Il posto giusto

di Alyssa92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note dell'autrice: ciao a tutte/i! Non scrivevo una fanfiction da circa 10 anni, ma ultimamente la mia creatività si è fatta risentire quindi... eccomi qua!
Alcuni appunti importanti prima di iniziare la lettura.
La storia si svolge in due archi temporali:
- "IERI" ovvero il sesto libro scritto da J.K. Rowling, dove ho cercato di mantenere gli eventi uguali o comunque molto simili a ciò che è accaduto nel libro. Mi sono immaginata la storia tra Draco e Ginny come qualcosa che è accaduto in parallelo rispetto al punto di vista di Harry Potter, cercando di essere più fedele possibile ai fatti avvenuti nel sesto libro;
- "OGGI" ovvero due anni dopo al sesto libro, c'è la guerra e lo scenario è completamente inventato da me. Tuttavia, restano fedei all'originale la questione degli Horcrux e la storia di Piton (saranno importanti negli ultimi capitoli).
Detto questo... buona lettura!

I personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà dell’autrice JK Rowling e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta senza scopo di lucro
 
IL POSTO GIUSTO
Capitolo 1
 
IERI
 
Ginny
 
Ginny Weasley era pronta per l'evento che era stato organizzato per quella sera stessa. Si guardò allo specchio e sbuffò sonoramente. Era l'ennesima notte che non dormiva, gli occhi erano gonfi e tristi. Il vestito color panna che stava indossando era carino - glielo avevano regalato Fred e George con i soldi guadagnati grazie alle spropositate vendite del loro negozio di scherzi - ma la sua faccia era orrenda. Non sembrava neppure lei. Tutta la luce e il fuoco che l'avevano da sempre caratterizzata, sembravano improvvisamente spariti, come se fossero stati risucchiati.
E ne sapeva anche il motivo. 
Eppure, non aveva ancora trovato il coraggio di prendere in mano la situazione. Non era da lei.
No.
Si passò una mano sul volto e si stampò un finto sorriso sulla faccia sentendo arrivare le sue compagne di stanza. 
Ma non parlò. 
Non ne aveva voglia.
Loro, invece, sembravano terribilmente eccitate dalla faccenda della cena del Lumaclub organizzata quella sera stessa, nonostante non fossero state invitate. Le guardò con la coda dell'occhio. Sentì i loro commenti eccitati, ma rimase in silenzio. 
Le sembrarono così stupide, così frivole. Fuori c'era la guerra, anche se nessuno poteva vederla. Voldemort era tornato quell'estate e nessuno sembrava capirlo. Lei aveva combattuto i Mangiamorte, aveva rischiato la vita. Sirius era morto.
Eppure, tutti si comportavano come se così non fosse. Tutti, eccetto loro. Tutti, eccetto Silente, la McGranitt e pochi altri.
E la verità era che non era solo quello a farla stare così.
Quell'estate si era avvicinata ad Harry. Si era avvicinata a lui e ora stavano insieme. Era sempre stato il suo sogno, il suo desiderio, eppure qualche volta, quando erano da soli, si ritrovava a chiedersi se fosse davvero solo quello.
Perché se era davvero solo quello, l'amore, allora era davvero deludente.
 
Draco
 
La Sala Comune di Serpeverde era quasi deserta, siccome erano ancora tutti a cena. Tutti, tranne lui. Si era alzato ben prima del dolce per poter stare finalmente in pace.
Il momento che preferisco.
Si buttò su un divanetto di pelle, intento a riflettere. Quell’anno, era tutto diverso. Aveva una prova da compiere, una missione. Non poteva deluderli. 
No. 
Sospirò, rigirandosi nella mano un boccino d’oro sgraffignato dall’ultimo allenamento. 
“Draco” miagolò Pansy Parkinson, facendolo irrigidire. “Non ti trovavo” si sedette accanto a lui, ma non si avvicinò troppo. 
“Forse perché non volevo essere trovato” replicò freddamente, senza degnarla di uno sguardo. Quanto era appiccicosa la Parkinson. Proprio non lo capiva, che voleva essere lasciato in pace? Aveva bisogno di pensare, di riflettere.
Di trovare soluzioni.
“Stasera c’è la festa del Lumaclub” disse lei, tanto per tenere viva la conversazione. Era evidente che sperava di finire in camera con lui, quella sera. 
“Non me ne frega un cazzo di quei quattro deficienti” sibilò, seccato. “Ho cose ben più importanti a cui pensare” affermò, ed era vero. Aveva altre cose. Più grandi. Più importanti. 
Pansy sospirò, ammirata. “Sarai sicuramente all’altezza, Draco” gli appoggiò entrambe le mani sul petto, iniziando ad accarezzarlo. Lui non si mosse e lei dovette interpretarlo come un incoraggiamento, perché si avvicinò un poco, scorrendo sul divanetto. “Tu non sei come loro. Sei migliore” avvicinò la bocca alla sua. Lo baciò. 
Era migliore davvero? Il caschetto di Pansy gli solleticò fastidiosamente il mento. La cosa lo irritò e si separò di scatto da lei. Pansy sembrò non farci caso. Forse ci era abituata. Forse, non si aspettava altro da lui. “Vuoi andare in un posto più tranquillo?” azzardò lei, avvicinandosi ancora impercettibilmente, ma lui la allontanò con un gesto brusco della mano. 
“Cosa non ti è chiaro?” le lanciò uno sguardo, senza soffermarsi troppo. “Voglio essere lasciato in pace”
“Il compito che ti è stato assegnato… ti sta stressando molto, non è così?” Pansy lo stava fissando intensamente. E lui si sentì soffocare. 
“Sono cazzi miei” balzò in piedi, come se si fosse scottato. Doveva uscire di lì, e subito. Non voleva perdere altro tempo. Non poteva
“Dove vai?” lo imitò. 
“Non seguirmi” le ordinò, voltandole le spalle e uscendo dalla Sala Comune. Aveva bisogno di essere lasciato in pace. 
Perché non riusciva a capirlo?
 
“Draco” una voce melliflua lo colpì alle spalle. Avrebbe voluto fare finta di niente, ma sapeva che non poteva. Non quella volta. Si girò. Il corridoio era deserto e semibuio. Piton lo guardava, il volto pallido e illuminato dalla luna. 
“Professore, che piacere” il tono era ironico. Anche Piton aveva iniziato a stargli addosso, ultimamente, e lui faticava a sopportarlo. Voleva spazio, voleva respirare. 
“Cerco di aiutarti, Draco. Permettimi di farlo” il professore lo raggiunse in pochi, brevi passi. “Non sai in che cosa ti sei cacciato. È una cosa più grande di te, questa” sibilò, avvicinando quel naso adunco e orripilante. Draco sbuffò. Lo era davvero?
“Non mi crede all’altezza, professore?” il suo tono era ironico. “Non ho bisogno di alcun aiuto” si allontanò. 
“Draco…”
“Ho detto che non ho bisogno!” sbottò, irritato. Si passò una mano tra i capelli perfetti e puntò lo sguardo negli occhi pece del professore. “La prego, mi lasci in pace” ammorbidì la voce, e l’espressione di Piton rivelò una sua resa. 
“Se cambi idea, sai dove trovarmi” gli voltò le spalle e scomparve insieme al suo mantello. 
Draco sospirò. Si chiuse in un bagno nei dintorni e guardò il proprio riflesso allo specchio. 
Era pallido, stanco. Esausto. Vuoto. 
Le occhiaie gli solcavano il volto come se fossero state disegnate. 
Avrebbe voluto urlare per la frustrazione. 
Si sentiva soffocare, aveva bisogno di aria. Strinse i denti e voltò le spalle a quel riflesso deludente di se stesso. 
Ripensò a quell’estate, a quanto fosse orgoglioso suo padre per aver ricevuto quell’incarico dal Signore Oscuro in persona. 
Ripensò all’espressione distrutta e preoccupata di sua madre, come se le avessero fatto il dispetto più grande di tutta la sua vita. 
 
Draco era steso sul letto nella sua villa. Suo padre aveva bussato, ed era entrato senza neppure aspettare risposta. Suo padre non andava mai a trovarlo. Forse c’era qualcosa.
E infatti, c’era. 
Gli aveva spiegato tutto e lo aveva guardato con un moto di orgoglio. 
“Non deludermi, Draco” gli aveva sussurrato, posandogli una mano sulla spalla. Lui era ancora sconvolto. Sapeva che quello sarebbe stato il suo destino, ma non pensava che sarebbe arrivato così in fretta. 
“E se…?” osò dire, ma non ebbe neppure il tempo di terminare quella frase, che Lucius gli aveva puntato la bacchetta contro. 
“Crucio” aveva gridato, rabbioso e gli aveva scagliato contro quella maledizione. Non era la prima volta, certo, ma non per questo fece meno male. 
“Sei un piccolo ingrato, Draco. Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te?” Suo padre lo aveva afferrato per la collottola della maglia e aveva sputacchiato quelle parole. “Questo è solo un assaggio di ciò che farà l’Oscuro Signore a te, a tua madre, a noi!” Lo aveva scrollato un’altra volta. “Non. Puoi. Fallire!” gli aveva gridato, prima di andarsene sbattendo la porta.
Il giorno dopo lo erano venuti a prendere per rinchiuderlo ad Azkaban.
 
E lui non avrebbe fallito. Non poteva. 
Mentre ripensava a tutto ciò, si rese conto di essere solo uno schiavo. C’era stato un tempo in cui si era sentito onorato, forse, ma nelle notti come quella si sentiva tutt’altro. 
Si sentiva solo. Forse, era un vigliacco e basta. 
Dio, era tutto così maledettamente deludente. 
 
 
Ginny
La cena fu noiosa, esattamente come se l’era aspettata. Harry aveva tentato di intrattenerla, ma ad un certo punto si era sentita mancare l’ossigeno. Aveva sentito un groppo in gola, l’aria nei polmoni sembrava improvvisamente scomparsa e faticava a respirare. Era dovuta uscire dalla stanza, sentendosi soffocare. Harry si era offerto di accompagnarla, ma lei aveva rifiutato categoricamente. 
Dio, ma che diavolo le prendeva? 
Desiderava solo essere lasciata in pace e aveva un maledetto bisogno di prendere aria. 
Con lui, le sembrava sempre di non averne più. 
Si rifugiò nell’unico posto in cui, era sicura, non sarebbe arrivato nessuno: la Torre di Astronomia. 
 
Il freddo la colpì in faccia come una frustata. Si pentì di non essersi portata qualcosa di più pesante, oltre a quella stupida giacchetta che le avevano prestato le sue compagne di stanza. Da lassù il cielo era nero come la pece e le trasmise una strana calma. Socchiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni, mentre il battito cardiaco, affaticato dopo gli innumerevoli scalini percorsi per arrivare fin lì, tornava normale. Si sentì gli occhi umidi e se li asciugò, perplessa. Non si era neppure accorta di aver pianto, presa com’era da quella strana sensazione di panico. Non aveva mai avuto un attacco di panico, ma se avesse dovuto descriverne uno, lo avrebbe descritto proprio così. Sentì la porta richiudersi alle sue spalle mentre si avvicinava alla balaustra con passo lento e regolare. 
Finalmente sola. 
Il lago nero spiccava sul prato umido, rendendo quel panorama suggestivo.
Guardò le stelle. Brillavano come piccoli diamanti. In mezzo a loro troneggiava la luna piena, che illuminava fiocamente quella torre, altrimenti buia. Si sentì insignificante rispetto a tutto il resto. Guardò la luna e pensò a Lupin. I pensieri si manifestarono nella sua mente, uno dietro l’altro, in un susseguirsi di immagini confuse. Sua madre che l’abbracciava davanti al passaggio per Hogwarts, in lacrime. Il suo timore di non rivederli vivi prima di Natale che traspariva da ogni ruga stampata sulla fronte. Suo padre che le accarezzava i capelli. I suoi fratelli. Fred e George che le strizzavano l’occhio infilandole delle Pasticche Vomitose nella tasca, di nascosto dalla madre. Un magone le prese la gola, ma lo soffocò. Era tutto così difficile. Così spaventoso. Era spaventata all’idea di poterli perdere. Ed era talmente assorta nei propri pensieri che non aveva fatto caso all’ombra nascosta dietro la colonna, distante dal parapetto in cui si trovava lei, tanto che quando sentì finalmente il rumore, sussultò, con il cuore in gola. Rapidamente afferrò la bacchetta e si girò verso la fonte di quel rumore. Vide una sagoma longilinea appoggiata alla parete con aria boriosa e allentò la presa dalla bacchetta, regolarizzando il proprio respiro.
Calma. È solo quel cretino di Malfoy
“Ah, sei tu” mormorò infatti, senza alcuna ombra di emozione nella voce. 
"Weasley..." lo sentì sibilare con tono freddo, mentre staccava la schiena dalla parete e faceva qualche passo in avanti. "Mi sembrava di aver sentito una certa puzza..." si piantò davanti a lei con aria di superiorità, le braccia incrociate al petto. Ginny lo fissò, alzando un sopracciglio con aria affatto intimidita. Era semplicemente irritata da quella spiacevole interruzione. 
"Probabilmente saranno i tuoi piedi, Malfoy" ribatté, fissandolo dritto in quegli occhi grigi e impenetrabili, senza muovere un muscolo. "Ora che hai detto la tua battuta, puoi anche andartene" gli voltò le spalle e tornò a guardare di sotto, tentando di riprendere i fili dei suoi pensieri. Ma ovviamente, lui la interruppe. Perché ovviamente irritarla era uno dei suoi passatempi preferiti.
"Divertente, perché mi sembrava di essere arrivato prima io" la raggiunse in pochi passi, così fu costretta a voltarsi di nuovo verso di lui: non si fidava a voltargli le spalle da così vicini. Non voleva facilitargli il compito di Schiantarla a sorpresa. Si fissarono con disprezzo per qualche istante. "Sparisci, Weasley" si sporse verso di lei con aria minacciosa, sibilando come un serpente.
Lei scoppiò a ridere, per nulla divertita. 
“Mi hai scambiata per il tuo cane?” gli chiese con tono tagliente. “Non so se hai notato, ma non assomiglio affatto alla Parkinson”
“No, infatti” assentì lui, con uno sguardo che trasmetteva puro disgusto. “Visti gli abiti che indossi, assomigli molto di più a un elfo domestico” ringhiò, guardandola di nuovo con quell’aria minacciosa.
Ginny fece un’altra mezza risata vuota, poi si spostò di lato, verso la ringhiera, con lo specifico intento di tornare ad ignorarlo. “Stupido riccastro viziato” borbottò, con tono abbastanza alto da farsi sentire. 
Malfoy, non ottenendo il risultato sperato, cambiò tattica. "Che c'è, San Potter ti annoia così tanto da costringerti a scappare?" la frase la colpì più di un incantesimo. Non perché fosse particolarmente offensiva - ormai, era talmente abituata alle offese di Malfoy che non la scalfiva più nulla - ma perché era terribilmente vera. “Vorresti forse liberarti di quel perdente?” Tentò di non dare a vedere quanto l’avesse colpita. Non poteva mostrarsi debole al nemico. Decise di contrattaccare con la stessa moneta e strinse il pugno per evitare di piantarglielo dritto nel naso.
"Se sei qui a tormentare me invece che essere nelle tue catacombe, evidentemente non sono l'unica a scappare" puntò gli occhi nei suoi ancora una volta. "Il tuo cagnolino Parkinson senza di te si starà strappando i capelli dalla disperazione".
Lui la guardò, schifato.
“Sei solo invidiosa” la punzecchiò, inutilmente. 
Ginny fece un’altra risata vuota. “Ma per favore” sventolò una mano all’aria come per scacciare via una mosca particolarmente fastidiosa. “Prego ogni giorno di non diventare mai come voi” 
“Giusto” confermò il Serpeverde, facendo un ghigno malefico. “Meglio aspirare ad essere dei perdenti, proprio come tuo padre”
“Mio padre non è un perdente!” ribatté, serrando la mandibola per la rabbia. Non doveva perdere il controllo così, non poteva dargliela vinta. Cercò di ricomporsi, ma lui continuò. 
“Ora capisco perché ti piace tanto Potter” si avvicinò di un passo, sovrastandola con la sua altezza. “È un perdente, proprio come lui…”
Ginny a quel punto sfoderò la bacchetta, ma Malfoy era pronto e la disarmò in un istante, afferrando la sua bacchetta al volo e facendola cadere per terra. Se le mise entrambe in tasca con aria vittoriosa, poi si spolverò il mantello, come se avesse appena vinto una battaglia molto complicata. Aveva un sorrisetto odioso stampato sulla faccia. Ginny avrebbe voluto prenderlo a morsi fino a toglierglielo dalla faccia. Si rialzò in piedi, mentre si guardavano in cagnesco per qualche istante. Si avvicinò a lui, continuando a fulminarlo con lo sguardo, poi Malfoy parlò di nuovo. “Ora che mi hai infastidito a sufficienza, sparisci, oppure…” 
“Oppure?” lo sfidò lei, guardandolo inviperita. Forse non aveva più la sua fedele bacchetta, ma non era di certo finita. "Se credi di spaventarmi, Malfoy, ti sbagli di grosso" gli diede una piccola spinta sul petto per allontanarlo dal suo spazio vitale, ma lui le afferrò i polsi con entrambe le mani per bloccarle il movimento. Le sue dita erano fredde e ghiacciate sulla sua pelle. Probabilmente, fu per quello che le venne un brivido lungo la schiena. 
Non per altro. 
Calò un attimo di silenzio. Gli occhi di Malfoy erano così grigi che assomigliavano molto al colore del cielo quando è inverno e sta per nevicare. Si stupì di quel pensiero e per un attimo si dimenticò di respirare. 
Perché aveva improvvisamente perso le parole?
E perché anche Malfoy stava in silenzio per così tanto tempo?
 
 
Draco
Da quando la Weasley era diventata così…adulta? Il suo sguardo, un tempo insignificante, ora gli trasmetteva… qualcosa
Eppure, lui di solito non sentiva mai niente. 
I suoi occhi erano così grandi e così azzurri che per un attimo si dimenticò di parlare. 
E perché la sua pelle era così bollente, nonostante fosse inverno e lei fosse praticamente nuda?
E poi, che cosa stavano dicendo? 
Improvvisamente, c’era fin troppo silenzio per due come loro.
Ma che cazzoÈ solo una stupida Weasley.
Cercò di concentrarsi e, senza sapere bene come, riuscì a riprendersi. Una forza invisibile l’attirò a lei e si chinò sul suo orecchio. Doveva ristabilire l’equilibrio che si era improvvisamente rotto. Doveva dire qualcosa.
“Non vedo l’ora di schiacciarti alla partita di Quidditch, piccola, stupida paladina della giustizia” mormorò, cercando di appellarsi a tutto l’odio che aveva da sempre provato nei suoi confronti. E nei confronti di tutta la sua banda di idioti.
E ci riuscì.
Fu in quel momento che una ventata di profumo lo investì. Era allo stesso tempo dolce e fresco.
Lasciò leggermente la presa dai polsi, perché doveva tornare in sé. 
E così vicino a lei, gli risultava difficile. 
La Weasley sembrò riscuotersi a sua volta, perché approfittò di quel momento di debolezza per scivolare via dalla sua presa. La vide allungare una mano e in un attimo si era ripresa la bacchetta e gliela stava puntando contro.
Questa volta fu il suo turno di restare disarmato e volare con il culo per terra. 
“Mai abbassare la guardia, stupido idiota, non te lo hanno insegnato al tuo corso su come diventare un Mangiamorte?” gli disse, quasi ringhiando, gettando la sua bacchetta dall’altra parte della Torre di Astronomia. Quasi gli venne da ridere per quanto facilmente lo aveva fregato. Difficilmente trovava qualcuno in grado di tenergli testa. 
Draco in un secondo fu di nuovo in piedi. Non tentò di riprendersi la bacchetta, perché in quel momento sarebbe stato inutile. 
La sua espressione orgogliosa lo innervosì. La raggiunse in un paio di falcate.
“Ma guarda guarda” la prese in giro, afferrandole il mento con le dita. “Che bambina cattiva, Weasley” la redarguì con tono strafottente. La guardò un’altra volta negli occhi e li vide sgranarsi per la sorpresa. Ma fu questione di un istante. Si divincolò. 
“Attento Malfoy” lo avvertì. “Se continui così, potrei pensare che ti piaccia toccarmi”.
Lo aveva provocato deliberatamente. Sogghignò. Se voleva giocare a quel gioco, lui era pronto. 
“Sei tu che mi ronzi intorno come un’ape” ribatté. “Magari è a te che piace essere toccata da me” a quelle parole la vide fare uno scatto indietro, come per mettere distanza tra loro.
“Preferirei tagliarmi una gamba” continuò a guardarlo, rivolgendogli di nuovo quell’espressione orgogliosa di pura sfida.
Dio, quanto avrebbe voluto cancellarle dalla faccia quella smorfia odiosa. Cercò rapidamente qualcosa da dire e alla fine trovò le parole che, era sicuro, l’avrebbero fatta infuriare da morire. 
E probabilmente, l’avrebbero fatta andare via. 
“Devo ammettere che quest’estate ti sono cresciute le tette” le guardò la scollatura senza scrupolo, facendola arrossire terribilmente. “O forse è solo il vestito?”
Nonostante il rossore, comunque, la Weasley cercò di darsi un contegno. Non distolse lo sguardo dal suo. Incredibilmente, provò un moto di ammirazione per lei. Poi, si diede del cretino. 
“Sei disgustoso” gli rispose, prima di chiudersi la giacca e coprirsi. 
Draco trattenne a stento una risata. 
Colpita, piccola Weasley
“Fai ancora commenti del genere e ti Schianto” lo minacciò, ma lui sorrise. 
“Ti vorrei ricordare che sono un Prefetto” sfoderò l’arma finale. Lei abbassò la bacchetta. 
“Dio, sei squallido” alzò gli occhi al cielo e gli voltò le spalle. “Grazie per aver rovinato il mio momento di pace”
“È un piacere darti tormento, Weasley” le rispose e forse non era poi così una bugia. Camminò lentamente fino alla propria bacchetta e l’afferrò. A quel punto, sapeva che lei non gliel’avrebbe più tolta. 
“Vorrei poter dire altrettanto” la sua schiena stava per scomparire dalla porta. Aveva già una mano sulla maniglia, quando sembrò ripensarci. Lo guardò un’ultima volta e, anche a quella distanza, vide il suo sguardo brillare, agguerrito. “A proposito, sarò io a schiacciarti alla partita, razza di idiota pomposo” concluse, prima di richiudersi la porta alle spalle senza lasciargli il tempo di ribattere. 
Draco sorrise. 
Era stato incredibilmente divertente. 
Ma non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura. 
 
OGGI
Due anni dopo…
 
Ginny
Aprì gli occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti per durare a lungo. 
Era debole, sfinita, distrutta. 
Sentiva ancora in bocca il sapore del sangue. Il pavimento di pietra sul quale era posata era duro, freddo e bagnato. 
Aveva i brividi.
Quanto tempo si può sopravvivere in quelle condizioni? 
Cercò di muovere un braccio, ma non ci riuscì. 
Era così pesante…
Aprì la bocca per parlare, ma era difficile fare anche quello. 
Cercò dentro di sé la forza. 
Avanti, non sei una pappamolle. Sei una Grifondoro, cazzo. 
Riuscì a trovare la forza di girarsi a pacia in alto e tenere gli occhi aperti per più di mezzo minuto. 
Era tutto buio e sfocato, ma riuscì a capire che si trovava in delle segrete. Era tutto fatto di roccia umida. Girò leggermente la testa e si accorse di essere circondata da grosse sbarre di ferro, distanti tra loro dieci centimetri. Sussultò, il cuore in gola. 
Non cercò neppure la bacchetta: sapeva che non l’avrebbe mai trovata. 
Vide una figura scura in fondo ai suoi piedi, accovacciata. Aveva un cappuccio calato sulla testa. 
Doveva essere la sua guardia. 
Voleva guardarsi intorno, ragionare, ma in quel momento era così debole. 
Chiuse di nuovo gli occhi. 
E tutto diventò buio. 




Note dell'autrice:
Grazie per aver letto! Se vi è piaciuto... commentate!
Al prossimo capitolo!
Alyssa92
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


I personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà dell’autrice JK Rowling e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta senza scopo di lucro

Capitolo 2
IERI
 
Ginny
 
Era pronta per gli allenamenti di Quidditch.
Si stavano allenando duramente, così tanto che ormai non stava più dietro alle lezioni. 
Così tanto che avrebbe dovuto passare il weekend intero chiusa in biblioteca per recuperare i compiti che era stata costretta a lasciare indietro. 
Ma in realtà la cosa non la disturbava più di tanto. Almeno, avrebbe avuto una buona scusa per evitare Harry. A quel pensiero sospirò, sentendosi in colpa. 
Era passato quasi un mese dalla serata della cena del Lumaclub e si sentiva sempre più svuotata. 
Le ultime emozioni che aveva provato, erano state il momento in cui…
No
Cancellò dalla sua testa il ricordo del litigio con Malfoy sulla Torre di Astronomia. 
La verità era che, quando era uscita di lì, si era sentita viva come non si sentiva da tempo. Il suo sguardo era tornato luminoso, le guance arrossate, il cuore… 
Ma no
Doveva togliersi dalla testa quegli assurdi pensieri. Era semplicemente stato l’unico in grado di irritarla come nessun altro al mondo e nient’altro. 
Nient’altro
Le sue compagne di stanza stavano parlando di qualcosa, ma a lei non interessava ciò che avevano da dire. Per evitare di ascoltare quel fastidioso chiacchiericcio, decise di avviarsi verso gli spogliatoi. 
Era in anticipo, ma non importava. 
Nel frattempo, avrebbe iniziato a riscaldarsi. 
 
Aveva già un piede sull’erba del campo, quando una voce melliflua particolarmente fastidiosa attirò la sua attenzione. 
“Weasley” si voltò di scatto, la scopa ben stretta nel pugno. Improvvisamente, il cuore aveva pompato più veloce nel petto. “E quello sarebbe un manico di scopa?”
Draco Malfoy in divisa da Quidditch la stava scrutando dall’alto in basso, a circa tre metri di distanza da lei. Ginny non rispose per qualche istante, colta alla sprovvista. Poi, ritrovò le parole. 
“Malfoy” quasi mangiò il suo nome per l’irritazione. “E quella sarebbe una battuta? Ormai è vecchia, non fa più ridere neanche Tiger” lo zittì, incrociando le braccia al petto. 
“Che diavolo ci fai qui, comunque?” Malfoy staccò le spalle dalla parete alla quale era appoggiato e mosse un passo verso di lei. 
“Mi alleno, razza di cretino” rispose Ginny. “Ma non hai letto gli orari del campo? La vera domanda è che cosa ci fai tu qui? Oggi tocca a noi, perciò smamma”
“Non credo proprio, Weasley” ribatté lui con aria di superiorità. Dio, quanto la irritava. Lo vide estrarre una pergamena con una calligrafia dall’aria elegante. Ginny iniziò a scorrere rapidamente con gli occhi la scritta, ma non ce ne fu bisogno, perché il Serpeverde iniziò a leggere ad alta voce. "Permesso straordinario per l'allenamento di Quidditch. In occasione della partita... bla bla bla... il campo si considera prenotato dal Capitano Draco Malfoy e dalla sua squadra. Firmato Severus Piton" tornò a fissare gli occhi nei suoi e si sporse verso di lei con aria minacciosa. "Vattene tu, Weasley"
Ginny stava per ribattere qualcosa di velenoso, ma improvvisamente un chiacchiericcio concitato li interruppe, obbligandoli a voltarsi in direzione di quel suono. Le squadre di Serpeverde e Grifondoro al completo si stavano riversando sul campo da Quidditch, litigando furiosamente tra loro. Malfoy alzò le sopracciglia, irritato e Ginny incrociò le braccia al petto per qualche istante. 
Harry in pochi secondi fu al suo fianco e questo scatenò l’ilarità di Malfoy. 
“Bene bene bene, San Potter che viene a difendere la sua promessa sposa” il suo tono era al tempo stesso strafottente e gelido. “Patetici”
“Taci, Malfoy” Ron agitò un pugno in aria con espressione corrucciata. 
“Ginny non ha bisogno di essere difesa, idiota che non sei altro” intervenne Harry, stringendo la bacchetta tra le dita. 
“Oh su questo non ho dubbi” fece Malfoy, “non so chi di voi due sia più irritante. Siete una coppia perfetta, ora che ci penso” guardò Ginny negli occhi sollevando le sopracciglia, come se fosse un messaggio più che altro per lei. Come se le volesse ricordare le parole che le aveva detto sulla Torre. Potter è un perdente, proprio come tuo padre
“Vattene Malfoy, tu e la tua squadra di scimmioni senza cervello” intervenne Harry. 
Malfoy fece una risata fredda. 
“Non credo proprio, Potter” sventolò ancora una volta quel maledetto foglio di pergamena davanti alla loro faccia. Le squadre si erano sistemate ciascuna dietro al proprio capitano e boati di offese reciproche esplodevano da entrambe le parti, così forte che quasi faticavano a sentirsi tra loro. 
Ginny non ne poteva più di quel teatrino. Ad un certo punto, perse la pazienza, si porto due dita alla bocca e fischiò con quanto più fiato avesse in gola. “Adesso basta!” gridò, facendo zittire tutti. 
Tutti, eccetto uno. 
“Molto femminile, Weasley, i miei complimenti” la prese in giro, applaudendo lentamente le mani e facendo scoppiare a ridere la sua squadra di idioti senza neuroni. 
“Taci, brutto cretino” intervenne nuovamente Ron, prendendo le sue difese. Malfoy voltò lo sguardo su di lui, schifato come se fosse un grosso insetto parlante.
“Eccolo… Weasley, il nostro re!” altro scoppio di risate. 
“Mi hai proprio stancato” Ginny si fece avanti, stringendo forte la scopa, la rabbia che le faceva fischiare le orecchie. “Vuoi il campo? Guadagnatelo, pappamolle che non sei altro. Ti sfido ad afferrare il boccino prima di me” lo guardò negli occhi con aria di sfida e fece un passo in avanti. Un coro di “ooooh” si levò dalla squadra Serpeverde.
Harry e Ron le afferrarono le braccia come per trattenerla. Tentarono di dissuaderla, la implorarono, ma lei non li sentì neanche. Si divincolò e fece un altro passo verso Malfoy. 
In quel momento non vedeva altro che quegli occhi grigio cielo. E quel sorriso pomposo. 
Non vedeva l’ora di levarglielo dalla faccia. 
“Sei una povera, piccola illusa se speri di battermi, Weasley” anche Malfoy fece un passo in avanti e si ritrovarono ad appena venti centimetri di distanza. Si guardarono in cagnesco.
“È un modo indiretto per dire che non accetterai la sfida? Scommetto che te la fai sotto, razza di codardo insignificante” Ginny era decisa a portare a termine la questione. 
“Non sai contro chi ti sei messa” replicò, sicuro di sé. “Potter, Weasley” Malfoy si rivolse improvvisamente a Harry e Ron, senza tuttavia staccare lo sguardo da quello di Ginny. “Vi volete far salvare il culo ancora una volta da una stupida ragazzina, a quanto vedo… d’altronde, chi nasce senza palle…” avvicinò il viso a quello di Ginny. 
“Tu ne sai qualcosa, vero, Malfoy?” lo interruppe lei senza distogliere lo sguardo. Lui ignorò il commento.
“Sfida accettata, piccola pezzente” disse soltanto. 
“Vedremo chi avrà il campo, stupido spocchioso dei miei stivali” con quelle parole Ginny gli voltò le spalle e afferrò la propria scopa. Harry la bloccò per un braccio. 
“Tieni la mia” le disse, dandole in mano la sua scopa fiammante. “Con questa avrai più possibilità. Almeno giocherete ad armi pari.”
Ginny la afferrò con mano tremante. 
Improvvisamente, non era più tanto sicura che fosse stata una buona idea quella di sfidare Malfoy. 
 
 
Draco
Doveva ammettere che la Weasley sulla scopa se la cavava piuttosto bene. Era veloce e agile, anche se non quanto lui. 
Nonostante l’improvvisa pioggerellina che aveva iniziato a battere sulle loro vesti rendesse la visuale meno limpida, riusciva a individuare quella chioma rosso fiammante più o meno ovunque. 
Dio, quanto lo faceva incazzare. 
Non vedeva l’ora di levare quel sorrisetto dalla sua bocca, quando finalmente le avrebbe strappato il boccino davanti alla faccia.
"Sei ancora così sicura di battermi, Weasley?" le chiese, giusto per provocarla un po'. Era da circa mezz'ora che volevano su e giù per il campo, senza che succedesse nulla di interessante e lui si stava decisamente annoiando. Odiava perdere tempo. 
"Puoi scommetterci" gli rispose, guardandolo con quel broncio così tipico di lei. Trattenne un sorriso. 
Ultimamente, gli sembrava di distrarsi solo quando la punzecchiava e la cosa era molto strana. Persino per uno come lui. 
Era passato quasi un mese da quella sera sulla Torre di Astronomia, e da allora le sue giornate erano state incredibilmente piatte. Vuote. Inutili.
Si era acceso solo un paio di volte da quella sera, e tutte e due le volte era stato a causa di quella Grifondoro. Una volta l'aveva incontrata per caso nei corridoi e si erano scambiati qualche battuta e un duello niente male, che aveva fatto beccare una punizione ad entrambi. 
La volta dopo, avevano litigato per qualche altro motivo stupido che ora neanche ricordava, appena fuori dall’aula di Pozioni, ma quella volta grazie a Piton era stata punita solo lei. 
E ora… beh, erano lì che si sfidavano a Quidditch. 
E lui la odiava. 
La odiava perché gli sembrava di sentirsi vivo solo quando litigava con lei.
E non andava bene.
Ma probabilmente, era solo perché la sua presenza lo faceva incazzare da morire.
Solo per quello.
"Puoi ancora arrenderti, così non sarai costretta a rimetterci la faccia" continuò a stuzzicarla, se non altro per levarsi di dosso quella strana sensazione. Con gli occhi continuava a scrutare rapidamente il cielo. Non c'era traccia del boccino.
"L'unico che ci rimetterà la faccia qui sei tu, Malfoy" rispose lei, avvicinandosi a lui con la scopa fino ad affiancarlo. "Ti immagini le risate di scherno quando una come me ti schiaccerà come un moscerino?" gli fece un sorriso da arpia. 
Lui non ebbe il tempo di ribattere, perché un movimento poco distante catturò la sua attenzione. 
Lo aveva visto. 
Il boccino. 
Si lanciò all’inseguimento, sfrecciandole accanto e lei gli fu subito alle calcagna. Il boccino stava andando in direzione della foresta proibita, così si allontanarono dai cori dei loro compagni che provenivano dal campo di Quidditch. 
Si allontanarono sempre di più, in mezzo agli alberi, tra i rami, poi ancora su nel cielo. Nessuno dei due riusciva a prevaricare l’altro. I suoni si erano attutiti e Draco riusciva a sentire solo il rumore del vento che gli fischiava nelle orecchie. Aveva provato a schivare, fare delle finte, ma la Weasley non mollava. 
Finalmente il boccino sembrò rallentare e scendere in picchiata. Stava andando in direzione del lago nero. 
Accelerarono. 
Arrivarono sopra al lago. 
Il boccino era proprio lì, davanti alla sua scopa, sul pelo dell’acqua. 
Draco allungò la mano, proprio nello stesso istante in cui la allungava anche la Weasley. 
Non capì bene come, ma le loro scope improvvisamente si impigliarono tra loro. Perse l’equilibrio e vide la mano della Weasley sfiorare il boccino. Si scambiarono uno sguardo di sfida, poi…
La scopa lo disarcionò con uno strattone e una secchiata di acqua gelida gli fece capire che era improvvisamente caduto dentro il lago. 
A mani vuote. 
Come un imbecille. 
Per un istante gli parve di non avere più aria nei polmoni, perché faceva veramente freddo, cazzo. Non vide più né la Weasley, né il boccino, né la sua fottuta scopa. 
Gliel’avrebbe pagata, quella piccola insulsa.
Si spostò i capelli dalla faccia e tentò di asciugarsi gli occhi con la divisa annegata. 
La Weasley era davanti a lui che nuotava per stare a galla, con il boccino ben stretto tra le mani. Stava sorridendo, in preda all’estasi della vittoria. 
Si sarebbe vendicato, ne era certo. 
E probabilmente a breve. Magari l’avrebbe potuta affogare, anche se forse qualcuno se ne sarebbe accorto.
“Pare che qualcuno qui…” iniziò lei, ma si interruppe e il suo sorriso scomparve. 
“Che c’è, ti si è improvvisamente seccata la gola?” le chiese, sarcastico. Ma lei aveva assunto una smorfia di dolore e, improvvisamente, la vide scomparire sotto al lago mentre tentava di divincolarsi, schizzando da tutte le parti. 
Ma che cazzo…?
Affondò la testa sotto la superficie dell’acqua, con gli occhi ben aperti e vide una squadra di Avvincini attorno alla Weasley. A occhio e croce, dovevano essere una trentina. L’avevano afferrata con quelle orribili dita e la stavano trascinando verso il fondo del lago. Lei tentava di divincolarsi, ma erano troppi. Senza pensarci più di tanto, prese la bacchetta e sparò qualche incantesimo per liberarla. In fondo, non voleva finire nei guai per colpa della Weasley. Se si fosse venuto a sapere che lei era in pericolo e lui si era rifiutato di aiutarla, sarebbe scoppiato il putiferio. Draco sapeva che le Sirene erano amiche di Silente. Avrebbero parlato. E lui non aveva tempo di finire nei guai, aveva un compito da portare a termine. 
Fu in quel momento che una decina di Avvincini gli afferrò le gambe da dietro. Fortunatamente aveva ancora la bacchetta tra le mani, quindi si liberò con poca fatica e tornò con la testa fuori dal lago per riprendere finalmente ossigeno. Stava per terminarlo. 
La faccia della Weasley era a pochi centimetri dalla sua. Aveva appena finito di sputare quello che doveva essere mezzo litro di acqua dai polmoni. 
Era bianca e aveva il respiro incredibilmente affannoso. 
Lei puntò gli occhi nei suoi senza la solita espressione di ostilità. 
Erano ancora più azzurri di quanto si ricordasse. 
E sembravano più fragili del solito.
Strinse i pugni come per impedirsi di toccarla, perché gli era venuta un’incredibile voglia di farlo. Di sentire la sensazione della sua pelle sotto le dita.  
Nessuno dei due parlò per un lungo istante.
Erano davvero molto vicini.
Da lì, avrebbe potuto contare le lentiggini sul suo viso minuto. 
I capelli bagnati le incorniciavano il viso in una maniera strana. 
Sentì un brivido lungo la schiena. 
Doveva essere perché l’acqua era ghiacciata, giusto?
E il cuore batteva così forte perché aveva appena finito di lottare, vero?
“Immagino… di doverti ringraziare” mormorò lei, infine. Aveva ancora il fiato corto.
Sembrava stranita da quelle parole.
Ma lui lo era di più. 
Mai al mondo si sarebbe sognato di aiutare una Weasley. 
“Non l’ho fatto per te” rispose, mormorando.
C’era qualcosa di strano tra loro, una sorta di elettricità che non preannunciava niente di buono. 
Ma era possibile che anche lei sentisse le stesse cose che sentiva lui?
Forse, era solo stremata. Se fosse stata un’altra persona, si sarebbe aggrappata a lui per riprendere fiato. Ma si trattava della Weasley. La testarda, cocciuta, orgogliosa Weasley. Più che chiedergli aiuto si sarebbe tagliata un braccio. 
“Le scope…?” chiese lei ad alta voce, senza distogliere lo sguardo dal suo. “Non riesco a prendere la mia bacchetta, si è incastrata nella divisa”.
Si impose di concentrarsi e afferrò la bacchetta senza dire una parola. Con un paio di incantesimi di appello richiamò a sé le scope di entrambi. Peccato che la sua fosse rotta in quattro parti. 
Non ebbe il tempo di incazzarsi, perché dovevano uscire in fretta da quel lago o sarebbero morti assiderati. Sentiva da lontano le voci dei loro compagni, che probabilmente li stavano raggiungendo a piedi circumnavigando l’immenso lago.
Guardò la Weasley afferrare la sua scopa e issarsi con forza a cavallo, tirando come una pazza con le braccia pur di non chiedergli aiuto.
Tanto meglio, perché non l’avrebbe aiutata. 
A quel punto lei gli tese la mano e lui la guardò, alzando un sopracciglio, incredulo. 
“Sali, Malfoy, o congeleremo” gli intimò. 
“Perché non mi lasci qui e basta?” replicò. “Io l’avrei fatto”.
“Io non sono te” rispose lei, poi gli fece uno strano sorriso enigmatico. “E poi, in realtà, mi hai appena tolto un branco di Avvincini di dosso…” gli fece notare. Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo. 
Non era il caso di rivangare. “Non voglio essere in debito con te” concluse infine.
“E va bene. Ma conduco io” disse. “Non mi sembri molto affidabile”.
Lei alzò gli occhi al cielo, ma non aggiunse altro. Forse era troppo stanca per farlo. Si limitò ad assentire e gli porse di nuovo la mano. 
Lui la afferrò e lo stomaco gli si strinse in una maniera innaturale. 
Cercò di togliere il contatto il prima possibile. 
“Aggrappati, se non vuoi cadere di nuovo nel lago” le ordinò. Per un attimo lei non ribatté. Ma solo per un attimo.
“Se mi fai cadere, Malfoy, ti trascino giù con me” la sentì ringhiare e lui trattenne un sorriso. 
Gli sembrava strano che non avesse niente da dire. 
Sentì le sue mani aggrapparsi alla sua divisa bagnata. 
Improvvisamente sentì caldo e si irritò. Per non pensarci, si diede la spinta e partì, sfrecciando sopra al lago. 
Appoggiarono i piedi per terra, dietro un ammasso di cespugli informi. Sentivano le voci dei loro compagni che si stavano avvicinando, ma ancora non li vedevano. Probabilmente ci avrebbero messo ancora qualche minuto. 
Entrambi scesero dalla scopa e si ritrovarono di fronte. Quello strano silenzio che era calato fra loro da prima continuava ad avvolgerli. 
La Weasley aveva una ciocca di capelli sopra alla faccia e fu tentato di toglierla dal mezzo, perché copriva quegli occhi che invece voleva vedere.
Una strana forza invisibile l’attirò verso di lei e si fermò a pochi centimetri di distanza. Le guardò lo zigomo: aveva un taglio profondo che sanguinava, probabilmente a causa di qualche ramo; una goccia di sangue stava scivolando verso le sue labbra.
Non ebbe neppure il tempo di pensare, che la sua mano stava già andando a catturare quella goccia per fermarne il cammino col pollice.
Non sapeva perché lo stava facendo. Un’altra sfida? Voleva metterla alla prova? Vedere fin dove si sarebbero spinti?
Si soffermò sul suo viso e appoggiò la mano lì. 
Lei non si ritrasse.
Aveva lo sguardo sorpreso, ma allo stesso tempo curioso. Il suo respiro era ancora rapido, ma Draco non capì se fosse per colpa sua o per colpa del fatto che era quasi affogata nel lago.
“Malfoy, che cosa stai…?” non ebbe il tempo di finire la frase, perché lui si era chinato su di lei e aveva appoggiato le labbra sulle sue, sfiorandole appena. 
E lei, incredibilmente, non lo aveva respinto. 
Si aspettava uno schiaffo, una spinta e magari anche un insulto. Invece si era aggrappata alla stoffa della sua divisa, inspirando per la sorpresa e trattenendolo a sé.
Draco sentiva lo stomaco in subbuglio e una scarica elettrica che gli aveva scosso i nervi in una maniera che non aveva mai provato. 
Ma che cosa gli stava prendendo?
Lei gli aveva circondato il collo con le mani, schiudendo le labbra per far spazio alla sua lingua che richiedeva l’accesso. 
Non aveva la più pallida idea di cosa lo avesse spinto a farlo, ma sicuramente non la ragione. Anche perché in quel momento era totalmente privo di pensieri. Anzi, come per dispetto verso se stesso, l’attirò a sé per i fianchi e continuò a baciarla come se non avesse aspettato altro da tutta la giornata. 
Decisamente, non si stava più annoiando.
Si separò leggermente da lei per poter spostare le sue attenzioni verso il collo. La sua pelle era gelida per via dell’acqua, e sapeva di qualcosa che trovò buono. Tornò alle sue labbra per ricominciare a baciarle.
E poi una voce più vicina delle altre li aveva interrotti, facendolo sobbalzare. 
“Ginny!” era Potter. “Ginny, stai bene?”
In quel momento, non sapeva se essere più irritato con lui o con se stesso. 
 
Ginny
La voce di Harry li aveva riscossi da quella specie di incantesimo assurdo in cui lei e Malfoy erano caduti. 
Perché doveva essere stato un incantesimo, vero? Oppure la sua immaginazione. 
Probabilmente aveva bevuto troppa acqua e si stava sognando tutto, perché non era possibile che Malfoy l’avesse appena baciata. 
E che lei avesse risposto al bacio. 
Probabilmente si sarebbe risvegliata in infermeria, perché ciò che era appena successo era decisamente strano. 
Anzi, impossibile. 
Quindi, non era successo. 
Non appena avevano udito la voce di Harry, Malfoy si era irrigidito e aveva fatto uno scatto indietro, passandosi una mano fra i capelli. 
Lei aveva fatto altrettanto, appoggiandosi alla scopa come fosse sempre stata lì. 
“Stai bene? Che cos’è successo?” Harry in un secondo le fu addosso. “Malfoy ti ha fatto cadere nel lago?” 
Ginny d’istinto lanciò un’occhiata al Serpeverde e vide che la stava già fissando a sua volta. Quel grigio le diede una morsa allo stomaco, ma cercò di concentrarsi sul presente. Si guardò le mani. 
“No, è stato un incidente” mentre parlava, pian piano erano arrivati tutti e li stavano circondando in semicerchio. “Sto bene”.
“Insomma, che cos’è successo?” Harry era chiaramente preoccupato. 
“E il boccino? Chi l’ha preso alla fine?” Ron aveva affiancato la sorella, curioso e carico di aspettativa. Ora che l’aveva vista respirare, la sua attenzione era stata catturata dal motivo principale per cui tutto aveva avuto inizio. Motivo che, lei stessa, si era completamente dimenticata. 
Oddio. Il boccino
“Giusto” disse, spaesata. “Il boccino…” fece una pausa, senza avere la più pallida idea di cosa dire. Probabilmente era andato perso. 
“È qui” intervenne Malfoy, estraendolo dalla tasca senza aggiungere altro. Ginny lo guardò, incredula. Probabilmente lo aveva preso quando lei era sott’acqua a divincolarsi come una cretina. 
“E ce l’ha lui perché…?” Ron non ebbe il coraggio di terminare la frase. E Ginny si aggrappò a quel suggerimento. 
“Sì, Ron. Ha vinto lui” mentì, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. Non sapeva perché lo aveva detto. 
Forse si sentiva in debito con lui, perché le aveva salvato la vita. 
E lei non voleva avere alcun tipo di debito con uno come Draco Malfoy. 
O forse, era più facile dire una bugia che raccontare ciò che era successo. Incrociò lo sguardo grigio di Malfoy e lo trovò sorpreso. Era sicura che lui non avrebbe mai rivelato la verità, nemmeno sotto tortura. Aveva ancora la strana sensazione delle sue labbra sul collo e sinceramente non voleva più stare al centro dell’attenzione. Stava ancora pensando a cosa dire, quando una voce tuonò da un punto imprecisato in mezzo agli arbusti. 
“Adesso voi mi dovete spiegare che diavolo è successo qui” la McGranitt comparve, il cipiglio severo che le corrucciava il volto. Era da un bel po’ che non la vedeva così infuriata, ma, nonostante questo, Ginny tirò un sospiro di sollievo. 
 
Era sotto shock, ed era certa che il fatto che era quasi affogata nel lago nero non c’entrasse niente. 
Come poteva essere attratta da Draco Malfoy?
Mentre Madama Chips la controllava e le dava qualcosa da buttare giù di terribilmente disgustoso, quei pensieri continuavano a vorticarle nella testa. 
Avrebbe voluto prendere una pillola che le cancellasse la memoria. 
Harry l’aveva interrogata per almeno cinque volte, perché voleva capire cosa fosse successo esattamente. Aveva dato sempre risposte vaghe e forse neppure coerenti, ma poco le importava. Voleva cancellare tutto e basta, fingere che non fosse mai successo. 
La McGranitt l’aveva punita, di nuovo, e sia lei che Malfoy erano stati sospesi dalla partita di Quidditch che si sarebbe svolta quel weekend. 
Si buttò sul letto dell’infermeria, pregando ancora una volta di svegliarsi e rendersi conto che non era stato nient’altro che un incubo. 
 
 
 
OGGI
Draco
 
“Alzati, idiota, sei in ritardo” Bellatrix lo stava scuotendo per una spalla, irritandolo da morire. 
“Vaffanculo” le disse semplicemente, ma si alzò dal letto senza aspettare altro, la risata di sua zia che gli entrava fin sotto la pelle. Gli veniva da vomitare. 
“Il Signore Oscuro non aspetta i tuoi comodi, Draco” lo rimproverò bonariamente, posandogli una mano sulla spalla. Se la scrollò via. Odiava essere toccato. “Hai cinque minuti” aggiunse sua zia, uscendo dalla stanza e lasciandolo alla sua privacy. 
Si passò una mano sul volto stanco. Era dimagrito ancora, nonostante gli addestramenti degli ultimi mesi. Perché dovevano essere pronti alla guerra. E lui lo era. 
Almeno, questo era ciò che diceva. 
Non era poi così sicuro di esserlo davvero. 
Mentre si vestiva, lanciò uno sguardo al marchio nero che bruciava, come se lo stesse mordendo. 
Ultimamente, bruciava spesso.
Più il Signore Oscuro si rinforzava e acquisiva seguaci, più bruciava. 
Si lavò la faccia, sperando di migliorare il proprio aspetto. Non ci riuscì.
Aveva di nuovo sognato il suo passato. Aveva di nuovo sognato Ginny Weasley e la cosa lo aveva scosso esattamente come le notti precedenti. Era da qualche giorno che continuava a sognarla e non capiva perché diavolo la sua mente gli stesse giocando quei brutti scherzi. 
Andò alla finestra.
Il cielo era pieno di nubi.
Ultimamente, era sempre pieno di nubi. 
Erano esattamente tre mesi che il sole aveva smesso di sorgere. 
Erano tre mesi che il Signore Oscuro si era infiltrato nel Ministero della Magia, aveva ucciso Scrimgeour e si era eletto Primo Ministro della Magia. 
Il mondo Babbano era sottosopra e il mondo magico era diventato un inferno terreno. I membri dell’Ordine della Fenice erano decimati. 
Ma anche i Mangiamorte. 
Continuavano a lottare, come se ci fosse davvero qualcosa da vincere. Ormai non era rimasto che tenebra.
Qualche volta si chiedeva perché diavolo continuasse a fare ciò che stava facendo. Certi giorni si rispondeva che non aveva scelta. Certi altri, si dava del vigliacco. 
Certi giorni si chiedeva perché si fosse costruito da solo quella prigione nella quale era costretto a vivere. Certi altri, avrebbe voluto spaccare tutto. 
Eppure, eccolo lì. 
Come un idiota, a fare il servo di qualcuno che non aveva la minima intenzione di creare qualcosa. 
Stava solo distruggendo. 
Odiava la sua vita. Odiava suo padre. Odiava il Signore Oscuro.
E, ancora più di tutti, odiava se stesso. 
Eppure, anche quel giorno indossò il suo mantello e la sua migliore faccia da culo. 
Pronto per andare in missione. 
 
L’incarico si rivelò più semplice del previsto. 
Il piccolo assalto a una delle tante famiglie Babbane era andato come previsto. Lui aveva dovuto fare la guardia, mentre gli altri si divertivano. 
Aveva ancora le urla di quella donna nelle orecchie. 
Avrebbe potuto essere sua madre. 
Per fortuna non era sua madre.
Era arrivato qualche membro dell’Ordine, ma loro erano scappati. Non c’era stata neppure una mezza battaglia. Erano semplicemente fuggiti, come da piano. 
Quando tornarono al Ministero della Magia, che ormai era diventato il rifugio del Signore Oscuro e dei suoi servitori più fedeli, aveva ancora la nausea.
Ormai, era una sensazione che non lo abbandonava quasi più. 
“Bravi, miei amici” li accolse quella voce fredda di morte, il volto cadaverico come l’inferno. “Avanti, non siate timidi. Accomodatevi” indicò loro un tavolo di mogano scuro circondato da sedie e loro obbedirono. Il posto era stato reso buio e sinistro, molto diverso da com’era una volta. Nagini strisciava tra loro come un fedele cagnolino. Una risata fredda lo fece rabbrividire, ma allontanò la sensazione. Ormai era diventato bravo a farlo. “Il Mondo Magico presto striscerà ai nostri piedi” un’altra risata fredda irruppe nel silenzio più tombale. 
Bellatrix si inchinò ai suoi piedi. “Mio Signore, il nostro sogno si sta finalmente realizzando” aveva gli occhi fuori dalle orbite come una pazza. Come quello che era. 
Draco si guardò intorno e riconobbe il bastone di suo padre tra quelle maschere di Mangiamorte. Era immobile, esattamente come lui. Aspettavano ordini.
Aspettavano sempre ordini. 
Riconobbe la sagoma di Piton sedersi accanto a lui silenziosa. Il traditore. Colui che aveva ucciso Silente, ottenendo la piena fiducia del Signore Oscuro. 
Il nuovo Preside di Hogwarts.  
Il silenzio era quasi assordante, interrotto solo dalle parole di incoraggiamento del loro Signore. Avevano in programma un piano. Dovevano uccidere Potter perché lo diceva la profezia e avevano trovato un modo per attirarlo nella loro tana. Avevano un esercito pronto ad attaccare lui e i suoi maledetti Auror.
E così, il Regno di Lord Voldemort sarebbe finalmente stato immortale. 
Nessuno spiegò quale fosse il piano. 
Aleggiò nell’aria solo una parola, prima di congedare tutti.
“Domani”.
 
Draco si era alzato in piedi e stava per andare nelle Stanze dell’Addestramento, come tutte le mattine, ma sua zia lo bloccò.
“Per te abbiamo piani diversi, oggi, piccolo Draco” gli parlò con la bocca vicino all’orecchio e lui si irrigidì. “Hai una missione da svolgere” gli rivelò sottovoce.
“Una fortuna immensa” usò il suo tono strafottente. Ormai non ne conosceva altri. Bellatrix si infuriò e lo prese per il collo della camicia. Lo guardò negli occhi.
“Dovresti esserne onorato, Draco. Porta più rispetto per colui che ti sta salvando dal tuo squallore” la sua faccia era così vicina che avrebbe potuto contarne le rughe. Lo lasciò andare con forza e lui fece un passo indietro per non cadere. Non disse altro. Il volto come la pietra, la seguì lungo corridoi infiniti, fino ad arrivare davanti a un portone. Stavano per entrare nei sotterranei.
“Perché andiamo nelle segrete?” domandò ad alta voce. Sapeva che la sotto c’erano numerosi prigionieri. Maghi traditori del loro sangue, Babbani, qualche Auror, ex dipendenti ribelli del Ministero. Studenti di Hogwarts che non avevano voluto seguire il programma per diventare Mangiamorte. 
Non aveva idea di chi ci fosse, però, siccome a loro era sempre stato proibito entrarvi.
“Dovrai fare la guardia a un prigioniero molto speciale” rivelò sua zia, bloccandosi per guardarlo negli occhi. La sua espressione cupa e allo stesso tempo sadica ormai non gli sollecitava più alcuna emozione. Ci era abituato. Bellatrix si avvicinò al suo orecchio. “Il Nostro Signore ha scelto te, Draco” bisbigliò. “Da questo dipenderà il destino del Signore Oscuro. E della tua famiglia” appoggiò una mano ruvida sul suo collo e Draco rabbrividì, irrigidendo lo stomaco. “Devi dare il cambio a Rodolphus” si tirò su di scatto e gli fece strada lungo scalinate di pietra umida e fredda.
Finalmente, arrivarono a destinazione. La prigione era piccola e squallida e c’era qualcuno steso per terra a faccia in giù. Si tenne a distanza, non voleva mischiarsi con quella gentaglia.
Gli avevano assegnato un compito davvero noioso e, sinceramente, non vedeva l’ora di finirlo.
“Vieni, Draco” lo incitò sua zia e così fu costretto ad avvicinarsi alla prigione. “Ecco l’esca per Potter” la sua risata sadica riecheggiò nel silenzio dei sotterranei.
Draco la raggiunse e guardò dentro.
Per un attimo si sentì mancare la terra sotto ai piedi.
Quei capelli rossi li avrebbe riconosciuti ovunque.
Non riuscì a ricordare come si faceva a respirare. Il suo stomaco era impietrito e il senso di nausea si era accentuato. Se avesse detto anche una sola parola, probabilmente avrebbe vomitato.
Sapeva che sua zia si aspettava una sorta di reazione da parte sua e cercò di dargliela.
“Bene” decretò, con voce ferma. “Una Weasley. E ora lasciatemi in pace” schiccò la lingua e si allontanò da quella gabbia. Quella vista gli rendeva difficile persino deglutire.
Quando finalmente si ritrovò solo, sospirò sonoramente e si passò una mano tra i capelli.
Ginny Weasley si mosse impercettibilmente, poi crollò nuovamente. Sembrava quasi svenuta. 
Draco si sedette, in silenzio, e attese.
Il suo cuore non aveva mai battuto così rapidamente come in quel momento.



Note dell'autrice:
Spero che questo capitolo, che inizia ad entrare un po' nel vivo della storia, vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!
Cercherò di tenere aggiornata la storia con costanza (sicuramente una volta al mese, ma vorrei cercare di pubblicarla prima la prossima volta)

Alyssa92

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
OGGI
 
Ginny
Quando aprì di nuovo gli occhi, l’umidità di quel posto le impedì di riempire completamente i polmoni.
Si sentì soffocare, ma doveva reagire.
Pensare.
Cercò di ricordare cosa fosse successo.
Era a Diagon Alley, in missione per l’Ordine. Aveva sentito qualcuno chiamarla alle spalle.
Si era voltata rapidamente, la bacchetta stretta in pugno, pronta all'attacco. Ma qualcun altro, di sorpresa, l’aveva colpita con un incantesimo.
Aveva perso i sensi.
E si era risvegliata lì, in quel posto lugubre.
Doveva essere stato un Mangiamorte a tenderle un agguato. Eppure, era stata prudente. Tonks doveva coprirle le spalle…
Un colpo al cuore le impedì di respirare.
Tonks.
Si alzò a sedere di scatto, guardandosi intorno, ma di lei non c’era alcuna traccia. L’avevano uccisa? Catturata? Era riuscita a scappare? Non ne aveva la più pallida idea. Sapeva solo di essere sola in quella cella.
Il movimento le aveva dato un intollerabile giramento di testa e si era dovuta appoggiare con la schiena alla parete fredda e umida alle sue spalle. 
La roccia le graffiava la pelle attraverso i vestiti. Improvvisamente si sentì bagnata.
Si guardò la maglia. Era rossa di sangue.
Dio, quanto sangue aveva perso?
Quanto avrebbe potuto resistere in quelle condizioni, ancora?
Aveva un mal di testa lancinante e si sentiva così distrutta... quasi arresa.
Eppure lei non era così.
Era una che reagiva.
Era una che lottava.
E allora perché le sembrava di aver smesso di farlo?
Una figura scura attirò la sua attenzione. Aveva il cappuccio calato sulla testa e la maschera.
Lo guardò con odio. 
Pensò alla sua famiglia. Ai suoi cari. 
E, incredibilmente, un’onda di energia le diede la forza di parlare. Doveva farcela, lo doveva a loro. Lo doveva a sua madre che tutti i giorni guardava quell’orologio appeso in cucina, sperando che nessuna lancetta finisse su “morte”. Lo doveva a suo padre e ai suoi fratelli, che tutti i giorni combattevano per l’Ordine. Lo doveva a Harry e Hermione, che erano diventati Auror nella speranza di un mondo migliore. Lo doveva a quella piccola speranza. Perché non poteva lasciarsela sfuggire. Non doveva.
Prese un respiro e rifletté. Ormai, non aveva più nulla da perdere. Se stava davvero per morire, voleva farlo senza rimpianti. E cercando di fare più danni possibili.
“Chi sei?” chiese ad alta voce a quella figura sconosciuta. “Se mi tieni qui rinchiusa, almeno abbi le palle di rivelare il tuo volto”.
La figura incappucciata non rispose.
Lei allungò una mano verso un piccolo pezzo di roccia che si era staccato, grande quanto un sassolino.
Glielo tirò, colpendolo sulla veste di striscio.
“Sei sordo?” chiese. “Ho chiesto chi diavolo sei”.
La figura finalmente sollevò lo sguardo. O almeno, così ipotizzò, dato che aveva mosso la testa. 
Si alzò in piedi e la raggiunse in poche e brevi falcate.
Ginny scattò in piedi avvicinandosi alle sbarre, ma il dolore al fianco era lancinante.
Gemette e si accasciò a terra.
“Tu sei una che non molla mai, vero, Weasley?”
Non riconobbe la voce, perché era modificata dalla maschera.
Gattonò verso le sbarre e si aggrappò ad esse per sollevarsi. A fatica, ci riuscì.
Ora erano uno di fronte all’altra. Lei era senza fiato, ma non poteva arrendersi proprio ora. 
“Rivelati, codardo” lo sfidò.
“Se proprio ci tieni, toglimi la maschera” fu la sua risposta. C’era qualcosa nel modo di fare di quel Mangiamorte che le suscitò strane sensazioni alla bocca dello stomaco.
Sensazioni che in un primo momento non riuscì a decifrare.
Allungò una mano tremante al di là della sbarra. Afferrò la maschera con due dita e la sollevò da destra a sinistra.
Si dissolse.
Due occhi grigi la fissarono al di là della gabbia nella quale era rinchiusa.
Improvvisamente si sentì mancare la terra sotto i piedi.
Il cuore le finì in gola.
Dovette aggrapparsi con tutte le sue forze alle sbarre per non crollare di nuovo per terra.
Il suo corpo lo aveva capito molto prima di lei.
Perché proprio lì, davanti a lei, c'era l'ultima persona al mondo che avrebbe pensato di incontrare.
Draco Malfoy.
 
 
IERI
Draco
Quella settimana era stata un vero inferno. Non solo non aveva avuto l’occasione di sfogarsi giocando a Quidditch, essendo stato sospeso dalla partita, ma la missione che gli avevano imposto si stava rivelando più difficile di quanto si fosse immaginato. 
Era incazzato, frustrato, deluso.
E non solo.
Il pensiero della Weasley continuava a scorticargli il cervello e gli impediva persino di concentrarsi quanto avrebbe voluto. Si sentiva un perfetto idiota. 
Perché era successo… 
Niente
Non era successo assolutamente niente. 
 
Finalmente era giunta l’ultima sera di punizione. Quella vecchia megera della McGranitt l’aveva punito per quell’idiozia che aveva combinato con la Weasley, costringendolo a fare il lavoro di uno sporco elfo domestico. 
Chiuse la Sala dei Trofei alle sue spalle e non ebbe il tempo di fare neppure due passi, che subito si sentì chiamare. Si irrigidì, irritato. 
“Che c’è?” sbottò. Non aveva voglia di compagnia, voleva stare da solo a pensare. 
“Pensavo che…” Pansy esitò un istante, vedendolo irrigidirsi. “Siccome questa era l’ultima sera di punizione… pensavo che saremmo andati a fare un giro” si avvicinò di qualche passo, ma lui non mosse un muscolo. 
“Non ne ho voglia” non si prese neppure la briga di guardarla. “Ho delle cose da fare”
“Sempre per quella missione?” chiese lei, la voce flebile. 
“Ti sarei grato, Pansy, se la smettessi di parlarne nei corridoi” finalmente la guardò, afferrandole un polso e lei sembrò illuminarsi per il semplice fatto di aver ottenuto una briciola di attenzione. La cosa lo irritò da morire. “Nessuno deve sapere”. Lasciò andare la presa con uno scatto repentino e lei annuì. 
“Ci vediamo in Sala Comune?” chiese lei, cercando il suo sguardo. Ma lui non la guardava più. Non gliene fregava un cazzo di passare del tempo con lei. Non in quel momento, per lo meno.
“Non stasera” la liquidò, prima di voltarle le spalle e scomparire in un corridoio. 
Non si voltò per controllare che non lo stesse seguendo. 
Sapeva che non l’avrebbe fatto. 
Il bello di essere un Prefetto era che poteva aggirarsi per i corridoi quando cazzo voleva, con la scusa di dover sorvegliare il coprifuoco. Beh, più o meno. 
Entrò nel primo bagno che trovò per strada. Aveva una maledetta voglia di urlare.
Era arrabbiato. Teso. Si passò una mano fra i capelli e lanciò uno sguardo al proprio riflesso. 
Ancora una volta si vide pallido e sciupato come non era mai stato.
Odiava quella situazione, ma sapeva di non avere scampo. 
 
Il Signore Oscuro era voltato di spalle, seduto su una poltrona nera. Nagini era al suo fianco, immobile, sembrava dormisse. 
“Non deludermi, Draco” gli aveva detto, la mano bianca cadaverica posata sul bracciolo. Draco era paralizzato, non sapeva cosa dire. Ad un certo punto, senza preavviso, il Signore Oscuro si era alzato in piedi e lo aveva guardato negli occhi.
Draco aveva la pelle d’oca. Non si era mai sentito così, come se gli stessero violentando l’anima fino a fargli perdere il fiato. Una visione incantata di qualcuno che veniva torturato a morte. Era una donna alta, longilinea e bionda. Era sua madre. 
Poi la visione finì, improvvisa come era iniziata. Una risata fredda che gli aveva congelato il sangue nelle vene. “Queste saranno le conseguenze, se mi deluderai”. Si era seduto nuovamente sulla poltrona. 
“E ora vattene”.
 
Draco guardò un’ultima volta il suo riflesso nello specchio, prima di gridare, sferrando un pugno al vetro che si infranse contro la sua mano. 
Il dolore che provò sulla pelle fu quasi piacevole. 
 
 
Ginny
 
Chiuse il libro e sbadigliò. Era rimasta l’ultima persona in biblioteca e Madama Pince era molto stupita di vederla lì. Poteva comprenderla: in cinque anni, non aveva mai frequentato quel posto come in quegli ultimi giorni. 
Aveva passato tutto il pomeriggio in punizione per colpa di quello che era successo…
Cioè, per colpa di quello che non era successo. 
Perché non era successo assolutamente niente
E così aveva dovuto recuperare i compiti. E ora era letteralmente esausta e non vedeva l’ora di andare a letto.
“Ehi” la salutò Harry, facendole prendere un accidente. Non se lo aspettava. “Finito di studiare?”
“Così pare” rispose lei. “Sono distrutta”.
In realtà non aveva molta voglia di passare del tempo con lui, così fece lo sforzo di dedicargli qualche chiacchiera di circostanza mentre si dirigevano verso la Sala Comune di Grifondoro. Arrivati nei pressi, si era inventata di essersi dimenticata qualcosa di vitale importanza ed era scappata via come la codarda che era. Harry non era stupido e aveva capito che c’era qualcosa che non andava, ma aveva finto di crederle e l’aveva lasciata andare. E così ora stava girovagando per i corridoi, senza avere una reale meta. Ad un certo punto, si imbatté in Mrs. Purr e le si congelò il sangue nelle vene. Non era possibile. Non poteva essere così sfortunata. Iniziò a correre, senza rendersi nemmeno conto di dove stesse andando. Voleva soltanto seminarla e liberarsi di lei. Ogni tanto si voltava indietro per controllare che non ci fosse. Ma c’era. Sempre. 
Ad un certo punto, dopo qualche minuto che a lei sembrò infinito, riuscì a seminarla. O forse, era solo andata a chiamare il suo padrone.
Adocchiò da lontano uno dei tanti bagni e decise di rifugiarsi lì dentro, consapevole che Gazza non l’avrebbe mai potuta raggiungere. O almeno così sperava. 
Chiuse la porta più lentamente possibile per non fare rumore e vi appoggiò la schiena sopra, respirando forte per cercare di far tornare i battiti ad una velocità normale. 
“Non ci posso credere” una voce strascicata le fece spalancare gli occhi di colpo. “Ancora tu?”
Ginny rimase per un attimo senza parole. Ma era mai possibile che se lo ritrovasse sempre tra i piedi?
“Non essere così entusiasta, Malfoy” ironizzò, alzando di scatto la schiena e incrociando le braccia al petto. “O potrei pensare che tu sia felice di vedermi” lo guardò attentamente. Era molto pallido e teneva una mano sotto al mantello, come se stesse nascondendo qualcosa. 
“Alleni il tuo sarcasmo per San Potter?” le rispose con tono freddo e distaccato, facendo saettare lo sguardo nel suo. Stava per dirle qualcos’altro, probabilmente di offensivo, ma lei lo interruppe. 
“Che ci fai qui? Pensavo che i furetti a quest’ora dormissero” continuò a scrutarlo da lontano, ben intenzionata a stargli alla larga. 
Nessuno dei due si mosse di una virgola. 
“Si da’ il caso, Weasley, che questo sia il bagno degli uomini” specificò. “Capisco tu non sappia leggere, ma pensavo che almeno le figure sapessi decifrarle…” fece qualche passo in avanti e il mantello si mosse. Ginny avrebbe risposto, se non fosse che la sua attenzione venne catturata da qualcos’altro. 
“Che hai fatto alla mano?” gli chiese, incuriosita. Era sicura di aver visto del sangue. 
“Non sono affari che ti riguardino” la freddò. 
“Hai ragione, infatti non me ne frega niente” gli rispose, “era solo una frase di circostanza”.
Calò il silenzio per qualche istante durante il quale si scrutarono con odio. 
“Perché hai mentito l’altro giorno?” le chiese improvvisamente Malfoy, guardandola con quegli occhi grigi e indecifrabili.
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” Ginny prese tempo. Non aveva proprio voglia di parlare con lui di quell’argomento. 
“Non fare la finta tonta, Weasley, non ti si addice per niente” si avvicinò di qualche passo, più sicuro di sé nel vedere la sua palese difficoltà. “Hai mentito a tutti, dicendo che avevo vinto io. Perché?”
“Non sono affari che ti riguardino” gli rispose, tanto per levarselo di dosso. Anche se tra loro c’era ancora mezzo metro di distanza, si sentiva comunque soffocare. 
“Beh, peccato che invece lo siano, visto che c’entrano anche con me” fece un altro passo verso di lei. Ginny schiacciò la schiena contro la porta per allontanarsi da lui. Sentiva quasi l’aria vibrare tra loro. E la cosa non andava bene per niente. 
E perché il suo stupido cuore aveva preso a battere così forte?
Malfoy appoggiò la mano non insanguinata al lato della sua testa. “Allora, Weasley?”
“Allora, allontanati da me”.
Ma lui non lo fece. Rimase immobile, così decise di alzare il volto per guardarlo. Il respiro accelerò improvvisamente, ma lei tentò di reprimerlo. 
I suoi occhi erano così magnetici che a malapena si ricordava di dovergli ripetere di allontanarsi. Forse, non era più tanto sicura di volerlo. 
Fu a quel punto che lo sentirono. 
“Sei qui? So che ti nascondi, e ti troverò, furfante!” la voce di Gazza le mozzò il fiato. Malfoy si affrettò a spegnere la luce del bagno con un incantesimo. Ora erano al buio completo. 
“Gazza… era sulle mie tracce” bisbigliò Ginny, con tono talmente basso che Malfoy dovette piegarsi verso la sua bocca per sentirla. 
“E cosa aspettavi a dirmelo? Che ci comparisse davanti?” le rispose, sarcastico. Era talmente vicino che avvertì il suo respiro sulla pelle e rabbrividì. Dio, quanto era stupida. Malfoy si avvicinò ancora di più con la bocca al suo orecchio. “Seguimi” le ordinò, con voce a malapena udibile. “E cerca di non avere la tua solita grazia di un elefante”.
Ginny stava per ribattere, ma la voce di Gazza che rivangava i tempi in cui appendeva gli studenti nei sotterranei per i pollici le ghiacciò il sangue nelle vene, così rimase in silenzio. Malfoy fece luce con la bacchetta e la guidò dentro uno dei cubicoli. Spense la bacchetta e chiuse la porta, proprio nell’istante in cui Gazza aveva spalancato la porta principale del bagno. 
“Sei qui, traditore?”
Ginny si chiese se il suo cuore battesse così veloce per la paura di essere beccata, o per il fatto che si trovasse al buio, chiusa in uno spazio ristretto con la persona che cercava di evitare da giorni. 
 
Draco
Se per colpa della Weasley si fosse beccato un’altra punizione, avrebbe dato di matto. Oppure l’avrebbe Schiantata e nascosta da qualche parte. Almeno, si sarebbe liberato di lei una volta per tutte. 
Aveva la schiena appoggiata alla porta di quello squallido cubicolo e con un braccio si reggeva in maniera quasi innaturale alla parete. Non aveva ben capito in quale posizione fosse lei, siccome erano al buio, ma avvertiva il profumo del suo shampoo e il calore del suo corpo, nonostante non si stessero nemmeno sfiorando. Perciò, doveva essere vicina.   
Gazza stava illuminando con una ridicola lanterna l’ingresso del bagno. La sua mano tremolante faceva tremare anche la luce. Lo sentirono entrare, anche se da quella posizione non potevano vederlo. Sperò vivamente che non fosse così sveglio da notare i loro piedi che sporgevano da sotto quel maledetto cubicolo di legno, perché altrimenti sarebbero stati spacciati. Nonostante fosse un Prefetto, a quell’ora di notte neppure a lui era concesso gironzolare. Il Custode alzò la lanterna e per un attimo riuscì a distinguere la sagoma della Weasley. Gli dava la schiena ed era davvero, davvero vicina. La cosa gli diede una strana scarica elettrica. 
“Ti troverò” la voce di Gazza rivelò la sua posizione. “Ti troverò, stanne certo!” la sua voce gracchiante era davvero fastidiosa. Peggio di quella della Weasley.
Fu a quel punto che vide la sua sagoma muoversi. Si irrigidì. Che diavolo voleva fare? Non ebbe il tempo di chiedere nulla, perché fu davvero rapida. Con uno scatto felino la vide sporgersi da sotto al cubicolo, mormorare qualcosa - probabilmente, una fattura - che colpì la porta d’ingresso alle spalle di Gazza. 
“Ti ho sentito, idiota! Ti prenderò… oh, se ti prenderò…” 
Doveva ammettere che era stata astuta, per essere una Weasley. 
Anzi, no, non lo avrebbe mai ammesso. 
Sentirono Gazza iniziare a correre verso l’uscita e la vide tirarsi su di scatto. Il buio di nuovo li inghiottì, ma Gazza era ancora nelle vicinanze, perciò rimasero immobili, respirando appena.
“Puoi ringraziarmi dopo…” bisbigliò lei, voltandosi verso di lui. 
Non avrebbe dovuto farlo. 
Anche se non la vedeva, né toccava, sapeva che era a malapena a due dita di distanza da lui.
E la cosa lo rese incredibilmente agitato. 
Cercò di dire qualcosa, giusto perché non andava bene stare troppo in silenzio. Non con lei.
“Fammi capire, ti aspetti che io ti ringrazi per avermi portato dritto tra le braccia di Gazza?” tenne il tono di voce basso. 
Un rumore fuori ricordò loro che il Custode era ancora nei dintorni. Forse, stava rovistando nelle aule accanto. 
“Sei davvero irritante, Malfoy” si era scaldata e lui a stento trattenne un ghigno. Non poteva vedere la sua espressione, ma riusciva a immaginarsela perfettamente. E la cosa non andava affatto bene. “Se non fosse stato per me…” 
Ma Draco la interruppe, piantandole un palmo della mano sulla bocca. Visto il buio, fu una fortuna beccarla alla prima. La sentì divincolarsi, ma non tolse la presa. Si chinò su di lei per parlarle meglio all’orecchio.
“Riesci a stare zitta e buona per almeno cinque minuti?” Sussurrò. “Potrebbe ancora sentirci”. 
La sentì rilassare le spalle, rassegnata. 
Ammutolirono. 
I loro respiri si mescolavano tra loro e rendevano quella situazione surreale.
Era passato a malapena un minuto, quando la mano della Weasley si depositò sulla sua. La tirò via con poca delicatezza e si liberò la bocca. 
“Non osare mai più” lo minacciò, facendolo scoppiare in una risatina sommessa di scherno. Dio, quanto la faceva incazzare quando si atteggiava così a paladina della giustizia. Poteva immaginarsi la sua espressione imbronciata, nonostante il buio pesto. 
I rumori fuori dalla porta erano sempre più tenui, ma nessuno dei due si mosse. 
"Altrimenti cosa mi fai?" la provocò. Erano talmente vicini che sarebbe bastato sporgersi di un centimetro in avanti per poter toccare di nuovo le sue labbra. 
Ma no, non lo avrebbe fatto. 
Neanche ci stava pensando.
Sentì il respiro della Weasley accelerare bruscamente, seguendo lo stesso ritmo del suo. 
Possibile che fosse agitata dalla sua presenza?
Lei disse qualcosa. Forse, come lui, cercava solo di riempire quel silenzio infernale.
"Che cosa ti sei fatto alla mano?" il suo sussurro sembrava quasi tremante. Ma forse era una sua sensazione.
"Perché hai mentito, l'altro giorno?" 
La sentì sorridere per averla messa all'angolo. Il suo respiro gli colpì la guancia e a quel punto smise di pensare.
Anche perché quando erano così vicini, gli sembrava di non riuscire a farlo.
Appoggiò una mano sul suo fianco e la attirò a sé. I loro corpi aderirono perfettamente. Ogni curva del suo corpo era appoggiata a lui. E non riusciva a pensare ad altro.
"Non mi sembra una buona idea" mormorò lei, ma non si ritrasse. Esattamente come l'ultima volta, appoggiò entrambe le mani sulla sua divisa e strinse leggermente la stoffa tra le dita. 
Respiro su respiro.
"Non ho mai detto che lo sia" replicò, prima di baciarla. Per un attimo la sentì trattenere il fiato, ma poi si abbandonò contro di lui.
Le sue labbra erano morbide come l'ultima volta.
Ma, al contrario dell'ultima volta, erano bollenti.
Entrambi aprirono la bocca dopo pochi istanti, lasciando entrare in lotta le loro lingue.
Gli sembrava passato un secolo dall'ultima volta in cui l'aveva baciata. 
Era così una brutta idea?
In quel momento, si era dimenticato di tutto. Di Gazza, di quello squallido cubicolo in cui si trovavano, del fatto che dovevano fare silenzio. Sentiva solo le sue labbra, le sue mani, la sua lingua, il suo corpo su di sé. E si sentiva totalmente senza controllo.
Non si ricordava l'ultima volta in cui si era sentito così, completamente assorbito da qualcuno.
Forse non era mai successo. 
 
Ginny
In un attimo si ritrovò con le spalle al muro. Malfoy aveva invertito le posizioni e la stava schiacciando, ma incredibilmente le piaceva.
Sentiva la sua bocca ovunque. Sul suo collo, sulle sue clavicole, sulle sue labbra, mentre le sue mani le stringevano i fianchi e la schiena, per tenerla stretta a sé.
Come se potesse davvero scappare.
Anche volendo, non ci sarebbe mai riuscita.
E poi, forse non voleva.
Ma non lo avrebbe mai ammesso, neppure a se stessa. 
Malfoy tornò a dedicare attenzioni alla sua bocca. Dio, quelle labbra. Avevano un sapore così buono. A stento si ricordò di dove fosse. Ma non le poteva importare di meno. In quel momento, sentiva che se anche tutti i professori della scuola avessero fatto irruzione lì dentro, lei non se ne sarebbe accorta.
Le mani di Malfoy si infilarono sotto la divisa. Percorsero un breve tratto sopra alla stoffa della gonna, fino ad affondare dentro al maglione e sfiorare la sua pelle.
La sua schiena.
Aveva il cuore in gola, i brividi e si sentiva senza fiato.
Le sfuggì un sospiro. Si aspettava una battuta sarcastica da parte di Malfoy, ma non avvenne. Anzi, la baciò con una passione ancora maggiore. La spinse più forte contro la porta alle sue spalle e, senza capire bene come, quel cubicolo si spalancò, facendole perdere l'equilibrio. 
Per un attimo trattenne il fiato, pensando che sarebbe caduta per terra, ma Malfoy l'afferrò prontamente per poi sollevarla da sotto le gambe. Lei, d'istinto, le avvolse attorno ai suoi fianchi per aggrapparsi.
Tenendola stretta e senza separare le labbra dalle sue, la spinse contro la parete in fondo.
Ma si può sapere cosa diavolo stavano facendo? 
Ormai, non ci capiva più niente. In totale balia del suo istinto, infilò le mani tra quei capelli perfetti, spettinandoli. Erano più morbidi di quanto si sarebbe aspettata. 
Lui fece scivolare delicatamente giù le sue gambe, finché i piedi non toccarono di nuovo terra. In quel modo, riuscì a premersi ancora di più contro di lei. Aprì gli occhi, ma era buio e a malapena riusciva a distinguere la sua sagoma. Perciò, li richiuse e si lasciò trasportare dalle sensazioni. Sentì sue mani farsi nuovamente strada fin sotto il maglione facendola rabbrividire e contorcere.  
Era talmente presa, che non si rese conto che qualcuno stava chiamando il suo nome, fino a quando non sentì Malfoy bloccarsi. Solo a quel punto comprese che c’era qualcosa che non andava, anche se ancora non aveva realizzato cosa. E poi, accadde tutto in un attimo. Malfoy riaccese la luce con un colpo di bacchetta, afferrò la sua e la gettò da qualche parte lontano. Poi, la prese per il colletto della divisa e la spinse contro il muro, puntandole la bacchetta contro.
“Ora stai buona e lasciami fare” le ordinò in un orecchio. 
“Malfoy, che diavolo pensi di fare, razza di cretino?” lo insultò. “Era forse tutto un piano diabolico per…”
“Ginny!” l’intrusione della voce di Harry fu come una secchiata di acqua gelida in pieno inverno, nudi, sul balcone. Un istante dopo aver spalancato la porta del bagno con un calcio, puntò la bacchetta in loro direzione. “Che cosa pensi di fare, Malfoy?” lo attaccò. 
“Oh, io assolutamente niente” replicò quello, con tutta la calma del mondo e la solita espressione fredda dipinta in volto. I suoi occhi grigi lanciarono un’ultima occhiata a quelli di Ginny, prima di voltarsi verso l’intruso. Quello sguardo le provocò una stretta allo stomaco. “La tua fidanzatina del cuore, invece, pensava di farsi una bella scampagnata notturna per i corridoi” il suo tono era tagliente. Ginny gli lanciò un’occhiata, ma lui non la stava più guardando. “E la stavo giusto portando da Gazza. O da Piton. Non lo so, non avevo ancora deciso…”
“Beh, allora ti conviene non portarla da nessuna parte” gli disse, provocando nel Serpeverde una risata di scherno.
“Dio mio Potter, mi hai davvero spaventato con questa minaccia” lo prese in giro, ma lasciò andare la presa su Ginny con un gesto tutt’altro che aggraziato. Lei si sentì svuotata e strana allo stesso tempo. Malfoy si aggiustò la divisa, come se si fosse stropicciato in un combattimento. Improvvisamente, dalla bacchetta di Harry scaturì una scintilla, che Malfoy parò senza troppa difficoltà. “Temo dovrai impegnarti di più, Potter, se vuoi entrare nell’esercito degli Auror”.
Gli scagliò un incantesimo non verbale indietro, che Harry parò immediatamente. “A te invece quali caratteristiche hanno chiesto per poter entrare in quello dei Mangiamorte?” replicò, parando un altro incantesimo che Malfoy gli aveva appena spedito. “Oppure essere una testa di cazzo è già sufficiente?”
Per un po’ non si lanciarono più incantesimi, limitandosi a guardarsi l’un l’altro. Poi, Malfoy fece qualche passo in direzione della porta. 
“E ora se volete scusarmi, non ho altro tempo da perdere con due sfigati come voi”. Se ne andò, lasciandoli lì come due idioti. 
O almeno, Ginny si sentiva così. 
“Come…” si schiarì la voce. “Come mi hai trovata?” gli chiese, cercando di non mostrare quanto fosse seccata dell’interruzione. Anche se non avrebbe dovuto essere seccata, anzi. Doveva ringraziarlo, stava per commettere uno degli errori più grandi della sua vita. 
E perché Malfoy l’aveva baciata così intensamente? E lei perché glielo aveva lasciato fare senza neppure tentare di Schiantarlo?
“Ero preoccupato, siccome non tornavi” le spiegò, porgendole la bacchetta che aveva recuperato da terra. “Ho aperto la Mappa del Malandrino e ti ho vista qui con Malfoy” mentre si avviavano verso l’uscita Harry sfoderò di nuovo la sua mappa, in modo da poter raggiungere i dormitori indisturbati. “Ho immaginato ti volesse tormentare”.
Calò il silenzio. 
“Grazie” disse infine. 
“Non devi neanche dirlo” fu la sua risposta.
Neppure dopo essersi messa a letto, lavata i denti e i capelli, riuscì a dimenticarsi il sapore delle labbra di Draco Malfoy. 
Oh, cazzo
 
OGGI
Draco
 
Non era passata neanche un’ora dal suo arrivo, quando la Weasley si era svegliata e gli aveva chiesto di rivelarsi. 
E lui aveva ceduto come un pivello. Sapeva che non avrebbe dovuto. Se lo avessero scoperto…
Soppresse quel pensiero. 
La tentazione di parlarle di nuovo era stata troppo forte. 
Rivederla da vicino gli aveva fatto riemergere tutta una serie di emozioni che aveva soppresso da tempo. 
Per qualche istante si guardarono senza dire niente. In fondo, cosa c’era da dire? Entrambi sapevano che sarebbe andata a finire così. 
Nonostante questo, specchiarsi di nuovo nell’azzurro di quelle iridi gli fece mancare svariati battiti. 
“Ora che lo sai, sei soddisfatta?” riuscì a dire, infine. Lei non rispose per un tempo che parve infinito. 
“No” mormorò a fatica. Era molto pallida e si teneva il fianco con una mano. Solo in quel momento si accorse che, dove pochi minuti prima era stesa Ginny Weasley, c’era una piccola pozza di sangue. 
“Sei ferita?” 
“Fa qualche differenza?” rivide un po’ di quella grinta così tipica di lei in quella semplice frase. Trattenne un sorriso. Non avrebbe mai ammesso che gli era mancata. “Voglio dire, se dovete uccidermi, non vi dovrebbe importare che io sia ferita oppure no”. Lo guardò con rabbia e lui rimase impassibile. La tensione tra loro si sarebbe potuta tagliare con un coltello. E quindi era questo ciò che pensava? Che anche lui fosse coinvolto in quel piano per ucciderla o torturarla o chissà cos’altro? Si guardò il braccio, dove sapeva esserci il Marchio Nero e lei lo seguì con lo sguardo. In fondo, ora era un Mangiamorte. Aveva già scelto tanto tempo fa da quale parte stare, nonostante la scelta fosse stata pressoché obbligata. Una strada già spianata pronta per essere percorsa. 
Lei non poteva sapere che quando si guardava allo specchio provava disgusto per se stesso e per tutto ciò che ne derivava. 
“Non è…” stava per dire ‘non è come pensi’, ma furono interrotti e non ebbe il tempo di aggiungere altro. In pochissimi istanti era tornato al suo posto, come se non si fosse mai mosso da lì. 
E la Weasley era tornata per terra con gli occhi chiusi. 
 
“Come se la passa la nostra prigioniera, piccolo Draco?” Bellatrix lo aveva raggiunto, posandogli una mano sulla spalla. Dio, come la odiava quando lo toccava. Se la scrollò di dosso. 
“Non si è mossa” replicò. “Ho motivo di credere che sia ferita” 
Lei si lasciò andare a una risata priva di emozioni. “E me ne dovrebbe importare qualcosa?” si passò la lingua sui denti e Draco provò disgusto. 
“Beh, non sarò di certo io a dovervi dire che il vostro piano fallirà, qualora la nostra unica esca dovesse morire dissanguata” come al solito, fu freddo e distaccato. “O pensi che il Signore Oscuro ne sarà felice?”
“Quanto sei idiota, Draco” sua zia lo interruppe con aria altezzosa. “Il Signore Oscuro ha sempre un piano di riserva” sibilò, facendogli venire una strana pelle d’oca. 
“Beh, piano di riserva o no, se volete che regga almeno altre due o tre ore, dovrete permettermi quantomeno di fermare l’emorragia” il suo tono era distaccato e non tradì alcuna emozione. Sua zia lo guardò negli occhi. 
“Sei sempre stato più astuto di tuo padre, Draco” fu la sua risposta. “Ed è per questo che farai molta più strada di lui” gli voltò le spalle e fece per uscire di nuovo da quella prigione senza ossigeno. Draco pensò che non avrebbe ottenuto alcuna risposta. Invece, Bellatrix parve rifletterci un attimo, immobilizzandosi con una gamba davanti all’altra a metà di un passo. Tornò indietro e si bloccò di fronte a lui. “Ferma quell’emorragia, Draco, ma non del tutto” lo guardò negli occhi. “Deve solo superare la notte. Una volta usata come esca per Potter, per quanto mi riguarda, se muore mi fa solo un favore” scoppiò in una risata così fredda che gli fece rizzare i peli sulla nuca. 
L’eco dei suoi passi segnalò la sua uscita di scena. 
Draco si voltò a guardare la sua prigioniera. 
Si era alzata a sedere e lo stava fissando.
Persino da quella distanza, quello sguardo riuscì a fargli aumentare il battito cardiaco.  
 


Commento dell'autrice: grazie a chi ha letto fino a qui! Spero vi sia piaciuto. Se volete, fatemelo sapere nei commenti!
La prossima volta, dovrei finalmente riuscire ad aggiornare più rapidamente (finalmente mi hanno aggiustato il pc e posso avere di nuovo il mio portatile).
Grazie ancora!
Alyssa

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
OGGI
Ginny
 
Il cuore le batteva forte nel petto persino da quella distanza. 
E quindi, il piano era quello? 
Usarla come esca per Harry per poi ucciderla?
Un groppo in gola le impedì di respirare per qualche istante che sembrò infinito. 
Ci si sentiva così, quindi, a sapere di aver rimasto poche ore di vita?
Pensò a sua madre, di nuovo. A suo padre. Ai suoi fratelli. a Harry, Hermione, Lupin, Tonks e tutti gli altri membri dell’Ordine. Il groppo divenne quasi insostenibile, ma lo ricacciò giù. Non avrebbe passato le ultime ore della sua vita a piangersi addosso. 
No
Lei non era così. 
Incrociò lo sguardo con quello di Malfoy e rabbrividì.
Una serie di ricordi riaffiorarono nella sua mente.
Erano passati solo due anni, ma erano successe talmente tante cose che a lei sembrava molto di più. 
Sembrava quasi un’altra vita. 
Ora lui era un Mangiamorte. 
Eppure, un tempo aveva sentito il suo cuore battere da qualche parte. 
Possibile che fosse scomparso completamente?
Possibile che non provasse più niente per lei? 
Malfoy la raggiunse in pochi passi, lunghi ed eleganti. Rigidi e freddi.
La fissò da vicino.
Il cuore le volò in gola. 
Gli guardò le labbra e si chiese se, dopo tutto quel tempo, avevano ancora lo stesso sapore. 
Il suo sguardo non tradiva alcuna emozione. 
Voleva davvero aiutarla solo per favore il piano di Voldemort? Oppure lo faceva perché…?
No, è un Mangiamorte, ora.
Non sta dalla tua parte
Giusto. 
Non avrebbe più dovuto dimenticarselo.  

 
Draco
Gli tremavano le mani mentre la raggiungeva di nuovo, avvicinandosi a quella cella.
Le nascose in tasca.
Per un attimo, aveva avuto paura che Bellatrix avesse capito i suoi veri pensieri. 
Ma lui era sempre stato bravo in Occlumanzia. 
Quando incontrò di nuovo gli occhi di Ginevra, ci trovò diffidenza e forse una punta di paura. 
Aveva paura di morire? 
Non disse una parola mentre apriva la cella e anche lei rimase in silenzio, ancora stesa per terra con il busto sollevato. 
Draco la raggiunse e si inginocchiò al suo fianco. 
Le scostò il mantello blu, per scoprire la maglietta bagnata di sangue. 
“Solleva la maglia, Weasley” le ordinò senza guardarla. 
“E perché dovrei farlo?” sibilò lei, con una punta di orgoglio. Non era scema, per quanto lui glielo avesse ripetuto innumerevoli volte durante la loro permanenza a Hogwarts. Aveva sicuramente ascoltato ogni parola che si era scambiato con Bellatrix. 
Perciò, glielo aveva detto solo perché non voleva dargli la soddisfazione di collaborare. 
“Devo esaminare la tua ferita” le rispose, concentrandosi per non voltare il viso verso il suo. La tentazione era forte. “Se non vuoi morire dissanguata senza avere avuto neppure il tempo di salutare San Potter, ti consiglio di farlo. Non mi ripeterò due volte” cercò di mantenere distacco.
La Weasley presto sarebbe stata usata come esca e non voleva che qualcuno come Rodolphus o, peggio, il Signore Oscuro, le leggesse nella mente e scoprisse che aveva cercato di aiutarla. 
La sentì sbuffare. 
Il suo sguardo gli scorticava il viso, ma lui non si voltò. 
Lentamente, si tirò su la maglia. 
La ferita era molto sporca, ma persino da così si capiva che era un taglio profondo. 
Andava dall’osso iliaco fino alle costole, per poi scomparire al di sotto della maglia. 
Draco afferrò il lembo di stoffa, accertandosi di non sfiorarle la pelle.
Vide il suo respiro accelerare, mentre lentamente scopriva un altro pezzo di pelle, fino ad arrivare sotto al reggiseno.
“Che diavolo fai, Malfoy?”
“Calmati, Weasley” le rispose. “Non è mia intenzione spogliarti” la rassicurò. “Voglio solo vedere fin dove arriva”.
Incrociò il suo sguardo. 
Aveva la bocca semi aperta, come se stesse per dire qualcosa.
Gli venne voglia di baciarla. 
Desiderava toccarla di nuovo, ma non lo fece. 
Le sue mani fremevano per poterle sfiorare la pelle. 
Con il cuore in gola, si allontanò di scatto. 
“Torno subito” le disse, prima di uscire dalla cella, richiudendosela alle spalle.  

 
IERI
Ginny
 
Le vacanze di Natale alla Tana erano state un vero inferno, considerato che non aveva chiuso occhio e si sentiva lo sguardo giudicante della sua famiglia addosso, nonostante non potessero neppure immaginare cosa fosse successo.  
Era da più di un mese che non riusciva a dormire bene.
Anzi, era da quando lei e Malfoy… 
Basta. Doveva dimenticarsi dell’accaduto. 
Era da quel giorno che cercava di evitarlo. Qualche volta ce la faceva, qualche altra volta invece si incrociavano per sbaglio nei corridoi. 
A quel punto, uno dei due faceva qualcosa. 
Malfoy la urtava accidentalmente facendole cadere tutti i libri per terra e provocando risate da parte di quel branco di idioti leccapiedi che gli stava sempre intorno. 
Ginny gli rovesciava sulla veste perfettamente pulita una provetta di una qualche pozione maleodorante, ottenendo la stima dei suoi compagni di classe. Accidentalmente, si capisce.
Non era difficile far passare quelle sfide tra loro come lotte tra Case, siccome la rivalità tra Grifondoro e Serpeverde, durante quell'anno scolastico, complice il ritorno di Voldemort, si era fatta più accentuata. Qualche volta riuscivano a terminare lo scambio di insulti o il breve duello di turno senza conseguenze, altre volte qualche professore gli toglieva dei punti.
Ma quel giorno in particolare, stavano dando spettacolo.
E uno spettacolo così, si sa, non poteva passare inosservato.
 
Ginny non si ricordava neppure più quale fosse stato il pretesto del loro litigio, quella volta, fatto sta che ora si trovava nel cortile interno della scuola, con la bacchetta sfoderata. Malfoy, invece, era di fronte a lei, con una mano in tasca e la bacchetta a sua volta puntata in sua direzione. Era il cambio dell'ora, perciò almeno una cinquantina di studenti li avevano accerchiati, incuriositi e allo stesso tempo divertiti.
"Che aspetti Malfoy?" lo sfidò Ginny. "O forse te la fai sotto?"
Ottenne in cambio una risata gelida, priva di sentimento. "Sei davvero più stupida di quanto pensassi, Weasley"
A quel punto, erano partiti. Ginny gli aveva spedito una fattura Orcovolante e lui una Gambemolli. Entrambi avevano parato il colpo. 
"Tutto qui? Te la tiri tanto, Malfoy, e questo è tutto ciò che sai fare?"
"Veramente questo è solo il riscaldamento" replicò il Serpeverde, ma non aveva neppure terminato la frase che Ginny gli aveva già sparato contro una fattura Gambemolli, che lui parò, contrattaccando con un Languelingua e impedendole di parlare per svariati minuti. "Ma guarda... che c'è, improvvisamente non sai più parlare, Weasley?" l'aveva presa in giro lui e qualcuno della sua Casa aveva riso. Forse pensava di averla messa al tappeto, ma Ginny non era di certo una che gradiva arrendersi. Così aveva praticato uno Schiantesimo non verbale, facendolo volare letteralmente contro una parete alle loro spalle. In realtà, agli studenti del suo anno non erano ancora stati insegnati, ma essere amica di Harry, Ron ed Hermione comportava un discreto numero di vantaggi, tra cui la possibilità di allenarsi insieme a loro ogni qualvolta ne avesse voglia, anche su incantesimi più avanzati. E lei era una che amava le sfide.
"Complimenti per il colpo, Weasley" aveva detto la voce di Lumacorno, che evidentemente era passato di lì per caso. "Sebbene io apprezzi i duelli ben fatti, sono costretto a fermarvi" fece qualche passo in avanti, frapponendosi tra i due e mormorando qualche controincantesimo per annullare gli effetti di ciò che avevano combinato. Ginny era ancora senza fiato e continuava a scambiarsi sguardi carichi di odio con Malfoy, che si era rialzato in piedi con aria fiera.
“Potrei dire che per questa volta potete andare via senza conseguenze” iniziò Lumacorno, che evidentemente non voleva punire una studentessa della sua stretta cerchia di prediletti, “tuttavia…”
"Tuttavia, temo che sarebbe un pessimo esempio per gli altri studenti” una voce di donna fece gelare il sangue nelle vene a Ginny. Lentamente, si voltò verso la McGranitt, la quale si stava facendo largo tra la folla per raggiungerli. “Si può sapere che cosa accidenti vi è saltato in mente?" Aveva l'aria seria e decisamente infuriata e reggeva un rotolo di pergamena tra le dita, che picchiettava con aria nervosa sul palmo della mano destra. "Malfoy, Weasley" li rimbeccò. "Da due studenti come voi, non mi aspetto di certo un comportamento del genere" li guardò negli occhi a turno. "Venti punti in meno a Grifondoro e venti punti in meno a Serpeverde. E ora, vi prego di seguirmi" il suo cipiglio era aggrottato in una perfetta espressione di rabbia mista a delusione. Fece qualche passo, poi si fermò e gridò a gran voce. "E voi che fate lì immobili? Non avete lezione?" mosse le mani verso la folla, che si affrettò a sparpagliarsi in diverse direzioni.
Ginny seguì la McGranitt, senza osare dire una parola.
Sapeva che l'avrebbe punita. Di nuovo. 
E per colpa di Malfoy. Di nuovo. 
Camminando al suo fianco, si lanciarono uno sguardo.
Ginny rabbrividì involontariamente.
Dio, quanto lo odiava.
Lui e i suoi maledetti occhi grigi.
 
 
Draco
Non era possibile sentirsi in quella maniera verso qualcuno. Non gli era mai capitato in vita sua. Forse gli avevano mandato una maledizione, o qualcosa del genere. 
Perché ogni volta che la vedeva nei corridoi, la ragione gli urlava di andarsene, ma il suo istinto gli suggeriva di avvicinarsi e provocarla, di fare qualsiasi cosa per suscitare un qualche tipo di reazione in lei. Perché era divertente e lo faceva sentire vivo. E perché si dimenticava di tutto il resto, di quel peso nel petto che lo schiacciava. 
Ma non aveva intenzione di soffermarsi troppo su quali fossero le ragioni che lo spingevano a farlo. 
Lo faceva e basta.
 
E così, ora si ritrovava di nuovo nei guai per colpa di quella scema della Weasley. 
Dio, quanto la odiava. 
Lei e quella sua maledetta espressione orgogliosa. Lo irritava da morire.
"Avanti, sedetevi" li sollecitò quella megera della McGranitt, una volta entrati nel suo ufficio che puzzava di buonismo.
Presero posto su due sedie di fronte alla sua scrivania.
Lei li guardò, rigida. "Il vostro comportamento è a dir poco inaccettabile" soffermò lo sguardo su Draco. "Signor Malfoy, da un Prefetto come lei non mi aspettavo certamente un simile atteggiamento. E Signorina Weasley" si voltò verso la ragazza. "Non credo che sua madre sarebbe molto lieta di sapere che la sua unica figlia sembra seguire le orme dei suoi fratelli più ribelli" concluse, alludendo con tutta probabilità a quei deficienti senza cervello dei gemelli Weasley, di cui al momento gli sfuggiva il nome. "Avete qualcosa da dire riguardo l'accaduto?"
Li squadrò, ma entrambi restarono in silenzio. 
"Molto bene. È già la quarta volta che vi sorprendo a cacciarvi nei guai e che sono costretta a punirvi per le vostre idiozie. E ogni volta, ci sempre voi due di mezzo.” Fece una breve pausa per riprendere fiato, poi continuò. “In questa scuola non sono ammessi simili atteggiamenti ostili da parte di studenti, anche se facenti parte di due Case diverse. In questa scuola abbiamo sempre cercato di promuovere collaborazione, rispetto e amicizia. Pertanto, la punizione che vi darò, avrà proprio questo obiettivo” li squadrò entrambi, con un’espressione terribilmente seria. 
Draco sbuffò. Non aveva altro tempo da perdere dietro le menate della McGranitt. 
Doveva portare a termine il suo compito. 
Se solo suo padre avesse saputo che razza di idiota era la McGranitt e quanto tempo gli stava facendo sprecare con le sue inutili punizioni… ma forse, ripensandoci, sarebbe stato meglio non metterlo al corrente. Lo avrebbe rimproverato e basta.
E poi, che diavolo voleva dire? Che tipo di punizione gli avrebbe dato stavolta?
“Se non riuscite a rigare dritto, sarò costretta a spedirvi dal Preside e ad informare le vostre famiglie” la sua voce lo richiamò alla realtà, irritandolo più di quanto già non fosse. 
Doveva abbassare la cresta e fare il bravo per un po’. O quanto meno, tentare di passare inosservato. 
Con la coda dell’occhio lanciò un’occhiata alla Weasley, per vedere la sua faccia. 
Anzi, no, perché ne aveva voglia, cazzo. 
Strinse i pugni perché era incazzato da morire, con lei e con se stesso. Il silenzio non durò a lungo perché la McGranitt li congedò. “E ora, filate via. Riceverete un gufo con le istruzioni. Spero di non rivedere più le vostre facce, se non a lezione” e, dicendo quelle parole, fece loro cenno di alzarsi. Così fecero. La Weasley mormorò un saluto poco convinto, mentre lui si limitò a un cenno del capo, prima di avviarsi verso i corridoi.
 
Lui e la Weasley, per un dannatissimo scherzo del destino, dovevano percorrere un pezzo di strada insieme per raggiungere le rispettive aule.
E lo fecero, in silenzio. 
E ad almeno cinque passi di distanza. 
O meglio: Draco rimase in silenzio, ma ovviamente per la Weasley era impossibile chiudere quella ciabatta per più di cinque minuti, perciò ad un certo punto parlò.
“Beh, grazie tante, Malfoy” sbottò. “Per colpa tua saremo costretti a condividere la stessa aria”. 
Lo guardava in una maniera talmente insistente che fu costretto a fermarsi per ricambiare lo sguardo. 
Quegli occhi azzurri gli fecero rimbalzare lo stomaco. 
Oh, al diavolo
Si irritò da morire. 
“Non che io faccia i salti di gioia, visto che rischi di infettarmi con le tue stronzate” replicò. “Si da il caso che avrei di meglio da fare nel mio tempo libero”.
“Ad esempio? Cercare un cervello per quei quattro trogloditi che ti seguono sempre a mezzo metro di distanza?” 
Incredibilmente, fu costretto a trattenere un ghigno. Ma ci riuscì. Fece un passo verso di lei, che incrociò le braccia al petto sulla difensiva.
“Beh, intanto che ci sono, potrei cercarlo anche per te, siccome ne sembri totalmente sprovvista” incrociarono lo sguardo di nuovo. La Weasley si zittì per un momento, durante il quale sembrò lottare contro se stessa per non rispondere a tono e non dare il via a un altro dei loro infiniti battibecchi. Lui non aveva di certo intenzione di facilitarle il compito: aveva iniziato lei quell’irritante scambio. 
“Beh, direi che non è il caso di continuare, Malfoy, dato che star qui a scambiare chiacchiere con te è piacevole quanto accarezzare un Vermicolo”.
“E io odio ripetermi, ma non ho tempo da perdere con la Regina degli Sfigati” concluse lui, voltandole le spalle e lasciandola lì. Quando fu abbastanza lontano per essere certo di non darle il modo di ribattere, aggiunse. “Divertiti con la tua banda di reietti”.
Ghignò vedendola bloccarsi a metà.
Sollevò il dito medio in sua direzione.
Ma non gli diede la soddisfazione di voltarsi indietro.
 

 
Ginny
“Devi schiacciarli, non tagliarli…” 
“E io invece ti dico che devo tagliarli!”
“Weasley, ma sei scema o cosa?” Malfoy la stava rimproverando per la terza volta da quando avevano messo piede in quell’aula. “Così li stai facendo volare da tutte le parti…”
Ginny lo guardò male, mentre il suo Fagiolo Sopoforoso finiva dall’altro lato del tavolo, senza che lei riuscisse a tagliarlo. 
“Perché non lo fai tu, allora, visto che sei tanto bravo?” gli lanciò un’occhiata che doveva essere di sfida, ma quando incrociò quel grigio non era poi così sicura di esserci riuscita. 
Indispettita da lui e da se stessa, sbuffò.
Quella volta la McGranitt era stata davvero subdola. Le aveva mandato un gufo la sera precedente, dove spiegava che lei e Malfoy avevano il compito, ogni venerdì sera di quel mese, di recarsi nell’aula di Pozioni di Lumacorno per aiutarlo a preparare gli ingredienti necessari a rimpinguare le scorte di Madama Chips. 
E non solo.
Dovevano pulire le provette e i calderoni utilizzati durante la settimana. Senza magia, logicamente. 
E così Lumacorno li aveva lasciati soli a preparare alcuni ingredienti, tra cui quei maledetti Fagioli Sopoforosi, dai quali avrebbero dovuto ricavarne del succo, con la promessa di tornare ogni tanto a controllare che andasse tutto bene. Ma era passata quasi un’ora e di lui non c’era traccia. E inoltre, quei maledetti fagioli rotolavano da tutte le parti e non c’era verso di tagliarli a metà. Malfoy, invece, che era impegnato a sminuzzare la radice di Asfodelo, era già un po’ che la osservava con aria altezzosa e allo stesso tempo disgustata.
Si guardarono in cagnesco per qualche minuto che a Ginny parve infinito. 
Con il cuore in gola, distolse lo sguardo. 
“Come ti dicevo, per spremerli devi schiacciarli, non tagliarli” le spiegò Malfoy con un tono leggermente meno strafottente del solito.
“Ma sul libro c’è scritto di tagliarli” ribatté lei. “Se non sai leggere…”
Lui ignorò l’ultima parte di frase. “E invece ti dico che non si fa così”. Si alzò in piedi e afferrò una manciata di Fagioli. Li posò davanti a sé e, con la lama del coltello che le aveva appena strappato di mano, iniziò a schiacciarli. Una quantità infinita di succo si riversò sul taglierino e lui si affrettò a raccoglierlo in un piccolo contenitore. “Hai mai ascoltato Piton parlare in classe, Weasley, o eri troppo impegnata a fantasticare su San Potter?”
Puntò lo sguardo nel suo e improvvisamente il suo stomaco fece una capriola. 
Avrebbe voluto ribattere, dire qualsiasi cosa, ma non ci riuscì. Si limitò a biascicare un grazie poco convinto. 
Lui le porse il coltello, senza disturbarsi di porgerglielo dalla parte del manico. 
“Non so se te lo hanno mai insegnato, Malfoy, ma non è buona educazione porgere il coltello dalla parte della lama” disse infine, tanto per riempire quello strano silenzio.
Era molto più facile continuare a fingere di essere infastidita dalla sua presenza. 
Perché non avrebbe mai, mai ammesso che in realtà non era affatto così. Che avrebbe voluto sentire di nuovo il sapore di quelle labbra arroganti. 
“Immagino che invece tu sia una grande esperta di buona educazione, giusto?” il suo tono era stranamente docile, quasi accomodante. La prendeva in giro ma in una maniera differente dal solito. Quel tono di voce la spiazzò, così non disse niente e si limitò ad afferrare quello stupido coltello. Prese una manciata di Fagioli e ripeté l’operazione a sua volta, sotto lo sguardo attento di Malfoy. Effettivamente il succo uscì, peccato che uno schizzo le arrivò dritto in faccia, facendolo scoppiare a ridere. “Weasley, ma possibile che tu sia così sfigata?” 
“Taci, Malfoy. Dio mio, ma ti riesce naturale essere così stronzo o fin da piccolo hai ricevuto un’educazione particolare? Tipo che sotto l’albero di Natale trovavi maledizioni impacchettate anziché doni?” 
A quella frase le parve di vedere uno strano lampo nei suoi occhi. E distolse lo sguardo.
“Non ho mai ricevuto regali di Natale, sono cose da sciocchi” replicò, facendole gelare il sangue nelle vene. Improvvisamente le si strinse il cuore e quasi le dispiacque per lui. Quasi. “E comunque, mi hanno sempre educato ad essere indipendente e arrangiarmi. Al contrario tuo, a quanto pare…”.
Ginny lo osservò mentre finiva di tritare la radice di Asfodelo. Era molto preciso e attento nei movimenti. 
Si immaginò un’ipotetica infanzia di Malfoy. 
Stanze ampie e fredde. Corridoi lunghi e immacolati. Una camera da letto così grande da sembrare vuota.
Sguardi freddi dei suoi genitori. 
Suo padre che lo trattava come un piccolo adulto. Grandi aspettative di perfezione e ambizione. 
Un bambino che cerca disperatamente l’approvazione di suo padre, per avere anche solo un cenno di assenso.
Lo aveva mai picchiato?
Aveva sempre dato per scontato che i genitori non picchiassero i figli, ma guardando Malfoy e pensando a Lucius, improvvisamente le venne il dubbio.  
Pochi abbracci, forse di nascosto, dalla madre. 
Una carezza che doveva bastare. 
E tanta, tanta solitudine. 
“Beh, è un peccato” si lasciò sfuggire Ginny, improvvisamente triste. Lui fece saettare nuovamente lo sguardo nel suo. 
“È un peccato che cosa?”
Ginny si morse le labbra, pentendosi di aver parlato. Ma perché non riusciva a tenere quella boccaccia chiusa? 
“… niente” cercò di distogliere l’attenzione, ma sapeva che Malfoy non gliel’avrebbe fatta passare tanto facilmente. 
“Parla o ti rovescio questo succo sui capelli” la minacciò e lei si morse di nuovo un labbro, incerta. Prese un respiro. Era strano, perché nonostante fino a quel momento avesse cercato disperatamente di ferirlo, ora si accorse di non volerlo più. Scacciò quei pensieri e parlò. 
“È un peccato che tu non abbia ricevuto abbastanza amore, quando eri piccolo”, mormorò, distogliendo lo sguardo. Magicamente, dopo aver pensato a quanto dovesse essere stata triste e vuota la sua infanzia, gli parve di capirlo di più. “Questo spiega molte cose”.
“Non capisco cosa ci sia da dispiacersi, Weasley” le rispose lui, aggrottando la fronte, ma senza guardarla. “Ho ricevuto tutto ciò di cui avevo bisogno: una bella casa, un letto comodo in cui dormire, le migliori cure quando ero malato e beni di prima classe”. 
Ginny percepì molta solitudine in quelle parole e per un attimo provò un infinito moto di affetto verso la sua famiglia. Era un casino, a tratti insopportabile, chiassosa, appiccicosa, ma era… famiglia
Il solo pensiero le scaldò il cuore. 
Le dispiacque pensare che Malfoy non aveva alcun pensiero con cui scaldare il suo. 

 
Draco
“A me questo non sembra sufficiente” replicò la Weasley dopo un’eternità in cui aveva assunto una strana espressione da ebete, guardandolo con un’intensità che non le aveva mai visto. 
“Non ti sembra sufficiente?” Draco era incredulo. Non capiva: cosa avrebbe dovuto volere di più? Aveva sempre avuto tutto con un semplice schiocco delle dita. Suo padre era sempre stato una persona stimata e di potere. Nessuno al mondo poteva desiderare meglio di quello che aveva avuto lui. “Non avrei potuto chiedere altro. Ho avuto sempre tutto ciò che volevo. I miei genitori hanno sempre provveduto a garantirmi il meglio del meglio. E tu puoi forse dire altrettanto?” la guardò. Al contrario del solito, quella domanda era stata posta più per curiosità di comprendere il suo pensiero che per volontà di ferire. 
“Beh, no, ovviamente no” la Weasley gli parlava stranamente con calma e per una volta non sembrava essersi offesa per qualsiasi cosa fosse uscita dalla sua bocca. “Non posso certo dire di aver avuto tutto ciò che volevo. Ma sicuramente ho avuto tutto ciò di cui avevo bisogno”.
“Non capisco”.
“Non mi aspetto che tu capisca, ma…” aggrottò le sopracciglia, come se stesse cercando le giuste parole per semplificare un concetto molto difficile da spiegare. Lui rimase in attesa a guardare la sua espressione corrugata. 
Era così assorta che avrebbe voluto… 
No, niente
“Ti si è inceppato l’ingranaggio, Weasley?” la prese in giro, tanto per alleggerire l’atmosfera che improvvisamente aveva assunto un colore diverso. Un colore molto strano, che non riusciva a identificare. 
Lei ignorò il suo commento. 
“Sai, Malfoy, a volte non è necessario avere tutto il mondo ai propri piedi per sentirsi felici. È vero, uso i libri dei miei fratelli, indosso vestiti di seconda mano, la mia scopa fa schifo, ma…” la vide incurvare la bocca in un sorriso, “non scambierei la mia famiglia con nient’altro. Non sono i beni materiali a riempirti. Sono l’amore, il sostegno e il sapere di poter sempre contare l’uno sull’altro, qualsiasi cosa accada. Questa è famiglia. Sei tu, che forse non puoi dire di aver avuto altrettanto”.
Si guardarono per un lungo istante. Quelle parole gli avevano fatto provare strane sensazioni nella pancia. Come se qualcuno gli avesse affondato la mano nello sterno fino ad afferrargli lo stomaco.
Era evidente che lui e la Weasley erano cresciuti in due contesti totalmente differenti.
Parlava di amore, sostegno. Di esserci, qualunque cosa accadesse. 
Poteva dire di averlo avuto da parte della sua famiglia? 
Pensò a suo padre, a quanto avesse tentato di modellarlo fin da piccolo, in modo che crescesse seguendo le sue orme. Pensò a sua madre che, in silenzio, lo guardava, aspettandosi che lo facesse senza ribellarsi.
Poteva affermare che avrebbe continuato ad avere il loro sostegno, anche qualora la sua strada lo avesse portato ad essere diverso da ciò che si aspettavano da lui? 
Il tipo di amore che conosceva Draco, era molto diverso dal tipo di amore di cui parlava lei. 
Ma allora, qual era la cosa giusta e la cosa sbagliata? Chi aveva ragione e torto? 
Non era così semplice, non tutto era bianco e nero.
La guardò per un lungo istante. Era irritato, perché lo costringeva a fare i conti con una realtà totalmente sconosciuta, lo costringeva a mettere in discussione tutto ciò in cui aveva sempre creduto. 
In cui tutt’ora credeva. 
Abbassò lo sguardo. Per una volta, non aveva assolutamente niente da dire. Così, si limitò a ripetere ciò che aveva sentito ripetersi fin da quando era bambino. “Beh, ciò di cui stai parlando tu sono solo sciocche debolezze, Weasley. Tu vivi in un mondo fatato, ma la vita vera non è così” alzò le spalle. “Io sono stato educato alla vita vera, tu allo stupido mondo delle favole”. Si alzò improvvisamente in piedi, abbandonando sul tavolo tutti gli strumenti di lavoro. 
Chissà perché, a quella mossa alla Weasley scivolò il coltello dalle mani, ma non si mosse. 
Draco la raggiunse dal suo lato del tavolo e vi si appoggiò, per sovrastarla. “Io sono pronto a tutto. Tu probabilmente non riusciresti a sopravvivere mezza giornata, se scoppiasse la guerra”.
A quella provocazione, la Weasley balzò in piedi, per arrivare a puntare lo sguardo dritto contro il suo. 
Come se gli stesse mandando un messaggio non verbale. 
Sono tua pari.
“Sei proprio certo, Malfoy, di essere pronto a tutto?” gli chiese. “La guerra è dura persino per i figli di papà come te e sono convinta che tu…” fece una breve pausa per guardargli le labbra, facendogli provare ancora quella strana scarica elettrica che provava sempre quando si avvicinavano troppo. 
Non terminò la frase, così le afferrò il polso. 
“Finisci la frase” le ordinò e lei inspirò, ma non si divincolò, al contrario di quanto si era immaginato. 
Poteva percepire il suo cuore battere veloce attraverso il polso. Non capì se fosse perché ancora una volta erano così dannatamente vicini, oppure perché aveva un discreto timore di rivelare i suoi veri pensieri. 
Senza staccare lo sguardo dal suo, infine lo accontentò. 
“Sono convinta che tu sia più di quello che si vede” concluse semplicemente, senza abbassare lo sguardo, fiera. 
“Io non ne sarei così convinto, fossi in te” replicò, come per respingere quella frase. 
Perché se quella frase fosse stata vera, cosa avrebbe implicato?
Draco fece scorrere la mano, che ancora era avvolta attorno al suo polso, lungo il braccio, lentamente. 
Lei non si scostò. 
Forse avevano superato la distanza di sicurezza, perché calò il silenzio. 
Il cuore gli schizzò in gola. 
E l’aria scomparve. 
Perché neppure lei diceva una parola?
La mano giunse sul suo viso. 
E poi, esattamente come la prima volta che si erano baciati, lei lo guardò con stupore e curiosità insieme. 
“Che cosa vuoi fare?” gli chiese, come se non fosse ovvio. Lui sogghignò. 
“Promuovo collaborazione, rispetto e quelle altre scemenze…” buttò lì, facendola sorridere.  
Quel sorriso fu l’ultima cosa che vide prima di depositare le labbra sulle sue. 
Quella volta fu meno pacato.
Con irruenza le chiese l’accesso alla bocca e lei glielo concesse con altrettanta irruenza. 
Ogni traccia di remore, indecisione o esitazione era sparita dai loro gesti. 
Il libro degli ingredienti cadde per terra, ma Draco avvertì il suono in lontananza, come se fosse successo a chilometri da lì. 
Gli piaceva baciare la Weasley e non aveva intenzione di domandarsene il motivo. 
Fece un passo in avanti mentre lei ne faceva uno indietro, spinta dall’impetuosità dei loro gesti e ben presto si ritrovò a premerla contro uno dei tavoli dell’aula. 
Infilò le dita sotto il maglione della divisa poi le fece scivolare dentro la camicetta bianca. Era calda, morbida. 
La sentì sospirare e la cosa gli diede più sicurezza per continuare ad accarezzare quella pelle irresistibile. 
Infilare le mani in zone altrimenti proibite.
Dio, stava impazzendo.
Aveva perso la testa. 
Non riusciva a sentire altro se non lei tra le sue mani e quel corpo sottile e quelle forme premute contro di sé. 
Le baciò il collo, la clavicola, la pelle delicata sotto l’orecchio. Fece scivolare il maglione e la camicia sul pavimento e la sentì tremare tra le sue mani. 
Ma lei non si fermò.
E lui nemmeno. 
Le mani della Weasley gli accarezzarono il petto, facendolo rabbrividire. 
Aveva caldo, perciò le fu silenziosamente grato quando anche il suo maglione venne fatto cadere a terra. E la sua camicia sbottonata. 
Le fu ancora più grato quando lei gli diede il silenzioso permesso di far scivolare le mani sotto la gonna della divisa. E la bocca scese dal collo fino al petto morbido, scoprendolo e facendola gemere sottovoce. 
Avrebbe voluto condividere con lei ben più di un gioco di mani e carezze, ma la possibilità di essere scoperti da un momento all’altro rendeva la cosa impossibile. 
E allo stesso tempo era tutto più eccitante. 
Avevano da poco raggiunto entrambi l’apice dei loro sospiri, quando lei si bloccò di colpo, come se fosse stata scottata. Erano ancora ansimanti e i loro battiti stavano riprendendo un ritmo regolare. 
I loro sguardi si incrociarono, mentre un chiaro rumore di passi segnalò l’imminente arrivo di Lumacorno. 
Si affrettarono a rivestirsi e, quando Lumacorno spalancò la porta, Draco era tornato al suo posto e la Weasley aveva la testa immersa nell’armadio degli ingredienti.
Perché non era riuscita a riallacciarsi tutti i bottoni in tempo.
 

 
OGGI
Ginny
Non sapeva da quanto tempo Malfoy se ne fosse andato. 
In quella cella il tempo sembrava non passare mai. 
Non sapeva che ore fossero, che giorno fosse. 
Chissà dove erano gli altri dell’Ordine. 
Chissà cosa stavano facendo. 
Chissà in quale posizione era la sua lancetta nell’orologio della cucina. 
Chissà se Malfoy si ricordava di quando… 
Sospirò, appoggiandosi di nuovo con la schiena a terra. 
Le girava la testa. 
Rivederlo le aveva suscitato delle emozioni che aveva tentato di seppellire. 
Ma la verità era che non si poteva smettere di amare. 
Le pizzicarono gli occhi e si sentì una stupida. 
Perché anche solo per un istante aveva pensato che l’avrebbe voluta aiutare. 
Che forse non era cambiato del tutto.
Che forse c’era ancora speranza. 
Che forse quello scorcio di anima che aveva intravisto c’era davvero. 
Eppure, ciò che era scattato tra loro era così… reale.
Non era stato frutto di una sua fantasia. 
Possibile che se ne fosse già dimenticato?
Quando si era avvicinato a lei, le era tornata un’improvvisa voglia di baciarlo ancora una volta. 
Quegli occhi grigi le avevano trapassato l’anima fino a renderle impossibile respirare. 
Avrebbe voluto strapparlo dai suoi sogni per renderlo reale. 
Socchiuse gli occhi e quando sentì dei passi avvicinarsi di nuovo, li riaprì di scatto. 
Malfoy era tornato. 
Reggeva tra le mani una provetta di quella che sembrava essere essenza di dittamo e qualche altra cosa che non riuscì ad identificare. 
In silenzio si inginocchiò di nuovo accanto a lei. 
Ginny tentò di sollevare il busto, ma lui depositò una mano sulla sua spalla per tenerla ferma. 
I loro occhi si incrociarono e il suo respiro accelerò involontariamente. 
“Tirati su la maglia” le ordinò, pacato. Lei eseguì, scoprendosi l’intero ventre fino ad arrivare sotto al reggiseno. “Brucerà”.
“Lo so” rispose semplicemente, mentre lui applicava delle gocce di pozione curativa sulla ferita. Bruciava da morire.
Le diede qualcos’altro da bere, dall’aspetto disgustoso. Lo guardò con sospetto. 
“È per rimetterti in forze. Ci ho messo un po’ perché l’ho dovuta preparare” le spiegò, come se dovesse giustificarsi in qualche modo. Quella piccola premura le diede una leggera fitta allo stomaco. 
“Giusto, sei sempre stato bravo in Pozioni” rivelò i propri pensieri ad alta voce e se ne pentì all’istante. Lui fece saettare lo sguardo nel suo, ma non disse una parola. Così, per distogliersi da quel momento, afferrò il bicchiere e bevve tutto d’un fiato. “Sicuro di non avermi avvelenato, Malfoy?” gli chiese e lui sogghignò. 
“Non per il momento” con un panno umido le pulì la ferita, delicatamente. I suoi polpastrelli sfiorarono la pelle del ventre e lei sussultò, ma non per il dolore. 
Lui se ne accorse, ma ancora una volta non disse niente. 
Mise altre due gocce di essenza di dittamo sulla ferita.  
“È molto profonda, quindi non basterà. Ma dovrebbe essere sufficiente per consentirti di Smaterializzarti”.
“Smaterializzarmi?” Ginny lo guardò, senza capire. 
Lui fissò lo sguardo nel suo. 
“Il Signore Oscuro desidera vederti”.
Deglutì.
Non era mai stata tanto terrorizzata come in quel momento. 




Commento dell'autrice: spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Tra una settimana dovrei riuscire ad inserire anche il nuovo.
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!!
Grazie a chiunque abbia letto fino qui :)
Alyssa

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
OGGI
Draco
La ferita aveva un aspetto decisamente migliore. 
Ma i suoi occhi tradivano ancora diffidenza e paura. 
Le aveva sfiorato la pelle mentre la medicava e una scossa elettrica che non provava da tempo gli aveva risvegliato qualcosa. 
O forse non si era mai assopito del tutto. 
“Riesci ad alzarti?” le domandò infine. 
“Credo di sì” rispose lei, piantandogli di nuovo lo sguardo diffidente sul volto. “Perché?”
“Dobbiamo uscire da questa gabbia” ricambiò lo sguardo e strinse i denti. “Dentro le prigioni la magia non funziona” le spiegò, guardandola mentre afferrava le sbarre e faceva leva per tirarsi su. 
Non gli avrebbe mai chiesto aiuto, lo sapeva. 
Era troppo orgogliosa per farlo. 
Le fece strada e attese che lo raggiungesse. Faceva ancora un po’ fatica a camminare, ma il suo passo era fermo e deciso. 
Il suo broncio rivelava che era del tutto intenzionata a non crollare. 
All’apparenza sembrava sicura di sé, ma il leggero tremore delle mani tradiva una certa agitazione.
“Aggrappati a me” le ordinò, una volta che si trovarono nei pressi delle scalinate di pietra. Lo guardò.
“Perché?”
Draco ricambiò lo sguardo. “Non sei ancora in grado di Smaterializzarti da sola” il solo pensiero di poterla toccare gli contorse lo stomaco. “Quindi temo che dovrai fidarti”. 
Per un attimo infinito si scrutarono attentamente. 
Ora era davvero troppo vicina per ignorarla. 
Se solo avesse potuto… 
Ma non poteva. 
“Dove…” la vide esitare, ma solo per un istante. “Mi vuoi portare ora da lui?” sgranò leggermente gli occhi. Probabilmente non si aspettava che sarebbe accaduto così in fretta. 
“No, non subito” la rassicurò con tono freddo e distaccato. Ormai era molto abile a dissimulare le proprie emozioni. O forse negli ultimi due anni non ne aveva mai provate. “Aggrappati a me, Weasley, non amo ripetermi”.
“Con quale coraggio mi chiedi di fidarmi?” lo sguardo di Ginevra tradiva un vortice di emozioni a lui incomprensibili. Un misto di paura, rabbia, disprezzo, coraggio e forse anche qualcos’altro che non riuscì bene a identificare. 
“Non te lo sto chiedendo. Te lo sto imponendo” rispose, mantenendo le distanze ed evitando di guardarle le labbra. 
“Allora imponimelo, Malfoy” il suo sguardo arrabbiato avrebbe potuto lanciare fuoco. Lo stava sfidando. Trattenne un sogghigno. 
Dio, quanto le era mancata. 
“Lo hai voluto tu, Weasley” senza darle il tempo di capire cosa stesse per succedere, la sollevò tra le braccia. Lei trattenne il fiato per la sorpresa. 
E forse anche per qualcos’altro. 
Smise di divincolarsi quasi subito e si aggrappò alla stoffa del suo mantello.
Lui sentì una familiare morsa allo stomaco. 
E no, non era perché si era appena Smaterializzato. 
 
 
Ginny 
Riaprì gli occhi e si trovò in un luogo che non riconobbe. 
La luce artificiale accecava i suoi occhi ormai abituati alle tenebre. 
Respirava il suo profumo.
Avrebbe voluto dormire lì, tra le sue braccia. Era così piacevole il calore del suo corpo.
Le sue mani la stringevano ancora facendole contorcere lo stomaco. 
Dio, quanto le era mancato. 
“Sto per rimetterti giù” la avvertì con un tono distaccato che la fece rabbrividire. 
Annuì.
Quando depositò i piedi per terra le venne uno strano formicolio al corpo.
Era ancora debole.
“Che posto è questo? Dove ci troviamo?” Si guardò intorno, curiosa e allo stesso tempo agitata. Sembrava una specie di buia, tetra e oscura infermeria. Minuscola e con un letto soltanto.
“È solo un posto come un altro dove curiamo i feriti” le spiegò con tono annoiato. “Mi hanno dato l'ordine di portarti qui, per poterti rimettere in forze”.
“Volete curarmi, prima di uccidermi?” cercò di tirare fuori tutto il sarcasmo che le era rimasto nelle vene. “Dio, pensavo che con gli anni i vostri cervelli si fossero evoluti” appoggiò una mano su un materasso, perché stare in piedi non era così semplice come aveva pensato.
Malfoy le voltò le spalle per indicarle il letto, ignorando il suo commento. Poi, tornò a fissarla negli occhi.
“Domani all’alba verrò a prenderti” le disse con quel tono freddo e distaccato. “Fossi in te, metterei via il sarcasmo e concentrerei le energie sul riposo”.
Ginny alzò gli occhi al cielo e raggiunse quel letto orribile che le aveva indicato. Beh, sempre meglio che un freddo pavimento di pietra. Stava per ribattere qualcosa, ma lui la precedette. 
“Ah, e prima che ti venga in mente di fare qualche stronzata…” affondò le mani in tasca e fissò gli occhi nei suoi. “Ci sono miliardi di incantesimi di protezione, perciò se provi a scappare lo sapremo”.
Ginny incrociò le braccia al petto. “Sì, beh, me lo ero immaginato” replicò, tanto per non lasciargli l'ultima parola. Scrollò le spalle, infastidita. Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma uno strano silenzio cadde su di loro. 
Non sapeva neppure che ore fossero, ma siccome dal minuscolo lucernario entrava buio pesto, non dovevano mancare molte ore all'alba.
Malfoy le fece ingurgitare un'altra pozione dal sapore stomachevole, poi se ne andò prima ancora che avesse il tempo di deglutirla. 
La serratura del portone scattò con un rumore sordo, rimbombando fin dentro al suo cervello.
Era sola, di nuovo.
Probabilmente, Malfoy aveva l'ordine di restare a sorvegliare fuori da quella porta blindata.
Il profondo silenzio, interrotto solo da qualche goccia di pioggia che batteva sul vetro sottile, pesava sul suo stomaco facendola soffocare.
Si stese, dubitando che sarebbe mai riuscita a prendere sonno.
 
IERI
Draco
Si svegliò di soprassalto, lo stomaco contorto come se qualcuno lo stesse strizzando con forza. 
La testa gli pulsava terribilmente. 
Maledisse se stesso, suo padre e la sua vita per avergli regalato quell’incarico. 
C’era stato un tempo in cui si era sentito onorato. Potente. Invidiato. Irraggiungibile. 
Nelle ultime settimane, invece, la situazione gli stava sfuggendo di mano. 
Non si sentiva all’altezza.
Sapeva di doverlo fare, ma forse una parte di lui non lo voleva davvero. 
Forse era solo uno smidollato, come gli aveva ricordato suo padre qualche giorno prima.
Non lo sentiva spesso, da quando era stato rinchiuso ad Azkaban, in seguito alla battaglia scatenata nell’Ufficio Misteri. 
E ora si ricordava il motivo.
Le parole della Weasley gli riecheggiavano ancora nelle orecchie, serpeggiando tra i suoi silenzi. 
Sono convinta che tu sia più di quello che si vede.
Quella frase aveva la capacità di rivoltargli le budella fino a dargli il vomito. 
Ma che diavolo voleva saperne lei, di ciò che era lui?
Lui era un maledetto stronzo egoista e nient’altro. 
Si era sempre limitato a seguire gli ordini di suo padre e fare tutto ciò che gli faceva comodo per campare bene. 
E questo ti sembra vivere bene?, gli chiese quella vocina che, nella sua testa, aveva assunto il tono di voce della Weasley. 
Basta.
Tirò un bicchiere contro il muro. Si spaccò.
Il borbottio di Tiger gli fece capire di non averlo svegliato. 
Si alzò dal letto, incapace di riaddormentarsi e troppo irrequieto per stare fermo. 
Percorse i corridoi che ormai conosceva come le sue tasche. 
Le prime luci dell’alba rendevano quel castello ancora più spettrale di quanto già non fosse, ma a lui piaceva. 
Aveva sempre amato la solitudine.
Si nascose nel luogo che ultimamente aveva iniziato a frequentare spesso, sperando quel giorno di concludere qualcosa. 
La Stanza delle Necessità. 
 
“Questa sera avete alcuni compiti molto speciali” Lumacorno li guardava estasiato con un sorrisetto divertito sulla bocca. Gliel’avrebbe voluto spaccare con una fattura. O una maledizione.
Quanto era irritante. Noioso. Moscio. 
Il professore si alzò in piedi per dirigersi all’armadietto e la sua pancia oscillò, facendolo inorridire.
“Dovrete andare nelle serre di Erbologia a raccogliere personalmente alcuni ingredienti fondamentali” annunciò con tono soddisfatto. Lasciò cadere il silenzio. Forse si aspettava una sorta di reazione da parte loro, ma nessuno dei due soddisfò le sue aspettative.
Era l’ultimo venerdì di punizione. 
Draco sbuffò, irritato.
Gli ultimi due venerdì erano stati terribilmente noiosi. Lumacorno li aveva lasciati da soli per poco più di mezz’ora, durante la quale erano riusciti a malapena a scambiarsi qualche insulto frizzante. 
E nient’altro. 
E Draco fremeva per poter assaggiare di nuovo quelle maledette labbra. 
Forse era anche quella mancanza a renderlo così irrequieto.
Dio santo, doveva essere impazzito. 
La voce di Lumacorno che ordinava loro di andare a raccogliere una decina di Bulbi Balzellanti e qualche Geranio Zannuto per ultimare alcune Pozioni lo distolse da quei pensieri a dir poco imbarazzanti. 
Non riusciva a togliersi dalla testa quel giorno. La sua pelle morbida tra le dita, i suoi gemiti soffocati nelle orecchie… 
No
Scacciò via quelle immagini fin troppo nitide e si concentrò sul presente. 
Lumacorno terminò il suo breve discorso di incoraggiamento, prima di liberarsi di loro con un rapido saluto. 
A quanto pareva, non aveva la benché minima intenzione di accompagnarli sotto la bufera di neve che si stava scatenando fuori.
 
Quella sera faceva molto freddo e la bufera impediva alle loro voci di raggiungersi, nonostante fossero a pochi metri di distanza.
Meglio così, la sua voce lo irritava. 
La neve si appoggiava gelida sulla sua faccia, facendolo rabbrividire.
Erano quasi arrivati alle serre, quando una voce forte e tonante li fece sobbalzare entrambi, cogliendoli di sorpresa.
“Ehi! Non avete il coprifuoco, voialtri?” Era quel ritardato di Hagrid. La feccia della feccia. Draco si chiese come mai ad Hogwarts raccattassero proprio ogni scarto umano. Era talmente concentrato a guardarlo con disprezzo, che si perse la risposta della Weasley. 
Il patetico guardiacaccia insistette per accompagnarli, vista l’ora. La Weasley provò a convincerlo a non farlo, ma non ci fu verso. Il troglodita aveva intenzione di continuare a fare come cazzo gli pareva. 
Prima di lasciarli andare, Hagrid guardò Malfoy, che ricambiò lo sguardo, usando l’espressione più gelida che riuscì a trovare.
L’analfabeta se ne andò, lanciando un ultimo sguardo preoccupato alla Weasley. 
 
Ginny
Si guardò intorno, stringendosi nel mantello. Era il penultimo venerdì di febbraio e la neve ricopriva i prati di Hogwarts come un soffice mantello. Era letteralmente annegata a causa di quella terribile tempesta. 
Sospettava che Lumacorno li avesse mandati fuori solo per far loro un dispetto. 
Si chiuse la porta della serra alle spalle e lasciò una piccola pozza di acqua gelida sotto di sé.
Si tolse il mantello pesante e pieno d’acqua e lo depositò da qualche parte. 
Vide Malfoy fare altrettanto e tirare fuori la bacchetta per usare un piccolo incantesimo per asciugare i suoi abiti. Lo imitò. Per un po’ non dissero niente, poi Ginny non resistette più e liberò i propri pensieri. 
“Perché devi proprio essere così stronzo?”
I suoi occhi grigi si spostarono lentamente su di lei, il sopracciglio alzato nell’espressione di superiorità che amava sfoderare contro gli altri.
“Devi avermi scambiato per uno a cui frega qualcosa del tuo inutile giudizio, Weasley” fu la sua risposta lapidaria. 
Si innervosì ancora di più e gli puntò la bacchetta contro. Ignorò il suo commento e tornò al punto principale della questione. Malfoy non la degnò neppure di uno sguardo, continuando con le proprie occupazioni con aria annoiata. 
“Che ti ha fatto Hagrid per essere trattato così da te?”
Malfoy scoppiò in quella sua risata fredda e senza sentimento. Sembrava incredulo. La sua reazione la irritò ancora di più. “Ti credi tanto superiore, Malfoy, ma sei solo un essere umano come tutti gli altri, fatto di carne, ossa e sangue”. 
Sputò le parole con rabbia. Lo odiava. Non solo per quello che era, ma anche perché, nonostante tutto, continuava ad essere attratta da lui. 
Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che pensare… 
No.
“Non capisco perché te la prendi tanto” finalmente depositò lo sguardo su di lei. “È solo uno zotico”.
Sputò quella parola con aria di sfida, con la chiara intenzione di provocarla. 
E lei cedette, come da manuale.
Gli scagliò contro una fattura, perché voleva dargli una bella lezione. 
Voleva togliergli di dosso quell’aria da principino di cui era solito contornarsi. 
Voleva dimostrargli che nessuno è superiore a nessuno.
E soprattutto, voleva difendere Hagrid, che aveva un cuore grande e buono e non si meritava l’odio di un cretino come lui.
Malfoy volò dall’altra parte della serra, finendo in mezzo ad un Bubotubero. Uno spruzzo di pus verdognolo si riversò sulla sua divisa perfettamente stirata e Ginny scoppiò a ridere, divertita da quella scenetta.
La risata cacciò momentaneamente la rabbia che provava verso di lui, almeno fino a quando non lo vide rialzarsi e puntarle la bacchetta contro a sua volta. 
“Ti credi ancora superiore, principino del cazzo?” lo provocò. 
Senza risponderle, le scagliò contro un incantesimo che la fece volare a sua volta contro un vaso contenente qualcosa di non chiaramente identificabile che la ricoprì di terra e foglie. 
“E tu hai ancora voglia di giocare alla paladina della giustizia ora?” le rispose, avvicinandosi per guardarla dall’alto in basso.
Ginny scattò immediatamente sull’attenti e per un po’ si limitarono a guardarsi l’un l’altro, puntandosi le bacchette contro. 
Non riuscì a capire chi dei due scattò per primo, ma in breve tempo, lampi di luci colorate iniziarono a scaturire da entrambe le bacchette ad una tale velocità che era quasi impossibile identificarli tutti.
Ginny parò il terzo colpo di seguito e sorrise d’istinto. 
Improvvisamente, si sentì di nuovo viva. L’adrenalina le scorreva nelle vene, il cuore palpitava, l’energia magica le faceva rizzare i peli sulla nuca ogni volta che le passava accanto. 
Cazzo, si stava divertendo. 
 
Fu Malfoy a fermare tutto. 
Ad un certo punto era balzato in avanti, distraendola e, con un colpo secco e rapido, l’aveva disarmata. Come una fottuta pivella.
A dispetto di quanto si sarebbe aspettata, non la contrattaccò più.
Guardò velocemente le mani di Malfoy che reggevano le bacchette, le stesse mani che qualche settimana prima l’avevano toccata, regalandole emozioni così intense da toglierle il fiato.
Lo guardò nascondere entrambe le bacchette in tasca, insieme alle sue mani. Quel pensiero evaporò.
Avevano ancora il fiato corto quando incrociarono gli sguardi. 
Ginny cercò di trattenere un sorriso che faceva a botte per uscire fuori.
Ci riuscì, mordendosi un labbro.
Lui sogghignò e lo stomaco le rimbalzò in gola.
Dio santo, era così debole di fronte a lui.
La rabbia che provava nei suoi confronti era scomparsa, lasciando il posto a qualcos’altro.
Qualcosa di strano e non identificabile.
Un’oscura attrazione la spinse a fare un passo verso di lui.
Quel silenzio elettrico ormai familiare avvolse lo spazio che li separava. 
Voleva baciarlo.
Lo desiderava come se fosse necessario per continuare a respirare.
Malfoy fece qualche passo in avanti, le mani ancora in tasca.
Improvvisamente le afferrò i fianchi per avvicinarla e lei lo lasciò fare, impaziente.
Il suo corpo fremeva per avere un contatto, fremeva per sentire le sue mani toccarle di nuovo la pelle nuda e delicata.
E lui se ne accorse, perché sogghignò di nuovo e si chinò su di lei, con l’intento di baciarla.
Fu in quel momento che un’ondata di freddo raggelò loro le ossa e furono costretti a riscuotersi. Si guardarono intorno, allontanandosi. Ma non c’era nessuno.
Probabilmente, era stato solo uno stupido colpo di vento.
Lui con un incantesimo richiuse la porta e, in un comune accordo silenzioso, si misero al lavoro per adempiere ai compiti di Lumacorno.
Un senso di frustrazione la accompagnò per tutto il resto del tempo.
 
Dopo aver rischiato per ben cinque volte di farsi mordere da un Geranio Zannuto particolarmente arrabbiato e aver preso qualche botta da alcuni Bulbi Balzellanti, finalmente erano pronti per uscire da quella maledetta serra. 
Quasi come se li avesse sempre tenuti d’occhio, in quel momento comparve Hagrid. 
“Oh, no, non di nuovo” borbottò Malfoy senza farsi sentire da lui. Ginny gli lanciò un’occhiata gelida, che tuttavia non gli tolse quell’espressione di superiorità dalla faccia. 
Forse, avrebbe dovuto sferrargli un pugno. 
La figura gigantesca di Hagrid copriva quasi tutta la porta. Aveva la barba e i capelli pieni di neve, ma il sorriso trasmetteva il solito calore. 
“Avanti, vi devo scortare al castello” mosse la manona gigante nella loro direzione. “Il professor Lumacorno non c’aveva voglia di uscire al gelo, così ho detto che ci sarei venuto io, da voi” la sua voce tonante ebbe l’effetto di scaldarle il cuore come una pioggia di lava. “Ha detto che dovete mettere tutti gli ingredienti al loro posto, controllerà domani. È tardi, dovete filare subito nei vostri dormitori” scrutò entrambi attraverso quegli occhi scuri come braci e ardenti di affetto per lei.
Ginny tentò di dissuaderlo ma, esattamente come prima, era fermamente intenzionato a scortarli personalmente. 
“Non è tempo per aggirarsi da soli di notte. Neppure ad Hogwarts” era un tono d’avvertimento e, a quelle parole, uno spiacevole brivido le scese lungo la schiena. Cercò di non farsi prendere da pensieri spiacevoli su Voldemort, la guerra o la sua famiglia che non era lì con lei. A volte, quando era con Malfoy, si dimenticava di tutto il resto.
Malfoy sbuffò sonoramente e Hagrid lo guardò male. 
“Qualche problema?” gli domandò con aria di sfida, ma Malfoy si limitò a superarlo oltre la porta, senza aggiungere altro. 
Ginny lo imitò e Hagrid li seguì nella notte. 
La tempesta si era placata, ma la neve non era intenzionata a rallentare la sua discesa.
Per molti minuti gli unici suoni che li accompagnarono furono quelli emessi dai loro stivali, che affondavano nella neve fresca, passo dopo passo.
Camminava già da un po’, quando lo sentì. 
Un improvviso brivido freddo le corse giù per la schiena.
Una strana sensazione di angoscia le prese le budella.
Stranita, si guardò intorno, senza vedere nulla.
Eppure, le era sembrato di percepire qualcosa di strano.
Probabilmente, era solo una sua sensazione.
Incrociò lo sguardo di Hagrid, che le sorrise.
Cacciò via l’inquietudine e proseguì il cammino. 
 
Draco
Il troglodita li aveva scortati fino alla porta di ingresso e se ne era andato. 
Bene
Dovevano solo portare gli ingredienti nell’aula di Pozioni, finire di sistemare quelle dannatissime provette e finalmente quella farsa sarebbe finita.
Anche se, forse, un po’ l’idea di non rivedere più la Weasley ogni venerdì… 
No. Diamine, no
Non aveva idea di che ore fossero, ma probabilmente era notte inoltrata. A quanto aveva capito dall’analfabeta, Lumacorno se ne era andato a dormire, fregandosene bellamente della loro punizione.
Che razza di deficiente.
Se solo mio padre sapesse come mi hanno trattato…
Cacciò via il pensiero. Forse a suo padre in quel momento non poteva fregare di meno. L’unica cosa a cui suo padre era veramente interessato era quella dannatissima missione. 
“Malfoy, hai preso tu i Bulbi Balzellanti dalla serra, vero?”
“No, Weasley, era tuo compito” le rispose, sentendo già salire l’irritazione. Chiuse la porta dell’aula di Pozioni alle sue spalle: non aveva voglia di attirare l’attenzione di Gazza o, peggio, di Pix.
“Veramente, li avevo dati a te…” aveva sempre la risposta pronta, anche quando era in palese torto. 
Dio, era insopportabile.
E voleva baciarla di nuovo da morire. 
Ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. 
“Forse se non fossi stata così presa dalle tue inutili chiacchiere con quel babbeo…”
“Oddio, Malfoy, sei irritante quanto uno Schiopodo Sparacoda” si piantò davanti a lui, con il suo tipico sguardo di sfida e la sua aria orgogliosa da Grifondoro. Incrociò le braccia al petto. “Credi che essere diversi sia uno svantaggio, ma non hai capito proprio niente. Ma essere diversi è una risorsa, non un limite”.
Lei e le sue dannatissime perle di saggezza. Ma chi diavolo si credeva di essere? 
Suo padre gliel’aveva insegnato fin da piccolo, che quelli che non erano come loro andavano compatiti. Che erano sfortunati. Che erano feccia e non si meritavano niente.
“E questo cosa diavolo significa?” le rispose, giusto perché non sapeva che altro dire. “Se mi vuoi dire che siamo tutti uguali, beh, ti sbagli di grosso. E ora smettiamola con queste stronzate da Tassorosso”.
La Weasley sbuffò, ma la sua espressione non esprimeva più ostilità. La cosa lo stranì. Sembrava quasi che stesse combattendo contro l’istinto di scoppiare a ridere. Ma alla fine non rise.
“Sei proprio strano, Malfoy” lo redarguì, ma ogni traccia di odio era scomparsa dalla sua voce. “Certo che siamo tutti diversi. Ma non è forse questo il bello?” 
Lui sbuffò.
“Weasley, smettila di parlare come un indovinello del Cavillo e spiegati” stava perdendo la pazienza. Odiava girare intorno alle cose. Lei sospirò, assumendo un’espressione da ebete che doveva essere probabilmente riflessiva. Quasi le scoppiò a ridere in faccia, ma per fortuna si trattenne. 
Si appoggiò a una sedia alle sue spalle. “La diversità ci permette di migliorarci, imparando dagli altri. E se ti togliessi quegli assurdi pregiudizi che ti hanno inculcato, forse riusciresti ad essere finalmente libero”.
“Libero?” alzò un sopracciglio, scettico. Ma che diavolo stava farneticando? Lui faceva sempre quel diavolo che gli pareva. Se non era libertà quella, allora non sapeva proprio che accidenti fosse. “Io sono la persona più libera che esista, Weasley e non prendo ordini da nessuno”. Concluse, ma nel momento esatto in cui pronunciò quella frase, gli balenò davanti alla faccia l’immagine del Signore Oscuro. Vacillò. Era davvero libero come aveva sempre creduto di essere? Oppure era solo un’assurda mania di grandezza che gli aveva inculcato suo padre? Non riuscì ad aggiungere altro, perché una strana sensazione si impossessò delle sue viscere, quindi si limitò ad ascoltare le parole della Weasley che lo colpirono ancora in quel punto che già sanguinava.
“Ah no?” rizzò la schiena per guardarlo negli occhi. “Neppure da tuo padre?” fece un passo verso di lui, guardandolo con un sorriso di vittoria che lo irritò da morire. Gli venne voglia di prenderla a schiaffi. “Buffo, perché mi sembri la persona più incatenata in se stessa che io abbia mai conosciuto” lo fissò negli occhi. “Ti credi libero, ma non lo sei. Ti credi superiore, ma hai lo stesso valore di tutti gli altri. Sì, è vero, siamo tutti diversi, ma se tu scendessi dal piedistallo su cui ti hanno posato fin da quando hai emesso il primo vagito, ti renderesti conto che la diversità non è una debolezza” fece una piccola pausa, ma non aveva ancora finito con lui, infatti continuò. “E se tu ammettessi la diversità, allora saresti finalmente libero, perché riusciresti ad essere chi vuoi essere senza doverti piegare alle aspettative altrui. È questo che intendo con libertà, piccolo riccastro viziato che non sei altro” concluse la sua arringa. 
Per un attimo perse il fiato.
Aveva ragione?
Aveva torto?
In ogni caso, non poteva lasciarle la vittoria in pugno, infatti parlò. 
“E tu invece?” la provocò, facendo un passo verso di lei. “Ti credi tanto libera, eppure guardati. Stai con San Potter solo perché ormai è la cosa più scontata da fare, perché tutti si aspettano questo da te, perché non vuoi ferire i suoi sentimenti delicati come un petalo, senza avere le palle di mandarlo a fare in culo, quando la verità è che ti annoia da morire”. La guardò dall’alto verso il basso. “Sei intrappolata nella figura da brava Grifondoro perbenista che non ferisce gli altri, se non i cattivi Serpeverde. Questa la chiami libertà?” alzò le sopracciglia, ma non aveva ancora finito con lei. “Ti fai andare bene le cose perché è la strada corretta, o almeno questo è quello che pensano tutti. Tutti tranne te, giusto?”
Fu il suo turno di rimanere senza fiato e lui gongolò momentaneamente. 
Ma la gioia di averla ferita durò solo un breve attimo.
Erano così diversi?
Erano così simili?
Si guardarono per un lungo istante con aria di sfida. La tensione salì alle stelle.
Draco non sapeva se essere più irritato, incazzato, nervoso o eccitato dalla sua presenza. 
Dio, quanto la odiava. Lei e le sue maledette lezioni di vita, che lo costringevano a mettere in discussione tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento.
Lei e le sue maledette perle di saggezza, che lo obbligavano a guardarsi allo specchio e smontare mattone per mattone tutto ciò che aveva costruito, tutto ciò che pensava, tutto ciò che possedeva, tutti i princìpi che aveva sempre perseguito.
Lei e quelle maledette parole che gli sputava contro, perché facevano male.
Lei e quei suoi maledetti occhi azzurri che gli toglievano il fiato.
Lei e quelle sue labbra che bramava come se fossero l’ultimo goccio di acqua in un deserto.
Lei e quelle maledette mani, che voleva sentirsi di nuovo addosso.
La odiava da morire.
Era ancora indeciso se Schiantarla o baciarla, quando lei prese la decisione per entrambi. 
“Ora è meglio andare a recuperare quei Bulbi Balzellanti, prima di cacciarci in guai ancora peggiori” disse con uno strano tono, quasi spento, che non le si addiceva per niente. Sembrava quasi che stesse per trattenere le lacrime e Draco inorridì. L’aveva ferita così tanto?
Voleva ferirla, è vero, ma più di tutti voleva aprirle gli occhi. 
E poi, aveva iniziato lei quello scambio, quindi se lo era meritato.
E allora perché si sentiva così da schifo?
Non disse più una parola, seguendola fuori dall’aula.
Avrebbe anche potuto farla andare da sola dicendole che era stata tutta colpa sua e doveva rimediare, ma per qualche assurdo motivo non voleva lasciarla andare da sola, di notte, fuori dal castello.
 
"Cos'è questo freddo?" la voce della Weasley interruppe quel piacevole silenzio. Era logico che non sarebbe riuscita a stare zitta per più di dieci minuti. Alzò gli occhi al cielo. Aveva in tasca quei maledetti Bulbi Balzellanti ed erano già sulla strada del ritorno, tra la Foresta Proibita e il castello.
"Forse la neve? Forse l'inverno?" le rispose, sarcastico, senza fermare il cammino. "Non saprei, Weasley, un quesito difficile..."
"Taci, Mafoy" gli rispose, bloccandosi a metà, la neve fino alle ginocchia. "Non intendo quello". Si guardò intorno, stringendosi le braccia al petto. "Non la senti? Questa strana sensazione...?" lasciò cadere la frase. Fu in quel momento che la luna venne oscurata e il buio inghiottì quel poco di luce che illuminava il loro cammino. "C'è qualcosa di strano qui" ripeté la Weasley, accendendo la bacchetta. Ma la luce svanì un istante dopo.
Una strana pelle d’oca gli percorse la schiena e Draco istintivamente portò una mano alla bacchetta. Fu a quel punto che vide una sagoma al limitare della foresta. Era qualcosa di fluttuante, qualcosa di oscuro. 
Una strana sensazione di vomito gli venne su dalla gola.
"Che diavolo...?" mise a fuoco e fu a quel punto che lui e la Weasley giunsero alla stessa conclusione.
"Dissennatori!" esclamò la Grifondoro, fiera di aver avuto ragione. 
“Non so perché, Weasley, ma ogni volta che sono con te succede sempre qualcosa di spiacevole” mormorò, sarcastico, prima di voltarsi verso quella sagoma. Adesso erano in tre. 
Fluttuavano verso di loro, come attirati da un’improvvisa fonte di cibo da cui avrebbero voluto trarre nutrimento. Improvvisamente il freddo gli penetrò fin dentro le ossa e gli passò la voglia di fare sarcasmo. Ora capiva perfettamente a cosa si riferiva la Weasley, prima.
Non aveva mai dovuto sperimentare un Incanto Patronus davanti a un vero Dissennatore, ma si era allenato numerose volte, non volendo restare indietro rispetto a Potter. Strinse forte la bacchetta, ma improvvisamente una strana sensazione gli si infilò sotto la pelle, strisciante, viscida. Gli diede un brivido freddo. Vacillò, sentendo la voce della Weasley dire qualcosa, ma lui non la sentì.
La vista si annebbiò. Dio, ma che diavolo gli stava succedendo?
Improvvisamente una serie di immagini spiacevoli gli fece perdere il fiato. Vedeva le figure avvicinarsi in sottofondo, ma un muro bianco gli impediva di concentrarsi sul presente.
La sua mente volò altrove.
Suo padre che gli confidava la missione che voleva assegnargli il Signore Oscuro. Suo padre dietro le sbarre. Suo padre che gli scagliava contro la maledizione Cruciatus. Sua madre che piangeva. Quelle dita bianche e gelide che lo facevano rabbrividire. E poi, una serie di parole e immagini sfocate.
E alla fine, il buio gli oscurò la vista.
 
 
Ginny
Guardò quelle figure avvicinarsi fluttuando e una strana sensazione le annodò lo stomaco. Non si era mai ritrovata faccia a faccia con un Dissennatore e, soprattutto, non aveva mai dovuto compiere un Incanto Patronus davanti a un Dissennatore reale. E quelli erano ben tre. 
Tre dannatissimi Dissennatori. 
Ma dov’era Hagrid quando serviva?
Aveva paura, sentiva freddo, era smarrita.
“Malfoy” lo chiamò. “Forse dovremmo scappare” si voltò verso di lui, ma lo vide pallido, paralizzato. Sembrava che stesse per mettersi a vomitare. “Malfoy!” lo chiamò di nuovo, ma lui non rispose. Non c’era tempo da perdere. Si voltò verso quelle abominevoli creature demoniache e cercò di mettere a fuoco gli insegnamenti dell’ES. 
Poteva farcela.
Doveva farcela.
“Expecto Patronum!” gridò, forte, ma uscì soltanto un flebile fumo biancastro dalla bacchetta. Cercò di non demoralizzarsi, provando a ripetere ancora e ancora l’incantesimo, ma niente. Si voltò verso Malfoy e lo vide riverso a terra.
Una strana sensazione di panico le chiuse la gola. I Dissennatori li avevano raggiunti e il freddo si era fatto intenso, agghiacciante, insopportabile. Avevano accerchiato Malfoy e gli stavano fluttuando intorno. Che gli volevano fare?
Era terrorizzata. 
Cercò di respirare, calmandosi. Doveva pensare a qualcosa di felice. Qualcosa di bello. Si sforzò di richiamare a sé tutti quei ricordi che le mettevano il buonumore.
Svegliarsi la mattina alla Tana con il profumo della colazione. Fred e George che le insegnavano a volare da piccola e la facevano ridere come una pazza. Suo padre che tornava dal lavoro e lei che gli correva incontroBill e Charlie.
Un altro fumo, un po’ più denso di quello di prima, uscì dalla sua bacchetta.
I Dissennatori vacillarono, ma non andarono via.
Presto, pensa ad altro, si disse.
Vide quei capelli biondi stesi per terra, sulla neve, e le venne il panico. 
E se gli avessero dato il Bacio del Dissennatore?
Pensò ai suoi occhi grigi che la guardavano come se la volessero trapassare. Alle sue labbra sottili che la facevano incazzare da morire quando le parlavano. Che la sfidavano. Ma la rendevano anche felice quando la baciavano. Pensò all’ultima volta in cui si erano baciati, alle sue mani su di sé, alla sua lingua dentro la sua bocca. Il calore del suo corpo.
Era stata quella l’ultima volta in cui si era sentita davvero felice?
Fu la sua bacchetta a rispondere, emettendo un fottutissimo Patronus formato.
Un bellissimo cavallo, il suo fedele compagno, come un nobile cavaliere puntò contro i Dissennatori le zampe anteriori.
“Forza!” gridò. Si sentì improvvisamente potente, come un’amazzone pronta a combattere. Scagliò con forza il Patronus contro le creature e, senza neppure prendersi il disturbo di guardare, ancora piena di quella forza si gettò a terra su Malfoy. Gli scosse le spalle.
Il voltò di Malfoy era illuminato dalla luce potente del cavallo luminoso, che cacciava via quegli esseri oscuri, liberandoli dal gelo.
Poi, la luce del Patronus scomparve, lasciandola nuovamente al buio, tremante.
Questa volta era davvero sola.
Con un incantesimo trasportò il corpo di Malfoy. 
Non aveva intenzione di restare lì da sola un secondo di più.
 
Erano entrati nel castello da qualche minuto, quando vide i suoi occhi grigi spalancarsi.
“Che diavolo fai?” le chiese immediatamente. Con un lieve movimento della mano lo rimise giù. Era molto stanca per via di tutta la magia che aveva usato. E lui era ancora molto debole.
“Ti ho appena salvato la vita, Malfoy” replicò. “Un grazie sarebbe stato gradito”.
“Cos’è successo?” posò i piedi per terra e si rizzò in posizione guardinga.
“Hai perso conoscenza. I Dissennatori ti avevano accerchiato, evidentemente ti hanno trovato particolarmente appetitoso” camminarono, senza sapere bene dove andare. Malfoy aveva bisogno di cioccolata per riprendersi e, a dire la verità, avrebbe fatto bene anche a lei. “Con un Patronus sono riuscita a mandarli via e ti ho portato qui” si fermò a metà del corridoio per guardarlo, passandosi una mano stanca sul viso. “Forse sarebbe il caso di andare da Madama Chips”.
“Non ti azzardare” la minacciò. “Conosco io un posto” aggiunse poi, con tono che non ammetteva repliche. Ginny lo guardò e alzò le spalle. Non aveva voglia di litigare di nuovo con lui, era estenuante. Così, si limitò a seguirlo. 
Avevano fatto pochi passi, quando lui si voltò, puntandole lo sguardo dritto negli occhi. 
Quello sguardo la fece tremare. 
“Perché mi hai salvato?” le chiese, serio. Vacillò. La domanda racchiudeva uno strano significato oscuro che non riuscì a comprendere.
“Non avrei dovuto?”
Un istante di silenzio.
“Forse non me lo merito” quella frase le lacerò qualcosa dentro. Cercò di non cadere a pezzi mentre si specchiava in quelle iridi ghiacciate. 
Per un attimo non trovò una risposta adeguata. 
Poi la trovò.
“Tutti si meritano di essere salvati” gli rispose infine. Si guardarono per un lungo istante, ammutoliti.
Poi lui le voltò le spalle ancora una volta, per farle strada.
Nonostante il silenzio, sentì ancora il rumore di qualcosa che si rompeva dentro di sé accompagnarla lungo i corridoi deserti del castello. 
 
“La Stanza delle Necessità?” fu la sua prima parola, una volta giunti lì davanti. 
“Silenzio, devo concentrarmi” fu la risposta di Malfoy, prima di iniziare a passeggiare su e giù con aria riflessiva.
Piacevole, come al solito. 
Quando si formò la porticina sul muro, la prima ad aprirla fu lei. 
Si guardò intorno, incuriosita. Dentro c’era tutto ciò di cui avevano bisogno: un enorme tavolo pieno di cibo e cioccolata, alcune poltrone dall’aria comoda e un bel bagno con una vasca.
Incredibile, la Stanza delle Necessità aveva capito che aveva bisogno di farsi un bagno caldo prima ancora di capirlo lei stessa.
“Ti consiglio di mangiarti della cioccolata, ti farà bene” gli suggerì, memore degli insegnamenti di Lupin, prima di dirigersi verso quel bagno invitante. 
“E tu dove vai?”
“A farmi un bagno” gli rispose semplicemente, chiudendosi la porta alle spalle. Forse ne avrebbe avuto bisogno prima lui, ma se ne fregò bellamente.
 
Uscì dalla vasca gocciolante, riflettendo di non avere un cambio d’abito. Improvvisamente, comparve una divisa pulita da Grifondoro sull’orlo del lavandino. 
Wow, rifletté. Nonostante ci avesse passato molto tempo per via degli allenamenti dell’ES, quella magia non finiva mai di stupirla. 
Si vestì, in silenzio, usando un rapido incantesimo per asciugarsi i capelli, nonostante la stanchezza. Non vedeva l’ora di sedersi su una di quelle belle poltrone invitanti con un pezzo di cioccolata tra le mani. 
Quando uscì dal bagno, per un attimo temette di non trovare più Malfoy. Invece, era seduto su una poltrona, con un libro dalla copertina di pelle scura sulle ginocchia. 
“Ce ne hai messo di tempo, Weasley” la accolse con un ghigno beffardo, segno che si era ripreso. 
Si morse un labbro e lui glielo guardò. 
Voleva baciarlo. Lo desiderava così tanto da far male. 
Ma finse di essere semplicemente seccata dalla sua presenza.
“È il tuo turno, principino dei miei stivali” lo stuzzicò, prima di afferrare una barretta di cioccolata fondente e buttarsi a sua volta su una di quelle comode poltrone.  
 
Draco
Era immerso nell’acqua bollente da almeno dieci minuti.
Voleva scaldarsi le ossa.
Non aveva ancora capito perché non aveva semplicemente mangiato la cioccolata e poi se ne era tornato in dormitorio, invece che starsene lì ad aspettare la Weasley, eppure lo aveva fatto.
Che maledetto bugiardo.
Certo che lo sapeva perché.
Stava ancora aspettando di riscuotere quel bacio che ancora le doveva da prima, quando erano in serra ed erano stati interrotti. 
Si guardò il braccio, dove il Marchio Nero troneggiava sulla sua pelle diafana.
Il segno della sua prigionia.
Perché la Weasley lo aveva salvato?
Eppure, ne era certo: non si meritava di essere salvato.
 
“Fingi di aver imparato a leggere?” le chiese, una volta uscito dal bagno con una divisa finalmente pulita e asciutta. La Weasley stava leggendo qualcosa, sembrava una specie di manuale di Incantesimi. Probabilmente, di primo livello. Anche se, doveva ammettere, l’Incanto Patronus era una magia di livello molto avanzato. Ancora una volta, quella piccola Grifondoro lo aveva stupito.
La Weasley balzò in piedi, ripose il libro e si voltò a guardarlo con quell’aria orgogliosa così tipica di lei.
Lui non distolse lo sguardo.
Grigio contro azzurro.
Ghiaccio contro fuoco.
Serpeverde contro Grifondoro.
“Immagino di doverti ringraziare” mormorò, stranito dalle sue stesse parole. In pochi passi l’aveva raggiunta e si era fermato di fronte. Aveva volutamente ripetuto le parole che gli aveva rivolto lei, quella volta in cui l’aveva salvata dall’attacco di un gruppo di Avvincini, nel Lago Nero.
“Non l’ho fatto per te” gli rispose, ripetendo ciò che lui le aveva risposto in quell’occasione. 
Entrambi sorrisero. 
“Adesso basta giocare” si avvicinò ulteriormente, con il chiaro intento di baciarla. Lei non si scostò. Anzi, al contrario delle altre volte, non tentò neppure di fingere di non volerlo, né gli chiese che diavolo volesse fare.
Si avventò sulla sua bocca e finalmente ritornò a respirare dopo un lungo periodo di apnea.
Non si disturbò neppure a domandarsi perché succedesse sempre così tra loro, né perché la volesse nonostante rappresentasse tutto ciò che aveva sempre ripudiato.
Ormai non gli importava più di chi cazzo fosse.
Lei era una Weasley e lui un Malfoy, e allora?
Forse erano diversi, forse erano uguali.
Forse il loro destino era già stato scritto, forse no.
Forse erano solo un ragazzo e una ragazza come tanti altri.
Non voleva rispondersi a quelle domande. 
Adesso erano lì e tutto ciò che sapeva era che la desiderava ardentemente, come non aveva mai desiderato nessun'altra in vita sua.
La desiderava talmente che non pensava ad altro da giorni. Le sue mani fremevano per toccarla di nuovo e stringerla a sé.
Finalmente incontrò le sue labbra, la sua lingua e sentì il sapore della sua pelle. 
Ed era così buona. 
Non fece in tempo a baciarle il collo che le aveva già sfilato il maglione, lasciandola in camicia. Gliela voleva strappare quella maledetta camicia, per sentire la sua pelle rovente.
Lo fece.
Afferrò i due lembi di stoffa e tirò, facendo saltare qualche bottone. 
Lei trattenne il fiato. Evidentemente non se lo aspettava.
Ma non disse niente. 
Si limitò a guardarlo negli occhi e incurvare le labbra in un sorriso sincero, che si trasformò in una piccola risata di gola.
Qualcosa si mosse dentro di lui. 
Le sorrise a sua volta, prima di sfilarle la camicia e farla scivolare a terra. 
Il reggiseno blu che indossava faceva risaltare i suoi occhi e faceva un perfetto contrasto con i suoi capelli rossi. 
Era bella. 
Quel pensiero fu come un pugno nello stomaco, così per non pensarci si avventò di nuovo su di lei. Quasi si strappò a sua volta la camicia di dosso per riuscire a sfilarsela senza staccare le labbra dalle sue. 
La spinse all’indietro, la voleva sentire addosso.
Dalla spinta lei perse l’equilibrio ed emise una specie di urletto di sorpresa. 
Anche lui trattenne il fiato. 
Sarebbero caduti per terra, ma improvvisamente comparve un letto sotto la schiena della Weasley.
Lei rise di nuovo e lui dovette nascondere la testa nell’incavo del suo collo per non farsi vedere ridere a sua volta. 
Stava così bene lì, così, con lei. 
Avrebbe voluto fermare la sua vita in quel momento perfetto. 
Appoggiò un avambraccio al lato della sua testa per non schiacciarla, mentre con l’altra mano le accarezzava la pelle del fianco e della pancia. Arrivò fino alla chiusura del reggiseno e la sganciò. 
La vide nuda per la seconda volta e stava per perdere la ragione. L’altra volta era buio, aveva fretta e non si era potuto soffermare più di tanto su ciò che vedeva. 
Ma adesso invece aveva tutta la notte a disposizione. 
Improvvisamente, gli venne voglia di rallentare. Le prese il viso tra le mani delicatamente, come se fosse qualcosa di molto fragile e la baciò, lasciandola senza fiato. 
O forse era lui a non averne più.
Voleva gustarsi ogni secondo. 
Voleva assaporare ogni centimetro di quella pelle dolce e delicata. Scese con la bocca sul collo, e poi più giù, fino al seno. 
Lei gli infilò le mani tra i capelli, dandogli un brivido. 
“Draco…” sussurrò il suo nome e a quel punto fu sicuro di non capire più niente. 
La baciò ancora, altre cento, mille volte, fino a perdere il conto.
I loro corpi si desideravano e si cercavano. 
Lei gli tolse i pantaloni e lui glielo lasciò fare, impaziente. 
Poi infilò le mani sotto alla sua gonna, facendole scorrere sulla pelle morbida delle cosce e lei inarcò la schiena, come per chiedergli silenziosamente di spogliarla. 
Voleva farlo, con tutto se stesso, ma prima voleva essere sicuro che anche lei lo desiderasse. 
Non si domandò il perché di quella strana premura. 
“Sei sicura?” incontrò nuovamente i suoi occhi. 
“Sì”.
Qualcosa in quel sì gli diede un’altra strana fitta allo stomaco. 
Trattenne il fiato. 
Non si era mai sentito così agitato all’idea di farlo con qualcuno. 
Gli tremavano le mani quando le sfilò anche gli ultimi indumenti rimasti. 
Dio santo, stava impazzendo.
E gli piaceva da morire. 
 
Ginny
Non si era mai sentita così con nessuno. 
Le tremavano le mani e il cuore le batteva così veloce che lo sentiva risuonare in tutto il corpo, facendola vibrare.
Era completamente nuda sotto di lui e, al contrario di quanto si sarebbe aspettata, non provava il minimo imbarazzo. Solo puro desiderio. 
Fece scivolare una mano tra i capelli perfetti di Malfoy, spettinandoli. 
Gli accarezzò le spalle, poi la schiena. Sentì i suoi muscoli tendersi sotto ai polpastrelli.
Si spostò di nuovo sulle spalle, sul collo.
Con la mano scese fino all’avambraccio sinistro, dove quel simbolo nero per un attimo le aveva fatto trattenere il fiato. L’ultima volta in cui si erano spogliati era buio e non lo aveva notato, ma questa volta eccolo lì, che spiccava come uno schiaffo su quella pelle altrimenti perfetta e immacolata. Cosa implicasse tutto ciò, non voleva neppure domandarselo.
Lo sfiorò delicatamente, seguendone i contorni con un dito, come se fosse una ferita che ancora sanguinava.
Lui trattenne il fiato ma non si ritrasse, poi sollevò lo sguardo su di lei.
La guardò come per sfidarla a dire qualcosa, eppure, dietro a quel muro grigio vide una punta fragilità.
Era un Mangiamorte, ma sentiva che non le avrebbe mai fatto del male.
Non gli disse niente.
I loro respiri si mescolarono fino a diventare un bacio.
Un altro di quei mille baci che si erano scambiati quella sera per esplorarsi e, forse, per imparare a conoscersi un po’. 
Alzò di nuovo lo sguardo su quel grigio che aveva la capacità di farla vacillare come nient’altro e si sentì come se improvvisamente le mancasse l’aria. 
Lui ricambiò lo sguardo con un’intensità tale da farla catapultare in un’altra dimensione. 
Era bello. 
Ormai era inutile negarlo a se stessa. 
Lo desiderava da morire e desiderava ogni cosa di lui. 
Nonostante rappresentasse tutto ciò che aveva sempre disprezzato, nonostante la irritasse da morire, ne era attratta come una calamita con il suo opposto. 
Non le importava più niente di chi fosse e di ciò che rappresentava. Senza la divisa e senza il suo cognome, restava solo un ragazzo come un altro. 
E lei era solo una ragazza come un’altra, che stava per farlo con qualcuno che le piaceva. 
Dio santo, le piaceva
Quel pensiero le attorcigliò lo stomaco. 
Non sentiva nient’altro a parte le sue labbra che baciavano lentamente ogni centimetro del suo corpo, come se volessero assaporarla, le sue mani che la accarezzavano e i suoi capelli che le solleticavano il collo. 
Improvvisamente esistevano solo loro due, in quell’attimo perfetto e tutto il resto scomparve. 
La guerra, la loro diversità, il Marchio Nero, Hogwarts, tutto il mondo era sparito ed erano rimasti solo loro due, i loro baci, le loro carezze e quel letto che faceva da testimone a quell’atto di follia. 
Si sorprese a desiderare che quel momento durasse per sempre.
“Sei sicura?” le chiese di nuovo. La sua voce era roca e calda. Aveva posato una mano sul suo viso per costringerla a guardarlo.
Lei annuì silenziosamente. Non ebbe il fiato di pronunciare ad alta voce quella sillaba.
Si sentiva impaziente e allo stesso tempo agitata.
Era impazzita e non riusciva più a ragionare.
Le sue emozioni erano onde del mare che si infrangevano sugli scogli. 
Potenti, agitate, inarrestabili.
Non staccò lo sguardo da lui, neanche per un secondo. 
Voleva gustarsi ogni sfumatura di quelle iridi.
Voleva imprimersi nella mente quel ricordo per sempre.
Neanche lui staccò lo sguardo da lei, nemmeno quando iniziò a muoversi lentamente, nemmeno quando i loro sospiri riempirono la stanza, nemmeno quando il sudore imperlò la loro pelle, nemmeno quando il piacere esplose fino a farli tremare.
 
 
Quando Ginny riaprì le palpebre, vide un paio di occhi enormi fissarla spaventati. 
Balzò a sedere, tenendo ben stretto il lenzuolo a coprirle il petto nudo.
“Dobby, che diavolo ci fai qui?” arrossì, guardandosi alle spalle. Malfoy ancora dormiva, nudo, accanto a lei. Dovevano essersi appisolati. “Mi hai fatto venire un colpo”.
“Dobby è venuto a cercarla, signorina Weasley” iniziò lui, torcendosi il lembo di una camicia rossa sgargiante che doveva essere nuova. “Dobby voleva avvisare la signorina Weasley che le sue compagne di stanza si sono accorte che non è rientrata in dormitorio, stanotte. Dobby voleva solo aiutare” l’Elfo iniziò a girovagare per la stanza, in evidente stato di allerta. Il cuore le volò in gola. Se le sue compagne di stanza si erano accorte della sua assenza, allora voleva dire che anche qualcun altro lo sapeva?
“Chi altri lo sa, Dobby?” gli chiese, cercando di mantenere la calma. Rifletté. Era capitato altre volte che passasse la notte fuori, principalmente nel dormitorio di Harry, ma le sue compagne di stanza non avevano mai fatto la spia. Il battito del cuore rallentò, più calmo per la spiegazione appena trovata. 
“Per adesso nessuno, signorina Weasley, ma la colazione sta per essere servita e pensavo che avrebbe gradito saperlo” si grattò un orecchio con una manina. 
A quella notizia il cuore riprese a battere più forte nella gabbia toracica. Lo guardò, sospettosa.
“E tu come facevi a sapere che eravamo qui?” gli chiese, agitata. Nessuno doveva scoprire di lei e Malfoy. Sarebbe successo il finimondo. 
Incredibilmente, si scoprì ad essere più agitata per lui che per se stessa. Cosa avrebbe fatto Voldemort se avesse saputo che…?
Interruppe volontariamente quel pensiero. Non aveva le energie per pensarci.
“Dobby stanotte ha portato la cioccolata nella Stanza delle Necessità dalla cucina del castello, signorina Weasley” le spiegò l’Elfo. “Il cibo non può comparire e scomparire dal nulla e Dobby sapeva che la signorina Weasley ne aveva bisogno. Quindi Dobby lo ha portato qui” l’Elfo fece un piccolo inchino. “Dobby ha visto l’Incanto Patronus dalle finestre ieri sera ed era venuto a vedere se la signorina Weasley aveva bisogno. Così Dobby ha seguito la signorina Weasley per assicurarsi che stesse bene. Dobby voleva solo aiutare” si giustificò, alzando le spalle e facendo un timido sorriso.
Ginny non aveva parole. Dobby l’aveva seguita? Forse avrebbe dovuto arrabbiarsi, ma non c’era tempo da perdere. Lo guardò e vide in quegli occhioni da pipistrello la volontà di essere davvero utile. La rabbia svanì immediatamente.
“Grazie Dobby… credo” disse infine. “Ora vai e mi raccomando, non dire a nessuno che mi hai vista. Nemmeno ad Harry” lo guardò. “Per favore” aggiunse. Sapeva che Dobby ormai era un Elfo libero, ma contava sul fatto che avrebbe mantenuto la parola data. 
“Dobby non ha visto niente” fece un inchino fino a sfregare con il naso sul pavimento. “Addio signorina Weasley” e, con uno schiocco di dita, scomparve.
Ginny balzò in piedi e svegliò Malfoy con poca grazia, spiegandogli la situazione. Lui balzò in piedi rapidamente, ricominciando a vestirsi alla velocità della luce.
Se davvero stavano per servire la colazione, non potevano continuare a restare lì. 
Inoltre, doveva inventarsi in fretta qualche stupida scusa da rifilare alle sue compagne di stanza, prima che andassero da Harry a fargli strane domande o battutine allusive. 
Erano pronti per uscire, quando si guardarono negli occhi. Nonostante l’agitazione, Ginny gli sorrise. Era stata la notte più bella della sua vita, ma non glielo avrebbe mai detto. 
Invece, si avvicinò a lui e gli depositò le labbra sulle sue. Lui non perse tempo e immediatamente l’afferrò per i fianchi per attirarla a sé.
Quel bacio le mozzò il fiato. 
Non dissero una parola e uscirono in fretta da quella stanza per correre in direzioni opposte del castello. 
 
Ginny si sedette al tavolo di Grifondoro, nella Sala Grande. Era riuscita ad arrivare al dormitorio prima che le sue compagne scendessero e si era inventata di essersi addormentata nell’aula di Pozioni, dopo la punizione. Ci credettero, o finsero di farlo, poco le importava.
Sovrappensiero, fece volare lo sguardo verso la tavola di Serpeverde. 
Si sorprese nel vedere che lui la stava già fissando. 
Il cuore fece un salto su se stesso. 
Guardò a sua volta quelle iridi grigie e seppe in quell’esatto momento che Draco Malfoy aveva lo strano potere di renderla felice. 
Con il cuore in gola e lo stomaco accartocciato, cercò di concentrarsi su qualcosa che le stava dicendo Hermione. 
Non ci riuscì. 
 
OGGI
Ginny
Forse il sonno ad un certo punto l’aveva davvero sorpresa, dal momento che quando sentì lo scatto della serratura sobbalzò. 
Malfoy entrò e a malapena la degnò di uno sguardo. 
Dio, che fatica. 
Ogni fibra del suo corpo gridava ‘Guardami!’, ma lui si limitò a depositarle in mano un’altra pozione disgustosa e lei l’afferrò in silenzio. 
“Certo che non è una gran colazione questa” mormorò, disgustata. Non si aspettava una risposta da parte sua, invece le rispose. 
“Non siamo in una fottuta mensa per poveri, Weasley” il suo tono era freddo, come sempre. “Andiamo” la sollecitò. Non ci fu bisogno di ripeterle dove per farle venire i brividi e la nausea. 
Si alzò in piedi, aspettandosi di vacillare, ma per fortuna le pozioni di Malfoy parevano averla aiutata davvero. Lui le fece strada fuori da quella minuscola infermeria, poi le porse il braccio per invitarla ad afferrarlo. 
Lei questa volta lo fece, senza ribattere. 
Se l’avesse sollevata ancora una volta tra le braccia, le sarebbe venuto un infarto. 
Il tocco sul suo avambraccio, nonostante la loro pelle fosse separata da qualche strato di stoffa, le diede una familiare scarica elettrica. 
Forse la avvertì anche lui, perché fece saettare lo sguardo nel suo prima di Smaterializzare entrambi. 
 
Riapparvero davanti ad una casa abbandonata, immersa nella campagna ancora buia e umida di rugiada mattutina. 
Le prime luci dell’alba spuntavano da dietro una collinetta verde, illuminandoli di uno strano colore dorato che faceva contrasto con quel luogo spettrale. 
Ginny aveva il cuore nella testa, lo sentiva rimbombare come un’eco spaventosa dentro di sé. 
Non era mai stata tanto terrorizzata in vita sua. 
Cosa voleva farle? Torturarla, ucciderla? 
E se avesse visto qualcuno dei suoi amici morire davanti a lei? E se avessero catturato qualcun altro?
Forse non era davvero pronta a tutto ciò, nonostante avesse sempre pensato di esserlo. 
“Puoi andare” Malfoy con un cenno della testa indicò il freddo portone di accesso alla casa. Lei annuì. 
“E tu?”
“Ho l’ordine di aspettare qui” le disse e lei annuì di nuovo, ma non ebbe la forza di rispondere. Se lo avesse fatto, avrebbe vomitato. In un attimo vide la sua vita scorrerle davanti alla faccia. 
Con il cuore che non dava accenno di rallentare i suoi battiti, mosse qualche passo titubante in direzione di quella casa fatiscente.
Fu in quel momento che la sentì.
La mano fredda di Malfoy le afferrò un polso, costringendola a voltarsi verso di lui.
Incrociò il suo sguardo e il cuore prese a battere ancora più forte, perché per un breve istante le posò una mano sul volto.
“Non ha intenzione di ucciderti” mormorò. Il suo tono era freddo, ma le parve di vedere uno strano lampo passare nel suo sguardo, prima di lasciarla andare di nuovo.
Annuì per l’ennesima volta, mormorando una specie di ringraziamento che suonò totalmente fuori luogo.
Si sentì svuotata e persa nell’avvicinarsi da sola a quell’orribile portone decadente.
 
 
Draco
Era immobile a fissare quella pesante porta grigio scuro.
Sapeva che dall’altra parte c’era Ginevra e la cosa non faceva che peggiorare quel senso di nausea con cui ormai conviveva ogni giorno.
Doveva essere pronto alla guerra, eppure non era davvero preparato a quello che stava affrontando in quelle ultime, squallide ore.
Ripensò al volto pallido di Ginevra, prima di entrare dentro quella casa infernale.
Era bianca, stanca, spaventata.
Non aveva resistito all’istinto di darle un minimo di conforto.
Era stato un gesto stupido, ne era consapevole.
Se qualcuno lo avesse visto…
Ma non lo aveva visto nessuno.
Un urlo di donna proveniente dalla casa squarciò il silenzio e un conato di vomito gli impedì di respirare.
Dentro si sentì morire, eppure tentò di restare impassibile di fronte a quelle urla disarmanti.
Gli si ghiacciò il sangue nelle vene, poi per fortuna tornò il silenzio.
Cercò di calmare i suoi battiti, chiudere i pensieri.
Era sempre stato un bravo Occlumante e non poteva smettere proprio adesso.
Un’eco di passi piccoli e veloci rivelò l’arrivo di qualcuno.
Si voltò giusto in tempo per vedere arrivare Codaliscia. 
Lo guardò con disgusto. 
Quell’essere smidollato non si meritava certamente la sua stima. 
“Draco” lo chiamò, squittendo come il fottuto topo che era. “Il Signore Oscuro mi ha dato l’ordine di convocarti”.





Note dell'autrice: Ciao a tutte/i, ecco il capitolo 5! Finalmente sono riuscita a pubblicarlo. Spero con il 6 di essere più rapida, ma soprattutto spero chevi sia piaciuto!! Grazie a chi legge e a chi mi recensirà!! Alyssa  

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