Autumn Leaves

di Signorina Granger
(/viewuser.php?uid=864554)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Cinnamon Rolls ***
Capitolo 2: *** II. Cinnamon Butter ***
Capitolo 3: *** III. Cosy night ***
Capitolo 4: *** IV. Coffee date ***
Capitolo 5: *** V. Reading date ***
Capitolo 6: *** VI. Trick or Treat ***
Capitolo 7: *** VII. Movie night ***
Capitolo 8: *** VIII. Corn Maze ***
Capitolo 9: *** IX. Caramelized Apples ***
Capitolo 10: *** X. Football match ***



Capitolo 1
*** I. Cinnamon Rolls ***



Template-Raccolte


I.   Cinnamon rolls



cinnamon-roll



Perché quelle facce?! Andiamo, sarà divertente!”
Una pioggia di sacchetti di carta di diversi colori e dimensioni precipitò dalle braccia di Nerea Pagano per atterrare con un lieve tonfo sulla parte di uno dei lunghissimi tavoli di legno della cucina di Beauxbatons dietro alla quale si trovavano i suoi migliori amici, entrambi in piedi con le braccia strette al petto e l’aria poco convinta. Pur avendo riposto la massima enfasi sull’aggettivo “divertente” né Dante né Gisèle ne sembrarono infatti particolarmente persuasi, e il primo si limitò a gettare un’occhiata dubbiosa alla confezione di uova che attendeva di essere aperta chiedendosi quante ne avrebbero sprecate mentre la francese, accanto a lui, si esibiva in una laconica stretta di spalle:
“Beh, per lo meno non ci possono cacciare se dovessimo distruggere metà cucina. Mi sono informata.”
“Non distruggeremo un bel niente, amici di mala fede. Vado a prendere ciotole e mestoli, voi pesate gli ingredienti, così non perdete tempo a lamentarvi.” Nerea, che poco prima aveva deciso di trascinare con sé i propri amici fino in cucina per provare a replicare una di quelle deliziose ricette che popolavano il suo feed di Pinterest, allungò il proprio telefono sul tavolo prima di girare sui tacchi e allontanarsi sotto gli sguardi rassegnati dei suddetti amici.
“Ha qualcosa su di te con cui ricattarti?”, domandò Gisèle dopo aver raccolto il telefono dell’amica per controllare le dosi degli ingredienti sulla lista quando l’italiana si fu allontanata a sufficienza per non essere più a portata d’orecchi, portando Dante ad annuire cupo prima di risponderle tenendo sempre le braccia strette al petto:
Un sacco di cose. Su di te?”
“No, su di me niente, è solo che per qualche motivo non riesco mai a dirle di no… Ma quanto burro va in questa roba?! Se ne mangio una rischio di non entrare più nel body!”, esclamò inorridita la strega dopo aver adocchiato la dose di burro necessaria per preparare le fantomatiche girelle alla cannella che Nerea aveva tanto insistito per provare a preparare nel corso di quel grigio pomeriggio di inizio autunno:
“Sei francese, hai il diritto di lamentarti per le dosi del burro?”, domandò Dante gettandole un’occhiata perplessa dopo aver aperto il sacchetto della farina e averne respirato una nube per sbaglio, commento ragionevole che tuttavia Gisèle decise di ignorare: le uniche cose piene di burro che Gisèle mangiava erano quelle preparate da sua nonna, e soprattutto per mantenere intatto il suo status di nipote prediletta (alla faccia di Guillaume).
“In caso non lo puoi… non lo so, ingrandire con la magia?”, domandò Nerea con tono incerto e sguardo speranzoso quando fece ritorno dai due amici tenendo tra le braccia tre ciotole di vetro di diametro differente infilate l’una d’entro l’altra come delle matrioske, parole che al termine di una breve esitazione – durante la quale la francese si chiese se l’amica stesse parlando seriamente – destarono un sorriso affettuoso sulle labbra carnose di Gisèle, che la guardò scuotendo debolmente il capo e i ricci capelli castani:
“Rea, sei così dolce. Se la danza classica ragionasse come te sarebbe un mondo migliore e molto meno malato.”
“Beh, quelli che non mangia Gisèle posso mangiarli io, sempre che non facciano schifo.”
“Non faranno schifo, se ci riescono le tizie americane su Wizagram ci riusciamo anche noi! Sempre a lamentarvi, voi due… E mettetevi i grembiuli.” Sentenziò Nerea indicando i grembiuli che aveva sistemato sul tavolo in precedenza prima di prendere per sé il primo della pila, imitata ben presto da Gisèle ma non da Dante, che se ne rimase impalato a braccia conserte e gettando occhiate torve al grembiule che era rimasto intoccato sul tavolo:
“Io non me lo metto.”
“I vestiti neri si macchiano di farina con un nonnulla, Dantuccio. Affari tuoi.”
Nerea si strinse nelle spalle prima di allacciarsi dietro la schiena il grembiule bianco coperto di piccoli girasoli e dopo aver scoccato un’occhiata rassegnata a quello a lui destinato a Dante non restò che arrendersi ed obbedire, deciso a non sporcarsi i vestiti e far così sapere a tutto il castello di essersi cimentato in una prova di pasticceria. Fu con una certa dose di disappunto che il ragazzo appurò di essersi allacciato un grembiule a fantasia floreale come quello di Gisèle e di Nerea, che si affrettò ad agguantare il telefono per scattargli fulminea una foto da mandare ad ogni singolo membro delle loro famiglie.
“Perché in questo cazzo di posto è tutto delicato, carino e a fiorellini?!”, sbottò infastidito il ragazzo guardandosi il grembiule pieno di fiorellini rosa mentre le due ridevano senza vergogna del suo disappunto, ma prima che potesse recuperare la bacchetta per trasfigurarli in qualcos’altro Gisèle finse di slacciarsi il proprio simulando un’espressione contrita:
“Scusa Dante, colpa mia, sono così insensibile… Forse vuoi il mio che ha la lavanda, visto che il lilla è il tuo nuovo colore preferito?”
Dante non rispose, si limitò ad arrotolare le maniche della camicia nera sugli avambracci per evitare di macchiarle fissando torvo la superficie del tavolo. Si appuntò mentalmente di non rendersi mai più disponibile per un’iniziativa culinaria orchestrata dalla sua amica d’infanzia, nonché di trasferirsi in Australia per l’ultimo anno di scuola.
 
 

One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock
 
 
 
 
Quest’anno niente Writober per me, ma ho deciso di inaugurare ugualmente la stagione con una piccola raccolta a tema🍂🍁 Le OS saranno in tutto dieci, coinvolgeranno i personaggi di OMITB e di LMDI e ne pubblicherò una ogni domenica da oggi fino a fine novembre.
Ci rivediamo qui tra una settimana, dunque, e molto presto su OMITB.
Signorina Granger

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. Cinnamon Butter ***


Auguri Phoebs🧡

Template-Raccolte



II. Cinnamon Butter  



cinnamon-butter  



Moos non poté resistere e affondò lentamente il cucchiaino da tè all’interno del barattolo di vetro e nella cascata di miele dorato che esso conteneva, agitandolo dolcemente per smuovere il dolcissimo nettare e tutte le sue calde sfumature cromatiche riflesse dalla luce accesa della cucina: anche se l’orologio appeso di fronte a lui non aveva ancora rintoccato le quattro del pomeriggio il cielo fuori dall’appartamento era cupo, grigio, coperto da un letto di nubi scure che si disperdeva a vista d’occhio e che impediva anche al più timido raggio di sole di scaldare la metropoli. Avvolto dalla semi-oscurità e dalle note di una dolce canzone che si liberavano dal giradischi di suo nonno, Moos raccolse un po’ di miele dalla giara e si concesse di gustarlo esattamente come faceva quando era piccolo, quando di tanto in tanto si arrampicava sui pensili della cucina, non importava che fosse quella di suo nonno, dei suoi genitori o di qualche zia, per rubarne un po’ illudendosi che nessun membro della sua famiglia ne fosse a conoscenza.
Dopo essersi leccato le labbra per gustare ogni traccia delle note floreali del miele Moos picchiettò soddisfatto un paio di volte il cucchiaio sul bordo piattino dove aveva sistemato tutti i mestoli necessari prima di impugnare un piccolo coglimiele di legno che affondò come aveva fatto poco prima nella giara, questa volta non per se stesso ma per versare una generosa quantità di miele all’interno della ciotola già contenente burro e cannella.
Una decina di minuti dopo Moos lasciò la cucina stringendo i manici di un vassoio da letto di legno e si diresse con un sorriso soddisfatto sulle labbra verso l’angolo del soggiorno dove suo nonno sedeva davanti alla finestra e con un libro aperto in mano. Un vinile girava allegro e senza sosta all’interno del giradischi sistemato su un mobiletto di noce che conteneva parte della collezione del padrone di casa, mobile di cui Senior era gelosissimo e che sarebbe rimasto nell’appartamento per molti anni ancora, anche quando del suo proprietario originario sarebbe rimasto solo il ricordo nella memoria del nipote, mentre l’anziano signore sedeva lì accanto su una chaise longue verde con i braccioli. La poltrona l’aveva comprata Moos appositamente per il nonno e mesi prima glie l’aveva mostrata pieno di compiacimento, profondamente soddisfatto della sua idea e certo che Senior l’avrebbe apprezzata, sistemata accanto alla finestra per consentirgli di leggere o ascoltare la musica standosene comodo.
Inutile dire che il padrone di casa non aveva gradito affatto, aveva accusato aspramente il nipote di aver buttato dei soldi inutilmente e infine, al termine di un lungo sproloquio interrotto di frequente da violenti colpi di tosse, aveva dichiarato che una poltrona da “bianchi privilegiati col culo pesante” non l’avrebbe mai usata. Moos, che conosceva suo nonno forse meglio di quanto non conoscesse se stesso, non aveva aperto bocca. Non ci era nemmeno rimasto male, tanto conosceva Senior, e aveva atteso in silenzio fino a che, tre giorni dopo, era tornato dall’Università trovandocelo seduto sopra con il giornale in mano. Naturalmente il nonno sentendo la porta aprirsi di colpo era sobbalzato, aveva cercato di gettare il giornale per terra e di alzarsi quanto più in fretta la sua età, la sua stazza e la sua età gli consentissero dichiarando torvo di “aver avuto un giramento di testa e di esserci finito sopra per sbaglio”.
Di nuovo, Moos non aveva aperto bocca, si era ritirato in cucina per preparare un sandwich sghignazzando solo nella sua testa.
Erano passati alcuni mesi da quei giorni estivi e oramai Senior di fingere di disprezzare la chaise longue non ci provava nemmeno più, anche se mai avrebbe ammesso di usarla al di fuori di quelle quattro mura: il giorno stesso in cui l’aveva provata e trovata sorprendentemente comoda aveva stabilito fermamente che a chiunque l’avesse chiesto avrebbe dichiarato che appartenesse al nipote, e così aveva fatto anche quando, la settimana prima, Joanna Dawson era passata a salutarlo.
“Nonno, ti ho portato la merenda”, annunciò allegro Moos allargando le labbra carnose in un sorriso che mostrò due file perfette di denti candidi mentre Senior, abbandonato momentaneamente Raymond Chandler, volgeva lo sguardo su di lui. L’anziano signore fissò prima lui, poi il vassoio da letto – dapprima aveva odiato anche quello, definendolo da “bianchi invalidi e pigroni”, ma di tanto in tanto Moos, non trovandolo, finiva col rinvenirlo in camera del nonno – e infine di nuovo il viso sorridente e rilassato del nipote, finendo col togliersi gli occhiali per agitarli seccato:
“Senti Junior, adesso mi hai proprio rotto. Già mi tratti come un vecchio rincoglionito…”
“Ma non è vero!”
“… adesso mi porti pure la merenda?! Non ho sei anni, cazzo!”
“Ho pensato che avessi fame, dai, non fare così! Te l’ho portata qui solo perché mi sembravi tanto comodo su questa poltrona orribile che detesti tanto. Sai nonno, stai diventando sempre pià un vecchio scorbutico, come ti ha sempre descritto la mamma.” Moos si chinò verso il nonno e sistemò le gambe di legno del tavolino sulla poltrona senza farsi pregare, incastrando il padrone di casa tra due cose che Senior fingeva di mal sopportare.
“Tua mamma non capisce niente.”, annunciò fermamente l’uomo prima di rimettersi gli occhiali per gettare un’occhiata a ciò che il nipote gli aveva rifilato. Fu sollevato nell’appurare di avere davanti dei pancake, ma comunissime frittelle circolari e non quelle ridicole cose a forma di faccine sorridenti che Moos aveva tentato di rifilargli un mese prima: quel pomeriggio le pareti del 6A avevano visto pancake e frutta volare per la prima volta da che erano state tirate su decenni prima.
“Junior, perché sono arancioni?”, domandò dubbioso Senior fissando perplesso i pancake dal colorito inconsueto che aveva davanti mentre Moos versava lui stesso una pioggia di sciroppo d’acero sulla pila di frittelle
“Sono alla zucca. Con il burro alla cannella. Spero che ti piacciano.”
“Che stronzata è il burro alla cannella?!”
“Lo mangiavo sempre dai Dawson quando ero piccolo. Assaggia.”
Se il nipote avesse citato una qualsiasi altra famiglia di certo Senior se ne sarebbe uscito con un altro commento sui bianchi privilegiati, ma Moos scorse distintamente le labbra del nonno stringersi, conscio di come mai si sarebbe permesso di criticare quella famiglia bianca e privilegiata nello specifico.
Senior non disse nulla, si limitò a tagliare un pezzo di pancake con aria sostenuta prima di assaggiarlo insieme al burro e allo sciroppo d’acero sotto lo sguardo compiaciuto e divertito del nipote. Il nonno si prese qualche istante per riflettere pensoso, ma finì con l’annuire ed esibirsi in un complimento piuttosto trattenuto:
“Non è male.”
“Certo, come no. Vado a pulire la cucina, tu goditi la merenda.”
Conscio di come suo nonno non fosse tipo da lanciarsi in complimenti entusiastici Moos girò sui tacchi e si allontanò compiaciuto tenendo le mani allacciate dietro la schiena mentre Senior, dietro di lui, sollevava la tazza di tè che il nipote gli aveva portato insieme ai pancake roteando vistosamente gli occhi scuri al cielo:
“Ma non hai lezione, oggi?!”
“No, è sabato. Bella canzone, comunque. Come si chiama?”  Prima di sparire in cucina per sistemare – naturalmente aiutandosi con la magia – e poi gettarsi sui libri Moos indugiò voltandosi verso il nonno e accennando in direzione del giradischi con un lieve movimento della testa, domanda che sembrò lasciare Senior considerevolmente sconcertato, come se gli avesse appena chiesto quale fosse la capitale degli States.
“Autumn Leaves. Vivi qui con me e non riconosci una canzone di Nat King Cole? Prepara meno burro aromatizzato e studia di più, Junior.”
Moos rise, annuì e gli promise che l’avrebbe fatto. In effetti non avrebbe mai più stentato a riconoscere le note di quella canzone, forse anche grazie a quel pomeriggio d’ottobre, ma in compenso non avrebbe mai smesso di preparare burro alla cannella per le persone a cui teneva.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III. Cosy night ***



Template-Raccolte


III. Cosy Night


059b101cd1275f721a0c7209679dd3e4


Daph, ti muovi o no?! Si sta raffreddando il tè!” 
Se c’era una cosa che Maëlle Macquart prendeva sul serio e sulla quale non transigeva erano le serate dedicate alla visione di film o serie tv, ragion per cui agitò stizzita la tazza bianca che teneva in mano in direzione della porta socchiusa del bagno mentre se ne stava seduta a gambe incrociate sul suo letto, unito per l’occasione a quello di colei che si stava facendo attendere.
“Infuso.”, la corresse distrattamente Lucinda giocherellando con la bustina di rooibos speziato mentre Duchess, la gatta di Daphnè, se ne stava acciambellata ai piedi del letto, sopra alla sua copertina bianca, scrutando torva coloro che avevano osato invadere il suo spazio personale e mettere in dubbio la sua supremazia del letto – che era suo, non certo della padrona –.
“Un momento, sono qui!” Daphnè spalancò finalmente la porta bianca del bagno per fare la sua apparizione all’interno della camera, avvolta da un’accogliente e calda luce soffusa e dall’aroma speziato emanato dalla candele accese sul suo comodino e quello di Maëlle, sfoggiando un pigiama rosa e bianco e una fascia per capelli a fantasia di foglioline secche a tenerle indietro i lunghi e lucenti capelli scuri. La giovane strega raggiunse rapida il letto suo e quello dell’amica asserendo di aver dovuto aspettare che la crema idratante si assorbisse, parole che fecero roteare gli occhi scuri di Maëlle, che per stare in tema con l’atmosfera si era infilata poco prima una tuta di una caldissima tonalità di arancia bruciata.
“Ci hai messo così tanto che mi stavo per assorbire io nel letto! Forza, iniziamo.”
Decisa a non perdere ulteriore tempo Maëlle si protese in avanti, verso il pc acceso e lo schermo messo in pausa su un titolo bianco su uno sfondo di foliage, mentre Daphnè recuperava dal comodino la sua tazza a forma di zucca sottolineando piccata l’importanza della cura della pelle e Lucinda, seduta in mezzo alle due, si sistemava più comodamente contro le valanghe di cuscini che avevano riversato sui materassi per stare il più comode possibile:
“Sì, voglio vedere come va avanti. Dove sono i biscotti alla cannella?!”
“Qui Luli, ti sembro una che si scorda del mangiare?!”
“Dov’è che eravamo arrivate?”
“Quella cogliona di Rory vuole mollare Yale.”  Le labbra di Maëlle si torsero in una smorfia schifata: non importava quante volte potesse seguire le stesse vicende, sarebbe sempre arrivato il momento in cui avrebbe desiderato prendere la protagonista e scrollarla fino a farla rinsavire. O prenderla a ceffoni.
“Non capisco proprio come sia possibile che un personaggio si rincitrullisca a tal punto da una stagione all’altra.”, osservò Daphnè prima di sorseggiare un po’ di infuso caldo e speziato che le pizzicò le labbra mentre Lucinda, accanto a lei, incrociava le caviglie sottili fasciate da degli spessi calzini pieni di zucchette scuotendo la testa con disapprovazione:
“Se tra qualche anno divento come lei datemi una botta in testa e risvegliatemi, grazie. Anzi, fallo tu Daph, di Maelle ho più paura.”
Per tutta risposta la francese annuì, assicurandole che l’avrebbe fatto con affetto e garbo prima di prendere insieme all’amica un biscotto alla cannella dal piatto che Maeelle era andata a recuperare direttamente nelle cucine, suggellando silenziosamente il patto mentre la bionda, in attesa di far ripartire il video, sbuffava esasperata:
“Shh, fate silenzio, la sigla è sacra!”
“Oddio adesso canta…”  Il sospiro di Daphnè mandò Lucinda in allarme, ma prima che potesse coprirsi le orecchie con un cuscino la stanza era già stata avvolta dalle note di una canzone ormai nota a tutte loro, la musica insieme alla voce stonata di Maelle.
Duchess, definitivamente offesa e scocciata da tutto quel disturbo e dall’assoluta assenza di vergogna da parte di quelle umane che osavano interferire con il suo sonnellino, si alzò, si stiracchiò, guardò male la sua padroncina e infine balzò giù dal letto per allontanarsi sdegnosamente e andare a dormire su una poltrona della sala comune: forse lì nessuna umana screanzata l’avrebbe disturbata.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV. Coffee date ***



Template-Raccolte


IV. Coffee date  


coffe-date

 
Nonostante piovesse a dirotto e le temperature si fossero drasticamente abbassate Eileen non rimpiangeva di aver proposto a Leena di uscire, quel sabato pomeriggio, prima per una passeggiata a Riverside Park e poi, quando grosse gocce di pioggia avevano iniziato a bagnare marciapiedi, strade ed edifici, per una lunga sosta a base di caffè bollente speziato e discussioni letterarie. In pratica, uno dei loro passatempi preferiti.
“Non ha nessun senso. Come poteva Anne Meredith non essersi accorta che Shaitana era morto quando non stava giocando a bridge? Immagina di essere sedute qui, esattamente come lo siamo ora, e che io sia morta. Potresti davvero non accorgertene?”  Leena sedeva di fronte all’amica, solo un paio di tazze e un libro – di proprietà di quest’ultima ma copia esatta di quello che stava leggendo anche Eileen in quegli stessi giorni freddi, grigi, giornate che un po’ le ricordavano il clima di Edimburgo e che la riempivano di nostalgia e di voglia di restarsene chiusa in casa a leggere con una coperta sulle gambe – a separarle, i grandi ed espressivi occhi scuri spalancati e gli splendidi ricci ad incorniciarle il viso ovale. La britannica pronunciò quelle parole con un’enfasi e un timbro che indussero alcune delle persone sedute vicino a loro a distogliere lo sguardi dai rispettivi tavoli per gettare un’occhiata perplessa in direzione di Leena, il cui sguardo, che si illuminava sempre quando la strega faceva menzione ad una delle sue letture, appariva ancor più animato del solito grazie al riflesso della soffusa e calda luce giallastra che avvolgeva l’ambiente altrimenti avvolto dalla penombra.
Eileen, ignorate le occhiate perplesse dei presenti, si strinse nelle spalle senza smettere di giocherellare con la zuccheriera di vetro, decisa a mantenersi ferma nella sua posizione:
“Ovvio che no, ma forse non ha detto niente perché sapeva che l’avrebbero incolpata. Quindi è stata zitta. Qualcuno lo deve aver fatto prima che fosse il suo turno di fare il “morto”. Un gioco di parole un po’ triste, ora che ci penso.”, osservò infine la spagnola arricciando il naso, incurante della confusione crescente di chi sedeva loro attorno mentre Leena, di fronte a lei, sollevava la tazza – sufficientemente grande a contenere una quantità di caffè spropositata e rigorosamente, nel suo caso, non zuccherata – liquidando il discorso con un pigro cenno della mano:
Lei aveva uno humor un po’ macabro, talvolta.”
“Nessuno ha uno humor migliore di noi british. Quindi, se non è stata Anne Meredith, magari è stata la signora Lorrimer. Avevano tutti un movente, no?”  Eileen imitò l’amica sollevando la tazza per sorseggiare un po’ di caffè senza smettere di studiare il volto di Leena, guardandola annuire mentre puntava lo sguardo pensoso sulla parete della caffetteria a cui lei dava le spalle.
“È come Dieci piccoli indiani… tutti erano lì per fare i conti con qualcosa. Penso proprio che ci sarà una seconda vittima.”
Eileen aggrottò le sopracciglia all’udire le parole dell’amica, prendendosi qualche istante per chiedersi se Leena stesse alludendo alla trama di Carte in tavola o alle vicende che stavano vivendo in prima persona da qualche settimana a quella parte. Stabilito che l’amica dovesse aver alluso al romanzo – in caso contrario si sarebbe di certo lanciata in una qualche invettiva su come, secondo lei, stessero guardando alla discussione avvenuta tra Montgomery e Kamala settimane prima dal punto di vista errato – la spagnola inarcò un sopracciglio corvino e inclinò la testa, dubbiosa:
“Dici?”
“Quasi tutte le migliori storie della Christie hanno due vittime. A volte penso che si annoiasse, uccidendo una persona sola nell’arco di poche centinaia di pagine.”
“Certo, vuoi mettere con farne fuori due? Molto più stimolante.”
“Molti più segreti e svolte narrative.”
“Ma meno sospettati rimasti tra cui barcamenarsi. Anche se, subdola com’era, non si riesce quasi mai a venirne fuori in ogni caso. Ma di certo non è stata Anne Meredith!” Su quel punto Eileen era determinata a non ammettere repliche, e agitò il suo cucchiaino come a voler intimare all’amica di non provare a persuaderla del contrario mentre la pioggia si abbatteva con un lieve e rilassante fragore sui vetri del locale, spingendo lei tanto quanto Leena a non avere alcuna intenzione di uscirne.
“Lo vedremo. Anche se, ora che ci penso, il primo sospettato schiatta quasi sempre. Penso che la povera Anne ci lascerà presto, se davvero non è colpevole.”
Leena si strinse nelle spalle prima che tra le due streghe calasse un inusuale silenzio, entrambe preda degli stessi pensieri rivolti ai loro vicini e tra chi potesse rivelarsi, tra tutti coloro che vivevano nel loro palazzo, una potenziale seconda vittima. Forse, si disse Eileen aggrottando pensosa la fronte pallida, la vita vera avrebbe smentito quel paradigma quasi universalmente riconosciuto e dettato proprio dagli scritti della loro autrice prediletta.
“Stavo pensando a una cosa.”, mormorò infine Eileen dopo un paio di minuti di silenzio picchiettassi il labbro inferiore, coperto da uno strato di rossetto rosso mattone che era andato a schiarirsi tra un sorso di caffè e l’altro, con il bordo del cucchiaino. Leena, pur essendo preda di ben altri pensieri, annuì con la massima serietà dopo aver smesso di tamburellare le unghie dipinte di rosa cipria sul dorso del libro poggiato sul tavolo:
“Anche io. Devo farti leggere il prossimo capitolo che ho scritto, il finale non mi convince del tutto. Tu a che pensavi?”
Dici che c’è una escape room a tema Agatha Christie in città?”
“Dovrebbe esserci, ma non ci conterei, che vuoi che ne capiscano questi yankee... Se non c’è, l’apriamo noi. Posso sempre vestirmi da Poirot e accogliere le persone.”
“Ma quale Poirot, tu sei alta, bella e priva di un qualsiasi accento francese, che cosa c’entri con Hercule Poirot?!”
“Allora farò Ariadne Oliver. Mi basterà portarmi qualche mela come spuntino(1).”
“E con quali soldi?”, domandò la spagnola inarcando un sopracciglio con uno scetticismo piuttosto evidente ma che Leena non colse o si rifiutò di cogliere, limitandosi ad una vaga stretta di spalle:
“… Aspetta che io finisca la mia storia, poi magari me la pubblicano e apriamo un’escape room.”
 
 


One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock

 
 
(1): Personaggio presente in alcune opere della Christie, scrittrice di gialli amica di Poirot e patologicamente amante delle mele che rappresenta una parodia dell’autrice stessa

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V. Reading date ***



Template-Raccolte


V. Reading date


v


Carter trasalì senza volerlo, esibendosi in un singulto che risuonò fragoroso nel soggiorno fino ad all’ora avvolto dal silenzio e che disturbò la quiete di tutti i presenti: Isla, acciambellatasi poco prima sull’angolino a lei dedicato di uno dei due divani color cuoio, aprì pigramente gli occhi verdi per gettare al padrone un’occhiata di rimprovero prima di sbadigliare e alzarsi per cambiare posizione dandogli le spalle stizzita; Sarge, che aveva occupato buona parte dell’altro divano standosene disteso su una copertina di tartan, sollevò la testa color miele per guardarlo stranito facendo tintinnare la sua medaglietta a forma di osso, mentre l’unica ospite umana del 13E distolse lo sguardo dalle pagine del sottile volume che teneva aperto sulle ginocchia per gettare un’occhiataccia in direzione di colui che aveva avuto l’ardire di arrecarle disturbo:
“Cosa? Che c’è?!”
“Ho appena letto una cosa assurda. Pagina 178 è sconvolgente.” Carter chiuse il libro tenendo il segno con l’indice scuotendo lievemente il capo e sporgendosi verso il basso tavolino da caffè posto al centro della stanza per prendere il bicchiere di carta che vi aveva poggiato sopra poco prima, deciso a prendersi qualche istante di pausa per metabolizzare quanto appena appreso prima di procedere con la lettura. Mentre Sarge tornava a dedicarsi alla sua attività preferita, dormire e farsi coccolare, risistemando la testa accanto alle gambe di Niki quest’ultima spalancò inorridita i grandi occhi verdi, guardando il vicino come se l’avesse appena pugnalata:
“Ma che cazzo, Carter, io non ci sono ancora arrivata!”, sbottò la strega agitando il libro, copia esatta di quello stretto dal giornalista, e colpendosi con esso il ginocchio in un movimento pieno di stizza: “Adesso so già che tra venti pagine succederà qualcosa di importante!”
“Se sei più lenta di me a leggere non è colpa mia, carina.”, ribatté Carter brandendo un sorrisetto compiaciuto mentre si allungava per rimettere a posto quel che restava del suo caffè dopo averne preso un sorso, lieto di aver appreso di essere più avanti della vicina con la lettura.
“Figurati se sono più lenta di te, sarà la tua presenza che mi brucia i neuroni. E poi è colpa di questo adorabile signorino che mi distrae.” Dapprima sostenuta e inflessibile la voce di Niki si incrinò e fece più acuta quando la strega si rivolse a Sarge, premurandosi di accarezzargli la morbidissima testa e di scoccargli un’occhiata adorante prima di ridarsi un tono e tornare a rivolgersi al vicino con tutta la stizza di cui era capace:
“E comunque,” aggiunse subito dopo sistemandosi con finta nonchalance i lunghi capelli castani dietro la spalla destra, “ho già capito chiaramente l’identità del colpevole.”
“Ah, davvero? Beh, anche io. Forza, dimmi il nome, voglio proprio vedere.”
Carter incrociò le braccia tenendo ancora il segno sulla pagina di Hallowe’en Party alla quale si era fermato poco prima, incalzando la vicina a parlare con un cenno del capo o ma finendo con l’ottenere solo un lieve accenno di risata sarcastica:
“Così poi Barbie Malibù può fingere di aver avuto la mia stessa intuizione anche se ha lo stesso acume di un pesce rosso? Ti prego. E se anche fosse non varrebbe, tu sei così disagiato che leggi sempre l’ultima pagina di un giallo prima ancora di iniziarlo, facile capire chi è stato!”
Questa volta a reagire con stizza fu Carter stesso, che all’udire le parole della vicina spalancò inorridito gli occhi azzurri e raddrizzò la schiena prima di indicarla indignato, balbettando qualcosa di incomprensibile tanto era lo sdegno che provava prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto:
“Tu… Tu che dai del disagiato a me?! Sei come Lost che accusa GoT di avere un finale di merda! E comunque io lo faccio per precauzione, se dovessi morire prima di arrivare alla fine morirei col dubbio!”
“Hai ragione, del resto le possibilità che io riesca a resistere prima di finire il libro sono bassissime.”
Per quanto l’idea di lasciarle l’ultima parola non fosse affatto di suo gradimento Carter si limitò a scoccarle un’occhiataccia prima di imporsi di tornare al suo libro, ripetendosi che Agatha Christie meritasse la sua attenzione molto più di quell’antipatica megera spilungona. Niki sembrò pensare lo stesso perché lo imitò e per qualche altro minuto l’unico rumore a disturbare la quiete della stanza fu il lieve fruscio delle pagine man mano che i due procedevano con la lettura, probabilmente entrambi decisi ad arrivare alla conclusione della storia prima dell’altro.
Fu solo dopo aver superato il sorprendente snodo narrativo cui Carter aveva fatto cenno poco prima che la strega chiuse il sottile volume dalla copertina flessibile e ricca di sorridenti e sinistre zucche intagliate per rivolgersi al vicino, spezzando il silenzio con il suono della sua voce pacata con una proposta che cancellò il breve battibecco di poco prima:
“Ci andiamo a prendere un pumpkin spice latte?”
Carter smise di leggere e rifletté per qualche breve istante fissando accigliato la porta di casa sfiorando distrattamente il bordo della pagina aperta con il pollice, finendo con l’annuire e chiuderlo a sua volta dopo aver infilato un segnalibro con un tema di foglie secche – lo aveva rubato a Niki il giorno prima, quando si erano scontrati davanti allo stesso scaffale di Barnes & Noble e avevano deciso di leggere il romanzo in contemporanea – in mezzo alle pagine:
“Sì.”
I libri vennero lasciati sul tavolino da caffè e i due si alzarono senza aggiungere altro, infilandosi in silenzio una giacca di pelle nera ciascuno – entrambe facenti parte della vasta collezione di Carter, perché a Niki sarebbe costata troppa fatica attraversare il corridoio e tornare brevemente a casa sua – prima che il padrone di casa, impegnato ad infilare la pettorina color zucca ad un Sarge scodinzolante, levasse lo sguardo sulla vicina, che lo aspettava davanti alla porta con le mani in tasca e gli occhiali da sole davanti agli occhi:
“E un muffin-cheesecake alla zucca?”
“Per chi mi hai presa, scusa?”
Carter fu felice di appurare di trovarsi miracolosamente d’accordo con lei su qualcosa – ogni tanto gli capitava di riflettere come ciò si verificasse solo quando si parlava di cibo – e dopo aver salutato Isla e aver recuperato le chiavi con appesi un minuscolo boccale di birra e a una bandierina a stelle e a strisce si diresse a sua volta verso l’ingresso insieme a Sarge, finendo con il scontrarsi con la vicina quando entrambi fecero per aprire la porta muovendosi all’unisono:
“E levati, fammi passare! Sei veramente una pigna nel culo.”, sbottò Niki indietreggiando d’istinto e agitando una mano infastidita mentre Carter, aperta la porta, ricambiava con un’occhiata torva:
“Fammi passare tu, sei sempre in mezzo! E “Pigna nel culo” sono quasi sicuro che sia il tuo vero nome.”
“Allora saremo omonimi, perché “Pigna nel culo” sarà quello che dirò al cameriere di Starbucks quando chiederà il tuo, di nome. Io sarò Mrs Gosling.” Con quelle parole Niki superò il vicino varcando la soglia dell’appartamento con un sorriso compiaciuto e muovendosi i capelli con nonchalance, incamminandosi verso gli ascensori con falcate lunghe ed aggraziate merito di anni di passerelle mentre Carter la seguiva fuori dall’appartamento borbottando qualcosa a proposito di come la vicina potesse aspirare al massimo a considerarsi alla stregua della Perfida Strega dell’Ovest. Il giornalista aveva appena chiuso la porta a chiave quando quelle dorate dell’ascensore si aprirono dinanzi ad un’impaziente Niki con un allegro scampanellio, inducendo Carter ad infilarsi le chiavi in tasca e ad affrettarsi a seguirla trafelato insieme a Sarge: non la sopportava e trovava la sua presenza incredibilmente fastidiosa, ma era anche vero che aveva bisogno di lei nel caso di uno sfortunato incontro con la loro vicina dallo sguardo arcigno.
“Ehy, aspettami! Lo sai che ho paura di prendere l’ascensore da solo con la Turner! Se poi mi aizza contro uno stormo di piccioni?!”
Carter si affrettò a raggiungere Niki infilandosi rapido insieme a Sarge tra le porte aperte dello spazioso ascensore deserto, pronto a camuffarsi con le pareti in caso di un incontro con la sopracitata vicina mentre Niki, per nulla preoccupata, si spolverava la spalla destra del chiodo con nonchalance:
“In caso userei te come scudo umano per proteggere me e Sarge, non t’illudere.”
“O delle scimmie alate, perché no…”
“Che hai detto?”
“Poverina, sei sorda? La vecchiaia fa quest’effetto…”
Dopo aver premuto pigramente il bottone del pian terreno Carter s’infilò la mano libera in tasca e volse lo sguardo sulla vicina con sulle labbra il sorriso beffardo che era solito sfoggiare quando perculava qualcuno, ma anziché echeggiare nel corridoio l’insulto piccato con cui Niki gli rispose venne portato via dal tredicesimo piano dal chiudersi delle porte dell’ascensore.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI. Trick or Treat ***



Template-Raccolte



VI. Trick or Treat



trick-or-treat



Nonostante Basil e Soleil – stanchi di trascinarsi lungo le vie illuminate dalla fioca luce giallastra dei lampioni per fermarsi, porta dopo porta, sotto i portici di tutto il vicinato – avessero intimato più e più volte ai fratelli minori di non indugiare di continuo per confrontare i rispettivi cestini Etienne Macquart, che non era propriamente un bambino noto per la sua propensione a dare ascolto alle direttive dei fratelli, si fermò nel bel mezzo del marciapiede, davanti al vialetto che lui e sua sorella avevano appena ripercorso a ritroso e che conduceva alla porta alla quale avevano bussato, e si rivolse serio alla bambina bionda che aveva accanto come se dovessero affrontare un argomento della massima importanza:
“Quanta roba ti hanno dato?”
Invece di rispondere Maëlle sollevò il cestino di vimini da picnic che aveva portato con sé e che faceva parte del suo costume insieme alla mantellina rossa che le avvolgeva capo e spalle, sollevò il coperchio e iniziò a frugare accigliata tra i dolcetti accumulati nel vagabondaggio in mezzo alle case del quartiere:
“Un pacchetto di macarons… lukom all’arancia e una merendina al cioccolato.”
“A me li hanno dato alla fragola i lokum, che schifo!”
“Facciamo a cambio.”, propose schietta la bambina allungando al fratello maggiore la deliziosa scatolina bianca ottagonale che conteneva i dolcetti avvolti da candide e leggere nuvole di zucchero a velo. Etienne fece per prenderli acconsentendo allo scambio, ma la sorella lo precedette scostando la propria mano di scatto, e un sorrisino furbetto le increspò presto le labbra mentre il lampione più vicino le illuminata il viso: “… però voglio anche il tuo pain au chocolat.”
“Scordatelo!” Esclamò stizzito Etienne arricciando il naso dipinto di nero che completava il suo costume da lupetto insieme alle finte orecchie pelose attaccate ad un cerchietto che Soleil lo aveva costretto a portare tra i capelli biondi: aveva acconsentito a rendersi ridicolo solo per essere carino e ricevere più dolci possibili, non aveva la minima intenzione di barattare la parte più preziosa del suo bottino.
“Io ti do le mie crostatine alla marmellata se me lo lasci.”  Maëlle fece spallucce mentre Soleil e Basil, qualche metro più avanti, si fermavano pentendosi amaramente di aver acconsentito ad accompagnarli assecondando i capricci dei fratellini minori ed Etienne gettava un’occhiata incerta al suo cestello arancione a forma di zucca.
“… Va bene, ma voglio anche quelle alla ciliegia!” La bambina annuì compiaciuta, certa di aver fatto un ottimo affare, e il baratto ebbe luogo mentre altri bambini travestiti si apprestavano a raggiungere la porta dalla quale loro si erano appena allontanati e Basil, definitivamente scocciato, iniziava a fare marcia indietro per acchiappare i fratellini e costringerli a continuare il giro:
“Voi due, che cosa vi ho detto? Muovete il culo o a Natale siamo ancora qui!”
“Soleil aveva ragione”, si premurò di informarlo Maëlle con aria compiaciuta mentre insieme, mano nella mano, si apprestavano a raggiungere la secondogenita che li aspettava con le braccia strette al petto e rabbrividendo dal freddo “con i costumi coordinati ci stanno dando più dolci dell’anno scorso!”
“Certo, sembrate adorabili, così conciati nessuno sospetta che siete in realtà dei perfetti rompipalle.”
“E io ho sempre ragione.”, si premurò di specificare Soleil una volta raggiunta dai fratelli prima di raddrizzare le orecchie pelose sulla testa Etienne, che si lagnò e cercò di dimenarsi asserendo di non essere un bambino piccolo.
“E se qualcuno chiede di adottarvi non esitate, mi raccomando.”
“Stai dicendo che ci scambieresti per dei dolcetti?” Maëlle strabuzzò inorridita i grandi ed espressivi occhi castani mentre affrettava il passo per non rischiare di essere lasciata indietro dai fratelli maggiori, le cui falcate erano almeno il doppio delle sue, stringendo i manici del cestello come una vera Cappuccetto Rosso spaurita mentre Etienne, accanto a lei, scrutava attento le case che li circondavano cercando di individuare le abitazioni che avrebbero garantito loro la maggior quantità di leccornie: di norma, anche se la logica di quel meccanismo sfuggiva alla sua comprensione, più le abitazioni erano sfarzose e meno erano i dolci che i proprietari erano disposti a smerciare. Soleil e Basil si scambiarono un’occhiata e nelle loro menti affiorò lo stesso pensiero: solo un paio d’anni prima non si sarebbero nemmeno sognati di ritrovarsi a badare in pianta stabile ai loro fratelli minori, ma anche se li consideravano degli impiastri pronti a dar loro il tormento dal primo giorno non avrebbero mai rinunciato a loro. Certo questo i bambini non lo sapevano, e il maggiore stabilì che per il momento fosse meglio così: meglio che i marmocchi non si rendessero conto di quanto potere esercitassero su di loro.
“Dipende per cosa. Per una scorta di pain au chocolat di sicuro.”
Quella sera per la prima volta da che era venuta al mondo Maëlle Macquart si disse disposta a rinunciare ad un pain au chocolat in maniera del tutto disinteressata, offrendo rapidamente ai fratelli maggiori i due che aveva nel cestino terrorizzata all’idea che potessero abbandonare lei ed Etienne sotto un portico qualsiasi senza mai più fare ritorno.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII. Movie night ***



Template-Raccolte



VII. Movie Night


nightmare-before-christmas


Non capisco perché abbiate insistito tanto per farmi vedere questa roba.”
Phoenix, seduto su un divano relegato in un angolo della Salle Comune stretto tra Icaro e Diego, che si era imbucato dopo aver ricevuto la parola d’ordine dal cugino, inarcò dubbioso un sopracciglio mentre guardava il suo migliore amico armeggiare con la tastiera del suo pc.
“Non chiamarlo “questa roba”.”, gli intimò torvo Diego prima di ficcargli in mano una ciotola enorme di popcorn al burro mentre Icaro, seduto sull’estremità sinistra del divano, tra Nick e il bracciolo, annuiva senza distogliere lo sguardo dallo schermo acceso.
“Sì, la tua ignoranza ci ha talmente sorpresi che abbiamo subito pensato di correre ai ripari. Lo abbiamo visto noi che abbiamo una famiglia di soli maghi e tu no, sei un caso raro.”
“Non è che se uno ha tutti Babbani in famiglia allora deve aver visto tutti i film mai prodotti, genio.”
“No, ma questo sì. Ed è anche il periodo adatto, quindi non ti lagnare.”
Phoenix non aveva nessuna voglia di sentire le manfrine dei suoi amici e decise di non lagnarsi e di starsene in silenzio mentre affondava la mano pallida nella ciotola di popcorn, dicendosi che almeno se avesse finito con l’annoiarsi avrebbe sempre potuto consolarsi riempiendosi lo stomaco di mais scoppiato caldo e profumato.
“Ma ci sono anche le canzoni?”
“Sì.”
Che palle…”
“Lo vedi, ti stai lagnando!”
“Per ogni lagna ti faccio fare dieci minuti di allenamento in più.” Icaro sorrise all’amico mentre si allungava in avanti per poggiare il suo pc sul tavolino che separava il divano dove si erano accomodati da quello di fronte, vuoto, e Nick non tardò a dargli del “capitano tiranno” mentre sollevava i piedi coperti da un paio di calzini neri per appoggiarli sul bordo del tavolino di vetro dal bordo di marmo. Icaro tornò a sedersi comodamente sul divano gettando un’occhiata piena di rimprovero ai piedi dell’amico, scuotendo il capo con stizza prima di dar voce a tutta la sua disapprovazione:
“Sei proprio un incivile.”
“Non siamo a Versailles, non rompermi le palle. Ma perché dite che è da guardare in questo periodo se c’è “Christmas” nel titolo?!”  Phoenix fece rimbalzare gli occhi azzurri prima su Icaro e poi su Diego, che però si limitò ad una scrollata di spalle mentre prendeva una manciata di popcorn a sua volta dalla ciotola:
“Guardalo e capisci da solo.”
“Siete utili quanto un frigo in Antartide voi due. Orsini, sposta quel culo, stai occupando troppo spazio!”
Icaro non era molto felice di dover sacrificare un po’ della sua comodità per far spazio all’amico, ma considerando che erano stati lui e suo cugino a costringerlo ad unirsi a loro non poteva fare a meno di assecondarlo, e si limitò a sbuffare mentre si spostava verso il bracciolo e Nick, accanto a lui, scrutava accigliato lo schermo con occhi pieni di scetticismo.
“Se spunta fuori una principessa Disney me ne vado.”
“No, non te ne andrai, perché se fai un’altra domanda ti strozzo.”

 



One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII. Corn Maze ***



Template-Raccolte



VIII. Corn Maze 


corn-maze


Gabriel Mendoza si considerava e si era sempre considerato una persona ragionevole e dotata di buon senso – fatta eccezione per la triste parentesi della sua vita che l’aveva visto coinvolto con il suo ex fidanzato, come sua sorella non mancava mai di fargli notare –, ma quando svoltato l’angolo si ritrovò a fronteggiare l’ennesimo muro di piante di mais pronto a sbarrargli la strada il tatuatore si domandò che cosa, esattamente, lo avesse spinto a prendere una decisione tanto di merda: chi e cosa lo aveva costretto a scomodarsi e a lasciare Manhattan, specie in un gelido pomeriggio di novembre, per spingersi fino in Connecticut e trascorrere ore intere fuori al gelo, a barcamenarsi all’interno di un dannato labirinto fatto di pannocchie?
La risposta giunse prontamente al tatuatore quando, un istante dopo, la vocina allegra e affatto preoccupata – anzi, semmai divertita – di sua nipote gli domandò se per caso avesse sbagliato strada un’altra volta. A Gabriel non restò che ruotare su se stesso per dare le spalle al mais e gettare un’esausta occhiata al viso sorridente di Chloe mentre, dietro di lei, Naomi svoltava l’angolo a sua volta tenendo Declan per mano, le sopracciglia perennemente aggrottate da quando avevano messo piede all’interno del labirinto.
“Sì. Orientarsi qui dentro è impossibile, queste dannate piante sono tutte uguali!”
“Per forza, sono pannocchie, non cambiano connotati ad ogni battito di ciglia come le Kar-Jenner.”, commentò Naomi con una pigra stretta di spalle mentre si guardava attorno cercando di decidere quale svincolo del labirinto imboccare insieme all’amico e ai due bambini.
“Chi sono le Kar-Jenner?” Domandò Declan con sguardo interrogativo mentre si strattonava il nodo della sgargiante sciarpa blu e arancio dei New York Mets che una delle sue madri gli aveva categoricamente vietato di togliersi all’aperto. La sorella, sempre lieta di colmare le lacune conoscitive del fratello per ricordargli il essere più grande di lui, sollevò il mento compiaciuta prima di riportare parte degli stralci di conversazione che aveva udito tra le mura domestiche, di solito quando le sue madri invitavano le loro amiche a casa:
Mamma dice che sono tizie tutte fatte.”
Rifatte, Chloe.”
“Cosa vuol dire rifatte?”
“Che hanno tanti, tanti soldi da spendere. Andiamo di qua, forza.” Naomi fece gentilmente cenno a Declan di seguirla per continuare il giro all’interno del labirinto con un lieve movimento del capo, astenendosi dal far sapere ai due bambini di non veder l’ora di uscirne per andare a bere qualcosa di caldo. Per fortuna aveva avuto il buonsenso di evitare di indossare i tacchi quando Chloe e Declan si erano presentati alla sua porta insieme allo zio pregandola di andare con loro nel Connecticut.
“Magari hanno un labirinto di mais in giardino!”
Gabriel pensò che si dovesse essere dei gran coglioni a sperperare denaro per imbastire un labirinto di maisnel proprio giardino, ma si guardò bene dall’esternare quei pensieri a voce alta quando intercettò l’occhiata in tralice che l’amica, intuendo i suoi pensieri, gli gettò. Al tatuatore non restò che cucirsi le labbra mentre prendeva la nipotina per mano seguendo l’amica verso la direzione opposta da lui malauguratamente imboccata poco prima mentre Declan, la manina stretta in quella di Naomi, faceva dondolare il braccio esternando il desiderio di mangiare una mela caramellata una volta usciti dal labirinto.
“Certo Dec!”
“Se mai usciremo da qui… Forse a breve libereranno un Minotauro.”, brontolò Gabriel a mezza voce senza che Naomi potesse udire le sue parole, al contrario della nipote che non tardò a chiedergli spiegazioni con un allegro cinguettio:
“Chi è Minotauro?”
“Un tizio famoso per essere sgradevole e poco cordiale.” Naomi dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non proseguire facendo una comparazione tra la suddetta creatura mitologica e l’ex di Gabriel, finendo col tirare le labbra carnose in un sorrisino divertito vicinissimo a sfociare in una risatina mentre l’amico, dopo aver raggiunto e fiancheggiato lei e Declan, le gettava un’occhiata torva riuscendo perfettamente ad immaginare cosa le stesse passando per la testa: qualche tempo prima aveva gentilmente chiesto a lei e a sua sorella quando avrebbero smesso di sfotterlo a causa di Christoper, e la risposta – “mai” – non l’aveva lasciato affatto contento.  
“Come l’ex fidanzato dello zio?!”
“Declan, shhh, la mamma ci ha detto di non dirlo!”
Naomi, incapace di contenersi, scoppiò infine a ridere mentre Chloe gettava un’occhiata piena di disapprovazione al fratellino e Gabriel, ormai a dir poco rassegnato, giurava solennemente che mai più avrebbe presentato qualcuno all’amica o a qualsiasi membro della sua famiglia.
“Naomi, scusa, mi ricordi invece come va la tua vita sentimentale? All’entrata del labirinto c’era uno spaventapasseri, non so se vuoi fermarti a parlarci quando finalmente usciremo di qui…”
 



One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX. Caramelized Apples ***



Template-Raccolte



IX. Caramelized Apples 


apples


Quando era bambino i giorni d’autunno che Milad preferiva in assoluto erano quelli in cui suo padre, una volta chiuso il negozio, faceva ritorno a casa con un sacchetto pieno di mele rimaste invendute tra le braccia; allora sua madre riempiva una casseruola con acqua, zucchero e miele, e Milad occupava una delle sedie di legno disposte attorno al tavolo della cucina osservando in silenzio, guardandola pulire le mele e infilzarle con un sottile stecchino di legno tenendo il mento premuto sui dorsi delle mani, le braccia appoggiate sul tavolo e le spalle chine in avanti.
L’aria della cucina si impregnava rapidamente del dolcissimo profumo dello sciroppo che Milad adorava, e a quel punto il bambino guardava con gioia e fame crescente la madre spegnere il fuoco e immergere una ad una le mele nel caramello, facendole roteare perché lo assorbissero uniformemente prima di disporle su una griglia. Quello era il momento in cui una delle piccole mani di Milad avanzava puntualmente speranzosa per prenderne una, ma Hiam lo bloccava sempre, intimandogli con un sorriso paziente, a volte accompagnato da una lieve carezza sui folti capelli neri del figlio, di aspettare che le mele quantomeno si intiepidissero per non ustionarsi il palato con il caramello appena fatto.
Anche a Beauxbatons vassoi carichi di mele caramellate facevano la loro comparsa, di tanto in tanto nei giorni d’autunno, sui tavoli della sala da pranzo, e anche se Milad non se ne privava mai finiva sempre col mangiarle pensando a sua madre, al negozio dei suoi genitori e a come quelle preparate dagli Elfi della scuola non si avvicinassero neanche lontanamente alle mele caramellate che avevano popolato la sua infanzia e delle quali serbava gelosamente il ricordo. Hiam, più vecchia, stanca e di salute sempre più labile, senza di lui a casa per buona parte dell’anno non le preparava quasi più, e Milad si riprometteva sempre, quando si sarebbe diplomato e avrebbe finalmente trascorso un altro autunno a casa, di prepararle per lei al suo posto.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X. Football match ***



Template-Raccolte



X. Football match  


6114c1b40ee3b72241be669396a0622d

 
Orion stava iniziando a pentirsi seriamente di essersi unito ai vicini recandosi allo stadio per assistere ad una delle ultime partite di football della stagione – sport che a dire la verità, in un atteggiamento molto poco patriottico, non aveva mai seguito con particolare interesse –, disputata nel New Jersey tra i New York Giants e i Philadelphia Eagles. Si era stupidamente fatto traviare dalla prospettiva di tutti quei bei ragazzi in pantaloncini, ma aveva presto finito col ritrovarsi a patire il freddo pentendosi della decisione presa mentre se ne stava seduto su una di quelle gelide seggiole di plastica rossa, il colore dei Giants, con le mani guantate sprofondate nelle tasche e stretto tra Kei, che sembrava essere sul punto di trasformarsi in un ghiacciolo a sua volta, e un Mathieu al contrario alquanto rilassato mentre seguiva la partita.
“Cazzo, fa freddissimo…”, mormorò Kei battendo i denti e agitandosi leggermente sulla sedia nel vano tentativo di non stare fermo troppo a lungo nella stessa posizione e contrastare così il gelo di fine novembre, stretto nel pesante cappotto nero che indossava. Orion non poté far altro che annuire, sprofondando sempre di più con il viso nella sciarpa blu notte mentre un boato esplodeva sugli spalti a seguito di un touchdown.
“Davvero? Io sto benissimo.” Mathieu, che stava seduto stando leggermente in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il cappotto aperto, con sommo orrore dei due vicini, parlò con una stretta di spalle mentre si guardava attorno con pacata aria perplessa, come chiedendosi per quale motivo tutti i tifosi attorno a lui fossero tanto vestiti. Quando i suoi occhi azzurri indugiarono sui volti di Orion e Kei vide che entrambi lo stavano fissando come se gli fossero improvvisamente spuntate un paio di antenne sulla testa.
“Ma tu dove sei cresciuto?! Perché io sono stato persino in Russia diverse volte e il freddo qui lo sento eccome!”, balbettò Orion prendendo a dondolare leggermente su se stesso mentre si pentiva di non essersi unito a Gabriel, Carter e Moos, che avevano declinato l’invito a seguire la partita in diretta molto più saggiamente di loro. Mathieu invece si esibì in una debole stretta di spalle mentre si sfilava la sciarpa dal collo che aveva iniziato a dargli fastidio, facendo sì che Kei lo guardasse con i bulbi oculari sempre più sul punto di schizzare fuori dalle orbite.
“In Québec fa freddissimo, non so se quanto in Russia, ma di sicuro più di qui… Di norma la temperatura a dicembre gira attorno ai 10° sotto zero.”
Ma la gente come sopravvive?”, domandò Kei rivolgendosi all’amico con un sopracciglio inarcato mentre Jackson, accanto a lui, agitava stizzito il suo contenitore vuoto di patatine unendosi ai cori di protesta a seguito di un punto mancato.
“Che cazzo ne so, mi sto gelando il culo anche in New Jersey. Ah, meno male, c’è Esteban con il cibo. Finalmente una buona notizia.” Ed ecco che improvvisamente Orion ricordò l’altro motivo che l’aveva spinto nel New Jersey. Il cibo e i giocatori di football.
L’unica buona notizia”, borbottò Jackie con aria cupa mentre fissava torvo i giocatori in campo, metà vestiti di verde e l’altra metà di rosso e bianco, ed Esteban si riuniva al gruppo munito del suo indissolubile sorriso e un enorme vassoio carico di patatine, hot dog e salse.
“È stata un’impresa, al prossimo giro si sacrificherà qualcun altro.”, asserì il cubano prima di rimettersi seduto accanto a Jackson, un tantino esausto nonostante fosse temprato da anni di pratica di sport estremi dopo aver dovuto patire la fila e la calca per prendere da mangiare. Tutti i vicini sembrarono ben felice di sporgersi verso di lui e di passarsi i loro preziosi snack, e Kei versò una quantità industriale di ketchup sulle patatine esibendosi in una pigra stretta di spalle e in un commento che Orion decise di ignorare, troppo preso dalla fame:
“Io vorrei tanto, ma se mi perdete poi dovrete sopportare Orion da soli, impresa ancora più ardua.”
“Siamo sotto di troppi punti, perderemo di sicuro.”, mormorò Jackson sconsolato tenendosi il capo tra le mani, la schiena china in avanti e i gomiti piantati sulle ginocchia mentre fissava tetro la partita in corso e che al momento vedeva la squadra newyorkese in svantaggio: riusciva quasi a sentire le imprecazioni che suo padre, a casa, stava pronunciando davanti alla televisione ignorando gli inutili richiami indignati della moglie.
Però quelli vestiti di verde sono più carini dei nostri.”
“I verdi sono gli Eagles, Orion, noi tecnicamente tifiamo per i Giants.”
“Parla per te, io non sono newyorkese, io tifo per la figaggine! Ma gli altri perché non sono venuti, si perdono i fighi in pantaloncini.”
“A me piace quello rosso di capelli.”, sentenziò Esteban indicando uno dei giocatori usando la sua bottiglia di birra mentre Jackson, oltre a trovarsi d’accordo con il vicino, si prendeva qualche istante per riflettere brevemente sui vicini assenti e sulle motivazioni che li avevano portati a non unirsi a loro in quella gelida mattina di fine novembre, quando ancora erano tutti pieni da scoppiare di tacchino dopo il Thanksgiving.
“Gabriel doveva portare i suoi nipoti da qualche parte, Moos lavorava e Carter… Carter non lo so.”
“A me ha detto che doveva scrivere, ma scommetto tutte le proprietà dei miei genitori che in realtà in questo momento se ne sta svaccato sul divano con una birra a guardare una serie tv in mutande.”
Mathieu si strinse nelle spalle prima di prendere un sorso di birra pensando all’amico che di certo stava facendo lo stesso, solo seduto comodamente sul divano e di certo non davanti ad una partita: malgrado le apparenze Carter non si poteva considerare affatto un tipo sportivo. Ma di certo avrebbe gradito la vista dei giocatori in pantaloncini, e il canadese suggerì ai vicini di scattare delle foto da tramandare agli assenti.




One-line-drawing-of-autumn-leaves-vector-image-on-Vector-Stock



Dopo due mesi siamo alla fine di questa Raccolta e ormai alle porte dell’inizio del periodo natalizio, che con mio gran dispiacere un po’ costringe a mettere da parte le vibes autunnali. Ringrazio tutte le persone che hanno commentato i vari aggiornamenti, chi ha semplicemente letto e naturalmente coloro che mi hanno mandato i personaggi di cui ho scritto nel corso delle settimane, spero abbiate gradito queste dieci piccole OS.
A presto,
Signorina Granger

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4063388