Boksu, una cupa giustizia

di fiore di pesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 하나, Uno ***
Capitolo 2: *** 둘, Due ***
Capitolo 3: *** 셋, Tre ***
Capitolo 4: *** 넷, Quattro ***



Capitolo 1
*** 하나, Uno ***


Buongiorno Lettore,

questa è una short horror ambientata in Corea del Sud. I capitoli saranno brevi, 4 di numero, dato che in Estrema Asia il numero 4 è considerato foriero di sventura. Pubblicherò un giorno sì e due no.

Mi fu ispirata circa un mesetto fa da un’incidente con un neon in lavanderia mentre leggevo una creepypasta gentilmente offertami da Tubo Belmont, quindi amico mio, a te i miei ringraziamenti!

La trama verte sul classico e non sfocia nello splatter, ragion per cui non ho messo rating rosso, ma in caso abbia scelto male fatemelo notare. Il primo capitolo è di introduzione.

Non è un giallo: la questione non girerà attorno alla morte del personaggio. Potete sorvolare sull’argomento, anche se alla fine sarà svelato se si tratta di una morte spontanea o di un assassinio.

Come differenza sostanziale rispetto a tutte le storie che ho pubblicato finora, alla fine di ogni capitolo vi proporrò un’immagine creata con l’AI di una delle scene del capitolo (quella appena qui sotto l’ho inserita solo perché mi era piaciuta particolarmente). Perché l’ho scoperta e mi sono divertita un sacco a creare di tutto, quindi lo condivido volentieri con voi.

Grazie a chi vorrà leggere questa storia e… ci vediamo alla fine!

Fiore di Pesco

 

복수, Boksu

una cupa giustizia

하나, Uno

Qualunque uomo, donna o bambino avesse posato gli occhi su Yiko Baesin non sarebbe potuto rimanere indifferente di fronte alla sua eterea bellezza che ottenebrava perfino lo splendore del fiore dell’orchidea di Shenzen rossa stretto tra le sue dita elegantemente smaltate di borgogna.

La pelle candida come la polpa delle pere nashi, le sue labbra piene di una sfumatura naturale di porpora, gli occhi scuri profondi circondati da ciglia folte e perfette, come il suo trucco delicato e il suo nasino, posto tra due zigomi affusolati che davano al suo viso l’aspetto di una dea dell’Estremo Oriente.

Folti capelli d’ebano le circondavano il volto, corposi e vivi, coperti appena da un cappello nero con un piccolo velo di qualche centimetro che le riparava gli occhi. Le ciocche scure si posavano sulle sue spalle fini, appena sopra al seno pronunciato che palpitava sotto ad un vestito da lutto di ottima fattura. Sua suocera glieli aveva sciolti poco prima della funzione, farfugliando tra le lacrime le sue condoglianze.

Sebbene si trovasse al funerale di suo marito e il maltempo veniva annunciato da coltri scure e dal rimbombo di tuoni lontani, era impossibile non poggiare gli occhi sulla sua figura e restarne incantati.

Non piangete per me, disse Gesù, poiché stasera siederò alla destra del Padre. Così Padre Nostro, accogli nostro fratello Seung alla tua tavola e dona a lui la vita eterna.” la voce del parroco prevalse sui lamenti e sui singhiozzi che pervadevano la funzione funebre. “Il nostro pensiero di cordoglio va alla famiglia Nungwa e alla moglie, separata prematuramente dall’amore terreno. L’abbraccio di Dio Onnipotente vi consoli nella Sua infinita misericordia.”

Tutti guardarono la vedova desolati e ammirati mentre si tamponava leggermente le narici con un fazzolettino bianco, trattenendo un singhiozzo e stringendo le labbra quando la bara di mogano venne fatta calare nella fossa. Nessuno celava il proprio rammarico, ad eccezione di due donne poste di fronte a lei, dall’altro lato della voragine che di lì a poco avrebbe ospitato per sempre le spoglie mortali di Seung Nungwa.

Erano la madre del defunto, Lao Mei Nungwa, con lo sguardo perso nel vuoto, ancora sotto shock per la perdita del figlio, e la sorella di Seung, Kim Seh Nungwa.

Kim Seh strinse le labbra truce e non guardò la bara che sprofondava nell’alcova di terreno, perché non era quello il ricordo che voleva serbare di suo fratello maggiore. Voleva ricordarlo come l’aveva visto la settimana precedente, quando avevano festeggiato e bevuto perché era sopravvissuto ad una brutta caduta dal tetto della sua villa nella periferia di Seul, ferendosi solo una gamba e lievemente un braccio e lui aveva scherzato dicendole che ci era mancato davvero poco a farla diventare la figlia maggiore della famiglia.

“Ti prego, Kim… non guardarla così.”

Kim Seh avvertì il tocco di un braccio intorno alle sue spalle e solo per qualche istante spostò lo sguardo iracondo dalla giovane vedova al suo fratello più piccolo, che le cingeva il dorso con afflizione. “Taci, Jung Ji.”

Jung Ji sospirò e fece scivolare il proprio braccio dalle spalle della sorella maggiore, mentre la vedova Yiko lasciava cadere sopra alla bara il gambo fiorito dell’orchidea e si allontanava con gli occhi bassi, tentando di nascondere le lacrime al rumore della terra che veniva buttata impietosamente sul fiore appena donato.

“So che non scorre buon sangue tra di voi, ma era suo marito, Kim… sii ragionevole almeno oggi. Tutti noi abbiamo perso il fratellone.” Tentò un’ultima volta Jung Ji.

La bocca di Kim Seh si storse in una smorfia di disgusto. “L’unico errore di nostro fratello è stato sposare quella bastarda. Lo ha ucciso lei.”

“Abbassa la voce.” Sussurrò angosciato Jung Ji.

Kim Seh seguì con lo sguardo Yiko che veniva sostenuta da una sua amica, come se il dolore la stesse consumando e non riuscisse a vedere dove poggiava le sue eleganti décolleté nere.

Assassina… pensò Kim Seh, dirigendosi velocemente verso la cognata, scansando un paio di parenti in lacrime. La raggiunse in poche falcate, gonfiando il petto con i lineamenti distorti dalla rabbia.

“Sarai contenta, adesso!”

Yiko strinse gli occhi feriti dal pianto e si chiuse su di sé, come se si fosse accartocciata su sé stessa. La sua amica la sostenne e avvolse in un abbraccio goffo, guardando sconvolta Kim Seh, ancora irta di fronte a loro, funesta e sprezzante.

“Non le bevo, le tue menzogne. So che hai causato tu la morte di mio fratello!” urlò Kim Seh, furibonda.

“Adesso basta!” intervenne il padre di Kim Seh, rigido e contrito nel suo completo nero, ponendosi di fianco alla vedova del figlio, mentre uno sconvolto Jung Ji correva a braccare Kim Seh, per trascinarla via. “Vergognati per il tuo comportamento, Kim Seh! La tua mancanza di rispetto è oltraggiosa! Vattene.”

I partecipanti osservarono la scena basiti e il parroco strinse in mano la Bibbia aprendo leggermente la bocca in stupore quando la figlia dei Nungwa venne trascinata via dal fratello e da un amico di quest’ultimo.

“Kim, che diavolo ti è preso?!” sibilò Jung Ji una volta che si furono allontanati dal funerale.

Fu allora che poté notare come le labbra di Kim Seh tremassero, i suoi erano occhi umidi e pieni di capillari rossi e manifestasse una grave tensione delle guance e dei muscoli del collo mentre serrava compulsivamente i pugni.

“Lo ha ucciso lei… come può non esserti evidente?” sussurrò Kim Seh con la voce spezzata. Jung Ji la abbracciò e solo allora lei irruppe in un pianto disperato e silenzioso.

Il suo amico, Cheol, li fissò imbarazzato per qualche secondo prima di distogliere lo sguardo da quella scena intima. Dopo qualche minuto aiutò Kim e Jung a tornare alla Tesla che li aveva accompagnati fino a lì, dove l’autista li stava attendendo serio.

“Per favore, porti mia sorella a casa sua, grazie.” Fece un leggero inchino col capo Jung Ji, mentre chiudeva la portiera dopo aver fatto accomodare sulla vettura la sorella maggiore. L’autista rispose affermativamente e si mise alla guida.

“Tu non vai a casa?” gli chiese timidamente Cheol, che non sapeva come comportarsi in una situazione tanto delicata.

“No, non sopporto di tornare lì e vedere mia madre che… continuo a pensare che sia solo un incubo… ti prego, andiamo a bere qualcosa.” Sospirò Jung Ji passandosi una mano sul viso, ripensando all’espressione scioccata e depersonalizzata della madre nell’ultima settimana.

Cheol tentennò un po’. “Sei sicuro di voler andare in un locale? Forse è meglio che andiamo a casa mia, ho del buon Takju…”

“Sì, va bene, grazie.”

 

“Perché tua sorella si è comportata così?” chiese Cheol, versando il liquore dall’aspetto lattiginoso nei bicchieri.

“Mia sorella… non la capisco. Sai, lei ha studiato Giurisprudenza e si è specializzata in Criminologia all’università di Seul ed è sempre stata una tipa paranoica ma… questa volta ha esagerato.” Soffiò Jung Ji, ingurgitando di colpo una sorsata di Takju e porgendo il bicchiere all’amico per farsi un altro giro.

“Sembrava davvero convinta che Yiko fosse colpevole…” Cheol riempì di nuovo il bicchiere a Jung e poi ripensò alla giovane vedova. “Era distrutta, la poverina. Si vedeva che stava soffrendo tanto per… non posso credere che una donna tanto bella abbia potuto uccidere… il marito.”

“Non sappiamo cosa abbia ucciso mio fratello… forse…” Jung prese il pacchetto di sigarette che teneva nella tasca della giacca. “I medici hanno detto che potrebbe essere stata una complicazione dovuta alla caduta che aveva fatto la settimana scorsa. Un minuscolo aneurisma o qualcos’altro che ha fatto andare in corto il cervello.”

“Era caduto? Dove?” chiese Cheol, prendendo una delle sigarette che gli offriva Jung Ji.

“Da una scala per recuperare qualcosa sul tetto… non ho ben capito cosa stesse cercando di fare.” Jung Ji fece una pausa per accendere la sigaretta. “La scala ha ceduto, i bulloni erano allentati per l’usura. Per fortuna non si è… non si era fatto nulla. Un’abrasione sul braccio e una escoriazione un po’ più seria sulla gamba. Dopo nemmeno 48 ore è morto nel sonno.”

Cheol scosse la testa, dispiaciuto. Jung Ji riprese a parlare, con lo sguardo rivolto al bicchiere di Takju sul tavolino del salotto di Cheol. “Hanno fatto l’autopsia, gli esami… non è risultato niente. Il suo cuore si è fermato nel sonno e quando al mattino Yiko si è svegliata, lui era già morto da ore.”

“Oddio…” rabbrividì Cheol. “Deve essere stato terribile per lei.”

“I vicini hanno sentito le sue urla e hanno chiamato la polizia, ma era troppo tardi.”

 

“Quando è arrivata la polizia, lui era sdraiato nel letto, a pancia in su.” Kim Seh prese un sorso di soju, rivolta alla sua amica e collega universitaria, Jangmi, nelle proprie stanze. “Non dormiva mai supino, sempre e solo su un fianco o al limite a pancia in giù per un problema che aveva alle vertebre lombari.”

“Che avesse cambiato abitudini?” propose Jangmi, toccandosi il mento mentre vagliava tutte le probabilità nella sua mente.

“No, lo escludo. Proprio la settimana prima ne avevamo discusso dato che voleva cambiare fisioterapista.”

“L’autopsia ha fornito dei risultati?”

Kim Seh si morse il labbro inferiore con rabbia prima di rispondere all’amica. “No, sembrava tutto nella norma… anche il tossicologico non riporta anomalie, se non una lieve iperkaliemia che però non ha destato sospetti dato che assumeva regolarmente integratori di potassio e magnesio e il giorno prima non aveva voluto cenare né aveva bevuto alcool… la bastarda ha raccontato alla polizia che non si sentiva tanto bene, è andato a letto e non si è più svegliato. Ha detto di avergli fatto un massaggio cardiaco post mortem e questo è stato confermato. Nessuno ha voluto indagare più a fondo, lasciandole perfino il tempo per eliminare le prove.”

“Quindi non è stato avvelenato né ha subito un trauma… ci sono delle evidenze materiali che ti spingono a pensare che sia lei la responsabile della sua morte?” Jangmi si fece coraggio prima di porle la domanda, anche se sapeva che la sua amica era una donna razionale e non avrebbe frainteso il suo quesito legittimo.

“Sapevamo tutti che quella accaparratrice era alla ricerca di un matrimonio vantaggioso, e mio fratello, socio di maggioranza nell’azienda di mio padre e molto più che benestante, rappresentava il target ideale per quel genere di donna.” Rispose Kim Seh, sorseggiando lo soju.

“In tal caso, non sarebbe stato meglio recitare la parte della brava mogliettina e stare buona a mungere un po’?”

Kim Seh strinse i pugni. “Mio fratello valeva più da morto che da vivo. Si era sposato con un accordo prematrimoniale, aveva una assicurazione sulla vita eccellente e solo alla sua morte o alla nascita di un figlio suo lei avrebbe potuto ereditare tutti quei beni. Essendo così giovane, non aveva fatto testamento e quindi per legge tutto passa a lei in ogni caso.”

Jangmi annuì, pensando che effettivamente a ventinove anni era legittimo non aver ancora fatto testamento. “Appurato che lei avrebbe rilevato tutti i beni materiali, l’assicurazione e le azioni della società, deve esserci sicuramente qualcos’altro che ti ha spinto a pensarla in questo modo.”

Kim Seh puntò gli occhi in quelli dell’amica. “Ci sono tante cose che nell’ultimo anno mi hanno dato da pensare. Purtroppo non me le sono segnate tutte, ma c’era qualcosa nel suo modo di porsi, nei sorrisi e negli sguardi che gli lanciava, che non mi lasciava affatto tranquilla.”

“Era ostile?” Jangmi si prese da bere.

“No, era totalmente priva di microespressioni e di sincerità. Era palese che non fosse una donna onesta e non ha mai tenuto a lui, lo manipolava e basta.”

“Però…” pensò Jangmi. “Hai detto che sembra tanto bella da non essere vera… sicuramente è tutta rifatta e se le hanno fatto un restauro con i controfiocchi sai che alcuni muscoli non si possono più muovere e le microespressioni ci vanno a perdere.”

Kim Seh si imbronciò. “Sicuramente ha abusato del chirurgo estetico ma credimi se ti dico che non c’era amore nei suoi occhi. Quello, nessun chirurgo potrebbe rimuoverlo. Inoltre… quando ho visto il corpo di mio fratello, lui aveva una contrazione sul viso.”

“Si pensa che chi muoia durante il sonno non provi dolore, ma è perché in pochi sanno interpretarlo…” provò a giustificare l’accaduto Jangmi. “In realtà, si sente sempre un po’ di male quando il cuore si ferma. Per quello il viso si contrae.”

“Lui non aveva un’espressione di dolore… era paura.”

 

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Capitolo 2
*** 둘, Due ***


, Due

Yiko Baesin si chiuse la porta alle spalle, si appoggiò alla porta di ingresso e respirò profondamente.

Appena qualche ora fa aveva seppellito suo marito, Seung Nungwa di anni ventinove, con cui conviveva da un anno e che aveva sposato nove mesi prima. Vedova e senza un erede. Adesso tutti i beni di suo marito pendevano su di lei ed era totalmente sola.

“Pensa che l’abbia ucciso io…” rifletté a bassa voce, togliendosi le scarpe alte e il cappellino, diretta al salotto, dove prese un bicchiere di vodka ghiacciata per affievolire il malessere che la opprimeva: il vino californiano non sarebbe stato sufficientemente forte per il suo stato d’animo.

Attraversò l’atrio col bicchiere pieno in mano, salendo le scale per andare in camera da letto, svestirsi e prepararsi un bagno caldo di cui aveva un disperato bisogno. Prese un sorso di vodka che per poco non le andò di traverso quando dal corridoio vide la luce della camera da letto accesa.

“C’è qualcuno?” chiese ad alta voce attendendo immobile. Non giunse risposta, tutto rimase inerte.

Dopo un minuto di stasi si fece coraggio ed entrò circospetta nella stanza, osservando come fosse tutto in ordine, esattamente come l’aveva lasciata.

Devo averla dimenticata accesa… pensò sfiorando l’interruttore touch e uscendo dalla stanza per andare a prepararsi un bagno caldo.

Si spogliò e si infilò nell’ampia vasca, sul cui bordo poggiò il bicchiere quasi vuoto e si immerse nell’acqua calda e profumata per distendere i nervi dopo gli ultimi giorni di emozioni che aveva provato.

Appoggiò la testa al cuscino di gomma della vasca quando un rumore le fece acuire i sensi. Sembrava provenire da un’altra stanza.

“Chi c’è?!” urlò con voce stridula, senza udire risposta.

Preoccupata, si alzò e si avvolse intorno l’asciugamano di cotone, poi andò a controllare.

Nello studio di Seung poté vedere come il quadro con la gigantografia del loro matrimonio fosse caduto e adesso versava capovolto circondato da schegge di vetro. Osservò per qualche secondo l’oggetto in frantumi, respirando silenziosamente. Era finito esattamente come il loro matrimonio… di colpo in pezzi, dall’apice agli abissi su un suolo freddo e duro.

Era successo senza preavviso, ma si trattava chiaramente di un incidente che nulla aveva a che fare con l’intervento di una persona.

Volse lo sguardo allo specchio a grandezza umana su una parete dello studio, posto di fronte alla grande vetrata che dava sul lato occidentale del giardino. La propria immagine le mostrò il colorito spento e le occhiaie grigiastre che si erano formate sotto ai suoi occhi, accentuate dal mascara colato. Era da giorni che trascurava la skincare… l’asciugamano bianco le fasciava elegantemente i fianchi fini e dietro di sé la vetrata rifletteva il suo profilo sfocato e l’ombra di un uomo alle sue spalle.

Si girò di scatto. Non c’era nessuno dietro di lei. Guardò al riflesso nel vetro: l’unica cosa visibile era la sua figura. Una brutta sensazione di ansia le pervase il petto e decise di scendere al piano inferiore per chiudere di nuovo la porta a chiave e inserire l’allarme.

Devo dormire… pensò toccandosi la fronte, stupita dallo scherzo della sua mente.

Tornò in bagno, constatando che l’acqua si era freddata nel frattempo. Aprì di nuovo i rubinetti per farla tornare a temperatura, li richiuse e vi si immerse. Bevve l’ultimo sorso di vodka e rimase in ascolto del grande silenzio che la circondava, con la guancia sinistra appoggiata al bordo della grande vasca.

Non dormiva da giorni e lentamente si sentì assopire nel caldo crogiolo dell’acqua dalla cui superficie filtrava un vapore che le obnubilava i pensieri. In quello stato di pace, quasi non le sembrava vero che Seung non ci fosse più. Non si sarebbe stupita se da un momento all’altro fosse entrato dalla porta della toilette con due bicchieri di rosso in mano.

Chiuse gli occhi mentre le luci della cromoterapia che lui aveva fatto installare per lei alternavano varie sfumature per accentuare l’esperienza sensoriale. I colori filtravano attraverso le sue palpebre chiuse e variavano dalle tinte verdi a quelle blu, a quelle rosse… rosse… ancora rosso… sempre rosso.

Dischiuse leggermente le palpebre, domandandosi come mai la luce rossa non cedesse ancora il posto ad altri colori. In quel torpore, l’immagine di suo marito volto di spalle di fianco a lei, seduto a meno di un metro all’esterno della vasca, non le parve poi tanto strana.

È un sogno?

Fece per parlare ma si rese conto di non riuscire a muoversi. Spalancò gli occhi rendendosi conto che non poteva essere un sogno. Lui era davvero lì, illuminato di un rosso tanto scuro da parere quello del sangue.

Sentì i battiti del proprio cuore rimbombare nel padiglione auricolare sinistro e il respiro aumentare d’intensità quando la figura ruotò lentamente il viso verso di lei, mostrandole il pallore di un cadavere e gli occhi infossati, come infuocati per il riflesso delle lampade della cromoterapia.

Seung è morto, è morto, è… aiuto! Qualcuno mi aiuti! Urlò nella propria mente quando suo marito aprì la bocca, mostrandole un buco oscuro ovale alla cui fine si intravedeva un cupo bagliore rosso, un pozzo sul cui fondo qualcosa stava ardendo.

Sentì vampate di freddo e calore percorrerle il corpo dalle punte dei piedi abbandonate alla vasca fino all’apice dei capelli quando lui emise dei gorgoglii dalle profondità della gola, come se stesse soffocando, un’espressione di terrore sul viso cadaverico.

Davanti agli occhi di Yiko si parò la mano aperta di Seung, pronta a poggiarsi sul suo viso, bloccandole la visuale del volto osceno di lui.

Un rumore improvviso e deciso la fece svegliare, l’immagine di suo marito si dissolse e la luce verde prese il posto di quella rossa. Acquistò immediatamente la capacità di muoversi e si tirò su con violenza, facendo strabordare l’acqua dalla vasca. Uscì, scivolando sulle piastrelle lisce e picchiando il sedere per terra.

Ansimò, guardandosi intorno sconvolta, senza vedere nessuno intorno a sé. Afferrò l’asciugamano e sussultò quando il rumore del citofono si udì di nuovo distintamente.

Batté le mani per accendere la luce del bagno e i led della cromoterapia vennero presto sostituiti da un bianco freddo che non lasciava spazio ad altro che alla sua solitudine. Non c’era nessuno, oltre a lei, in quel bagno.

Si posò una mano sul petto, sentendo nitidamente il cuore batterle talmente forte da farle dolere la cassa toracica.

Era un incubo…

Il citofono suonò ancora e decise di riscuotersi da quell’angoscia paralizzante. Si alzò, si avvolse intorno l’asciugamano e uscì dal bagno, dove le luci più calde del corridoio erano ancora accese. Si affrettò ad andare ad aprire, felice che qualcuno l’avesse svegliata nonostante fino a poco prima il suo unico desiderio fosse di dormire indisturbata.

Senza nemmeno guardare dalla telecamera dello spioncino, aprì l’uscio con urgenza.

Il viso di Seung emerse dall’oscurità della notte, facendola sobbalzare, terrorizzata.

Jung Ji, ancora nel suo completo nero, si guardò intorno spaesato e volse gli occhi sulla cognata stravolta, circondata solo da un asciugamano di cotone bianco e dallo sguardo impanicato. Yiko espirò sollevata, realizzando che si trattava solo del fratello minore di Seung.

“Ehi… Yiko, tutto bene?” Jung Ji si pentì immediatamente di quella domanda stupida. Ovvio che non andasse tutto bene, era rimasta vedova la settimana precedente… “Intendevo dire…”

“Sì… scusa se ti accolgo così, stavo facendo un bagno.” Farfugliò Yiko, spostandosi di lato per fargli spazio. “Entra pure.”

“Se ti disturbo posso passare un’altra volta, non vorrei che…”

“No, ti prego, entra.” Pronunciò lei con una nota nella voce che non ammetteva repliche e allo stesso tempo trasmetteva una forte ansia. Jung Ji tentennò qualche secondo prima di entrare in casa, notando le chiazze d’acqua che si stavano asciugando lungo le scale che conducevano al piano superiore.

“Mi dispiace averti interrotto, ho visto la tua auto qui fuori e ho pensato che fossi in casa. Sono passato a vedere come stavi…” disse imbarazzato, cercando di non guardare verso la cognata che indossava solo un asciugamano.

“Hai fatto bene…” mormorò lei richiudendo la porta e guardandosi attorno rendendosi conto in quel momento di vertere in una situazione abbastanza disdicevole, mezza nuda davanti a suo cognato. “Per favore, attendi un secondo in sala, mi vesto e ti raggiungo immantinente.”

Lui annuì, togliendosi la giacca e tenendola in mano imbarazzato.

Yiko corse al piano di sopra e indossò velocemente un vestito da notte di lino bianco e una vestaglia di seta color panna, poi raggiunse il cognato che in salotto la attendeva studiando l’angolo bar e le bottiglie esposte.

“Posso offrirti qualcosa da bere?” gli domandò, attirando la sua attenzione.

“Sì… volentieri. Qualcosa di forte.”

Restarono in silenzio mentre lei gli serviva del whiskey, ancora turbata per l’esperienza onirica terribile che aveva appena vissuto. Si accomodarono sugli ampi divani in pelle, uno di fronte all’altro, e fecero qualche chiacchiera di circostanza commentando la bellezza della funzione funebre di Seung, evitando di accennare alla scenata fatta da Kim Seh.

Dopo quasi un’oretta di conversazione, il ritmo degli scambi si era un po’ arenato e Jung Ji cominciava a percepire tutto l’intontimento dato da una settimana di alcool e deprivazione del sonno. “Beh, allora vado…” sorrise a disagio, facendo per alzarsi dal divano.

Yiko alzò istintivamente le mani, come se tentasse di fermarlo. “No, aspetta, puoi restare se vuoi.”

Lui la guardò stranito. “Ehm… non vorrei che qualcuno si facesse strane idee che io… sì, beh, che io passi la notte qui con te…”

Yiko si mosse a disagio sul divano perché, per quanto fosse consapevole che le malelingue erano sempre in attesa di un passo falso per poter ledere la reputazione dello sventurato di turno, in quel momento l’ipotesi di passare da sola la notte in casa sua la terrorizzava più di quello che chiunque avrebbe potuto dire. “Diremo che sei venuto per sbrigare degli affari di Seung e che sono stata male e mi hai dato assistenza. Questa cosa non è una bugia.”

Jung Ji boccheggiò confuso. “No, però… perché vuoi che resti qui?”

Lei si strinse le ginocchia come se volesse chiudersi su sé stessa, raccogliendo le mani davanti al petto. “Mi sento tanto triste quando sono sola… Seung mi manca immensamente e faccio dei sogni orribili, non riesco a riposare da quando… lui non c’è più. Tu me lo ricordi tanto, sei un bravo ragazzo, nessuno penserà male di te. Sono tua cognata, ti vedo come un fratello…”

“Va bene…” si arrese Jung Ji, imbarazzato e leggermente intontito. “Hai una stanza degli ospiti?”

“Parliamo ancora un po’.” Gli propose alzandosi per riempirgli di nuovo il bicchiere.

 

Il campanello suonò impietoso alle otto e trenta del giorno dopo.

Yiko si riscosse dal sonno, guardandosi attorno mentre provava a tirarsi su togliendosi di dosso la copertina che Jung Ji doveva averle messo addosso la notte precedente. Si sentiva molto più tranquilla e tutta l’inquietudine del giorno prima si era dissolta, dimostrandole razionalmente che il giorno prima si trovava in uno stato d’animo alterato e che, alla luce del sole, anche la paura svanisce come le tenebre.

Sul divano di fronte a quello su cui si era appisolata, Jung Ji ancora vestito e addormentato era stravaccato contro un bracciolo, la bocca leggermente socchiusa. Aveva bevuto davvero tanto, non era stupita che non avesse sentito il campanello, che trillò nuovamente.

Si alzò e andò ad aprire, chiedendosi chi potesse essere a quell’ora dato che non attendeva visite: le donne delle pulizie erano libere fino all’indomani.

Vide dalla telecamera del citofono che un gruppo di uomini in divisa e altri dal completo nero sostavano di fronte all’ingresso. Aprì la porta.

Lo sguardo funesto di Kim Seh la inchiodò davanti all’uscio di casa propria. Indossava un tailleur nero e i capelli a caschetto squadrato le incorniciavano il viso austero.

“Signora Baesin-Nungwa Yiko? Buongiorno, sono l’ispettore Park.” Disse l’uomo che si frappose fra Yiko e Kim Seh, interrompendo una gara di sguardi che lasciava presagire tutto tranne cooperazione. “Abbiamo un mandato per ispezionare la casa, la preghiamo di mantenere la calma e non opporre resistenza.”

Kim Seh rimase impassibile mentre focalizzava tutte le sue capacità deduttive a studiare il viso apparentemente sconcertato della cognata. A parere di Kim Seh, ogni sua mossa sembrava talmente studiata nel dettaglio che ben poco aveva a che fare con i peccati della chirurgia estetica di cui Yiko si era sicuramente macchiata.

Kim Seh, che controvoglia aveva accettato di fare l’intervento di blefaroplastica regalato dalla madre per la sua laurea, per quanto potesse essere considerata carina, non sarebbe mai arrivata al suo livello di bellezza nemmeno dopo aver dato fondo alla sua eredità presso il miglior chirurgo plastico della Corea del Sud. Tuttavia non la invidiava per questo. Per lei non avrebbe avuto alcun senso avere un aspetto tanto sublime se all’interno si covava una crudeltà tanto spietata come quella di cui accusava Yiko Baesin.

In passato, ogni volta che l’aveva osservata, aveva avuto la stessa sensazione di trovarsi di fronte ad un sepolcro imbiancato. Una bellissima tomba di alabastro intarsiato. Stupenda a vedersi ma, al suo interno, qualcosa sta marcendo.

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Capitolo 3
*** 셋, Tre ***


, Tre

Yiko aprì gli occhi e lentamente mise a fuoco le mura sporche e a tratti scrostate del vecchio appartamento in cui si trovava. Sarebbero potuti passare cento anni e avrebbe continuato a riconoscere quelle pareti tra mille. Ognuna di quelle crepe e rigonfiamenti nel compensato raccontavano un episodio del suo passato.

Lì, dove il cartongesso mostrava un foro sbocconcellato, suo padre aveva tirato un ombrello contro il capo di sua madre, mancandola di pochi centimetri, per conficcarsi nel muro. Quella volta, le botte che i suoi genitori si erano reciprocamente scambiati erano state tanto plateali che perfino i vicini avevano deciso di intervenire per interrompere la lite.

Era rimasta accovacciata su sé stessa, con le mani sulle orecchie e i gomiti a ripararsi il viso, dentro all’armadio a muro con le ante a persiana dotate di scanalature che non erano in grado di schermare il suono della violenza cui i suoi genitori la rendevano testimone.

Quella volta erano intervenute perfino le forze dell’ordine e suo padre era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, mentre la madre era stata mandata per tre mesi in una clinica a disintossicarsi. I servizi sociali coreani l’avevano affidata a sua nonna materna per quel lasso di tempo, e quella era stata un’esperienza formativa di enorme importanza per lei.

La nonna faceva l’infermiera presso l’ospedale di Yeongcheon ed era addetta a fare i prelievi e somministrare la chemioterapia e praticare la dialisi. Durante quei mesi, nei giorni in cui non c’era la scuola, andò insieme alla nonna all’ospedale, osservandola lavorare e si era innamorata di quella professione. Avrebbe voluto essere come la nonna, oppure un medico o una laboratorista.

“No, Yiko, tu sei troppo bella per sprecare la tua vita come ho fatto io: sposa un uomo ricco, arriva in alto, dimentica questa vita e sii felice.” Le disse sua nonna il giorno in cui le chiese che scuola avrebbe dovuto fare per fare il suo lavoro.

La sua risposta la aveva ferita, perché in cuor suo sapeva che mai e poi mai avrebbe potuto accettare di vivere sottomessa ad un uomo, non quando…

Il rumore di voci lontane interruppe il flusso dei suoi pensieri.

Il cuore prese a battere velocemente mentre l’inconscio entrava in risonanza con quegli strascichi di conversazioni e le urla ovattate dei litigi tra i suoi genitori. Cercò attonita l’origine di quei suoni con lo sguardo.

Le voci aumentarono d’intensità al punto da evolvere in urla vere e proprie, provenienti a pochi metri o centimetri da lei. Istintivamente indietreggiò verso l’armadio a muro con le ante a persiana dalla vernice scrostata, cercando con le mani la parete alle proprie spalle, fino a toccarla finalmente e a poggiarci contro le scapole, come se fosse tornata bambina e stesse tentando di fuggire ancora una volta a quello spettacolo indegno che adesso non riusciva a vedere, ma solo a sentire.

Un alito freddo soffiò attraverso le fessure dell’anta, muovendole appena una ciocca di capelli come una brezza. Sentì i brividi farsi strada sulle braccia e lentamente si volse verso l’armadio. Un altro rumore si udiva oltre a quelle urla incomprensibili e ovattate.

Le ante dell’armadio presero a vibrare con sempre maggiore intensità e non seppe per quale ragione lo fece, mentre tutto nella sua testa le diceva di scappare, ma in un moto di disperazione aprì l’armadio per affrontare ciò che vi si nascondeva all’interno.

Rimase esterrefatta.

Quella bambina col vestitino azzurro raggomitolata sul fondo del mobile, con le mani sopra alle orecchie e il volto nascosto tra i gomiti e le ginocchia, somigliava incredibilmente nel corpo e nelle movenze alla sé bambina. Non ricordava più il volto che aveva alla sua età, non aveva mai dato grande importanza al suo aspetto da infante, anche perché non si riconosceva affatto in quel viso: per quanto fosse carino, non possedeva ancora il fascino che le occorreva.

Le urla si interruppero bruscamente e un grande silenzio cadde nella stanza, interrotto solo dai singhiozzi della bambina.

“Non temere.” sussurrò inginocchiandosi. “Se ne sono andati, vieni… non c’è più pericolo.”

Porse la mano destra alla fanciulla, come se la stesse porgendo a sé stessa, in un moto di empatia che rare volte aveva sperimentato nella sua vita.

Tentò nuovamente di convincerla con forzata dolcezza. “Non ti succederà niente, andiamo via…”

Gli spasmi della bambina rallentarono e abbassò le braccia che le coprivano il volto, tenendolo ancora coperto alla vista di Yiko. La donna le poggiò cautamente una mano sull’incavo del gomito per aiutarla a tirarsi su, ma quando lo fece la fanciulla mostrò il suo viso completamente privo di connotati.

Un telo di pelle uniforme lo ricopriva.

Lasciò la presa con un urlo, indietreggiando sconvolta.

La bambina si alzò e anche se Yiko non poteva vederne gli occhi, seppe che la stava fissando.

Il senso di oppressione dalle parti dello stomaco si fece più marcato e Yiko comprese che per quanto tutto ciò fosse razionalmente impossibile, era impossibile non provare terrore di fronte a quell’immagine.

In un moto di energia adrenalinica, corse in direzione della porta dell’appartamento, spalancandola con violenza. Un gelo improvviso la fece arrestare, come dimentica che alle sue spalle quella creatura priva di anima la potesse raggiungere.

Una bufera di neve impazzava là dove avrebbe dovuto trovarsi il pianerottolo del condominio. Una distesa bianca sulla quale aleggiavano nubi gonfie e raffiche di vento cariche di nevischio. Gli occhi le dolevano per la forza dell’aria che gli veniva soffiata addosso e d’istinto pensò di tornare dentro. Solo il ricordo di ciò da cui stava fuggendo la fece avanzare di qualche passo, affondando nella neve feroce e rischiando di inciampare.

Guardò alle sue spalle, dove la porta si stava richiudendo, mostrandole la completa assenza delle pareti intorno ad essa. Solo l’uscio chiuso si stagliava nel cuore di quella landa artica, circondato da desolazione e vento implacabile. A stento riuscì a guardarsi attorno e il suo sguardo venne calamitato da una figura distorta dalla foschia.

A meno di venti metri da lei, sua nonna si batteva il petto urlando disperata. Le sue grida a malapena sovrastavano il rumore della bufera. “Perché Yiko, perché?!”

“Yiko, svegliati, Yiko!”

Yiko aprì gli occhi sussultando, stentando a riconoscere il viso di Tiwa, la ragazza che aveva conosciuto al corso di Ikebana poco prima del suo matrimonio con Seung.

“Yiko, come stai? Ti ho sentita urlare dall’altra stanza…” chiese cautamente Tiwa, ritirando la mano che aveva poggiato sulla spalla di Yiko nel tentativo di destarla.

“Io…” farfugliò Yiko, osservando l’ambiente circostante, realizzando solo dopo qualche secondo di trovarsi a sul divano letto a casa di Tiwa, dove si era rifugiata la sera prima, dopo un’intera giornata passata con i detective in casa a metterle sotto sopra la villa in cerca di chissà quale prova. “Sto bene. Ho fatto un brutto sogno.”

“Oh, mi dispiace… hai sognato Seung?” domandò Tiwa con aria innocente, del tutto inconsapevole che la sua domanda sarebbe potuta sembrare indelicata.

Yiko scosse la testa in diniego, decidendo dentro di sé che non avrebbe rivelato cosa aveva sognato.  “Sono ancora turbata per la giornata di ieri… la polizia e tutto il resto.”

“Vuoi parlarmene?”

Tiwa fece intendere di volersi sedere vicino a lei e Yiko spostò le gambe dal divano, mettendosi seduta. “Si sono presentati alla mia porta che non erano ancora le nove del mattino, con quella Kim Seh. Hanno rovesciato cassetti, frugato ovunque, preso le registrazioni delle telecamere esterne… lo studio di Seung è stato ribaltato e hanno preso campioni di ogni spezia o medicina presente in bagno e cucina. Non hanno risparmiato nemmeno la cantina con i vini.”

“Che stronza, quella Kim Seh!” Tiwa corrucciò il viso a fatica, sfidando le leggi non scritte del botulino, agitando l’indice di fronte a sé. “Le donne delle pulizie avranno il loro bel da fare. Per fortuna che adesso possiedi ogni cosa, quella donna si pentirà di averti infastidita.”

Yiko la osservò in silenzio, riflettendo su quanto Tiwa potesse essere ingenua, senza che niente potesse però filtrare dalla sua espressione. “Se la polizia è venuta a casa mia vuol dire che il caso non è ancora concluso e finché non sarò considerata del tutto innocente, non potrò ereditare nulla.”

“Beh, ma tu sei innocente. Dovrai solo attendere qualche giorno e le cose si sistemeranno. Nel frattempo puoi restare qui per tutto il tempo che vuoi.” Le sorrise giuliva Tiwa.

“Certo, sono innocente. Non avrei mai fatto del male a mio marito, ci amavamo molto.” Yiko abbassò lo sguardo sul tappeto consunto che Tiwa aveva messo nel suo salotto e frenò un’espressione di fastidio alla vista di uno degli angoli leggermente sfilacciato. “Non mi tratterrò, grazie per avermi ospitata questa notte. Ora vorrei andare a fare un giro alla centrale di polizia, per mettere in chiaro due cose.”

 

“Signora Baesin-Nungwa, buongiorno.” La accolse gentilmente nel suo studio il capitano della polizia. “A cosa dobbiamo la sua presenza qui?”

Yiko si accomodò leggiadra sulla poltroncina di fronte alla scrivania del capitano, rispondendo educatamente al saluto. “Ieri mattina i suoi uomini sono giunti a casa mia alle prime ore del giorno e hanno messo a soqquadro il mio appartamento, senza rivelarmi cosa stessero cercando né le reali ragioni dietro a questo spiacevole evento.”

“Capisco, durante una perquisizione non vi è obbligo di spiegare cosa si stia cercando, altrimenti verrebbe lesa la discrezione dell’indagine, però vorrei farle le mie scuse per i modi in cui è stata trattata.” Il capitano si mosse incerto sulla sedia, valutando se fosse il caso di umiliarsi con un piccolo inchino del capo, per manifestare maggiore pentimento. “Niente di personale, ce lo impone la nostra professione.”

“Dunque avete trovato qualcosa che possa giustificare la morte prematura di mio marito?” chiese Yiko, contrita.

“No, Signora. Non è stato trovato nulla di attendibile. Domani stesso chiuderemo il caso e lei potrà accettare l’eredità di suo marito e diventare legittima proprietaria di tutti i beni.”

Dopo qualche altra chiacchiera di circostanza per rabbonirla, Yiko lasciò lo studio e il capitano rimase solo alla sua scrivania, massaggiandosi la fronte con una mano, prima di mettere mano all’interfono. “Per cortesia, mandatemi l’ispettore Park.”

Ci volle meno di un minuto prima che Park facesse capolino dalla porta dell’ufficio del capitano. “Mi ha chiamato, Signore?”

Il capitano gli fece cenno di sedersi e lui ubbidì rigidamente, preparandosi mentalmente ad un rimprovero. Le voci alla centrale correvano veloci: Yiko Baesin era venuta a fare una visita di cortesia, qualsiasi cosa ciò volesse dire.

“Park, tra pochi giorni la Signora Baesin-Nungwa sarà la legittima erede del 60% dei beni della famiglia Nungwa. Sai cosa vuol dire?”

Che ci terrà per le palle… pensò Park, deglutendo a vuoto. “Non le abbiamo mancato di rispetto, Signore, abbiamo fatto solo il nostro lavoro.”

“Se dovesse farci causa e sguinzagliare una decina di avvocati alle nostre calcagna, riterrò te e la consulente Kim Seh Nungwa direttamente responsabili dell’eccesso di zelo e verrete immediatamente licenziati, vi è chiaro il concetto?”

 

Era sera inoltrata e il buio era calato sull’appartamento in periferia di Kim Seh, che accese la sigaretta sul balcone della sua stanza, inspirando con urgenza nel tentativo di esorcizzare l’ansia che si era portata appresso per tutto il pomeriggio dopo che il suo collega, l’ispettore Park, l’aveva messa in guardia sulla reale minaccia che rappresentava una persona come Yiko Baesin.

Non avevano trovato nulla in casa di suo fratello Seung, tutto era esattamente come aveva descritto Yiko nella deposizione la mattina della morte di suo fratello, dieci giorni prima. Non c’erano segni di colluttazione, tracce di sangue, sostanze pericolose, veleni o oggetti che suggerissero un uso erroneo degli stessi. La casa era piena di loro fotografie e i tabulati telefonici non lasciavano sospettare che non si trattasse di una coppia innamorata. Avevano trovato una fotografia del loro matrimonio distrutta sul pavimento dello studio di Seung, ma uno dei detective aveva dimostrato che si fosse staccata dal muro perché il gancetto non aveva sostenuto il peso della cornice. Niente che sottolineasse una rottura volontaria, al massimo una tendenza risparmiatrice ridicola per una persona dalla prestanza finanziaria di suo fratello.

Il cellulare le vibrò in tasca, ma non volle controllare: era certa che si trattasse di quell’idiota dell’altro fratello, Jung Ji. L’aveva trovato la mattina dell’ispezione sul divano della cognata, ancora stordito dalla sbronza potenzialmente letale che si era preso il giorno del funerale di Seung.

Cretino irresponsabile… pensò caustica, tentando di ignorare il ricordo dell’ansia che l’aveva colta quando entrando in salotto l’aveva visto esanime sul divano. Per un attimo aveva temuto che fosse morto anche lui, e aveva sentito il sangue tornare caldo solo quando l’aveva scosso e quell’imbecille si era svegliato bofonchiando. Non gli aveva mostrato i suoi timori, preferendo invece che vedesse quanto fosse furiosa per la circostanza disonorevole in cui l’aveva beccato.

“Non dirlo a mamma e papà!” aveva biascicato lui tirandosi su, infermo sulle gambe.

Da allora le scriveva incessantemente, preoccupato che lei o qualcuno dei suoi colleghi alla centrale potessero rivelare dove aveva trascorso la notte. Come se a qualcuno degli uomini di Park potesse fregare di rischiare la carriera tradendo il segreto professionale solo per raccontare di aver visto un ubriaco a casa del fratello morto in compagnia della cognata vedova. Ci hai preso per donnicciole pettegole, Jung Ji?!

Fece un altro tiro nervoso, appoggiandosi con i gomiti alla balaustra e osservando il giardino muto sotto di sé. Era davvero molto silenzioso, quella sera. Non si udivano nemmeno gli insetti notturni… colpa dell’inquinamento? Nessuna lucciola, né pipistrelli o falene. Effettivamente, adesso che si stava calmando grazie alla nicotina, si rese conto che faceva freddo per essere una tiepida serata di maggio.

La vibrazione del cellulare mutò e capì che qualcuno le stava telefonando. Prese un’altra boccata di fumo mentre sfilava il cellulare dalla tasca e accettava la videochiamata di sua madre.

“Kim, stai bene?” chiese Lao Mei, contrita in quella che Kim Seh comprese essere la sua camera da letto.

“Sì, mamma. Tu?” disse nascondendo la sigaretta nella mano sinistra dall’obbiettivo, ma venne tradita da uno sbuffo di fumo che uscì dalla sua bocca quando parlò.

“Stai fumando?” chiese contrariata Lao Mei.

“Ti prego mamma… non è giornata.” Rispose Kim Seh abbassando lo sguardo.

Lao Mei strinse le labbra fissando il volto della figlia. “Kim, oggi è il secondo giorno dal funerale di tuo fratello.”

“Lo so.” Rispose Kim Seh, infastidita dall’argomento, domandosi come mai la madre avesse deciso di ricordarglielo.

“So che per tutto questo tempo hai investigato sulla morte di Seung, per questo ti chiedo: sei giunta ad una conclusione? Ritieni che la giustizia terrena possa fare qualcosa per fermare il suo assassino?”

Kim Seh deglutì, tentando di non apparire troppo delusa di fronte a sua madre, l’unica che in segreto le aveva detto di sostenerla e di crederle oltre all’ispettore Park. “No, mamma. Non ho trovato nulla, il tempo scorre veloce e ci è nemico. Ho giocato tutte le mie carte… non… non credo di poter fare più di questo.”

“Va bene, non ti preoccupare.” Dall’alta definizione del suo cellulare Kim Seh poté vedere come gli occhi della madre stessero diventando lucidi. “Confido che giustizia sarà fatta. Buonanotte.”

Lao Mei chiuse la chiamata e Kim Seh tenne in mano lo smartphone, che rimase luminoso per qualche secondo mentre tentava di fare l’ultimo tiro alla sigaretta che aveva ancora in mano.

Fu quando lo schermo divenne scuro che Kim Seh si paralizzò tenendo gli occhi fissi su di esso, la sigaretta ancora accostata alle labbra, il cui fumo risalì dal suo apice fino al suo occhio sinistro, facendolo bruciare terribilmente. Ma lo shock di aver visto il viso di suo fratello Seung riflesso sullo schermo scuro del cellulare, dietro alla propria spalla destra, non era stato un abbaglio di una frazione di secondo.

Kim Seh stette immobile, dimenticandosi di respirare per degli attimi che le parvero ore, guardando gli occhi scavati e dai bagliori rossi di suo fratello che si riflettevano sul vetro che stringeva in mano.

Per voltarsi fece appello ad un coraggio che non credeva di avere.

Dietro di lei non c’era nessuno.

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Capitolo 4
*** 넷, Quattro ***


, Quattro

Yiko entrò nella sua villa e si chiuse la porta alle spalle.

Le donne delle pulizie avevano ripulito e sistemato tutto il casino che aveva fatto la polizia il giorno prima, lasciando gli ambienti ordinati e profumati.

Il manto della notte era già calato su Seul e Yiko aveva passato tutto il giorno a sistemare le pratiche necessarie alla pratica di successione ereditaria che sarebbe andata a firmare il giorno seguente. Meno di 12 ore per diventare proprietaria del patrimonio del defunto marito, Seung Nungwa.

Yiko chiuse gli occhi prendendo un grande sospiro, poi si tolse il cappotto e le scarpe e si diresse al mobile bar del salotto, valutando che cosa avrebbe potuto bere quella sera.

Si arrestò a qualche metro dal mobile bar quando il pensiero malsano di essere spiata le si insinuò nella mente. Non era paranoia, ci aveva già pensato durante il giorno… Non era completamente certa che Kim Seh non avesse lasciato qualche cimice o telecamera nascosta all’interno dell’abitazione, quindi si comportò come se fosse osservata da qualcuno che cercava prove della sua colpevolezza.

Prese dal ripiano del bar uno dei larghi tovaglioli di cotone bianco che servivano ad avvolgere le bottiglie di champagne bagnate e si sedette sul divano in pelle, scoppiando in un pianto a dirotto che soffocò all’interno del panno.

Non rischierò di rovinare tutto proprio adesso che sono ad un passo dalla vittoria, sorrise col viso celato dal tessuto.

Il mattino seguente avrebbe avuto appuntamento in tribunale per ritirare i documenti e poi li avrebbe immediatamente fatti vidimare dal suo notaio. Anche se gli altri fratelli, Kim Seh e Jung Ji, avessero ereditato in seguito alla morte di entrambi i loro genitori, gli sarebbe stato destinato meno del 20% del totale a testa. Lei aveva tutto il resto e non sarebbero stati affatto un problema da gestire.

Per prima cosa avrebbe fatto licenziare Kim Seh, perché per quanto ne fosse uscita perdente da quella battaglia, era comunque un soggetto pericoloso e incline alla vendetta, Yiko l’aveva compreso. Sotto un certo punto di vista, la stimava. Aveva un intuito eccellente, era abbastanza intelligente e refrattaria alla manipolazione al punto da essere riuscita a scorgere ciò che nessun altro aveva intravisto.

Gli uomini erano semplici da abbindolare: di fronte alla sua bellezza e alle movenze di donna fragile e bisognosa di assistenza, il loro senso virile e cavalleresco le permetteva di non sollevare troppi dubbi e anzi, diventavano incredibilmente mansueti. Nei più anziani, provocava l’istinto paterno di protezione. Nei più giovani, l’attrazione viscerale e perfino suo cognato, per quanto leale al fratello, a volte aveva indugiato con lo sguardo su di lei qualche secondo più di quanto gli fosse lecito.

Con le donne era più difficile, ma una società patriarcale le faceva comodo: erano poche le donne che potevano rappresentare una minaccia per lei. Per ammansirle sfruttava l’educazione e la gentilezza mediante generosità, cordiali complimenti e reiterando favori. Chi fosse stata in debito con lei, difficilmente avrebbe desiderato darle contro.

Finora aveva funzionato sempre, ad eccezione di Kim Seh Nungwa.

Kim Seh era come un pilastro incorruttibile, idealista, disincantata. Aveva accettato ogni suo regalo con una smorfia di sufficienza, le stringeva la mano con forza guardandola fissa negli occhi, non ricambiava mai un sorriso solare né si era commossa in una delle qualsiasi circostanze in cui Yiko aveva fatto il possibile per dimostrare amore nei confronti di Seung. Nemmeno sua suocera aveva mai dato segni di mancarle di fiducia, e si sa che le suocere sono gli individui da temere maggiormente quando si tratta di accaparrarsi un uomo benestante. A lei invece era toccata la cognata sospettosa.

Una donna del genere, per quanto potesse essere ancora acerba professionalmente e godesse di bassa credibilità, era questione di tempo prima che rendesse manifesto il proprio talento di fronte ai vertici. In quel caso, avrebbe potuto essere veramente difficile liberarsi di lei. Non la tentavano i soldi, non la piegava il lusso o la cupidigia e nemmeno la lussuria. Non si era mai mostrata preoccupata per la privazione del capitale, quanto più per la perdita di suo fratello.

Quasi le dispiaceva di aver fatto un torto ad una donna di tale valore. Forse, se Kim Seh non fosse stata la figlia dei Nungwa, avrebbero potuto essere amiche. Ma Kim Seh era sfortunata e non avrebbe mai potuto godere della loro amicizia, riteneva Yiko.

Seung non era un uomo cattivo e sinceramente non le era piaciuto porre fine alla sua vita. Aveva impiegato parecchio tempo per riuscire a creare le circostanze idonee a commettere il delitto e aveva anche scelto l’opzione che riteneva più indolore, nella speranza che si addormentasse e basta.

Nell’ultimo anno avevano praticato sport pericolosi e adrenalinici e perfino quando avevano scalato una montagna per visitare un tempio shintoista in Giappone e Seung era scivolato dalla scalinata, non si era mai fatto davvero male. Le aveva fatto attendere parecchio tempo, prima di incedere nell’incidente che rendesse possibile l’attuazione del suo piano.

Yiko aveva quasi temuto che l’insulina scadesse, prima che arrivasse quel giorno.

Così, quando il suo drone era volato sul tetto della casa e lo aveva pregato insistentemente di recuperarlo, nonostante lui insistesse per chiamare il tuttofare, aveva fatto in modo che l’incidente non risultasse mortale. Aveva bisogno che su di lui ci fossero contusioni ed ematomi tali da mascherare ciò che l’avrebbe davvero portato alla morte.

Finalmente si era ferito e a qualche sera di distanza, dopo aver preso gli antidolorifici e seguito i suoi consigli di restare leggero con un po’ di riso e pesce al vapore, senza alcool, che l’avrebbe di certo aiutato a contrastare l’effetto dell’insulina, aveva atteso che lui si addormentasse.

Era stato difficile iniettargli nella vena safena della gamba la dose d’insulina giusta, dato che aveva quel terribile vizio di dormire a pancia in giù. Per fortuna gli antidolorifici e il fatto che fosse debole avevano contribuito a non destarlo.

Aveva progettato di iniettargliela proprio in prossimità di una di quelle escoriazioni, in modo che non si potesse vedere il foro di entrata dell’ago della siringa sottile per diabetici che aveva imparato ad usare magistralmente quando faceva da assistente a sua nonna in ospedale a Yeongcheon. Era stata tentata di iniettarla nel braccio, ma la grande safena era quella che più si sarebbe prestata a questo scopo, oltre al fatto che la ferita alla gamba era più seria di quella all’omero, su cui non presentava vene sottocutanee idonee. Così lo aveva convinto a dormire senza bendaggio affinché la ferita si asciugasse prima.

Purtroppo, vista la velocità con cui il sangue della safena accede al cuore, si era svegliato quasi subito.

Yiko non avrebbe mai scordato il suo sguardo spaventato alla vista della siringa che stringeva e i gorgoglii che aveva emesso Seung quando aveva provato ad alzarsi dal letto e fuggire, riuscendo a fare esattamente quattro passi prima di stramazzare al suolo sul tappeto della camera da letto, in convulsioni. Il coma ipoglicemico ci aveva messo più di quanto pensasse. Non aveva mai iniettato una simile dose di insulina ad un uomo sano e normopeso, quindi non credeva che avrebbe fatto tanta resistenza all’agonia.

Aveva dovuto attendere con pazienza prima di essere certa che fosse morto e solo dopo mezz’ora dal decesso aveva potuto iniettargli il potassio che avrebbe fatto scomparire le tracce maggioritarie di insulina. Quella parte era stata la più difficile, dato che aveva passato diverso tempo a praticare il massaggio cardiaco per far sì che le sostanze si miscelassero all’interno del suo corpo prima che il sangue coagulasse, in modo che quando durante l’autopsia avessero preso dei campioni di sangue dai condotti principali, non avrebbero trovato tracce rilevanti dei due composti. Quasi sicuramente avrebbero riscontrato ematomi postumi alla morte laddove aveva compresso il petto per far girare il sangue, ma era normale praticare il massaggio cardiaco ad una persona a cui si era fermato il cuore, giusto? E se fosse stato sbagliato, cosa poteva saperne lei, una povera fanciulla digiuna di nozioni mediche?

Aveva distrutto le due fiale che contenevano i farmaci, polverizzando il vetro sottile con il tacco di una scarpa e, con un po’ di carta vetrata aveva levigato la siringa fino a farla dissolvere, poi aveva buttato le polveri nel gabinetto, ad eccezione delle componenti metalliche, che aveva celato nei suoi trucchi finché non era potuta andare in strada a buttarli in un cestino pubblico il giorno seguente. 

Aveva trascinato con cura Seung a letto e atteso la mattina, quando i vicini si preparavano ad andare al lavoro, allora aveva aperto le finestre e aveva urlato più che poteva per farsi udire nonostante i trenta metri che separavano le loro case.

Nessuno aveva sospettato di lei, ad eccezione di Kim Seh e di quel Park, l’ispettore zelante. Che avesse una storia con Kim Seh? Avrebbe fatto screditare anche lui… per sicurezza.

Una donna tanto brillante e allo stesso tanto stupida da unirsi ad un uomo, pensò abbassando il panno bianco dal viso, asciugandosi le lacrime che riusciva a versare solo quando ripensava alla tristezza del suo passato.

Yiko non provava attrazione per gli uomini, né per le donne o altri esseri viventi o inanimati. Non avrebbe corso più alcun rischio, dopo questo colpo. Sarebbe rimasta una vedova benestante e riservata, chiusa nella sicurezza del proprio patrimonio, senza fare mai passi più lunghi della propria gamba, cauta e scaltra come un leone di montagna nella taiga. Se le fosse andata davvero male, in futuro avrebbe potuto trovare un altro uomo ricco da sposare. Magari uno straniero… dato che le vedove non erano ben viste in Corea, ma agli americani o ai russi questi dettagli non danno alcun fastidio, e di grana ne hanno parecchia.

Si alzò, decisa a fare un brindisi a sé stessa, diretta verso la cantina dei vini. Lì avrebbe trovato ciò che le serviva. Non avrebbe brindato con lo champagne, così sopravvalutato e che nell’inconscio collettivo rappresenta il festeggiamento. Le ci voleva un porto, rosso, pieno, corposo. Un Tawny 40 years sarebbe stato perfetto per l’occasione.

L’accesso alla cantina si trovava in cucina, dove una foto di lei e Seung era appesa proprio sulla parete di fianco al frigorifero. La guardò di sfuggita e subito si bloccò, avvicinandosi per osservarla meglio. La vista le aveva giocato un brutto scherzo: avrebbe potuto giurare che al posto di quel viso sorridente che stava guardando adesso, una smorfia di odio fosse dipinta sul volto del marito fino ad un attimo prima.

Scosse la testa, chiedendosi per quale ragione il suo inconscio si stesse prodigando tanto per farla pentire delle sue azioni. In vita sua non aveva mai sentito l’effetto di ciò che chiamano coscienza. Possibile che si manifestasse in questo modo? Decise di ignorare la sensazione sgradevole.

Toccò la serratura a impronta digitale della cantina in cui conservavano i vini e anche la cassaforte con i gioielli e i beni più preziosi. Il led verde di sblocco le diede il benvenuto. Scese le scale, chiudendo la porta con la serratura elettronica dietro di sé.

Le calde luci soffuse della cantina la accolsero e la musica dietro di sé si fece ovattata nel caveau a 18°C per mantenere a temperatura i vini. Un regalo di Seung, decisamente il più gradito dopo la sua morte.

Prese il bicchiere di porto, chiudendo gli occhi mentre ne sorseggiava il contenuto.

Un bagliore le fece aprire gli occhi repentinamente. Si guardò attorno, stupita, prima che le luci della cantina sfavillassero un’altra volta.

Problemi elettrici…? Meglio tornare su. Salì le scale che davano sulla porta del caveau, ma dopo aver cliccato sul pulsante di apertura, il led rosso che indicava il blocco della serratura elettronica la informò che era prigioniera della sua stessa cantina. Dannazione, ho lasciato sopra il cellulare!

Si lasciò ad una imprecazione, mentre rifletteva su cosa sarebbe stato opportuno fare. Se nessuno fosse venuto a cercarla quella sera, sicuramente sarebbero giunti il mattino seguente, quando avrebbe mancato l’appuntamento dal notaio. Si trattava di oltre 10 ore… la sua vista fu attirata dal led rosso della porta, che stranamente aveva aumentato d’intensità al punto da illuminare parzialmente i primi gradini della scalinata su cui si trovava.

Yiko percepì l’ansia crescere nel suo ventre e scese le scale precipitosamente, rovesciando parte del porto per terra nella foga. La bevanda invecchiata le bagnò la mano in cui stringeva il bicchiere e i suoi occhi vagarono per la stanza, mentre i battiti del suo cuore aumentavano alla vista della luce delle lampade sul soffitto, che diveniva sempre più calda fino a prendere la sfumatura di un cupo rosso.

Le pareti divennero distorte e curve, come se si stessero chiudendo su di lei, provocandole il panico claustrofobico che solo sul fondo dell’armadio a muro dell’appartamento dei suoi genitori aveva sperimentato con quell’intensità.

È un brutto sogno, mi sveglierò presto e sarò ancora sul divano. Mi sveglierò presto e… i suoi pensieri si arrestarono fulminei quando i suoi occhi misero a fuoco qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì, qualcosa che quando aveva sceso le scale era certa che non ci fosse e che non poteva essere entrato dopo di lei perché solo lei e Seung avevano le impronte digitali per accedere a quella parte della casa.

Nel buio della scala che conduceva alla porta elettronica riusciva a scorgere le gambe di un uomo in piedi a metà di essa.

No… non è possibile.

Restò immobile di fronte a quell’immagine, mentre il suo cuore batteva forsennato e il suo respiro ne seguiva il crescendo, diventando instabile e fremente, scaturendo in dei singulti nel petto. La presa sul bicchiere si fece involontariamente meno forte ed esso le scivolò di mano, infrangendosi al suolo.

“Tu sei morto! Sei morto!” urlò in direzione di quella figura nell’ombra.

Le luci si affievolirono e fu allora che l’uomo incedette lentamente verso di lei, mostrandole il viso di suo marito, con la stessa espressione che le dedicò durante gli ultimi istanti della sua vita. La bocca socchiusa e gli occhi spalancati, sconvolti, ora fiammeggianti di una sfumatura rossa che solo le braci ardenti potevano eguagliare.

“Vattene!” indietreggiò Yiko, inciampando nei propri piedi e cadendo con un palmo aperto sui vetri infranti del bicchiere che le era sfuggito di mano pocanzi.

“Va viaaaa!!”

Le luci si spensero una frazione di secondo prima che le si avventasse contro.

 

“È certa che abbia funzionato?” chiese preoccupata Lao Mei, osservando la piccola ciotola di fronte a sé, con dentro l’acqua medicata e le pietre che la fattucchiera aveva preparato tre giorni prima. Le luci delle candele sul tavolo si riflettevano cupe sul liquido, mandando bagliori rossastri.

“È diventata rossa?” domandò l’anziana al suo fianco, con cipiglio severo.

“Sì, rossa.” Rispose Lao Mei, studiando la superficie della pozione con più attenzione. “Rossa come il sangue, lo confermo.”

“Allora ha funzionato.” Replicò l’altra donna, con un ghigno sdentato.

“L’assassina di mio figlio è morta?”

La strega si aggiustò il copricapo con un sorriso machiavellico. “La persona di cui mi hai portato i capelli è morta di certo. Che fosse l’assassina di tuo figlio, non posso assicurarlo. Per questo, avresti dovuto chiedere un consulto a parte. Non è compreso nel prezzo della maledizione.”

“Sono certa che fosse lei. Nel tempo in cui…” cominciò a spiegare Lao Mei.

“Non mi interessano le tue ragioni. Adesso è il momento di saldare il conto. Contanti.” Sibilò la megera picchiettando una delle sue lunghe unghie sul tavolo in legno.

Lao Mei tentennò incerta prima di abbassarsi a recuperare la borsa da sotto al tavolo per consegnarle la cospicua cifra che la strega aveva richiesto per compiere la sua vendetta. Strinse in mano le banconote mentre i dubbi le si insinuavano nella mente. “Se non dovesse essere morta?”

La fattucchiera le strappò i soldi di mano senza tante cerimonie. “Io non fallisco. Mai. Ho fatto esattamente ciò che mi avevi richiesto. La persona di cui mi hai portato il frammento è morta entro il terzo giorno dal funerale di tuo figlio.” Il suo sguardo vagò cauto per la stanza prima di tornare a posarsi su Lao Mei. “Quindi adesso prendo il mio compenso. Sarò qui, se avrai ancora bisogno dei miei servizi.”

Lao Mei abbassò lentamente le mani sul grembo, facendo un piccolo inchino col capo.

La strega la scortò fuori dalla stanza buia in cui si trovavano, incrociando nel corridoio la giovane nipote, che stava per portare loro un vassoio con del the. La ragazza si fece da parte, inchinandosi di fronte alla Signora Nungwa, che uscì silenziosa.

“Zia…”

La strega sentì la voce della nipote provenire dalla stanza in cui si era appena compiuto il maleficio. “Cosa c’è?” chiese senza perdere di vista Lao Mei, che percorreva il vialetto in direzione di una lussuosa Mercedes che la attendeva da diverse ore sotto la luce di un lampione.

La ragazza uscì dalla stanza, porgendole una tazza di the e tenendo il denaro pagato da Lao Mei nell’altra. “Hai ricavato solo questo? So che è tanto… ma temo non basterà a saldare il resto dei conti…”

L’anziana sorrise maligna prendendo la tazza di the e accostandola alle labbra, senza distogliere lo sguardo dalla Signora Nungwa che stava per salire sul suo veicolo.

“La vendetta è un uroboro senza fine. Sangue attira altro sangue. Sofferenza altra sofferenza. Tornerà, fidati.” sibilò guardando la bellissima giovane donna dai capelli completamente bianchi, gli occhi spalancati e la mandibola dislocata che era apparsa di fianco all’ignara Signora Nungwa.

“Tornerà…”

 

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Cari ragazzi, buongiorno.

Qui si conclude Boksu, che in coreano vuol dire vendetta nel suo stato più cruento. È stato un esperimento letterario, non è uno di quei testi che ti tengono sveglio la notte, né voleva esserlo e non sono pienamente soddisfatta dal risultato finale, però si è lasciata scrivere con facilità!

È stato difficile farsi capire dall’intelligenza artificiale, ma alcune immagini mi sono piaciute particolarmente e le ho postate di conseguenza.

Per quanto riguarda il lato medico della questione, ho lasciato volontariamente un paio di imprecisioni perché questo metodo potrebbe rivelarsi tristemente efficace. Per generare il personaggio di Yiko mi sono basata sul disturbo di personalità della psicopatia. Yiko è psicopatica e come tale non ha empatia, non può provare rimorso, senso di colpa o sentimento. Lo psicopatico è in grado di commuoversi solo ripensando a sé e può uccidere a sangue freddo perché tecnicamente considera un essere umano solo sé stesso. È l’assassino che non si svelerà mai e che non mostrerà mai il più piccolo pentimento. Se abbinato ad un quoziente intellettivo elevato e ad una tendenza antisociale, è davvero difficile riuscire a identificarlo e spingerlo a rivelarsi, a meno che non sia anche narcisista e goda nella celebrazione dei delitti commessi.

Uno psicopatico non è destinato a diventare necessariamente un serial killer, a meno che l’uccidere il prossimo non gli provochi emozioni. Difatti essi sono dipendenti da tutto ciò che provoca in loro un’emozione di qualsiasi tipo.

Ringrazio chiunque abbia letto questa storia e spero che sia stata di vostro gradimento.

Buona domenica :D

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