Il Genio

di Ghostclimber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Primo Desiderio ***
Capitolo 2: *** Il Secondo Desiderio ***
Capitolo 3: *** Terzo Desiderio ***
Capitolo 4: *** Raga non lo so questo capitolo non c'era ***
Capitolo 5: *** Il Desiderio Offerto ***



Capitolo 1
*** Il Primo Desiderio ***


"YOUHEI PORCA DI UNA MALORA FAMMI USCIRE DI QUI!"

Erano ormai venti minuti che Hanamichi era rinchiuso nell'armadio delle scope in palestra, e cominciava ad essere intimorito.

Scomodo no, quella sensazione lo accompagnava dall'inizio, insieme al sospetto di avere il manico della paletta un po' troppo vicino al buco del culo, ma intimorito. Se lo avesse liberato qualcuno che non fosse Youhei, avrebbe avuto un certo numero di spiegazioni complicate da fornire.

Ricominciò a battere i pugni sulla porta e urlare; ormai aveva la voce arrochita.

Finalmente, uno spiraglio si aprì, proiettando una sottile lama di luce sul viso di Hanamichi: una lama che si allargava poco a poco.

"FINALMENTE, CAZ…" cominciò Hanamichi, ma la voce gli morì in gola.

Tra tutte le persone che potevano liberarlo, proprio lui. Cazzo, cazzo, cazzo.

"Che ci fai qui?" chiese Rukawa. La sua voce era come al solito pacata e profonda, forse venata da un filo microscopico di impalpabile curiosità.

"Io? Ah… niente di che, sai, uno scherzo del mio amico, mi ha chiuso qui pensando di essere spiritoso!" mentre fingeva di sganasciarsi dalle risate, ad Hanamichi sovvenne che c'era un piccolo cavillo che ancora poteva salvarlo. Se solo lui avesse inventato una balla qualunque, tipo che si era appostato per…

"Beh, adesso sei libero. Fuori dalle palle."

"Mai una gioia!" esclamò con trasporto Hanamichi, mentre l'antica sensazione di avere i polsi e parte degli avambracci coperti da fasce di metallo tornava a farsi viva al suono delle parole magiche: "Sei libero ora" e variazioni sul tema. Le uniche che davvero non gli avrebbero concesso via d'uscita. Libero un corno.

Rukawa, che si era fatto da parte per farlo passare, era immobile con una mano sull'anta dell'armadio. Il suo viso solitamente impassibile era distorto in una comica espressione di sorpresa e incredulità.

"Cosa… cazzo…?" chiese, in un filo di voce. Sakuragi sospirò.

"Sono un Genio," ammise.

"Così geniale che ti sei fatto chiudere in un armadio per le scope," commentò Rukawa, facendo schioccare le labbra sdegnoso.

"Non Genio in quel senso!" tuonò Hanamichi, e la sua voce echeggiò in maniera innaturale tra le pareti della palestra. Cercò un tono di voce normale: per una volta, Rukawa doveva restare, almeno per un paio di minuti.

"Sono un Genio nel senso che sono un Djinn. È un tipo di creatura sovrannaturale. Hai presente Aladdin?"

"Mi prendi per il culo?" in tutta risposta, Hanamichi sollevò le braccia a mostrare i polsi. Due alti bracciali di metallo glieli stringevano in una morsa perfetta, come se fossero disegnati apposta per lui.

"Questo è il simbolo della mia schiavitù," disse in tono piatto, "E ora, siccome mi hai liberato, ti spettano tre desideri. Le regole sono le solite, non posso creare l'amore, far morire o resuscitare persone. E non posso far crescere le mani ai ragni. Regola personale, questa, sono stati cinque minuti davvero ma davvero agghiaccianti."

"Mi prendi per il culo?" chiese di nuovo Rukawa.

"None… senti, hai tre desideri. Fatti un paio di conti, vedi se puoi sprecarne uno e chiedimi, che ne so, un camion di marshmallow."

"Non mi piacciono i marshmallow."

"Sei una bestia. Beh, senti, io resto…" Sakuragi si morse la lingua. Non gli andava di dire a Rukawa, cioè, Rukawa, che lui, Hanamichi, il Genio, sarebbe stato suo schiavo fino al compimento del terzo desiderio. C'è un limite a tutto, che diamine.

"Sì, insomma, se ti viene in mente qualcosa sai dove trovarmi. Se non mi vedi aguzza le orecchie, probabilmente sto urlando da qualche parte." Rukawa non rispose, quindi Hanamichi fece per allontanarsi. Non avrebbe potuto stargli chissà quanto lontano per un po', per quanto tempo dipendeva dalla velocità della Volpe nel decidersi, ma non era necessario stare proprio lì appiccicati.

"Beh, io… penso che andrò a sgranchirmi…"

"Voglio conoscere Michael Jordan," sbottò Rukawa.

"Che?"

"È il mio primo desiderio. Voglio conoscere Michael Jordan."

"Si può fare," rispose Hanamichi con calma, quasi intenerito dall'espressione di ardente aspettativa che illuminava il viso di Rukawa e gli colorava appena le guance.

Rukawa si voltò, come se si aspettasse di veder entrare il suo campione preferito dalla porta della palestra; Hanamichi gli posò una mano sul braccio e disse: "Non funziona proprio così. Non farti confondere dal Genio di Aladdin, sono un po' diverso. Tanto per cominciare, io non sono blu. Se mi vedi blu, chiama i soccorsi, grazie."

"Come faccio allora a sapere che mi stai dicendo la verità?" chiese Rukawa, irritato.

"Oh, io ti ho fatto un esempio, il camion di marshmallow era molto più facile come esecuzione." Rukawa ringhiò. Hanamichi sospirò e disse: "Dammi qualche giorno. Non posso teletrasportare qui una persona dall'America, razza di fenomeno." Rukawa non rispose. O forse, la stringa di insulti che mugugnò mentre si allontanava era da considerarsi come una risposta.

 

Le porte della palestra si aprirono, e Youhei chiamò: "Hanamichi, eccomi, ora ti libero, senti, mi serve che… oh."

"Troppo tardi," sottolineò Hanamichi, alzando i polsi.

"Merda," commentò Youhei, "Mi ha fermato la preside, se no avrei fatto molto più in fretta. Chi…?"

"Rukawa."

"Scusa."

"Ti scalo un desiderio dalla prossima," disse Hanamichi in tono lugubre.

 

*****

 

Hanamichi stava vagando nel nulla vicino alla spiaggia.

Non aveva la minima voglia di stare lì, soprattutto non in una giornata di marzo in cui la primavera sembrava essersi dimenticata il proprio mestiere, con un sole gelido che faceva dentro e fuori da una coltre di nuvole. Ma probabilmente, si disse, Rukawa era nei paraggi. E l'ispirazione di alzarsi e andare lì poteva essere dovuta dal fatto che il desiderio di Rukawa stava per realizzarsi, anche se due giorni sembravano un po' pochini. Insomma, MJ arrivava dall'America, così a occhio e croce doveva essere saltato su un aereo a caso per il Giappone ed era arrivato di gran carriera. Hanamichi sospirò: era da un sacco di tempo che nessuno gli chiedeva roba così grossa, poteva aver fatto qualche cazzata nella realizzazione. Sperò che tutto si risolvesse per il meglio: era già sfigato abbastanza anche senza una querela da parte di un giocatore dell'NBA.

Una folata di vento portò fino a lui il familiare rumore di un pallone da basket che rimbalza contro il terreno. Stancamente, Hanamichi si trascinò verso la fonte del suono e si fermò di fianco a un campetto da basket. Nascosto dalle siepi, rimase a fissare Rukawa; all'inizio, non lo mise nemmeno a fuoco, poi l'immagine della Volpe che si smarcava da avversari immaginari gli entrò nella mente. Era carino di brutto, si disse in tono quasi accademico, in fondo non poteva biasimare tutte le tipe che gli sbavavano dietro. Anche se forse era un po' riduttivo venerare una persona solo perché ha un bel faccino e si muove con eleganza. Insomma, quando sentiva Haruko parlare di Rukawa, si chiedeva spesso chi dei due fosse scemo col botto, se lui fosse accecato dall'invidia o se lei avesse le proverbiali fette di salame sugli occhi. Per qualche motivo, sospettava che Haruko parlasse del Rukawa immaginario che si era costruita nella mente, visto che quello vero le aveva rivolto la parola sì e no quattro volte. Difficile capire una persona con così pochi elementi, dopotutto.

Una voce calda e profonda ruppe il tranquillo rumore della risacca e del palleggio di Rukawa: "Excuse me!"

 

E accadde.

 

La palla scivolò dalle mani di Rukawa, che aprì la bocca e arrossì.

Nessun'altra reazione, zero al quoto, il ragazzo era una statua di sale.

"Questa gliela metto in conto…" bofonchiò Hanamichi, poi uscì dal cespuglio e in inglese stentato disse: "Hello! Pardon my friend, he's your fan. Do you need help?"

Parlando lentamente, forse intuendo che quel grosso giapponese coi capelli rossi non aveva buoni voti in inglese, Michael Jordan in persona spiegò che era in viaggio con la sua famiglia, e che sua figlia aveva sentito parlare di un passaggio a livello famoso dei film. Avevano preso un treno fino a Kanagawa per vederlo, ma poi si erano persi.

"We can take you there!" Hanamichi disse con convinzione. Conosceva quel passaggio a livello come le proprie tasche, ci passava ogni giorno per andare a scuola: non era lontano, ma arrivarci non era semplice.

Fischiò per riscuotere Rukawa dalla paralisi: "Rukawa! Prendi la palla e andiamo, dai, muoversi!" Rukawa obbedì, troppo sconvolto per fare altro.

La figlia di Jordan, Jasmine (nome perfetto per la situazione), attaccò subito bottone con Hanamichi, sotto lo sguardo attento della madre, che però sembrava non nutrire sospetti nei confronti di quel chiassoso ragazzone. La conversione con la bambina era facile da mantenere, soprattutto perché la piccola sembrava davvero parecchio logorroica e i fratelli continuavano a intervenire, e Hanamichi gettò un orecchio per vedere se Rukawa stava ancora facendo il giochetto del silenzio.

Pareva di no; lo sentì conversare amabilmente con Michael Jordan di basket, punteggi e rimbalzi e salcazzo cos'altro, e lo lasciò fare.

Jasmine si esaltò da matti a vedere il passaggio a livello di Kamakurokoko-Mae, cosa che intenerì moltissimo Hanamichi. Rukawa sorrise, non del tutto presente, mentre la famiglia scattava foto, di Jasmine da sola, poi tutti insieme con l'aiuto del Genio della Fotografia Hanamichi Sakuragi, infine Jasmine e il suo nuovo amico giapponese, che la sollevò su una spalla, ridendo.

"Mi piacerebbe molto fare due tiri con te, Kaede," disse Michael. Per un istante, Hanamichi credette che Rukawa sarebbe schiattato lì sul posto.

"Oh, eccoci qui," commentò la signora Juanita sorridendo, "Adesso partono a cercare un campo."

"Non c'è bisogno di cercare, il Genio ha la soluzione anche a questo!" esclamò Hanamichi, togliendosi dalla tasca un mazzo di chiavi, "Volpaccia, ricordami chi era di turno ieri per le pulizie?" chiese, in giapponese.

"Daisuki yo," rispose Rukawa di getto, "Let's go to our school, we have the keys!"

Mentre si spostavano di quel paio di isolati verso lo Shohoku, Hanamichi riemerse da uno stordimento in cui non sapeva di essere piombato e disse: "Spero che non vi stiamo distruggendo i piani della giornata."

"No problem, Hanamichi," rispose Juanita, "Michael diventa comunque un orso brontolone se non gioca per qualche giorno."

"Giochi anche tu, Hanamichi?" chiese Michael, "Kaede dice che siete compagni di squadra."

"Per oggi passo, magari vi tengo i punti. Non voglio che quella Volpaccia lì mi mangi vivo perché gli sottraggo il suo idolo per sette secondi!" Michael rise.

"Quindi tu non sei mio fan?"

"Ogni essere umano del pianeta è suo fan, His Airness. Io mi vanterò di aver reagito mentre Rukawa diventava una statua. Eh, a volte non avere una dignità porta i suoi frutti!" Michael si girò verso Rukawa e disse: "Avevi ragione, Kaede, è Dennis fatto e sputato, anche di carattere!" Rukawa annuì meccanicamente, ma Hanamichi non poté fare a meno di notare che era arrossito un po'.

 

Lo one on one andò alla grande.

Hanamichi segnò punti sbagliati da un lato e dall'altro per far divertire i bambini e innervosire Rukawa, poi finalmente Michael raggiunse i venticinque punti stabiliti per la vittoria.

"Hai talento, Kaede, davvero," disse, alzando un braccio per stringergli la mano, "Ricordati però che non sei solo in campo durante la partita. Si vede che sei abituato a contare solo su te stesso e…" Hanamichi non rimase ad ascoltare il resto della filippica. Entrò nell'ufficio di Anzai e recuperò una vecchia macchina Polaroid che avevano usato qualche volta, poi tornò in palestra.

Rukawa stava ringraziando profusamente Michael per la partitella, per l'opportunità e per i consigli.

Hanamichi alzò la macchina fotografica: "Questa Volpe demente non avrà mai il coraggio, quindi lo chiedo io. Posso farvi una foto insieme?" Michael acconsentì con gentilezza, poi insistette per farne una con entrambi e se ne fece lasciare una copia. Senza che Hanamichi lo chiedesse, firmò entrambe le foto.

Raggiunsero tutti insieme la stazione più vicina, e Rukawa diede loro indicazioni su come muoversi per raggiungere un ristorante probabilmente strafigo che Hanamichi non aveva mai sentito nominare.

Si salutarono dal finestrino con la mano mentre il treno partiva, poi Hanamichi si voltò verso Rukawa: "Ora mi credi?" non ci fu risposta.

Rukawa lo ghermì per il giaccone e lo trascinò in un vicolo cieco, dietro a un cassonetto, poi lo abbracciò come se volesse frantumare le costole.

Preso alla sprovvista, Hanamichi cercò di non soffocare e gli batté le mani sulla schiena.

"Ti credo," bofonchiò Rukawa, la faccia affondata nella sciarpa di Hanamichi. Ci urlò dentro, già che c'era, e Hanamichi ridacchiò piano.

 

Venti minuti più tardi, tanto ci volle perché Rukawa si ricomponesse, camminavano lentamente verso lo Shohoku. Un Rukawa insolitamente chiacchierone rivelò ad Hanamichi che avevano parlato anche di lui, e di quanto fosse un rimbalzista di talento, e di come il suo gioco ricordasse quello di Dennis Rodman.

Hanamichi aveva una strana sensazione, che riuscì a isolare solo quando intravide un ragazzo di passaggio che si complimentava con la ragazza al suo fianco per il vestito che indossava, una roba assolutamente orrenda. Si sentì sprofondare il cuore dalla bocca dello stomaco fin giù alle viscere.

Arrivati all'ormai storico passaggio a livello, Rukawa disse: "Io vado di là."

"Io invece qui giro. Ci vediamo a scuola, eh? Pensa al prossimo desiderio, mi raccomando, e non addormentarti per strada!"

Il passaggio a livello cominciò a scampanellare, segno che l'asta stava per scendere.

"Aspetti con me?" chiese Rukawa, che avrebbe dovuto attendere prima di attraversare.

"Mi spiace, ma devo proprio andare," rispose Hanamichi. Si scambiarono un ultimo cenno di saluto, poi Hanamichi si incamminò.

Non aveva fatto tre passi, quando si fermò: meglio prima che poi, si disse, mentre lo stomaco gli si riempiva di piombo fuso.

"Ah, Volpe?"

"Nh?"

"Non confondere la gratitudine con l'amore."

Senza attendere una risposta, Hanamichi si allontanò.





E rieccomi di nuovo qui con le boiate che mi vengono in mente quando mischio il sottofondo costante di Slam Dunk nella mia mente, un film con Tilda Swinton e un buon vino.
Spero vi piaccia, battete un colpo se avete gradito e a presto con il secondo desiderio della Volpaccia!
XOXO

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Capitolo 2
*** Il Secondo Desiderio ***


Hanamichi vide Rukawa che si avvicinava con decisione durante la pausa per il pranzo, che Youhei aveva saggiamente deciso di trascorrere in terrazza. Fortunatamente, faceva ancora abbastanza freschetto perché la giacca della divisa non fosse fastidiosa, ma Hanamichi era un disastro umano e per evitare problemi si arrotolava sempre le maniche quando mangiava; questo, purtroppo, avrebbe però mostrato a tutti i suoi bracciali da Djinn.

Che qualcuno capisse che cosa fossero era abbastanza improbabile, ma ci sarebbero potute essere delle domande a cui Hanamichi non avrebbe saputo rispondere con convinzione; per di più, i gioielli erano contro al regolamento scolastico, per cui avrebbe rischiato di passare dei guai se un professore gli avesse chiesto di toglierli.

Gli amici, che erano ovviamente al corrente della situazione, non commentarono quando Hanamichi si alzò per andare incontro a Rukawa.

“Abbiamo un secondo desiderio, Volpaccia?” chiese Hanamichi. Rukawa annuì in silenzio.

Ad Hanamichi parve di notare un lieve rossore che gli tingeva le guance, ma evitò di soffermarvisi: ne doveva ancora parlare con Youhei, da sempre il suo neurone di scorta, ma qualcosa gli diceva che quella parvenza di cotta che Rukawa sembrava aver sviluppato nei suoi confronti non fosse altro che un temporaneo sbandamento, dovuto al fatto che Hanamichi gli aveva concesso di conoscere Michael Jordan, e non solo grazie al desiderio. Hanamichi non era una cima, ma sapeva che se non fosse stato per il suo intervento Rukawa sarebbe ancora lì a farsi gocciolare la saliva dalla mascella slossata al campetto.

“Avanti, allora,” disse Hanamichi, prendendo coraggio. Decise su due piedi che una buffonata sarebbe stata perfetta per sciogliere la tensione. Gonfiò il petto, incrociò le braccia e disse con voce tonante: “Ogni tuo desiderio è un ordine.”

Si rese conto con lieve ritardo di quanto quella frase suonasse un tantinello a doppio senso. Per la precisione, se ne accorse quando il rossore di Rukawa divenne inequivocabile. E quando i suoi amici stronzi cominciarono a fischiare e ululare come dei cani in calore.

“Ignorali,” disse, sgonfiandosi, “Dimmi pure il secondo desiderio.”

Rukawa deglutì con evidente fatica, poi disse: “Voglio smettere di essere allergico alle arachidi. Lo puoi fare?” Hanamichi ebbe la forte tentazione di far apparire dal nulla una lista da controllare per finta; lo poteva fare, quando era in schiavitù poteva sostanzialmente fare tutte le cazzate che voleva salvo sottrarsi al dovere e nascondere i bracciali, ma si trattenne.

“Desiderio esaudito,” disse, esibendosi in un goffo inchino. Si rialzò e lanciò una voce agli amici: “Ragazzi, abbiamo qualcosa con le arachidi?”

“Ho i mochi alle noccioline!” disse Takamiya.

“Dai,” disse Hanamichi, trascinando Rukawa verso gli altri, “Vieni a provare.” Rukawa non si mosse di un millimetro.

“Che c’è?”

“Nh,” fu l’esaustiva risposta.

“Tranquillo, Rukawa!” chiamò Youhei dal loro angolino, “Ho una Epipen, se ti fa sentire più sicuro!”

“Dai, vieni, vedi che sei al sicuro?” chiese dolcemente Hanamichi. Ma ora Rukawa lo stava guardando con ancora maggior sospetto.

“Lui sa di te?” chiese.

“Ovvio, è il mio migliore amico.”

“E allora perché si porta ancora dietro l’epinefrina?”

“Perché è allergico ai crostacei, ed evidentemente è meno intelligente di te,” rispose Hanamichi.

“In effetti non ci avevo mai pensato prima, me lo segno per il prossimo giro,” disse allegramente Youhei.

“Sì, vacci piano, ti ricordo che la prossima volta ne hai solo due!” ribatté Hanamichi, trascinando Rukawa verso gli altri. Ancora un po’ sospettoso, Rukawa si sedette.

“Davvero puoi diminuire i desideri a tuo piacimento?” chiese.

“No, ma posso gestirmeli un po’. Ad esempio, se tu dicessi che hai una gran voglia di una bibita fresca potrei fingere che quello sia un tuo desiderio e bam, uno in meno!”

“Sei… è…” Rukawa scosse la testa, poi ebbe uno scatto nervoso quando Takamiya gli strofinò il mochi alle arachidi sul dorso della mano.

Hanamichi gli appoggiò una mano sul ginocchio: “Tranquillo, Rukawa. Siamo tutti qui, e siamo tutti capaci di usare una Epipen in caso di emergenza, ce l’ha insegnato la mamma di Youhei prima di permettergli di uscire con noi.” Rukawa alzò gli occhi e incontrò gli sguardi tranquillizzanti degli altri; si rilassò un pochino.

“È per questo che bigi sempre le uscite della squadra?” chiese Youhei, “O è perché non ti piace proprio?”

“Da bambino non potevo andare alle feste. Una volta l’ho fatto, c’era qualcosa di contaminato e sono stato… molto male. È diventata un’abitudine, alla fine.”

“Capisco. Io esco solo con questi buzzurri qui perché sanno come resuscitarmi, ma non è divertente quando ti perdi i pezzi di serata e ti risvegli all’ospedale perché qualche ristorante non ha fatto bene i conti.” Hanamichi sorrise, guardando il suo migliore amico conversare amabilmente con Rukawa. Era chiaro che non gliene fregava granché, e che conosceva già la risposta in quanto anche lui allergico: ma come sempre cercava di mettere a suo agio la gente, e ci stava riuscendo. Rukawa rispondeva con frasi brevi e concise, un po’ staccate le une dall’altra, lontano miglia dal fiume di parole che gli aveva riversato addosso la sera prima, ma intanto stava parlando. E non stava pensando alla mano, su cui non si stava creando il minimo rossore.

Cadde il silenzio, e Hanamichi rivolse a Youhei un sorriso grato, mentre Rukawa chinava finalmente la testa. Si sfregò la mano, come a cercare di accelerare la reazione, ma ancora non accadde nulla. Alzò la testa, guardò Hanamichi e poi Takamiya, poi disse: “Vorrei… vorrei provare.”

“Eccolo qui, tutto tuo, Rukawa!” disse Takamiya.

“Lo fai solo perché i mochi alle arachidi sono gli unici che non ti piacciono!” disse Noma, mentre Rukawa schiudeva le labbra per dare un piccolo morso al dolcetto.

Lo masticò con cura, poi deglutì e serrò gli occhi.

Hanamichi lasciò litigare gli amici, contò sessantasette secondi, poi Rukawa aprì gli occhi e trasse un profondo respiro.

Guardò Hanamichi, poi guardò quel che restava del mochi e se lo ficcò in bocca con entusiasmo. Quando finì di masticare, accompagnato dagli applausi e dalle pacche sulle spalle della Gundan, rivolse ad Hanamichi uno sguardo che fece ghiacciare il sangue nelle vene del Genio: i suoi occhi erano lucidi e colmi della stessa malsana ossessione che faceva luccicare le iridi delle sue fan più sfegatate.

Rukawa si stava prendendo una cotta per Hanamichi.

Fingendo di non aver visto nulla, Hanamichi si unì alle esultanze di gruppo, fece più casino possibile e ringraziò in cuor suo la campanella, che lo salvava dal proseguire quella dolorosa pantomima. Quasi senza salutare, si fiondò giù dalle scale verso la propria classe, solo ricordando velocemente a Rukawa di pensare al terzo desiderio.

Fece in tempo a sentire Takamiya che commentava: “E se fosse un camion di mochi alle arachidi, nessuno ti prenderà in giro!” e poi decise di scollegarsi completamente dalla situazione.

 

*****

 

“Avanti, Hanamichi, sputa il rospo,” disse Youhei, sedendosi di fianco all’amico sulla terrazza, ore dopo. La scuola era ormai tecnicamente chiusa, salvo che per il club di basket e quello di arte drammatica, ancora aperti, ma tecnicamente gli studenti avevano il permesso di trattenersi nell’edificio fino alle sette. In realtà, quasi nessuno lo faceva, salvo che per partecipare o assistere alle attività dei club aperti.

“Niente, sono scazzato perché non posso giocare a basket con questi cosi ai polsi,” mentì, anche se solo parzialmente, Hanamichi, “Vorrei che la Volpaccia si desse una svegliata col terzo desiderio.”

“Non è solo questo,” ribatté Youhei. Hanamichi, che se ne stava con le gambe a penzoloni dal bordo della terrazza, si voltò a guardarlo.

Non c’era quasi nessuno in giro, tranne un paio di sorveglianti che se ne stavano comunque lontani dalla terrazza; il pomeriggio era fresco, il sole cominciava già a scendere e presto avrebbero dovuto interrompere la conversazione per scendere a ripararsi, e l’incantesimo della privacy si sarebbe infranto.

Hanamichi parlò: “Rukawa si sta innamorando di me.”

“Ma innamorando innamorando o…?”

“Innamorando alla Yoko. Credo. Temo.” Hanamichi incrociò le braccia su una sbarra della ringhiera e ci posò sopra la testa, ingobbendo le spalle.

Youhei non parlò per un po’. La faccenda di Yoko era stata complicata e dolorosa, e solo con uno sforzo immane erano riusciti a scherzarci sopra per mitigare il dolore.

“Ne sei sicuro?”

“Sì. No. Senti, fino a due giorni fa mi avrebbe sgozzato se solo fosse stato sicuro di passarla liscia, poi ieri si mette a dire che sono un giocatore di talento e va avanti mezz’ora a leccarmi il culo, poi oggi l’ho guardato negli occhi…”

“Hanamichi, qui il problema non è Rukawa e la sua presunta temporanea cotta,” disse Youhei, “Se fosse solo quello, sapresti benissimo come respingerlo. L’hai già fatto prima, lo puoi fare di nuovo.”

“Sì. Ma…”

“Dillo, Hanamicchan,” lo esortò Youhei, “Dillo ad alta voce. Siamo solo tu ed io.”

“Se io non volessi respingerlo?”

“Eccolo qui. Lo sapevo,” disse Youhei, ma non c’era scherno nella sua voce, solo tenerezza. Hanamichi ripensò a Yoko, e a come lei si era affezionata a lui quasi morbosamente, giocando con la storia dei desideri. Aveva sempre chiesto piccole cose, del tipo che una ragazza potrebbe chiedere in dono al proprio fidanzato ricco, quindi Hanamichi non si era mai posto il dubbio che non fosse un gioco genuino, per quanto suo padre l’avesse messo in allerta su questo tipo di problema.

Ma, quando Yoko aveva esaurito i desideri, si era rapidamente raffreddata. E poi si era innamorata di un altro. E Hanamichi era rimasto solo.

“Senti, Hana, non è detto che Rukawa si stanchi e se ne vada, lo sai, vero?”

“Umpf…”

“Ascoltami,” disse Youhei, mettendogli una mano sul braccio, “Io sono rimasto, no? E sai perchè?”

“Perché sei ancora allergico ai crostacei?”

“Perché quando esaudisci i desideri tiri fuori la parte migliore di te. Ti togli quella stupida maschera da frescone e ti comporti dolcemente, sei gentile e premuroso, vai ben oltre il tuo dovere.” Hanamichi lo fissò con sguardo vacuo.

“Pensa ad oggi. Gli hai tolto l’allergia, e lui aveva ancora paura. Tu non gli dovevi altro, potevi dirgli di attaccarsi al tram e mollarlo lì, invece gli sei stato al fianco fin quando non si è convinto a provare. E mi hai detto che con Michael Jordan…”

“Cazzo, sarebbe andata a rotoli se non fossi intervenuto!” lo interruppe Hanamichi.

“Sì, ma eri tenuto a farlo? No, Hana, tu sei una di quelle rare persone a cui piace donare, che si sentono bene a fare del bene. C’è chi si innamora per molto meno, e lo sai.”

“Ah, ma piantala, l’ho fatto solo perché altrimenti mi avrebbe rotto le palle in eterno, lui si aspettava che Michael Jordan gli apparisse di fronte e gli dicesse ‘Ehi, Rukawa, ho sentito parlare di te per un motivo non meglio specificato, ora ci facciamo una chiacchierata’, ma visto che non funziona così poi mi avrebbe detto che sono il Djinn dei poveri e che i desideri che esaudisco sono una ciofeca!”

“Stai mentendo,” disse Youhei con calma.

“Sì, sto mentendo, e allora? Senti. Non voglio finire come mio padre.” Youhei sobbalzò.

“Hana, ma che c’entra lui ora?”

“C’entra,” rispose Hanamichi, poi prese un grosso respiro e rivelò: “Lui era un Djinn, mamma un’umana. Quando mamma se n’è andata, papà è morto di crepacuore. È uno dei pochi modi in cui può morire un Djinn.”

“Hana…” esalò Youhei, “Non me l’avevi mai detto.”

“Non mi piace parlarne.”

“Ed è comprensibile,” ammise Youhei, rimettendosi dritto; la sua mano abbandonò il braccio di Hanamichi, ma si fece più vicino con tutto il corpo, fingendo di cercare una posizione comoda. Hanamichi finse di cascarci e non commentò, la mente tornata dolorosamente al giorno in cui aveva trovato suo padre riverso sul pavimento.

 

Suo padre, come anche Hanamichi stesso, era un Djinn nato libero. Erano discendenti di un vero Djinn che si era riprodotto con una donna mortale, e tutta la loro linea era salva dalla maledizione della prigionia eterna, quella che viene spezzata solo se qualcuno utilizza uno dei propri desideri per sollevare la schiavitù da un Djinn.

Mantenevano i poteri tipici della loro razza, anche se tendevano ad usarli solo il minimo indispensabile per campare; si diceva, e non era chiaro se fosse vero o solo una leggenda, che un Djinn che avesse abusato dei propri poteri sarebbe stato ridotto alla schiavitù eterna, come i purosangue. Non era il caso di provare a vedere se fosse vero oppure no.

Tuttavia, se finivano intrappolati ed era necessario che qualcuno dall’esterno intervenisse, allora sì che i loro poteri andavano usati: diventavano schiavi fin quando non avessero ripagato il debito. In alcuni casi, i desideri erano molto superiori all’entità del debito in sé: tanto per dirne una, farsi tirare fuori da un armadio delle scope non valeva l’incontro con Michael Jordan né tantomeno la liberazione da un’allergia potenzialmente mortale, ma così era.

Il padre di Hanamichi, che era nato ben più di cento anni prima in una remota isola al largo di Sumatra, nel 1945 era stato liberato da una tagliola e in cambio si era visto chiedere la resa del Giappone; ma i Djinn non hanno controllo su come si sviluppano i desideri che coinvolgono gli esseri umani: quello che Shin Sakuragi aveva supposto e sperato era un cambio di rotta dell’imperatore. E invece c’era stato un intervento da parte degli Stati Uniti che aveva ucciso migliaia di persone e segnato il mondo per l’eternità.

E poi, aveva conosciuto la mamma di Hanamichi. Si erano innamorati, e per anni il gioco di casa era stato intrappolare papà da qualche parte e poi liberarlo per chiedergli cose. Ma infine Midori si era stancata, chissà se del gioco o se di Shin, o forse delle responsabilità di una famiglia, e se n’era andata. Meno di un mese dopo, Hanamichi aveva trovato Shin Sakuragi riverso a terra, morto di crepacuore.

 

“Hanamichi?” chiamò Youhei.

“Eh?”

“Tuo padre non aveva nessuno, a parte te,” disse Youhei. Hanamichi lo guardò: non aveva idea di come facesse a saperlo, ma era innegabilmente vero.

“Al funerale,” disse Youhei, intuendo la sua domanda, “C’era davvero poca gente, e nessuno sembrava distrutto dal dolore.”

“Ah. E quindi?”

“E quindi, tu hai qualcosa che tuo padre non aveva.” Hanamichi rimase in silenzio, mentre un piccolo focolare di speranza gli si attizzava nel petto.

“Tu hai noi, Hanamicchan,” concluse Youhei, con un sorriso.

 

*****

 

Hanamichi stava tornando a casa, un po’ più leggero rispetto a come si era sentito per tutto il pomeriggio, quando gli si accostò una bicicletta. I freni stridettero in maniera atroce.

“Hey,” chiamò Rukawa.

“Hey, fammi indovinare: il terzo desiderio sono dei freni nuovi per quella carretta!”

“Puoi fare anche questo genere di cose?” chiese Rukawa. Aveva il fiatone, e Hanamichi dubitava che fosse per la pedalata.

“Beh, certo, per cosa credi mi usi Youhei? La pace nel mondo? Nah, gli servono i pezzi di ricambio del motorino.” Rukawa rise, un po’ istericamente. Era quasi da baciare, nel suo imbarazzato tentativo di flirtare: il bello stronzo che ti parla e si trasforma in un tonto completo. Adorabile, cazzo. Fin troppo adorabile.

“Comunque no, non sono i freni,” disse Rukawa, pedalando piano piano per stare di fianco ad Hanamichi.

“Hai già qualche idea? Quella di Takamiya sul camion di mochi alle noccioline non ha il copyright, puoi usarla.”

“No, ancora non lo so,” mentì Rukawa, “Ma lo terrò in considerazione.” Hanamichi rise, e per un po’ proseguirono in silenzio.

Quando giunsero al passaggio a livello, si fermarono ad aspettare che la sbarra si alzasse; il giorno prima erano arrivati dal lato opposto. Comunque, una volta attraversati i binari si sarebbero separati; Hanamichi si ritrovò ad anelare per un bacio, ma si contenne.

“Non c’eri, in palestra,” disse Rukawa.

“Come faccio, con le manette ai polsi? Come le spiego? E prima che tu risponda che posso spacciarlo per un kink, ci ho già provato e non funziona, e comunque non voglio dire queste cose di fronte al coach Anzai.”

“Non ci avevo pensato…”

“Bene, ora invece sì, quindi datti una mossa col desiderio. Anche uno facile, tanto alla peggio mi chiudi in bagno e poi vieni a liberarmi."

“Ci… ci penserò,” disse Rukawa, mentre la campanella segnalava l’imminente rialzarsi della sbarra, “Domani ti dico.”

“Va bene. A domani, allora.”

“A domani.” Hanamichi attraversò con calma, mentre Rukawa gli sfrecciava di fianco in sella a quel povero rottame di bicicletta, e per un attimo si concesse di sperare di poter stare al fianco di Rukawa in eterno.



Rieccomi col secondo capitolo, non volevo essere angst, lo giuro: ne è una riprova il fatto che quando provo ad essere angst finisco in un baratro di umorismo di merda, anime logic e completo caos.
Il prossimo -credo, spero- sarà l'ultimo, a meno cheee non mi chiediate di aggiungere qualche piccolo bonus, cosa che sono a tanto così da fare, un po' come quando c'è da tuffarsi e continuo a guardare giù senza farlo anche se so che sono due metri cacati e che ho fatto voli ben peggiori.
Piccolo disclaimer: onestamente non ricordo granché sulla mitologia dei Djinn. Avevo un libro fichissimo che ne parlava ma chissà dove s'è andato a cacciare, quindi come nella storia sulla Kitsune sacra sono andata un po' a braccio.
Spero che abbiate gradito, battete un colpo per il sì e tiratemi i pomodori del mio fruttivendolo di fiduscia per il no!
XOXO

 

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Capitolo 3
*** Terzo Desiderio ***


Hanamichi era assorto nei propri pensieri e guardava la lavagna senza realmente vederla; non che ci avrebbe capito una ceppa, beninteso, con la matematica era andato d’accordo solo fin quando qualcuno non aveva deciso di metterci delle lettere.

Sussultò, sentendo il suo nome pronunciato da una voce bassa e pacata: “Hanamichi.”

“Oi, Rukawa,” rispose, cercando di girarsi senza togliere la testa dalla mano su cui l’aveva appoggiata; per poco non si ribaltò, ma finse che così non fosse. “Abbiamo il terzo desiderio?” chiese.

“Sì. Ma prima vorrei parlarti,” rispose Rukawa. Esitò, poi aggiunse: “Da soli.”

Qualcosa ebbe un palpito fuori ritmo nel petto di Hanamichi, che tuttavia si alzò e propose: “Dietro alla palestra? Lì non ci va mai nessuno.”

“Nh.” Hanamichi fece strada; dietro di sé poteva sentire i passi leggeri di Rukawa. Arrivati al cul de sac dietro alla palestra, si mise vicino a un albero e si voltò per sentire ciò che aveva da dire Rukawa.

“Se come terzo desiderio io chiedessi la tua liberazione, i tuoi amici mi ammazzano?” chiese Rukawa, e suonò esattamente come ciò che era: una frase preparata a tavolino, e provata più volte, nella mente e ad alta voce.

“Non mi puoi liberare, Rukawa, ma ti ringrazio per il pensiero.”

“Ma Aladdin…”

“Il Genio di Aladdin è nato schiavo, io no. Io sono nato libero, vale a dirmi che l’unico modo per liberarmi è darmi il tuo terzo desiderio.” Hanamichi esitò, poi aggiunse: “E magari non dirlo troppo in giro, se no mi trovo la fila di gente che vuole chiudermi in una gabbietta per gatti, e francamente mi sembra stretta e scomoda.” Rukawa annuì; Hanamichi non sapeva se intendesse che non l’avrebbe detto in giro, e d’altronde non molta gente gli avrebbe creduto, o se volesse dirgli che aveva capito come funzionava.

“Allora…” Rukawa prese un grosso respiro e poi lo esalò: “Quella cosa che mi hai detto domenica. Di non scambiare la gratitudine con amore. Non lo faccio.” disse. Hanamichi sospirò: aveva il vago sospetto che si sarebbe finiti a parlare di quello.

“Questa l’ho già sentita. Ti sembrerà strano, con nessuna orda di arrapate che sviene al mio cospetto, ma l’ho già sentita.”

“Non mi sembra strano,” ribatté Rukawa. Hanamichi sbuffò una mezza risata amara prima di poterselo impedire: “Già, come no.”

“Senti.” disse Rukawa, poi esitò, come se stesse cercando il punto da cui iniziare: “Non è da domenica, okay? Questa… cosa che sento per te.”

“Ah, no? E da quando, allora?”

“Dalla partita contro il Sannoh. Forse da prima, ma non me ne rendevo conto.” Hanamichi si sentì immediatamente fin troppo consapevole della luce del sole che creava gibigianne accecanti tra le foglie dell’albero sotto cui si era piazzato. E mai gli era sembrato che il sole di marzo potesse essere così rovente.

Con cautela, si sedette sul bordo dell’aiuola. Rukawa rimase in piedi, ma Hanamichi lo tirò per la manica e disse: “Siediti, Volpe, che se no finisco a parlare con le tue ginocchia. E non guardare me, guarda il muro, ti assicuro che così è più facile.” Rukawa obbedì, ma per un bel po’ non aprì bocca, anche se ad Hanamichi parve di udire più di una volta un’inspirazione fuori tempo e un lievissimo schiocco di labbra.

“Prometti di non ridere?” chiese infine Rukawa.

“Prometto, croce sul cuore,” rispose Hanamichi; la sua era una promessa vincolante, in quanto temporaneamente schiavo di Rukawa, e ne era del tutto consapevole. E forse Rukawa avvertì qualcosa nel suo tono di voce che lo indusse a fidarsi delle sue parole.

“Mi… mi immaginavo di parlare con te. Fare amicizia. Litigare, ma per gioco. Immaginavo di… di farlo veramente, un giorno. Attaccare bottone e via.”

“E perché non l’hai mai fatto?” chiese Hanamichi, stupito e un po’ incredulo, voltandosi a mezzo verso di lui.

“Ma perché mi vedi o no?” ribatté Rukawa, girandosi a sua volta. Hanamichi rimase attonito nel notare che le sue guance erano chiazzate di rosso, e i suoi occhi pieni di lacrime: “Non so come fa la gente normale, io non so parlare con le persone! Sembro quel cazzo di robot che c’è in Star Trek, e quando non sembro lui sembro l’altro robot, quello che è pure peggio e che c’è in Star Wars!”

“Data e C-3PO. Beh, con l’autoanalisi vai forte.” tentò di scherzare.

Se ne pentì immediatamente.

Rukawa si alzò di scatto, ma non prima che Hanamichi scorgesse le prime lacrime traboccare. Con una sensazione di apocalisse imminente alla vista della Volpe artica che piangeva, si alzò e lo raggiunse; lo prese per la giacca e lo trasse a sé, schiena contro petto.

“Lasciami stare,” rispose Rukawa.

“Primo, sai che non posso…” cominciò Hanamichi, ma Rukawa lo interruppe: “Come terzo desiderio fai quel che ti pare, va bene il camion di mochi alle noccioline, io…”

“Secondo, non mi va di farlo.” concluse Hanamichi, a un soffio dall’orecchio di Rukawa.

“Quello sproloquio di domenica…” proseguì a voce bassa, tenendosi stretto quel fagottino tremante che fino a dieci minuti prima era Rukawa “mestolone” Kaede, “Era una delle cose che ti eri immaginato di dirmi?” Rukawa esitò, poi annuì.

“Rukawa… Kaede.” disse Hanamichi, “Tu mi giuri sul tuo onore che non hai cominciato a pensare a me in quel modo solo dopo l’altro giorno?”

“Te lo giuro su Michael Jordan.”

“Se ti lascio andare, scappi via?” Rukawa non rispose subito, e Hanamichi rincarò la dose: “Perché ti devo raccontare una storia. Credo di capire dove vuoi andare a parare, ma prima che tu mi dica il tuo desiderio ho bisogno che tu ascolti. Con molta attenzione.”

“Nh,” rispose Rukawa. Esplicito come sempre. A titolo di esperimento, Hanamichi allentò la stretta su di lui. Rukawa si voltò, e Hanamichi lo trasse di nuovo a sedersi di fianco a sé sul bordo dell’aiuola. Le sue mani erano gelide e sudaticce, ma Hanamichi non le lasciò andare e fissò le loro dita intrecciate mentre parlava.

“Un Djinn come me è tecnicamente immortale. Possiamo essere uccisi, questo sì, ma siamo immuni a malattia e invecchiamento. Una cosa che può ucciderci, però, è un cuore spezzato. È quello che ha ucciso mio padre quando mia madre se n’è andata, e quello che ha ucciso mio nonno quando la nonna è morta.” Rukawa non rispose, ma le sue mani ebbero finalmente un fremito, e strinsero quelle di Hanamichi in segno di incoraggiamento.

"Se…" Hanamichi si interruppe, poi sospirò: "Non c'è un modo facile di dirlo. Io mi affeziono in fretta. Non ti sto dicendo che se ci mettiamo insieme e poi un giorno ci disamoriamo io muoio di sicuro. Ma se mi tieni con te e poi te ne vai perché hai scoperto che il gioco non vale la candela… Kaede, è la mia vita che hai nelle mani. Non saprei come dirtelo altrimenti. Vale la stessa cosa per i ragazzi, se un giorno mi venissero a dire che non mi sopportano più e che i pezzi del motorino vedranno di trovarli da soli, io…"

"Ma io ti…" Rukawa si interruppe e arrossì, "Tu mi piaci da prima di sapere dei desideri."

"Me l'hai detto, ma…" Hanamichi si morse un labbro, pericolosamente vicino alle lacrime. Il ricordo di Yoko, e di quanto si erano voluti bene fin quando lei non aveva ottenuto il paio di stivali Chanel che aveva sempre sognato in un mercatino dell'usato, gli spezzava ancora il cuore.

Pensò ad Haruko, con la quale aveva lasciato perdere l'idea di avere una storia quando si era reso conto, forse a torto ma forse a ragione, che lei aveva cominciato a vederlo diversamente solo quando lui aveva portato lo Shohoku alla vittoria contro il Sannoh. Aveva avuto paura, ma diciamo pure il terrore paralizzante, che lei scoprisse i suoi poteri e se lo lavorasse per benino per poi lasciarla. Non gli sembrava il tipo da ferire deliberatamente, ma a volte era un po' superficiale… troppo, aveva giudicato Hanamichi, perché lui si potesse permettere di dirle tutto.

"Voglio uscire con te questo weekend," disse Rukawa, interrompendo il flusso sempre più tempestoso dei suoi pensieri, "Questo è il mio terzo desiderio."

Hanamichi alzò lo sguardo verso di lui. Le vene pulsavano sul collo di Rukawa, seguendo un ritmo sfrenato che sicuramente non era del tutto sano.

Rukawa l'aveva posto come desiderio, e Hanamichi sarebbe stato obbligato a esaudirlo, nonostante la mente ancora piena di dubbi.

Tuttavia… un Djinn poteva 'offrire' un desiderio, se era sua volontà che accadesse. Per dirne una, se Hanamichi avesse visto Noma cadere e strapparsi i pantaloni, anche lui avrebbe desiderato, per il bene che gli voleva, di poterli riparare. Avrebbero trovato della colla, o una persona discreta che se la cava col rammendo, e la conta dei desideri di Noma non sarebbe stata intaccata.

Decise di rischiare.

Sorrise e dichiarò: "Quello, offre la casa." Rukawa sgranò gli occhi, ma non ebbe nessun'altra reazione. Forse era già troppo arrossito per peggiorare quella particolare situazione.

"Dai, che diamine, fammene uno facile, uno a caso, voglio giocare a basket!" supplicò Hanamichi, "Giuro che poi se ti viene in mente un'altra cosa ti consegno personalmente le chiavi della cantina di casa mia e mi faccio chiudere dentro!" Hanamichi poteva vedere il criceto nel cervello di Rukawa che cercava di risalire sulla ruotina. Per la verità, lo vedeva ragionare già dall'accenno al basket. A saperlo, che sarebbe bastato quello; ma forse era ovvio dal principio. O forse no. Insomma, se l'avessero chiesto all'Hanamichi di una settimana prima, avrebbe risposto che Rukawa l'avrebbe tenuto apposta fuori dal campionato esitando sull'ultimo desiderio.

"Voglio un pacchetto di mochi alle noccioline!" esclamò Rukawa.

"Oh! Grazie! Desiderio esaudito!" Rukawa abbassò gli occhi.

"Perché hai ancora quei bracciali?" chiese.

"Fin quando non ce l'hai in mano, io mi tengo questi addosso."

"Ci vediamo in palestra," disse Rukawa, poi senza aggiungere altro se ne andò.

Rimasto solo nel cul de sac, Hanamichi disse: "Ma che stronzo!"

 

*****

 

L'allenamento sarebbe iniziato di lì a pochi minuti, ma Rukawa ancora non si vedeva. Hanamichi era in un angolo della palestra, la felpa addosso; aveva millantato un mal di stomaco e si era piazzato lì ad aspettare Rukawa, pronto a dargli dello stronzo in direttissima. Tanto i compagni di squadra non si sarebbero stupiti; forse avrebbero addirittura pensato che Hanamichi era andato in palestra solo perché il giorno prima aveva saltato una sessione di scornamenti con Rukawa, e non sarebbero stati troppo lontani dalla verità.

Finalmente, Rukawa fece il suo ingresso; guardò per prima cosa sugli spalti, poi a bordo campo. Hanamichi rimase immobile, semisdraiato sulla panchina con la schiena contro al muro e le mani in tasca, e attese che Rukawa incrociasse il suo sguardo.

Quando accadde, lo vide sussultare appena appena, un movimento impercettibile a chiunque non lo stesse fissando e non si aspettasse esattamente quello.

Rukawa si diresse con decisione verso Hanamichi, che non mosse un muscolo. Se si fosse mosso, probabilmente l'avrebbe preso a schiaffi. Nemmeno un grazie, un saluto da comune mortale, nulla. Va bene tutto, ma…

"Ho controllato nell'armadietto qui e in quello dei libri, poi anche in quello delle scarpe, ma niente mochi."

"E perché cazzo avrebbero dovuto essere lì?" chiese Sakuragi, allargando le braccia senza togliere le mani dalle tasche.

"Magari… ho pensato… una delle mie fan…" Rukawa chiuse gli occhi, "Sono andato via senza salutare, vero?"

"Già…" rispose Hanamichi, ma ogni traccia di aggressività era svanita. Rukawa se n'era andato in tutta fretta per liberarlo il prima possibile.

Per un istante Hanamichi si chiese se fosse davvero riuscito a scontargli un desiderio; se Rukawa non avesse trovato un pacco di mochi alle noccioline, o se l'avesse fatto e i bracciali di Hanamichi non fossero scomparsi, avrebbe dovuto spiegargli che evidentemente non desiderava uscire con lui tanto quanto pensava. Gli avrebbe spezzato il cuore.

Dallo spogliatoio venne un lamento di sofferenza: "Mamma, per la miseria!" Miyagi fece il suo ingresso in palestra sventolando quello che sembrava un pacchetto di dolci. Hanamichi si portò una mano al petto. Stava funzionando?

"Ragazzi, qualcuno di voi ha gusti orribili e vuole un pacchetto di mochi alle noccioline? Posso pagarvi per prenderlo." si alzò un coro di no. Sembrava che nessuno fosse intenzionato a farsene carico. Qualcuno parlò di dieta, altri semplicemente si mostrarono non interessati, come se Miyagi avesse offerto un pacco di riso crudo.

"Li prendo io," disse Rukawa.

"Rukawa, grazie! Tutti tuoi!" disse Miyagi, arrivando di corsa. Hanamichi, ancora con la mano al petto, rimase ad assistere alla scena a bocca aperta.

Rukawa prese il pacchetto; i polsi di Hanamichi mandarono un breve ma intenso lampo di dolore.

Mentre si girava, Miyagi guardò Hanamichi: "Che c'è? Se lo volevi tu, dovevi parlare, adesso ti attacchi."

"No, no, sono solo… ehm… stupito che questa Volpe rinsecchita mangi dei dolci!" improvvisò.

"Mi servono per addolcire l'esistenza," rispose Rukawa, "Da quando ti conosco è diventata un inferno."

Miyagi si allontanò, bofonchiando una scusa qualsiasi, giusto per evitare di trovarsi sulla linea di tiro dei cazzotti.

"Sapessi la mia!" rispose Hanamichi, agitando una mano come a dissipare del fumo inesistente. La manica della felpa scivolò verso l'alto, mostrando un polso libero da bracciali.

Rukawa, di fronte a lui con il pacchetto di mochi in mano, disse piano: "Vorrà dire che al nostro appuntamento ti offrirò una cioccolata calda."

"Andata," rispose Hanamichi, poi sorrise.



Io: "Sono tre capitoli"
La storia: "LOL nope"
Niente raga, ci rivediamo presto con l'appuntamento, credo... spero... aaaaa

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Capitolo 4
*** Raga non lo so questo capitolo non c'era ***


"Hanamichi…" chiamò Miyagi, a un volume di voce appena udibile sopra alla voce di Hanamichi che cantava la sua tremenda canzone del Tensai. Gli spogliatoi erano vuoti, a parte loro, e dalla palestra venivano i suoni di Rukawa che terminava l'allenamento con qualche tiro extra.

"Ryochin! Dimmi tutto!"

"No, prima mi devi promettere una cosa," disse Miyagi, alzando le mani. Tremavano.

"Cosa?"

"Prometti che non mi picchierai," disse Miyagi, poi aggiunse rapidamente: "Sono ancora il tuo capitano e ho l'immunità diplomatica!"

"Sì sì, va bene, mi metto le mani nel culo se mi viene voglia di rifarti il naso, adesso dimmi!" Hanamichi si sedette, e per dar prova della propria buona volontà si infilò le mani sotto le cosce.

"Ecco, insomma… mi sembra di notare meno animosità…"

"Animosiche?"

"Tu e Rukawa vi saccagnate di botte meno del solito."

"Ah, okay. Sì, possibile."

"Questo… ecco," Miyagi diede in una risatina falsissima, "Sicuramente mi sbaglio, ma mi hanno messo la pulce nell'orecchio per cui oh, io chiedo eh! Giusto per far conversazione in questa bella serata, mica che lo penso dav…"

"Ryochin, vieni al punto?"

"Sarete mica…" Hanamichi si sentì arrossire. La voce di Miyagi si spense in un vago pigolio.

"No! Cioè sì, un po', nel senso!" Hanamichi si tolse le mani da sotto le cosce e Miyagi indietreggiò, facendosi scudo con una panca.

"Non ti meno!" disse Hanamichi, sull'orlo di una risata isterica.

"Questo è tutto da vedere, com'è successo?" chiese Miyagi. Era chiaro quanto fosse curioso, nonostante la paura di essere ridotto a una piccola palla di interiora fumanti.

"È complicato, e non c'è ancora niente di fisso o che. Questo weekend usciamo insieme e…" Hanamichi si accorse di avere un gigantesco sorriso idiota stampato in faccia.

"Ohhh…" fece Miyagi, meravigliato. Hanamichi ridacchiò, sentendosi un imbecille senza speranza.

"Senti… Hana chan," Miyagi si avvicinò con cautela, facendo una specie di giro largo. Sembrava che stesse circumnavigando una pozza. Si sedette di fianco ad Hanamichi, che infilò di nuovo le mani sotto le cosce, e disse: "Sembri felice."

"Io… sì, credo di sì. Ho solo una paura folle."

"Delle sue fan?"

"No, di… merda, adesso sì!" Miyagi rise e osò tirargli una spallata amichevole: "E guardalo qui, il re dei due di picche."

"L'ho sempre detto che ci doveva essere sotto qualcosa, ahahah!" si vantò Hanamichi.

"Vedi? Sbagliavi target!" risero insieme.

"Quindi…" disse Miyagi, "Alla fine Rukawa ha trovato il coraggio di parlarti? O hai fatto tu il primo passo?"

"Ecco, è… un po' più complicato di… aspetta, tu sapevi che Rukawa voleva attaccare bottone con me?"

"Immunità diplomatica!" Miyagi alzò le mani come se Hanamichi lo stesse minacciando con una pistola.

"Piantala e rispondi, Ryochin!" Miyagi abbassò le braccia: "Lo sapevo. Cioè, onestamente non avevo capito che c'era del tenero, mentre tu adesso me la stai buttando giù così e…" Miyagi si interruppe.

"Sì, c'è del tenero, vai avanti cazzo!"

"Pensavo che Rukawa volesse fare amicizia. Mi sembrava una cosa carina, anche perché tra un paio di mesi sarete voi due a fare sasso carta forbice per il ruolo di capitano, senza nessuno a prendervi a randellate se cominciate a scannarvi. Mi ha chiesto di non parlarne con nessuno e io… ecco, sai…"

"Ryochin," disse Hanamichi, piazzandogli le mani sulle spalle. Era certo di aver sentito, per la prima volta nella vita, una persona emettere il suono "glom". Proseguì: "Hai fatto bene, non intendo menarti, sono felice che tu sia stato un buon amico per Rukawa, ma tieni presente che il prossimo capitano sarò io, non lui." Miyagi rise, un po' nervosamente, ma sembrava molto più tranquillo di prima.

Calò un breve silenzio, poi la porta dello spogliatoio si aprì. Rukawa, sudato fradicio, guardò entrambi, un velo di sospetto negli occhi.

“Cominciavo a pensare che avessi cambiato idea sull’appuntamento e avessi deciso di allenarti a morte per evitarlo,” scherzò Hanamichi.

“Nh…” rispose Rukawa, gli occhi fissi su Miyagi, che non poté fare a meno di rivolgergli un sorriso dolce.

“Beh, direi che io vado, tanto tocca a voi pulire la palestra. Buona serata!” disse Miyagi, alzandosi con un movimento agile dalla panchina. Hanamichi trattenne l’impulso di spaventarlo con un calcio nel sedere: che diavolo di comportamento era, mettersi a fare il cagasotto? Neanche Hanamichi fosse un qualsiasi yank… oh.

“Ciao, Tappo, ci vediamo domani,” disse Hanamichi, alzandosi in piedi.

“Che vi siete detti?” chiese Rukawa, e c’era un’insicurezza nella sua voce, così strana se messa a confronto con la sicumera infinita che dimostrava in campo, eppure così… sua.

“Mi ha chiesto se io e te stiamo finalmente smettendo di menarci un giorno sì e l’altro pure.”

“Nh…”

"Gli ho detto che ci stiamo provando," rispose Hanamichi, restando sul vago, "Comincio a pulire la palestra, mi raggiungi?" Rukawa annuì in silenzio. Sembrava spossato, nonostante i suoi allenamenti non fossero stati più pesanti del solito.

Hanamichi ci meditò, attaccando l'aspirapolvere alla presa della corrente. L'accese, coprendo così il lontano suono della doccia, e pensò che probabilmente Rukawa aveva fatto molta, molta fatica a parlargli, a spiegarsi. Pur avendo parlato molto meno della domenica precedente, Hanamichi sapeva, o almeno intuiva, quanto poteva essergli costato.

L'ultima volta era stato un monologo istintivo, uno stream of consciousness se si ricordava bene cos'era. Quel giorno, invece, aveva parlato di cose molto più importanti, molto più vicine al cuore, ed era chiaro che gli era costato non poco riuscire a renderle comprensibili senza nel contempo sminuirle o farle sembrare banali.

Questo, Hanamichi lo sapeva per esperienza: è dannatamente difficile riuscire a dire cose così importanti senza sembrare un imbecille sentimentale buono sì e no a fare una comparsata in una soap opera. E Rukawa aveva anche l'ulteriore handicap di essere il tipo di persona che pronuncia una media di dieci parole al giorno.

Si rese conto, d'un tratto, che Rukawa non mentiva quando aveva dichiarato che i suoi sentimenti andavano al di là della gratitudine, e forse Hanamichi avrebbe potuto rendersene conto anche da solo.

La gratitudine di Rukawa era inusuale, era… andargli a dire che se avevano perso contro il Kainan non era colpa sua e che aveva già fatto più di quanto si aspettassero. Era ricoperto da una scorza dura e acida, e le sue frasi andavano rigirate per capirle davvero. Hanamichi riteneva, e sperava di non illudersi, che quella volta Rukawa l'avesse ringraziato per averli portati a pochissimi punti di distacco dal leggendario Kainan King. Oppure, quando gli aveva detto che la sua espulsione era un peccato, contro lo Shoyo, soprattutto perché era lui. Poteva forse essere un ringraziamento per aver trascinato fin lì la squadra?

Lo sproloquio di domenica altro non era che uno sfogo nervoso, ora Hanamichi lo capiva, la semplice esternazione di un'emozione che era troppo grande per essere contenuta.

Un piede gli colpì le chiappe, e Hanamichi sobbalzò, lasciando cadere l'aspirapolvere.

"Do'aho, ancora un po' che fai passare lo stesso punto e aspiri pure il parquet."

"Kitsune!" rispose Hanamichi, a corto di parole, poi spense l'aspirapolvere.

"Hai già passato tutto il resto?" chiese Rukawa.

"Credo di sì, e comunque chissene, tanto lo sai che per pulire bene qui dentro dovremmo lanciare una bomba e rifare la palestra da capo," disse Hanamichi, trascinando l'aspirapolvere verso il ripostiglio delle scope. Il posto dove tutto aveva avuto inizio. Lo rispose sui suoi sostegni, mentre dietro di lui Rukawa prendeva il mocio e il secchio; in quello spazio stretto e così significativo, ad Hanamichi sembrava di sentirsi bruciare la pelle nei punti in cui l'aria mossa dai movimenti di Rukawa lo sfiorava.

"Passo io il pavimento, tu pensa ai palloni," disse Rukawa. Hanamichi prese lo straccio e il detergente, poi di slancio si voltò e abbracciò Rukawa, che per lo shock lasciò cadere il mocio.

Il rumore echeggiò nella palestra vuota. Poi, mentre Hanamichi già cominciava a chiedersi se per caso non avesse fatto una cazzata, le braccia di Rukawa gli cinsero la vita, leggere, timide, in un contrasto quasi assoluto con i movimenti rapidi e sicuri che caratterizzavano il suo gioco. Era come una magia, vedere questo Rukawa che viveva oltre la spessa maschera del giocatore di talento, e Hanamichi si sentì assurdamente onorato e commosso all'idea di potervi assistere.

Senza una parola, Hanamichi sciolse l'abbraccio con un sorriso sghembo, sentendosi le guance in fiamme, e andò a pulire i palloni mentre Rukawa, con i suoi soliti tempi biblici, riempiva il secchio e si metteva a passare il pavimento.

 

Terminate le pulizie, Hanamichi chiuse la palestra mentre Rukawa andava a recuperare la bicicletta.

Non si aspettava di vederlo andare via pedalando, e non si stupì di vederlo, bicicletta alla mano, in attesa davanti al cancello della scuola.

Ancora senza parlare, Rukawa troppo stanco e Hanamichi troppo stupito per farlo, si incamminarono verso il passaggio a livello.

Appena la ruota anteriore della bicicletta di Rukawa toccò il marciapiede, risuonò lo scampanellio che avvertiva dell'imminente passaggio di un treno, e la leva cominciò ad abbassarsi.

"Cazzo, ultimamente sembra che lo facciamo apposta!" scherzò Hanamichi, a corto di argomenti ma ormai logorato da quel silenzio imbarazzante.

"Nh. Già," rispose Rukawa, poi prese un grosso respiro: "Dove vuoi andare, domenica?"

"Scegli tu, a me va bene tutto," rispose Hanamichi, sentendosi arrossire.

"No, davvero, io…" Rukawa esitò, "Sei tu che stai facendo un favore a me, decidi tu."

"Non ti sto facendo un favore, se non mi andasse non avrei potuto scontarti un desiderio," gli ricordò Hanamichi, "Ma se vuoi conosco un posto vicino alla spiaggia che fa delle cioccolate molto buone. Non mi dimentico che me ne hai promessa una, eh!"

"Nh," disse Rukawa, "A me va bene." Hanamichi lo guardò, mentre il treno in transito rendeva temporaneamente impossibile la conversazione. Non sembrava andargli affatto bene, sembrava la stessa faccia di quando lo obbligavano a salire in treno durante l'ora di punta.

"È un posto molto tranquillo," aggiunse Hanamichi, e vide Rukawa arrossire, "Volendo, ci sono anche dei separé. E giuro che lascio a casa gli altri."

Il petto di Rukawa si alzò e si abbassò rapidamente, come se avesse trattenuto il fiato per un po', e lui annuì.

La sbarra si alzò, e insieme attraversarono i binari. Hanamichi stava per salutare e dirigersi verso casa, quando Rukawa parlò di nuovo: "Cos'era?"

"Cos'era cosa?"

"Prima. Quell'abbraccio."

"Ah, quello, io…" Hanamichi rise e si grattò la nuca, "È che lo so che hai fatto una fatica boia oggi a parlarmi, e… boh, non era un ringraziamento, credo, solo che non lo so, ci ho pensato e…" Hanamichi gesticolò a caso per concludere il discorso.

Rukawa sbatté le palpebre rapidamente, poi bofonchiò qualcosa.

"Che hai detto?" chiese Hanamichi.

"Ho detto che prima o poi dobbiamo trovare qualcuno che ci traduce a vicenda." Hanamichi ridacchiò.

"Vedremo di organizzarci, se alla fine del nostro appuntamento di domenica non mi fai accidentalmente cadere dagli scogli perché non mi sopporti più!"

"Non penso proprio che succederà," disse Rukawa, e la sicurezza nella sua voce spinse Hanamichi a guardarlo in faccia, cosa che aveva cercato di non fare negli ultimi minuti.

Rukawa scosse la testa: "Non ce la faccio a spiegartelo senza raccogliere le idee prima," disse, "Magari domenica."

"Magari domenica," disse Hanamichi con un sorriso, poi alzò un pugno: "Allora buona serata, Kitsune, fai tanta nanna che si vede che sei stanco."

"Nh. Buona serata," rispose Rukawa, battendogli il pugnetto. Poi, inforcò la bici e si allontanò pedalando.

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Capitolo 5
*** Il Desiderio Offerto ***


...già che c'ero...
Mitsui dalla regia: "Poi magari tipo stai zitta per mezz'ora?" NEVER GONNA HAPPEN!!
Battete un colpo se gradite <3






Hanamichi e Rukawa si erano dati appuntamento al passaggio a livello.

Hanamichi era in ritardo di un paio di minuti, e quando arrivò Rukawa lo stava aspettando, bellissimo con quei pantaloni neri e la giacca di lana che gli calzava alla perfezione; se non fosse stato chiaramente imbarazzato e in preda all'evidente dubbio su cosa avrebbe dovuto farsene delle braccia, sarebbe stato un'apparizione mistica.

Hanamichi attraversò le rotaie e disse: "Ciao!" Si domandò perché mai dovesse sentirsi un coglione salutando come aveva sempre salutato i coetanei.

"Ciao," rispose Rukawa, con l'aria di uno che si stava facendo la stessa identica domanda.

"Allora, andiamo?"

"Nh. Fammi strada." Hanamichi si incamminò, e Rukawa finalmente si risolse a ficcarsi le mani in tasca per risolvere il dilemma delle braccia.

"Bella giornata," disse Hanamichi, "Tira vento ma è caldino."

"Dobbiamo passare molto tempo a parlare di cazzate a caso?"

"Tu non lo sai, ma un tempo qui era tutta campagna!" rispose Hanamichi. Si ritrovò a sentirsi molto fiero di sé: Rukawa si era lasciato scappare un sorriso.

"Vorrei dire che non esistono più le mezze stagioni, ma oggi è proprio primavera," disse, piano, come se stesse cercando di capire se suonava come un cretino oppure no. Hanamichi rise.

"Intuivo che non sei il tipo da chiacchiere inutili," disse, "Ma prima di cominciare a parlare io devo sgasare un po' tipo i tamarri con la moto, e poi il bar che ti dicevo è vicino, non mi va di interromperci a metà."

Rukawa sembrò pensarci su, poi disse: "Ha senso." Sembrava meditabondo e concentrato, come se qualcuno gli stesse spiegando cose importanti. Per qualche motivo, Hanamichi sospettò che dal suo punto di vista fosse così.

"Prima volta?" chiese, "Che esci con qualcuno, dico."

"Sì. E tu?"

"No, ti sembrerà assurdo ma alle medie avevo una fidanzatina," rispose Hanamichi, "E sono uscito due volte anche con Haruko."

"Stavate insieme?" chiese Rukawa.

"Nah, però eravamo solo io e lei e io ero cotto marcio." Rukawa tacque.

"Però è la prima volta che esco con un maschio, dico uscire uscire, non andare al cazzeggio, quindi non pensare di essere l'unico in imbarazzo!"

"Io non sono in imbarazzo," protestò Rukawa.

"Le palle le saprai tirare, ma non le sai dire, sai?"

"Dico davvero," ribadì Rukawa, con un tono di voce strano, "Non sono in imbarazzo."

"Aha?"

"Me la sto facendo sotto." Hanamichi ci mise un secondo a capire che era una battuta, poi scoppiò a ridere.

"Okay, Rukawa, questa era buona, inaspettata ma buona!" gli batté una mano sulla schiena, e fu ricompensato dal notare che Rukawa sembrava essersi un po' rilassato.

Arrivarono al bar, un posticino non proprio facile da trovare in una via secondaria della litoranea, entrarono e Hanamichi prese le redini: "Buongiorno, avete posto per due? Magari un separé." la ragazza al bancone annuì senza commentare e li portò verso un separé d'angolo, con vista su un giardino incolto.

Lasciò loro due menù e promise di tornare nel giro di un paio di minuti. Rukawa aprì il menù e gli diede un'occhiata, ma Hanamichi non si mosse.

"Che fai, non scegli?" chiese Rukawa.

"So già cosa prendere," rispose Hanamichi, "Tu piuttosto, seconda riga di pagina due." Rukawa aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo sul menù. Tempo di leggere, e si illuminò come un albero di Natale.

"Hai scelto?"

"Cazzo, sì."

"Ti ho portato qui apposta," ammise Hanamichi. Rukawa si guardò attorno, come impaurito.

"Ehi," disse Hanamichi, "Va tutto bene, non mordo, oggi sono vestito bene quindi nemmeno ti picchio, altrimenti poi quando torno a casa prendo anche il resto dalla zia."

"Vivi con i tuoi zii, quindi?" chiese Rukawa.

"Avete già deciso?" li interruppe la cameriera.

"Sì," rispose Hanamichi per entrambi, "Per me un Cinna Boom, e per lui un Charlie Brown."

"Molto bene!" la cameriera si segnò l'ordine, sorrise e li lasciò di nuovo soli.

"Comunque sì," disse Hanamichi, "La sorella di mia mamma e suo marito. Non hanno figli, mia mamma ha rinunciato alla patria potestà e loro si sono fatti avanti."

"Ti trovi bene con loro?"

"Direi di sì, sono forti per avere cinquant'anni," rispose Hanamichi, "E casa tua com'è messa? Se posso."

"Vivo con i miei, sono ancora sposati, niente da segnalare. Figlio unico."

"Fammi indovinare, per te questo rientra ancora nei convenevoli?"

"Nh."

"Preferisci passare a temi filosofici mentre aspettiamo che la cameriera ci interrompa portandoci le cioccolate?"

"Sono un disastro."

"Nah, e piantala."

"Perché tu sembri a tuo agio e io no, allora?"

"Perché io sono abituato a fare il pagliaccio quando mi viene da urlare e scappare via."

"Vorresti andartene?" chiese Rukawa. Lo sguardo ferito sul suo viso quasi spezzò il cuore a Hanamichi.

La cameriera arrivò con le cioccolate, e le dispose davanti a loro insieme a un piattino di biscotti. Hanamichi attese che si voltasse, poi allungò la mano e toccò il gomito di Rukawa.

"Era un modo di dire," spiegò, un po' perplesso.

"Sono autistico," sbottò Rukawa, "Asperger. Non capisco i modi di dire e non capisco la gente. Scusa."

"Scusa di che?" ribatté Hanamichi, sinceramente smarrito.

"Io… perché sono strano."

"Merda, Rukawa, e io ti sembro normale invece?" Hanamichi rise, "Dai, assaggia la tua cioccolata e dimmi com'è." Rukawa abbassò lo sguardo e prese in mano il lungo cucchiaino posato sul piattino della tazza. Lo immerse fino a raggiungere la cioccolata sotto alla panna, raccogliendo anche un po' di granella di arachidi, poi se lo portò alla bocca. Hanamichi si impose di non imitarlo: non se la voleva perdere.

"Nh!" disse Rukawa, gli occhi luccicanti di emozione.

"Buono, eh?"

"Cazzo, sì. Ed è densa!" Hanamichi aprì la bocca per parlare, poi si morse la lingua prima di dirgli che l'avrebbe baciato, a vederlo così felice.

"Sai, mi hai stupito," disse dopo un paio di cucchiaiate, "Pensavo che mi avresti chiesto l'America. Letteralmente." Rukawa prese un tovagliolino e si pulì la bocca. Hanamichi attese che parlasse.

"Non sono più tanto sicuro di volerci andare," disse infine.

"Prego?" chiese Hanamichi.

"Ce lo vedi uno come me in America? A quei cazzo di… party dove la gente si sbronza fino a non capire più niente, o in classi enormi a sentir parlare un professore e capire una parola su dieci."

"E quindi, cosa vuoi fare da grande?" chiese Hanamichi, "ci hai già pensato?" Rukawa arrossì e bofonchiò qualcosa.

"Non ho capito."

"Veterinario," ripeté più chiaramente Rukawa, se possibile arrossendo ancora di più. Sembrava certo che Hanamichi lo avrebbe preso in giro per il resto della vita.

Hanamichi, inutile dirlo, non ci pensava nemmeno. Si alzò dal suo posto e si sedette di fianco a Rukawa, che sussultò.

"Allora mi spiace tanto ma ti servo."

"In che senso?" chiese Rukawa. Si era allontanato d'istinto, ma ora si stava avvicinando con cautela.

"Se impari a mettere i cerotti a me, te la caverai alla grande con le bestie feroci." Rukawa lo fissò come se uno dei due fosse improvvisamente impazzito e lui non fosse in grado di capire chi.

Le sue labbra erano così vicine… Hanamichi si accorse di arrossire, e della forza gravitazionale esercitata dalla bocca si Rukawa, ancora un po' sporca di panna ad un angolo.

Hanamichi inclinò il mento in avanti, sfiorando il naso di Rukawa con il proprio. Sentiva il suo respiro sulla pelle.

Rukawa sospinse il viso in avanti e gli depositò un bacio sulla bocca, lieve lieve, quasi come se non fosse certo di ciò che stava facendo.

Hanamichi alzò le mani ad accarezzargli i fianchi; ora sentiva il suo respiro anche sotto le dita, e osò baciarlo a sua volta. Rukawa gli prese il viso tra le mani, e si scambiarono un terzo bacio.

"Spero che nessun San Bernardo reagisca così alla vaccinazione," disse Rukawa in un soffio. Hanamichi rise, buttando la testa nell'incavo del suo collo, poi tornò al proprio posto, pensando che forse Rukawa aveva bisogno di tempo per processare quel che era successo.

"E tu, progetti per il futuro?" chiese Rukawa, come se nulla fosse, ma un tremito nella sua voce tradiva la sua emozione.

"Vorrei provare con fisioterapia," ammise Hanamichi.

"Posso chiamarti per nome?" chiese Rukawa, senza la minima soluzione di continuità.

"Solo se posso farlo anch'io." Rukawa annuì, poi disse: "Hanamichi."

"Kaede," rispose il rosso, poi: "Ti vuoi mettere con me?"

Rukawa sgranò gli occhi ed esitò prima di rispondere, forse aspettando di capire se fosse una presa in giro. Poi si torse le mani, che tremavano, e annuì.

Infine si sciolse in un gigantesco sorriso.

"Woah, vacci piano!" esclamò Hanamichi, "Con quei sorrisi fai fuori la gente, ce l'hai il porto d'armi?"

"Idiota," disse Rukawa, cercando di camuffare il sorriso con una cucchiaiata di cioccolata calda.

"Volpaccia," rispose Hanamichi, sorridendo.

 

*****

 

L'appuntamento andò alla grande. Rukawa altalenava tra momenti di mutismo in cui faticava ad articolare le parole e infiniti monologhi quando la conversazione si spostava su qualche argomento che gli stava a cuore, e Hanamichi sentì che si stava innamorando ogni minuto di più.

Dopo qualche tempo, si accorsero che l'atmosfera nel bar era cambiata: non c'erano più tutti i ragazzini e le coppiette di adolescenti che l'avevano popolato nel pomeriggio, ma cominciava poco a poco a riempirsi di adulti, per lo più soli o in gruppi poco numerosi, e al profumo di cioccolato e dolcetti si era sostituito un più amaro sentore di birra e alcolici.

"Credo sia ora di tornare a casa, Kaede," disse Hanamichi.

"Perché il tempo deve passare?" bofonchiò Rukawa, alzandosi di malavoglia.

"Perché altrimenti mancherebbe un sacco ai prossimi allenamenti di basket," rispose Hanamichi, spingendolo fuori dal separé con una carezza tra le scapole camuffata da manata.

Rukawa trottò fino alla cassa e ribadì: "Avevamo detto che offrivo io." Hanamichi alzò le mani in segno di resa, Rukawa pagò il conto ed uscirono.

Le strade erano già quasi del tutto buie, illuminate solo dalle luci dei lampioni che si riflettevano sul mare calmo che lambiva la strada costiera.

"Sei sempre così?" domandò Rukawa a bassa voce. Il dorso della sua mano sfiorò quello di Hanamichi.

"Così come?"

"Che riesci a trovare un lato positivo nelle cose." Rukawa parlava guardando a terra, e la penombra non era sufficiente a nascondere il suo rossore; la sua mano sfiorò di nuovo quella di Hanamichi, che se ne impossessò e intrecciò le dita alle sue.

"Beh, io ci provo. Non ci riesco sempre, ma ci provo."

Rukawa non rispose per un bel po'. Erano ormai al passaggio a livello, quando infine bisbigliò: "Bello."

Il cuore di Hanamichi mancò un battito e poi lo recuperò con gli interessi.

"Ti accompagno fino a casa?" chiese.

"Mi piacerebbe," disse Rukawa.

Camminarono mano nella mano per qualche minuto, poi Hanamichi chiese: "I tuoi… sanno che uscivi con me?"

"Sì, e anche in che senso uscivamo insieme," rispose Rukawa, "È il bello e il brutto di me, prima o poi la verità mi esce, che io lo voglia o meno."

"Che è successo?"

"Era la millesima volta che mi chiedevano se per caso non ci fosse qualche ragazza che mi interessava a scuola, io ero stanco e mi sono lasciato scappare che una ragazza proprio no."

"Woah, bella botta…" commentò Hanamichi, poi aggiunse: "Ma ti vedo tranquillo, quindi devono averla presa bene."

"Ci hanno messo un giorno esatto. La sera dopo, sempre a cena, mi hanno chiesto se per caso non ci fosse qualche ragazzo che mi interessava a scuola." Hanamichi rise.

"Fantastico! E tu?" Rukawa arrossì: "Io ho parlato di te per quasi un'ora."

"Orpo, quindi sanno chi sono, questa non me l'aspettavo!"

"Ti distur…"

"Kacchan!" chiamò una voce femminile. I due ragazzi alzarono la testa: in una piccola veranda ben tenuta stava una donna molto bella con un innaffiatoio giallo in mano.

"Ciao, mamma. Lui è Hanamichi."

"Ciao tesoro, e ciao Hanamichi, finalmente ti conosco!"

"Rukawa san, è un piacere," disse Hanamichi, facendo un goffo inchino.

"Passato un bel pomeriggio?" Rukawa annuì, e Hanamichi disse: "Meraviglioso."

"Kaori," chiamò un uomo da dentro casa, "Kacchan è tornato?"

"Sì, e…" il padre di Rukawa apparve sulla porta e Hanamichi sbottò: "Porca miseria, vedo che uscire brutto non ci saresti riuscito neanche a provarci!" Per un istante, cadde un silenzio interdetto, poi Kaori rise.

"Un complimento è quel che ci vuole per rallegrare una domenica sera!" disse. Hanamichi ridacchiò e si grattò la nuca, imbarazzato.

"Tu devi essere Hanamichi," disse il padre di Rukawa, facendo un passo avanti per porgergli la mano, "È un piacere conoscerti."

"Piacere mio," rispose Hanamichi, stringendogli la mano. "Beh," disse poi, "Adesso che ho fatto la figuraccia del giorno direi che posso andare a casa. Ci vediamo domani a scuola, Kaede."

"Nh," rispose lui. Hanamichi non fece in tempo a sentirsi deluso dalla sua scarsità di parole: Rukawa si alzò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra.

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