Silverash arrabbiata.
 
-Perché l’hai fatta seguire?- più che una domanda quello sembrava un rimprovero, come una madre che rimproverava il figlio: -Credo che tu sappia meglio di me com’è fatta quella piccola sanguisuga-
 
Per la Villan l’aveva quella era la prima volta che ci parlava. Non si aspettava certo che una persona temuta in tutta la città avesse quel carattere da bambina capricciosa. Fenrir le lanciò uno sguardo di ghiaccio, ma che alla donna non fece né caldo e né freddo. Finendo per sospirare nuovamente.
 
-Quegli idioti…li dovrò punire duramente- era ciò che si meritavano, per essersi fatto prendere una strigliata da quella nanetta. Il solo pensiero lo faceva innervosire.
Corinna ebbe i brividi, sentendo la temperatura della stanza abbassarsi di colpo. In sincronia con la rabbia del capo famiglia che cresceva, il suo mana vibrava sprigionando freddo, come in una cella frigorifera. Mentre aveva i muscoli della fronte tesi per la rabbia, il tocco gentile e caldo della castana richiamò la sua attenzione.
 
-Su Lord Fenrir, ormai lei non c’è più. Potete rilassarvi- gli sussurrò gentilmente massaggiandogli le spalle. Quel tocco deciso e statico ebbe l’effetto di fargli sciogliere i muscoli.
 
-Hai ragione mia cara. Devo scusarmi per avervi dovuto far assistere e tirata in ballo in questa scenata- Corinna sorrise abbassandosi per portare la bocca all’orecchio dell’argenteo. Soffiandoci sopra per fargli venire un brividio.
 
-Se volete essere scusato…- inizio con tono sensuale per poi muoversi arrivando al fianco dell’uomo, infilando lentamente la mano sotto alla gonna accarezzandosi la coscia, giocando con la calza. Come ad attirare la sua attenzione in quel punto ed infine tirarne fuori un foglio di carta.
 
-Potremmo finalmente discutere di affari- guardò prima lei e poi il foglio. Facendosi scappare un piccolo sbuffo, che per lui era più una risata. Alla fine la invitò ad accomodarsi per parlare finalmente dei loro affari.
Ma su una cosa era sicuro, ed era che Astrea quell’affronto se lo sarebbe legato al dito. E nel suo interesse oltre per evitare di mettersela ulteriormente contro, sarebbe stato il caso di trovare un modo per farsi perdonare o quanto meno per farle passare un po' la rabbia nei suoi confronti.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
La parte della città bassa che dava proprio vicino ai porti, era piena di locande e bar per i marinai che arrivavano con le navi. Anche se non potevano di certo essere definiti confortevoli e molto igienici. Ma erano anche gli unici luoghi a buon mercato nelle vicinanze.
Il Fiskben era uno di questi. Un posto poco raccomandabile, ma ottimo per farsi una bevuta dopo una dura giornata. Anche se l’atmosfera era tranquilla Demah teneva tutti i suoi quattro occhi ben aperti, mentre serviva al bancone. Perché sapeva che sarebbe potuta nascere una rissa in qualunque momento. E non gli andava di usare il suo pungiglione quella sera.
 
In quel momento una persona entrò e con passo deciso si andò a sedere al bancone, ignorando tutti gli altri posti ai tavoli. Appena vide di chi si trattasse, gli disse.
 
-Ehy Rhaul, come mai qui? Sei in servizio?- gli chiese preparando dei boccali grazie alle sei braccia che terminavano con tre dita e di cui un paio era dotato di pinze, come uno scorpione. Avere più arti era normale per un membro della razza Aranki. Una specie di umanoidi con caratteristiche degli aracnidi, come ragni e scorpioni.
 
-A te che sembra?- dagli abiti normali che portava sembrava fuori servizio. Gli servì uno shot con un liquido quasi ambrato. Lui ringraziò bevendolo tutto in un colpo. Il bruciore dell’alcool gli riempì la gola, sicuramente doveva essere stato distillato in proprio. Avrebbe dovuto chiederglielo, ma era lì per altro.
 
-Dammi della birra- disse poggiando il gomito sul bancone, mentre l’altro versava della birra in un boccale e gliela passò con un colpettò del pungiglione.
 
-Ho saputo che siete indaffarati voi della Guardia cittadina- alludendo ai disordini degli ultimi giorni, che ormai erano sulla bocca di tutti quanti. L’uomo si limitò a digrignare i denti e passarsi una mano tra i capelli infastidito.
Più per il fatto che negli ultimi giorni non avevano ancora un singolo straccio di prova. Tutte le persone interrogate non erano di alcun aiuto e il resto della nobiltà non era certo meglio. Se uno più in alto di loro aveva problemi facevano festa, per quegli avvoltoi il potere e il prestigio erano le uniche cose che contavano.
 
-Non me né parlare, per favore- sbuffò. Brancolare nel buio con la pressione dei Bàthory non era la cosa migliore: -Più che altro…hai delle informazioni utili?-
 
Demah si portò una delle mani a tirarsi indietro un ciuffo di capelli nerastri, facendo spallucce.
 
-Perché pensi che sappia qualcosa. Ho la faccia di una spia, Rhaul?- gli domandò divertito, prendendo a servire altri avventori. Sapeva che non avrebbe parlato facilmente, se non gliene avesse dato motivo. Finì la birra e infilò nel boccale delle monete che tintinnarono. La mano a pinza si chiuse immediatamente sul boccale portandolo più vicino così da vederne il contenuto.
Mise il boccale sottobanco per poi battere il pungiglione sul bancone due volte per dirgli di aspettare. Dopo aver servito tutti ai tavoli, l’Aranki fu pronto discutere seriamente.
 
-Che cosa hai sentito tra questi porti. Qualcosa di utile?- Anche se erano tutti più o meno ubriachi, il detective tenne un tono basso per non farsi sentire.
 
-Beh….posso dirti, che nelle ultime settimane sono arrivati vari sicari provenienti da terre lontane- Non era quello in cui sperava. Di sicari e assassini ne veniva assoldati spesso. Soprattutto quando un nobile voleva eliminare delle minacce o un rivale.
 
-Per caso qualcuno di questi sa usare gli esplosivi e la magia?- l’altro si guardò intorno facendogli segno di allungarsi verso di lui, così che potesse sussurrargli. Come se avesse paura di dirlo a voce alta.
 
-Esplosivi non saprei…ma alcune mie conoscenze mi hanno confidato, che l’Imbalsamatore è qui in città- il solo sentire quel nome, gli si gelò il sangue e i peli della barba gli si rizzarono. Conosceva quel nome a causa della cattiva fama di chi lo portava.
L’Imbalsamatore era un sicario e un serial killer che solo pochi pazzi erano disposti ad assoldare. C’era anche un taglia da ricercato su di lui.
 
-E sai per cosa è venuto?-
 
-Così mi chiedi troppo Rhaul. Sarò anche curioso, ma ci tengo alla mia corazza- rispose secco tornando a servire dei nuovi clienti. L’agente sbuffò ma non poté certo biasimare la sua paura. Ma se non altro forse aveva trovato un’altra possibile pista, anche se non ne era del tutto sicuro.
Lo ringraziò per poi alzarsi ed uscire, venendo investito dall’aria fredda e salmastra del mare. Ora doveva comunicarle ai suoi colleghi le notizie ottenute. Anche se era scettico che quelli della parte alta lo avrebbero preso sul serio.
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Nuovo capitolo, anche se questa volta l’inquadratura si sposta su Fenrir. Prima però voglio precisare che il personaggio di Astrea Silverash è di proprietà della mia amica Stardust94. Lei me l’ha prestata per usarla nella mia storia e di questo la ringrazio molto.
 
Il capo famiglia dei Bàthory ha avuto di certo una serata movimentata, di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Ma quando si tratta di Astrea, allora è meglio tenersi pronti al peggio. Dato che come avete potuto vedere è un bel peperino.
Infine Rhaul ottiene nuove informazioni, e rispondono al nome “Imbalsamatore”. Con un soprannome così sarà di certo pericoloso.
Per ora è tutto, spero che abbiate apprezzato questo cambio di scena che dal prossimo si torna dal protagonista. Grazie ancora a tutti quelli che leggono e auguro buona pasqua a tutti.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

 
 

-È sicura che sia roba fresca?- chiese Nergal guardando la frutta e la verdura esposte ad una bancarella. In genere prendeva una quantità di cibo solo per lui. Ma visto che le finfe seguivano esclusivamente una dieta vegana. Stava prendendo più frutta e verdura del solito.
 
-E…ecco direi abbastanza s.sicura. Dipende dal fornitore…avvolte alcuni prodotti sono messi..meglio- la fruttivendola si morse l’interno della guancia con la sudorazione a mille. Di solito mentiva sulla freschezza degli alimenti che vendeva, ma con lui non era il caso di provare a fregarlo.
Il corvino osservò la merce, notando già da una prima occhiata che non erano proprio i prodotti migliori. Ma non gli andava di andare fino alla parte alta per fare la spesa.
 
-Mi dia la frutta più fresca che ha e delle verdure, non marce o danneggiate. E anche quel Durian- disse con tono lievemente glaciale. Annuì iniziando ad esaminare ogni alimento per fare una selezione accurata. Ma dentro di sé strabuzzò gli occhi, voleva davvero quel frutto puzzolente.
Non voleva certo criticare i suoi fusti in fatto di cibo, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe mai fatto.
 
Pagò tre monete d’argento alla donna e se ne andò per fare altre compere. Aveva preso da mangiare per le sue “ospiti”, ma doveva pensare anche alle proteine. Era certo che nonostante l’essere state portate in un altro luogo contro la loro volontà potesse essere stato traumatico. Ciò non avrebbe spento la natura curiosa dei membri del popolo nascosto.
O così pensava per Silidh e Lili, le due più giovani. Anche se capiva la loro natura, per loro non era sicuro uscire senza di lui o senza poter usare il loro mana.
Si mosse tra le strade raggiungendo una casa con un’insegna che diceva pescheria. Appena vi mise piede sentì l’odore di pesce che impregnava l’aria.
 
“Speriamo sia abbastanza fresco”
 
-M..maestro oscuro. Che piacere vedervi…prego guardate pure è tutto fresco- lo salutò il pescivendolo chinando il capo. Nergal iniziò a vedere la merce esposta, alcuni sembravano freschi, altri un po' meno.
 
-Ho del dentice e delle ottime spigole…me le hanno portate stamane- disse subito l’uomo con un sorriso tirato.
 
-Avete della carne di serpente marino?- il proprietario fece una risatina veloce per poi tacere immediatamente.
 
-Potessi averla qui nel mio negozio…ma in quel caso gliela vendere subito- rispose infine cercando di restare cordiale. Sospirò dandosi dello stupido, nella parte bassa non potevano esserci che gli scarti dello smantellamento di quelle creature. Se eri fortunato. Se voleva la carne doveva andare al porto nella parte della macellazione per prenderla sottobanco o direttamente nella parte alta.
 
-…dammi della murena, insieme a dei datteri di mare e delle vongole, le più grandi che hai!- il pescivendolo iniziò subito a prendere tutto ciò che aveva chiesto, per poi ricevere in cambio le monete pattuite.
Ora che aveva tutto il necessario, poteva tornare a casa. Da quando era uscito di casa però aveva la sensazione di essere osservato. Cosa non insolita per lui, eppure questa volta la sensazione che provava non sembravano di sguardi curiosi.
 
-Uhm…è strano…- ammise Lili, guardando i libri posti sul grande scaffale di legno. Quella casa era così diversa dalle loro. Certo erano sempre in legno, ma non erano stata creata dentro un albero, ma unendo pezzi di tanti alberi insieme. Il solo pensiero di ciò le faceva venire la nausea.
 
-Sìolbeag non dovresti allontanarti da me- la ammonì Iasgach, seduta sul pavimento totalmente in allerta.
 
-Andiamo Paethraichean, quel tipo sebbene sia inquietante. Non è cattivo- le rispose la giovane ninfa, continuando a guardare i libri. Anche se lo diceva, rimaneva comunque inqueta, su cosa avrebbe potuto fargli.
Ma lui non le aveva toccate, gli aveva permesso di lavarsi e gli aveva dato degli abiti. Questi erano vestiti neri con delle lunghe gonne in pizzo con ricami di fiori rosso scuri. Quei colori scuri non le piacevano per niente. La ninfa dai capelli rosa chiaro, comprendeva che ciò che aveva detto la minore potesse essere veritiero. Ma dopo quello che avevano subito non poteva fidarsi degli uomini.
 
-…voi avete capito, cosa sia?- domandò Silidh, la Ninfa dai lunghi capelli color lilla con delle ciocche color ciliegia. La quale doveva avere uno o due anni in più di Lili. Era la domanda che si stavano facendo tutte e tre, l’unica cosa che avevano capito era che non fosse umano.
 
-Più che altro…come fa a parlare la nostra lingua. Nessuno a parte noi di Tír na nÓg…dovrebbe saperla-
 
-Di certo si intende di magia. Visti i libri- Silidh provò a prenderne uno, ma si fermò a mezzo centimetro. Se avesse saputo che aveva toccato qualcosa senza il suo permesso, quell’uomo si sarebbe arrabbiato. Non voleva di certo provocarlo, visto che avevano ancora le manette di Oricalco. Avevano provato a toglierle la notte scorsa, ma senza successo. Con tutta probabilità solo quell’uomo poteva rimuoverle.
 
-Credete che…sia stato nella nostra terra?- chiese la castana.
 
-Ne dubito…ci ricorderemmo di uno così- di certo non sarebbe passato inosservato nelle terre del giovane eterno. E se anche ci fosse stato, i popoli dell’isola non lo avrebbero perso di vista per un solo istante. Un brivido percorse la schiena dalla ninfa che voltò la testa verso l’ombra del muro, che sembrò tremolare.
Doveva essere uno dei “guardiani”, che il padrone di casa aveva chiamato prima di uscire e che avrebbero dovuto proteggerle. Ma non le faceva sentire per nulla al sicuro. Era come se tutte le ombre e fessure di quella casa avessero degli occhi puntate su di loro. Quegli sguardi penetranti le mettevano addosso una sensazione di gelo, facendola sentire insignificante.
 
-Tutto bene?- il tocco di Lili la riscosse dai suoi pensieri. Iasgach le sorrise annuendo, stringendola forte a sé. Loro erano la ragione per cui riusciva a restare sana di mente in quella situazione.
In quel momento sentirono la porta aprirsi e tutte e tre sobbalzarono, riunendosi insieme sul letto. Mentre percepivano dei passi che salivano le scale. I cuori iniziarono a battere all’unisono, per la paura. Quando bussarono alla porta le due ragazze più giovani squittirono spaventate.
 
-Sono io, sono tornato- la voce di Nergal le fece tornare a respirare, almeno in parte: -Preparo la colazione, scendete tra dieci minuti- concluse senza aspettare di ricevere risposta. Dato che era sicuro che non l’avrebbe avuta. Le ninfe si guardarono come a chiedersi se era una buona idea o no, ma i morsi della fame iniziavano a farsi sentire anche per loro.
 
 
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L’unica cosa che poté preparare per loro fu una semplice macedonia con la frutta comprata al mercato. Mise una ciotola in ceramica scadente sul tavolo e delle ciotoline per permettere alle tre di servirsi da sole. Mentre lui si sedette infondo al tavolo.
Concentrandosi nell’aprire il Durian. Poggiò il frutto puzzolente sul tavolo e richiamò la sua ombra, modellandola per renderla una lama ed usarla per tagliare la scorza spinosa del frutto. Rilasciando un odore molto intenso, ma ciò non gli fece certo storcere il naso. Il suo obiettivo era polpa soda che sapeva molto di mandorle, almeno secondo il suo palato.
 
Si alzò per prendere un cucchiaio, lanciando uno sguardo alle scale. Sperava che scendessero da sole senza costringerle. Ma non poteva certo biasimarle per la diffidenza.
 
“Finché usano la fotosintesi, non dovrebbero esserci problemi” pensò tornando al tavolo. Anche se la frutta non gli dispiaceva, Non gli andava di rimpinzarsene per non farla perdere.
 
-Dè a th’ anns a’ bhàrdachd seo?* (Cos’è questo fetore?) – si voltò vedendo Iasgach davanti alle scale con dietro le altre due, che si stavano nascondendo.
 
-An tug e rudeigin gu lobhadh?* (ha portato qualcosa in decomposizione?) – chiese una delle due più giovani tappandosi il naso.
 
-È questo frutto a emanare odore- rispose lui indicando il Durian. Le tre si ritrassero appena, quando gli rispose: -Vi ho fatto della macedonia, la frutta non è un granché. Ma c’era solo quella al mercato. Nel contenitore di metallo c’è del latte…se lo volevo oppure no, scegliete voi-  disse iniziando a consumare la polpa del frutto.
 
Iasgach gli lanciò un’occhiata per poi guardare la frutta. L’idea di consumare del cibo che non proveniva dalla sua terra non le piaceva. Ma era da quando erano state catturate che non mangiavano e la fotosintesi iniziava a perdere il suo effetto. Dovevano mangiare. La ninfa si avvicinò cautamente al tavolo facendo segno alle altre due di restare dove si trovavano.
Prese una delle forchette, facendo vagare lo sguardo tra la posata, la ciotola della frutta e infine su Nergal che stava mangiando.
Era distratto e lei aveva un’arma. Non proprio, ma almeno un’oggetto appuntito con cui poteva ucciderlo. Se fosse riuscita ad ucciderlo, forse il collare si sarebbe annullato, oppure le avrebbe uccise. Deglutì tremante, poteva rischiare di mettere in gioco le loro vite per la libertà. Alla fine infilzò un pezzo di frutta e tremante se lo portò alla bocca. Se voleva proteggerle, doveva rischiare lei. Masticò il frutto assaporandolo e infine lo ingoiò.
 
-Non è freschissimo…- ma a parte questo non sentiva alcun avveleno. Fece segno alle altre di venire a mangiare. Queste si avvicinarono cautamente e subito si avventarono sulla frutta, affamate.
Mentre mangiava la rosa, continuò a guardare il padrone di casa. Il suo mana, le faceva venire i brividi. Eppure gli sembrò di ricordare qualcosa che gli aveva raccontato una delle ninfe anziane del suo villaggio.
 
-Dè tha ceàrr (Cosa c’è?) – domandò sentendo lo sguardo della sua ospite su di sé. Non sapeva se era più curiosa, spaventata o un misto di entrambe.
 
-Hai letto il Grimorio!- la sera prima dopo il bagno, aveva notato che sul suo volto era apparso un marchio che gli attraversava la fronte e l’occhio destro fino alla guancia. Questi aveva la forma di segni di artigli che si intrecciavano tra di loro a formare quasi una spirale.
 
Lui rispose con un movimento della testa, senza nascondere nulla. I soldi usati per il libro erano stati un’ottima spesa. Aveva trovato molti incantesimi proibiti interessanti. Le native di Tír na nÓg, trasalirono. Doveva essere pazzo per voler apprendere incantesimi che persino la loro gente riteneva frutto della follia e della corruzione dell’uomo. Iasgach forse però, aveva capito cosa potesse essere.
 
-Tu sei il Dris dhubh* (Rovo nero) – Nergal smise di mangiare, lanciandogli uno sguardo che gli fece gelare il sangue. Anche le altre due ebbero la stessa reazione. Alla fine dalle labbra del corvino uscì una risata divertita, che fece stupire e raggelare le fanciulle.
 
-Scusate…è da un bel po' che non sento quel nome-
 
-Quindi sei davvero tu!- non poteva credere di aver davanti il famoso Rovo nero.
 
-Ma…ma non era..una Ninfa nata dalle tenebre. Una portatrice di sventura- si azzardò Lili, ricordando che sua madre e le simili più grande ne raccontavano la storia come un messaggero di sventura.
Lui infilzò la polpa con il cucchiaio, anche se in verità in quel momento avrebbe voluto un coltello. Sentirsi chiamare in quel modo risvegliava la sua rabbia, tanto che anche la sua ombra sembrò muoversi seguendo i sentimenti del suo padrone.
 
-Veramente sono un maschio. Incredibile a dirsi e si, voi mi definite un portatore di sventura!- il che era una cosa incredibile, visto che le ninfe avevano solo discendenti femmine. Lui era l’unico diverso, l’anomalia.
 
-Dicevano che eri sparito…invece…-
 
-Sono finito qui- concluse per lei. Non gli andava di parlare del passato. Anche perché non voleva condividere con altri e inoltre le tre sapevano abbastanza su di lui.
Dopo ciò nessuno parlò più, finendo di mangiare. Anche se le tre non avevano più quasi appetito dopo quella rivelazione. Ma una minuscola parte di loro, si sentì  sollevata di avere vicino un’altro abitante delle loro stesse terre.
 
Passarono un paio di ore, durante le quali Nergal era rimasto seduto sulla poltrona del soggiorno. Intento a pensare alla prossima mossa da fare, invece le ninfe stavano esplorando la casa. Dopo che gli aveva dato il permesso di guardare e toccare gli oggetti non pericolosi.
 
-A cosa stai pensando?- gli domando Iasgach. Anche se aveva scoperto che anche lui era come lei, non voleva stargli troppo vicino. Il suo potere, gli faceva venire i brividi in tutto il corpo.
 
-Su come riportarvi a casa- quella risposta fece strabuzzare gli occhi alla Ninfa dei prati.
 
-Vuoi davvero rimandarci a casa?-
 
-Vi avevo detto che non vi avevo comprate per farvi mie schiave! Certo che vi rimanderò a casa dalle vostre famiglie- rispose serio lui, alzandosi in piedi ancora pensieroso. Era certo che loro avrebbero ritrovato la strada di casa, tutti gli abitanti delle terre del giovane eterno sapevano farvi ritorno. Come i salmoni che tornavano al fiume dov’erano nati.
Ma non poteva di certo dargli una barca e mandarle da sole per mare, sarebbe stato troppo rischioso anche per delle ninfe. E lui non poteva neanche assentarsi per accompagnarle, una parte preoccupava dei suoi possedimenti incustoditi e l’altra si rifiutava di tornare a casa. Per il momento.
Il problema era trovare qualcuno che accettasse di eseguire quel compito e di cui poteva fidarsi.
 
“Temo dovrò chiedere aiuto a quella persona” non aveva molta scelta.
 
-Chiama le altre e dirle di prepararsi. Vi porto fuori a fare un giro e conoscere qualcuno- la rosa trasalì. Chi voleva fargli incontrare e per quale motivo. Storse le labbra puntando i piedi a terra per prendere posizione.
 
-Prima toglici le manette di Oricalco!- lui si bloccò, girandosi lentamente. Lo stava davvero sfidando, andando contro i suoi ordini.
 
-Non farò correre alle altre dei rischi…affidandoci solo a te- deglutì sentendo il Mana di lui innalzarsi minaccioso come fumo: -Se vuoi che non ci accada niente, devi darci la possibilità di…difenderci da sole-
 
-Comprendo che vi sentiate private. Ma questa città non è come la nostra terra e se proverete a scappare e vi catturano, sarete vendute di nuovo come schiave. E di certo il prossimo compratore non sarà gentile quanto me- la cruda verità le venne sbattutale in faccia. Ma lui aveva ragione, non conoscevano quel posto ed era sicura che il numero di persone disposte ad aiutarle era quasi nullo.
La rosa abbassò lo sguardo sentendosi una stupida per non averci pensato. Voleva sentirsi libera, ma avrebbe rischiato così di mettere in pericolo sé stessa e le sue Paethraichean.
Annuì mentre una lacrima gli scendeva dalla guancia. A quella reazione lui grugnì, sapeva che lo faceva per tenerle al sicuro, ma non gli piaceva veder piangere una creatura pura come quella. La mancanza del legame con la magia della natura per loro doveva essere una vera tortura. E lui le stava torturando facendole mantenere quelle manette, come un vero padrone. Ciò gli dava il volta stomaco.
 
-Se promettete di ascoltare delle semplici regole. Vi tolgo le manette…d’accordo?- Iasgach alzò il viso sorridendo contenta mentre si tappava la bocca versando qualche lacrime. Che non appena toccarono il legno, fecero apparire qualche germoglio.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
Alpha era poggiata con i gomiti alla sua scrivania e le mani intrecciate davanti al viso. Anche se aveva gli occhi chiusi, si poteva leggere la preoccupazione dalle rughe sulla sua fronte. Dopo che Rhaul aveva condiviso l’informazione che l’Imbalsamatore si trovava in città, la sua giornata era andata a peggiorare.
 
“Non ci mancavano solo le pressioni dei Bàthory…” ora c’era anche uno psicopatico serial killer a piede libero. Bokkai, vedendola in quello stato, non sapeva se fargli una semplice domanda oppure lasciare perdere.
 
-Devi dirmi qualcosa Bokkay?- il suo assistente sobbalzò, annuendo lievemente. Lei gli diceva sempre che dovrebbe essere più schietto nei suoi confronti e meno chiuso. Ma la sua natura timida e fifona, non aiutavano certo con le comunicazioni tra lui e il suo superiore.
 
-Si…uhm…chi sarebbe questo…Imbalsamatore?...- la sua voce uscì come un sussurro: -So chi è…i suoi mani..festi sono ovunque. Ma la sua storia…sembra avvolta dal mistero-
 
La donna lo guardò di sott’occhio. La storia dell’Imbalsamatore era una delle più crude che lei avesse mai sentito. I suoi crimini giunsero a Kētō, dopo un anno che aveva ricoperto la sua posizione attuale. Ma già a quel tempo la disgustarono per la macrabrocità degli atti compiuti.
 
-Hai già mangiato?- il giovane scosse la testa: -Molto bene, perché credo che daresti di stomaco, se sentissi la sua storia- si mise più dritta sulla schiena, gonfiando leggermente il petto.
 
-Il suo vero nome è sconosciuto…ma secondo alcune voci in passato era un medico o quanto meno ha studiato anatomia. Finché non venne colto dal complesso di dio. Iniziò a sezionare i corpi per creare manichini di carne- il moro deglutì al solo pensiero di un medico che svolgeva tali e folli esperimenti. E per quale scopo poi, creare dei manichini che marciscono e non sono comunque vivi.
 
-Ho sentito che può riportare in vita i morti. È vero?-
 
-Beh…riportarli in vita è una parola grossa. Ma si, crea dei golem con parti di vari corpi- ammise la donna.
 
-Ma nessuna magia è in grado di farlo- quanto era ingenuo. Era vero che le magie normali non potevano farlo, ma quelle proibite di certo si. Scosse la testa, non aveva tempo per spiegarglielo. Doveva assolutamente disporre più guardie per le strade, soprattutto durante le ronde notturne. Era in quel momento che quel folle era più attivo.
 
-Il detective Rhaul è ancora qui?-
 
-Si comandante. Sta aspettando fuori il permesso di tornare alla stazione della parte bassa-
 
-Fallo venire da me!- aveva un paio di cose da discutere con quell’uomo.
 
Rhaul entrò nell’ufficio del comandante. Ma era chiaro che l’aria era tesa, lo aveva capito non appena ci mise piede. E gli venne spontaneo chiedersi il perché. Alpha guardò il detective con uno sguardo di ghiaccio, che per poco non gli mise i brividi.
 
-Prego detective si accomodi- lui si sedette davanti alla scrivania, così da sentirsi osservato dalla donna. Che sembravano scrutarlo come un falco.
 
-Per iniziare, voglio ringraziarla per la soffiata sul fatto dell’Imbalsamatore. Dovremmo triplicare i pattugliamenti per trovarlo- anche se non sarebbe stato sufficiente, dato che era certa che qualcuno lo avesse assoldato. Sicuramente un nobile, che avrebbe nascosto la sua “lama in affitto” e anche perché era bravo a nascondersi. Unito al fatto che fosse tremendamente pericoloso, aveva paura che gli agenti in servizio non sarebbero mai riusciti a catturarlo.
 
-Il problema sarebbero anche le pattuglie della parte bassa. Non siamo fornito come voi qui- in confronto a loro i suoi colleghi non avevano a disposizione tutti i loro strumenti. Avvolte pensava che qualcuno della parte alta se ne intascasse una parte, per rivenderli.
 
-Vedrò di mandare qualcuna delle nostre scorte al vostro dipartimento- gli disse Alpha. Il detective sorrise, sebbene i superiori avvolte erano degli stronzi. Quella donna per ora gli sembrava diversa.
 
-Se è tutto io tornerei al mio lavoro- disse lui facendo per alzarsi.
 
-In verità no. Ti ho chiamato anche per parlare della indagine in corso- già quelle parole non presagivano niente di buono per Rhaul. Quando iniziavano così, voleva dire che volevano sollevarlo dal caso o assegnarlo ad altro.
 
-Vuole buttarmi fuori?- chiese duro stringendo i pugni fino a sbiancare le nocche. Il suo sguardo dimostrava tutto il suo disappunto. Anche se era un suo superiore non gli faceva paura, se pensava di metterlo alla porta facilmente, si sbagliava.
 
-Non mi fraintenda detective…dal suo dossier, risulta che lei è un agente affidabile e competente- iniziò per poi grattarsi il collo: -Ma alcuni dei miei agenti si sono lamentati e vorrebbero che tu venissi sollevato dal caso-
 
Storse le labbra sfregando i denti per la rabbia così forte che si poterono quasi sentire. Quei maledetti volevano davvero tagliarlo fuori, solo perché non era della parte alta di Kētō come loro.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
-An t àite seo…tha  e a’ sèideadh* (Questo posto…puzza)- sussurrò Silidh, storcendo il naso.
 
-Na smaoinich mu dheidhinn agus fuirich faisg orm* (Non pensarci e stammi vicina) – la riprese la ninfa più grande, tenendo stretta la mano di Lili. L’altra si precipitò subito dalla sua simile stringendole forte la mano. Quel posto le trasmetteva pessime vibrazioni.
Ovunque posava lo sguardo c’erano solo costruzioni di roccia e legno. Niente alberi, piante o vita. Era come se avessero strappato via tutto il verde per sostituirlo con la fredda e nuda pietra. La sua anima piangeva per la crudeltà verso la natura.
 
-Iasgach…tha mi a’ faireachdainn mì chofhurtail* (Iasgach…mi sento a sidagio) – la rosa comprendeva bene. Si sentiva fin troppo osservata. Tutti gli occhi delle persone erano puntati su di loro.
 
“Il Maestro oscuro ha compagnia?!” era un sussurrò flebile, ma le orecchie del popolo nascosto riuscirono a sentirlo. Da quello che sentivano, la gente non riusciva a credere di vedere qualcuno insieme al corvino. Come se fosse qualcosa di innaturale.
Spostò lo sguardo sul Dris dhubh, che camminava davanti a loro come ad aprire la strada. Lui non sembrava minimamente toccato da quei pettegolezzi. Facendo tacere tutti quelli che erano davanti solamente passandogli di fianco.
 
“Si fa ubbidire con la paura” constatò la ninfa.
 
-Oh…glagairean* (Oh…luccica) – Lili si stacco dalla mano di Iasgach. Per andare a vedere una piccola bancarella che vendeva gioielli da due soldi. L’altra fece per allungarsi per prenderla e riportarla vicino a sé. Ma Nergal fu più veloce, avvolgendo il braccio inforno alla vita della giovane e sollevandola di peso.
Lui lanciò uno sguardo di rimprovero alla ninfa, che deglutì spaventata.
 
-Tha fios agam gu bheil thu fiosrach. Ach tha mi ag iarraidh ort gun a bhith tionndadh air falbh* (So che sei curiosa. Ma ti chiedo di non allontanarti) – l’ammonì riportandola dalle altre due: -Fiù ma thèid na glasan làimhe a thoirt air falbh, chan eil am baile-mòr sàbhailte. Fuirich faisg orm gus an ruig sinn ar ceann uidhe!* (Anche se vi ho tolto le manette, la città non è sicura. Restatemi vicine finché non arriviamo a destinazione!)
 
-Cha do dh'innis thu dhuinn càit a bheil thu gar toirt* (Non ci hai detto dove ci stai portando) – disse Silidh, stringendo la mano della sorella.
 
-Tranquilla, non manca molto- Iasgach strinse le mani delle sue simili con forza. Sentiva i palmi sudati a causa del fatto che si sentiva perennemente osservata. Avrebbe voluto usare la magia per nascondersi e scappare con le altre. Ma gli aveva promesso che avrebbe tenuto buone le altre due e che non sarebbero scappate se gli avesse tolto le manette di Oricalco. E dato che aveva mantenuto la parola, lei avrebbe fatto altrettanto.
 
Alla fine raggiunsero un muro di pietra con un cancello in ferro. Dietro ad esso c’era un pezzo di verde, che sembrava fuori posto in quella parte di Kētō. Le tre ninfe si guardarono intorno, l’erba era giallastra e non verde. Segno che non veniva annaffiata regolarmente.
Al centro del piccolo guardino c’era un edificio a due piani, ricoperto di edere.
 
-Dè an t àite a th’ ann?* (Che posto è?) – gli chiese una delle due più giovani. Guardandosi intorno vide che c’era qualcuno nel giardino, dei bambini umani. In quel momento una bambina che stava giocando insieme agli altri, si accorse di loro.
 
-È arrivato Nergal- tutti gli altri bambini si voltarono guardando i quattro. Appena le tre videro i bambini avvicinarsi, Lili e Silidh si sedettero a terra evocando delle grosse foglie che le avvolsero come bozzoli per difendersi. Iasgach invece rimase immobile, osservando i bambini che circondavano il corvino.
A guardarli dovevano avere tra gli otto e i dodici anni. Nergal li guardò sorridendogli. Lasciando la rosa spiazzata da quel gesto.
 
-Come state bambini?- chiese lui abbassandosi e accarezzando la testa di uno dei ragazzi.
 
-Non ti aspettavamo-
 
-Ci hai portato dei dolci?-
 
-Vuoi giocare con me?- tutti i ragazzi erano così concentrati su di lui, da non notare le tre che lo accompagnavano. La rosa rimase molto stranita da quella situazione, non si aspettava di certo che una creatura oscura come quell’individuo. Potesse piacere a dei bambini.
 
-Bambini, chi è arrivato?- chiese una voce forte proveniente dall’edificio. Dopo pochi istanti un’imponente figura vestita da suora uscì fuori con in mano un’ascia per spaccare la legna. Appena inquadrò i nuovi arrivati, si diresse verso di loro poggiando l’ascia sulla spalla.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Finalmente riesco a concludere questo capitolo, devo ammettere che alcune parti sono state dure.
Qui però abbiamo qualche informazione di più su Nergal, soprattutto che è originario di Tír nà nÓg come le tre Ninfe e anzi anche lui è uno di loro. Anche se molto diverso, chissà come mai?
Poi vediamo Rhaul che discute con Alpha che vorrebbe togliergli l’incarico per le pressioni dei suoi colleghi. Di certo c’è molta discriminazione tra ricchi e poveri anche nelle forze dell’ordine. Ma vedremo cosa deciderà il comandante.
Infine Nergal porta le tre in quello che sembra un’orfanotrofio e una figura minacciosa armata di ascia appare, chissà che è?
 
Tutte queste domande troveranno risposta nei prossimi capitoli (forse). Per ora ringrazio chi è arrivato a leggere fin qui e ci vediamo al prossimo aggiornamento.
A presto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 
 

La figura con l’ascia si avvicinò ai nuovi arrivati. Fermandosi davanti a Nergal ed oscurandolo con la sua ombra. La rosa deglutì terrorizzata. Quella figura era alta quasi due metri e massiccia. Gli ricordava un membro dei Túatha Dé Danann. Indietreggiò fino ai bozzoli di foglie che le sue due Paethraichean, avevano alzato per difendersi. Provando anche lei l’impulso di fare la stessa cosa, non appena vide l’ascia che portava.
Il corvino invece rimase a guardare la suora davanti a lui con sguardo di ghiaccio. Impassibile davanti alla stazza o all’arma che portava.
 
-Buongiorno Laia- salutò lui con un cenno del capo.
 
-Nergal. Non ti aspettavamo, potevi avvisare che venivi- gli disse la donna. Era più alta e massiccia di lui. Il viso dalla carnagione scura era sfregiato da delle cicatrici, di cui una l’aveva resa ceca da un occhio. Spostò lo sguardo da lui fino alla persona che era con lui, stupita di vedere una ragazza così attraente ed eteria. Come se non fosse di questo mondo.
 
-Ti sei trovato una donna?- chiede alludendo ad Iasgach. Questa strabuzzò gli occhi per quel commento, sentendosi un po' offesa.
 
-Chan e boireannach duine a th’ annam!* (Io non sono la donna di nessuno!) – disse offesa. La suora però non capì una singola parola di quello che aveva detto. Anche se trovò che aveva una voce melodiosa. Chiedendosi se fosse uno spirito o una creatura delle acque.
 
-Sono Ninfe che ho acquistato ad un’asta clandestina- l’unico occhio sano della donna si affilò a quella risposta. Mentre vedeva che anche le altre due uscivano dai loro nascondigli, stringendosi alla schiena della più grande per paura di quella donna gigantesca.
Laia strinse il manico dell’ascia con forza fino a far scricchiolare il legno. Dallo sguardo si evinceva che era furiosa. Acquistare esseri viventi come se fossero degli oggetti era qualcosa che odiava.
 
-Nergal, questo da te non me lo aspettavo. Sei venuto per farti punire per i tuoi peccati?- gli chiese abbassando l’accetta che teneva in mano. Iasgach deglutì, quella persona era spaventosa, molto più delle altre che aveva incontrato.
 
-A bheil orcs san àite seo cuideachd?!* (Ci sono gli orchi anche in questo posto?!) – sussurrò Lili spaventata da quella persona.
 
-Veramente è umana- la corresse lui, per poi rivolgersi a Laia: -Puoi evitare di apparire più minacciosa di quanto sei? Le stai spaventando- la donna guardo le ninfe che sussultarono. Gli lanciò un sorriso gentile prima di allacciare l’accetta alla veste, per poi tornare su Nergal incrociando le possenti braccia. Voleva delle spiegazioni da lui.
 
-Devo rimandarle a casa alle terre del giovane eterno- a quella risposta lei sembrò calmarsi. Infondo sapeva che non era il tipo da avere degli schiavi, o almeno non tradizionali.
 
-Ti serve una barca?-
 
-Non solo quella. Padre Gilbert è dentro?- la donna annuì. Lui sorrise ai bambini andando poi dalle ninfe. Poteva vedere e sentire che erano spaventate.
 
-Feumaidh mi bhruidhinn ri cuideigin as urrainn ar cuideachadh. Fuirichidh tu an seo* (Io devo parlare con una persona che può aiutarci. Voi restate qui) –
 
-Tha thu airson ar fàgail le sin!* (Vuoi lasciarci sole con quella!) – affermò la ninfa dia capelli rosa, guardando spaventata la suora.
 
-Tha e eagallach dìreach ann an coltas. Ach gu dearbh is e pìos arain a th’ ann* (È spaventosa solo nell’aspetto. Ma in realtà è un pezzo di pane) – disse cercando di tranquillizzarle. Ma Laia aveva capito che si stava parlando di lei. Finendo per scuotere la testa.
 
-Puoi tenerle d’occhio per me? Magari senza farle spaventare troppo- Laia annuì. Mentre alcuni dei bambini si erano avvicinati curiosi alle nuove arrivate.
 
Il corvino entrò nell’orfanotrofio dall’ingresso principale, questo era abbastanza stretto con due porte ai lati e una scala che dava accesso al piano superiore. Salì le scale ritrovandosi in un lungo corridoio con varie porte.
Si diresse all’ultima infondo e bussò, aspettando una risposta.
 
-Chi è?- chiese una voce dall’altra parte.
 
-Sono Nergal, padre. Ho bisogno di parlarle-
 
-Entra pure figliolo- entrato nella stanza trovò l’uomo seduto alla scrivania che guardava dei fogli. Era un uomo oltre la cinquantina, vestito con degli abiti da prete e la testa coperta da un cappello nero con una lunga tesa. Il volto era lungo con delle rughe e una cicatrice sul mento fino alle labbra.
 
-Sei venuto a confessarmi i tuoi peccati?- chiese padre Gilbert alzando la tesa per vederlo meglio, stringendo un rosario.
 
-Non oggi. Devo parlarle di affari, padre- rispose il Maestro oscuro andando alla scrivania e poggiandovi sopra la mano mettendovi sopra tutto il suo peso.
 
 
---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---Ψ---
 
 
-Arg…ma che diavolo fai?- chiese il tipo, mentre Rhaul lo aveva bloccato al muro torcendogli il braccio dietro alla schiena.
 
-Credo che tu lo sappia bene!- affermò, prendendo con la mano libera i gioielli che erano stati rubati dalle case della bassa nobiltà. Aveva sentito che era stato segnalato un ladro alle abitazioni nobile delle mura e da bravo agente era andato per dare assistenza ai suoi colleghi.
 
-Lasciami andare maledetto!- Strinse la presa sul braccio del ladro per impedirgli di scappare.
 
-Scordatelo. Tu ora resti qui finchè…- non finì la frase che si udì uno sparo, seguito da uno schizzo di sangue che gli macchiò il volto. Guardò il corpo del poveretto, lasciandolo andare inorridito.
Voltò la testa trovando un altro membro della Guardia cittadina con in mano la pistola che aveva appena usato. Ma la sua uniforme era di un colore argento e azzurra, invece di azzurra e nera come la sua. Era una guardia della parte alta.
 
 
-L’ho beccato!- disse questi con voce euforica. Come se avesse appena ucciso una preda che stava inseguendo da chilometri. Dietro di lui arrivarono altre guardie sempre della parte alta. Appena quello che aveva sparati vide il detective, storse le labbra.
 
-Che ci fai tu qui?- era chiaro che fosse infastidito nel trovarlo nella loro zona. Il Detective però non rispose, continuando a guardare il corpo senza vita del ladro.
 
-Non c’è n’era bisogno!-
 
-Cosa?- chiese l’altro senza capire quello che stava dicendo. Una vena pulsò sulla fronte di Rhaul, sentendo quella risposta.
 
-Lo avevo immobilizzato, non c’era bisogno di ucciderlo!- sarebbe bastato mettergli le manette e portarlo al dipartimento della Guardia cittadina. Il ragazzo che aveva sparato lo guardò con espressione annoiata in viso.
 
-Era solo un volgare ladro. Non mancherà a nessuno- rispose con disprezzo. Per quel tipo i criminali erano spazzatura e non persone, qualcuno da uccidere perché sicuro che non gli avrebbero fatto niente dato che era lui la legge. La guardia della parte alta notò l’espressione contrariata dell’uomo ed alzò un sopracciglio.
 
-Cos’è ti dispiace per questo criminale?- gli chiese avvicinandosi al detective e guardandolo negli occhi. La sua espressione dura e di rimprovero lo stava facendo innervosire.
 
-Non sta a noi elevarci a giudice e carnefice. Noi dobbiamo soltanto assicurare i criminali alla giustizia- l’espressione della guardia passo da infastidito, diventando furioso. Come si permetteva quel tipo della parte bassa di criticarlo.
 
-PROPRIO PER MANTENERE LA GIUSTIZIA TOLGO LA SPAZZATURA DALLE STRADE. LA STESSA CHE VOI COGLIONI CI MANDATE QUI. SE NON TI STA BENE ALLORA PUOI TORNARTENE AL TUO LETAMAIO, VECCHIO!- gli urlò in faccia per niente intimorito da quel vecchio uomo. Rhaul strinse gli occhi per poi assestare un pugno circolare alla mascella del giovane, che cadde a terra come un sacco di patate.
Dopo quel gesto infilò una mano nella tasca tirandone fuori un pacchetto di sigarette.
 
-Ora capisci il mio punto di vista!- rivolto al giovane svenuto a terra, per poi guardare gli altri sui colleghi che erano rimasti di sasso dal suo gesto.
 
-Fatemi pure un reclamo, non me ne frega un cazzo!- li superò sentendoli poi insultarlo in modo molto colorito.
Quel genere di comportamento per lui era inaccettabile. Tolto il trattare i criminali come insetti da schiacciare, ma il trattarlo come se fosse anche lui spazzatura. Come se quelle persone che lavoravano e prendevano ordini dai ricconi fossero superiori e che la legge potessero applicarla con le loro stesse mani.
 
Tenne la sigaretta stretta sui denti, mentre oltrepassava il cancella delle mura che separava la città. Subito l’odore della parte bassa lo investì. Era così diverso dalla parte alta, più salmastro e leggermente stantio. Ma a lui piaceva.
Mentre tornava verso il suo dipartimento, si ricordò dell’oggetto che teneva in tasca e che gli era stato dato dal Comandante Alpha. Ripensando anche alla conversazione che aveva avuto nel suo ufficio e l’ultima frase con cui l’aveva chiusa.
 
“Considerando l’insistenza dubito che i miei agenti la coinvolgeranno direttamente. Ma io non la penso così, mi serve qualcuno di cui possa fidarmi per questo caso. Voglio che lei sia le mie orecchie della parte bassa e mi comunichi tutto quello che scopre”
 
L’oggetto che gli aveva dato, serviva per mettersi in contatto tra di loro. Così da potersi scambiare informazioni. Era sollevato che lei avesse ritenuto giusto continuare a coinvolgerlo anche se di nascosto. Si vedeva che quella donna aveva gli attributi per ripulire il marciume nella parte alta di Kētō.
 
 
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Nergal rimase più di venti minuti a spiegare la situazione a padre Gilbert. Il quale ascoltò con attenzione, ma dal suo sguardo si evinceva che era pensieroso.
 
-Credo lei abbia capito, cosa voglio chiederle- dopo aver concluso, l’uomo si tolse il cappello rivelando una testa totalmente calva. Poggiò il copricapo sulla scrivania, aprendo un cassetto e tirando fuori una bottiglia di whisky.
 
-Sai Nergal, ogni volta che ti vedo qui. Spero sempre che sia per volerti confessare- ammise il reverendo andando a prendere dei calici in argento di quelli usati per la messa.
 
-Mi dispiace deludervi. Ma mi serve il vostro aiuto, ovviamente pagherò- di questo non poteva che essere grato al ragazzo. Erano un paio di anni che l’orfanotrofio restava aperto grazie alle donazioni di un anonimo benestante. Almeno era quello che pensava il resto dei loro vicini. In realtà era il corvino che forniva i fondi tirarlo mandarlo avanti.
Versò un po' di distillato in entrambi i calici, porgendone uno al Maestro oscuro. Padre Gilbert mandò giù il contenuto in un colpo facendo poi una smorfia a causa del sapore forte dell’alcool in gola.
 
-Perché credi che conosca qualcuno che possa portare le ninfe fino a casa?-
 
-Non finga di non sapere. So che lei e Laia avete mantenuto dei contatti delle vostre vite passate- prima di aprire l’orfanotrofio Gilbert era un mercenario che aveva girato il mondo. Ed aveva mantenuto dei contatti con degli amici e persone fidate.
 
-Di certo qualcuno che potrebbe fare quel viaggio lo conosco. E poi non posso certo lasciare delle fanciulle così pure in un posto di merda come questo- eppure sembrava ci fosse un “MA” in arrivo: -…l’unico problema è che hanno rafforzato i permessi di uscita ed entrata delle navi! Immagino avrai sentito del casino al porto?-
 
In quel momento avrebbe voluto sbattere la testa contro al tavolo. Quel maledetto attacco al porto ora lo stava davvero irritando. Già non era abbastanza lo scalpore che aveva causato e che fosse stato accusato ingiustamente di esserne coinvolto. Ci mancava anche un altro grattacapo.
Gli stava quasi venendo voglia di trovare il colpevole e consegnarlo alla Guardia cittadina o direttamente al proprietario del deposito distrutto. Quasi.
 
-Posso fargli chiudere un occhio con un bel gruzzolo- rispose lui prendendo il calice e mandare giù il whisky per combattere il fastidio che stava avendo.
 
-Si, ma arrivare fino a Tír na nÓg non è una passeggiata, anche con l’aiuto di un abitante di quelle terre. Non credo che una delle tue piccole navi possa riuscirci- su questo punto l’uomo ne era sicuro. Anche se gli faceva fatica ammetterlo, Nergal sapeva che le navi di cui disponeva non potevano certo affrontare un simile viaggio. C’erano molte incognite tra cui la forza del mare e i mostri marini.
Si portò la mano a coprirsi la bocca iniziando a pensare ad una soluzione. Avrebbe potuto comprare una nave apposta o noleggiarla. Ma così facendo avrebbe potuto attirare l’attenzione e metterlo nuovamente sotto l’occhio attento della Guardia cittadina.
Quel detective sembrava convinto che lui ne fosse in qualche modo implicato nel caso, oppure più semplicemente non gli stava simpatico.
 
“Forse potrei provare a chiedere un favore a lui!?” non gli andava di chiedere favori ad altri, ma in quel momento gli sembrava l’idea migliore.
 
Mentre il Maestro oscuro era dentro a parlare. Fuori Aisgach continuava a tenere d’occhio le sue simili più giovani. Dopo una diffidenza iniziale, avevano iniziato a giocare e stare con i bambini. Vederle in quel momento, gli sembrava di essere ancora seduta nei prati della sua terra. Godendosi l’aria fresca che accarezzava l’erba, invogliandola a danzare con le sue sorelle.
 
-Hai un buon profumo- disse una bambina annusandole i capelli. La Ninfa si spostò leggermente in imbarazzo a tale attenzioni. Tra ninfe l’aspetto non era una cosa così importante, anche se avvolte invidiava alcune delle sue sorelle più grandi. Ma riceverle da qualcuno non della sua specie anche se un bambino, la metteva a disagio.
 
-Su Mandy, lascia in pace la nostra ospite. Vai a giocare insieme agli altri- la figura imponente della suora si stagliò su di loro. La piccola annuì salutando Iasgach e correndo dagli altri.
Laia gli sorrise, un gesto dolce e per nulla minaccioso. In risposta la ninfa voltò lo sguardo messa a disagio.
 
-Immagino che una come me mette paura. Beh ci sono abituata- rise la donna divertita. Il silenzio cadde tra di loro, mentre Laia si sedette a trenta centimetri dalla sua ospite per lasciarle il suo spazio. Continuando a tenere d’occhio i bambini.
 
-Quindi tu vieni dalle terre del Giovane eterno?- la rosa si voltò a guardarla, annuendo: -E dimmi…come sono?- continuò curiosa. Anche se era stata in mare per anni i suoi interessi non erano i viaggi in terre sconosciute, ma la pesca ai serpenti marini. Un lavoro che dire pericoloso sarebbe poco e il suo corpo ne portava i segni.
 
-È un luogo magnifico…- inizio Iasgach: -So che sembra molto usata come parola ma è così…i campi sono sempre verdi e c’è sempre cibo, non ci sono malattie e ognuno ha il suo posto e il suo luogo- alla ninfa gli brillavano gli occhi di dolcezza e purezza mentre descriveva la sua casa. Anche l’altra riuscì a percepire l’emozioni che stava provando solo sentendola parlare.
 
“Si direbbe un vero e proprio Eden…” pensò poco convinta che un luogo simile esistesse. In quel momento sentì i peli sul collo rizzarsi e si sbrigò ad alzarsi in piedi, scrutandosi intorno. Avendo l’impressione di essere osservata.
 
-Dè thachras?* (Che succede?) - chiese la rosa parlando involontariamente nella sua lingua. Laia anche se non aveva capito, poté intuire dal suo sguardo che era spaventata. Così mise su un largo sorriso per tranquillizzarla.
 
-Niente…credevo di aver sentito un rumore- ovviamente aveva sentito qualcosa, una presenza nascosta. Anche se non era riuscita a capire dove fosse era sicura che li stessero osservando. Portò la mano in una tasca nascosta della sua veste stringendo il tirapugni che vi nascondeva.
 
 
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Harald Kragebrats il capofamiglia della sua casata, rimase ad ascoltare quello che le spie inviate dal suo primo genito avevano scoperto sul famigerato Maestro oscuro. Gli schiavi Birāla erano prostrati davanti a lui con le fronti a toccare terra e le code e orecchie abbassate.
 
-Queste sono tutte le informazioni che avete trovato?- domandò Geert guardando i fogli con tutto ciò che avevano scoperto. Harald storse le labbra portandosi la mano a lisciarsi il lungo pizzetto rosso scuro che gli decorava il mento. Era un uomo sulla sessantina e imponente con dei capelli raccolti in una coda bassa rosso scuro con qualche ciocca bianca.
 
-Abbiamo provato ad entrare in casa sua…- iniziò l’unica donna dei Birāla: -Ma qualcosa ce lo ha impedito- avevano provato ad avvicinarsi ma a meno di dieci metri, il loro istinto animale li aveva fatto desistere dal farlo. Quell’abitazione gli aveva trasmesso una sensazione di pericolo ce oscurità. Come se fosse stata maledetta o ci fosse qualcosa di molto pericoloso pericoloso a difenderla.
 
-Le schiave che ha acquistato sono invitanti. Padre, dovremmo rubargliele da sotto il naso!- disse il primo genito dei Kragebrats. Immaginandosi già di legare una di quelle tenere e bellissime spiriti dei boschi, facendo di loro tutto ciò che voleva. Il capofamiglia prese il calamaio d’inchiostro lanciandolo contro il figlio centrandolo sul viso e finendo per imbrattarlo d’inchiostro. Lui strabuzzò gli occhi guardando il genitore confuso.
 
-SEI UN IDIOTA! Credi davvero che quell’obbrobrio te lo permetterebbe facilmente? Perché se lo pensi sei stupido quanto tuo fratello!- era un uomo con molta esperienza nell’attaccare le altre famiglie più deboli. E per quanto il danneggiare gli altri fosse pane per lui, sapeva che quel tipo con le corna non era da prendere sottogamba. Quell’incompetente di Askew lo aveva fatto ed era stato umiliato, gettando vergogna su tutti loro.
Geert divenne rosso di rabbia. Come poteva suo padre paragonarlo a suo fratello. Lui era più bello e sveglio di lui.
 
-Se vogliamo fargliela pagare, dobbiamo colpirlo dove gli farà più male!- disse forte e deciso l’uomo.
 
-Hai in mente un piano, padre?- gli chiese il figlio. Ricevendo uno sbuffo.
 
-Io ho sempre un piano pronto per danneggiare!- si alzò dalla poltrona andando verso una libreria dello studio e prendendone un libro dalla copertina blu. Lo aprì rivelando un doppio fondo. Le sue labbra si piegarono in un sorriso vedendo il taccuino nero che era contenuto all’interno.
 
 
 
 
 
Note dell’autore
 
Salve di nuovo. Eccomi con un nuovo capitolo.
 
Qui continuiamo dove ci siamo lasciati e scopriamo due nuovi personaggi legati a Nergal. Suor Laia, l’imponente figura con l’accetta e padre Gilbert a cui il nostro protagonista chiede aiuto per riportare le ninfe a casa.
Nella parte alta invece rivediamo Rhaul che capisce quanto i suoi colleghi della parte alta siano dei mostri, peggiori dei criminali. Infine vediamo il capo famiglia della quinta famiglia più influente di Kētō: Harald Kagebrats. Che ha quanto pare ha proprio voglia di prendersela con il nostro protagonista, non credo sarà una buona idea.
 
Per ora questo è tutto, ringrazio chi ha letto la storia fin qui. E ci vediamo al prossimo capitolo.
A presto.

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