ATP: Atypical Teaching Program

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
ATP: ATYPICAL TEACHING PROGRAM
 
 

Prologo
 


ufficio
 
Luglio 2003
Hogwarts, Ufficio della Preside
 

 
Benchè fossero trascorsi quindici lunghi anni Keith Whiteoak ricordava chiaramente la sua ultima incursione nella torre più alta del castello dove a lungo aveva vissuto e studiato: certo all’epoca ad attenderlo dietro quella massiccia porta di legno della forma di un arco c’era stata una persona diversa, ma Keith ricordava perfettamente il tremolio alle gambe che aveva sperimentato nel bussare su quella robusta superficie prima di ricevere un invito ad entrare da parte dell’allora Preside di Hogwarts.
Erano anni ormai che Albus Silente aveva lasciato per sempre il suo ufficio, e ora Keith stava indugiando davanti alla porta proprio come all’ora, quasi in preda all’ansia. Il che era ridicolo, si disse mentre sollevava la mano destra guantata per bussare e annunciare il proprio imminente ingresso: quindici anni prima l’allora Vicepreside lo aveva personalmente accompagnato fin lassù nella speranza di fargli ottenere una punizione esemplare e una lunga lettera di lamentele che era stata prontamente scritta ed inviata ai suoi genitori, ma non era più uno studente da tanto tempo e che Minerva McGranitt potesse ancora intimorirlo era un’idea assurda e del tutto fuori discussione.
Tornare ad Hogwarts in quel mattino estivo che la Scozia sapeva comunque rendere grigio, umido e per nulla afoso era stato in effetti piuttosto bizzarro, una sorta di brusco tuffo nel passato che solo qualche mese prima Keith non avrebbe mai scommesso di dover affrontare. Era stato bizzarro varcare quegli alti cancelli e risalire il parco fino all’ingresso del castello scortato da un loquace Elfo Domestico che lo aveva accolto indossando una minuscola giacchina di tweed verde scuro e un capellino marrone, pronto a ricordargli quanto diversa fosse la vita di quelle Creature rispetto a soli pochi anni prima e a riempirlo di domande sul suo lavoro. Era stato ancor più bizzarro inoltrarsi nel Salone d’Ingresso deserto e volgere quasi istintivamente lo sguardo sulle quattro enormi clessidre vuote, prive dei tradizionali rubini, zaffiri, diamanti gialli e smeraldi che aveva scorto al loro interno per quasi ogni giorno della sua vita per sette lunghi anni. Ancor più bizzarro era stato sentire i suoi passi rimbombare tra le alte pareti di pietra, recentemente rimesse a nuovo così come buona parte del resto del castello, e riuscire quasi ad immaginare il gran via vai di studenti che di norma caratterizzava il pian terreno: i ricordi erano riaffiorati vividi come se non se ne fosse mai andato, riuscendo persino a rivedere dolorosamente i volti di vecchi amici e compagni di scuola che cinque anni prima avevano perso la vita.
Saliti molti gradini e giunto finalmente a fronteggiare il gargoyle di pietra che celava l’accesso alla torre più alta Keith aveva pronunciato la parola d’ordine che gli era stata indicata nella lettera ricevuta la settimana precedente, contenente un invito a cui ancora stentava a credere. Un sorriso aveva sollevato di poco gli angoli delle sue labbra nel venire colto dal ricordo della parola d’ordine che la stessa donna che si stava apprestando ad incontrare aveva pronunciato per lui quindici anni prima, il nome di un dolce a base di limone che avrebbe destato il riso nel giovane studente se solo non fosse stata troppa la paura della reazione che un gesto tanto irrispettoso avrebbe destato. Pronunciata quella tremenda parola che avrebbe scommesso essere gaelico Keith aveva guardato il gargoyle spostarsi e rivelare una stretta scala a chiocciola di pietra che non aveva esitato a salire, trovandosi infine a fronteggiare quella massiccia porta di legno che ora stentava a voler aprire.
Udire il secco invito pronunciato da una voce femminile invecchiata dal tempo ma ancora molto familiare lo costrinse ad afferrare il battente di bronzo e a spingere la porta, sempre ripetendosi che ormai Minerva McGranitt tanto poteva ma non metterlo in punizione.
L’ufficio era rimasto grossomodo lo stesso di quindici anni prima: davanti a lui si aprì una stanza ampia e di forma circolare, le pareti di pietra che sopra di lui si chiudevano a cupola ricoperte da dipinti raffiguranti i Presidi del passato. Alle spalle di un divano rivolto verso il camino spento, di due poltrone foderate con tartan verde scuro e alcuni tavolini ingombri da tanti piccoli oggetti Keith vide i gradini di pietra che conducevano al livello più alto dell’ufficio dove si trovavano una massiccia scrivania dall’aria pesantissima affiancata da due rampe di scale ricurve speculari e naturalmente anche l’attuale Preside, che a giudicare dall’occhiata eloquente che scoccò in direzione di un dipinto sembrò aver interloquito con qualche suo predecessore fino ad un attimo prima.
“Buongiorno Professoressa.” Keith esitò sulla soglia mentre lasciava che la porta si chiudesse alle sue spalle con un lieve tonfo, indeciso se togliersi o meno il guanto ben sapendo che il gesto di tenerlo sarebbe potuto facilmente essere interpretato come segno di cattiva educazione. L’anziana strega che sedeva dietro la scrivania tuttavia, i capelli sottili simili a fili argentei legati stretta sulla nuca esattamente come Keith ricordava, gli fece cenno di avvicinarsi senza badare di una sola occhiata le sue mani:
“Buongiorno Keith. Prego, siediti pure.”
Keith non ricordava di averla mai sentita rivolgersi a lui chiamandolo per nome, e la cosa contribuì ad accrescere il senso di straniamento che provava mentre attraversava in silenzio la stanza, abituato ad obbedire agli ordini, per raggiungere la sedia di legno dall’alto schienale rigido che Minerva McGranitt gli stava indicando. Nel passaggio gli sembrò di scorgere con la coda dell’occhio la sagoma familiare del Cappello Parlante, ancora più consunto e rattoppato di quanto ricordasse, appollaiato in cima ad un’alta libreria e intento a sonnecchiare, ma tornò rapidamente a focalizzare tutta la sua attenzione sulla Preside mentre saliva i gradini di pietra, sedendosi senza dire una parola.
“Immagino che ti starai chiedendo perché ti ho chiesto di incontrarci.”
Keith si limitò ad assentire con un muto cenno del capo – quella donna non amava essere interrotta –, decidendo di lasciare a lei le redini della conversazione mentre con la mano sinistra si tormentava piano, ormai un gesto diventato abitudinario, il cuoio del guanto che gli fasciava la destra.
“Alla fine dello scorso anno scolastico il Consiglio ha avanzato una proposta che ho accolto a mia volta. E ho subito pensato che un Auror avrebbe fatto al caso nostro.”
Dal primo cassetto della massiccia scrivania di legno la Preside tirò fuori un numero della Gazzetta del Profeta dall’aria molto, molto vecchia e ingiallita, protetto dal vetro della cornice che lo conteneva. Minerva sistemò la cornice sulla scrivania per consentire al suo ospite di leggere il titolo dell’articolo e di guardare la fotografia in movimento riportata, prendendosi quegli attimi per scrutare a sua volta il bel volto dell’Auror che le sedeva di fronte in cerca di una reazione non verbale. Lo sguardo attento di Minerva colse il leggero guizzo negli occhi grigio-azzurri di Keith e il rapido movimento delle sue sopracciglia, che si sollevarono verso l’attaccatura dei folti capelli scuri lunghi quasi fino alle spalle inarcandosi. Lo aveva colto di sorpresa, di questo ne fu certa. E anche prima di sentire la sua risposta – ovvero che avrebbe avuto bisogno di qualche giorno per pensarci – seppe di aver trovato una delle persone di cui lei e la sua amata scuola avevano bisogno.
Minerva concesse a se stessa e al suo ospite un raro accenno di sorriso. Dopodiché gli offrì uno zuccotto da una scatola di metallo.
 


 
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31 Agosto 2003
Cardiff
 
 
La camera da letto di Autumn Erwood si sarebbe potuta universalmente definire un completo disastro: le pareti rosso pallido racchiudevano un letto da una piazza e mezza sfatto, con lenzuola verde salvia aggrovigliate e cuscini colorati gettati alla rinfusa sui vari angoli del materasso, un comodino la cui superficie non era più visibile da tempo e una scrivania addossata al di sotto di una finestra a bovindo ricoperta da quaderni, libri e penne d’oca tenute insieme da degli elastici color mattone. Esattamente come la poltrona verde dallo addossata in un angolo della stanza, accanto ad uno specchio a pavimento dalla cornice di legno dal quale penzolava una t-shirt nera dei Rolling Stones, la sedia sistemata davanti alla scrivania veniva impiegata più di frequente per accogliere cumuli di vestiti piuttosto che come seduta, un comportamento che la madre di Autumn recriminava alla figlia più o meno dal secondo giorno di vacanze estive: non a caso se avesse dovuto essere del tutto onesta la giovane strega si sarebbe dichiarata felice di tornare a scuola anche solo per poter tornare ad usare i piedi del letto e le sedie come armadi improvvisati senza che nessuno glielo rimproverasse.
La porta bianca, la cui facciata interna era quasi del tutto coperta da un enorme poster dei Green Day, venne spalancata facendo cadere con un lieve tonfo un borsone di tela rosso sul pavimento, ma anziché curarsene Autumn varcò la soglia della sua camera e si richiuse l’anta alle spalle per zittire l’eco della voce della madre proveniente dal piano di sotto, facendo il verso a lei e ai suoi rimproveri in merito al disordine che la ragazza sembrava capace di generare solo mettendo piede in una stanza: Autumn sapeva di essere dotata di poteri magici dal giorno in cui aveva compiuto undici anni, ma talvolta si domandava ancora se oltre ai normali poteri da strega non avesse anche un qualche particolare e raro dono legato alla creazione del caos.
La ragazza scavalcò il borsone che conteneva i suoi pattini a rotelle, un cumulo di vinili e la pila di orribili libri che le erano stati assegnati da leggere per le vacanze per raggiungere il proprio letto, addossato in un angolo della stanza quadrata. Con noncuranza sollevò le lenzuola e acciuffò Chestnut, il gatto fulvo che aveva maturato la sgradita abitudine di sgusciare sotto le sue coperte riempiendole il letto di peli, per metterlo sul pavimento e infine stravaccarsi sul materasso facendo rovinosamente cadere una pila di jeans appena lavati sul parquet. Autumn a stento se ne accorse, troppo occupata a premere i tasti del telefono cordless nero che aveva portato con sé dal piano di sotto per comporre un numero che ormai conosceva a memoria; se lo accostò all’orecchio destro e ascoltò gli squilli alzando lo sguardo sul poster che aveva attaccato sopra al suo letto, studiando distrattamente il volto pallido di Billie Joe Armstrong, che dalla sua prospettiva appariva a testa in giù, prima che una gentile voce femminile rispondesse destando un sorriso allegro sulle labbra dell’adolescente, che non tardò ad annunciarsi:
“Salve Winnie! C’è Håkon? Dovrei chiedergli una cosa.”
Autumn chiamava talmente spesso a casa che ormai Winnie sapeva riconoscere il numero solo con una rapida occhiata, ma come sempre sorrise e salutò la ragazza prima di assicurarle che le avrebbe passato il figlio al più presto. La Grifondoro, sempre distesa supina sul suo caoticissimo letto, iniziò a giocherellare distrattamente con la collanina dorata con piccoli pendenti rossi che portava al collo mentre sentiva la donna ciabattare sui gradini delle scale e chiamare gridando il nome del figlio, intimandogli di sbrigarsi e di prendere il telefono. Autumn sentì distintamente il borbottio con cui Håkon raggiunse la madre per prenderle di mano il telefono, e un sorriso divertito le allargò le labbra carnose giusto in tempo per sentire la familiare e profonda voce dell’amico:
“Ciao Autumn.”
“Ciao bello, come va? Senti, volevo chiederti se domani il treno parte alle 11, perché non mi ricordo bene.”
Autumn smise di giocherellare con la sua collana per passare a tormentarsi una delle lunghe ciocche di capelli ramati che ricadevano sul cuscino e attorno al suo viso lentigginoso, attorcigliandosela attorno all’indice pallido e calloso mentre Håkon, dall’altro capo del telefono, sospirava con controllata rassegnazione:
“Parte alle 11 dal 1830, Autumn, da quando lo hanno costruito ed è partito per la prima volta.”
“Ah sì? Pensa te.”
A moltissimi chilometri di distanza, in Inghilterra, Håkon alzò gli occhi scuri al cielo mentre si chiudeva alle spalle la porta della sua camera, discretamente in ordine e quasi del tutto svuotata in vista dell’imminente partenza per Hogwarts. Il ragazzo attraversò la stanza camminando sul parquet chiaro fino a raggiungere scrivania e sedia girevole nera, lasciandosi scivolare piano sulla seduta dall’alto schienale prima di tornare a rivolgersi all’amica fissando assorto la porzione di spiaggia e oceano visibili dalla sua finestra. Doveva ammettere che quella vista, che sapeva evocare in lui un senso di pace ineguagliabile, gli sarebbe mancata una volta trovatosi nella cupa e grigia Scozia.
“Sai, data e ora della partenza vengono scritte nella lettera con la lista dei libri da comprare. Quella che arriva ogni estate.”
A Cardiff Autumn aggrottò le sopracciglia: era certa di averla ricevuta e aperta quella lettera, altrimenti come avrebbe fatto a comprare il necessario per l’ultimo anno? Quanto però a dove l’avesse imbucata, Autumn non ne aveva la più pallida idea.
“Ah sì, mi ricordo di averla vista, ma non ho idea di dove sia finita. Forse sotto i diecimila libri che ho sulla scrivania, immagino che salterò fuori quando avrò finito con i bagagli.”
“Hai ancora il baule aperto con i libri dello scorso anno che non hai mai tirato fuori e tutto sparso in giro, immagino.”
Al sentire le parole dell’amico lo sguardo di Autumn vagò sul resto della sua caotica stanza: Chestnut stava impastando sulla coperta della Nazionale di Quidditch Gallese caduta sul pavimento e sull’enorme drago rosso su di essa riportato, le sue cose erano disseminate in ogni angolo e il suo baule giaceva effettivamente aperto e quasi vuoto davanti all’armadio a muro: le uniche cose che fino a quel momento aveva tentato di riporre al suo interno erano stati i beni di prima necessità, ovvero i ferri da maglia, la scopa e la custodia della sua chitarra, quest’ultima con scarsi esiti positivi.
“No, macché, sono a metà strada. Sei davvero un malfidente, Håkon Jørgen!”
 


 
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Oxford
 

Contemporaneamente nella città dalle sognanti guglie, tra college di epoca medievale, antiche biblioteche e splendidi esemplari di architettura gotica un ragazzo affrontava il suo ultimo pomeriggio a casa chino sulla sua scrivania, un paio di occhiali dalla sottile montatura dorata inforcati e una penna a sfera nera in mano. Impegnato a finire di scrivere una lettera di risposta a quella che un’ora prima Stoker, il suo gufo grigio, gli aveva recapitato, Sawyer si aggiustò la montatura degli occhiali sul naso quando essi minacciarono di scivolare in avanti come alcune ciocche di capelli biondi che gli erano finite davanti al viso, lieto di aver deciso di optare per l’utilizzo di una penna a sfera anziché di una tradizionale penna d’oca che gli avrebbe concesso di finire la sua lettera molto più rapidamente: il suo baule giaceva aperto sul letto e quasi del tutto pieno, ma sparsi in giro per la camera, sul comodino, sulle due librerie e persino sul bordo della scrivania c’erano ancora libri e oggetti, come la sua amata scacchiera, una pila di taccuini di pelle con l’elastico tutti uguali, una foto di famiglia racchiusa da una cornice nera e un astuccio di cuoio contenente la sua collezione di matite, che attendevano silenti di essere riposti per seguirlo in Scozia.
Mentre Stoker sonnecchiava sul suo trespolo riposandosi dal breve viaggio compiuto una piccola gatta nera giaceva acciambellata sulle gambe del padrone, dormendo pacificamente a sua volta mentre l’unico rumore nella stanza era costituito dal lieve fruscio che la punta della penna produceva a contatto con la carta: non era abitudine di Sawyer usufruire della pergamena al di fuori delle mura scolastiche, anzi reputava l’ossessione dei maghi per l’impiego di quel materiale piuttosto ottusa e anacronistica.
Aveva finito la sua lettera e stava rileggendo le righe appena scritte per accertarsi dell’assenza di sgraditissimi errori quando qualcuno bussò gentilmente alla porta chiusa della camera, aprendola un attimo dopo: voltandosi verso l’ingresso i brillanti occhi azzurro-verdi di Sawyer indugiarono attraverso le lenti degli occhiali sulla silhouette longilinea ed elegante della donna bionda in piedi sulla soglia, i capelli color grano fissati sulla nuca con uno chignon e un paio di orecchini pendenti d’oro con perle che le incorniciavano graziosamente il viso.
“Sawyer? Vuoi una tazza di tè?”, domandò sua madre inclinando leggermente la testa di lato e con un lieve accento tipico del Sud del Paese che Sawyer, cresciuto facendo avanti e indietro dalla East Coast degli Stati Uniti, non aveva mai assorbito.  
“Sì, grazie. Finisco di rispondere a Phil e scendo.”  Il ragazzo parlò accennando con gli angoli della labbra un sorriso che Victoria ricambiò prima di allontanarsi dall’uscio per tornare al pian terreno dell’elegante townhouse vittoriane di mattoni rossi, lasciando solo il figlio mentre questi riponeva la penna sul ripiano della scrivania di noce per ripiegare la lettera in tre parti uguali e infilarla in una delle tante buste bianche che custodiva in uno dei cassetti insieme a tutto l’occorrente per scrivere. Sawyer chiuse la busta e scarabocchiò in fretta nome e indirizzo del destinatario sul retro prima di chinare lo sguardo sulla gatta che gli sonnecchiava sulle ginocchia, grattandole affettuosamente le orecchie prima di, non senza un po’ di rammarico, sollevarla delicatamente per metterla sul pavimento e consentirgli di alzarsi in piedi:
“Scusa Rain.”, mormorò con tono contrito il giovane mentre accarezzava la piccola testa color pece della gatta, che sbattè le palpebre prima di guardarsi attorno spaesata con i grandi occhi verdi, come cercando di capire cosa fosse successo e perché l’avessero destata dal sonno. Gettata una rapida occhiata offesa al padrone Rain decise di balzare sul letto, sistemandosi sulla soffice coperta grigia ai suoi piedi per impastare e tornare a dormire mentre Sawyer, finalmente in piedi, si dirigeva verso il trespolo di Stoker per svegliare anche il suo secondo animale domestico. Come Rain anche Stoker non fu lieto di essere destato dal suo riposo rigeneratore, ma qualche carezza bonaria lo persuase a non cercare di mordere l’indice di Sawyer mentre il ragazzo gli legava la lettera ad un artiglio chiedendogli gentilmente di portarla a Londra, esattamente per dove era passato già una volta quello stesso giorno.
“Lo so, non guardarmi così… Ma non è un viaggio lungo per Londra, altrimenti non te lo chiederei.”
Al suo gufo Sawyer riservò lo stesso sorriso seducente e amabile che era solito usare con gli insegnanti, con i genitori – quando veniva beccato ad infrangere il coprifuoco – e con le ragazze. Di certo era assurdo, si disse il ragazzo mentre apriva la finestra che si affacciava sui tetti e sulle guglie del centro storico di Oxford per consentire a Stoker di spiccare il volo sull’antica città, ma per un istante gli parve come di vedere il suo gufo alzare gli occhi al cielo.
 
 
 
 
 
 
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Angolo Autrice
 
 
Non credevo che sarei mai tornata ad Hogwarts e invece, sei anni dopo, rieccomi qui, in parte a chiudere un cerchio.
Questa storia, che avrei dovuto pubblicare più avanti finendo col farmi vincere dal bisogno di qualcosa di nuovo, nasce da due idee distinte che un bel giorno ho realizzato fosse perfettamente fattibile fondere e unire in uno stesso progetto, è infatti il prequel di Phoenix Feather Camp e allo stesso tempo una sorta di reboot, anche se la si può considerare a tutti gli effetti un sequel essendo ambientata sempre nello stesso universo, di Magisterium.
Come accadeva in entrambe le storie sopracitate ci saranno sia studenti che insegnanti e tra i personaggi figureranno alcuni nomi e volti già noti a chi ha letto o partecipato al Camp, ovvero Margot Campbell, Philip MacMillan e Håkon Jørgen, questa volta nelle vesti di studenti: la storia è ambientata nei primi anni 2000, quando Margot e Phil si accingono ad iniziare il loro sesto anno ad Hogwarts e Håkon l’ultimo. Gli insegnanti che faranno parte della storia invece riprenderanno il ruolo che avevano in Magisterium, ovvero non saranno dei veri e propri docenti di professione ma soggetti esterni alla scuola che vengono chiamati dalla Preside, questa volta chiaramente la McGranitt e non Armando Dippet, per tenere dei corsi di approfondimento, ovviamente legati alle loro professioni e conoscenze, per gli studenti più grandi.
Nell’introduzione ho definito la storia “Semi-interattiva”, etichetta che ho scelto di affibbiarle perché qualora non ricevessi o prendessi abbastanza personaggi per scriverla mi riservo la possibilità di aggiungerne altri creati da me. Potrebbe quindi essere una storia come tutte le altre che ho scritto in passato oppure potrebbe semplicemente contare un numero maggiore di OC miei rispetto a quanto accade di solito.

 
Regole

 
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 31/01, come sempre avete tempo fino alle 19 di quel giorno per mandarmi le schede e come sempre se avete bisogno di più tempo basta chiederlo, possibilmente non il giorno prima/giorno stesso.
  • Non accetto personaggi con ascendenze Veela, accetto Metamorphmagus e Animagus (quest’ultima categoria solo per quanto riguarda gli insegnanti, al massimo uno studente può voler intraprendere il percorso per riuscire a diventarlo)
  • Sono incline a non accettare personaggi affetti da patologie psichiatriche, potete mandarmi personaggi affetti da nevrosi o neurodivergenze ma se decidete di farlo formulate idee e scheda con criterio e dopo una dovuta informazione a riguardo, altrimenti non le prenderò in considerazione.
  • Le “categorie” di personaggi saranno tre, potete mandarmi studenti del VI anno, del VII o insegnanti.
  • Come sempre ognuno può mandarmi al massimo due OC, possibilmente ma non obbligatoriamente di sesso diverso, in questo modo distribuiti:
  • Accetto due studenti, anche della stessa età, ma mi riservo la possibilità di cambiare l’anno di studio qualora ne avessi bisogno.
  • Accetto uno studente e un insegnante
  • Non accetto due insegnanti
             Come sempre sono ben accetti legami di parentela tra i personaggi.
  • Contando i personaggi che, miei e non, fanno già parte della storia non vorrei prenderne più di altri 11, presumibilmente 8 studenti e 3 insegnanti.
  • L’età degli insegnanti deve essere compresa tra i 30 e i 40 anni. Possono non essere britannici di nascita e quindi aver studiato in altre scuole a parte Hogwarts, ma al momento d’inizio della storia devono vivere e lavorare in Gran Bretagna o in Irlanda.
  • Vale come sempre la regola dei due e dei tre capitoli: se non commentate due capitoli di fila nel terzo i vostri personaggi non appariranno, o al massimo verranno solo nominati di sfuggita; se qualcuno non dovesse farsi vivo nemmeno dopo la pubblicazione del terzo capitoli nel quarto l’OC/gli OC verranno eliminati. Se poi doveste rendervi conto che per un dato quantitativo di tempo avreste molte difficoltà a commentare basta che me lo diciate e i vostri personaggi appariranno normalmente, per me non ci sono problemi, basta avvisare. Per essere chiara, con questo intendo che dovete esplicitamente scrivermi “per un mese/fino a giorno X non commenterò”, che è diverso da “scusa per il ritardo/arriverò”. Specifico anche che con “commentare” non intendo che dovete necessariamente recensire un capitolo qui su Efp, se mi commentate un capitolo in privato va bene ugualmente, ma, sempre per essere chiara, con questo non voglio dire che se mi scrivete solo “Il capitolo mi è piaciuto” dopo ogni aggiornamento siete autorizzat* ad avere i vostri personaggi in ogni capitolo della storia senza mai scrivermi qualcosa di più articolato.

 
Le materie

 
Quali materie dovranno insegnare i professori protagonisti della storia? Non quelle “canoniche” viste nella saga, ma come detto in precedenza e come in Magisterium dei corsi “extra” e un po’ più approfonditi che dovrebbero essere in qualche modo legati alle professioni vere e proprie degli “insegnanti”.
Vi lascio una lista con dei suggerimenti, ma se per caso qualcuno dovesse avere altre idee proponete pure.
  • Veleni e antidoti
  • Nozioni basilari di Medimagia
  • Storia magica europea
  • Duello
  • Magia Oscura (studio dei principali maghi oscuri, delle maledizioni e su come scioglierle)
  • Botanica orientale  
Dopo la selezione vi chiederò di indicare quali di questi corsi extra seguiranno i vostri personaggi, mentre nella scheda dovrete solo scrivere quali materie “canoniche” studia (dal sesto anno possono abbandonare dei corsi, quindi non devono per forza seguirle tutte, ma vi prego di mandare studenti di Divinazione da poter orrire in sacrificio alla Pipistrella Cooman).

 
Attività & Club

 
Queste le attività extra che possono occupare il tempo dei ragazzi:
  • Quidditch
  • Giornale della scuola
  • Club di Scacchi
  • Possono “lavorare” come assistenti nelle serre o in Biblioteca
Non abbandonerò mai il vecchio Luma, che naturalmente insegna ancora Pozioni ed è Vicepreside, pertanto ci sarà anche il Lumaclub. Ma, come direbbe Charlotte Selwyn, questa non è una scelta quanto più una condanna.
 

Scheda studenti:
 

Nome ed eventuale soprannome:
Anno:
Casa:
Compleanno:
Ruolo o attività extrascolastica:*
Stato di sangue:
Prestavolto:
Aspetto fisico:
Segni particolari:* (allergie, cicatrici o segni di qualsiasi genere, tic nervosi, gesti o espressioni verbali abitudinari, modo di camminare o di parlare, ecc)
Personalità:
Background e famiglia:
Hobby/talenti/cose che ama:
Fobie/debolezze/cose che detesta:
Materie che studia, in quali va meglio e in quali un po’ meno:
Orientamento sessuale:
Persone con cui potrebbe andare d’accordo o meno:
Situazione sentimentale e persone che potrebbero piacergli:
Bacchetta:
Amortentia:
Patronus:
Animale:* (gatti, gufi, ranocchi o piccoli roditori)
Altro:*
 
I ruoli di Battitori di Grifondoro e di Prefetto (maschile) per Corvonero sono occupati, per il resto avete campo libero. Ricordo che due studenti del VII anno, un ragazzo e una ragazza, possono anche essere Caposcuola.
 

Scheda insegnanti

 
Nome ed eventuale soprannome:
Età:
Ex Casa: (se non ha studiato ad Hogwarts scrivere la scuola)
Compleanno:
Nazionalità:
Stato di sangue:
Prestavolto:
Aspetto fisico:
Segni particolari:* (allergie, cicatrici o segni di qualsiasi genere, tic nervosi, gesti o espressioni verbali abitudinari, modo di camminare o di parlare, ecc)
Personalità:
Professione:
Materia che insegna:
Background e famiglia: (una parentesi sul suo percorso ad Hogwarts sarebbe molto gradita, se volete anche con qualche riferimento agli insegnanti canonici della saga visto che molti sicuramente già insegnavano)
La storia è ambientata nel 2003, solo cinque anni dopo la fine della saga, vorrei sapere qualcosa su come ha vissuto i due anni di guerra: (solo è britannico/irlandese e se viveva nel Regno Unito, se il vostro OC è straniero e all’epoca viveva all’estero potete saltare il punto)
Hobby/talenti/cose che ama:
Fobie/debolezze/cose che detesta:
Orientamento sessuale:
Persone con cui potrebbe andare d’accordo o meno:
Situazione sentimentale, se è già impegnat* o persone che potrebbero piacergli:
Bacchetta:
Amortentia:
Patronus:
Animale:* (gatti, gufi, ranocchi o piccoli roditori)
Altro:*

 
I miei personaggi (con l’aggiunta di Håkon):

 
Keith Whiteoak
Auror, 32 anni, ex Corvonero, Mezzosangue, inglese, Eterosessuale
Insegnante di Occlumanzia e Legilimanzia
 
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Ci tiene a far sapere che il suo nome non si pronuncia come “Kate” ma “Keeth”
 

Autumn Anne Erwood
VII anno, Grifondoro, Battitrice, Nata Babbana, gallese, Eterosessuale
 
autumn autumn-2

Minerva McGranitt è del tutto certa che, dati i capelli rossi, la Casa e la naturale inclinazione a mettersi nei guai sia imparentata alla lontana con i Weasley. Nulla è stato comprovato, quel che è certo e che la si può sempre trovare in punizione.
 

Sawyer Archibald Rhodes
Rhodey
VII anno, Corvonero, membro del Club di Scacchi, Mezzosangue, anglo-statunitense, Eteroflessibile
 
sawyer sawyer-2

Sawyer è un amabile e affascinante trasgressore delle regole dall’animo romantico. Ama la pioggia e porta con sé un libro, un ombrello nero e una sciarpa a quadri praticamente ovunque vada.
 

Philip Francis MacMillan
Phil (o Phineas?)
VI anno, Corvonero, Prefetto, membro del Club di Scacchi, Purosangue, inglese, Eterosessuale
Con ogni probabilità è attualmente lo studente con il QI più alto della scuola. Ama solo quattro cose: i dolci, l’ananas, suo fratello e le rune, odia tutto il resto. Non chiamatelo mai Phineas.
 

Margot Maeryn Campbell
Margi
VI anno, Tassorosso, membro del Giornale, Nata Babbana, scozzese, Eterosessuale
Se un girasole si personificasse probabilmente questo sarebbero l’aspetto e la personalità che avrebbe. Margi è dolcissima e affettuosa, o almeno finchè non si insulta Star Wars.

 
Håkon Ivar Jørgen
VII anno, Grifondoro, Battitore, Mezzosangue, anglo-danese, Bisessuale
Håkon detesta i soprannomi, ma in compenso ama i biscotti al burro. Vorrebbe tanto saper suonare la chitarra.
 

 
 
Non ho inserito nessuna foto per Phil, Margot e Håkon per ovvi motivi: i loro prestavolto sono stati pensati per il Camp e di conseguenza per personaggi trentenni. Se qualcuno non dovesse aver presente i loro volti e volesse rimediare può dare un’occhiata al Prologo/Selezione OC della sopracitata storia.
Ringrazio Bea per avermi “ceduto” Håkon una seconda volta, chi ha letto il Prologo e chi volesse partecipare, se avete domande come sempre chiedete pure❤️
Buon Natale!
Signorina Granger


 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***



Capitolo I  


binario

 
Lunedì 1 settembre
King’s Cross Station

 
 
 
Quel lunedì mattina – che almeno in teoria per lei avrebbe dovuto rappresentare una delle giornate più importanti di tutto l’anno – si stava brutalmente rivelando un completo disastro: Claudia sollevò il mento per far sì che il suo sguardo indugiasse sull’altissimo soffitto che sovrastava lei e chiunque si trovasse all’interno della stazione londinese, sfiorando con le cangianti iridi celesti la tettoia di ferro battuto che ricordava la forma di un gigantesco arco sperando con tutta se stessa nell’apparizione improvvisa di un qualche segno in grado di dirle cosa fare.
In realtà nemmeno l’americana avrebbe saputo dire con certezza a cosa le sue esigue speranze rimaste si stessero aggrappando con tanta intensità: il movimento fluido e sinuoso delle ali di un gufo? Un messaggio pronto a cadere ai suoi piedi dall’alto? La stessa Claudia non sapeva bene che cosa aspettarsi, tutto ciò in cui sperava era di non perdere il treno che avrebbe dovuto condurla ad Hogwarts, una speranza che si faceva progressivamente più flebile insieme al ticchettio del suo orologio da polso con il sottile cinturino di cuoio, le cui lancette sembravano più che felici di ricordarle quanto poco ormai mancasse allo scoccare delle 11.
La strega chinò tristemente lo sguardo distogliendolo dalla tettoia di King’s Cross per gettare un’ultima, rassegnata occhiata alla lettera che stringeva nella mano destra insieme al suo biglietto per l’Espresso per Hogwarts, biglietto che forse, di quel passo, nemmeno le sarebbe servito: le istruzioni per raggiungere la celebre scuola britannica le erano state recapitate insieme al biglietto una settimana prima, esattamente come la Preside le aveva preannunciato al termine del loro secondo colloquio di luglio, istruzioni che l’avevano caldamente invitata a raggiungere la stazione storica e di prendere il treno delle 11 al binario 9¾. Sul momento, presa dall’entusiasmo e dalla frenesia di ultimare i preparativi in vista della partenza, Claudia non ci aveva fatto caso. Solo un paio d’ore prima, quando aveva lasciato la camera d’albergo in cui aveva trascorso la notte precedente, dopo essere atterrata a Londra nel tardo pomeriggio, si era resa conto di non aver mai sentito parlare di binari contrassegnati da una frazione.
La strega aveva cercato di mettere a tacere i primi dubbi mentre faceva colazione, mentre lasciava l’albergo e fermava un taxi diretto a King’s Cross riflettendo sulle celebri bizzarrie adducibili al popolo britannico: non erano forse loro a guidare dal lato sbagliato della macchina e della strada e che avevano decretato illegale passare a miglior vita all’interno del Parlamento? Probabilmente avevano anche dei numeri tutti loro per contrassegnare i binari ferroviari.
Tristemente, una volta giunta a King’s Cross Claudia era stata costretta ad appurare l’inesattezza delle sue conclusioni: i binari ferroviari della stazione sembravano in tutto e per tutto identici a quelli che aveva visto in tutto il resto del mondo, contrassegnati solo ed esclusivamente da numeri interi. Il binario 9 e il binario 10 si trovavano esattamente uno accanto all’altro, ed era proprio sulla banchina del primo che Claudia si trovava in compagnia del suo bagaglio – una singola valigia color cognac in cui aveva sistemato e rimpicciolito gran parte dei suoi averi personali – e del suo biglietto ancora sprovvisto di timbro.
Forse non era destino che insegnasse ad Hogwarts, si era detta la strega con un sospiro rassegnato mentre continuava insistentemente a tormentare il biglietto con le dita studiando il via vai di passanti in mezzo a cui si era fermata, invidiando i no-mag che, a differenza sua, sapevano perfettamente dove trovare il loro treno. Forse se ne sarebbe dovuta tornare negli Stati Uniti, perché di certo se avesse perso il treno Madama Chips si sarebbe offesa, le avrebbe rimproverato aspramente la brutta figura dopo averla personalmente raccomandata alla Preside di Hogwarts e non avrebbe voluto più vederla. Claudia era ormai certa di aver accuratamente previsto il corso degli eventi futuri quando, dopo aver osservato un’anziana signora dai vaporosi capelli bianchi salire sul treno diretto a Glasgow insieme ad un trasportino per gatti, si rese conto di avere un paio d’occhi puntati su di sé.
Diversi metri più avanti, accanto ad una delle barriere di mattoni spartitraffico incolonnate nello spazio tra le due banchine, Claudia scorse una donna che dimostrava più o meno la sua età; nella mano destra stringeva un cellulare a conchiglia scarlatto, quasi avesse appena posto fine ad una conversazione telefonica, e vicino a lei sostava un carrello per bagagli che sosteneva una valigia Bric’s color panna e inserti di pelle, una borsa da viaggio abbinata, un trasportino e qualcosa che, agli occhi di Claudia, apparve come un faro di speranza: una gabbia per uccelli ospitante quello che aveva tutta l’aria di essere un barbagianni appisolato. Non dovevano essere molti i no-mag che viaggiavano con dei gufi, rifletté la strega studiando speranzosa prima la gabbia per uccelli bianca e poi il volto della donna, ma prima che riuscisse a decidersi ad avvicinarsi per parlarle la sconosciuta prese al suo posto l’iniziativa, dirigendosi verso di lei dopo aver chiesto ad un poliziotto di passaggio di controllare il suo carrello.
Impietrita, Claudia guardò con speranza crescente la donna colmare i metri che le dividevano con falcate distese e rilassate che fecero dondolare allegramente i lacci delle scarpe Oxford color cuoio che portava ai piedi, accennando persino un sorriso rassicurante sollevando di poco gli angoli delle labbra rosee e carnose. La donna sfoggiava occhi azzurri molto gradi e capelli di un colore a metà strada tra il castano chiaro e il rossiccio che le sfioravano la fronte in una frangia disordinata, incorniciandole con un paio di ciocche rimaste libere il viso dai lineamenti dolci, e a Claudia non restò che guardarla avvicinarsi stringendo nervosamente il manico del suo trolley sperando che potesse indicarle la direzione giusta per raggiungere il binario.
“Salve. Deve… deve per caso andare in Scozia?”
La sconosciuta le si fermò di fronte e dopo un’iniziale esitazione, quasi fosse alla ricerca delle parole giuste, accompagnò il suo sorriso con una domanda che Claudia aveva sperato di sentirsi rivolgere da un passante da quando aveva raggiunto i binari. L’americana, dopo aver riflettuto brevemente su come quella voce dal suono vellutato, che tradiva anche un lievissimo accento straniero, si accompagnasse magnificamente all’aspetto grazioso della sconosciuta più bassa di lei di alcuni centimetri, annuì guardandola con le iridi cangianti improvvisamente accese dal sollievo:
“Sì.”
Le labbra carnose della sconosciuta si distesero ulteriormente all’udire la sua risposta, e Claudia guardò il suo sorriso cortese allargarsi prima che la strega annuisse con un allegro guizzo nei grandi occhi azzurri. Alle sue spalle, invece, il poliziotto gettava occhiate stranite al barbagianni appisolato all’interno della gabbia.
“Lo sospettavo… Anche io! Mi era parso di scorgere lo stemma di Hogwarts sul retro della lettera. Sono Marjory.” La strega le tese senza indugio la mano destra e Claudia la imitò abbozzando un sorriso mentre porgeva la propria, lasciando che la futura collega gliela stringesse con una presa gentile quanto energica.
“Claudia.”
“Sei americana? Oh, poverina, ecco perché non sapevi dove andare! Si sono scordati di scriverti come raggiungere il binario? Non ti preoccupare, lo scordano sempre, a volte mi chiedo se non ci sia qualche Nato Babbano che non è mai riuscito a trovare il treno e ad arrivare a scuola.” Dopo aver scosso il capo con aria di disapprovazione Marjory invitò l’americana a seguirla per mostrarle in che modo raggiungere il binario 9¾ prima di darle le spalle, e Claudia la guardò iniziare ad incamminarsi verso il suo carrello prima di affrettarsi a seguirla insieme alla sua valigia, affrettando il passo scandito dai tacchi bassi delle mary jane color crema che portava ai piedi per adeguarsi a quello della nuova collega. Marjory, nel frattempo, continuò a parlare:
“Per fortuna mi sono fermata per chiamare mia madre, altrimenti non ti avrei visto… di là la tecnologia non funziona.”
Dal tono eloquente della strega Claudia intuì che con l’espressione “di là” si stesse riferendo ad una qualche conoscenza comune che avrebbe dovuto possedere a sua volta, ma non volendo fare fino in fondo la figura della sprovveduta si limitò ad annuire, fingendo di aver capito mentre Marjory ringraziava con un sorriso allegro il poliziotto per averle tenuto d’occhio il carrello, riprendendone il controllo mentre l’uomo in divisa, dopo aver rivolto un pacato cenno di saluto ad entrambe, si allontanava gettando un’ultima occhiata perplessa al gufo della strega.
“Per raggiungere il binario dobbiamo passare attraverso la barriera. Rilassati,” – mentre spostava il carrello per rivolgerlo verso la colonna di mattoni Marjory venne scossa da una lieve risatina al scorgere l’orrore dipingersi sul volto dell’americana – “prometto che non ti frantumerai il viso. Begli zigomi, a proposito.”
“Emh… grazie.” Impreparata ad un complimento Claudia si sentì arrossire leggermente mentre si sforzava di accogliere le istruzioni di Marjory con la massima fiducia, dicendosi che dopotutto, avendo studiato di certo ad Hogwarts, la strega aveva la competenza adatta per indicarle come raggiungere il binario. Non poté tuttavia esimersi dal deglutire nervosamente mentre la seguiva: dopo essersi assicurata che nessuno stesse facendo caso a loro Marjory stava spingendo in tutta calma il suo pesante carrello dirigendosi verso la barriera, e l’americana finì inevitabilmente col temere di schiantarsi contro quei mattoni dall’aria per nulla soffice. D’istinto Claudia serrò con decisione le palpebre appena prima del presunto impatto, scontro che fortunatamente non si verificò: quando udì la voce delicata di Marjory suggerirle di aprire gli occhi insieme ad una seconda risata cristallina Claudia obbedì, e ciò che vide la lasciò senza parole: accanto alla banchina non sostava più un moderno treno ad alta velocità, bensì una splendida locomotiva a vapore d’epoca scarlatta, e un cartello alla testa del treno recitava ciò che l’americana bramava di leggere da quando aveva messo piede all’interno della stazione: Espresso per Hogwarts.
Meravigliata e improvvisamente sollevata – avrebbe giurato di sentirsi più leggera di almeno un paio di chili – Claudia si voltò verso la barriera che avevano appena oltrepassato, ma anziché un muro di mattoni si ritrovò ad osservare un alto arco di ferro battuto con su scritto Binario 9¾. Ce l’aveva fatta, e forse, si disse mentre dava nuovamente le spalle all’arco per rivolgersi a Marjory con un sorriso grato, il segno che aveva aspettato le si era presentato con la parvenza di una donna dal lieve accento francese e grandi occhi chiari.
“È meraviglioso… Grazie Marjory.”
“Puoi chiamarmi Jo, se ti va. Ora dobbiamo solo sgomitare in mezzo a tutta questa gente e salire sulla prima carrozza del treno. Di norma la riservano ai Prefetti, li avranno fatti sloggiare per lasciare a noi la carrozza migliore.”
Per la seconda volta Marjory riprese a spingere il suo carrello costringendo Claudia a seguirla, e per la seconda volta l’americana non solo non si fece pregare e affrettò il passo temendo di perdere di vista la collega in mezzo al gran via vai di studenti, famiglie, bauli e gabbie che ospitavano ogni genere di gufi, ma si appuntò anche mentalmente di capire chi esattamente fossero i “prefetti” senza osare chiederlo direttamente a voce alta. Mentre lei e Marjory avanzavano lungo la banchina per raggiungere la prima carrozza della locomotiva l’americana si rassettò invece la spalla per spolverarsi con lieve nervosismo il trench color panna legato stretto sulla vita sottile, guardandosi attorno alla ricerca di altri nuovi colleghi proprio mentre una ragazza dai capelli rossi di passaggio munita di pattini a rotelle rischiava di investire un’anziana signora e il suo improbabile cappellino.
“Gli insegnanti nuovi viaggiano sempre in treno?”, s’interessò l’americana mentre seguiva Marjory impugnando saldamente il manico del suo trolley, temendo di perdere tutti i suoi averi su una banchina di Londra mentre il barbagianni di Marjory, svegliato dal caos che animava il binario, gettava attorno a sé occhiate visibilmente scocciate. Forse rimpiangeva la quiete del suo alloggio precedente, sprovvisto di adolescenti e ragazzini urlanti.
“Quasi mai, che io sappia. Si vede che vogliono regalarci un trattamento speciale. Chissà come sono gli altri nuovi insegnanti, speriamo sia gente simpatica… Non sai quali casi patologici hanno vagato per i corridoi di Hogwarts negli anni. Su una cattedra c’era persino una maledizione!” Fermato il carrello a poca distanza dalla seconda delle due porte del treno che permetteva di accedere alla prima carrozza Marjory iniziò a svuotarlo dei propri averi sollevando la sua bella valigia color crema, acquisto che si era concessa proprio in vista del suo nuovo impiego nella sua vecchia scuola, e parlò scuotendo debolmente la testa mentre Claudia, in piedi accanto a lei, si ritrovava a sgranare improvvisamente gli occhi in un misto di sorpresa ed orrore: una maledizione? E tutte quelle storie su come Hogwarts fosse un posto sicuro?!
“Una maledizione!?”, domandò infatti sgomenta la donna mentre Marjory, per nulla preoccupata, si limitava a liquidare il discorso con un pigro cenno della mano:
“Sì, ma non preoccuparti, acqua passata. Comunque, gran parte degli insegnanti attuali sono gli stessi che insegnarono a me, cosa che mi rincuora perché non mi fa sentire poi così vecchia. Ti dirò tutto quello che serve sapere su di loro e sulla scuola… Sarà divertentissimo, non vedo l’ora!”
Il sorriso vivace che la strega sfoggiò mentre sollevava la gabbia bianca del suo barbagianni per posarla sul cemento della banchina suggerì a Claudia che il suo entusiasmo fosse del tutto sincero, ma prima di salire a bordo dell’Espresso per Hogwarts l’americana non poté fare a meno di chiedersi quali altri sordidi segreti celasse il castello all’interno del quale stava per trascorrere i successivi nove mesi.

 
divisorio

 
Mentre le due neo professoresse di Hogwarts salivano a bordo del treno insieme ai loro averi un ragazzo stava in piedi sulla banchina, le mani sprofondate nelle tasche di una felpa nera e gli occhi scuri impegnati a scrutare attentamente i volti dei tanti studenti e familiari che gli passavano accanto. Håkon aveva già salutato sua madre e suo padre, ma anche dopo aver visto Winnie e Wilhelm allontanarsi dalla banchina per raggiungere l’arco di ferro battuto che li avrebbe ricondotti nella zona Babbana della stazione il giovane era rimasto ad attardarsi vicino al treno in compagnia del suo baule che, con gran disappunto del Grifondoro, contrariamente a tutti gli abiti che conteneva era marrone e non nero. L’anno prima aveva pensato di verniciarlo, ma aveva desistito rapidamente immaginando l’ira della Preside.
La motivazione che stava trattenendo Håkon Jørgen sulla banchina era solo una, e oltre ad un nome aveva lunghi capelli rossi e un viso pieno di lentiggini; erano proprio dei lunghi capelli ramati che Håkon stava cercando di scorgere in mezzo alla folla, ma fino a quel momento non aveva avuto particolare fortuna. In fondo, dovette ammettere a se stesso mentre sospirava rassegnato, la sua migliore amica non era propriamente nota per la sua estrema puntualità.
Håkon stava ormai prendendo in seria considerazione l’idea di far apparire uno sgabello per sovrastare la folla e cercare di individuare la sua amica e compagna di Casa dall’alto quando, all’improvviso e del tutto inaspettatamente, la ressa davanti a lui si aprì creando un varco, come se tutti i passanti avessero simultaneamente deciso di fermarsi e di far passare qualcuno. Lo strano fenomeno trovò per il ragazzo una risposta un attimo dopo, quando dopo un’iniziale confusione scorse una ragazza avanzare in mezzo alla folla con dei pattini a rotelle ai piedi: indossava dei jeans un po’ troppo larghi con rivolti alle caviglie e tenuti stretti in vita da una spessa cintura, una maglietta color ruggine e una giacca di due taglie in più sempre in denim con la parte superiore cosparsa di spillette colorate. Sulla testa spiccavano delle grosse cuffie scarlatte, gli occhi erano celati dalle lenti scure di un paio di occhiali dalla montatura rotonda color oro e una delle mani della strega era impegnata a stringere il manico di un trasportino nero: i pattini bianchi con le ruote cremisi ai piedi e la custodia della sua chitarra sulle spalle, una inconfondibile Autumn Erwood stava intimando acidamente ai passanti di farla passare e di lasciarle spazio, e Håkon guardandola non ebbe alcun dubbio di essere esattamente colui che la sua bizzarra amica stava cercando. Non lo sorprese, infatti, il gridolino eccitato che si librò dalle labbra dischiuse della giovane strega quando Autumn riuscì finalmente ad individuarlo, spingendola a lanciarsi verso di lui con entusiasmo e ad agitare concitatamente entrambe le mani, inclusa quella che reggeva il suo gatto – in quel momento di pessimo umore –. Håkon fece per salutare l’amica, felice di vederla quanto rassegnato di fronte alla sua totale incapacità di agire con il minimo di discrezione di norma implicitamente richiesto al popolo britannico, ma prima di trovare le parole si rese conto con orrore di quanta velocità Autumn avesse accumulato, finendo col precipitargli addosso senza riuscire a frenare. Fortunatamente Håkon riuscì ad impedire ad entrambi di cadere rovinosamente sul cemento della banchina afferrando l’amica per la vita sibilando un’imprecazione, trattenendone la caduta mentre Chestnut, sballottolato senza ritegno, si lamentava furiosamente dal suo trasportino. Abile pattinatrice, Autumn si raddrizzò in tempo record, e si aggiustò la montatura degli occhiali sul naso prima di guardarsi attorno con nonchalance, del tutto incurante della figuraccia e caduta scampate per un soffio:
Cazzo, mi sa che dovevo rallentare… Ciao Håkon, mi sei mancato!”  Come di consueto Autumn ritrovò il sorriso in un battito di ciglia, e ben presto il ragazzo si sentì travolgere dal suo affettuoso e quasi stritolante abbraccio. Nel mentre un’impettita signora anziana munita di cappellino e borsetta rosa cipria in tinta – che avrebbe desiderato vivamente arrivare integra all’ora del tè, anziché investita da un’adolescente in pattini a rotelle – li superò mormorando stizzita qualcosa a proposito dei “giovani d’oggi”, ma Håkon non ci fece caso.
 “Anche tu, prima che cercassi di investirmi. Perché cazzo ti sei messa i pattini?!” Il Grifondoro sciolse l’abbraccio allontanandosi leggermente dalla compagna di Casa pur continuando a tenerle la mano libera stretta nella propria – non aveva nessuna voglia di inaugurare l’ultimo anno di scuola portando l’amica in Infermeria per una caviglia rotta –, e puntò lo sguardo sui pattini a quattro ruote dell’amica aggrottando la fronte in un’esibizione di eloquente scetticismo a cui Autumn trovò risposta con una pigra stretta di spalle:
“Per fare prima, me li sono messa in taxi mentre venivo qui, ero in ritardo! È tutta colpa della scuola, comunque, per me sarebbe molto più comodo andare direttamente in Scozia anziché fare questo cacchio di giro dell’oca ubriaca scendendo fino a Londra e poi risalire tutta la cazzo di isola in treno! Oltretutto il treno da Cardiff arriva a Paddington(1), e ci vogliono venti minuti di taxi per arrivare a King’s Cross.”
Autumn si lamentava dell’organizzazione die trasporti ogni singolo anno, e Håkon non stette a sentire le sue dimostranze con poi particolare attenzione. Si concentrò invece con tutto ciò che la strega sembrava avere con sé: i propri pattini, la sua chitarra, il suo walkman e il trasportino di Chestnut, in pratica quelli che Autumn avrebbe di certo classificato come “beni di prima necessità” insieme alla sua scopa. Del suo baule non vi era nemmeno l’ombra, tanto da spingere il ragazzo a tornare a guardarla inarcando per la seconda volta un sopracciglio – era certo, grazie ad Autumn, di detenere una sorta di record nazionale quanto a fronte aggrottata –:
“Autumn, dove sono i tuoi bagagli?”
Per una manciata di istanti Autumn, anziché rispondere, si limitò a scrutarlo impietrita attraversi le lenti dei suoi occhiali, e Håkon, dopo tutti quegli anni, ebbe l’impressione di poter intuire la risposta ancor prima di sentire quella dell’amica.
Cazzo.” Con quello che si poteva universalmente considerare il suo più tipico intercalare Autumn Erwood ruotò su se stessa e si diede uno slancio in avanti per pattinare il più velocemente possibile in direzione dell’arco di ferro battuto attraverso cui continuavano a fluire studenti ritardatari e familiari fortemente irritati, intimando ai passanti di farsi da parte per farla passare mentre sua madre, con ogni probabilità, in quel preciso istante stava attraversando la stazione con il suo baule riempiendo di insulti la sua unica figlia. Ad Håkon non rimase che stare a guardarla costringendosi ad aspettare ancora prima di salire finalmente sul treno, consapevole di avere parecchia pazienza con cui armarsi di lì fino ai M.A.G.O.
 

 
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Come quasi ogni altro studente di Hogwarts dopo aver salutato i suoi genitori – che anche quell’anno non avevano potuto fare a meno di gettare occhiate stranite ai maghi e alle streghe che li circondavano a King’s Cross, in particolare a coloro che indossavano sgargianti vesti ricamate ignorando lo Statuto di Segretezza – Margot Campbell si era messa alla ricerca dei suoi amici anziché salire immediatamente sul treno, decisa a trovare almeno uno di loro prima di andare a caccia di uno scompartimento libero. Le piccole mani pallide ben strette sui manici che permettevano di spingere e pilotare il carrello, la scozzese si muoveva in mezzo alla folla insieme al suo baule e alla gabbia del suo barbagianni guardandosi attorno con attenzione, alla ricerca di un volto familiare in mezzo alla marea di visi che sfilavano più o meno vicino a lei.
Fu, in effetti, con una discreta quantità di orrore che i grandi occhi blu della giovane strega riconobbero e indugiarono su una delle persone che più le erano sgradite in tutta la scuola, ovvero un Corvonero della sua età che, pochi metri più avanti, stava inginocchiato sul cemento della banchina davanti ad un bambino piccolo dai lisci capelli biondi. Le guance paffute del bambino, che con addosso quella minuscola camiciola azzurra e quei minuscoli pantaloni blu sembrava pronto per una campagna pubblicitaria Ralph Lauren, erano rigate dalle lacrime, e il primo impulso di Margot fu di chiedersi con orrore se il suo detestabile compagno di scuola non stesse importunando il fratellino di un qualche altro studente: la giovanissima strega smise di avanzare parallelamente al binario arrestando bruscamente il movimento del suo carrello, e sarebbe stata pronta a balzare tra il Corvonero dai capelli ricci e il bambino in lacrime per ergersi in sua difesa se solo non avesse visto il suddetto Corvonero asciugare le lacrime del bambino con il pollice della mano destra, stampargli un bacio su entrambe le guance e infine abbracciarlo.
A giudicare da come il bimbo gli cinse il collo con le braccine strofinando il viso contro la camicia bianca del ragazzo doveva essere proprio Philip MacMillan il misterioso fratello maggiore, e Margot non poté far altro che restare a guardare impietrita la prova di ciò che fino a quel momento aveva solo sospettato vagamente: Philip MacMillan aveva un cuore. Un cuore capace di provare emozioni e sentimenti umani.
La notizia la sconvolse a tal punto da spingerla a restarsene lì impalata finchè Phil non sciolse la presa sul fratellino e si rimise in piedi, rassettandosi la camicia mentre il bambino gli abbracciava le ginocchia piagnucolando di voler partire insieme a lui e di non voler restare solo a casa. Il Corvonero lasciò quasi meccanicamente una carezza sui lisci capelli biondi del fratellino mentre gli ricordava ancora una volta di non poter restare a casa e di non poter nemmeno portarlo con sé ad Hogwarts – anche se gli sarebbe piaciuto più di qualsiasi altra cosa –, e nel parlare il suo sguardo indugiò sui loro genitori, in piedi a qualche metro di distanza e impegnati in una fitta conversazione. L’occhiata che Phil lanciò all’uomo e alla donna, entrambi alti, biondi e di bell’aspetto, fu a dir poco velenosa, consapevole di come avrebbero lasciato Radcliff a se stesso per tutti i mesi successivi, senza giocare con lui per non più di mezz’ora alla settimana, o senza lo straccio di una favola della buonanotte, troppo impegnati con il lavoro o la loro intensa vita sociale.
Alla fine il giovane mago tornò a chinare lo sguardo per rivolgersi al fratellino e si sforzò di allargare le labbra per dar vita ad un sorriso affettuoso, deciso a non sprecare i preziosi minuti che restavano prima dello scoccare delle 11 preoccupandosi dei loro genitori mentre Radcliff, le braccine ancora strette attorno alle sue ginocchia, persisteva nel guardarlo con i grandi occhi grigio-azzurri pieni di lacrime:
“Ti scriverò più volte alla settimana, va bene? Te le leggeranno gli Elfi, e così, già che ci sei, potrai iniziare a fare pratica per imparare... E puoi mandarmi disegni, o scrivermi facendoti aiutare da qualcuno, quando vuoi.”
“Quanti giorni mancano a Natale?”
Radcliff MacMillan viveva nella ferma condizione di avere il fratello più intelligente del mondo, e proprio per questo motivo da qualche tempo era solito rivolgersi a lui per tutte le sue domande, anche quelle più complicate. Era certo che Phil sapesse esattamente quanti giorni mancassero fino alle vacanze natalizie, ma il maggiore si limitò a sorridergli mesto, anche se divertito, e a scuotere debolmente il capo senza smettere di accarezzargli i capelli color biondo miele:
“Non lo so, ma domani conterò e te lo farò sapere, ok? Faremo il conto alla rovescia… e quando tornerò ti farò un sacco di regali bellissimi.” Parlare di regali restituì come sempre il sorriso sul visino del piccolo Radcliff, che annuì con ritrovato entusiasmo mentre Phil, sollevato di avergli restituito un po’ di buonumore, gli chiedeva gentilmente di smettere di piangere. Il ragazzo distolse lo sguardo per gettare un’occhiata ad uno degli orologi appesi alle colonne di mattoni del binario per controllare quanto mancasse alla partenza del treno quando si accorse di essere osservato. Per di più da una delle persone di cui meno aveva sentito la mancanza durante le vacanze estive.
La sorpresa sul volto di Phil alla vista di Margot Campbell, ferma a poca distanza insieme al suo carrello, ebbe vita molto breve: ben presto il ragazzo si ricompose e sul suo viso tornò ad aleggiare la placida indifferenza, in mezzo alla quale non sarebbe stato difficile scorgere una certa dose di aria di superiorità, che era solito riservare pressochè a chiunque. A quella Tassorosso in particolare tuttavia il Corvonero riservava spesso un trattamento di riguardo, e l’accenno del tipico sogghigno ormai fin troppo familiare a Margot finì presto col sollevargli un angolo delle labbra:
“Ehy, Bocca Storta(2). Rubata la tovaglia della nonna per farti il vestito?”
Margot non rispose, ma la sua mano destra sembrò sfuggire al suo controllo mentre scivolava dall’impugnatura del carrello per andare a stringere d’istinto l’orlo della gonna del vestito che aveva indossato per la partenza, un abitino rosa polvere con colletto lungo fin poco sopra le ginocchia e decorato da un ricamo floreale color pesca. La Tassorosso ricambiò lo sguardo di scherno del Corvonero sforzandosi di sostenerlo, imponendosi di ricordare ciò che si era ripetuta per tutte le ultime due settimane di vacanze: quell’anno non sarebbe rimasta in silenzio, e non avrebbe permesso a Phil MacMillan di prendersi gioco di lei. O almeno avrebbe fatto di tutto per provarci.
Si considerava ormai abituata alle prese in giro che il compagno di scuola rivolgeva al suo guardaroba, ma quel vestito in stile anni 50 scovato in un negozio vintage le piaceva talmente tanto da aver deciso di indossarlo per le sue ultime ore senza l’obbligo della divisa, e intendeva difenderlo dal veleno che Phil era solito sputarle addosso, pertanto sollevò il mento e tornò a stringere il carrello sforzandosi di sostenere fermamente lo sguardo del compagno:
“È vintage. Esattamente come la galanteria, che per te, essendo uscito direttamente da una caverna, naturalmente è una sconosciuta.”
“Hai ragione. Io conosco il buon gusto e la sua amica sobrietà.”
La stretta sul carrello delle mani di Margot si fece talmente serrata da sbiancare le nocche della giovane strega, che si sforzò di ignorare il commento del ragazzo mentre faceva scivolare i grandi occhi azzurri dal bel viso e dall’espressione arrogante di Phil per osservare invece il suo fratellino, che nel frattempo si era praticamente nascosto dietro alle sue gambe e stava studiando la sconosciuta con la timida curiosità tipica dei bambini. Quel bimbo sembrava talmente dolce da portarla a chiedersi se per caso non fosse il frutto di un’adozione.
“Tuo fratello sembra adorabile. In effetti dicono che con il secondo si aggiusti il tiro. Sai, un po’ come il primo pancake, che fa sempre schifo.”
Con quelle parole Margot decise di congedarsi: non aveva intenzione di perdere altro tempo per Phil MacMillan, almeno non quel giorno. Sempre stringendo con un po’ troppo vigore il carrello superò a testa alta il Corvonero e il piccolo Radcliff, che domandò perplesso al fratello maggiore che cosa avessero voluto dire le sue parole e perché quella ragazza avesse parlato con quello strano accento.
Si stava ormai allontanando quando, presa dal riflettere sulla conversazione appena conclusa – dopo ogni attrito verbale che la vedeva coinvolta con MacMillan finiva col ripercorrere la conversazione chiedendosi che cosa avrebbe potuto dire di più efficace e quando, maledicendosi per la propria inettitudine – rischiò quasi di urtare qualcuno che si stava muovendo nella direzione opposta.
Gentile e accomodante di natura, Margot era pronta a scusarsi quando riconobbe colui davanti al quale era stata costretta a bloccare bruscamente il suo carrello, e finì con l’ammutolire quando i suoi occhi incrociarono quelli di Sawyer Rhodes, azzurri e schermati dalla lenti di un paio di occhiali dalla sottile montatura color oro. Momentaneamente incapace di articolare un pensiero di senso compiuto la strega percepì una sgradevolmente familiare sensazione di calore irradiarsi sul suo viso a partire dalle guance, e quando il Corvonero distese le labbra per rivolgerle un sorriso gentile fu del tutto certa di essere copiosamente arrossita fin quasi alla radice dei capelli castani:
“Scusami Margot.”
Margot non era sicura di che cosa trovasse più attraente nel ragazzo del VII anno che le stava di fronte, se il suo indiscutibile bell’aspetto, accentuato senza alcun dubbio da un abbigliamento che risultava sempre impeccabile – la camicia color avorio che indossava in quel momento sembrava che gli fosse stata cucita addosso – o se la sua parlata. Margot Campbell era scozzese e molto fiera di esserlo, ma doveva ammettere a se stessa che l’Oxford English(3) di Sawyer Rhodes esercitava su di lei un effetto del tutto simile a quello del calore su un panetto di burro.
“No… scusami tu. Non guardavo dove andavo.”
“Non ti preoccupare. Bel vestito.”
Sawyer accennò senza smettere di sorridere all’abito rosa polvere della Tassorosso con un lieve e appena percettibile cenno del mento, ma a giudicare da come la giovane strega ammutolì il complimento sembrò non sortire l’effetto sperato: all’improvviso la scozzese si irrigidì, e lo sguardo che Sawyer riuscì a scorgere nei suoi grandi occhi blu prima che lo superasse in fretta e a capo chino sembrò suggerire che le sue parole avessero turbato la ragazza in qualche modo. E dire, rifletté perplesso mentre si voltava accigliato per guardarla allontanarsi fino a quando non fu scomparsa in mezzo alla folla, impresa facilitata dalla statura minuta della Tassorosso, che il suo vestito gli era piaciuto davvero: aveva notato persino la cintura di cuoio stretta in vita abbinata alle scarpe, e Sawyer nutriva un particolare gradimento per dettagli come quello.
Nonostante le sue intenzioni la reazione della Tassorosso aveva suggerito al Corvonero un’unica interpretazione: Margot sembrava aver pensato che con quel complimento avesse deliberatamente voluto prendersi gioco di lei. Di per sé l’idea si presentò bizzarra agli occhi di Sawyer, che era certo di non aver mai offeso Margot Campbell in vita sua, ma una spiegazione del tutto logica gli apparve appena un istante dopo, quando si voltò di nuovo e il suo sguardo indugiò sulla silhouette di un suo amico e compagno di Casa.
“Hai per caso fatto a Margot Campbell un commento riguardo al suo vestito?”, esordì Sawyer con tono di rimprovero misto a rassegnazione quando ebbe raggiunto Phil e suo fratello, che sembrava ancora deciso a cercare di intrufolarsi ad Hogwarts insieme al maggiore. L’occhiata offesa che l’amico gli lanciò in risposta non si fece attendere, insieme alla sua proverbiale risposta piccata:
“Non ci vediamo da settimane e la prima cosa che mi dici riguarda la Campbell? Cavolo Rhodey, bel modo di salutare.”
“Sei un idiota.”, si limitò ad asserire con tono pacato il più grande prima di posare lo sguardo sul bambino che stringeva le ginocchia di Phil, chinandosi leggermente in avanti verso di lui con un sorriso gentile ad addolcirgli la curva delle labbra:
“Ciao Cliff… Sei felice di tornare ad essere il padrone di casa per qualche mese?”
“No.”, mormorò Radcliff scuotendo il capo prima di strofinarsi il nasino con una mano, gesto che allargò il sorriso di Sawyer e fece sospirare piano il fratello maggiore, che ancora gli stava accarezzando i capelli.
“Perché no? Sai, anche io ho un fratello più grande, e stare da solo a casa era bellissimo. Tutti, tutti i dolci della dispensa erano miei. E anche tutti i giocattoli… Praticamente avrai non una, ma due camere tutte tue.”
Una piccola traccia di tristezza sembrò dissolversi dal visino tondo del bambino, che sembrò colpito da una nuova consapevolezza improvvisa mentre il fratello maggiore, al contrario, si irrigidiva visibilmente: voleva bene a suo fratello più che a chiunque altro, ma la sua camera restava pur sempre la sua camera.
“Non dargli strane idee, in camera mia non deve giocare.”
Non lo saprà mai se giochi in camera sua.”, mormorò Sawyer – non abbastanza per impedire all’amico di udire le sue parole – ignorando il commento di Phil e strizzando l’occhio a Radcliff con aria complice, ridendo quando vide il bambino sfoderare un sorriso furbetto in grado di rendere improvvisamente palpabile la sua somiglianza con il fratello maggiore.
 

 
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Nonostante mancasse sempre meno alla partenza dell’Espresso per Hogwarts Raymond Aldridge si stava attardando sulla banchina insieme alla gabbia nera del suo gufo reale e ad una rigonfia valigia di pelle tenuta chiusa da due lacci dove aveva stipato praticamente tutti i suoi abiti e parte dei suoi libri, un regalo ricevuto anni prima da suo zio quando era stato assunto alla Gringott,
Lo Spezzaincantesimi stava studiando distrattamente le nubi di fumo emesse dalla locomotiva in procinto di partire in direzione della Scozia chiedendosi se accettare quell’incarico e rinunciare per quasi un anno alla sua professione fosse stata una scelta saggia, anche se lasciare il Messico per fare ritorno sul suolo britannico era stata una sua decisione. Aveva pensato di prendersi un breve periodo di pausa dagli scavi archeologici e di restare per qualche tempo in Inghilterra per svolgere qualche incarico più sedentario e tranquillo quando un nome fin troppo familiare, quello della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione, aveva bruscamente e inaspettatamente fatto ritorno nella sua vita: era stato convocato ad Hogwarts soltanto due giorni dopo essere tornato in Inghilterra, ma dopo un iniziale spaesamento non aveva perso troppo tempo ad interrogarsi su come Minerva McGranitt avesse appreso tanto in fretta del suo ritorno, certo che la Preside di Hogwarts potesse contare su un incomparabile rete di risorse e di contatti.
Certo quando aveva pensato ad una pausa e ad un incarico sedentario prendersi un anno per insegnare ad un branco di neomaggiorenni non era esattamente ciò che gli era passato per la mente, ma dopo una settimana di riflessione aveva finito con l’accettare: l’idea di tornare ad Hogwarts gli piaceva, e non si era mai considerato tipo da tirarsi indietro di fronte ad un’opportunità o ad una sfida.
Di certo, si disse Raymond mentre scrutava la locomotiva a vapore scarlatta per la prima volta dopo quindici anni – la consapevolezza di avere esattamente il doppio dell’età dei suoi nuovi studenti lo colse alla sprovvista facendolo quasi rabbrividire lì sulla banchina –, quando ad un paio di giorni di distanza dal Diploma era sceso da quel treno per quella che all’epoca aveva creduto essere l’ultima volta non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a salircisi di nuovo, e stava proprio per decidersi finalmente a salire il gradino che l’avrebbe condotto dritto all’interno della prima carrozza quando una voce maschile si levò da un punto imprecisato alle sue spalle:
“Aldridge!”
Ritenendo assai improbabile che ci fossero altri Aldridge in circolazione Raymond istintivamente bloccò ogni movenza diretta verso il treno e si voltò perplesso in direzione della voce restando fermo sul posto, restando ancor più di stucco quando colui che aveva parlato si rivelò essere un uomo alto poco più di un metro e ottanta, sorridente e con una folta capigliatura color grano. Il viso dell’uomo, che si stava apprestando a raggiungerlo reggendo una valigia in una mano e un trasportino bianco nell’altra, aveva qualcosa di inequivocabilmente familiare così come il sorriso vitale e contagioso che gli allargava le labbra, e Raymond, superato un breve attimo di smarrimento e pur non riuscendo a celare lo stupore, non tardò a riconoscerlo:
“… DeLoughrey?”
Pensando alla sua partenza per Hogwarts Raymond non aveva mai considerato neppure per un istante la possibilità di imbattersi, lì a King’s Cross, in qualche ex compagno di scuola, ma quello che si fermò davanti a lui e posò la valigia color cognac sulla banchina lo era decisamente; ricordava vagamente di aver incontrato Declan DeLoughrey una volta al Paiolo Magico, almeno cinque o sei anni prima, e dovette riconoscergli di non essere cambiato quasi per nulla mentre sentiva la sua stretta energica attanagliarli le dita della mano destra.
“Cosa ci fai qui, è assurdo vederti, saranno passati anni! Ti trovo bene.”
Il largo sorriso di Declan anziché smorzarsi sembrò acquisire maggiore linfa mentre studiava brevemente il bel volto e la figura imponente dell’ex Serpeverde, che anche quindici anni prima svettava su buona parte dei compagni di scuola grazie ad un paio di spalle larghe e ad una considerevole altezza che sfiorava il metro e novanta. Vanitoso di natura e sensibile alle lusinghe, Raymond si ritrovò a ricambiare placidamente il sorriso di Declan mentre annuiva, lisciandosi quasi senza rendersene conto il bavero della giacca di tweed verde abbinata alla cravatta e indossata sopra ad un panciotto color tortora prima di ringraziarlo e ricambiare educatamente il complimento.
“Hai accompagnato tuo figlio o tua figlia?”, domandò Declan inarcando curioso un sopracciglio mentre faceva scivolare lo sguardo attorno a Raymond, quasi aspettandosi di veder spuntare da qualche parte un ragazzino o una ragazzina in partenza per Hogwarts. Le sue parole ebbero quasi l’effetto di far trasalire l’ex Serpeverde, che accennò d’istinto una smorfia inclinando verso il basso gli angoli delle labbra:
Merlino, no. No, pare che io stia per mangiare al tavolo degli insegnanti di Hogwarts da stasera fino a giugno.” Raymond si strinse debolmente nelle spalle con tono di falsa modestia, come se non fosse poi niente di che – in realtà moriva dalla voglia di sottolineare come la Preside avesse insistito in maniera particolare per assumere proprio lui tra i tanti Spezzaincantesimi della Gringott –, ma la reazione dell’ex Grifondoro non fu assolutamente quella prefigurata: Declan sgranò come incredulo i grandi ed espressivi occhi azzurri, ma Raymond non ci mise molto a comprendere che la sua non era ammirazione, bensì genuina sorpresa.
“Non mi dire?! Anche io!”
Questa volta a sentirsi cogliere di sorpresa fu Raymond, che esitò perplesso per un istante prima di inarcare un sopracciglio, sollevandolo verso l’attaccatura dei corti capelli ondulati:
“Vuoi dire che anche tu andrai a insegnare uno dei nuovi corsi per gli studenti più grandi?”
Non solo non aveva preso in considerazione l’ipotesi di imbattersi in qualche vecchia conoscenza al Binario 9¾, non aveva nemmeno minimamente riflettuto sulla possibilità di avere un ex compagno di classe come nuovo collega, ma Declan confermò annuendo con aria entusiasta:
“Esatto, mi sono anche messo la giacca perché mi sembrava una cosa da insegnante… Sai, negli ultimi anni sono sempre stato in giro per l’Asia girando come una trottola impazzita, volevo starmene buono buono a casa per un po’… e alla fine eccomi qui.” 
Raymond quasi non poteva credere all’assurdità di quella coincidenza, e si chiese se e quali altri visi noti avrebbe rivisto sul treno o direttamente quella sera, al tavolo degli insegnanti per assistere allo Smistamento da un’altra prospettiva per la prima – ed ultima – volta in tutta la sua vita. Del resto però, si ritrovò a riflettere il Serpeverde mentre i ragazzini iniziavano a sporgersi dai finestrini aperti per dare gli ultimi saluti a genitori e fratelli, c’erano moltissimi nomi che gli avrebbe fatto molto meno piacere risentire se paragonati a quello di Declan DeLoughrey, che nonostante l’orribile difetto di essere stato Smistato tra i Grifondoro aveva sempre considerato un ragazzo sveglio e dal carattere tollerabile – anche se un tantino troppo esuberante, Raymond le persone troppo allegre e piene di entusiasmo per la vita non era mai stato sicuro di riuscire a comprenderle fino in fondo – per la media della sua Casa.  
“Sì,”, asserì infine ridando forma ad un placido sorriso con le proprie labbra solleticate da un sottile strato di barba, “mi suona familiare.”

 
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Cornelia Lockwood non era ancora riuscita a darsi una spiegazione logica e razionale, ma per qualche motivo ogni singolo anno giungeva al Binario 9¾ pericolosamente poco prima dello scoccare delle 11, anche quando si alzava più che in orario e occupava la sua ultima sera di vacanza ad ultimare i preparativi per la partenza e ad organizzare una precisa tabella di marcia. A pensarci bene, tuttavia, i motivi principale di quei costanti ritardi avevano due nomi ben precisi, ovvero John e Theodore Lockwood, rispettivamente il padre e il fratello minore della giovane strega: ogni anno, puntualmente, i due sembravano impegnarsi al massimo per non rispettare i piani di Cornelia, mandandoli miseramente a monte.
“Sbrigatevi, non voglio fare la figura della scema che perde il treno!”, esclamò sbuffando con palpabile irritazione la giovane strega mentre correva verso la barriera spingendo personalmente – un’esperienza di lunga data le aveva insegnato a fare le cose da sola quando voleva che venissero svolte con efficienza – il carrello dove all’ingresso di King’s Cross lei e Theodore avevano accatastato i loro bauli e le gabbiette che ospitavano i loro animali domestici, due gatti e un corvo, tutti e tre sballottolati dai forti tremolii che agitavano il carrello in movimento.
“Tesoro, non è che preferisci che lo spinga io?”, domandò preoccupato suo padre quando, superata la barriera insieme al secondogenito, vide la figlia rischiare di perdere il controllo del carrello andando a schiantarsi con lo spartitraffico di fronte, ma Cornelia si limitò a scuotere il capo mentre, fermatasi di colpo, raddrizzava il pesante carrello mormorando una lieve imprecazione.
“Ce la faccio papà. Teddy, sbrigati.” Il suo fratellino, in effetti, non sembrava preoccuparsi molto del ritardo che avevano accumulato proprio a causa sua e di suo padre, da sempre etichettati dalla sorella maggiore come “generatori di caos e disordinati cronici”, e stava invece avanzando con fin troppa calma prendendosi il tempo di guardarsi attorno, visibilmente alla ricerca di qualcuno in particolare.
“Sto cercando Margi o Wendy!”, si giustificò infatti il Tassorosso mentre si alzava in punta di piedi nel tentativo di scorgere tra la folla i volti delle sue amiche e compagne di Casa, ma Cornelia non sembrò dello stesso avviso, anzi si premurò di voltarsi per gettargli un’occhiata ammonitrice:
“Le cercherai sul treno, non abbiamo tempo di bighellonare!”
Per una volta persino John sembrò trovarsi d’accordo con la primogenita, perché afferrò gentilmente il figlio per le spalle pilotandolo in modo da costringerlo a seguire la sorella maggiore verso la porta dell’Espresso per Hogwarts più vicina, un placido sorriso sulle labbra:
“Dalle retta, o rischiamo che ci trasformi entrambi in dei cubi di Rubik… è già abbastanza arrabbiata perché ieri abbiamo perso tempo a guardare Tarzan.”
“Dovevamo finire la lista di film da vedere entro la fine delle vacanze!”, si giustificò Teddy alzando il mento per far sì che i suoi brillanti occhi azzurri incrociassero quelli del padre, che annuì e gli sorrise con aria complice mentre gli picchiettava affettuosamente la spalla e Cornelia, giunta in prossimità del treno facendosi largo grazie al carrello portabagagli, iniziava a scaricarlo sollevando la gabbia del suo gatto nero e di Anubi, il suo corvo.
“Lascia tesoro, ti aiuto io.” Con un paio di falcate John superò il figlio e affiancò la figlia accanto al carrello per afferrare uno dei manici del suo baule e sollevarlo, tirandolo fuori per issarlo all’interno del treno al posto della ragazza. L’uomo salì e discese dalla locomotiva scarlatta per ripetere l’operazione con il baule di Theodore, che si limitò a stringere il manico del trasportino della sua gatta dal pelo fulvo senza smettere di guardarsi attorno, sempre cercando una delle sue migliori amiche ma convincendosi di come ormai entrambe dovessero già essere salite sul treno: considerata la sgargiante felpa gialla che indossava, perfettamente abbinata al colore brillante dei suoi capelli e alle sue Converse, era impensabile che Margot o Wendy non lo avessero già intravisto e raggiunto.
Cornelia invece attese in silenzio il ritorno del padre per salutarlo prima di salire definitivamente a bordo dell’Espresso per Hogwarts, indugiando con tutta la pazienza che le era rimasta in corpo in mezzo a genitori quasi sull’orlo delle lacrime e fratellini che sbraitavano di voler andare a scuola a loro volta.
Quando John riapparve sulla porta del treno e scese sulla banchina Cornelia e Teddy lo videro aggiustarsi la montatura degli occhiali sul naso e sorridergli sforzandosi di sembrare allegro e di buon umore, messinscena che ogni anno, puntualmente, non convinceva nessuno dei due: sapevano entrambi quanto il padre si sforzasse di dissimulare la tristezza che lo colpiva in vista di ogni loro partenza per Hogwarts, ma John Lockwood non era e non sarebbe mai stato un attore poi così credibile.
“Bene, direi che è tutto a posto… Visto tesoro, non avete perso il treno.”  John si rivolse alla figlia regalandole un sorriso affettuoso che trasudava un velo di tristezza che quasi rischiò di spezzare il cuore di Cornelia, che si limitò ad annuire prima di colmare la distanza che li separava e abbracciarlo allacciandogli le braccia attorno al collo; in punta di piedi per riuscire a poggiare il viso contro la spalla del padre, Cornelia chiuse le palpebre per godersi quell’ultimo abbraccio prima di mormorare istintivamente le esatte parole che ogni anno ripeteva puntualmente prima della sua partenza.
“Se hai bisogno di qualcosa scrivici. Ricordati di lavare i piatti almeno una volta al giorno, di fare la spesa e di cercare di mettere un po’ d’ordine ogni tanto, altrimenti poi finisci col perdere anche le cose importanti. Ti ho lasciato un sacco di post-it sul frigo.”
“E ricordati di uscire di tanto in tanto!”, le fece eco Theodore riservando al padre uno sguardo quasi implorante, finendo con l’unirsi all’abbraccio quando vide l’uomo annuire sbrigativo e fargli cenno di avvicinarsi con un lieve cenno della mano destra. Per qualche lungo istante nessuno dei tre parlò, impegnati a godersi l’ultimo abbraccio fino al sopraggiungere delle vacanze di Natale, finchè Cornelia, colta da un pensiero improvviso, non sollevò la testa di scatto per rivolgersi a John con un tono apprensivo che ebbe quasi l’effetto di far esasperare il padre:
“So che fa ridere che sia proprio io a dirlo, ma di tanto in tanto cerca di staccarti dai libri quando non sei al negozio… Almeno esci a passeggiare nel weekend.”
“Oh insomma, smettetela di parlare come se fossi un vecchio rimbambito solitario cronico senza speranza. Per quello ci sarà tempo tra un altro paio di decenni.”
Dopo aver sciolto l’abbraccio e aver gentilmente allontanato di mezzo metro da sé i figli ponendo ciascuna mano su una delle loro spalle John donò ad entrambi un sorriso allegro, ma nessuno dei due si unì a lui, persistendo invece nel guardarlo con aria cupa finchè il mago, esasperato, non intimò ad entrambi di salire sul treno con finto tono di rimprovero. Non avendo altra scelta Theodore e Cornelia obbedirono, non prima di essersi fatti scoccare un bacio ciascuno su una guancia, e salirono finalmente sul treno insieme alle gabbiette dei loro animali prima di indugiare e voltarsi verso la banchina per gettare un’ultima occhiata al padre, facendo del loro meglio per ricambiare il sorriso che l’uomo stava rivolgendo loro prima di salutarlo un’ultima volta e infine allontanarsi insieme lungo il corridoio della terza carrozza.
“Dovremmo trovargli una fidanzata?”, azzardò il ragazzo mentre seguiva la sorella maggiore insieme al trasportino di Chichi, la sua gatta, e studiava al contempo l’interno degli scompartimenti alla ricerca dei suoi amici.
“Ne dovremmo parlare. Ho detto a papà di ricordarsi di prendere i cereali per la colazione? Ah sì, glie l’ho scritto su un post-it.”



Dopo aver sistemato il suo baule all’interno di uno scompartimento vuoto della quarta carrozza Lena aveva preso posto accanto al finestrino, seduta con le lunghe gambe dalla pelle diafana accavallate e lasciate parzialmente scoperte da una gonna a pieghe a quadri neri, grigi e bianchi che Ares, il suo gatto, sembrava aver deciso di utilizzare come cuccia per sonnecchiare non appena lo aveva tirato fuori dal trasportino. Mentre con la mano sinistra accarezzava meccanicamente il pelo fulvo del micio gli occhi scuri della giovane indugiarono su alcuni dei numerosissimi volti che affollavano la banchina prima di riuscire ad individuare suo padre, impresa per nulla ardua se considerata la considerevole stazza vantata da Lukyan Liubimov, e un sorriso istintivo le distese dolcemente la curva delle labbra mentre sollevava di poco la mano destra per rivolgere un ultimo saluto al padre accennando un movimento con le dita, pallide e sottili come la sua intera figura e abbellite da uno smalto color perla.
Nonostante l’aspetto serio e quasi minaccioso l’uomo, che solo pochi minuti prima aveva stretto la sua unica e adorata figlia, la sua króshka(4), in una morsa quasi stritolante, ricambiò il sorriso con palpabile affatto e levò a sua volta la mano destra per rivolgerle un ultimo cenno di saluto, visibilmente impaziente di vederla fare ritorno su quello stesso binario in occasione delle vacanze di Natale. Lena era quasi sul punto di alzarsi in piedi, aprire il finestrino e raccomandarsi per un’ultima volta con il padre di non affannarsi troppo sul lavoro quando la porta di vetro dello scompartimento venne fatta scorrere e una voce familiare dal tono sollevato la sorprese levandosi da un punto alle sue spalle:
“Eccoti qui, ormai pensavo di dovermi fare tutto il treno.”
D’istinto Lena si voltò per posare lo sguardo sull’ingresso dello scompartimento, e un sorriso vivace e luminoso le allargò le labbra quando i suoi occhi scuri indugiarono su un volto inequivocabilmente familiare, pallido e incorniciato da un caschetto biondo.
“Ciao Connie!” Dopo aver gentilmente spostato Ares in modo da sistemarlo sul sedile verde scuro accanto a sé – il micio non sembrò gradire particolarmente e aprì pigramente gli occhi verdi per gettare alla padrona un’occhiata un tantino seccata – Lena si alzò in piedi per accogliere l’amica, guardandola sistemare la gabbia di Anubi, il suo corvo, e il trasportino del suo gatto sul sedile di fronte prima di trascinare faticosamente il baule all’interno dello scompartimento.
“Ciao Lena… Ti sembra possibile che siamo nel nuovo millennio e ancora non hanno inventato un incantesimo per rendere leggeri gli oggetti pesanti?”, sbuffò Cornelia mentre tratteneva con una mano la montatura sottile e leggermente squadrata degli occhiali per impedir loro di scivolarle sul naso e camminava al contempo all’indietro per trascinare il baule sufficientemente all’interno dello scompartimento per, quantomeno, riuscire a chiudere la porta scorrevole.
Quando il pesante baule della Corvonero ricadde sulla moquette con un tonfo entrambe le streghe rimasero ad osservarlo in silenzio per un paio di istanti, finchè la proprietaria non stabilì di poterlo tranquillamente lasciare lì fino al loro arrivo ad Hogsmeade. A quel punto la ragazza ruotò su se stessa per rivolgersi finalmente all’amica, donandole un sorriso mentre Lena sollevava leggermente le braccia verso di lei, come titubante:
“Posso abbracciarti?”, domandò la russa come temendo di poter mettere a disagio l’amica abbracciandola senza permesso, ma rilassò le spalle e tornò presto a sorridere quando vide la Corvonero annuire e invitarla ad avvicinarsi con un lieve cenno della mano:
“Certo, non devi neanche chiederlo. Come stai?” Cornelia raggiunse l’amica per abbracciarla, lasciandosi stringere brevemente dalle braccia lunghe e sottili di Lena, che era più alta di lei di alcuni centimetri, prima di complimentarsi con lei per il morbidissimo maglione grigio chiaro a trecce che la russa aveva indossato sopra ad una camicia bianca e abbellito con un nastrino nero legato a mo’ di fiocco attorno al colletto. Lieta per il complimento, la Serpeverde rispose con un sorriso grato mentre tornava a sedersi al suo posto sfiorandosi d’istinto la manica del maglione, tornando ad accavallare con grazia le gambe mentre Cornelia si sedeva esattamente di fronte a lei.
“Direi bene… Mi dispiace un po’ lasciare mio padre a casa da solo, anche se lavora così tanto che dubito ci stia molto, a casa… ma a parte quello sono più che felice di tornare a scuola.”
“Ah, non dirlo a me, ogni anno parto senza sapere se troverò una casa al mio ritorno! Aspetta, ora ti faccio uscire.” Dopo aver armeggiato brevemente con la porticina del trasportino Cornelia riuscì ad aprirla e a prendere delicatamente Tutankhamon, il suo micio nero, e sistemarselo in grembo, prendendo a coccolarlo affettuosamente mentre un sorrisino divertito sollevava gli angoli delle labbra di Lena al solo sentir nominare la componente maschile della famiglia Lockwood: mai nessun padre di qualche amico o conoscente le era mai piaciuto quanto le piaceva John Lockwood, da Lena personalmente etichettato come “l’uomo più inodiabile del globo”.
“Come stanno John e Teddy?”, s’interessò infatti la ragazza con un sorriso mentre negli scompartimenti che precedevano e seguivano il loro alcuni studenti, specie quelli più piccoli, iniziavano a sporgersi dai finestrini per salutare rumorosamente genitori e fratelli.
“Stanno benone, oserei dire che si sono goduti le vacanze molto più di me… e anche se mi mancherà essere a casa ammetto che sarà un sollievo non dover fare costantemente la babysitter a quei due per qualche settimana. Spero solo che papà se la passi bene, Teddy è piuttosto preoccupato per lui, che resti troppo solo mentre noi non ci siamo... Dice che dovremmo trovargli una fidanzata.” La Corvonero parlò aggrottando le sopracciglia bionde, riflettendo sull’idea avanzata qualche settimana prima dal fratellino mentre Lena, di fronte a lei, annuiva accennando un sorriso comprensivo; istintivamente i suoi pensieri vagarono fino a soffermarsi sul suo, di padre, ma dovette ammettere a se stessa che l’idea di trovargli una fidanzata le sembrava quasi troppo assurda per apparire realistica.
“Non è affatto malvagia come idea, io approvo su tutta la linea. Ma dovrebbe essere una donna meravigliosa, tuo padre è un uomo adorabile.”
“Pensa che meraviglia se a scuola capitasse cadendo dal cielo un’insegnante bella, intelligente e della sua età. In alternativa, sostiene Teddy, resta sempre la Cooman.” Cornelia parlò con tono neutro e fece spallucce accarezzando ininterrottamente il suo gattino, ma le sue parole colpirono l’amica quasi con la stessa intensità di uno schiaffo in pieno viso, e subito i grandi occhi scuri di Lena vennero spalancati dal più sincero sgomento:
“Ti prego dimmi che scherzi, o che hai sbattuto la testa cadendo dal letto.”
“Ovvio che scherzo, ti immagini vivere con qualcuno che ogni santa mattina ti domanda che cosa hai visto nei fondi del tè?! Atroce.”

 
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Una volta raggiunto il binario Keith non aveva perso tempo – non che di norma farlo rientrasse nelle sue abitudini – prima di salire sul treno, spingendosi all’interno della prima carrozza insieme all’unica valigia nera che aveva portato con sé e alla gabbia di Randall, il suo allocco degli Urali. Aveva occupato un sedile vicino al finestrino all’interno dello scompartimento in capo al treno, il più vicino alla cabina del macchinista e costituito da un salone unico, con otto posti a sedere divisi da un corridoio centrale, e dopo aver sistemato la gabbia e la valigia sul sedile accanto aveva ripreso a dedicarsi alla lettura di Storia di Hogwarts. Curiosamente, si era reso conto solo un paio di settimane prima di non aver mai effettivamente letto il celebre volume di Bathilda Bath quando, di passaggio a Diagon Alley per gli ultimi acquisti in vista della partenza, lo aveva scorto su uno scaffale del Ghirigoro. Spinto da una curiosità mai provata nel corso dei sette anni da studente ad Hogwarts – e forse preda di una forma di senso di colpa nei confronti della defunta autrice – lo aveva comprato, e aveva iniziato a leggerlo appena un paio di giorni prima.
Stava giusto riflettendo, accigliato, su quanto la lettura si stesse rivelando interessante – chissà per quale motivo tutti gli studenti di Hogwarts finivano puntualmente con lo snobbare il volume in questione – quando l’eco di un paio di voci femminili anticipò l’apparizione di due donne in procinto di salire sul treno insieme ai propri bagagli. In realtà alzando lo sguardo dalla carta stampata lo sguardo di Keith indugiò dapprima su quello che aveva tutta l’aria di essere, a giudicare dalla giacca rossa a doppio petto con lo stemma della scuola ricamato sul lato destro con un filo color bronzo, un giovane facchino esausto che non doveva essersi diplomato da molti anni. Il ragazzo, che sopra ai corti capelli castani portava un cappello dello stesso tono di rosso della giacca, reggeva un trasportino e una gabbia contenente un barbagianni dall’aria irritata, e Keith lo vide sistemare entrambe le gabbie su uno dei due sedili vicini al corridoio dei quattro speculari rispetto a dove sedeva. Essendo state collocate sul sedile rivolto nel verso opposto rispetto al suo, seguendo la direzione della traiettoria del treno, Keith ebbe modo di osservare entrambe le gabbie e di scorgere il musetto chiaro di un coniglietto spingersi sulla graticola che faceva da porticina al trasportino, guardandosi attorno spaventato e forse alla ricerca della sua padrona mentre il barbagianni, accanto a lui, si guardava attorno annoiato chiedendosi per quale motivo lo avessero destato dal suo sonno ristoratore.
Subito dopo l’attenzione di Keith venne rivolta altrove, quando sentì dei passi leggeri avvicinarsi e un’allegra quanto vellutata voce femminile ringraziare il facchino per il suo aiuto. Nello scompartimento era apparsa una donna più o meno della sua età che stringeva una borsa da viaggio color crema abbinata ad un trolley straordinariamente immacolato, e Keith non ebbe alcun dubbio di avere di fronte la prima dei suoi nuovi “colleghi”. La strega in questione aveva grandi occhi azzurri e capelli di una particolare sfumatura di castano chiaro legati alla base del collo con quello che, una volta voltata, si sarebbe rivelato un nastro color ruggine, esattamente dello stesso colore del maglione indossato sopra ad una camicia bianca e ad una cravatta nera.
Il facchino salutò la strega e lasciò lo scompartimento consentendo ad una terza persona di fare il suo ingresso, una seconda donna, più alta della prima e con una sola valigia appresso. Suo malgrado Keith aggrottò le sopracciglia mentre osservava la donna guardarsi attorno come se non avesse mai messo piede su quel treno prima di quel momento, colpito dalla fastidiosamente pruriginosa sensazione di averla già incontrata in passato senza tuttavia riuscire a dare un nome a quel volto pallido e dagli zigomi pronunciati dove spiccavano un paio di iridi cangianti.
“Cavolo, qui si sta molto più larghi, a saperlo sarei diventata Prefetto! Beh, per questo e per il bagno con la piscina.”, asserì Marjory mentre si esibiva in una specie di piroetta per guardarsi per bene attorno e Claudia, sempre più convinta di avere un mucchio di cose da imparare, sistemava la sua valigia sul sedile di fronte a quello dove sostavano gli animali della collega inarcando stupita un sopracciglio:
“C’è una piscina ad Hogwarts?”
“Ah, ad Hogwarts c’è di tutto e di più, ti stupirebbe cosa non riesci ad immaginare. Sì, c’è un bagno con piscina, ma è riservato a Prefetti e ai Caposcuola, ovviamente.” Marjory sbuffò piano mentre liquidava il discorso con un pigro gesto della mano destra, chiedendosi se in quanto insegnante le sarebbe stato possibile farsi una nuotata nel famigerato bagno più lussuoso della scuola. Lo sguardo di Claudia invece vagò fino ai finestrini del lato opposto del treno soffermandosi sul volto di Keith, studiandolo per un istante prima di emulare l’espressione pensosa e dai tratti perplessi dell’Auror:
“Scusi, per caso ci conosciamo già?”, domandò con tono incerto la Medimaga mentre osservava i lineamenti familiari dell’Auror che sedeva ad un paio di metri di distanza da lei, quasi del tutto certa di averlo già incontrato in passato. Keith dal canto suo ricambiò lo sguardo della donna annuendo debolmente, le mani ancora strette attorno al libro aperto sulle sue ginocchia mentre cercava di ricordare in quale occasione lui e la strega si fossero precedentemente incontrati:
“Credo di sì.”
“Sono Claudia Westbrook.” Nella speranza che presentandosi avrebbe aiutato il forse non proprio sconosciuto a ricordarsi di lei Claudia distese leggermente le labbra rosee in un sorriso mentre muoveva un passo in direzione dell’Auror, le mani pallide allacciate l’una nell’altra, e dopo una brevissima riflessione la strega vide la fronte di Keith rilassarsi: il mago annuì debolmente mentre ricambiava il suo sorriso cordiale guardandola con una nuova consapevolezza, come se avesse svelato l’arcano per entrambi. 
“Certo. Lei era ad Hogwarts nel ’98.”
“Allora sei già stata ad Hogwarts?”, domandò Marjory incapace di trattenersi mentre scrutava sorpresa la schiena e lo chignon basso con cui Claudia aveva legato i lisci capelli scuri, guardando l’americana voltarsi brevemente verso di lei e sorriderle mentre annuiva con un lieve cenno del capo.
“Sì, nell’estate del ’98, ma come avrai capito senza prendere questo treno… per qualche settimana ho dato una mano a rimettere in sesto la scuola.” Claudia tornò a concentrarsi sull’uomo che sedeva vicino al finestrino, e all’improvviso i suoi occhi azzurri scivolarono sul libro aperto sulle sue gambe e sulle mani che lo reggevano, entrambe fasciate da un paio di guanti di pelle color caffè assolutamente non resi necessari dalle temperature correnti. Le mani guantate del mago accesero nella mente di Claudia ricordi rimasti sopiti fino a quel momento, e le sue labbra si tirarono di nuovo in un sorriso gentile mentre tornava a ricambiare direttamente lo sguardo di Keith, questa volta sapendo perfettamente per quale motivo si fossero già incontrati:
“Lei è un Auror, vero?”, domandò con delicatezza mentre il britannico annuiva, schiarendosi debolmente la voce prima di presentarsi alla Medimaga per la seconda volta:
“Keith. Whiteoak.”
Pur temendo di risultare invadente e inappropriata Claudia gettò una seconda occhiata alle mani dell’Auror, e stava per azzardarsi ad esprimere a voce alta la speranza che la sua mano stesse meglio rispetto al loro primo incontro di cinque anni prima quando Marjory, definitivamente incuriosita da quello scambio verbale, la raggiunse di fronte al nucleo di quattro sedili per rivolgere a Keith un sorriso gentile che le si estese fino ai luminosi occhi azzurri.
“Marjory Leblanc, molto piacere. Insegnerà ai ragazzi a duellare, o cose del genere?”
Keith si allungò sul sedile per stringere delicatamente la mano che la strega gli aveva porto, finendo col stupirsi della stretta energica con cui la piccola mano di Marjory scrollò la sua prima di scuotere la testa con un sorriso educato:
“Potrei, ma la Preside sostiene di non voler istigare nessuno alla violenza, quindi mi ha chiesto di ripiegare su altro… ed essendo sano di mente non me lo sogno nemmeno di contraddire Minerva McGranitt.”
“Sono sicura che avere un Auror a fargli da insegnante sarà fantastico per i ragazzi. Io sono laureata in Storia e specializzata in Archivistica e Biblioteconomia, roba molto meno emozionante.”
“È interessante invece!”, asserì Claudia sgranando gli occhi azzurri, forse anche per incoraggiare la neo collega, che si strinse debolmente nelle spalle prima di tornare a sorridere con aria divertita, le mani allacciate dietro la schiena fasciata da una giacca di tweed color castagna:
“Beh, mi consolo perché di certo non potrò battere la pallosità di Rüf neanche provandoci, paragonata a lui sembrerò il Carnevale di Rio.”
Dall’angolo in cui sedeva Keith si levò una specie di risatina strozzata, e a Claudia non restò che aggrottare le sopracciglia, confusa, non sapendo che avrebbe compreso a cosa Marjory si stesse riferendo solo il giorno dopo, quando avrebbe visto nientemeno che il fantasma di un uomo molto anziano con un paio di spessi occhiali sul naso fluttuare lungo un corridoio reggendo un libro.
 

 
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Dopo essere riuscito nell’ardua impresa di arrivare a King’s Cross senza accumulare troppo ritardo Ian aveva salutato sulla banchina i suoi padri, Mason e Jack, e poi era salito a bordo del treno a vapore trascinandosi appresso il suo pesante baule coperto da adesivi di gruppi musicali, squadre di Quidditch, calcistiche e di rugby e la gabbia – notevolmente più grande rispetto a quelle sfoggiate dai suoi compagni di scuola – che ospitava il suo grifone euroasiatico.
Dopo essersi seduto vicino al finestrino ed essersi sistemato Jigen accanto – che si era messo a dormire assumendo la posizione che agli occhi divertiti del padrone lo faceva sembrare quasi un tacchino – Ian aveva indossato le cuffie del suo lettore CD portatile e aveva chiuso gli occhi verdi, deciso a rilassarsi e a godersi più che poteva il suo ultimo viaggio di inizio anno verso Hogwarts. Stava giusto riflettendo, mentre la musica dei Sex Pistols gli martellava le orecchie, su quanto quei viaggi in treno gli sarebbero mancati una volta finito l’anno e preso il Diploma quando qualcosa di piccolo, duro e spigoloso lo colpì in pieno petto, dritto sullo stemma rosso, giallo e bianco sorretto da un leone e un cane del Manchester Rugby Club(5) impresso sulla t-shirt nera che indossava. Istintivamente Ian aprì gli occhi, e stava quasi per imprecare quando, chinato lo sguardo, individuò nell’oggetto che l’aveva colpito la scatola di una Cioccorana che ora gli giaceva in grembo.
Superato lo sbigottimento iniziale Ian sollevò il mento per puntare lo sguardo sull’ingresso dello scompartimento, notando così la porta scorrevole tenuta aperta da un ragazzo biondo e sorridente che conosceva molto bene.
Sei il solito coglione.” O forse il coglione era lui, che ogni anno si scordava dell’abitudine dell’amico di salutarlo, a inizio anno, lanciandogli contro una Cioccorana, anche se Ian doveva ammettere di essersi portato parecchio avanti con la collezione delle figurine proprio grazie ad Aster. Quest’ultimo invece, essendo più che avvezzo agli sguardi truci dell’amico, non si scompose neanche di un millimetro:
“Scusa, ti offro spuntini gratis per il viaggio e reagisci così? Per niente carino da parte tua.”
Tirando le labbra in una smorfia che voleva sembrare offesa Aster entrò definitivamente nello scompartimento insieme al suo baule, sedendosi di fronte al Compagno di casa e usando il suo ingombrante bagaglio come poggiapiedi mentre l’amico, sbuffando piano, scartava la Cioccorana.
“Ti è andata bene, ho trovato Hermione Granger, mi mancava.”
“Ecco, vedi, lagna che non sei altro? A parte l’abbronzatura noto che sei il solito scorbutico… come sta Jinge invece?” Dopo aver gettato una brevissima occhiata alle braccia abbronzate di Ian, segno tangibile delle settimane trascorse in Spagna durante le vacanze, Aster puntò lo sguardo sul gigantesco rapace dell’amico, che ancora sonnecchiava tranquillo.
“Dorme, e comunque reagisce solo se gli parli in spagnolo, lo sai.”
Una battutina su come il rapace fosse evidentemente un po’ rompipalle tanto quanto il suo padrone solleticò la punta della lingua di Aster, ma il biondo decise di astenersi – del resto avevano tutto l’anno per sfottersi – e il suo sorriso si allargò, invece, mentre accennava in direzione del finestrino con un lieve movimento della testa:
“Mason e Jack come stanno? Li ho intravisti sulla banchina e ci siamo salutati, ma ero un po’ di fretta.”
Aster aveva capito che avrebbe adorato i padri del suo amico sin dall’istante in cui li aveva incontrati, proprio su quella stessa banchina, cinque anni prima, quando erano scesi dal treno di ritorno dal secondo anno. In un primo istante aveva faticato a comprendere come Ian potesse avere non uno, ma ben due uomini ad occuparsi di lui, uomini che venivano chiamati entrambi “papà” dal ragazzino, ma dopo la perplessità iniziale Aster era riuscito a focalizzarsi solo e soltanto su come entrambi sembrassero persone piacevoli, gentili e genitori affettuosi, genitori che stravedevano visibilmente per il figlio. Ad Aster quel quadro familiare era apparso nuovo e sconosciuto, non soltanto per l’assenza di una madre, ma anche per il rapporto che il suo compagno di Casa sembrava avere con le persone che si prendevano cura di lui, e proprio in quell’istante aveva compreso come, probabilmente, non avrebbe mai smesso di provare anche solo una punta di invidia nei suoi confronti.
“Stanno bene. Ieri si sono fatti prendere dai classici sentimentalismi pre-partenza, ma immagino che senza avermi tra i piedi riusciranno a rilassarsi un po’ di più e concentrarsi sui fatti loro, quindi in realtà sono contento di partire.” Ian si strinse debolmente nelle spalle e parlò senza guardare l’amico mentre spezzava a metà la Cioccorana, intenzionato a dividerla. Addentò la sua parte e si sporse in avanti per offrire l’altra ad Aster prima di iniziare a spolverarsi la t-shirt nera da briciole inesistenti, e l’amico accettò il suo dono scoccandogli al tempo stesso un’occhiata quasi esasperata: aveva perso il conto delle occasioni in cui si erano ritrovati a vagliare quello stesso, identico argomento.
“Per loro non sei un peso, si vede da miglia. È tutta una tua stupida idea cretina.”
“Non permetto a uno che saluta le gente lanciando dolci di giudicare le mie idee, grazie tante… Li hai fatti tutti i compiti di Trasfigurazione?”
“Chiaro che no, devo finirli adesso. Tu?”
“Neanche io, ricordiamoci di finirli prima di arrivare.”


 
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“La peggior riunione della mia vita. Prima ci fanno spostare di carrozza per motivi misteriosi costringendoci a stringerci in uno scompartimento normale, e poi come se non bastasse… Aspetta.”
Dopo aver percorso buona parte della lunghezza del treno con passi lunghi, decisi e furiosi Wendy Lightwood si fermò bruscamente nel bel mezzo del corridoio della quarta carrozza per frugare all’interno della sua borsetta a tracolla bianca, estraendo una boccetta di profumo alla vaniglia che si spruzzò sul collo, sui lunghi e ondulati capelli color grano che le ricadevano sulla schiena e persino sul maglione a trecce color panna che indossava.
“Ne vuoi?”, domandò la Tassorosso mentre ruotava su se stessa per rivolgersi al ragazzo che l’aveva seguita fino a quel momento, mostrando al Serpeverde dai ricci capelli scuri la boccetta. Dopo un breve istante di esitazione volto ad adocchiare il profumo Isaac assentì con un cenno del capo, certo di averne un gran bisogno: non era sicuro che l’aroma alla vaniglia rientrasse tra i suoi preferiti, dolce com’era, ma di sicuro sarebbe stato comunque di gran lunga migliore rispetto al tremendo olezzo che si portava appresso da qualche minuto a quella parte.
“Decisamente un inizio anno di merda. Dici che non la possiamo mettere in punizione?”, domandò il ragazzo mentre Wendy lo avvolgeva con una nube che lo avrebbe fatto profumare come un cupcake appena uscito dal forno. La bionda, visibilmente risentita per quanto appena accaduto nel corso della riunione tra Prefetti, sbuffò seccata mentre chiudeva la boccetta e la rimetteva nella borsa, parlando con tono infastidito:
“No, non possiamo perché tecnicamente l’anno scolastico non è ancora iniziato. Pensi che i jeans dovrò bruciarli o con trenta lavaggi l’odore andrà via?”
Isaac non ne aveva idea – anche se confidava fortemente nell’abilità degli Elfi Domestici per non dover buttar via la giacca di jeans con lo stemma della sua Casa ricamato sulla schiena che indossava: la possedeva da ben sei anni, dopo averla ingrandita man mano che cresceva per poter continuare a metterla, e non avrebbe sopportato di doversene liberare per colpa di uno scherzo cretino –, ma in compenso sapeva per certo che avrebbe trovato il modo di restituire il favore ad Autumn Erwood entro la fine del primo trimestre. E Wendy, che evidentemente ormai doveva conoscerlo bene, sembrò intuire la natura dei suoi pensieri:
“Stai pensando a come vendicarti?”, domandò infatti la Tassorosso dopo aver ripreso a percorrere il corridoio per fare ritorno al loro scompartimento mentre si voltava brevemente verso di lui, aggiustandosi la montatura rotonda, sottile e dorata degli occhiali sul naso mentre un lieve sogghigno incurvava le labbra di Isaac.
“Chiaramente.”
 
Un paio di minuti dopo, quando Isaac spalancò la porta dello scompartimento della quarta carrozza dove, alcune ore prima, lui e Wendy avevano stipato i bagagli, Theodore e Margot smisero bruscamente di chiacchierare per voltarsi all’unisono verso gli altri due. Dapprima sorridenti, i volti dei due Tassorosso tradirono rapidamente una malcelata forma di lieve disgusto mentre guardavano perplessi Isaac e Wendy raggiungerli all’interno dello scompartimento, il primo sedendo vicino a Theodore e la seconda vicino a Margot.
“Che avete fatto? Cos’è questa puzza orribile?”, domandò Margot prima di riuscire a trattenersi, rendendosi conto solo un attimo dopo aver parlato di come quella domanda avrebbe potuto suonare potenzialmente molto offensiva. Fortunatamente né Wendy né Isaac sembrarono prendersela, anzi un accenno di sorriso divertito sollevò gli angoli delle labbra del ragazzo mentre si lisciava la giacca di jeans gettando un’occhiata di sbieco alla bionda:
“Sembra che il tuo profumo non funzioni poi così bene.”
“Autumn Erwood, ecco che è successo. Ha avuto la premura di interrompere la nostra riunione gettando una Caccabomba nello scompartimento. Vorrei ucciderla!”
“Mi state dicendo che MacMillan si è beccato una Caccabomba e io non c’ero?! Perché non me ne va mai bene una?” Margot gemette e premette la fronte contro il finestrino, guardando tetra il verdeggiante paesaggio scozzese in mezzo al quale stavano sfrecciando sotto ad un cielo grigio che prometteva pioggia, quasi stentando a credere di avere tanta sfortuna.
Scusa Margi, non abbiamo pensato di fare una foto. E tu levati quel sorriso idiota dalla faccia!”, intimò severamente Wendy puntando il pallido indice destro verso Theodore, che come da manuale solo sentendo menzionare la Grifondoro aveva iniziato a sfoggiare un sorriso un tantino ebete. Teddy arrossì, ma come sempre si affrettò a difendere le gesta di Autumn definendola “la persona più divertente che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita”.
L’amica, dal canto suo, nutriva seri dubbi a riguardo, ma decise di lasciar perdere ben sapendo quanto quell’ipotetica discussione non li avrebbe condotti da nessuna parte; in compenso però aveva urgente bisogno di uno snack per placare i nervi, così riprese a frugare nella borsetta per cercare una delle barrette al caramello con cui aveva riempito il baule e che era sempre solita portarsi dietro.
“Ammetto che la faccia di Phil sarebbe stata degna di essere immortalata. Ti ho proprio pensata, mentre gli pulsava una vena sulla tempia sembrando quasi sul punto di esplodere.” Mentre imitava Wendy aprendo una delle tasche del suo zaino (cosparso di spillette che raffiguravano i volti di Britney Spears e delle componenti delle Spice Girls) per tirare fuori una mela – ne aveva un sacchetto pieno raccolte direttamente da casa nello zaino –, una matita e un taccuino con l’elastico e la copertina verde scuro Isaac si rivolse a Margot con un sorriso e un giocoso colpetto sul piede, quasi a volerle tirare su il morale dopo aver appreso di non aver assistito al miglior spettacolo di tutto l’anno scolastico. Il piano del Serpeverde funzionò, e la Tassorosso smise di tenere lo sguardo incollato sul vetro del finestrino per ricambiare con un sorriso vivace che le si estese fino ai grandi occhi blu:
“Lo immaginerò nei momenti di tristezza. Quello e le facce che fa quando parliamo in gaelico davanti a lui.” Margot ridacchiò e Isaac si unì a lei mentre apriva il taccuino per tornare alla pagina che aveva abbandonato al momento di lasciare lo scompartimento insieme a Wendy – che si allungò verso Teddy per porgergli una barretta al caramello – per la riunione dei Prefetti. Aveva incollato il biglietto verticalmente su un lato e sull’altra metà della pagina aveva iniziato a dar vita ad un disegno dell’Espresso per Hogwarts rimasto incompleto.
“Lo fai anche a me un disegno sul tuo diario di viaggio dell’anno?”, gli chiese Teddy accennando al taccuino prima di rimettersi nelle orecchie le cuffie gialle del suo lettore CD, deciso a godersi parte del viaggio che restava ascoltando le canzoni degli ABBA che lui e Margot non avevano ascoltato insieme per la durata della tragica riunione che aveva coinvolto i due amici. La scozzese lo imitò tirando fuori il suo lettore dalla borsa a tracolla di cuoio, mentre Wendy dalla propria – i suoi amici non smettevano mai di chiedersi come riuscisse ad infilare tante cose in borsette minuscole – tirava fuori una copia di Emma di Jane Austen che vantava un’immacolata copertina di tessuto verde salvia. Solo osservando le loro cose non sarebbe stato affatto difficile per un estraneo stabilire chi fosse, dei quattro, quello più preciso e ordinato.
“Certo, ma prima che l’immagine di poco fa svanisca per sempre dalla mia mente faccio un ritratto di Phil, così Margot può guardarlo nei momenti di sconforto.”


 
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In vista dell’arrivo Lena e Cornelia si erano già cambiate, sostituendo gli abiti con cui quel mattino avevano lasciato casa insieme a genitori e bagagli con la divisa. L’Espresso per Hogwarts sfrecciava rapido nell’ormai completa oscurità, rendendo difficile alle due giovani streghe scorgere qualcosa al di là del finestrino appannato dalle pesanti gocce di pioggia che si abbattevano violentemente sulla superficie di vetro a causa della velocità della locomotiva.
Per ammazzare l’attesa Cornelia aveva tirato fuori una scacchiera e un piccolo scrigno di legno che conteneva i pezzi dal baule, sedendosi vicino all’amica e sistemando il tavoliere a quadri in mezzo a loro.
“Non si direbbe proprio che siamo in Scozia, eh? Credo che ci sia persino la nebbia.”, osservò distrattamente Lena gettando una rapida occhiata al di sopra della spalla dell’amica per scrutare brevemente il finestrino appannato, quasi pentendosi di essersi presa la briga di sistemarsi con tanta cura i lunghi capelli biondi prima di uscire di casa mentre si sfiorava il nodo della cravatta verde e nera, allacciata e infilata nello scollo del maglione nero.
“Sinceramente speravo non piovesse almeno per l’arrivo, se diluvia come sembra ad Hogwarts ci dovremo arrivare a nuoto. Cavallo in H3.”
Entrambe rimasero in silenzio mentre osservavano il pezzo nero di Cornelia spostarsi trascinandosi sui riquadri, e Lena stava riflettendo sulla mossa successiva quando un gran baccano proveniente dal corridoio ne attirò l’attenzione, portando la russa a voltarsi verso la porta scorrevole chiusa dello scompartimento giusto in tempo per riuscire a scorgere la silhouette di una ragazza dai lunghi capelli rossi sfrecciare lungo la carrozza con le braccia piene di confezioni di carta colorate. A quanto sembrava, Autumn Erwood aveva saccheggiato il carrello degli snack.
“Come fa a muoversi tanto in fretta?”, osservò Cornelia aggrottando le sopracciglia proprio mentre Håkon Jørgen entrava nel loro campo visivo ancora senza divisa e seguendo a grandi passi l’amica, intimandole a gran voce di smetterla di schizzare da una parte all’altra come un fuoco d’artificio impazzito e facendole notare, Lena avrebbe potuto citarlo testualmente, che “i Prefetti avrebbero fatto ad entrambi un culo grande come la Torre di Astronomia grazie alla solita idea di merda con cui aveva deciso di iniziare l’anno”. A cosa di preciso il Grifondoro si stesse riferendo la Serpeverde non lo sapeva, ma venne colta dall’improvvisa certezza che lo avrebbe compreso molto presto.
“In verità l’ho intravista sulla banchina insieme ad Håkon, e aveva i pattini ai piedi. Credo che li indossi anche ora.” Lena tornò a puntare il proprio sguardo sull’amica abbozzando un sorriso divertito con gli angoli delle labbra, e Cornelia reagì fissando assorta la porta di vetro dello scompartimento mentre cercava di comprendere quale fosse la sua opinione a riguardo: conosceva Autumn Erwood da quando entrambe erano solo delle ragazzine, e ancora non era sicura di essere in grado di etichettare la Grifondoro. Quel che era certo, si disse la Corvonero, era che sia suo padre che suo fratello avrebbero approvato l’idea dei pattini su tutta la linea; poteva solo sperare che Teddy non l’avesse vista, o l’anno dopo avrebbe dovuto comprargli delle ginocchiere.
“Non so proprio dire se è geniale o fuori di testa. Ma credo che stiamo iniziando a rallentare, forse non manca molto per arrivare.”
“Per fortuna, ho famissima. Quando sono andata a vedere il carrello degli snack era quasi vuoto.”
Lena gettò un’altra occhiata al finestrino sperando di riuscire a scorgere le luci di Hogsmeade brillare in lontananza agognando il momento in cui avrebbero finalmente varcato le porte della Sala Grande, che le avrebbe messe al riparo dal freddo e dalla pioggia in tutta la sua maestosità. Quella era di gran lunga la parte del castello che la ragazza preferiva: calda, accogliente e magnifica, si poneva in netto contrasto con la sua Sala Comune, che invece era sempre piuttosto fredda, oltre che perennemente semibuia e dall’atmosfera un tantino lugubre. Si capiva quanto Salazar Serpeverde fosse stato un tipo allegro semplicemente mettendo piede lì dentro.
“E ti sorprende? MacMillan, Clarence e Autumn lo saccheggiano ogni anno.”



“Piove da far schifo.”, osservò Raymond gettando un’occhiata rassegnata fuori dal finestrino – solo in quel momento si ritrovò a riflettere su come tutti quegli anni trascorsi a girovagare per il Centro e Sud America lo avessero reso totalmente impreparato per affrontare il clima scozzese – mentre Declan, seduto di fronte a lui all’interno dello scompartimento della prima carrozza, vicino a dove si erano radunati i Prefetti per la loro consueta riunione di inizio anno, si lamentava sommessamente di aver fame.
L’ex Serpeverde alzò gli occhi al cielo, ma fortunatamente il treno stava visibilmente rallentando da qualche minuto a quella parte, segno inequivocabile del loro essere ormai quasi arrivati alla stazione di Hogsmeade.
“Hai paura di rovinare il tweed?”, gli domandò Declan rivolgendogli un sorriso allegro e guardandolo divertito mentre, seduto con le gambe accavallate, faceva dondolare lentamente il piede destro. Ora che ci rifletteva, ricordava vagamente qualche cenno di vanità da parte dell’ex compagno di scuola risalente già ai tempi in cui entrambi erano studenti. Non era Raymond quello che se l’era presa con uno studente più piccolo che gli aveva rovinato la veste calpestandola accidentalmente?
Certo che ho paura di rovinare il tweed.”, replicò l’ex Serpeverde senza scomporsi di un millimetro e guardandolo con aria sostenuta, come se non avesse alcun problema a far sapere al prossimo di tenere in maniera particolare alle proprie cose. Soprattutto quelle belle, e Raymond di cose belle e di valore ne possedeva parecchie.
“Io ho passato troppo tempo nelle foreste pluviali per aver paura di un po’ di pioggerella. Speriamo invece che per cena ci sia lo shepherd’s pie…”
“Questa la chiami pioggerella?”, domandò Raymond indicando scettico il finestrino mentre inarcava un sopracciglio, ma Declan si limitò ad un placido sorriso e a una debole stretta di spalle, come se il mal tempo non lo preoccupasse affatto. No, ciò a cui pensava l’ex Grifondoro era l’ormai imminente Banchetto di inizio anno, visto da quanto non mangiava.
Poco dopo, mentre il treno si fermava, entrambi si vestirono, e Raymond indossò un impermeabile beige che a detta di Declan lo fece sembrare, anche grazie alla sua stazza, in tutto e per tutto un detective creato dalla penna di Raymond Chandler.
“Se avessi un cappello saresti pronto ad andare all’aeroporto ad impedire ad Ingrid Bergman di salire su un aereo.”, sghignazzò Declan mentre precedeva lo Spezzaincantesimi fuori dallo scompartimento insieme alla sua valigia e al trasportino di Daffodil, la gatta balinese dagli occhi color cielo che il Grifondoro aveva coccolato per la maggior parte del viaggio.
“Bogart sarà stato alto più o meno un metro meno di me, genio.”
Determinati a scendere dal treno non appena il mezzo si fosse fermato alla stazione per evitare di restare incastrati in una folla di ragazzini i due si piazzarono vicino alle porte della prima carrozza, che Raymond aprì con un solo movimento deciso del braccio destro non appena l’Espresso per Hogwarts ebbe arrestato la sua corsa. L’ex Serpeverde si sporse per osservare dopo tanti anni la stazione di Hogsmeade, stupendosi nel constatare come quasi ogni dettaglio fosse sorprendentemente rimasto impresso molto chiaramente nei suoi ricordi.
“Non ci credo, c’è Hagrid! Non è ancora andato in pensione?”, esclamò sgomento e piacevolmente stupito Declan quando, sporgendosi a sua volta dal treno, scorse l’altissima figura del mezzogigante stagliarsi in fondo alla banchina, la lunga barba ormai completamente grigia e impegnato a richiamare a gran voce l’attenzione dei giovani studenti dei primo anno.
“Evidentemente no. Forza, andiamo a prenderci una carrozza.”
Raymond balzò agilmente giù dal treno insieme alla valigia e alla gabbia del suo gufo reale, immediatamente seguito dal collega mentre anche i primi studenti iniziavano a fluire sulla banchina. I due divennero immediatamente uno degli oggetti principali degli sguardi intimoriti dei bambini del primo anno, e Raymond dovette persino arrestare bruscamente le proprie lunghe falcate per evitare di investire un paio di ragazzine bionde, due sorelle gemelle identiche con le trecce. Lo Spezzaincantesimi le invitò pacatamente a superarlo, ed ebbe come l’impressione di sentire Declan ridacchiare quando le due giovanissime streghe, minuscole se paragonate a lui, lo guardarono spaurite prima di schizzare via senza dire una parola, scarlatte in volto.
“Che rubacuori, fai già conquiste!”
La nomea di rubacuori Raymond l’aveva avuta per buona parte della sua carriera scolastica, ma a mantenerla nelle vesti di insegnante non ci teneva affatto, soprattutto se si parlava di minorenni, pertanto roteò gli occhi blu prima di invitare caldamente il collega a seguirlo con un cenno della sua valigia di pelle. Declan obbedì ma non senza smettere di sorridere: da quando aveva scorto Raymond sulla banchina di King’s Cross era stato colpito dalla consapevolezza che quell’anno sarebbe stato molto più divertente del previsto.

 
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“Freddino, eh?”
Più o meno venti minuti dopo essere scesi dal treno Declan e Raymond avevano finalmente messo piede nel Salone d’Ingresso, e l’ex Grifondoro si stava asciugando i lisci capelli biondi umidi di pioggia facendo fuoriuscire rivoli di aria calda dalla punta della sua bacchetta. I bagagli e le gabbiette dei rispettivi animali ai loro piedi, i due ex studenti si erano fermati in un angolo del vasto salone per non ostruire il passaggio dei ragazzi che cercavano riparo dal maltempo varcando di corsa il portone di quercia, alcuni rischiando di scivolare rovinosamente sul pavimento di pietra bagnato. Raymond, in piedi accanto all’ex compagno di classe, si sfilò l’impermeabile ripiegandolo con cura sul braccio destro mentre faceva rimbalzare i grandi occhi blu sull’ambiente familiare che lo circondava: le clessidre alle sue spalle, la grande porta della Sala Grande, la scalinata di marmo che conduceva ai piani superiori, nonché quella che portava ai Sotterranei e alla sua vecchia Sala Comune, gradini che aveva salito e disceso almeno un paio di volte al giorno per una buona fetta della sua vita, tutti elementi che evocavano un infinito flusso di ricordi che gli si accavallavano in maniera confusionaria gli uni sugli altri nella mente.
“Pare impossibile che l’abbiano rimessa in sesto di recente, mi sembra identica a quindici anni fa.”
“È vero, l’ho pensato anche io ad agosto, quando sono venuto a parlare con la Professoressa McGranitt… e non è assurdo pensare che non ci sia più Silente? Ricordo che quando morì quasi non ci credetti per settimane intere. Continuo a pensare di entrare lì dentro,” Declan accennò con il mento in direzione delle porte aperte della Sala Grande “e di vederlo seduto al centro del tavolo.”
“Sì, ma sono sicuro che la McGranitt stia facendo un ottimo lavoro.”
“Quindi adesso chi è Vicepreside?”
“Di solito queste cose funzionano per anzianità, quindi immagino che si tratti del caro vecchio Professor Lumacorno.”
Raymond si strinse debolmente nelle spalle larghe simulando un’indifferenza che non gli apparteneva affatto quando si parlava del loro ex insegnante di Pozioni, e parlò sperando con tutto se stesso che Declan, dopo tutti quegli anni, avesse dimenticato. A giudicare, invece, dal modo in cui il botanico spalancò improvvisamente i tondi occhi azzurri Raymond dovette arrendersi all’evidenza e alle prese per il culo che ne avrebbero conseguito.
“Porco Godric, l’avevo scordato. Non eri tipo il suo cocco?!” Ed ecco che i peggiori timori dello Spezzaincantesimi si materializzarono brutalmente, ma fece del suo meglio per continuare a fingersi indifferente mentre scuoteva il capo e inarcava un sopracciglio con studiata perplessità, come se non stesse capendo a cosa il coetaneo si stesse riferendo.
“Non lo ero affatto.”
Sfortunatamente Reymond aveva sottovalutato l’ottima memoria di Declan, che messo da parte lo stupore iniziale scoppiò a ridere senza nessuna pietà per l’orgoglio del Serpeverde:
“Sì invece, Merlino, ti sventolava a destra e a sinistra con quel fare trionfo, ti adorava. Pendeva dalle tue labbra.”
“Sono sicuro che i tuoi ricordi sono riconducibili a qualcun altro, del resto sono trascorsi secoli.”
Declan stava invitando il collega a non prenderlo per il culo quando Marjory, Claudia e Keith varcarono a loro volta la soglia del castello, mettendosi finalmente al riparo dalla pioggia violenta che si stava abbattendo su tutta la zona.
“Avevo quasi scordato quanto spesso piova da queste parti.”, rise Marjory, per nulla preoccupata dal maltempo, mentre si dava una lieve strizzata alla coda bassa con cui aveva legato i lunghi capelli castano-rossicci dopo aver posato brevemente sul pavimento i trasportini dei suoi due animali – Cary, il suo barbagianni, non sembrava per nulla contento di essersi bagnato le piume –. Claudia, seguendola insieme alla sua valigia mentre quelle dell’ex Tassorosso seguivano la proprietaria galleggiando a mezz’aria, si tastò sospirando i capelli scuri umidi prima di gettare un’occhiata sconsolata ai propri piedi, improvvisamente più che pentita di aver scelto di indossare un paio di Mary Jane per il viaggio.
“Ti consiglio di indossare degli stivali quando esci dal castello.”
Keith indugiò accanto all’americana guardandosi brevemente attorno prima di gettare a sua volta un’occhiata ai piedi quasi nudi della strega, rivolgendole un mite accenno di sorriso che la strega ricambiò mentre annuiva, rassegnata e grata di aver messo un paio di Hunter di gomma in valigia:
“Suppongo che farò meglio a ricordarlo.”
Mentre estraeva la bacchetta dalla tasca interna della giacca di tweed marrone con l’obbiettivo di asciugarsi almeno parzialmente i capelli Marjory fece vagare lo sguardo sul resto del Salone d’Ingresso, e un sorriso allegro le incurvò le labbra rosee quando i suoi occhi blu indugiarono su un paio di persone ferme in un angolo della sala, entrambe con il proprio bagaglio al seguito. Certa di avere di fronte i restanti futuri colleghi la strega non esitò ad avvicinarsi per andare a presentarsi, entusiasta all’idea di fare nuove conoscenze.
Raymond non amava fare nuove conoscenze, ma quando scorse una donna avvicinarsi a lui e a Declan quasi tirò un sospiro di sollievo: se conosceva Declan almeno un po’ sapeva che il Grifondoro si sarebbe fatto prendere dalla parlantina dimenticandosi di lui e di Lumacorno almeno per qualche minuto. La strega, che non era difficile immaginare fosse una dei loro colleghi nuovi di zecca, si fermò infatti ad un metro da loro e rivolse ad entrambi un sorriso cordiale, vivace e contagioso:
“Buonasera. Sono Marjory, molto piacere.”
Aveva un aspetto decisamente bizzarro, osservò Raymond mentre Declan, ricambiando il sorriso della strega, allungava la mano per stringere la sua e presentarsi, e non solo per i capelli bagnati che le incorniciavano il viso dalla carnagione rosea. Non era molto alta, e i suoi grandi occhi rotondi, uniti al sorriso che sfoggiava e ad un abbigliamento bizzarro – al di là delle uniformi scolastiche Raymond non aveva mai visto una donna portare la cravatta in tutta la sua vita – gli fecero immediatamente pensare al personaggio di un qualche cartone animato per bambini. Sembrava persino di ottimo umore nonostante avesse i capelli quasi completamente fradici, altro elemento che stranì leggermente lo Spezzaincantesimi. Però, dovette ammetterlo, indossava una bella giacca di tweed.
“Declan.”
Dopo aver stretto la mano al sorridente ragazzo biondo Marjory si rivolse all’altro, più alto di alcuni centimetri e particolarmente ben vestito. La piccola mano della strega non vacillò, sospesa a mezz’aria verso di lui, e Raymond la strinse delicatamente con la propria, molto più grande, dopo qualche breve istante passato a giudicarla silenziosamente con lo sguardo.
“Raymond Aldridge.”
Mentre si presentava con un tono infinitamente più formale e distaccato rispetto a quello usato da Declan Marjory ebbe la certezza che l’uomo la stesse in qualche modo giudicando silenziosamente, ma anziché farsi intimidire o scoraggiare continuò imperterrita a sorridere, per nulla preoccupata:
“Oh, siete entrambi inglesi. È bello essere tornati, vero?”
“Sorvolando sul tempo delizioso.”, commentò con tono pacato Raymond mentre Keith e Claudia, ancora alle spalle di Marjory, si avvicinavano al trio. Declan roteò gli occhi blu prima di gettare al Serpeverde un’occhiata con cui era sua intenzione consigliargli di sforzarsi per sembrare più simpatico, ma Marjory dimostrò di avere un entusiasmo difficile da smontare rivolgendogli un sorriso altrettanto pacato:
 “Se ha studiato qui sa che fa parte dell’esperienza, o sbaglio?”
Raymond non rispose, limitandosi a studiarla leggermente accigliato, e prima che potesse dire altro Claudia e Keith li raggiunsero.
“Salve. Claudia Westbrook, molto piacere.” Di norma non si presentava al prossimo con i piedi fradici, specie in ambito lavorativo, ma Claudia si sforzò comunque di sorridere ai due sconosciuti cercando di apparire più socievole di quanto in realtà non fosse: poco prima aveva guardato Marjory dirigersi senza indugio per fare le presentazioni realizzando quanto profondamente invidiasse le persone spigliate e spontanee quanto lei, che invece in certe situazioni i discorsi doveva quasi prepararseli in anticipo. L’americana strinse la mano a Declan e poi a Raymond e Keith la imitò subito dopo mentre il botanico, sorridendo con aria amichevole, batteva una mano sulla spalla del Serpeverde:
“Declan, lui è Raymond. Stiamo aspettando che la nostra carissima Preside venga a darci istruzioni, presumo… A proposito, come dovremmo chiamarla, Preside o Professoressa?”, domandò il biondo alzando lo sguardo sul collega, che sbuffò piano mentre incrociava le braccia muscolose al petto:
“Perché lo chiedi a me, ti sembro un suo amico? Chiamala come vuoi, basta che eviti McGranator come quando eravamo al VI anno.”
“Sì, scusa, scordavo che tu sei culo e camicia solo con Luma.”
Mentre Claudia rivolgeva una rapida occhiata quasi affranta in direzione di Keith, che le assicurò con un cenno silenzioso che le avrebbe spiegato in un secondo momento, Marjory dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per astenersi dal far sapere a voce alta di aver avuto la certezza di essere di fronte un ex cocco di Lumacorno non appena si erano presentati: sua madre glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento fin da quando era bambina, di non poter sempre dare voce a tutto quello che le passava per la mente. Le scappò comunque un accenno di risatina, e Raymond, a giudicare dall’occhiata sostenuta che le scoccò dall’alto in basso, non diede cenno di aver gradito.

 
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“Che tempo di merda.”
Dopo ben tre mesi trascorsi sulla West Coast il clima scozzese lo aveva accolto, se possibile, nel peggiore dei modi: Aster varcò la soglia del castello superando l’alta porta di quercia aperta scrollandosi leggermente il cardigan nero della divisa che aveva infilato, sbottonato, sopra alla camicia bianca. La veste non ne aveva voluto sapere di indossarla quando, ancora a bordo del treno, lui e Ian avevano appurato quanto violentemente stesse piovendo: indossare la veste avrebbe significato trascinarsi appresso un pesante e ampio pezzo di stoffa fradicio fino alla fine del Banchetto, e nessuno dei due aveva intenzione di usare i propri indumenti per lucidare i pavimenti di pietra della scuola.
Mentre alle loro spalle imperversava una tempesta in piena regola Aster si passò una mano tra i lisci capelli biondi lunghi fino alle spalle, quasi del tutto madidi di pioggia tanto quanto quelli scuri dell’amico, cercando di rendersi un po’ più presentabile mentre nel Salone d’Ingresso stracci incantati cercavano di asciugare come potevano il pavimento e gli studenti accorrevano all’interno per cercare rifugio dalla pioggia, alcuni lamentandosi a gran voce per lo stato pietoso in cui avrebbero versato i propri capelli in occasione del Banchetto di inizio anno.
“Mi fanno quasi pena quelli del primo anno, pensa arrivare in barca con questo tempo.”
“Probabilmente si faranno una nuotata.”, convenne Ian mentre i due si affrettavano in direzione delle porte spalancate della Sala Grande, ansiosi di sedersi a tavola dopo tante settimane di assenza e di attendere l’inizio dello Smistamento insieme ai loro compagni di Casa, riparati dal calore emesso dai due enormi caminetti che scaldavano l’ambiente. Passando il Serpeverde adocchiò un curioso manipolo di persone che non aveva mai visto prima d’allora, tre uomini e due donne che conversavano in un angolo del salone, a poca distanza dalle quattro enormi clessidre dei punti ancora vuote.
Ian aggrottò la fronte chiedendosi di chi potesse trattarsi, ma convincendosi che dovesse trattarsi di qualche inviato del Ministero non si attardò nel salone sempre più gremito di studenti fradici e neppure condivise a voce alta le sue perplessità con l’amico, che sembrava non aver affatto notato il gruppo di sconosciuti. I due superarono le porte ritrovandosi a fronteggiare l’enorme e familiare Sala Grande ancora quasi deserta, le lunghe tavolate apparecchiate, come voleva la tradizione, con posate e piatti d’oro e decine e decine di candele che fluttuavano sopra le panche.
Nessuno dei due aveva avuto l’accortezza di indossare la cravatta verde e nera della divisa, e mentre si incamminavano verso il loro tavolo Aster ebbe come l’impressione di scorgere un’occhiata torva rivolta a se stesso e all’amico proveniente dalla Preside, che stava attraversando la sala a passo svelto e avvolta da una veste verde fluttuante. Essendo avvezzo alle ramanzine a causa della scarsa considerazione che era solito nutrire nei confronti della divisa – caratteristica che lui e Ian avevano in comune – Aster non si scompose per nulla, anzi sorrise gentilmente alla Preside come se nulla fosse, certo che quella sera la donna avesse ben altro da fare piuttosto che perdere tempo per un paio di cravatte dimenticate volutamente all’interno dei bauli.
“Che fame, speriamo che con lo Smistamento se la sbrighino in fretta.” Aster sospirò mentre lui e Ian si affrettavano a prendere posto dando le spalle alla parete, sia per godere di un’ottima visuale sul resto della Sala Grande, sia per fare in modo di mettersi il più vicini possibili all’enorme caminetto di pietra, lasciando che le fiamme asciugassero l’acqua che si era accumulata sui loro maglioni nel breve tragitto tra la carrozza e il portone di quercia dell’ingresso.
“Sempre che i poverini del primo anno arrivino sani e salvi.”, ironizzò Ian mentre si metteva comodo sulla panca cercando di scollarsi il cardigan e la camicia fradici dalla schiena, per nulla intenzionato ad iniziare il suo ultimo anno scolastico con l’influenza.
“Peggio che a quelli della nostra età non potrà andare comunque. Pensa che bellezza venire accolti da quella megera della Carrow... Ciao Lena.” Il solo ricordo della donna più perfida che avesse mai avuto la sfortuna di incontrare in tutta la sua vita aveva destato una smorfia di puro disgusto sul viso di Aster, che a causa di quegli orribili ricordi salutò la ragazza alta, longilinea e bionda che passò davanti a lui e all’amico con un tono un po’ più cupo di quanto non fosse stata sua intenzione.
“Ciao ragazzi.” Mentre superava i loro posti camminando accanto a Cornelia la ragazza indirizzò un lieve accenno di sorriso ad entrambi i compagni di classe, andando infine a sedersi qualche metro più avanti in modo da poter seguire meglio lo Smistamento. Com’era loro abitudine per riuscire a scambiare qualche parola anche nel corso dei pasti Cornelia sedette al tavolo dei Corvonero praticamente alla stessa altezza del posto che aveva occupato l’amica, a poca distanza da Sawyer Rhodes e da Philip MacMillan, che si stava strofinando nervosamente i ricci capelli biondi certo che la pioggia li avrebbe ben presto resi in condizioni pietose.
“Certo che potrebbero lasciarcelo qualche grissino mentre aspettiamo lo Smistamento.”, osservò distrattamente Aster dopo qualche breve istante di silenzio mentre fissava pensoso le candele che fluttuavano sopra la sua testa e quella dell’amico, deciso a fare in modo di eliminare il ricordo del suo primo anno ad Hogwarts dalla conversazione. Nonostante potesse intuire facilmente le intenzioni dell’amico Ian all’udire quelle parole smise di scrutare il tavolo degli insegnanti – i cinque sconosciuti che aveva notato prima di entrare avevano appena sfilato in mezzo ai tavoli insieme alla McGranitt e si erano uniti al corpo docenti occupando un’estremità della tavolata – per gettargli un’occhiata piena di rassegnazione:
“Ma non ti sei mangiato non so quante Gelatine sul treno?”
“In mia difesa, la metà faceva schifo. Ho una sfiga rara quando si tratta di azzeccare i gusti decenti.”
 
 
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“Hai idea di chi siano quelle persone?”
A pochi minuti dall’inizio del Banchetto Håkon pronunciò quelle parole stringendo una pirofila di ceramica piena di carote al burro e con gli occhi scuri puntati sul lungo tavolo degli insegnanti, scrutando i cinque volti nuovi che sedevano uno accanto all’altro, tutti presi dalla cena e dalle chiacchiere. Uno di loro, un tizio molto attraente con la barba e gli occhi azzurri, sembrava essere stato preso in ostaggio da Lumacorno – che chiacchierava tagliando un’enorme bistecca al sangue, con tanto di tovagliolo appeso allo scollo del maglione a mo’ di bagaglio per non sporcarsi – e dalla sua parlantina fluente, mentre gli altri quattro, due uomini e due donne che dimostravano all’incirca tutti tra i trenta e i trentacinque anni, parlavano tra loro.
Fno.”
Håkon distolse lo sguardo dall’estremità del tavolo che ospitava i nuovi arrivati, nonché la più vicina al tavolo dei Grifondoro, per gettare un’occhiata alla sua migliore amica, che come da consuetudine gli si era seduta di fronte. Il ragazzo si rammentò delle carote e se ne servì una generosa cucchiaiata, accanto alle patate arrosto e al filetto di salmone che aveva adocchiato non appena i piatti da portata d’oro, le zuppiere di porcellana e le teglie ammassate sul tavolo si erano riempite, e si ritrovò ad inarcare scettico un sopracciglio mentre osservava Autumn alle prese con la cena con tutta la grazia e l’eleganza che notoriamente la contraddistinguevano: la giovane strega stava dimostrando il suo apprezzamento per il pollo arrosto stringendo una coscia per mano, addentando l’una e l’altra senza curarsi di ungersi le labbra carnose.
“Come fai ad avere così fame dopo tutto quello che ti sei sbafata sul treno?”, domandò perplesso il Grifondoro nel rammentare tutte le schifezze che, come voleva la tradizione, lui e Autumn avevano acquistato dall’anziana e gentile signora che spingeva il carrello degli snack avanti e indietro per l’Espresso per Hogwarts. Lui, naturalmente, si era anche portato da casa una bella scatola di metallo piena dei biscotti al burro che preparava sua madre, e lui e Autumn avevano diviso anche quelli durante il viaggio (avrebbe provveduto a chiederne altri a Winnie entro la fine della settimana).
Certo anche lui era affamato, ma anche dopo sei anni di amicizia si domandava come facesse la sua amica ad ingurgitare tanto cibo.
Ho fame! Ehy, Jones, non azzardarti a finire lo Shepherd’s Pie! Håkon, passami la teglia.” Dopo aver silurato un ragazzino del terzo con una sola occhiata Autumn mollò le cosce di pollo sul piatto e si pulì le dita unte sul tovagliolo bianco mentre l’amico, alzando gli occhi al cielo, si allungava verso lo sformato oggetto del desiderio della ragazza, nonché uno dei suoi piatti preferiti in assoluto.
“Ne vuoi ancora Gregory? Non preoccuparti di Autumn.” Una volta sollevata la teglia Håkon si rivolse gentilmente al ragazzino che gli sedeva accanto, invitandolo a servirsi ancora mentre dall’altra parte del tavolo Autumn sbarrava gli occhi inorridita, accusando l’amico di non “stare dalla sua parte” mentre Gregory, intimorito da Håkon e dal suo aspetto minaccioso ma infinitamente di più dalla sua amica, scuoteva il capo facendosi piccolo piccolo sulla panca di legno.
“Come preferisci… Tieni Autumn.” Arreso, il Grifondoro porse la teglia di porcellana all’amica, che fu ben lieta di farsi posto nel piatto pieno – impresa ardua – per servirsi un po’ di sformato mentre il ragazzo iniziava finalmente a tagliare il suo invitante filetto di salmone al forno. Una volta che Autumn si fu servita Håkon seppe di poter ritornare alle sue domande:
“Allora, che ne pensi dei nuovi arrivati?”
“Penso siano tutti molto fighi, ma al mio arco non ho altre informazioni purtroppo. Ma non ha senso che si tratti di insegnanti nuovi, no?”, osservò distrattamente la strega mentre raccoglieva dal piatto una generosa quantità di patatine fritte cosparse di ketchup. Scettico, Håkon inarcò un sopracciglio mentre masticava il suo salmone, aspettando di deglutire prima di tornare a parlare:
“Perché dici di no?”
Autumn si strinse nelle spalle mentre tornava a rivolgersi all’amico, puntandogli contro una coscia di pollo e prendendo ad agitarla debolmente man mano che elencava – con una serietà che difficilmente ci si sarebbe immaginati da qualcuno che parlava brandendo del pollo – le ragioni che l’avevano spinta a trarre quella conclusione:
“Punto primo, sono cinque. Sono troppi. Punto secondo, nessuno doveva andare in pensione, anche se per Luma sarebbe ora… Punto terzo, nonché più importante, basta guardare il tavolo per appurare che i prof ci sono tutti. Forse sono ex studenti pupilli di Luma in visita di cortesia, o magari lavorano per il Ministero o che so io.”
Nonostante fosse arduo prendere sul serio Autumn dato ciò che teneva in mano – a cui si aggiungevano suoi i capelli, raccolti in un disordinato ammasso color rame sulla nuca per non rischiare di sporcarli –Håkon dovette riconoscere che le osservazioni dell’amica avevano una loro logica, pertanto gettò un’ultima occhiata in direzione del tavolo prima di annuire e stringersi nelle spalle:
“Immagino che la McGranitt ce lo dirà alla fine della cena.”
“Esattamente. E poi, cosa mai potrebbero insegnarci di nuovo?”
Forse a mangiare con le posate.”
 

Mezz’ora più tardi il Banchetto stava ormai giungendo al termine: le portate principali erano sparite dai piatti lasciando posto ai dolci, e quasi tutti gli studenti non avevano esitato a servirsi porzioni di pudding, soufflé al cioccolato, Tiramisù, gelato o soffici e alte fette di Carrot Cake o Victoria Sponge(6).
Al tavolo dei Corvonero Phil, come da tradizione, aveva deciso di concedersi un assaggio di praticamente tutti i dolci – non voleva certo offendere il duro lavoro degli Elfi Domestici –, inclusa una meringa avvolta da una vaporosa nuvola di panna montata. Stava giusto spostando un po’ di panna su un angolo della sua fetta di Carrot Cake quando Sawyer, che gli sedeva accanto e aveva preso solo un soufflé al cioccolato, gettò un’occhiata divertita al suo piatto pieno prima di ridacchiare:
“Ogni anno mi scordo della tua ossessione per i dolci.”
“La mia non è affatto ossessione, potrei smettere quando voglio.” Esattamente ciò che andava ripetendo suo padre quando la madre lo pregava di smettere di fumare, osservò silenziosamente Sawyer prima di raccogliere le ultime briciole di soufflé con il cucchiaio d’oro da dessert.
“Vorrei proprio vederti mentre ci provi. Stai attento però, il diabete è una brutta piaga.”
Phil non rispose, ma in compenso infilzò con una minuscola forchettina d’oro il pezzo di torta e fu ben felice di assaggiarla, gioendo silenziosamente per il suo ritorno ad Hogwarts: certo, suo fratello gli mancava, ma ogni anno dimenticava quanto eccellente fosse la cucina degli Elfi Domestici.
Pochi minuti dopo il giovane Corvonero stava giusto discutendo insieme a Sawyer per decretare quale fosse la materia più inutile insegnata ad Hogwarts – secondo Phil Divinazione svettava clamorosamente su tutte le altre, ma Sawyer si diceva combattuto con Erbologia – quando ogni singola voce che fino ad un attimo prima aveva animato la Sala Grande si spense bruscamente: Minerva McGranitt sembrava aver deciso di poter porre fine al Banchetto, o quantomeno che fosse giunta l’ora delle sue rituali comunicazioni di servizio di inizio anno, e la sua figura alta e sottile si stagliò contro la sedia simile ad un trono su cui sedeva quotidianamente.
Mentre i capelli un tempo corvini, ormai argentei, quasi brillavano sotto la calda luce emessa dalle candele fluttuanti la donna attese finchè la Sala Grande non divenne del tutto silenziosa, facendo scivolare gli ammonitrici e severi occhi verdi sulle quattro tavolate mentre anche Declan e Marjory, temendo che potesse sentirli e forse a causa di qualche reminiscenza del passato, smettevano improvvisamente di scambiarsi i loro personalissimi ricordi legati proprio alla donna in questione.
“Prima di tutto, vorrei risolvere la curiosità che probabilmente molti di voi serbano da quando hanno preso posto: immagino avrete notato un insolito numero elevato di commensali seduti al tavolo degli insegnanti. I signori qui presenti saranno nostri ospiti, quest’anno, per tenere dei corsi extra rivolti agli studenti del VI e del VII anno, dunque siete pregati di trattarli con lo stesso rispetto che riservate a tutti gli altri insegnanti.”
Un notevole brusio si impossessò della Sala Grande non appena Minerva McGranitt ebbe parlato, e centinaia di voci echeggiarono in maniera confusionaria tra le alte pareti del castello, alcune prese a bisbigliare concitate e altre a lamentarsi sommessamente con il proprio vicino di posto. Håkon Jørgen, al contrario, smise brevemente di osservare la Preside per rivolgersi direttamente alla sua migliore amica, che se ne stava a bocca aperta come gran parte dei loro coetanei, scuotendo il capo rassegnato:
Come al solito non hai capito un cazzo.”
Ma che cazzo vuoi, ti sembro Sherlock Holmes? Taci un po’, voglio sentire!”
 
“Perché le ragazze sembrano colpite da dei fulmini?” La considerazione che Phil nutriva verso alcune delle sue coetanee non era propriamente elevatissima già di norma, ritenendone una parte uno stormo di oche giulive ossessionate dal suo migliore amico e dallo smalto per le unghie, ma dopo la comunicazione della Preside ebbe l’impressione che i cervelli di alcune di loro fossero andati in cortocircuito: accigliato, guardò le sue compagne di classe prendere a bisbigliare concitate tra loro rivolgendo continue occhiate condite da risolini al tavolo degli insegnanti mentre alcune ragazzine del quarto anno gemevano e si lamentavano, visibilmente deluse di non essere state incluse. E non erano le sole, osservò rapidamente il Corvonero mente lo stesso fenomeno si diffondeva a macchia d’olio anche tra i commensali degli altri tavoli. Da quando tutta quella gente moriva dalla voglia di studiare?
“Lo hai guardato bene il tavolo degli insegnanti?”, fu tutto ciò che riuscì a chiedergli Sawyer mentre smetteva di scrutare la Preside per tornare a guardare l’amico inarcando un sopracciglio, scettico. Phil obbedì, studiando per una manciata di istanti tutti e cinque i volti nuovi – una delle due streghe sembrava essere arrossita mentre stava a capo chino giocherellando con una posata, quasi la mettesse a disagio tutta quell’attenzione improvvisa – e soffermandosi in particolar modo sui tre uomini prima di annuire distrattamente: aveva compreso alla perfezione.
 

 
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“Forse non dovevo fare il bis di Tiramisù…”
La voce di Teddy Lockwood si levò come un pigro lamento dalla poltrona imbottita nella quale il ragazzo si era lasciato sprofondare non appena varcata la soglia della Sala Comune dei Tassorosso, i corti capelli biondi che quasi si confondevano con la tappezzeria color oro della poltrona.
“È il problema del Tiramisù,” suggerì una delle sue migliori amiche parlando a bassa voce, seduta sul divano – anch’ello di una calda tonalità color oro – collocato alla destra della poltrona con le gambe raccolte contro il corpo dopo essersi sfilata i loafer neri senza lacci della divisa “è impossibile non mangiarne troppo.”
Sistemata contro il bracciolo, Margot stava studiando distrattamente una delle finestre di forma circolare che dalla cima delle pareti riempivano costantemente di luce, anche quando il tempo era inclemente, la Sala Comune, offrendo idilliaci scorci su prati in fiore e di denti di leone dolcemente mossi da un’irrealistica brezza.
“Stai pensando alle materie nuove? Chissà che cosa si sono inventati… Forse ce lo diranno domani insieme all’orario.”
Teddy si mosse leggermente sulla poltrona per poter gettare un’occhiata all’amica, che sedeva tenendo il capo leggermente reclinato all’indietro sullo schienale del divano, le dita della mano destra che giocherellavano con la catenella di una collina che aveva una minuscola riproduzione del Millenium Falcon come ciondolo.
“In realtà stavo pensando a casa… I primi giorni mi chiedo sempre come se la passeranno senza di me, mi sembra quasi impossibile che ci riescano visto come vanno le cose. Ieri sera i bambini piangevano come disperati.” La giovane strega smise di studiare gli inesistenti filamenti lanosi del tarassaco che si libravano a mezz’aria staccandosi dal fiore per volgere a sua volta lo sguardo sull’amico, gli occhi blu meno allegri della norma mentre si faceva prendere dalla malinconia nel ricordare i vani tentativi della sera prima di mettere a letto i suoi cuginetti senza che i bambini si agitassero disperati per la sua partenza imminente. E dire, si ritrovava a constatare spesso Margot, ogni volta in cui le mancavano, che vivevano a nemmeno poi molta distanza da Hogwarts. Era ironico che non potesse vederli per mesi e mesi quando erano così vicini.
“È ovvio che gli manchi, insomma, quando sei a casa te ne occupi sempre tu, si abituano a stare sempre con te per tutta l’estate. Se ti consola anche mia sorella si domanda sempre come se la cavi mio padre, ma a fine anno torniamo e lo troviamo sempre in perfetta salute, con la casa ancora in piedi.”
Teddy sorrise e malgrado la nostalgia di casa Margot finì con l’imitarlo – le folli imprese dei Lockwood allietavano le sue vacanze estive tutte le settimane, quando l’amico le inviava lunghissime lettere piene di aneddoti assurdi o, ancor meglio, quando Teddy la invitava a casa loro e poteva assistere a quel bislacco quadretto familiare direttamente con i propri occhi – pur non riuscendo a trattenersi dal provare un moto di malinconia nei confronti del padre dell’amico: John Lockwood era una persona e un padre fantastici, e immaginarlo a patire la distanza dai figli, che amava più di qualsiasi altra cosa, quasi le spezzava il cuore.
“Mi dispiace pensarlo a casa da solo, però.”
“Anche a me. Margi, abbiamo una missione.” Resosi conto di non aver messo al corrente l’amica della sua decisione Teddy si raddrizzò improvvisamente sulla poltrona mettendocisi a sedere di sghimbesci, la schiena appoggiata contro un bracciolo e le ginocchia sull’altro, con i piedi fasciati da un paio di calzini gialli con delle apine ricamate che penzolavano nel vuoto. Di colpo serissimo, il ragazzo parlò guardando l’amica come se stessero per affrontare una questione di vitale importanza:
Gli troveremo una fidanzata.”
Dopo un breve sgomento iniziale l’idea sembrò entusiasmare Margot, che cambiò a sua volta posizione sull’angolo del divano e ripiegò i piedi sotto le gambe mentre si rivolgeva completamente all’amico, un gran sorriso sulle labbra carnose:
“Ohh, fantastico, saremo come quegli amici che nelle commedie romantiche si attivano per trovare un fidanzato o una fidanzata al personaggio principale!”
Esatto. I tizi che alla fine del film restano chiaramente sempre single, e trattandosi di noi non fa una piega.”
Un po’ come gli amici di Bridget Jones.”
“Sì, più o meno, ma noi non siamo così disagiati.”
A dirla tutta Margot non era poi così sicura che fosse vero, ma prima che potesse palesare qualche dimostranza la porta d’ingresso della Sala Comune – di forma tondeggiante come tutte le altre, seppur di diametro maggiore, e identica in tutto e per tutto al coperchio di una botte – venne spalancata, e una loro certa conoscenza li raggiunse con aria un tantino seccata e in compagnia di due ragazzine del primo anno fresche di Smistamento.
“Quella porta laggiù conduce al Dormitorio femminile, ora vi ci accompagniamo… Vedete di aspettarmi, non ho nessuna intenzione di vagare nei tunnel per ora per cercarvi una seconda volta.” Dopo aver indicato la porta che conduceva ai tunnel del Dormitorio femminile alle due giovanissime studentesse – entrambe visibilmente piene di vergogna per essersi perse nei meandri dei Sotterranei – Wendy individuò gli amici e li raggiunse sospirando e sbottonandosi i bottoni che tenevano allacciata la sua lunga veste nera con la spilla da Prefetto appuntata in alto a destra, sfilandosela prima di lasciarsi scivolare stancamente sul divano accanto a Margot.
“Prima sera e ho già dovuto raccattare due ragazzine.”, borbottò la strega mentre afferrava stancamente un cuscino con una federa con un ricamo floreale per abbracciarlo, reclinando il capo contro lo schienale del divano mentre i due amici la guardavano con sorrisetti divertiti sulle labbra:
“La dura vita da Prefetto.”
“Il prezzo da pagare per il bagno con la piscina. A proposito…” Teddy si mosse leggermente sulla poltrona per sporgersi verso l’amica, ma Wendy, intuendo dove volesse andare a parare, gli evitò di sprecare fiato raddrizzandosi contro lo schienale del divano per rivolgergli un’occhiata severa:
“Scordatevela la parola d’ordine del Bagno dei Prefetti, l’anno scorso con quella gara di tuffi avete combinato un macello.”
“Io non ci tengo più ad andarci, non voglio rischiare di incontrare MacMillan. Di sicuro mi prenderebbe in giro fino alla morte se mi vedesse in costume.”, mormorò cupa Margot incrociando le braccia sotto il seno e sprofondando un poco nel divano, temendo anche solo la lontana eventualità che il suo acerrimo nemico – Wendy poteva insistere quanto voleva che solo nelle opere di finzione si avessero “acerrimi nemici”, lei avrebbe continuato a reputarlo tale – potesse vederla in costume da bagno, anche considerando quanto schifosamente magro era quel ragazzo. E dire che lo vedeva rimpinzarsi di dolci ogni volta in cui il suo sguardo indugiava su di lui durante i pasti! Probabilmente quando avevano distribuito il metabolismo veloce lei stava facendo la fila per la calamità per le figuracce.
“Ma mandalo a quel paese MacMillan Margi, sei così bella. E simpatica.” Wendy colpì l’amica con una debole gomitata sul fianco prima di gettare un’occhiata in tralice alle ragazzine del primo anno che aveva riaccompagnato poco prima, impegnate ad osservare affascinate e stranite al tempo stesso il gran numero di piante, molte delle quali bizzarre, con cui la Professoressa Sprite in persona aveva riempito la Sala Comune. L’indomani avrebbe radunato i nuovi arrivati per assicurarsi che nessuno si avvicinasse troppo alla pianta di bulbi balzellanti.
“E gentile, lui se lo sogna di avere un bel carattere come il tuo.”, aggiunse Teddy mentre si alzava dalla poltrona per appollaiarsi sul bracciolo del divano e cingere così le spalle dell’amica con un braccio, ricambiando il sorriso grato che Margot gli rivolse prima di guardarla voltarsi verso Wendy:
“Andiamo in camera? Dobbiamo accompagnare anche le due disperse.”
“Va bene, in effetti comincio ad essere un po’ stanca. Notte Teddy.” Wendy si alzò recuperando la sua veste, e lanciò un bacio aereo all’amico con le dita della mano destra mentre Margot, dopo essersi alzata a sua volta, si dirigeva verso le due ragazzine del primo anno con un sorriso gentile e rassicurante sulle labbra:
“Ciao ragazze, io sono Margi! Non vi preoccupate, capita a tutti di perdersi all’inizio… Venite, io e Wendy vi portiamo a vedere la vostra nuova camera. Che belli i tuoi fermagli!”
Mentre Margot si scambiava complimenti con le due piccole nuove arrivate in merito agli accessori indossati Wendy e Teddy stettero a guardare in silenzio, la fronte della prima visibilmente aggrottata mentre scuoteva lentamente il capo e i lunghi capelli biondo grano:
“Dove la trova quella pazienza infinita con i ragazzini?”
“Connie dice che ha fatto pratica con me. Cavolo, mia sorella è proprio un’acidona.”
 
 
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Terminato il Banchetto e congedati gli studenti la Preside aveva chiesto a Keith, Raymond, Declan, Marjory e Claudia di attardarsi brevemente all’interno della Sala Grande: lasciati i loro posti avevano atteso vicino al tavolo, salutando e guardando il corpo docenti della scuola sfilare davanti ai loro occhi per raggiungere l’uscita e dirigersi nelle rispettive stanze. Dopo aver conversato brevemente con Lumacorno, che si era allontanato salutando allegro tutto il gruppo e in particolare Raymond, Minerva aveva raggiunto il piccolo gruppo facendo foggio di una falcata rapida e agile quasi sorprendente se considerata l’età avanzata della donna, le labbra sottili strette a conferire al suo volto un’espressione seria.
“Vi ringrazio per la pazienza, vi ruberò solo un minuto. Ora, queste sono le chiavi delle vostre stanze, si trovano tutte al terzo piano.”
Da una tasca della lunga veste verde ricamata con dettagli d’oro Minerva estrasse una piccola fodera di pelle di drago che, aprendola, si rivelò contenere cinque chiavi di bronzo, ognuna con una decorazione differente sulla testa.
 “Meraviglioso. Il cane a tre teste lo avete tenuto?” Mentre Claudia sbarrava gli occhi azzurri inorridita Minerva ignorò deliberatamente la domanda di Declan, limitandosi a consegnare una chiave a ciascuno dei cinque nuovi insegnanti prima di riporre la fodera all’interno della tasca della veste e lisciarne sbrigativamente il tessuto con le dita lunghe, pallide e sottili.
“Farò in modo che vediate i vostri uffici domani mattina, vista l’ora credo sia meglio che andiate a riposarvi e a disfare i bagagli… le vostre valige vi aspettano nelle vostre stanze, naturalmente.”
Dopodiché la donna si rivolse direttamente a Claudia, scrutandola attraverso le lenti rettangolari degli occhiali:
“Signorina Westbrook, ritengo che abbia bisogno di una visita approfondita del castello, domani nel pomeriggio può andarle bene? Preferirei evitare di andare a caccia di insegnanti dispersi nei Sotterranei come già è accaduto in passato.”
“Certo, come preferisce, basta che nessuno si disturbi.” Claudia assentì con un lieve cenno del capo e con un mite sorriso, grata alla Preside di aver avanzato la proposta: ora che aveva sentito parlare di cani a tre teste era più che sicura di non aver nessuna voglia di perdersi in qualche anfratto del castello.
“Gli altri insegnanti hanno un orario piuttosto fitto e vista la vastità del castello una visita approfondita richiederebbe tempo, potrei chiedere ad un fantasma… a meno che uno dei presenti non si offra di accompagnare personalmente la Signorina Westbrook. Conoscete tutti molto bene il castello, direi.” Questa volta i penetranti occhi verdi della donna indugiarono con fare eloquente su ciascuno dei quattro volti di Declan, Raymond, Keith e Marjory, che sorrise e prese prontamente la parola prima di tutti gli altri:
“Posso farlo io, Professoressa.”
“Grazie Marjory. Come ho detto inizierete le lezioni solo la prossima settimana, avete tutto il tempo di ambientarvi… Buonanotte e bentornati ad Hogwarts.”
Con quelle parole Minerva si congedò, salutando i cinque con un ultimo cenno del capo prima di girare sui tacchi e allontanarsi rapida nello spazio compreso tra il tavolo dei Tassorosso e quello dei Corvonero, ripetendo a ritroso il percorso che ogni anno il resto della scuola vedeva compiere agli studenti del primo anno per essere Smistati. Rimasti soli vicino al tavolo degli insegnanti e all’interno della Sala Grande, Declan si stiracchiò ruotando le spalle prima di accennare un sorriso e proporre ai colleghi di imitare la Preside e andare a dormire.
Mentre il gruppo si dirigeva verso l’uscio dell’immensa sala e Raymond discuteva con Declan di un modo per sfuggire alle grinfie di Lumacorno Marjory prese Claudia sottobraccio, seguendo un silenzioso Keith mentre sorrideva allegra all’americana:
“Vieni Claudia, meglio che ci segui. E attenta ai gradini quando sali le scale, alcuni amano fare scherzi.”
“C’è davvero un cane a tre teste vicino alle nostre stanze?”, domandò la strega inarcando preoccupata un sopracciglio mentre Declan, in testa alla fila e udite le sue parole, smetteva brevemente di consigliare a Raymond modi per nascondersi efficacemente dietro alle armature per voltarsi verso le due:
“C’era, qualche anno fa… ricordo di averlo letto sulla Gazzetta del Profeta. Speriamo che Hagrid lo abbia portato in qualche zoo.”
“Alla peggio gli spediremo gli studenti indisciplinati.” Raymond si strinse debolmente nelle spalle mentre si spolverava distrattamente la spalla della giacca di tweed, voltandosi e rendendosi conto di essere osservato dal resto del gruppo quando non udì alcuna risposta.
Sto scherzando.”, si affrettò a sottolineare inarcando un sopracciglio quando colse l’entità quasi allarmata degli sguardi altrui, alzando gli occhi azzurri al cielo quando vide i colleghi sorridere e rilassarsi. Che fine aveva fatto l’altrui senso dell’umorismo?
 
 
 
 
 
 
(1): Stazione ferroviaria londinese
(2): Nomignolo che forse suonerà familiare a chi ha letto il Camp in quanto il gentilissimo Phil persisterà nell’utilizzarlo anche da adulti; il cognome di Margot, Campbell, è un antico cognome scozzese che deriva dal gaelico caimbeul, traducibile letteralmente con “bocca storta”
(3): L’Oxford English, noto anche come la “received pronunciation” (gli inglesi dicono RP), è la definizione di inglese perfetto e corrisponde, almeno in teoria, alla pronuncia tipica di Londra e Oxford. Nella realtà non corrisponde alla vera pronuncia sfoggiata da tutti i londinesi, ma contraddistingue invece l’appartenenza ad una classe sociale elevata o l’aver conseguito studi di un certo livello.
(4): Briciola in russo
(5): Squadra di rugby di Manchester, tra le più antiche della Gran Bretagna
(6): Torta inglese composta da pan di spagna farcito da panna e confettura di lamponi
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Qualora aveste colto la citazione a Ron Weasley in Autumn che mangia il pollo mi congratulo, siete persone molto ben istruite.
Buonasera!
È da almeno un paio d’anni che non scrivevo un vero e proprio capitolo per accompagnare la presentazione dei personaggi, ma quando si parla di Magisterium unire la selezione alla partenza sull’Espresso per Hogwarts è quasi una tradizione, e da persona fortemente nostalgica quale sono non potevo esimermi dal rispettarla.
Detto ciò ringrazio ovviamente le persone che hanno deciso di iscriversi, meno numerose rispetto alla media delle storie passate ma ammetto che la cosa mi ha fatto molto piacere, ero piena di idee per personaggi nuovi e per una volta ho potuto sfruttarle tutte inserendo parecchi OC miei rispetto ai soliti uno/due aggiungendo, rispetto a quelli che già avevo presentato nel Prologo, alcuni insegnanti (personaggi che, spero, vi piaceranno).
Vi lascio quindi al consueto elenco e ci vediamo in fondo con le prime domande.
 
 
Studenti
 
 
Alexandra Hèlena Liubimova
Lena
VII anno, Serpeverde, aiuto bibliotecaria, Mezzosangue, Demisessuale eteromantica
 
Lena-1 Lena-2

 
Caspian William
Ian
VII anno, Serpeverde, Battitore, Mezzosangue, Eterosessuale
 
Caspian-1 Caspian-2  

Clarence Grimsditch Lenglade Jr
Aster
VII anno, Serpeverde, Cacciatore, Purosangue, Eterosessuale
 
Aster-1 Aster-2  

Cornelia Emma Lockwood
Connie
VII anno, Corvonero, membro del Club di Scacchi e fotografa del Giornale, Mezzosangue, Demisessuale eteroromantica
 
Cornelia-1 Cornelia-2
 
Isaac John Scott
Izzy
VI anno, Serpeverde, Prefetto, Nato Babbano, orientamento sessuale confuso
 
Isaac-1 Isaac-2
 
Theodore Edgar Lockwood
Teddy
VI anno, Tassorosso, Cercatore, Mezzosangue, Eteroflessibile
 
Teddy-1 Teddy-2
 
Wendy Penelope Lightwood
VI anno, Tassorosso, Prefetto e aiuto bibliotecaria, Mezzosangue, Eterosessuale
 
Wendy-1 Wendy-2  
 
Insegnanti
 
 
Claudia Julianne Westbrook
33 anni, statunitense, ex Magicospino, Nata Babbana, Eterosessuale
Medimaga – Insegnante di Principi di Medimagia
 
Claudia-1 Claudia-2
 
Declan Alexander DeLoughrey
34 anni, inglese, ex Grifondoro, Mezzosangue, Eterosessuale
Botanico e Ricercatore – Insegnante di Botanica orientale

Declan-1 Declan-2  
 
Marjory Emma Leblanc
31 anni, anglo-francese, ex Tassorosso, Mezzosangue, Eterosessuale
Documentarista e Archivista – Insegnante di Storia magica europea
 
Marjory-1 Marjory-2
 
Raymond Byron Aldridge
34 anni, anglo-statunitense, ex Serpeverde, Purosangue, Eterosessuale
Spezzaincantesimi – Insegnante di Magia Oscura

Raymond-1 Raymond-2
 

 
L’unica precisazione che voglio fare riguarda il numero dei personaggi: in tutto sono 17, tendenzialmente io preferisco prenderne molti meno e sono passati anni dall’ultima volta in cui sono stati così tanti. Metto le mani avanti assicurando che farò del mio meglio per dare il giusto spazio a tutti, e proprio per questo motivo molto probabilmente pubblicherò capitoli molto lunghi, direi che già questo esordio parla chiaro, spero che siate in vena di leggere parecchio. Allo stesso tempo voglio anche sottolineare che questa storia avrà toni leggeri e salvo naturalmente i momenti dedicati al trattamento di tematiche di un certo spessore sarà spesso comica, coloro che già leggono e partecipano alle mie storie conoscono bene la mia forte propensione all’ironia, mentre ai nuovi arrivati consiglio di armarsi del proprio humor, ne avrete bisogno. Questa storia è pur sempre il prequel e figlia del Camp, e il Camp è in assoluto la storia più demenziale che io abbia mai scritto.
Veniamo ora alle primissime domande✨
 
  • Qualora non l’aveste già fatto nella scheda potete (not mandatory) scrivermi un piccolo “approfondimento” inerente allo stile e all’abbigliamento del vostro personaggio (nel weekend gli studenti non indosseranno la divisa).
  • Per gli studenti: fanno parte del Lumaclub? (Naturalmente la domanda vale solo per chi non l’ha già specificato nella scheda) Se la risposta è sì giustificatela, sapete che il vecchio Horace è molto selettivo con i suoi pupilli.
  • Sempre per gli studenti: adesso che sapete quali sono le materie proposte vorrei sapere quali corsi verranno seguiti dai vostri personaggi (in tutto sono cinque, devono essere almeno due ma non possono essere tutte, direi quattro al massimo), in più vorrei sapere quale sarà la loro reazione all’idea di doversi approcciare a dei nuovi corsi, saranno entusiasti o amareggiati per la carenza di tempo libero?
  • Sul versante prof, invece, vorrei sapere quale potrebbe essere l’impatto con gli insegnanti di Hogwarts, in particolare l’opinione e il rapporto con nomi come Lumacorno (che ne pensa del suo particolare atteggiamento nei confronti degli studenti?), la Cooman e soprattutto la Mc. Se avete letto Magisterium sapete che Luma non risparmia nessuno, neanche i prof, le cene da cui Charlotte Selwyn cercava di fuggire come da un Dissennatore torneranno.
 
Per il momento non ho bisogno di approfondire altro, quindi vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, grazie ancora per aver deciso di unirvi a questa storia per me molto speciale mandandomi i vostri personaggi.
Baci,
Signorina Granger

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***



Capitolo II




Una volta giunti al terzo piano del castello i cinque nuovi insegnanti di Hogwarts si erano addentrati in uno snodo di corridoi che Claudia, mentre camminava affiancando Marjory e seguendo i tre uomini, si sforzò di memorizzare: il castello era immenso come lo ricordava, e aveva la netta sensazione che almeno per le prime settimane del suo soggiorno in Scozia il rischio di perdersi per lei sarebbe stato piuttosto elevato. Erano appena giunti alle porte di una lunga galleria piena di armature e illuminata, grazie alle alte finestre ad arco, dal pallido bagliore lunare quando Declan si fermò, avvicinandosi ad una di esse per studiarne curioso l’elmo tenendo le mani allacciate dietro la schiena.
“Eccole qui… certo che di notte sono un tantino inquietanti. Ho sentito che la Professoressa McGranitt le incantò per combattere i Mangiamorte nel ’98.”
“Lo fece.”, confermò Keith mentre, in testa al gruppo, continuava a camminare rigirandosi la chiave tra le dita guantate della mano destra, desideroso di lasciare in fretta quel lungo corridoio e di trovare la sua stanza: chiudendo gli occhi l’Auror sarebbe facilmente riuscito a rivedere una di quelle vecchie armature infilzare un’Acromantula con la lama di una spada più lunga del suo braccio mentre, a soli pochi metri di distanza, un’esplosione travolgeva uccidendolo un ragazzino della stessa età di quelli che per un anno sarebbero stati i suoi studenti. Si era domandato per buona parte dell’estate appena conclusa se fare ritorno ad Hogwarts si sarebbe effettivamente rivelata una buona idea con tutti i ricordi, belli e dolorosi, che il castello avrebbe evocato, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Fu soltanto quando ebbero oltrepassato la galleria – Claudia ripensando preoccupata alle parole di Declan e domandandosi come e perché qualcuno avesse deciso di sistemare un enorme cane a tre teste in una scuola piena zeppa di ragazzini indifesi – che i cinque si trovarono a fronteggiare un corridoio altrettanto lungo, costellato da cinque porte identiche allineate sulla stessa parete e con il pavimento di pietra parzialmente ricoperto da uno spesso tappeto adornato da un motivo rosso e oro.
“Dovremmo essere arrivati, ma come facciamo a sapere quale stanza è di chi?” La voce di Marjory si levò incerta nel corridoio deserto e semi-buio, illuminato solo dalle fiamme che ardevano in un paio di torce appese alla parete, mentre la strega si sfilava dalla tasca della giacca di tweed la chiave che la Preside le aveva consegnato poco prima, sfiorandone distrattamente il motivo decorativo della testa con il pollice.
“Immagino che dovremo provarle tutte.”, sentenziò Raymond con una pigra stretta di spalle mentre, chiave alla mano, avanzava verso la prima porta. I colleghi lo imitarono, raggiungendo ciascuno una delle altre porte per provare ad aprirle, ma Declan esitò quando, fermatosi davanti alla quarta, si rese conto che la sua chiave aveva iniziato a tremargli leggermente sul palmo della mano. Accigliato, l’ex Grifondoro indugiò davanti alla porta e chinò lo sguardo sul piccolo oggetto di metallo prima di gettare un’occhiata a Keith, che stava cercando di aprire senza successo la porta alla sua sinistra.
“Credo che la chiave vibri quando vi trovate vicino alla vostra porta.”, azzardò il botanico mentre infilava la chiave nella serratura, quasi del tutto certo di trovarsi davanti alla stanza giusta mentre udite le sue parole Keith, Raymond, Marjory e Claudia si spostavano per individuare ciascuno la propria stanza. Come Raymond e Keith le due streghe si spostarono scambiandosi, una davanti alla terza porta e l’altra davanti alla seconda, e sentendo la chiave vibrarle sul palmo l’americana accennò un sorriso con gli angoli delle labbra. Curiosa di vedere la sua stanza, Claudia infilò la chiave nella serratura e la fece girare mentre Declan, accanto a lei, si voltava verso Raymond per indirizzargli un sorrisetto prima di aprire la porta, la mano stretta sul pomello:
“Pare che saremo vicini di stanza Aldridge. Chi l’avrebbe detto?”
“Di sicuro non rimpiango i Sotterranei, questo è certo.” Raymond imitò i colleghi infilando la chiave nella serratura dell’ultima porta del corridoio, facendola girare mentre Declan, dopo aver ridacchiato, si rivolgeva allegro agli altri per augurar loro la buonanotte. Il Grifondoro sparì all’interno della propria stanza mentre Keith, Marjory e Claudia ricambiavano il saluto e Raymond si limitava ad un lieve cenno del capo, desideroso di porre fine a quella lunga giornata immergendosi nel silenzio e nella solitudine della sua stanza.
Una volta aperta la pesante porta di legno massiccio lo Spezzaincantesimi si prese qualche istante per contemplare l’interno della vasta camera che gli si aprì allo sguardo, soppesando l’arredamento mentre udiva le altre porte chiudersi con lievi cigolii che echeggiarono nel corridoio, che tornò ad essere silenzioso come prima del loro arrivo. Mary, il suo bellissimo esemplare di gufo reale, ricambiò lo sguardo del padrone studiandolo dall’interno della voliera con i grandi occhi color ambra, e Raymond varcò la soglia della stanza prima di imitare i colleghi e chiudersi la porta alle spalle annuendo debolmente, compiaciuto: sì, poteva proprio andare.


Qualche incantesimo a lei sconosciuto doveva essere stato lanciato, forse dallo stesso Vitius, sulle chiavi che la Preside aveva consegnato loro, Marjory se ne convinse non appena ebbe varcato la soglia di quella che per molti mesi sarebbe stata la sua camera da letto: la stanza che si ritrovò di fronte era bella, bellissima, e per nulla in linea con l’arredamento che aveva sempre contraddistinto il castello che tanto bene ricordava, di certo non con quelle pareti ridipinte da una tenue tonalità di rosa e i mobili di legno chiaro. L’attenzione della strega venne tuttavia catturata immediatamente dalla gabbietta che era stata sistemata sulla soffice trapunta a fiori che ricopriva il letto matrimoniale che occupava il centro della stanza, esattamente di fronte ad un camino nero spento, coperto da cuscini decorativi e collocato tra due comodini che ospitavano lampade, candele profumate e un vaso di fiori freschi.
“Peter!” Desiderosa di abbracciare il suo inseparabile amico peloso Marjory si chiuse la porta alle spalle e si affrettò in direzione del letto per aprire la gabbietta e sollevare un coniglietto dal sofficissimo pelo color miele, sistemandoselo in braccio prima di depositargli un bacio sul musino:
“Hai visto che bella la nostra nuova stanza? Ti piace?” Sempre tenendo Peter in braccio la strega si mosse verso l’ampia finestra che al mattino nelle belle giornate avrebbe riempito la stanza di luce, fermandosi vicino alle due poltroncine bianche e al tavolino basso sistemati davanti alle tende chiuse per scostare parte dei candidi tendaggi e gettare un’occhiata fuori dalla finestra, sorridendo nel scorgere la pallida luce della luna riflettersi sulla vasta e cupa superficie del Lago Nero, una vista del tutto diversa da quella indotta dagli incantesimi di cui aveva goduto per sette lunghi anni dalla sua stanza nel Dormitorio dei Tassorosso. Mentre Cary, il suo barbagianni, si agitava nella voliera bramando un volo notturno Marjory si chinò e posò Peter sulla poltroncina bianca a lei più vicina, impaziente di mettersi il pigiama, infilarsi sotto le coperte e iniziare la sua avventura nuova di zecca. Quel cambiamento le avrebbe di certo fatto bene, si disse l’ex Tassorosso mentre apriva la finestra e poi la voliera di Cary, guardando il barbagianni spiccare il volo e sparire, inghiottito dall’oscurità, prima di richiuderla con un accenno di sorriso speranzoso sulle labbra.

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Martedì 2 settembre

Che vita di merda.”, sentenziò Autumn con tono malinconico mentre si faceva cadere mollemente sulla panca del tavolo dei Grifondoro, per nulla entusiasta all’idea di dover iniziare il suo ultimo, lunghissimo anno di scuola. Håkon la imitò sedendosi come sempre di fronte a lei e sbuffando a sua volta, i lisci capelli scuri non propriamente in ordine e la cravatta rossa allacciata male: dopo due mesi di dormite fino a tardi e di puro relax trascinarsi fuori dal letto al suono della sveglia era stato considerevolmente traumatico per entrambi.
“Non me ne parlare, che due palle. Dobbiamo anche scegliere le materie da seguire.” Il ragazzo si sporse con un movimento quasi automatico verso la brocca di caffè più vicina, riempiendo la tazzina per sé e per Autumn – aveva bisogno di molte energie e soprattutto della sua droga per affrontare il primo giorno di scuola – mentre l’amica si legava, come sempre in occasione dei pasti, i lunghi capelli ramati in una disordinata coda di cavallo.
“C’è un numero minimo fisso? Perché io vorrei sgobbare il meno possibile.” Autumn sbadigliò mentre versava un po’ di latte e zucchero nel caffè bollente, cercando al contempo con lo sguardo i vassoi con le marmellate assortite e il burro morbido per farcire gli scones mentre Håkon, davanti a lei, arraffava una gran quantità di frollini al burro dal vassoio più vicino.
“La fai facile tu, dimentichi le materie nuove! Speriamo che almeno siano interessanti, la McGranitt non ha spiccicato parola in proposito ieri sera.”
“Allora si mette male, se non ha detto nulla la possibilità che facciano cagare è alta, forse temeva una rivolta.”, sbuffò la ragazza mentre si riempiva il piatto di focaccine pallide e soffici. L’amico, invece, inzuppò un frollino nel caffè prima di guardarla con aria vivamente esasperata:
“Autumn quella donna si è fatta una cazzo di guerra, secondo te ha paura di noi studenti? Dubito che abbia paura di qualcosa in generale… Ma quanto mangi?”, aggiunse sgomento mentre Autumn, dopo aver tagliato a metà tutte le focaccine, iniziava a riempirle di burro e marmellata all’albicocca, la sua preferita.
“Quanto cazzo mi pare, non rompere le palle! Mi fervono energie,”, continuò la ragazza dopo aver addentato un farcitissimo scones ancora tiepido, facendo colare un po’ di marmellata sul piattino, “a lezione si bruciano un facco di calorie!”
“Quelle le bruci solo se azioni il cervello. Ahia, stronza, non darmi calci!”


“La tua stanza com’è? La mia è sorprendente, è fantastica. Ci sono persino un tiragraffi per Daffodil e un paio di mensole perfette per la mia collezione di teiere!” Al tavolo degli insegnanti Declan si riempì la tazza di porcellana di English Breakfast sfoggiando un sorriso entusiasta che gli si estendeva fino ai grandi ed espressivi occhi azzurri, rendendoli ancor più luminosi di quanto già non fossero di natura. Raymond, che come la sera prima gli si era seduto accanto, smise momentaneamente di spalmare della marmellata di more su una fetta di pane tostato per guardarlo aggrottando la fronte:
“Di quante teiere ha bisogno un uomo di trentaquattro anni?”
“Le teiere sono meravigliose, non puoi andartene in giro per l’Asia senza innamorartene e comprarne a dozzine. Ma ammetto che il tè inglese mi era mancato. Tu non collezioni nulla?” apparentemente incurante dei molteplici sguardi che la loro presenza nella Sala Grande stava attirando sul tavolo degli insegnanti Declan posò la teiera e si rivolse all’ex compagno di scuola incrociando le braccia sistemando i gomiti sul bordo del tavolo, guardando Raymond assaporare un primo sorso di caffè nero non zuccherato prima di rispondergli con una lieve stretta di spalle e senza guardarlo.
“Orologi.”
Li abbini in base a come ti vesti?”, domandò l’ex Grifondoro con un sorrisetto beffardo mentre Raymond smetteva di scrutare assorto le ampie finestre, aperte in attesa dell’arrivo dei gufi postini, per rivolgergli un’occhiata inespressiva: di rado abboccava agli sfottò altrui. Era fin troppo superiore per farlo.
“No, quasi tutti non sono orologi da polso.”
Quindi hai trentacinque sveglie?”
“Mi piace aggiustarli e dargli una sistemata quando ne trovo di vecchi e rotti in giro, è solo un hobby.” Lo Spezzaincantesimi sollevò le spalle ampie prima di vuotare la sua tazzina di Espresso, ignorando deliberatamente le occhiate sognanti che stava accumulando da quando aveva preso posto tra Declan e una sedia vuota.
“Ti ci vedo proprio ad aggiustare orologi standotene chino in una stanza semi-buia, probabilmente con un grammofono acceso accanto e un bicchiere di cristallo con un qualche liquore dentro. Io invece colleziono anche cappelli da baseball.”
Declan guardò il Serpeverde chiedendosi quale dei tanti cappelli che possedeva avrebbe potuto costringerlo ad indossare, ma come se gli avesse letto nella mente Raymond riprese in mano la sua fetta di pane tostato prima di pronunciare poche, semplici e lapidarie parole:
Non chiedermi mai di provarne uno.”


La colazione era di gran lunga il pasto che Phil MacMillan prediligeva e la colazione ad Hogwarts sapeva sempre essere straordinariamente incapace di deludere, con i suoi vassoi e piatti da portata carichi di torte, scones, biscotti, fette di pane ancora calde e centinaia di ciotole piene di miele e marmellate assortite. Come sempre il Corvonero aveva preso posto a tavola e aveva riempito una scodella con i suoi amati cereali al miele, versandoci poi il latte mentre Sawyer, accanto a lui, sorseggiava il suo caffè gettandogli sporadiche occhiate piene di disapprovazione: essendo fermo sostenitore del modus operandi contrario per gustare latte e cereali di norma lui e Phil discutevano in merito alla questione almeno una volta al mese.
“Hai compilato l’orario?”, s’interessò il più grande mentre Phil raccoglieva generose cucchiaiate di cereali dopo aver compilato in tutta fretta il proprio orario, felicissimo di poter scaricare le materie che aveva sempre mal sopportato, Erbologia prima tra tutte, per potersi concentrare solo su quelle che riteneva effettivamente utili per la sua formazione e più interessanti.
Il Prefetto annuì senza proferire parola, troppo impegnato a masticare i suoi cereali, e Sawyer posò la tazza sul piattino per prendere il foglio con l’orario dell’amico e dare un’occhiata ai corsi che Phil aveva deciso di seguire, certo che avendo gusti e interessi simili le loro scelte si sarebbero rivelate quasi perfettamente allineate. Un lieve sogghigno prese tuttavia vita sulle labbra carnose di Sawyer quando il ragazzo notò l’assenza di un certo corso di studio dal foglio dell’amico, tanto da affrettarsi a sventolarglielo debolmente davanti al viso:
“Temo che tu abbia scordato qualcosa, carino.”
Naturalmente Phil sapeva benissimo a cosa il compagno di Casa si stesse riferendo, e i cereali al miele quasi gli andarono di traverso quando capì che no, contrariamente alle sue aspettative Sawyer non aveva affatto dimenticato quanto si erano detti alla fine dell’anno precedente. Dopo aver tossicchiato a lungo e aver attirato su di sé buona parte degli sguardi dei vicini il giovane mago ruotò il capo per poter posare lo sguardo sull’amico, gli occhi grigio-azzurri pieni di terrore mentre Sawyer, al contrario, continuava imperterrito a sorridergli con quella sua finta aria amabile e strafottente al tempo stesso:
Non puoi dire sul serio.”
“Dico sul serio eccome. Una scommessa è una scommessa, caro il mio Philip.”


Cornelia, seduta ad un paio di metri di distanza, stava compilando il proprio orario con un’elegante piuma nera tenendo una fetta di pane tostato distrattamente sollevata nella mano sinistra quando Lena, lasciato momentaneamente il tavolo dei Serpeverde, occupò il posto rimasto libero accanto all’amica insieme al suo orario già compilato:
“Buongiorno. Che corsi hai intenzione di seguire?”, s’interessò la russa indirizzando un sorriso all’amica mentre Cornelia posava la fetta di pane imburrato sul piattino per sollevare invece la tazza piena di tè bianco fumante:
“Ciao Lena… Ci avevo già pensato nel corso dell’ultima settimana di vacanza, ma con la faccenda delle materie nuove non vorrei sovraccaricarmi di lavoro… Avevo già deciso di scartare Cura delle Creature Magiche ed Erbologia, ma penso che farò a meno anche di Trasfigurazione. E Divinazione non la seguirei nemmeno sotto compenso.” Le labbra della Corvonero si piegarono dando vita ad una smorfia mentre Lena, al contrario, si allungava ridacchiando verso l’alzata per dolci piena di scones per prenderne uno: dato il fervente scetticismo che l’amica provava nei confronti di tutto ciò che valicava il pensiero razionale era fermamente convinta che seguire il corso della Cooman in compagnia di Cornelia sarebbe stato infinitamente più divertente, ma disgraziatamente non era mai riuscita a convincerla ad unirsi a lei nelle lezioni tenute nella Torre Nord.
“Cura delle Creature Magiche non la seguo nemmeno io. Beh, mi mancherai nelle serre e a lezione dalla Cooman. Ti penserò quando leggerò i fondi del tè.”
“Se vuoi ti passo la tazza quando ho finito qui, così puoi prenderti avanti e iniziare in anticipo. Anche se probabilmente la cosa più entusiasmante che vedrai nel mio futuro prossimo sarà una figura di merda dietro l’angolo.”
Lena non riuscì a reprimere un sorriso mentre addentava lo scone ancora tiepido, aspettando di aver mandato giù il boccone prima di riprendere a parlare indicando all’amica il orario:
“L’aspetto positivo è che saltando entrambe Cura delle Creature Magiche abbiamo un’ora buca oggi pomeriggio, dalle 15 alle 16… Potremmo approfittarne per fare una passeggiata nel parco, fa ancora abbastanza caldo e non dovremmo avere troppi compiti già al primo giorno.”
“Certo, perché no. La prossima settimana iniziamo anche i corsi nuovi, dobbiamo approfittare dello scarso tempo libero che ci resta.” Un lieve sospiro si librò dalle labbra di Cornelia prima che la giovane strega vuotasse la tazza di tè, felice di essere tornata a scuola per il suo ultimo anno quanto certa di avere mesi particolarmente estenuanti davanti a sé: l’idea delle materie extra la incuriosiva, ma per quanto studiare le piacesse era anche consapevole di tutto il lavoro in più che altri corsi da seguire avrebbe comportato. Lena invece, che dalla sera prima moriva dalla voglia di apprendere nomi e oggetto delle materie in questione, sorrise mentre si spolverava le dita pallide e sottili per liberarle dalle briciole con movimenti lievi e delicati:
“Sono curiosa di sapere tra che cosa potremmo scegliere… Spero che gli orari non si sovrappongano tra loro, sarebbe triste essere così limitati.”
Cornelia posò la tazza vuota sul piattino per rivolgere tutta la sua attenzione all’amica, gettandole un’occhiata quasi rassegnata da dietro le lenti dei suoi occhiali mentre a poca distanza Phil MacMillan si struggeva per la scommessa persa che l’avrebbe costretto a seguire il corso a sua detta più stupido, inutile e ridicolo della storia di Hogwarts.
“Ti prego, non dirmi che le vuoi seguire tutte.”
Sul bel volto di Lena prese vita un mite sorriso dall’aria colpevole, come se fosse stata colta sul fatto, e Cornelia seppe di non aver bisogno di sentire altro.

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stanza-1



A Claudia era occorso qualche istante per realizzare, una volta aperti gli occhi, dove si trovasse e dove avesse passato la notte precedente. Nonostante non avesse impegni particolari fissati per la giornata aveva lasciato le tende della finestra che si trovava accanto al letto aperte appositamente per essere svegliata dalla luce del mattino, per nulla intenzionata a dormire fino a tardi e a presentarsi in ritardo per la prima colazione facendo la figura della scansafatiche, e la prima cosa che i suoi occhi scorsero furono un paesaggio di montagna e lo scorcio di un lago dalle acque straordinariamente scure.
Dopo essersi presa qualche istante per godersi la vista, realizzando piacevolmente che sarebbe stata la prima cosa che avrebbe visto ogni giorno per i successivi mesi, la strega si sollevò per mettersi a sedere sul letto, sistemandosi contro un soffice cuscino e l’alta ed elegante testiera del letto di mogano mentre i suoi occhi azzurri vagavano sul resto della stanza per osservarla meglio grazie alla luce naturale. La sera prima aprendo la porta aveva provato una piacevole sensazione di stupore: la sua stanza non era affatto buia e cupa come appariva gran parte del castello, somigliava più che altro a come si era sempre immaginata l’interno di un’elegante casa di campagna inglese, con le pareti blu polvere decorate da delicate boiserie dello stesso colore del copriletto e dei cuscini.
La strega si alzò dal letto per aprire le tende dal motivo floreale il più possibile, indugiando per qualche istante davanti alla finestra per osservare uno scorcio dell’enorme parco della tenuta prima di dare le spalle al panorama e affrettarsi a rifare il letto: qualcuno aveva menzionato degli Elfi Domestici, ma Claudia era fermamente intenzionata a tenere pulita personalmente la sua stanza più che poteva. La sera prima aveva tirato fuori dalla valigia quasi solo ed esclusivamente lo stretto necessario per dormire, più i vestiti da indossare il giorno seguente, ma mentre sprimacciava i cuscini il suo sguardo indugiò sulla fotografia incorniciata che aveva già provveduto a sistemare sul comodino e che la ritraeva in compagnia dei suoi genitori, di sua sorella Vanessa e dei suoi due nipotini. Lei sorrideva, leggermente ricurva per poter posare le braccia sulle spalle dei bambini, mentre il resto della famiglia sfoggiava, nonostante la foto fosse stata scattata a Natale, quel tipico atteggiamento composto ed eretto e frutto di anni di servizio militare. Persino Grace ed Aiden chiamavano ironicamente la madre “Il Colonello”, quando Vanessa li sgridava, e Claudia doveva puntualmente fare appello a tutta la disciplina che le era stata impartita fin dai suoi primi anni di vita per non scoppiare a ridere.
La sua famiglia le sarebbe mancata, ma vivere lunghi periodi lontana da loro non rappresentava ormai da tempo una novità, prima a causa delle professioni dei genitori e della sorella maggiore e poi anche della propria, che nel corso degli ultimi anni l’aveva portata a compiere frequenti spostamenti. Claudia sfiorò la cornice di legno della foto con un accenno di sorriso sulle labbra prima di gettare un’occhiata all’orologio appeso sopra al comodino, accanto al dipinto ad olio raffigurante un paesaggio collinare della campagna inglese, e decidere di affrettarsi per andare a vestirsi e lavarsi il viso nel suo nuovo bagno personale.
Un quarto d’ora dopo era pronta per lasciare la stanza quando qualcuno bussò gentilmente alla porta, e aprendola Claudia si ritrovò a fronteggiare una donna leggermente più bassa di lei, un sorriso e un paio di occhi blu:
Bonjour! Stavo andando a fare colazione e ho pensato di passare a vedere se eri ancora qui, e se in caso eri pronta per scendere. Al primo giorno è facile sbagliare strada, qui i corridoi all’inizio si somigliano tutti.”
“Grazie, ammetto che la paura di perdermi mi ha sfiorata.” Claudia ricambiò con gratitudine il sorriso di Marjory – cominciava a chiedersi se fosse possibile evitarlo anche volendo, tanta l’energia e il buonumore della strega apparivano contagiosi – mentre si sistemava le maniche della camicia bianca abbottonata sotto ad un gilet color crema, arrotolandole al di sotto dei gomiti mentre la collega gettava una rapida e meravigliata occhiata alla stanza alle sue spalle:
“Wow, la tua stanza è bellissima!”
“Sì, devo dire che me l’aspettavo diversa.”, convenne l’americana mentre, dopo aver gettato un’ultima occhiata allo specchio appeso sopra alla cassettiera che affiancava la porta per controllare di avere i lisci capelli scuri in ordine, si sentiva finalmente pronta per uscire. Seguì Marjory nel corridoio e si chiuse la porta alle spalle dopo aver infilato la bacchetta nella tasca dei pantaloni neri, seguendola in direzione della galleria delle armature mentre la strega la precedeva annuendo e tenendo le mani allacciate dietro la schiena:
“Anche io, la mia non somiglia per niente a quella in cui ho dormito per sette anni, e mi si addice molto. Qualcosa non mi torna, secondo me Vitius ha combinato qualcosa con le chiavi.”
“Pensi che siano arredate in base al nostro gusto personale?”
“Probabile. In effetti mi sono sempre chiesta come fossero, le stanze degli insegnanti… Suppongo che quella di Lumacorno brulichi di foto che lo ritraggono insieme a gente famosa, mentre quella della Professoressa Cooman sia piena di presagi di morte scritti sulle pareti.”
“Oh, sì, la Preside deve avermela menzionata… che cosa insegna?”
Claudia aggrottò pensosa la fronte mentre cercava di scavare nei propri ricordi e di rammentare di preciso le parole che Minerva McGranitt aveva utilizzato per parlare della donna in questione: aveva la sensazione che la Preside le avesse consigliato di non farsi impressionare e di non darle troppa confidenza. Nel dire quelle cose l’anziana strega le era parsa anche discretamente infastidita, e anche se sul momento si era chiesta quale fosse il motivo non aveva osato chiederlo.
“Divinazione. È giovane, non era la mia insegnante, ma da quello che so posso assicurarti che quando la vedrai capirai che è lei senza che io abbia bisogno di indicartela.”

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Torre Nord

Isaac adorava Divinazione, e dopo essersi goduto una prima metà di mattinata in completo relax – alla prima ora aveva avuto lezione di Cura delle Creature Magiche e lui, Teddy e Margot si erano immensamente divertiti nel dare da mangiare agli Snasi, dopodiché aveva trascorso la prima ora buca dell’anno stando in panciolle nella sua Sala Comune, disteso su un divano con il suo Game Boy acceso in mano – era stato più che felice di dirigersi verso una delle quattro torri del castello e arrampicarsi sulla ripida scala a pioli che conduceva all’aula più stravagante di tutta Hogwarts.
La calda e soffusa luce scarlatta emanata da lampade coperte da scialli, l’aria impregnata di oli essenziali quasi soffocante, il camino acceso nonostante fosse ancora tecnicamente estate e gli innumerevoli sgabellini e poltroncine di chintz che circondavano i tavoli circolari erano gli stessi di sempre e non sorpresero affatto il Serpeverde, che al contrario trovò l’aula di Divinazione esattamente come la ricordava. No, a stupire Isaac era stata la vista di Philip MacMillan, il più grande detrattore che la Divinazione avesse mai conosciuto, spuntare con aria inequivocabilmente torva dalla botola aperta di accesso alla cima della Torre. Phil che si mise in piedi spolverandosi i pantaloni neri della divisa e che prese a guardarsi attorno con malcelato disgusto, come se quello fosse stato di gran lunga l’ultimo posto sulla faccia del pianeta in cui avrebbe voluto mettere piede.
“Phil?!”
La voce di Isaac si levò attonita quasi liberandosi dal controllo del ragazzo, che aveva già preso posto attorno ad un tavolino e stava guardando l’altro Prefetto con aria smarrita, come chiedendosi se il Corvonero non avesse per caso sbattuto la testa da qualche parte alzandosi dal letto. Al contrario Phil sembrò felice di vederlo, perché si affrettò a raggiungere il suo tavolo e ad occupare la poltroncina rossa che si trovava accanto alla sua:
“Meno male, avevo paura che in questo corso ci fossero solo idioti. Mi spieghi perché segui questo mucchio di stronzate? Sei una persona intelligente!”, osservò il Corvonero mentre piazzava la sua borsa di pelle sul tavolo ricambiando lo sguardo del Serpeverde con il medesimo sgomento, come se come Isaac non riuscisse a capacitarsi della presenza dell’altro in quell’aula.
“Ma dai, è divertente, io adoro tutta questa roba di prevedere il futuro! Tu piuttosto, che fai qui, tu odi la Cooman! Dici che è la peggior ciarlatana della storia e che il suo stipendio dovrebbe essere devoluto agli Elfi Domestici!”
“È tutta colpa di Rhodey, mi ha costretto ad iscrivermi solo per una scommessa che ho perso a fine anno scorso. Pensavo che se ne fosse scordato dopo l’estate, invece quello quando gli conviene ricorda tutto.”, sbuffò il Corvonero mentre apriva la sua borsa giurando mentalmente vendetta all’amico e Isaac, incredulo e divertito al tempo stesso, lo guardava sgranando gli occhi:
“Quindi seguirai Divinazione per una scommessa persa? Non sei tu quello sveglio da queste parti? Che avevi scommesso?”

Margot Campbell non credeva praticamente a nulla di quanto vedeva o sentiva nel corso delle lezioni di Divinazione, ma in compenso le trovava spesso e volentieri semplicemente esilaranti, soprattutto grazie alla presenza del suo migliore amico: di rado nel corso di una lezione lei e Teddy si divertivano tanto come quando sedevano nella Torre Nord, e per questo motivo la giovane scozzese aveva deciso di seguire il corso anche per il suo penultimo anno ad Hogwarts. Senza contare che i compiti non erano poi impegnativi, se ci si limitava ad inventarsi qualcosa in grado di soddisfare la loro eccentrica insegnante, e in quello Teddy sapeva essere un vero maestro.
La Tassorosso salì la scala a pioli e si issò – con scarsa agilità – attraverso la botola aperta mettendosi in piedi lisciando le pieghe della gonna nera della divisa e facendo vagare lo sguardo attraverso la stanza alla ricerca di Isaac, che di norma si univa a lei e a Teddy sedendo allo stesso tavolo. L’amico l’aveva appena raggiunta oltre la botola giusto chiedendosi dove fosse il Serpeverde quando Margot individuò Isaac, i suoi ricci capelli scuri, l’aria da finto angioletto e la spilla da Prefetto verde appuntata sul petto.
Sì, era proprio Isaac, si costrinse ad appurare la Tassorosso mentre si sentiva pervadere da un’ondata di puro orrore: era proprio Isaac quello seduto accanto al suo acerrimo nemico.
“Che ci fa qui MacMillan?!” Teddy diede voce ai pensieri di entrambi quando alla vista del Corvonero strabuzzò incredulo gli occhi azzurri, quasi tentato di chiedere a Margot se lo vedesse anche lei: forse i fumi e il caldo della Cooman gli stavano dando alla testa. Sfortunatamente quello seduto accanto ad Isaac sembrava proprio Philip MacMillan, e quando lui e il Serpeverde si accorsero della loro presenza nell’aula il Corvonero certo non imitò il sorriso che Isaac rivolse ai due Tassorosso, anzi manifestò il proprio disappunto piegando le labbra dando vita ad una specie di smorfia: era già abbastanza orribile l’idea di dover seguire quell’inutile, stupido corso, figuriamoci doverlo seguire insieme a Margot Campbell.
La stessa Margot Campbell che, sperando ardentemente di star vivendo un brutto sogno, si avvicinò al suo tavolo piazzandoglisi davanti con la sua bassa statura e guardandolo con i grandi occhi blu spalancati carichi di sconcerto:
“Che cosa ci fai tu qui? L’ultima volta in cui hai messo piede in quest’aula te ne sei andato dando un calcio ad una sfera di cristallo!”
“Quello che faccio e quando lo faccio non ti riguarda minimamente. A me invece non sorprende vederti qui, la Cooman quanto a stramberia è la tua evoluzione diretta.”, replicò il Corvonero con tono annoiato guardandola levando il mento con aria spocchiosa, la stessa espressione con cui era solito scrutarla la maggior parte delle volte e che generava puntualmente in Margot il desiderio di rompergli qualcosa sulla testa.
“Phil, sii gentile con Margi. Scusate ragazzi, oggi mi siedo con questo concentrato di acidità ambulante.” Dopo aver scoccato una debole occhiata di rimprovero in direzione del Corvonero Isaac tornò a rivolgersi a Margot e a Teddy sfoderando un sorriso gentile, guardando l’amica fissare con evidente astio il suo compagno di tavolo senza dar cenno di aver udito le sue parole. Dopo aver rivolto una rapida occhiataccia a Phil Teddy prese delicatamente per un braccio l’amica per invitarla a seguirlo verso un angolo il più lontano possibile dell’aula, certo che la Cooman non avrebbe gradito di vedere qualcuno rovesciare un’intera tazza d tè sui bei capelli biondi e ricci del Prefetto.
“Vieni Margi.”
Il Cercatore condusse l’amica verso un tavolo libero distante da quello occupato da Isaac e Phil, sedendosi in silenzio su uno sgabello mentre, da bravo amico, si preparava ad ascoltare in religioso silenzio tutto ciò che di negativo la scozzese aveva da dire sul loro compagno di classe. Lo sproloquio di Margot, naturalmente, non si fece attendere:
“… E la cosa peggiore è che hanno persino pensato di renderlo Prefetto, così può togliermi punti quando vuole. Ma non esiste che io mi faccia mettere in punizione da MacMillan, non esiste.” Margot si agitò nervosamente sulla sua poltroncina cercando di mettersi comoda e incrociò rabbiosamente le braccia sul tavolo scoccando occhiate fiammeggianti in direzione del Corvonero, maledicendo Vitius per aver avuto la malsana idea di nominarlo Prefetto all’inizio dell’anno precedente. Teddy invece, che non vedeva l’ora di iniziare la lezione, le sorrise affettuosamente e allungò una mano per stringerle il braccio con fare incoraggiante:
“Allora ho paura che ti toccherà evitarlo il più possibile e stringere i denti per non insultarlo, anche se lo meriterebbe. La buona notizia è che possiamo sempre provare a distrarlo e riempirgli la borsa di concime, ora che sappiamo che verrà a lezione con noi.”
La proposta di Teddy riuscì a restituire un accenno di sorriso sul volto pallido dell’amica, ma prima che Margot potesse esprimere il suo entusiasmo in proposito una figura alta e ormai familiare a tutti i presenti apparve da dietro un tendaggio scarlatto.
“Benvenuti miei cari, bentornati!”, esclamò con tono leggermente strascinato la voce di Sibilla Cooman, che come al solito si palesò ai suoi studenti carica di scialli colorati, tintinnati orpelli e un grosso paio di occhiali dalle lenti straordinariamente spesse.
“Porca Priscilla, ecco Batwoman…” Alla vista della donna Phil sospirò rumorosamente senza nemmeno preoccuparsi di abbassare la voce mentre si sosteneva mollemente il capo reclinato con una mano, maledicendo Sawyer e chiunque, decenni o secoli addietro, avesse avuto la malsana idea di inserire la materia nel programma di studi della scuola. Isaac al contrario scoppiò a ridere piano prima di riuscire a trattenersi, certo che a causa della presenza ravvicinata di Phil e del suo sarcasmo avrebbe dovuto fare molta attenzione a sorseggiare il suo tè per non rischiare di farselo andare di traverso e tossicchiare davanti a tutto il resto della classe.

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“Peccato che tu non ci fossi a lezione di Pozioni,” – commentò Ian mentre spostava una sedia per prendere posto in penultima fila e gettava sul banco lo zaino nero pieno di spillette – “Lumacorno ci ha parlato per metà del tempo della sua estate raccontandoci anche un sacco di pettegolezzi, è stato divertente.”
Mentre l’amico parlava Aster posò il suo zaino sul pavimento, vicino alla sedia, e poi si issò a sedere sul bordo del banco accanto a quello scelto da Ian dando le spalle alla cattedra, alla lavagna e alla scalinata ricurva che conduceva all’ufficio dell’ancora assente insegnante. Il ragazzo si sistemò distrattamente i capelli biondi dietro le orecchie affinché non gli finissero davanti al viso mentre indirizzava un sorriso al compagno di Casa, i ricordi risalenti alle sue ultime lezioni di Pozioni ancora chiarissimi:
“Sì, peccato che io sia forse uno dei peggiori alunni che Lumacorno abbia mai visto nella sua longeva carriera di insegnante. No, sono felicissimo che sia questa la mia prima lezione dell’anno, mi sono goduto le mie due bellissime ore buche e ora sono pronto per rimettermi a prendere appunti.”
Di ottimo umore dopo, contrariamente a molti suoi compagni, essersi riposato per ben due ore extra Aster intrecciò le mani in grembo sfoggiando un sorriso allegro, impaziente di iniziare quello che si poteva a tutti gli effetti considerare il suo corso preferito in assoluto.
“In effetti non mi è molto chiaro come sia possibile che tu faccia parte del Lumaclub visto che sega eri in Pozioni... Hai per caso visto il mio inchiostro di riserva? O me l’hai fottuto come al solito?”
“Semplice Ian, è perché sono adorabile, non importa quanto schifo faccia nel preparare intrugli brodosi e dagli odori acri. E comunque tieni simpaticone, lo hai lasciato sul comodino quando sei andato a lezione stamattina.”

Mentre Ian continuava a frugare nel suo zaino alla ricerca dei compiti per le vacanze estive Aster si chinò per recuperare il proprio, aprirlo e passare all’amico l’inchiostro. Il biondo aveva appena iniziato a tirare fuori anche i suoi compiti quando Autumn e Håkon varcarono la soglia dell’aula e raggiunsero, come sempre, i due banchi che si trovavano esattamente dietro a quelli dei Serpeverde.
“Ciao sfigati, come vi è andata l’estate?”, domandò distrattamente Autumn mentre gettava con malagrazia lo zaino sul banco masticando un chewing gum alla menta, sedendosi accanto ad Hakoon mentre Ian ruotava leggermente il busto per poter parlare e Aster rivolgeva alla Grifondoro un ampio sorriso amabile:
“Buongiorno Erwood. Malissimo, ero così triste e melanconico, ma ora che ti ho vista finalmente sono di nuovo una persona felice e con il cuore in pace.”
Autumn non ricambiò il sorriso del ragazzo, anzi lo guardò continuando a masticare la gomma pentendosi di non aver già aperto lo zaino per potergli lanciare contro qualcosa. Di norma si trattava di un’innocua gomma da cancellare o dell’astuccio, tutto dipendeva da quanto si sentisse bendisposta verso il prossimo, ma in un paio di occasioni Aster era persino riuscito a prendersi l’intero libro di testo sulla nuca.
“Sì, senza le tue stronzate che ci fanno spaccare in due dal ridere ogni settimana la vita non è la stessa.”, confermò Ian annuendo con un lieve cenno del capo e indirizzando a sua volta un sorriso alla Grifondoro, che sbuffò mentre si sfilava l’elastico nero dal polso per legarsi i lunghi capelli ramati in una disordinata coda di cavallo.
“Sai, vorrei dire che hanno torto, ma non ce l’hanno per niente.”, commentò Håkon mentre rovistava nel suo zaino per cercare i compiti che lui e l’amica avevano ultimato giusto la sera prima in Sala Comune, ignorando lo sconcerto che prese vita sul volto dell’amica quando Autumn gli lanciò un’offesa occhiata fulminante:
“Tu che vuoi, in punizione con me ci finisci sempre anche tu!”
“Appunto, io sono così idiota che ti seguo, pensa te. Torni a giocare quest’anno Aster?” Ignorando la gomitata che l’amica gli assestò sul fianco Håkon smise di impilare libri e compiti sul banco mentre si rivolgeva al Serpeverde, che annuì con un sincero sorriso allegro mentre Sawyer Rhodes superava i loro banchi per andare a sedersi in terza fila.
“Spero vivamente di sì… è molto probabile che ci rivedremo presto in campo.”
“Ah, magnifico. Ma stai attento, non vorrei che finissi a faccia a terra alla tua prima partita dopo un anno per colpa del secondo Bolide di fila… solo che questa volta potrebbe essere il mio.”
“Non mi preoccupi per niente Erwood, ho Ian che mi difende. Vero Ian?” Aster chinò lo sguardo sull’amico indirizzandogli un sorriso e colpendolo giocosamente sul braccio sinistro, ma finì col sbuffare piano quando Ian si limitò ad un sbrigativo cenno del capo prima di gettare un’occhiata in direzione della porta dell’aula e intimargli di scendere dal banco:
“Sì, ma mettiti seduto come si deve, o Hargraves quando entra ti fa la predica. Cerchiamo di non perdere 400 punti già al primo giorno.”
“Quale predica, ma se mi adora!”
Aster scivolò giù dal banco e occupò la sua sedia sbuffando debolmente, fingendo di non sentire la breve risata sarcastica con cui Autumn commentò le sue parole mentre Cornelia e Lena entravano in aula cercando due posti vicini rimasti ancora liberi. Dopo che le due ebbero superato i loro banchi salutandoli e aver ricambiato Aster tornò a rivolgersi ad Ian tenendo le braccia strette al petto, un accenno di sorriso beffardo sulle labbra mentre parlava senza sforzarsi minimamente di abbassare il tono di voce:
“E comunque non so proprio perché ti preoccupi, tanto ci pensa Erwood a far perdere a Grifondoro la Coppa delle Case ogni anno.”
La Grifondoro si lasciò scivolare sulla sedia e approfittò della momentaneamente assenza dell’insegnante, che era anche il Direttore della sua Casa, per assestare un calcio contro la sedia di Aster. Anziché preoccuparsi il ragazzo scoppiò a ridere, anche se Ian ci renne a fargli sapere che non lo avrebbe difeso da Autumn se quella avesse deciso di malmenarlo entro la fine del primo trimestre.
“Perché ti offendi, è vero che siamo sempre ultimi in classifica… non vinciamo da quando c’era Harry Potter a scuola.” Un’informazione che la Preside non mancava mai di sottolineare con aria tetra in presenza dei Grifondoro, rifletté Håkon mentre si passava distrattamente una mano tra i capelli scuri cercando di appiattarli e di darci una sistemata: da due anni si piazzavano ultimi nella classifica di fine anno, e in parte era innegabilmente responsabilità della sua sconsiderata migliore amica.
“Grazie al cazzo che all’epoca vincevamo sempre, lo dicono anche i quadri che Silente gli dava punti come fossero caramelle! E comunque primo, l’anno scorso abbiamo vinto la Coppa di Quidditch, che per quanto mi riguarda è molto più importante.. Secondo, falla finita, sei amico mio o del nemico a squame?!”

Poco più avanti, Lena si fermò accanto a due banchi liberi per farsi scivolare la borsa dalla spalla e posarla sul pavimento, ma qualcosa, o meglio la mano che Cornelia le posò sul braccio, la trattenne:
“No, aspetta, sediamoci nell’altra fila, se ci mettiamo dietro a Sawyer poi ci tocca sorbirci tutti i commenti idioti delle tizie che sbavano per lui e non sentiamo niente della lezione…”
“Va bene, come preferisci.” Ben sapendo quanto mettersi a discutere con Cornelia Lockwood fosse una perdita di tempo quanto una battaglia persa in partenza la russa si risistemò meglio la borsa sulla spalla per dirigersi verso i banchi rimasti liberi nella fila parallela, ritrovandosi ad indirizzare un tiepido sorriso al Corvonero quando Sawyer si girò sulla sedia per rivolgersi a lei e all’amica:
“Ma come ragazze, mi private della gioia di avervi vicino a me?”, domandò il ragazzo con un sorriso seducente mentre si infilava gli occhiali dalla sottile montatura dorata, i luminosi occhi azzurri che rimbalzavano dal volto della Serpeverde a quello della compagna di Casa. Mentre un paio di Grifondoro approfittavano della loro decisione per occupare i due banchi rimasti vuoti alle spalle del ragazzo Cornelia alzò brevemente gli occhi al cielo, felice della decisione presa mentre nell’angolo opposto dell’aula due ragazze sembravano discutere proprio per stabilire chi delle due dovesse andare a chiedere a Sawyer di potersi sedere nel posto vuoto accanto a lui.
“Non fare il lecchino, con noi non attacca. Vieni Lena.”
Con quelle parole Cornelia girò sui tacchi e si diresse verso i banchi liberi più vicini, determinata a stare alla larga dal fastidioso chiacchiericcio che il compagno di Casa si portava dietro praticamente ovunque andasse. Sawyer invece anziché prendersela sembrò divertito, ricambiando il sorriso che Lena gli rivolse quando, prima di seguire l’amica, lo salutò con un silenzioso e lieve cenno delle dita della mano destra.

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Quando dopo aver esplorato buona parte del castello – Claudia non era del tutto sicura che sarebbe riuscita ad orientarsi in mezzo a tutti quegli arazzi e a quei dipinti parlanti tanto in fretta, ma per il momento aveva almeno imparato il tragitto per spostarsi dall’ingresso alla sua stanza e all’ufficio che le era stato assegnato – Marjory aveva proposito di uscire all’aperto Claudia, imparata la lezione dal giorno precedente, aveva trasfigurato le proprie scarpe in un paio di alti stivali di gomma, decisione che non rimpianse affatto quando dopi aver passeggiato sull’erba ancora umida lei e la collega si erano dirette verso le rive fangose del Lago Nero. Il cielo era impietosamente grigio e non faceva poi così caldo, almeno non per gli standard dell’americana, ma se non altro non pioveva a dirotto come la sera prima.
“Allora, che cosa ti ha riportata qui?”, domandò la Medimaga mentre camminava tenendo le lunghe braccia incrociate sotto al seno, calciando debolmente un sasso per lanciarlo nell’acqua bassa mentre sollevava il capo per posare lo sguardo sulla collega. Marjory la stava affiancando scrutando il Lago, preda dei ricordi dei tanti pomeriggi di maggio passati a studiare e a leggere proprio su quella riva, ma all’udire la domanda della collega si affrettò a rivolgerlesi accennando un sorriso con gli angoli delle labbra:
“Dopo l’ultimo anno di scuola mi sono trasferita in Francia, ho studiato lì all’Università… Mio padre è francese ma sono cresciuta in Inghilterra, mia madre ci teneva moltissimo che studiassi qui e alla fine, come sempre, l’ha spuntata lei. Ho lavorato a Parigi per un paio d’anni e poi mi sono spostata a Vienna, dove sono rimasta fino all’inizio di quest’anno… Sono tornata in primavera, ho trascorso l’estate in campagna, un paio d’anni fa mia zia mi ha lasciato un cottage nel Somerset, ed eccomi qui.”
“Che cosa facevi a Vienna?”
“Ho lavorato alla Biblioteca Nazionale Austriaca, nella sezione magica ovviamente. È uno dei luoghi più straordinari e meravigliosi che abbia mai visto, adoravo lavorarci, ma quest’anno ho… sentito il bisogno di tornare. E di cambiare.”
Marjory si fermò e Claudia la imitò, guardando in silenzio la collega scrutare le montagne che si stagliavano contro il cielo grigio in lontananza. Ebbe la sensazione che il suo improvviso desiderio di lasciare un lavoro che aveva visibilmente amato e tornare in Inghilterra fosse stato dovuto ad uno o più motivi ben precisi, ma si guardò bene dall’azzardarsi a chiedere mentre Marjory stringeva le mani dietro la schiena e tornava a guardarla accennando un sorriso che le si estese fino alle iridi blu:
“Sono felice di essere tornata qui, quando mi sono trasferita in Inghilterra non sapevo di preciso che cosa avrei fatto, la proposta della Professoressa è stata una fortuna… E ho amato pochi posti quanto ho amato Hogwarts. È davvero molto speciale, credo che in parte sia stata la sua Biblioteca a spingermi a studiare Storia e poi a specializzarmi all’Università… Non so quante ore ho passato, seduta su quelle sedie.”
“È stata una fortuna anche per me, avevo bisogno di fare qualcosa di diverso per un po’ di tempo. L’ultimo periodo è stato abbastanza turbolento, mi sono spostata di continuo negli ultimi anni e sono felice di restare ferma nello stesso posto per qualche mese.” Felice di non spostarsi di continuo, come aveva fatto per tutta la vita da che aveva memoria a causa della professione dei suoi genitori, ma soprattutto di non dover temere costantemente per la vita di nessuno. Questo però Claudia non lo disse, limitandosi ad una lieve stretta di spalle mentre scrutava distrattamente il panorama e Marjory la guardava inclinando leggermente la testa di lato, incuriosita:
“Prima dove lavoravi?”
“Sono specializzata in medicina d’emergenza-urgenza, negli ultimi anni ho affiancato gli Auror in varie missioni. Mi piaceva, ma è un lavoro molto impegnativo e non sempre tutto va come dovrebbe… Ho conosciuto Madama Chips cinque anni fa, quando avevo appena finito di studiare e sono stata qui per qualche settimana per dare una mano come potevo, e quando mi ha scritto sono venuta a parlare con la Preside quasi di corsa.”
“Insomma avevamo entrambe bisogno di cambiare aria.”, constatò Marjory abbozzando un sorriso che Claudia ricambiò, annuendo mentre riprendeva a camminare lungo la riva resa fangosa dalle forti e recenti piogge. Non erano state le uniche a decidere di fare una passeggiata all’aperto, constatò l’americana quando alzando lo sguardo scorse l’alta figura di Keith, completamente vestito di nero come il giorno precedente, stagliarsi un centinaio di metri più avanti, rivolto verso il Lago e immobile.
“Direi di sì. E forse non siamo le uniche.”
Seguendo lo sguardo della collega Marjory finì col posare a sua volta gli occhi blu su Keith, scrutando per un paio di istanti la sua figura solitaria prima di parlare sollevando di poco entrambe le sopracciglia:
“Beh, fatico ad immaginare un lavoro più stressante del suo, in caso non mi sorprenderebbe. Che tipo ti è sembrato quando l’hai conosciuto?”
Marjory si era sempre ritenuta una persona empatica e capace di comprendere velocemente le persone quando le incontrava, e se Claudia le aveva fatto un’ottima impressione, Declan le era parso estremamente loquace, simpatico e alla mano e Raymond un po’ meno, sull’Auror non era riuscita a farsi un’idea precisa. La sera prima, a cena, aveva parlato meno di tutti, e a colazione non lo aveva nemmeno visto.
“Alcuni Auror aiutarono a rimettere in sesto la scuola, a giugno e a luglio del ’98, ma ricordo che Madama Chips era contraria e insisteva perché tornasse a Londra e stesse a riposo per un po’. Aveva una mano ridotta molto male, o almeno così mi ha detto lei. Vedendogli i guanti, in treno, ho ricordato.”
“Ridotta male in che senso?”, domandò Marjory spostando lo sguardo sul bel profilo della collega, una smorfia preoccupata a deformarle la curva morbida delle labbra e a conferire allarmismo al suo volto mentre Claudia, rammentando pensosa sporadici e ormai annebbiati frammenti l’estate di cinque anni prima, scuoteva debolmente il capo:
“Non lo so. Non l’ho vista.”
“Chissà che maledizione tremenda dev’essersi preso, poverino, o peggio… Non pensi che debba essere orribile tornare e ripensare a tutto ciò che deve aver visto qui nel ’98? Tutti quei ragazzini uccisi… Ci penso e mi sento molto fortunata ad avere solo bei ricordi legati a questo posto.”
Claudia non poté far altro che annuire e convenire con la collega mentre continuava ad avanzare lungo la riva, i piedi e gli stivali che affondavano nel fango mentre teneva gli occhi celesti puntati sulla figura immobile di Keith chiedendosi che cosa l’avesse spinto a fare ritorno ad Hogwarts dopo aver vissuto in prima persona una tragedia della portata della guerra.

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Al termine della prima lezione dell’anno di Aritmanzia Lena e Cornelia avevano deciso di sfruttare l’ora buca di cui godevano prima dell’inizio di Storia della Magia per uscire e fare una passeggiata all’aperto; fortunatamente dopo diversi anni di studio erano entrambe considerevolmente abili nel trasfigurare gli oggetti e avevano prontamente trasformato i loafer della divisa in due paia di alti stivali di gomma per poter affrontare il fango che si era creato su tutta la superficie del parco a seguito dell’incessante pioggia del giorno precedente.
“Assurdo che la Vector ci abbia dato già così tanti compiti al primo giorno…” Mentre lei e l’amica raggiravano le serre muovendosi a Sud del castello, in direzione delle rive del Lago Nero, Lena esalò un sospiro tetro tenendo le lunghe ed esili braccia allacciate al di sotto del petto, i pallidi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e sulla schiena in delle onde ordinate.
“Sai che cosa è ancora più assurdo? Sawyer. Sawyer e i suoi perfetti compiti delle vacanze a cui avrà dedicato sì e no un’ora al massimo.” Approfittando del non doversi preoccupare di sporcarsi le scarpe Cornelia smosse un mucchio di fango assestandogli un debole calcio pieno di risentimento, incapace di smettere di pensare all’infinita sfilza di complimenti in cui la Vector si era, come al solito, promulgata per vezzeggiare il suo studente prediletto. Il tutto mentre lei, seduta in prima fila accanto a Lena, tratteneva faticosamente l’impulso di raccogliere il lavoro che le era costato ore di svago negato durante l’estate e cestinarlo.
Sono Sawyer Rhodes, sono così sveglio e intelligente che non mi devo applicare, mai! Non è giusto.” Non importava quanto strenuamente suo padre poteva suggerirle di non paragonarsi agli altri, Cornelia avrebbe sempre guardato gli ottimi voti che il suo compagno di Casa raccoglieva impegnandosi e studiando un terzo rispetto a quanto faceva lei provando il cocente desiderio di alzarsi e lasciare l’aula di turno senza più tornare. Di sicuro a migliorare la situazione non contribuiva quello strano effetto che Sawyer Rhodes sembrava esercitare sulle persone che lo circondavano: al ragazzo un sorriso e una parola gentile bastavano per farsi benvolere pressochè da chiunque.
“Sì, lo so, noi perdiamo ore studiando in Biblioteca e c’è chi a cui le cose riescono facilissime… ma suppongo che il nostro innegabile impegno ci faccia merito. Non ci pensare.” Lena si strinse nelle spalle mentre osservava distrattamente i tentacoli della piovra gigante emergere ed increspare la liscissima superficie scura dello specchio d’acqua dolce, rammentando divertita lo shock che aveva provato qualche anno prima quando, appena arrivata ad Hogwarts, la Preside aveva chiesto all’allora Prefetto di Serpeverde di mostrarle il castello e visitando il giardino aveva appreso dell’esistenza di quell’inusuale ospite.
A differenza di Cornelia, che provava per quell’intera categoria umana una stizza difficile da quantificare, e benchè studiasse forse più di chiunque altro all’interno del castello la russa non si era mai particolarmente preoccupata di chi riusciva a prendere ottimi voti senza applicarsi. Trovava anzi che Sawyer Rhodes fosse un ragazzo molto sveglio e affascinante, così difficile da riuscire ad inquadrare, ma tendeva a guardarsi bene dal condividere quell’opinione – largamente condivisa – con la sua amica, che infatti reagì alle sue parole sbuffando e incrociando a sua volta le braccia al petto:
“Credo che nessuno del nostro anno si impegni quanto noi, ma penderanno sempre dalle labbra di Sawyer Rhodes in ogni caso, anche se di stronzate ne combina eccome. Io continuo ad essere convinta che abbia una nonna Veela o qualcosa del genere, non mi stupirebbe.”
“Però in quel caso anche noi dovremmo fare le rimbambite in sua presenza, no?” Mentre si muovevano in direzione della riva fangosa Lena ruotò il capo per gettare un’occhiata all’amica inarcando dubbiosa un sopracciglio, le labbra distese in un lieve accenno di sorriso divertito che Cornelia fece finta di non vedere, fermamente convinta della sua teoria non ancora comprovata:
“Forse se sei particolarmente intelligente diventi immune all’affetto, andrò in Biblioteca a cercare informazioni a riguardo… E poi l’anno scorso ho visto sua madre a King’s Cross, è così bella che non mi stupirebbe se avesse una qualche Veela nell’albero genealogico.”
“Se stai ammettendo velatamente che Sawyer sia molto bello mi stupisco, pensavo che non l’avresti mai detto. Quello e che Divinazione è un corso utile ed interessante.”
“Beh, è ovvio che sia bello, ci vedo male, ma ci vedo! La cosa che mi infastidisce è il privilegio di cui la gente come lui gode. Bello, educato, con quel sorrisetto amabile e qualche moina e si ritrova tutti ai suoi piedi… l’ho visto uscire di notte non so quante volte, eppure non viene mai beccato e punito, chissà perché. Quanto a Divinazione, sai come la penso. Aritmanzia è la sua versione per la gente più sveglia.”
Gli unici detrattori della materia residenti ad Hogwarts più convinti di lei erano forse la Preside stessa e Phil MacMillan – per quanto agli occhi di Cornelia il ragazzo non brillasse sempre per simpatia, oltre ad essere colpevole anche più del suo amico Sawyer di essere un maledetto genio, spesso si erano ritrovati a discutere ritrovandosi d’accordo a riguardo –, e Cornelia piegò le labbra in una smorfia schifata mentre scrutava distrattamente il Lago ripensando alle numerosi occasioni in cui lei e il fratellino, che a differenza sua adorava il corso della Cooman, avevano battibeccato stando seduti a tavola e mettendo a dura prova l’infinita pazienza del loro povero padre.
“Forse se avessimo un’insegnante diversa andrebbe in un altro modo… La Cooman faccio fatica a prenderla sul serio, in qualche modo crede fermamente a tutto quello che dice, anche se insegna cose che non hanno niente a che vedere con la Vista. È assurdo, insegna un mucchio di scemenze, ma ho sentito dire non so quante volte che delle profezie in piena regola le ha pronunciate davvero in passato.”
Mentre Lena scuoteva il capo con disapprovazione mista a rassegnazione – quando si era trasferita ad Hogwarts da Koldovstoretz aveva preso posto alla sua primissima lezione di Divinazione carica di aspettative, soprattutto a causa di un dono molto simile che faceva parte del suo corredo genetico, aspettative che la bizzarra insegnante non aveva pienamente soddisfatto – Cornelia smosse un po’ di fango gettandolo nell’acqua scura del Lago roteando gli occhi chiari, certa che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a distoglierla dalle sue ferree convinzioni:
“Non ne sarei così convinta, io farei più affidamento su quelle finte palle da Biliardo con l’otto(1) che predicono il futuro che su di lei. Tra l’altro mio fratello ne vuole una per Natale, io mi vergogno all’idea di andare in un negozio e comprargliela…”
“A proposito di insegnanti diversi… Guarda, c’è il Signor Whiteoak.”
Lo sguardo di Cornelia seguì la direzione del cenno dell’amica finendo col posare gli occhi sulla sagoma scura che era apparsa un centinaio di metri più avanti rispetto al punto in cui si trovavano, anch’essa ferma indugiando sulla riva. Per qualche istante nessuna delle due parlò, entrambe impegnate a scrutare con discreta curiosità l’Auror che non sembrava essersi minimamente accorto della loro presenza; si lasciarono cullare dal lontano stridio di qualche rapace sveglio e dal lieve venticello che agitava le fronde degli alberi vicini e le loro chiome bionde finchè Cornelia, premendosi la mano sinistra sul lato della fronte per impedire ai capelli corti di finirle davanti agli occhi, non parlò:
“Stai pensando anche tu che è veramente bellissimo?”, domandò la ragazza senza distogliere lo sguardo dalla silhouette di nero vestita dell’uomo, che teneva le mani sprofondate nelle tasche e gli occhi azzurri rivolti pensosi verso il Lago, preda di un flusso di pensieri a cui loro non avevano accesso. Colta di sorpresa da quella domanda Lena distolse in fretta lo sguardo per puntare gli occhi scuri sull’amica, sentendosi arrossire leggermente mentre annuiva abbozzando un sorriso imbarazzato:
“Mi sento un po’ a disagio visto che ci deve fare da insegnante, ma sì. Decisamente.”
Cornelia ricambiò il sorriso e annuì prima di aggiustarsi la montatura degli occhiali sul naso, prendendo a braccetto l’amica prima di agitare debolmente la mano libera scimmiottando l’ormai celeberrima gestualità teatrale dell’insegnante di Divinazione:
“Non so Lena, non mi chiamo Cooman, ma ho una visione. Vedo l’aula del suo corso piena fino a scoppiare la prossima settimana, e non solo perché chiunque troverebbe figo avere un Auror come insegnante. Forza, dobbiamo tornare dentro, abbiamo lezione con Rüf.”
Le lezioni di Storia della Magia, per quanto trovasse la materia interessante di per sé, erano forse ciò che meno era mancato a Lena nel corso delle vacanze estive e la giovane gemette stancamente mentre si costringeva a seguire l’amica incamminandosi lungo la riva trascinando i piedi un po’ più del necessario:
“Le sue lezioni sono così dannatamente insopportabili… di solito mi prendo avanti riassumendo il libro, ma alla prima lezione non c’è niente da fare…”
Una parte di Lena avrebbe voluto proporre all’amica di saltare la lezione: in fondo Rüf nemmeno se ne sarebbe accorto, a malapena sapeva i loro nomi ed era noto per non fare l’appello, o per non alzare mai gli occhi dal libro che teneva in mano e da cui leggeva. Lena sapeva benissimo che avrebbero potuto saltare la lezione di Storia senza problemi, ma disgraziatamente lei e l’amica sapevano anche fin troppo bene che in quel caso si sarebbe sentita dannatamente in colpa per aver perso una lezione già al primo giorno di scuola. A volte si sarebbe presa a schiaffi da sola per essere così responsabile.

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La prima giornata di lezione di Håkon Jørgen e di Autumn Erwood si era conclusa alle quattro del pomeriggio, quando i due Grifondoro avevano fatto ritorno al castello insieme al termine della prima lezione di Cura delle Creature Magiche dell’anno; non avendo alcuna intenzione di iniziare a fare i compiti i due avevano raggiunto la loro Sala Comune al settimo piano per stravaccarsi su un divano accanto al caminetto spento, godendosi la parziale tranquillità garantita dal gran numero di studenti ancora impegnati nell’ultima lezione della giornata. Autumn si era sfilata senza tante cerimonie i loafer neri della divisa per stare più comoda e aveva tirato fuori dallo zaino il suo Game Boy Advance SP rosso fiammante mentre Håkon, dopo essersi slacciato la cravatta, si era infilato le cuffie nere del suo walkman, rilassandosi tenendo gli occhi chiusi e la testa reclinata contro lo schienale mentre accanto a lui l’amica inveiva contro i livelli avanzati di Super Mario Advance 4.
Alle cinque ad entrambi era venuta fame, pertanto avevano lasciato le loro cose nelle rispettive stanze per scendere nuovamente al pian terreno del castello, diretti verso la Sala Grande per il tè pomeridiano: Håkon in realtà disprezzava il tè, anzi si chiedeva perché il popolo britannico sembrasse opporsi con tanta resistenza all’idea di servire il caffè nel pomeriggio, ma alle deliziose ed invitanti alzate per dolci cariche di sandwich riccamente farciti e biscottini non avrebbe mai saputo dire di no.
Avevano disceso i gradini di marmo della scalinata principale pensando con compassione ai loro compagni impegnati nella lezione di Storia della Magia del Professor Rüf – entrambi avevano scartato il corso senza nemmeno prenderlo in considerazione – quando, raggiunto il Salone d’Ingresso, notarono un capannello di studenti raccolto accanto alle porte aperte della Sala Grande, davanti alla bacheca dove qualche avviso veniva saltuariamente appeso nel corso dell’anno, di norma per informare gli studenti delle date delle partite di Quidditch, delle gite ad Hogsmeade e dell’inizio delle vacanze natalizie.
“Che succede? Qualcuno ha appeso una foto osé della Cooman alla bacheca?”, domandò Autumn inarcando scettica un sopracciglio mentre si fermava accanto all’amico a pochi metri dall’ingresso della Sala Grande, un chupa chups alla Coca-Cola tra i denti e gli occhi color nocciola che scrutavano indagatori gli studenti, tutti della loro età o al massimo di un anno più piccoli, raccolti davanti alla bacheca.
Mi auguro che se così fosse non ci sarebbe tutta quella calca.”, osservò Håkon scrutando a sua volta l’inconsueto spettacolo – di norma la bacheca restava vuota nel corso di tutta la prima settimana di lezione – e sentendosi raggelare solo immaginando lo spiacevolissimo scenario ipotizzato dalla sua migliore amica, che invece si strinse nelle spalle con noncuranza prima di accennare in direzione delle porte aperte davanti a loro:
“Beh, vai a vedere tu, sei più alto, io vado a sedermi per prendere due posti e assicurarmi che non finiscano i sandwich migliori.”
Essendosi l’amica dileguata prima di dargli il tempo di contestare – dopo una vita intera passata a mettersi nei guai Autumn aveva sviluppato un’invidiabile abilità nel sparire in tutta fretta quando la situazione lo richiedeva – Håkon si vide costretto ad avanzare verso la bacheca, fermandosi alle spalle del sempre più consistente muro di studenti creatosi davanti alla parete di pietra per cercare di riuscire a leggere cosa ci fosse scritto sul foglio che era stato appeso. Sfortunatamente, nonostante fosse piuttosto alto, l’unica cosa che riuscì a scorgere fu la scritta che segnalava con inchiostro rosso la presenza sottostante dell’elenco e dell’orario delle nuove materie che gli studenti del VI e VII anno avrebbero dovuto frequentare, e al Grifondoro non restò che sbuffare e aspettare che la gente davanti a lui iniziasse a spostarsi per poter sperare di riuscire ad informarsi a sua volta.
Gli ci vollero più di cinque minuti, durante i quali pregò ardentemente in almeno un paio di corsi decenti, ma Håkon riuscì infine a trovarsi abbastanza vicino per riuscire a scorgere la tabella tracciata al centro del foglio. Stava cercando di memorizzare i nomi dei corsi, giusto per riportarli ad Autumn e accertarsi che l’amica non lo spedisse a controllare una seconda volta, quando una timida voce femminile attirò la sua attenzione:
“Scusami?”
Ad aver parlato era stato inequivocabilmente qualcuno che si trovava alla sua destra, e voltandosi il ragazzo si ritrovò ad abbassare il mento per posare il proprio sguardo su una ragazza considerevolmente, almeno di venticinque centimetri, appurò con quella prima occhiata, più bassa di lui. A giudicare dalla cravatta che portava allacciata al collo e allo stemma ricamato in alto a destra sul suo maglione si trattava di una Tassorosso, una Tassorosso che gli sorrideva gentilmente guardandolo di rimando con un paio di splendidi e grandi occhi azzurri.
Non erano grigi con una parvenza di azzurro, o con qualche lieve traccia di verde, erano proprio celesti, messi in risalto dall’incarnato pallido della ragazza e dai suoi capelli scuri, rifletté Håkon prima di chiedersi infastidito per quale motivo si stesse soffermando tanto sul colore degli occhi di una perfetta sconosciuta.
“Mi sapresti dire che cosa c’è scritto? Comincio ad aver paura di restare qui fino all’ora di cena.”
La Tassorosso distese le labbra carnose dando forma ad un sorriso impacciato mentre accennava ai compagni di scuola che le stavano davanti e che le impedivano di vedere, tutti più alti di lei – MacMillan non mancava mai di farle notare come persino buona parte degli studenti del secondo anno la superassero in altezza –. Dopo aver istintivamente catalogato l’accento della compagna come scozzese Håkon esitò, gettando una rapida occhiata alla bacheca prima di schiarirsi la voce e riportare lo sguardo su di lei:
“È l’elenco delle materie nuove per gli studenti del VII e VI anno con l’orario. Occlumanzia e Legilimanzia, Magia Oscura, Principi di Medimagia, Storia Magica Europea e Botanica Orientale.”
“Oh, grazie mille. Tornerò a controllare l’orario quando ci sarà meno gente. Ciao!”
Sollevata all’idea di non dover continuare a pregare che qualcuno si spostasse per riuscire a vedere qualcosa, dopo aver donato un ultimo sorriso al Grifondoro – non avevano mai parlato prima di quel giorno e Margot non riusciva a ricordare come si chiamasse, anche se aveva il vago sentore che il suo nome avesse parvenze nordiche, ma lo conosceva di vista: sarebbe stato impossibile il contrario poiché non solo lo vedeva sempre per i corridoi in compagnia di Autumn Erwood, e Teddy non mancava mai di notare la presenza della ragazza quando gli capitava di scorgerla da qualche parte, ma era anche sicura che facesse parte della squadra di Quidditch della sua Casa – la Tassorosso si allontanò scivolando facilmente in mezzo ai compagni grazie alla sua statura minuta, desiderosa di raggiungere la Sala Grande e di sedersi senza sentirsi schiacciata dalla fastidiosa pressione della ressa.
Il Battitore la seguì brevemente con lo sguardo, certo di non averla mai notata prima di quel momento, finché una sonora imprecazione non gli sfuggì dalle labbra quando qualcuno gli pestò accidentalmente un piede. Nel frattempo Autumn, a soli pochi metri di distanza, si stava bellamente rilassando alle sue spalle sorseggiando in tutta tranquillità una tazza fumante di Earl Grey con un goccio di latte: sua madre talvolta le chiedeva se non sentisse la mancanza di qualche amicizia femminile nella sua vita, ma a lei avere un amico talmente buono da lasciarsi sfruttare andava benissimo.
“Ce ne hai messo di tempo. Allora, mio nobile messaggero di corte, che novelle mi porti?”, furono le parole con cui poco dopo, quando Håkon entrò nel suo campo visivo sedendolesi di fronte, la gallese accolse l’amico insieme ad un sorrisino tenendo la tazza di porcellana ancora calda stretta tra le mani sollevata davanti al volto.
“Vaffanculo Autumn, la prossima volta ti arrangi.” Infastidito per aver perso tempo Håkon afferrò l’alzata per dolci più vicina e l’avvicinò a sé con un movimento deciso, deciso a mangiarsi tutti i biscottini al burro su cui sarebbe riuscito a mettere mano mentre Margot e Teddy, seduti a poca distanza al tavolo dei Tassorosso, prendevano il tè dando le spalle ai Grifondoro e ascoltando insieme gli ABBA dal lettore CD del ragazzo, una cuffia ciascuno.
In verità Håkon Jørgen non sarebbe mai davvero riuscito a mandare la sua migliore amica a quel paese e a negarle un favore, lo sapevano tutti e due, ma solitamente in quelle situazioni Autumn tendeva a cercare di dargli un po’ di credito fingendo di assecondare le sue minacce: la Grifondoro annuì con aria grave mentre posava la tazza sul piattino, promettendogli solennemente che l’avrebbe fatto mentre l’amico trovava conforto nella pasta frolla.

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“Teddy, vuoi smetterla di giocare?! È da quando abbiamo finito lezione che continui, io ho bisogno di chiacchiere e di supporto morale dopo aver visto la brutta faccia di MacMillan per tutto il giorno!”
Una delle migliori certezze garantite da Hogwarts era la possibilità di gustare un’ottima cena in compagnia dei propri amici al termine di qualsiasi giornata di lezione, anche le più frustranti e burrascose. Sfortunatamente per Margot Campbell, tuttavia, quel giorno sembrava che le cose per lei fossero destinate ad andare diversamente: l’ultima lezione del giorno per il VI anno era stata Babbanologia, materia che, essendo figlia di Babbani, mai si sarebbe sognata di inserire nel suo orario, ma non aveva comunque potuto godersi un po’ di tempo libero extra in compagnia dei suoi amici a causa degli impegni di Wendy, che si era recata in Biblioteca per dare una mano a Madama Pince, e della discreta dipendenza che Teddy aveva nei confronti dei videogame.
Il ragazzo, che si era portato il suo prezioso Game Boy Advance giallo persino a cena per finire un torneo prima di andare a dormire, annuì distrattamente mentre reggeva la console con una mano e con l’altra l’hamburger iper-farcito di salsa che si era preparato assemblando pane, carne, formaggio, verdure e un generoso mucchio di patatine fritte come contorno.
“Finisco la corsa e ci sono Margi. Maledetto stronzo!”, inveì aspramente il ragazzo senza distogliere i brillanti occhi chiari dallo schermo della console, quasi del tutto incurante di quanto stava avvenendo attorno a lui. Margot, che gli sedeva di fronte, annuì mentre posava i gomiti sul tavolo e si reggeva il capo tra i palmi fissando prima il piatto dell’amico e poi la propria tristissima insalata con aria alquanto affranta. Voleva bene a Teddy, per lei rappresentava ormai una sorta di fratello, ma talvolta si ritrovava ad odiarlo silenziosamente a causa della sua apparente incapacità di mettere su peso pur ingozzandosi di schifezze e grassi saturi.
“Io di norma non uso certi termini, ma MacMillan lo è senza alcun dubbio.”
E anche MacMillan, ora che ci rifletteva, si ingozzava sempre di dolci ed era magro come un chiodo. Possibile che la provvidenza avesse deciso di premiare un carattere tanto detestabile con la bellezza – certo lo detestava, ma Margot si riteneva una persona obbiettiva, e Phil era obbiettivamente bello –, un metabolismo velocissimo e un quoziente intellettivo ben superiore alla media? La vita era davvero un gioco ingiusto, si ritrovò a considerare aspramente la scozzese mentre fissava sconsolata l’invitante hamburger sul piatto di Teddy.
No, parlavo di Yoshi, mi ha buttato addosso una buccia di banana e sono finito fuori strada, ora per colpa sua sono sesto!”, sbuffò il ragazzo agitando stizzito la sua console e inveendo mentalmente contro il draghetto mentre Margot, al contrario, roteava brevemente lo sguardo prima di gettare un’occhiata in direzione delle porte aperte della Sala Grande chiedendosi dove Wendy fosse finita.
“Mangia Teddy, ti si fredda tutto quanto ed è un peccato… Posso rubarti una patatina?”
“Certo. Tu piuttosto perché mangi solo roba da conigli?!” Dopo aver tagliato il traguardo dovendosi accontentare del terzo posto Teddy si concesse di distogliere lo sguardo dallo schermo quadrato del Game Boy per gettare un’occhiata accigliata al piatto pieno di tristissima insalata dell’amica, che nel frattempo si era allungata verso di lui per prendere una patatina dal suo. La scozzese l’addentò scuotendo il capo con aria sconsolata, gettando a sua volta un’occhiata alla cena che l’aspettava mentre Wendy faceva finalmente capolino all’interno della Sala Grande dirigendosi con ampie falcate in direzione del tavolo dei Tassorosso, gli occhi azzurri schermati dagli occhiali che vagavano sui volti dei compagni di Casa cercando proprio loro.
“Perché sono grassa e orribile! MacMillan ha ragione, finirò sola e piena di gatti… e a me piacciono i cani!”
“E allora prenditi un cane, chi ti dice di prenderti un gatto?! E comunque non sei né grassa né orribile, smettila di dire cretinate. Alla peggio se restiamo entrambi single andiamo a vivere insieme in campagna con un mucchio di animali da coccolare… Il che è molto probabile, visto che l’amore della mia vita non mi degnerà mai di uno sguardo.” Dopo aver riposto il Game Boy accanto al suo piatto Teddy puntò lo sguardo sul rumoroso tavolo dei Grifondoro, sorreggendosi il viso pallido e lentigginoso con una mano mentre studiava sognante il bellissimo e ridente viso di Autumn Erwood, che sedeva dando le spalle alla parete della sala dandogli così modo di poterla guardare. Margot, che non aveva nemmeno bisogno di chiedergli di chi stesse parlando, s’illuminò e dimenticò momentaneamente la sua insalata, il suo terribile aspetto e persino Phil MacMillan mentre ripensava all’incontro di cui si era resa protagonista nel tardo pomeriggio, quando lei e Teddy avevano lasciato la Sala Comune per bere una tazza di tè e lei si era attardata nel Salone d’Ingresso per leggere l’avviso in bacheca.
“Oh, a proposito, sai che oggi ho parlato con il suo amico? È stato gentile, e pensare a che a vederlo mi è sempre sembrato spaventoso, è così alto e sempre così serio, poi si veste sempre di nero… Com’è che si chiama, non me lo ricordo.”
“Håkon Jørgen, fa il Battitore insieme a lei. L’anno scorso ho sentito dire un paio di volte che qualcuno crede che stiano insieme, secondo te è vero?”
Certo Teddy, quando mi ha detto quali fossero le materie nuove l’ho ringraziato e poi gli ho chiesto di parlarmi della sua vita sentimentale. Come faccio a saperlo?!”
Mentre Margot alzava gli occhi al cielo Teddy decise di sublimare la sua sofferenza addentando malinconicamente il suo hamburger e accusando l’amica di essere brutalmente ingiusta nei confronti di un amico alle prese con le pene dovute ad un amore impossibile, proprio mentre Wendy appariva accanto all’amica per sedersi sulla porzione di panca rimasta libera accanto alla scozzese aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Come fai a sapere cosa? Margi, cos’è quell’insalata scondita? Prendi subito un hamburger, almeno mangia la carne se proprio non vuoi il pane!”
Mentre Wendy le si sedeva accanto Margot iniziò ad elencare tutti i motivi che l’avevano spinta a decidere di iniziare una dieta rigidissima, ma anziché ascoltarla la bionda si allungò verso il vassoio degli hamburger e ne prese uno per sé e uno per lei, piazzandolo senza tante cerimonie in mezzo all’insalata mentre Teddy la guardava con sguardo affranto e con il suo panino di consolazione stretto tra le mani pallide:
“Wendy, secondo te Håkon Jørgen e Autumn stanno insieme?”
“Porca Tosca, ancora con Autumn? Speravo che con le vacanze ti sarebbe passata l’assurda cotta che hai per lei.”
“Non mi passerà mai. L’amerò per sempre, anche se lei non mi noterebbe nemmeno se arrivassi a colazione con dei trampoli.”
Wendy fece per fargli notare quanto l’idea fosse semplicemente ridicola, ma si bloccò in tempo per ruotare leggermente il capo e scambiarsi una breve occhiata con Margot, che sembrò suggerirle silenziosamente di non dire nulla per non rischiare di spingere Teddy a prendere seriamente in considerazione l’idea di farsi mandare dei trampoli: erano entrambe sicure che il padre dell’amico avrebbe assecondato la sua richiesta senza battere ciglio.
“Sì, bravo Teddy, tu amala pure, scrivile sonetti, io non vedo l’ora di trovare una scusa per metterla in punizione dopo quello scherzo sul treno. I miei capelli ancora puzzano, e sapete come la penso a riguardo.
Che Wendy Lightwood nutrisse una particolare fissazione nei confronti dei propri – splendidi, curati ed invidiatissimi – capelli era cosa nota a chiunque la conoscesse, tanto che né Margot né tantomeno Teddy osarono obbiettare mentre l’amica li legava stizzita in una coda alta per non rischiare di sporcarli con il contenuto del suo piatto. Di tanto in tanto si presentava a lezione di Pozioni con una cuffietta per tenerli lontani dai cattivi odori e dal vapore che puntualmente riempiva l’aula e che li avrebbe resi orribilmente crespi, e anche se buona parte della classe la prendeva in giro Wendy era sempre l’unica a lasciare i Sotterranei con i capelli puliti, perfetti e profumati di vaniglia.
“Dite che potrei farmi mettere in punizione insieme a lei? Penso che sarebbe molto romantico.”, osservò Teddy con tono distratto mentre fissava pensoso le candele che fluttuavano sopra le loro teste, portandosi un generoso mucchio di patatine cosparse di ketchup – vedeva spesso Autumn versarsi il ketchup nel piatto anziché la maionese, a conferma di come fossero segretamente anime gemelle – alle labbra mentre rifletteva su qualche possibile modo di avvicinarsi alla bellissima Grifondoro. Margot, che si sarebbe affatturata da sola piuttosto di ferire l’animo dell’amico, si mordicchiò il labbro inferiore cercando una risposta il più possibile neutrale e ponderata, ma Wendy decise di prendere la parola per entrambe elargendo uno dei suoi celebri e frettolosi commenti brutalmente onesti:
Io penso che sarebbe un’idea cretina.”, osservò la bionda con tono neutro e senza nemmeno guardare l’amico, troppo presa dal sminuzzare il suo hamburger con coltello e forchetta mentre Margot cercava di non scoppiare a ridere per evitare di ferire i sentimenti di Teddy e soprattutto di strozzarsi con il succo di zucca.
“Come sei acida stasera, mi sembri mia sorella! Di questo passo rischiamo di finire tutti e tre a vivere insieme con cani, gatti e porcellini d’India… Dopo aver trovato una fidanzata a papà dovrò sistemare anche una di voi, mi piacerebbe diventare zio e su Connie non nutro molte speranze.” Il commento torvo di Teddy non venne accolto affatto di buon grado da Wendy, che si sistemò gli occhiali sul naso prima di fargli notare stizzita di non aver nessuna intenzione di trascorrere una vita intera appresso a degli animali domestici che avrebbero disseminato disordine e sporcizia dappertutto; quello era più o meno lo stesso motivo che la spingeva a figurare per se stessa un futuro da donna felicemente single in un appartamento sempre pulito e profumato.

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Sala Comune di Serpeverde


Ian era andato a coricarsi su uno dei numerosi divani di pelle nera sparsi all’interno dell’ampio salone dalle pareti di pietra non appena varcata la soglia della sua Sala Comune, felice di potersi sfilare le scarpe della divisa e la cravatta che aveva portato annodata alla bell'e meglio per tutto il corso di quella lunga prima giornata di lezioni. Invece di imitarlo Aster aveva superato la Sala Comune per raggiungere il Dormitorio maschile e farsi una doccia, consentendo all’amico di infilarsi le cuffie del suo lettore CD portatile nelle orecchie e di rilassarsi ascoltando canzoni che chiunque altro avrebbe definito tutto fuorché in grado di distendere qualsiasi tipo di tensione.
Disteso supino sul divano con il capo appoggiato ad un cuscino dalla federa verde smeraldo e le palpebre serrate Ian stava ormai ascoltando la sesta canzone di Physical Graffiti(2) quando la sua quiete venne bruscamente interrotta da un secondo cuscino che gli si scagliò coltro colpendolo mollemente in pieno volto. Allontanatosi il cuscino dal viso e aperti istintivamente i grandi occhi blu Ian scrutò solo per una frazione di secondo il basso soffitto di pietra che sovrastava la sala semibuia prima di mettersi a sedere contro il bracciolo del divano e poter gettare così un’esasperata occhiata torva al suo migliore amico, che lo stava guardando standosene appollaiato sul bracciolo del divano Chesterfield a tre posti più vicino e con un accenno di sorriso a distendergli le labbra.
“Mi sembrava quasi troppo vera, quella pace e quella quiete durata ben cinque canzoni.”, osservò Ian senza nemmeno provare a mascherare una nota di sarcasmo mentre metteva in pausa i Led Zeppelin e si sfilava le cuffie, sistemandosi il lettore CD in grembo mentre l’amico si lasciava scivolare dal bracciolo per andare a sedersi accanto a lui e sollevare i piedi per appoggiarli ad un basso tavolino di freddo metallo nero.
“Beh lo sai anche tu che da queste parti a fare la doccia ti devi sbrigare, visti quanti siamo. E poi non vorrei mai che tu possa sentirti troppo perso e solo in mia assenza… Allora, che materie seguiamo?”, domandò Aster mentre si sfilava una vivace confezione rossa e bianca di Gelatine Tutti i Gusti + 1 dalla tasca della felpa che aveva infilato per dormire, aprendola per tentare la sorte e gustare l’ultimo paio di caramelle della giornata. Ian lo aveva visto spazzolare una porzione molto generosa di tortino al cioccolato coperto da uno strato altrettanto generoso di panna montata come dessert, ma conoscendo ormai molto bene la dieta straordinariamente ricca di zuccheri dell’amico a stento ci fece caso, preoccupandosi invece di indicare scettico uno dei divani che si trovava vicino al colossale camino di marmo nero spento:
“Scusa, ma non ti siedi sul tuo divano personale? Quello sul cui schienale l’anno scorso volevi appendere una targhetta col tuo nome?”
“Lo farei genio, ma voglio parlare con te, quindi mi adeguo. Allora, che hai pensato?” Aster sollevò una gelatina scarlatta studiandola dubbioso, cercando di pensare a quali gusti potenzialmente disgustosi un simile colore potesse celare mentre Ian si prendeva qualche istante per riflettere imitandolo e appoggiando i piedi avvolti da un paio di calzini neri sul bordo del tavolino.
“Credo che Magia Oscura e Occlumanzia siano molto fighe. Immagino che a te Botanica non interessi.”
Anche se la voce di Ian suonò del tutto priva di ironia il Battitore quasi scoppiò genuinamente a ridere alla vista dell’espressione schifata che fece immediatamente capolino sul volto dell’amico – quasi avesse appena ingerito una gelatina al cerume – non appena ebbe nominato la materia in cui, probabilmente, Aster aveva fatto più pena per tutta la durata della sua carriera scolastica.
“Porco Merlino, no. Lo sai che pena facevo ad Erbologia, ne ho abbastanza di terra, vasetti e piantine. Magia Oscura la seguo di sicuro, è tutta l’estate che leggo roba sugli Spezzaincantesimi, sarebbe stupido non seguire un corso tenuto da qualcuno che fa quel lavoro.”
“Lo immaginavo. Di Occlumanzia e Legilimanzia che mi dici?”
“Ci sto, un corso tenuto da un Auror in carne ed ossa non me lo perderei mai.”
Finalmente Aster prese coraggio e si mise la gelatina sulla lingua, prendendo a masticarla con le sopracciglia bionde aggrottate in attesa che il gusto misterioso si manifestasse. Disgraziatamente, come ebbe modo di appurare quando si sentì andare a fuoco la lingua, aveva pescato una gelatina al gusto di peperoncino messicano, e ben preso il Serpeverde venne violentemente scosso da un acceso attacco di colpi di tosse.
“Bene, non vedo l’ora di cercare di impedirti di leggere i miei pensieri. Credo che seguirò anche il corso di Medimagia, sembra interessante, ma sono indeciso per Storia e Botanica. Tu a Storia ci saresti?”, domandò Ian mentre gli assestava qualche energico colpetto sulla schiena, invitandolo silenziosamente a non soffocare prima della fine della prima settimana di lezioni. Aster, gli occhi verdi arrossati e pieni di lacrime, annuì mentre continuava a tossire, momentaneamente incapace di parlare; solo qualche istante dopo, quando la gola iniziò a bruciargli un po’ meno, riuscì a schiarirsi la voce e a dare forma ad una frase:
“Sì, se non crepo prima, penso che sarà interessante... e poi la prof è mezza francese, magari se le dico che abbiamo origini in comune mi prende in simpatia. Ed è anche una gran figa.”, concluse con una debole stretta di spalle mentre chiudeva la confezione di gelatine, certo di averne avuto abbastanza fino al giorno seguente. Ian, accanto a lui, tornò a mettersi comodo contro lo schienale di pelle del divano annuendo debolmente e fissando con aria distratta il set di candelabri d’argento a forma di serpente sistemati al centro del tavolino mentre rifletteva sulle parole dell’amico.
“Allora penso che la seguirò anche io. Per gli allenamenti invece? Ci sarai quest’anno, voglio sperare.”
“Lo dici a me? Sono stanco di stare in panchina, l’anno scorso è stato uno schifo. Chi cazzo poteva essere, del resto, l’unico coglione che si fa male durante un allenamento?!” L’aver dovuto trascorrere un intero anno seduto in panchina con un braccio fuori uso a causa di un Bolide era stato per Aster fonte di enorme frustrazione; fino alla fine dell’anno aveva potuto seguire le partite dei suoi compagni, Ian incluso, solo a debita distanza, e quando a giugno la squadra aveva vinto il campionato scolastico non era riuscito ad unirsi ai festeggiamenti con l’entusiasmo dovuto, conscio di non aver contribuito in alcun modo alla vittoria.
“Sei stato la cheerleader migliore in cui potessimo sperare, però.” Ian si concesse di sorridere mentre guardava l’amico agitando amabilmente le lunghe e folte ciglia scure, ed esattamente come si aspettava ciò che ottenne in risposta furono un insulto colorito e una seconda cuscinata. Certo era, si premurò di sottolineare Aster alzando il mento con aria sostenuta, che in gonnellino e pon-pon lui sarebbe stato sicuramente il più attraente tra i due.

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Wendy Lightwood era piuttosto nota tra i Prefetti, nonché tra il resto della popolazione scolastica, per prendere il ruolo che l’anno prima le era stato assegnato dalla Professoressa Sprite molto seriamente: non aveva mai saltato una riunione, non si lamentava mai per gli orari delle ronde che le spettavano e di rado chiedeva a qualcun altro di sostituirla.
Quella sera il nome della Tassorosso era figurato tra gli eletti destinati al turno di ronda, e anche se la giovane strega avrebbe di gran lunga preferito restare a godersi l’accogliente Sala Comune in compagnia di Teddy – che dopo cena aveva deciso di affogare la tristezza conseguente al suo amore non corrisposto andando a prendersi un’enorme coppa di gelato al limone nelle cucine –, Margot, un libro e di una deliziosa tisana alla vaniglia come sempre da parte sua non era stata sollevata alcuna lamentela: dopo aver finito di cenare aveva brevemente seguito i compagni di Casa nei Sotterranei e meno di un’ora dopo aveva incontrato Isaac nel Salone d’Ingresso ormai silenzioso e quasi del tutto buio. Come sempre il Serpeverde l’aveva aspettata davanti alla scalinata che permetteva di accedere ai Sotterranei, dove si trovavano entrambe le loro Sale Comuni, e quando l’aveva scorta salire in fretta i gradini le aveva rivolto un sorriso sfilandosi dalle orecchie le cuffie del suo lettore cd.
“Ciao Fiorellina.”, l’aveva accolta il Serpeverde mentre si aggiustava le cuffie attorno al collo pallido e sottile, il volto debolmente illuminato dalla calda luce emessa dalle torce accese e appese alle altissime pareti di pietra dell’ingresso del castello. Isaac la chiamava Fiorellina da almeno tre o quattro anni, quando Lumacorno li aveva fatti sedere vicini a lezione e il Serpeverde si era reso conto di quanto i lunghi ed estremamente curati capelli biondi della Tassorosso profumassero esattamente come le bacche di vaniglia che utilizzavano per preparare le Pozioni.
“Metto in pausa Britney solo per chiacchierare con te, devi sentirti profondamente onorata.”, asserì il ragazzo mentre accennava alle proprie cuffie e si lasciava prendere sottobraccio dall’amica, che lo condusse verso l’ampia scalinata di marmo che conduceva ai piani superiori ascoltando l’eco delle loro voci risuonare nella sala eccezionalmente deserta.
“Mi sembra il minimo, dovrei andarmene in giro per i corridoi bui parlando con chi, i quadri del castello? Andiamo, forza.” Mentre camminava la ragazza si voltò per gettare un’istintiva occhiata alle quattro grandi clessidre delle Case, come faceva sempre quando era di ronda, e finì col distendere le labbra rosee dando forma ad un sorriso compiaciuto quando scorse il minuscolo mucchio di diamanti gialli che già si era formato alla base di quella dei Tassorosso: a lezione di Pozioni aveva alzato la mano e risposto ad una domanda prima di Isaac, e Lumacorno le aveva assegnato i suoi primi cinque punti dell’anno.
“Com’è andato il tuo primo giorno?”, domandò il Serpeverde mentre salivano insieme i gradini di marmo, entrambi tenendo istintivamente il capo chino per non rischiare di scivolare calpestando l’orlo delle vesti della divisa. Non avevano scambiato più di qualche parola per tutto il corso della giornata poiché non si erano seduti vicini né a Pozioni né ad Erbologia, e dopo una brevissima riflessione Wendy stabilì che sì, tutto sommato era suo diritto rinfacciargli quanto avvenuto nei Sotterranei almeno una volta:
“Direi bene, soprattutto quando ti ho soffiato i punti di Lumacorno.”
“Sai che m’importa dei tuoi cinque punti… Rispondi alle domande che ti pare carina, il preferito di Luma resta sempre il sottoscritto. Che ci vuoi fare, è anche il Direttore della mia Casa, è normale che sia così.”
Persino nella penombra Wendy riuscì a scorgere l’odioso sorrisino da serpe che fece capolino sul viso dai tratti angelici e ancora lievemente infantili di Isaac, sorrisino che come sempre portò la Tassorosso e sbuffare debolmente e a piantargli il gomito sul fianco: spesso scordava di avere a che fare con un Serpeverde, ma a volte l’amico ci teneva a ricordarglielo.
“Diciamo piuttosto che sei uno schifoso lecchino, Izzy. Ma dimmi di Divinazione, Teddy mi ha accennato qualcosa a cena e voglio sapere com’è andata.”
Wendy era un Prefetto modello che non saltava mai una riunione o un turno, ma quella sera aveva lasciato i suoi migliori amici provando un’insolita amarezza: avrebbe voluto un resoconto dettagliato della lezione di Divinazione di quella mattina, e ancora stentava a credere che uno come Phil MacMillan si fosse presentato a lezione di Sibilla Cooman essendo forse il più noto detrattore della materia di tutto il loro anno. Persino più di lei.
“Ti riferisci a Phil? È stato fantastico, non mi sono mai divertito così tanto a lezione della Cooman. Peccato che tu non ci sia, ti assicuro che assistere meriterebbe due ore settimanali del tuo tempo.”
“Sono sicura che in parte tu abbia ragione, ma allo stesso tempo il mio rifiuto per tutto ciò che riguarda sfere di cristallo e foglie di tè è troppo profondo per lasciarmi tentare… Mi accontenterò dei vostri resoconti. Margi che faccia ha fatto quando l’ha visto? Teddy ha detto che sembrava avesse di fronte un Vermicolo.”
Pur essendo diviso tra l’amicizia che lo legava a Margot e la simpatia che, nonostante il notoriamente difficile carattere, provava per il Corvonero Isaac non riuscì a non ridacchiare mentre insieme a Wendy saliva i gradini che li avrebbero condotti al primo piano, l’immagine delle espressioni inorridite e sgomente dei due diretti interessati ancora perfettamente impresse nella sua mente.
“Sembrava colpita da un fulmine, povera Margi, sono sicuro che andando a lezione della Cooman pensava di essere in una zona libera dalla presenza della sua nemesi, e invece se l’è trovato lì seduto in mezzo a poltroncine di chintz e tazzine di porcellana. E dovevi vedere la Cooman, è andata in brodo di giuggiole quando ha visto Phil, sembrava che per lei fosse arrivato Natale. Si è messa a blaterare a proposito di una presenza ostile che sentiva nell’aria attorno a sé, e poi ha chiesto a Phil di andare a rimestare l’essenza profumata nel calderone.”
Ripensando all’espressione truce con cui Phil aveva guardato l’insegnante – per un terribile e meraviglioso istante Isaac aveva temuto che il compagno si sarebbe alzato cercando di infilare la donna nel medesimo calderone – il Serpeverde non riuscì a trattenersi, scoppiando a ridere per la seconda volta svegliando un gruppo di maghi ritratti in un dipinto ad olio del XVIII secolo appeso al muro. Quelli presero a borbottare lamentandosi sommessamente, ma essendo abituati al carattere facilmente irritabile di gran parte dei soggetti dei dipinti del castello nessuno dei due ci fece caso, anzi Wendy sbuffò mentre roteava gli occhi azzurri e lei e l’amico si fermavano nel bel mezzo del pianerottolo del primo piano.
“Cavolo, proprio una gran profezia. Nessuno vedendo l’espressione arcigna con cui la guarda Philip lo definirebbe mai ostile a lei e al suo metodo d’insegnamento. Lumos.”
La strega levò il braccio destro e la punta della sua bacchetta si accese, generando un po’ di luce nel corridoio buio per favorire la sua vista e quella dell’amico mentre Isaac, seguendola calpestando uno spesso e soffice tappeto rosso, continuava a ripensare alla prima lezione di Divinazione dell’anno con un sorriso sulle labbra e gli occhi quasi luccicanti: era persino tentato di andare a parlare con Sawyer Rhodes e ringraziare il Corvonero per aver fatto a lui e al resto della classe quell’inaspettato e meraviglioso regalo costringendo Phil a seguire il corso.
“Non è finita. Ha detto anche che “i presenti sarebbero stati scossi da aspre discussioni entro la fine del semestre”, chiaramente guardando con quel suo fare teatrale Phil e Margi. Probabilmente ricorda quando alla seconda lezione del terzo anno Phil ha predetto a Margi una vita da zitella gattara e lei la settimana dopo gli rovesciò il tè addosso…. Insomma, Phil non è più riuscito a stare zitto, conoscendolo era questione di tempo, ero sicuro che non avrebbe resistito nemmeno per tutta la prima lezione. È sbottato dicendo che già che c’era poteva prevedere un autunno di forti piogge e di grandi nebbie, o che Pasqua sarebbe caduta di domenica. La Cooman non l’ha presa bene, si è discretamente offesa e agitava lo scialle con aria indispettita… Per fortuna Teddy ha capito l’antifona, si è messo a chiederle un sacco di cose riguardo al libro che ci aveva dato da leggere per le vacanze, e allora è tornata di buonumore.”
La stretta amicizia che legava Isaac Scott e Theodore Lockwood sarebbe potuta apparire bizzarra ai più considerando l’appartenenza a Serpeverde e Tassorosso dell’uno e dell’altro – persino Margot, nota per essere sempre estremamente bendisposta verso il prossimo, aveva reagito sgranando gli occhi sgomenta quando al secondo anno Teddy le aveva parlato del “simpatico Serpeverde” con cui era capitato a lavorare in coppia nelle serre ad Erbologia – ma la verità era che i due avevano in comune molto più di quanto ci si sarebbe aspettati giudicando i colori delle loro divise: entrambi, come amavano ripetere le loro amiche, erano due amabili leccaculo che potevano fare affidamento su un paio di faccini e modi di fare semplicemente adorabili.
“Mi tenti Izzy, ma no, non tornerò mai a lezione della Cooman. Però potresti farmi una registrazione vocale per farmi fare due risate nei momenti di tetro sconforto.”
“Perdonami Fiorellina, non ho un registratore.”
“E allora? Scrivi a tuo padre e chiedigliene uno, cocco viziato che non sei altro!”
Di essere un figlio unico terribilmente viziato dai suoi genitori, che lo adoravano con ogni fibra del loro essere, Isaac lo sapeva bene. Sapeva anche di possedere più o meno tutto ciò che desiderava e che di sicuro non avrebbe faticato ad ottenere anche un registratore, ma quando l’amica gli diede una gomitata si finse comunque offeso da quell’accusa dischiudendo le labbra con fare stizzito, anche se non ebbe modo di ribattere per colpa della Signora Grassa e di Violet(3), che avevano apparentemente lasciato i rispettivi dipinti preferendo sistemarsi in un più ampio e comodo salottino. Le due, che sedevano attorno ad un tavolo imbandito, li rimproverarono aspramente per aver disturbato le loro “chiacchiere serali”, e anche se Isaac e Wendy si scusarono educatamente prima di allontanarsi in fretta e furia insieme alla luce emessa dalla bacchetta della Tassorosso il ragazzo non riuscì a trattenersi dal sbuffare piano quando non furono più a portata d’orecchi della custode della parola d’ordine dei Grifondoro e della di lei amica:
“Chiacchiere serali, come no… quelle stavano bevendo allegramente whisky scozzese, altro che. Di sicuro se Phil dovesse continuare a seguire Divinazione a fine anno la Cooman potrebbe unirsi a loro per colpa di un principio di esaurimento nervoso.”


divisorio


sala-professori


Al termine di una lunga giornata trascorsa girovagando per il castello – i nuovi corsi sarebbero iniziati solo a partire dalla seconda settimana dell’anno scolastico, e anche se avrebbero dovuto sfruttare quei giorni liberi per preparare le lezioni lui e Declan avevano deciso di usare la giornata per girare in lungo e in largo i corridoi facendosi trascinare dai ricordi – e una cena alquanto consistente Raymond sarebbe stato più che felice di ritirarsi nella propria stanza per farsi una lunga doccia calda e poi dedicarsi in solitudine alla lettura, ma il suo ex compagno di classe e neo collega aveva insistito per trascinarlo in direzione di una delle tante stanze del castello a cui da studenti non avevano mai potuto accedere e in cui ora, finalmente, erano legittimati a curiosare.
“Non dirmi che non ti sei mai chiesto come fosse! Io sono sempre stato curioso, mi sono immaginato di tutto e di più… secondo me i nostri cari insegnanti facevano la bella vita rilassandosi alle nostre spalle.”, asserì Declan con tono concitato mentre scendeva rapido i gradini di marmo della scalinata principale per fare ritorno nel Salone d’Ingresso e raggiungere la loro ultima meta della giornata. Alle sue spalle Raymond lo seguiva senza il medesimo entusiasmo, anzi sentendosi ancora parecchio amareggiato dopo essere stato trascinato fino al quarto piano per vedere un passaggio segreto la cui esistenza era stata decantata dall’ex Grifondoro per tutta la cena, salvo poi trovarlo miseramente bloccato(4).
In verità anche Raymond era curioso di vederla, la fantomatica Sala Professori, così come smaniava per avere l’occasione di rimettere piede dopo tanto tempo nella sua vecchia Sala Comune, ma per soddisfare quell’antica curiosità avrebbe aspettato più che volentieri il mattino seguente; disgraziatamente Declan sembrava essere testardo tanto quanto lui, se non persino di più, ed era riuscito a persuaderlo a seguirlo.
“Quello che mi ricordo erano quegli orribili gargoyle parlanti che sorvegliavano l’ingresso e ti guardavano male se solo passavi davanti alla porta.”, asserì l’ex Serpeverde con una noncurante stretta di spalle mentre seguiva il botanico svoltando nel corridoio che si snodava a sinistra della scalinata, seguendo la scia luminosa delle torce mentre il suono dei loro passi echeggiava tra le pareti di pietra semibuie.
“Non fosse stato per loro mi ci sarei intrufolato già quando ero studente. Pensi che ci sia una parola d’ordine?”, domandò Declan senza voltarsi e continuando a precederlo, le mani sprofondate nelle tasche di un paio di pantaloni color ruggine mentre Raymond gettava occhiate distratte agli sporadici dipinti appesi alle pareti e ai loro soggetti animati.
“Non penso, in caso la Preside ce l’avrebbe comunicata. … I gargoyle però hanno sloggiato, pare.”
Declan e Raymond si fermarono davanti ad una porta che, a differenza di come ricordavano, appariva sprovvista di due gargoyle di pietra a sorvegliarne l’ingresso. Stranito, Declan inarcò un sopracciglio mentre valutava la possibilità di aver commesso un errore e di aver sbagliato porta o corridoio, ma aveva cercato così tante volte di intrufolarsi in Sala Professori per cercare di mettere le mani in anticipo su qualche test che scartò subito l’idea, sicuro di non essersi sbagliato.
“Li avranno rimossi dopo la guerra, forse si erano danneggiati.”, azzardò infine il Grifondoro con una debole scrollata di spalle prima di avanzare verso la porta sperando nell’assenza di qualche bizzarro trucchetto piazzato sulla maniglia per scoraggiare i possibili intrusi. Per fortuna poteva contare sulla presenza di qualcuno che di maledizioni se ne intendeva, rifletté rincuorandosi Declan mentre stringeva il manico del battente a forma di testa di drago e Raymond, desideroso di assecondare la curiosità del collega per poi essere lasciato in pace e potersene tornare in camera sua, si lisciava distrattamente le pieghe del gilet di tweed.
“Non sentirò la loro mancanza. Forza DeLoughrey, vediamo questa fantomatica stanza proibita a cui tieni tanto una volta per tutte.”
Declan non se lo fece ripetere e obbedì, spingendo il battente per aprire finalmente la pesante e robusta porta di legno; quella si spalancò con un lieve cigolio ma nessuno dei due maghi vi prestò attenzione, troppo occupati a contemplare il sorprendente interno dell’ampia sala dalle pareti ridipinte da una tonalità di verde particolarmente cupa.
Porca miseria.”, fu l’istintivo e ammirato commento di Raymond mentre se ne stava fermo sulla soglia alle spalle di Declan, che invece dischiuse le labbra sgranando indignato i grandi occhi azzurri di fronte a quella stanza così inaspettatamente spaziosa ed elegantemente arredata:
Ecco perché non ci volevano fare entrare, non volevano che vedessimo che pacchia si facevano alle nostre spalle!”
“Taci un po’, ci potrebbe essere la Preside trasformata in gatto da qualche parte!”, lo rimproverò l’ex Serpeverde mentre seguiva il collega all’interno della stanza, varcando la soglia giusto in tempo per udire la pacata voce di Keith raggiungerli da uno dei due divani di velluto verde che si fronteggiavano davanti ad un caminetto spento.
“Potete stare tranquilli, di gatti non ne ho visti.”, asserì l’Auror mentre distoglieva brevemente lo sguardo dalla lettera che gli era stata recapitata nel corso della cena per rivolgersi ai due colleghi abbozzando un appena percettibile accenno di sorriso, tornando a leggere mentre la porta si chiudeva con un lieve tonfo alle spalle di Declan e di Raymond.
“Vedo che abbiamo avuti tutti la stessa idea. Anche io ero curiosa di vedere come fosse la Sala Professori.”
Marjory, che sedeva accanto a Claudia a capo di un lungo tavolo di mogano rettangolare dando le spalle ad un enorme armadio(5), indirizzò ai due un sorriso allegro mentre una teiera incantata rimboccava la sua tazza e quella della collega con un caldo e profumato infuso alle spezie.
“In verità una volta non era affatto così, era molto più spoglia… l’avranno riarredata dopo la guerra e di certo seguendo i raffinati e costosi gusti del caro Horace Lumacorno.”, commentò Keith con tono distratto mentre voltava la lettera scritta a mano per leggerne la seconda pagina e Declan, gli occhi sgranati, andava a sedersi di fronte a lui sul secondo divano guardandolo meravigliato:
“Ci sei stato da studente? Sul serio? Io non ci sono mai riuscito! Ti avevano convocato?”
“No, durante un pranzo mi intrufolai per dare una sbirciata ad un test teorico di Pozioni che Lumacorno teneva nella sua valigetta.”, confessò l’Auror ricambiando lo sguardo dell’ex Grifondoro e distendendo le labbra in un sorriso dai tratti colpevoli che sorprese Declan quanto Claudia e Marjory, che si scambiarono una silenziosa occhiata stranita mentre Raymond si dirigeva verso un’elegante vetrinetta piena di oggetti magici di materiali e dimensioni differenti, quasi tutti dall’aria rara, costosissima e molto fragile. Non era affatto difficile immaginare che a suggerire l’arredamento fosse stato proprio il docente di Pozioni, rifletté lo Spezzaincantesimi mentre studiava lo Spioscopio di cristallo più grande che avesse mai visto e che con ogni probabilità era stato donato a Lumacorno da una delle sue innumerevoli e facoltose conoscenze. Quello e la scacchiera di giada che si trovava giusto accanto alla trottola magica.
“Come hai fatto?”, domandò Declan in un misto di invidia e ammirazione al tempo stesso mentre guardava l’Auror con un sorriso divertito sulle labbra, felice di non essere l’unico ex studente incline alle malefatte nella stanza mentre Keith si stringeva debolmente nelle spalle di rimando, come deciso a minimizzare e a cambiare argomento:
“Ho Confuso i gargoyle.”
“Sul serio? Fantastico, dev’essere stato anche un Confundus bello tosto! E io che ti avevo immaginato come uno studente modello, serio e diligente!”
“Credo che nessun insegnante mi avrebbe definito così all’epoca… Sono sicuro che la Preside lo ricorda bene.”
Io invece ero una brava studentessa. Del resto noi Tassorosso siamo quasi sempre carini e adorabili… Claudia mi stava giusto parlando delle Case di Ilvermorny, dice che secondo lei dalle loro parti sentono la competizione molto meno rispetto a noi.” Marjory si spolverò le briciole di pane tostato dalla camicetta bianca che indossava accennando distrattamente in direzione di Claudia, che posò con delicatezza la tazza sul piattino dopo aver bevuto un sorso di infuso prima di annuire accennando un sorriso:
“In effetti da noi non ci sono nemmeno le divise distinte, hanno colori diversi solo in base al sesso… blu per le ragazze e rosse per i ragazzi. Credo che in generale ci si faccia meno caso, alla questione della distinzione e alla competizione.”
“Una competizione persa in partenza, per quanto mi riguarda.”, fu l’annoiato commento che si levò dall’angolo della stanza in cui si trovava Raymond e che fece guadagnare allo Spezzaincantesimi un’occhiata piuttosto torva da parte di Marjory, che addentò stizzita il suo toast al formaggio grigliato mentre Declan, alzatosi dal divano, si avvicinava al tavolo per unirsi alle due streghe guardando colpito il toast dell’ex Tassorosso:
“Quindi possiamo anche farci portare del cibo dalle cucine?”
“Onestamente non saprei, io sono andata personalmente in cucina a prepararmelo.”
“Sai dove sono le cucine?!” La collocazione delle cucine era un altro segreto di Hogwarts che Declan non era mai riuscito a svelare in ben sette anni, e il botanico riservò alla strega lo stesso sguardo colpito e sorpreso che poco prima aveva rivolto a Keith mentre Marjory annuiva accennando un sorriso divertito con gli angoli delle labbra:
“Sono una Tassorosso, le cucine sono proprio accanto alla mia Sala Comune… quasi tutti sapevamo dove fossero, o almeno si sapeva quando eravamo studenti noi, ora non so dirlo.”
“Anche io sapevo dov’erano quando studiavo qui.”, ammise con tono distratto Raymond mentre apriva la vetrinetta per estrarre un Avversaspecchio di forma circolare e dalla pesante cornice d’oro, sfiorandone la superficie piena di ombre indistinte mentre Declan si voltava sulla sedia per dare le spalle a Marjory e guardare l’ex compagno di scuola con espressione sgomenta; Keith, sempre seduto in silenzio e in disparte sul divano, accennò un sorriso divertito senza essere notato.
“Siamo stati in giro tutto il giorno e non ti sei sognato di condividere quest’informazione cruciale? Voglio vederle anche io le cucine! Marjory,”, continuò il botanico mentre tornava a rivolgersi alla strega, “saresti così gentile da accompagnarmici?”
“Ma certo, volentieri. Gli Elfi sono adorabili, ed è così bello non vederli più sfruttati fino allo stremo e con degli abiti invece di quelle ripugnanti federe che portavano anni fa.”
“C’era una dolce, tenera piccola Tassorosso che mi moriva dietro quando ero al sesto anno… così dolce che fu felicissima di indicarmi come entrare nelle cucine.” L’ex Serpeverde smise di osservare lo specchio magico per alzare la testa e puntare il mento in direzione del tavolo attorno a cui sedevano Claudia, Marjory e Declan, sfoggiando un sorriso compiaciuto che destò un lieve sbuffo da parte della Tassorosso.
“Tipico. Siamo scemi finchè improvvisamente non diventiamo utili, no?”
“Sono sicura che nessuno pensa che i Tassorosso siano, emh, scemi.” Claudia si rivolse alla collega con un tiepido sorriso pacificatore prima di distogliere lo sguardo dal volto di Marjory e farlo rimbalzare in cerca di conferme su quelli dei tre uomini, anche se Keith si guardò bene dal ricambiare e tenne gli occhi azzurri ostinatamente puntati sul foglio di carta che aveva in mano, come a volersi astenere dal commentare, e Declan e Raymond sembrarono entrambi in seria difficoltà in merito alle parole da utilizzare nel risponderle, nel caso del secondo per non risultare troppo offensivo.
Sorpresa e colta alla sprovvista da quel silenzio tanto eloquente Claudia corrugò la fronte, sollevando leggermente un sopracciglio mentre Marjory, accanto a lei, scuoteva rassegnata il capo prima di riprendere a sorseggiare il suo infuso:
“… No?”







(1): Non sono sicura che tutti abbiano colto il riferimento, dipende molto da quanto vecchi siete, quindi specifico per evitare confusione: la palla magica otto è stato un giocattolo particolarmente popolare dalla metà degli anni ’90 fino ai primi anni 2000, se non ricordo male faceva anche un’apparizione in Toy Story, si tratta di una finta palla da biliardo che agitandola “predice il futuro” mostrando delle risposte.
(2): Sesto album dei Led Zeppellin, 1975
(3): La Signora Grassa non ha certo bisogno di presentazioni; Violet al contrario viene citata solo sporadicamente all’interno dei libri, si tratta di una strega raffigurata in uno dei tanti dipinti del castello (se non erro collocato al pian terreno, vicino alla Sala Grande) molto amica della Signora Grassa, e pare che talvolta le due si godano la compagnia reciproca bevendo un po’ troppo.
(4): Il passaggio segreto a cui si fa riferimento viene citato da Fred e George Weasley nel Prigioniero di Azkaban, quando consegnano ad Harry la Mappa del Malandrino. Si tratta di un passaggio segreto che si trovava dietro ad uno specchio del quarto piano, ma divenne inutilizzabile a partire dal 1992 per colpa di una frana.
(5): Mi sono presa la libertà di immaginare da me l’interno della Sala Professori, ma l’armadio citato è idealmente quello che Remus Lupin usò per la famosa lezione sul Molliccio (nel libro condusse gli studenti nella stanza anziché portare l’armadio nell’aula di DCAO) nel Prigioniero di Azkaban.







Angolo Autrice
Buonasera!
Oggi doppietta di aggiornamento tra questo capitolo e quello nuovo di LMDI, spero che coloro che partecipano ad entrambe le storie possano gradire✨ Detto ciò, mi piacerebbe molto mantenere più o meno un capitolo al mese come ritmo di aggiornamento – anche considerando che da brava piccola pazza quale sono ho già preparato il “calendario” dei capitoli di quasi tutta la storia, verrà piuttosto lunga e non voglio impiegare 4 anni per portarla a termine – incrociate le dita insieme a me🤍
Sorvolando sulla quantità di feels che questa storia mi procura tra menzioni a lettori CD, Game Boy, canzoni di Santa Britney e Tamagotchi, a seguito dell’ultimo paragrafo del capitolo ci tengo a sottolineare quanto io ami i Tassorosso, benché non sia la mia Casa è di certo quella che preferisco in assoluto. A differenza di Raymond sono una Serpeverde del tutto priva di pregiudizi, disgraziatamente il mio RayRay è un compiaciuto arrogantello di prima categoria, e in generale penso che nel 2003, in tempi ancora così vicini alla saga, lo “stigma” sui Tassorosso ancora si facesse sentire abbastanza. Tutto questo per dire che spero che nessuno si offenda💛
Vi ringrazio per i commenti lasciati al primo capitolo (tutti gli autori che commentano è un avvenimento che si verifica molto di rado, quindi grazie davvero), sono felice che siate stati soddisfatti della prima rappresentazione dei vostri OC, e ovviamente anche per le tempestive risposte alle domande. Questa volta non ne ho nessuna, ma in compenso vi allego qui sotto l’orario delle lezioni degli studentelli; non credo vi sarà di qualche particolare utilità, ma visto quanto tempo ho perso per prepararlo e quante soavi parole ho pronunciato dovendo preoccuparmi di non sovrapporre le varie materie tra gli orari del VI e del VII anno ho deciso che quantomeno valeva la pena condividerlo. Tra l’altro, non credo di averlo specificato prima di questo momento, ma come potete appurare dall’orario gli studenti non saranno divisi per anno quando seguiranno i corsi nuovi; inoltre, penso che nel prossimo capitolo allegherò una tabella riassuntiva in merito a chi seguirà cosa, tanto per sperare di alleviarvi la confusione🤍 So che i personaggi sono tanti questa volta, spero che possiate riuscire ad associare in fretta nomi, volti e Case.


ORARIO VII ANNO
LUNEDI’ MARTEDI’ MERCOLEDI’ GIOVEDI’ VENERDI’
8.30-9.30 Storia magica europea Pozioni Botanica orientale Storia della magia Babbanologia
9.45-10.45 Divinazione Magia Oscura Medimagia Erbologia Pozioni
11.00-12.00 Incantesimi Difesa contro le arti oscure Divinazione Incantesimi Botanica orientale
14.00-15.00 Antiche Rune Aritmanzia Antiche Rune Magia Oscura Erbologia
15.00-16.00 Occlumanzia/
Legilimanzia
Creature Magiche Babbanologia Aritmanzia Trasfigurazione
16.30-17.30 Trasfigurazione Storia della magia Storia magica europea Creature Magiche Difesa contro le arti oscure
17.45-18.45 Medimagia / / / Occlumanzia/
Legilimanzia
Astronomia: martedì e giovedì alle 21.30

ORARIO VI ANNO
LUNEDI’ MARTEDI’ MERCOLEDI’ GIOVEDI’ VENERDI’
8.30-9.30 Storia magica europea Creature Magiche Botanica orientale Babbanologia Storia della magia
9.45-10.45 Difesa contro le arti oscure Magia Oscura Medimagia Incantesimi Creature Magiche
11.00-12.00 Aritmanzia Divinazione Difesa contro le arti oscure Aritmanzia Botanica orientale
14.00-15.00 Trasfigurazione Erbologia Trasfigurazione Magia Oscura Incantesimi
15.00-16.00 Occlumanzia/
Legilimanzia
Pozioni Storia della magia Erbologia Antiche Rune
16.30-17.30 Antiche Rune Babbanologia Storia magica europea Pozioni Divinazione
17.45-18.45 Medimagia / / / Occlumanzia/
Legilimanzia
Astronomia: lunedì e mercoledì 21.30


A presto spero e buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***



Capitolo III
 
 
 
Lunedì 8 settembre


 
 
Con un battito d’ali il falco si lasciò trasportare in quota prima di interrompere il volo battuto planando per qualche metro disegnando una curva, librandosi ad una ventina di metri dalla fiancata del castello ancora quasi del tutto dormiente mentre i primi timidi raggi di sole facevano capolino dalla parete montuosa che si stagliava in lontananza.
Già in piedi e fuori dal suo alloggio nonostante fosse ancora molto presto Minerva McGranitt si trovava in cima alla Torre di Astronomia, una lunga veste color smeraldo addosso e una tazza di tè nero fumante stretta tra le dita lunghe, affusolate e irrimediabilmente solcate dai segni dell’età. Anziché godersi il panorama offerto dalla più alta tra le torri del castello Minerva stava osservando il falco pellegrino che libratosi in volo stava sorvolando le antiche mura stagliandosi contro il cielo plumbeo, muovendosi rapido e leggero con lievi battiti d’ali. Mentre insegnanti e studenti iniziavano a destarsi dal sonno e le cucine venivano messe in funzione in vista dell’imminente colazione Minerva stava aspettando pazientemente che il falco portasse a termine il suo volo in uno degli angoli di Hogwarts che da qualche anno meno frequentava volentieri in assoluto. A dirla tutta, rifletté l’anziana strega aggrottando leggermente la fronte rugosa mentre il falco iniziava la sua rapida picchiata, non ricordava nemmeno a quando risalisse l’ultima occasione in cui si era convinta a raggiungere la Torre di Astronomia, e le ragioni di certo non avevano nulla a che vedere con la sua schiena indolenzita o con tutti i gradini che era necessario salire per raggiungere il più alto punto del castello.
Il falco nel frattempo arrestò la sua rapidissima discesa con un paio di battiti delle sottili ali bluastre, insinuandosi all’interno della torre attraverso una delle ampie aperture e puntando artigli e coda appuntita verso il pavimento di pietra per frenare la discesa. Per una breve frazione di secondo Minerva, immobile al centro della torre, ebbe l’impressione che l’animale le si sarebbe abbattuto contro, ma dove un istante prima c’era il falco all’improvviso le si stagliò davanti la sagoma alta di un uomo vestito di nero.
“Buongiorno Professoressa. Per un terribile momento vedendola ammetto di aver pensato che fosse venuta a mettermi in punizione.” Keith mostrò alla Preside di Hogwarts un lieve accenno di sorriso imbarazzato levando gli angoli delle labbra verso l’alto mentre si spolverava distrattamente la spalla sinistra del soprabito, passandosi poi una mano guantata tra i capelli scuri ondulati per assicurarsi di non aver perso qualche piuma mentre Minerva ricambiava impassibile il suo sguardo inarcando un sopracciglio:
“Curioso da parte sua non ricordarsi di non essere più uno studente. Forse si sente ancora colpevole per qualcosa. Magari una punizione che non ha mai scontato?”
“Sono tante le cose per cui avrei potuto immaginare di meritare una punizione quando studiavo qui… Se ne fossi stato in grado probabilmente sarei uscito dalla mia Sala Comune per volare di notte qui attorno un’infinità di volte.” Nonostante sapesse perfettamente che non si trattasse di un esempio di buona educazione Keith si fece scivolare le mani all’interno delle tasche del soprabito scuro mentre si esibiva in una lieve stretta di spalle, accentuando il sorriso che gli aveva allargato le labbra mentre la Preside ruotava leggermente il busto in direzione dell’uscita della Torre in un muto invito a seguirla:
“Ieri l’ho intravista volare dalla mia finestra, e anche prima, quando mi sono svegliata. Ricordo quando Albus venne a dirmi, un mattino, che il registro era stato aggiornato con la firma di un nostro ex studente molto incline a mettersi nei guai… Sembrava divertito, io personalmente ringraziai che non fosse riuscito a padroneggiare l’incantesimo quando ancora studiava qui, o sarebbe riuscito a volare via sfuggendo alle punizioni.”
Minerva attese che Keith la raggiungesse per incamminarsi verso le scale che li avrebbero condotti al di fuori della torre, lasciandosi alle spalle tutti i ricordi spiacevoli mentre l’Auror reclinava leggermente il capo per guardarla dall’alto in basso con aria divertita:
“Professoressa, sappiamo entrambi che chiunque davanti a lei sarebbe troppo impaurito persino per cercare di fuggire. Ma ammetto di aver desiderato di poter sorvolare in volo questi tetti moltissime volte da quando mi sono trasformato per la prima volta.”
“Beh, mi devo congratulare. Non sono molti i miei studenti che sono diventati Animagi e ancora meno numerosi sono quelli che lo sono diventati legalmente, è bello pensare di aver trasmesso qualcosa di così concreto.”
“Quando ho iniziato il processo stavo già frequentando l’Accademia, anche se ero un ragazzino non ero così stupido da pensare di poter diventare Animagus illegalmente e un Auror al tempo stesso, mi avrebbero scoperto in dieci minuti.”
“E sua nonna l’avrebbe uccisa.”, aggiunse Minerva annuendo con un lieve cenno del capo mentre accettava il braccio che Keith le porgeva per iniziare a scendere le scale.
“E mia nonna mi avrebbe ucciso, sì. Ieri mi è arrivata una sua lettera e mi ha chiesto di salutarla da parte sua.”
“Ricambi. Oggi c’è la sua prima lezione, Whiteoak. Non mi deluda, so di aver fatto bene a riporre molta fiducia in lei, e non insegni agli studenti le stramberie che metteva in pratica da ragazzo!”
Lo sguardo tagliente nelle iridi smeraldine di Minerva McGranitt sarebbe stato più che sufficiente a persuaderlo in ogni caso, ma Keith sapeva anche fin troppo bene che se fosse caduto preda di vecchie abitudini lasciandosi sfuggire, ad esempio, del passaggio segreto che conduceva alla cantina di Mielandia la Preside non avrebbe esitato a contattare sua nonna e a chiederle di intervenire personalmente per fargli una bella lavata di capo.
Keith sapeva anche fin troppo bene che ad attenderlo quel giorno ci sarebbe stata la sua primissima lezione, motivo che l’aveva indotto a dormire ancor meno del solito, ad alzarsi tanto presto e a cercare di distendere la tensione sorvolando i tetti e le guglie del castello. C’erano moltissime persone che commettendo un errore avrebbe potuto deludere, a partire dalla donna che gli aveva offerto l’incarico fino alla sua famiglia e a tutti coloro che aveva lasciato al Dipartimento degli Auror. In parte sentiva che fallendo con quei ragazzi avrebbe potuto deludere persino i colleghi che da cinque anni avevano una targa commemorativa appesa nel corridoio centrale del Quartier Generale, e forse quello era il timore che più lo inquietava in assoluto: aveva deciso di lasciare per un intero anno il suo lavoro e i suoi colleghi alle prese con un mondo che ancora si stava rimettendo in sesto, e non voleva ritornare con la consapevolezza di averlo fatto inutilmente.

 
divisorio
 

Ad una settimana esatta dal suo arrivo ad Hogwarts e dall’inizio dell’anno scolastico Claudia si considerava ormai parzialmente abituata alla sua nuova vita, al castello che sapeva essere accogliente quanto pieno di angoli freddi e bui, alle frequenti piogge, all’allegro brusio che animava la Sala Grande ad ogni pasto e al quotidiano planare dei gufi postini che ogni mattina facevano cadere lettere e pacchi sulle cinque tavole imbandite.
Aveva iniziato il suo secondo lunedì ad Hogwarts raggiungendo la Sala Grande per prima rispetto a buona parte dei suoi colleghi, inclusi i quattro che, come lei, quella settimana avrebbero inaugurato i rispettivi corsi. Consapevole di essere vicina alla prima lezione della sua intera vita Claudia aveva sfilato in mezzo ai tavoli di Tassorosso e Corvonero cercando di dissimulare il proprio imbarazzo e di ignorare gli sguardi che il suo passaggio aveva attirato, andando infine a sedersi sulla prima sedia rimasta libera accanto alla professoressa di Astronomia. Stava distrattamente imburrando una fetta di pane tostato, troppo presa dall’agitazione per prestare caso a tutto ciò che la circondava, quando l’udire il suono di una voce inaspettata l’aveva colta di sorpresa:
“Buongiorno! Come va questa mattina, sei nervosa?”
L’americana aveva smesso di spalmare burro sullo stesso punto per la terza volta e aveva levato il capo in direzione della voce finendo con l’incontrare un paio di sorridenti occhi azzurri e una mano impegnata a porgerle qualcosa: un piccolo mazzo di narcisi legati insieme da uno spago di corda.
“Ciao Declan. Un po’ sì, ho paura di fare una figuraccia... Sono per me?”
Le labbra di Claudia si distesero in un sorriso teso mentre la strega accennava ai fiori bianchi e gialli che il collega le stava porgendo, guardandolo annuire prima di prendergli delicatamente il mazzo dalle mani. Mentre Declan prendeva posto accanto a lei Claudia, dimenticata la colazione, prese ad accarezzare dolcemente i petali delicati vagando con la mente tra tutti i possibili scenari – per la maggior parte catastrofici – che la sua immaginazione aveva ideato, sentendosi un fascio di nervi mentre il collega si riempiva una tazza di tè nero.
“Ho pensato che a te e a Marjory potesse servire un po’ di incoraggiamento. Non essere nervosa, salvi la vita della gente per lavoro, che vuoi che siano degli adolescenti in confronto?”
“Non fingere, sai quanto me quanto tremendi possano essere gli adolescenti! Ho pensato molto a che insegnante voglio essere e direi che quella severa e spaventosa non fa per me, credo che cercherò di piacergli con la gentilezza. Spero solo che non se ne approfittino.” Claudia si mordicchiò istintivamente il labbro inferiore, improvvisamente non del tutto certa di aver fatto la scelta migliore accettando un incarico che non era sicura di essere in grado di svolgere nel miglior modo possibile. Declan aggiunse un po’ di latte al suo tè prima di tornare a sorriderle, quasi leggendole nel pensiero:
“Non preoccuparti, in caso chiamami, li sistemo a travasare piante velenose e poi gli passa la voglia. Marjory come se la passa, non siete scese insieme?”
“Credo che questa mattina le servisse più tempo del solito per essere pronta… poverina, la sua è la prima lezione della giornata. Non la invidio affatto.”
L’americana si sistemò i fiori in grembo scuotendo debolmente il capo e sollevò la sua tazza per imitare Declan sorseggiando un po’ di tè caldo ripensando a quando, quel mattino, Marjory avesse bussato alla sua porta in pigiama, con i bigodini in testa, una maschera idratante spalmata sul viso e degli abiti in mano per chiederle nervosamente se secondo lei andassero bene per la sua prima lezione.
“Dici? Non ne sono così sicuro, che lei sia meno fortunata, la tua è l’ultima, resterai con l’ansia tutto il giorno.”
Forse Declan non aveva poi tutti i torti, e all’improvviso l’idea di trascorrere buona parte della giornata crogiolandosi nel nervosismo investì la strega atterrendola non poco. La sua mimica facciale dovette riflettere il suo nuovo stato d’animo, perché Declan si pentì immediatamente di aver parlato e tornò a posare la tazzina sul piatto abbinato gettandole un’occhiata sinceramente dispiaciuta:
“Scusa, fingi che non l’abbia detto. Se vuoi posso farti compagnia, così magari ti distrai un po'... Oh, eccola qui! Come andiamo?”
La sera prima Marjory aveva seriamente preso in considerazione l’idea di montare sull’Espresso per Hogwarts e di tornarsene a Londra, e più la prima campanella della giornata si avvicinava più si pentiva di non aver assecondato l’impulso. La strega aveva varcato la soglia della Sala Grande con leggero ritardo rispetto alla settimana precedente e aveva sfilato in mezzo ai tavoli camminando a passo svelto, ignorando gli sguardi – in parte incuriositi, in parte ammirati da parte dei ragazzi – degli studenti per raggiungere il più rapidamente possibile il tavolo degli insegnanti, in particolare Declan e Claudia. Si era fermata davanti a loro stringendo nervosamente il manico della borsa a cartella di cuoio che aveva portato con sé da casa appositamente per le lezioni, astenendosi dal ricambiare, per una volta, il sorriso allegro e contagioso che Declan le rivolse:
Da schifo, sto per vomitare, non credo nemmeno di voler mangiare. Come sto? Sembro ridicola? Mi vestivo così anche quando lavoravo in biblioteca, credo che vada bene. No?” L’ex Tassorosso parlò allargando leggermente le braccia e sentendosi sinceramente grata della temporanea assenza di Raymond Aldridge, che aveva la netta sensazione non fosse un grande ammiratore del suo stile personale fin dal primo momento in cui avevano fatto la reciproca conoscenza. Claudia invece le rivolse un accenno di sorriso incoraggiante, annuendo mentre i suoi occhi azzurri accarezzavano dolcemente la silhouette dell’amica e i suoi vestiti:
“Stai molto bene e penso che sia molto adatto, non ti preoccupare.”
“Sì, l’importante è che tu non ti vesta troppo bene, o addio attenzione generale. Anche se potrebbe essere una buona strategia in caso un giorno arrivassi in aula impreparata, ce l’hai un tubino in valigia?”
Mentre Marjory raggirava il tavolo per andare a sederglisi accanto Declan la guardò sfoderando un sorriso velatamente malizioso che gli garantì un lieve ceffone sul braccio non appena la collega l’ebbe raggiunto, dando vita ad una risata divertita mentre sentiva l’anglo-francese sbuffare e sedersi asserendo che mai e poi mai avrebbe indossato un vestito per fare lezione.
Mentre Declan diceva qualcosa a proposito dei tubini e di come probabilmente a lui non avrebbero donato tanto quanto alla francese Claudia tornò a concentrarsi sull’ingresso della Sala Grande e in particolare su Keith, che aveva appena varcato la soglia insieme alla Preside. I due stavano parlando e l’Auror non sembrò accorgersi dei numerosi sguardi sognanti generati dal suo passaggio, mentre al contrario la Preside non tardò a scoccare occhiate torve e piuttosto eloquenti alle giovanissime dirette interessate.
Di certo, rifletté brevemente Claudia guardando il bizzarro duo avanzare verso il tavolo degli insegnanti, a lui non sarebbe servito indossare un tubino per distogliere l’attenzione generale dall’argomento delle lezioni.
“Buongiorno Keith, pronto a calarti nella parte dell’affascinante professore? Ti sei fatto dare qualche consiglio dalla nostra eccelsa Preside? La trovo bene oggi Professoressa, che bel cappello!”
Quando Keith e Minerva furono abbastanza vicini al tavolo Declan si rivolse ad entrambi con un largo sorriso divertito, in particolar modo alla Preside. Marjory si affrettò a sorseggiare un po’ di tè per nascondere parzialmente il viso alla vista mentre gli occhi verdi dell’anziana strega indugiavano severi su Declan, scoccando al suo ex studente lo stesso sguardo esplicito che nel corso della settimana passata Claudia le aveva visto rivolgere a più di un ragazzo:
“L’avviso che non è affatto divertente, DeLoughrey. E si levi quel sorriso sfrontato se non vuole che la usi come cavia per esempi di Trasfigurazione umana.”
“Lo diceva sempre anche quando ero studente e non l’ha mai fatto... Non è che in fondo mi trova divertente e non vuole ammetterlo?”
Mentre la Preside indugiava di fronte al tavolo Keith si allontanò silenziosamente per andare ad occupare la sedia rimasta libera accanto a Marjory, rivolgendole un lieve accenno di sorriso che la collega ricambiò solo con un cenno cupo. Declan invece continuò a sorridere a quella che un tempo era stata la Direttrice della sua Casa, sbattendo amabilmente le folte ciglia chiare mentre Claudia continuava a fare colazione in silenzio stando attenda a non perdersi nemmeno una parola di quello scambio:
“Allora la invito a riflettere in merito a come il suo atteggiamento non sia molto cambiato rispetto a quindici anni fa. Io fossi in lei mi preoccuparei.” Probabilmente non lo aveva rimproverato a sufficienza quando era ragazzo, si disse Minerva prima di voltarsi per dirigersi impettita verso il suo posto al centro del tavolo facendo il giro opposto, ma l’ex studente richiamò la sua attenzione sfilando un fiore dal mazzo di narcisi che aveva portato per Marjory:
“Ecco, tenga… Un narciso per lei. Rappresenta sicurezza e speranza per il futuro.”
Il botanico si allungò leggermente sul tavolo per farsi il più vicino possibile alla Preside, allargando il proprio sorriso sornione quando vide la donna voltarsi, adocchiare il fiore e perdere la maschera di austera freddezza portata fino a quel momento. Minerva sgranò quasi inorridita gli occhi verdi, dopodiché si aggiustò stizzita gli occhiali sul naso e gli diede senza remore dello sfrontato senza vergogna prima di allontanarsi impettita.
“Le mie speranze sono molto magre…” Mormorò Marjory guardando cupa le sue uova accompagnate da pane tostato mentre Claudia cercava di ridacchiare in maniera il più discreta possibile, senza essere vista dalla Preside.
“Non dire così... Gli piacerai di sicuro. Sei molto carina, comunque.” Keith appoggiò i gomiti sul tavolo sorridendo a Marjory con fare incoraggiante e la strega rispose con uno sguardo pieno di gratitudine, voltandosi verso Declan quando il Grifondoro si esibì in un esagerato sospiro affranto e allungò i fiori verso di lei e verso l’Auror con un gesto melodrammatico:
“Pare che i miei tentativi di galanteria siano stati brutalmente rifiutati... Tieni Keith, un fiore per te. E questi sono per te, bellissima collega.”
“Che dirà Raymond quando capirà di essere l’unico senza dono?”, domandò Keith accennando un sorriso mentre Marjory ammirava felice i fiori – poche cose erano in grado di metterla di buon umore quanto dei teneri coniglietti, una crostata appena sfornata o dei fiori –  e lui s’infilava lo stelo del fiore nella tasca interna della lunga giacca nera. Declan però si strinse nelle spalle, liquidando il discorso con un noncurante cenno della mano:
“Quando sarà ora della sua prima lezione gli preparerò una coroncina, così non si sentirà da meno.”
 

Sawyer Rhodes varcò la soglia della Sala Grande già considerevolmente affollata finendo di allacciarsi il nodo della cravatta blu e nera e facendo vagare lo sguardo sulla tavolata della sua Casa alla ricerca di una familiare chioma di biondi ricci. Quando gli occhi azzurri schermati dalle lenti degli occhiali indugiarono sull’oggetto della sua ricerca Sawyer accennò un sorriso sollevando gli angoli delle labbra, dirigendosi verso Phil camminando tra il tavolo dei Corvonero e quello dei Serpeverde. Ricambiati tutti i saluti che ricevette lungo il tragitto Sawyer indugiò accanto al posto occupato dall’amico prima di sedersi, scoccando una rapida occhiata in direzione di Cornelia Lockwood e di Lena Liubimova, che spesso lasciava il tavolo della sua Casa per mangiare o anche semplicemente chiacchierare con l’amica, prima di rivolgersi direttamente a Phil:
“Buongiorno. Pronto per la nostra lezione di storia?”
Come da consuetudine Phil aveva davanti una ciotola piena di latte e cereali al miele e teneva un libro aperto in mano, ma si concesse di interrompere brevemente la lettura per rivolgersi all’amico con un’occhiata pigra e una lieve scrollata di spalle:
“Sono curioso. La materia di per sé mi interessa e forse riusciremo ad avere delle lezioni di storia decenti finalmente, non sarebbe male.”
“Sì, a volte mi chiedo come sarebbe avere un insegnante diverso da Rüf… interessante, oltre che dotato di corporeità. È anche la prima volta in cui facciamo lezione insieme, sarà divertente.”
Il sorriso divertito si allargò sulle labbra di Sawyer mentre il ragazzo si versava del caffè bollente nella tazza, allungandosi poi verso il vassoio del bacon e delle uova per servirsi il piatto mentre Phil, accanto a lui, tornava a concentrarsi sul suo saggio sulle rune emettendo un lieve sbuffo:
“Io spero solo che il corso non si riempia di deficienti, o di quelle oche che ti vengono dietro…”
Il Corvonero aveva appurato l’inesistenza di una lista pubblica dei nomi di coloro che avevano deciso di iscriversi ai vari corsi introdotti quell’anno con enorme disappunto: ciascuno di loro aveva semplicemente dovuto consegnare un modulo al Direttore della rispettiva Casa, nel caso suo e di Sawyer a Vitius, e nessuna lista era stata affissa sulla bacheca del Salone d’Ingresso. Sawyer non se n’era curato per niente, anzi quando aveva sentito l’amico farglielo notare gli aveva chiesto per quale motivo gli importasse tanto conoscere in anticipo l’identità e il numero dei loro futuri compagni di classe, ma Phil non si trovava affatto d’accordo con lui: avere davanti un elenco gli avrebbe consentito di appurare in anticipo la quantità dei cretini con cui avrebbe potenzialmente condiviso il banco. E avrebbe anche potuto prepararsi psicologicamente.
Di sicuro con la sua fortuna che si ritrovava avrebbe avuto Margot Campbell, con i suoi calzini a fiori e le mollette per capelli colorate, seduta davanti ad ogni corso.
“Tranquillo Phil, non essere geloso, preferirò comunque te a loro per decidere dove sedermi.”
Dopo aver colpito l’amico con una gomitata Phil tornò a concentrarsi sui suoi cereali con una lieve smorfia, tremando alla sola idea di non riuscire a seguire una lezione per colpa delle moine che gran parte delle compagne di Casa erano solite rivolgere al suo amico. In fin dei conti era forse una fortuna che nessuno avesse appeso una lista di pubblico dominio, rifletté infine il Corvonero mentre una ragazza del suo stesso anno seduta sulla panca di fronte si rivolgeva a Sawyer chiedendogli quali corsi avesse deciso di seguire battendo le ciglia ad una velocità che gli parve innaturale: di certo adocchiando il nome del suo amico tutte le suddette ragazze sarebbero corse ad iscriversi alle loro stesse lezioni finendogli tra i piedi.
 

“Che cosa farai adesso alla prima ora, visto che ce l’hai libera?”
Lena aveva già vuotato la tazza di tè bianco e si stava aggiustando l’artiglio dorato decorato con piccole perle con cui aveva fissato i capelli sulla nuca quando Cornelia, l’ultimo numero della Gazzetta del Profeta aperto davanti e una fetta di pane tostato in mano, smise di fissare disgustata Emily Waltham sbavare senza ritegno per Sawyer Rhodes per rivolgersi all’amica. In realtà anziché pensare alle lezioni e alla sua imminente ora libera Lena stava fissando pensosa la tazza vuota riflettendo su quanto fosse un peccato che ad Hogwarts non servissero il tè Ivan(1), di gran lunga il suo preferito, ma all’udire la voce dell’amica si ridestò e si affrettò a puntare su di lei gli occhi scuri sfoderando un sorriso allegro:
“Mi sono offerta di andare ad aiutare Madama Pince in Biblioteca. In realtà mi dispiace non essermi iscritta a storia, ma di seguire tutti i corsi nuovi non me la sono sentita considerando che non abbiamo idea di come siano gli insegnanti e quanto impegnativi saranno.”
La russa sistemò le braccia sottili sul bordo del tavolo gettando istintivamente un’occhiata in direzione del tavolo degli insegnanti e in particolar modo di Marjory Leblanc, momentaneamente impegnata in una conversazione con Declan DeLoughrey. Madama Pince le aveva detto che anni addietro anche lei era stata solita trascorrere moltissimo tempo in Biblioteca, spesso ad aiutare oltre che per studiare, e che aveva speso gli ultimi anni proprio lavorando nella Biblioteca Nazionale austriaca. Queste informazioni e l’aspetto gentile e adorabile della strega avevano destato nella Serpeverde una certa curiosità, ma dopo un paio di interi giorni di riflessione in merito alle materie nuove aveva infine deciso, a malincuore, di rinunciare proprio a storia: in fin dei conti aveva studiato la storia magica dell’Est Europa per ben tre anni a Koldovstoretz, mentre per le altre quattro materie non poteva vantare alcuna base nozionistica.
“A vederla lei sembra un angelo, spero che non sia solo una mera illusione e che non si trasformi nell’insegnante più severa della storia non appena varcata la soglia. Come spero che ci insegni qualcosa, a differenza di Rüf… Ad ogni modo ti aggiornerò, sono molto curiosa. Per la materia e per chi mi troverò in aula, a dire il vero.”  Nel pronunciare quelle precise parole gli occhi chiari di Cornelia scivolarono quasi senza il diretto controllo della giovane proprio su un certo compagno di Casa, seduto a poca distanza e impegnato a chiacchierare con un gruppetto del VI anno. Se non altro, rifletté la strega, non era l’unica a sentirsi la colazione risalire lo stomaco a quella vista, non a giudicare dall’espressione schifata impressa sul bel volto di Phil MacMillan.
“Stai pensando a Sawyer e alle sue ammiratrici? In fondo è divertente, e lui è carino, non puoi negarlo.”
A differenza dell’amica Lena parlò sfoggiando un sorriso divertito, per la situazione in sé tanto quanto per la puntuale reazione che Cornelia manifestava in merito e che anche quel mattino non si fece attendere più del dovuto: la Corvonero smise di masticare il pezzo di pane imburrato appena addentato e volse lo sguardo su di lei sgranando come inorridita gli occhi azzurri dietro le lenti degli occhiali dorati:
“Divertente un cacchio Lena, mi fa venire il voltastomaco vedere delle ragazza rendersi così ridicole per le attenzioni di un ragazzo… Come se fosse l’unico bel ragazzo sulla faccia del pianeta, poi! Proprio non capisco.”
“Sì, ma non credo sia solo quello… Cioè, è un bel ragazzo, è chiaro, ma penso sia anche per i suoi modi… Non so, il fatto che sia molto intelligente e soprattutto sempre molto gentile con tutti. O il fatto che sia più grande(2), sai com’è. Però è strano che non abbia la ragazza, con tutto il successo che ha.” Gli occhi scuri di Lena indugiarono brevemente su Sawyer mentre la strega inarcava un sopracciglio, ritrovandosi a chiedersi perplessa come fosse possibile che il Corvonero non avesse una fidanzata mentre Cornelia, al contrario, sbuffava piano:
“Magari l’avesse, forse allora si calmerebbero. E a tal proposito, ho paura di andare a lezione di Whiteoak dopo, si scanneranno per sedersi in prima fila.”
“Nutri una tale scarsa fiducia nelle nostre compagne?”
“E tu studi troppo e non ti guardi attorno, ho idea.”

 
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“Proprio una gran fortuna che abbiano assegnato a quasi tutti i corsi nuovi aule al secondo piano,” Wendy spalancò la pesante porta di legno cigolante con un lieve sbuffo infastidito ad accompagnare il gesto deciso, consapevole di essere in anticipo e che difficilmente lei e Margot avrebbero trovato l’insegnante ad accoglierle “il bagno più vicino è quello infestato da quel fantasma piagnoso che mi fa venire voglia di infilzarmi una forchetta da dessert nell’occhio!”
“L’idea di usarlo non entusiasma nemmeno me, vorrà dire che andremo altrove.” Margot si strinse debolmente nelle spalle prima di indicare all’amica una coppia di banchi vuoti in terza fila, raggiungendoli dopo che Wendy ebbe assentito con un lieve cenno del capo. Parte dei loro compagni si trovava ancora nella Sala Grande e l’aula era semi-vuota, ma ciò non impedì ai grandi occhi cerulei della scozzese di indugiare su due banchi già occupati in seconda fila, fortunatamente nella colonna parallela rispetto a quella dove lei e Wendy stavano prendendo posto: il profilo di Phil MacMillan, impegnato a conversare con Sawyer Rhodes, le si stagliò davanti come la più terribile delle visioni. Fortunatamente Margot si era preventivamente preparata psicologicamente, certa che il Corvonero si sarebbe iscritto al corso esattamente come avevano fatto lei e Wendy, e si sforzò di non dar troppo peso alla sua presenza mentre tornava a rivolgersi all’amica.
“Sarebbe bello frequentare finalmente un corso di storia decente, ho grandi speranze.”, asserì con un sorriso limpido mentre guardava Wendy aprire lo zaino color crema per iniziare ad allineare astuccio e quaderno sul banco, tutto rigorosamente in tinta – come gran parte dei beni posseduti dalla strega –. La bionda annuì mentre si legava i lunghi capelli ondulati e lucenti in una coda alta usando un elastico dello stesso colore, ultimando il suo rituale pre-lezioni pulendosi le lenti degli occhiali dorati con un panno e infine frugando all’interno dell’astuccio alla ricerca del suo burrocacao alla vaniglia:
“Di sicuro il fatto che sia una donna viva e vegeta e non un fantasma senza dubbio fa ben sperare.”
 

Essendo l’amica diretta in Biblioteca e lei a lezione Cornelia e Lena si erano salutate sulle gradinate davanti all’ingresso del secondo piano, e nell’esatto momento in cui aveva aperto la porta dell’aula per varcarne la soglia la Corvonero si era amaramente pentita di non aver proposto alla Serpeverde una scommessa che di certo avrebbe potuto fruttarle non poco. Almeno un rullino e un paio di libri nuovi, forse quella nuova edizione del Ritratto di Dorian Gray che tanto le piaceva, appurò con amara delusione e rassegnazione al tempo stesso la Corvonero quando attraverso le lenti degli occhiali le sue iridi celesti si posarono sui banchi occupati da due suoi compagni di Casa e su quelli vicini, quasi tutti impossessati da studentesse del suo anno o del VI.
Istintivamente Cornelia alzò gli occhi al cielo – secondo suo fratello lo faceva troppo spesso, ma che colpa poteva averne lei se il mondo pullulava di cretini? – mentre avanzava per lasciarsi richiudere l’anta alle spalle, cercando con lo sguardo un posto dove sedersi che fosse a debita distanza dal fanclub di Sawyer Rhodes. Aveva appena individuato due banchi rimasti liberi in terzultima fila quando Sawyer smise di parlare con la ragazza dai capelli neri seduta dietro di lui per indirizzare un’occhiata proprio all’ingresso dell’aula, vedendola. Fu con una certa dose di sconcerto che Cornelia vide il ragazzo rivolgerle un sorriso, portandola ad aggrottare scettica le sopracciglia – che aveva Rhodes da sorridere di lunedì mattina? E a lei per giunta? O forse la gente bella e perfetta come lui era immune dal dramma del lunedì mattina? – mentre una dietro l’altra tutte le ragazze che gli sedevano attorno, forse chiedendosi chi avesse distolto da loro l’attenzione del Corvonero, volgevano a loro volta gli sguardi su di lei.
Non volendo saperne di inaugurare la settimana diventando un bersaglio ambulante per fatture Cornelia distolse lo sguardo, simulò la massima nonchalance e con espressione neutra e indifferente puntò il banco già precedentemente addochiato, lasciandosi scivolare con un sospiro sulla sedia vuota mentre un paio di Serpeverde ridacchiavano alle sue spalle:
“Stai attenta a cosa mangi a pranzo, qualcuno ti potrebbe versare un po’ di Pozione Drizzacapelli nel succo di zucca.”
Aster smise di pregare Ian di cedergli la sua figurina di Merlino delle Cioccorane per ridacchiare guardando deliziato il gruppo di ragazze distogliere l’attenzione da Cornelia per tornare a rivolgersi a Sawyer. Non condividendo affatto la sua aria divertita Cornelia ruotò sulla sedia per scoccare al Serpeverde un’occhiata torva, intimandogli di abbassare la voce per non suggerire strane idee a nessuno mentre Phil, qualche metro più avanti, cercava di ignorare le moine rivolte al suo amico sforzandosi di leggere il suo libro estraniandosi dall’aula: forse così facendo avrebbe tenuto la sua mente lontana dalla lista di pozioni velenose studiate l’anno precedente.
“In realtà è una fortuna che a lezione ci sia Sawyer,” continuò Aster con tono sostenuto sollevando entrambe le braccia per stiracchiarsi in tutta calma, “altrimenti in sua assenza sarei io la vittima dei loro tormenti.”
“Certo, credici. Hai sviluppato quest’idea dopo aver bevuto caffè agli allucinogeni per colazione, coglione?” Ian ripose nello zaino nero la collezione di figurine rivolgendo un sorrisetto all’amico mentre Cornelia alzava di nuovo gli occhi al cielo, non ancora del tutto certa di aver fatto la scelta giusta sedendosi davanti ai due:
Tormenti, certo… sono sicura che tutti voi sotto sotto disdegnate questo genere di attenzioni.” In fondo i ragazzi della sua età erano tutti dei cretini, Cornelia ne era completamente persuasa, e parlò scoccando ai due un’occhiata eloquente a cui Ian e Aster risposero con due ampi sorrisi smaliziati.
“E cercate di non fare troppo casino per favore, mi sono seduta lontana dal fanclub di Sawyer per seguire la lezione.”
“Saremo dei veri angioletti.”, asserì Ian annuendo con aria solenne mentre Aster lo imitava portandosi una mano all’altezza del cuore:
“Siamo onorati che tu abbia deciso di sederti vicino a noi. In realtà avevo proposto ad Ian di sederci più avanti per vedere meglio la Professoressa, ma mi ha saggiamente fatto notare che così facendo in caso di noia non avremmo potuto giocare a Tris.”
“Perché vi siete iscritti al corso se volete giocare a Tris?!”
“Beh, non è che vogliamo,”, puntualizzò Ian con un tono pacato e una parvenza di serietà che a Cornelia, visto l’oggetto della conversazione, parve quasi surreale,  “ma siamo sempre pronti all’evenienza. Vedi, a volte la noia è tale che siamo proprio costretti a farlo.”
“Puoi giocare anche tu se vuoi. Ehy Cornelia, ci presti gli appunti?”  le labbra di Aster diedero forma ad un largo ed allegro sorriso mentre il Serpeverde si sporgeva leggermente in avanti con il busto e le spalle, verso la Corvonero che invece sbuffò prima di voltarsi e rispondergli con un secco diniego:
“No!”

 
Quando l’orario delle lezioni era stato pubblicato Marjory non aveva appreso di essersi aggiudicata la prima ora del lunedì con grande entusiasmo: esattamente come più volte aveva ripetuto a Claudia nel corso della settimana passata tutti odiavano la prima ora del lunedì, e di conseguenza tutti avrebbero odiato lei e le sue lezioni. In realtà alla collega non era andata meglio con l’ultima lezione della giornata, ma quello era un altro discorso.
In piedi fuori dalla porta chiusa dell’aula Marjory si sistemò un’ultima volta il colletto bianco già perfettamente ripiegato sul gilet rosso tormentando instancabilmente il manico della borsa di pelle marrone stretta nella mano sinistra. Si chiese se i suoi capelli fossero in ordine, specie la frangetta, e si pentì di non aver portato con sé uno specchietto da borsetta prima di scuotere debolmente il capo dandosi mentalmente della cretina e della superficiale: in fin dei conti era lì per insegnare e il suo aspetto non era poi così importante, anche se era qualcosa a cui Marjory dava peso da quando era adolescente.
Dopo aver tratto un ultimo sospiro – mesi prima, quando aveva accettato l’incarico, non avrebbe mai pensato di affrontare con tanto nervosismo la sua prima lezione – l’ex Tassorosso afferrò la fredda maniglia di metallo della porta per spingere l’anta e fare finalmente il suo ingresso nell’aula, stampandosi un lieve sorriso benevolo sulle labbra mentre avanzava camminando in equilibrio su un paio di mocassini di pelle marrone col tacco.
“Buongiorno ragazzi.” Quando Marjory ebbe raggiunto la cattedra la porta si richiuse con un lieve tonfo che echeggiò brevemente tra le pareti di pietra, e mentre posava la borsa sul ripiano del tavolo dando le spalle agli studenti la strega li sentì ricambiare il saluto.
“Mi dispiace molto doverci vedere alla prima ora del lunedì, in effetti mi sorprende che dopo aver visto l’orario vi siate iscritti in più di due.”, asserì mentre ruotava su se stessa rivolgendosi finalmente alla classe e appoggiandosi mollemente alla cattedra, incrociando le caviglie nascoste alla vista dai pantaloni larghi a quadretti marroni e beige mentre faceva indugiare le luminose iridi celesti sulle file di volti che aveva davanti e che ricambiavano il suo sguardo con diversi gradi di curiosità.
“Io posso vederla a qualsiasi ora.”, mormorò Aster prima di ricevere una gomitata da parte di Ian e un colpo secco sull’avambraccio da parte di Cornelia, che lo colpì con la sua penna senza nemmeno ruotare il busto e dare le spalle all’insegnante.
Ahia, che cavolo menate?!”
“Come già sapete mi chiamo Marjory Leblanc e vi prego di non chiamarmi Professoressa, dato che non lo sono… Potete chiamarmi Signorina Leblanc.”
Mentre pronunciava quelle parole Marjory smise di osservare i suoi nuovi studenti per gettare un’occhiata al foglio posato sulla cattedra che conteneva l’elenco degli studenti iscritti al corso, sollevandolo con delicatezza mentre Margot mormorava qualcosa a proposito di quanto le piacessero i suoi pantaloni.
“Quando avevo la vostra età la cosa che odiavo di più al mondo erano gli insegnanti nuovi che chiedevano a ciascuno di presentarsi a turno, quindi vi risparmierò l’imbarazzo di quella tortura e farò l’appello e basta. Prometto che cercherò di imparare i vostri nomi in fretta.”
“Oddio grazie, già mi piace.”, sospirò Wendy sentendosi alleggerire dal sollievo mentre Margot, accanto a lei, annuiva guardando con entusiasmo l’insegnante:
“Del resto è della nostra Casa, era chiaro che sarebbe stata carina! E poi adoro i suoi vestiti.”
“Oh, che peccato, volevo tanto sentire le cose brillanti che avevano da dire le ammiratrici di Sawyer….” Mormorò Ian prima di riuscire a trattenersi mentre si reggeva mollemente il capo con la mano sinistra, il gomito piantato su un angolo del banco e gli occhi chiari puntati sul gruppetto di studentesse in questione. Le labbra di Aster disegnarono un lieve ghigno mentre Marjory iniziava a fare l’appello e Cornelia, davanti a loro, annuiva debolmente prima di mormorare qualcosa a sua volta tenendo le braccia strette al petto:
“Probabilmente si sarebbero messe a fare ruote e salti carpiati per attirare la sua attenzione… O un numero di giocoleria con dei lucidalabbra fruttati.”
Tutti e tre scoppiarono brevemente a ridacchiare, zittendosi non appena scorsero l’insegnante posare lo sguardo su di loro. Cornelia si schiarì la voce e raddrizzò la schiena mettendosi a sedere più composta sulla sedia, mormorando ai due di stare zitti e di non esercitare su di lei la loro cattiva influenza.
 
Un paio di minuti più tardi Marjory aveva finito di fare l’appello, e ripose il foglio sul ripiano della cattedra chiedendosi come e quando sarebbe riuscita a memorizzare tutti quei nomi prima di rivolgersi alla sua platea con un sorriso allegro, l’ansia di poco prima come disciolta:
“Allora. Abbiamo solo un anno accademico a disposizione, quindi inizieremo dall’età contemporanea e dagli effetti che la Rivoluzione Francese ha avuto sulla società magica del tempo… Non possiamo trattare tutto, quindi ci concentreremo sull’Europa meridionale e centrale con un iniziale e ovvio focus sulla Francia.”
Marjory si aspettava di vedere qualcuno iniziare a prendere in mano una penna, ma ben presto si rese conto di come tutti i presenti si stessero limitando a ricambiare il suo sguardo, come inebetiti. Poverini, si disse con una punta di compassione, del resto erano abituati alle lezioni di quel fantasma soporifero.
“Beh, che aspettate? Qui non c’è da dormire, io non mi chiamo Rüf e abbiamo nove mesi e una serie di guerre e rivoluzioni infinite da trattare… Prendete carta e penna, vite vite vite!”
Marjory realizzò con un paio di istanti di ritardo che quasi nessuno dei suoi studenti doveva avere idea di cosa significassero quelle parole, ma fu con un sorriso compiaciuto che la Tassorosso li vide precipitarsi ad aprire quaderni o a srotolare pergamene: evidentemente il suo tono era stato sufficientemente eloquente.
“Che significa quella roba che ha detto?”, mormorò Cornelia mentre frugava all’interno dell’astuccio cercando la sua penna prediletta con le tazzine di tè disegnate sopra rivolgendosi ai due Serpeverde alle sue spalle, aprendo in velocità il quaderno destinato alla brutta copia mentre Aster, dietro di lei, si esibiva in un debole sbuffo:
“È l’elegante modo francese per dire “muovi il culo”.”
 

 
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L’inizio della lezione di Occlumanzia e Legilimanzia era previsto per le 15, ma nonostante avessero raggiunto l’aula in perfetto orario quando Sawyer aprì la porta lui e Phil si ritrovarono a fronteggiare un gran brusio e file e file di banchi e sedie già occupati.
“Te l’avevo detto che dovevamo arrivare prima... Era prevedibile che questo sarebbe stato il corso più seguito di tutti.”, asserì Phil con un lieve sbuffo – la calca e gli ambienti sovraffollati facevano parte della lunga lista di cose che il sedicenne mal sopportava – mentre seguiva l’amico all’interno dell’aula cercando al contempo due posti vicini su cui potersi sedere. Sawyer invece, per nulla preoccupato, distolse lo sguardo dall’interno dell’aula per rivolgergli un sorriso amabile mentre si aggiustava con un gesto pigro la montatura dorata degli occhiali sul naso:
“Ma non mi dire Phil, una settimana di lezioni di Divinazione e già prevedi il futuro! L’hai detto alla Cooman? Penso che tu sia un potenziale prodigio.”
Phil smise di scrutare l’aula – non ne aveva mai vista una tanto grande nel castello, e si chiese se non l’avessero ampliata con la magia in vista della grande affluenza – per tornare a rivolersi all’amico e ricambiare il suo sorriso con un luccichio sarcastico negli occhi chiari:
“Il mio QI è di 135, sono già un prodigio, idiota.”
“In ogni caso hai poco di cui lamentarti,” continuò il più grande mentre seguiva l’amico camminando attraverso le file di banchi già occupati infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni neri della divisa, “la lezione che hai prima di questa è Trasfigurazione e sono sicuro che tu per primo non muori esattamente dalla voglia di uscire prima da una lezione della Preside(3). Esattamente come io non muoio dalla voglia di perdere la fine di una lezione di Antiche Rune.”
“Questo è chiaro Rhodey, ma non impedirmi di lamentarmi fornendo spiegazioni logiche, voglio che le mie lamentele siano fini a loro stesse. Dai, sediamoci qui.”
Se non altro essendo l’aula già considerevolmente piena difficilmente le fastidiose ammiratrici del suo amico avrebbero trovato il modo di ammorbargli l’esistenza anche nel corso di quella lezione, si disse Phil mentre posava il suo zaino su un banco vuoto addossato alla parete di pietra, sedendosi mentre Cornelia e Lena, a loro volta reduci dall’ultima lezione di Antiche Rune, varcavano la soglia dell’aula.
“Porca Priscilla, quanta gente c’è?” Dopo essersi fermata davanti alla soglia Cornelia strabuzzò istintivamente gli occhi azzurri, stupefatta dalla quantità di studenti presente nell’aula nettamente superiore rispetto a quella ravvisata nel corso della prima lezione della giornata.
“Magari è perché è la prima lezione, forse dalla prossima il numero calerà…”, ipotizzò pur senza grande convinzione la Serpeverde inarcando un sopracciglio, sforzandosi di individuare due banchi liberi vicini che lei e l’amica avrebbero potuto occupare mentre Cornelia avanzava scuotendo debolmente il capo e i corti capelli biondi:
“Per una volta dubito che le tue premonizioni si possano avverare… Anche se c’è anche da considerare il Fattore Whiteoak.”
“Ovvero?”
“Ovvero quanta gente è qui per il corso e chi per l’insegnante. Vieni, ho visto due posti vicini rimasti liberi.”
Non c’era da stupirsi che quei due posti nello specifico fossero ancora liberi, osservò Lena un istante dopo, quando i suoi occhi scuri ebbero individuato i banchi che Cornelia le aveva indicato: si trattava di quelli che si trovavano immediatamente davanti a dove si erano seduti due certi Grifondoro del loro anno dalla reputazione non propriamente esemplare. Il fatto, poi, che dietro di loro si fossero seduti nientemeno che due suoi certi compagni di Casa, osservò la Serpeverde un istante dopo senza riuscire a trattenere un accenno di sorriso divertito, di certo aveva contribuito a far sì che quei due banchi fossero rimasti liberi tanto a lungo. 
Autumn, Håkon, Ian e Aster – quando era arrivata ad Hogwarts ed era stata Smistata nella sua stessa Casa Lena aveva riscontrato non poche difficoltà nel realizzare chi fosse quel fantomatico “Aster” di cui tutti parlavano e le ci era voluta un’intera settimana per associare il nomignolo a Clarence Lenglade, ma si era adeguata in fretta e aveva smesso rapidamente a sua volta di chiamare il ragazzo con il suo nome di battesimo – erano impegnati in una partita dall’aria molto accesa di Mini Gobbiglie, i due Grifondoro seduti in modo da dare le spalle alla cattedra e al resto dell’aula e il tabellone portatile aperto sui banchi dei due Serpeverde.
“Ciao Lena, ciao Cornelia.”  Aster salutò le due senza nemmeno distogliere lo sguardo dalla partita in corso, troppo concentrato sulla Gobbiglia che stava per scagliare sul campo da gioco usando la bacchetta. Autumn invece diede le spalle a lui e ad Ian per posare gli occhi nocciola sulla Corvonero e sulla Serpeverde, accennando un sorriso allegro prima di indicare il tabellone con un gesto della mano:
“Ciao ragazze. Volete giocare anche voi?”
Accigliata, mentre si lasciava scivolare la tracolla della borsa dalla spalla per posarla sul banco Cornelia era pronta a declinare la bizzarra offerta, ma Lena la precedette prendendo la parola rivolgendo alla Grifondoro un sorriso lieve e benevolo:
“Mi piacerebbe, ma credo che la lezione inizierà tra poco… Magari la prossima volta, ma grazie.”
Autumn fece spallucce e tornò a concentrarsi sulla partita intimando ad un Håkon sempre più esasperato di impegnarsi per non rischiare di perdere contro i loro acerrimi rivali mentre Lena si metteva a sedere accanto all’amica dando le spalle al bizzarro quartetto e sistemandosi con grazia la gonna nera sulle gambe longilinee. La Serpeverde riuscì quasi a percepire distintamente lo sguardo vagamente perplesso di Cornelia su di sé, e le si rivolse accennando con gli angoli delle labbra sottoli un sorriso divertito che le si estese fino agli occhi:
“Sì, sono un po’ strani, ma li trovo simpatici.”
“Di certo posso ringraziarli se l’anno scorso Corvonero ha vinto la Coppa delle Case, con tutti i punti che fanno puntualmente perdere a Grifondoro e Serpeverde… Temo che nemmeno tutti quelli che prendi tu possano compensare facilmente.” Cornelia aprì la sua borsa per tirare fuori l’occorrente per la lezione e per prendere appunti rivolgendo all’amica un lieve sorriso compiaciuto, per nulla preoccupata che i quattro giocatori di Quidditch alle sue spalle potessero udire le sue parole tanto erano concentrati sulla competizione in corso. Dopo tutti quegli anni ancora non era riuscita a comprendere che tipo di rapporto avessero e se si stessero simpatici a vicenda o meno, si ritrovò a riflettere un attimo dopo aggrottando leggermente le sopracciglia mentre Autumn, dietro di lei, dava ad Ian del “coglione” e lui a lei per tutta risposta della “stracciapalle, e non quelle da Quidditch”.  
“Per te è facile parlare,”, osservò la russa inarcando un sopracciglio e accennando un’espressione di stizza, “voi potete contare su Philip MacMillan e, beh, te. In pratica due degli studenti migliori della scuola nella stessa Casa. Vincete facile. E poi c’è Sawyer, ad alcuni corsi risponde spesso e vi fa prendere un sacco di punti, come ad Antiche Rune.”
“Saremo pur i più intelligenti per un motivo, no?”
Lena stava per replicare quando un improvviso silenzio calò bruscamente sull’aula, portando la Serpeverde a distogliere lo sguardo dall’amica per posarlo istintivamente sull’esponente della Casa di Corvonero che aveva appena varcato la soglia e che si stava chiudendo la pesante porta di legno alle spalle.
Non essendosi accorta della presenza dell’insegnante ed avendo appena eseguito un pessimo lancio ad Autumn sfuggì un’imprecazione che risuonò grave tra le pareti di pietra e che fece sprofondare un tutt’altro che esiguo numero di presenti in basse risatine, Ian, Aster e Håkon in primis una volta che il danese, incuriosito dall’improvviso silenzio e voltatosi, ebbe scorto l’Auror dirigersi verso la cattedra.
Autumn si rimise a sedere dando le spalle ai due Serpeverde e sprofondando al contempo sulla sedia, rossa in viso mentre riponeva in fretta e furia la bacchetta nella tasca interna della veste fissando preoccupata l’insegnante in cerca di un qualche segno di disapprovazione che tuttavia, con sua somma sorpresa, non riuscì a pervenire: nonostante fosse impensabile che potesse non aver udito l’Auror fece finta di nulla e la sua espressione pacata non venne scalfita mentre si sfilava la lunga giacca nera per posarla sullo schienale della sedia.
“Buongiorno.”, esordì Keith con tono calmo mentre raggirava la cattedra, appoggiandosi al ripiano di legno e gettando al contempo un rapido sguardo alle proprie mani fasciate dai guanti color caffè mentre le congiungeva in grembo. Mentre contemplava i guanti di cuoio udì solo distrattamente le voci degli studenti ricambiare il saluto e un istante dopo si affrettò a rialzare il capo e a tornare a rivolgersi ai ragazzi accennando un sorriso con gli angoli delle labbra solleticati dalla barba ispida: la Preside lo aveva avvisato, ma non si era comunque aspettato un’affluenza tanto generosa.
“Mi fa piacere che siate così tanti. Spero di non deludere le vostre aspettative, e se doveste cambiare idea avete un mese per lasciare il corso.”
Mentre parlava Keith chinò lo sguardo sulla cattedra e allungò la mano destra per prendere il rotolo di pergamena che qualcuno, presumibilmente un Elfo, aveva lasciato sul tavolo, inarcando leggermente un sopracciglio quando iniziando a srotolarlo si ritrovò a fronteggiare una lista di nomi ben più lunga delle sue aspettative.
“Mi chiamo Keith, sono un Auror da 9 anni e vi prego di non chiamarmi mai Professore.”
“Ha un accento bellissimo.”, mormorò Isaac prima di riuscire a trattenersi dal suo banco in quarta fila mentre osservava Keith sorvolare la lunga lista di nomi con lo sguardo. L’insegnante vantava anche delle iridi di una particolare sfumatura di azzurro molto scura, ma lo scozzese tenne per sé quella seconda riflessione mentre Wendy, seduta accanto a lui, gli si rivolgeva con un sorriso e un lieve mormorio:
“Cornovaglia.”
“Se qualcuno dei presenti è interessato ad entrare all’Accademia e ha qualche domanda o curiosità può venire a parlare privatamente con me quando vuole. O anche parlare qui. Questi,” Keith sollevò pigramente la mano sinistra mentre Autumn sussurrava ad Håkon qualcosa a proposito del gran numero di gente che di certo avrebbe fatto la fila per parlare con lui privatamente, “dal momento che ve lo state chiedendo, li porto perché una delle mie mani non è propriamente un bel vedere. Non c’è nessun mistero affascinante dietro, e non sono nemmeno germofobico. Spesso li porto entrambi perché ho notato che per qualche motivo vedere entrambe le mani guantate rispetto a solo una stranisce di meno le persone.”
Quattro mani scattarono in aria non appena la sua voce smise di risuonare tra le pareti di pietra, ma anziché cedere la parola ad uno degli studenti Keith si limitò a scuotere brevemente il capo con un movimento appena percettibile:
“Non ve la farò vedere. Quanto al responsabile, non è più tra noi e non vi dirò il nome.”
Nel pieno rispetto delle aspettative dell’Auror le mani si abbassarono rapide com’erano state sollevate, deluse, ma mentre Keith chinava lo sguardo sull’elenco dei nomi per iniziare a fare l’appello una voce maschile dal tono speranzoso si levò da un punto difficile da definire del fondo dell’aula:
“Ci può solo dire se è successo nel ‘98?”
“Sì. Ora facciamo l’appello… In generale vi sconsiglio di saltare le lezioni per andare a bighellonare, conosco tutti i passaggi segreti del castello e vi troverei subito. In quel caso non vi punirò, ma vi porterò dalla Preside. Abbott?”
 
 
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stanza-raymond


Quando un lieve bussare alla porta disturbò la quiete che si era impossessata della stanza Raymond si trovava in piedi davanti ad una delle alte librerie, impegnato a sistemare su una mensola una pila di libri in ordine alfabetico. Tenendo tra le mani  la sua copia rilegata di The Happy Prince and Other Tales(4) Raymond ruotò su se stesso dando le spalle alla libreria che affiancava la finestra per poter rivolgere una breve occhiata in direzione della porta chiusa e abbandonò il libro in cima alla pila rimasta in equilibrio su uno dei due comodini che affiancava il letto per andare ad aprire; attraversò la stanza con poche e ampie falcate e infine strinse il pomello della porta senza premurarsi di interrogare l’inaspettato visitatore in merito alla sua identità, spalancando l’anta.
In un attimo gli si stagliò davanti la silhouette minuta e ormai familiare di una delle sue colleghe, e Raymond guardò un accenno di sorriso distendere gli angoli delle labbra rosee di Marjory mentre la strega sollevava il mento per poter posare i grandi occhi blu sul suo volto:
“Ciao. Mi dispiace disturbarti, ma ho incontrato Declan nel Salone d’Ingresso poco fa… gli ho detto che stavo salendo e mi ha chiesto di controllare se eri qui.”
“Vuole farmi vedere la sua collezione di teiere?”, domandò Raymond abbassando le spalle con tetra rassegnazione prima di riuscire a trattenersi, cogliendo l’improvviso guizzo sorpreso e divertito che per un breve istante animò gli occhi di Marjory prima che la strega, sempre stringendo le mani dietro la schiena e con un sorriso ora un po’ più ampio, scuotesse il capo:
“Non saprei, non ha parlato di teiere. Ha detto che ti aspetta nelle serre, vuole farti vedere il suo ufficio. È un gufo aquila quello?!”
Raymond non aveva mai smesso di stringere il pomello della porta, ma Marjory riuscì ugualmente a scorgere oltre il suo braccio l’elegante voliera che una settimana prima lo Spezzaincantesimi aveva sistemato davanti all’ampia finestra della sua stanza in modo che Mary potesse osservare il panorama. Prima che potesse dar voce ad una conferma Raymond si vide costretto a fare un passo indietro spostandosi di lato quando la strega avanzò per varcare la soglia della stanza, superandolo per avvicinarsi alla voliera mentre lo Spezzaincantesimi la seguiva con lo sguardo, accigliato e colto di sorpresa. Non era sua abitudine entrare negli alloggi altrui senza invito, rifletté con una lieve punta di fastidio il mago mentre guardava la schiena di Marjory fermarsi vicino alla voliera e al bellissimo esemplare di gufo che vi dormiva all’interno, studiandolo con vivo interesse.
Dapprima indeciso sul da farsi Raymond stabilì infine di non chiudere la porta per evitare che la collega potesse accogliere il gesto come un invito a rimanere, limitandosi ad allontanarsi dalla soglia a sua volta mentre si schiariva debolmente:
“Sì. È una femmina.”
“Oh, lo so. Si vede, sono molto più grandi dei maschi. Che apertura alare ha?”
Marjory distolse brevemente lo sguardo dal piumaggio bruno e striato del magnifico animale per voltarsi e tornare a rivolgersi direttamente a Raymond, guardando il collega con una curiosità e un vivo entusiasmo che in parte lo sorpresero: era abituato a ricevere complimenti per Mary, ma di rado i suoi interlocutori si dilungavano porgendogli delle domande specifiche.
“1,90.”
A Raymond piaceva ripetere come lui e il rapace fossero stati destinati a stare insieme visto che per una bizzarra coincidenza l’apertura alare del gufo corrispondeva perfettamente alla sua altezza, ma questo a Marjory non lo disse mentre guardava la collega tornare a dargli le spalle inarcando leggermente un sopracciglio, stranito da quel singolare e particolare interesse che la strega sembrava nutrire nei confronti del suo animale da compagnia.
“È davvero bellissima, erano anni che non ne vedevo uno da vicino… Spero di vederla volare uno di questi giorni, sono magnifici quando dispiegano le ali, soprattutto con una metratura simile.” La voce di Marjory risuonò pensosa e distratta tra le pareti color mogano della stanza, quasi non si stesse strettamente rivolgendo al collega mentre scrutava i caratteristici ciuffi di piume erettili che sormontavano i grandi occhi chiusi del gufo. Raymond invece non rispose, fermandosi davanti alla sponda di metallo del letto addossato alla parete stringendo le braccia al petto e scrutando con leggera curiosità la nuca della strega finchè quella non sembrò ricordarsi della sua presenza nella stanza e si voltò, rivolgendogli un lieve sorriso dai tratti colpevoli prima di allontanarsi dalla voliera muovendo un passo verso il centro della stanza:
“Adoro l’ornitologia.”, affermò subito dopo con tono di scuse, come a voler giustificare il suo interesse, “È raro vederne persino tra noi maghi, non vivono nelle Isole Britanniche.”
“No, è vero. L’ho presa in Italia.”
“Come si chiama?”
“Mary.”
“Davvero? Il mio barbagianni si chiama Cary!” Le labbra carnose di Marjory si distesero mostrando gli incisivi leggermente distanti tra loro e dando forma ad un sorriso vivace che le si estese fino alle iridi celesti, ma in breve la strega comprese che a differenza sua il collega non sembrava aver colto la coincidenza, non a giudicare dall’espressione seria e perplessa con cui quegli inquisitori occhi azzurri la stavano studiando. Forse aggiungere di aver chiamato il suo gufo in quel modo per omaggiare un attore del cinema hollywoodiano non sarebbe stata un’idea delle migliori, e Marjory si affrettò a farsi sparire il sorriso dalle labbra prima di allontanarsi ulteriormente dalla finestra alle sue spalle tornando a stringere le mani pallide dietro la schiena:
“Beh, Declan ti sta aspettando, non ti rubo altro tempo. Scusa se ti ho disturbato.” La strega superò in fretta il collega e il di lui elegante letto – non senza riuscire a non notare l’enorme specchio dall’aria pesantissima che lo sormontava e le federe di raso dorate che ne ornavano i numerosi cuscini, confermando la sua teoria in merito ad un qualche incantesimo che aveva adattato l’arredamento al loro gusto personale – senza ricambiare lo sguardo di Raymond, che invece gettò una breve occhiata scettica al suo cardigan smanicato color ruggine con fiorellini bianchi ricamati. La conosceva da una settimana e poteva già affermare di non aver mai conosciuto una donna con un così vasto assortimento di abiti con ricami floreali in tutta la sua vita.
“Non fa niente. Ci vediamo a cena.”
Marjory assentì con un lieve cenno del capo mentre apriva la porta, uscendo dalla stanza e chiudendosela alle spalle dopo aver rivolto al collega un ultimo ed educato cenno di saluto con la mano. Si stava dirigendo verso la porta della sua camera quando un pensiero improvviso la colpì: ora che ci rifletteva sapendo che quel giorno aveva tenuto la sua prima lezione Aldridge avrebbe anche potuto interessarsi di chiederle come fosse andata, anche solo per mera educazione più che per un sincero interesse. La strega scosse debolmente il capo mentre si sfilava la chiave dalla tasca dei pantaloni dopo essersi fermata davanti alla sua stanza, indispettita e sempre più propensa a credere alla prima impressione che aveva avuto sul collega.
 

 
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Sapendo che quella sera Claudia aveva tenuto la sua primissima lezione una volta giunta l’ora di cena Marjory aveva deciso di aspettare la collega nel Salone d’Ingresso, restando in piedi accanto alle alte porte spalancate della Sala Grande osservando distrattamente gli studenti passarle davanti chiacchierando. Alcuni di loro nel superarla la salutarono e Marjory rispose elargendo ampi sorrisi mentre teneva le braccia fasciate dalle maniche della camicia bianca strette al petto, rivolgendo un lieve cenno di saluto a Declan con la mano quando intravide il Grifondoro scendere i gradini di marmo della scalinata principale per poi dirigersi verso di lei con un sorriso gentile sulle labbra.
“Buonasera. Ti sei messa di guardia?”, domandò il botanico fermandosi davanti alla strega tenendo le mani sprofondate nelle tasche, di ritorno dalla sua stanza e dalla lunghissima doccia che si era visto costretto a fare dopo aver trascorso ore ad invasare piante riempiendosi i vestiti di terriccio.
“No, sto aspettando Claudia, volevo chiederle com’è andata la sua lezione visto che era molto nervosa.”
“Sono sicuro che sia andata bene esattamente come per la tua, probabilmente metà degli studenti si è già preso una cotta per voi… Ci vediamo dentro, muoviti o finisco il pane all’aglio.” Declan si congedò con una strizzata d’occhio e un ultimo accenno di sorriso divertito, superando la collega per seguire il flusso di studenti in divisa mentre Marjory, voltandosi per seguirlo con lo sguardo, dischiudeva con allarmata indignazione le labbra carnose:
“E la tua galanteria da Grifondoro?”
“Morta e sepolta quando si parla di pane all’aglio.”, asserì Declan senza nemmeno voltarsi e portando la strega a sospirare e a guardarsi attorno con crescente impazienza nella speranza di veder comparire la silhouette slanciata della da un momento all’altro.
Fortunatamente per la smodata passione nutrita da Marjory per il pane all’aglio Claudia fece la sua comparsa giusto un paio di minuti dopo, scendendo rapida i gradini di marmo sfiorando il corrimano di pietra con le dita e facendo al contempo attenzione a non scivolare sulle lastre levigate. Quando si diresse verso l’ingresso della Sala Grande e scorse Marjory accanto alle porte aperte un sorriso allegro si disegnò sulle labbra della strega, portandola ad affrettare il passo per raggiungerla e farsi prendere a braccetto:
“Ciao Marjory, aspettavi me?”
“E chi se no, il principe azzurro? Certo che aspettavo te, dimmi com’è andata. Però parla camminando, Declan ha minacciato di sbafarsi tutto.” Nel pronunciare quelle parole Marjory prese ad avanzare varcando la soglia della Sala Grande trascinando con sé la collega, che nonostante fosse più alta di diversi centimetri rise e si vide costretta ad affrettare il passo per starle dietro:
“A dire il vero credo che sia andata bene. Forse non dovrei essere io a dirlo, ma visto che non c’erano altri adulti presenti e di certo non posso chiederlo ad uno studente mi attribuisco l’arroganza di poterlo fare. Erano visibilmente tutti piuttosto stanchi, poverini, ma sono stati bravi ed educati e mi hanno fatto un mucchio di domande sul mio lavoro.”
Forse tutto sommato gli adolescenti non erano poi così spaventosi, rifletté Claudia mentre camminava affiancando Marjory tra i tavoli di Tassorosso e Corvonero raccogliendo qualche sporadico saluto che fu felicissima di ricambiare, sentendosi molto più leggera e rilassata rispetto a solo un’ora prima mentre la collega si aggiustava distrattamente la frangetta gettando occhiate minacciose in direzione di Declan, seduto davanti ad un vassoio carico di pane all’aglio.
“Beh, di sicuro il tuo lavoro e quello di Keith risultano ai loro occhi molto più interessanti rispetto al mio starmene col naso sui libri tutti i giorni per tutta la vita… Sono impaziente di chiedere com’è andata anche a lui, a proposito.”
“La Sala Professori sarà presto invasa di lettere anonime con dichiarazioni d’amore.”, asserì Claudia elargendo un sorrisetto mentre saliva il gradino di legno che rendeva la zona adibita al tavolo degli insegnati rialzata rispetto al resto della Sala Grande.
“Probabile. Senti, visto che la prima settimana è passata e ti stai ambientando, ho pensato che un venerdì o un sabato dovremmo proprio uscire, così vedi il paese! È così carino, e io sinceramente non vedo l’ora di tornarci.”
“Volentieri. Dovremmo estendere l’invito anche ai gentiluomini?” Mentre camminava affiancando tavolo e sedie per raggiungere il suo ormai abituale posto Claudia si voltò verso la collega inarcando un sopracciglio, non vedendo così Declan addentare la sua seconda fetta di pane all’aglio tenendo gli occhi azzurri fissi su Marjory e rivolgendo persino alla collega un beffardo cenno di saluto con le dita della mano libera.
“Dipende Claudia, forse uno in particolare si troverà a breve con una mano in meno. Posa l’osso DeLoughrey!”
Mentre parlava Marjory scattò in avanti superando l’amica per raggiungere Declan, che nel frattempo si stava impossessando del vassoio conteso, lasciando Claudia a sguazzare nella sua buona dose di perplessità e a chiedersi di che cosa la collega stesse parlando: certo la mano di Keith non era in buone condizioni, ma di sicuro l’Auror non correva alcun rischio di perderla. La seguì accigliata con lo sguardo pensando di suggerirle di evitare di parlare di mani mozzate a voce alta quando la vide strappare dalle mani di Declan un vassoio pieno di pane all’aglio; superato un rapido momento di sconcerto iniziale Claudia finì col distendere le labbra in un sorriso, sedendo accanto all’amica mentre una Preside dall’aria poco entusiasta intimava piccata agli ultimi acquisti del corpo docenti di non abbassarsi al livello degli studenti del primo anno.
 
 
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Martedì 9 settembre
 
 
ufficiodeclan


“Dimmi, è comune che alcuni insegnanti abbiano il proprio ufficio nelle Serre?”
La voce di Claudia si levò con un’inclinazione stranita mentre la strega risaliva il pendio erboso seguendo Marjory, stando attenta a dove metteva i piedi e trattenendo come poteva i lunghi capelli scuri che quel pomeriggio aveva malauguratamente deciso di tenere sciolti e che a causa del forte vento continuavano a finirle davanti al viso.
“No, anche quello della Sprite è nelle Serre, ma credo che Declan lo abbia richiesto espressamente alla McGranitt. Da quell’albero è meglio se ti tieni a distanza.”
Mentre camminava seguendo la fiancata del castello in direzione degli orti e delle sette serre Marjory indicò distrattamente un albero che si trovava sulla cima del pendio, non troppo distante dai margini verdeggianti della Foresta Proibita. Claudia lo riconobbe come un enorme platano dalla corteccia straordinariamente robusta e nodosa, lo stesso che qualche anno prima aveva scorto distrattamente in condizioni ben peggiori nel corso della sua prima visita alla scuola:
“Ricordo che nell’estate del ’98 la Sprite si stava affannando per curarlo, lo avevano danneggiato durante lo scontro?” Anche se a lei sembrava un albero piuttosto comune doveva trattarsi di una qualche sottospecie piuttosto rara se aveva meritato tanta cura da parte della professoressa di Erbologia in persona, rifletté Claudia studiando i lunghi rami dell’albero mentre Marjory, sempre continuando a camminare, si voltava per indirizzarle un sorriso:
“Ho sentito che ha strangolato un Gigante, il 2 maggio. Forse i Mangiamorte hanno cercato di sradicarlo o di bruciarlo perché cercava di farli fuori.”
“Come ha fatto un albero a strangolare un Gigante?” L’americana smise di osservare il Platano per rivolgere un’occhiata inorridita alla collega, chiedendosi quanti e quali altri oscuri segreti celasse quella scuola all’apparenza tanto affascinante e sicura – aveva già sentito parlare di maledizioni, cani a tre teste e ora alberi assassini, tutto in una settimana di permanenza – mentre Marjory al contrario si scostava dal viso una ciocca di capelli castani scivolata dallo chignon senza smettere di sorriderle:
“È un albero un po’, come dire, particolare. Non a caso si chiama Platano Picchiatore… Tu ricorda solo di non avvicinarti troppo, non gli piace essere disturbato. Ma puoi chiedere a Declan, sono sicura che ne sappia più di me e che sarà felicissimo di parlartene.”

 
“Eccovi qui ragazze! Prego, entrate pure, accomodatevi.”
Dopo aver spalancato la porta che si trovava sul fondo dell’ultima e più grande serra di Hogwarts Declan apparve nel campo visivo della due streghe stagliandosi sulla soglia con un largo sorriso benevolo ad illuminargli il volto e i brillanti occhi azzurri, spostandosi subito dopo di lato per farle passare con un galante cenno della mano:
“Grazie al cielo mi hai parlato della serra numero sette Declan, avevo paura che ti fossi stabilito in quella delle Mandragole! Ehy, è proprio bello qui!”
Mentre Marjory si sfilava il blazer di camoscio che aveva indossato sopra ad una blusa color arancia bruciata che a colazione aveva fatto storcere il naso a Raymond guardandosi attorno ammirata Claudia la seguì all’interno della stanza dalle pareti di vetro chiedendo timidamente permesso e realizzando con orrore di aver peccato di maleducazione non avendo portato nulla a Declan per ringraziarlo dell’invito.
“Non sono mica pazzo. Vi va una tazza di tè?”
Il botanico chiuse la porta alle spalle dell’americana accennando con un sorriso al tavolino dove, in un angolo della lunga stanza rettangolare, aveva allineato un bollitore, tazze e piattini, tre barattoli di ceramica, una teiera rossa e persino zuccheriera e lattiera.
“Non dico mai di no al tè. Ti sei davvero sistemato bene complimenti!”
Marjory appoggiò la giacca allo schienale di una delle sedie di legno allineate attorno al lungo tavolo rettangolare sistemato al centro della stanza, in mezzo alle alte librerie traboccanti di libri e piante addossate alle pareti, e sedette dando le spalle ad una scala di legno appoggiata alle mensole mentre Claudia, dopo aver chiesto a Declan se potesse rendersi utile in qualche modo e aver ricevuto un gentile diniego in risposta, le si sedeva accanto alzando lo sguardo per osservare incuriosita i vasi di piante che pendevano dal soffitto spiovente.
“Sì, ci ho messo un po’, ho dovuto negoziare con la Preside e con la Professoressa Sprite per convincerle a poter avere l’ufficio qui e poi ho dovuto portare un bel po’ della mia roba, piante incluse… Ma mi piace essere vicino a tutte queste piante, ormai sono abituato così e starmene chiuso in una stanza buia non fa per me. Diciamo che la povera Professoressa all’inizio non mi è sembrata troppo felice di vedersi la serra invasa da piante esotiche, ma penso che si sia abituata. Scegliete pure il tè che preferite.”
Con un pigro movimento della bacchetta di Declan i tre barattoli di porcellana si librarono in volo dirigendosi verso il tavolo e le due streghe, seguiti da tazze e piattini e tutto l’occorrente per servire il tè, inclusa un’alzata per dolci piena di sandwich e dolcetti che Claudia non aveva notato prima di quel momento.
“Fate proprio le cose in grande quando prendete il tè, insomma…” Commentò l’americana studiando divertita la deliziosa alzata per dolci di ceramica piena di prelibatezze rammentando come, cinque anni prima, persino gli Auror e i Guaritori fossero soliti smettere di lavorare per una mezz’ora quando, alle cinque in punto, veniva servito loro il tè. I primi giorni lei aveva declinato gentilmente l’offerta preferendo continuare a lavorare, restando di stucco di fronte alle occhiate stralunate che aveva ricevuto da parte dei colleghi: alla fine era stata Madama Chips a consigliarle di adeguarsi all’usanza per non rischiare di apparire strana o di offendere il sensibile ego dei suoi compatrioti.
“Certo, per noi è un pasto vero e proprio!”
“Lo saltiamo solo se siamo in guerra. E non sempre.”, confermò Marjory mentre svitava i tappi dei barattoli per annusare i tre diversi tipi di tè e Declan scaldava l’acqua nel bollitore accendendo con la magia un fornello da campeggio.
“Sì, anche se questi tè di inglese non hanno niente, uno l’ho preso in India e gli altri due in Malaysia. Sconsiglio di metterci il latte, ma fate pure come preferite.”
Claudia di aggiungere latte al tè non se lo sognava neppure, ma avendo fatto tesoro della lezione appresa cinque anni prima si guardò bene dall’esprimere quel parere a voce alta, limitandosi ad annuire prima di scegliere, come Marjory, il tè bianco.
 
“Allora, ditemi un po’… Voi avete già tenuto la prima lezione, io devo aspettare domani. Come vi sono sembrati i ragazzi?”
Declan DeLoughrey si considerava da sempre una persona fortemente tollerante verso il prossimo: era piuttosto inusuale che qualcuno non gli andasse a genio, ma una cosa era capace di infastidirlo come poche, ovvero la gente che osava zuccherare il tè alterando così il sapore naturale delle miscele. Per questo motivo, non vedendo nessuna delle sue ospiti allungarsi verso la zuccheriera, il suo sorriso si allargò e la sua benevolenza nei confronti delle due streghe non poté che accrescere.
Claudia avrebbe voluto rispondere, ma aveva la bocca piena di pasta frolla e parlare masticando non rientrava tra le sue abitudini, pertanto mentre si copriva educatamente le labbra tenendo una mano sollevata fu Marjory a prendere la parola con una lieve stretta di spalle mentre stringeva la tazza fumante tra i palmi:
“Tutto ok, ero un po’ preoccupata che non mi prendessero sul serio vista la differenza d’età non poi così esorbitante, in fin dei conti potrei tranquillamente essere la sorella maggiore di qualcuno di loro, ma mi sono sembrati tutti educati.”
“Ma guardala Claudia, che carina, ci tiene a sottolineare che è più giovane di noi…”
Mentre Declan si portava la tazza alle labbra scoccando un’occhiata divertita alla collega Marjory diede vita al suo noto sorriso amabile e innocente che di norma riusciva a renderla inodiabile agli occhi del prossimo, consapevole di avere un viso che avrebbe potuto farla sembrare più giovane di un paio d’anni mentre Claudia, dopo aver assaggiato il delizioso tè bianco cinese, tornava ad appoggiare la tazza sul piattino coordinato:
“Dimmi, chi è più vecchio, tu o Raymond?”, domandò la strega con un sorriso mite ed educato mentre guardava Declan scegliere un sandwich cercando di individuare il più farcito dell’alzata, cercando di non ridere quando colse l’espressione amareggiata che fece capolino sul bel volto del collega:
“Io, disgraziatamente. In realtà abbiamo solo un mese di differenza, ma sono comunque più vecchio, come ci tiene a sottolineare.”
“Avete frequentato il primo anno a 12 anni, giusto? Quindi manca poco al tuo compleanno!” Il viso di Marjory si illuminò, sia a causa del delizioso pasticcino alla crema che aveva appena addentato sia a causa della consapevolezza che l’aveva appena colpita, già pregustando i festeggiamenti mentre Declan annuiva prendendo un sandwich dall’alzata:
“Sono nato a metà ottobre, Raymond a novembre.”
“Ah, certo, Scorpione. Torna tutto.”
Talvolta Marjory aveva il vizio di dare voce ai suoi pensieri prima di riuscire a trattenersi e per un istante, conscia di aver sottilmente deriso il suo amico, gettò un’occhiata lievemente preoccupata al botanico. Declan invece esitò brevemente guardandola sorpreso tenendo il sandwich a mezz’aria, in sospeso tra l’alzata e le sue labbra, prima di scoppiare a ridere.
 

“Cavolo, ho mangiato troppo, come fate a bere il tè e a mangiare così tanto nel tardo pomeriggio e poi a cenare?” Claudia sospirò mentre usciva dalla serra numero sette insieme a Marjory, certa che dopo tutti i sandwich che aveva mangiato – dopo aver fatto un apprezzamento su quelli al tacchino Declan li aveva galantemente lasciati tutti a lei – non sarebbe riuscita a cenare. La collega invece, abituata com’era al rito del tè, non battè ciglio e si limitò a parlare con tono mesto mentre s’incamminava verso il cancello da cui si accedeva alle serre scuotendo il capo con aria affranta:
“Claudia, mi sento un po’ in colpa.”
“Per quale motivo?”
“Non hai sentito che ha detto Declan? 5 grammi del tè che abbiamo bevuto costano una sterlina, e noi abbiamo fatto anche il bis! Pensa quanti soldi ci siamo appena bevute!”
Forse che costasse un occhio della testa avrebbero dovuto intuirlo quando Declan le aveva informate del nome con cui era nota quella miscela, ovvero Tè dell’Imperatore, rifletté Marjory aggrottando le sopracciglia mentre lei e Claudia s’incamminavano e il vento faceva danzare loro i capelli ai lati del viso.
“Non ci avevo pensato! La prossima volta in cui Declan ci invita dobbiamo portargli qualcosa. Sarebbe carino portare un dolce, ma io faccio pena in cucina.” Se si fosse presentata con una torta di certo Declan avrebbe pensato che il suo intento fosse di avvelenarlo, appurò mesta l’americana mentre chinava leggermente il capo guardandosi i piedi con rassegnazione, certa che non sarebbe mai stata in grado di mettere insieme un pasto decente in tutta la sua vita. Per fortuna Marjory non aveva lo stesso problema, e la prese sottobraccio sfoderando un sorriso compiaciuto:
“Non preoccuparti cara. Ci penso io.”
 

 
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Campo di Quidditch
 
 
Håkon si era accomodato su una delle soffici e accoglienti poltrone della Sala Comune di Grifondoro per rilassarsi ascoltando un po’ di musica da appena dieci minuti quando la sua migliore amica era apparsa davanti al vano d’ingresso scrutando attentamente ogni centimetro della stanza; di ritorno dalla Biblioteca – era stata messa in punizione e costretta a riordinare il reparto di Erbologia dopo essere stata sorpresa dalla Preside a pattinare in lungo e in largo per il settimo piano –, Autumn stava inequivocabilmente cercando lui, e Håkon si era istintivamente lasciato sprofondare tra i cuscini scarlatti nella vana speranza di mimetizzarsi e sfuggire al suo sguardo. Sfortunatamente Autumn ci aveva messo meno di un minuto prima di individuarlo, e ben presto il ragazzo si era visto costretto a mettere in pausa la canzone che stava ascoltando per sentire ciò che la gallese aveva da dirgli:
“Sbrigati, dobbiamo andare già allo stadio!”
Mentre Autumn gli agguantava il muscoloso braccio destro per scrollarlo Håkon ricambiò il suo sguardo sgranando inorridito gli occhi neri: era certo che non avessero un allenamento in programma per quella sera, a meno che il Capitano non avesse cambiato idea a sua insaputa. In quel caso lui e Autumn si sarebbero presi, tanto per cambiare, una bella strigliata.
“Al campo?! Non abbiamo allenamento oggi!”
“Noi no, ma i rettili sì! Ho sentito quel cretino di Montague che ne parlava in Biblioteca, non mi ha vista perché stavo dietro ad uno scaffale spolverando libri sull’Algabranchia. Muoviti, andiamo a vedere!”
L’idea di starsene sugli spalti al freddo non lo entusiasmava affatto, ma non solo per una volta sembrava che la sua amica non avesse avuto un’idea del tutto stupida, Håkon sapeva anche fin troppo bene che niente l’avrebbe fatta desistere dal suo intento, perciò si costrinse ad alzarsi sospirando per andare a prendere una giacca in camera trascinando i piedi.
 
Una ventina di minuti più tardi i due Grifondoro si trovavano sulle tribune, spoglie dai colori e dagli stemmi delle Case non essendoci una partita in corso, avvolti dalla crescente oscurità della sera e da un freddo sempre più pungente. Håkon se ne stava stretto nella sua giacca di pelle nera con le mani guantate tenute rigorosamente in tasca, pentendosi silenziosamente di non aver preso anche una sciarpa mentre Autumn, per nulla intimorita dal freddo grazie al sangue gallese che le scorreva nelle vene, teneva il suo binocolo verde militare puntato sul centro del campo e sui membri della squadra di Serpeverde, disposti in un cerchio mentre eseguivano dei passaggi con la Pluffa.
“Quando la smettono di palleggiare, io voglio vedere gli schemi di gioco!”
“Perché non vai a dirglielo, sono sicuro che saranno felici di accontentarti.”
“Smettila di lagnarti. E comunque non è vietato assistere agli allenamenti, anche se ci vedessero non potrebbero dirci un bel niente!”  Autumn si allontanò il binocolo – comprato appositamente per spiare gli allenamenti dei suoi acerrimi rivali due estati prima – dal viso per rivolgere un’occhiata torva all’amico e infine stringersi nelle spalle con finta noncuranza, levando il mento con aria sostenuta mentre Håkon, accanto a lei, la guardava esasperato:
“E allora perché siamo seduti nei posti più defilati possibili e non fai che ripetermi di parlare a bassa voce da quando siamo arrivati?”
“Perché se si accorgono che siamo qui perdiamo il vantaggio che abbiamo per la partita. Se non ci vedono non sanno che conosciamo le loro strategie di gioco! Abbassati!”
Concluso il momenti dei passaggi tutti e sette i giocatori si alzarono in quota volando più in alto di qualche metro, e un gemito di protesta soffocato si levò dalle labbra di Håkon quando l’amica lo costrinse a sprofondare il più possibile contro la sedia quasi schiacciandolo con un braccio. Una parte di lui non vedeva l’ora che arrivasse la fatidica partita che li avrebbe visti confrontarsi proprio con la squadra verde-argento, la più attesa da tutta la scuola seconda solo all’ultima del campionato: forse dopo quella data Autumn gli avrebbe dato un po’ di respiro.
 

Diversi metri più in alto, Aster lanciò la Pluffa facendole disegnare un arco verso il primo dei tre anelli della metà di campo che avevano deciso di utilizzare per l’allenamento. Fermo in sella alla sua scopa il Serpeverde guardò compiaciuto la palla centrare l’anello sfuggendo alla presa del Portiere, nonché Capitano della squadra, prima di disegnare un largo sorriso con le labbra: quello di quella sera era il primo vero allenamento dell’anno in quanto una settimana prima si erano riuniti solo per le selezioni del nuovo Cercatore, e mentre stringeva il manico di legno della sua Nimbus con la mano destra lasciando il braccio sinistro disteso lungo il fianco e l’aria gelida della sera gli agitava i capelli biondi attorno al viso Aster realizzò di non essersi forse mai sentito tanto felice di essere tornato a scuola come in quel momento, quando poteva finalmente di nuovo sorvolare il campo in sella alla sua scopa rimasta troppo a lungo chiusa nel baule.
Mentre Montague andava a recuperare la Pluffa Aster mollò la presa sul manico della Nimbus, reggendosi solo con le gambe per legarsi i capelli che altrimenti lo avrebbero infastidito per tutta la durata dell’allenamento, e nel farlo i suoi occhi verdi scivolarono in basso, verso le tribune deserte e fiocamente illuminate da delle sporadiche torce accese. In realtà il Serpeverde ebbe l’impressione che le tribune non fossero poi del tutto deserte, e una seconda occhiata più attenta gli permise di individuare un paio di persone sedute sulle gradinate, più precisamente nei posti più in basso e meno in vista, davanti alle balaustre di legno.
Gli allenamenti erano pubblici e non era poi così raro che qualcuno andasse ad assisterli, specie quando si trattava di amici o fidanzati dei membri della squadra, ma vista l’ora discretamente tarda e soprattutto il freddo pungente Aster non poté fare a meno di chiedersi chi avesse volontariamente deciso di lasciare le accoglienti mura del castello per raggiungere lo stadio.
“Prendi Lenglade, voglio vedere te, Simmons e Howard provare uno degli schemi nuovi.”
Risalito verso gli anelli Montague lanciò la Pluffa in direzione del Cacciatore, che grazie a dei riflessi ormai molto allenati distolse lo sguardo dalle tribune giusto in tempo per prendere al volo la pesante palla di cuoio. Non avendo nessuna intenzione di contraddire il Capitano – non propriamente noto per una personalità amabile e paziente – dopo essere appena rientrato in squadra dopo il suo infortunio dell’anno passato Aster si affrettò ad eseguire insieme agli altri due Cacciatori, ma una minuscola parte di lui continuò a pensare agli spettatori e al dettaglio che gli era parso di catturare: forse era stato solo il riflesso della calda luce delle fiamme che ardevano nelle torce disseminate lungo tutto il perimetro della balaustra, ma aveva avuto l’impressione di scorgere qualcuno dai capelli rossi.
 

Ian colpì il Bolide con tutta la forza che aveva nel braccio destro e guardò la palla sfrecciare impazzita lungo il campo e la sua “collega” gettarsi nell’inseguimento per colpirla a sua volta e restituirgliela. I grandi occhi chiari attenti a non perdere di vista la palla per evitare che potesse colpire uno dei compagni di squadra, Ian abbassò leggermente il braccio muscoloso mentre un lieve movimento d’aria e un fruscio anticipavano l’avvicinarsi di un altro giocatore: un istante dopo Aster gli si fermò accanto, premurandosi di gettare un’occhiata vagamente inquieta al Bolide che un anno prima gli aveva mandato il braccio fuori uso prima di rivolgersi all’amico con un lieve sorriso sulle labbra sottili.
“Abbiamo spettatori, sai?”
“Non mi dire. C’è la ragazza di Howard con quella sua amica a cui piaci che ridacchia fastidiosamente?”, domandò Ian con scarso interesse mentre persisteva nell’impugnare saldamente la mazza di legno seguendo con gli occhi azzurri la traiettoria disegnata dal Bolide vagante che quasi si confondeva con l’oscurità circostante: forse tingerli con un colore più chiaro e sgargiante non sarebbe stata un’idea malvagia, rifletté brevemente il Serpeverde mentre Aster annuiva distrattamente, come se volesse portare la sua attenzione su qualcosa di più rilevante rispetto alle due ragazze in questione:
“Credo di averle viste, sì… Ma parlavo anche di spettatori un po’ più interessanti.”
Ian non era solito curarsi particolarmente dei visitatori, perennemente troppo concentrato sugli allenamenti, ma le parole dell’amico e il suo tono eloquente solleticarono la sua curiosità: mentre dall’altro lato del campo Natasha Sinclair colpiva fragorosamente il Bolide con la sua mazza Ian volse lo sguardo su Aster inarcando perplesso un sopracciglio, e il sorriso divertito che scorse sul volto dell’amico fu più eloquente di qualsiasi parola.
 

Non aver portato neanche uno snack si stava rivelando davvero una pessima idea, rifletté Autumn con un lieve sbuffo mentre si stringeva nella sua giacca di velluto a costine color camoscio: per colpa della ridicola punizione che le era stata affibbiata da Madama Pince aveva dovuto cenare in fretta e furia, finendo col non mangiare quasi nulla. Fortunatamente la strega custodiva perennemente una generosa dose di merendine all’interno del suo comodino, e stava per proporre ad Håkon di tornare al castello avendo già assistito ad una buona parte di allenamento quando un brusco movimento d’aria attirò l’attenzione sua tanto quella del suo migliore amico: entrambi levarono lo sguardo sulla balaustra che li separava dal campo giusto in tempo per scorgere una sagoma scura apparirgli davanti, interrompendo la picchiata frenando e appoggiandosi con i piedi alle assi di legno della ringhiera.
“Ma guarda un po’ chi si vede! Vi siete goduti lo spettacolo?”
Mentre Aster rivolgeva loro un gran sorriso allegro e visibilmente divertito i due Grifondoro ricambiarono in silenzio immobilizzandosi sulle sedute per qualche istante a causa della sorpresa, come pietrificati e piuttosto interdetti, finchè Håkon non si rivolse all’amica con un sospiro stanco e vagamente rassegnato:
“Te l’ho detto che ci avrebbero visti. Ciao Aster. Ah, bene, c’è anche William…”
Ian raggiunse in picchiata l’amico fermandosi ad un paio di metri di distanza da Aster, appoggiando a sua volta lo stivale destro sulla balaustra mentre faceva rimbalzare i grandi occhi azzurri sull’uno e sull’altra scuotendo debolmente il capo:
“Aster me l’aveva detto di aver visto Jørgen e una tizia stralunata, ma non gli ho creduto, gli ho detto che la tizia con cui di solito Jørgen va’ in giro è Autumn Erwood… e Autumn Erwood non è certo stralunata, è solo incapace di vestirsi senza che la si veda persino dagli asteroidi.”
“Quando avrò bisogno di consigli di moda non verrò a chiederli ad uno che ha abiti di un solo colore dell’armadio neanche fosse daltonico, William!” Essendo molto fiera del suo guardaroba Autumn si rivolse al Serpeverde levando il mento e con sguardo fiammeggiante, realizzando fino in fondo che cosa avesse detto solo un paio di istanti dopo, quando si voltò verso Håkon e verso l’espressione offesa che aveva fatto capolino sul volto dell’amico, vestito di nero da capo a piedi come in ogni altro giorno dell’anno:
Beh, insomma, tu non ti offendere.”
“Che carini, vero Ian, sono venuti a vederci giocare per apprendere quale clamorosa figura di merda li aspetta a novembre!”, continuò Aster senza che il suo sorriso vacillasse mentre sopra di loro gli altri Cacciatori cercavano a turno di far passare la Pluffa attraverso gli anelli.
“Non farmi ridere, la vostra sconfitta sarà talmente clamorosa che l’anno prossimo metà popolazione di Hogwarts per Halloween si vestirà da Grifondoro che prende un Serpeverde impaurito a calci nel culo!”
“Beh, staremo a vedere, non manca molto alla partita… Sempre che non vi facciate mettere in punizione proprio per quel pomeriggio, nessuno sarebbe sorpreso.”
Ian staccò il piede dalla balaustra dandosi una generosa spinta per risalire di nuovo in volo di qualche metro, riuscendo comunque a scorgere il doppio dito medio che Autumn e Håkon gli mostrarono in sincro prima che Aster lo imitasse ridacchiando e salutando allegramente i due Grifondoro:
“Ciao ciao carini, grazie per essere venuti!”
Autumn ed Håkon guardarono i due allontanarsi sfrecciando in volo verso i compagni di squadra in uno svolazzo dei mantelli verde smeraldo. Per un paio di istanti nessuno dei due parlò, finchè Håkon non si rivolse all’amica con un tono fermo che non ammetteva repliche e senza nemmeno distogliere lo sguardo dai due avversari:
Gli dobbiamo fare il culo.”
“Glielo faremo eccome.”
 

 
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Sabato 20 settembre
 

La porta ad arco che conduceva al Dormitorio femminile si aprì da sola permettendo a Cornelia Lockwood di varcare la soglia della sua Sala Comune, il capo chino mentre terminava di allacciare i polsini della camicia bianca che indossava. I corti capelli biondi le scivolarono leggermente davanti al viso mentre la giovane strega muoveva distrattamente qualche passo in avanti calpestando la soffice moquette blu notte trapuntata da un motivo di stelle e la porta decorata con intarsi floreali si chiudeva alle sue spalle senza far rumore, non tardando a sistemarli dietro le orecchie con un movimento ormai istintivo quando ebbe finito di aggiustarsi le maniche.
Gettata una rapida occhiata all’orologio dal cinturino di pelle che portava al polso Cornelia stabilì di essere in perfetto orario per incontrare Lena davanti all’ufficio di Lumacorno, ma quando levò finalmente il capo la Corvonero comprese per quale motivo si fosse sentita solleticata dal sentore di essere osservata fin da quando aveva messo piede all’interno della Sala Comune: invece di incamminarsi verso l’uscita la strega esitò quando i suoi occhi indugiarono sulla persona che, accomodata su una bergère(5) azzurra dando le spalle ad una delle numerose e altissime scaffalature piene di libri presenti nell’ampia stanza circolare, stava inequivocabilmente guardando proprio lei.
Sawyer Rhodes se ne stava lì seduto con le gambe accavallate, un libro aperto sulle ginocchia e il gomito sistemato sul bracciolo imbottito per poter sorreggere distrattamente il capo con una mano, una posa che qualcuno avrebbe potuto definire disinvoltamente elegante ma che agli occhi della Corvonero apparve plastica e immotivatamente pomposa. Nessuno, davvero nessuno se ne stava seduto in quel modo a leggere con naturalezza, si ripeteva puntualmente Cornelia ogni qualvolta in cui il suo sguardo indugiava sul compagno di Casa trovandolo seduto in qualche angolo della Sala Comune, di certo Sawyer reclinava il capo sorreggendosi il mento con l’incavo tra pollice e indice sapendo quanto quella posa gli conferisse l’aria di un affascinante romantico d’altri tempi, e di certo a lei non la dava a bere.
Quella sera, tuttavia, Cornelia non diede molta attenzione alla seduta del compagno quanto più al suo bel volto, in particolare al sorriso divertito che il ragazzo stava rivolgendo inequivocabilmente a lei. Sawyer Rhodes la guardava con quell’accenno di sorriso sghembo che molto di frequente gli si poteva vedere sulle labbra e il primo, istintivo pensiero della strega fu di chiedersi per quale motivo si stesse prendendo gioco di lei tanto sfacciatamente. Non aveva proprio nessun riguardo per i sentimenti e l’imbarazzo altrui, si disse con stizza Cornelia mentre ricambiava sostenuta lo sguardo del compagno, decisa a non dargli la soddisfazione di distoglierlo per prima, se ne stava lì seduto con la sua aura byroniana ridendole bellamente in faccia! Stava per chiedergli piccata che cosa avesse la sua persona di tanto spassoso ma quelle parole aspre le si bloccarono in gola quando, all’improvviso, comprese per quale motivo Sawyer sembrasse tanto divertito:
“Ma tu guarda… Sembra che abbiamo proprio gusti molto affini.”, commentò puntualmente il ragazzo mentre chiudeva il libro tenendoselo poggiato sulla gamba, prendendo a dondolare lentamente il piede sinistro e raddrizzandosi contro lo schienale della poltrona mentre il sorriso sulle sue labbra si allargava alla vista dell’espressione esterrefatta – per non dire inorridita – che fece rapidamente capolino sul viso di Cornelia.
“Vieni a cena vestito così?”, domandò prima di riuscire a trattenersi e muovendo d’istinto un paio di passi in avanti in direzione del compagno, i tacchi bassi delle sue mary jane nere che affondavano nella moquette decorata dallo stesso motivo di stelle dipinte sul soffitto a cupola.
“Beh, in effetti pensavo di sì. Ti chiederei se me lo domandi perché non gradisci, ma visto come sei vestita mi sento di escludere questa possibilità.” Mentre parlava con quel suo inglese fastidiosamente privo di accenti o inclinazioni regionali Sawyer si allungò mollemente verso il tavolino circolare a tre gambe posizionato accanto alla poltrona, poggiandoci sopra il volume mentre a poca distanza un gruppetto di ragazzine del terzo anno li adocchiava prendendo a ridacchiare e a scambiarsi commenti a bassa voce. Cornelia tanto era presa dal scrutare inorridita il vestiario di Sawyer che nemmeno se ne accorse, ma in compenso si accorse di quanto lei e il compagno di Casa somigliassero a quei piccoli gemelli che certe madri tanto si dilettavano nel vestire uguali: entrambi indossavano un gilet smanicato color caffè sopra ad una camicia bianca e scarpe nere, e anche se Sawyer certo non portava gonna e calze anche i suoi pantaloni, come quelli di Cornelia, erano marroni con un motivo a quadri.
“Sarei felice di cambiarmi,”, decretò il ragazzo alzandosi dalla poltrona senza smettere di sorridere, lisciandosi distrattamente le pieghe del gilet prima di infilarsi le mani in tasca “ma sto aspettando Phil. E né a lui né al nostro caro professore aggradano i ritardatari, come sappiamo entrambi.”
Per una volta Cornelia non sapeva che cosa dire, combattuta tra il desiderio di correre a cambiarsi e la consapevolezza di doversi trovare d’accordo con il compagno: arrivare in ritardo non rientrava nei suoi programmi, soprattutto considerando quanto poco le piacesse peccare di maleducazione. Aveva appena iniziato a mordicchiarsi il labbro inferiore preda di un tic nervoso quando a lei e a Sawyer si era unito Phil, sbuffando e impegnato a passarsi le mani tra i ricci biondi nel vano tentativo di domarli:
“Scusa Rhodey, c’era quel cretino di McAllister che ha monopolizzato la doccia per un’eternità… Ciao Lockwood.” Phil si fermò accanto all’amico e rivolse un cenno distratto in direzione della ragazza, o almeno fino a quando, due istanti dopo, non realizzò la curiosa coincidenza che si era verificata tra i due.
“… Ma vi siete vestiti uguali?”, domandò scettico dopo una breve esitazione inarcando un sopracciglio, non sapendo se mettersi a ridere o preoccuparsi nel caso il fatto fosse stato voluto.
Non siamo vestiti uguali!” Con quella pigra obiezione Cornelia non avrebbe convinto nemmeno se stessa, se ne rese conto nell’esatto momento in cui quelle parole le uscirono di bocca. Mentre Phil faceva rimbalzare scettico lo sguardo da lei all’amico – che giusto per indispettire ulteriormente Cornelia non appariva per niente preoccupato ma solo e soltanto profondamente divertito dalla situazione – la strega pensò a suo fratello e a quanto di certo Teddy l’avrebbe derisa per intere settimane vedendola arrivare vestita esattamente come Sawyer Rhodes. La gente non li avrebbe certo presi per una coppietta di rimbecilliti con gli abiti coordinati, no?
“Beh, in ogni caso meglio andare, preferirei scegliere liberamente dove sedermi invece di arrivare per ultimo.”
Con una pigra stretta di spalle Phil s’infilò le mani nelle tasche dei pantaloni blu notte e s’incamminò verso l’uscita della Sala Comune con Sawyer subito dietro, Sawyer che nel passarle davanti ebbe persino l’ardire di strizzarle l’occhio, appurò Cornelia sempre più indispettita e disperata al tempo stesso. Alla fine si costrinse a girare sui tacchi e ad affrettarsi a seguirli sperando che nessuno facesse caso al suo vestiario o a quello di Sawyer: con un po’ di fortuna al loro arrivo la stanza sarebbe già stata discretamente buia, e con ancor più fortuna Lumacorno si sarebbe astenuto dal fare commenti imbarazzanti, anche se di certo lo stesso non sarebbe valso per suo fratello.
 

 
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Seppur a malincuore una volta finito di abbottonarsi la camicia gialla e di pettinarsi i capelli biondi Teddy era stato costretto a togliersi le cuffie e a smettere di ascoltare George Michael: aveva lasciato il lettore CD sul comodino – accanto al suo amatissimo Game Boy giallo – ed era uscito dalla sua stanza per attraversare lo snodo di tunnel del Dormitorio maschile fino a raggiungere la porta rotonda di una calda sfumatura dorata che conduceva alla Sala Comune. Lì ad aspettarlo aveva trovato Margot, in piedi accanto ad una poltrona per paura di sgualcire la gonna verde bosco del suo vestitino smanicato con la gonna a ruota e le mani pallide impegnate a tormentare nervosamente la catenella dorata di una borsetta in tinta con la chiusura a bacio.
“Eccomi Margi, sono pronto. Come sei carina!” Sapendo quanto la sua migliore amica fosse nervosa in vista della sua primissima cena del Lumaclub Teddy le andò incontro sfoderando il più radioso dei suoi sorrisi, prendendola prontamente a braccetto mentre la scozzese ricambiava con un sorriso gratoe affettuoso che le si estese fino alle iridi celesti:
“Grazie Teddy. Che bella camicia!”
Teddy sapeva che Margi avrebbe apprezzato terribilmente la sua camicia gialla. Come avrebbe potuto fare altrimenti? Forse sua sorella non l’avrebbe fatto, ma Teddy aveva smesso da tempo di interrogarsi sulle diversità che correvano tra lui e Cornelia e su come fosse possibile che avessero lo stesso corredo genetico.
 

Lui, Teddy e Margot avevano concordato di raggiungere insieme l’ufficio di Lumacorno aspettandosi nel Salone d’Ingresso, davanti alla scalinata che da lì scendeva fino ai Sotterranei del castello. Il Serpeverde non aveva provato il benchè minimo stupore quando, una volta raggiunto il luogo dell’appuntamento, non aveva scorto nessuno dei due Tassorosso: lui e Teddy facevano parte del Lumaclub già da tempo, e non c’era stata una singola serata in cui non si fosse ritrovato ad aspettarlo.
Mentre il resto del castello cenava nella Sala Grande generando l’eco di un brusio che risuonava tra le altissime pareti dell’ingresso Isaac si era messo ad aspettare in un angolo tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni scuri, pentendosi di non aver portato con sé il lettore CD per farsi compagnia con Britney mentre ciondolava vicino alle scale in attesa dei suoi amici. Quando i pensieri del Serpeverde si soffermarono su Wendy e sul turno di ronda che quella sera la ragazza avrebbe dovuto coprire proprio a causa dell’incontro indetto dal professore di Pozioni ad Isaac quasi scappò da ridere, certo che l’amica non avesse accolto la notizia con molto entusiasmo: di sicuro non avrebbe voluto trovarsi nei panni dell’eventuale malcapitato a zonzo per il castello dopo il coprifuoco in cui il Prefetto avrebbe potuto imbattersi quella sera.
Gli altri due Tassorosso lo raggiunsero un paio di minuti dopo, quando Isaac stava iniziando a scalpitare temendo di arrivare in ritardo e perdere l’antipasto, e individuare Teddy anche a distanza non gli risultò affatto difficile grazie al vestiario scelto dall’amico per la serata:
“Eccovi finalmente… Teddy, ho visto la tua camicia da tre chilometri di distanza. Margi, sei carinissima!”
Dopo aver rivolto una singola e rapida occhiata all’amico Isaac indirizzò a Margot un largo sorriso affettuoso e incoraggiante, prendendole una mano per farle fare una giravolta mentre il viso pallido della strega s’imporporava leggermente.
“Sono felice che quest’anno ci sia anche tu, ci divertiremo. Non per niente io e Teddy siamo i preferiti di Luma, se stai con noi andrà tutto benissimo.”
“Mi basta non sedermi vicino a MacMillan.”, si limitò ad asserire la Tassorosso con un lieve sospiro mentre si lasciava prendere sottobraccio da Isaac per dirigersi verso la scalinata principale, pregando di riuscire a tenersi a distanza dal Corvonero per tutto il corso della serata: riusciva quasi a sentirli, i commenti sgradevoli che di certo avrebbe fatto in merito alla sua presenza. In effetti l’invito ricevuto da parte del Vicepreside aveva sorpreso lei per prima, ma Lumacorno sembrava essere rimasto particolarmente colpito dai risultati straordinari che aveva ottenuto ai M.A.G.O. alla fine dell’anno prima, quando aveva ottenuto il miglior punteggio all’esame di Trasfigurazione degli ultimi due decenni.
“Se ha qualcosa da dire faccia pure,”, asserì Teddy con una pigra scrollata di spalle mentre iniziava a salire i gradini affiancando gli amici e lisciandosi distrattamente le pieghe della camicia, “gli rovescio un piatto di ananas candito in testa.”

 
Che ci fa qui la Campbell?!”
Che fine avevano fatto i criteri di Lumacorno nell’invitare gli studenti alle sue soirée, si domandò allibito Phil MacMillan quando, una decina di minuti dopo, vide Margot, Teddy e Isacc varcare la soglia dell’enorme ufficio dell’insegnante. L’Elfo Domestico che aveva aperto loro la porta si affrettò a far apparire un vassoio d’argento carico di tartine, e un altro accorse ben presto verso i tre studenti del VI anno con un secondo vassoio con bicchieri di drink fruttati analcolici mentre il Vicepreside conversava amabilmente con Aster stando in piedi accanto all’ampio tavolo circolare che si trovava al centro dell’ufficio e già riccamente apparecchiato per la cena.
“Phil, scusa il francese, ma puoi essere meno stronzo? Che cosa può averti mai fatto di male la povera Margot?” In piedi accanto a lui davanti al camino spento con un flûte in mano – con gran disappunto di Phil a Sawyer, a differenza sua, essendo maggiorenne era concesso bere alcolici – e una mano in tasca Sawyer distolse lo sguardo dai tre ultimi arrivati per scoccare un’occhiata accigliata a carica di disapprovazione all’amico, disapprovazione a cui Cornelia – non impazziva all’idea di starsene lì accanto a Sawyer mettendo orribilmente in evidenza e sotto gli occhi collettivi quanto simili fossero i loro outfit, ma in attesa di Lena non aveva nessuno di più gradevole con cui intrattenersi – si unì annuendo secca e gettando al Corvonero un’occhiata torva:
“Sì Philip, dacci un taglio, è la migliore amica di mio fratello. Ed è una ragazza adorabile.”
Punti di vista.”, si limitò ad asserire secco e con tono tagliente il londinese mentre faceva roteare distrattamente il suo drink analcolico all’ananas nel bicchiere tumbler, ignorando la tiepida occhiata di rimprovero dell’amico e quella visibilmente più seccata che Cornelia gli rivolse.
“Vado a salutare Teddy.” La ragazza si congedò con tono pacato per allontanarsi dai due compagni di Casa e dirigersi verso l’ingresso dell’ufficio e i tre studenti del VI anno, salutando il fratello minore prima di sistemargli con un gesto quasi istintivo il colletto della camicia una volta che gli si fu fermata di fronte.
“Connie, non trattarmi come se avessi sei anni!” Teddy sbuffò piano ma non si divincolò dalla presa della maggiore per paura di rovesciare il suo mocktail al mango, costretto a restare fermo mentre la sorella gli raddrizzava la piega del colletto con il suo solito occhio critico e alquanto pignolo.
“Non ti tratto come se avessi sei anni, ti rendo presentabile. Ciao ragazzi… Margot, sei davvero molto carina.” Cornelia rivolse un lieve sorriso ad Isaac – lui e Teddy messi vicini avevano un’aria molto bizzarra grazie alla sgargiante camicia giallo scuro del Tassorosso e la camicia e il maglione verde scuro decisamente più sobri del Serpeverde – e in particolare a Margot, che ricambiò sistemandosi istintivamente una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio chiedendosi per quale motivo fossero tutti tanto gentili nei suoi confronti.
“Grazie Cornelia, anche tu.”
“Scusa, ma tu e Sawyer Rhodes vi siete vestiti da gemellini?!” Dopo aver rivolto un’occhiata all’angolo in cui si trovavano Sawyer e Phil quelle parole uscirono dalle labbra di Teddy quasi senza il controllo del Tassorosso, che trattenne a stento una risatina mentre faceva rimbalzare gli occhi chiari dalla sorella al Corvonero. D’istinto anche Margot e Isaac gettarono un’occhiata in direzione dei due compagni, ed entrambi si chiesero come riuscisse il sopracitato studente del VII anno ad apparire impeccabile in ogni occasione o momento della giornata prima di vedersi costretti a concordare con l’amico: i vestiti di Sawyer e quelli di Cornelia apparivano straordinariamente simili.
“Ovviamente no.”, asserì Cornelia stringendo le labbra con la voce ridotta ad un flebile sussurro “È solo una triste coincidenza.” Ma Teddy non parve dello stesso avviso, perché il sorriso sulle labbra del Tassorosso si fece ancor più largo proprio mentre, alle loro spalle, un Elfo Domestico apriva la porta per consentire ad una Lena vestita di nero e bianco di varcare la soglia e unirsi a loro.
“Triste? Un cazzo, vorrei farvi una foto!”
Peccato che avesse lasciato la sua Polaroid in camera, si disse il ragazzo con amarezza mentre Cornelia stringeva le labbra trattenendo l’impulso di minacciarlo in pubblico di sequestrare la sua action figure di Toad e Lena, dopo essersi sistemata il fiocco nero che aveva legato tra i lunghi capelli biondi, raggiungeva il gruppetto con un sorriso allegro:
“Buonasera a tutti! Margot, benvenuta, che bel vestito! Naturalmente siete carini anche voi due.” La Serpeverde si fermò accanto ad Isaac raddrizzando delicatamente il fiocco nero che teneva chiusa la giacca corta di tweed bianca indossata insieme ad una gonna nera a pieghe, rivolgendo prima un sorriso al compagno di Casa e a Margot per poi soffermarsi sul fratellino dell’amica con sguardo affettuoso.
“Grazie Lena, per fortuna anche se sei tanto amica di mia sorella hai meno acidità in corpo. Noti invece nulla di strano nei vestiti di Connie?”, domandò il Tassorosso esibendo un sorrisino beffardo mentre indicava debolmente la sorella, che trattenne a fatica l’impulso di far apparire una vanga con cui iniziare a scavarsi una fossa e diede vita ad una smorfia mentre Phil, alle sue spalle, lasciava solo Sawyer a chiacchierare con Aster per andare alla ricerca dell’ananas candito(6).
Lena invece posò lo sguardo sull’amica senza capire a cosa stesse alludendo Teddy, esaminando accigliata il vestiario di Cornelia mentre Isaac e Margot, accanto a lei, facevano del loro meglio per non urtare i nervi della diretta interessata scoppiando a ridere. Alla fine il Serpeverde optò per la scelta più saggia, ovvero prendere l’amica sottobraccio e allontanarsi insieme a lei alla ricerca di qualche altra tartina da assaggiare nell’attesa dell’arrivo degli altri ospiti.
“Onestamente non direi… C’è qualcosa che dovrei notare?”
“Assolutamente niente Lena, mio fratello ha bevuto succo di zucca avariato. Vieni, andiamo a prenderti qualcosa da bere.” Determinata a portare l’amica lontana dal radar del fratello minore Cornelia strinse gentilmente il braccio esile della russa per costringerla altrove, ma per sua sfortuna lo sguardo della Serpeverde indugiò comunque sull’angolo della stanza in cui si trovavano Sawyer e Aster. Stava per rivolgere un saluto ai compagni di classe quando i suoi occhi scuri indugiarono per un istante di troppo sugli abiti del Corvonero, ritrovandosi ad aggrottare la fronte mentre si domandava per quale motivo le sembrassero già visti. Ben presto lo sguardo della russa rimbalzò da Sawyer alla sua amica e in particolare alla sua camicia e al suo gilet color caffè, ritrovandosi a soffocare a fatica un risolino mentre Cornelia la portava il più lontano possibile dal diretto interessato e da Aster, che di certo non avrebbe perso un’occasione tanto ghiotta per sfotterla senza alcuna pietà.
“Ma Connie, siete vestiti…”
“Non ti ci mettere anche tu! La prossima volta vengo in pigiama… Giuro che se Lumacorno dice qualcosa a riguardo mi auto-esilio dalle sue cene.”
 

 
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“Ma a te sembra giusto che mentre quegli altri si abbuffano noi stiamo qui a lavare i pavimenti?! E alla Babbana, per giunta! Mi sento la cazzo di Cenerentola!”
Inginocchiata nel bel mezzo del pavimento del sesto piano Autumn strizzò con disappunto lo straccio imbevuto d’acqua e detersivo prima di gettarlo malamente sulle antiche pietre ruvide, aggiustandosi i guanti di lattice fucsia mentre si alzava in piedi per riprendere a pulire mentre il suo migliore amico, accanto a lei, se ne stava appoggiato alla sua scopa con aria torva:
“Sì, una vera ingiustizia. Se solo tu non avessi sempre le peggiori idee che il cervello umano sia in grado di partorire…” Dopo aver scoccato un’occhiata velenosa all’amica Håkon fece un passo avanti e si appropriò dello straccio di Autumn sistemandoci sopra la scopa che la Preside in persona gli aveva consegnato mezz’ora prima, quando aveva sequestrato le bacchette di entrambi assicurando che le avrebbero riavute indietro quando i pavimenti del sesto pieno sarebbero stati talmente lindi da poterci imbastire sopra un banchetto. Autumn fece per obbiettare e intimargli di utilizzare il suo straccio anziché quello che lei aveva appena perso tempo per imbevere d’acqua e detersivo, ma desistette quando realizzò che in fin dei conti Håkon stava trascorrendo la serata in punizione per, almeno tecnicamente, colpa sua.
“La mia idea era brillante invece! Poi che ci abbiano beccati è un altro discorso.”
“Sai che cosa è ingiusto? Che io finisca sempre in punizione anche se nove volte su dieci a fare stronzate sei tu e non io!” Per quale motivo ancora si lasciasse trascinare nelle folli idee dell’amica glielo chiedevano tutti, inclusa la McGranitt, ma la verità era che Håkon non era neanche lontanamente in grado di darsi una risposta. Forse aveva ragione sua madre: era semplicemente un inguaribile cretino.
“Solo una mente bacata come la tua può pensare che arrampicarsi con una scala, aprire la clessidra dei Serpeverde e toglierci degli smeraldi per farli scendere in classifica sia una buona idea. Era ovvio che ti avrebbero beccata!” Sbottò il Grifondoro mentre prendeva a strofinare energicamente il pavimento per lucidarne le pietre mentre Autumn tornava davanti ad uno dei secchi che un Elfo aveva gentilmente fornito loro ad inizio punizione per imbevere un secondo straccio.
“Zitto e strofina il pavimento, che voglio finire prima dell’alba!”
“Zitta tu, Cenerentola di Tesco!”
Autumn gli mostrò il dito medio fasciato dal guanto di lattice fucsia, e Håkon si astenne dal ricambiare solo perché aveva entrambe le mani strette attorno al manico della scopa. Se non altro, rifletté aspramente il ragazzo mentre cercava una nota positiva in tutta quella ridicola situazione, pulire i pavimenti costituiva una sorta di discreto esercizio per allenare i muscoli delle braccia utile a lui quanto all’amica in quanto Battitori.
Una decina di minuti dopo i due stavano continuando a scontare la punizione lavando i pavimenti in silenzio – o almeno era quanto stava facendo Håkon, mentre Autumn si era infilata le cuffie rosse del suo lettore cd portatile e stava dando foggio delle sue pessime doti canticchiando a bassa voce un intero album dei Green Day – quando, giunti in prossimità dell’ufficio del loro professore di Pozioni, il danese smise di combattere contro una macchia ostinata per sollevare il capo aggrottando pensoso le folte sopracciglia corvine:
Senti anche tu profumo di salmone?”, domandò voltandosi in direzione dell’amica, che stava arrotolando un tappeto scarlatto per appoggiarlo contro la parete e continuare a pulire seguendo la lunghezza del corridoio. Autumn smise di stringere il tappeto con una mano per allontanarsi la cuffia destra dall’orecchio, guardandolo confusa non avendo ben compreso cosa le avesse detto a causa della musica:
“Eh?! Pasticcio di rognone?!”
“No cretina, profumo di salmone! Lo senti anche tu o sono io?” Non era un’opzione del tutto improbabile, rifletté brevemente Håkon mentre guardava l’amica annusare l’aria come un segugio: amava talmente tanto il salmone da finire talvolta col credere di sentirne il profumo anche quando sua madre stava cuocendo del branzino. Ben presto però Autumn confermò la sua ipotesi annuendo, convincendolo di non essere vittima della fame e di un’allucinazione olfattiva:
“Credo di sì. Cavolo, ho una fame, la McGranitt ci ha presi e trascinati qui che avevo mangiato pochissimo, solo un piatto di spaghetti al ragù! Dici che quando finiamo potremmo andare nelle cucine a prendere uno spuntino?”
“Prima andiamo a riprenderci le bacchette, e sarà meglio muoverci, se finiamo tardi e svegliamo la McGranitt stai certa che ci trasforma in degli sturalavandini! Non è giusto, quelli mangiano salmone e noi qui a pulire! È tutta colpa tua!”
Håkon non aveva mai desiderato neanche lontanamente di far parte del Lumaclub, ma provò un improvviso moto di invidia nei confronti dei compagni prescelti che, mentre lui scontava la sua punizione, stavano trascorrendo la serata standosene comodamente seduti attorno ad un tavolo gustando prelibatezze raffinate. Tornò a dedicarsi alle pulizie dopo aver gettato un’ultima occhiata truce in direzione dell’amica, maledicendo lei per le sue folli iniziative quanto se stesso per la sua apparente incapacità di evitare di seguirla mentre Autumn, per nulla preoccupata, tornava a sistemarsi le cuffie sulle orecchie prima di liquidare il discorso con un noncurante gesto della mano:
“Ma quanto rompi cazzo, come se non ci servissero mai salmone, siamo nella fottuta Scozia, da queste parti ci sono più salmoni che astemi!”
Naturalmente in parte Autumn aveva ragione ma Håkon, troppo risentito per ammetterlo, si limitò ad intimarle di sbrigarsi per poter procedere lungo il corridoio e allontanarsi così dall’ufficio di Lumacorno: lavare i pavimenti di sabato sera era già sufficientemente penoso senza dover anche aggiungere l’agonia di dover sentire il profumo invitante del suo piatto preferito.
 

 
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stanza-marjory


Quando bussarono alla porta Marjory stava finendo di vestirsi allacciandosi la cintura nera abbinata ai mocassini dello stesso colore, e dopo aver gettato un’ultima occhiata al proprio riflesso nello specchio appeso sopra al caminetto andò ad aprire ravvivandosi distrattamente i lunghi capelli castani.
Quando prevedibilmente si ritrovò a fronteggiare Claudia la strega sfoderò uno dei suoi larghi e contagiosi sorrisi, venendo presto ricambiata dall’americana mentre la collega l’aspettava in piedi sulla soglia:
“Ciao! Sono pronta, arrivo subito. Come fai tu ad essere sempre così carina, non è giusto!”
Dopo aver squadrato rapidamente l’alta silhouette della collega Marjory le diede le spalle per andare a recuperare la borsetta e il trench verde bottiglia che aveva lasciato sul letto, premurandosi di andare a salutare Peter con una lieve carezza sulla soffice testa mentre il coniglietto dormiva su un cuscino su una delle due poltroncine bianche davanti alla finestra.
“Penso che chiunque potrebbe dirti lo stesso. Sono davvero curiosa di vedere il villaggio, non ho mai visitato una cittadina abitata da soli maghi!”
Claudia fece un passo indietro per consentire a Marjory di lasciare la stanza mentre s’infilava l’impermeabile, aspettando che la collega spegnesse la luce e si chiudesse la porta alle spalle prima di incamminarsi insieme a lei lungo il corridoio ormai quasi del tutto avvolto dall’oscurità.
“Io non vedo l’ora di tornarci, sono passati un’infinità di anni, chissà com’è cambiata… Vedrai, è davvero adorabile. I signori ci aspettano nell’ingresso o Raymond si sta facendo la piega?”
Claudia si era silenziosamente chiesta più volte come potessero i capelli del collega essere così naturalmente perfettamente ondulati e stargli sempre così bene, e scoppiò a ridere nel corridoio deserto mentre Marjory la prendeva a braccetto e il loro passaggio disegnava ombre scure proiettate dalle fiamme delle torce sulle pareti di pietra.
 
 
Hogsmeade, High Street
 
 
La porta d’ingresso dei Tre Manici di Scopa si aprì con un cigolio e Declan varcò la soglia per primo disegnando istantaneamente un ampio sorriso con le labbra: il pub non sembrava poi essere cambiato molto dalla sua ultima visita, appurò con una dolceamara fitta di nostalgia il botanico mentre i suoi grandi e luminosi occhi azzurri vagavano sui tavoli, sulle pareti, sulle scale di legno che dal fondo della sala conducevano al piano superiore e sul bancone affollato.
“All’improvviso mi sento di nuovo uno studente in gita.”, confessò mentre si addentrava all’interno della sala cercando un tavolo libero con lo sguardo, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni mentre Raymond, dietro di lui, studiava il bancone stipato di bottiglie cercando con curiosità la proprietaria:
“Con la differenza che se fossimo venuti qui di sabato sera la McGranitt sarebbe venuta a prenderci personalmente per le vesti… Dite che c’è ancora Madama Rosmerta?”
“Madama Rosmerta è la proprietaria, o almeno lo era quando noi eravamo studenti” spiegò Marjory voltandosi verso Claudia mentre Keith restava in piedi sulla soglia tenendo la porta aperta per entrambe “tutti avevano una cotta per lei quando eravamo ragazzi.”
“Innegabile.” Confermò l’Auror mentre seguiva i colleghi all’interno e si chiudeva la porta alle spalle ricordando divertito l’avvenente strega dagli occhi verdi e i boccoli color miele che anni addietro servendo al bancone era stata solita destare l’ammirazione di buona parte degli studenti che si recavano ai Tre Manici di Scopa durante le gite.
“Guarda, eccola.” Dopo essersi fermato accanto ad un tavolo rettangolare rimasto libero in un angolo della sala Declan si rivolse a Raymond accennando discretamente al bancone e in particolare alla donna sui cinquant’anni che era appena apparsa dalla porta sul retro, facendo sì che il collega ed ex compagno di classe gli si fermasse accanto per osservare brevemente a sua volta la strega.
“C’è da dire che è ancora molto bella.”, osservò con tono pacato Raymond senza distogliere lo sguardo dall’avvenente proprietaria del pub fino a quando, un istante dopo, Marjory non si fermò alle loro spalle insieme a Claudia e la sua voce dall’inflessione seccata non fece loro visita:
“Vi sedete voi due, così possiamo farlo anche noi? Se volete vedere da vicino potete andare a ordinare!”
Quel colosso di Raymond Aldridge le ostruiva il passaggio per andare a sedersi, osservò la strega fissando infastidita l’ampia schiena del collega fasciata dallo stesso impermeabile beige con cui era arrivato ad Hogwarts tre settimane prima. All’udire le sue parole lui e Declan parvero scattare come due molle, entrambi si affrettarono a voltarsi verso di lei e una sorridente Claudia visibilmente divertita per farsi da parte e permettere loro di passare.
“Chiedo scusa, lo faccio subito. Che cosa prendete?” Anziché sedersi Declan sfoderò uno dei suoi irresistibili e ampi sorrisi mentre si sfilava la giacca abbandonandola sullo schienale di una sedia, prendendo posto tra Raymond e Claudia mentre Marjory, di fronte a lui, si sfilava l’impermeabile blu rivelando un maglione verde con lo scollo a v infilato sopra ad una camicia bianca.
“Per me Burrobirra, è da tantissimo che non la bevo!”
A Vienna la Burrobirra neanche sapevano che cosa fosse ed erano trascorsi interi anni dal suo ultimo sorso, si ritrovò a riflettere malinconicamente Marjory mentre prendeva posto accanto a Keith, che invece si stava guardando silenziosamente attorno reggendosi il volto con la mano sinistra.
“Non l’ho mai assaggiata ma dal nome sembra buona, la prendo anche io.” Claudia sollevò la testa per poter guardare Declan e rivolgergli un sorriso che il botanico ricambiò prima di posare lo sguardo su di Keith, che smise di scrutare pensoso le pareti per rivolgergli un lieve cenno del capo:
“Whisky Incendiario.”
“Per me Rum di ribes rosso.”
“D’accordo, vado e torno, il primo giro lo offro io. No Claudia, non ci provare, offro io.”
“Ma io…” I tentativi di Claudia di protestare si rivelarono presto vani, perché Declan aveva già fatto un mezzo giro su se stesso e si era diretto verso il bancone senza lasciarle il tempo di obbiettare. La strega si vide costretta a rimettersi la borsetta sulle ginocchia giurando a se stessa di pagare il giro di drink successivi mentre Marjory, di fronte a lei, parlava della sua ultima gita ad Hogsmeade. I grandi occhi azzurri sognanti incorniciati dalla frangia e il modo in cui si reggeva i lati del viso tra i palmi la fecero somigliare più che mai ad un’adorabile ragazzina, osservò Claudia gettando un’occhiata affettuosa alla collega mentre ad un paio di tavoli di distanza due streghe sedute davanti a dei bicchieri vuoti di Acquaviola adocchiavano curiose i bei profili di Keith e Raymond e poi la mano guantata dell’Auror appoggiata sul suo viso.
“Ci sei mai andata nella Stamberga Strillante. Scommetto di no.”  Le labbra di Raymond diedero forma ad un lieve sorrisetto mentre le dita della mano destra del mago tamburellavano distrattamente sul tavolo, in attesa di Declan e del suo bicchiere di liquore mentre osservava Marjory con un luccichio vagamente beffardo nei brillanti occhi azzurri. All’udire quelle parole Marjory smise immediatamente di parlare, rivolgendosi invece direttamente al collega e inarcando infastidita un sopracciglio prima di replicare sollevando di poco il mento con aria sostenuta:
“E perché mai scommetteresti di no, scusami?”
“Non mi sembri il tipo che si introduce in case infestate… ti ci vedo più a fare picnic in mezzo a campi fioriti.”
Cos’hai contro i picnic?!”
La velata offesa ai picnic sembrò alterare la strega tanto da far emergere all’improvviso un accento francese molto più marcato del normale, e Keith e Claudia si scambiarono un’occhiata leggermente allarmata prima che l’Auror si schiarisse la voce affrettandosi a prendere la parola:
“Io ci sono stato, una volta. Ho vinto venti Galeoni contro un amico, poi se non sbaglio andai da Zonko e spendetti tutto in stronzate. Ero un tale cretino.”
Raymond stava ancora sorridendo serafico e Marjory sembrava ancora piuttosto torva, tanto che Claudia decise di sfruttare la sua ignoranza per sorridere e rivolgersi a Keith con il tono più interessato che le riuscì:
“C’è una casa infestata da queste parti?”, domandò guardando Marjory sperando che la collega non decidesse di rovesciare sulla testa di Raymond un cesto di salatini mentre Declan faceva ritorno con le mani cariche di bicchieri, ma anziché Keith fu proprio Raymond a risponderle accarezzandosi distrattamente mento e barba:
“No, erano solo storie per tenere lontani i villici… è solo una casa disabitata.”
“I villicima come parla…” Fortunatamente nessuno prestò molto caso al basso borbottio di Marjory, e Keith riprese a parlare per sovrastare la voce della strega con la sua mentre, alle sue spalle, le due streghe si domandavano come fosse possibile che nessuno in paese stesse parlando di quei nuovi e giovani avventori che avevano appena fatto la loro prima apparizione all’interno della locanda. Di certo tipi così belli non passavano inosservati, osservò la prima, e la sua amica si trovò d’accordo.
“In realtà tanto vecchia non è, la costruirono negli anni 70, era tutta una copertura… Ma quando eravamo studenti noi non si sapeva.”
“Eccomi qui! Di che parlate?”
Declan fece ritorno con i bicchieri e un sorriso sulle labbra, dispensandoli ai colleghi mentre Claudia osservava piena di curiosità il suo boccale: non aveva mai sentito parlare di birra servita calda in tutta la sua vita. Keith trascinò verso di sé il bicchiere tumbler pieno di ambrato whisky e il secondo boccale di Burrobirra verso Marjory, che a differenza di Claudia sorrise di gioia e lo strinse tra le mani come se si fosse trattato di un oggetto di cui aveva a lungo sentito la mancanza.
“Della Stamberga Strillante. Ci sei mai stato?”
“Sì, una volta, è stato terrificante, ma all’epoca ovviamente dissi che erano tutte favolette e che solo i cretini potevano credere alla storia della casa infestata… invece l’interno era spaventoso, sembrava che ci avessero tenuto confinate mandrie di animali feroci.” Declan scostò la sua sedia per tornare a sedersi di fronte a Keith arrotolandosi leggermente le maniche del maglione blu notte sulle braccia sotto gli sguardi interdetti delle due vicine streghe pettegole, stupefatte alla vista di un terzo nuovo volto tanto attraente nella stessa serata.
“E quindi che cosa accadeva realmente?”, domandò Claudia fissando scettica la schiuma della Burrobirra prima di far scontrare il boccale contro quelli di Marjory e Declan e decidersi finalmente ad assaggiarla, stupendosi quando il gusto della dolce bevanda calda e dal retrogusto di mela si rivelò tanto piacevole sulla lingua. Quando si allontanò il bordo di vetro del bicchiere dalle labbra le era rimasta un po’ di schiuma su quello superiore, e la strega finì con l’arrossire imbarazzata quando volse lo sguardo su Declan e lui le indirizzò un sorriso divertito picchiettandosi l’indice sull’arco di cupido.
Ci tenevano un lupo mannaro. Poi ha insegnato qui per un anno Difesa contro le Arti Oscure… dieci anni fa se non sbaglio.”
“Questa scuola mi sembra sempre più strana ogni giorno che passa. Però questa mi piace molto! Se volete altro offro io. Mi spiegate per bene quella faccenda del Club di Lumacorno, invece? Ho sentito parlare di una cena oggi a colazione.” Claudia strinse il boccale con i palmi godendosi la piacevole sensazione di tepore lasciata dal vetro sulla pelle mentre faceva indugiare i brillanti occhi azzurri sui volti dei colleghi soffermandosi in particolare su quello di Keith, che mosse il capo in direzione di Raymond accennando il primo sorriso beffardo che gli avesse mai scorto sulle labbra e che per un breve istante sembrò riportare in vita un adolescente scapestrato sepolto da tempo:
“Te lo spiega Raymond, lui a quanto ricordo è esperto.”
Declan ridacchiò e Marjory non esitò ad accodarsi a Keith, annuendo con interesse esasperato mentre si allungava sul tavolo in direzione del collega sbattendo amabilmente le folte ciglia scure:
“Sì Aldridge spiegaci, illuminaci, noi siamo solo degli umili villici e nulla sappiamo in merito alle sacre cene di Luma!”
Marjory Leblanc era fortunata ad essere una donna, appurò Raymond mentre i suoi occhi indugiavano velenosi sul volto della collega, o invece di starsene zitto avrebbe saputo esattamente come risponderle in maniera terribilmente poco educata.

 
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Quel sabato sera Wendy Lightwood non avrebbe dovuto essere di ronda e ad aggirarsi tra i corridoi bui e freddi avrebbe dovuto esserci Isaac Scott, ma la cena organizzata da Lumacorno e i suoi più che evidenti favoritismi avevano mandato all’aria gli orari organizzati dai Caposcuola e a lei era spettato il compito di sostituire il posto vacante lasciato dal Serpeverde.
Li immaginava tanto facilmente, i suoi cari colleghi, starsene comodamente seduti nel bell’ufficio di Lumacorno mangiando prelibatezze mentre lei saliva gradini, percorreva corridoi bui e scostava arazzi, circondata dall’oscurità e dal silenzio interrotto solo dall’occasionale brusio generato dai soggetti dipinti dei quadri del castello. Era stata proprio una delle tante streghe raffigurate sulle tele che popolavano le antiche pareti di pietra a suggerirle di aver sentito qualcuno aggirarsi in direzione del settimo piano ed era pertanto esattamente lì che Wendy era diretta mentre camminava svelta reggendo la bacchetta dalla punta accesa e con delle cuffie bianche infilate nelle orecchie; era consapevole che ascoltare le Spice Girls mentre era di turno non sarebbe stato classificabile come un comportamento professionale, ma poiché era stata brutalmente privata del suo sabato sera di relax Wendy non era riuscita a trattenersi dall’infilarsi in tasca il suo lettore CD portatile.
In fondo un po’ di svago se lo meritava anche lei, osservò decisa la giovane Tassorosso mentre scostava un pesante arazzo con illustrazioni medievali per svoltare nell’ennesimo corridoio buio e deserto: del resto, mentre lei girovagava come un fantasma solitario, Isaac e Phil si stavano di certo ingozzando di budino!
Stava giusto riflettendo su quanto le sarebbe piaciuto mangiare un po’ di budino alla vaniglia quando le sembrò di udire il suono di una porta chiudersi, e svoltato l’angolo si ritrovò a studiare accigliata la silhouette di un ragazzo in piedi nel bel mezzo del corridoio, davanti ad una parete completamente spoglia.
Era sicura di aver sentito una porta chiudersi, rifletté accigliata la Tassorosso mentre i suoi occhi chiari rimbalzavano prima sul ragazzo e poi sulla parete che stava fronteggiando, ma di porte in vista non ce n’erano, di certo non in prossimità del Serpeverde completamente vestito di nero che la stava studiando di rimando tenendo le mani in tasca e con un’aria placidamente annoiata.
“William, che fai qui?! Lo sai benissimo che dovresti essere nella tua Sala Comune!” Dopo essersi infilata una mano in tasca per mettere in pausa la canzone dicendosi che con ogni probabilità era stata proprio la musica a confonderle l’udito Wendy si rivolse ad Ian incrociando con aria severa le braccia esili al petto, forse nella speranza di apparire giusto un po’ più minacciosa davanti ad un ragazzo che, oltre ad essere più grande, costituita fisicamente più o meno il doppio di lei.
Dici sul serio? Ho paura di essermi perso.” L’espressione pacifica sul volto di Ian non si scompose di un millimetro, e il ragazzo continuò a studiarla dall’alto in basso aggiustandosi distrattamente i capelli castani dietro le orecchie. Come sempre lo sguardo di Wendy indugiò sulle grandi mani del Serpeverde e in particolare sullo stato penoso in cui versavano le sue nocche, coperte da calli e qualche cicatrice. Era assolutamente sicura che il rugbista le avrebbe potuto far percorrere in volo l’intero settimo piano solo assestandole una manata, ma neanche quella consapevolezza riuscì a tenere a freno il suo piccato sarcasmo:
“Certo, e io sono tinta.”
“Se è così stai bene bionda.” Ian allargò le labbra carnose mostrandole un sorriso che Wendy non ricambiò, limitandosi invece a sbuffare prima di lanciargli la più inquisitoria delle sue occhiate:
“Cosa stavi combinando?”
“Niente, come ho detto mi sono perso.”
“Vivi qui da sei anni e ti sei perso? Non un granché come bugia William, io preferirei finire in punizione piuttosto di sembrare una perfetta imbecille. Seguimi, muoviti, come se non sapessi che la tua Sala Comune è da tutt’altra parte.”
La Tassorosso cessò di tenere le braccia strette al petto e con un cenno della mano destra, che reggeva la bacchetta, intimò ad Ian di precederla verso le scale che conducevano ai piani inferiori. Chissà quanto avrebbero riso i suoi compagni di squadra vedendolo obbedire ad una ragazzina dai lunghi boccoli biondi, rifletté il Serpeverde mentre avanzava in direzione di Wendy scoccandole un sorriso amabile:
“Sono sicuro che tu non ti sei mai trovata in questa scomoda situazione.”
“Mi prendi in giro?!”
Non oserei mai.”
“Io invece oso togliere 5 punti alla tua Casa, e aumenteranno ad ogni commento idiota.”
Wendy s’incamminò dietro di lui – probabilmente per assicurarsi che non se la desse a gambe – verso le scale e ad Ian non restò che starsene in silenzio, per nulla allettato all’idea di svegliarsi il mattino seguente e di trovare la clessidra della sua Casa praticamente svuotata. Stava scendendo i gradini che li avrebbero condotti al sesto piano riflettendo su quanto probabilmente un occhio esterno avrebbe trovato divertente il quadretto da loro costituito – un ragazzo alto un metro e ottantacinque, con le spalle larghe, pantaloni cadenti e la felpa di una rock-band che obbediva mesto agli ordini di una ragazzina bionda, minuta, con gli occhiali e somigliante ad una fatina – quando un paio di voci note ad entrambi ma in particolar modo a lui attirarono l’attenzione sua quanto quella di Wendy, ed entrambi si fermarono a pochi passi dal pianerottolo giusto in tempo per udire l’inconfondibile tonfo prodotto da un secchio rovesciato sul pavimento, seguito da una serie di sonore imprecazioni.
“Ma cosa stanno combinando quei due? Sono passata a controllarli venti minuti fa!”
Wendy sbuffò esasperata prima di invitare caldamente Ian a precederla addentrandosi all’interno del sesto piano, e Ian era talmente poco allettato all’idea di tornarsene in camera e curioso di appurare con i suoi stessi occhi che cosa stessero combinando i compagni che non se lo fece ripetere due volte, precedendo Wendy con ampie falcate lungo il corridoio semibuio fino a fermarsi a pochi metri di distanza da un paio di volti piuttosto noti:
“Te lo avevo appena detto, “Attenta al secchio”, mi hai riposto male dicendomi di non trattarti da cretina e poi cosa fai, lo rovesci dieci secondi dopo!” Håkon non sembrava di ottimo umore, appurò Ian mentre guardava con un sorriso deliziato il Grifondoro agitare la scopa che teneva in mano verso nientemeno che la sua migliore amica, in piedi davanti ad un secchio vuoto e ad un’enorme pozza di acqua piena di detersivo. Certo era appena stato beccato da un Prefetto nel pieno di uno dei suoi giretti notturni e aveva fatto perdere punti alla sua Casa, ma all’improvviso Ian riuscì a persuadersi che per godere di quel meraviglioso teatrino ne fosse assolutamente valsa la pena.
“Chiaramente è stata colpa tua quindi, me l’hai gufata!”, sbottò Autumn mentre cercava maldestramente di non bagnarsi la suola dei Doctor Martens neri che avevano di gran lunga visto giorni migliori, esattamente come quelli che anche Ian e Håkon portavano ai piedi, allontanandosi dalla pozza per dirigersi verso il secchio scarlatto dove lei e l’amico avevano lasciato gli stracci inutilizzati.
“Potresti essere un po’ più cauta nei movimenti, sei peggio di un rinoceronte in una gioielleria!”
“Rinoceronte lo dici a tua nonna, non a me!” Non avendo la bacchetta a disposizione per pulire Autumn si vide costretta a ripiegare sul cumulo di stracci che gli Elfi avevano dato in dotazione a lei e all’amico per scontare la punizione, ma quando udì una lieve risata echeggiare tra le pareti di pietra smise di raccoglierli per indirizzare un’occhiata furente al punto in cui si trovavano Wendy e Ian. Messi uno accanto all’altra formavano una stramba accoppiata, rifletté la Grifondoro mentre i suoi occhi nocciola rimbalzavano dalla minuta sagoma della Tassorosso a quella ben più massiccia del Serpeverde, ma quei pensieri ebbero vita breve: un istante dopo stava già formulando insulti verso il ragazzo che si era sognato di deriderla tanto apertamente:
“Che ci fai tu qui e soprattutto che cazzo ti ridi William?!” Mentre indirizzava un’occhiata truce in direzione del Serpeverde la voce di Autumn risuonò tra le pareti con un paio di ottave in più rispetto al necessario, ma anziché innervosirsi Ian ricambiò il suo sguardo distendendo le labbra carnose e rosee per dar vita ad un ampio sorriso rilassato:
“Niente, trovo solo che avrebbero potuto assumere donne delle pulizie un po’ più qualificate e meno maldestre di voi due. Vi siete ritirati dal Quidditch per usare manici di scopa di altro tipo?”
Håkon, che non avendo alcuna intenzione di ripulire il disastro causato dall’amica si stava svogliatamente reggendo in piedi standosene appoggiato proprio al suddetto manico di scopa, gettò a sua volta un’occhiata al Serpeverde dischiudendo le labbra per dar voce all’immagine che era appena affiorata nella sua mente, ma Autumn lo precedette con enfasi facendo alzare gli occhi al cielo a Wendy:
“Sai dove te lo ficco il manico di scopa?!”
“Fatela finita, o vi levo altri punti! Voi due, datevi una mossa con questi pavimenti, ci hanno messo meno a ricostruire la scuola che voi a pulire! E tu, visto che hai tanta voglia di andartene in giro e poca di startene in camera tua…”
La Tassorosso eseguì una lieve rotazione del busto per rivolgersi direttamente ad Ian, che sentendosi chiamare in causa smise di concentrarsi sui due Battitori rivali per chinare lo sguardo su Wendy; alla vista del lieve accenno di sorriso che sollevò gli angoli delle labbra del Prefetto e del guizzo che illuminò gli occhi azzurri di Wendy Ian sentì tutta la sua sicurezza vacillare, certo che per lui non ci fosse nulla di buono all’orizzonte.
 

“Quando avete finito voglio che mettiate tutto in ordine, poi andremo insieme dalla Preside e le spiegherete perché avete dovuto disturbarla così tardi avendo finito di scontare la vostra punizione in un arco di tempo pressochè imbarazzante.”
Cinque minuti dopo Wendy si era accomodata su una sedia presa in prestito dall’aula vuota più vicina, le gambe esili fasciate dalle calze della divisa accavallate e un piede che dondolava seguendo il ritmo della canzone delle Spice Girls che era tornata ad ascoltare a basso volume. Se il suo udito era concentrato altrove gli occhi celesti della strega erano tuttavia concentrati in tutto e per tutto sulle tre persone che aveva davanti, tutte armate di scopa e stracci e impegnate a pulire i pavimenti.
“Tutto sommato ci fa comodo che questo imbecille abbia deciso di farsi una passeggiata, eh William? In tre si fa prima.”
“Stai zitta Erwood. E strofina meglio, stai pulendo peggio di come giochi a Quidditch!”
“Stai zitto tu, chi l’ha vinta la Coppa l’anno scorso? Noi, sfigato invidioso, il verde ti dona proprio!”
Se mai gli avessero anticipato che si sarebbe ritrovato costretto a trascorrere un sabato sera di quel tipo probabilmente Håkon non ci avrebbe mai creduto. Esasperato, smise di strofinare il suo angolo di pavimento e si voltò verso Autumn e Ian, trattenendo l’impulso di prendere la parete a testate per l’esasperazione quando li vide impegnati a contendersi uno straccio in una specie di ridicola battaglia di hockey. Probabilmente non avrebbe mai creduto nemmeno che Autumn e Ian si sarebbero trovati a rivaleggiare non solo sul campo da Quidditch in sella a delle scope e pronti a colpire Bolidi, ma anche in un corridoio contendendosi uno straccio.
“Giuro che mi avete rotto i coglioni. Se non state zitti vi prendo e vi infilo in un secchio.”
Non avrebbe mai creduto di pensarlo, si disse amaramente il Grifondoro mentre tornava a pulire cercando di ignorare il suono lontano della voce della madre pronta a fargli notare quanto male stesse facendo il suo dovere, ma non aveva mai invidiato tanto i membri del Lumaclub in tutta la sua vita.
 
 
  
 
 
 
 
 
(1): Tipica bevanda russa
(2): Sawyer è nato a novembre, quindi stando alla ridicola regola della lettera per Hogwarts che arriva al compimento degli 11 anni lui, Cornelia e Håkon hanno un anno in più rispetto a Lena, Ian, Aster ed Autumn avendo iniziato la scuola “in ritardo” a 12 anni.
(3): Di sicuro qualcuno si sarà chiesto come sia possibile che la cara Mc insegni ancora Trasfigurazione pur essendo Preside, mi rendo conto che non sia molto coerente ma la spiegazione è semplice: ho provato ad immaginarmi un’insegnante di Trasfigurazione nuova di zecca, un po’ come ho fatto per Difesa contro le Arti Oscure, giuro di averci provato ma ammetto di non esserci riuscita. Diciamocelo, nessuno può rimpiazzare facilmente la Mc e immagino che lei stessa non avrebbe accettato di essere sostituita da chiunque, quindi ho immaginato che per qualche anno abbia continuato anche ad insegnare. Tanto quella donna è più strong di Superman, può fare tutto.
Modello di poltrona francese imbottita
(4): Raccolta di racconti di Oscar Wilde
(5): Modello di poltrona francese imbottita
(6): Credo che avendo insistito molto la questione dell’ananas meriti una spiegazione: è in parte una citazione alla saga, infatti nel famigerato ricordo che Harry estorce tanto faticosamente a Lumacorno nel Principe Mezzosangue sentiamo il professore affermare di amare in maniera particolare l’ananas candito. Ma chi ha letto il Camp sa anche quanto la questione fosse diventata forse il meme principale della storia a causa dello smodato amore che Phil provava nei confronti del frutto, tanto da essere soprannominato “Uomo Ananas”. Forse qualcuno ricorda anche il pigiama e il costume con gli ananas che gli avevo propinato, ah, che bei tempi!
 
 
 
 
 
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Angolo Autrice
Buonasera!
Speravo di metterci meno per pubblicare questo capitolo ma per lo meno sono riuscita a farvelo avere entro maggio, per ora più o meno persevero nel mio buon proposito di un capitolo al mese (🤞). Sono un clown perchè sto pubblicando a mezz'ora di orologio dal primo maggio, ma sorvoliamo. Anche questa volta non ho domande con cui ammorbarvi l’esistenza, mi limito ad anticiparvi che nel prossimo capitolo Luma tornerà all’attacco e che sempre nel prossimo capitolo si collocherà un “avvenimento” di un certo spessore per l’evoluzione a lungo termine di un paio di personaggi e della loro relazione. Credo che qualcuno abbia già capito, ma taccio.
Mi dispiace invece non aver mostrato tutte le prime lezioni dei Prof, l’idea iniziale era di soffermarmici di più ma in parte il capitolo stava diventando troppo lungo e in parte avevo paura che dovendole inserire tutte nello stesso capitolo l’effetto finale potesse risultare noioso e fastidiosamente ridondate.
Surprise surprise è venuto fuori un “segretuccio” di Keith volutamente omesso fino a questo momento, ma in generale credo che per capire fino in fondo il personaggio dovrete aspettare la fine della storia.
Per ora vi saluto, spero che abbiate gradito il capitolo!
A presto!
Signorina Granger

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