La tempesta nel cuore

di aurtemporis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Acque burrascose ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Dubbi e certezze ***
Capitolo 4: *** Ritorno a Parigi ***
Capitolo 5: *** La lista ***
Capitolo 6: *** Consapevolezze ***
Capitolo 7: *** Imprevisti ***
Capitolo 8: *** Confessioni ***
Capitolo 9: *** Ricerche ***
Capitolo 10: *** Affanni ***
Capitolo 11: *** Verità per verità ***
Capitolo 12: *** Tutto per tutto ***
Capitolo 13: *** Missione ***
Capitolo 14: *** 31 Dicembre ***



Capitolo 1
*** Acque burrascose ***


NOTA: La trama è stata tagliata e adattata per essere alleggerita, ha qualche scena un po' spinta e di violenza, e ci sarà un avviso particolare per quei capitoli. Grazie per l'attenzione.



Un'imbarcazione stava attraversando La Manica nell'oscurità della notte, diretta in Francia. Era un vascello che contava un equipaggio di due centinaia di uomini della marina e una ventina tra passeggeri civili. Il vascello oscillava di un poco a causa del moto ondoso. Non si scorgevano stelle, il cielo era ottenebrato da nubi grigie che poco si vedevano al buio se non per le spinte del venti che le tiravano dal lato opposto verso cui si dirigeva l'imbarcazione. Non mancava molto, stando al capitano erano in procinto di attraversare l'ultimo tratto.

"Le correnti ci hanno trascinato lievemente fuori rotta, verso ovest" disse quest'ultimo al comandante in seconda. "Entro domattina dovremmo comunque vedere le coste della Normandia" Il cannocchiale gli restituiva una visione oscura e senza stelle non poteva dare niente per certo, l'unica cosa su cui poteva contare, data la sua esperienza trentennale di navigazione, era l'istinto, quella tratta l'aveva praticata più e più volte.

"Con questo tempo, l'importante è arrivare, capitano" rispose l'altro, aveva un decennio di meno e quando non c'erano stelle si innervosiva molto. Il non potersi orientare rendeva il viaggio più faticoso. Soprattutto con il carico che trasportavano. C'era un nobile inglese che aveva pagato un bel po' di quattrini per una traversata sicura. E aveva pagato quel tanto che bastava anche per viaggiare sotto un nome falso, senza doverne rivelare lo scopo né altro. Al suo seguito, altri tre uomini, inglesi anche loro e guardinghi sin dal primo passo posato sul legno del ponte del vascello. Il capitano voleva scaricarli dalla sua nave il prima possibile, motivo per cui desiderava arrivare in fretta. Non gli piacevano, però doveva obbedienza agli ordini del conte de Badeaux. Quei gentiluomini, come si era riferito a loro il conte, dovevano recarsi con urgenza a Versailles per incontrare Luigi XVI, si trattava di affari di stato. Ecco anche lo scopo del vascello da guerra. Serviva protezione a quell'inglese. E al capitano non era dato conoscerne la ragione. Per non accentuare l'attenzione sull'identità del nobile inglese, il conte aveva fatto sì che quel vascello trasportasse anche altri passeggeri dell'alta borghesia francese. Tra costoro c'era la signora Marie Luise Ozanne, una marchesa sui sessant'anni, vedova. Era andata in Inghilterra a stipulare un lascito in favore della nipote, figlia di suo fratello, che risiedeva in una contea a sud, si era sposata da poco e si era trasferita seguendo il marito. La marchesa non aveva figli, rimasta vedova pochi anni dopo il matrimonio a causa della Guerra dei sette anni. Fedele e devota da sempre alla memoria del marito, non si era mai più risposata.

"Vieni Rosalie, portami il mio scialle, si è alzato il vento stasera" la signora Marie viaggiava solo con la sua unica dama di compagnia, era una giovane di diciassette anni che aveva preso a servizio, dopo la morte dei genitori adottivi di quest'ultima. La ragazza era cresciuta a Parigi e l'incontro tra le due era avvenuto in maniera abbastanza occasionale. Il padre adottivo gestiva una sartoria, dopo la sua morte la moglie l'aveva mandata avanti da sola, con la figlia e Rosalie per diversi anni, poi si era ammalata ed era mancata. La figlia, Jeanne, era andata via di casa con un tale. Rimasta orfana una seconda volta, la piccola Rosalie dovette chiudere la sartoria in poco tempo, aveva appena tredici anni. Iniziò allora a lavorare presso una fioraia per mantenersi. La fioraia gestiva un banco vicino casa loro e la conosceva da quando era bambina, mossa da pietà la prese con sé. Dopo un paio d'anni, la marchesa arrivò presso la fioraia e acquistò una piccola pianta di limoni, dicendo che l'avrebbe messa a dimora nel suo giardino. Rosalie l'accompagnò fino a casa per aiutarla nel trasporto. La marchesa viveva da sola, vi era anche una cameriera che si occupava della casa ma, divenuta anziana, si era ritirata in quello stesso periodo. Rimaneva quindi solo un maggiordomo. Sebbene la marchesa avesse una rendita facoltosa non spendeva mai più del necessario. Una volta raggiunta l'abitazione, le aveva detto di lasciare pure la pianta davanti l'ingresso, se ne sarebbe occupato Eric, il maggiordomo, che aveva pressappoco la stessa età della marchesa. Aveva quindi lasciato un paio di monete nelle mani della ragazzina dai capelli dorati e l'aveva salutata con un sorriso.

Rosalie le fu grata. Nei mesi a seguire, capitò che la donna mandasse a chiamare la giovane fioraia per un paio di servizi nel giardino e dopo un anno, la ragazza iniziò a svolgere anche altre mansioni, fino a diventare la dama di compagnia della marchesa; a cui leggeva libri, scriveva lettere da quando non vedeva più tanto bene da vicino, riordinava la casa non troppo grande e spesso le raccontava della vita popolana di Parigi. 

"Ecco, mia signora" le poggiò lo scialle sulle spalle "se sentite freddo, è meglio restare in coperta, che ne dite?"

"Solo un momento, cara, l'aria viziata mi fa venire sempre mal di testa" la marchesa posò una mano gentile sul quella di Rosalie che le acconciava lo scialle e poi si fece una passeggiata sul ponte. Uno dell'equipaggio disse loro di rientrare, il tempo volgeva a tempesta e a breve avrebbe piovuto. La giovane chiese solo qualche minuto per la marchesa. Rosalie sentiva freddo, era ottobre e anche se era vestita pesante l'aria umida le entrava nelle ossa. Scese i gradini e si sporse verso le cabine. Sarebbe tornata sul ponte dopo essersi riscaldata un poco. 

Delle voci confuse la raggiunsero dall'abitacolo più prossimo al ponte. Distrattamente, passeggiò avvicinandosi, attirata dal chiacchiericcio.

"…durante la parata è l'occasione perfetta, servono dieci sul posto e una manciata che anticipi il percorso della carrozza reale" disse un uomo con un accento inglese. 

"Di questo me ne occuperò io" replicò un'altra voce maschile in perfetto francese. Rosalie si sporse di poco, la porta era socchiusa. Riconobbe il conte de Badeaux, l'uomo era stato gentile ad aiutarle con i bagagli, tramite i suoi servi, durante l'imbarco. Poiché le due donne viaggiavano sole, Eric era rimasto a occuparsi della casa. "Quel grassone e la moglie bagascia non mancheranno a nessuno, stanno già sullo stomaco a tutta la Francia" aggiunse poi.

"Se dovesse saltare la parata, troveremo un'altra opportunità, quel che è certo è che non vedranno un altro capodanno" sostenne l'uomo con l'accento inglese.

Rosalie sgranò gli occhi cerulei. Doveva allontanarsi da lì, quel che aveva sentito assomigliava molto a un complotto per uccidere qualcuno. La porta socchiusa scricchiolò, sospinta dal vento. In lontananza un lampo illuminò il ponte e la marchesa si strinse nello scialle "Rosalie!" la donna si avviò verso gli alloggi. Chiamò ancora la sua giovane dama ma non udì risposta. Era insolito, la ragazza non la lasciava mai da sola.

Un coltello affilato premeva contro la gola della ragazza "Cosa hai sentito?" le mormorò all'orecchio uno di quelli, con l'accento inglese.

"Nulla! Lasciatemi, mi state facendo male!" il terrore si era impadronito di lei, non riusciva a pensare a nulla, neanche gridare le veniva facile, con quella lama al collo.

"Dovevi pensarci prima di metterti a origliare" l'uomo con i capelli neri, corti e riccioluti, la teneva stretta. Un braccio robusto le circondava la vita e quasi la sollevava da terra, mentre la trascinava fuori, sul ponte. "Mi accerterò che tu non parli più con nessuno, mocciosa impicciona!" nascose il pugnale dietro la schiena della ragazza quando vide un marinaio andargli incontro. Lei sentiva la lama pungerle la pelle. "Un fiato e ti infilzo"

"Non potete stare qui, sta arrivando una tempesta!" il soldato alzò una mano e gli indicò la direzione in cui voleva che andassero.

"Scusateci, io e la mia figlioccia stavamo passeggiando, ora facciamo subito ritorno" ma il marinaio non accennava ad andarsene, se prima non l'avessero fatto loro. "Ma guardate che tempo stasera, e io che volevo guardare la luna e le stelle" lanciò il pugnale al collo dell'uomo, questo rimase con gli occhi sbarrati, la bocca spalancata e le mani che annaspavano in aria, finché cadde sul fianco. "Ora dovrò anche pulire questa merda!" strappò un grosso lembo della gonna della ragazza e lo gettò sopra al morto stecchito.

"Che volete fare!?" Rosalie si vide afferrare per la vita intanto che tentava miseramente di aggrapparsi a qualunque cosa. L'uomo la alzò di peso e poi la scaraventò in acqua, la ragazza gridò, il rombo di un tuono ne coprì la caduta. Poco dopo, seguì anche il morto, a cui aveva sfilato il pugnale. E quel pezzo della gonna lo utilizzò per pulire il legno, alla buona, poi volò anche quello in acqua. La pioggia avrebbe fatto il resto. L'uomo si drizzò gli abiti e fece ritorno alla cabina.

"Ti sei occupato dell'imprevisto?" chiese il conte.

"L'imprevisto è in fondo al mare" 

Le vele erano tutte ammainate, la tempesta sopraggiunse e si fece sentire in ogni angolo del vascello che ondeggiò molto. Il capitano teneva d'occhio il cielo. Tuoni e fulmini li avrebbero accompagnati fino al porto.

 

Il mare era un po' agitato, gli zoccoli del cavallo bianco schizzavano l'acqua della battigia. Lanciato in corsa, il giovane colonnello delle guardie reali francesi osservava il sole nascente alla sua destra. "Vai! Vai!" l'aria fresca del mattino era piacevole, nonostante l'autunno. Tirò forte le redini quando vide qualcosa steso a metà tra la sabbia e l'acqua, qualcosa che somigliava a un vestito azzurro. Avanzò più piano, notò che c'era qualcuno nel vestito. Si gettò giù dal cavallo e corse. Girò il corpo, era una giovane ragazza, le toccò il collo con due dita. C'era battito. Controllò se fosse ferita, non trovò perdite di sangue. Alzò il capo per chiamare il suo attendente. Poi ricordò che André non c'era, era rimasto a palazzo. Chiamò il cavallo con un fischio. L'animale le si avvicinò subito. Sollevò la ragazza, la sentì tossire. L'appoggiò sulla sella, poi salì dietro di lei e si avviò in fretta verso la residenza che la sua famiglia aveva lì, in Normandia. "Resisti!" la sentiva tremare, doveva stare gelando. Il cavallo correva veloce e la residenza non era tanto lontana dalla spiaggia. "Resisti!!" le disse ancora, mentre il palazzotto giungeva in vista. Lasciò il cavallo davanti al cancello che era solamente accostato, afferrò la ragazza e la trasportò, mollò un calcio alle stanghe di metallo e spalancò l'inferriata. Veloce su per la gradinata "Resisti! Non mollare!" una spallata alla porta e poi un'altra, udì il procedere dell'uomo che si occupava della tenuta quando i padroni non c'erano e pure quando c'erano, aveva una gamba un po' malandata e camminava piano "Joris!!"

"Che succede, signore?" tirò il chiavistello pesante e venne quasi investito dall'impeto del colonnello, i lunghi capelli biondi sventolavano alle correnti d'aria.

"Chiudi la porta e accendi il camino, presto!" disse la figura elegante del colonnello, l'uomo vide la fanciulla priva di sensi che sosteneva tra le braccia e si affrettò, nonostante la gamba. Il colonnello le tolse il vestito fradicio e le lasciò la sottoveste, il camino era già acceso e scoppiettava. Tremava ancora, cercando di scaldarla si sedette dietro la ragazza e la strinse contro di sé. Joris portò una coperta "Signore, metto a bollire l'acqua per preparare un brodo caldo?"

"Sì, grazie, Joris" adagiò la coperta sulla ragazza e continuò a stringerla, frizionando le braccia di tanto in tanto. "Forza!" le strillò "Dai, ragazzina!" rimase così per diverso tempo, era in effetti una ragazzina molto giovane. Le scostò i capelli umidicci dal viso, il respiro della fanciulla si era attenuato, costante e non più spezzato dai brividi. Il colonnello tirò un sospiro. Toccandole la fronte, non sentì febbre. Decise che poteva lasciarla, la sdraiò vicino al camino e si assicurò che la coperta la avvolgesse completamente. Il colonnello si alzò in piedi e si stiracchiò la schiena. Camminò fino alla finestra, era una giornata serena, ma ventosa. Quando voleva schiarirsi le idee andava a cavalcare lì, su quella spiaggia solitaria. Il mese di arresti domiciliari, successivi al duello con quel duca assassino, che pure se l'era cavata con troppa facilità, era quasi terminato. Da Versailles però non era ancora giunta nessuna missiva che la convocasse di nuovo in servizio. Il colonnello Oscar François de Jarjayes si era presa una lavata di capo dalla regina e poi da suo padre, che l'aveva spedita lassù da sola, per allenarsi con la spada e basta. Fin quando non l'avrebbero mandata a chiamare. E il generale, suo padre, non aveva voluto che l'accompagnasse nessuno, neppure André, che si era offerto immediatamente.

Nel salotto, dove c'era il camino, c'era anche una libreria, Oscar prese un libro di storia e si sedette poco lontano da dove giaceva la ragazza. Ogni tanto la osservava e controllava che il respiro fosse costante. Si chiedeva come mai fosse finita su quella spiaggia, non aveva sentito nulla di insolito la sera precedente. Né grida, né c'erano segni di lotta sulla sabbia, neppure impronte nei pressi di dove l'aveva trovata. Doveva essere arrivata dal mare, forse una nave aveva fatto naufragio. In quest'ultimo caso le voci sarebbero comunque arrivate fin là. Quando finalmente riuscì a concentrarsi sul libro, udì dei gemiti provenire dal corpo avvolto nella coperta. Si alzò e posò il libro sulla sedia.

La ragazza si era sollevata sulle braccia, si stava toccando il viso e gli occhi intirizziti. 

"Come vi sentite?" chiese il colonnello.

"Ancora viva" Rosalie guardò la figura alta che si era approssimata, due occhi azzurri la scrutavano davanti la luce del camino. "Grazie" la coperta le scivolò e si accorse di indossare solo la sua sottoveste striminzita e in parte lacera, le sfuggì un grido. 

"Calmatevi, va tutto bene" Oscar provò ad avvicinarsi e l'altra afferrò l'attizzatoio, puntandoglielo contro.

"Allontanatevi da me!" agguantò di nuovo la coperta e mentre ancora reggeva l'arnese in un piccolo pugno, tentò di coprirsi alla buona. "State lontano o griderò!"

Il colonnello alzò le mani "Vi assicuro che non siete stata molestata in questa casa"

"Tacete!" 

"Suvvia, io sono una donna, anche se i miei abiti possono ingannarvi" le sorrise e incrociò le braccia.

In quel momento sopraggiunse Joris "Signore, il brodo è pronto, quando desiderate sarà servito" 

"Grazie, Joris" il colonnello sorrise ancora più bonariamente alla fanciulla.

Rosalie invece la fissò con astio "Signore, eh?"

"Non badateci, è una lunga storia, vi prego, posatelo adesso, rischiate di farvi male" provò a fare un passo ma l'arnese appuntito era sempre lì, minaccioso, avrebbe potuto sfilarglielo facilmente ma temeva che l'avrebbe spaventata ancora di più.

"Dove sono i miei vestiti!? Devo andarmene da qui…" si guardava attorno sempre tenendo quell'attizzatoio "devo andarmene!" si alzò, un capogiro però la fece piombare in avanti, il ferro cadde sul pavimento rigido con un rumore metallico. E delle braccia forti le impedirono di seguirlo. "Non toccatemi!" la schiaffeggiò. 

"Calmatevi! Se cadete vi lascio in terra, vi ho avvisato!" con un gesto del capo, il colonnello spostò i capelli che le coprivano gli occhi dopo lo schiaffo, la prese in braccio e la fanciulla si sentiva troppo male per respingerla ancora "quando starete meglio, vi accompagnerò ovunque vogliate, volesse il cielo!" così la trasportò verso la rampa di scale. "Joris, per favore, chiamatemi vostra moglie" disse mentre saliva. Certa che la giovane non soffriva la sua presenza doveva comunque trovare un rimedio, c'era bisogno di qualcuno che l'aiutasse a indossare abiti puliti. 

"Subito, signore" Joris si mosse all'istante.

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


Più tardi, quella sera. Rosalie riaprì gli occhi lentamente, come in un dormiveglia, non ricordava dove fosse. Ma quella non era la camera in cui viveva a casa della marchesa. Ricordò e rabbrividì. Lo schianto in acqua, il terrore nel non riuscire a sovrastare la forza delle onde e il buio, che erano diventati una cosa sola fin quasi a soffocarla. E poi qualcosa a cui si era aggrappata, non ricordava cosa. Si alzò affaticata, mettendosi seduta, vide che indossava una lunga veste da notte. E quel che rimaneva di ciò che indossava prima giaceva in terra poco lontano. Sul comodino c'era una bacinella con dell'acqua ormai fredda e un panno. Non aveva più l'odore di salsedine addosso, qualcuno l'aveva lavata. Arrossì.

"Ben svegliata, mia signora" le disse una donna bruna in là con gli anni ma non tanti quanto la sua marchesa, era sbucata senza farsi sentire. Aveva con sé un'altra bacinella, che sostituì all'altra "Se volete sciacquarvi il viso, l'acqua di mare alla lunga irrita" aggiunse poi "posso portavi qualcosa da mangiare, mia signora?" chiese infine.

Rosalie era sollevata che fosse stata quella donna a occuparsi di lei, a prima vista non le apparve come una minaccia. Ovunque si trovasse, di fame ne aveva "Sì, vi ringrazio"

La donna annuì con gentilezza e si ritirò. Rosalie si toccò le tempie, le martellavano ed era stanca, fiacca. I ricordi frammentati stavano ritornando, quell'uomo l'aveva presa e buttata giù dal vascello, senza il minimo scrupolo. Era accaduto il giorno prima o due giorni, non sapeva dirlo. Si preoccupò della marchesa, chissà quanto doveva essere in pena per lei. Avrebbe voluto farle sapere che stava bene.

 

Quel grassone e la moglie bagascia non mancheranno a nessuno, stanno già sullo stomaco a tutta la Francia

 

Portò l'acqua sul viso con una mano. Le mani vacillarono. Non ne era certa ma dovevano stare parlando dei sovrani. Che poteva fare per metterli a conoscenza del pericolo? Parata, capodanno… Forse c'era ancora tempo. Ma da chi poteva andare, se quegli uomini la trovavano di nuovo si sarebbero affrettati nel rimediare l'errore precedente. Come poteva fidarsi di questa gente poi, anche ammesso fossero brave persone, non se la sentiva di rivelare niente del suo passato.

Notò che c'era un uniforme su una delle sedie della camera, un'uniforme rossa che spiccava in mezzo a tutto il resto dell'arredamento. Forse non l'aveva sognato quel tipo biondo. 

La donna rientrò poco dopo con un vassoio, c'era una scodella di brodo, del pane e un bicchiere d'acqua. Glielo posò davanti. "Io sono Maude, mia signora, se avete bisogno di qualunque cosa, chiamatemi"

"Aspettate un momento, per favore" si tirò un po' più su senza rovesciare il vassoio "dove mi trovo?"

"Siete in una residenza vicino la costa, non lontano dalla Baia della Senna"

"Grazie" non era troppo lontana da casa "posso sapere di chi è quell'uniforme?" la indicò con l'indice.

"Del padrone, mia signora"

Il padrone? Il biondo? "Se non ricordo male, mi ha detto di essere una donna" pensò che l'avesse imbrogliata.

"È così, mia signora, ma è cresciuto come un uomo" Rosalie sgranò gli occhi e la donna sorrise.

"E perché mai una cosa del genere?"

"Sesta di sei sorelle, il padre, un generale tronfio" le fece cenno di fare silenzio con l'indice "ha voluto un erede a cui mettere una divisa a tutti i costi"

Rosalie era stupita dalla notizia, faticava a crederlo possibile.

 "È stata sempre in mezzo alla compagnia maschile, quindi non meravigliatevi se non riuscite a cogliere i tipici atteggiamenti femminili nel padrone" spiegò la donna, le si avvicinò poggiando una mano amichevole sulla sua "questa è una delle ragioni per cui attira molta curiosità, ma è il suo carattere ad affascinare tutti" Maude si scusò, pensava di aver detto anche troppo, quasi non le raccontava tutta la storia della vita del padrone. Raccolse la bacinella dal comodino.

Rosalie non era convinta di aver ben compreso, comunque sorrise per cortesia alla donna gentile che le aveva concesso tutte quelle attenzioni. E così poté iniziare a mangiare. Il brodo era meglio delle aspettative, chissà se c'era sempre la mano di quella Maude. Continuò a guardarsi attorno mentre mangiava, quella non era la camera di una donna. Niente abiti che lo facessero intendere, da un cassetto semiaperto sporgevano camicie. E quell'uniforme, le confermò che doveva essere nella camera del padrone o soldato, non sapeva lei stessa come chiamarla. Quando ebbe finito, posò il vassoio sul comodino e si distese.

Verso le nove, il rumore di lievi colpi alla porta la svegliarono dal breve sonno in cui si era abbandonata. "Avanti" tornò a mettersi seduta e si stropicciò gli occhi.

"Sono io, mia signora" Maude entrò con una tazza di vino liquoroso "bevete, vi farà bene e vi farà dormire meglio"

"Grazie, Maude, siete davvero molto gentile con me" Rosalie le sorrise, ed era sincera "perdonatemi, se questa, come sembra, è la camera del padrone, non voglio creare disturbo, posso andare anche a distendermi su un divano"

Maude rise "Che sciocchezze, questa residenza ha dodici stanze"

"Davvero? Allora che ci faccio qui?"

"Il padrone è molto generoso, e questa al momento è la stanza migliore, più arieggiata e più ospitale. Buonanotte, mia signora"

La ragazza avrebbe voluto chiedere di vedere il padrone, per ringraziare, ma non le sembrò opportuno. Si toccò le tempie doloranti, l'aveva portata lì ma l'ultima volta che ci aveva parlato le aveva puntato contro un oggetto appuntito e, se ricordava bene, l'aveva anche colpita. Lei, che non aveva mai fatto male a una mosca in vita sua. Poggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Magari un'altra volta, se avesse avuto occasione di parlarci, avrebbe potuto scusarsi. 

 

"Maude, come sta la nostra ospite?"

"Molto meglio, mio signore, è stata molto fortunata quella fanciulla" affermò la donna, le era passata di fianco mentre scendeva le scale. Il colonnello si stava ritirando nella nuova sistemazione, una camera dall'altro lato dell'edificio. Decise che le sarebbe stata fuori dai piedi fin quando non si fosse ristabilita, in modo da non crearle disagi di alcun tipo.

"Grazie, Maude"

"Dovere, mio signore"

 

L'indomani, verso le nove del mattino, Rosalie si alzò dal letto e provò ad uscire dalla stanza. Non appena Maude ebbe udito la porta aprirsi, che non perdeva di vista da quella mattina, si sollevò la veste e si precipitò da lei.

"Mia signora, dove andate?" 

"Volevo…" non sapeva che dire, voleva uscire? Voleva rivedere quella persona e scusarsi. "Volevo provare a far due passi"

"Non con gli indumenti da notte, mia signora" la donna la invitò a tornare in camera "ora vi porto qualcosa di adatto a voi da indossare, poi vi accompagno a fare colazione" 

Rosalie tornò ad infilarsi sotto le lenzuola. In effetti faceva freddo ed era anche a piedi nudi.

Tempo una mezzora, Maude rientrò con un paio di abiti tra le braccia. Li posò sul letto, ai piedi della ragazza. "Questi erano di Madame de Jarjayes, quando era più giovane, dovrebbero starvi bene"

"Ma…" Rosalie li guardò e le sembravano vestiti che non avrebbe mai potuto sognare in tutta la sua vita, non potendoseli permettere neppure una volta. "Non posso, sono…" ebbe quasi paura a toccarli.

"Potete, il padrone ne è al corrente. Coraggio, mia signora, non fate complimenti. Sono abiti ben conservati ma fuori moda"

La giovane si commosse, una lacrima le scivolò sulla guancia. 

"E che sarà mai, per così poco" Maude batté le mani per scacciare la tristezza.

Rosalie sorrise mentre piangeva, così poco per chi non aveva mai avuto niente era un'enormità. "Grazie"

"Mia signora, non sono abiti miei" disse Maude, e riuscì a tirarle fuori una risata. 

L'aiutò quindi a vestirsi, le trovò anche un paio di calzature adatte. Anche quella mattina era una bella giornata soleggiata. Fintanto che beveva del tè, Maude le disse che il padrone e Joris erano andati a caccia. 

"Perché il padrone è qui? Se è un soldato, non dovrebbe essere altrove?" chiese la più giovane, ormai aveva preso confidenza con la donna.

"Ha avuto una disputa con un nobile, sfociata in un duello" Maude agitò una mano nel ricordarlo "certi nobili sono gentaccia della peggior specie, di nobile non hanno nulla. La regina l'ha confinata in casa per un mese. Il padre, che non si fa mai mancare l'occasione di metterci il carico personalmente, l'ha mandata qui in pieno autunno" le venne da ridere.

Rosalie si chiedeva che tipo di disputa fosse e Maude, come se le leggesse nel pensiero, le disse che non conosceva i dettagli, ma il colonnello aveva avuto la meglio. 

C'era quel conte, il nome le era rimasto impresso, de Badeaux. Ora che sapeva di trovarsi in Normandia, non era da escludere che tutti quelli che stavano organizzando qualcosa ai danni dei reali fossero nelle vicinanze. Fin quando la credevano morta, era al sicuro. Se era sopravvissuta, si era trattato di un caso fortuito, pensò che l'imbarcazione doveva trovarsi molto vicino la costa quando quel balordo l'aveva gettata in acqua. L'orrore di quella notte le passò di nuovo davanti agli occhi, come paralizzati fissarono il vuoto. L'altra donna non se ne accorse.

"Che volete fare dopo colazione, mia signora? Ve la sentite di uscire con me a prendere un po' d'aria?"

Rosalie annuì e forzò un sorriso, il sudore freddo le gelava le spalle. Prese un respiro. Maude le era in simpatia e già sapeva che le sarebbe mancata quando se ne sarebbe andata. E, cosa che gliela faceva piacere più di tutto, era la sua discrezione. Non le aveva chiesto nulla.

Andarono così a passeggio sulla spiaggia. Rosalie si tolse le scarpe che le stavano un po' scomode, la donna le camminava di fianco con un mantello ad avvolgerla, soffriva le basse temperature. Soffiava un po' di vento. Dopo mezzora a camminare, non incontrarono nessuno, la donna cercò tuttavia di non allontanarsi troppo per non farla stancare. La nausea era persistente, come quel moto ondoso, le metteva in subbuglio lo stomaco ma Rosalie non disse niente mentre l'altra prese a parlare.

"È un bel posto, silenzioso, ma anche con i suoi pericoli" disse Maude, raccontò che una volta era approdata una nave di pirati su quella spiaggia, un galeone sottratto alla marina spagnola. I pirati arrivarono di notte e saccheggiarono anche le case prossime alla spiaggia "ma vi sto parlando di fatti accaduti almeno un secolo fa" 

La ragazza poteva immaginarsi orde di pirati senza scrupoli, come quell'uomo che l'aveva buttata a mare, riversarsi su quella spiaggia e attaccare gente inerme… Finché vide il padrone e l'altro uomo venire loro incontro. Tre pennuti legati per le zampe e un qualche tipo di coniglio o lepre, non seppe distinguere. Oscar portava le armi in spalla, fucili. I capelli le andavano davanti agli occhi ma quando il vento si fermò lo sguardo si posò sulle due donne. Maude andò ad alleggerire il carico del marito che camminava sempre sciancato, già sapeva che sarebbe stata un'ora buona a pulire la cacciagione dai pallini di piombo. La caccia era l'alternativa al paese dove si recavano, non proprio nelle vicinanze, per non dover ricorrere alla dispensa che si svuotava durante i lunghi periodi di assenza dei padroni; e quel giorno non era andata male, constatò la donna.

"Poteva andare meglio, senza questo vento" disse Joris, poi si inchinò brevemente a Rosalie e si appressò con la moglie, quest'ultima disse che l'avrebbe anticipati per andare nelle cucine, c'era molto da lavorare.

La ragazza rimase da sola con il cosiddetto padrone e in totale imbarazzo, dopo uno sguardo di sfuggita, in silenzio iniziò a camminarle vicino. Almeno però era riuscita a distrarsi temporaneamente dal malessere. Il colonnello le porse un braccio "Posso conoscere il vostro nome?" la ragazza si appoggiò accennando un sorriso timido. 

"Rosalie" rispose e se ne pentì subito, non avrebbe dovuto dire il suo vero nome, ma le era scappato fuori senza riflettere. 

"Quell'abito vi sta come se fosse sempre appartenuto a voi" ed era sicura che la madre avrebbe pensato la stessa cosa, l'avesse vista.

"Vi ringrazio, signore, anche voi state bene con… Qualsiasi cosa indossate" siano pure abiti da caccia, come quel gilet marone e i calzoni dentro gli stivali "Grazie per la cortesia che mi avete accordato, signore"

"Chiamatemi solo Oscar" sorrise.

"Vi devo chiedere scusa, per l'altro giorno"

"Non ha più importanza" le toccò la mano intorno al braccio con un gesto amichevole "conta solo che vi siate rimessa in salute"

"E vi ringrazio per avermi salvata. Vi devo la vita" ricordava poco di quei momenti ma, come la reminiscenza di un sogno, poteva percepire quelle braccia che l'avevano circondata per scaldarla, vicino al camino. Adesso stava meglio, poteva anche andarsene. Anche se non sapeva dove, era tormentata dal tornare o meno dalla marchesa, non voleva metterla in pericolo e non sapeva con chi confidarsi. Con un soldato, come il colonnello, sarebbe stato ragionevole ma non se la sentiva di scaricarle sulle spalle i suoi problemi. L'attanagliavano non appena smetteva di governare i pensieri "Ho approfittato molto della vostra generosità"

"Potete restare quanto volete. Per il momento sono bloccata su questa spiaggia" comunque l'avrebbe fatta accompagnare da Joris, nel caso avesse voluto andarsene "se desiderate restare, ne sarò lieta. Se vorrete andarmene, provvederò a farvi avere un passaggio sicuro" si fermò per guardarla in viso "se posso aiutarvi, non dovete temere di chiedere"

Rosalie le strinse il braccio "Vorrei restare qualche altro giorno, se posso"

"Tutto il tempo che desiderate" ripresero a camminare. Oscar le indicò il faro, avevano percorso un lungo tratto, di giorno non si vedeva il braciere sempre acceso. Le raccontò che era accaduto, anni prima, che Joris fosse andato ad illuminarlo di persona, quando si spense durante una tempesta. Il guardiano non c'era, si faceva vedere una volta ogni due o tre giorni solo per controllarlo, abitava in un villaggio più distante. Camminando ancora, giunsero presso una piccola insenatura.

Il colonnello si tolse gli stivali ed entrò in acqua fino alle ginocchia "Qui, tra gli scogli, una volta trovai una perla, avrò avuto dieci anni" disse sorridendo.

"Aspettate!" Rosalie avrebbe voluto impedirle di entrare in quelle acque, non riusciva neanche a guardarle. Il colonnello le disse di rimanere lì o si sarebbe bagnata il vestito. 

"Torno subito" non doveva tuffarsi o nuotare, dove sapeva era un luogo abbastanza vicino alla superficie. Mosse qualche passo tra due grossi blocchi spigolosi, ma non trovò ciò che stava cercando, tranne una conchiglia che aveva la vaga forma di una rosa. La raccolse, ma poi vide qualcos'altro di inatteso. C'era un corpo sospeso a circa un braccio sotto il livello dell'acqua. D'istinto allungò una mano per afferrarlo ma tirandolo riuscì a smuoverlo solamente, era in parte incastrato tra gli scogli sott'acqua. Non se la sentì di tirare oltre. Avrebbe dovuto immergersi e la cosa non le piaceva affatto.

"Oscar!"

"Rimanete lì!" vide il corpo disincagliarsi tra gli scogli e venire a galla. Un uomo, e aveva una ferita profonda sul collo. Le correnti lo tiravano dal lato opposto. Ma riconobbe la divisa, della marina francese. Le onde lo stavano spostando più a ovest.

Tornò indietro, provò a nascondere l'espressione scura che le aveva cancellato il sorriso. "Di perle non ne ho viste però…" la ragazza la stava fissando con una strana faccia. Era arrabbiata o forse spaventata, il colonnello non riuscì a capire. "Sono stata veloce, un attimo"

"Un attimo per voi, un'infinità per me" si voltò e tornò verso la spiaggia. Oscar riprese in fretta i suoi stivali e la raggiunse. La ragazza era di spalle, aveva le mani sulle orecchie, e stringeva gli occhi. 

"Che vi succede?" 

"Nulla" prese dei lunghi respiri per calmarsi.

"Guardate cosa c'era lì ad aspettare che qualcuno la raccogliesse" le mostrò la conchiglia, Rosalie la tenne tra le mani congelate, era di una sfumatura azzurra, e dalla forma particolare. 

"È davvero bella" le ricordava gli occhi del colonello. Ancora una volta si distrasse e avvertì meno oppressione.

"Per voi" disse Oscar "così vi ricorderete di questo posto" si voltò un istante a guardare di nuovo verso la rada, chiedendosi se qualcuno stava cercando quell'uomo. "Meglio rientrare"

La ragazza alzò gli occhi dalla conchiglia e la ringraziò; il cuore le batteva così veloce, credeva potesse fermarsi dal troppo sforzo, era ansia, panico o qualcos'altro che non seppe distinguere. Il sole era alto in cielo e la sabbia piacevole anche senza calzature. Il rumore delle acque le mise agitazione, di nuovo, c'era troppo silenzio, si aggrappò a quel braccio più forte. "State bene?" la voce del colonnello le parve lontana, anche se ce l'aveva a meno di un passo.

Si scosse "Il mare, non riesco ancora a guardarlo come prima, mi suscita agitazione"

"Ve la sentite di raccontarmi cosa vi è successo?" Oscar si avvicinò di più, camminavano così vicine che il vestito strusciava tra le loro gambe. Non riusciva a comprendere cosa si nascondeva in quel volto che ora sembrava sorridere e un attimo dopo pareva spaventato a morte.

"Perdonatemi" abbassò gli occhi.

"Quando vorrete, io vi ascolterò" le strofinò la mano come ad incoraggiarla, e proseguirono distanziandosi dalla spiaggia. Non le disse del cadavere, se non le raccontava i fatti, non poteva sapere di far meglio o peggio.

"Vi avevo giudicato male"

"Volevate infilzarmi con l'attizzatoio d'ottone!" incurvò lievemente le labbra.

Senza pensarci, Rosalie nascose il viso dentro al gilet del colonnello, per un attimo, poi se ne accorse e si spostò "Me ne vergogno molto, potreste far finta che non sia mai accaduto?"

"Devo raccontarlo a qualcuno almeno una volta" scherzò.

"No, per favore, no!"

"E va bene. Però, in cambio, dovete rivelarmi il vostro nome di famiglia" disse, senza smettere di camminare.

Rosalie divenne triste, calò lo sguardo e chiuse gli occhi "Non posso. Ma non perché non voglia dirvelo, i miei genitori mi abbandonarono quando ero in fasce, non li conosco, so che appartenevano alla nobiltà, niente altro"

Oscar poteva solo immaginare cosa avesse passato negli anni addietro "Abbiate fede, quando il destino ha preteso troppo da una vita, capita che paga il debito tutto in una volta" disse e poi rimase solo il silenzio fino a che la residenza non giunse in vista. Subito dopo arrivò anche un odore di arrosto. Lo riconobbe, altre volte lo aveva sentito "Rosalie, state per assaggiare il piatto forte di Maude" le disse prima di lasciarla, quando raggiunsero il cancello. "Non sentitevi a disagio, qui l'etichetta è solo di facciata" si affrettò a posare i fucili e aggiunse che andava a cambiarsi.

Rosalie la seguì con occhi sorridenti. Stava cominciando a comprendere le parole di Maude. Il rumore del mare che si rimestava giungeva in lontananza, alle sue spalle, come ad inseguirla. Non l'aveva mai visto in vita sua, prima di quel viaggio, l'aveva ammirato e osservato per ore dal vascello, ora la terrorizzava. Tutto in pochi giorni. Prese un respiro e si sforzò di smettere di pensare. L'odore dell'arrosto la aiutò a distrarsi.  

Intorno alla tavola, trovò i due coniugi, seduti assieme a loro. Venne a sapere poi che il padrone voleva così, quando non c'erano il padre e la madre, la servitù sedeva a tavola con lei. Rosalie ne era contenta, a tavola preferiva avere gente intorno, e poi lei era alla stregua di una serva, seppur una dama di compagnia. Anche se la marchesa l'aveva sempre trattata con riguardo, neanche fosse una nipote. Le mancava molto la signora Marie, chissà come stava. Una parte di lei voleva tornare subito a Parigi, ma un'altra ne temeva le conseguenze. Tuttavia non poteva nascondersi per sempre su quella spiaggia.

"Rosalie, come vi sembra?" Maude l'aveva vista rabbuiata e fissare il piatto senza muovere un dito, forse la cacciagione non le piaceva "Posso preparavi qualche altra pietanza se preferite"

"Oh, non occorre, l'arrosto sembra squisito" prese un boccone e sorrise.

Oscar la guardò un istante senza dire niente. Immaginò che doveva avere un turbinio di pensieri per la testa. Poteva solo aspettare se e quando ne avesse voluto parlare.

Dopo pranzo Rosalie si offrì di aiutare a sparecchiare e asciugare le stoviglie, Maude voleva impedirglielo ma la ragazza insistette, disse che si sentiva molto in debito con tutti loro. Il colonnello la osservava curiosa, mentre si muoveva a suo agio nella cucina. Poggiata contro la porta non riusciva a farsi un'idea precisa su chi fosse la loro ospite. Aveva avuto un'educazione ma era capace di svolgere anche lavori umili. Doveva essere cresciuta arrangiandosi. I nobili che si liberavano di figli illegittimi non erano pochi, avrebbe voluto conoscere chi era stato ad abbandonare la fanciulla con i capelli dorati, che di nobiltà ne possedeva certo più di tanti altri blasonati.

"A che pensate?" le chiese Rosalie passandole accanto con due bicchieri in un canovaccio.

"A quale libro vi piacerebbe leggere" replicò, e indicò la libreria con la testa "potete prendere quello che desiderate"

La vide illuminarsi "Posso davvero?"

L'altra annuì. E Rosalie posò in fretta gli ultimi bicchieri e andò alla libreria. E lì rimase parecchi minuti a osservare i titoli sugli scaffali, uno per uno. Molti libri di storia ma anche di epica, mitologia, poesia. E filosofia. Diversi testi in latino. "Conoscete il latino, Oscar?"

"Poco"

"Mi insegnereste?" Rosalie prese un libro e si voltò con occhi luminosi a guardarla.

"Sì può fare, ma dovrete accontentarvi" le si avvicinò e prese il libro che la più giovane teneva tra le mani "questo è Platone, complicato per iniziare, partiamo con…" posò il piccolo libro usurato e cercò nello scaffale. Rosalie le stava così vicino che la più alta non poteva fare più un passo senza urtarla, allungò il braccio sulla sua testa "…con Fedro, alcuni non ci badano ma le favole possono essere usate per comunicare messaggi importanti" abbassò la testa e si ritrovò i grandi occhi cerulei della ragazza a fissarla, si spostò di lato, scansandosi. Aveva trovato il libro che le interessava.

Davanti al camino accesso, ogni tanto la lettura veniva interrotta da una risata o dal silenzio. Così trascorse il tempo fino a che scese la notte. Dopo una cena veloce, Rosalie si fermò un attimo prima di entrare nella camera. Capì che stava solo prendendo tempo in quella casa, per qualcosa che non poteva rimandare troppo a lungo. Si disse che stava facendo calmare le acque. "Ma, adesso che sto bene, perché non tornate nella vostra stanza? Io posso dormire altrove"

"E perché? Una stanza vale l'altra" Oscar la salutò con un lieve inchino della testa e se ne andò dall'altra parte della casa; l'espressione cambiò radicalmente quando si voltò di spalle, non poteva togliersi quel cadavere da davanti agli occhi e ancora peggio non sapeva che gli era accaduto. La più giovane la seguì con lo sguardo fino a vederla sparire tra i corridoi. Quella notte non riuscì a dormire, si disse che era il rimorso per il dolore che stava causando alla marchesa, che le voleva bene o per il rischio che correvano il re e la regina mentre lei sprecava tempo, e poi c'erano altri nuovi pensieri che come riaffioravano alla mente li cacciava giù senza starci a rimuginare neppure un secondo. Alla sua età, non era più una bambina, fantasticare su cose irrealizzabili non le faceva bene, come le aveva sempre detto la sua cara mamma adottiva. E doveva anche prendersi la responsabilità delle sue scelte che, a prescindere dai rischi e dai timori, andavano fatte.

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Capitolo 3
*** Dubbi e certezze ***


Venne di nuovo mattina. Rosalie si svegliò tardi, quando scese, dopo essersi vestita e legata i capelli, trovò Maude affaccendata per la casa, la donna le disse di sedersi con la sua solita aria gioviale. "Mi spiace dovervi arrecare fastidio a così tarda ora, perdonatemi, ieri non riuscivo a dormire"

"Mia signora, ci sono abituata, non preoccupatevi" la donna le sorrise intanto che apparecchiava per servirle la colazione. 

"Dov'è il padrone?"

"Fuori, ad allenarsi con la spada" rispose mentre trasportava un vassoio "il latte è a scaldare, intanto assaggiate i miei biscotti" erano biscotti enormi, Rosalie non ne aveva mai visti così, ne entrava solo uno nel palmo e lo copriva completamente.

"Sono buonissimi, Maude, complimenti"

"Grazie, mia signora, lo so, non per vanità ma devo dire che la cucina casereccia non ha segreti per me, anche mio marito non se la cava male, per quanto insolito" le disse che tornava subito.

Rosalie si alzò e si avvicinò alla finestra del salotto, chissà se riusciva a scorgere Oscar. Non vide nessuno, scioccamente aveva pensato che il fuori che intendeva la governante era esattamente fuori la casa. 

"Che guardate di bello?"

Trasalì quando si ritrovò il colonnello di fianco che osservava oltre la finestra, nello stesso identico punto. Era arrivata senza fare il minimo rumore.

"Credevo foste fuori" Rosalie arrossì.

"Stavate cercando qualcuno per caso?" incurvò le labbra.

"Niente affatto!"

L'altra le disse che aveva terminato da un pezzo con la spada. La vide un po' arrossita "Non vi sentite bene?"

"No, è che, ho come un fastidio alla testa" le dispiaceva farla preoccupare ma non sapeva come cavarsi dall'impaccio senza imbarazzarsi ancora di più. La bionda l'accompagnò dove poterono sedersi e le propose di raccontarle una storia.

"State a sentire, così vi distraete" chiuse gli occhi e poi iniziò "in una fattoria si trovava un vecchio cavallo. Aveva lavorato tutta la vita assieme al fattore con l'aratro ma negli ultimi tempi non ce la faceva più a tirarlo. Così, il fattore lo lasciava nelle stalle e al suo posto aveva legato un bue, finché non avesse trovato di meglio. Il cavallo passava le sue giornate nella stalla, l'asino, che gli stava di fianco, una sera gli disse che i cavalli che non servivano più venivano mandati al macello dal fattore. Al che, il cavallo rispose che non l'avrebbe mai fatto, perché il fattore gli era affezionato. Ma l'asino lo derise e il cavallo ebbe come un presentimento; per quanto sgradevole fosse stato, l'asino poteva anche non aver detto una menzogna" aprì gli occhi e vide che Rosalie la stava ascoltando, proseguì "una mattina giunsero due uomini con un carro e legarono il vecchio cavallo dietro di esso, poi diedero una manciata di monete al fattore. L'asino ragliava come a volergli far capire che era arrivata la sua ora. Il cavallo non provò nemmeno a ribellarsi, da quando non tirava più l'aratro era diventato pelle e ossa. E poi, pensò di aver avuto una buona vita in fondo, era arrivato alla vecchiaia e non era da tutti in quella fattoria. L'unico dispiacere che gli era rimasto era quello di aver compreso di non aver mai avuto l'affetto del suo padrone, un uomo a cui l'animale era da sempre sinceramente legato" Rosalie la guardò, un'espressione triste sul viso, l'altra proseguì "il cavallo finì in una piccola cittadina. Attaccato alla casa del macellaio c'era un grosso magazzino dove venivano abbattuti gli animali; quando ci portarono il vecchio cavallo, questo osservò una serie di lame e attrezzi, c'era anche un grosso tavolo funestato dal lavoro e macchiato-"

"Oh, Oscar, per carità, non continuate!"

"Ma non è finita"

"Lo so ma non sono sicura di voler sentire il resto" girò il volto dall'altro lato.

"Ascoltate invece. Il macellaio era un uomo, come si potrebbe dire, non più giovane. Aveva una vista non più impeccabile come una volta e si faceva aiutare dal suo apprendista con una lanterna poiché nel magazzino entrava poca luce anche di giorno. Per non far assistere i passanti, le finestre erano alte e si aprivano e chiudevano con una lunga pertica. Così, l'uomo tirò le redini del cavallo e lo portò accanto al tavolo. Gli tolse i finimenti. Prese un grosso punteruolo e poi cercò a tastoni il martello, ma non lo trovava, era in penombra e il suo apprendista non c'era quel giorno. Il cavallo lo trovò, gli stava vicino, addentò il martello e glielo passò. L'uomo ringraziò, anche se era stupito, poi si concentrò di nuovo in quello che doveva fare ma non ci vedeva a un palmo dal naso. La lanterna era lì vicino ma non poteva usarla con le due mani occupate, quindi il cavallo la prese tra i denti e la sollevò dal tavolo, alzando il muso fino ad illuminare la faccia del macellaio. L'uomo fissò l'animale, confuso. La luce era sufficiente adesso, doveva solo dare un colpo e sarebbe tutto finito, ma la mano con il martello esitò" la ragazza le aveva afferrato un braccio, Oscar le disse di ascoltare, ancora una volta "dopo alcuni lunghi istanti, il martello tornò sul tavolo, l'uomo posò anche il punteruolo. Piuttosto, prese la lanterna dalla bocca del cavallo, la avvicinò ad esso e lo illuminò, chiedendosi quanto fosse bizzarro quell'animale, forse anche troppo fuori dall'ordinario per venire ucciso. Lasciò la lanterna nel magazzino e portò fuori il cavallo. Lo condusse nella piccola stalla e disse al figlio di dargli da mangiare e da bere. Era magro ma si poteva rimettere in sesto e gli avrebbe fatto buona compagnia nei suoi brevi viaggi nella cittadina, fin quando il buon Dio avesse voluto che campassero, entrambi. E ne fecero molti di brevi viaggi, assieme" sorrise e, senza pensarci, raccolse con il dito una lacrima che minacciava di cadere dagli occhi cerulei di Rosalie. "Suvvia, è una storia a lieto fine, niente lacrime"

Rosalie sorrise e voltò rapida il capo per non farsi guardare e dover accampare altre scuse senza capo né coda. "Grazie, per la storia"

"Che ne dite di cavalcare oggi, per prendere una boccata d'aria?" suggerì Oscar, alzandosi in piedi.

"Non credo di esserne capace, mi dispiace" prese un biscotto dal tavolo lì accanto e abbassò il capo. Non era mai montata su un cavallo in vita sua, in carrozza e su un carretto un'infinità di volte, ma su un cavallo non ricordava di essere salita neppure una volta.

"Se non provate non lo saprete mai"

Il sole era velato quella mattina, le acque ingrigite e fosche. Anche i gabbiani si facevano sentire poco, pareva dover piovere da un momento all'altro. Rosalie non sapeva se quella era una buona idea, a prescindere dal cavalcare, non riusciva a guardare verso il mare agitato senza provare malessere, e andare a cavallo proprio sulla spiaggia non avrebbe aiutato. Però le sembrò brutto rifiutare, pensava questo quando vide arrivare uno stupendo cavallo bianco con in groppa il colonnello. Quando le si avvicinò abbastanza, le disse di posare un piede sulla staffa. "Coraggio, senza paura"

"Facile a dirsi per voi, che ci siete abituata" la staffa era alta, dovette tirare su la gonna del vestito per riuscire a toccarla, ma non si diede una grande spinta, non ne ebbe bisogno. Oscar le afferrò una mano e la mise a sedere davanti a lei.

"Vai" il cavallo partì a un passo lento, poi più moderato "è un cavallo addestrato, non vi preoccupate" 

Non si stava certo preoccupando di quello, nel momento che si era ritrovata in groppa, con la schiena contro il petto del colonnello, le tornarono alla memoria i momenti davanti a quel camino, e fece caso che era un pensiero ricorrente. E quel profumo di acqua di rose che aveva già sentito. Era di nuovo in imbarazzo e si ritenne fortunata che in quella posizione non poteva essere vista. Gli zoccoli schizzavano nell'acqua e piccole gocce arrivavano fin sopra i loro abiti.

"I movimenti sono piuttosto semplici, Rosalie, guardate bene…" 

Ma a un certo punto smise di ascoltarla, una mano sul cuore cercava di calmare il respiro affannoso e il terrore che la faceva sudare freddo, il mare, divenne un rumore sovrastante ogni altra cosa che a confronto scompariva indistinguibile. All'improvviso gridò, e si voltò contro il petto del colonnello, premendo il viso contro i suoi abiti. Le mani tappavano le orecchie.

"Che succede, Rosalie? Non state bene?" fermò subito il cavallo. Avevano fatto poca strada, le sentiva tremare tra le braccia. "Aspettate, ora scendiamo"

"No!" lasciò le orecchie e si afferrò più forte ai vestiti del colonnello. "Non è il cavallo" deglutì "spostiamoci lontano dalla spiaggia, per favore"

Subito la bionda guidò il destriero per salire sopra l'arenile, dove iniziava a vedersi la vegetazione. E il mare si perse alle loro spalle. "Perdonatemi, non avevo compreso"

"Non potete farci niente, sono io che non riesco a scordarmelo" i tremori peggiorarono e quasi batteva i denti. Il cavallo si fermò, avvertì due braccia circondarla e stringerla. Quando finalmente riuscì a ritrovare il controllo, Oscar l'aiutò a scendere.

"Alla fine non è stata una buona idea, come posso farmi perdonare?"

Rosalie prese un respiro profondo e la guardò, con i suoi occhi spaventati "Non devo perdonarvi nulla. Mi fa un brutto effetto guardare le acque del mare, a piedi, a cavallo, non cambia… Mi è sembrato di affogare, di nuovo come quella notte. Il cielo era scuro, pioveva, quell'uomo mi ha scaraventato in acqua" coprì gli occhi prima che le lacrime iniziassero a scendere.

"Chi? Chi è stato?"

"Non so chi fosse, eravamo su un vascello, era uno sconosciuto per me" strinse forte le mani, una nell'altra, e non disse più una parola. In un certo qual modo, starle vicino anche senza parlare, le dava un po' di coraggio.

"Rosalie, desidero aiutarvi ma voi vi dovete fidare di me" avrebbe voluto chiederle dello sconosciuto, farsi descrivere questo uomo, aveva una gran voglia di dargli la caccia, stanarlo e fargliela pagare. "Ieri, mentre passeggiavamo, tra gli scogli dell'insenatura, ho visto un soldato della marina, morto. E dallo stato in cui era, direi che il periodo è pressappoco vicino al vostro arrivo qui" 

La ragazza dilatò gli occhi, capì chi era e, da come aveva reagito, il colonnello comprese che lei sapeva chi fosse "Non è stato quel soldato, si trovava sul vascello ma non c'entra, lui era…" si voltò.

"Come posso aiutarvi se non ne parlate con me?" 

"Non potete" 

"Come fate a dirlo, mettetemi alla prova" attese invano ma non le fece nessun'altra domanda. 

Rientrarono alla residenza e si tennero ben lontane dalla spiaggia. 

Sul tardi, il temporale irruppe con tutta la sua potenza. Maude tirò dentro il bucato, appena in tempo. L'aveva steso nel pomeriggio, quando si era alzato il vento, metà era già asciutto. Joris si occupò di chiudere le imposte una per una. La scrupolosità nel sigillare porte e finestre le ricordò Eric, il maggiordomo della marchesa. Rosalie si ritrovò sdraiata nel letto, a sobbalzare a ogni lampo e tuono, nonostante le finestre fossero perfettamente chiuse. Si rigirò e rigirò a lungo, fino alla mezzanotte. Il temporale non dava tregua, si sentì come una bambina sciocca che aveva paura dei tuoni. Eppure non erano quelli la ragione, tutto le faceva pensare a quella notte, ancora troppo recente per dimenticarla. Aveva rivelato anche troppo, considerò, non avrebbe confessato a nessuno in quella casa della vera ragione per cui avevano cercato di toglierla di mezzo, avrebbe solamente trascinato altri in quella situazione. Immaginò che tanto, se stavano ordendo un complotto, non avrebbero potuto fermarli con le poche informazioni che lei possedeva. Il conte avrebbe negato ogni cosa, probabilmente anche di conoscere gli inglesi. Ma, allo stesso tempo, se avesse taciuto e se fosse accaduto qualcosa ai reali, il rimorso l'avrebbe divorata per tutta la vita. "Basta!" nascose il volto tra le mani e un altro rombo fece tremare la finestra ed ella stessa. 

Si alzò, prese la piccola candela sul comodino ed uscì dalla camera a piedi nudi. I passi la condussero fuori la stanza del colonnello, si bloccò un momento prima di posare la mano sul legno della porta. 

"Stupida! Stupida!" mormorò sottovoce "Che vuoi fare? Che ci fai qui? Che ti salta in testa?" proseguì parlando a sé stessa. Rosalie abbassò la testa e i capelli le coprirono il viso come una tenda, sospirò e si voltò, per tornare lentamente nella sua stanza.

Oscar aveva visto la piccola luce fermarsi dietro la porta, si era alzata e poi era rimasta ferma in mezzo alla stanza, in attesa di qualcosa che non era accaduto. Pochi istanti dopo, tornò a sedersi sul letto, con le mani tra i capelli. Rimase a pensare in quella posizione fin quando il temporale calò di potenza e una lieve pioggerella proseguì fino al mattino successivo.

 

E fu mattina, era il quarto giorno che Rosalie si risvegliava nel letto di qualcun altro. Guardò di nuovo quell'uniforme poggiata sulla sedia, sempre immobile e immacolata come se Maude andasse a spolverarla ogni giorno, e non poteva escludere che lo facesse davvero. Quella mattina si era alzata presto, nonostante la notte agitata. Già che c'era, aiutò anche Maude in cucina, era brava a preparare il pane, l'aveva fatto ogni giorno della sua vita nella casa dei genitori adottivi, dai nove anni in poi. La madre le aveva insegnato bene, Maude le disse che era la prima nobildonna che vedeva a saperlo fare senza nessuna indicazione. La giovane non capiva perché la donna la considerasse nobile a prescindere, senza sapere nulla di lei. La chiamava mia signora sin dal primo momento. In ogni caso non disse nulla. Ma anche Oscar l'aveva sempre chiamata così, prima ancora che le raccontasse delle sue origini. Sarà stata cortesia, pensò. 

Voleva chiedere del padrone ma non osò più, non voleva sembrare fuori luogo o peggio ancora una a cui mancavano le buone maniere. Non erano affari suoi sapere cosa facesse o dove fosse ogni santo giorno. Anzi, di giorni ne erano passati anche troppi. Volendo vederla diversamente, magari quegli uomini non li avrebbe più incontrati per il resto della sua vita. Desiderava anche tornare dalla marchesa e tranquillizzarla. Doveva però inventarsi una storia credibile, non si sparisce da una nave senza lasciare tracce per poi ricomparire come niente fosse. Quell'uomo aveva ucciso uno dei marinai e il corpo era arrivato quasi alla sua medesima destinazione. Se aveva lanciato anche lui fuoribordo, chissà a che strane conclusioni erano arrivati sul vascello per spiegare l'assenza di entrambi. Volendo vederla diversamente, la cosa migliore che le poteva capitare era che qualcuno avesse visto l'uomo agire e l'avesse denunciato al capitano. Forse era sperare troppo, ma lo desiderò.

L'odore del pane caldo si sparse per tutto il piano terra della residenza, come ogni giorno. Joris sopraggiunse per accendere il camino "Siamo a corto di pietre focaie, più tardi andrò in paese" disse alla moglie, dopo aver salutato la ragazza con il suo solito lieve inchino. Voleva sapere se occorreva qualche altra cosa.

"Scusatemi" Rosalie lo interruppe "dal paese posso trovare un passaggio per Parigi?"

L'uomo si grattò la corta barba sul mento "Sì, mia signora, ma ve lo sconsiglio da sola. Se volete mettervi in viaggio per Parigi, debbo accompagnarvi" si voltò verso la moglie "il padrone lo sa?"

Maude fece un gestaccio al marito, come per dirgli di chiedere all'interessata lì presente.

"Mia signora, vi dispiace attendere fino a stasera? Il colonnello farà tardi, è andato a caccia"

Rosalie rimase a pensarci, andar via senza salutare sarebbe stato scortese e irriconoscente. Certamente l'avrebbe aspettata, poteva partire l'indomani. Le aveva promesso un passaggio, dopotutto. 

"Aspetterò, grazie"

Joris ne fu sollevato, accompagnarla ora gli avrebbe creato un mucchio di grattacapi, e poi aveva da fare. Dopo un altro inchino, uscì dalla cucina.

"Mia signora, andate già via?" Maude pareva davvero dispiaciuta.

"Sì, è ora che vada"

"Ne siete sicura?"

"Non posso restare ancora, devo far sapere che sono ancora viva, mi capite?"

"Avete ragione, mia signora, stupidamente ho immaginato che foste l'unica sopravvissuta di una tragedia" disse la donna, si slacciò il grembiule e sfornò il resto delle pagnotte.

"Voi siete una donna meravigliosa, Maude" Rosalie l'abbracciò, prendendola alla sprovvista "non vi dimenticherò mai, e neppure vostro marito"

"E il padrone?" Maude la vide abbassare gli occhi. 

"Anche"

"Però, se andate a Parigi, potreste anche incontrare il colonnello di tanto in tanto"

"Può darsi" Rosalie si sforzò di sorridere. Non era sua intenzione incontrare la bionda mai più. Si promise che se anche l'avesse vista per caso, l'avrebbe evitata. La marchesa però non meritava di venire abbandonata, a lei doveva dare spiegazioni. Dopo molto rimuginare, stabilì che le avrebbe raccontato tutta la verità, ne aveva il diritto, poi avrebbe scelto la stessa donna se permetterle di restare o mandarla via.

Qualche tempo dopo, Rosalie si ritrovò davanti al camino, a leggere. Aveva trovato uno dei volumi che possedeva anche la marchesa. Trattava delle principali famiglie nobili della Francia. Lo conosceva a memoria tante le volte che lo aveva sfogliato. Aveva sempre avuto la curiosità di scoprire chi fossero i suoi veri genitori ma in realtà non era certa di volerlo sapere. L'avevano gettata via come un paio di scarpe vecchie, così le diceva la sorellastra quando litigavano. Se voleva ferirla sapeva esattamente dove andare a battere. Eppure, ci aveva pensato tutta la vita alla sua famiglia d'origine, da quando era diventata abbastanza grande da conoscere la verità che le raccontarono. Poteva essere una di quelle in quel libro o magari era una famiglia imborghesita senza titoli eclatanti, oppure era la figlia segreta di qualche prelato. Anche questo le diceva Jeanne. Sapeva essere davvero sgradevole con lei, quando voleva. Chissà come stava e chissà se le rivolgeva ogni tanto qualche pensiero; perché nonostante tutto le voleva ancora bene.

Udirono bussare. Rosalie scattò in piedi come punta da un ago.

Maude andò ad aprire e accolse un giovane con i capelli scuri.

"Maude, come va?"

"André, che ci fai qui?"

"Volevo vedere Oscar, senza di lei non so con chi allenarmi e le giornate non passano mai" rispose sorridendo.

"Il generale sa che sei qui?"

"Sì e no" André rise "gli ho detto che mi serviva qualche giorno per venire a trovare dei parenti di mia nonna e visto che non avevo altri compiti da svolgere…"

"Comportati bene, perché abbiamo un'ospite!" le disse la donna. Ad André ricordò la nonna in quel momento.

"E chi è?" Maude gli indicò il salotto.

"Una signora per bene, quindi occhio a ciò che dici"

André vide una ragazzina che lo guardava seria come se fosse al cospetto di un qualche altolocato. Le si avvicinò. "André Grandier, l'attendente del colonnello" si inchinò e le prese la mano per baciarla.

"Rosalie, la dama…" si bloccò, doveva togliersi questo viziaccio che aveva di parlare senza riflettere "il colonnello mi ha salvata, ero svenuta sulla spiaggia, sono caduta da un'imbarcazione durante una tempesta" disse, deviando il discorso.

"Che storia! Raccontatemi per favore" André si sedette accanto a lei, ma prima si servì da solo un calice di vino, sapeva dove trovarlo, la ragazza non ne volle.

Le era capitato un tipo curioso, ecco che la faccenda si complicava terribilmente. Aveva detto troppo ancora una volta. E ora doveva inventarsi una storia credibile su due piedi. Certa che il giovane l'avrebbe raccontata a Oscar. Cominciò a dire che era la discendente di una famiglia nobile, e fin qui non aveva mentito, si trovava da sola su un vascello diretto in Francia. Era andata in Inghilterra perché stava cercando tracce della sua famiglia d'origine. Ci ricamò un po' sopra e raccontò che un uomo l'aveva spinta in acqua ma non scese nei dettagli.

"È stato accidentale?" André era più curioso di un bambino.

"Non ricordo molto di quei momenti"

"Rosalie, meno male che siete capitata da queste parti"

"Vero, sono stata molto fortunata"

André le disse che, conoscendo Oscar, si sarebbe messa alla ricerca della sua famiglia senza pensarci. Era fatta così. Si spendeva ad aiutare chiunque in difficoltà. Rosalie sorrise, se ne era accorta da sola della generosità che apparteneva alla bionda. 

"Se non l'ho trovata fino a oggi, significa che non vogliono farsi trovare. Preferisco non sapere più" replicò la ragazza.

"Io li continuerei a cercare anche solo per fargli provare un po' di vergona, sbattendogli in faccia la realtà e poi andandomene via per sempre" suggerì André picchiando un pugno nel palmo.

"André, vieni ad aiutarmi!" strillò Maude. 

"Neanche sono arrivato! Fanno sempre così quei due, appena mi vedono mi trovano qualcosa da fare" disse alla ragazza, che sorrideva.

Rosalie sospirò e tornò al libro. Non aveva idea di chi fossero i suoi genitori, non sapeva come si chiamassero, l'unica cosa che conosceva era la descrizione del padre, l'uomo che aveva detto di essere un nobile e che l'aveva lasciata davanti la casa del sarto, e poi il piccolo ciondolo che portava sempre al collo. Un quadrifoglio d'oro con una pietra azzurra nel mezzo, che la madre adottiva le aveva trovato tra le fasce. L'aveva appeso al collo con una catena d'argento. Il quadrifoglio non era lo stemma di nessuna famiglia nobile che conoscesse. Forse era un comune gioiello, che niente aveva a che fare con la sua famiglia. Si era rassegnata a non scoprirlo mai.

Oscar rientrò con i due fucili sulla spalla. Aveva lasciato a Joris un paio di lepri. Aveva anche riconosciuto il cavallo di André, si fermò in salotto. Rosalie non l'aveva sentita, era assorta nella lettura. 

"Ho saputo che volete andarvene" disse.

La ragazza sussultò, poi si alzò e posò il libro sulla sedia. Subito dopo accennò un movimento d'assenso con la testa.

"Come desiderate. André potrà accompagnarvi, con lui sarete al sicuro" rimase immobile accanto l'ingresso.

André aveva riconosciuto la sua voce, uscì e andò ad abbracciarla. "Ti sono mancato, vero?"

"Che me lo chiedi a fare, ovvio che mi sei mancato" Oscar gli sorrise e lo strinse "hai conosciuto già la nostra ospite?"

"Una ragazza adorabile"

Oscar annuì, poi si allontanò "Vado a cambiarmi, poi mi racconti che succede a casa" riservò un ultimo sguardo a Rosalie e si avviò a salire le scale.

Più tardi, dopo pranzo. Il salotto si ritrovò affollato come capitava di rado in quel palazzo "Non capisco perché la regina è così puntigliosa con te, trenta o ventisette che cambia?" André aveva fatto due rapidi conti, il generale sentiva la mancanza della figlia però l'orgoglio era tale e quale a quello di Oscar e se diceva una cosa, teneva il punto fino alla fine. L'aveva confinata lì e doveva restarci fino all'ultimo giorno.

"La regina si comporta da regina" Oscar era china, gettò un altro tronchetto di legno nel caminetto e osservò le fiamme ravvivarsi. Rosalie le fissava le spalle, la sentiva distaccata e più fredda rispetto ai giorni passati.

"Perché non vieni anche tu a Parigi? Chi ti può vedere?" suggerì André, la ragazza che doveva accompagnare in fondo non lo conosceva e poteva crearsi dell'imbarazzo. 

"Se vuoi compagnia c'è Joris" il colonnello si alzò e andò a sedersi, di fronte agli altri due.

"Non è solo per quello, ma per non far sentire a disagio Rosalie, con te saremmo in tre e potremmo andare con il mio cavallo e la piccola carretta di Joris. Potresti travestirti da contadino, con un cappello di paglia" si mise a ridere.

"Non vi preoccupate per me, André, posso anche andare da sola a Parigi. Se mi lasciate al paese, provvederò da me" intervenne la più giovane.

"D'accordo" Oscar si sgranchì le spalle. Rosalie la fissò negli occhi, come a sfidarla a distoglierli prima di lei ma perse inevitabilmente.

"Come d'accordo? La fai andare da sola?" André osservò le due e crucciò la fronte.

Oscar sorrise "No, André, d'accordo per il travestimento da contadino. Così, se ci beccano, mi raddoppiano la punizione e poi tu andrai a comunicarlo a mio padre" disse con ironia.

"Perfetto!" André batté le mani "Domani si parte! A voi sta bene, Rosalie?"

La ragazza ringraziò. Poi si congedò, dicendo che andava a riposare.

"Qualcosa ti turba" disse André, appena rimasero soli.

Oscar scrollò le spalle.

"Ti conosco bene, non far finta di non capire. Mi sembri anche abbastanza inquieta"

"Dimmi piuttosto che succede a casa"

"A palazzo Jarjayes è tutto come sempre e mia nonna ti ha mandato un dolce, che troverai nelle cucine. Non cambiare argomento, perché vi ho viste"

Oscar si scostò dallo schienale e poggiò le braccia sulle ginocchia "Avrei voluto sapere qualcosa di più dalla nostra ospite, la sua resistenza nel parlare dell'accaduto mi insospettisce"

"Sarà ancora traumatizzata, volare giù da una barca in alto mare non è una cosa che si può raccontare, di solito. A me ha detto che non ricorda molto dell'uomo che l'ha spinta, forse accidentalmente"

"Accidentalmente, eh?" il colonnello pensò che c'era qualcosa che voleva nascondere dietro alle mezze bugie che diceva. Ma non glielo avrebbe fatto rivelare di forza. "In verità, mi dispiace che non abbia nessuna fiducia in me. Capisco di essere come un'estranea ma, diamine, speravo avesse chiaro ormai che non sto cercando di intromettermi negli affari suoi ma cerco solo di aiutarla"

André le disse ciò che la ragazza gli aveva rivelato. La ricerca della sua famiglia in Inghilterra. E più raccontava più tutta la faccenda suonava poco credibile al colonnello. Lei che viaggiava da sola fino in Inghilterra ci poteva anche stare ma il terrore che l'aveva fatta tremare, durante la cavalcata, quello era reale. Le aveva detto che uno sconosciuto l'aveva scaraventata in acqua. E ne era ancora terrorizzata, l'aveva percepito, poteva giurarci. C'era anche un cadavere di mezzo.

"L'hai già aiutata abbastanza, non hai niente da rimproverarti se non vuole confidarsi, se vuole cercare la sua famiglia da sola, libera di farlo, se non vuole cercarla più, altrettanto" aggiunse André.

Il colonnello si alzò in piedi, c'era di più dietro. E la infastidiva molto che non le avesse rivelato nulla. Forse l'altra sera ci stava pensando, quando era arrivata alla sua porta, e aveva cambiato idea all'ultimo. Ma che diritto aveva in fondo, l'aveva salvata, era stata ringraziata, fine della storia.

"Hai ragione, buona notte" salì le scale e passò vicino alla sua vecchia stanza, dopo aver fissato la porta qualche secondo proseguì a camminare. Si fermò quando sentì dei rumori, tornò sui suoi passi. Accostando l'orecchio alla porta udì come un pianto sommesso. Attese e i singhiozzi si fecero sentire chiaramente. Non sapeva che fare. Bussare o far finta di nulla. Ma non era capace di ignorarla. "Rosalie? Tutto bene?"

Dopo qualche momento arrivò una risposta, che diceva che andava tutto bene "Solo un momento di nostalgia" farfugliò poi la ragazza. Ma non andò ad aprire la porta.

"Se volete parlare, sapete dove trovarmi" il colonnello strinse i pugni e se ne andò dopo qualche attimo di silenzio.

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Capitolo 4
*** Ritorno a Parigi ***


L'indomani giunse presto. Oscar si fece trovare vestita nel salotto, per assomigliare a un contadino non le serviva cambiare di molto gli abiti che usava per andare caccia, solo un po' più logori, quindi accettò una delle maglie tra quelle del repertorio di Joris. Maude le disse che era in buono stato e adatta all'autunno, nonostante fosse vecchia e di un grigio sbiadito. "Andate a un ballo di gala? Non dimenticatevi di riferirmi i piatti del servito" disse la donna con ironia.

Oscar rise "Grazie, Maude"

André le posò un cappello di paglia sulla testa "Legati quei capelli, danno troppo nell'occhio" poi le sporcò un po' il viso.

"André, non devo assomigliare a un carbonaio" toccando il viso si accorse che ora era imbrattato di fuliggine.

"Serve a dare un tocco di credibilità"

Il colonnello si grattò i capelli "E come mai tu sei vestito come al solito?"

"Questa volta io sarò il signore e tu il servo" si mise a ridere "con la sorella più giovane" disse quando vide Rosalie scendere le scale. Aveva gli occhi gonfi.

Mentre si legava i capelli con un nastro scuro la vide venirle vicino. Fatti gli affari tuoi, Oscar, disse fra sé. Stabilì che non le avrebbe fatto domande, non più.

A Rosalie scappò un sorriso quando la vide, istintivamente le toccò la guancia per tirar via un po' di quel nero "Che avete fatto?"

Il colonello allargò le braccia e poi indicò il suo attendente. 

"Ma così è troppo" le porse un fazzoletto. 

"Lo immaginavo, vi ringrazio" Oscar si fece indietro e disse che li avrebbe attesi fuori. Aveva intenzione di buttare uno o due fasci di legna da ardere sul carretto, per non andare in giro senza carico. Se tutto andava liscio, sarebbero arrivati in città in serata.

André montò il suo cavallo, Rosalie salì accanto a Oscar che teneva le redini del cavallo legato un piccolo carretto. Maude li salutava da lontano con un braccio. "Spero di rivedervi" aveva detto alla giovane ragazza prima che questa lasciasse la casa. Aveva anche dato loro qualcosa per il viaggio. Il trio prese la strada in silenzio. Andò avanti così per diverse ore. Rosalie guardava il panorama che mutava poco, alla sua destra, senza posare mai gli occhi sulla bionda al suo fianco. Quella mattina c'era ancora vento, ma il cielo era sgombero da nubi e un blu intenso lo dipingeva ovunque fino all'orizzonte. Tutto sembrava rimasto com'era sempre stato, eppure il loro mondo stava per cambiare. Se non avesse fatto in tempo a intralciare e magari fermare chi voleva togliere i sovrani di mezzo le sorti della nazione potevano venire stravolte; le vennero i brividi a pensare che una cosa del genere dipendeva in buona parte da lei. Non c'era dubbio che doveva chiedere aiuto a qualcuno. Conosceva Bernard, un giornalista poco più grande di lei, ma faceva parte di una cerchia di persone che non amavano affatto la nobiltà e i sovrani. Lui vedeva di buon occhio solo una repubblica e un governo eletto dal popolo e fatto dal popolo, nessuna corona doveva più regnare. Raccontarlo a lui poteva peggiorare le cose. Forse solo la marchesa poteva indirizzarla nella giusta direzione.

André iniziò a fischiare, Oscar gli intimò di far silenzio, non avrebbe potuto iniziare in un momento peggiore. C'era un gruppo di soldati a cavallo che stava venendo nella loro direzione. Diede un colpo con le redini per andare più veloce e abbassò la testa. Un soldato alzò un braccio.

"Dove andate?" domandò questo quando la carretta si fermò.

"Parigi, soldato" disse André.

L'uomo in divisa allungò il collo per osservare che trasportavano, vide solo legname "Chi siete?"

"Un banchiere" e si voltò verso il carretto "questi sono i miei servi"

"Un banchiere che trasporta legna?"

"La legna è per me, soldato, credi che io mi scaldi scuotendo le monete?"

Il soldato arricciò il naso e non parve convinto "Come vi chiamate?"

Oscar stava iniziando a stancarsi, alzò lo sguardo e vide che c'era rimasto solo quel soldato, gli altri lo avevano distanziato di parecchio. "Perdonateci, ma ci state facendo perdere del tempo"

"Sta zitto, servo, non ti ho interpellato!"

Non li ricordava così spocchiosi i suoi soldati; però quelli non lo erano, in effetti non facevano parte della sua unità. André si allarmò quando la vide scendere dal carretto. "Tra tanti che ne passano proprio noi dovevate fermare?" il soldato fissò quel cappello di paglia e mise mano alla spada. 

"Per essere un servo hai la lingua sciolta" prima che potesse sfoderarla si vide afferrare per una gamba e scaraventare giù dal cavallo dalla bionda. André scese subito e lo colpì con un modesto calcio alla testa.

"Accidenti a te, Oscar! Me lo stavo lavorando io!" 

"Non lo avresti convinto neppure dopo un'ora" gli disse di spostare il cavallo dal centro della strada. Il soldato era svenuto. "Gli altri dove sono?"

"Andati" disse André e sperò che quando si fosse svegliato non avrebbe avuto ricordi di loro.

Il colonnello sospirò "Monta a cavallo, banchiere" disse sorridendo "prima ci leviamo da qua e meglio è" 

"Perché, tu che avresti detto? Ministro? Principe?" André sbuffò e salì a cavallo "Un banchiere è più facile da impersonare e poi ce ne sono tanti e nessuno li può conoscere tutti"

Rosalie era rimasta impassibile, non si era mossa. 

"Mi dispiace se vi siete spaventata" disse l'altra, quando tornò sul carretto.

Rosalie fece cenno di no con il capo. Si voltò e guardò di nuovo dall'altro lato, dove c'era il soldato sdraiato e il suo cavallo che gli vagabondava vicino. Presto qualcuno l'avrebbe notato, quella strada era parecchio movimentata. Ripresero ad avanzare. Dopo una pausa, quando il sole era sulle loro teste, tornarono a muoversi. Andavano veloci, nonostante il carretto. Poco male, pensò André, i cavalli avrebbero faticato di più ma sarebbero potuti arrivare prima di notte. Qualche tempo dopo il tramonto, Rosalie si strinse nel mantello, Parigi arrivava in vista con le sue luci fioche e i suoi rumori distanti. Provò tristezza e sollievo assieme. Si voltò verso il colonnello ed ebbe un tonfo al cuore, quegli occhi azzurri la osservavano e non riuscì a sostenere lo sguardo. Si girò di nuovo. "Potete lasciarmi qui. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me" disse rivolgendosi a entrambi.

Oscar fermò la carretta e posò il cappello dove sedeva. "André, bada tu ai cavalli, io l'accompagno finché non sarà al sicuro"

"Sì, ma sbrigati. Vedo che c'è ancora qualcuno in giro" inclinò la testa per salutare Rosalie, poi scese dal cavallo e lo attaccò al carretto, vicino all'altro.

"Oscar, non ce n'è bisogno, credetemi, conosco bene queste strade" Rosalie si sentì prendere la mano e condurre verso la città.

"È quasi buio, ditemi dove alloggerete"

"Non posso" Rosalie guardava ovunque ma non lei, sfuggiva quello sguardo, provò a svincolare la mano ma non ci riuscì. "L'uomo che mi ha gettata in mare, colui che ha ucciso quel marinaio, è qui a Parigi, ne sono sicura. È trascorso così poco tempo, potrebbe riconoscermi facilmente. Non chiedetemi nulla, vi ho rivelato anche troppo" strattonò la mano e fu capace di tirarla via "non vi dimenticherò" la ragazza prese a correre e non si girò. Imboccò una stradina. Parigi non era grande, avrebbe raggiunto la casa della marchesa in pochi minuti, tra quei vicoli deserti, fatta eccezione di qualche ubriacone e altri vagabondi che iniziavano a prendere il posto di chi si stava ritirando nella propria dimora dopo una giornata di lavoro. Ma non corse a lungo.

"Fermatevi!" Oscar le si parò davanti, bloccandole la via "Non potete dire una cosa del genere e poi andarvene!"

"Perché mi avete seguita!?"

"E come faccio a far finta di niente?" alzò le mani "Calmatevi un attimo, non scappate, fatemi capire una cosa"

La ragazza si fermò e attese, in realtà cercava una via di fuga, parlare non sarebbe servito a niente.

"Aspettate un momento soltanto, per favore" il colonnello mosse un passo e l'altra indietreggiò, allora rimase ferma "perché siete tornata a Parigi se c'è questo uomo che potrebbe farvi del male? Che senso ha?"

"Non posso dirvelo!" si afferrò le vesti con rabbia "Non potete aiutarmi ancora. Non sono una bambina, so cavarmela da sola" due passi ancora e le passò di fianco. "Non complicate le cose, non seguitemi!" la mano del colonnello le afferrò il polso, tuttavia la ragazza non si voltò.

"Perché mi giudicate così immeritevole della vostra fiducia?"

La più giovane le tenne ancora le spalle "Non avete capito, Oscar" la voce era incrinata ma proseguì senza distogliere lo sguardo dalla strada "non è la fiducia in voi che mi manca" la presa che le stringeva il polso cedette lentamente e fu libera, quindi si allontanò ancora, verso la strada che apriva fuori dal vicolo "cosa fareste al posto mio? Se qualcuno potesse riconoscervi e volesse uccidervi, chi terreste al vostro fianco tra coloro a cui volete bene?" le disse infine, si girò, la guardava in quegli occhi azzurri scintillanti.

"Io combatterei, con tutte le mie forze, proprio per non perdere chi ho accanto" provò di nuovo a prenderle la mano ma la ragazza si scansò.

"Mi piacerebbe essere come voi, ma non lo sono" la vide scappare, e non la inseguì stavolta. Vale a dire che non la raggiunse, ma la tenne d'occhio da lontano. Fin quando osservò l'entrata di una casa che non apparteneva certo a un'orfana. Rimase lì al buio, nascosta, ad aspettare, poteva aver finto magari, per confonderla, ma non la vide più uscire. Vide invece accendersi alcune luci al pian terreno di quella casa, circondata da un bel giardino che si scorgeva appena sotto il chiarore delle stelle. 

Un gruppo di soldati la mise in allerta. Tornò lentamente indietro, passando in quegli stessi vicoli.

André si era sdraiato sul sedile della carretta e aveva tirato i piedi sulla sella del cavallo, la vide sbucare dopo parecchia attesa "Quanto diamine ti ci è voluto, avete fatto il giro della città?"

Oscar salì dove stava Rosalie all'andata, e gli disse di andare. Ripose il cappello sul capo e guardò dritta davanti, sarebbe stata una lunga nottata. "André, pensavo che forse ti conviene tornare a casa, già che sei qui"

"No, torneremo assieme quando scadranno i trenta giorni, cioè dopodomani"

"Come vuoi" 

"Alla fine l'hai riportata da qualcuno che la conosce?"

"No, ha voluto andar via da sola"

"È una ragazzina matura per la sua età, io non mi preoccuperei" André schioccò le redini e il carretto partì.

"Non ci ha detto tutta la verità, è in pericolo e saperlo senza poter far niente per aiutarla è come una tortura" aveva ancora la percezione del terrore che circondava la ragazza come un'aura.

"Hai già fatto il possibile e, quando non ci puoi fare più niente, rodersi il cervello fa solo male"

Oscar alzò gli occhi al cielo. Strinse i denti e si costrinse a smettere di pensare. Con i due cavalli, il carretto andò più veloce, ma non avrebbero comunque rivisto il mare prima dell'alba.

 

Eric portò un vassoio di biscotti e pasticcini e lo poggiò sul tavolino, con due tazze di tè. La marchesa abbracciò Rosalie non appena se la ritrovò davanti. Proprio come fosse la nipote che non aveva mai avuto. La donna le disse che a bordo era circolata la voce di una fanciulla che era caduta in acqua e di un uomo dell'equipaggio che si era tuffato per salvarla, ma nessuno dei due era più ritornato in superficie. Rosalie si sentì pervadere dalla rabbia e lei non si arrabbiava quasi mai, la marchesa le aveva insegnato che non stava bene per una fanciulla educata. "Che ti è successo?" domandò la donna.

La ragazza diede uno sguardo fuori dalla finestra, il buio avvolgeva ogni cosa. Si sedette vicino a lei. "Mia signora, vi ricordate quando mi avete chiesto di accompagnarvi sul ponte per prendere un po' d'aria?" la donna le disse di ricordarlo bene, l'aria era fresca ma stava per giungere un temporale. Rosalie raccontò di essersi accostata casualmente alla cabina dove alcuni uomini con l'accento inglese stavano parlando e di aver riconosciuto la voce del conte de Badeaux. Le riferì parola per parola ciò che aveva sentito. Poi raccontò che uno di quegli uomini con l'accento inglese l'aveva seguita fuori quando aveva tentato di allontanarsi, dove l'aveva aggredita e gettata in acqua. Aveva anche ucciso uno dell'equipaggio che sfortunatamente li aveva visti. 

"Delle brave persone mi hanno salvata, ero finita sulla spiaggia della costa vicino la baia. Sono restata da loro in questi giorni"

"Vieni. Cara, vieni" la donna l'abbracciò di nuovo "prendi un biscotto, rifocillati" la marchesa era preoccupata "se hai sentito queste cose, significa che stanno provando a rovesciare la corona e, se ci sono di mezzo degli stranieri, il conte è un traditore"

"Come possiamo intervenire?" chiese Eric, anche lui aveva ascoltato, era lì.

"Credo che innanzitutto dobbiamo scoprire tutti i nomi delle principali persone implicate, altrimenti saremmo in pericolo, qualsiasi mossa facciamo" disse Rosalie, ci aveva pensato a lungo, nella sua mente per ora c'era solo il nome del conte.

"Sono d'accordo" disse il maggiordomo.

La marchesa si stringeva le mani "Il mio notaio" l'uomo che aveva scritto la stipula con cui si era recata dalla nipote in Inghilterra "ha padronanza della lingua straniera"

"Bene, teniamolo a mente, mia signora, potrebbe tornare utile" Rosalie aveva pensato di chiedere comunque a Bernard, ma senza menzionare i fatti. "Posso parlare con Bernard, per dirgli di indagare sugli inglesi che si accompagnavano al conte, mi serve solo una buona ragione per convincerlo"

"Il conte frequenta la reggia, se la marchesa ha voglia di rimetterci piede" erano anni che non andava più a Versailles "potremmo vedere chi ha intorno, il traditore" suggerì il maggiordomo.

"No, Eric, dovremo trovare un'altra soluzione" replicò Marie, irritata.

"A ogni modo il conte è il punto di partenza" Rosalie si mordicchiò le unghie. A Versailles c'era anche la servitù, pagando potevano avere da loro informazioni importanti, molto più che recandosi di persona. Poteva ingaggiare un contatto con qualcuno di loro. Chiuse gli occhi, che sciocchezze stava pensando, la sua faccia non poteva certo mostrala a corte, neppure come serva. Le tremavano ancora le mani dall'ira.

"Rosalie? Vi sentite male?" Eric le toccò la fronte.

"Sono solo un po' stanca" massaggiò le tempie "Eric, c'è modo di avvicinare qualcuno della servitù a Versailles?"

"Il cocchiere della regina è un mio vecchio amico, ma non ci può essere utile"

"Dovremo pagare qualcuno" Rosalie guardò di sottecchi la marchesa. La donna capì che doveva metter mani ai suoi risparmi.

"Se è per una buona causa, avrete la disponibilità necessaria" che in altri termini stava a significare neppure una moneta in più dello stretto necessario. 

"Grazie, signora marchesa, siete meravigliosa" Rosalie le prese una mano e la strinse.

"Non mi ringraziare, cara" la donna le accarezzò i capelli "stiamo lavorando per quei cialtroni dei reali, senza che neppure lo sappiano mai, se gli va bene"

Rosalie si sentì un po' meglio, non era più sola con quel macigno da sopportare, la marchesa e il suo maggiordomo non avrebbero destato sospetti quanto poteva farlo invece un soldato. Non se li immaginava venire presi di mira dai cospiratori, bastava che quell'uomo non li vedesse mai assieme a lei medesima. Oscar invece, se le avesse raccontato tutto, la vedeva andare spada in pugno a casa del conte e ribaltare ogni cosa in cerca di prove. Non poteva togliersela dalla testa un solo attimo. Non sapeva neppure se l'avrebbe mai più rivista. Sospirò poggiando la testa sul divano, doveva farsi bastare saperla al sicuro. Voler bene voleva dire quello, no? Perché le voleva bene, anche se si conoscevano da così poco che sembra strano dirlo. Certe persone erano capaci di farsi voler bene così tanto dopo così poco tempo "Vado a distendermi, mia signora" si inchinò alla marchesa e sorrise al maggiordomo. Andò verso la sua camera dove crollò sul cuscino, le era mancato il suo vecchio cuscino di lana, caldo d'inverno e soffocante d'estate.

"Quel conte, sembrava una così brava persona, così virtuosa" la marchesa gli riservò un pensiero disgustoso, bevette un sorso di tè "non ci si può fidare di nessuno"

"Io di voi mi fido" disse Eric, schiarendosi poi la voce. La marchesa bevve un altro sorso e addentò un biscotto. Piegò un angolo delle labbra in un tenue sorriso.

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Capitolo 5
*** La lista ***


Avviso: Nel seguente capitolo ci sono due scene che potrebbero infastidire alcuni tra coloro che leggeranno, niente di eccessivo ma, a maggior tutela della sensibilità, il colore del testo è più sbiadito, due brevi passaggi che si possono saltare senza grandi perdite nella trama. Nel caso di scene simili nei capitoli futuri il meccanismo sarà lo stesso. Grazie per l'attenzione. Buon Natale!



La tipografia dove bazzicava Bernard era un bugigattolo che non lasciava spazio a più di cinque persone che volevano muoversi contemporaneamente. Da lì uscivano poche pagine di un giornale che spesso veniva requisito dai soldati, in quanto pubblicava articoli definiti sedicenti o eversivi alla peggio. Il proprietario si era fatto qualche mese al fresco a causa di un volantino che avevano stampato un anno prima. Bernard lo ammirava molto. Era stato così impegnato di recente che neppure si era accorto dell'assenza di Rosalie dalla casa della marchesa, che spesso piantonava per incontrala, con una scusa o l'altra.

"Se ho capito bene vuoi sapere i nomi dei tizi inglesi che accompagnavano un conte ciancioso, perché?"

"Perché potrebbero conoscere qualcosa sulla mia famiglia d'origine" Rosalie buttò la prima balla che le era venuta in mente "ma non devono assolutamente sapere di me, neppure il mio nome di battesimo"

Il giovane bruno di capelli si gratto una guancia "E come dovrei fare a scoprirlo?"

"Sei un giornalista, no?"

"E con questo? Non posso avvicinarmi a un conte e fargli delle domande sulla vita privata"

"Ma puoi spiarlo"

"Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? La mia faccia è già nota ai soldati, non voglio finire in prigione" Bernard sapeva come venivano trattati i dissidenti, peggio degli assassini, ci aveva scritto un pezzo. E servivano fior di avvocati per tirarli fuori. "Se faccio una cosa del genere in cambio…" le si avvicinò "Devi darmi qualcosa di pari valore, perché rischierò la vita per te"

Rosalie socchiuse gli occhi e si scansò "Che vorresti?"

"Devi diventare mia moglie" le disse, serio.

"Cosa?" Rosalie accennò una risata "Non ti pare di esagerare?"

"Per niente" le fece un largo sorriso "quantomeno una notte insieme o non se ne fa niente"

"Ma…" arrossì, non si aspettava che il giovane arrivasse a chiederle tanto "Perché mai dovresti volere una cosa del genere? Certe cose si fanno se si è innamorati!" era arrossita ancora di più.

Bernard sorrise all'ingenuità della ragazza "Piccola Rosalie, non conosci molto del mondo se pensi una cosa del genere. A ogni modo, chi ti dice che io non lo sia?" toccò una pila di fogli e si finse interessato a questi "Mi farai sapere, prenditi il tempo che vuoi"

"Tutto ma non quello" replicò lei, fissandolo negli occhi.

Il giovane sorrise di nuovo "Ti pare così brutto, quello?" l'afferrò per un braccio e la tirò a sé. Poi le toccò il mento, la ragazza dilatò gli occhi e provò a girarsi ma il giovane catturò le labbra con le sue. La spinse contro uno scaffale, un vecchio raccoglitore piombò di sotto.

"Ehi! Andatevene da un'altra parte!" strillò un uomo, collega di Bernard.

Il giovane giornalista si staccò e la ragazza gli mollò un ceffone. Lo guardò con gli occhi lucidi e l'aria sconvolta, prese poi l'uscita senza dire una parola. 

"Qui si lavora!! Chiaro!?"  

"Ho capito, Arnaud, non urlare!" tirò su il vecchio raccoglitore "L'hai fatta scappare, hai visto?"

"Io ti avrei dato anche un calcio nei coglioni, oltre allo schiaffo!" Arnaud tornò a spingere un piccolo carrello con delle risme, da un'altra parte.

Bernard ridacchiò, finalmente aveva trovato il coraggio di darle un bacio "Prima o poi ti metterò un anello al dito" rifletté ad alta voce, magari non di gran valore ma avrebbe fatto del suo meglio, era solo questione di tempo. Sorrise, tornado alle sue stampe. Doveva iniziare a prendere informazioni sul viaggio di questo conte. 

Rosalie corse in strada con le lacrime agli occhi. Un bacio, il primo che avesse mai dato a qualcuno e che, oltre alla vergogna, le faceva provare irritazione; qualcosa di simile alla sensazione che le avessero rubato qualcosa di unico e inestimabile. Copriva il capo con un velo da quando era tornata a Parigi, di giorno usciva solo così e di notte pure, se capitava, un abito modesto e un copricapo che le nascondesse i capelli. E non guardava mai nessuno negli occhi, da breve distanza. Ogni volta che scorgeva una testa con i capelli neri, corti e ricci un brivido le attraversava tutto il corpo. Camminò svelta, fino a raggiungere la panetteria. Comprò ciò che serviva, poi girò verso la farmacia, dove ritirò il rimedio che prendeva la marchesa quando aveva forti bruciori di stomaco. Due occhi azzurri la seguivano da lontano, l'avrebbero riconosciuta tra mille. Il colonello Oscar era di rientro in sevizio, un po' in anticipo, per gentile concessione della regina che non sopportava più di non vederla in giro nei corridoi, così le aveva detto sorridendo dopo averla mandata a chiamare. Apparentemente le pareva che la giovane Rosalie fosse tornata a una vita abituale. Ma si muoveva con circospezione. La vide inciampare e cadere. Senza pensarci un attimo, corse, raccolse il barattolo del medicamento che stava rotolando e glielo porse con il cappuccio del mantello calato sulla testa. Poi le tese una mano con cui l'aiutò a tirarsi su, neanche il tempo di alzare gli occhi, per la ragazza, che andò via veloce. Non voleva farsi riconoscere, non sapeva come poteva reagire.

"Grazie, signore!" le disse Rosalie mentre la guardava andarsene. Quella figura alta e incappucciata avrebbe dovuto incuterle timore, perlomeno avrebbe dovuto, invece quella mano che l'aveva aiutata a rialzarsi era stata gentile.

"Oscar!" André le andò incontro "Che stai facendo? Te ne vai, sparisci all'improvviso!" 

"Avevo visto…" sospirò, alzò gli occhi su di lui "Niente, andiamo" i soldati erano poco più in là e la stavano aspettando. Tolse il mantello e scoprì l'uniforme rossa, il suo cavallo era lì, montò e si avviò a capofila della truppa.

Rosalie si spolverò la veste, doveva stare più attenta, anche cadere attirava l'attenzione. Camminò più adagio da quel momento.

 

Una settimana dopo, Eric e la marchesa le diedero una notizia interessante. A corte il conte era stato visto di recente. Mai però in compagnia di qualcuno con l'accento inglese. "Non è un idiota" disse il maggiordomo "si guarderà bene dal farsi vedere in pubblico con un complice, piuttosto, il servo ha detto che può seguirlo ma ha chiesto il doppio della cifra"

"Non ci sono più i servi di una volta, che si accontentavano di quello che gli mettevi in mano" disse la marchesa, e poi sbuffò.

"Mi dispiace, mia signora, ma ci servono quei nomi" Rosalie si mordicchiò il labbro, a capodanno non mancava molto. E sperava che non avessero modificato i piani. 

La donna oscillò una mano "Se non li ho toccati fino a oggi c'era una ragione, sapevo che prima o poi sarebbero serviti" 

Rosalie le sorrise, la marchesa era una donna eccezionale. Camminò vicino la libreria e vide il volume che aveva trovato anche a casa del colonnello. Le mancava averla intorno, le mancava quella rassicurante presenza, pure se silenziosa, e anche quello sguardo severo che mostrava quando era contrariata. Le mancava, ma doveva dimenticarsela. Se lo era promesso, e quando le veniva in mente spostava subito l'attenzione su altro. Le mancava anche Maude e un po' pure Joris. Doveva sforzarsi, il tempo avrebbe aiutato, si ripeteva. 

La marchesa si preparò ad uscire, Eric l'avrebbe accompagnata. C'era un parco poco lontano. Rosalie l'aveva visitato decine di volte con la marchesa, ma adesso non voleva più che le vedessero insieme, se lei usciva gli altri due stavano in casa o altrove, e viceversa. La donna soffriva di emicranie, oltre che bruciori di stomaco, Rosalie pensava fosse per le sofferenze che aveva subito in gioventù, divenendo vedova così giovane. Qualcosa come uno strascico emotivo che le aveva condizionato la salute. L'aria fresca l'aiutava con l'emicrania. In quel parco c'erano alberi e fiori, in primavera era bellissimo passeggiarvi. Al centro una fontana alta e stretta che raffigurava una figura femminile mitologica. Tante le volte che l'aveva vista che poteva disegnarla a memoria. Le avrebbe fatto piacere accompagnarli, ma finché non si fosse risolta la questione, non se ne parlava. Parigi era piccola e affollata.

Si sedette sul divano e prese un biscotto. Ora che era sola, i pensieri le urlavano nelle orecchie. "Basta!" si alzò e afferrò un libro, era un romanzo di qualche scrittore contemporaneo. Uno di quelli che ricordava poco e niente. Si sedette e iniziò a leggere. Non era una storia d'amore, per fortuna, non l'avrebbe sopportata.

Trascorse poco tempo su quel libro, bussarono alla porta. E la marchesa non bussava mai, così come Eric. Rosalie si spaventò. Sapeva che c'erano delle armi in quella casa, ma purtroppo non aveva mai chiesto ad Eric dove fossero. Si sporse un po' dalla finestra per guardare giù. Era Bernard. Lasciò andare il respiro che stava trattenendo. 

Aprì la finestra e lo fissò malamente "Che vuoi?" 

Il giovane giornalista le sorrise "Ho il tuo nome"

Rosalie spalancò la bocca "Aspetta, scendo"

"No, non qui fuori" Bernard si fece aprire il cancello. Entrò in casa. "Sei sola?"

"No, c'è Eric, sta sistemando il giardino" replicò la ragazza "qual è il nome?"

"Non mentire, lo so che sei sola, li ho visti uscire qualche minuto fa" Bernard andò a sedersi in salotto "bella casa, i nobili si trattano sempre bene"

"La marchesa è una donna per bene" Rosalie rimase in piedi, in attesa e infastidita.

"Ho cercato, ma non è stato necessario tanto rumore. È bastato mettere le mani sul registro dei passeggeri di quel vascello" le mostrò una pagina, la ragazza gli diede una scorsa veloce "non farti illusioni però, non vedo come quei nomi possano aiutarti a risalire alla tua famiglia"

"Meglio che niente, ti ringrazio" lesse il nome del conte, c'era anche il suo e quello della marchesa. E poi un certo Lord Gerald H. Turner, poi un Larrie Smith, un Wallace Palmer e poi ancora Adam Muray. Questi i nomi stranieri che catturarono la sua attenzione. E anche ammesso che fossero nomi falsi, era sempre un indizio. "Grazie davvero, questa lista può fare la differenza"

"Pensi che te la dia gratis?" Bernard sorrise, lì dove era seduto.

"Il bacio te lo sei già preso" Rosalie piegò la lista e la mise in tasca, si avvicinò alla porta del salotto.

"Si ma, io non ti ho chiesto un bacio"

"E io non ti ho accordato altro" la ragazza lo fissò impassibile.

"Lo so, ma speravo che dopotutto me lo meritassi, ho rischiato per avere quella lista" si alzò dal divano e le si avvicinò piano. "Dai, non dirmi che non ti piaccio neanche un po'?"

"Bernard, non insistere" una mano del giovane si posò accanto al muro. Rosalie piegò la testa e passò sotto al suo braccio, poi si spostò nel corridoio.

"Rosalie, ti prego, dammi una possibilità" la seguì, la ragazza arrivò con le spalle alla porta della sua camera. Il giovane aprì la maniglia e lei si trovò all'interno senza poter fuggire. Le mani di Bernard raggiunsero il suo abito. Era un vestito semplice, gli bastò tirare un laccio dietro la schiena. La ragazza gli fermò il braccio. 

"Fermati, aspetta!" tenne su il vestito con una mano.

"Rosalie, io ti amo da quando eravamo ragazzini, non ci credo che non te ne sei mai accorta, oppure hai fatto finta per stuzzicarmi?" 

"Bernard, per favore, se ti comporti così non mi invogli affatto a crederti, il tuo è un ricatto spregevole!" gli toccò il petto per spingerlo via, ma non lo spostò di un niente. Lui le abbassò le maniche del vestito, la sottoveste spuntò da sotto. 

Bernard arrotolò le dita intorno a una bretella della sottoveste "Sei scorretta a dirmi questo"

"Guarda piuttosto cosa stai facendo, in questo momento!" cercava ancora di respingerlo ma era come tentare di spostare un macigno.

"Non c'è un momento buono per l'amore, Rosalie, accade e basta" la spinse lentamente sul letto. Poi fu sopra di lei. Le mani ghermirono il lembo del vestito slacciato. "Non aver paura, so che è la prima volta per te" la baciò, sulle labbra, sul collo. 

Con una mano allontanò il viso dal suo "Non sarai tu a decidere quando deve accadere!" eppure non riuscì a toglierselo di dosso.

"Allora liberati, dai! Fammi vedere quanta determinazione c'è nelle tue parole oppure stai solamente facendo la preziosa!" acciuffò le braccia della ragazza e le tenne sopra la testa. La catenina con il quadrifoglio scivolò fuori. Lei lo fissava, c'era collera ma anche paura. "Che c'è, non ti agiti più? Finisce qui la tua ostinazione?" le lasciò le braccia e le prese le gambe avvicinandole di più a sé. 

"Oscar!!" Rosalie si coprì il viso con le mani e scoppiò a piangere.

Bernard si fermò. Quando la lasciò la vide rannicchiarsi su un fianco. "Oscar?" l'uomo si alzò e si strofinò i capelli con le mani. Per un momento si vide spaesato, vederla piangere non era qualcosa che si aspettava. La coprì con le lenzuola smosse. Chi diavolo era questo Oscar? Da dove saltava fuori? Non l'aveva mai sentito nominare prima. Provò rabbia nei suoi confronti, una rabbia nuova e furiosa. Avrebbe voluto averlo di fronte e picchiarlo fino a ridurlo un fantasma, così che lei potesse dimenticarlo.

"Rosalie?"

"Vattene…" singhiozzò "Vattene, ti prego…" si coprì con le lenzuola e non staccò più la testa dal cuscino. Il giornalista abbassò la maniglia e lasciò la camera. Era sconvolto.

Non poteva credere di aver detto il suo nome ad alta voce e che Bernard si fosse fermato. Si coprì fin sopra la testa e rimase così, fin quando non sentì la marchesa ed Eric fare rientro.

 

"Sono qui a Parigi, non c'è dubbio" disse Eric, la lista di Bernard era sul piccolo tavolo davanti al divano "se devono organizzare un attentato, devono studiare bene i luoghi"

Rosalie aveva una mano poggiata sull'altro braccio che circondava lo schienale del divano, seduta, guardava fuori la finestra "Ho sentito dire, sul vascello, che parlavano di altri dieci uomini da utilizzare alla parata, dove li trovano?"

"Li pagano, Rosalie, molto semplice" Eric immaginava che di uomini disposti ad uccidere il re e la regina li avrebbero trovati anche gratis.

Era tardi, la marchesa si era ritirata nella sua stanza. Rosalie non aveva sonno quella sera, in verità non riusciva ad entrare in camera sua senza sentire ancora le mani di Bernard addosso. Aveva spalancato le finestre, nonostante il freddo, e aveva cambiato le lenzuola, inoltre lavato il vestito ma ancora non bastava, era ancora difficile rimanerci da sola. Decise che quella notte l'avrebbe trascorsa sul divano. Stava aspettando che anche Eric andasse a dormire. Qualche tempo dopo, irruppe un temporale. La luce di quella camera era l'unica rimasta in tutta l'abitazione di due piani. Rosalie si accoccolò sul divano e si coprì con una piccola coperta. I lampi illuminavano i vetri, Eric aveva tirato le tende ma non riparavano granché da quei flash e dai rombi che ne seguivano. Si tappò le orecchie e morse le labbra per non urlare. Le strade si svuotarono velocemente. Però, qualcuno restava immobile sotto una pensilina, un mantello sulle spalle, fissava la fioca luce che si intravedeva da quella finestra. L'acqua le scendeva sul naso e il mantello si stava inzuppando, come si stavano bagnando i lunghi capelli biondi. Il cavallo bianco nitrì un paio di volte, era stufo di quegli schizzi. La pensilina riparava poco e male. Il colonnello starnutì un paio di volte, poi salì a cavallo, un ultimo sguardo alla finestra e se ne andò. 

 

Due giorni dopo, il servo incontrò Eric al parco vicino la residenza della marchesa. Gli chiese altri soldi. Il maggiordomo cominciò a sospettare che stava centellinando le informazioni per spillare quanto più poteva guadagnarci. Lo afferrò per le vesti, tirandoselo vicino la faccia "Ditemi tutto e subito, altrimenti" cacciò uno stiletto da dentro la manica, gli fece vedere solo la punta luccicante del manico. Il servo aveva la metà dei suoi anni, però l'uomo era stato un militare in gioventù. Aveva ucciso per difendersi e l'avrebbe fatto di nuovo se necessario.

"Ve lo sto dicendo!" il servo gli indicò che c'era della gente intorno a loro, e stavano cominciando a far caso a loro "il conte visita spesso una locanda, sta nel quartiere dei bassifondi, si chiama Della Vecchia"

"Come faccio a sapere che non mi state dicendo baggianate per far soldi?!"

"Io non ho mai tradito nessuno!" finalmente lo lasciò, il servo si acconciò la giacca sgualcita. "Andate a controllare, tutte le sere, intorno alle otto. Prima o poi lo vedrete, si veste da plebeo ma lo si riconosce dal bastone bianco, lo porta sempre"

Eric gli lasciò un sacchetto di monete e si voltò "Il nostro accordo termina qui, e se fate menzione in giro…" 

"Ho detto che non ho mai tradito nessuno. Non conosco neppure il vostro nome" soppesò le monete, erano un bel po' "e neppure voglio saperlo" s'incamminò nella direzione opposta al maggiordomo.

Eric poteva individuare il conte ma non gli uomini inglesi, serviva Rosalie, ma prima avrebbe controllato da solo se il servo aveva mentito o meno. 

 

Rosalie non era uscita per due giorni di fila, la marchesa la guardava preoccupata "Che ti succede, cara?"

"Nulla, mia signora" sorrise, mentre ripuliva dalla polvere tutti i soprammobili e le bomboniere che la donna aveva accumulato durante la sua vita.

"Sei preoccupata per quella questione?"

"No, signora, mi impensierisce di meno adesso" da quando era tornata a Parigi, era sempre più certa che la credessero davvero morta, immaginò che poteva stare tranquilla, anche se avrebbe continuato a muoversi con discrezione.

"Sicura?" la donna non si lasciò convincere "Mi ricordi me, quando mi innamorai del mio Hubert" la mano di Rosalie si bloccò, con lo spolverino a mezz'aria "anche io avevo sempre lo sguardo smarrito, ero distratta e…" la donna chiuse gli occhi, ricordando i tempi andati "Non è che hai incontrato qualcuno che ti fa battere il cuore forte forte, Rosalie?"

La ragazza arrossì, con gli occhi spalancati sul mobile e la marchesa ebbe la sua risposta. In quel momento bussarono. La giovane si affacciò alla finestra e vide Bernard. Il colore le andò via dal volto. Si nascose dietro la finestra. Non aveva voglia di vederlo. Non voleva vederlo.

"Rosalie, chi è?"

"Scocciature, mia signora, aspettiamo che se ne vada" però lui rimase ad aspettare davanti al cancello. Poteva restare così fino a diventare vecchio, pensò, non gli avrebbe aperto lo stesso. Invece arrivò Eric, fu lui a farlo entrare, la ragazza si disperò. Il maggiordomo lo conosceva, si era fatto vivo spesso sotto quella casa. Bernard entrò assieme a lui, Rosalie non si fece trovare. Il giovane chiese di lei alla marchesa, che lo guardò bene, chiedendosi se fosse lui l'interesse amoroso della sua dama di compagnia. "Eric, informa Rosalie che abbiamo un ospite"

"So dov'è, grazie, non vi scomodate" Bernard andò a bussare alla sua porta; il maggiordomo fu stupito e sospettoso che sapesse la posizione esatta della camera della ragazza. Era chiusa a chiave. "Rosalie, per favore, voglio solo parlare!"

"Vattene!" 

"Non me ne vado se non parliamo, di che hai paura? Non siamo soli" questa volta, ma quelle due parole si limitò solo a pensarle.

Udì la chiave girate, e poi la maniglia abbassarsi. Rosalie aprì la porta e lo fissò con disprezzo, quando il giovane entrò lo colpì con una sberla. Gli lasciò un segno rosso sulla guancia sinistra. 

"Vuoi ascoltarmi?" ora che l'aveva colpito forse era più calma, pensò.

"No!" provò a chiudere di nuovo la porta, ma Bernard la bloccò con un piede. La chiuse alle sue spalle e girò la chiave.

"Ecco fatto, ora dovrai ascoltare"

"Vuoi aggredirmi ancora?!" Rosalie afferrò la scopa che aveva lasciato lì in camera.

"Rosalie, non fare la santarellina, se avessi voluto respingermi davvero l'avresti fatto, io non ti ho aggredito" rimase immobile "tu mi volevi" bloccò la mano della ragazza che si era alzata per colpirlo ancora, la scopa cadde in terra "perché hai cambiato idea e hai pianto?" l'avvicinò a sé "Mi desideravi, hai lasciato che ti spogliassi senza troppe cerimonie!" la fissò negli occhi cerulei "Poi hai fatto quel nome, chi è Oscar? Uno che ti ha respinto?"

"Non sono affari tuoi!"

"Sono affari miei invece, io voglio che tu diventi mia moglie!" le disse.

Rosalie cercò di distogliere lo sguardo ma Bernard le tenne il mento fra le dita. Oscar non c'era, Oscar e lei non potevano essere una coppia. Per troppe ragioni. Le lacrime le bagnarono il viso e le dita di Bernard. La ragazza posò la fronte sulla sua spalla. Diventare sua moglie non poteva essere una brutta soluzione, alla fine. Se si concedeva a lui era finita, sarebbe svanito ogni pensiero? E magari la bionda sarebbe scomparsa dalla sua mente. "No, non posso" scansò Bernard con una mano. "Perdonami, io non posso"

"Perché?!"

"Non ti amo, Bernard. Sei come un amico per me"

"Non importa!" la afferrò per un braccio "Con il tempo, mi vorrai bene come a un marito"

Rosalie chinò la testa "Non puoi far accadere certe cose a comando, saremmo infelici"

"Smettila!" l'avvicinò a sé di nuovo "Smettila di comportarti come una bambina che rincorre il grande amore! La realtà è questa! Nessuno può renderti felice come posso farlo io!"

"Lasciami per favore! Non sai niente di me!"

"Potrei costringerti a sposarmi" le disse tenendola ferma. 

"E come?!" lo spingeva con le mani ma non riusciva a scansarlo, pareva indemoniato.

"Prendendoti con la forza" la ragazza sgranò gli occhi dalla paura "quando aspetterai un figlio mio nessuno ti vorrà più!" continuò lui, e la spinse sul letto e salì a cavalcioni su di lei "Non ti vorrà più nessuno dopo!" le sollevò la gonna. La ragazza gli afferrò la mano e fece forza per trattenerla "Sei bella, Rosalie, non devi vergognarti" un sorriso sinistro gli comparve sulle labbra "ti farò capire la differenza tra l'amore immaginario e quello reale tra due persone". Le tappò la bocca con la mano. "Sei tu a costringermi a mancarti di rispetto!" le sussurrò all'orecchio. Scansò la mano della ragazza e tirò su la veste; provava un odio sfrenato per quell'individuo che si era messo di mezzo e che secondo lui era la sola causa di quel rifiuto. Rosalie gli morse la mano e gridò con quanta forza aveva in gola. Udì i passi concitati di Eric arrivare e poi la sua voce "Che succede Rosalie?!"

"Aiuto Eric! Aiuto!!" Bernard, come accecato, non lo sentì neppure, non gli importava più di nulla.

La ragazza scalciò con tutta la forza "Bernard! Fermarti! Che ti è successo?! Da quando sei diventato così?!" tentò un'ultima volta di farlo ragionare.

"Non puoi fare nulla, appartieni a me soltanto!" premette il suo corpo su di lei. Eric stava prendendo a spallate la porta. Rosalie allungò un braccio e afferrò la conchiglia sul comodino, gliela sbatté con forza contro la tempia e lo fece ruzzolare giù dal letto. Si alzo e corse ad aprire la porta, finì tra le braccia di Eric. La vide rossa in viso, in lacrime e con gli abiti in disordine. L'uomo fissò il giornalista con disprezzo. In uno slancio da ex soldato lo afferrò per i capelli. Il suo stiletto uscì fuori la manica.

"No, Eric, vi prego, non fatelo!" Rosalie gli toccò la schiena. "Mandatelo via, per favore" 

"Come volete Rosalie, ma prima" si girò verso Bernard che si teneva il viso sanguinante, la conchiglia l'aveva tagliato. Lo calciò forte nello stomaco, costringendolo a piegarsi per proteggersi, poi si abbassò e lo colpì di nuovo al corpo. "Se ti vedo o sento solo delle voci, che le hai gironzolato ancora attorno, ti ammazzo e poi ti getto nella Senna" gli sussurrò all'orecchio. Allora lo sollevò di peso e lo scaraventò giù per le scale, facendolo ruzzolare fino al cancello aperto. "Sparisci, bestia!" gli urlò, quando l'intruso fu del tutto uscito fuori chiuse il cancello e tornò in casa.

Rosalie prese un lungo respiro e andò a raccogliere la conchiglia dal pavimento, aveva resistito all'urto. Sorrise mentre la osservava, quell'azzurro confortevole e luccicante le diede coraggio. La strofinò sugli abiti e la ripose sul comodino. Tolse anche quelle lenzuola.

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Capitolo 6
*** Consapevolezze ***


Oscar strizzò gli occhi per vedere meglio, era distante, il maggiordomo aveva buttato qualcuno fuori da quella casa. C'era un tipo che si rimetteva in piedi faticosamente mentre si ripuliva il viso sporco di sangue. Era uno di quelli che stava assieme a Robespierre. Li aveva visti un paio di volte e gli erano rimasti impressi. Qualcosa era accaduto a casa della marchesa. Il colonnello aveva preso le sue informazioni. Voleva andare a controllare, doveva sapere se Rosalie stava bene, da giorni non l'aveva più vista in quelle strade.

"Comandante!" Girodelle le si avvicinò seccato "Ma che c'è in questo posto? Appena potete vi allontanate e correte qui"

"Niente, Girodelle, ispezioni" girò il cavallo, con uno sguardo impenetrabile, anche se nervosa, si sforzò di seguire il suo secondo. 

"Su cosa? Chi abita in quella casa?"

"Non è chi abita in quella casa che mi preoccupa"

"E chi?"

"Quando lo scoprirò, ve lo farò sapere"

Girodelle rimase indietro. André la guardò arrivare e capì al volo. Le si accostò "Se continui così fai diventare la cosa molto sospetta, te ne rendi conto?"

"E che dovrei fare? Abbandonarla?" spinse il cavallo più avanti.

"No, ma non credi che non corra più rischi adesso? È qui da tempo e l'hai tenuta d'occhio così spesso"

"Quel che appare non è sempre ciò che è" era preoccupata perché non si faceva più vedere in giro, e non si sarebbe rasserenata finché non ne avrebbe appurato la ragione.

Quella stessa sera, sul tardi, lasciò la divisa a palazzo Jarjayes e si vestì con abiti ordinari. Prese il mantello e scese le scale con il massimo silenzio possibile. Pregò che non piovesse, il cielo era appena nuvoloso. Quando giunse alle stalle le comparve André "Dove pensi di andare?" 

"André, mi hai spaventata, sembri uno spirito" lo trovava a tutte le ore del giorno e della notte a farle da ombra.

"Non serve uno spirito per questo, conosco bene quello che ti passa per la testa e posso anticiparlo, quindi ti ho aspettato"

Oscar si avvicinò al suo cavallo e lo guardò scuotendo il capo. "Non ti preoccupare, vado e torno prima che sorga il sole"

"Vengo anche io"

"No, in due attiriamo l'attenzione"

"Allora prendi il mio cavallo" André le mise davanti il suo destriero bruno "il tuo, con quel manto bianco, è troppo riconoscibile e appariscente"

Considerò che avesse ragione "Grazie" 

"Però fammi anche una promessa" accarezzò il cavallo mentre lei saliva "dopo stasera, la lascerai alla sua vita. Smetterai di correre da lei a ogni dubbio o sensazione che ti assale, promettilo"

Oscar sospirò e guardò le redini che teneva tra le mani "Quando sarà al sicuro, io non avrò più ragione di vederla" calciò forte i fianchi del cavallo e partì al galoppo. 

André la seguì con gli occhi finché non la perse nell'oscurità.

Parigi era stranamente frequentata quella notte, forse per via del tempo. Nonostante fosse un giorno di novembre, era mite, senza vento e pioggia. Lasciò il cavallo lontano dalla casa della marchesa. Non avrebbe potuto continuare a lungo con quelle visite diurne e notturne, la gente del posto cominciava a farci caso a quella figura che si aggirava nelle viuzze e attendeva e attendeva, a volte per ore. Qualcuno che guardava sempre nella stessa direzione e la stessa persona. Dopotutto André non aveva torto, doveva lasciarla in pace, non poteva farle da guardia fino alla fine dei suoi giorni. Doveva arrampicarsi, la casa era quasi del tutto al buio e le finestre sprangate. C'era però quella lucerna che durava sempre più delle altre. Attese ancora un po', che si allontanassero le ultime persone in giro. Lasciò il mantello appeso al cancello e si aggrappò con entrambe le mani, si tirò su. Poi un'altra spinta e salì ancora di più. Scavalcò le punte dell'inferriata dall'altro lato e scese piano. Salì le gradinate ma dalla porta non poteva entrare. Tornò indietro, doveva arrivare a quella finestra finché c'era luce, poi avrebbe capito come muoversi. Temeva che Rosalie non fosse più in quella casa, forse era andata via in una di quelle volte in cui lei non era passata a controllare. Salì sul colonnato che faceva da angolo, poi toccò il davanzale del primo piano e si arrampicò, fino a salirvi sopra. Schiacciandosi contro la fiancata si mosse in direzione della finestra. Inclinò la testa per guardare dentro. Si sporse ancora un po'. Un letto, vuoto, una sedia e un vecchio cassettone a ribalta. Eccola lì, che leggeva con la misera luce di una candela. Oscar tirò un sospiro. Le mani di Rosalie strusciavano le guance di tanto in tanto. Si sporse ancora un po' accanto ai vetri. Provò a spingere con una mano, era chiusa. Rosalie si voltò, come se avesse percepito di venire osservata. Il colonnello si tirò di lato. La ragazza vide solo qualcosa che somigliava a un ciuffo di capelli agitarsi davanti ai vetri. Andò alla finestra e guardò fuori. Non c'era nessuno, pensò che fosse la sua immaginazione. Invece era lì di fianco, appoggiata contro la facciata della casa. Che figura pietosa se l'avesse vista, rifletté. Di una che non aveva il coraggio di mostrarsi, anche solo per chiederle come stava. Rosalie tornò a voltarsi. Si era fatto tardi, iniziò a spogliarsi per coricarsi. Oscar diede un'altra sbirciata, il vestito era sul bordo del letto, vide il profilo della ragazza sotto i bagliori della candela. La sottoveste era come una tenda sottile. Si girò di scatto e perse l'appoggio. Rosalie udì un tonfo e poi un versaccio. Tornò alla finestra, coprendosi con la camicia da notte, la aprì. Ancora una volta non vide nessuno. Chiuse la finestra. Rimase a fissare le ombre che sfuggivano nella notte. Non sapeva che pensare. Pregò che non fosse Bernard, perché un ladro non avrebbe fatto tanto rumore. O magari era la paura che le faceva immaginare e sentire cose inesistenti. Capì solo una cosa, che alla fin fine quella casa non era affatto sicura. Indossò la camicia da notte e si infilò sotto le coperte. 

Oscar se ne stava schiacciata contro le mura della casa; dopo un certo tempo in attesa, scavalcò la cancellata e si calò dall'altro lato, poi andò via. Si mollò uno schiaffo sulla fronte, aveva dimenticato il mantello sulla cancellata. Ma nessuno poteva collegarlo a lei. "Vai!! Vai!!" spinse il cavallo al massimo e si allontanò da Parigi. Le faceva anche male un fianco, era caduta da una discreta altezza. Rosalie stava bene e doveva lasciarla andare adesso. Dopo tutti quei giorni nulla era cambiato, le era parsa triste e sola. Vederla così le causava una sofferenza inattesa, tenendo conto che non era la prima anima infelice che incontrava. Non aveva avuto il coraggio di neppure un saluto, ma chissà che avrebbe pensato se l'avesse vista e capito che l'aveva tenuta d'occhio per tutto quel tempo. E se qualcuno l'avesse riconosciuta e la voce si fosse sparsa alla reggia, sarebbe diventata lo zimbello di tutta Versailles; tanto da oscurare ogni altro scandalo. Ma non le importava più di tanto, se Rosalie stava bene il resto veniva dopo. 

 

Eric si alzò presto come tutte le mattine. Trovò il mantello appoggiato sul cancello e lo raccolse. "Chissà chi l'ha scordato" lo portò in casa, era in buono stato. L'avrebbe conservato, se fosse giunto qualcuno a richiederlo. Anche quella era una bella giornata, sole e freddo. Un freddo più pungente.

La marchesa si svegliava sempre tardi nei mesi invernali, faticava a lasciare il tepore del letto. Rosalie ne conosceva gli orari e sapeva quando mettere l'acqua a bollire per farle trovare del tè caldo.

"Uscite, Eric?" se lo trovò davanti con il mantello sul braccio.

"No, Rosalie, non è mio, l'ho trovato sulla cancellata, l'avrà dimenticato un passante" era un mantello nero.

"Posso?" Rosalie lo prese un momento tra le mani, e l'odore che sentì le fece tremare le gambe, un profumo che aveva già conosciuto, come di colonia di rose.

"Non sarà di quel depravato di Bernard?" Eric l'aveva vista diventare rossa di colpo.

"No, Eric" la giovane aveva il fiato corto tutto d'un tratto. Avvicinò il mantello al viso e provò un moto di malinconia. Oscar. Era lei quella presenza della sera precedente? Non poteva essere "Una casualità" mormorò. Restituì il mantello ad Eric e non disse altro.

 

Era la seconda notte di fila che il maggiordomo della marchesa si appostava nei d'intorni della locanda Della Vecchia. In realtà scoprì che non era una locanda ma un bordello. Forniva anche un servizio di vitto ma solo per intrattenere i clienti delle ragazze che vi lavoravano. Alle otto e dieci minuti, ecco arrivare un cavallo con un uomo vestito di nero. Un bastone bianco era appeso al quadrupede. Pareva proprio il conte de Badeaux, un uomo di mezza età, elegante nei modi anche se in abiti sobri. E doveva esserci pure il suo servitore, seguiva un uomo dietro di lui, assai grosso. Quello che aveva pagato non aveva mentito. Peccato che non poteva riconoscere anche gli inglesi, di uomini ne erano entrati diversi. Serviva la piccola Rosalie, e lui avrebbe dovuto accompagnarla senza farsi vedere insieme. Quello era un giovedì. Avrebbe riprovato il giovedì della settimana successiva. Una volta scoperto il luogo dove s'incontravano per complottare, avrebbe anche potuto allertare le autorità e farli cogliere sul momento. Con la lista che avevano in mano, pensò che forse alcuni di quegli stessi nomi potevano girare anche in quel postaccio. Doveva pur incontrarsi con qualcuno se andava lì a intervalli regolari e di certo non era solo per vedere chi lì dentro ci lavorava.

 

"Bernard, perché ti se intestardito con quella ragazzetta?" Saint-Just lo schernì, il giornalista aveva ancora il viso dolorante, con quel taglio in bella mostra ancora non rimarginato.

"Sei mai stato innamorato? No. Allora non capisci come mi sento" posò la giara di birra semivuota sul tavolo dell'osteria.

"Non sai neanche fare un lavoro fino in fondo. Se la devi compromettere fallo e basta, senza chiacchierare o andare a casa sua, devi trovarla da sola in un posto isolato"

"Adesso mi odia. Comunque da sola esce solo di mattina"

"E allora?" infilzò un boccone di carne "I miei consigli non ti sono serviti a niente? Sei un somaro! Ora che per due volte hai tentato invano di saltarle addosso l'avrai messa in guardia contro di te"

"E che devo fare?"

"Dovrò intervenire io" pensò che, per essere uno che si diceva innamorato, il giovane giornalista non si faceva scrupoli nel forzare una ragazza a sposarlo. Gli mostrò un ghigno. Se quello era amore, non sapeva come chiamare il resto. "Sarò io a portarla fuori, dimmi cosa le interessa e te la servirò nel luogo giusto al momento opportuno. E volendo posso anche reggerla per te, se poi mi fai fare un giro con lei" gli mostrò i denti in un sorriso sghembo.

"Scordatelo!"

"Scherzavo"

Lo guardò male per qualche altro secondo, non era una persona di cui potersi fidare "Le interessa scoprire della sua famiglia d'origine" Bernard si sentì un uomo da niente per quello che stava facendo, ma voleva sposarla a tutti i costi. Magari l'avrebbe odiato i primi tempi ma poi, era convinto che l'avrebbe accettato.

"Bene, dimmi tutto quello che sai"

 

Trascorse qualche giorno. Rosalie si recò dal panettiere come usava fare, a prendere sempre la stessa porzione di pane. "Ma è aumentato?" disse, quando le restituì meno resto del solito.

"Rosalie, mi dispiace, le tasse sono aumentate non il pane" il panettiere le mostrò che aveva venduto di meno quel giorno. "La farina quasi non posso più permettermela, alla lunga non so quanto potrò tenere ancora aperto"

Le casse del regno succhiavano sempre più tasse ed erano sempre più vuote. "La trovo una cosa indecente!" disse un'altra donna con un bimbo piccolo per mano. "Cosa vogliono da noi, ancora! Lavoriamo solo per pagare le tasse, cosa ci rimane!?"

Rosalie uscì dalla panetteria intristita. Lei stava anche aiutando i reali a restare lì dov'erano. Tappa successiva, dal farmacista. Lui almeno non aveva aumentato i prezzi. Per ora.

"Il vostro angelo custode non si vede più, come mai?"

La ragazza lo guardò senza capire "Come dite?"

"Il giovane ammantato che girava qui attorno, vi osservava di nascosto e se serviva dava una mano" 

"Chi? Bernard?" si stupì che potesse definirlo angelo custode. Era diventato l'esatto opposto.

"Non conosco il nome, quello biondo con gli occhi azzurri, parecchi giorni fa l'ho visto osservare la casa della marchesa, sotto la pioggia"

Le mani di Rosalie tremarono, gli cadde il medicamento e anche le monete. 

Il farmacista l'aiutò a raccoglierli "Chi è? Un vostro spasimante?"

"Non lo so, signore" mentì, poteva bene immaginare chi fosse. La voce veniva meno e il cuore le batteva impazzito nel petto.

"Mia moglie mi ha detto che era un tipo elegante, sulle sue ma gentile. Una volta ci ha scambiato due parole. Ma non si vede più" 

Salutò, senza ascoltare oltre. Era frastornata. Chissà che non fosse stata proprio lei a dimenticarsi di quel mantello. Era sempre stata lì, quella presenza che aveva intorno ma che non era riuscita a cogliere. Una mano sul viso nascose il pianto. Si affrettò per strada, quando trovò un angolo appartato si lasciò andare ai singhiozzi. Non l'aveva dimenticata. Come lei non poteva evitare di pensarci un solo giorno.

Saint-Just la seguiva da quella mattina, convenne che era una ragazza abitudinaria, andava in giro con un ampio foulard sui capelli. E viveva con una marchesa e un maggiordomo di una certa età. Niente di più facile per lui. Sputò lo stecchetto di legno che aveva in bocca e andò via. Doveva pensare a un piano fattibile per quel maldestro di Bernard. "Lo si deve accompagnare per mano" pensò.

 

Nella tenuta dei Jarjayes si udivano le spade cozzare da un bel po'. André aveva il fiatone "Che dici, basta per oggi?" era da tempo che non si allenavano.

Oscar agitò la spada in aria e la rinfoderò, acconsentì a smettere mentre osservava il cielo tinteggiato di rosso.

La vedeva assorta e assente durante il giorno, quando non era impegnata con le guardie. C'era qualcosa di irrimediabilmente diverso nel periodo subito successivo la permanenza in Normandia. Non sapeva se c'entrava sempre quella ragazza o se era proprio la bionda ad attraversare un brutto momento. Però gli aveva dato ascolto, non andava a Parigi da giorni. Questo gli faceva piacere, stava diventando un'ossessione. La tata ci vedeva più lontano e si era accorta che la giovane donna non era più quella di prima. Ma ogni volta che provava a chiederle qualcosa diventava reticente e cambiava discorso. Disse al nipote che doveva farla distrarre. Doveva portarla da qualche parte per svagarsi. A Parigi. André rispose alla nonna che i problemi sarebbero aumentati proprio in città. Se dovevano andare in qualche posto doveva essere ben lontano da Parigi, e avrebbe dovuto lasciare le guardie reali per un po'. La trovò nel soggiorno, con un libro tra le mani che restava sempre sulla stessa pagina da parecchio tempo. André le tolse il libro da sotto agli occhi e non la vide scomporsi, come se fissasse il vuoto.

"Oscar, ma che diavolo ti prende?"

"Sei tu André…" si sgranchì la schiena "Ero sovrappensiero"

"Sei stranita da giorni, rimettiti in sesto, guarda che si nota anche a Versailles"

"Mi passerà"

"Speriamo" le diede il libro sulla testa amichevolmente e sorrise "mi stai facendo preoccupare, con quel muso lungo che neanche la regina mostra quando quel pomposo di Fersen se ne torna a casa sua" si fece una risata che si smorzò subito quando si accorse che la bionda era rimasta in silenzio e seria. "Oscar, ma andiamo! Che ti prende? Ho detto per scherzare!"

"Lo so. Mi passerà" ripeté, si alzò dalla sedia e andò a prendere una bottiglia di vino e un calice. Se ne versò e lo mandò giù in una sola volta. "André, ti è mai capitato di sentirti come se avessi perso qualcosa di prezioso pur senza che tu l'abbia mai avuto?"

"Non saprei, di cosa parliamo esattamente?"

"Non so spiegarlo" si riempì un altro calice "di niente in particolare, è una sensazione, ed è insopportabile. Mi sta schiacciando da quando…" si fermò a riflettere "…da quando ero alla finestra, già…" svuotò la seconda coppa "Avrei dovuto almeno salutare, invece che scappare"

"Di chi parli?" ma André ci stava arrivando da solo a mettere insieme i pezzi.

La bionda scosse la testa e se ne andò su per le scale "Vado a riposare, buonanotte" strada facendo barcollò un momento "devi agire ma non devi essere, devi difendere ma non devi farti coinvolgere, devi servire ma non devi legarti… Sì signore" mormorò fra un gradino e l'altro "che fine patetica… Come ho potuto permettere che arrivassi a questo punto" poggiò una mano sul muro e si aiutò a salire "ma che vuoi permettere, che credi di controllare…" proseguì il monologo, nessuno poteva sentire quei mormorii. Sospirò ancora e si afferrò al corrimano appena in tempo per non cadere. Arrivò in cima alle scale, aveva gli occhi appannati. Coprì il viso con le mani e lo strofinò forte. Guardò quelle mani, non riusciva a tenerle ferme. Entrò in camera e crollò sul letto. "Mi passerà" tirò un pugno sul cuscino e chiuse gli occhi. Le lacrime caddero sulla stoffa bianca e ci nascose il viso. Forse, a quel punto, la cosa migliore che rimaneva da fare era solo una, andarsene in un luogo lontano, pensò. Si addormentò.

 

"Signore" l'oste lo accolse "che volete che vi porti?"

"Vino" rispose con il suo accento, posò il cappello all'angolo della sagoma puntuta dello schienale della sedia e si accomodò.  

"Vino e?"

"Nient'altro" dopo di lui, si sedette anche un uomo riccio con i capelli corti, più basso e rozzo "Adam, raccontami del raccolto"

"Più delle aspettative, signore" sorrise il compare "qui c'è già una cerchia che possiamo sfruttare a nostro vantaggio"

"Usare i dissidenti non è bene, quelli alla fine vogliono che si faccia sempre come piace a loro"

"Non sono dissidenti, ma popolani delle più disparate professioni, signore" si avvicinò di più all'altro "abbiamo anche un paio di soldati tra i nostri, ci forniranno i mezzi per i tiratori"

"Meglio del previsto"

Un uomo volò sul loro tavolo, aveva lo zigomo tumefatto da un pugno. Adam lo prese per i capelli e lo scansò, sbattendolo a terra. Era scoppiata una baruffa alle loro spalle. "Grazie ai malumori che aleggiano nel regno ci sarà tutto più semplice, signore" disse, come nulla fosse.

Era mezzanotte, l'osteria frequentata da molte persone. Cambiava sempre luogo per i suoi incontri, il nobile inglese. Era biondo con gli occhi neri. Portava un codino e doveva avere una quarantina d'anni. Era oltre un mese che si trovava in quella città. Il conte gli aveva trovato una sistemazione presso una casa privata, dove alloggiavano tutti loro del gruppo, ma in quella casa non discutevano mai di nulla, la usavano solo per dormirci. Era intestata a un uomo che lavorava come becchino e costui aveva un doppio alloggio, uno con la famiglia al camposanto e un altro in quella casa, che al momento era affittata ad ignoti. Nessuna domanda nessun problema, questo era ciò che soleva dire loro il conte. Aveva pagato una grossa cifra al beccamorto. 

"Il mio dente! Il mio dente!" strillò quello che si stava alzando dal pavimento, gli mancava un incisivo. Aveva preso di mira lo straniero biondo e gli stava allungando una bottiglia sulla testa che teneva per il collo. Crollò prima di abbassare il braccio, un pugnale gli aveva reciso la gola. Nessuno ci fece caso, la zuffa proseguì, ma se ne sarebbero accorti più tardi. Adam lo calciò sotto al tavolo e ripulì l'arma sui vestiti dell'uomo agonizzante. Che avesse ascoltato o meno quello che si erano detti non gli cambiava niente.

Un'altra delle cose che aveva stabilito, quello che si faceva chiamare Turner, era di non farsi mai vedere più di due assieme in un luogo pubblico. I gruppi attiravano sempre più l'attenzione di un singolo o di una coppia. Infiltrarsi a Versailles non era difficile, come lord inglese avrebbe potuto chiedere udienza in veste diplomatica, ma una volta all'interno non c'era molto che potesse fare senza rischiare di venire ucciso prima di concludere. Armi non poteva portarne dentro la reggia; c'era il veleno da contatto, ne bastava impregnare la punta di un ago, ma anche in quel caso doveva stargli molto vicino e la possibilità che se ne accorgessero era alta. Dame e valletti di cui i reali si fidavano e a cui delegare l'azione non ne conosceva. I reali potevano anche non essere amati dal popolo però, tra i nobili che avevano ciascuno ricevuto un favore o un privilegio dalla corona, trovare chi era disposto a tradirli era molto complicato. E scoprirsi con uno di loro poteva essere fatale, non erano tutti come Badeaux. Se l'era studiata in diversi modi, ma quello più fattibile restava l'attentato esterno.

Tolto di mezzo Luigi XVI e l'austriaca, quella persona, che aveva contatti diretti con egli stesso e il conte, non avrebbe dovuto fare altro che reclamare il trono. La nuova regina di Francia sarebbe arrivata da oltre La Manica. 

"I tiratori devono essere Smith e Palmer, non mi fido di altri" disse Turner.

"Certo, signore, se vogliamo un lavoro fatto bene" quei due riuscivano a colpire con una pistola una moneta lanciata in aria da una notevole distanza. 

 "E suggerisci al conte un incontro con quel Robespierre, al bordello. Quell'uomo è assai giovane ma parla come se fosse un trascinatore di masse. Il giorno della parata non devono esserci confusione o caos, niente cambi di percorso dell'ultim'ora a causa di disordini popolari"

"Come lo coinvolgiamo senza scoprirci?"

"Basta non fargli sapere niente di noi, il conte può parlare in nostra vece. Deve semplicemente dirottarli da un'altra parte, così si possono tenere al guinzaglio. I nostri piani non coincidono con i loro, e non c'è bisogno che li conoscano, però abbiamo i regnanti come nemico comune. Possiamo ugualmente sfruttarli in qualche modo" il lord si girò alle sue spalle, vide che stavano entrando dei soldati per sedare la rissa, si alzò, posò una manciata di monete sul tavolo e imboccò l'uscita.

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Capitolo 7
*** Imprevisti ***


"Questo è un olio particolare, viene estratto da un albero (*) che cresce sotto gli occhi di molti ignari del suo potenziale, e costa caro" Saint-Just gli lasciò una boccetta che conteneva del liquido giallastro "ne bastano poche gocce su un fazzoletto e la spediranno a dormire per mezza giornata, se invece gliela dai a bere tutta dormirà per l'eternità" gli mostrò i denti in uno dei suoi ben noti ghigni.

"Mi stai chiedendo di darle una droga?" Bernard non ci credeva che esistesse una pianta del genere, voleva stappare la boccetta ma l'altro gliela tirò dalle mani.

"Non provarci, amico, se crolli qui non ti porto in spalla. È in forma diluita con una componente alcolica ed estremamente volatile. Non ti preoccupare, massimizza l'effetto a minimo rischio" era già stato usato dal medesimo in altri contesti.

Il giornalista ci rifletté un po' e poi l'allontanò con la mano "Non le darò mai questa robaccia, non sono ridotto al punto tale da giocare così sporco"

"Oh, interessante" nascose la boccetta in una tasca "quindi rinunci a lei"

"Se questo è il tuo metodo, rinuncio a lei" sapeva di aver già attirato il suo odio, non voleva cadere così in basso, l'avrebbe disprezzato per tutta la vita.

"Va bene, ma non voglio più sentire i tuoi lamenti su di lei" sedevano su un muricciolo, accanto alla chiesa. "E a questo punto, però, posso anche provarci io con la ragazza, al posto tuo, che dici?" lo fissò e aveva la faccia di un giocatore d'azzardo con una buona mano sul tavolo.

"Non osare pensarlo neppure"

"Haha! Prendersi gioco di te è molto facile" gli fece un'altra risata in faccia "a me non piacciono così innocenti come a te, le preferisco più esperte, se mi spiego"

Bernard sorrise, Sant-Just non aveva visto Rosalie da vicino, aveva le forme di una donna adulta a tutti gli effetti. O forse l'esperienza di cui parlava era di altro tipo. Sospirò, avrebbe voluto incontrare questo dannato Oscar che l'aveva fatta cadere ai suoi piedi, magari senza di lui, erano già marito e moglie. Strinse i pugni e si alzò. "Torno al mio lavoro, ci vediamo"

Saint-Just lo salutò, poi si recò al mercato. C'era sempre qualcosa da imparare ascoltando i pettegolezzi della gente.

 

Quando finirono il turno, si trovarono in un locale a bere la birra più scadente che avessero mai assaggiato. André l'aveva preceduta a casa. Lei era rimasta ancora un po'. Quando si stordiva con l'alcol, per qualche tempo gli pareva di essere tornata a prima, prima del duello, prima della pausa in Normandia, quei giorni che adesso sembravano appartenere a un'altra vita. 

"Comandante" Girodelle le camminava vicino "secondo voi, il generale vostro padre, vi consentirebbe di lasciare le guardie reali?"

Solo da morta, pensò, ma non lo disse. Teneva le braccia lungo i fianchi e fissava la strada. Aveva vagamente accennato qualcosa al suo secondo. Passeggiare per le strade di Parigi cominciava a darle la nausea. Andar via da lì non poteva che farle bene.

"A me e ai soldati manchereste molto" proseguì il secondo in comando.

Oscar sorrise triste "Vale anche per me, ma a volte certe cose vanno fatte e basta, non si può stare a pensarci" in quell'attimo le era passato qualcuno davanti che le parve di conoscere. Nelle luci della sera non si vedeva tanto bene.

"Lo so comandante che state passando un periodo complicato, anche se non ne capisco l'origine, ma se ci pensaste più a lungo, se vi confidaste, forse…" mentre Girodelle parlava, lei aguzzò la vista, era una fanciulla con un foulard che aveva già visto. 

"Perdonatemi, credo di aver…" abbandonò il fianco dell'uomo e andò dietro quella persona. Girodelle la chiamò due volte poi rinunciò, c'era sicuramente qualcosa che si era inceppato nel suo comandante.

 

"Rosalie, io vi aspetterò distante, voi fatemi un cenno se riconoscete qualcuno" le disse Eric.

"Va bene" la ragazza si strinse nel mantello, era quello di Oscar. Era lungo per lei, strusciava di un dito sulla strada quando camminava.

Arrivarono nei bassifondi, era un postaccio, pensò Rosalie, si vergognava solo a camminare in quei luoghi. Erano le otto passate da parecchio, avevano fatto tardi quella sera. Eric si fermò nel suo posto preferito e disse alla ragazza di aspettare lì, poi si spostò più dietro, così poteva guardare sia lei che l'ingresso del bordello.

Trascorsero dieci minuti di via vai indefinito di persone. Faceva freddo, Rosalie si massaggiò le braccia. I bordelli facevano sempre affari, pensò, a prescindere dalle condizioni economiche dello stato e dei cittadini. Tempo altri dieci minuti e non sentiva più le punte delle dita delle mani, si voltò a guardare Eric, non lo vide subito, poi scorse un'altra persona avanti a lui, stava parlando con qualcuno. Sembrava un borghese attempato. Tornò a osservare l'ingresso e vide uscire un uomo con i capelli corti, neri e ricci. Quella faccia non l'avrebbe dimenticata finché campava. Le ghiacciò il sangue nelle vene. Si girò, Eric era sempre occupato a parlare. Che tempismo aveva avuto. Non voleva perderlo di vista, stava andando via. Rosalie si alzò da dove era appoggiata, mossa da un inaspettato coraggio camminò dietro di lui, a dieci passi di distanza. Se lo seguiva poteva scoprire dove abitava. Dove mai poteva andare a quell'ora se non a dormire. L'uomo voltò un vicolo e lei seguì il medesimo lato, poi lo vide girare ancora a destra, quando voltò l'angolo successivo lo perse. Si girò indietro e non c'era, corse più avanti. Erano vicoli così bui che le mettevano il terrore addosso, però doveva trovarlo. Provò ad avanzare ancora, terminò in un viottolo con due lanterne, appartenevano al maniscalco che lavorava nella bottega che si trovava vicino. Poi si vide puntare la lama di un pugnale contro il viso.

"Chi siete?" domandò l'uomo "Perché mi seguite?"

Rosalie ebbe paura di parlare, l'avesse riconosciuta. In quel momento fuggire era l'unica cosa sensata che le veniva in mente, fece un passo indietro poi si voltò. L'uomo l'afferrò per il mantello e la tirò. Appena gli fu vicina, le tolse il foulard. La fissò come per capire chi fosse.

"Sei del bordello?" lei annuì, non sapeva che altro fare. L'uomo sorrise "Potevi dirlo subito" rinfoderò la lama. Le prese il viso con due dita e lo avvicinò "Eppure la tua faccia non mi è nuova" si sforzava di ricordare. "Non importa" chiunque fosse, non era un problema "che vuoi ragazzina? Ho dimenticato qualcosa?"

"Scusatemi, vi ho scambiato per un'altra persona" disse Rosalie, con un filo di voce. Sperando non la distinguesse.

"Va bene, sloggia adesso!" le fece cenno con la mano di andarsene.

La ragazza non perse tempo, i capelli sventolarono tanto si mosse veloce. L'uomo l'agguantò per un polso dopo un solo passo.

"Aspetta un momento" la avvicinò di nuovo a sé "dove ci siamo già visti?" 

"Lasciatemi!" 

Dopo quella parola, ricordò. Il riccio sgranò gli occhi. La mocciosa che aveva gettato giù dal vascello. "Tu dovresti essere cibo per pesci, che ci fai qui? Come hai fatto a sopravvivere?" la spinse vicino la porta della bottega, in un istante sfilò ancora il pugnale. "Che stupida ragazza, te la sei venuta a cercare fino a qua, la tua mor-" la voce gli si strozzò in gola. Un braccio gli aveva circondato il collo e stringeva forte. Venne schiantato contro il muro. Il pugnale cadde e scivolò più lontano, acciuffò la stoffa intorno a quel braccio con entrambe le mani per allentare la morsa ma la presa divenne anche più forte, un secondo braccio fece da supporto al primo.

Oscar ci aveva messo tutta la forza che aveva. Lo trascinò lontano da Rosalie. La ragazza teneva le mani davanti la bocca e non riusciva a dire niente. Il riccio emise un verso stridulo e si lanciò contro il muro di schiena, sperando di farle mollare la presa, cominciava a sentirsi svenire, gli mancava l'aria. Si diede un altro slancio e picchiò la schiena del colonnello contro il muro, e ancora una volta. Finché le braccia cedettero, poté tornare a respirare. Mentre il colonnello rimaneva a terra, stordita, l'uomo si girò per recuperare la sua arma. Rosalie lo fissava allarmata, diede un calcio al pugnale che aveva accanto ai piedi. Adam la guardò e digrignò i denti. "Voi!" la voce lo fece voltare, la punta della spada trapassò il collo dell'uomo, da parte a parte, un gesto rapido, quest'ultimo urtò il muro e squassò a terra. Una pozza di sangue si allargava lentamente sotto la ferita. Oscar si era rialzata "State bene, Rosalie?"

Qualcuno giungeva di corsa dall'altra parte del viottolo, teneva una pistola sollevata in pugno e la abbassò contro la schiena del colonnello. Una mano sotto al braccio per stabilizzare la presa.

"OSCAR!" Rosalie la spinse ma l'altra l'abbracciò. Uno sparo. Oscar avvertì un colpo al braccio sinistro, poi un dolore acuto. Il tizio non aveva una buona mira, per fortuna, pensò.

"Rosalie, dietro di me, per l'amor di Dio!" si girò e tirò indietro la ragazza, cambiò impugnatura della spada, la lanciò con precisione nel petto dell'uomo che aveva sparato, prima che provasse a tirar fuori qualcos'altro.  

"Siete ferita?!" Rosalie vide che c'era un foro e sanguinava ma la divisa rossa non faceva capire quanto fosse grave.  

"Posso muovere il braccio" provò ad alzarlo, faceva male "non deve essere profonda" disse. Poi si accertò che anche l'altro uomo fosse morto.

Eric era accorso affannato, dopo aver udito lo sparo riuscì a individuare la ragazza. Quel suo vecchio collega d'armi l'aveva distratto e non era riuscito a liberarsene per tempo. Mano sullo stiletto osservò la scena, quando vide la divisa e riconobbe i gradi del colonnello si rilassò.

"Aiutatemi a spostare i corpi" gli disse quel tale in divisa "svuotategli le tasche, dobbiamo simulare una rapina"

"Buona idea" Eric fu d'accordo.

Rosalie posò una mano sulla spalla del colonnello "Non muovetevi, con quel braccio, lo aiuto io" 

"È una ferita da poco" sfilò la sua spada dal cadavere e lo prese per le braccia, il maggiordomo gli acciuffò le caviglie e lo trasportarono accanto al compare.

"Rosalie, uno di questi è l'uomo che vi ha gettato in acqua?" chiese Oscar.

"Sì" 

Il colonnello lasciò andare il respiro che aveva trattenuto. Era finita, pensò, la ragazza era libera.

"Colonnello, voi e Rosalie vi conoscete?"

Oscar annuì.

"Sapete del complotto allora"

Rosalie avrebbe voluto picchiare Eric, perché l'aveva detto?

"Quale complotto?" arricciò le sopracciglia e guardò prima la ragazza e poi il maggiordomo.

"Togliamoci dalla strada, venite a casa con noi e vi racconteremo" Eric fece strada.

Rosalie afferrò la manica della giacca del colonnello e non la lasciò più finché non arrivarono ai cancelli della casa della marchesa. "Potevate spezzarvi il collo" 

"Che dite?" 

"L'altra sera, quando eravate alla finestra… Mi avete fatto spaventare" disse e la vide arrossire, nonostante il buio.

"Ah, ve ne siete accorta" e ora aveva la certezza di aver fatto una figuraccia.

Rosalie sorrise "Vi hanno vista in parecchi. Il mio angelo custode… Lo siete davvero" le aveva salvato la vita un'altra volta. Era destino che quando era sul punto di perdere le speranze le comparisse davanti.

Eric fece strada, Rosalie la portò in camera sua. "Togliete la giacca" ordinò, il colonnello obbedì. Il sangue colava, una traccia che scorreva lenta da un foro ostruito dal proiettile, la ragazza guardava preoccupata.

Il maggiordomo le strappò la manica della camicia. "Il pallino è dentro, serve un medico"

"Potete estrarlo voi?" chiese Oscar.

"Ci posso provare. Vi è andata di grazia, un paio di dita in più e invece del braccio si sarebbe conficcato nel torace" l'uomo ne aveva vista già qualcuna di ferite così "Rosalie, portatemi un coltello, bende, whisky, ago e filo. Whisky, mi raccomando, o rum, se non ne trovate" la ragazza scappò fuori. Fortuna che la marchesa dormiva, e aveva il sonno pesante.

Tornò poco dopo con il necessario. Eric le disse di uscire dalla stanza.

"Perché?"

"Perché non vi piacerebbe quello che devo fare"

"Non importa, voglio restare!"

"Rosalie, per favore, non svegliate la marchesa. Su, andate" Eric le chiuse la porta in faccia.

Prese il whisky e lo porse al colonnello "Prendetene un sorso, farà male"

Oscar ne ingoiò un po', aveva già bevuto abbastanza quella sera. L'uomo usò il liquore per disinfettare la punta del coltello. Lo infilò nel lembo inferiore del foro e spinse verso il basso, la bionda strinse i denti. Dopo due tentativi il pallino rotolò rumorosamente sul pavimento. L'uomo tirò un sospiro, odiava fare quelle cose. "Bevete ancora un sorso" Oscar non ne volle più, sopportò il bruciore lancinante quando versò il liquido sulla ferita. "Devo mettere due punti per aiutare a rimarginare, tenete duro ancora un poco"

"Fate pure"

Quando fu soddisfatto del lavoro. Iniziò a bendare il braccio. Tagliò la camicia con il coltello, notò con gran stupore che aveva già una fascia sul petto. "Ma, siete una donna?!"

"Non so mai se devo sentirmi insultata o meno, quando non se ne accorgono" gli accennò un sorriso, nonostante tutto.

"Diavolo! Come facevo a saperlo? Le donne non si abbigliano così e non posseggono maestria nelle armi come voi" l'uomo fu imbarazzato lì sul momento. Poi riprese a fasciare.

"Me ne rendo conto. Sono un soldato da quando sono nata, non badateci"

"Credevo foste un damerino referenziato" strofinò i corti capelli grigi, incredulo.

"Ed è ciò che credono quasi tutti quelli che m'incontrano, la prima volta…" Oscar si appoggiò allo schienale del letto, quando l'uomo ebbe terminato "Non frequentate la reggia?" si sentì stanca tutto d'un colpo.

"Dalla scomparsa del marito, la reggia e la marchesa sono come due vecchi amanti in discordia perenne" Eric raccolse tutti gli arnesi, compresa la pallottola "riposate adesso, parleremo domani" uscì. Rosalie era in cucina, con una tazza fumante davanti agli occhi, ci aveva messo del liquore, le serviva qualcosa di forte.

"Voi lo sapevate?" chiese Eric.

"Cosa?"

"Che è un donna"

La ragazza fece un cenno affermativo. Gli domandò poi come era andata e lui la tranquillizzò.

Eric la lasciò, le passò accanto e le disse che si ritirava, per quella sera ne avevano avute abbastanza. Quando Rosalie entrò nella camera, Oscar era in una specie di dormiveglia. L'aiutò a coricarsi e la coprì. Eric le aveva già tolto gli stivali. 

Rosalie si spogliò e indossò al buio la sua camicia da notte, poi si distese distante da lei e la vide respirare regolarmente. Sporse un braccio per scostarle i capelli dal viso, la mano le lasciò una carezza appena percettibile, quindi si voltò dall'altro lato e chiuse gli occhi. Le guance le bruciavano dal rossore ed era certa che non fosse il liquore nella tisana.


 




(*) Taxus baccata, il comune tasso, detto anche "albero della morte", curativo in certe dosi e mortale in altre, contiene tossine usate e strausate nel corso della storia e di cui si è raccontato da millenni nella letteratura. Adoperato anche come arma sulle punte delle lance e frecce, anticamente.

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Capitolo 8
*** Confessioni ***


La marchesa sorseggiava il suo immancabile tè. Era tarda mattina. Eric le aveva detto che avevano un ospite inatteso. Un amico di Rosalie, non si mise a dare troppe spiegazioni. Le disse che era rimasto ferito e ora risposava di là, con la ragazza. La marchesa incurvò le labbra. "Eric, come procede la faccenda?"

"Bene, mia signora, abbiamo intaccato le loro forze" le rispose.

"Non facciamoci distrarre da altri eventi"

"Quando mai" Eric le strizzò un occhio conciliante. Ora se l'era legata al dito, voleva distruggere il conte traditore e i suoi accoliti stranieri e conterranei. Quando aveva ripulito le tasche dei due scagnozzi, aveva trovato poche cose interessanti: delle monete, che poi aveva lasciato a un mendicante, un orologio da taschino, e quello avrebbe voluto tenerselo, era d'oro e realizzato molto bene, con delle incisioni favolose, ma lo aveva gettato in un canale, qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo; infine, un pezzo di carta, con delle scritte in lingua straniera. L'unica cosa che aveva portato con sé fino a casa. Aveva inoltre scoperto che uno dei due cadaveri era un giovane francese. Lo preoccupava che avessero degli appoggi sul territorio. E chissà quanti erano.

Nell'altra stanza, la luce del sole arrivò a illuminare i piedi del letto. Rosalie riaprì gli occhi e si ritrovò nella stessa posizione in cui si era coricata, si voltò a controllare il colonnello ma non c'era nessuno. Si spaventò per un momento, poi la vide in piedi vicino la finestra, con la divisa appoggiata sulle spalle.

Oscar si girò e sorrise "Come andiamo?"

"Dovrei chiederlo io questo" Rosalie si coprì con le lenzuola, poi ricordò che aveva la sua camicia da notte.

"Dolorante, ma bene tutto sommato" rispose, un po' disorientata, poteva muovere il braccio con la fasciatura senza troppi fastidi. Eric aveva fatto un lavoro degno di un medico. "Rosalie, di quale complotto parlava?"

La ragazza divenne seria e si mise seduta sul letto, sulle ginocchia "Non volevo dirvelo, non volevo coinvolgere altre persone, ma" tanto ormai era inutile nascondere il resto, pensò "qualche tempo fa, la marchesa Ozanne si recò dal notaio…" iniziò dal principio. Man mano che raccontava, vedeva le espressioni sul volto del colonnello passare da preoccupate a furiose, poi allarmate e infine di nuovo preoccupate.

"Voi, da sola? Siete stata capace di nascondermi una cosa del genere! Perché non me lo avete detto subito? Perché avete taciuto per tutto questo tempo!" incalzò il colonnello.

"Perché? Ve l'ho già spiegato il perché. E poi non sono da sola, Eric e la marchesa mi stanno aiutando e abbiamo già informazioni preziose da poter usare" le disse che l'uomo che ieri l'aveva aggredita era uno di quegli inglesi che erano arrivati assieme a quel Lord, che si faceva chiamare Turner. Era l'unico che compariva sulla lista con un appellativo altisonante. Ma non ricordava che faccia avesse o se si fosse visto in quel bordello, fatta eccezione per il conte. E anche quest'ultimo si muoveva camuffandosi.

Rosalie scese e andò a prendere la lista passeggeri che le aveva dato Bernard, gliela porse. Oscar si mise seduta a bordo letto e lesse. Serviva una prova per andare dal generale. Fosse anche suo padre. E quella lista non era una prova. Si girò verso Rosalie, lei era una testimone, ma oltre a farle di nuovo rischiare la vita, portandola davanti a un tribunale, sarebbe stata la sua parola contro quella di un conte. "Ammiro il vostro coraggio, Rosalie. Ma dovete fermarvi qui, adesso, subito. Voi, Eric e la marchesa o chiunque altro ci sia di mezzo" avrebbe preso lei l'incarico in pugno. Al pensiero di quell'uomo, ieri, che poteva ucciderla a sangue freddo se non fosse arrivata per tempo. Le venne da sudare, nonostante il freddo. Rosalie fece il giro del letto e le si inginocchiò davanti. "Non vi preoccupate, se ci pensate è più facile per me che per voi, fare ricerche" poggiò le mani sulle sue gambe.

Rifiutò categoricamente "C'è una sola cosa opportuna da fare, per adesso" si alzò in piedi e tirò su la ragazza prendendole la mano "controllare il conte" il capodanno si avvicinava velocemente. I sovrani non erano estranei a tentativi di assassinio, ne ricordava uno in particolare, quando agli inizi della sua carriera aveva dovuto scongiurare il peggio. "Dovrò sorvegliarlo, scoprirò il resto della storia, farò tutto quello che sarà necessario" era irrequieta fintanto che parlava.

Rosalie strinse la veste da notte nei pugni, stava accadendo ciò che non avrebbe voluto "Oscar, non dovete essere per forza voi a mettervi in pericolo"

"Proprio voi mi dite di non mettermi in pericolo? Dopo quello che avete fatto?" si strofinò il viso "È inutile dare la caccia ai topi per tutta Parigi, sperando di scovarli uno per uno" girò la testa e i capelli le coprirono gli occhi "bisogna tranciare le teste che hanno ordito il piano" aveva intenzione di parlarne con il padre, di lui si fidava, come di André. Doveva tornare subito a casa. Levò la sua divisa, infilò il dito nel foro, era difficile da spiegare assieme a quelle macchie di sangue. 

"Posso sistemarvela" le disse Rosalie, posando una mano sul tessuto rosso "sono brava a cucire, i miei genitori adottivi possedevano una sartoria"

"Non lo metto in dubbio, ma penso che mi servirà una divisa nuova, non c'è tempo da perdere" guardò in giro alla ricerca della spada. Rosalie le afferrò una mano e la strinse.

"Ho passato momenti terribili, diverse volte ho attraversato l'inferno che ero una bambina e ne sono uscita ma, l'ansia e la paura, se riguardano voi, non sono come allora. È peggio che riviverle tutte assieme daccapo" la guardò un momento e poi abbassò la testa.

L'altra diede una scossa a quella mano come per infonderle coraggio "Vi spaventate per così poco? È il mio lavoro. Di gente come questo conte ne ho già affrontata. Paura di uno come lui? Mai. Che senso avrebbero altrimenti tutti i miei anni di addestramento, le rinunce, i sacrifici…" tornò a sedersi sul letto e la tirò fino a farla sedere al suo fianco "Sono io che devo preoccuparmi per la vostra incolumità, non il contrario. A ciascuno il suo, avete fatto la vostra parte, ed è fin troppo per la vostra età"

"Oscar, basta trattarmi come fossi ancora una bambina!" Rosalie si alzò "Forse voi non capite cosa cerco di dirvi" si allontanò di un passo o due, le lacrime si erano di nuovo pronunciate "o forse sono io che ho voluto ingannarmi, immaginando qualcosa che non esiste" coprì gli occhi. Aveva sperato, da quando aveva saputo che in qualche modo era sempre rimasta lì nei paraggi a tenderle una mano. "Ho provato a respingere ogni segnale, ogni pensiero, ho provato a confondere ciò che sento per voi con la riconoscenza, con un affetto di ritorno dopo tutto quello che avete fatto per me. Il tempo passava, ma era sempre lì e sempre uguale" trattenne la mano sul viso "non so come si può reprimere qualcosa del genere, magari qualcun altro ne è stato capace, ma non io" tirò un respiro più lungo "non sono riuscita a mutarlo neppure di un frammento…" la voce era rotta ma le serviva ancora un ultimo sforzo "Però mi ha donato una forza che non avrei mai sognato di tirar fuori… Anche se resterà una falsa speranza e, se non è e non può essere, non pretendo che anche voi…" si fermò lì, che disastro ne era venuto fuori, si fosse ascoltata di nuovo, neppure lei avrebbe compreso le sue stesse parole.

Oscar era rimasta lì seduta. Fece per parlare ma non uscì mezza parola. Affondò le mani nel materasso e rimase immobile. Rosalie si inginocchiò di nuovo fronte a lei e la scrutò sotto quelle ciocche bionde che le celavano lo sguardo. "Non abbiate paura di ferirmi, ditelo, me ne farò una ragione" avrebbe voluto leggerle nel pensiero in quel momento, per non dover attendere.

Il colonnello sollevò gli occhi e la guardò, l'altra invece li abbassò e li chiuse "L'avevo capito, ma non ne ero sicura" le mani andarono sul viso della ragazza e asciugarono le lacrime "non so come dirvelo, se esiste un modo onesto come il vostro, ma…" si chinò e la vide spalancare gli occhi che di più non poteva, catturò quelle labbra con le sue. Udirono bussare un secondo dopo. Oscar si fece indietro e le baciò la fronte, poi si alzò e la tirò con sé, inspirò per quietare i battiti forsennati. Le mani vacillanti di Rosalie la lasciarono malvolentieri quando andò alla porta.

"Eric, buongiorno"  

"Perdonatemi, ho portato un cambio per voi" disse Eric, le aveva sentite parlare, era certo fossero sveglie "qui ci sono dei miei abiti in buono stato, dovrebbero starvi un po' larghi" la guardò bene "ma non tanto, credo" 

"Grazie" abbassò la testa lievemente.

"Avete salvato la nostra Rosalie, è il minimo che potessi fare" le lasciò un paio di maglie pesanti in mano e allungò il collo per sbirciare in camera. Qualcosa gli suggerì di non farlo ma lo fece lo stesso. Rosalie sedeva sul letto e le mani coprivano il viso infuocato. Poi se ne andò.

Oscar si infilò una di quelle maglie scure sulla testa. Quella che le sembrava un po' più piccola. Era di un verde foresta e non le stava male. Raccolse e infilò anche gli stivali. Rosalie si alzò e le chiuse i bottoni del collo della maglia, un istante dopo li lasciò e fissò il pavimento. "Non andrete via subito, vero?"

"Non ci perderemo di vista" le accarezzò i capelli dorati.

La più giovane l'abbracciò posando la testa sul suo cuore. Poi si fece da parte o sarebbe rimasta così per chissà quanto. Cercò tra i cassetti un abito da indossare, e lo trovò presto. Arrossita tormentava il bordo della sua camicia da notte.

"Vi aspetto di là" disse Oscar. Toccò la maniglia, poi si voltò un attimo ancora. Rosalie aveva un abito rosso tra le mani e attendeva. Le venne da sorridere, dopotutto era ancora una ragazzina innocente, anche se voleva far credere il contrario. Uscì. 

"Oh!" esclamò la marchesa quando la vide. "Rosalie ha buon gusto!" disse al colonnello, poi le fece cenno di sedersi. La bionda si inchinò per riverenza e prese posto dove le era stato indicato. Sorrise, un po' imbarazzata. Chissà perché la donna le aveva detto così.

"Bel colore" disse a Eric indicando la maglia, per eliminare il silenzio che si era venuto a creare.

"Mia moglie era capace a tingere e quello era il suo colore preferito. Il padre le portava le stoffe più belle dall'Italia" i ricordi erano felici e dolorosi allo stesso tempo, l'uomo spostò il discorso altrove "scusate se ve lo chiedo, ma che rapporto c'è tra voi e la nostra Rosalie?"

L'altra si trovò spiazzata per un attimo, cercò le parole giuste da dire "Quando, tempo fa, sulla spiaggia…" fece una pausa "Quando rinvenne alla residenza in Normandia, rimase qualche giorno con me" alzò gli occhi sulla soffitta "nella residenza della mia famiglia, intendo dire. Poi, visitando Parigi, ieri è capitato di rincontrarci"

"Grazie a Dio, eravate lì al momento opportuno, per ben due volte, se non è buona sorte questa…" Eric spiegò alla marchesa che la ragazza era stata aggredita in un vicolo. E le raccontò anche chi era quell'uomo e perché si trovasse in quel posto.

"Devo chiedervi di non fare più nulla riguardo questa questione" disse la bionda e incrociò le mani sul tavolo "me ne occuperò io d'ora in avanti, è compito mio. La buona sorte non guarda sempre nella stessa direzione, e vale per tutti noi"

"Da ex soldato, è un rischio che accetto volentieri" disse Eric.

"E lo capisco, ma lasciate che ci pensino le guardie. Sono lì a posta. Rosalie mi ha mostrato i nomi della lista, sarete d'accordo con me che, cercare una per una questa gente, è dispendioso in fattore di tempo, pericoloso e inutile"

"Il conte sappiamo dove vive, ma senza coglierlo sul fatto è superfluo. Avete ragione, lo so che gli scagnozzi non sono che pedine, ma quello che era nostra intenzione fare era trovare un filo di collegamento tra loro, che fosse inoppugnabile"

"E ci penserò io" ribadì il colonnello "ciò che collega i traditori a coloro che li comprano sono gli emolumenti o le concessioni ricevute. Questi, se saltano fuori, sono già delle prove. Non dovete più tornare in quella locanda o qualsiasi cosa fosse, dopo i fatti di ieri non si faranno più vedere nei dintorni" spostò gli occhi sulla marchesa, la donna la guardava come in adorazione, le sorrise per un secondo e tornò a rivolgersi al maggiordomo.

"Però, diteci come possiamo aiutarvi, se ne avremo l'occasione" l'uomo le versò del tè. 

"Contateci"

"Ma forse avete fame?" disse poi che andava a prendere del pane, la marchesa diede il suo benestare.

"Va bene così, non disturbatevi" ma tanto era già andato via. Rosalie arrivò in quel momento. Aveva legato i capelli e li aveva acconciati a lungo con una spazzola. Si sedette vicino a Oscar.

"Voi due, non me la raccontate" disse la marchesa "quindi, la persona che ti faceva arrossire e tremare il cuore, è questa qui" continuò.

Rosalie confermò diventando rossa in quel preciso istante.

"Certamente è meglio di quell'altro" disse infine.

Oscar si girò a guardare la ragazza "Quell'altro?"

"Il giornalista che mi ha fornito la lista" la marchesa aveva detto troppo, fissò le mani giunte e pensò qualche attimo "è venuto qui due volte, ci conosciamo da bambini, per me era un amico"

"Era?"

"Mi ha deluso" la chiacchierata finì lì. Eric tornò con del pane e un dolce.

 

Poco più tardi, Oscar e Rosalie uscirono dalla casa, la ragazza le disse che l'avrebbe accompagnata per un pezzo di strada, tanto ormai non temeva più di venire riconosciuta e non si coprì i capelli. Le prese il braccio e camminarono così. "È la prima volta, sapete?" disse Rosalie.

"Cosa?"

"Che mi vedono con voi, qui, ora le voci diverranno verità"

Suppose si riferisse al circondario. Ma non sapeva di quali voci parlasse di preciso. "Vi crea imbarazzo?"

"Che sciocchezza, per niente" strinse il braccio più forte e sorrise. Stava ancora cercando di realizzare cosa era successo quella mattinata.

"Eccoti qua!" udirono un tono rabbioso alle loro spalle. Si voltarono, Oscar vide un ragazzo, ventenne forse, la guardava con un odio cieco che non aveva mai letto sul volto di nessuno dei suoi nemici fino a quel momento. Lo riconobbe, era quello che il maggiordomo aveva buttato fuori; ancora lui. Rosalie le si parò davanti.

"Bernard, come puoi mostrati ancora a me? Non provi vergogna?" 

"Non sono io che devo vergognarmi!" puntò il dito contro il colonnello "E così questo sarebbe il tuo Oscar!" si scagliò contro di loro, fece cadere Rosalie con una spinta e sollevò un pugno per centrare il volto della bionda, che invece lo scansò facilmente. "Quando ti ho sentito pronunciare il nome di questo qua, mi si sono attorcigliate le budella!" continuò lui.

"Signore, io non vi conosco" disse Oscar mentre aiutava Rosalie e rimettersi in piedi "State bene?" la ragazza annuì ma era preoccupata, voleva andar via, alla svelta.

Di nuovo la puntò con un altro pugno, Oscar gli scansò il braccio e gli fece perdere l'equilibrio con uno sgambetto. Bernard rovinò a terra.

"Basta! Bernard!" la più giovane dei tre si mise in mezzo a loro "Non voglio vederti più! E non devi avvicinarti neppure alle persone che conosco!" distese un braccio "Mostra un po' di dignità e vattene!"

Il ragazzo rise, si mise seduto sul terreno dove era caduto e guardò quello che considerava un rivale "Però con me ci sei stata volentieri!"

Per un istante Oscar mancò l'appoggio del passo che stava per muovere, Rosalie le stava davanti e pareva incollerita.

"L'hai detto al tuo amichetto che ti sei chiusa in camera con me e che ti è piaciuto?"

"Perché ti comporti così!" gridò la ragazza "Perché menti?!"

"Ehi, Oscar, conosci il ciondolo a forma di quadrifoglio che porta sotto le vesti?" mostrò un sorriso davanti l'espressione sorpresa del colonnello "No? Con te non c'è stato nulla?" rise "Da me si è fatta conoscere bene invece, in camera sua, c'erano anche la marchesa e il maggiordomo nella stanza di fianco!"

Oscar avanzò di un passo, Rosalie la fermò mettendole una mano sullo stomaco "Non reagite, sta mentendo, vuole solamente farvi infuriare"

Più lo guardava e più vedeva un ragazzino che tentava disperatamente di colpirla, fosse con le mani o con le parole, esaltato dall'odio puro. La vedeva solo come un nemico da abbattere, inutile discutere con uno così.

"Negalo! Dai! Fammi vedere se ne hai il fegato! Sgualdrina!" strillò Bernard, e non le vide arrivare, quelle nocche della mano destra che gli urtarono il mento e lo rovesciarono svenuto sul ciglio della strada. Oscar toccò la spalla indolenzita con quella stessa mano, si girò poi a fissare Rosalie, uno sguardo furente le balenò negli occhi. "Di che parlava?"

"Della ragione per cui non lo considero più un amico" le prese la mano e si allontanarono "venite, vi spiegherò ma non qui in mezzo alla strada" l'importante era condurla lontana da Bernard, le cose avrebbero potuto degenerare. La sua vita privata inoltre stava diventando il passatempo preferito del vicinato.

 

"Che pena, non sa neppure fare a botte" Saint-Just aveva seguito la scena da lontano. Gli fece compassione, il suo amico. Quasi abbastanza da volerlo vendicare. Quando gli giunse vicino, gli diede un calcio "Svegliati, inutile mollaccione!" per di più odiava le coppiette felici. Raccolse un bastone dal cesto della legna appena giunta davanti una casa e indicò le spalle delle due che camminavano più distanti. "Seguimi, se vuoi fargliela pagare!"

Non appena voltarono in una strada secondaria, Sant-Just lanciò il bastone con tutta la forza. L'oggetto roteò a lungo e si schiantò al lato sinistro della testa del colonnello. Era arrivato dal suo lato cieco, non l'aveva visto. Le si annebbiò la vista, cadde sulle mani "Oscar!" Rosalie si accovacciò per soccorrerla, le toccò la testa c'era sangue. Poi udì i due avvicinarsi e capì, quando si girò erano loro addosso.

"Ecco la tua occasione Bernard, siete soli. L'altro è fuori uso e se si sveglia ci penserò io. Prendila e divertiti!" disse l'amico "E sbrigati!" lo spinse contro Rosalie che si stringeva al colonnello.

"Non farlo Bernard, tu non sei mai stato così!" lo supplicò, lui osservava le mani della ragazza che abbracciavano quel biondo, come a volerlo proteggere, anche in quel momento. "Ti prego, non ascoltarlo, per ciò che siamo stati da bambini, non farmi questo!"   

"Lo ami?" chiese con occhi carichi d'odio.

"Sì" rispose lei. Senza distogliere lo sguardo. Lo fissava, spaventata e allo stesso tempo mostrando coraggio.

"Andiamo! Muoviti e basta! Che ti metti a parlare!" Saint-Just lo spinse, voleva soltanto che si sbrigasse. Si avvicinò a Rosalie, l'afferrò per i capelli strappandole un grido e la staccò dal colonello. La scagliò verso Bernard. Calciò il fianco della bionda a terra "Se non fai niente tu, mi divertirò io con questo qui" un altro calcio. Rosalie gridò, Bernard le impedì di muoversi. Altro calcio. Oscar sentiva la testa girare, l'ultimo colpo le aveva spezzato il fiato. Posava le mani sulla fredda strada cercando di mettere a fuoco, il braccio sinistro le faceva male. Cercò di prendere la sua spada, non la trovò, aveva commesso un grave errore nel dimenticarla. Bloccò di puro istinto il piede che le stava per tirare il quarto calcio e lo spinse lontano da sé.

"No! Basta! Fermalo ti prego! Verrò con te, farò come vuoi!" Rosalie tentò di liberare le braccia ma provò dolore, Bernard gliele stava torcendo dietro la schiena per tenerla ferma "Mi fai male! Che altro devo fare per farvi smettere?! Dimmelo!"

Il colonello si rialzò barcollando, una mano sulla ferita, vide Rosalie e provò a fare un passo "Tanto codardi da attaccare alle spalle, quanto vigliacchi da aggredire una ragazzina!"

"Non importa come, conta solo vincere!" Saint-Just raccolse il bastone e la colpì alla testa ancora una volta. Fu soddisfatto solo quando si accasciò sulla strada e non si mosse più. "OSCAR!!" Rosalie la fissava impotente con gli occhi sbarrati, il terrore superò tutto il resto e per un attimo le orecchie furono come ovattate, non sentì più i due parlare.

"Bernard, sei un imbecille!" si rivolse all'amico imbambolato. Rosalie piangeva e si dimenava. "Portala via, devo far sparire il cadavere di questo qua" l'afferrò per le braccia e si caricò il corpo di Oscar sulla schiena.

Bernard tappò la bocca alla ragazza e la tirò via. Quando vide che opponeva resistenza, la colpì allo stomaco con un pugno che la fece svenire. 

"Perdonami, Rosalie" mormorò Bernard, ora voleva solo riportarla a casa. Anche se doveva affrontare l'ira di Eric. "Perdonami, non ti accadrà più nulla. Non volevo arrivare a tanto, non è così che doveva andare!" era suo amico, ma era spietato, un uomo che non teneva alla vita di nessun essere umano, esclusa la sua. Bernard non si riteneva della stessa pasta e si stava pentendo di averlo tirato in mezzo.

 

Saint-Just se la tirò dietro fino al suo cavallo e con una faticosa spinta la posò sulla sella, a ciondoloni. Sbuffò, Bernard gli creava solo problemi. Arrivò presso la Senna, c'era un suo conoscente che contrabbandava merci come alcolici e armi, aveva una barca di cinque metri che trasportava sacchi di sale come copertura. Dentro i sacchi nascondeva le sue preziose merci.

"David!" chiamò, era quasi mezzodì. Doveva sbrigarsi. "David, dove cazzo stai?"

Un uomo tozzo sbucò da sotto coperta "Che vuoi?"

"Mi devi un favore" prese il corpo della bionda e lo scaraventò sul ponte. Frugandosi nelle tasche, trovò la sua boccetta di liquido, gliela svuotò sulla faccia "Così se non è ancora schiattato non tarderà a farlo e senza darti noie"

"E questo?"

"Portalo a largo e buttalo a mare, fallo sparire"

"Mi sporca di sangue il ponte! Guarda!" detestava Saint-Just, però gli faceva comodo per piazzare la sua merce; in cambio di una piccola percentuale.

"Vai, portalo via!" gli era parso un nobile non appena l'aveva visto, non poteva lasciarlo in strada, se qualcuno l'avesse trovato o avesse visto, e se avesse parlato, sarebbe finito sulla ghigliottina e Bernard con lui. "Sbrigati! Non farti vedere!"

David coprì il corpo della bionda con una coperta sudicia e sollevò le vele. Era da solo a governare l'imbarcazione.

"A largo, dice lui" borbottò "per arrivare al mare e tornare ci vuole almeno una settimana!" decise che l'avrebbe fatto affondare in piena notte, in un punto del fiume più profondo e dove non c'erano occhi per vedere.

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Capitolo 9
*** Ricerche ***


Rosalie si risvegliò nella sua camera. Era buio. Eric sedeva sulla sedia della stanza e la guardava con il volto triste e scoraggiato. "Come vi sentite?"

La ragazza si toccò la testa, le pulsava. Un po' di fastidio allo stomaco e poi nausea, prese il bacile sotto al letto e vomitò. Quando ebbe finito si lasciò cadere sul cuscino, si sentiva debole, le mani gelide e tremanti. "Eric, Oscar dov'è?"

L'uomo inghiottì un nodo che aveva in gola "Bernard vi ha lasciato fuori la casa, quel farabutto è fuggito prima che uscissi. Non so niente del colonnello, speravo mi diceste voi a riguardo" strinse una mano nell'altra, con forza "ditemi che vi ha fatto quel disgraziato e giuro che gli toglierò la vita oggi stesso"

Rosalie poggiò un braccio sulla fronte "Eric, portate qui Bernard, lui sa dov'è. C'era un uomo con lui, un essere ignobile… L'accompagnava, è stato lui a colpirla" lo supplicò fiaccamente, non aveva neppure la forza di piangere.

"Va bene, vado a cercare quell'uomo da poco. Ma voi, riposatevi" disse, uscì dalla camera e chiuse la porta. Doveva mettersi a cercare uno che da lui voleva fuggire, non era un'impresa facile. Era certo che alla tipografia non si era fatto vedere e aveva il presentimento che neppure l'indomani si sarebbe fatto vivo. Però poteva chiedere in giro. Così uscì, nella notte fredda. Il vento sibilava, si avvolse nel mantello e cominciò a cercare vicino dove abitava con i genitori. Bussò alla porta tre volte. Aprì dopo poco una donna che poteva essere la madre, per quanto ne sapeva.

"C'è Bernard?"

"Chi lo vuole?" la donna teneva la porta socchiusa.

"Ditegli che è Rosalie"

"Nome strano per un uomo" replicò la donna.

"È un nome in codice, lui capirà" che fortuna averlo trovato in casa, forse non lo temeva così tanto come credeva.

"Aspettate" chiuse la porta.

Aspettò, e aspettò. Quando ancora non si fece vivo nessuno si spostò più indietro, osservò la finestra, poi di nuovo la porta. Infine il tetto, dove sentì dei passi risuonare sulle tegole.

"Pisciasotto! Scendi!"

"Non le ho fatto niente!" gridò Bernard dal tetto.

"E io non ti faccio nulla, voglio solo parlare, scendi!" gridò Eric.

"Di voi non mi fido!"

"Scendi o salgo io e poi non ci andrò leggero!" lo intimò, lo seguiva, si stava spostando sul tetto della casa di fianco. "Voglio solo sapere che fine ha fatto la persona con i capelli biondi" e che si trattava in realtà di una donna non era necessario che lo sapesse. "Scendi, per tutti i diavoli!"

Bernard si calò dal lato della casa, facendo cadere due tegole. Poi gli si avvicinò con timore "Restate dove siete, possiamo parlare anche così" a distanza, forse di dieci passi.

"Dove l'avete portato?" Eric incrociò le braccia.

"Io non c'entro, non ne so niente, è stato Sant-Just, è lui che l'ha ucciso"

"Come ucciso?" Eric sentì drizzarsi i peli sulle braccia "Che è successo?"

"L'ha colpito con un bastone, due volte, e poi si è liberato del cadavere, non so altro. Mi dispiace, io non volevo succedesse questo! Ditelo a Rosalie!"

"Piccolo vigliacco! Non hai fatto altro che tormentarla, ora anche questo le dovevi togliere!" fece un passo avanti.

Bernard alzò le mani a difesa "Non c'entro! Io non ho mai ucciso nessuno! Mi dispiace!" si voltò e scappò lungo la strada. 

"Miserabile! Saint-Just… E adesso dove lo trovo quest'altro?" pensò che prima di tornare a riferire avrebbe fatto un altro tentativo. Le amicizie di Bernard erano anarchici, agitatori, antimonarchici, gente che non usciva alla luce del sole. C'erano degli incontri segreti che si svolgevano un po' dappertutto, Parigi e dintorni. Doveva capire dove trovare quell'uomo, serviva di nuovo quel pisciasotto. Decise di tornare a casa, ma senza dire niente a Rosalie, non voleva angosciarla intanto che non aveva ancora certezze in mano. 

Quando rincasò, Rosalie corse da lui con due occhioni colmi di speranza. Eric deglutì, poi disse che non aveva trovato Bernard, ci avrebbe provato il giorno dopo. Gli occhi cerulei divennero tristi e si abbassarono sul pavimento. L'uomo le accarezzò i capelli sciolti e tentò di dar forma a un debole sorriso. "Mangiate qualcosa"

"Grazie, Eric, vado a distendermi" tornò nella sua camera.

Più tardi, la marchesa la mandò a chiamare. La donna aveva un libro nella mano, chiese alla ragazza di leggere. Voleva farla distrarre. "Rosalie, raccontami" disse la donna, quando la ragazza rimase bloccata sulla seconda pagina, gli occhi erano così velati dalle lacrime che non riusciva a leggere. "Sfogati"

"Mia signora, mi dispiace…" singhiozzò "Eravamo appena fuori in strada, Bernard e un uomo diabolico ci hanno aggredite, Oscar è…" ingoiò a fatica "Hanno usato un bastone, non so se è viva o morta!!"

La donna le prese la mano fredda e la tenne tra le sue tiepide. Il bel giovane era una donna, chi l'avrebbe mai detto. Magari aveva capito male, comunque quello che le interessava era consolare la ragazza. Non si meritava tutto quello che le stava capitando. "Eric!"

"Sì, mia signora?" arrivò veloce, nonostante i suoi anni che si portava magnificamente.

"Trovatemi questo Oscar, quanto prima"

"Provvederò, mia signora" Eric sorrise, lo credevano davvero capace di ogni cosa.

"Adesso, figliola, calmati e pensa a cose belle. Non deve andare sempre tutto male" le indicò il libro, Rosalie si asciugò il viso e riprese a leggere. Era una commedia leggera, perlomeno.

C'era anche un altro luogo in cui voleva andare l'indomani. Eric avrebbe voluto portare quel foglietto al notaio della marchesa. Il colonnello non c'era e, qualsiasi cosa gli fosse accaduta, lui sarebbe andato avanti anche da solo.

 

La mattina dopo, Eric uscì molto presto. Tornò a casa di Bernard e si appostò. Non attese a lungo. Verso le sette e tre quarti lo vide uscire. Lo seguì avvolto nel mantello. Era sempre quello del colonnello. A lui calzava bene. Man mano che gli si avvicinava, l'altro accelerava i passi. Poi il ragazzo si sentì afferrare per le spalle e sbattere contro il muro.

"Ancora voi?!"

"Sì, il tuo peggior incubo!" gli piazzò l'avambraccio sotto alla gola e spinse finché lo vide annaspare per respirare. "Voglio sapere che ne ha fatto del corpo, il tuo amico Sant-Just"

"Non lo so!"

"Chiediglielo!"

"Fatelo voi!" disse con un filo di voce intanto che provava a liberarsi.

"Non so dove si trova e tanto non mi direbbe la verità" se era un assassino senza scrupoli, immaginò che chiunque gli facesse domande sul colonnello avrebbe ricevuto in risposta una menzogna o una coltellata.

"Vi ci porto io, lasciatemi!"

Eric lasciò la presa. "Fai strada, io voglio ascoltare ma senza essere visto"

Bernard gli indicò di seguirlo. C'era un seminterrato dove si riunivano lì in città. "Promettetemi prima che non direte a nessuno di questo posto, Sant-Just non deve infangare la nostra causa"

"Vostra causa?" emise uno stridore stizzito con le labbra "Non ne parlerò, stai tranquillo"

Camminarono a lungo, forse Bernard lo stava facendo di proposito per fargli perdere l'orientamento. Passarono nei vicoletti più stretti che esistevano in quella città. Poi vide comparire una scalinata che scendeva al di sotto del livello del terreno. Era una vecchia cantina.

Bernard gli disse di stargli lontano una volta di sotto, le persone nuove arrivavano accompagnate da qualcuno di vecchia conoscenza ma poi, se doveva avvicinare Saint-Just, non dovevano farsi vedere insieme. "È un uomo molto sospettoso"

"Me lo immagino" disse sarcastico il più anziano.

"Comunque non lo vedo, non c'è ancora. Spero che arrivi anche oggi" Bernard voleva scrollarsi di dosso quel maggiordomo mastino al più presto. "Allontanatevi da me, andate a prendervi del vino" disse "se rimaniamo a parlottare solo tra noi ci guarderanno tutti" aggiunse.

"Non tirarmi un tranello o te la passerai male" Eric andò verso il tizio che faceva il coppiere. Assaggiò il vino, non era male, gli chiese di pagare. Non distoglieva gli occhi da Bernard.

Entrò un tale losco, con i capelli biondo scuro, e gli occhi sottili e sprezzanti. Eric si spostò con il bicchiere.

"Poi me lo riportate quello" gli disse il coppiere. Eric alzò una mano per far intendere che aveva capito.

"Bernard, che ci fai qui così presto?" Sant-Just gli si avvicinò "La tipografia?"

"Oggi sono passato prima di qua, cercavo te"

"E perché?" lo fissò chiudendo ancora di più quelle piccole fessure che erano i suoi occhi.

"Non so come devo comportarmi con Rosalie. Il biondo, che ne è stato di lui?"

"Non devi più preoccuparti di quello, non esiste più"

Eric stava ascoltando di schiena, mentre beveva il suo vino, un piccolo sorso per volta. C'era un tavolo di mezzo fra loro.

"È morto?"

"Se non è morto subito, a quest'ora sarà all'altro mondo per altre ragioni. L'ho consegnato a un barcaiolo perché se ne liberasse e fidati, sa bene come fare. Consideralo defunto"

"Ma il corpo? Come facciamo a star tranquilli che non salti fuori?" Bernard provò a fare il giornalista, ma non troppo, non voleva infastidirlo. 

"È andato a buttarlo a largo, non lo troveranno, se fa un buon lavoro come credo gli legherà una zavorra addosso e, anche dovesse saltar fuori dopo qualche tempo, non lo riconoscerà neppure la madre"

Eric strinse forte il bicchiere, sentì scricchiolare il legno del coppo. Era finita, doveva dare quella notizia orribile alla giovane Rosalie. Voleva uscire, all'improvviso gli mancò l'aria. Però non poteva andarsene, a breve avrebbero iniziato l'assemblea e si supponeva che lui fosse lì per ascoltare. E rimase, restò anche dopo che gli altri due se n'erano andati. In realtà prendeva tempo anche per non dover rientrare subito. Si ricordò del notaio, doveva andare da lui. Aveva una scusa per ritardare ancora un po'. Restituì il bicchiere e prese a salire le scale.

La casa del notaio si trovava in una delle piazze periferiche di Parigi. Per arrivarci si doveva attraversare tutta la città. Avrebbe camminato un bel po' quella mattina. Il colonnello non c'era più, non poteva pensarci. Morire per mano di quell'esaltato, non c'era niente di onorevole. E per quale ragione, lo scontro da dove era nato? Aveva capito che Rosalie era il perno del problema ma non fino a che punto. Ci doveva essere un legame forte tra le due. Smise di pensarci e si concentrò sulla strada. La campana della piccola chiesa nei dintorni suonò il rintocco delle nove. Avanzò più piano, senza rendersene conto aveva tenuto un passo spedito fino a quel momento. 

Arrivò all'edificio del notaio, stava al secondo piano di un palazzetto antico. Ed era pieno di scale. Quando ci aveva accompagnato la marchesa le avevano dovute salire in più tempi. La povera donna era magra e non certo pesante, però le veniva spesso l'affanno quando faceva sforzi. Il notaio era un uomo gentile, però avrebbe potuto recarsi lui dalla donna invece che farle salire tutte quelle scale, ma ora che ci pensava, neppure lui era un giovanotto. Arrivò con il fiatone all'ultima rampa. C'era un uomo sull'ultimo gradino, che stava uscendo dallo studio. Riconobbe immediatamente quel bastone bianco. Ebbe l'impulso di nascondersi, ma il conte non l'aveva mai visto, chinò il capo e salì. Questi gli passò vicino e gli fece un piccolo cenno di saluto con la testa. Eric si fermò all'ultimo gradino, si voltò e lo seguì finché poté mentre l'altro scendeva rapido. E ora che doveva fare con quel dannato biglietto? Il notaio lo vide "Signor Roux, che ci fate qui?"

"Passavo nelle vicinanze e sono venuto a farvi un saluto" allargò le labbra in un sorriso.

"Entrate, vi offro un goccio di passito"

"Grazie"

Parlando della marchesa, trascorse un po' di tempo, Eric buttò una domanda con nonchalance "Ma, il tipo che ho veduto al mio arrivo, chi è?"

"Il conte de Badeaux. È venuto qui per farmi tradurre una lettera in inglese"

"Ah sì?"

"Mi ha rivelato che vuole inviarla a una nobildonna inglese. Non vi ho detto nulla, mi raccomando"

"Per carità, non dirò mezza parola"

"Vi devo dire però, era una lettera strana, sembravano dei versi più che altro, delle strofe"

"Ne avete una copia?"

"Mi chiedete troppo adesso, c'è il segreto professionale"

"Era per curiosità" Eric sorrise di nuovo e ingurgitò il passito, che si stava mescolando al vino di quella mattina e gli metteva in subbuglio lo stomaco. Non insistette ancora, cambiarono argomento. Decise che non era il caso di mostrargli il suo biglietto. Se solo avesse potuto rubare la lettera al conte. Che ormai era arrivato chissà dove. Porse i suoi saluti e andò via.

Camminò piano fino al ritorno alla casa della marchesa. L'alcol gli aveva dato una mano ad avere la fermezza nelle parole che doveva pronunciare, ora gli serviva trovare anche un modo per confortarla. Entrò e, neanche a dirlo, la fanciulla gli corse vicino. Gli bastò alzare la testa e guardarla, lei capì. Rosalie scivolò accanto alla porta e si ritrovò a terra, con le mani sul viso a raccogliere le innumerevoli lacrime che ancora versava.

Eric si accovacciò accanto a lei e l'abbracciò come avrebbe fatto un padre. "Mi dispiace, Rosalie, ho sperato fino alla fine di portarvi una buona notizia" le carezzò i capelli "il colonnello avrebbe certamente voluto che voi continuaste la vostra vita, non fatevi vincere dal dolore"

La ragazza piangeva su quella spalla, e agitava la testa. L'uomo non si rendeva conto, non poteva capire. Non sapeva. Il dolore che provava in quel momento era quello di una piccola creatura che veniva schiacciata da un gigante. Non c'era più e lei non aveva potuto impedirlo. Ne era stata la causa. Il dolore si mescolava alla colpa e lo strazio che le stringeva il cuore era qualcosa di intollerabile. "Eric, è solamente colpa mia se non c'è più! Solo colpa mia!" si alzò, corse in camera. Sbatté la porta. C'era la divisa lì sulla sedia, l'aveva rammendata. L'altra sera l'aveva stretta e ora non aveva il coraggio neppure di guardarla. Ma non era la divisa che cercava con occhi offuscati. La spada luccicava nel suo fodero nell'angolo accanto la finestra. Non poté non pensare che se solo l'avesse avuta con sé forse le cose sarebbero andate diversamente. Le lacrime cadevano e ormai non ci badava neppure più, era stanca. La afferrò e vacillando si avvicinò al letto, dove si sedette. Non aveva mai maneggiato una spada, la sguainò e fece cadere il fodero in terra. La lama era affilata da entrambi i lati, si specchiò su quel filo tagliente. Eric entrò piano in camera, senza bussare, e quando la vide con l'arma tra le mani, scattò, come avrebbe fatto da soldato una quarantina d'anni prima. Acciuffò la lama strappandogliela e la sentì penetrare nel palmo.

"No! Rosalie! Non fate stupidaggini!"

 La ragazza chinò il capo, la vista le si offuscava sempre di più. Perse i sensi e scivolò accanto al letto. Eric rinfoderò la spada, gli aveva procurato una ferita. Sollevò la ragazza e la distese sul letto. Prese la spada e tolse anche la divisa da quella stanza. Doveva farle tornare alla famiglia. Uscì e chiuse piano la porta. Raccontò ogni cosa alla marchesa, la povera donna si addolorò. Le disse che la ragazza poteva essere scombussolata emotivamente, quindi avrebbe chiamato una cameriera per svolgere temporaneamente le mansioni in casa e anche per tener d'occhio Rosalie. C'è n'erano molte di giovani donne bisognose di un lavoro di quei tempi. Una di nome Clara la conosceva tramite i genitori, arrivò subito. Aveva un paio d'anni in più di Rosalie e doveva sposarsi entro l'anno venturo, aveva bisogno di lavorare.

Prese il cavallo e salì in groppa. La dimora dei Jarjayes non era troppo lontana dalla città. Una volta saputo a che famiglia apparteneva, gli era parso un nome già sentito. Oltre che tra i soldati, si era accorto che il colonnello aveva una reputazione pregevole anche fuori dalla corte. Doveva aver vissuto esattamente come gli era sembrata la prima volta che l'aveva vista, una persona onesta e con un forte senso di giustizia.

 

André era stato fuori tutta la notte a cercare Oscar. Non si reggeva in piedi dalla stanchezza, erano due giorni che non faceva ritorno. Non sapeva che pensare. Girodelle gli aveva riferito che l'ultima volta che l'aveva vista si era allontanava verso i bassifondi parigini, forse aveva visto qualcuno che conosceva. Il giovane era stato lì per ore a cercare il mattino dopo e poi ci era tornato quello stesso giorno, invano. Nessuno sapeva, nessuno gli diede informazioni. 

Nel mentre si avvicinava al palazzo, Eric pensò a come poteva metterla, a cosa poteva dire alla famiglia. Senza il corpo neppure li avrebbe convinti. Forse, pensò, forse poteva lasciargli una speranza, seppur vana. Dicendogli che aveva trovato la giacca e la spada abbandonati in città, però in quel caso non doveva andare alla famiglia ma dalle guardie del suo reggimento. Tirò le redini del cavallo e cambiò direzione, dirigendosi a Versailles. Era da vigliacchi, però non c'era altro modo per non scendere troppo nei dettagli e dover menzionare Rosalie o il legame che poteva aver scatenato le ire di quei due miserabili che l'avevano aggredite. Gli avrebbero fatto troppe domande e poteva anche rischiare di venire denunciato dalla famiglia. Chissà che potevano pensare di lui.

Quando giunse davanti alla reggia, chiamò un paggetto che vide passare di lì, gli diede un fagotto da consegnare al primo soldato che avesse visto e gli disse una frase che doveva ripetere "Il colonello è stato aggredito ed è caduto nella Senna", lasciò una moneta al ragazzino e se ne andò alla svelta. Era sia una bugia che una verità.

 

Il tramonto era prossimo. Le acque scure con le ultime reminiscenze dei raggi solari erano già illuminate dalle lanterne della piccola imbarcazione che scendeva il fiume. David aveva navigato per oltre un giorno, a favore di vento, a suo parere si era spostato abbastanza. Quel corpo sul ponte gli faceva impressione, i morti non gli piaceva averli così vicino. La piccola chiazza di sangue sulla coperta si era scurita, cercava di non guardare. Fortunatamente faceva freddo, andarsene in giro con un cadavere sul ponte non era un bell'affare. "Affanculo Saint-Just!" si accostò alla riva e raccolse le vele. Le acque erano basse, però c'era una piana alla sua sinistra, dove appariva la piccola conca di una valle. Gettò l'ancora. Prese una delle tre pale che aveva a bordo e si spostò di una trentina di passi, per scavare una fossa. Con il piede tastò il terreno, era morbido grazie anche alle recenti piogge. Il sole calava mentre affondava la pala, scavò una fossa abbastanza larga ma si stancò presto di proseguire in profondità. Decise che un metro andava bene. La sua pancia lo affaticava anche di più nei movimenti. Doveva dimagrire, come gli ricordava spesso la moglie. Quando fu soddisfatto, tornò alla barca. Gli faceva senso toccarlo. Prese un respiro e trattenne in fiato, si caricò il corpo tra le braccia, con tutta la coperta. Con un affanno micidiale, lo appoggiò sul bordo della fossa e lo lasciò cadere. Un altro sguardo intorno a sé, non c'era nessuno. Perlomeno, nessuno che lui vedesse. Riprese la pala e ricoprì il corpo. Veloce, andò rapido, poi ci premette la pala sopra un paio di volte. Si fece il segno della croce "Spiacente, non so chi sei ma riposa in pace" posò una grossa pietra sul cumulo e giunse di nuovo all'imbarcazione, tirò l'ancora e iniziò le manovre per far rientro a Parigi. Di solito, dopo aver scaricato le merci di contrabbando, stava sempre fermo per un po', senza farsi vedere navigare per la stessa rotta. E non gli andava di rischiare proprio adesso.

Nella piana tornò la quiete, il verso di un corvo che si posò su un albero accompagnava l'ingresso della notte. Il sasso si smosse, salì di un dito, poi sprofondò di un palmo. La terra, come risucchiata nel mezzo, scorreva dipanandosi lateralmente finché la coperta non ritornò in superficie. Un ginocchio la spingeva verso l'alto. Una mano si aggrappò al bordo del fosso e poi sbucò il resto della coperta. Oscar se la sfilò dalla testa e prese un respiro affamato d'aria. Tossì a lungo. A fatica si tirò fuori dalla buca, sdraiandosi poi sull'erba. Le faceva male ovunque e stava morendo di sete. Non aveva idea di dove si trovasse. Aveva ripreso i sensi quando l'aria si era rarefatta e cominciava a venir meno. Fece forza sulle braccia per mettersi in piedi, ma cadde immediatamente. Sentiva l'acqua del fiume scorrere. Le articolazioni fiaccate e semiparalizzate le permisero di muoversi solo trascinandosi con le braccia.

Strisciando arrivò all'acqua, e poté bere. Vide il suo riflesso sotto le prime stelle, sangue rappreso sulla fronte e sulla guancia sinistra. Con le due mani si sciacquò il viso. Toccò i due tagli e ricordò. Gridò dalla rabbia. Il corvo che era rimasto a guardare sull'albero spiccò il volo. Colpì la terra e urlò di nuovo. Pensava solo a una cosa, che non era stata capace di difenderla. E l'idea di quello che le era potuto accadere la atterriva. Sulle ginocchia, provò a sollevare una gamba ma non tenne il peso. Un fianco le doleva, si trascinò accanto all'albero, prese fiato e chiuse gli occhi. Faceva freddo, fosse rimasta così non era certa che l'indomani si sarebbe svegliata ancora. Sollevò un lembo della maglia a si toccò il fianco, c'era un livido. Però il costato era tutto intero. Doveva recuperare quella coperta puzzolente. Attese ancora un po' per riprendere le forze e poi strisciò vicino alla fossa, di nuovo. Scavò con le mani e la tirò fuori, si sentiva debole, come se dovesse svenire da un momento all'altro. Quando toccò di nuovo l'albero era sfinita. Avvertì del sangue colare dal sopracciglio, le ferite erano ancora aperte. Prese un respiro e si aggrappò alla corteccia; se non ci vedeva male quello era un salice, strappò qualche foglia e la mise in bocca. Si lasciò cadere schiena contro il tronco. Masticò fino a ridurre a una poltiglia le foglie, dopo averle sputate in mano ci coprì le ferite. Le mani scosse afferrarono la coperta, la tirò fino al collo e poi perse i sensi.

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Capitolo 10
*** Affanni ***


"Ehi!" Oscar si sentì toccare una spalla, aprì gli occhi e cercò di focalizzare chi aveva davanti "Ehi, voi, che vi è preso?" un uomo anziano, con un bastone da pastore, le stava di fronte. Udì il belare di pecore, nella piana, stavano calpestando proprio dove c'era la fossa in cui l'avevano gettata, che ora assomigliava a una flessione disordinata del terreno.

Tolse la coperta e si accorse che era ancora più dolorante "Niente di grave, signore" aveva timore a mettersi in piedi, non voleva franargli davanti e smentirsi.

"Come ci siete finito lì per terra?"

"Una disputa, iniziata male e finita peggio" la rabbia era sempre lì, che le faceva serrare i denti e stringere i pugni come a volerla intrappolare e distruggere, senza riuscirci.

"Che razza di disputa? Mi piacerebbe sapere" e poi decidere se era il caso di aiutare o meno.

La bionda esitò, spostò gli occhi sul fiume che luccicava sotto i primi raggi del sole. "Ho cercato di…" le mani si conficcarono nella terra "Non ho potuto difenderla, ho fallito" le dita cariche di collera penetrarono in profondità.

"Ah, bene. Conosco la specie di disputa. Venite con me, vi faccio rattoppare la testa" osservò l'impacco di sangue e foglie di salice. "Ci vuole l'alcol, non quell'impiastro che ci avete appiccicato. Ce la fate a stare su?" le chiese poi. Oscar provò, le gambe tremavano ma le reggevano il peso, almeno quello.

"Pare di sì, grazie, signore" l'uomo le tese un braccio e le disse di appoggiarsi ma quando l'altra lo fece non riuscì a tenerla, le cadde addosso e piombarono tutti e due contro l'albero.

"Per tutti i demoni!" l'uomo si sollevò da sopra di lei che intontita cercava di mettersi a sedere "Chiedo scusa, il bastone non ce l'ho solo per compagnia" disse, si appoggiò poi alle spalle della bionda e si tirò su. L'anziano ficcò il bastone nel terreno e lo resse con un pugno, poi distese l'altra mano. Lei osservava la mano titubante "Andiamo, su! Non vi faccio cadere un'altra volta" fece forza con le braccia e furono entrambi in piedi.

"Io sto qua dietro" le spiegò che c'era la famiglia del figlio, e una nipote che poteva occuparsi della ferita. La aiutò a camminare.

"Ho quasi ottant'anni, a crederci" disse orgoglioso il tipo.

"Difatti, non lo credo" avrebbe riso in altre circostanze, a pensare che era lui a sorreggere lei, nonostante tutto.

"Valeva la pena?" l'anziano le strinse il braccio "Per questa donna, ne valeva la pena?" ripeté.

Oscar annuì. I passi erano deboli e il braccio dell'uomo era più forte di quanto sembrasse all'inizio.

"Ai tempi miei, quando una donna non sapeva scegliere tra due o più rivali, era la famiglia che decideva, quello che stava meglio messo a guadagno. Ma voi ci volete bene?"

La bionda annuì di nuovo.

"Allora andate a ripigliarvela"

Chinò la testa, i denti le stridevano in bocca, abbassò un momento il viso sulla spalla e poi proseguì a camminare. Certo che sarebbe tornata a riprenderla, se Rosalie l'avesse ancora voluta.

Arrivarono a una cascina. L'uomo la lasciò alla nipote sedicenne, doveva tornare al suo gregge, non si fidava a lasciarlo libero e incustodito. "Riposatevi, quando torno vi voglio trovare ancora qua" le disse prima di far ritorno alla piana. 

La ragazza non fece domande però le parlava ininterrottamente mentre ripuliva la ferita "Mio nonno ha costruito questa casa un pezzo alla volta con quello che gli hanno lasciato i genitori"

La bionda non faticava a crederlo, sembrava un uomo tenace. "Perdonatemi, posso sapere dove siamo?" non riusciva a orientarsi.

"C'è il piccolo paese di Belbeuf qua vicino"

Quella località sfuggiva alla sua memoria, la ragazzina parve accorgersene e chiarì che poco più a nord c'era Rouen; dopo quelle parole la vide sgranare gli occhi. Come ci era finita così lontano? Chi ce l'aveva portata? Non ricordava niente dopo lo scontro. Per tornare a piedi ci sarebbero voluti giorni, le serviva un cavallo. Ma non aveva un soldo con sé e le gorgogliò lo stomaco in quel momento.

"Scusatemi, non vi ho chiesto se avete fame e direi di sì" la ragazza mora con la treccia rise, Oscar era in imbarazzo. Finita di sistemare la fasciatura, scappò in cucina, la lasciò seduta da sola. "Vi è andata bene, vi hanno colpito dove il cranio è più forte!" pronunciò dalla cucina "Mio padre è medico! Queste cose le so da quando ero piccola!" 

La ragazza parlava molto, le raccontò che il padre aveva un piccolo studio in paese e che la madre l'aiutava, ora che lei e i suoi due fratelli erano cresciuti. "Stanno a scuola, hanno dieci e dodici anni. C'è un maestro al paese che si occupa dei ragazzini"

"E voi restate qui da sola?"

La ragazzina le sorrise "Sì, ma non ho paura di star da sola" la fissò negli occhi per la prima volta "voi avete una faccia buona" continuò "e se il nonno vi ha lasciato qui, non vi temo" inoltre, la ragazzina si era resa conto che quella persona a mala pena si reggeva in piedi, non avrebbe spaventato un bambino ora come ora.

"Potrei fingere" Oscar le disse di fare più attenzione in futuro.

Le portò una minestra e un pezzo di pane. Oscar mandò giù senza fare convenevoli, di fame ne aveva davvero. Le lasciò anche un bicchiere di birra sul tavolo. 

Più tardi, l'accompagnò nella stalla "Scusatemi se non vi offro un letto ma, i miei genitori dovrebbero rincasare a momenti per il pranzo e il nonno arriverà dopo e…"

"Non dovete scusarvi, è una decisione saggia" si sedette sulla paglia "grazie infinite" chiuse gli occhi e si assopì poco dopo che la ragazza andò via. La stanchezza sorpassò tutti i pensieri orribili che le passavano per la testa.

"Ehi!" sentì un bastone urtarle lo stivale "Ehi, voi!" 

Oscar aprì gli occhi, le era parso di dormire una manciata di minuti però vide che si era fatto scuro. L'anziano era davanti a lei e la guardava. "Quanto tempo è passato?" chiese la bionda.

"È buio"

Si alzò, una buona parte della forza era tornata. "Devo andare"

"Sicuro, lo so"

Avrebbe voluto chiedergli un cavallo ma in quella stalla c'era solo un vecchio mulo silenzioso. "Posso chiedervi un favore, signore?"

"Ditemi e vedo di contentarvi" 

"Una spada"

L'uomo rimase a rifletterci su "Non c'è una spada in questa casa, però vi posso pigliare un coltello. Ma mi dovete giurare che lo adoperate solo se vi forzano a farlo"

"Avete la mia parola, signore"

"Aspettate qua"

La bionda prese un pezzo di spago tra la paglia e lo usò per legarsi i capelli. L'uomo tornò con un pugnale nel fodero. "Giratevi" le disse. Glielo allacciò dietro con una cintola sottile "Si tira fuori subito ed è assai affilato, da me in persona"

"Grazie"

"Questo te lo dà mia nipote" le diede un sacco "ci sta il necessario per un poco di strada"

"Ringraziatela da parte mia" uscì dalla stalla e si voltò un'ultima volta "Dio vi benedica, signore, non scorderò ciò che avete fatto"

"Vedete di non andare ancora per terra!" l'anziano la vide incamminarsi verso sud.

"Nonno, potevate chiedergli di dormire qua per stanotte" disse la nipote che arrivò giusto in tempo per osservarla svanire nel buio.

"Diceva di no"

"Come fate a saperlo?"

"Lo so" lui avrebbe fatto uguale "hai girato il latte che sta cagliando, come ti ho detto?"

"Ma, nonno, ho appena finito di ripulire la cucina…"

"Non stare con le mani in mano, alla tua età io facevo cinque cose assieme!"

 

Eric rigirava quel foglietto tra le mani, erano alcuni giorni che non sapeva più cosa fare. Non ci capiva una parola di quanto scritto e dicembre era ormai giunto. Clara alla fine non era andata più via. Rosalie non usciva quasi mai dalla sua camera e la si sentiva piangere ogni notte fino a sfinirsi. La marchesa aveva provato a parlarle, la ragazza era fuori di sé. Una di quelle volte non l'aveva neppure riconosciuta se non dopo essere entrata in camera. Il maggiordomo si decise a mettere il punto fine alla storia, non poteva continuare così.

"Rosalie, posso entrare?" chiese, quando non le rispose abbassò la maniglia, la porta era aperta. "Rosalie?"

La trovò rannicchiata con le ginocchia raccolte al petto, e la schiena poggiata alla parete sotto la finestra. "Rosalie…" le si avvicinò e si sedette in terra davanti a lei "Sono giorni che andate avanti senza mangiare quasi niente, vi state rovinando la salute" la ragazza alzò gli occhi gonfi, lo guardò e gli gettò le braccia al collo.

"Eric! Mi sembra di affogare di nuovo…" singhiozzò.

"Lo so, lo so che significa. Aggrappatevi a me" lui era vedovo, anche se erano trascorsi molti anni, la sofferenza, ora sopportabile, era sempre lì. "La ricorderete per com'era. Concentratevi sui bei ricordi e basta"

Rosalie pianse ancora "Non mi avesse mai conosciuta, non mi avesse mai trovata su quella spiaggia, ora sarebbe ancora qui!"

"Non addossatevi colpe, non si possono governare certe cose. Avreste potuto incontrarvi altrove, per le strade di Parigi, chi può dirlo" le accarezzò la testa "siete così giovane, avete una vita intera ancora, non buttatevi via"

La mattina dopo, Rosalie uscì dalla camera, si era vestita e sistemata i capelli, il viso spossato era rimasto quel che era tuttavia. Si sforzò di sorridere quando vide la marchesa e si scusò con lei per i giorni passati. "Perdonatemi, voi non vi meritate una dama di compagnia così ingrata"

"Oh, piccola mia. Come se tu non fossi umana. Reagire quando si perde qualcuno a cui si tiene molto è diverso per ciascuno di noi, ma non meno doloroso" la donna era un'altra facente parte del circolo dei vedovi "oggi usciamo e ci facciamo un bel giro nel parco, solo noi due" aggiunse.

Clara si allarmò di quella situazione, Eric non perse tempo nel tranquillizzarla, la marchesa non l'avrebbe mandata via lo stesso. L'ultima arrivata non la conosceva affatto. 

Bernard guardava in disparte, da lontano vide Rosalie uscire per la prima volta dopo quello che era successo, e c'era la marchesa con lei. Gli venne da sorridere. Si sentiva in difetto e a disagio, avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e implorare perdono, ma non era ancora il tempo. Ora che l'aveva vista, andò via. 

Il parco non era molto affollato, faceva freddo. Marie era serena quando camminava nel verde, le venivano in mente i tempi andati, quando si appoggiava al giovane consorte per passeggiare. "Rosalie, non trovarti mai un marito tra i soldati" le disse di punto in bianco "ti tolgono la serenità e la sostituiscono con l'ansia" e rimarcò con una pacca sul braccio. Le disse di scegliersi un uomo che svolgeva un mestiere più tranquillo. La ragazza sorrise triste, lei non aveva intenzione di sposarsi. Sul suo futuro ci stava riflettendo da quella mattina, che finalmente i pensieri avevano cominciato a schiarirsi.

Quando più tardi rientrarono, Rosalie andò da Eric e gli chiese se aveva tradotto il biglietto. L'uomo scosse il capo. Oscar avrebbe voluto che continuassero, pensò la ragazza. 

"Il notaio non è affidabile, tra i suoi clienti c'è il conte. E ci sto pensando da allora, perché va dal notaio se conosce degli inglesi, non riesco a sbrogliare la matassa" l'unica spiegazione che gli era saltata per la testa era che non voleva incontrarsi con loro direttamente, neppure camuffato da plebeo. Ma non ne era certo.

"Per il notaio non posso aiutarvi ma, per il biglietto, ci penserò io" disse risoluta la ragazza.

"E come?"

"Arrivano stranieri ogni settimana qui a Parigi, ne troverò uno che parla inglese, un insospettabile, e mi farò tradurre ciò che c'è scritto" 

"Posso farlo io, voi non dovete più mettervi a rischio" 

"Non è un lavoro per voi, Eric, serve una donna, per essere più persuasiva" specificò. E aveva in mente anche di portarsi dietro del denaro.

"Che intendete per persuasiva? Che volete fare?"

"Tradurre il biglietto a ogni costo"

"Non a ogni costo, la vita viene prima" Eric le disse poi che l'avrebbe accompagnata comunque.

Rosalie entrò in camera sua, reggeva lo stiletto che si era fatta dare da Eric quel pomeriggio, quello che l'uomo si portava sempre dietro. Lo aveva rassicurato che non l'avrebbe mai puntato contro sé stessa. Un tempo lo avrebbe usato solo come tagliacarte, d'ora in avanti invece sarebbe sempre stato con lei. Lo nascose legando il piccolo fodero con un nastro intorno alla coscia destra.

Prese la conchiglia sul comodino, la strinse tra le mani e la portò alle labbra "Non ti dimenticherò mai" inspirò e riuscì a trattenere le lacrime. Eric non le aveva voluto raccontare nello specifico, tranne dirle che si erano liberati del corpo. Era stato peggio che conoscere i dettagli, immaginare chissà che brutalità avevano scagliato su chi amava più di tutto al mondo. Non c'era più, tuttavia una parte di lei respingeva quella verità, ed era una guerra interiore che non la lasciava da allora. 

 

La mattina seguente, Eric e Rosalie si alzarono quasi contemporaneamente. La ragazza mise a riscaldare l'acqua per il tè. Clara entrò dopo nella cucina, sbadigliando. "Buongiorno"

Rosalie le posò una tazza fumante davanti "Buongiorno, Clara" presto furono tutti e tre seduti intorno alla tavola. 

"Avete saputo?" iniziò Clara.

"No, di che si tratta?" Eric assaggiò il tè, gli piaceva di più quando lo preparava Rosalie.

"Ieri ho incontrato la figlia del tabacchino, un'amica delle mie, è in confidenza con un soldato e questo qua le ha raccontato un fatto. A Versailles si dice che il comandante delle guardie sia morto e sono tutti in fermento"

A Rosalie tremò la mano, dovette posare la tazzina per non rovesciarla.

"Quell'ufficiale tanto affascinante che quando venne in città, durante l'incoronazione, aveva la coda di quelle che cercavano di attirare la sua attenzione" raccontò Clara, c'era stata anche lei in quel momento, era una ragazzina infatuata della divisa come tante sue coetanee. E quell'ufficiale dall'aria rigorosa attirava attenzione anche per come si poneva sempre tra la gente, con il massimo rispetto.

"Sì, Clara, abbiamo sentito qualcosa. Ma la marchesa? Sono quasi le nove e mezza, andate a chiamarla" Eric cambiò subito argomento. La faccia cupa di Rosalie, che non diceva nulla, lo spaventava. Non voleva di nuovo vederla precipitare. La più giovane si alzò da tavola "Vado a chiamarla io" 

"Ma, bevete solo tè in questa casa?" Clara rimase seduta a far colazione. Eric sbuffò, voleva dirle di non menzionare più quella persona ma non era colpa della giovane cameriera, non sapeva la storia, e lui non si sarebbe messo a raccontarle.

Rosalie bussò, la marchesa non rispose. Entrò lentamente e la vide nel letto. Immaginò che dormisse ancora, si avvicinò ma non colse i movimenti del respiro. Il cuore le prese a battere veloce. Si precipitò a scuoterla "Mia signora!" 

Le mise due dita sotto al naso, niente aria. "Marchesa!" la scosse ancora, la scoprì e poggiò la testa sul petto, nessun battito. "Marie…" una mano tremolante le scostò i capelli grigi dalla fronte, gli occhi erano chiusi e immobili. "ERIC!"

L'uomo si alzò così rapido che quasi mandò il tavolo per aria.

 

I funerali si tennero la mattina del giorno dopo. Rosalie aveva pianto, le lacrime si erano asciugate sotto i venti dei primi di dicembre. La giovane si meravigliò anche della folla che era giunta alle esequie. La marchesa era una donna che faceva del bene senza farlo sapere a nessuno. Tanti ne aveva aiutati e tanto era stato l'affetto che le era tornato indietro, in quel momento. Pianse anche Eric, che le era affezionato da decenni, e Clara, perché ormai aveva perduto il posto di lavoro in via definitiva. 

Il notaio si fece vivo quel pomeriggio, con un tempismo terrificante. "Ho saputo" disse ad Eric quando gli aprì la porta. Era appena sceso da una carrozza con la sua cartella, dove trasportava documenti.

Rosalie era rimasta inginocchiata sul tappeto, davanti al letto della marchesa. Si guardava attorno e non ci credeva che non c'era più.

"Voi non siete parenti, ma dato che la marchesa Ozanne vi ha incluso nel testamento…" diede loro le ultime disposizioni. Dovevano lasciare la casa, poiché la nipote subentrava immediatamente come proprietaria. Ma non sapevano se avesse intenzione o meno di venire in Francia per venderla, affittarla o farci altro. Del resto non le era ancora giunta la notizia. Eric e Rosalie avevano ricevuto una sostanziosa eredità a testa. Potevano vivere di rendita per tutta la vita senza più lavorare. "Mi dispiace, ma dovete andare via entro domani sera"

"Così su due piedi ce lo dite?" Eric era furioso.

"Non è una mia imposizione, è la legge. Sono sinceramente dispiaciuto, siete un caro amico come lo era la signora marchesa"

Rosalie non pareva neanche dar peso alle sue parole. L'avevano chiamata perché doveva ascoltare le ultime volontà della donna ma quel che diceva il notaio era come un soffio di vento nelle orecchie, fastidioso e inconsistente. Guardava fuori la finestra, quell'albero di limoni era cresciuto così tanto che pareva essere sempre stato lì.

"Raccogliete le vostre cose, avete abbastanza soldi per trovarvi una sistemazione che meglio vi conviene" il notaio lasciò loro due cofanetti pieni di monete d'oro.

Quando l'uomo se ne andò, i due rimasero da soli a guardarsi in faccia. Eric poggiava le mani sul tavolo della cucina, allontanava e avvicinava le dita. Rosalie gli si sedette di fronte, con le mani giunte sul grembo.

"Ho intenzione di trasferirmi in campagna" disse lui "quando sarà iniziato l'anno nuovo prenderò un pezzo di terra in Provenza e ci tirerò su una piccola casa. Rosalie, se voi volete, sarò felice di condividerla, come fossimo padre e figlia"

Rosalie si morse il labbro inferiore e negò l'offerta "Grazie Eric, ma io so già dove andare. In realtà lo sapevo già da prima che la marchesa ci lasciasse"

"E dove?"

La ragazza tenne gli occhi fissi sul tavolo "C'è un piccolo convento, appena fuori Parigi. Ho già fatto domanda" Eric la guardò perplesso "e ora, grazie alla dote lasciata dalla signora marchesa, potrò venire accettata senza alcuna riserva"

"Ma, Rosalie, perché?"

"Perché lo desidero. Ma prima dovremo risolvere la faccenda che abbiamo in sospeso. Non mi darò pace finché il complotto non sarà smascherato"

"Ma perché non ci pensate più a lungo? Non è una decisione da prendere così, in preda agli eventi"

"Ci ho riflettuto molto, Eric, credetemi. È l'unico luogo in cui potrei trovare un po' di serenità, per continuare a vivere"

"Non lo credo affatto. Nel frattempo, verrete a stare con me in una locanda di una mia parente. Ce l'affitterà con poco, prenderemo due stanze" la ragazza accettò, si trattava di poco tempo ancora.

 

Un uomo, con la moglie e i due figli piccoli, guidava un carro carico di fieno. Quando vide qualcuno che camminava con un piccolo sacco sulle spalle, si fermò lungo la strada. "Dove state andando?"

Oscar alzò la testa "Parigi, signore"

"Saltate su, fa buio presto di questi tempi. Parigi è lontana da qui ma posso portavi fino a un certo tratto"

"Grazie, signore" salì sul retro, assieme al fieno, e ci appoggiò la schiena, era indolenzita. Portò le mani dietro alla testa e si concentrò a guardare il cielo imbrunito. L'oscillare del carro era rilassante.

Parigi la vide solo il giorno dopo, sul tardi. Si sentiva così stanca che crollò seduta presso una piccola fontana. Dopo aver preso fiato sciacquò il viso. Tolse la benda dalla testa, ormai non sanguinavano più. Coprì i tagli con i capelli che le scendevano sulla fronte. Si animò, e riprese a camminare, la strada che aveva di fronte la conosceva, tante volte l'aveva già percorsa per venire a vedere Rosalie di nascosto. Quando scorse la casa nella marchesa, il cuore iniziò a martellare. Però c'era qualcuno là fuori, che camminava osservando la cancellata, gli parve di averlo già visto, un tipo scuro di capelli. Quando questo si voltò, riconobbe quello che Rosalie aveva chiamato Bernard. Strinse forte i pugni, gli arrivò veloce alle spalle, lo acciuffò e lo scaraventò a terrà. Si scagliò su di lui "TU!" un pugno sul naso, un altro sullo zigomo. 

"Fermo! Basta! Chi sei?!" alzò le mani per proteggersi il viso. I colpi non arrivavano più, Oscar aveva estratto il pugnale e glielo aveva avvicinato alla gola. "Sei tu?! Sei ancora vivo?!" aveva addosso quel tizio biondo, era in uno stato pietoso, sporco e con i capelli legati non l'aveva riconosciuto subito. 

"Ti è andata male!"

"Aspetta! Fammi parlare!" il sangue gli colava dal naso, lo asciugò con la manica. "Fammi parlare, maledizione!" Oscar si alzò e allungò il braccio con il coltello. Alcune persone scapparono quando videro la scena. "Tra un po' verranno le guardie, seguimi" le disse il giornalista.

"No, tu segui me" Oscar gli fece cenno di precederla, con il coltello. Lo portò in un vicoletto, i vicoli di Parigi erano tetri anche di giorno. Lo spinse contro il muro, il coltello ce l'aveva sempre in mano "Parla!"

"Io non c'entro, non ti ho colpito io, che altro vuoi sapere?"

"Rosalie! Che le hai fatto!?" 

Bernard agitava gli occhi "Niente! E non so dov'è, due giorni fa la marchesa è morta, credo abbiano lasciato la casa, tutti gli altri"

"E io dovrei crederci?" 

"Chiedi ai vicini. Ti giuro che non ho fatto niente a Rosalie, non era vero quello che t'ho detto l'altra volta, e adesso non sto mentendo!" alzò le mani, il coltello ce l'aveva di nuovo vicino al collo "è stato Saint-Just a colpirti e poi ha detto che eri morto, Eric l'ha sentito dalla sua bocca, sa che sei morto!" 

Oscar spalancò gli occhi, era un guaio. Abbassò un attimo il coltello e lui fece per scappare. Lo trattenne per un braccio "Portami da questo Saint-Just"

"Non posso, non so dove sta, è lui a venire da me. È un uomo pericoloso, stagli lontano se vuoi campare. È malvagio!"

La bionda storse le labbra in un ghigno rabbioso "Tu e lui non vi rendete conto di cosa sono capace io, ora che siamo a questo punto!" lo lasciò andare "Che ci facevi davanti la casa, poco fa?"

"Quello che volevi fare tu" Bernard si raddrizzò la giacca "sapere dove sta Rosalie" alzò le mani, di nuovo "ma non per quello che pensi, voglio solo sapere se ha trovato dove stare, tutto qui"

Gli puntò il coltello contro "Se ti trovo un'altra volta vicino a lei, lo userò, tienilo a mente" non credeva a nulla di quello che gli aveva detto, ma non lo avrebbe ucciso lo stesso. 

Bernard la guardò serio e non rispose. Si voltò e camminò dall'altra parte del vicolo.

Oscar tornò in fretta davanti il cancello della casa, lo tirò, era sprangato da un grosso lucchetto, ed era ovvio che non c'era nessuno. Strinse le sbarre tra i pugni e si accasciò vicino l'inferriata. Chiuse gli occhi e ci poggiò la fronte. 

Se ne andò solo quando udì il rumore di zoccoli in avvicinamento. Aveva perso il sacco, chissà dove l'aveva lasciato, alla fontana, nel vicolo… Non le importava più di tanto. Riprese a camminare. Non le veniva in mente nessuno a cui poter chiedere. Provò a bussare alla casa di fianco per appurare quanto le aveva detto, non le aprì nessuno. Suppose che così come si presentava adesso le avrebbero sbattuto solo porte in faccia. Doveva girarsi tutta Parigi nella speranza d'incontrarla, e non ne aveva neppure le forze. Camminò finché la città fu lontana alle sue spalle, e proseguì. 

 

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Capitolo 11
*** Verità per verità ***


André se ne stava nelle stalle, con una brusca spazzolava il cavallo bianco di Oscar, ea quasi il tramonto. Si voltò a guardare il sole arancione, e aveva gli occhi lucidi. Un altro giorno se n'era andato. Toccò il manto del cavallo e strinse più forte la brusca che teneva in mano. Gli parve di ascoltare un fischio lontano, ma non poteva essere. Il cavallo bianco si agitò, provò a tenerlo fermo ma il quadrupede lo urtò con il quarto posteriore facendolo cadere e poi galoppò fuori dalla stalla. "Fermati!"

Lo vide allontanarsi verso l'esterno, fosse fuggito non se lo sarebbe perdonato. Si rimise in piedi e gli corse dietro "Fermo!! Accidenti a te!"

E il cavallo si fermò a un certo punto. Oscar lo stava accarezzando sul collo. Sorrise ad André, il bruno impallidì. Rimase sulle due gambe senza riuscire a muoversi. La bionda si avvicinò trascinandosi, era a pezzi, da sola non ce l'avrebbe fatta a fare un altro passo. "Me la dai una mano?"

Il giovane corse ad abbracciarla, caddero entrambi a terra. André la strinse forte. "Avevano detto che eri morta!"

"E tu ci hai creduto?" lo strinse forte anche lei. "Devo farmi un bagno" disse poi, lui non la lasciava. "Non sono un fantasma, puoi anche allentare la presa, non scompaio" 

André si rialzò e la aiutò a sollevarsi, la sorresse fin dentro la casa "Farai prendere un colpo a mia nonna"

"Vai dunque, avvisala" disse, e si sedette su una sedia, la prima che ebbe vicino "avvisa tutti, che non si dica più che sono morta" però era stanca morta, aveva camminato per giorni. La mente andò a Rosalie, si chiedeva dove fosse e se stesse bene. 

André fece ritorno dopo poco "Oscar, i tuoi non sono in casa" e si mise a ridere "credo siano andati a incontrare le tue sorelle in chiesa, per preparare i tuoi funerali, hanno atteso fino a oggi"

Poteva anche essere buffo, ma non le venne da ridere "André, quando tornano, di' loro di venire subito da me, devo parlargli di una cosa importante"

"Madamigella Oscar!" udirono esclamare entrambi. La bionda si alzò dalla sedia e si lasciò abbracciare dalla tata. "Che vi è capitato? Cosa avete fatto? Dove siete stata tutti questi giorni!" alla donna venne da piangere mentre la stringeva.

Oscar la pregò di preparale un bagno "Racconterò poi, cara tata"

Il bruno rimase nell'androne del palazzo a fissarle, non poteva credere che era davvero tornata. Gli ultimi giorni angustiosi parevano scomparsi nel nulla in un unico momento.

 

Dopo un lungo bagno caldo, la tata le vide i punti e la ferita che aveva cucito Eric "Madamigella, vi hanno sparato?!"

"Sì ma, da lontano" rise appena un po', per sdrammatizzare.

"Non fate di queste battute!" la tata s'infuriò.

"Non darti pensieri, tata, non è recente. Penso si possa anche togliere il filo adesso"

La donna tagliò il filo da cucito e le applicò una fasciatura pulita, poiché decise che non era ancora del tutto guarita. Ripulì le ferite sulla testa e fasciò di nuovo anche quella, infine la brava donna l'aiutò a vestirsi. Nella sua stanza distinse la vecchia divisa poggiata sulla solita gruccia e la sua spada, tirate a lucido. Quando la tata uscì, si alzò e andò prenderla. Il foro era stato rammendato alla perfezione, tanto che se non si sapeva dove cercare pochi se ne sarebbero accorti. La avvicinò al viso e chiuse gli occhi. Quanta sofferenza per quella ragazza pur così giovane, e lei non aveva potuto niente, se non peggiorare le cose. Si avvicinò al letto e si lasciò cadere. Prese sonno immediatamente.

 

Quella stessa sera, nei quartieri malfamati, Eric accompagnò Rosalie presso un locale, era una topaia frequentata da chi non voleva essere visto. C'era gente di malaffare e anche prostitute. "Siete sicura che volete entrare in quel postaccio?"

"Sì, Eric, non c'è altro che rimane da fare" aveva in mente di adocchiare gli stranieri che parlavano inglese o avevano un accento simile a quello che aveva già sentito pronunciare da quell'uomo riccio. Lì, perlomeno, sperava di non incontrare nessuno degli affiliati del conte o del resto dei cospiratori. "Voi mi garantite che è un luogo dove bazzicano anche stranieri?"

"Sì" quando era stato un soldato ci era passato spesso con alcuni colleghi; un posto equivoco, un ritrovo comodo anche per chi era un clandestino. Si coprivano a vicenda. Immaginò che non fosse cambiato molto, negli anni. "Entrerò con voi"

"Però non fate nulla se non sono io a chiamarvi" la ragazza si avvolse nel mantello ed entrò. Dopo qualche secondo entrò anche Eric e già non la vide più. Cercò rapido intorno a sé e la riconobbe a un tavolo con un uomo. Sembravano parlare. Si avvicinò senza farsi scorgere. Rosalie si alzò dal tavolo, l'uomo le disse qualcosa ma la ragazza lo ignorò e quello non la disturbò oltre. Proseguì a spostarsi per la gente, c'erano diverse donne quindi non si sentiva troppo a disagio. Una di quelle donne, una bruna con alcuni anni più di lei, le chiese chi fosse, la ragazza disse che era una forestiera di passaggio e cercava qualcuno.

"Chi cercate?"

"Una persona alta, bionda e con gli occhi azzurri" rispose, non aveva pensato ad altro lì per lì.

"Lì c'è uno biondo" le indicò qualcuno "non so dirvi di che colore ha gli occhi ma non mi pare tanto alto, provate a vedere" la donna se ne andò.

Fece come le aveva detto, trovò un uomo sulla cinquantina, alticcio. Stava seduto a un tavolo ed era trasandato, il tipico uomo da cui sarebbe fuggita soltanto alla vista. Si infuse di coraggio e gli rivolse la parola.

L'uomo alzò la testa e ammiccò "Buonasera"

Quella cadenza, forse ne aveva trovato uno, pensò, gli si sedette di fronte. "Perdonatemi, mi chiedevo se poteste aiutarmi"

"Chiedi" rispose il tale.

Rosalie gli poggiò un foglietto sotto al naso. "Sareste capace di tradurlo?"

L'uomo allungò il collo e sghignazzò "Niente di più facile, sembra una di quelle filastrocche che si insegnano ai piccoli"

"Una filastrocca?" Rosalie ebbe qualche dubbio, chissà se serviva a qualcosa farla tradurre, magari l'uomo l'aveva addosso come ricordo di un figlio o qualcosa del genere. "Che dice?"

"Dice… Dice che se volete che la traduca, dovete darmi qualcosa in cambio"

"Quanto volete?" frugò tra le pieghe del vestito "Vi bastano due pezzi d'oro?"

"Potrebbero, ma mi accontenterei anche di qualcos'altro" sporse la mano e sfiorò la sua.

"Io posso concedervi solo le monete" Rosalie le poggiò sul tavolo, coprendole poi con il palmo "allora?"

L'uomo prese il foglio e si concentrò sulle scritte. "Un botto a monte del fornaio, un botto dall'alto del vetraio, una carriola fronte la via e una decina di lame a coprirne la scia" recitò. Aveva conservato anche le rime baciate.

"Tutto qui?" 

"Te l'avevo detto" ruttò, il vino gli stava tornando su.

Rosalie riprese il foglietto e lo girò dal lato posteriore, scrisse veloce con un gessetto nero quelle parole che aveva appena udito. "Vi ringrazio" spinse le due monete sul tavolo con la mano, avvicinandogliele.

"E dove te ne vai così di fretta?" l'uomo la trattenne.

"Signore, comportatevi da gentiluomo" Rosalie provò ad andarsene ma la stretta era forte. Alzò gli occhi e individuò Eric, gli fece un cenno sbattendo le palpebre. L'uomo arrivò rapido, quando lo sconosciuto l'aveva già trascinata accanto a sé.

"Che abbiamo qua?" Eric acchiappò un orecchio di quell'uomo, subito gli fece lasciare la ragazza. Non gli diede modo di parlare. Con il mento indicò a Rosalie di uscire. "Ma quanto vino hai bevuto? Puzzi peggio di una cantina saltata per aria!" un colpo alla gola con il taglio della mano e il tipo si abbatté sul tavolo, boccheggiando.

La ragazza si era allontanata, poco prima di raggiungere l'uscita, una mano le tappò la bocca e un braccio le circondò la vita, trascinandola di lato. Dove, non poté vederlo, sembrava una stanza laterale, dentro alla locanda. Poi venne spinta contro il bordo di un tavolo. Alzò la testa e riconobbe il volto altero e quella perenne smorfia maligna che disprezzava con tutta l'anima. 

"Ma guarda un po' che sorpresa, trovarti qui" Saint-Just chiuse la porta "ti sei messa sul mercato? Già dimenticato il tuo defunto biondo?"

Rosalie provò a colpirlo, l'uomo fermò la mano prima che calasse su di lui. "Lascia perdere, il mondo è fatto così, morto uno se ne trova subito un altro, e anche meglio" allargò la curva alle labbra. La spinse contro il tavolo "Che dovrei fare con te adesso, per tutti i problemi che ci hai creato? Ucciderti farebbe dispiacere a Bernard, ma potrei comunque darti una lezione!" un manrovescio colpì il viso della ragazza che si aggrappò al tavolo per non cadere, sentì il sapore del sangue tra le labbra "che ci fai in questo posto? Chi cerchi? Che cerchi?"

Lei lo guardò con rabbia, ma non rispose. Con due dita gelide si toccò il labbro ferito. L'espressione non mutò in paura, come l'uomo aveva presupposto accadesse, e se ne sorprese. Rosalie si tirò su appoggiandosi al tavolo e gli occhi rimasero puntati su di lui. "Fatemi uscire o mi metterò a gridare!" la mano destra afferrò il lembo del vestito e lo strinse forte fino a sgualcirlo. 

Saint-Just accentuò il ghigno "Qui dentro non ti sentirebbe nessuno e, anche se ti sentissero, sono tutti molto discreti nel sobborgo" le mani le agguantarono il collo "questa stanza dà sulla strada, è una via di fuga speciale. Ma forse questo non avrei dovuto dirtelo" strinse di più la morsa "ti assicuro che conosco molti metodi per farti parlare e ti posso promettere che lo farai, con tutto il fiato che hai, e mi supplicherai di fermarmi, rivelandomi anche i segreti che non conosce nemmanco tua madre!" 

Rosalie sentiva venir meno i sensi ma spostò ugualmente la mano sotto al vestito, rapida allungò le dita al lato della coscia e liberò lo stiletto dal fodero. Prima che l'altro capisse che succedeva, glielo infilzò per metà nella natica sinistra. Saint-Just urlò. Lei gli allungò un calcio tra le gambe e si scansò dal tavolo. L'uomo si contorceva sul pavimento e la insultava. Avrebbe voluto sfilare lo stiletto e completare l'opera, ma il solo pensarci la ripugnava. Vide l'altra porta dietro di sé, la imboccò ed uscì.

Trovò quasi subito Eric, che la stava cercando "Ma dove eravate finita?"

"Eric, quell'uomo!" indicò dietro di sé "Quello che ha ucciso Oscar!"

"Dove sta?" accorse dove la ragazza aveva indicato. Entrò nello stanzino, c'era solo un tavolo e una sedia, non vide nessuno. Seguì a muoversi verso l'altro ingresso che dava nel locale, si sporse, alcuni si girarono a guardarlo, nessuno che fuggiva o che potesse riconoscere. Tornò fuori scuotendo il capo.

Rosalie aveva le lacrime agli occhi "Potevo ucciderlo e non l'ho fatto!" si avvinghiò al collo di Eric.

"Meglio così, avrebbe potuto farvi del male" le disse mentre la conduceva lontano da quel posto. Aveva visto il labbro gonfio e ancora insanguinato. "Non vi preoccupate, le serpi velenose strisciano finché qualcuno non le schiaccia"

 

Oscar si svegliò la mattina dopo il suo ritorno a palazzo. Quando riaprì gli occhi, trovò la madre accanto, le reggeva la mano con due occhi arrossati e stanchi. "Madre"

"Figlia mia!" la donna l'abbracciò chinandosi sul letto "Come ti senti?" le mormorò dopo averle baciato una guancia. "Che ti hanno fatto?"

"Sto meglio madre, niente di grave" la strinse a sé come non aveva mai fatto neppure da bambina. Quando scesero le scale, un momento dopo, il generale le andò incontro e le afferrò le spalle "Oscar…" e le parve che si stesse sforzando per non piangere "Bentornato" la fissò negli occhi "André ha detto che dovevi parlarci"

"Sediamoci" disse la figlia, la madre le lasciò la mano solo quando si sedette su una sedia. "Sono venuta a conoscenza che stanno preparando un attentato a danno dei reali durante la parata di capodanno"

"Chi?" il generale era già furente "Come fai a saperlo?"

"Questa è la ragione per cui ti hanno ridotto così?" domandò André, e avrebbe voluto torcere il collo al responsabile.

"Le cause sono concatenate" Oscar si voltò verso il padre "il conte Alban de Badeaux è uno dei traditori ma" fermò subito gli altri due che stavano per rivolgerle altre domande "non ci sono ancora prove. Hanno coinvolto gli inglesi, tutto fa sembrare che vogliano eliminare il re per sostituirlo con qualcuno che ha alleanze potenti in Inghilterra" e a quella conclusione ci era arrivata immaginando la ragione del viaggio del conte, che si era scomodato di persona. La lista, ricordò che era rimasta a casa della marchesa, chissà ora chi ce l'aveva. Quella mattina aveva dimenticato ogni cosa, dopo quel bacio… La lista era necessaria, al momento non aveva niente in mano. Anche prendendo il conte per farlo parlare, non c'era modo di costringerlo e non poteva certo minacciarlo a morte o torturarlo. Era pur sempre un nobile. Doveva trovare quella lista e doveva trovare Rosalie. "Non dite ancora a nessuno che sono viva, al di fuori di questa casa"

"Perché?" il padre voleva immediatamente annunciare a tutti che il colonnello, suo figlio, era ancora vivo e fargli occupare di nuovo il posto che gli spettava.

"Mi occorre tempo, padre"

"Quanto tempo? Potrebbe agire diversamente nel mentre" disse il generale, rifendendosi al conte.

"Non lo farà se si sente al sicuro"

"Oscar, la regina era addolorata per la tua scomparsa" le disse André "sicura che non vuoi che neppure lei sappia?"

"Mi dispiace ma, non ancora, André" si alzò dalla sedia e incrociò le braccia "non possiamo ancora fare niente, mi occorre almeno una prova. Mi mostrerò quando sarà il momento opportuno"

"Ma con chi? Con chi vogliono sostituire il re?" la madre aveva preso la parola "Chi può avere tanto potere da subentrare al re seppur morto?"

"Vorrei scoprirlo, madre, ma più sono potenti e meglio sanno nascondersi" e doveva essere un uomo molto influente a corte. Non il conte, qualcun altro il cui nome era ancora ignoto. Sarebbe stato complicato farlo uscire allo scoperto. Innanzitutto le serviva quella lista per non limitare le accuse alle sole parole. E doveva sapere come stava Rosalie. Ma dove iniziare a cercarla non sapeva, ne aveva perso ogni traccia.

"Proviamo a mettergli qualcuno alle calcagna" suggerì André "vediamo da chi ci porta Badeaux"

"Chi?" domandò il generale.

"Io" affermò André.

"Ci avevo già pensato, ma è troppo azzardato, ti conoscono a corte" disse Oscar. L'avevano visto assieme a lei praticamente sempre.

"E chi allora?" 

"Ho in mente l'uomo giusto, devo solamente ritrovarlo" la bionda pensò a Eric. E se avesse trovato lui, magari, avrebbe anche avuto notizie di Rosalie. "Era il maggiordomo della marchesa Ozanne, recentemente scomparsa. Si chiama Eric, intorno ai sessant'anni, non conosco il nome di famiglia però ha fatto parte dell'esercito"

"Lo farò rintracciare in meno di tre giorni" disse il generale "userò un dispiegamento diramando una falsa denuncia"

"Fate attenzione padre, è un brav'uomo, che non gli capiti nulla"

"Provvederò a farlo arrestare con l'accusa di furto di cadaveri per illeciti scientifici"

Quasi le venne da ridere, la vedeva molto improbabile come accusa. Era comunque meglio che altro. Sperò di non averlo messo in difficoltà ma non sapeva come fare per scoprire dove fosse.

 

Il convento era un edificio alto e non molto ampio di superficie. Ma aveva un grande giardino intorno. Rosalie si avvicinò a piedi, la carrozza l'aveva condotta fino a poco distante. Il padre adottivo qualche volta ne aveva parlato di quel luogo, saltuariamente ci si recava per qualche ragione. Aveva con sé la cassetta con la sua dote. La madre superiora volle conoscerla prima di ammetterla tra le consorelle, era una prassi che svolgeva di persona ogni volta. In quel convento vi erano giovani allieve che rimanevano solamente fino all'ingresso in società o al matrimonio e altre che, per una ragione diversa dall'altra, erano aspiranti novizie, ruolo a cui ambiva la stessa Rosalie.

"Entrate, prego" una religiosa le fece strada. Camminarono attraverso corridoi luminosi, era felice di trovare un ambiente molto meno grigio di come l'aveva immaginato. 

"Siete già di ritorno?" la badessa la fece accomodare. 

"Sì, madre" le posò la cassetta sulla scrivania "vorrei appressare l'iscrizione. Se possibile venire a stare qui tra i primi del mese prossimo"

"Cara, non abbiate fretta, pensateci a lungo" la badessa adocchiò la cassetta e la ragazza la aprì, mostrandole l'intero contenuto. "Benedetta figliola! Dove li avete presi? Quando siete giunta qui la prima volta mi avevate detto-"

"Lo so madre, scusate se vi interrompo, ma questo è un lascito che ho ricevuto solo da poco in eredità. Dalla marchesa per cui ho lavorato negli ultimi anni"

"Come vi chiamate figliola? Ancora non mi avete detto il vostro nome" la badessa si sedette con un tonfo, quelle monete potevano bastare a rimodernare tutta un'ala del convento.

"Rosalie, madre" vide che la donna restava ancora in attesa "Rosalie Lamorlière"

La badessa increspò le sopracciglia e crucciò la fronte "Quanti anni avete, figliola?"

"Quasi diciotto, madre"

"E dove siete nata?"

"Qui a Parigi"

"Siete nata a Parigi, ma dove?"

"Non capisco madre, che intendete?"

"Vostro padre, Lamorliére, era il sarto?"

"Sì, madre, lo conoscevate?" Rosalie fu sorpresa, il padre adottivo non era un sarto molto famoso.

La badessa intrecciò le mani e la guardò con attenzione "Benedetta figliola, voi siete nata qui, non a Parigi"

"Qui, dove?" 

"In questo convento" la badessa le disse di ascoltare "vostro padre, il vostro vero padre, era il duca d'Aubont, uomo molto conosciuto e molto odiato" si alzò dalla sedia e mosse due passi nello studio con le mani dietro la schiena che giocherellavano con l'anello che indossava.

"Duca chi?" Rosalie si sentì quasi presa in giro. Non poteva credere a scherzi come quelli che uscivano dalla bocca della madre superiora "Ne siete sicura, madre? Non mi confondete con qualcun'altra?" scoprire lì del suo passato non era cosa che riusciva a contemplare.

"Ascoltate e crederete. Una storia come quella non si dimentica facilmente" sospirò "prima che voi nasceste, vostra madre, la contessa Gabrielle, di cui non ricordo il nome della famiglia, era stata promessa a un suo pari rango, dal padre. Vostro padre l'amava ed era ricambiato. Quando il padre di Gabrielle scoprì che era rimasta incinta, fuori dal matrimonio, la casta era già venuta a sapere ogni cosa. Il conte a cui era promessa ritirò la proposta, e sfidò a duello vostro padre per l'affronto subito" la badessa le accarezzò una spalla quando la vide tremare "vostro padre però aveva intenzione di fuggire in Italia, non voleva lasciare né voi né vostra madre. Tuttavia capitò qualcosa. Dopo la vostra nascita qui al convento, dove trovò rifugio dalla sua famiglia che aveva intenzione di impedirne la fuga, Gabrielle se ne volle andare, tornò a casa dei suoi, senza dare spiegazioni"

"Madre, se ciò che mi dite è vero… Se non è una storia che appartiene a qualcun'altra, perché, perché questa Gabrielle ha lasciato colui che era mio padre?"

"Non so dirtelo, figliola. Purtroppo non facemmo in tempo a capirne le ragioni" le raccontò poi che il padre, disperato, la portò dal sarto. Lamorliére era un uomo retto e d'animo buono, il convento lo conosceva per le piccole donazioni che lasciava annualmente. "Quindi vi diede il nome, il ciondolo che portava al collo e vi portò via dal convento"

Rosalie si alzò di scatto dalla sedia e la fece cadere alle sue spalle "Mi ha abbandonato anche lui alla fine!"

"Non è così, non voleva lasciarvi. Io ricordo bene i suoi occhi quando vi strinse a sé, c'era amore e coraggio, ma il duca non ebbe una buona sorte. Per riabilitare il suo nome e il vostro si presentò al duello, con la speranza di tornare a riprendervi, dopo. Però la pallottola lo colpì al cuore, morì"

Rosalie tirò fuori la catenina che portava al collo, la badessa si intenerì nel vedere il ciondolo, era come lo ricordava.

"Poco dopo morì anche il conte, suo sfidante, per la ferita riportata" la badessa prese le mani di Rosalie "questa storia era ben nota, anni fa, ora non se ne parla più"

"Che ne è stato di mia madre?"

"Non lo so, all'epoca non si fece più vedere negli ambienti della nobiltà. Sembra che abbia cambiato nome. I d'Aubont invece sono decaduti e non è rimasto più nulla della loro dinastia"

Rosalie avrebbe voluto dire che c'era lei, lei era rimasta. Ma a che serviva ormai. Se suo padre era morto e la madre l'aveva abbandonata, non le interessava far parte di nessuna famiglia nobile. E cosa aveva poi per provarlo, oltre quel ciondolo di cui forse nessun altro sapeva. Chiuse gli occhi e soffocò le lacrime.

La badessa la portò a visitare il giardino. Il vento freddo di dicembre sembrava portarsi via gli ultimi patimenti d'animo che l'avevano afflitta da quando aveva saputo di essere stata adottata. Si sentiva vuota, affranta ma allo stesso tempo era come rinfrancata, il padre le avevano voluto bene, anche se gli era stato concesso solo un misero frangente. C'erano altre ragazze e alcune novizie che parlavano o leggevano oppure passeggiavano intorno a loro. Quella sarebbe stata una buona dimora, pensò.

 

Eric stava rileggendo per la sesta volta le parole che Rosalie aveva scritto dietro al foglietto. Una frase in rime, gli venne in mente quel che gli aveva detto il notaio, riguardo la lettera del conte. Versi, una lettera in versi. "Cosa sono questi botti di cui si accenna?" disse a voce alta "i fuochi d'artificio?" fornaio, carriola, lame... Strofinò la fronte e scrocchiò il collo. Serviva più tempo per decifrarlo. La marchesa era sempre stata abile con gli enigmi e gli indovinelli, ricordò con tristezza.

Rosalie rientrò poco prima che facesse buio. La locanda dove avevano preso due stanze era piccola, a gestione familiare. Accogliente ma non molto lontano dalla periferia. Anche lì, se si faceva tardi la sera, si potevano fare dei brutti incontri. "Non ne siete venuto a capo?"

"Non del tutto" Eric aveva fatto uno schizzo su un foglio, un disegno che poi aveva accartocciato "è un messaggio stupido e seccante, mi pare di intendere che si faccia riferimento ai fuochi di capodanno ma potrebbe essere altro"

"Non ha importanza. Quello, unito alla lista e alla mia testimonianza, dovranno pur significare qualcosa per le autorità"

Rosalie andò a coricarsi nella sua camera, era una stanza piccola rispetto a quella che aveva avuto dalla marchesa ma ci stava facendo l'abitudine, immaginava che la cella di un convento fosse ancora più ridotta, quindi poco male. Il tempo di spogliarsi e indossare la camicia da notte che avvertì un rumore alla finestra. Ebbe un sussulto, come una reminiscenza che tornava all'improvviso. Corse ad aprire la finestra, era buio ma sotto vide chiaramente Bernard, aveva tirato un sassolino accanto alla cornice della vetrata.

"Vattene o chiamo aiuto!" strillò con rabbia.

"Aspetta Rosalie, devo darti una notizia!"

"Se non la pianti di tirare sassi ti svuoto il vaso da notte sulla testa!" strillò un uomo che si era sporto dalla finestra di fianco. Il giornalista ne aveva lanciati un po' a casaccio, prima di veder sbucare chi voleva.

La ragazza uscì dalla stanza in camicia da notte, non le importava chi avrebbe incontrato, andò a bussare al vecchio maggiordomo "Aiuto! Eric!" l'uomo comparve subito fuori con una vestaglia pesante addosso e un cappellino di stoffa che usava nel letto durante le notti gelide. 

"Che succede?"

"C'è Bernard qui sotto, ti prego, mandalo via!" gli disse sconvolta.

"Ancora quel farabutto!" stava per uscire quando vide cosa indossava, ma non avrebbe fatto in tempo a cambiarsi, andò così. Si tolse solo il cappellino. Lo trovò appena fuori alla locanda "Che ci fai qui? Come ci hai trovato?!"

Bernard si fece indietro di un paio di passi "Il caso ha voluto che incontrassi Rosalie, l'ho seguita tutto il giorno" si sentì al riparo allargando la distanza tra loro "devo dirvi una cosa importante"

"Parla!"

"Vorrei dirlo anche a Rosalie, in sua presenza, ne sarà felice"

"Scordati di avvicinarti a lei dopo quello che le hai fatto!" alzò un pugno "Parla se devi, o vattene e non farti più vedere! E non spiarla mai più!"

"Dite a Rosalie che non deve chiudersi in convento, il suo Oscar è ancora vivo!" e poi scappò di corsa.

"Eh? Come vivo?" Eric gli andò dietro e quasi inciampò nella vestaglia "Aspetta!!" lo raggiunse "Fermati, pisciasotto!"

"Che volete? Mi avete detto di andarmene e lo sto facendo!" aveva due occhi sconsolati, gli fece quasi pena all'altro uomo, quasi.

"Spiegati, come sarebbe Oscar è ancora vivo?"

"Era qui a Parigi, quando avete lasciato la casa della marchesa, vi ha mancato di poco. Era in un pessimo stato ma ancora vivo, lo giuro, Saint-Just non sbaglia mai ma stavolta si deve essere affidato a qualcuno molto meno sagace di lui"

"Mi stai dicendo il vero?"

"Sì, signore"

"Sai dov'è andato? Dove posso trovarlo?"

"No, ma sarà lui a cercare lei, se la ama quanto me!" corse via e questa volta ci mise tutta la forza che aveva nelle gambe.

Eric sorrise, un sorriso largo che mostrò tutti i denti, anche i tre che aveva perduto anni prima. Poi scoppiò a ridere. Chi lo vedeva chissà che poteva pensare, conciato com'era, a ridere da solo, ma se ne fregò bellamente. Si voltò per precipitarsi a riferirlo a Rosalie, quando una carrozza gli investì in pieno le spalle. Ruzzolò sulla strada e si schiantò contro il muro dell'angolo dell'edificio di fronte. La carrozza si fermò. Il cocchiere era scosso, dopo un primo momento di confusione, scese e si affrettò accanto al corpo "Non l'ho visto!" gridò "Dio mio, non l'ho visto!" vicino a lui si stava raccogliendo una piccola folla. "Vi giuro che non l'ho visto!" si stava creando del trambusto in strada. Molti erano accorsi e si udirono delle grida.

"Ti crediamo, sta calmo, quel tizio rideva come un folle in mezzo alla strada, non è colpa tua" disse uno dei passanti.

La carrozza era vuota, il cocchiere si abbassò e notò che respirava ancora "Dovrei portarlo in un ricovero" lo osservò, perdeva sangue dalla bocca. Giunse infine una ragazza, in camicia da notte. 

"Eric!" si inginocchiò accanto all'uomo, questo aprì gli occhi e tossì. Afferrò la mano che gli accarezzava il viso.

"Rosalie…" mormorò.

"Non parlate! Non affaticatevi!"

"Oscar…" tossì e altro sangue profuse dalla bocca.

"Eric, non parlate!" credeva vaneggiasse, si voltò e pregò chi aveva attorno di aiutarla a metterlo sulla carrozza "Per favore, portiamolo da un medico!"

Eric le afferrò una mano "Oscar non è…" rimase con gli occhi spalancati a fissare la ragazza. "ERIC!" l'abbracciò "Non lasciatemi anche voi!" le lacrime defluivano sulla vestaglia "NO!"

"Ragazza, lascialo andare, è morto ormai" disse sempre lo stesso passante, cercando di sollevarla, lei gli scacciò la mano e continuò a stringerlo. Bernard era tornato indietro, dopo aver udito il baccano. Non ritenne opportuno avvicinarsi, pensò che Rosalie gli avrebbe attribuito la colpa anche di quella disgrazia. Se ne andò.

Eric venne portato direttamente alla chiesa che frequentavano con la marchesa. Rosalie rimase a vegliarlo tutta la notte, assieme a un clericale che si era offerto di svolgere il funerale quella mattina che stava per sorgere. La ragazza pagò il dovuto per fargli avere una tomba accanto a quella della marchesa. Intaccò l'eredità che la donna aveva lasciato a lui, non aveva altri fondi. 

L'indomani, alla funzione in chiesa c'era solamente lei. Bernard guardò da lontano e, ancora più distante, c'erano due soldati che prendevano atto dell'accaduto.

 

Più tardi, a palazzo Jarjayes, giunsero i due a informare il generale dei fatti. "L'indiziato è morto, signore" avevano l'ordine di rivolgersi solamente a lui per tutti i risvolti sul caso.

"Come è potuto succedere?"

"Un incidente, una carrozza gli è andata addosso, i cavalli l'hanno sbalzato lontano, ha battuto il capo nell'urto" 

"Questo non ci voleva!"

La figlia scese le scale di corsa "Padre! L'avete trovato?"

Il generale avrebbe voluto dirle che non doveva farsi vedere se voleva continuare a fingersi scomparsa ma ormai, già che c'era riferì anche a lei "Il tuo uomo è morto, dobbiamo cercare un'altra soluzione" 

Oscar rimase senza fiato, guardò i soldati che a loro volta la fissavano come se fosse un'apparizione celeste.

"Comandante! Siete vivo!" disse uno dei due.

"C'era una ragazza con lui" Oscar li ignorò "Che ne è stato di lei?!"

"Non c'era nessuna ragazza, comandante" rispose il soldato.

"No, cosa dici, c'era, quella che piangeva in chiesa. Era l'unica dei presenti" lo corresse il collega. 

"Quale chiesa?" Oscar lo incalzò arrivandogli faccia a faccia "Dove?!"

"La chiesa che sta vicino al parco in centro"

Oscar scappò fuori veloce, si tolse la benda dalla testa e l'abbandonò al vento, neanche ascoltò il padre che la chiamava. Si diresse alle stalle come un fulmine. Prese il cavallo e lo lanciò al galoppo verso Parigi. "Vai!! Vai!!" 

Trovò la chiesa dopo parecchio tempo, saltò giù dal cavallo ed entrò spalancando le porte. Era deserta. Fermò il primo con la tonaca che vide "Perdonatemi!"

"Che posso fare per voi?"

"C'è stato un funerale stamattina, di un uomo finito sotto una carrozza"

"Voi chi siete?"

"Padre, non c'è tempo per questo!" l'uomo la vide molto agitata "Cerco la ragazza, quella che era assieme alla vittima. Sapete dove posso trovarla?"

"Mi dispiace, non so dirvelo, è andata via"

Rimase congelata sul posto. L'aveva persa, un'altra volta. "Via? Dove?"

L'uomo scrollò le spalle, non sapeva dove, né era cosa che avrebbe potuto chiederle.

Si appoggiò a una panca e si sedette. Ringraziò il clericale con un cenno del capo e quello tornò ai suoi compiti. Le mani strinsero il legno, le nocche divennero bianche. Prese un respiro, avrebbe voluto urlare. Alzò gli occhi e guardò gli intarsi sulla volta fin quando una vertigine la costrinse ad abbassare la testa. E così rimase finché i battiti tornarono a un ritmo accettabile. Attese, come se si aspettasse di sentire la sua voce da un momento all'altro. Quanti giorni erano passati dall'ultima volta che si erano parlate? Aveva perso il conto. Tutto quel tempo trascorso a camminare, per tornare, rassomigliava a un viaggio durato mesi. Spinse la mano sulla panca e si sollevò, uscì lentamente dalla chiesa. 

Tirò le redini del cavallo portandolo nel parco. Avanzò a capo chino sulla strada di breccioline. Non le veniva in mente nessun luogo dove poterla cercare. Si sedette su una panchina e chiuse gli occhi. Il cavallo si spostava tra l'erba alle sue spalle. Eric era morto così, all'improvviso, e Rosalie era da sola, chi le era rimasto adesso? Chi c'era accanto a lei? I pensieri si accavallavano uno sull'altro. Infilò le mani nei capelli e strinse le ciocche tra le dita. 

 

Camminava a ridosso del fiume, stringendo un vaso tra le mani infreddolite. Rosalie lo teneva stretto e guardava solo in terra, intanto che faceva ritorno al cimitero. La prima volta che aveva visto Eric era stato quando era appena arrivata in quella casa con la pianta di limoni. Le era sembrato un tipo scontroso e riservato, poi invece le aveva detto una frase che ricordava ancora, quando aveva lasciato la pianta nel giardino per il travaso. È una piantina piccola ma qui metterà delle radici forti e il tempo andrà così veloce che neppure ce ne accorgeremo, passandole vicino senza farci caso. E le aveva sorriso.

Sospirò, nel camminare cercava di non guardare il fiume, le acque scure le mettevano ancora angoscia che si trasformò poco a poco in brividi; volle allontanarsi, deviò rapida e urtò qualcuno.

"Ci ho impiegato poco per ritrovarti" una lama le sfregò appena il viso, riconobbe lo stiletto di Eric "ho temuto di doverti venire a prendere fin dentro quel covo di bacucche frigide di cui mi ha parlato Bernard" d'istinto si scostò e alzò gli occhi, Saint-Just l'afferrò per i capelli, il dolore le fece lasciare il vaso che cadde al suolo. "Questo l'hai lasciato nel fodero sbagliato, l'ultima volta!" le ringhiò sul viso. Tentò di allontanarsi e lui la tirò più forte, notò però che si muoveva in modo incerto, sulla gamba sinistra. 

Oscar tirava le redini del cavallo mentre si allontanava dal parco, le stringeva tanto da sentire il cuoio irritare la pelle. Un rumore sordo, proveniente dall'altro lato dell'ampia strada, la fece voltare a destra. Aprì e chiuse gli occhi due volte, per essere sicura di chi stava vedendo. Talmente intenta a fissare quel singolo punto che inciampò in una fossa sulla strada, le redini le impedirono di cadere, il cavallo la tirò e le permise di recupere l'equilibrio. Quell'individuo l'aveva visto solo una volta, ed era stato come aver guardato in faccia un servitore del male. Ora era lì, e stava strattonando qualcuno "Maledetto!" lasciò il cavallo e corse. 

"E sai che ti dico? Al diavolo Bernard e la sua smania per te, che mi ha stomacato!" alzò la lama, Rosalie usò una mano per allentare quella che tirava i suoi capelli. Con l'altra lo graffiò sul viso. L'uomo imprecò ma non la lasciò andare, tirò più forte i capelli, uno strattone doloroso ma lei cercava comunque di liberarsi. La punta acuminata si sollevò ancora, la ragazza la fissava impietrita. Venire uccisa da quel concentrato di cattiveria era qualcosa di così ingiusto che non voleva consegnarsi a mani basse. E chi l'aveva messo sul suo cammino era stato Bernard che diceva addirittura di tenere a lei. Il pugno dell'uomo mosse la lama ma non per tempo. Qualcuno gli era piombato addosso e l'aveva trascinato giù, lungo la depressione del terreno che scendeva fino alle acque.

Rosalie vide solo una chioma bionda passarle davanti così veloce che non capì cosa era successo. Aveva reagito di fretta all'intrusione, Saint-Just impugnava ancora lo stiletto e cercava di infilzare la bionda, sotto di lui, mentre questa gli bloccava il polso con entrambe le mani. "Quell'inutile di DAviD!" era furioso, premeva la lama sperando che la forza dell'altra cedesse. Oscar non sapeva chi fosse questo David, non che le interessasse poi tanto in quel momento. Sentì Rosalie gridare il suo nome.

La ragazza si era sporta dal franoso rialzo di terra, le stava scomparendo quella scarica impavida che le aveva dato la forza di reagire poco prima, le mani ora tremavano senza sosta. Il cuore le poteva scoppiare, tanto batteva forte. Era reale? Fosse anche stato un sogno o un gioco della mente annebbiata dal terrore, doveva aiutarla. Scese fino all'argine del fiume e raccolse una ghiaia, poteva colpirlo da vicino, non si fidava a lanciare. 

"Resta lì!" strillò Oscar.

"Poi ci penserò io alla tua amichetta, la concerò per le feste!" Saint-Just le sibilò sulla faccia "Dopo aver sistemato te! Comandante delle guardie!" quelle parole la distrassero per un attimo, la punta d'acciaio le graffiò il collo "Mi sono chiesto a lungo dove avessi già visto la tua faccia!" spinse con tutta la forza del peso, l'altra resisteva a fatica "Quell'imbecille di Bernard! Neanche a sbatterci il grugno s'è accorto di chi sei davvero!"

"Non ti avvicinare!" insisté Oscar quando vide Rosalie farsi avanti con la coda dell'occhio. Iniziò a torcere il polso con lo stiletto e un gemito di dolore lasciò le labbra dell'uomo, tanto che staccò con un lamento la mano che usava come appoggio, per accecarla. Alleggerita la pressione, l'altra ne approfittò, anticipandolo con un pugno in pieno naso, ne fu intontito per qualche secondo. "Da quale buco infernale sei uscito?!" pronunciò rabbiosa la bionda. Il polso torceva e le ossa dell'avambraccio frizionavano tra loro, quando lo spasmo divenne insopportabile, la lama gli scivolò via. Oscar sgusciò da sotto e si alzò. Subito l'afferrò a due mani per i vestiti, si voltò e con l'aiuto delle spalle fece leva, lo ribaltò davanti a sé, direttamente nelle acque del fiume. Riprese poi fiato, appoggiandosi su un ginocchio. Lo vide tornare in superficie pochi attimi dopo, una volta, poi non seppe più. Le correnti erano funeste, come la temperatura. Quando si alzò dal terriccio umido, cominciò a correre. Rosalie la fissava con gli occhi offuscati dalle lacrime, immobile, finché due braccia la strinsero forte. Si sentiva come venir meno, la ghiaia le cadde di mano. Il pianto le scoppiò in gola e i singhiozzi subissarono il frusciare del vento sulle acque. Si aggrappò con tutta la forza alle sue spalle. 

"Sono io, sono io!" chiuse gli occhi e appoggiò la guancia sui suoi capelli "Mi dispiace, perdonami!"

"Oscar!" la teneva stretta per paura le scomparisse tra le braccia. "Sei reale, vero? Sei reale?!"

"Sono io e ti ho ritrovata, finalmente" le strofinò le mani dietro la schiena.

Rosalie acciuffò la camicia della bionda nei pugni e li strinse forte, la mancava il fiato "Sei ferita?" si staccò di poco per guardarla, le toccò la testa, spostò i capelli, vide i tagli "La colpa è solo mia, ti ho causato solo problemi da quando mi hai conosciuta" 

"Che sciocchezze" le prese la mano e la strinse "stanno guarendo, non ti preoccupare" si voltò per cercare il cavallo, era dove l'aveva lasciato. La più giovane le circondò il collo stringendo forte, la tirò giù alla sua altezza e ci mise tutta sé stessa in quel bacio, sollievo, speranza e liberazione. "Ti amo" le mormorò un attimo dopo che si separarono.

Oscar sorrise e accarezzò quel viso scosso "L'amore che ho per te sopravvivrebbe anche senza di me" poggiò la fronte sulla sua "da quando mi hai puntato contro quell'attizzatoio ci sei stata solamente tu"

Rosalie rise, altre lacrime le bagnarono il volto. L'abbracciò ancora, voleva sentirla vicina, e rendersi conto che non era un abbaglio, un'allucinazione disperata. "Tornerà?" disse, gettando un occhio al fiume.

"Meglio per lui che non lo faccia" ammesso che fosse ancora vivo. Rosalie dovette lasciarla per recuperare lo stiletto di Eric, poi risalirono fino alla strada.  Un fischio fece avvicinare il cavallo "Andiamo" Oscar la aiutò a salire e poi montò dietro di lei. 

"Dove?" 

"A casa"

"Perdonami ma, prima devo tornare alla stanza della locanda, ci sono cose importanti che devo recuperare" Rosalie posò una mano sul braccio della bionda "riguardano quella faccenda che sai" le disse subito dopo di accompagnarla al mercato, doveva comprare un altro vaso per Eric.

"Va bene, verrò con te, dove vorrai" replicò Oscar.

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Capitolo 12
*** Tutto per tutto ***


La tomba di Eric era alla sinistra di quella della marchesa. Il marmo grigio della lapide poggiava in terra, l'incisione con il nome in via di compimento. Il marmista era veloce, disse loro che avrebbe terminato prima di un'ora. Eric Marcel Roux. Lesse il colonnello. Toccò la croce e si inginocchiò per un breve momento, non l'aveva conosciuto abbastanza ma era certa che fosse un brav'uomo. Rosalie aggiustò i fiori, diversi e colorati, nel vaso che era appena arrivato dal mercato. 

La ragazza posò un bacio sulle dita e toccò il marmo di entrambe le tombe, poi andarono via. Una mano strinse forte la sua "Avevano detto a Eric che eri morta, Bernard o quell'altro spergiuro del suo amico!"

"Ci sono andata molto vicino, quando" preferì non dirle come e dove "quando mi sono risvegliata qualcuno mi ha aiutato. Quell'uomo, Saint-Just, penso abbia creduto di avermi ucciso davvero" scuoté la mano per rassicurala "il giornalista mi ha vista pochi giorni fa, davanti la casa della marchesa" 

Riflettendo sulle ultime parole di Eric, Rosalie iniziò a supporre che forse era stato Bernard a riferire all'uomo di Oscar. Non sapeva che pensare, l'aveva già delusa due volte. Le stringeva il cuore l'idea che le ultime parole affannose di Eric erano state per lei e non l'aveva capito.

A piedi, il colonnello teneva il cavallo per le briglie quando la ragazza le disse che erano arrivate alla piccola locanda dove alloggiava con il vecchio maggiordomo. La sua parente, che poi era una cugina, non si era neppure scomodata ad andare al funerale. Rosalie la guardò di sbieco quando la vide, al suo rientro. La donna la ignorò. Aveva riposto nella sua stanza il resto delle monete dell'uomo, avrebbe dovuto darle alla parente ma era combattuta. Lui aveva detto di voler comprare un podere ma non aveva mai nominato dei figli o altri congiunti, e adesso era rimasto solo il denaro. A chi poteva lasciarlo? Ci avrebbe pensato dopo.

"Entra" la condusse nella sua camera, andò poi a prendere la lista e l'altro foglio. Li aveva nascosti subito dopo l'incidente. Non aveva lasciato nulla in camera dell'uomo che potesse ricondurre al complotto, tutto quello che avrebbe potuto trovare un curioso erano solo i pochi abiti rimasti e qualche oggetto personale.

"L'altro giorno, con Eric, prima che…" le mostrò il foglietto che aveva fatto tradurre "Stavamo cercando di risolvere questo messaggio"

Oscar si sedette sul letto e lo lesse più d'una volta. Ciò che poteva infastidire più del non sapere era una conoscenza inesatta dei fatti, che avrebbe portato a conseguenze incalcolabili "Ci dovrò riflettere" e magari mostrarlo anche al padre. Alzò la testa e vide che Rosalie la stava guardando. Le fece cenno di sedersi accanto a lei. "Non voglio più vederti piangere, Rosalie"

La ragazza le si accomodò accanto e l'abbracciò. Nascose il viso tra quelle ciocche bionde. Una lacrima le scese senza controllo e la giovane rise, asciugandola subito con la mano "Accadrà sempre, sono fatta così" si sdraiò sul letto e fissò l'altra negli occhi, poi distese un braccio. Un rossore acceso le comparve sulle guance. Oscar si chinò ma poi si bloccò, girando il capo a fissare la finestra. "Che c'è?" i battiti accelerarono, la più giovane si sollevò, infilò poi le mani nella sua camicia, tirandola a sé in un abbraccio.

"Se andiamo oltre, poi…"

"Poi, cosa?" si scansò, spostandosi sul letto "Non vuoi che diventi seria?" l'altra le tenne la mano prima che si separasse del tutto da lei.

"Non penso possa diventare più seria di quello che è già. No, non è questo" la fissò negli occhi "Non è necessario affrettare le cose, se non ne sei sicura"

"Se continui a trattami come una bambina sciocca che non sa quello che vuole, allora… Forse sei tu a non essere convinta!" la spinse distante e si alzò dal letto. "Mi chiedi se sono sicura... Non sono una che si concede così, per piacere e basta!"

"Non volevo offenderti" lasciò cadere le mani sulle gambe "dannazione! Se poi hai un ripensamento-"

"Basta!" gli occhi di Rosalie luccicavano ed erano lacrime di rabbia "Ripensamento? Non sai cosa ho passato quando ho saputo che eri morta!" una mano si fermò brevemente sulla fronte "Oscar, hai tanti pregi ma sei molto più ingenua di me su questo e lo comprendo, vissuta sempre in ambienti maschili, hai la testa infusa di discorsi da" strinse i pugni, poi sospirò "caserma!" quanto erano chiare ora le parole di Maude, quando le aveva raccontato del colonnello la prima volta. "Non giudicarmi come fossi una ragazzina frivola che agisce senza raziocinio! Mi ferisce a morte! Io voglio te e te soltanto e così sarà per sempre!"

Oscar si alzò in piedi e Rosalie si fece più lontano. Una parte di ragione l'aveva, l'addestramento del padre non includeva le relazioni sentimentali, anzi, le proibiva. Non aveva mai fatto domande a nessuno, neppure alla madre o alla tata, mai se ne era interessata, fino ad allora. Tirò la camicia fuori dai calzoni e iniziò a sbottonarla. Ciò che la faceva esitare era il dubbio di stare approfittandosi di un momento di fragilità, ma la galanteria doveva finire a un certo punto o il suo eccesso poteva venire frainteso. La sfilò facendola passare sopra la testa e la fece cadere sul pavimento. Si avvicinò ancora e l'altra le tenne le spalle. Afferrò Rosalie per la vita, la sentì resistere, la tirò a sé, la più giovane tornò a percepire il cuore aumentare il ritmo. "Vuoi me? Allora siamo in pari" voltandosi poi la lasciò cadere sul letto, dove erano tornate quasi senza far caso ai passi. "Perché io voglio te" gli occhi negli occhi, senza battere ciglio. Rosalie mise mano ai lacci dietro al collo come fosse l'ennesimo gesto di assenso e Oscar la aiutò a liberarsi del vestito, finì sopra la sua camicia. Rosalie sollevò le braccia e l'ultimo indumento le scomparve di dosso. La mano di Oscar sfiorò quel ciondolo, la più giovane guardò quegli occhi azzurri inquieti "Non" si coprì il viso "non è andata come ha detto lui, ha tentato ma non ha potuto" un'altra mano strinse la sua e l'allontanò dal volto. "Io sono ancora…" un bacio la zittì. Era una sensazione imprevista, come se avesse tutto intorno una barriera a proteggerla, diversa da quella vissuta con Bernard. Le mani le tremavano per l'anticipazione e non per la paura, gli occhi si chiudevano non per il timore di essere veduta ma per lasciare spazio agli altri sensi di vivere quel momento.

 

Nello stesso giorno, qualche ora più tardi, nell'Hampshire, sud Inghilterra.

Hughes, un uomo sui quarantacinque e di corporatura robusta, non perdeva di vista la grande sala della sua residenza dove musica e danze riempivano l'ambiente. Gli era stata recapitata una lettera dalla Francia. L'aveva letta un paio di volte intanto che si strofinava la lunga barba, come faceva sempre quando arrivavano lettere indirizzate alla figlia che lui intercettava per consuetudine. L'aveva quindi strappata in piccoli pezzi e gettata nello stesso piattino in cui gli era stata consegnata. Con le guance avvinate dal brandy invecchiato, di cui conservava una notevole scorta nelle sue cantine e di cui usava bere oltre il dovuto durante le feste; osservava infastidito la figlia tra le braccia di un giovane lord dai folti capelli rossi e gli occhi blu. La figlia esibiva un volto così radioso che di rado le aveva colto da quando era nata.

"Con chi sta danzando Ellie?" chiese stizzito al suo valletto, un tale dei suoi stessi anni che non muoveva un passo se non al suo diretto ordine.

"Il signorino Monroe, mio signore, la sua famiglia ha una rendita di dodicimila sterline l'anno"

"Non me ne importa un beneamato della rendita!" picchiò il bicchierino vuoto sul vassoio che il valletto sorreggeva con estremo equilibrio. "Caccialo! Mia figlia non deve trattenersi in compagnia di nessuno al di fuori di ciò che impone la cortese ospitalità. Nessuno!" si voltò verso il valletto "Minaccialo, deve aver paura anche solo ad avvicinarsi a questa dimora prima che a mia figlia!" gli ordinò.

Ellie era rossa in viso dalla danza veloce in cui si stava dilettando con il cavaliere che aveva di fronte e che l'aveva fatta ridere per tutto il pomeriggio. Per qualche tempo si era dimenticata di vivere segregata in casa dal padre, per quasi tutti i suoi diciannove anni di vita. I riccioli biondi le oscillavano sul viso, si toccò il petto per calmare l'affanno alla fine del ballo. Proprio allora si avvicinò il valletto.

"Perdonatemi, signore, due parole in privato" disse, portandosi via Monroe che lo seguì dubbioso dopo aver sorriso un'ultima volta alla giovane lady, con quei suoi occhi profondi e gentili che l'avevano colpita immediatamente.

Ellie comprese in quello stesso istante che non l'avrebbe più rivisto e l'oscura consapevolezza s'impadronì del suo viso, annullando ogni traccia di gioia.

 

Quando Rosalie riaprì gli occhi era buio. Una mano sotto al cuscino e l'altra intrecciata a quella del colonnello le ricordò che non stava immaginando ogni cosa. Poche volte si era sentita felice nel corso della sua vita, così poche che le ricordava una per una. E in ogni singola circostanza la felicità era scomparsa non appena aveva fatto in tempo a rendersi conto che l'aveva raggiunta, pregò che non fosse così anche quella volta. L'altra stava guardando i riflessi della sera sulla piccola conchiglia sul comodino, con un ginocchio tirato su e la schiena contro il muro dietro al piccolo letto. 

"Ti fa ancora male?" Rosalie tolse la mano dal cuscino e le accarezzò la fasciatura.

"Non più" rispose Oscar, sollevò le loro mani intrecciate e posò un bacio su quella che stringeva la sua. "Hai mai sentito parlare del mito della cascata con il salto più alto d'Europa?"

"No, racconta" c'era solo una misera coperta su di loro e cominciava a fare ancora più freddo. La più giovane si mise seduta, avvicinandosi di più all'altra. Voleva che l'abbracciasse ma stranamente il colonnello non si muoveva.

"C'era questa ninfa bellissima che s'innamorò di un pastore. Era, la divinità, venne a saperlo e non approvò affatto la loro unione, poiché la ninfa era una semidea e l'altro un semplice un pastore. Quindi la punì, trasformandola in un fiume. Il pastore accorse e si gettò dal dirupo delle Marmore da cui scorreva la ninfa tramutata in fiume, per salvarla, credendo che stesse annegando. Allora, Zeus, mosso da pietà, trasformò il pastore in cascata, salvandogli la vita. Così che potessero incontrarsi in un ciclo perpetuo e stare insieme in eterno" 

Rosalie le strinse il braccio "Un giorno vorrei vederla, questa cascata" anche se immaginava che fosse fuori dalla Francia. Ma fantasticare non costava niente. 

"Perché no, il futuro non si scrive da solo" solleticò sotto al braccio di Rosalie che si era rannicchiata al suo fianco. Era certa che se l'avesse tirata a sé, come voleva, si sarebbero attardate troppo e il tempo scarseggiava.

"No! Questo non lo sopporto!" si agitò finché non la lasciò.

"Però adesso hai meno freddo!" Oscar rise "Te la senti di andare?"

"Sì" Rosalie sporse le gambe dal letto, tirandosi dietro la coperta scese dal letto e cercò di recuperare al buio i suoi vestiti. Oscar la seguiva con gli occhi, era aggraziata, anche senza veli e con una coperta usata più come strascico che per tenersi al caldo. "Perché non mi aiuti invece di stare lì?"

Gli occhi azzurri la guardavano silenziosi e la fecero arrossire, di nuovo. A ogni modo recuperò i vestiti e li indossò nella penombra. Lanciò la camicia a Oscar, che l'infilò sulla testa e poi veloce la sistemò nei calzoni. Rosalie accese una candela e iniziò a raccogliere le sue cose e a riporle in una borsa. Non aveva molto con sé, dato che voleva andare in convento, aveva anche dato via la maggior parte degli oggetti che possedeva, soprattutto i libri che non potevano entrare in quella borsa. E adesso che il convento era del tutto uscito dalla sua prospettiva futura, avrebbe dovuto tornare dalla superiora a spiegarle le cose. Ma già sapeva che, per deferenza, non le avrebbe chiesto indietro la dote che ormai le aveva consegnato. Quando la borsa fu chiusa, Oscar la prese prima che Rosalie potesse sollevarla, si scambiarono un sorriso ed uscirono dalla stanza. 

Nell'ora che il cavallo bianco si fece vedere a palazzo Jarjayes, era quasi notte. Oscar lo riportò nelle stalle, poi aiutò Rosalie a scendere e le tenne stretta tra le braccia ancora un po' prima di lasciarla andare. André accorse non appena udì il nitrito del cavallo. "Oscar!? Dove ti eri cacciata?!" poi vide anche Rosalie ed ebbe come la certezza di un dubbio.

"Buonasera, André, perdonatemi per il brusco arrivo" disse la ragazza.

"Rosalie, benvenuta" il giovane la guardò in modo curioso. Le apparve molto cresciuta dall'ultima volta che l'aveva vista.

"André, chiedi alla tata che le prepari una camera, per favore" Oscar accompagnò la ragazza in casa "vieni, non preoccuparti, i miei sono brave persone. Saranno lieti di averti qui con noi"

Rosalie le sorrise e si strinse al suo braccio. 

Madame de Jarjayes si affrettò dalla figlia "Oscar!" rallentò quando vide che con lei c'era una giovane donna.

"Madre, scusatemi per tutte le preoccupazioni che vi sto causando ultimamente" disse la figlia.

La donna scese con eleganza i gradini, poi spostò gli occhi su Rosalie "Chi ti accompagna?"

"Madre lei è" Oscar venne interrotta dal braccio della giovane che stringeva il suo, Madame de Jarjayes notò che erano molto in confidenza. 

"Rosalie d'Aubont, mia signora" così, d'impulso, aveva dato il nome della sua vera famiglia, forse per non sentirsi troppo in difetto in quella casa.

Oscar la guardò chiedendosi da dove l'avesse tirato fuori quel nome, ma non poteva mettersi a questionare davanti alla madre. "Madre, Rosalie è colei che ci ha informato dei fatti, è grazie a lei se abbiamo elementi chiave per scoprire la verità sul complotto"

"Abbiamo una duchessa in questa casa, ne sono onorata" la donna era un po' in imbarazzo. Non sapeva se doveva inchinarsi o altro. Un tempo i d'Aubont erano una delle famiglie più potenti della Francia.

"Oh no, mia signora, mi è rimasto solo il ricordo della mia famiglia d'origine, né titolo né altro" disse la ragazza con un velo di tristezza negli occhi.

La nonna di André aveva sistemato una camera in tutta fretta ma con gli onori dovuti a una nobile. Il tempo di mangiare qualcosa velocemente e Rosalie si ritrovò in una stanza che era grande il doppio di quella che aveva avuto dalla marchesa. Simile alla stanza in cui aveva vissuto quei pochi giorni in Normandia. Ogni tanto ci pensava, a Maude e anche a Joris.

André afferrò un braccio di Oscar che stava andando verso la camera della ragazza "Dove pensi di andare!" la tirò dall'altra ala del palazzo e poi verso le scale. Lei non disse niente per non far rumore, il padre non c'era ma tuti gli altri sì, valeva a dire la madre e la servitù, ospite a parte.

"André, che ti prende?" il giovane le lasciò il braccio solo quando furono di nuovo al pianterreno, davanti al camino acceso.

"Dimmelo tu, Oscar, che volevi fare?" la fissò con irritazione.

"Darle la buonanotte, che altro dovrei fare?" incrociò le braccia e lo guardò.

"Non lo so, quando c'è di mezzo quella ragazza tu perdi la testa"

"Ti ricordi quando in Normandia ti dissi che Rosalie non ci stava raccontando tutta la verità? Hai ora una vaga idea di ciò che stava nascondendo per sua ferma ostinazione?"

"D'accordo, ha dimostrato una forza d'animo notevole, ma io non dimentico che l'ultima volta che le sei corsa dietro ti hanno quasi ammazzata"

"Ma non è successo, e grazie a lei abbiamo contezza dei fatti e degli indizi" andò poi a prendere del vino e due calici. Ne versò in entrambi e uno lo lasciò sul tavolino basso al centro della stanza.

"Oscar, con me non puoi fingere, ti conosco meglio dei tuoi genitori e meglio di Rosalie"

"In cosa starei fingendo?" si sedette con il calice tra le mani.

"Non ti sopporto quando fai finta di non capire" André prese l'altro calice e guardò nel liquido rosso, c'era il suo riflesso, ne bevve due terzi in una sola volta "attenta, Oscar, attenta a non infilarti in un vicolo cieco. Andrai a sbattere contro un muro, prima te ne rendi conto e meglio è per tutte e due voi" continuò.

"André, non girarci intorno, di' ciò che devi senza allusioni figurate"

"Sei tu che devi dirlo, non io, sai bene a cosa mi riferisco! Piantala di fare la gnorri!"

"Che devo dirti, se hai capito, è uno spreco di fiato. Puoi anche farti beffe di me, se credi, ma sarà lo stesso come tentare di capovolgere il corso di un fiume" svuotò il calice, poi si alzò e lo posò sul tavolino.

"Non tarderanno anche altri, dopo di me, ormai ve lo si legge in faccia, non lo nascondete neppure" André batté il calice sul tavolo "purtroppo per te, lei ti corrisponde, sarebbe stato meglio così non fosse, sarebbe stato meglio non t'avesse mai incontrata e che fosse passato qualcun altro su quella spiaggia, prima di te"

Oscar lo guardò, ruotò la mandibola e tornò a sedersi.

"Dimenticala, e augurati che ti dimentichi. Ciò che siete, o volete essere, non può esistere nel mondo in cui vivi. Basta una voce, un sussurro, e correrà veloce. Tutto ciò che sei stata verrà cancellato, dimenticheranno ogni servizio che hai reso alla Francia, resterà solo la reputazione macchiata per sempre. Tutti coloro che ti odiano e tramano per liberarsi di te non aspettano altro che un'occasione; diventerai un mormorio da salotto, ti colpiranno da tutti i lati, verrai allontanata dalla reggia perché non sarai più ritenuta degna di stare accanto ai sovrani" toccò il calice vuoto e lo fece vacillare senza farlo cadere.

Oscar oscillò una mano come per enfatizzare il quadro delineato da André "Manco se avessi insultato il re, dandogli del tonto ingenuo al cospetto di tutta la sua corte, e poi alzato la posta, accusando di ladrocinio e furfanteria oltre la metà dei suoi ministri, sempre in pubblico" disse con un pizzico di sarcasmo.

"In quel caso finiresti sul patibolo. Non scherzare, queste dicerie sono le scintille che animano i pettegolezzi, quello di cui i salotti sono affamati. I… Capricci, quando escono fuori dall'ombra, non possono essere tollerati in una posizione come la tua"

"Non chiamarlo capriccio, André, o vedrai una me che non hai mai conosciuto finora" lo fissò malamente.

 "Come ti pare… Guarda ciò che è accaduto alla regina con il suo Fersen, a corte si trattengono ma fuori sono una satira di mal costume, e se non è stata capace sua maestà di impedirlo, immagina tu. Il fuoco addosso ti arriverà proprio da dentro le splendide mura della reggia, ti volteranno tutti le spalle, tuo padre potrebbe anche disconoscerti. Dopo non si torna indietro, e lo sai benissimo!" scolò il resto del liquido e la lasciò seduta lì, da sola.

La bionda lasciò cadere la testa sulla sedia e posò gli occhi sulle fiammelle del camino. 

 

Rosalie era sulle scale, e aveva udito ogni cosa. Era uscita per vederla ma in un attimo era come se fosse stata investita da un'improvvisa sferzata gelida che le era entrata nelle vene, e la conosceva bene quella vecchia sensazione. Un gelo che non sarebbe andato via con nessuna coperta e nessun fuoco acceso. Si nascose quando André salì le scale. Si riparò dietro il muro dall'altro lato delle rampe, nel corridoio oscuro. Voleva precipitarsi giù per abbracciarla e starle vicino come appena poche ore prima, ma temeva quello che poteva dirle. Per quanto era stato duro, e che l'avesse convinta o meno a rinunciare a loro due, c'era verità nelle parole di André. Finito un incubo ne iniziava un altro. Che sciocca illusa era stata a costruirsi tutte quelle speranze che non avevano fondamenta, proprio quello che la madre le aveva sempre raccomandato di evitare. Le lacrime le riempirono gli occhi, con enorme sforzo obbligò le gambe a tornare in camera. 

La bionda invece rimase inchiodata sulla sedia fino al mattino seguente. La tata la ritrovò esattamente dove André l'aveva lasciata, si era addormentata con la testa all'indietro.

"Oh, madamigella Oscar!" la donna andò a smuoverla, per fortuna il camino era rimasto acceso fino all'alba "Non vi fa mica bene dormire così!"  

La giovane bionda si svegliò, raddrizzò il collo dolorante alzandosi in piedi "Devo essermi addormentata, tata" le sorrise. Era triste, la donna se ne accorse ma non disse niente, andò a preparare la colazione. In quella casa stavano accadendo molte cose insolite di recente, la tata non sapeva da dove cominciare per far tornare l'ordine e la monotonia di un tempo. 

Il generale arrivò in quel momento con un filo di barba e gli abiti del giorno prima, lasciò il cavallo fuori e si precipitò in casa. Trovò la figlia vicino al camino, un braccio appoggiato alla parete mentre gli occhi azzurri fissavano come incantati le braci che si estinguevano. L'uomo si fece vedere, Oscar alzò la testa. La schiaffeggiò forte, lei dovette tenersi a una sedia per non cadere. Quando ritrovò l'equilibrio incrociò gli occhi dell'uomo. 

"Non farlo mai più!" gridò il generale.

"Cosa, padre?" Oscar strofinò la guancia con il dorso della mano, le pizzicava.

"Ciò che hai fatto ieri, ti mostri all'improvviso e poi te ne vai come se non esistesse nessun altro!"

"Vi chiedo perdono, padre" raddrizzò la sedia che aveva spostato per reggersi "non potevo fare altrimenti"

"Ho dovuto intimorire quei soldati, per non fargli rivelare che sei vivo!" le puntò un dito contro il viso "La vita dei sovrani viene al primo posto, prima di me e di te, prima della nostra famiglia o di qualsiasi altro! Ricordatelo!"

"Lo so" aggiunse poi che andava a prendere la lista e l'altro messaggio che aveva conservato personalmente dopo che Rosalie glieli aveva ceduti. Passando accanto la camera della loro ospite, la osservò ma non ebbe la forza di bussare. L'avesse guardata anche una sola volta, avrebbe capito che c'era qualcosa che la perseguitava. Girò la testa e scese le scale.

"Oscar" la voce della ragazza le arrivò mentre era di spalle. La porta si schiuse e Rosalie uscì. Il colonnello cercò di mostrarsi serena, sfoggiò un sorriso e si voltò ma il sorriso si spense subito quando la vide. Aveva gli occhi gonfi e teneva la sua borsa tra le mani.

"Che significa?" tornò indietro e le si avvicinò. Sporse una mano per toccarla ma l'altra si scansò.

"Non posso restare, mi dispiace" che poteva dire, ci pensò e non volle mettere in mezzo André o nessun altro di quella famiglia "avevo preso impegno con un convento e ho pensato che è meglio che vado a stare lì, almeno fin quando non inizia l'anno nuovo" Oscar la spinse nella camera di peso e chiuse la porta dietro di sé. La borsa cadde dalle mani di Rosalie quando si sentì abbracciare. 

"Che è successo? Che è successo in così poco tempo?" le mormorò, una mano teneva ben salda la testa che posava sulla sua spalla. Dopo meno di un giorno dal momento che le aveva legate ancora più in profondità.

Rosalie iniziò a piangere, le circondò la vita e chiuse gli occhi.

"Non andartene" continuò il colonnello.

"Ho sentito, per caso… Ieri sera" le braccia del colonnello la strinsero più forte.

"Non badare a quelle parole, fanno parte di una visione del tutto sproporzionata. Tu hai coraggio, me lo hai dimostrato più volte, non cedere adesso"

"André ha ragione invece!" cercò di districarsi dall'abbraccio, finché riuscì a scansarla "Un piccolo errore in pubblico, una parola sbagliata, e presto o tardi causerà enormi problemi a te e alla tua famiglia, e io non voglio esserne la causa!"

"Non farlo!" le prese le mani "Non c'è un modo solo, non c'è una sola via, abbi fiducia in me, non andartene! Io voglio te e te soltanto, ricordi?"

La ragazza prese un lungo respiro, le lacrime erano irrefrenabili "Non ti lascerò mai, anche se non sarò con te…" le labbra tremavano e trovava difficile parlare "Tu… Tu sarai sempre il mio primo e unico vero amore" raccolse la borsa, veloce, le passò accanto correndo. Non riuscì a fermarla e aveva detto convento. Le andò dietro. 

"Aspetta!" gridò dalla cima delle scale "Non essere precipitosa!" dalla sala si girarono il padre, la tata e anche André che si era svegliato da poco. Rosalie corse, e passò davanti a tutti loro come un vento impetuoso che cercava solo uno sbocco per lasciare quella casa.

"Non seguirmi!" si fermò quando udì i passi della bionda raggiungerla.

"Non farlo, Rosalie! Non perdiamoci ancora!"

"Devo farlo. Meglio così adesso che peggio più tardi. Grazie per il bello che hai portato nella mia vita, e perdonami tutti i fastidi che ti ho causato" si asciugò il viso "starò bene, te lo prometto. Sapere che sei viva e che non avrai problemi a causa mia mi basterà. Grazie, per tutte le volte che mi hai salvata e mi hai difesa anche a tuo stesso danno…" evitò di guardarla e rimase di schiena.

Riuscì a prenderle la mano, un'altra volta "Chi si arrende senza tentare ha perso per scelta, e chi perde senza lottare non sacrifica solo sé stesso ma anche chi vuole proteggere!"

"Perdonami!" le dita scapparono una dopo l'altra dalla mano che le catturava "Non posso più sopportare l'illusione della felicità per poi vedermela strappata via. Mi ucciderebbe! Pensa pure di me come a una vigliacca, ma non ce la faccio più…" singhiozzò.

"Non posso lasciarti andare! Non chiedermelo!"

Rosalie scuoté la testa e avanzò di qualche passo.

"Dimmi almeno dove stai andando! Dove sta questo convento!?" 

"Addio" riprese la corsa sfrenata. Su per il sentiero che tagliava per le terre della tenuta e conduceva fuori. 

"Come addio?" Oscar sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, pareva uno scherzo assurdo. Tornò in casa, non guardò in faccia nessuno, mise tra le mani del padre i due fogli, poi scappò fuori e se ne infischiò dell'uomo che la stava chiamando. Iniziò a correre.

 

"André, che sta capitando?" il generale si rivolse al giovane che aveva osservato la stessa scena. 

"Signore, Oscar prova qualcosa per quella fanciulla. Un affetto romantico" forse non aveva il diritto di dirlo ai suoi, al posto di lei, ma almeno il generale poteva provare a convincerla dove lui aveva fallito. "Ha smesso di ragionare con lucidità da quando l'ha conosciuta alla residenza sulla spiaggia, non fa altro che rincorrerla"

La tata s'irrigidì così tanto che gli occhiali quasi le scivolarono oltre la punta del naso.

"Che fandonie vai raccontando?" il generale si avvicinò ad André e l'acciuffò per una spalla "Oscar non ha mai avuto niente a che spartire con nessuna donna, chiaro?" sbottò "Ora mi dici che, per qualche giorno che se n'è stato da solo in Normandia, gli è capitata davanti questa… Questa sconosciuta, e l'ha ridotto come un cane da riporto?!"

"La ragazza ricambia i suoi sentimenti, signore" André si scansò appena l'uomo lo lasciò andare.

"Ciò che dici non corrisponde a verità!" il generale andò a sedersi su una sedia, una mano sulla testa sfregava la parrucca. "Non è da Oscar comportarsi così, quella donna deve avergli fatto qualcosa" si alzò e decise che avrebbe risolto la faccenda in un secondo momento, ora c'era da proteggere i reali. "Quando torna, non dirgli niente, che venga da me. Ci penserò io a ricordargli di nuovo quali sono i suoi obblighi" iniziò a leggere i fogli che gli aveva messo in mano la figlia. Senza staccare gli occhi da quelle due pagine, si spostò nel suo studio.

"André!" la nonna lo guardò con biasimo.

"Che c'è, nonna?"

"Ti rendi conto in che situazione hai messo madamigella Oscar?!"

"Sto solo cercando di aiutarla" evitò di guardare gli occhi della nonna "Oscar è adulta ma ogni tanto si dimentica chi è davvero e c'è bisogno di qualcuno che la riporti alla realtà"

"Ma non così! Babbeo! Ora il padre cosa pensi che faccia quando tornerà?!"

"Le ficcherà un po' di buon senso nella testa" disse infine, e si recò alle stalle. Almeno la ragazza aveva dimostrato maggior assennatezza, andandosene via, rifletté.

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Capitolo 13
*** Missione ***


Qualche giorno di ritardo, ma doppio capitolo.



Fece rientro qualche ora dopo. Era stanca ma la furia che aveva in corpo superava di gran lunga la fiacca. La tata le andò vicino non appena la vide e le prese una mano "Vostro padre sa di Rosalie, fate attenzione, madamigella" la bionda serrò i denti e poi toccò la mano della tata, rassicurandola come poteva in quel momento.

André, come se l'avesse attesa al pari della nonna, l'aveva seguita dalle stalle. La bionda lo vide avvicinarsi, vide quegli occhi, un po' più scuri dei suoi, che la guardavano severi come a redarguirla. Strinse forte i pugni, fino a farli tremare. Gli diede le spalle e si avviò verso la rampa di scale, era lì solo per parlare con il padre.

"Oscar! Ragiona!" André fece un passo nella sua direzione "Un amore impossibile va stroncato subito, prima che ti distrugga e inghiottisca altri intorno a te in quella stessa sofferenza"

La bionda posò una mano sulla parete vicino le scale. "Nessun amore vero è impossibile, ciò che apre o chiude ogni possibilità è quanto si è disposti a fare o a rinunciare affinché esso sopravviva" rispose, poi iniziò a salire "e non venirmi a parlare di cose impossibili, non a me, che non dovrei neppure esistere" continuò per le scale.

"Sei sempre la solita! Come un proiettile, una volta partita non ti si ferma più!" la conosceva, come in tutte le altre situazioni del passato, se c'era da combattere non si tirava indietro.

Bussò alla camera dei genitori. Le aprì la madre "Oscar? Che sta succedendo?" la donna le disse che il padre era nel suo studio e la stava aspettando ma non ne conosceva la ragione.

"Va tutto bene, madre, non potrebbe andare meglio" replicò con una malcelata ironia. Così si diresse allo studio. Il padre aveva sentito delle voci e la stava aspettando sull'uscio.

"Entra" le disse. Oscar varcò la soglia e rimase in piedi finché l'uomo si sedette. Sulla scrivania c'erano quei pezzi di carta. La giovane provò a capire cosa gli passava per la testa, per la loro famiglia i sovrani venivano prima di tutto, era vero, però, la guardava anche in modo singolare. Si aspettava una sberla, un colpo, non appena l'aveva visto, ma non era arrivato, perlomeno non ancora. "Spiegami"

Oscar fece un passo avanti e prese la lista "Questa è la lista passeggeri di un vascello che circa due mesi fa ha portato in Francia quattro stranieri, viaggiavano assieme al conte de Badeaux" gli indicò i nomi che erano già stati segnati da un lapis. "Come potete leggere, il conte si è scomodato ad andare fino in Inghilterra di persona, deve avere qualche appoggio importante"

"A questo ci ero arrivato da me"

Oscar gli parlò poi del biglietto "Che vi sembra?"

"Una stupida frase senza senso" disse "a una prima occhiata" aggiunse poi.

 "Credo che si tratti di una strada, di un percorso. I nomi delle botteghe, sono luoghi chiave per l'attentato, probabilmente" disse la figlia. Ci aveva riflettuto a lungo dopo averlo letto la prima volta.

"Non possiamo metterci a cercare ogni fornaio e ogni…" poi ebbe una rivelazione, forse i due negozi potevano essere solo edifici dirimpetto utili allo scopo "forse dal tetto!"

"Potrebbero essere posti ideali per dei tiratori scelti. Uno per lato, uno per bersaglio" proseguì Oscar.

"E noi dovremo trovare un fornaio e un vetraio sulla stessa strada"

"Per capire il punto esatto da dove vogliono uccidere il re e la regina, esatto, padre. Carriola e lame, probabilmente vogliono tentare di chiuderli prima di attaccare, per impedirgli la fuga e accertarsi che non ne escano vivi. Cercheranno di ostruire la strada fronte e retro il corteo reale, forse per ostacolare anche eventuali soccorsi"

"Dobbiamo impedire che gli attentatori ci arrivino su quella strada, dobbiamo mettere il conte in condizione di non nuocere" si alzò e raccolse i fogli dalla scrivania "come li hai avuti questi?"

"Rosalie. Era sul vascello"

Il generale comprese "André mi ha detto una cosa ridicola su di te e lei, non c'è niente di vero, è così Oscar?"

La bionda socchiuse gli occhi "Dipende da cosa vi ha detto"

Il generale batté una mano sulla scrivania "Non voglio saperlo! A questo punto non mi interessa. Quella donna non è più qui, il problema non esiste" Oscar non rispose, quindi l'uomo le spiegò che dovevano coinvolgere l'esercito, e per farlo occorreva dire le cose come stavano almeno agli ufficiali d'alto rango. "Il conte è compromesso ma va colto con le mani nel sacco"

"Il vecchio piano di farlo seguire può ancora funzionare, potrebbe condurre a qualcuno ancora più influente di lui. Ci penserò io a seguirlo" disse lei. 

"È troppo pericoloso"

"Non per qualcuno che è dato per morto, inoltre non ho altri nomi da proporre" ribatté la bionda. Il conte, si sapeva dove abitava, e l'uomo non sospettava quello che avevano scoperto, si sentiva al sicuro. Almeno per adesso, poteva agire indisturbata.

"Come farai a muoverti liberamente?"

"Inventerò qualcosa"

Il generale le poggiò una mano sulla spalla "Confido in te allora, c'è poco tempo"

"Lo so, padre"

Quando si separarono, Oscar andò a coricarsi nella sua camera. Non volle vedere nessuno per il resto del giorno. Il convento non era troppo lontano da quel palazzo, fuori Parigi, immerso nel verde. L'aveva visto solo da lontano, seguendo la ragazza a piedi. Era stato difficile mantenere il controllo e ignorare tutto quello strazio. Poi era arrivata e l'aveva guardata sparire al di là del cancello. Si era soffermata un po' a osservare, quasi nella speranza che cambiasse idea, che uscisse da lì dentro per tornare, ma non era accaduto. Era testarda e cocciuta quando prendeva una decisione, in questo si somigliavano. Se n'era andata, ma se credeva che avrebbe lasciato che tutto finisse così ignorava chi lei fosse davvero.

 

L'indomani, Oscar uscì presto. Quando in casa nessuno si era ancora alzato, si diresse nelle stalle e si cambiò, via la camicia, indossò una vecchia maglia pesante, sdrucita e scolorita che sembrava sfumare dal marrone al beige; ormai ci stava facendo l'abitudine a calzare quel ruolo. Poi legò i capelli e coprì la testa con un fazzoletto nero. Prese il pugnale che le aveva dato quell'uomo anziano e se lo legò al fianco, coprendolo con la maglia. "Stavolta non puoi venire con me" disse al suo cavallo bianco. Lo accarezzò sul collo e sul muso. Prese infine un vecchio sacco di tela e se lo tirò sulle spalle, dentro ci aveva infilato solo della paglia e una coperta. L'ultima volta che si era conciata così, era riuscita a passare per un vagabondo per tutto il tempo fino al suo ritorno a Parigi. Non c'era niente che potesse collegarla alla nobiltà. Quindi uscì. Un passo dietro l'altro, scomparve dalla tenuta.

La residenza del conte era dal lato opposto alla sua, rispetto a Parigi che stava nel mezzo, ci sarebbe arrivata tardi. Il freddo la preoccupava, non le andava di dormiva all'addiaccio e non aveva che qualche moneta addosso e di più non ne avrebbe potute portare. 

Parigi non era più come la ricordava da ragazzina, più la vedeva, anno per anno, e più appariva degradata. La gente era incattivita e guardava chiunque con sospetto. Meno gente la vedeva e meglio era, passare inosservati in mezzo a chi esaminava ogni faccia nuova come fosse un pericolo imminente non era semplice. Era tarda mattina quando aggirò il centro e attraversò i vicoli, per fare prima. Una donna con un vestito scollacciato e una mantellina la guardò mentre le passava accanto, le fece un sorriso, Oscar ricambiò e continuò a camminare. "Aspetta, occhioni blu, ti serve un posto dove stare?" le parlò prima che si allontanasse troppo.

"Grazie, mia signora, ma devo andare altrove" Oscar rispose senza fermarsi e abbassando la testa. Una grossa lama spuntò da un vano nascosto dal muro del vicolo, un uomo gliela puntò alla gola, era una spada a due mani, antica "Dove credi di andare? Non ti sembra scortese rifiutare?" il tipo, grosso e con una lunga barba nera, le urtò il mento con il piatto della lama. 

"Non ho tempo per insegnarvi le buone maniere, signore" guardò bene quella spada medievale, avrebbe dovuto trovarsi in qualche vecchia collezione. Alzò una mano, non era il caso di mettersi a combattere con quel tipo che pareva voler solo rubare.

"A chi vuoi insegnare tu?? Marmocchio!" le agitò la spada davanti agli occhi, lei si tirò indietro "Dammi quel sacco!"

Oscar lo lasciò cadere ai suoi piedi e poi gli tirò un calcio "Prendilo pure" l'uomo lo schiacciò a un angolo con il tacco e si accorse di cosa trasportava "Solo ciarpame!" gridò di alzare le braccia "E smettila di fissarmi con quegli occhi! Guarda a terra!" ma gli occhi azzurri non si spostarono, tuttavia alzò le braccia.

La donna le si avvicinò alle spalle mentre lui la minacciava ancora con la lunga spada. L'abbracciò "Vediamo cosa hai addosso…" le mani vagarono.

"E non ti ci strusciare!" sbraitò il compagno.

Pochi secondi dopo e la donna mostrò un volto meravigliato all'altro che la osservava ancora più irritato "Tu sei una-"

"Che ha fretta" l'anticipò Oscar, e per quanto infastidita non si mosse, fissò ancora negli occhi quello con la spada che era rosso di collera "quando la vostra signora ha terminato di cercare, potreste rendermi di nuovo quel sacco? Di notte fa freddo" una mano della donna stava arrivando al pugnale "perdonate ma, se continuate poi dovrò perdere altro tempo" la donna non capì cosa volesse dire, ma non andò oltre.

"Bastardo insolente!" l'uomo balzò in avanti e le fece alzare la testa con la spada a un centimetro dal collo "Ti secco quella lingua in un attimo!" quanto odiava quelli bellocci su cui la donna perdeva più tempo del dovuto "Sbrigati! Che stai facendo?" si rivolse poi alla complice.

"Lascia che vada" la donna si spostò "non ha niente che possiamo vendere" guardò ancora in quegli occhi che non sembravano neppure un po' spaventati "Chi sei, occhioni blu?" era sorpresa, la vide far due passi e chinarsi e raccogliere il sacco, dopo averlo sbattuto un paio di volte tornò sulle spalle.

"Qualcuno che ha fretta" ribadì come risposta. Si scansò da entrambi e prese di nuovo la strada. L'uomo infilzò la punta della claymore in terra e indignato guardò la compagna.

"Che ho fatto?" lei scrollò le spalle.

"Che ci trovavi in quel poppante?"

"La fai sempre così lunga, è lavoro" la donna gli si avvicinò e lo baciò a un angolo delle labbra. Lui non se n'era accorto, del resto la giovane che era appena passata lo nascondeva in modo convincente. E chissà dove andava con così tanta premura, pensò.

 

Camminando più avanti si trovò in una piazza, il sole era allo zenit e il clima più sopportabile. Prese un po' d'acqua dal pozzo nel mezzo e proseguì. Quando poco più tardi una colonna di soldati le passò vicino, chinò la testa. Le ciocche bionde che scendevano lungo le tempie, le riparavano anche il viso. Le venne quasi da ridere, nascondersi dai suoi stessi uomini come fosse una criminale. Avanzò senza fretta. Quasi al tramonto, Parigi era ormai oltrepassata. Si fermò all'ultima osteria che incontrò per fare un pasto veloce. C'era poca gente. Ma c'era anche il conte. Oscar si stupì di vederlo così presto. Era seduto da solo a un tavolo, proprio di fronte a lei e aveva solo una giara davanti, colma a metà di birra.

Si sedette e prese a consumare la sua minestra lentamente. Un sorso il conte, un cucchiaio lei, per non finire né prima né dopo. Inzuppò il pane nel brodo, e attese che succedesse qualcosa. L'uomo restava seduto imperturbabile anche dopo aver finito la sua birra. 

"Volete dell'altro?" l'oste si avvicinò alla bionda che stava seduta e mangiava come una lumaca.

"No, grazie" si alzò e lasciò due monete sul tavolo, non poteva stare ancora a fissarlo senza attirare la sua attenzione. Nel mentre usciva, entrò un tizio, di passaggio lo vide avvicinarsi al tavolo del conte e lasciargli un biglietto. Indugiò qualche secondo sulla porta e poi uscì. Doveva avere quel biglietto. Decise che avrebbe anticipato il conte a casa sua. Aveva in mente di provare a farsi assumere per qualsiasi lavoro. Se ne avesse avuto modo. Di fretta giunse alla residenza dei Badeaux. Era quasi buio, bussò al cancello, le si avvicinò un uomo che era largo il doppio di lei e la fissò come se fosse una scocciatura a fine turno lavorativo "Che vuoi?"

"Mi chiedevo, se cercate un lavorante" Oscar sfoggiò un sorriso, il migliore che le venne. 

L'uomo l'adocchiò qualche secondo "Che sai fare?"

"Ho molte abilità, signore"

"Abbiamo bisogno di qualcuno che sappia battere il ferro"

"Eccomi" disse lei senza perdere il sorriso.

"C'è da riparare un vecchio braciere e due candelabri"

"Dove sono?" 

"Vieni in casa, se ne parla domani" l'uomo le fece strada. "Come ti chiami, ragazzo?"

"Eric" aveva detto il primo nome che le era venuto in mente.

"Io sono Alfi, sei arrivato giusto prima che chiudessero le cucine, hai mangiato?"

"Sì, signore"

"Bene, Eric, allora ti dirò dove puoi riposare le ossa, fino a domani"

Ottima cosa che l'alloggio che le propose era all'interno dell'abitazione principale, pensò. Avrebbe potuto sbirciare in giro, con un po' di fortuna. Strano che si fidassero degli estranei così tanto. Appena entrarono in casa trovò un gruppo di uomini a sorvegliarla. Un paio di loro non li persero d'occhio un istante mentre attraversavano la grande sala, subito dopo l'ingresso. Allora comprese il perché di così poca mal fidanza. 

"Chi c'è con te, Alfi?" chiese una voce femminile. La moglie del conte arrivò sbucando da una stanza. Era una donna bruna, elegante e di poco sotto la quarantina. Osservava la persona con il fazzoletto nero sulla testa e vestita miseramente. 

"Un mastro ferraio, signora" Alfi si inchinò e Oscar fece uguale.

"A quest'ora non voglio forestieri per i locali della casa"

"Certo, signora " la donna ritornò nella stanza dalla quale era sbucata. Alfi condusse Oscar dove c'era una branda di pagliericcio, era un luogo adiacente alla casa, comunicante tramite una singola porta ma separato allo stesso tempo. Si trovò in uno stanzino buio, Alfi accese una candela appena entrarono e le disse di stare lì e non uscire fino al giorno dopo. Chiuse la porta e la lasciò. C'era un lucernaio almeno, poté guardare fuori. Si domandò cosa stesse facendo Rosalie in quel momento. C'era già una coperta, prese il sacco che si era portata dietro tutto il giorno e lo usò come cuscino. Si addormentò. 

Non molto dopo venne svegliata da delle voci. 

"Signor conte, nessuno è venuto a cercarvi" riferì Alfi.

"Bene, seguimi" 

Doveva essere circa mezzanotte, Oscar socchiuse la porta dello stanzino. Il conte si era ritirato molto tardi. Lo vide circondato da tre uomini. La scorta era massiccia dentro casa ma non lo seguiva fuori, cosa insolita pensò la bionda. Gli uomini non si spostavano da là fuori, come poteva uscire? Chiuse la porta e si sedette sulla branda. La luce che arrivava da dietro la schiena le fece ombra. Si girò. Era un lucernaio abbastanza grande per passarci. E non era tanto alto, del resto lo stanzino stava al piano terra. Lo aprì, un vento gelido le investì il viso. Posò le mani sul bordo e fece forza per tirarsi su. Una volta fuori si inerpicò su una tettoia spiovente. Era scivolosa. Camminò molto piano. Salì poi sul cornicione del palazzo attaccato e lo seguì spostandosi lateralmente. In quella casa c'erano un sacco di occhi vigili, doveva fare attenzione. Una finestra la trovò socchiusa, si infilò all'interno. Era buio, si acquattò contro la parete e poi andò avanti a camminare. Doveva solo trovare una prova, senza allarmare il conte, non voleva che cambiassero i piani all'ultimo minuto. A capodanno mancavano pochi giorni. Camminò lungo i corridoi tenendosi nell'ombra, finché udì parlare, e si avvicinò lì dove provenivano i suoni.

"…il duca inglese crede di averci in pugno, crede che io sia il suo servo e che mi accontenti di avere in cambio più terra, quando piazzerà la figlia sul trono"

"E che avete intenzione di fare? Può capire che state facendo il doppio gioco se non obbedite alle sue richieste"

"Non lascerò che una donna inglese venga e sieda sul trono di Francia"

"Allora, mio signore, non dovevate coinvolgerli affatto!" quella era proprio la voce di Alfi, Oscar la riconobbe.

"Gli inglesi ci servono solo come colpevoli a cui addossare l'attentato dei sovrani, dopotutto siamo nemici su territorio americano. Possiamo farla passare come l'azione di lupi solitari. Come potremmo giustificarlo altrimenti? Un regicidio non è tollerabile neppure per una buona causa, finirei sulla ghigliottina anche se poi mi ricorderanno nei libri di storia come colui che ha salvato il paese dalla rovina" soffiò il naso su un fazzoletto "mi accerterò di persona che non riescano a tornare in patria vivi"

Oscar si sporse ancora un po'.

"Leggi!" il conte rise con sprezzo "Uno dei suoi tirapiedi mi ha mandato un bigliettino in cui vuole che uccida i generali fedeli alla corona subito prima dell'attentato. Come se potessi fare una cosa del genere, ammesso che la prendessi in considerazione"

Oscar si irrigidì. 

"È un modo come un altro per gettare il paese nel caos"

"Chi sostituirà quel pupazzo inutile che siede oggi sul trono avrà il favore del popolo e dell'esercito, non sono necessarie queste bassezze"

"Come risponderete?"

"Scriverò a Hughes, cioè a sua figlia, e gli farò credere che ha il controllo, ancora una volta" rise ancora "c'è questa corrispondenza tra noi, così assidua, e mai una lettera è arrivata nelle mani della ragazza" disse, uno stratagemma messo su dal padre, più sicuro per lui e più facile per il conte gestire ogni cosa, ricevere e inviare lettere come fosse una corrispondenza tra amanti. "La figlia non sa ancora nulla delle macchinazioni del padre"

Quando Oscar udì i rumori della sedia spostarsi, si scansò. Si tirò indietro nel corridoio buio. Avanzò finché non si scontrò con una figura che reggeva una piccola candela in mano apparsa di soppiatto, la contessa perse l'equilibrio, Oscar l'acciuffò prima che cadesse. La donna si sentì trascinare altrove, la bionda la condusse in una camera vuota. Le tappò la bocca quando la contessa accennò un urlo. "Non gridate!" 

La tenne stretta finché non udì i passi avanzare fuori la porta e perdersi nel silenzio. "Ora vi lascio, ma non urlate" disse alla donna. Quando fu libera la donna si scansò e la schiaffeggiò. 

"Come vi permettete? Chi siete!"

"Perdonate, mia signora" doveva inventarsi qualcosa, di nuovo "ma non ho potuto farne a meno" era buio, ma la luce della finestra era sufficiente a mostrare un sorriso furbo e ammaliatore.

"Che dite?!" la donna si fece distante, arrivando a toccare il grosso comò alle sue spalle.

Oscar si fece più avanti, in realtà non aveva la minima idea di cosa stesse facendo "Mi dispiace ma, è stato più forte di me" disse "non speravo quasi più di incontrarvi, imbattermi nella vostra camera al buio è complicato" continuò. 

"Piccolo sfrontato di uno sguattero! Uscite immediatamente da questa casa!"

"Una donna così bella, con dei modi così sgarbati" un altro passo avanti.

La donna era effettivamente bella, formosa e piacente. La bionda sperò che le venisse qualcosa in mente alla svelta, per cavarsi fuori da quella situazione, non poteva improvvisare ancora a lungo.

"Non osate avvicinarvi ancora! Mio marito e i suoi uomini vi faranno a pezzi!"

"Può darsi, intanto non mi hanno trovato fino a qui" le si accostò, noncurante "magari lo faranno, ma solamente dopo"

"Dopo cosa?!" sgranò gli occhi.

La bionda le afferrò un braccio e la donna svenne. Le era andata bene, pensò, buttando fuori un fiato intanto che la sorreggeva fra le braccia. Tranne che non sapeva dove lasciarla adesso. Uscì dalla stanza con la donna, se l'avessero vista in quello stato, davvero non ne sarebbe uscita tutta intera. Dove poteva trovarsi la camera della donna? Impossibile da scoprire senza farsi vedere. La lasciò sul pavimento, vicino la piccola candela che le era caduta poco prima; la adagiò piano, senza farla svegliare. Qualcuno l'avrebbe trovata e, se le andava bene ancora una volta, la donna non l'avrebbe incontrata il giorno dopo. Svelta, tornò indietro, doveva rifare tutta la strada dalla finestra allo stanzino. "Indossa la divisa Oscar, chi te lo fa fare a passare il tempo a ricamare e a spianarti il sedere nei salotti…" pronunciò sarcastica, intanto che si arrampicava. Il nome del duca le era rimasto in testa, ecco il collegamento che cercava con l'Inghilterra. Ma ancora non bastava, non aveva saputo chi volevano piazzare al posto del re. Che supponeva essere il mandante di tutta la faccenda. 

 Il tempo di richiudere il lucernaio cigolante e riuscì ad appisolarsi per qualche ora. Alfi giunse a svegliarla che era appena l'alba. "Vieni con me, Eric" l'uomo grosso si fece seguire, attraversarono l'androne della casa. Tre uomini la tenevano di nuovo sotto lo sguardo a ogni passo che compiva. Oscar era in allerta, qualcuno poteva aver immaginato cosa era accaduto se avessero visto la contessa svenuta, oppure ella stessa poteva aver raccontato. La mano correva sul pugnale di tanto in tanto. 

Passando fuori dalle cucine, l'uomo le diede del pane appena sfornato, poi le disse di seguirlo ancora "Mangia in fretta, c'è molto da fare e più di mezza giornata non possiamo tenerti"

"Va bene, signore"

Il braciere aveva una zampa spanata, l'appoggio era instabile e oscillava. Oscar pensò che con qualche martellata poteva schiacciare il chiodo e ridurre la filettatura tale da renderlo stabile di nuovo. I due candelabri invece, erano messi male, lì sarebbe servita una fucina. Guardò Alfi interrogativa.

"Lo so, vedi che puoi fare lo stesso. Il conte è molto attaccato alle sue cose e ai suoi soldi"  

"Ce l'avete del fil di ferro?" domandò, giusto per provare a capire come poteva risolvere il braccio incrinato che penzolava di uno dei candelabri e l'altro che aveva perso uno degli inserti delle candele.

"Vado a vedere, non muoverti da qui" 

La bionda ingoiò l'ultimo boccone di pane e rimase a guardare gli uomini che le ronzavano intorno. Fissò brevemente uno di loro, in cambio ricevette un'occhiataccia. Poi si spostò di tre passi, gli uomini la tenevano sempre d'occhio. Si sporse nel corridoio. Il conte stava arrivando, un bastone bianco picchiettava rumoroso il pavimento a ogni passo, la moglie al suo braccio. Oscar tornò al suo posto, senza fretta. La donna la vide, divenne completamente rossa in viso, il marito si accorse dell'improvviso colorito paonazzo della consorte e osservò nella sua stessa direzione. Digrignò i denti. "Alfi!!"

"Maledizione" mormorò la bionda, la mano sul coltello sotto la maglia.

L'uomo grosso arrivò presto, aveva lasciato qualsiasi cosa stesse facendo "Dite, signore"

"Caccia quel garzone! Non voglio vedere nessuna faccia nuova in casa, sono stato chiaro?"

"Subito, signore, perdonatemi" Alfi si inchinò.

Oscar tornò a respirare normalmente. La contessa ogni tanto azzardava a guardarla, e arrossiva ancora di più distogliendo subito gli occhi. Aveva fatto uno strano sogno, che sogno neppure le sembrava, e quel giovane biondo era il protagonista di quel sogno. Ma non l'aveva detto a nessuno, tanto se ne vergognava.

Alfi l'accompagnò fuori la residenza "Mi dispiace"

"Non importa, signore"

"Troverai altrove, ne sono certo" le disse che non poteva pagarle nulla, la bionda non se ne preoccupò, dopo un cenno del capo, se ne andò. Era stata comunque molto fortunata. Sospirò e prese a camminare con il suo sacco in spalla. Dopo un pezzo di strada si fermò a bere presso una polla, dove si specchiò. Con quel fazzoletto sulla testa sembrava quasi un bandito, pensò che era meglio stare senza. Se lo tolse e lo infilò nel sacco. Riprese a muoversi, il freddo le congelava gli arti. 

 

Rosalie era nel grande giardino del convento, una mano leggeva un libro che aveva preso nella piccola biblioteca che possedevano. Era così triste che se non piangeva era soltanto perché gli occhi erano irritati e non ne potevano più, anche leggere era diventato complicato. La madre superiora le si sedette accanto. 

"Che è accaduto, figliola?"

"Siete voi, madre" strofinò gli occhi stanchi e la guardò "dormo poco, devo abituarmi ancora"

"Non dite bugie, non vi fa bene e fa dispiacere anche a nostro Signore"

Rosalie chiuse il libro e lo tenne sul grembo "Non so che dirvi, madre, non appena mi sembra che tutto vada meglio…" sospirò "Mi ritrovo daccapo a disperarmi. Però è vero che dormo un po' male, non è una bugia" accennò un sorriso alla badessa.

La donna posò una mano sulle sue e le diede qualche pacca amichevole "Ascoltate, qui siete libera di restare, non dovete prendere i voti o altre decisioni definitive" non le aveva chiesto perché aveva anticipato il suo arrivo, le aveva dato come riferimento l'anno nuovo. C'era qualcosa che stava tenendo nascosto e l'affliggeva. "Vi conosco poco, ma quel poco mi fa sospettare che non è qui che vorreste essere"

Rosalie annuì. "Lo so, mi fa sembrare scorretta ai vostri occhi. Ma è qui che devo stare, ci vorrà solo del tempo per abituarmi" 

"C'è una visita per Rosalie" disse una novizia, giunta con estremo silenzio. L'aveva mormorato a entrambe. Rosalie trasalì inconsciamente. Nel convento gli uomini non potevano entrare, salvo rare eccezioni. Il visitatore era rimasto fuori i cancelli. La ragazza vide Bernard che tirava qualche calcio a un sasso mentre aspettava oltre la cancellata.

"Vattene" non gli arrivò neppure vicino, aveva una mano serrata intorno la sbarra gelida del cancello. Era riuscito a trovarla anche lì.

"Devo parlarti" 

"Non voglio sentirti, né vederti!" fece per tornare indietro e l'altro si avvicinò "Smettila di perseguitarmi!" le tremò la voce "Mi hai aizzato contro quel mostro del tuo amico! Non so per quale motivo ti rivolgo ancora la parola!" 

"Chi!? Saint-Just?"

Rosalie mosse il capo confermando.

"È venuto qui? Ti giuro che non ne sapevo niente! Mi sono solo confidato con lui!"

"Non mi interessa più, lasciami vivere in pace" allargò un braccio indicandogli di andarsene.

"Se ti ha fatto qualcosa, dimmelo, ci penserò io!" eppure era sempre stato molto chiaro con il suo amico, sapeva quanto ci tenesse a lei.

Rosalie lasciò andare una breve risata nervosa "Vattene Bernard, ogni volta che ti avvicini a me non fai che causarmi dolore"

"Ascoltami, ti prego, io non c'entro con la morte del maggiordomo, è stato un incidente!"

Si girò, era fredda come una statua "Se mi vuoi davvero un briciolo di bene, non venire più da me, non cercarmi, mai più"

"Ma perché sei qui? Ero venuto a dirti che Oscar è ancora vivo, perché non sei con lui?"

"Non devo dirti niente"

"Sì invece, mi sono fatto da parte solo perché volevi lui e non me. Ma se quello lì non è più nei tuoi pensieri, io non mi arrenderò di nuovo"

"Non sai nulla, Bernard, lascia perdere. Va via" tirò il cancello e prima che potesse chiuderlo, la mano del ragazzo lo bloccò. "Che vuoi fare? Vuoi provare ad aggredirmi anche qui per caso?"

Bernard sbatté il cancello finché udì la serratura scattare, ci si aggrappò "Non ti lascerò chiusa qui dentro per tutta la vita, puoi scordartelo!" colpì le stanghe di ferro con la mano "Il tuo Oscar non ti ama più? Sta con un'altra? Vuoi annullarti per la delusione?"

Rosalie era al sicuro dall'altro lato "Va via, Bernard" ripeté, si voltò per andarsene.

"Allora gli darò una lezione quando lo vedrò, ti giuro che gli pianterò una pallottola in mezzo agli occhi" la vide girarsi "lo ammazzerò come un cane e stavolta mi fermerò solo quando avrà esalato l'ultimo fiato" 

"Non provare ad avvicinarti a Oscar!" una mano traballante toccò il metallo del cancello.

Bernard sorrise "Lo farò invece, e tu non potrai nulla. Chiusa qua dentro non saprai nulla, né se è crepato, né se sta con un'altra!" camminò indietro di qualche passo.

"Bernard! Lasciaci in pace!"

Lui si girò e di spalle alzò un braccio come per un saluto irrisorio. L'aveva vista scossa e spaventata, amava ancora quel dannato biondo, rifletté e strinse i pugni. Doveva indagare per scoprire perché si erano separati. Forse a Parigi, ma Bernard non aveva proprio idea di dove trovarlo. Non sapeva che il suo nome. Doveva confidare solo in un colpo di fortuna. Oppure, doveva solamente attendere.

Rosalie aveva le mani nei capelli, il viso arrosato e tremava come una foglia.

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Capitolo 14
*** 31 Dicembre ***


Il generale Jarjayes aveva messo in allerta i suoi parigrado, si trovavano tutti assieme in una sala ed era tarda mattinata. "Signori, abbiamo abbastanza elementi ma solo una testimone di rango inferiore che non può mettere in dubbio la parola di un conte" che fosse o meno la discendente dei d'Aubont non faceva differenza. 

Restava in attesa delle ultime novità dalla figlia ma nel frattempo, prima di iniziare a studiare un piano, e considerato che il capodanno era alle porte, aveva deciso di far conoscere i fatti. Quella che per il momento era stata data come disposizione all'esercito era di trovare un panettiere e un vetraio uno di fronte all'altro. "Deve trattarsi di una strada larga, una via che attraverseranno i reali durante la parata" continuò a dire.

"Possiamo far controllare tutto il percorso, negozio per negozio. Sarà facile" disse il collega Bayet.

"Con riserbo però, non devono capire che sappiamo"

"Io vi ammiro, Jarjayes" disse ancora il collega "avete perduto una figlia e vostro unico successore in accademia, da così poco tempo. Eppure siete qui, a pianificare la difesa del regno"

"Sono un generale, prima di essere un padre" si toccò la fronte "mio figlio farebbe lo stesso, se io fossi morto. Difendere il re e la regina sono obblighi che vengono prima di tutto" disse poi, e si girò per non far vedere la faccia poco convincente che aveva.

"Per questo avete la mia stima, un soldato è sempre un soldato. E il fatto che vi rivolgiate ancora a Oscar al maschile non fa che rimarcare che per voi il dolore è ancora recente" Bayet sorrise triste. Era assai più giovane di lui ma aveva anch'egli dei figli, poteva capire la gravità del momento. Egli non sarebbe stato capace di continuare, così su due piedi, come nulla fosse accaduto. "Noi difendiamo i reali per difendere la Francia. È necessario convocare il consiglio dei ministri" disse.

"Impossibile, senza farlo sapere ai sovrani"

"Volete tenergli nascosto che sono in pericolo di vita?"

"Certo che sì, finché non acciufferemo i responsabili. La cosa migliore è che loro non sappiano, perché altrimenti chiederebbero di rinunciare all'uscita pubblica e noi perderemmo di vista i cospiratori, e tutti i traditori di cui sono circondati agirebbero nell'ombra in un altro momento" lo guardò negli occhi "quando per noi sarebbe impossibile pianificare e prevenire una catastrofe"

"Questo potrebbe metterci in difficoltà" replico Bayet, gli altri generali si erano stufati di assistere in silenzio al loro scambio di battute. Decisero di mettere ai voti, se convocare o meno il consiglio e quindi farlo sapere al re. Vinsero i no.

"Bene, signori, stiamo ufficialmente usando il re e la regina, e la figlioletta di pochi anni, come esca. Sia chiaro che rischiamo tutti la testa in questa stanza" disse un terzo generale.

"Se per questo la rischiamo ogni giorno, per ogni ordine che diamo e decisione che prendiamo anche senza poterci ragionare sopra" ribatté Bayet.

"E nessuno dovrà mai sapere niente, a prescindere dall'esito" continuò Jarjayes "non avremo nessun ringraziamento e, se fila tutto liscio, non finiremo neppure davanti a un tribunale militare"

"Il conte de Badeaux, va piantonato" disse Bayet mentre lasciavano la sala dove si erano riuniti, si trovava nella caserma della guardia nazionale. Lontano da Versailles.

"Per ora ci sta pensando una mia persona fidata" replicò Jarjayes intanto che gli camminava di fianco.

"Possiamo star tranquilli?"

"Come se fossi io stesso a farlo" sorrise, ma l'altro non lo vide perché voltò la faccia dall'altra parte.

 

Il sole calò ed erano le quattro e mezza del pomeriggio. Oscar vedeva da lontano la sua tenuta e il suo palazzo. Era stanca ma, al pensiero di potersi sdraiare e magari farsi un bagno caldo, riuscì a trovare altra forza per camminare. Anche quel sacco di paglia le pesava ormai. Proseguì lentamente, ma prima di raggiungere l'ingresso si fermò.

Udì una voce chiamarla che non pensava di riascoltare tanto presto. Voltandosi scorse Rosalie venire allo scoperto, era avvolta in uno scialle "Devo dirti una cosa importante"

Oscar strizzò gli occhi, pensando di vederci male.

"La tua governante mi ha detto che non c'eri, ho pensato di aspettarti" rimase lì dov'era, immobile. Quando l'altra provò ad avvicinarsi Rosalie scosse il capo per fermarla. "Devo solo darti un messaggio. Guardati da Bernard, non so che può fare, è come un cavallo pazzo" la vide in quelle condizioni ma non si permise di chiedere, non doveva più interessarsi di nulla che la riguardasse.

"Aspetta un attimo, parliamo con calma" indicò una strada collaterale a quella dove si trovavano. "Vieni con me, ti prego"

"Non ho altro da dire, è tutto qui. Bernard, e tutti quelli vicino a lui, non fidarti di loro. Sta attenta, se li vedi, non attaccar bottone con loro, se puoi, non andare affatto a Parigi" poi se ne andò, aveva un peso sul petto ma iniziò a muovere le gambe per tornare da dove era arrivata.

"Aspetta!" la bionda le corse dietro, ma si ritrovò a terra dopo pochi attimi, un crampo alla gamba le impedì di rialzarsi "Rosalie!" si era sorretta sulle mani, con la gamba bloccata era faticoso rialzarsi. 

La ragazza si girò e tornò indietro rapida. "Che succede?!" si chinò accanto a lei e le prese una mano per aiutarla.

"È solo stanchezza" Oscar sorrise. Non le dispiaceva essere franata a terra come un sacco di patate se era riuscita a far sì che non se ne andasse.

 

"Ero sicuro che saresti andata ad avvisarlo" Bernard sbucò da dietro un albero. Una mano nascosta dalla schiena.

"Mi hai seguita?!" Rosalie si parò davanti a Oscar "Bernard, stai riuscendo a fare in modo che ti odi per davvero!"

"Intanto ti ho fatto uscire dal convento" rise "ed eccovi qui, ma ancora non riuscivo a capire perché vi eravate separati. Adesso che vedo quella casa però, comprendo perfettamente. Ti ho sentito chiedere di lui alla vecchia" guardò Oscar, la vide conciata quasi come l'altra volta "che ci fa qualcuno come te a bighellonare come un pezzente, di giorno in giorno?"

La bionda si alzò da terra, lasciò cadere il sacco e fece un passo avanti "Ti ricordi cosa ti dissi l'ultima volta che ci siamo visti?" sfilò il coltello da sotto la maglia, scansò Rosalie e continuò ad avanzare. "Quelli come te faticano a comprendere senza l'uso della forza" proseguì.

"Usalo, dai, fammi vedere se ne hai il fegato!" il giornalista tirò furi la pistola da dietro la schiena e gliela puntò contro. "Vedi, biondo, io posso anche rinunciare a Rosalie, se tu resti con lei, ma se la lasci e lei va a rinchiudersi in un convento le cose cambiano"

"Bernard!" esclamò Rosalie con furia "Idiota! Sono stata io ad andarmene! Nessuno mi ha lasciata! E il perché non ti riguarda!"

"Tu?"

"Sì, io! E ora sparisci!" aveva gli occhi accesi dall'ira, gli si avvicinò parecchio, tanto che l'altra voleva fermarla "Vattene! Prima che tu faccia ancora del male a qualcuno!"

Il ragazzo abbassò la pistola, l'abbassò anche troppo, sentì rotolare il pallino che quasi cadde dalla canna, lo frenò la pezzetta che ci era infilata. La ripose di nuovo dietro la schiena. Non riusciva a far collimare i fatti, c'era qualcosa che non tornava in tutta quella faccenda e chissà cos'era che non aveva ancora scoperto. "Ehi, biondo, lo sai di chi sei figlio tu? Di una grandissima… (*)" Oscar fece roteare il pugnale "Un giorno me la pagherai per esserti messo in mezzo!" disse, puntando lo sguardo astioso su quello che giudicava ancora un rivale. Poi si voltò e un passo dietro l'altro uscì di scena, il tramonto era quasi agli sgoccioli. 

Rosalie si girò e fermò di nuovo la bionda che stava tentando di avvicinarsi "Ce la fai a tornare a casa, mi sembra" le diede le spalle per farle capire che non voleva dirle altro.

"Rosalie, aspetta un momento!" Oscar si lanciò in avanti e le prese un braccio "Fermati!"

"Non posso fermarmi!" strattonò il braccio "Devo rientrare prima di buio o mi lasceranno fuori tutta la notte" ma non era quello il motivo principale per cui aveva fretta di scappare.

Oscar l'abbraccio e la tenne stretta, così che non potesse incedere oltre.

La ragazza si mise a piangere, ci era ricascata, i lacrimoni che stavano reggendo così bene fino a quel momento l'avevano di nuovo vinta. Strinse forte le spalle di Oscar e si abbandonò. "Perché non capisci quanto è difficile!" singhiozzò.

"Invece lo capisco bene!" la lasciò andare lentamente mentre una lacrima scendeva lenta "Perché è come se la mia vita ormai non avesse altro scopo se non amare te fino all'ultimo dei miei giorni. E non averti qui, con me, non posso accettarlo"

E i singhiozzi peggiorarono. "Non puoi farci niente… Nessuna delle due può farci niente!" 

"Invece ti dimostrerò che non è così! Lo giuro!" 

Rosalie accarezzò una guancia della bionda, poi si sforzò di ricomporsi. "Il convento è molto restrittivo sull'orario"

Oscar le prese la mano "Devi rientrare per forza?"

Rosalie annuì, certa che l'avrebbero giudicata male e inadatta alla permanenza nel luogo se si fosse attardata oltre.

"Va bene, ho capito" la tirò a sé e le rubò un bacio, sfuggevole ma che si portava dietro tutta l'amarezza di quelle ultime giornate. "Non dirmi addio, non dirlo mai più" mormorò sfiorando ancora quelle labbra "ci rivedremo, tu non fare sciocchezze intanto" la lasciò e le raccomandò di fare attenzione, perché era una bella scarpinata da lì fino al convento.

"Come fai a sapere dov'è?"

Oscar sorrise "Non mi conosci ancora bene, Rosalie"

La ragazza si asciugò le ultime lacrime e sorrise a sua volta. Poi si coprì la testa con lo scialle e se ne andò. Il colonnello la vide allontanarsi veloce come il sole che scompariva, quando rimase solo la strada vuota si voltò e si trascinò verso casa.

 

Il 31 dicembre arrivò prima del previsto. Quella mattina, molto presto, uno che si faceva chiamare solo Randal Wood, un tipo sulla quarantina che al suo arrivo si era fatto conoscere con il nome di Turner, lasciò le coste francesi e salpò in direzione Inghilterra. Avrebbe fatto ritorno, seguendo la fase successiva dei piani, con una delegazione ufficiale e una sposa per il futuro re. Ciò avrebbe anche risolto la fastidiosa permanenza delle truppe francesi sul territorio americano, se il prossimo re ad essere incoronato avrebbe assolto ai patti fino in fondo. Dopotutto lo stavano aiutando a posare le terga su quel trono tanto agognato, pensò, mentre il mercantile prendeva il largo.

Le guardie si erano disposte lungo tutto il percorso, e fin qui niente di straordinario, era qualcosa che facevano ogni volta che i reali lasciavano Versailles. Oscar aveva comunicato al padre che doveva fare attenzione, c'era la possibilità che prendessero di mira i generali. Meglio che nessuno di loro si facesse trovare in un luogo prevedibile. Per compiere qualcosa del genere poteva anche significare che ci fossero dei traditori tra le guardie. Il conte de Badeaux era un sovversivo molto diverso da Robespierre, aveva riferito al padre, intenzionato a eliminare i sovrani per metterci un'altra coppia di francesi ma non aveva idea di chi fossero. Non era qualcuno che il conte aveva incontrato nei suoi spostamenti ultimi, e se in passato si erano visti di persona, doveva essere accaduto all'origine del complotto. Il conte giocava sporco con tutti i protagonisti inglesi. "La casa è sorvegliata al suo interno da alcuni uomini" aveva raccontato quella mattina al padre "non è per la sua incolumità, credo piuttosto sia per difendere la moglie. Per ciò che sta facendo, per mancanza di fiducia nei suoi complici o per altre ragioni ignote" aveva continuato. E poi c'era questo duca Hughes, che serviva come aggancio in Inghilterra.

"La parola di un miserabile, è sempre la parola di un miserabile" il generale Jarjayes non poteva sapere se il conte avesse davvero voluto evitare di eliminare i generali, come aveva sentito la figlia, quindi prese provvedimenti. Via dalle case e dalle caserme, ciascuno di loro separati dagli altri, in un luogo casuale a partire dalla notte del 30 dicembre, per non insospettire.

Il generale Jarjayes fu l'unico a rimanere in pubblico, serviva qualcuno a conoscenza dei fatti che desse gli ordini e la figlia era ancora data per morta.

Oscar aveva intenzione di nascondersi sul tetto dell'edificio dove il forno aveva chiuso. Il proprietario temeva i disordini, quando c'erano le parate, quando si radunava della folla sulla strada, chiudeva sempre il negozio. André avrebbe dovuto essere su quello di fronte. Niente armi da fuoco, gli aveva detto, nessuno doveva accorgersi di quel che succedeva. Tranne in caso di necessità.

"Cerca di non farti vedere e fai attenzione" aveva aggiunto prima di separarsi. André le disse di stare in guardia alla stessa maniera; la fermò un attimo prima che se ne andasse con un'occhiata muta che voleva dire qualcosa anche senza parlare.

"Non ce l'ho con te, anche se hai la lingua lunga, prima o poi l'avrebbero comunque saputo"

André sospirò "Non posso appoggiarti in questa tua scelta ma riesco a capire lo stesso come ti senti" 

"Va bene così" Oscar incurvò le labbra e lo salutò con la mano, André sorrise. La vide poi svanire tra la gente mentre si dirigeva nella direzione opposta. Chi le assicurava che gli unici che potevano sparare al re e alla regina si sarebbero piazzati solo su quegli edifici, e se ci fosse stato qualcun altro? In quel momento era piena di dubbi. Stare impalata su un tetto improvvisamente non le sembrò più una grande idea. Nel mentre si domandava del perché il tiratore non fosse già appostato, vide qualcosa luccicare sotto al sole debole di quella mattina. La canna di un fucile poggiata contro il fumaiolo. Lo prese, era l'ultimo modello francese; c'erano molti traditori intorno a loro. Lo scaricò, lì dov'era, dopo aver rimuginato ancora un po', scese e tornò indietro. Gettò il fucile in un fusto abbandonato. Era vestita da straccione, peggio ancora di quando aveva visitato la casa del conte. Si abbandonò a bordo strada, per osservare, con il cappello di paglia sulla testa. Subito le si avvicinò un soldato, allora si alzò e andò via. Già, durante le parate non potevano esserci mendicanti sulla strada. L'aveva dimenticato. Le carrozze erano ancora lontane e per questioni di sicurezza la sfilata si sarebbe svolta di giorno, come tutte le altre occasioni precedenti, sebbene la vera festa sarebbe iniziata la notte, ma a Versailles. 

"Levati di torno, accattone!" le urlò un tipo.

"Chiedo scusa, signore" aveva addosso solo abiti malridotti. Forse aveva esagerato un po' troppo con gli strappi e le scuciture. E faceva anche un freddo cane.

"John" udì chiamare tra la folla che si accalcava alle sue spalle. Quel nome riuscì a catturare la sua completa attenzione. Anche quella voce che l'aveva pronunciato, c'era un accento particolare, e c'erano poi altre tre donne che parlavano in lingua straniera. Riconobbe qualche frase in tedesco. Si strofinò il viso con una mano, era ovvio che ci fossero altri turisti, che sciocca a presupporre che gli unici erano gli attentatori. Era come cercare un volto nascosto da una maschera qualunque in mezzo ad altre maschere. Un uomo la urtò e proseguì senza fermarsi. Un bastone bianco le era strusciato accanto la gamba sinistra. Di spalle non lo riconobbe subito, ma poi la figura del conte divenne chiara ed evidente. Lo seguì. L'uomo si era camuffato come un cittadino qualunque, di nuovo. Come gli aveva sentito dire, per guardare la riuscita del piano dal vivo e addossarla esclusivamente agli inglesi. C'era un altro tizio al suo fianco, se ne accorse dopo, quando quello gli andò vicino camminando e tenne il suo stesso passo. Non aveva la stazza di Alfi, ne fu contenta, non per timore di affrontarlo ma perché l'uomo le era in simpatia e non aveva colto cattiveria in lui, per il breve periodo in cui ci era stata a contatto. Continuò a stargli dietro, stavano facendo il giro del palazzo dove si trovava il fornaio, come a perdere tempo. In attesa che arrivassero le carrozze, suppose la bionda. Un presentimento le suggerì di non aspettare oltre, meglio affrontarli subito. "Badeaux!"

L'uomo si voltò, lei si tolse il cappello e gli si fece sotto. L'altro che gli faceva da guardia, si frappose e sfoderò una spada. "Chi sei?" le domandò questo.

Oscar snudò il pugnale da dietro la schiena, la spada era un arnese che non portava mai con sé quando doveva rivestire i panni del vagabondo, nel bene e nel male anche questa era una cosa a cui si era abituata. Lanciò il pugnale, dritto nel petto dell'uomo che aveva di fronte. Tre passi, e lo sfilò dal morto velocemente, si affrettò per raggiungere il conte che si stava defilando. Lo incastrò nella via di mezzo tra due edifici. "Ci rivediamo, conte"

"Io non so chi sei!" l'uomo si faceva indietro, il suo aggressore era trasandato, ma quei capelli biondi legati in una coda, lucidi e scintillanti, dissonavano dal resto. Gli ricordava qualcuno, ma non poteva far mente locale.

"Ditemi il nome di chi volete mettere sul trono al posto di Luigi XVI!" si avvicinò ancora e ancora, mentre l'uomo indietreggiava. Doveva fermarlo prima di arrivare nel piazzale alle sue spalle, davanti a testimoni le cose potevano capovolgersi. Il conte lanciò il bastone roteandolo con forza nella sua direzione, lei lo scansò. Corse ma avvertì un bruciore improvviso all'addome, non capiva da dove era arrivato.

Il conte si era fermato, aveva in pugno qualcosa, no, non era nel pugno, Oscar si tenne la ferita, alzò lo sguardo. Un astuccio le rotolava vicino ai piedi, il conte tolse il dito dal marchingegno a scatto che controllava con la mano e terminava in una lama telescopica lunga un po' meno di una spada. Si trattava di una lama sottile che si muoveva all'interno di un binario nascosto nel vambrace che portava sotto gli abiti per tutto il tempo. Una volta fatta scattare, l'astuccio di protezione veniva via. Badeaux le si avvicinò "Ti piace il mio aggeggio? Si è fatto un lungo viaggio dal lontano oriente per servirmi!" vibrò un altro fendente che la bionda schivò per un soffio, ma non riuscì ad evitare il vambrace di metallo che la colpì alla testa. Barcollò. Il marchingegno agiva anche in difesa.

"Ora mi ricordo di te, garzone" gli puntò la lama contro il cuore "ma in realtà tu non sei un garzone, è così? Sempre dietro l'austriaca a pararle la schiena!" la colpì alla gamba con un calcio e l'atterrò. "Io ti ho già veduta, molte volte" assottigliò lo sguardo "tutti lo hanno saputo, le voci sono arrivate in ogni angolo di Versailles!" gli schiacciò sotto un piede il braccio che stringeva il pugnale "Tu dovresti essere sotto terra!" Oscar si lasciò sfuggire un lamento. "A ogni modo, c'è sempre tempo!" alzò la lama e l'abbassò. L'altro braccio della bionda si alzò per difendersi, riuscì a scansarla, le strusciò il polso. Il conte girò il marchingegno per riposizionarlo. Era lento e appesantito, Oscar sollevò una gamba e sferrò un calcio, mancò il corpo del conte ma guadagnò spazio.

 Una volta in piedi poté di nuovo usare il suo pugnale. Parò un altro affondo, poi scagliò di forza il pugnale sul dorso della mano del conte, perforò fino a sbucare dal palmo e terminò incastrandosi nel meccanismo della sua arma. Lo udì scricchiolare in contemporanea alle grida del proprietario. La bionda torse il pugnale fino a svincolarlo, il sangue spruzzò a terra. Quella diavoleria era sempre attaccata al braccio ma dubitava che ora potesse sollevarlo senza provare un dolore atroce. L'uomo si ritrovò alla gola il pugnale imbrattato e gocciolante.

"Parlate, ultima occasione!"

L'uomo alzò lentamente l'altra mano, come un debole tentativo di scansare l'acciaio dal collo "Non saprai mai chi è, ma ti dico qui e ora che un giorno siederà sul trono di Francia, stai solo ritardando l'inevitabile" portò il suo anello alle labbra e scoperchiò il sottile cristallo che luccicava sulla fascia dorata, ingoiò una polverina bianca. Oscar se ne accorse quando lo vide schiumare dalla bocca e accasciarsi. Crollò seduta lì in terra. C'era una striscia rossa sulla sua maglia e un'altra sul polso, si alzò a fatica, con un gemito di dolore era di nuovo sulle due gambe. Il conte, chino a terra, non si muoveva più. Udì schiamazzi, ma più di tutto udì gridare insulti. I reali dovevano essere vicini. Si appoggiò con le spalle al muro per riprendere fiato. Sporse la testa, alzò gli occhi sull'edificio di fronte, non vide André, né altri movimenti. Con la mano sulla maglia, si mosse per tornare sul tetto dell'edificio dove stava il fornaio. La scala non c'era più, qualcuno l'aveva rimossa. Eppure era stata lasciata sul retro, ben nascosta. Un rumore sul tetto, e un'ombra le attraversò il viso. Si appiattì contro l'edificio, qualcuno l'aveva vista e si stava organizzando per agire.

"Mostrati, verme!" esclamò una stridula voce con una cadenza anglosassone. 

Lei rimase schiacciata contro il muro, in quella posizione era difficile che la cogliesse dal tetto lievemente sporgente, avesse anche azzardato uno sparo. Non poteva muoversi ma poco male, anche il tizio era distratto e poteva tenerlo occupato fino al passaggio dei sovrani. Il rumore si accentuò, udì chiaramente il suono di passi "Dove hai nascosto il fucile? Verme!" l'uomo si era calato giù. Aveva una daga in pugno e gliela puntò contro. Sbandierò l'arma, la bionda la evitò agevolmente "Vedi di morire subito, perché ho urgenza!" esclamò il tipo, le armi bianche non erano il suo forte e chi aveva di fronte gli schivava ogni affondo.

Oscar si mise in guardia con il pugnale. Vide con sgomento lo straniero gettare la daga e tirar fuori una pistola per poi puntargliela "Ho detto, sbrigati a morire!" anche avesse attirato l'attenzione, non c'era molto da scegliere, il tempo scorreva come le ruote della carrozza reale. L'uomo andò giù come un piombo prima di poter premere il grilletto. Alle spalle dell'inglese comparve il manico di una spada e, più dietro, il generale, era in piedi all'angolo del palazzo. Si affrettò a sfilarla dall'uomo che ansimava in terra sempre più lentamente, fece poi un gesto alla figlia, di venire via. Raccolse la pistola dalla mano che la stringeva ancora, nonostante il corpo fosse quasi privo di vita.

"Grazie, padre"

"Sei ferito?" le vide la maglia insanguinata.

"Di striscio" camminarono rapidi. 

"C'erano una dozzina di uomini che seguivano il corteo. Li abbiamo arrestati ma non potremo trattenerli a lungo, però almeno fino a stanotte li terremo occupati. La strada è sgombera anche in avanti. André ha eliminato l'altro sul palazzo, lo ha preso alle spalle"

"Sta bene?"

"Sì, è con il resto dei soldati ai miei ordini. Sono venuto a controllare, ci stavi mettendo troppo" 

"C'è stato un imprevisto, il conte è morto"

"Un vero peccato, avrei voluto metterlo sotto torchio davanti al giudice" le mise tra le mani il cappello di paglia che aveva raccolto da terra "Girodelle ci sta aspettando, vieni, così possiamo reintegrarti. Lui è tra coloro che ti hanno più a cuore e sarà felice di vederti"

Oscar rallentò "No, padre, vi prego, non fatelo" si fermò del tutto e l'uomo che la precedeva corrugò la fronte quando si girò.

"Che ti prende, Oscar?"

"Lasciate che il colonnello Oscar François de Jarjayes rimanga morto"

"E perché mai mi chiedi un'assurdità del genere?" la folla si stava spostando più avanti, per seguire il corteo che stava facendo il giro del centro storico. Il vento gelido di fine dicembre congelò la bionda e suo padre, sostavano lungo il margine della strada che andava man mano svuotandosi.

La figlia guardò in terra "In tutta la vita non vi ho mai chiesto niente, padre, concedetemi solo questo. Non posso più essere il comandante delle guardie reali" asciugò una lacrima con il dorso della mano prima che l'uomo la vedesse.   

"Ma che diavolo stai dicendo? Non capisco!" il padre le andò vicino e le afferrò un braccio. 

"C'è qualcuno da cui non voglio più separarmi, padre. E non mi fermerete, nessuno mi fermerà dal chiederle di stare insieme" staccò lentamente la mano del padre e si fece indietro.

"Non compiere gesti affrettati, non sai cosa stai dicendo. Sarà la stanchezza, ne riparleremo domani"

"Non c'è niente da dire, più di questo. Non saprei neppure come spiegarlo a parole, eppure è chiaro come il sole" si fece ancora più dietro per non far avvicinare il padre "Dio mi è testimone, mai avrei immaginato una cosa del genere, non mi avrebbe neppure lambito nei sogni fino a qualche mese fa e, se me l'avessero detto, mi sarei fatta una risata tale da piegarmi in due"

"Si tratta di quella donna? È così? Ti sta condizionando, apri gli occhi!"

"Padre, voi non la conoscete"

"E tu chi credi di conoscere? Che credi di sapere? Puoi affrontare un duello, puoi comandare un esercito, ma non ti rendi conto davvero di come vanno a finire certe cose! La tua vita ha un fine più nobile di questo!"

"La mia vita è iniziata in modo non convenzionale e credo proprio che la chiuderò alla stessa maniera" un impercettibile sorriso terminò quella frase.

"Perché vuoi buttare via tutti gli obiettivi raggiunti? Perché!" iniziò ad agitarsi. 

"Perché… Perché quando voi incontraste mia madre lei era già promessa, però niente vi fermò. Non vi siete arresi, né voi né lei. Pur di stare insieme avevate perfino in mente di fuggire, ma non ce ne fu bisogno"

"Che c'entra questa vecchia storia adesso?!"

"Per la stessa ragione, io non posso più essere ciò che ero"

"Se è qualcuno al tuo fianco che desideri, va bene! Farò in modo che tu possa incontrare i migliori candidati e sceglierti un marito!" la vide guardalo come se avesse detto un'amenità e si innervosì ancora di più. "Ascoltami bene, se non torni immediatamente con me…" distolse lo sguardo afflitto e portò una mano agli occhi, li strinse per un secondo "Non puoi farlo, perderai ogni cosa!" aggiunse, scuotendo la testa.

"Senza di lei avrò comunque perduto tutto" Oscar slegò il nastro che le legava i capelli e fece ancora un altro passo indietro "perdonatemi, per quanto vi appaia folle, è la scelta migliore per tutti" si voltò e corse, con fatica arrancò nei vicoli per tagliare lontano dalla folla. 

"Oscar!" il padre la vide svanire, si tolse dalla strada. Doveva seguire il corteo fin quando non fosse rientrato alla reggia.

 

Nella residenza del conte di Provenza c'era una quiete carica di tensione. Sua moglie, Maria Giuseppina, decise di lasciarlo da solo quella mattina, si ritirò nelle sue camere. Non era un uomo accomodante già quando era al suo meglio e quel giorno lo aveva visto scattare come una molla per le cose più banali che potevano capitargli sotto al naso. Non avevano mai avuto figli ma non era quella la ragione per cui si tolleravano a malapena.

"Gérard!"

Arrivò prestamente il suo servo personale.

"Che notizie da Parigi?"

"Ancora nessuna, signore"

"Quando sarà, riferisci immediatamente" il servo si inchinò e andò via.

Il conte, sedeva davanti un tavolino, aveva una finestra di fronte che gli garantiva un panorama di rara bellezza, sia d'inverno che d'estate. Era un uomo panciuto ma ancora piuttosto giovane, anche se non si portava molto bene i suoi anni. Udì il rumore di una carrozza. Il cuore gli batté più veloce.

"Gérard!"

Il servo si affrettò verso la carrozza. Qualche tempo dopo tornò dal conte.

"Che notizie da Parigi?"

"La parata è giunta al termine" l'uomo deglutì "senza imprevisti" vide la grossa pancia del conte salire e scendere rapida, poi ancora più veloce, risalire e riscendere. 

"Puoi andare"

Con un gesto di stizza, il conte rovesciò tutto quello che c'era sul tavolino. Luigi Stanislao di Borbone, il quarto in linea di successione dopo Luigi XV, diventato secondo dopo l'ascesa di Luigi XVI, promise che sarebbe stato il primo. Ma avrebbe dovuto attendere, ancora. 

 

Era il 3 di gennaio. Di punto in bianco, qualche fiocco di neve aveva ricoperto la strada che conduceva su per una collina, ma durò poco. Era quasi mezzogiorno quando una figura ammantata si avvicinò ai cancelli del convento con un sacco in spalla. I lunghi capelli biondi si agitavano liberi al vento freddo, sotto un cappello di paglia. Posò a terra il sacco e chiamò la suora che vide nei pressi del cancello.  

"Che volete?" domandò la giovane novizia.

"Sto cercando Rosalie, sorella"

"Chi la cerca?"

"Oscar"

"Oscar, chi?"

"Soltanto Oscar" replicò.

La novizia parve un po' seccata dalla risposta, a ogni modo fece per andarsene ma la voce estranea la interruppe di nuovo "Ditele anche di preparare la sua borsa e di non dimenticare niente. Grazie, sorella" la novizia cercò di cogliere il volto sotto al cappello, ma le stava troppo lontano. Comunque, andò.

Rosalie sopraggiunse un po' di tempo dopo. Reggeva il grosso manico della borsa con ambedue le mani e quando la vide un sobbalzo allo stomaco lo fece svolazzare per un attimo. Ma era anche preoccupata e non poco. Oscar sollevò un po' la tesa del cappello con un dito e le sorrise. Quando il cancello si aprì la più giovane corse ad abbracciarla. L'inferriata si chiuse poi rumorosamente dietro di loro, la novizia osservò un po' incuriosita per un breve momento, poi se ne tornò indietro. Faceva freddo.

"Perché sei qui?" le chiese Rosalie e si sforzò di mantenere il controllo.

"E dove altro dovrei essere" allargò le braccia.

"Che è accaduto?"

"È andata bene, è mancato conoscere il nome alla cima della cospirazione ma ci possiamo accontentare"

Rosalie l'aveva sentito sotto le mani, sollevò la maglia dell'altra e scoprì l'ultimo bendaggio che si era sistemata da sola giorni prima. "Dici che è andata così bene, ma ogni volta che ci rivediamo hai una ferita in più"

"Il conte mi ha tirato un brutto scherzo, prima che si avvelenasse. Quell'uomo aveva un suo ideale per cui non gli importava di morire e glielo riconosco, anche se non posso condividerlo" disse poi che non era niente di grave, solo una ferita di striscio. Però faceva freddo, abbassò rapida la maglia.

"Sei qui per informarmi, ho capito" la lasciò e indietreggiò "ti ringrazio. Ma perché mi hai detto della borsa?"

"In verità, sono qui per portarti via con me"

"Che vuol dire?" Rosalie sentì il cuore accelerare in quel ritmo di cui aveva tanto sentito la mancanza.  

"Niente più divisa, niente più nome, niente più corte reale o salotti patinati colmi di nobili simulacri e ipocrisie" tolse il cappello e lo posò sul sacco "adesso ci sono solo io"

Rosalie non sembrava aver capito a fondo, il dubbio le si poteva leggere negli occhi. L'altra proseguì a parlare.

"Non ho più legami, eccetto te. Non tornerò indietro, ora la scelta che rimane è solo tua" si avvicinò toccandole le spalle e la guardò in viso "puoi venire con me, per stare insieme fino alla fine del nostro tempo oppure puoi voltarti e tornare indietro, e ti giuro che non scorgerai mai più la mia ombra. Rispetterò la tua decisione, per quanto mi costi"

"Hai abbandonato tutto, per me?" non voleva piangere ma non ci riuscì "Come posso permettere che tu faccia questo? Sarebbe puro egoismo da parte mia, e te ne pentiresti, finiresti per detestarmi!" poggiò la testa su quella maglia bianca che ormai aveva sostituito la divisa "Non posso permetterlo!" ripeté.

"Non serve piangere, Rosalie, vieni o resti…" prese fiato e sentì l'aria comprimersi nei polmoni come se non trovasse spazio "Tu continui a non fidarti di me, perché?" si allontanò ma l'altra la circondò con le braccia, senza lasciare un centimetro di spazio tra loro. 

"Mi fido più di te che di me stessa. La mia paura è che finisca, e che finisca male!" strillò Rosalie.

"Che devo fare, che devo dire, per farti capire che per me ci sei tu prima di tutto e questo non cambierà. O forse solamente io non sono abbastanza"

"Non osare!" strinse la maglia nei pugni "Come puoi solo pensarlo?! Non ti rendi conto, fino a che punto ti amo… Che tormento sia stato rimanerti distante, non è passato un solo giorno senza che la mia mente ti cercasse nei ricordi, perché a questi mi ero rassegnata!" spinse le guance arrosate su quella maglia e ci fece assorbire le lacrime "Rassegnata a non sentire più le tue labbra sulle mie, le tue braccia intorno a me, ad essere una sola cosa con te!"

Oscar posò la fronte sulla sua e sospirò "E allora abbi fiducia in chi non vede altro futuro se non con te! Fidati! La mia parola è una soltanto, non torno indietro anche se la vita mostra il suo lato più duro, non torno indietro neppure se è in gioco tutto ciò che sono!" prese un po' di distanza e tornò a guardarla negli occhi "Sono nata in una famiglia privilegiata, è vero, ma sono stata un soldato tutta la vita, l'unica mia ragione è sempre stata quella di stato. Cosa vuoi che me ne importi della ricchezza, che non ho mai inseguito, dei fregi o del potere, che non mi hanno mai catturata e ingabbiata. Cosa temi che mi possa mancare?"

"La tua famiglia"

Oscar annuì "Loro capiranno, e non mi dimenticheranno" e come potrebbero, dopo questo, pensò quasi sorridendo.

"Ma, tuo padre vorrà dei nipoti" Rosalie non pareva soddisfatta.

"Ha già tutti i nipoti che può desiderare, da parte delle mie sorelle. La mia famiglia la porterò sempre con me, ma adesso ci sei tu"

La ragazza lasciò andare la sua maglia che aveva stropicciato e prese un bel respiro "Come possiamo, noi?" asciugò gli occhi alla fine.

Le accarezzò la schiena "Ci inventeremo qualcosa"

Rosalie le circondò il collo e la tirò giù, si alzò sulle punte e posò un bacio su quelle labbra, profondo ma che non durò a lungo "Ti va bene come sì o devo essere più convincente?" sorrise.

Oscar soffiò fuori il respiro che le opprimeva il petto, uno sguardo sollevato al cielo e poi sorrise nello stesso modo "Mi sta bene, per ora" e l'abbracciò forte tanto da sollevarla da terra per qualche istante. Poco tempo dopo, riposizionò il cappello sul capo e raccolse il sacco da cui si intravedeva l'elsa della spada, con un fischio fece avvicinare il suo cavallo bianco. 

"Dove andiamo?" chiese Rosalie quando l'altra l'aiutò a salire. 

"Dove vorresti andare?"

"Non lo so, ma Eric avrebbe voluto una casa in campagna, a sud" aveva ancora il suo lascito, usarlo in qualcosa che lui avrebbe voluto fare le sembrò una buona cosa.

"Non è una brutta idea, a sud, fino ai campi di lavanda" Oscar salì dietro di lei, le mise le redini in mano e le cinse la vita "Vai, indica tu la via"

"Non sai dov'è il sud?" scherzò Rosalie.

"Potrei dirtelo anche a occhi bendati" le fece cenno con un braccio e la strinse più forte con l'altro "non ha un brutto carattere ma ancora non ti conosce, devi far pratica" accarezzò il collo del cavallo. 

Rosalie posò la mano su quella di Oscar che accarezzava il cavallo e poi diede un lieve colpo con una gamba, gli zoccoli iniziarono a muoversi. Il vento fresco le accompagnò fino al di là della collina, poi calò d'intensità.

 

Qualche ora dopo, si fermarono ad una piccola locanda, era quasi buio. Oscar aiutò a scendere Rosalie e lasciò il cavallo a un ragazzo, per condurlo in una stalla per la notte. "Siete fortunati, c'è rimasta una sola stanza" disse lui.

"Siete affollati?" domandò Rosalie.

"Sì, ci sono dieci soldati, stanno cercando un disertore" 

Rosalie vide il volto della bionda scurirsi, l'abbracciò d'istinto 

"Così hanno detto, ma non c'è da aver paura, credo" continuò il ragazzo, Oscar invece era andata in agitazione e stava per farsi restituire il cavallo quando tre soldati uscirono fuori, armi in pugno quando la videro.

"Dannazione!" sentì il cuore di Rosalie accelerare all'impazzata, la stringeva più forte ancora.

Altri tre soldati corsero fuori. "Il comandante delle guardie reali, anzi, il fu" parlò uno con delle basette fino al mento. Era alto e robusto, circa della sua stessa età. La bionda voleva afferrare la spada che portava nel sacco, forse qualche possibilità l'aveva ancora. Ma c'era Rosalie.

"Io non sono chi cercate" tirò la ragazza dietro di sé, ormai erano circondate.

"Certo che lo siete, ci avevano avvisato che giravate in abiti comuni. I vostri capelli e il vostro fisico, tutto combacia" digrignò i denti "la donna che vi ha denunciato ci ha detto che avevate molta fretta, peccato per voi che siete rimasta troppo vicino a Parigi"

La donna? Quale donna? Oscar passò in rassegna chi aveva incontrato di recente, forse era stato qualcuno che l'aveva riconosciuta senza che lei se ne accorgesse. Oppure quella assieme al tipo della claymore o la moglie del conte o qualcun'altra con cui aveva avuto la sfortuna di imbattersi senza saperlo. L'ufficiale basettone la colpì alla schiena con il calcio del fucile, un colpo diretto altrove, ma si era voltata appena in tempo riparando Rosalie.

"Toglietele questa piccola sgualdrina di dosso!" due soldati allungarono le mani, il primo cadde reggendosi lo stomaco, l'altro indietreggiò prima che lo colpisse. Oscar ritirò il pugno ma lo tenne ancora sollevato.

"Rosalie, ascoltami, devi fare ciò che ti dico"

"No! So già cosa vuoi dirmi! Non ti lascio!"

"È me che vogliono. Se resti qui, per me si mette peggio" le strinse forte la mano "quando ti apro una via, devi fuggire alle stalle, prendi il cavallo e scappa lontano. Ti ritroverò, lo prometto" 

"Non mi separerò da te! Neppure da morta!" e serrò la presa più forte.

"Che avete da bofonchiare!" l'ufficiale puntò la baionetta su tutte e due "Ho detto separatele!" un soldato si avventò contro, lei lo scansò, un altro le afferrò un braccio, un terzo la colpì alla base del collo con qualcosa di rigido. Cadde in ginocchio, tuttavia non perse i sensi. Sentì gridare Rosalie.

"Tenente de La Motte!" proruppe una voce familiare. Oscar sollevò gli occhi, il dolore dietro al collo era ancora forte ma identificò qualcuno che conosceva bene.

"Comandante Girodelle" il tenente lo guardò come se l'avesse disturbato "ce la stiamo sbrigando noi, non serve che vi sporchiate le mani anche voi, la mettiamo ai ceppi e poi la portiamo via"

"Lasciate stare quei due!" si fece largo in mezzo al gruppo "Io conosco molto bene il colonnello de Jarjayes, ho preso capo alla spedizione di proposito, e questo non gli somiglia per niente!" colpì il volto di Oscar con lo stivale. Rosalie provò ad avvicinarsi a lei, un soldato le agguantò un braccio. "Vi hanno preso in giro, tenente" si girò a fissare il suo sottoposto "Oscar François de Jarjayes è morto!" il sangue colava dal labbro della bionda "Questo è un popolano senza alcun valore. Non capite? La donna vi ha mentito per trarci un guadagno facile" aggiunse, con gli occhi fissi in quelli azzurri che non battevano ciglio. "Ritiratevi! Domani rientreremo" ordinò "le informazioni erano false"

La Motte si stropicciò il naso, poi lanciò un'altra occhiataccia, prima alla bionda sulle ginocchia poi al comandante, controvoglia fece ritorno nella locanda. Quando la lasciarono, Rosalie corse e si gettò vicino a lei per appurare che stesse bene. "Amore mio!" le toccò il viso, trovò un taglio sul labbro.

"Sto bene, sta tranquilla" tirò su un ginocchio, toccò dietro al collo dove presto sarebbe comparso un livido.

Girodelle si avvicinò alla bionda, sguainò la spada "Non temere" disse a Rosalie che gli aveva sbarrato la strada. Oscar non si mosse quando le raggruppò i capelli e li raccolse nel pugno, gli diede un taglio netto con la spada. Rosalie spalancò la bocca. "Così va meglio" Girodelle si spostò.

La bionda se li ritrovò corti e scompigliati che a malapena le accarezzavano le spalle. Si rimise in piedi. Rosalie la aiutò con un braccio sotto la spalla.

"Come vi chiamate?" domandò Girodelle.

"Eric" rispose Oscar e accennò un sorriso.

"Un nome che dovreste usare d'ora in poi, Eric" puntò l'indice in una direzione "da quella parte, la strada non è sorvegliata da nessuno dei miei uomini, meglio che vi sbrighiate" comparve un sorriso lieve anche sulle sue labbra "ragazzino, riporta qui il suo cavallo bianco" disse a quello che aveva osservato in silenzio tutta la scena, nascosto da un albero. Avrebbe voluto sapere come faceva l'ufficiale a conoscere il colore del cavallo della coppia, ad ogni modo tornò alle stalle. Girodelle tornò a rivolgersi alla bionda "Scusate per il calcio, non avrebbero desistito facilmente se non vi avessi trattato così"

"Lo capisco, ma perché l'avete fatto?" Oscar si asciugò il sangue dalla bocca "Perché ci avete aiutato?"

"Nella migliore delle ipotesi vi avrebbero deportato, nella peggiore, sapete già" vide la giovane ragazza stringersi più forte al suo vecchio comandante "per amore si compiono gesti impensabili" guardò Rosalie e poi di nuovo in quegli occhi azzurri che molto gli erano mancati "e l'amore fa crollare ogni ragione, non è così?"

Oscar annuì. "Grazie, vi devo la vita"

"Addio" Girodelle si inchinò rapidamente, rinfoderò la spada e si voltò. Strinse forte quei capelli biondi un'ultima volta, poi li lasciò volar via al vento turbolento che si era alzato.

Il cavallo bianco si avvicinò, sbuffando, aveva appena terminato il suo fieno e si stava rilassando quando il ragazzino l'aveva fatto uscire di nuovo. "C'è una fattoria che accoglie viandanti, provate lì" disse quest'ultimo "è vicina, ci arrivate presto, ed è sicura" strizzò un occhio a Rosalie che stava tornando a respirare normalmente.

Oscar gli accarezzò la testa, poi gli posò sul capo il suo cappello di paglia, il ragazzino sorrise. Salirono entrambe a cavallo e si avviarono. "Spero di non specchiarmi tanto presto" disse con ironia, toccando i capelli biondi.

"Stanno bene, non ti lamentare. Corti, lunghi, ti stanno sempre bene" la più giovane infilò le dita nelle ciocche bionde e le disordinò ancora di più "Chi era quello?" domandò poi mentre le stringeva la vita, dietro di lei.

"Un vecchio collega"

"Innamorato di te" poggiò la fronte sulla sua schiena "quanti ce ne sono a cui hai spezzato il cuore?" sorrise.

"Suvvia, non me ne ero neanche accorta, non si può ricambiare tutti" 

"Quindi alla fine sono solo stata fortunata" Rosalie aveva questo tono un po' abbattuto "potevo essere io quella a vederti andar via, con qualcun altro"

"Sono io quella fortunata, Rosalie" le stelle iniziavano a spuntare e il freddo a premere "senza nemmeno cercarla, mi è capitata la perla più bella" il labbro le faceva male quando sorrideva ma non poté farne a meno. Rosalie le aveva appoggiato le labbra sulla schiena e un brivido l'aveva raggiunta fin sui capelli. 

La fattoria la superarono, non si fidavano a fermarsi dove potevano rintracciarle. Il ragazzino poteva parlare di quel posto anche involontariamente, ai soldati. Però ebbero fortuna, non molto più avanti, sulla via indicata da Girodelle, trovarono un'altra piccola catapecchia abbandonata. Sembrava un luogo dove qualcuno viveva solo per una stagione, e non era quella invernale. Per una notte sarebbe andata bene.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) da "Il buono, il brutto e il cattivo"

 

 

Ringraziamenti: A voi che siete arrivati fin qui, grazie per aver letto questa storia anche se è uscita parecchio dai canoni dell'opera originale. Chiedo scusa per le imprecisioni e gli errori, anche controllando qualcuno mi sfugge sempre. Un grazie particolare a coloro che hanno recensito e spero vi abbia fatto buona compagnia.

 

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