Snowed in - Sotto una coltre di neve

di quenya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Snowed in – Sotto una coltre di neve

by Quenya


 

Ciao a tutti, approfitto di questo spazio per fare una (spero breve) introduzione a questa storia. Iniziamo con il rivelare impietosamente la sua età (e di conseguenza pure la mia, ma vabbé) partendo da una data storica: era più o meno il 1992, io avevo 17 anni e avevo scoperto i manga da poco; visto che in Italia ancora non esistevano, compravo il fumetto di Ranma ½ pubblicato da una casa editrice americana. Era un periodo piuttosto buio della mia vita e la comicità di quel geniaccio della Takahashi mi aiutava tanto, permettendomi di evadere un pochino dai miei problemi: per questo motivo, ancora oggi, sono rimasta profondamente legata a questo fumetto.

Ryoga è sempre stato il mio personaggio preferito per via della sua complessità: è forte, coriaceo, testardo e rancoroso, decisamente troppo incline alla rabbia e incapace di resistere alle provocazioni; ma allo stesso tempo è anche sensibile, emotivo, adorabilmente timido e a volte inguaribilmente ingenuo…una combinazione che mi è piaciuta fin da subito, perchè lo rende molto sfaccettato e interessante. Anche Ukyo è un altro personaggio che ho sempre apprezzato e che, a mio parere, è sempre stato molto sottovalutato: è una ragazza in gamba, orgogliosa e indipendente, che si mantiene da sola con il proprio lavoro, è determinata, coraggiosa e testarda ma allo stesso tempo ha un lato femminile ben nascosto, il che la rende sorprendentemente simile ad Akane. E’ anche brusca, irascibile, manipolatrice e brutalmente sincera, eppure riesce a mantenere comunque buoni rapporti con (più o meno) tutti.

Quando sul manga è finalmente apparsa la storia del ‘Tunnel del Perduto Amore’ in cui Ryoga e Ukyo collaboravano in un curioso piano per separare Ranma e Akane, i miei neuroni hanno fatto contatto e mi sono comparsi gli occhi a cuoricino, dando origine al mio sviscerato amore per questo pairing. Insomma, per farla breve, trent'anni fa molti di voi non erano ancora nati e io già shippavo questi due. Parliamone.

La storia vera e propria è nata anni dopo, nel 2003, ma si limitava ai primi capitoli: soltanto in tempi recenti ho avuto una botta di ispirazione e l’ho fusa con un altra, riuscendo ad integrarle in uno sviluppo più o meno coerente. Il risultato ve lo presento qui…spero che sarete voi a dirmi se sono stata capace di rendere giustizia a tutti questi anni di fissazione 😅. Intanto ringrazio di cuore la mia fantastica beta reader Silvia: grazie al suo prezioso sostegno ed incoraggiamento sono riuscita a scrivere buona parte di tutto questo in tempi record!

Prima di lasciarvi alla lettura, però, devo fare un piccolo avvertimento: leggo fanfiction da una vita e sono sempre stata abbastanza contraria alle storie in cui i due protagonisti, dopo essersi a mala pena parlati per anni, si scoprono improvvisamente follemente innamorati e si mettono insieme nel giro di un capitolo. Per Ryoga e Ukyo vale lo stesso principio: hanno bisogno prima di stabilire un certo grado di confidenza tra loro prima di poter passare allo stadio successivo quindi, mio malgrado (perchè dopo tutti questi anni un po’ di soddisfazione me la volevo levare, mannaggia 😤) questa storia sarà un lento processo di avvicinamento, una ‘slow burn’ come si dice, quindi abbiate pazienza e non aspettatevi una risoluzione immediata.

Dopo questa doccia fredda, però, vi do due buone notizie. Primo, questa storia è GIA’ CONCLUSA: la pubblicazione avverrà con un capitolo ogni settimana, così nel frattempo avrò (spero) il tempo e modo di proseguire con l’altro mio progetto. La seconda notizia, infatti, è che è previsto un sequel dove - finalmente aggiungerei - avverranno cose mooolto più interessanti…quindi stay tuned e per favore fatemi sapere cosa ne pensate!!


 

Quenya


 

P.S. Ultimissima nota (e poi la smetto, giuro): l’ultima volta che ho letto il fumetto sarà stato almeno quindici anni fa, quindi alcuni dettagli non li ricordo con precisione…fate finta che sia l’età e siate indulgenti 🙏🏻



 

Capitolo 1:



 

Ukyo starnutì ben tre volte di seguito mentre finiva di ripulire dalle foglie secche l’ingresso del suo ristorante. Una folata di vento gelido le sollevò di colpo i lunghi capelli castani e lei sospirò, riaggiustandosi il fiocco bianco che glieli teneva lontano dagli occhi. Quell’anno l’inverno era arrivato sorprendentemente in anticipo e le temperature si erano abbassate così bruscamente che quasi l’intera popolazione del quartiere era stata colpita da una potente epidemia di influenza.

Le strade si erano svuotate e i ristoranti pure, compreso il suo, cosa che lei aveva stranamente accolto con un certo sollievo. Certo, la mancanza delle consuete entrate non le faceva molto piacere, ma in fondo anche i ristoranti rivali si trovavano nella stessa situazione e poi doveva ammettere che quella pausa forzata capitava proprio al momento giusto, visto che anche lei non si sentiva affatto bene. Starnutì ancora e si strinse nel pesante haori che aveva addosso, osservando con un sospiro il cielo coperto da densi nuvoloni lattiginosi.

“Non avrà mica intenzione di nevicare stanotte?” si chiese ad alta voce con un pochino di apprensione. Ora che ci pensava il suo impianto di riscaldamento le aveva dato parecchi problemi negli ultimi giorni, ma finora era sempre riuscita a rimetterlo in sesto, con un po’ di pazienza e qualche colpo ben assestato. Ma dubitava che avrebbe retto una tempesta di neve. 

Meglio chiamare subito l’assistenza, pensò mettendo via la scopa e facendo per rientrare. Non appena aprì la porta a vetri però, un rumore improvviso proveniente dal cortiletto dietro il ristorante la fece sussultare. Sembrava come se qualcosa fosse caduto pesantemente su qualcos’altro e Ukyo fece il giro per andare a controllare. 

Non appena arrivò nel piccolo slargo, infatti, trovò che tutti gli scatoloni vuoti, che aveva ordinatamente impilato in un angolo, giacevano al suolo completamente sparpagliati e parzialmente distrutti.

“Ma cos’accidente è successo qui?” borbottò, iniziando a raccogliere i resti di quel disastro, cercando di radunarli di nuovo nella loro posizione originale. Fu solo quando si avvicinò all’epicentro di quella piccola devastazione, però, che capì che cosa era accaduto. In fondo ad uno scatolone rotto c’era un piccolo ed inconscio porcellino nero, con una bandana a quadretti gialli e neri legata al collo.

“P-chan! Ma da dove...” iniziò, ma poi si interruppe subito, scuotendo la testa per l’inutilità della domanda. Quando si viveva in un quartiere come Nerima, dopo un po’ si smetteva di meravigliarsi della stranezza delle cose che accadevano da quelle parti. Un porcellino nero piovuto dal cielo era quasi normale in confronto alle bombe che volavano, i muri che esplodevano e gli esperti di arti marziali che si rincorrevano ogni giorno di tetto in tetto.

Chinandosi a raccogliere l’animaletto e stringendolo tra le braccia, Ukyo si accorse che era congelato e che aveva un grosso bernoccolo sulla testa.

“Stai bene tesoro?” gli chiese quando vide che il porcellino cominciava a riprendere conoscenza. P-chan la guardò con aria un po’ confusa ed emise un flebile ‘bwee’ di risposta, che lei decise di interpretare come una risposta positiva. Ukyo gli sorrise e lo coprì con una parte del suo haori per riscaldarlo un pochino.

“Hai di nuovo litigato con Ranchan, vero? Povero piccolo” mormorò, accarezzandolo e tornando in casa. “Scommetto che Akane-chan lo avrà già pestato per benino e adesso si starà preoccupando per te. Meglio avvisarla subito che ti ho trovato io” disse prendendo il telefono e digitando il numero della palestra Tendo. Akane le rispose quasi immediatamente.

“Ciao Akane-chan, volevo dirti che ho trovato il tuo P-chan nel mio cortile. Hai idea di come ci sia arrivato?”

“Oh meno male Ukyo! Ero così preoccupata! Quell’idiota di Ranma ha di nuovo attaccato P-chan senza motivo, solo che stavolta la zuffa è stata più violenta del solito e il mio piccolino ha avuto la peggio” rispose lei con un sospiro  “Ranma ne sta ancora pagando le conseguenze” aggiunse con tono glaciale e Ukyo sentì distintamente in sottofondo qualcuno che si lamentava. Soppresse a stento una risatina. Anche se quei due ormai erano realmente fidanzati, certe abitudini erano dure a morire… e  sospettava che le loro baruffe sarebbero durate fino alla tarda età.

“Capisco. Vuoi che te lo riporti subito? Non mi sento benissimo ma…” disse un po’ riluttante. Non le piaceva per niente l’idea di uscire con quel tempo, ma sapeva bene quanto Akane tenesse al suo maialino. L’altra ragazza però, non le fece nemmeno finire la frase.

“Hai la febbre anche tu? Questa influenza sta davvero facendo una strage!”

“Non so, dovrei ancora misurarmi la temperatura…ma penso proprio che mi stia venendo. Se questo virus è riuscito a mettere KO anche te e Ranma era inevitabile che cedessi anche io!” 

“Allora questa notte P-chan ti terrà compagnia... casomai chiederò a Kasumi se domani mattina può passare a prenderlo. Ranma si meriterebbe di strisciare fino a casa tua per rimediare a quello che ha fatto, ma il dottor Tofu ci ha proibito di uscire di casa per almeno una settimana”

“Così tanto?”

”Non me lo dire, sto già impazzendo. In ogni caso, alla tv hanno detto che sarebbe meglio rimanere tappati in casa questa sera, c’è in arrivo una tempesta di neve che sembra possa durare per parecchi giorni”

“Una tempesta di neve? Non è un po’ presto per questo periodo dell’anno?” 

Akane si mise a ridere. “Si vede che a Nerima il tempo è impazzito come i suoi abitanti”

“Puoi dirlo forte” rise lei.

“Ci sentiamo domani allora. Sono proprio contenta che P-chan sia con te e che abbia trovato riparo al caldo in una serata come questa”.

Al caldo? Oh no, l’assistenza per l’impianto! pensò lei. “Ehm grazie, Akane-chan. A presto!” disse, attaccando e componendo velocemente il numero del centro assistenza. Com’era prevedibile, però, non le rispose nessuno: l’orario di chiusura era ormai passato da un pezzo e non era escluso che con quel tempo e quelle previsioni avessero anche staccato un pochino prima.

“Bè tesoro, sembra proprio che tu sia bloccato qui” disse al porcellino che la stava guardando come se avesse seguito tutta la conversazione. “Ma sai che ti dico? Non mi dispiace avere un po’ di compagnia, per una volta” aggiunse lei, abbracciandolo. “Aww, ora capisco perché Akane ti è così affezionata. Sei così carino che viene quasi spontaneo coccolarti”

Specialmente quando non hai nessun altro da coccolare, pensò poi, rattristandosi.

Da quando Ranma e Akane avevano annunciato la loro intenzione di rendere effettivo il fidanzamento, tutto il mondo di Ukyo era crollato in pezzi. Si era arrabbiata, aveva pianto, aveva cercato di negarlo... ma alla fine aveva dovuto ammettere a se stessa di averlo sempre saputo. Conosceva Ranma fin da piccola e proprio in virtù di quella conoscenza avrebbe dovuto capire subito che dietro tutte quelle prese in giro e continui battibecchi con Akane c’era sempre stato un solido sentimento. L’orgoglio e la paura di perderlo, però, l’avevano accecata, spingendola a comportarsi come una pazza invasata e guastafeste, disposta a tutto pur di conquistarlo. Era stato solo quando avevano annunciato la notizia che lei aveva realizzato di quanto non avesse mai tenuto in considerazione i sentimenti di Ranma, e si era resa conto con orrore di che persona stupida ed egoista fosse diventata. 

Era stato molto duro per lei fare marcia indietro e rassegnarsi al fatto che l’uomo di cui era sempre stata innamorata amasse un’altra, e i mesi seguenti l’annuncio erano stati un abisso di disperazione. Ma ne era uscita. Più triste, svuotata e sola di quanto non si fosse mai sentita in vita sua, ma anche più forte e forse più matura. Abbastanza matura da porgere la mano ad Akane e congratularsi con lei, augurandole insieme a Ranma ogni felicità.

L’universo doveva essere stato contento di quel gesto, perché da quel momento lei e Akane erano diventate quasi inseparabili. La vita dà, la vita toglie...ho perso un fidanzato, ma ho trovato un’amica, pensò con un sospiro, raddrizzando la bandana del porcellino che aveva in braccio.

Un sorriso spuntò sulle sue labbra quando vide la sua espressione. “P-chan... se non sapessi che è impossibile, giurerei che sei arrossito!” disse sollevandolo all’altezza degli occhi per osservarlo. L’animaletto si agitò, chiaramente a disagio, e lei lo posò su uno degli alti sgabelli davanti al bancone.

“Hai fame?” gli chiese poi, accendendo la piastra e iniziando a preparare l’impasto per gli okonomiyaki. Lei non ne aveva nemmeno un po’ e non aveva idea se i porcellini gradissero la sua specialità, ma non era un buon motivo per lasciare a digiuno il suo piccolo ospite, e poi cucinare l’avrebbe distratta un pochino da quei pensieri tristi e riscaldata un poco.

“Devo sembrarti proprio stupida, vero tesoro? Parlare ad alta voce come una pazza ad un maialino, fingendo...” iniziò a dire versando l’impasto sulla piastra e scuotendo la testa. “...sperando...” mormorò, fissando pensosamente fuori dalla finestra i primi fiocchi di neve che iniziavano a cadere. “...che sia una persona vera” terminò, sbattendo velocemente gli occhi per impedire che una lacrima traditrice le scivolasse lungo la guancia. Quel movimento però le impedì di notare l’espressione mista di sorpresa, tristezza e comprensione negli occhi del maialino seduto sullo sgabello davanti a lei, un’espressione che nessun animale avrebbe mai potuto possedere.

Davvero patetico…perché diavolo oggi sono così emotiva? Probabilmente sarà perché non mi sento bene o per questo tempo da lupi, pensò Ukyo rigirando l’okonomiyaki ormai perfettamente cotto.

“Ecco qua, il migliore okonomiyaki vegetariano della casa!” disse, posando un piatto fumante sotto il naso di P-chan. “Ho pensato fosse meglio evitare di cucinarti qualche parente” tentò di scherzare.

P-chan le rispose con uno squillante ‘bwee!’ di approvazione e lei lo osservò divorare la cena con un lieve sorriso. Era davvero incredibile come la semplice presenza di quel porcellino riuscisse a risollevarle il morale. 

Un attacco di starnuti e un lungo brivido le ricordò che avrebbe fatto molto meglio a prendersi una pasticca di aspirina e infilarsi a letto, quindi ripulì velocemente la cucina e prese P-chan, dirigendosi verso la sua camera.

Purtroppo al piano di sopra la aspettava un’amara sorpresa: in contrasto con il tepore della cucina lì la temperatura era praticamente polare, il che significava che l’impianto di riscaldamento aveva di nuovo deciso di scendere in sciopero. Con un sospiro Ukyo tornò indietro e aprì la porta di un locale dietro la cucina. Lanciando un’occhiata di fuoco alla malconcia e silenziosa caldaia, premette tutti i pulsanti che c’erano e girò tutte le manopole. Non successe nulla.

“Dannato ferrovecchio! Giuro che se stanotte mi lasci al freddo ti sostituirò domani stesso!” la minacciò, continuando a cercare di accenderla. Alla fine le diede una gran botta di lato e quella ripartì sibilando.

Si passò una mano sulla fronte sudata e fece un gran sospiro, perché quel movimento l’aveva affaticata. Le stava per venire davvero una bella influenza se si sentiva così debole solo per aver colpito un bersaglio immobile! Rabbrividì ancora e sospirò.

“E’ in serate come questa che odio di più vivere da sola, lo sai?” disse a P-chan, che l’aveva seguita ed ora la stava guardando con aria preoccupata. Lo riprese in braccio e tornò in camera, dove tirò fuori il futon dall’armadio e lo stese sul pavimento di tatami, poi ci si sedette sopra ed aspettò che la temperatura della camera tornasse a livelli accettabili per potersi svestire. Si guardò intorno, in cerca di qualcosa da fare, ma era tutto perfettamente in ordine. Certo, la sua camera mancava decisamente di tutte quelle caratteristiche femminili che abbondavano nelle camere delle altre ragazze che conosceva, Akane in primo piano, ma lei l’aveva sempre trovata comunque confortevole e pratica. Gli occhi le andarono quasi di riflesso ad una semplice cornice di legno colorato. In quella cornice aveva trovato posto per anni la foto di lei e Ranma bambini, una foto che per lei aveva sempre simboleggiato la profondità e durata del suo amore. Dopo l’annuncio del fidanzamento, tuttavia, Ukyo aveva lentamente e faticosamente rimosso ogni traccia della sua sfortunata esperienza ed aveva sostituito quella foto con un’altra, scattata sulla spiaggia di Togenkyo, insieme al principe Toma e ai suoi scagnozzi.

E’ una bella foto di gruppo, pensò alzandosi e prendendola in mano, e c’erano veramente tutti... i miei amici. Si, poteva davvero considerare amici quella banda di scalmanati… tutti, compresi quella smorfiosetta cinese, la papera quattrocchi e l’eterno disperso. Avevano avuto un sacco di contrasti ovviamente, specialmente con Shampoo, ma ne avevano anche passate insieme delle belle. Osservando come nella foto lei e la cinesina si fossero avvinghiate a Ranma, però, Ukyo sospirò ancora. 

Soltanto a distanza di mesi aveva potuto finalmente rendersi conto che il suo profondo bisogno di essere amata l’aveva spinta a sviluppare una vera e propria ossessione per Ranma… un amore insano e distorto che l’aveva accecata al punto da non accorgersi neanche che ormai aveva finito per considerarlo quasi come un oggetto. Quella scoperta l’aveva atterrita e l’aveva spinta a rimettere in discussione tutto: certo, un enorme affetto e una profonda ammirazione e attrazione per Ranma erano state sempre presenti, ma se lo avesse amato veramente avrebbe dovuto pensare solo alla sua felicità, non cercare di conquistare con la forza un sentimento così delicato. No, forse quello che aveva sempre creduto di provare non era amore…era solo un’ossessione creata dalla sua immensa solitudine, unita ad una fragile speranza.

Quando un’ondata di depressione seguì quel pensiero, Ukyo si riscosse e si diede una botta in testa. “Dannazione sto iniziando a pensare come Ryoga! Se continuo così finirò per spazzare via il ristorante con la mia personale versione di quel suo Shi-shi-qualcosa”, borbottò rimettendo a posto la foto. 

Quasi di riflesso, i suoi occhi tornarono all’immagine che aveva davanti e si soffermarono sull’espressione corrucciata del ragazzo. Dopo il fatidico annuncio del fidanzamento, non lo aveva più visto. Deve essere stata molto dura anche per lui pensò. Il suo amore per Akane era stato evidente, tenace ed assolutamente senza speranza almeno tanto quanto il suo per Ranma… ma mentre lei aveva in fondo potuto passare molto tempo con la persona che amava, Ryoga non aveva potuto godere quasi mai di quel privilegio. O c’era Ranma ad impedirglielo oppure era stato il suo disastroso senso dell’orientamento a farlo. Scosse la testa, guardando fuori dalla finestra la neve che aveva iniziato a turbinare contro i vetri. 

“Spero che quello stupido abbia trovato un riparo al caldo in una nottataccia come questa” sospirò. 

Dietro di lei, P-chan fece un piccolo starnuto e lei si girò verso il maialino. “Oh poverino… spero di non averti attaccato il raffreddore!” disse avvicinandosi.

Avvertendo che la temperatura della stanza era finalmente risalita, si tolse lo spesso strato di maglioni e la sua consueta casacca da cuoca di okonomiyaki, restando in reggiseno. Quando abbassò gli occhi sul suo piccolo ospite, però, vide che il maialino, incredibilmente rosso, si era voltato dall’altra parte. 

“Caspita, Akane-chan ti ha educato veramente bene! Ma siamo sicuri che non hai la febbre?” disse prendendolo in braccio.

P-chan sembrava decisamente scottare e stranamente continuava a tenere gli occhi chiusi. Ad un certo punto le sembrò anche di vedergli colare una goccia di sudore sulla fronte. Avvertendo un profondo disagio dall’animaletto, Ukyo lo rimise a terra e si girò verso il suo armadio per prendere lo yukata da notte. “Devo proprio farle i complimenti...” mormorò osservando come il maialino continuasse a darle rispettosamente le spalle. 

Starnutì ancora un paio di volte e decise che a quel punto un bel bagno caldo era proprio quello che ci voleva. Quando infatti emerse dal vapore del bagno, circa mezzora dopo, si sentiva molto meglio e si mise subito sotto le coperte del futon per conservare il più possibile il calore accumulato con la prolungata immersione nell’acqua calda.

Osservò P-chan, che la guardava interrogativamente da un angolo della stanza.

“Che ci fai lì tesoro? Non posso farti dormire insieme a me come fa Akane perchè ho l’impressione che a lei darebbe un po’ fastidio, ma la trapunta sopra è tutta tua” disse mettendosi a sedere e dando un colpetto ad un punto vicino alle sue gambe. “Coraggio, non ti mangio mica!” aggiunse incoraggiante, quando il maialino si mosse ed in modo esitante si accucciò nel punto che gli aveva indicato.

“Aww bravo piccino” trillò Ukyo, scoppiando a ridere subito dopo al suono ridicolo della sua stessa voce. “Tu... razza di...” lo minacciò scherzosamente, agitando un pugno davanti ai suoi occhi. “Guarda come mi hai ridotto con solo qualche ora di convivenza!! Adesso per colpa della tua irresistibile coccolosità finirò a sfamare intere colonie di gatti come le vecchiette chiocciando ‘come siete carini!’ tutto il tempo” bofonchiò accarezzandolo sulla testa e dietro le orecchie.

“Oh bè... immagino che non sia colpa tua se sei così carino... bè, buonanotte P-chan” disse sbadigliando e spegnendo la luce. “Mi mancherà non augurarti più la buonanotte domani...” mormorò, prima di addormentarsi.

Sullo sfondo della camera illuminata dalla tenue luce dei lampioni, una scatola di aspirina giaceva intatta sul tavolino.





 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

P-chan si svegliò di soprassalto verso le tre del mattino. Era una cosa piuttosto inusuale, perché di solito lui aveva un sonno piuttosto pesante e solo alcune cose erano in grado di svegliarlo: il rumore di un tuono, la fame oppure la sensazione di pericolo. Espandendo al massimo i suoi sensi suini - che nonostante odiasse con passione, doveva riconoscere fossero piuttosto utili in determinate occasioni - tese l’orecchio, ma non avvertì nessun rumore anomalo e una rapida occhiata alle finestre della camera non rivelò nulla di anormale. Ma allora cosa era stato a svegliarlo? Aveva improvvisamente avvertito che c’era qualcosa che non andava...

Un movimento attirò la sua attenzione sulla figura addormentata della ragazza accanto a lui. Ukyo stava dormendo quasi raggomitolata su se stessa e finalmente, quando un altro brivido la scosse, P-chan capì cosa fosse successo.

La temperatura della stanza era di nuovo precipitata a dei livelli minimi preoccupanti ed era chiaro che la malandata caldaia doveva aver definitivamente ceduto. Lui non se ne era accorto prima perché, essendo abituato a dormire al freddo con il solo calore prodotto da un ormai consunto sacco a pelo, dormire su una trapunta gli aveva fornito tutto il calore di cui aveva bisogno. Ma per lei era diverso.

Si avvicinò lentamente al viso della ragazza e scoprì con ansia che era coperto da un insano velo di sudore. Un rapido check con il suo sensibile naso gli confermò i suoi timori: Ukyo era in preda ad un violento attacco di febbre, probabilmente favorito dal brusco calo della temperatura della stanza.

Dannazione e ora che faccio? pensò in preda al panico. Non posso certo lasciarla così... non dopo tutto quello che ha fatto per me questa sera rifletté ripensando ai suoi sorrisi e alla sua gentilezza nell’averlo accolto nella sua casa, riscaldato e nutrito.

Era incredibile come a volte delle semplici coincidenze rivelassero degli aspetti della realtà mai considerati prima. Conosceva Ukyo ormai da cinque anni tuttavia il loro rapporto non era mai andato oltre quello di complici in qualche bislacco piano per separare Ranma e Akane. L’aveva sempre considerata una ragazza strana, manesca e troppo ossessionata da Ranma per poter pensare di stabilire un qualche rapporto di amicizia con lei. Inoltre, il fatto che fosse in aperta competizione con la sua adorata Akane non aveva migliorato certo la situazione, anche se doveva ammettere che – al contrario delle altre rivali – Ukyo non aveva mai deliberatamente cercato di farle male. Tuttavia non si era mai fidato troppo di lei, non riuscendo a superare la sensazione di venir continuamente usato in qualche modo per i suoi astuti e contorti piani.

Certo, c’erano stati anche momenti di vere e proprie alleanze, come nel Tunnel del Perduto Amore o di reciproco supporto, come quando l’aveva salvata da quell’uomo scimmia sull’isola di Toma o quando avevano vinto insieme quell’assurda gara ad ostacoli alle terme Zekkyo ma... mai una volta in tutto quel tempo, Ryoga aveva sospettato che nella vita, per così dire ‘privata’, Ukyo potesse essere così triste, sola e allo stesso tempo così… amorevole.

Il palese sollievo che aveva provato a chiacchierare con lui per vincere la solitudine lo aveva colpito nel profondo, perché conosceva anche troppo bene quella sensazione, ma una cosa che lo aveva sorpreso e confuso ancora di più erano state le affettuose carezze che gli aveva così generosamente elargito e quei suoi sorrisi... così luminosi, genuini e pieni di una gentile preoccupazione da fargli chiedere se quella fosse davvero la stessa ragazza che lo chiamava continuamente idiota.

Un altro brivido della ragazza lo convinse a rimandare i suoi diverbi mentali ad un altro momento e senza indugiare oltre, P-chan si diresse con aria decisa verso il bagno. Lo trovò soltanto dopo parecchi minuti e svariati giri a vuoto in misteriosi armadi, ma almeno riuscì a trovarlo.

Quando subito dopo riemerse dalla doccia bollente in forma umana, Ryoga sospirò di soddisfazione.

“Ahh finalmente...” mormorò flettendo i muscoli delle braccia e ruotando le spalle “non ce la facevo davvero più a restare in forma suina!” esclamò stiracchiandosi.

Ma quando il comprensibile momento di felicità che provava ogni volta che riusciva a liberarsi della sua odiata forma maledetta passò, Ryoga si rese improvvisamente conto di tre cose: primo, che al momento si trovava nudo nel bagno di una ragazza; secondo, che non aveva nemmeno i suoi vestiti per potersi rivestire perché erano rimasti, insieme al suo zaino, alla palestra dei Tendo, dietro la quale Ranma l’aveva scoperto a campeggiare; terzo, che la suddetta ragazza era inconscia e febbricitante nella stanza accanto e che aveva disperatamente bisogno del suo aiuto. Ora, se le prime due considerazioni avevano avuto come effetto quello di farlo precipitare in un abissale imbarazzo - tanto che aveva afferrato un asciugamano e ci si era coperto con una velocità di riflessi tale da fare invidia allo stesso Ranma - la preoccupazione per le condizioni di Ukyo glielo fecero allo stesso modo superare.

Non aveva scelta, era troppo tardi per chiamare un medico e con quella tempesta di neve sarebbe stato comunque difficilissimo trovare qualcuno disposto a venire, quindi restava soltanto lui. Poi, in fondo, si trattava soltanto di farle mandare giù una pasticca, no? Con un po’ di fortuna probabilmente Ukyo non si sarebbe nemmeno svegliata.

Afferrò un bicchiere da una mensola, lo riempì con dell’acqua e si incamminò verso la stanza di lei, sospirando. Sperava davvero che fosse andato tutto bene. Sarebbe stato praticamente impossibile giustificare la sua presenza se mai Ukyo si fosse svegliata e lo avesse trovato proprio là, mezzo nudo e in camera sua. Rabbrividì al pensiero delle palettate che ne sarebbero seguite.

Dopo lunghi e affannosi tentativi di ritrovare la strada per la camera da letto di Ukyo malgrado le ridotte dimensioni dell’appartamento - che contava solamente un corridoio, una camera da letto, un bagno, un ripostiglio e vari armadi a muro, tutti luoghi che lui visitò ripetutamente – alla fine Ryoga riuscì ad azzeccare la porta giusta.

Individuò subito la confezione di aspirina sul tavolino e la prese in mano tuttavia, quando si avvicinò ad Ukyo, si accorse che naturalmente la situazione non era affatto così semplice come aveva sperato.

La ragazza era strettamente raggomitolata e stava tremando dal freddo ancora più violentemente di prima, inoltre il suo respiro era affannato e irregolare ed ogni tanto era scossa da colpi di tosse... cercare di farle bere qualcosa di liquido in quelle condizioni non solo sarebbe stato impossibile, ma anche pericoloso.

“Dannazione” mormorò inginocchiandosi accanto a lei. Allungò una mano per toccarla, ma poi si fermò, esitante. Se si fosse svegliata... se l’avesse visto... cosa avrebbe potuto dirle? Non ci avrebbe messo molto a capire che lui e P-chan erano la stessa persona e che dando asilo ad un maialino si era sobbarcata anche la compagnia di un patetico peso morto, irritabile e depresso come lui.

Era davvero pronto a rischiare di esporre il suo segreto in quel modo? Per una persona che conosceva a malapena?

Fuori la neve continuava a cadere, silenziosa e morbida, avvolgendo tutto nella sua atmosfera ovattata. Il vento aveva smesso di far tremare i vetri delle finestre, anche se ormai uno spesso strato di ghiaccio e cristalli ne avrebbe comunque impedito il rumore.

Ryoga guardò fuori e per un momento si immaginò oltre quella finestra, per strada, coperto dalla neve, mentre cercava un posto al riparo dove potersi buttare alle spalle una nottataccia del genere. Non sarebbe stata né la prima volta, né l’ultima: in tutta la sua vita passata a vagabondare suo malgrado sotto ogni tempo atmosferico, ne aveva passate molte di notti come quella. Ma per una volta, gli era stata concessa una tregua. Un’opportunità. Un riparo, dettato semplicemente dalla generosità di un’anima gentile.

Non poteva farlo... non poteva ignorare quel gesto cortese e disinteressato nei suoi confronti. D'accordo, era stato ovviamente più nei confronti di P-chan che dei suoi, ma la sua coscienza non lo avrebbe mai lasciato tranquillo se non avesse contraccambiato come poteva. Avrebbe rischiato di rivelare il suo segreto peggiore, ma diavolo, almeno lo avrebbe fatto cercando di fare del bene.

Si mordicchiò un labbro con un canino appuntito, pensieroso. Non era un medico e non aveva una grande esperienza con febbroni come quella, nemmeno quella personale perché raramente si ammalava ma una cosa era certa: doveva cercare in qualche modo di ristabilire la temperatura corporea di Ukyo. Questa volta si fece coraggio e la toccò. La fronte e le guance scottavano ma le mani erano gelate.

Fatti coraggio Hibiki si disse. Hai la possibilità di rendere il favore a chi ti ha generosamente aiutato. Ora sii uomo, prega perché non si svegli e fai quello che devi fare.

Con un sospiro Ryoga strinse il nodo dell’asciugamano sui fianchi, piazzò il bicchiere d’acqua e l'aspirina a portata di mano, scostò le coperte e prese Ukyo tra le braccia per riscaldarla.

O almeno, cercò di farlo. Un pugno chiuso scattò all'improvviso verso l'alto e fu solo grazie ai riflessi forgiati da anni e anni di combattimenti con Ranma che lui riuscì ad evitare l'impatto. Temendo che si fosse svegliata si ritrasse subito in una zona d'ombra ma la ragazza, nonostante quel brusco movimento, sembrava essere ancora addormentata e un'espressione stupita gli si dipinse sul viso. Probabilmente era stato l'istinto da combattente di arti marziali a farla reagire in quel modo alla sua vicinanza: era come se avesse cercato inconsciamente di difendersi da una presenza che non le era familiare. Nonostante la situazione Ryoga fece un mezzo sorriso: chissà perché non lo stupiva affatto scoprire che Ukyo era violenta pure nel sonno... e in ogni caso la presenza di un impulso così forte di autodifesa non poteva che essere un bene, soprattutto per una ragazza.

Questo però gli complicava leggermente la vita in quel momento così, con un sospiro, le si avvicinò con più lentezza sdraiandosi semplicemente accanto a lei. Quando vide che non ci furono altre reazioni avverse, si girò su un fianco e le si avvicinò ancora fino a sfiorarla ma ben presto si rese conto che quel lieve contatto non era abbastanza per riscaldarla, anche se lui era così nervoso da star letteralmente sudando. In modo esitante e con molta cautela le circondò la vita con un braccio, attirandola ancora di più a sé e facendole appoggiare la schiena sul proprio petto, curvandosi per seguire i contorni del suo corpo. Quel primo contatto era cruciale e lui rimase così, rigido come una statua, fino a che Ukyo smise di tremare e i muscoli le si rilassarono; solo a quel punto fu abbastanza sicuro di aver superato la condanna a morte via spatola che sentiva quasi aleggiare sinistramente sopra di lui.

Vedendo che le sue condizioni stavano lentamente migliorando, anche Ryoga si rilassò... e quello fu il primo errore, perché in quel modo ebbe il tempo di capire in che situazione si trovasse. La prima cosa che registrò fu che per sua immensa e grandissima fortuna Ukyo non si era svegliata, né aveva dato indizio di aver ripreso conoscenza. Ma quella buona notizia fu anche l’ultima, perché subito dopo il sospiro di sollievo, il suo cervello continuò a registrare tutto il resto. Nel giro di un secondo una valanga di informazioni sensoriali rischiò seriamente di sovraccaricargli il cervello: lei era calda e morbida, solida ma allo stesso tempo piccola contro di lui, i suoi capelli profumavano di pesca e vaniglia e gli solleticavano leggermente il naso, la sua vita era così sottile e i suoi....

Okay, frena Hibiki si ammonì severamente stringendosi il naso con due dita prima che inizi a riscaldarti troppo, pensaci bene. Questa è Ukyo, ricordi? Quella manesca, violenta e che ti chiama costantemente idiota?

L'immagine della sua espressione feroce e della ferrea stretta sul manico di una gigantesca paletta da okonomiyaki gli apparve davanti agli occhi in tutta la sua spaventosa familiarità e stranamente, questo lo fece rilassare e gli permise di superare l'attacco di panico.

Si, quella era l'Ukyo che conosceva. Quella che l'avrebbe preso a palettate senza pietà se solo avesse pensato a stringerla un po' più a lungo di quanto non fosse stato necessario. Era quella ragazza che stava tenendo tra le bra... um, riscaldand... ehm, soccorrendo, si ricordò ancora una volta. Non la fanciulla dagli occhi malinconici e dal dolce sorriso che lo aveva ammaliato con il suo timido ed incantevole fascino.

Incantevole? Ukyo? Il freddo deve avermi ingrippato il cervello, pensò aggrottando le sopracciglia.

Però... come poteva negare la stretta al cuore che aveva provato quando l'aveva vista combattere contro le lacrime mentre gli stava preparando da mangiare? Va bene, poteva essere stata solo compassione... dopotutto lui non era stato in condizioni migliori soltanto qualche mese prima; la ferita per il fidanzamento di Akane era ancora viva e bruciante nel suo cuore e ci sarebbe voluto ancora del tempo perché si rimarginasse del tutto.

Tuttavia c'era stato qualcos'altro che lo aveva colpito profondamente in quella scena: il fatto che per la prima volta da quando la conosceva, la consueta maschera da 'dura' che Ukyo normalmente esibiva si era frantumata, lasciando trapelare una fragilità emotiva che rivaleggiava con la sua.

Erano molto più simili di quanto avesse mai potuto immaginare, realizzò con stupore. Certo, Ukyo era sempre stata molto più brava a nascondere la sua sensibilità rispetto a lui, il cui viso mostrava al mondo intero il tumulto dei suoi sentimenti come un libro aperto. Ma la solitudine… il non sentirsi accettati da nessuna parte... quel disperato e tenace amore verso le prime persone che avevano dimostrato loro un semplice gesto di affetto... e per finire la completa, totale distruzione di ogni loro speranza con l'annuncio del fidanzamento... diavolo, era come se qualcuno si fosse divertito a disporre le loro vite nello stesso identico modo.

Il filo dei suoi pensieri si interruppe bruscamente quando Ukyo, probabilmente confortata dal suo calore, si girò di scatto verso di lui e gli si rannicchiò contro con un sospiro. Non avrebbe potuto giurarlo, ma dalla sua espressione rilassata e quasi sorridente nel sonno, Ryoga era sicuro che stesse sognando di essere abbracciata a Ranma. Arrossì dalla testa ai piedi quando sentì delle morbide curve pressate contro di sé ma, deglutendo con molta difficoltà, riuscì a tenere sotto controllo i suoi ormoni e decise di spostare la sua attenzione sull'ambiente in cui si trovava, per cercare di distrarsi.

Era una stanza molto diversa da quella di Akane: non c'erano peluches, cuscini o poster di cantanti e nemmeno specchiere con prodotti cosmetici assortiti annessi. Lui non si considerava un esperto in camere da letto femminili ovviamente, ma perfino Akane – che veniva universalmente considerata come un maschiaccio – aveva qualcuna di quelle cose elencate. Là invece era tutto molto pratico: il pavimento era in parte costituito dal tradizionale tatami intrecciato ma, al contrario del consueto arredamento minimalista, c'erano anche dei mobili dalla foggia moderna tra cui due ampie librerie di legno chiaro una davanti all'altra, un divanetto basso dall'aria vissuta, un televisore, un tavolino da caffè e un mobiletto alto e stretto che sembrava uno di quei vecchi archivi degli anni '50.

Era chiaro che quell'ambiente era molto di più di una semplice camera da letto: era un salotto per rilassarsi dopo una lunga giornata e un ufficio dove fare i conti e tenere la contabilità. Non era la stanza frivola di un'adolescente, ma quella di una giovane donna che si manteneva con il proprio lavoro.

Ancora una volta Ryoga si meravigliò di quante cose su di lei avesse sempre dato per scontato e di quanto fosse simile la loro vita: entrambi avevano dovuto crescere prima del tempo, isolati dal resto dei loro coetanei da troppi viaggi – ironicamente in cerca della stessa persona e per lo stesso identico scopo di vendetta – ed entrambi adesso si ritrovavano nella stessa situazione, troppo giovani per vivere da soli ma troppo maturi per poter comportarsi come dei ragazzi normali.

Con un sospiro mise da parte quei pensieri tetri e decise di concentrarsi sul problema attualmente più spinoso, ovvero come farle ingoiare quella dannata medicina. Sorprendentemente ci aveva visto giusto: averla riscaldata aveva in qualche modo giovato alle sue condizioni e al momento brividi e tosse sembravano spariti. Anche il respiro sembrava tornato regolare e Ryoga decise che quello poteva essere l'unico momento adatto per effettuare l'operazione, così cercando di muoversi il meno possibile, allungò una mano dietro di sé e riuscì a tentoni a trovare la confezione di aspirina. Riuscì anche ad aprirla ed a prenderne una con una sola mano, ma quando la strinse tra il pollice e l'indice un pensiero lo bloccò: per fargliela ingoiare avrebbe dovuto metterla nella sua bocca, il che significava… toccare quelle labbra. Il suo sguardo automaticamente si posò sulle labbra in questione, umide, vellutate e sensuali e il cervello gli partì per la tangente. Con acuta chiarezza vide se stesso mettersi la pasticca in bocca e poi chinarsi su di lei, pronto a spingerla tra le sue labbra con la propria ling...

Dannazione, piantala con questi pensieri! si ammonì severamente, stringendosi ancora una volta il naso fino quasi a farsi male. Ora, dai una calmata ai tuoi ribollenti ormoni e fa quello che devi fare! Si disse ancora, poi chiuse gli occhi e iniziò a contare fino a duecento per calmarsi. Quando li riaprì era fermamente deciso a finire quella faccenda il più rapidamente possibile, così le sollevò la testa, le fece schiudere leggermente di più le labbra, le piazzò la pasticca in bocca con un movimento così rapido che avrebbe fatto invidia allo stesso Ranma e si girò a prendere l'acqua. Il tutto cercando di guardarla il meno possibile.

Quando le accostò il bicchiere alle labbra però, avvenne quello che più temeva: le palpebre di Ukyo fremettero, lei sospirò e con un basso gemito - che non fece altro che peggiorare lo stato della sua già iperattiva immaginazione - socchiuse gli occhi.

“R...ran...chan?” chiese con un filo di voce e Ryoga semplicemente, si pietrificò.

Che doveva fare? Era ad un passo dall'essere palettato fino alla morte… lanciò nervosamente uno sguardo al bicchiere che era così invitante nella sua mano e, preso dal panico, per un attimo considerò l'opzione di trasformarsi e fuggire a gambe levate da là. Ma subito dopo si rimproverò per quel pensiero e quella poco dignitosa mancanza di coraggio e trasalendo mentalmente per il suo pessimo talento nel gestire quelle situazioni, si preparò a giocare il tutto per tutto. Ripensò a cosa avrebbe detto Ranma, si schiarì la gola e cercando di imitarlo il più possibile mormorò semplicemente “Bevi Ucchan”.

Era assolutamente convinto che a quel punto Ukyo avrebbe spalancato gli occhi e si sarebbe messa a urlare colpendolo in testa e facendo accorrere tutto il vicinato… ma stranamente non avvenne nulla di tutto questo. Lei richiuse gli occhi e sorseggiò l'acqua senza dire una parola, per poi buttargli le braccia al collo e rannicchiarsi contro di lui con un sospiro di beatitudine, strusciando con evidente soddisfazione una guancia contro il suo petto nudo.

Ancora una volta Ryoga rimase spiazzato da quella strana reazione. Non era decisamente abituato a vederla fare quanto richiesto senza dire una parola o smuovere una discussione e la totale fiducia con la quale Ukyo si era abbandonata alle sue cure stava incontrando molta difficoltà a venire accettata dal suo cervello. Ma poi capì che evidentemente lei doveva aver interpretato tutto quello che stava accadendo come un sogno, il cui protagonista era ovviamente Ranma.

Nonostante quello le orecchie gli diventarono di brace. Era estremamente raro per lui ricevere un contatto così intimo e appassionato da una ragazza e anche se sapeva di non esserne realmente il destinatario, c'era comunque una bella differenza tra lo stringere una persona inconscia e invece ritrovarsi tra le braccia un'entusiasta giovane donna che gli si era avvinghiata al collo come un boa constrictor.

Quella inconsapevole ricerca di contatto era triste e tenera allo stesso tempo: era un lato di lei che non aveva mai conosciuto e nemmeno sospettato… un lato vulnerabile, bisognoso di affetto e molto, molto femminile che gli stava facendo venire istinti ai quali non avrebbe nemmeno dovuto pensare.

Specialmente visto che siamo soli, in una notte di bufera, lei mi sta incollata addosso mentre sono seminudo nel suo letto...

Si dice che ogni guerriero abbia un punto debole nella sua armatura - dopotutto anche Achille aveva il suo tallone - e lui non sfuggiva certo a questa legge fondamentale dell’universo. Ma più che un punto debole per lui si trattava quasi di una specie di fobia: il suo valore guerriero era infatti inversamente proporzionale alla sua disinvoltura con le donne. Il suo corpo allenato da anni di viaggi e pratica di arti marziali era ormai in grado di resistere a condizioni estreme di qualunque tipo, fino ad arrivare a superare prove al limite dell’umano: non c’era niente che la sua prodigiosa resistenza fisica non fosse in grado di sopportare.

Niente, tranne una cosa: il contatto fisico con l’altro sesso.

Sovraccaricato dal massiccio attacco di stimolazioni fisiche – a mala pena sostenute - per via della presenza di quel morbido corpo femminile pressato contro il proprio, il fisico di Ryoga non riuscì ad affrontare le esplicite immagini che la sua mente evocò a tradimento.

Così, di fronte a quel duplice attacco di sollecitazioni sia fisiche che mentali, il suo cervello preso dal panico reagì nell’unica maniera possibile: un completo black-out.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Ukyo si svegliò con una sensazione decisamente piacevole: era in una posizione comoda e con un paio di braccia maschili che la circondavano protettivamente, facendola sentire al caldo e al sicuro. Sapeva che era solo un sogno, ovviamente, ma era così bello che rimase un po’ sotto le coperte a crogiolarsi in quella bolla di pigro benessere. Alla fine, sbadigliando, stirò le braccia allungandole fuori dalla trapunta e quando qualcosa di freddo e bagnato toccò il suo polso aprì un occhio.

P-chan era accanto al suo futon, in una piccola pozza d’acqua e con un’aria estremamente apprensiva. Vicino a lui un bicchiere era rotolato accanto alla confezione di aspirina e lei concluse che l'animaletto doveva averlo rovesciato mentre era ancora mezzo pieno. Stano, non ricordava di averlo messo lì… si vedeva che il malessere della sera prima doveva essere stato più forte di quanto avesse immaginato.

Il lato del futon accanto a lei era ancora stranamente caldo e, considerando l'agitazione del maialino, Ukyo non ci mise molto a fare due più due.

“Oh, allora sei stato tu a scaldarmi questa notte?”, mormorò con la voce ancora un po’ roca per il sonno. Allungò una mano per accarezzarlo ma sorprendentemente lui si ritrasse, guardando prima la pozza d’acqua e poi lei con un’espressione nervosa.

“Aww piccolo, non ti preoccupare per il bicchiere… non sono arrabbiata. E Akane non saprà mai che sei venuto a trovarmi sotto le coperte… sarà il nostro piccolo segreto”, ridacchiò grattandolo dietro le orecchie.

“Tra l’altro, come darti torto se sei venuto a cercare un po’ di calore? Fa un freddo della miseria qui! Maledetto ferrovecchio!” bofonchiò, rabbrividendo.

Si alzò e dopo aver asciugato il piccolo danno (ringraziando mentalmente che quel liquido non fosse altro), pescò a casaccio dei vestiti dall’armadio, precipitandosi poi in bagno, dove accese al massimo una stufetta ad aria calda. Mentre aspettava che l’ambiente si riscaldasse, si sfregò le braccia e guardò fuori dalla finestra: aveva smesso di nevicare, ma una fitta coltre di neve aveva coperto ogni cosa. Scosse la testa, sorridendo. Era una delle giornate più fredde dell’anno, aveva la caldaia rotta e con lo scaldabagno poteva a mala pena farsi una doccia… ma nonostante tutto era di ottimo umore.

Ormai era raro che sognasse Ranma ed ancora di più che la reminiscenza del sogno le restasse così impressa da accompagnarla anche dopo il risveglio, soprattutto con una sensazione così intensa di calore e protezione. Si vedeva che, dopo la tristezza provata la sera prima, il suo cuore aveva avuto bisogno di un po’ di consolazione e così durante la notte il suo inconscio si era messo al lavoro ed aveva evocato un’adeguata compensazione al suo desiderio di contatto umano. Peccato solo che non ricordasse altri particolari: le sembrava vagamente di aver avuto freddo, poi era arrivato lui e l'aveva presa tra le braccia, riscaldandola. Chissà se il sogno continuava con risvolti più… intimi? si chiese con un malizioso sorriso mentre finiva di spazzolarsi i capelli.

Quando si fu lavata ed asciugata, Ukyo alzò un sopracciglio. Nella fretta di raggiungere il bagno non aveva fatto caso a cosa avesse effettivamente scelto dal suo relativamente monotematico guardaroba e quando si trovò tra le mani il set di pantaloni e top neri che aveva indossato nella gita al Tunnel del Perduto Amore, si rese conto che la scelta non era stata proprio felice. Passi per i pantaloni, che erano in pratica uguali a tutti gli altri, ma il top era decisamente uno tra i più scollati che avesse. Non proprio l’indumento più adatto in una giornata fredda come quella.

D’altro canto era veramente tanto tempo che non lo indossava e non aveva assolutamente voglia di tornare a rimettere le mani nell’armadio in cerca di qualcos’altro, così lo indossò ugualmente decidendo che ci avrebbe messo semplicemente sopra due maglioni. Scoprì con irritazione che sia il top che i pantaloni le stavano un po’ stretti ma decise di non lasciarsi rovinare quel raro buon umore con cui si era svegliata.

“Forza P-chan, andiamo ad affrontare il secondo round contro quel dannato ferrovecchio della mia caldaia" disse allegramente al porcellino mentre si infilava una sopra l'altra due maglie di pile.

Aveva appena aperto la porta del vano tecnico, pronta a ingaggiare un'altra battaglia, quando sentì bussare alla porta a vetri del ristorante.

Un cliente? Questa giornata sta andando sempre meglio, pensò aprendo l'anta scorrevole con un gran sorriso. L'espressione le si gelò sulle labbra, però, quando riconobbe chi le stava di fronte.

"Ah... ciao Kasumi".

Generalmente era sempre contenta di incontrare la maggiore delle sorelle Tendo. Nella gabbia di matti di quella casa lei era certamente la persona più piacevole con cui conversare; tuttavia, conoscendo il motivo dietro quella visita, in quel momento non era particolarmente entusiasta di vederla, perché sapeva che avrebbe dovuto rinunciare alla compagnia del suo piccolo ospite.

"Come stai? Entra che fa freddo", la invitò, facendosi da parte per farla entrare. "Vuoi un tè? Stavo per mettere su l'acqua".

Kasumi sorrise, ringraziandola con un cenno del capo, cortese come sempre.

"No, ti ringrazio. Devo fare ancora alcune commissioni".

"Oh. Immagino che sarai venuta per P-chan… mi dispiace averti fatto uscire con tutta questa neve solo per questo".

"Figurati, sarei uscita comunque. Bufera di neve o no, con tutti gli ospiti che abbiamo c'è sempre bisogno di fare la spesa".

Mentre si girava a prendere P-chan, Ukyo rabbrividì mentalmente all’idea. Come il signor Tendo riuscisse a sfamare la vorace orda di scrocconi che aveva piantato le tende a casa sua era un mistero universalmente riconosciuto e tuttora senza risposta.

"Eccolo qui. Devi fare i complimenti ad Akane-chan per conto mio per quanto lo ha educato bene. È stato bravissimo e di grande aiuto” disse porgendogli il maialino, non senza una lieve esitazione e una punta di rimpianto. Era incredibile quanto si fosse affezionata a quel microbo pelosetto nel giro di ventiquattrore.

Kasumi sorrise e lo prese in braccio.

"Sì, è un maialino che sa come farsi voler bene", mormorò grattandolo leggermente dietro le orecchie. “Tu come stai? Akane mi ha detto che ti sentivi la febbre”.

“Oh, per fortuna la medicina che ho preso sembra aver funzionato. Mi sento ancora un po’ debole ma sto decisamente meglio rispetto a ieri”.

Kasumi sorrise e si avviò verso la porta a vetri.

“Mi fa piacere. Mi raccomando resta in casa e riguardati: dicono che stia per arrivare un’altra tempesta di neve ancora più forte di quella precedente”, le disse salutandola.

“Ah, grandioso”, mugugnò Ukyo, dopo aver richiuso con un certo sforzo la porta scorrevole. “Bloccata in casa per chissà quanto e pure senza riscaldamento. Proprio grandioso”.

Con un sospiro, tornò alla caldaia. Dopo aver nuovamente studiato la situazione e riprovato senza successo a farla ripartire, stava per effettuare la consueta manovra di resettamento manuale (ovvero la gran botta di lato), quando sentì nuovamente un rumore alla porta.

A giudicare dall’altezza della figura in controluce stavolta avrebbe potuto essere davvero un cliente e lei cercò di darsi una risistemata mentre si apprestava ad aprire.

“Benvenuto da Ucchan! Anche se non sembra siamo aperti e lieti di… uh…”

Davanti all’ingresso del ristorante, con un’espressione di un supremo disagio misto a imbarazzo, c’era Ryoga Hibiki, l’eterno disperso. Era davvero una strana coincidenza: non lo vedeva da mesi e poi, quasi evocato dai suoi stessi pensieri, ecco che se lo ritrovava sulla porta di casa. Come sempre, da quando lo conosceva, il ragazzo sembrava essere appena sceso da un’altro pianeta… un po’ per la sua solita aria di generico smarrimento e molto per il fatto che indossava solo dei pantaloni e una maglietta nera a maniche corte in mezzo a tutta quella neve.

“Ryoga? Che ci fai qui?”.

Lui si grattò la testa, imbarazzato.

"Uhm, bella domanda. Ero uscito dalla tenda per comprare la colazione ma…”, alzò le spalle, giudicando superfluo continuare il discorso. In fondo la sua patologica mancanza di senso dell’orientamento era ampiamente nota a tutti. “Ti posso chiedere uh… un bicchiere d’acqua?.

Ukyo sbatté gli occhi, stupita da quella strana richiesta. Non che fosse strana di per sé, ma generalmente Ryoga le chiedeva indicazioni per tornare da qualunque posto fosse venuto e poi si dileguava, a volte non facendosi più vedere per mesi e mesi. Se non lo avesse conosciuto bene, quella richiesta sembrava quasi la classica scusa per entrare a casa di qualcuno. D’altra parte, proprio perché lo conosceva e sapeva che era in grado di perdersi e girare per giorni senza mai fermarsi, non poteva certo negargli una cortesia così basilare.

“Certo, entra”.

Quando fu dentro lo osservò guardarsi intorno con interesse e una punta di cauta circospezione. Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma quando lei poggiò il bicchiere sul bancone, si riscosse e allungò una mano per prenderlo. In quello stesso momento, nel silenzio ovattato del ristorante deserto, riecheggiò il lamentoso brontolio di uno stomaco seriamente affamato e pure un po’ seccato per essere stato lasciato a secco così a lungo.

Ukyo alzò un sopracciglio.

“Sembra proprio che qualcuno non sia felice di ricevere soltanto un bicchiere d’acqua per colazione”.

“Scusa”, bofonchiò Ryoga con una smorfia di imbarazzo. “Non sono riuscito ad arrivare ad un minimarket e non ho monete per i distributori”.

Doveva essere davvero difficile combattere con un problema come quello, così invasivo da rendere complicato anche un gesto così apparentemente banale come comprarsi la colazione e lei sentì improvvisamente una stretta al cuore e una gran voglia di aiutarlo. Chissà come mai in quei giorni era diventata sdolcinata? Possibile che fosse rimasta da sola talmente a lungo da renderla letteralmente affamata di compagnia? Un leggero languore si fece strada anche dentro il suo stomaco e decise di prendere due piccioni con una fava. In fondo stava semplicemente facendo il suo lavoro… dare da mangiare agli affamati non era il motto di qualunque ristorante?

“Beh, visto che sei qui e nemmeno io ho fatto ancora colazione, siediti pure. Ti offro un okonomiyaki”.

Ryoga però scosse la testa.

“Grazie ma non posso accettare. Al momento non ho abbastanza soldi per pagarlo”.

“Vuoi scherzare? Non saremo amici per la pelle ma ci conosciamo da un sacco di tempo… e con tutti quelli che si è strafogato gratis Ranma in questi anni, pensi che ti faccia pagare?”

“Per lui è diverso, immagino”, replicò con tono asciutto. “E io non sono abituato a scroccare il cibo”

“Sì, era diverso. Ma se Ranchan non mi ha mandato in bancarotta, dubito che ci potresti riuscire tu”.

Lui non rispose, ma Ukyo iniziò lo stesso a scaldare la piastra e a tirare fuori gli ingredienti dal frigo. Se non voleva mangiare nonostante fosse chiaramente affamato e a stomaco vuoto, erano affari suoi, lei avrebbe fatto colazione lo stesso.

Era però rimasta parecchio colpita dalla sua ferrea integrità morale. Essendo cresciuta accanto a Ranma, che a volte si era rivelato piuttosto opportunista, trovare qualcuno disposto a patire la fame per non scendere a compromessi con le proprie convinzioni era alquanto sconcertante. Ammirevole, ma sconcertante.

Dopo un breve silenzio, la voce profonda di Ryoga la distolse dai suoi pensieri.

"Ti posso fare una domanda?".

"Spara".

“È tutto a posto? Di solito non fa così freddo qui”.

“Di solito non nevica. E ci sono i clienti”, ribatté automaticamente lei senza girarsi e interrompere quello che stava facendo. “E poi come fai a dire che qui fa freddo, se te ne vai in giro con nient’altro che una maglietta di cotone quando fuori ci saranno sì e no due gradi?”

“Io non sento freddo. Però, a giudicare dalla quantità di vestiti che indossi, tu sì”.

Ukyo strinse gli occhi mentre affettava un cavolo. Un’altra sorpresa. Non lo aveva mai ritenuto una persona osservatrice… ma doveva ammettere che non si era mai veramente soffermata a considerare il suo carattere in generale.

“Se proprio lo vuoi sapere, si è rotta la caldaia. Sto aspettando che arrivi il tecnico a ripararla”.

“Um… allora… che ne dici se in cambio della colazione te la riparo io?”

Stavolta lei si girò a lanciargli un’occhiata scettica.

“Perché, sai riparare le caldaie adesso?”

“Una volta mi sono ritrovato senza saperlo a bordo di una nave. Ovviamente non avevo né biglietto, né autorizzazione e per pagarmi il viaggio ho lavorato nella sala motori”.

“Oh. Affascinante. Ma credo che le caldaie di una nave siano un po’ diverse da quelle di un normale appartamento”.

“Nah, i principi della termoidraulica sono più o meno gli stessi, cambia solo la dimensione”.

Presa in totale contropiede da quella proposta, Ukyo lo studiò per un attimo. Non aveva idea se fidarsi o meno di quello che le aveva appena detto: per quanto ne sapeva, poteva essere una balla stratosferica… e in più Ryoga era famoso per la forza spropositata della quale non sempre si rendeva conto. Lasciarlo avvicinarsi alla sua caldaia senza che sapesse esattamente cosa fare non sembrava una grande idea e prometteva potenziali danni catastrofici. D’altra parte, era anche vero che lui era sempre stato un ragazzo di parola e che raramente mentiva, né era solito vantarsi di qualcosa al di fuori delle sue possibilità, quindi forse stava dicendo il vero. Senza contare che in quel modo le avrebbe risolto un grossissimo problema e allo stesso tempo gli avrebbe dato la possibilità di ripagare in qualche modo la colazione, offrendogli una dignitosa scappatoia per mettere a tacere il suo orgoglio ferito.

“Ok”, concesse alla fine, seppure con aria dubbiosa. “Ma se spacchi qualcosa mi ripagherai tutto con gli interessi, chiaro?”

Ryoga assentì con un cenno del capo e a lei sembrò per un attimo che una certa tensione gli avesse abbandonato le spalle. Non facendoci caso più di tanto, aprì la porta del locale tecnico e gli mostrò la caldaia. Con sua grande sorpresa, lui si mosse subito con una certa sicurezza controllando dei valori sul display; poi guardò per un attimo sotto il pannello, ruotò una leva e la caldaia riprese magicamente vita.

Ukyo non riusciva a credere ai suoi occhi.

"Come… come hai fatto?!".

"La pressione era praticamente a zero e per ristabilirla ho dovuto aggiungere altra acqua. Però la leva del rubinetto doveva essersi bloccata perché ho dovuto forzarla un po'. Ecco, ora il livello è tornato normale, vedi?", le disse, indicando una sezione del display alla quale lei non aveva mai fatto caso. "Comunque ti conviene chiamare lo stesso il tecnico, perché è strano che l'acqua si sia esaurita in questo modo. Potrebbe esserci una perdita da qualche parte".

“Io… non ho parole”. La prospettiva di non restare al freddo e al gelo nei giorni successivi la rendeva così felice che gli avrebbe buttato le braccia al collo. Ma aveva una reputazione da difendere, così optò per una cordiale ma più generica pacca sulla spalla. “Wow, chi lo avrebbe detto che quel tuo disastroso senso dell'orientamento sarebbe servito a qualcosa? Grazie mille, sei stato davvero bravo!”

“Non vedo come perdersi in continuazione possa essere in qualche modo utile”, replicò asciutto lui, tornando al bancone e sedendosi con aria corrucciata.

“Se non ti fossi perso e ritrovato su quella nave, non avresti mai fatto l’esperienza di lavorare in una sala macchine e oggi non saresti stato capace di riparare la mia caldaia”.

“Non era esperienza, era sopravvivenza!”

“Stessa cosa”, tagliò corto lei, tornando alla preparazione della sua specialità. “Come lo vuoi l’okonomiyaki?”

“Come ti pare, basta che non ci sia maiale”, rispose lui un po’ distrattamente, guardando verso il retro. “Uhm… c’è un bagno? Vorrei lavarmi le mani”.

“Prima porta a destra dopo le scale”, disse automaticamente lei, con il tono piatto di chi ha risposto a quella domanda un milione di volte in vita sua. “E non ti perdere!”, gli urlò dietro subito dopo.

Lo osservò indugiare sulla soglia del piano di sopra, indeciso, per poi sparire sul retro e scosse la testa. Ma come faceva a perdersi in quei due metri scarsi?

Fuori la neve aveva ripreso a turbinare con un'intensità ancora maggiore della sera prima ma, grazie al calore della piastra e al riscaldamento finalmente a pieno ritmo, Ukyo non aveva più tanto freddo, così decise di togliersi almeno uno strato, eliminando una maglia di pile. L’altra rimase al suo posto perché, anche se si sentiva molto meglio rispetto al giorno precedente, era sempre preferibile non rischiare una ricaduta.

Prima era stata un po’ frettolosa nel ringraziarlo, ma la verità era che Ryoga l’aveva davvero salvata da una situazione parecchio problematica: con quel tempaccio sarebbe stato impossibile ricevere assistenza in tempi brevi, il che significava che avrebbe passato i giorni successivi a battere i denti e la probabilità che l’influenza si fosse ripresentata a pieno titolo sarebbe stata altissima. Rabbrividì al solo pensiero: bloccata dentro casa con una tempesta, da sola e pure malata? Che prospettiva deprimente…

Per sua fortuna, però, le cose erano andate diversamente. Il karma le aveva mandato una inaspettata soluzione ai suoi problemi nella forma di un ragazzo con la bandana a quadretti e Ukyo decise di essere paziente con lui, per quanto possibile. Dopotutto, si era già rivelato molto più utile del previsto e una discreta fonte in sorprese… chissà che altro sarebbe saltato fuori, se ci avesse parlato un pochino più a lungo?

Riaggiustandosi il fiocco bianco che le tratteneva i lunghi capelli, Ukyo sorrise lievemente al pensiero che forse, dopo tanti anni, era arrivato il momento di conoscere un po' meglio quella sfuggente goccia di mercurio che era Ryoga Hibiki.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

Nota dell’autrice:

Ciao a tutti, approfitto di questo spazio per fare innanzitutto dei ringraziamenti ai miei fantastici recensori TigerEyes, FedeGinRic e Andy Grim. Leggere le vostre recensioni mi riempie di goia e mi ritengo davvero onorata per aver risosso la vostra approvazione ed avervi come ‘compagni di viaggio’ nella mia prima avventura in questo fandom.

In particolare vorrei ringraziare TigerEyes, oltre che per le sue super dettagliate recensioni, soprattutto per il suo immenso aiuto ed infinita pazienza nel risolvere i miei litigi con la punteggiatura, dare la caccia alle odiose ripetizioni e, in generale, offrirmi consigli stilistici sempre molto apprezzati.

E ora, mettetevi comodi… perché questo capitolo sarà bello lungo! ^__^

 

 

 

Dopo un paio di tentativi, Ryoga arrivò davanti alla porta del bagno e tirò un sospiro di sollievo. Dopo il risveglio al cardiopalma di quella mattina le cose sembravano andare finalmente per il verso giusto, nonostante avesse dovuto improvvisare molte più volte di quanto non fosse saggio fare, considerata la sua totale incapacità di mentire.

Si era svegliato di soprassalto, di nuovo, con una intensa sensazione che stesse accadendo qualcosa di anomalo e quando aveva aperto gli occhi, l’anomalia si era manifestata in tutta la sua interezza nella forma della ragazza che dormiva beatamente tra le sue braccia. Una visione che forse, in un altro momento, avrebbe potuto anche apprezzare sotto vari punti di vista, se non fosse stato per i primi segni di un suo imminente risveglio. Preso dal panico si era guardato intorno e aveva trovato il bicchiere d’acqua ancora mezzo pieno accanto al futon, che gli aveva permesso di trasformarsi giusto qualche istante prima che Ukyo aprisse gli occhi.

Inutile dire quanto fosse stato nervoso quando lo aveva guardato e gli aveva chiesto se era stato lui a scaldarla… trovandosi mezzo bagnato in una pozza d’acqua e con la parte del materasso accanto a lei ancora tiepida per il suo residuo calore corporeo, era stato assolutamente convinto che Ukyo avesse capito ogni cosa. Ma, di nuovo, era stato graziato e dopo essersi sbarazzato dell’asciugamano rimasto nascosto sotto le coperte mentre la ragazza era in bagno a vestirsi (altra cosa di cui era immensamente grato, assistere alla svestizione della sera prima era stato più che sufficiente) aveva solennemente deciso che in qualche modo avrebbe ripagato quell’insolita buona stella aiutandola a rimettere in sesto la caldaia.

Era il minimo che potesse fare per contraccambiare l’ospitalità ricevuta, considerate le circostanze, anche se con tutta probabilità avrebbe dovuto attendere un’intera giornata per poter tornare umano di notte e ripararla mentre lei dormiva.

Alla fine, però, non ce n’era stato bisogno: Kasumi, nella sua infinita pazienza e amorevole predisposizione, subito dopo averlo prelevato, aveva girato un angolo, lo aveva trasformato con un thermos di acqua calda, gli aveva dato i suoi vestiti e lo aveva gentilmente messo a due passi dalla soglia del ristorante. Poi lo aveva salutato con un dolce sorriso e gli aveva detto semplicemente: “Prenditi cura di lei, ok?”.

Molte volte si era chiesto come avesse fatto a meritarsi quell’angelo custode che era Kasumi, che aveva evidentemente scoperto il suo più grande segreto e non ne aveva fatto parola con nessuno. Al contrario, aveva preso ad aiutarlo silenziosamente facendogli trovare thermos di acqua calda e vestiti puliti in punti strategici. Era però probabile che quelle piccole attenzioni non fossero dirette solo a lui: nella baraonda di casa Tendo, dove quasi la metà delle persone che la frequentavano era afflitta da una maledizione, mettere a disposizione un modo per tornare normale e qualcosa con cui coprirsi doveva essere stata una necessaria priorità per poter mantenere un minimo di decenza.

Ritrovarsi di nuovo in forma umana, per quanto sempre gradita, gli aveva però posto il problema di come fare a fornirle il suo aiuto. Non poteva di certo entrare nel ristorante e chiedere con nonchalance di ripararle la caldaia senza suscitare un vespaio di domande, sospetti e orgogliosi rifiuti in nome della sua bellicosa indipendenza femminile.

Così era rimasto sulla soglia del ristorante a riflettere su come fare fino a quando, all’improvviso, della neve caduta dalla tettoia aveva fatto vibrare la porta, questa si era aperta e lui si era ritrovato davanti Ukyo.

Trovarsi faccia a faccia con la stessa ragazza che aveva visto sorridere, spogliarsi, strusciarsi contro di lui e che infine aveva tenuto una notte intera tra le braccia, gli aveva mandato per un attimo in tilt il cervello e un’ondata di bruciante imbarazzo gli aveva incollato la lingua al palato. Soltanto dopo un supremo sforzo di concentrazione era riuscito a rispondere alla sua legittima domanda di spiegazioni per quella inaspettata apparizione sulla soglia del suo ristorante.

Per fortuna era riuscito a riprendersi dal turbamento iniziale, ma aveva dovuto improvvisare e, come al solito, i risultati iniziali erano stati pessimi: come avesse fatto Ukyo a non sbattergli la porta in faccia davanti ad una scusa così vecchia, banale e pietosa come quella del bicchiere d’acqua era rimasto un vero mistero.

Stranamente, però, il destino sembrava proprio averci messo lo zampino quel giorno, perché era stato il suo stomaco a toglierlo dai guai e a risolvere la situazione, anche se aveva dovuto comunque mentire sul fatto di non poter pagare. Un’altra scusa pessima ma funzionale, perché almeno gli aveva dato modo di giustificare il suo intervento. Quando alla fine era riuscito a convincerla e finalmente lei gli aveva dato accesso al locale tecnico, aveva tirato mentalmente un sospiro di sollievo: da quel momento la strada era stata in discesa, visto che aveva già sospettato quale fosse il problema dalla sera prima e gli era bastato poco per risolverlo.

Adesso non gli restava che assicurarsi della effettiva funzionalità dell’impianto ed avrebbe potuto finalmente avere la coscienza a posto.

Un rumore secco, come un sassolino lanciato su un vetro, lo distolse dai suoi pensieri e quando il rumore si ripeté nello stesso punto per altre due volte, capì che c’era qualcuno fuori che stava cercando di attirare la sua attenzione. C’erano due porte davanti a lui: una era il bagno e l’altra l’uscita sul retro, che dava sul cortile nel quale l’aveva trovato Ukyo. Naturalmente finì in bagno per due volte di seguito prima di azzeccare quella giusta, ma alla fine riuscì ad arrivare fuori e, proprio come sospettava, trovò Ranma.

Per la prima volta da quando lo conosceva il ragazzo indossava sciarpa e cappello, segno che doveva ancora avere qualche sintomo influenzale. Accanto a lui, nella neve, c’era il proprio zaino e Ryoga alzò un sopracciglio. Era uscito di casa con tutta l’influenza apposta per portarglielo? Da dove veniva tanta generosità?

“Come sta Ucchan?”.

Aggrottando le sopracciglia, Ryoga incrociò le braccia. “Adesso sta bene, ma stanotte le è venuto un bel febbrone. Meno male che sono riuscito a farle prendere una medicina… pensa che era talmente distrutta che non si è nemmeno svegliata, per mia fortuna”.

“Ah… allora Akane ci aveva visto giusto”.

“Già”.

Ranma sbuffò, incrociando le braccia dietro la testa e guardando verso il cielo con aria corrucciata.

“Non mi è mai piaciuto il fatto che viva da sola… per fortuna stavolta c’eri tu, ma se dovesse succedere di nuovo? Chi se ne accorgerebbe e soprattutto, chi potrebbe aiutarla? Tra l'altro questa dannata bufera rende tutto più difficile…”.

Ryoga strinse gli occhi, mentre un moto di irritazione si faceva strada dentro di lui. Perché diavolo Ranma continuava ad avere tutte quelle attenzioni speciali per una pseudo ex fidanzata? Non gli bastava Akane? Non era forse a lei che doveva tutta la sua dedizione e le sue premure? Non capiva che in quel modo non solo avrebbe fatto soffrire Akane, ma avrebbe pericolosamente alimentato le illusioni di Ukyo?

Poi però cercò di rilassarsi e di riflettere razionalmente. In fondo Ranma era sempre stato molto amico della bella (bella? da dove veniva fuori quel pensiero?) cuoca di okonomiyaki e non era poi così strano che fosse davvero preoccupato per lei sapendo che era sola e malata, così come la sera prima lo era stata Akane stessa.

“Senti, lo so che ti può sembrare una richiesta assurda, ma non è che potresti restare nei paraggi come P-chan e darle un’occhiata? Almeno fino a quando non saremo sicuri che non si senta male di nuovo”.

Considerando le condizioni di salute precarie della ragazza, Ryoga aveva avuto la vaga intenzione di fare esattamente la stessa cosa già dalla notte prima. La richiesta di Kasumi di poco prima era stata un esempio lampante della preoccupazione dei Tendo e l'attuale insistenza di Ranma rendeva bene l'idea della necessità di quella sorta di monitoraggio. Anche se tutti sapevano bene quanto Ukyo fosse in gamba e quanto ci tenesse alla sua indipendenza, si erano verificate delle condizioni troppo particolari e potenzialmente pericolose per poter essere ignorate. Così, dopo una breve riflessione, annuì.

“Lo sai che non posso garantire nulla, ma farò il possibile”.

“Ah, grande, mi hai tolto un peso dallo stomaco. L’avrei fatto io ma con questa faccenda dell’influenza mi tengono praticamente agli arresti domiciliari… è stata una vera impresa riuscire ad eludere la sorveglianza per venire qui a riportarti ‘sta zavorra. A proposito, ma che ci tieni lì dentro? Sacchi di cemento?”.

“Solo tutto il necessario per sopravvivere… quindi grazie per avermelo riportato. E comunque non è colpa mia se non sei in grado di sopportarne il peso”.

“Ehi, razza di cotechino che non sei altro, guarda che ci riesco benissimo! È solo la febbre che mi ha indebolito!”.

“Sì, come no”, sbuffò lui. “E poi, come mi hai chiamato, scusa?”, ringhiò, scrocchiandosi le dita.

Un urlo carico di femminile indignazione li bloccò sul posto.

“Ryogaaaa! Dove sei finito? Giuro che se mi fai uscire nella neve per venirti a cercare…”.

Le parole sfumarono sullo sfondo, ma la minaccia rimase forte e chiara nell’aria.

“Uh, caspita, sembra che qualcuno sia già nei guai… beh, allora io vado”, replicò Ranma, saltando sulla staccionata dalla quale era venuto. “Ah, Ryoga…”, fece una pausa, apparentemente indeciso se continuare o meno la frase. “Grazie per Ukyo. Stalle vicino, ok?”.

Colpito dal tono insolitamente serio e da quel ringraziamento, lui ancora una volta annuì senza dire una parola. Stava per tornare verso la porta sul retro, quando la testa di Ranma rispuntò dalla staccionata.

“Non troppo, però. Il mondo non è ancora pronto per un marmocchio con i tuoi geni suini”.

Ryoga diventò istantaneamente di brace. Troppo imbarazzato per replicare e accecato dalla furia, gli tirò la prima cosa che gli capitò sottomano, ovvero un vaso di cemento. Naturalmente Ranma lo schivò, gli fece un gestaccio e si allontanò con una risata.

“Schifoso bastardo”, mugugnò, prendendo lo zaino e cercando di riguadagnare un colorito normale. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per rimuovere e relegare in un angolo della sua mente i pensieri non propriamente casti della notte prima, ci mancavano solo le volgari insinuazioni di quel mentecatto a vanificare tutti i suoi sforzi!

Stava per svoltare sovrappensiero un angolo quando una voce lo fermò.

"Ehi, sei diventato sordo o cosa? Saranno dieci minuti che ti chiamo… e poi, dove diavolo stai andando?".

Rendendosi conto che stava per prendere di nuovo una delle tante direzioni sbagliate della sua vita, Ryoga sospirò di sollievo. Meno male che Ukyo era uscita a cercarlo, altrimenti avrebbe battuto ogni record di velocità nell'infrangere una promessa.

"Scusa, mi sono ricordato di aver lasciato lo zaino qui dietro. Con l'aria che tira non mi sembrava il caso di abbandonarlo alla furia degli elementi".

Entrambi alzarono gli occhi verso il cielo. Le nuvole lattiginose del giorno prima avevano ceduto il posto a densi cumuli grigio scuro dall'aspetto decisamente minaccioso e un vento gelido aveva ripreso a soffiare. Ukyo rabbrividì e si strinse nell'haori che aveva addosso.

“Mmh, forza entriamo dentro. Mi vengono i geloni soltanto a guardarti”, borbottò gettando un’occhiata in tralice alle sue braccia nude.

Grazie all’intervento sulla caldaia e alla piastra accesa, la temperatura interna del ristorante adesso era decisamente più gradevole rispetto a quella mattina e Ryoga la sentì sospirare di sollievo, mentre la ragazza si toglieva la pesante giacca. Poi la osservò andare dietro al bancone, armeggiare in un cassetto e accendere una tv a schermo piatto posta sulla parete dietro di lei.

“Generalmente la tengo accesa solo per i clienti, ma forse è meglio controllare il meteo. Kasumi poco fa mi ha detto che è previsto un peggioramento”.

Si sedettero al bancone per mangiare gli okonomiyaki ancora caldi e, guardando la tv, scoprirono ben presto che ‘un peggioramento’ era l’eufemismo del secolo: tutti i canali erano inondati di servizi sui disagi che quella ondata di freddo e neve fuori stagione stava provocando sui trasporti e sugli spostamenti dei cittadini e le allerte meteo si susseguivano una dopo l’altra con toni sempre più allarmanti. Alla fine arrivò perfino un comunicato ufficiale della Protezione Civile che, a causa della neve e dei forti venti di bufera, invitava tutta la popolazione a limitare il più possibile gli spostamenti e a non uscire di casa, se non strettamente necessario, per le successive quarantotto ore.

“Non ci posso credere…”, mormorò Ukyo, con gli occhi fissi allo schermo e il telecomando incollato alla mano. “Akane e Kasumi mi avevano avvertito ma… trenta centimetri di neve? Ad ottobre?”.

Ryoga era più preoccupato per lo stato di emergenza e conseguente limitazione agli spostamenti. Visto che non c’era alcuna possibilità che Ukyo accettasse di restare confinata insieme a lui per due giorni di fila, avrebbe dovuto andarsene da lì il prima possibile, per poi tornare da lei come P-chan e restarle accanto, mantenendo così la promessa fatta a Kasumi e a Ranma. Il problema era che vento forte e neve alta significavano una visibilità più ridotta in forma di maialino e una probabilità ancora più alta di perdersi e venir meno alla parola data, quindi doveva muoversi prima che iniziasse davvero a nevicare di brutto come suggerivano le previsioni.

“Beh, vista la situazione allora è meglio se tolgo il disturbo. Grazie ancora per la colazione e…”.

Ukyo si girò a guardarlo come se gli fossero spuntate due teste.

“Ma ti sei bevuto il cervello? Dove diavolo pensi di andare con una bufera del genere?”.

“Probabilmente non è così grave come dicono…”.

“Le parole ‘Protezione Civile’ non ti dicono proprio nulla? Hanno detto chiaramente di non uscire di casa!”.

Lui alzò le spalle con un gesto noncurante.

“Ne ho affrontate tante di condizioni climatiche avverse… affronterò anche questa”.

Ukyo incrociò le braccia, accigliandosi.

La pacata sicurezza con cui vennero pronunciate quelle parole, mista ad una punta di rassegnazione, la fece riflettere. Non c’era dubbio che nei suoi lunghi e involontari viaggi Ryoga dovesse aver sostenuto disagi di ogni tipo e se al mondo c’era qualcuno in grado di sopportare condizioni estreme simili, quello era proprio lui. La sua forza e la sua resistenza fisica erano sempre state eccezionali, persino tra i tanti maestri di arti marziali che componevano la loro bizzarra comitiva, ed erano universalmente riconosciute e rispettate da tutti. Eppure, nonostante sapesse benissimo quanto Ryoga fosse un osso duro, per qualche ragione non le piaceva l’idea di lasciarlo uscire in un tempaccio simile e chiudersi la porta alle proprie spalle come se non fosse successo nulla.

Forse era per il fatto che ultimamente le visite di Ranma si erano rarefatte parecchio e che anche Akane era sempre impegnata con l’Università e i preparativi per il matrimonio, ma l’idea di restare sola in casa per i prossimi giorni senza avere nessuno con cui parlare le fece riaffiorare prepotentemente il senso di solitudine che aveva provato la sera prima.

La presenza di Ryoga era stata di certo inaspettata, ma doveva ammettere che la prospettiva di avere un po’ di compagnia umana non le era così sgradita. Oltre al fatto che quella grossolana sottovalutazione della pericolosità della situazione la irritava non poco.

“Razza di idiota, non puoi buttarti in mezzo ad una bufera solo per dimostrare che puoi affrontarla! È il tipico concetto maschile incredibilmente stupido”, esclamò sbattendo le mani sul bancone e guardandolo male. “Sarei tentata di lasciarti girare solo come un cane sotto la tormenta ma, visto che non mi va di averti sulla coscienza, puoi restare qui. Ti ospiterò fino a che non sarà passata questa emergenza meteo”.

“Restare qui?”.

Ryoga non avrebbe potuto essere più stupito. Era vero che aveva già assistito alla generosa ospitalità di Ukyo soltanto la sera prima, ma un conto era ospitare l’animaletto da compagnia della sua migliore amica e un altro era fare la stessa offerta ad una persona - un uomo perdipiù - che conosceva a malapena!

Ok, forse ‘a malapena’ era un po’ esagerato… come aveva sottolineato lei poco prima si conoscevano effettivamente da un sacco di anni, ma non c’era mai stata una grande confidenza tra loro. Diavolo, fino alla sera prima aveva a stento messo piede nel suo ristorante. Come mai adesso era improvvisamente disposta a fargli un favore del genere?

Il ricordo della sua espressione malinconica quando aveva confessato a P-chan la propria solitudine apparve in un lampo davanti ai suoi occhi e in un attimo molte cose andarono al loro posto. Tuttavia, nonostante le ipotetiche motivazioni della ragazza e i vantaggi che oggettivamente avrebbe comportato per mantenere la sua promessa, Ryoga si sentì in dovere di rifiutare.

“Ti ringrazio del pensiero, ma non posso assolutamente importi la mia presenza nel privato della tua casa. Tra l’altro potrebbe essere sconveniente per la tua reputaz…”.

"Cribbio, Ryoga, nemmeno mia nonna si preoccupa più della reputazione! E poi non ti sto mica offrendo un posto nel mio letto! Hai un sacco a pelo nel tuo zaino, no? Puoi benissimo stare qui, al pianterreno, mentre io me ne starò di sopra. Problema risolto”.

Un silenzio carico di imbarazzo calò nella stanza mentre entrambi evitavano accuratamente di guardarsi. Ukyo stava cercando, senza successo, di non sentire le parole ‘un posto nel mio letto’ girarle e rigirarle nella mente, insinuando e suggerendo visioni che mai in vita sua si sarebbe sognata di considerare, ma che le erano sfuggite di bocca prima che avesse potuto rifletterci meglio. Ryoga, dal canto suo, cercava allo stesso modo di non pensare che, di fatto, in quel letto c’era stato eccome, con tutti gli annessi e connessi che quel pensiero generava e che si stavano appunto manifestando in una decisa impennata della propria temperatura interna.

Un suono metallico ruppe quell’attimo di quiete e lui si ritrovò a fissare da vicino il bordo affilato di una gigantesca pala di acciaio satinato. Dietro di essa, gli occhi di Ukyo erano stretti minacciosamente in due fessure.

“E se solo ti azzardi a farti venire mezza idea strana, potrai pure dire addio prima alle tue dita e poi ai tuoi arti. Uno per uno. Ci siamo capiti?”.

Ryoga deglutì nervosamente.

“O… ok”.

Quando la ragazza si tirò indietro e mise via la sua arma non convenzionale, lui emise il respiro che aveva inconsciamente trattenuto. Non sapeva bene a cosa avesse acconsentito ma, a giudicare dal suo atteggiamento, l’argomento sembrava chiuso. Forse era molto meglio così, visto la piega imbarazzante che aveva preso.

“Allora, che mi dici? Com’era il tempo a Sapporo o a Kyoto oppure… insomma, ovunque tu sia stato?”, chiese Ukyo con tono discorsivo mentre ripuliva la piastra e lui accolse con sollievo quel cambio di argomento. Parlare del tempo era la più classica delle ancore di salvezza.

“Abbastanza buono. Adesso che le giornate sono più fredde gli aceri hanno definitivamente assunto i colori autunnali. Purtroppo però qualche giorno fa sono capitato in uno di quei festival dove la gente si piazza ovunque per assistere allo spettacolo e sono dovuto andare via. Non sopporto tutta quella confusione”.

“Umpf, sempre negativo come al solito. Passi troppo tempo tra i boschi a meditare sulle disgrazie della tua vita, secondo me”, rispose lei. Poi fece una pausa, esitando, indecisa se affrontare o meno l’argomento spinoso che aveva sulla punta della lingua. “A proposito, come va?”.

Non ci fu bisogno di specificare a cosa si riferisse quella domanda: l’annuncio del fidanzamento ufficiale di Ranma e Akane era stato un duro colpo per entrambi. Non si erano più incontrati dopo quell’occasione e, dato che erano sulla stessa barca, le sembrava quantomeno corretto informarsi su come avesse affrontato la questione.

“Male”, rispose lui con tono asciutto. “Ma diciamo che ormai me ne sono fatto una ragione. E tu?”.

“Stessa cosa”, rispose lei sospirando a sua volta. "Dopo l'annuncio ho passato un momento difficile ma, ad essere sincera, accettarlo è stato meno traumatico di quello che pensassi. Suppongo che dovevo inconsciamente averlo già fatto molto tempo fa”.

“Dalla faccenda di Saffron, vero?”.

“Già”.

Seguì un lungo silenzio, in cui entrambi tornarono con la memoria a quella scena, la scena che aveva messo la parola fine ai loro sogni e alle loro speranze: Ranma che stringeva piangente Akane tra le sue braccia, credendo di averla persa per sempre, e il sorriso radioso di Akane quando si era risvegliata e lo aveva guardato negli occhi. Non c’erano state parole, ma non ce n’era stato bisogno: chiunque aveva assistito a quel toccante e intimo momento, aveva percepito con estrema chiarezza l’amore che c’era tra loro.

“Forse è stato solo per orgoglio che non ho voluto ammetterlo prima, o per paura dei cambiamenti che riconoscerlo avrebbe provocato nella mia vita… ma alla fine anche io ho dovuto arrendermi all’evidenza”, disse lei fissando senza vederla la vetrata del negozio. Sospirò e scrollò le spalle. “Se non altro, da tutta questa faccenda è uscito qualcosa di buono: io e Akane ci siamo avvicinate molto. Ho perso un fidanzato ma ho guadagnato un’amica, il che non è poco. Però, a volte, ho l’impressione che la mia vita sia così… così...”, si interruppe.

“Vuota”, finì Ryoga per lei e Ukyo, guardandolo, capì che per lui era lo stesso.

“Ti capisco molto bene. Ho sempre saputo di non avere speranze con Akane ma… anche se quella che ho coltivato in tutti questi anni è stata solo una sterile illusione, almeno avevo qualcosa per cui vivere. Adesso che non ho più neanche questo sogno a cui aggrapparmi, cosa mi è rimasto? Nulla. Solo una manciata di foglie secche che danzano nell’inverno del mio cuore”.

Ukyo si morse un labbro. Le stava venendo l'atroce voglia di chiedergli della ragazza fissata con i maialini che frequentava, tuttavia era un argomento troppo personale che decisamente non la riguardava e così, soffocando la propria curiosità, tenne la bocca chiusa. Alzò gli occhi al cielo per la teatralità di quella frase, ma ancora una volta non disse nulla: il dolore di un cuore spezzato era sempre degno di rispetto, al di là di qualunque forma fosse stata usata per esprimerlo. Quando però vide, con un misto di stupore e orrore, Ryoga iniziare ad emettere una tenue aurea verdastra, decise che quella forma di esternazione andava indubbiamente scoraggiata. E naturalmente, lo fece nell’unico modo che avesse mai conosciuto.

CLANG!

”Ahia! Che diavolo…”.

“Idiota, non provarci nemmeno! Se provi a spazzare via il ristorante con quel tuo Shi-Shi-Qualcosa ti prenderò a palettate in testa fino a che non ti avrò eraso la memoria di quel colpo!”.

Ryoga sussultò per la crudeltà di quella minaccia e si massaggiò la testa con aria imbarazzata. “Scusa, ma a volte mi viene quasi d’istinto usarlo. È l’unico modo che conosco per sfogare la depressione e ha sempre funzionato alla grande”.

“Certo, in mezzo alle lande desolate dove vaghi di solito, forse! Hai una vaga idea dei danni che potresti provocare in mezzo ad un quartiere affollato come questo? Perché non trovi un altro sistema per tirarti su il morale, come fanno tutte le persone normali?”, sbuffò Ukyo brandendo la sua mega-paletta con aria minacciosa.

Ryoga decise saggiamente di cercare di collaborare.

“Ehm… del tipo? Tu cosa fai quando… uhm… ti senti giù?”, chiese, sospirando dal sollievo nel momento in cui vide che lei metteva via la sua arma.

“Beh, tanto per cominciare cerco di pensare a cose positive. Di solito mi ripeto che sono giovane e ho ancora tanto tempo per trovare l’amore della mia vita”, disse guardando fuori dalla finestra con aria pensosa. “Poi quando non funziona, faccio quello che fanno tutti: guardo qualcosa di divertente in TV, faccio shopping oppure mangio cioccolata”.

“Uh? Perché proprio la cioccolata?”.

“Come, non lo sai? La cioccolata ha una specie di antidepressivo naturale, una sostanza che si chiama teobromina, o qualcosa del genere, che ti fa istantaneamente sentire più felice. Non ci hai mai fatto caso, che quando mangi un cioccolatino la vita ti sembra improvvisamente più sopportabile?”.

“Mai mangiata cioccolata”.

“EH? Ma non è possibile! Ryoga, ma in che razza di mondo vivi?”.

“Uh… nei boschi?”.

“Hm, bè… sì, questa potrebbe essere una spiegazione”, borbottò lei. Strano che quello stupido non avesse mai ricevuto nemmeno una cioccolata di San Valentino… in fondo non era poi così male, specialmente quando era interamente vestito di nero come quel giorno. Certo, Ranchan era più bello, ma quei canini appuntiti erano piuttosto intriganti e in quanto a forma fisica non aveva proprio nulla da invidiare a nessuno. Curioso che le ragazze che conosceva non l'avessero mai notato… però, ora che ci pensava, Ryoga raramente circolava per il quartiere abbastanza a lungo da poter essere classificato come ‘possibile fidanzato’.

“Beh, mi dispiace per te ma non ho neanche l’ombra di un cioccolatino in dispensa, quindi…”.

Si interruppe quando vide un’espressione strana passargli negli occhi, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. Lo osservò alzarsi e sollevare con una mano quella specie di zavorra da due tonnellate di peso che lui si ostinava a chiamare zaino ed ancora una volta si meravigliò della sua mostruosa forza. Rabbrividì al pensiero dei danni che il suo amato ristorante avrebbe potuto riportare se solo quella specie di Ercole si fosse distratto o agitato troppo.

Alla fine di un’impegnativa ricerca durata una decina di minuti, Ryoga riemerse dallo zaino con aria trionfante, stringendo un pacchetto rettangolare avvolto in una carta rossa.

“Eccolo qua! Mi ricordavo di averlo messo da qualche parte”, disse posandolo sul bancone davanti a lei.

“Che cos’è?”.

“Una cosa che ho comprato in un negozio tempo fa… un souvenir da… uhm, Parigi? Bangkok? Mosca? Boh, non me lo ricordo…”.

“Era per Akane, vero?”.

Ryoga non disse nulla, ma assentì con un cenno della testa e con un’aria un po’ triste.

“Posso aprirlo?”.

“Per cosa l’ho tirato fuori a fare, secondo te?”.

Ukyo gli lanciò un’occhiataccia, ma non lo colpì in testa come era stata seriamente intenzionata a fare. In fondo, anche se era riciclato, le stava comunque facendo un regalo.

Quando aprì la carta si trovò davanti la scatola di cioccolatini più bella che avesse mai visto, con un vasto assortimento di praline incartate una per una in carta argentata dai colori sgargianti e disposte elegantemente a raggiera sotto un coperchio trasparente.

Stavolta lo colpì in testa.

“E tu hai tenuto della cioccolata come questa nello zaino? Idiota, chissà quanto tempo sarà passato da quando l’hai comprata! Adesso non sappiamo nemmeno se è ancora buona!”.

“Ehi, mi hanno assicurato che si sarebbe conservata benissimo… e poi manca un sacco alla data di scadenza”, si difese lui.

Ukyo lo guardò ancora un po’ male, poi all’improvviso la sua espressione scura si aprì in un luminoso sorriso mentre congiungeva le mani davanti a sé, come una bambina impaziente. La prospettiva di assaggiare tutti quei diversi tipi di cioccolata aveva decisamente contribuito a farle passare l’arrabbiatura.

“Allora cosa abbiamo qui? Um… nocciola, latte, bianco con mandorle, fondente, ripieno al rum… caspita, non ho mai visto un assortimento del genere. Uh, e questo? Guarda, Ryoga! C’è tutto un secondo strato di cioccolatini sotto il primo! Ti dev’essere costato una fortuna!”.
Ryoga aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare. “Non mi pare… le bottiglie d’acqua costavano molto di più. Strano paese”.

Ukyo, però, non sembrava ascoltarlo. “Beh, sembra che quelli del secondo strato siano tutti uguali. Allora, quale vuoi assaggiare?”.

Lui alzò le spalle. “È uguale”.

“No che non è uguale. Ok, facciamo così: ti piacciono le cose poco o tanto dolci?”.

“Poco dolci”.

“Non mi dire che anche tu sei un seguace di quell’assurda concezione di Ranchan, secondo la quale è poco virile mangiare dolci?”.

“Che c’entrano i dolci con la virilità? È la cosa più stupida che abbia mai sentito”, ribatté Ryoga, accigliandosi. “Quell'imbecille fa molto, ma molto di peggio che non mangiare dolci in forma maschile”, borbottò. Poi si ricordò con chi stesse parlando e si preparò ad essere palettato.

Ukyo, però, si mise sorprendentemente a ridere.

“Già, tipo fare gli occhi dolci ai negozianti per ottenere porzioni extra”, disse scuotendo la testa e non notando l’espressione stupita di Ryoga.

Poi tornò seria e si sporse in avanti per osservarlo con gli occhi socchiusi, come si fa con un ragno sotto una lente del microscopio. “DAVVERO non hai mai assaggiato la cioccolata?”, chiese ancora una volta.

“Devo tatuarmelo in fronte?”, borbottò lui, chiaramente a disagio sotto quello sguardo indagatore.

“Ma come mai?”.

Lui alzò ancora le spalle. “Ho vissuto da solo per quasi tutta la mia vita a girare senza sosta per boschi e montagne e quando riuscivo ad arrivare in qualche città, dovevo sempre privilegiare dei pasti più completi e sostanziosi. Diciamo che non ho mai avuto tempo per concedermi il lusso di un cioccolatino, né ne ho mai sentito l’esigenza”.

“Caspita, di sicuro faresti morire d’invidia un bonzo tibetano. Ma divertirsi ogni tanto ti fa proprio così impressione?”.

“Ehi, guarda che io mi diverto esattamente come…”.

“Sì, sì, va bene… tieni assaggia questo. È cioccolata fondente”.

Ryoga prese il quadratino incartato in una cartina di un brillante blu metallizzato e lo fissò pensosamente. Strana la vita… quando aveva comprato quella scatola si era immaginato di aprirla e di assaggiare quella cioccolata insieme ad Akane, con lei che lo prendeva in giro per non averne mai assaggiato uno e gli consigliava quali scegliere. Poi le loro mani si sfioravano e…

Scosse la testa. Ormai ne era passata di acqua sotto i ponti e alla fine aveva dovuto prendere coscienza che quella scena non si sarebbe mai verificata. Aveva deciso allora di conservare quel souvenir e portarlo come regalo d’addio al suo primo amore, ma quella prospettiva lo aveva fatto sentire ancora peggio e alla fine aveva lasciato perdere, dimenticandosi completamente della sua esistenza.

Mai in tutta la sua vita avrebbe immaginato che invece quel dono avrebbe trovato la strada per altre mani femminili e che la scena che aveva ardentemente sperato si fosse potuta avverare davvero… con Ukyo.

Decisamente strano, pensò cacciandosi in bocca la pralina.

“Beh, che ne pensi?”.

Ryoga assunse un'espressione strana, tra lo stupito, il perplesso e il meditabondo.

“Allora?”.

“Cos’altro mi sono perso finora?”.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

 

 

Dopo quasi un’ora, mentre fuori la neve continuava a turbinare per le strade deserte, Ryoga e Ukyo erano ancora intenti a chiacchierare e a mangiare cioccolata.

Erano arrivati allo strato inferiore di cioccolatini, ma quando la ragazza ne scartò uno, avvolto in una cartina di un rosso acceso, a momenti si strozzò dalla sorpresa.

“Che c’è?”, chiese Ryoga, alzando un sopracciglio. “Non è buono?”.

“P… p… pizzica!”, rispose lei, dopo che i suoi sensi si furono ripresi da quell’attacco a sorpresa.

L’altro alzò un sopracciglio, stupito.

“Cioccolata piccante? Ma non è possibile!”, commentò scegliendone uno e assaggiandolo. “Uhm… però. Strano, ma niente male”. Ne prese un altro e fissò pensosamente il soffitto mentre lo assaporava. “Anzi, sai che ti dico? Mi piace anche più degli altri”, disse prendendone una manciata.

“Dici?”, chiese Ukyo, scartandone altri per pura curiosità. “Beh sì, in effetti hanno un sapore particolare, anche se quella al latte rimane la mia preferita”.

“Oh andiamo, è solo perché è terribilmente dolce. Invece questo leggero gusto piccantino gli dà…”.

Leggero? Vuoi dire che finora non ti hanno ustionato la lingua?”.

“Vuoi scherzare? Se questi li trovi così forti, allora non hai mai provato la cucina indiana. O quella messicana”.

“Sei arrivato fino in MESSICO?”, boccheggiò lei, ad occhi sgranati.

Ryoga ebbe la decenza di assumere un’aria imbarazzata.

“Probabilmente no, ma non ne sono sicuro”, rispose, grattandosi la testa.

“Ma come… oh, lasciamo perdere. Vuoi un po’ di tè? Ho bisogno di qualcosa che mi spenga l’incendio che ho in bocca”.

“Sì, grazie”.

Ukyo si alzò dallo sgabello e con un gesto fluido si tolse la maglia di pile che indossava, restando solo con il top, visto che, tra il riscaldamento a pieno regime e il calore del peperoncino, adesso sentiva quasi caldo. Poi, con tutta calma, si voltò verso la cucina per prendere due tazze e riempire il bollitore. Dietro di lei ci fu uno strano rumore strozzato, ma fu coperto dall’acqua che scorreva, così non si accorse di nulla.

Un metro scarso più in là, Ryoga Hibiki aveva appena ricevuto lo shock della sua esistenza.

O meglio, uno dei tanti che aveva avuto da quando aveva messo piede in quel ristorante, soltanto un giorno prima.

Era già stato abbastanza surreale il fatto di aver passato tutto quel tempo a conversare con Ukyo come se fosse stata la cosa più normale al mondo, quando in realtà quella era probabilmente la conversazione più lunga che lui avesse mai fatto con una ragazza in tutta la sua vita, Akari compresa. Poi si era svolta tutta la scena della cioccolata che, esattamente come aveva sperato che accadesse con Akane, si era rivelata quasi… intima, il che lo aveva confuso parecchio.

E adesso quello.

Quando, in forma di P-chan, aveva rivisto Ukyo dopo mesi passati dall'ultima volta che l'aveva incontrata di persona, Ryoga si era vagamente reso conto che in lei c’era qualcosa di diverso rispetto al passato. Non aveva però saputo dire cosa fosse, a parte il fatto che era vestita diversamente e non indossava la sua consueta divisa violetta da chef. Nel momento in cui, però, si era spogliata per cambiarsi, tutto gli era finalmente apparso chiaro: la figura magra e un po’ scarna dell’adolescente che aveva incontrato per la prima volta tanti anni prima si era ormai definitivamente trasformata in quella di una donna adulta. Aveva cercato ovviamente di non guardarla, per rispetto della sua privacy, ma la ragazza lo aveva addirittura stretto al suo petto ed a quel punto non c’era stato modo di ignorare la questione.

Per sua fortuna, fino ad ora era riuscito a tenere a bada le proprie reazioni, dato che i vestiti invernali erano riusciti un po' a mascherare l'entità di quelle curve, ma adesso…

Adesso Ukyo stava indossando lo stesso top e pantaloni neri che aveva nel ‘Tunnel del Perduto Amore’, solo che ormai erano passati almeno quattro anni da quella gita e il risultato era che entrambi gli indumenti ora sembravano aderirle come una seconda pelle.

Nonostante avesse passato una notte intera a stretto contatto con quelle forme, Ryoga era stato molto attento a non guardarla troppo. Forse era un riflesso ormai condizionato dagli anni passati ad evitare di farsi scoprire da Akane, oppure un radicato istinto di sopravvivenza, ma in generale evitava sempre di indugiare in occhiate non appropriate. Solo che stavolta era stato colto di sorpresa dal gesto quasi noncurante con cui Ukyo si era spogliata e non era stato assolutamente preparato all’impatto che l’improvvisa vista di quella scollatura straripante e quel fondoschiena sensualmente fasciato dai pantaloni attillati avevano avuto sui suoi sensi.

La mano gli volò a stringere il naso.

Dannazione, ci mancava solo questa! Come se non bastasse aver avuto pensieri indecenti su di lei la notte scorsa… ma almeno era coperta da uno yukata pesante! Ora come faccio con tutto questo panorama sotto agli occhi?, si chiese, guardando il soffitto e contando mentalmente fino a cento per calmarsi. Non era certo una novità che si agitasse sempre quando una ragazza carina gli si avvicinava troppo, ma sentirsi svenire solo alla vista di certe rotondità rasentava il ridicolo. Niente pensieri strani, ricordi? Ukyo è sempre Ukyo. Quella manesca che ti chiama costantemente idiota e che poco fa ha minacciato di staccarti tutte le dita se solo ti azzardi a guardarla un po' più a lungo.

“Ryo-chan, tutto a posto? Hai la faccia tutta rossa”, chiese la giovane chef all’improvviso e quando si girò a guardarla se la ritrovò a pochi centimetri di distanza: piegata sul bancone, con la scollatura di quel dannato top che lasciava intravedere curve di cui fino a qualche giorno prima non aveva neanche mai sospettato l’esistenza e con degli occhi blu che lo osservavano curiosi.

Coltpito e affondato da quella visione, Ryoga si strozzò quasi con il suo stesso respiro e non dovette neanche faticare più di tanto a trovare una giustificazione per il suo volto in fiamme, perché subito dopo attaccò a tossire.

“M-mi è… andato… di traverso… un cioccolatino“, fu la prima scusa che riuscì ad articolare. Va bene, Ukyo È carina. Adesso calmati!, si disse cercando disperatamente di guardare da un’altra parte e di allontanarsi da lei.

“Oh, caspita, deve anche bruciare”, rispose Ukyo, posandogli davanti una tazza di tè e – con suo grande sollievo – ritirandosi verso la sua parte di bancone.

“Hum… già”, rispose distrattamente, facendo grossi respiri.

Ryo-chan? E questo da dove è uscito? Pensavo che i vezzeggiativi fossero riservati soltanto a Ranma… pensò nel frattempo, sempre più confuso.

“Ah, ora va molto meglio”, sospirò lei, dopo che ebbe bevuto un lungo sorso di tè. “Non capisco proprio come fai a dire che non sono piccanti”.

"Eh… uhm… questione di abitudine credo”, rispose Ryoga sempre un po’ nervosamente, guardando nella propria tazza per evitare di cadere nella tentazione di quella conturbante esposizione di pelle.

“Forse sarà stata anche la quantità… li abbiamo fatti fuori quasi tutti”, commentò Ukyo, osservando il mucchio di cartine vuote ammassate sul bancone. “Diavolo, spero proprio che questo festino a base di cioccolata non abbia troppe ripercussioni sulla mia linea. Sono già abbastanza rotonda così come sono”, bofonchiò, passandosi una mano sul tessuto aderente dei pantaloni.

“Questa è una cosa che non capirò mai delle donne. Perché vi piace lamentarvi di cose che non esistono? Oppure è solo un modo di estorcere complimenti?”.

“Estorcere che cosa?”, gli ripeté lei minacciosamente, scattando in piedi, pronta a difendere il suo punto di vista e tutta la categoria femminile. “Senti un po’, razza di idiota! Se pensi che io sia come quella stupida smorfiosetta cinese che pensa solo a strusciarsi a Ran… uhm… agli uomini, allora hai capito male!”, disse afferrando al volo la sua amata mega-paletta e assestandogli un deciso colpo sulla testa.

“Ehi, io non ho detto niente del genere!”, protestò sfregandosi il secondo bernoccolo della giornata. “Volevo solo dire che non hai niente da lamentarti”.

“…se dico che sono rotonda è perché… uh…”, continuò intanto la cuoca, fino a che realizzò che, in effetti, non le aveva propriamente rivolto un insulto. “Davvero?”, chiese, un po’ a disagio, forse non sapendo come interpretare quelle parole.

“Certo”, le rispose con aria perplessa, completamente spiazzato da quel cambiamento così radicale di umore.

Con un sospiro, Ukyo scosse la testa e mise via la spatola.

Dopotutto, anche se in maniera un po' contorta, Ryoga le aveva appena fatto un garbato apprezzamento alla sua figura così, cercando di non leggerci dietro più significati di quanto non ce ne fossero, provò a rilassarsi. Doveva ammettere che, alle volte, si faceva prendere dalla rabbia con un po' troppa facilità.

“Allora, come va? Funziona o no questo antidepressivo naturale?”, gli chiese, sorseggiando il tè per ammorbidire la gola ancora un po' irritata e cercando di cambiare argomento.

Ryoga sembrò pensarci un po’ su e poi le sorrise, mettendo pienamente in mostra quei suoi caratteristici canini aguzzi e sfoderando totalmente a sorpresa un sorriso che avrebbe sciolto un iceberg in un secondo.

“Credo proprio di sì”.

La ragazza per poco non infranse la sua tazza preferita, talmente fu violento l’impatto di quel sorriso su di lei. Le mani le presero improvvisamente a sudare, le pulsazioni si triplicarono, il respiro le si bloccò in gola e la temperatura della stanza sembrò improvvisamente acquistare almeno una decina di gradi in più.

Mai, in tutta la sua vita, aveva visto Ryoga sorridere in quel modo perché, di solito, era sempre troppo serio, arrabbiato o depresso per farlo. Per un attimo si ritrovò a pensare che fosse un vero peccato che non sorridesse più spesso, ma dopo circa un secondo cambiò idea. Se avesse continuato a sorridere in quel modo… con quel sorriso spontaneo, luminoso e sincero, avrebbe fatto una strage di cuori nel giro di due giorni.

E non era affatto sicura di poter escludere se stessa da quel numero.

Ma cos’accidenti mi succede? Di solito non mi accorgo neanche di lui… perché adesso riesce a farmi battere il cuore con un semplice sorriso? Ormai non mi capita più nemmeno con Ranma!

“Ah… bene. Se non altro per oggi ho salvato il mio ristorante, allora”, riuscì a replicare, con un notevole sforzo di concentrazione. All’improvviso le mura sembrarono quasi restringersi su loro due e la vista del ragazzo le riempì tutta la visuale: Ryoga, con i suoi capelli scarmigliati, quegli occhi così intensi e profondi e quella maglietta nera sfilacciata che gli lasciava così dannatamente in evidenza i muscoli delle braccia… chissà che effetto doveva fare sentirle intorno a sé?

“Ukyo, ti senti bene? Hai un’aria strana...”.

Bruscamente strappata alle sue fantasie, lei tornò alla realtà con un sussulto e quando si passò le mani sulle guance, scoprì che scottavano. Cercò disperatamente di calmarsi e di guardare da un’altra parte.

“Eh… ah… non è nulla, è solo che il tè era… bollente".

Si, bollente come i miei pensieri, accidenti a me!, pensò, indispettita da quella mancanza di controllo sui propri ormoni.

Lo sguardo si posò su un foglietto che spuntava dal fondo della scatola di cioccolatini.

“E questo?”, mormorò, internamente grata per il diversivo. Spinta dalla curiosità lo aprì, ma con suo grande disappunto scoprì che era scritto soltanto in una strana lingua che non conosceva e in inglese. Cercò di tradurre quest’ultima parte, ma la sua limitata conoscenza scolastica non le permise di capirci molto. Alla fine lo tese verso Ryoga.

“Che cos’è?”, chiese perplesso, guardando alternativamente prima il biglietto e poi lei.

“È quello che vorrei sapere anche io. Potresti tradurlo?”.

“Ma certo”, rispose mettendo via la tazza di tè che stava bevendo e iniziando a leggere. Dopo poche righe, però, successe l’imprevedibile: Ryoga impallidì. Il che rese Ukyo molto, molto sospettosa.

“Che dice?”.

“Ah… uhm… niente di importante è solo… solo… una spiegazione dell’origine del cioccolato… hehe… già, proprio così”.

La ragazza sollevò gli occhi al cielo. Quel tipo non sapeva proprio mentire.

“Sì, come no. Avanti cosa c’è scritto veramente?”, chiese, e quando vide che lui non sembrava decidersi a risponderle, tirò fuori la sua fedele spatola gigante e gliela puntò contro. “E non provare a mentirmi di nuovo, se non vuoi ritrovarti con qualche arto o estremità in meno”.

Il bordo tagliente della spatola aveva un luccichio sinistro e Ryoga deglutì.

“Ehm… ok. La parte sull’origine del cioccolato è vera, ma dice anche che… la cioccolata al peperoncino ha… uh… come dire… degli effetti.... ecco… particolari”.

“Che tipo di effetti?”, insistè Ukyo avvicinando di più un angolo affilato alla sua gola.

Ryoga deglutì ancora e iniziò a sudare. Sapendo benissimo il pericolo a cui andava incontro, la sua mente prese a lavorare febbrilmente, nel disperato tentativo di trovare un’alternativa credibile alla verità. Peccato che, per sua immensa sfortuna, sapeva altrettanto bene di non essere capace di mentire, neanche per salvarsi la vita.

“...siaci”, mugugnò alla fine, talmente piano che Ukyo riuscì a capire solo una parte della parola.

“Cosa? Ti vuoi decidere a parlare, o devo ridurti ad un ammasso sanguinolento?”, lo minacciò con gli occhi ridotti a due fessure. Quando lui scosse la testa e alzò le mani in segno di resa, si rilassò un pochino. “E adesso sputa fuori questa maledetta parola, Hibiki. Forte e chiaro".

Ryoga fece mentalmente un sospiro di rassegnazione. Quello che non uccide, fortifica, pensò, prendendola con filosofia.

“Afrodisiaci”.

Un momento di assoluto silenzio regnò nel piccolo ristorante. E fu proprio in quel breve lasso temporale che tutti gli esperti di arti marziali del quartiere avvertirono, contemporaneamente, quel particolare brivido lungo la schiena che di solito indicava un grande pericolo. Tutti si tesero, in attesa di un evento di qualche tipo e un secondo dopo, con immancabile precisione, questo arrivò sotto forma di un grido di profondo oltraggio che, riverberando nell’aria come la scarica di fulmine, coprì il suono cupo del vento, provocò qualche slavina sui tetti e riecheggiò dolorosamente nelle orecchie di tutto il vicinato.

“BRUTTO IDIOTA, CHE ACCIDENTI MI HAI FATTO MANGIARE?”, urlò Ukyo, accompagnando ogni parola con una palettata sempre più decisa alla testa di un malconcio Ryoga, che ora sfoggiava un assortimento da record di bernoccoli, un paio di occhi a spirale e un colorito sempre più violaceo.

“Io… veramente… non sapevo che...”, cercò di rantolare il ragazzo, tra una botta e l'altra.

“Arrrgghh, razza di maniaco! Era tutto calcolato, vero? Il tuo capitare davanti al ristorante per caso… la faccenda della cioccolata… era tutta una messinscena, un piano per approfittarti di me?”.

A quel punto, Ryoga riprese i sensi.

“Piano? Messinscena? Ma di che accidenti stai parlando?”, chiese con un tono basso e minaccioso, afferrando la paletta gigante con una mano per scostarla dalla sua gola e rialzandosi da terra.

Nonostante la furia, Ukyo ci rimase male quando vide Ryoga liquidare con tanta facilità la minaccia della sua adorata arma, come se al posto di un'enorme pala di affilato metallo lei lo stesse incalzando con niente di più che un foglio di carta, ma poi la rabbia la fece riprendere e tornò a puntargliela contro.

“Hai comprato appositamente quella cioccolata con l’intento di approfittare dei suoi effetti!”.

“Assolutamente no! Non avevo mai mangiato cioccolata fino a un’ora fa, come accidenti potevo sapere che esistesse una cosa del genere? Io volevo solo portare qualcosa di dolce ad Akane!”.

L'obiezione aveva senso e Ukyo si ritrovò improvvisamente senza alcuna rispostaccia convincente che le permettesse di ignorare il fatto che, nella foga della discussione, ora Ryoga stava letteralmente torreggiando su di lei. Da quando era diventato così alto? Da quando le sue spalle erano diventate così ampie e le sue braccia così grosse? E da quando le stava venendo una voglia così violenta di buttargli le braccia al collo e seguire con le labbra i contorni di quella mascella decisa e di quel mento squadrato?

“S-s… stupido!”.

Agì d'istinto. Cercando disperatamente di impedire alle proprie membra traditrici di muoversi contro la sua volontà, allungò una mano alla cieca verso il bancone dietro di lei, afferrò la prima cosa che trovò e gliela spaccò, poco diplomaticamente, in testa.

Fu solo quando ricevette uno schizzo d'acqua in pieno viso che si accorse di aver usato la tazza mezza piena di tè, ormai freddo, di Ryoga come arma impropria e imprecando si asciugò gli occhi. Quando li riaprì, però, c'era soltanto un mucchio di vestiti umidi sul pavimento e di lui nessuna traccia.

“Ryoga?”.

Si guardò in giro, ma tutto era piombato nel silenzio. Frammenti di ceramica a parte, ogni cosa era rimasta nello stesso posto dove era stata lasciata: nessuna porta aperta, nessuna impronta sul pavimento, nessun oggetto travolto che potesse indicare l'improvvisa fuga della persona più irruente che conoscesse.

Quando un lieve movimento riportò la sua attenzione sul cumulo di vestiti sul pavimento, la testa prese a girarle per la complessità delle rivelazioni che quella situazione comportava. Una mossa brusca, un liquido freddo, un’istantanea sparizione e dei vestiti abbandonati a terra… aveva visto troppe volte quella scena in vita sua per poter equivocare sul suo significato.

“Oh no. No”, mormorò, inginocchiandosi a terra ed allungando una mano esitante verso il tremolante cumulo di indumenti. Quando trovò finalmente il coraggio di spostarli e una bandana a quadretti spiccò sul nero di un manto suino, il respiro le si bloccò in gola.

“P-chan? Tu sei… Ryoga!”.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



 

Restarono a guardarsi, impietriti, per un tempo che sembrò infinito a entrambi. Poi, prevedibilmente, gli occhi di Ukyo si strinsero in un'espressione che ormai Ryoga conosceva bene: la consueta espressione che preannunciava il discorso più gettonato in quelle situazioni, il grande classico 'TU! Come hai osato?'.

“TU! COME HAI OSATO FARE QUESTO AD AKANE-CHAN?”, ringhiò Ukyo, acchiappando il maialino per la bandana prima che avesse il tempo di dileguarsi. “Per tutti questi anni le hai fatto credere che.... e hai addirittura dormito con lei! E Ranma che… che… oooh, meriteresti di essere servito su un bell'okonomiyaki!”, ansimò in preda alla rabbia e fulminandolo con lo sguardo. 

Quando P-chan vide che stava prendendo il bollitore, tentò disperatamente di liberarsi dalla sua stretta, ma lei non si fece impietosire e per tenerlo fermo lo strinse, senza pensare, al proprio petto.

“Eh no, bello. Tu non te ne vai fino a che non avrò sentito dalla tua bocca l'intera storia… e soprattutto fino a che non mi avrai giurato su quanto hai di più caro che lo dirai ad Akane stasera stessa!”, disse, versandogli addosso il contenuto del bollitore del tè ancora mezzo pieno.

Per fortuna del maialino, l'acqua si era ormai raffreddata quel tanto che bastava da non essere più bollente. Per sfortuna di Ukyo, invece, la rabbia che le aveva annebbiato il cervello le aveva fatto dimenticare un piccolo particolare: quando la trasformazione veniva invertita, la vittima della maledizione tornava al suo stato di essere umano nuda come il giorno della sua nascita. Peggio ancora, il processo era in pratica istantaneo e, dato che stava tenendo P-chan stretto con un braccio quando gli aveva versato l'acqua addosso, la ragazza si ritrovò di colpo sbilanciata da quell'improvviso cambio di massa del corpo che aveva bloccato contro di sé. 

Barcollò per un attimo, frastornata, ma proprio quando stava per perdere definitivamente l’equilibrio e cadere all’indietro, due braccia poderose l’afferrarono, stabilizzandola, e lei si ritrovò stretta in modo inaspettato ad un torace muscoloso, leggermente umido e molto, molto virile. 

Stordita da quell'improvviso cambio di scenario, Ukyo ci mise qualche secondo prima di reagire… e purtroppo per lei quel tempo fu sufficiente perché il proprio fisico la tradisse in maniera clamorosa: prima che potesse esercitare qualche tipo di controllo sui propri istinti, infatti, il suo cervello registrò in un attimo la compattezza del pettorale al quale era appoggiata la propria guancia, il calore della sua pelle, la linea decisa dei bicipiti che la stavano sfiorando e… Dèi del cielo, erano degli addominali a guscio di tartaruga quelli che sentiva contro di sé?. 

Avvertendo il calore di quelle braccia maschili che la stavano circondando, per un breve, brevissimo attimo, la sua mente ritornò al senso di benessere e protezione del sogno di quella notte e, inconsapevolmente, si rilassò in quell'inaspettato contatto. Poi, però, quel vago pensiero fu di colpo cancellato da una fulminante rivelazione: quel corpo a cui si stava strusciando era… era… Ryoga! Ed era nudo!

Ryoga, dal canto suo, era ancora troppo travolto dallo shock per riuscire a reagire. Quando lei gli aveva spaccato la tazza in testa ed aveva scatenato la trasformazione, infatti, era rimasto impietrito. Sapeva bene cosa sarebbe accaduto: era sempre stato il primo della lista dei suoi tanti incubi ma, nonostante rappresentasse la sua paura più profonda, non era riuscito a trovare la volontà di scappare per evitarlo in qualche modo. Forse, dopo anni passati a nascondere quel segreto, era solo stanco di continuare a fuggire e soprattutto di mentire alle persone che aveva accanto. 

Tuttavia, nel momento in cui l'aveva vista prendere il bollitore, qualunque genere di scrupolo si era alla fine dileguato, lasciando posto solo all'istinto che gli aveva urlato a pieni polmoni di evitare a tutti i costi di farsi trasformare... ma ormai era stato troppo tardi e l'acqua calda aveva infine compiuto la sua magia.

Non appena era tornato umano, se l’era trovata all’improvviso instabile davanti a lui e quando Ukyo era stata sul punto di cadere, era stato quasi istintivo afferrarla al volo e stringerla contro di sé. Allo stesso tempo, però, qualcosa nel suo cervello lo aveva spinto a rifiutarsi di soccombere alla consueta timidezza che lo aveva sempre fatto svenire in quei casi. Ryoga non sapeva se quella strana reazione fosse legata alla maggiore familiarità che aveva acquisito proprio con quel particolare corpo femminile oppure, più semplicemente, ad una reazione di difesa del proprio fisico che, forgiato da anni di addestramento alle cose più strane, aveva imparato a sopportare in breve tempo anche quella vicinanza così conturbante. Di certo, il risultato fu che, distratto da quei pensieri, per un breve momento si dimenticò dove fosse e, soprattutto, cosa non stesse indossando: se ne accorse una frazione di secondo più tardi, quando un refolo di aria gelida gli fece notare quanto alcune parti di lui non gradissero una simile ventilazione.

“UARGH!”, urlarono entrambi in contemporanea, allontanandosi in maniera piuttosto scomposta l'uno dall'altra. Ukyo si girò così di scatto da farsi quasi venire un colpo di frusta al collo, mentre Ryoga, arraffando alla cieca i propri vestiti, cercò di rivestirsi il più veloce possibile. 

Trascorso qualche minuto di pausa per riprendersi da quell’inaspettato contatto e per la rapida ma necessaria pulizia dei frammenti della tazza infranta, un silenzio teso calò nella stanza.

“Parla”, ordinò seccamente lei, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche per impedirsi di prenderlo ancora a palettate. “Ma ti avviso subito che, se non mi darai una spiegazione convincente, andremo subito da Akane a dirglielo, tempesta di neve o no!”.

Ryoga sospirò, sedendosi al bancone.

“Non ce n'è bisogno. Lo sa già”.

Ukyo si girò di scatto per la seconda volta nel giro di cinque minuti, rischiando seri danni alla sua abusata cervicale.

“Come sarebbe a dire che lo sa?”, gli ripetè, non riuscendo a credere a quello che le aveva appena detto. Si sarebbe aspettata di tutto, tranne che l’amica fosse già a conoscenza di una cosa così sconvolgente, soprattutto vista la quantità di tempo che aveva sempre passato con P-chan.

“È stata la prima cosa che ho fatto quando siamo tornati dalla Cina, dopo gli eventi del Monte Hooh. Non averglielo detto subito è stato il mio rimpianto e tormento per tutti questi anni e non ti nascondo che rimarrà per sempre come una indelebile macchia sul mio onore, una cosa di cui mi vergogno profondamente”, le disse, con un'aria seria e turbata.

Era chiaro che quella situazione gli aveva provocato - e lo stava facendo tutt’ora - un’acuta e intensa sofferenza: l’egoistica scelta iniziale di non dire nulla pur di poter stare accanto alla ragazza dei suoi sogni doveva aver generato un vortice di menzogne tale da costruire, negli anni, una vera e propria gabbia, dalla quale doveva essere stato davvero molto difficile uscire.

“Non è stato facile confessare una cosa del genere e ti assicuro che Akane non è stata tenera, nella sua reazione. Alla fine, però, con mia immensa sorpresa, è uscito fuori che lo aveva scoperto in precedenza”, concluse Ryoga, dopo un attimo di assorto silenzio passato a rimuginare, ancora una volta, sulle proprie colpe. 

Quell’ultima rivelazione fu così scioccante che Ukyo sentì il bisogno di sedersi.

"Ma… allora perché non ha mai detto nulla?", chiese, cercando ancora di capire.

Il ragazzo scosse la testa e sospirò.

"Non ne ho idea. L’unica spiegazione possibile è che deve essere stato per una specie di ripicca verso Ranma”, concluse, esponendo la propria supposizione. “Quantomeno all’inizio… poi credo che mi abbia sinceramente perdonato”.

La chef guardò il soffitto, in pensierosa contemplazione di quella congettura. In effetti, considerato quanto Akane fosse sempre stata gelosa delle innumerevoli fidanzate spuntate come funghi - grazie alla totale irresponsabilità di Genma - quell’ipotesi era assolutamente plausibile. Certo, non molto maturo come comportamento ma, nei primi anni in cui si erano conosciuti, nessuno di loro aveva dato una grande prova di sé nelle relazioni con gli altri. Con il tempo molte cose erano cambiate ed era, in effetti, piuttosto ragionevole pensare che, se Akane lo avesse scoperto in età un po’ più adulta, il suo innato buon cuore l’avesse spinta a concedergli un tacito assenso a restarle accanto.

“Mhm. A questo punto immagino lo sappia anche Ranchan”, ragionò a voce alta, cercando di connettere tutti i fili di quella intricata matassa.

Il riferimento al suo storico amico/nemico fece all’improvviso riscuotere Ryoga dallo stato di profondo abbattimento in cui era precipitato.

“Se lo sa? È stato quel bastardo a farmi cadere in quella stramaledetta fonte! Tutta la mia vita si è complicata all’inverosimile solo per colpa sua!”, ribatté, agitandosi al ricordo e incrociando le braccia per resistere alla tentazione di sbattere un pugno sul bancone. Il rischio maggiore ai suoi arti, di cui lei l'aveva più volte minacciato, sembrava per il momento superato, ma era meglio evitare di spaccare qualcosa e venire, di conseguenza, buttato fuori a calci nella neve.

Alquanto distratta dalla visione di quei bicipiti contratti, Ukyo si girò e decise di mettere sul fuoco l’acqua per un altro tè, approfittando di quella breve pausa per riprendere nella sua mente il filo del discorso. Le stava girando la testa per le implicazioni collegate a tutte quelle rivelazioni… però, in qualche modo e non sapeva come, tutto sembrava avere assurdamente senso.

“Quindi, per una sorta di debito verso di te, lui ti ha coperto per tutto questo tempo con la famiglia Tendo? Come è possibile che ti abbia permesso di restare accanto ad Akane-chan in forma di maialino?”.

“All’inizio non aveva nemmeno capito che fosse stata colpa sua, ma quando lo ha scoperto, per una volta, si è assunto la sua responsabilità e mi ha dato la sua parola d’onore che avrebbe mantenuto il segreto. Ovviamente lo ha fatto prima di sapere che Akane mi aveva eletto come il suo animaletto da compagnia e peluche scaldasonno personale, ma ormai la promessa era valida. Il resto è storia”, le spiegò Ryoga, massaggiandosi la fronte con un gesto stanco.

“Però, Akane a parte, ho il sospetto che tutti i suoi sforzi per mantenere nascosta la mia identità siano alla fine stati piuttosto inutili, perlomeno con la famiglia Tendo. Non so gli altri, ma credo che la prima a capirlo sia stata Kasumi”.

Le sopracciglia di Ukyo sparirono quasi sotto la frangia dei suoi capelli.

“Eh? Kasumi?”, chiese, quasi a bocca aperta dallo stupore. 

“Già. So che sembra strano ma, se ci pensi, non lo è poi così tanto. Comunque, dopo un po' che frequentavo la casa dei Tendo, ho iniziato a trovare dei thermos di acqua calda sparsi in giro. All’inizio pensavo fossero per Ranma o per Genma… ma poi sono comparsi anche dei miei vestiti, lavati e stirati, in dei punti precisi. Allora ho compreso che, pur senza mai dirmi nulla, Kasumi aveva capito tutto e quello fosse il suo modo per aiutarmi con i disagi della mia trasformazione. O forse, semplicemente, per mantenere un minimo di decenza in quella casa”.

Ancora una volta, era una supposizione più che lecita. La maggiore delle sorelle Tendo era sempre stata materna, aperta e disponibile con tutti, ma se c’era una cosa alla quale aveva puntualmente tenuto, per carattere, era avere un ambiente domestico decoroso e pulito. 

“Come mai non ha mai detto nulla ad Akane, allora?”, chiese ancora la chef. Le sembrava di fare sempre le stesse domande, ripetute all’infinito, ma era un prezzo necessario per chiarire tutti i passaggi di quella vicenda sempre più intricata.

“Forse lo ha fatto e lei lo ha capito in questo modo, oppure potrebbero averlo realizzato ognuno per conto suo ma più o meno nello stesso periodo… fatto sta che ad un certo punto devono averne parlato, e sono abbastanza incline nel pensare che Kasumi deve essere, almeno in parte, riuscita a placare l’ira di Akane nei miei confronti. Però questa è una mia ipotesi perché, ad essere sincero, non ti so dire con esattezza come sono andate davvero le cose”.

Ukyo annuì, iniziando infine a vedere il quadro più completo.

 “Mmh. Quindi è stata lei a trasformarti, questa mattina?”.

“Esatto. È probabile che anche Kasumi avrà voluto che ti tenessi d’occhio ed avrà pensato che avrei potuto farlo meglio in forma umana”. 

A quel punto, Ryoga esitò, non sapendo se fosse il caso o meno di intervenire su una questione che non lo riguardava in maniera diretta, ma decise di provarci lo stesso.

“Spero che tu non la prenda come un affronto personale. Lo sai come sono fatti i Tendo… erano solo preoccupati per te”, le disse, cercando di prevenire in qualche modo un incidente diplomatico tra la cuoca e la famiglia della sua -  strano a dirsi - migliore amica.

“Sì, lo so. Sono un po’ contorti e invadenti, ma lo fanno sempre a fin di bene”, sospirò Ukyo.

Le dava un po’ fastidio il concetto di aver bisogno della supervisione di qualcuno ma, in un certo senso, li poteva capire: quella bufera aveva preso alla sprovvista un po’ tutti e non era strano che si fossero agitati per la sua sicurezza. La telefonata con Akane, con tanto di scambio di sintomi in diretta, non doveva averli di certo rasserenati quindi, per l’affetto che ormai provava per loro, era abbastanza disposta a passarci sopra. Almeno per questa volta.

“Allora sono stati loro a spedirti qui, in forma di P-chan, come quando si mandano i pacchi di aiuti umanitari dall’alto?”, gli chiese, aggiungendo un altro tassello a quella che si stava rivelando una storia avvincente quasi come una soap opera. 

“No, in realtà sono finito nel tuo cortile solo per puro caso… poi, quando ho visto che la caldaia era rotta, ho deciso che sarei tornato a ripararla per ricambiare la tua premurosa ospitalità. Nel frattempo, però, sono stato intercettato da Kasumi e… beh, il resto lo sai”, concluse alla fine, con un sospiro.

Nonostante quella lunga e laboriosa spiegazione, completa di numerose rivelazioni sulle quali avrebbe dovuto continuare a riflettere, Ukyo fu assurdamente colpita da quell’ultimo dettaglio della storia e arrossì per quel pensiero gentile nei suoi confronti.

Ryoga le aveva appena confessato di aver tenuto, per anni, un comportamento non proprio invidiabile: eppure, a volte, aveva dei modi così cortesi che sembravano addirittura appartenere ad un’altra epoca e che, di certo, lo facevano apparire diverso e più maturo di tanti ragazzi della loro età. Subito dopo, però, un altro pensiero le venne di colpo in mente, il rossore sparì e la sua adorata paletta gigante riapparve in tutta la sua gloria.

CLANG!

“Ahia! Cosa c’è adesso?”, protestò lui, massaggiandosi l’ennesimo bernoccolo di quella giornata.

“Mi hai visto spogliata!”, lo accusò, riferendosi a quando, il primo giorno, lo aveva portato nella sua camera in forma di maialino e si era cambiata davanti a lui. 

“NO! Ho sempre tenuto gli occhi chiusi! E poi sei stata tu a prendermi in braccio, ricordi?”, cercò di giustificarsi il ragazzo, alzando le mani davanti a lei in un gesto di arrendevolezza e cercando di placare la sua furia. L’obiezione, in effetti, aveva senso e Ukyo decise di non continuare ad insistere con le punizioni corporali. Dopotutto tra i colpi che gli aveva dato dopo la scoperta delle conseguenze della cioccolata e quelli che gli stava dando adesso, presto non ci sarebbe rimasto più spazio su quella sua testaccia dura per altre tumefazioni.

“Hmpf, non scaricare su di me le tue responsabilità!”, ribatté piccata, mettendo via la sua arma. Subito dopo, tuttavia, un’altra associazione di idee le bloccò il fiato in gola. “Aspetta… ma quindi Akane ti ha lasciato dormire nel suo letto per tutto questo tempo, sapendo che ERI TU? Come diavolo è possibile?”.

Ryoga assunse un’espressione imbarazzata.

“Me lo sono chiesto anche io. In realtà mi ero già accorto che, quando si svestiva, mi dava sempre le spalle e che era molto scrupolosa a non lasciare in giro cose… um… personali. Inoltre, un altro cambiamento che avevo notato era che mi faceva dormire solo sopra la trapunta e non più sotto, vicino a lei, come faceva all’inizio".

“E non ti è sembrato strano?”.

“Ovviamente sì, ma poteva essere soltanto una variazione delle sue abitudini dovuta ad una maggiore maturità”, le rispose, alzando le spalle. “In ogni caso, sono sempre stato molto attento a non guardarla… primo, non le volevo mancare di rispetto e poi perché avevo troppa paura di farmi scoprire”.

Ripensando a come P-chan avesse sempre evitato di guardarla e al disagio che aveva manifestato quando lo aveva preso in braccio, Ukyo non faticò a credergli. Le prudevano le mani dalla voglia di rifilargli qualche altra palettata, per il solo fatto di averla spiata a sua insaputa ma, obiettivamente, non poteva accusarlo di nulla, tantomeno di averlo fatto apposta. Era vero che era stata lei a stringerlo al proprio petto ed era altrettanto vero che lui, nonostante quello, non avesse mai, in nessun modo, fatto un gesto o comportamento sconveniente nei suoi confronti.

Certo, negli anni trascorsi accanto ad Akane, qualche volta avrà avuto, di sicuro, occasione e modo di sfruttare la posizione privilegiata che un adorabile maialino poteva raggiungere in braccio ad una bella ragazza ma, in generale, Ryoga non sembrava proprio il tipo in grado di abusare di una cosa del genere. Anzi, conoscendo la timidezza colossale che lo affliggeva, sarebbe stato strano il contrario.

Irritata dalla mancanza di una giustificazione per sfogarsi su di lui, Ukyo incrociò le braccia.

“Tutto questo non toglie il fatto che le hai nascosto la verità per anni. E che lo hai fatto anche con ME”.

Ryoga chinò la testa con aria afflitta.

Mentire alle persone che gli stavano vicino era sempre stata la cosa più dolorosa: prima di tutto perché lo odiava, non sapeva farlo e gli costava una fatica immensa, vista la sua innata incapacità di mantenere il sangue freddo necessario per tutto ciò che riguardava i suoi sentimenti. Secondo, perché il contraccolpo psicologico di ingannare gli altri per un proprio vago tornaconto personale - benché fosse soprattutto per una questione di dignità ed orgoglio - lo faceva sentire come la più viscida forma di vita esistente sul pianeta.

“Lo so e ti chiedo perdono con tutto il mio cuore. Tu mi hai accolto e nutrito senza secondi fini e io sarò sempre in debito con te per questo”, le disse, profondamente contrito e dispiaciuto per aver tradito la sua fiducia.

Una luce gli illuminò gli occhi e, di punto in bianco, si inchinò davanti a lei. 

“Ti prego, permettimi almeno di fare qualcosa per te per sdebitarmi”, le disse.

Ukyo alzò gli occhi al cielo per la sua teatralità e quella eccessiva formalità. La furia generata dalla propria legittima indignazione era ormai svanita, tanto più che Ryoga le aveva davvero fornito delle spiegazioni inoppugnabili. Per non parlare del fatto che lo capiva perfettamente, molto più di quanto non fosse disposta ad ammettere ad alta voce. Se fosse stata nei suoi panni, non avrebbe forse fatto la stessa cosa pur di stare vicino a Ranma? Ad occhi chiusi. E non mi sarei di certo voltata dall’altra parte mentre si spogliava, pensò con una punta di ironica amarezza.

“Okay, okay, Ryo-chan, ti perdono. Dacci un taglio con queste scene da tragedia… mi hai già riparato la caldaia nel giorno più freddo dell’anno. Direi che è più che sufficiente”, gli disse, con un gesto noncurante della mano. Ryoga, però, non sembrò accontentarsi di quella assoluzione un po’ sbrigativa.

"Ma ci deve essere qualcosa che posso fare… ti prometto che farò tutto quello che vuoi!", insisté, lanciandosi, nella foga, in una posizione piuttosto pericolosa con una persona abile come la chef nel manipolare gli impegni altrui a proprio vantaggio.

“Preferisci forse essere arruolato a vita come forza lavoro nei miei astuti e contorti futuri piani?”, rispose, infatti, subito dopo Ukyo, con una luce scaltra negli occhi.

Ryoga deglutì e lei scoppiò a ridere.

"Lo immaginavo. Se proprio ci tieni puoi sempre lavare i piatti per i prossimi giorni". Il sorriso le si allargò, assumendo contorni inquietanti. “Anzi, facciamo per i prossimi mesi”.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7





 

Come promesso, Ryoga stava per affrontare la pila di piatti nel lavandino quando il rumore del vento diventò improvvisamente assordante, talmente forte da coprire quello dell’acqua che scorreva e far tremare i vetri. Durante tutto il pomeriggio aveva continuato a soffiare con grande intensità, ma adesso stava raggiungendo livelli preoccupanti ed entrambi si fermarono a sbirciare fuori dalla grande vetrata d’ingresso, che ormai era quasi interamente coperta di neve e ghiaccio. Si era fatto buio e le strade deserte spazzate dalla bufera, fiocamente illuminate dalla luce dei lampioni, erano letteralmente coperte da densi cumuli di neve.

“Meno male che le previsioni esageravano, eh? Se non ti avessi fermato saresti diventato un pupazzo di neve ambulante!”.

“Per tua informazione, la mia tenda è perfettamente in grado di resistere a…”.

Non fece in tempo a finire la frase. Un rumore forte e improvviso li fece sussultare, facendoli reagire così di scatto che si ritrovarono entrambi in posizione di combattimento.

“Cosa è stato?”, ansimò Ukyo, stringendo la sua spatola con mani improvvisamente gelide.

“Non lo so, sembrava il rumore di qualcosa che si staccava. Proveniva da sinistra”, rispose Ryoga, avvicinandosi alla porta a vetri.

In un secondo lei realizzò che cosa potesse essere successo. “Dannazione, credo che siano i pannelli di copertura in legno della vetrata. Sono agganciati ad un binario e di solito li tengo addossati all’angolo del muro perchè li uso solo quando chiudo il ristorante per lunghi periodi. Pesano una tonnellata… come è possibile che si siano staccati?”.

“Con un vento di bufera come questo mi sorprende che il tetto sia ancora intatto. Che stai facendo?”.

“Vado a rimetterli nei binari, mi sembra ovvio! E cerchiamo di pensare positivo, ok? Ci mancherebbe solo quello!”, ribatté lei, afferrando la giacca e preparandosi ad uscire nella tormenta. Ma Ryoga la bloccò, sbarrandole la strada.

”Lascia stare, lo faccio io. Tu inizia a togliere la neve dalla soglia, così chiudiamo tutto e ci assicuriamo che non si stacchi più nulla”.

Ukyo rimase per un attimo senza parole, troppo stupita da quella proposta per riuscire a replicare. Poi, però, un’ondata di furia la invase. Come si permetteva di venire a darle ordini a casa sua?

“Guarda che posso farlo benissimo da sola! Non ho bisogno dell’aiuto...”, stava per dire ‘di un uomo’ quando si interruppe, non volendo farla sembrare una questione sessista. Anche se era molto tentata. “...di nessuno. Non sono mica una esile damigella in pericolo, quindi piantala di fare il principino arrogante di turno e levati dai piedi!”.

“So perfettamente che non lo sei, ho tipo venti bernoccoli in testa che lo testimoniano”, ribatté lui, senza scomporsi. “Ma visto che sono qui e che mi stai facendo il favore di ospitarmi, almeno lascia che ti aiuti”.

Ancora una volta la logica stringente di quella passivo-aggressiva galanteria la lasciò per un attimo senza fiato, dandogli giusto il tempo di piazzarsi davanti a lei e aprire la porta del ristorante. 

“Anche perché non sei abbastanza coperta per uscire sotto la neve", aggiunse poi, lanciandole una breve occhiata da sopra una spalla. Confusa, Ukyo abbassò lo sguardo e si accorse solo in quel momento di stare mostrando molte più grazie del normale a causa della scollatura di quel dannato top e arrossendo si coprì con la giacca.

"Perchè, tu sì?", gli gridò dietro, osservandolo uscire nella neve. “E poi non corri il rischio di trasformarti?”, gli chiese, sempre urlando per farsi sentire sopra l’ululato del vento.

“No, se non mi si scioglie tutta insieme addosso”, le rispose Ryoga, afferrando i pesanti pannelli in legno, resi ancora più massicci dal ghiaccio e la neve che vi si erano accumulati sopra e rimettendoli al loro posto originario come se fossero stati di cartone.

“Maledetto testosterone”, bofonchiò Ukyo, affrettandosi a togliere la neve dalle guide con una scopa. “Fa sembrare tutto così facile…”.

Naturalmente sapeva benissimo che non era solo una questione di ormoni: se ci fosse stato Konatsu accanto a lei quella sera, o qualcun altro della loro compagnia, forse persino Ranchan, le cose sarebbero andate diversamente. L’ex kunoichi avrebbe piagnucolato lamentandosi della sua esile costituzione e Ranma probabilmente si sarebbe rifiutato di uscire sotto la bufera. Doveva ammettere che Ryoga invece, in determinate situazioni, si era sempre dimostrato una persona davvero affidabile che non si tirava mai indietro quando si trattava di sporcarsi le mani. Hmm, forse dovrei effettivamente ringraziare l’ansia da controllo dei Tendo per avermelo mandato, pensò osservandolo rientrare in casa e scrollarsi la neve dai capelli e dalle spalle.

“Ok, ora che abbiamo sbarrato tutto qui, vado a fare la stessa cosa con le altre finestre, così evitiamo altre brutte sorprese”, disse, fissando l’ultimo gancio dello sportellone e chiudendo la porta finestra.

“Vuoi che ti dò una mano?”.

“NO! Ehm… no grazie”, gli rispose “Almeno questo riesco a farlo da sola”, borbottò poi mentre saliva le scale.

Ryoga la osservò sparire al piano di sopra con un sospiro. 

Conoscendo il carattere orgoglioso e indipendente di Ukyo, sapeva benissimo di aver rischiato grosso insistendo sul chiudere gli scuri al posto suo ma, tralasciando il fatto che il suo onore non gli avrebbe mai permesso il contrario, era obiettivamente la soluzione più logica. Sembrava essersi ripresa alla grande dopo la febbre di quella notte ma, potenzialmente, avrebbe potuto essere ancora sotto l’effetto stordente del medicinale, senza contare che non gli sembrava assolutamente il caso di farla uscire al freddo e sotto quella neve così presto dopo un’influenza. Dopotutto, la promessa fatta ai Tendo di prendersi cura della ragazza non comprendeva forse evitarle il più possibile una ricaduta? Comunque, malattia a parte, sarebbe stato in ogni caso impossibile per lei rimettere nei binari quegli immensi pannelli di legno bagnato, così come sarebbe stato molto difficile riuscire a girare quella manopola bloccata dal calcare nella caldaia quella mattina. Per quanto allenata e fisicamente più abituata a sostenere degli intensi sforzi, c’erano dei limiti naturali oltre i quali un corpo non poteva andare: non era una questione di genere, quanto di possibilità oggettive.

Per qualche misteriosa ragione sembrava che il fato avesse deciso che, in quel momento, il suo compito fosse aiutare quella ragazza. Tutto sommato, però, scoprì che la cosa non gli dispiaceva affatto: a parte che gli forniva il modo per ripagare il debito di riconoscenza che aveva con lei per quella ospitalità, l’aspetto più sorprendente era che, per la prima volta in vita sua, si stava sentendo utile.

Sorrise al ricordo di quando lei lo aveva chiamato ‘principino arrogante’. Senza saperlo Ukyo aveva individuato uno dei soprannomi che gli avevano affibbiato a scuola, visti i suoi modi troppo formali e la sua tendenza a non farsi guardare dall’alto in basso da nessuno. Ovviamente lei nemmeno sapeva - né avrebbe mai saputo - di essere tra le pochissime persone alle quali permetteva impunemente di colpirlo.

“Ok, le finestre di sopra sono tutte chiuse. Mi fa un po’ impressione stare tappata dentro casa in questo modo ma, a quanto pare, qualcuno dall’alto ha deciso così”.

Ryoga tirò mentalmente un sospiro di sollievo quando la vide scendere dal piano superiore con addosso una maglia blu molto più castigata, rispetto a quel dannato top. Non sarebbe bastata tutta la neve del mondo a raffreddare la propria temperatura se avesse continuato ad avere sotto gli occhi quella scollatura per tutta la sera. Il che era strano per lui, perché in passato non aveva quasi mai avuto problemi di quel tipo ma, a suo discapito, c’era da dire che Akane era sempre stata molto modesta e che invece, nelle ultime ventiquattro ore, era stato sottoposto alla quantità di stimoli di natura, per così dire… carnale, più grande della sua vita. Oppure l’unica altra spiegazione era che fosse, molto più banalmente, ancora sotto l’effetto afrodisiaco di quella stramaledetta cioccolata.

“Allora, io non ho tantissima fame visto che questa mattina abbiamo fatto colazione un po’ tardi e praticamente a pranzo abbiamo fatto… ehi, come si chiama quella cosa che fanno gli Americani quando mangiano insieme cose dolci e salate ad un orario assurdo?”.

“Brunch”, rispose automaticamente lui, ancora sovrappensiero.

“Ah si, quello. Beh, comunque adesso ho voglia di qualcosa di caldo. Che ne diresti di una bella ciotola fumante di udon?”.

La proposta lo distolse dai suoi pensieri e Ryoga si girò a guardarla mentre, dietro al bancone, si allacciava il grembiule da cuoca.

“Udon? Credevo cucinassi solamente okonomiyaki”.

“Certo che no, stupidone. Gli okonomiyaki sono la mia vita, ma non per questo mangerei solamente quello. Non è salutare”, gli ribatté lei legandosi i capelli in una coda di cavallo. “E poi credevo che volessi evitare di mangiare il terzo okonomiyaki di fila”.

“In effetti, sì. Gli udon vanno benissimo, grazie”.

La osservò lavorare e la mente tornò a quando, soltanto la sera prima, l’aveva vista preparargli la cena in veste di P-chan. Ancora non riusciva a credere al fatto che Ukyo avesse scoperto il suo più grande segreto e l’avesse accettato così serenamente. Va bene, serenamente era una parola grossa a giudicare dai bernoccoli che aveva… ma il concetto era quello. Con Akane non era stato così facile, anche perchè ovviamente c’erano delle implicazioni più profonde ed anche se poi lo aveva perdonato, il gentile ma fermo rimprovero che gli aveva fatto per non averlo confessato prima era stato davvero duro da mandare giù. Per questo si era allontanato sempre più spesso negli ultimi tempi: venire a patti con la consapevolezza di averla delusa aveva richiesto molto tempo e introspezione e c’era voluto parecchio per sanare una ferita così profonda. Ukyo invece, pur facendogli apertamente le sue rimostranze, sembrava aver accolto sorprendentemente bene quella rivelazione e, per quanto si sforzasse, lui non riusciva assolutamente a capirne il perché.

“Posso farti una domanda?”.

“Questa scena l’ho già vissuta… ok, spara”.

“Come mai hai accettato così bene il fatto che io sia P-chan?”.

Lei smise di affettare le verdure e lo guardò con aria stupita.

“Ne vuoi parlare adesso? Non possiamo mangiare prima?”.

L’espressione seria di Ryoga, però, diceva a chiare lettere l’importanza che quell’argomento aveva per lui e, con un sospiro, la ragazza si preparò ad affrontare la discussione. 

“E va bene… tralasciando il fatto che mi sento una perfetta idiota per non averlo capito prima, la pura e semplice verità è che ti capisco. Non ne sono particolarmente fiera, ma io avrei fatto la stessa cosa quindi, anche se sarebbe molto facile perché qualche responsabilità ce l’hai comunque, non sono nella condizione di poterti criticare”, disse, mescolando il brodo con aria pensosa. “Per amore si fanno le cose più disperate e stupide. Credo che entrambi ne siamo un perfetto esempio”.

Era assolutamente vero. Akane era stata comprensiva, ma non aveva mai davvero capito a fondo le sue motivazioni, per il semplice fatto che non aveva mai realmente sofferto per un amore non corrisposto in vita sua. O almeno, non come ne avevano sofferto loro.

“Io… non so come ringraziarti. È davvero difficile trovare qualcuno così comprensivo… ed essermi tenuto dentro questo segreto per tutti questi anni mi ha fatto mangiare vivo dai sensi di colpa”.

"Non stento a crederlo, vista la tua tendenza all'auto flagellazione. Scommetto che ti sarai imposto una punizione molto più severa di quello a cui avremmo potuto pensare tutti noi messi insieme".

Lui assentì distrattamente. “Sì, ma non sarà mai abbastanza”.

“Sempre negativo, come al solito”, sbuffò Ukyo, piazzandogli davanti una ciotola fumante di udon. “Hai mai pensato che invece hai già sofferto abbastanza? Perchè non chiudi questa storia una volta per tutte, ci metti una pietra sopra e non vai avanti con la tua vita?”.

“Lo farei volentieri, se fosse possibile. Ma lo sai anche tu che le acque delle sorgenti maledette sono ancora tutte mischiate e che ci vorranno anni prima che si riformino”.

“Certo che lo so. Mi riferivo al fatto di accettare la trasformazione e portarla allo scoperto, in modo da poter vivere libero dalle menzogne e dai conseguenti sensi di colpa. Così almeno si metterebbe fine a questo assurdo baraccone di ‘tu sai che io so ma non te lo dico”.

“Ma… in questo modo potrei mettere in difficoltà Akane”.

Ukyo roteò gli occhi al cielo. “Ha scelto lei questa linea ambigua e sono sicura che, ora come ora, le pesi anche continuare a nascondere questa cosa a Ranma. Dai retta a me, dì la verità a tutti e affronta da uomo le conseguenze. Tanto il passo più difficile l’hai già fatto, quindi cosa ti resta? Shampoo, Mousse e una parte della famiglia Tendo? O lo sanno già oppure non gli interessa. Invece, in questo modo, tu avresti il vantaggio di tagliare tutti i debiti con Ranma”.

Ryoga non riusciva a credere alle proprie orecchie. Dov’era stata fino a quel momento quella saggia donna in grado di risolvere una parte dei suoi dilemmi esistenziali nel giro di cinque minuti e mentre stava mangiando gli udon? Mai, in tutta la sua vita, avrebbe immaginato di trovare in Ukyo una persona così disponibile all’ascolto, in grado di comprendere le sue ragioni senza giudicare. 

Nella sua solitaria esistenza, l'unico a rivestire vagamente il ruolo di amico era più o meno stato Ranma anche se, all’inizio, più che una vera e propria amicizia si era trattato di una sorta di riluttante reciproco rispetto, maturato sul campo delle innumerevoli battaglie fatte con e insieme a lui. Con gli anni, però, il loro rapporto si era un po’ ammorbidito perché Ranma era, tutto sommato, un bravo ragazzo e - quando gli girava bene - offriva volentieri il suo aiuto. Purtroppo, però, il suo terribile tempismo, unito all'atroce tendenza a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato ereditata dal padre, rendeva spesso inutili e a volte pure offensivi tutti i suoi sforzi. A questo si aggiungeva che anche lui stesso non era propriamente il tipo più disponibile del mondo: le rare volte in cui riusciva a superare il suo notevole orgoglio per chiedere un consiglio - che spesso gli arrivava comunque senza richiesta - era anche un po’ troppo permaloso riguardo le involontarie pessime insinuazioni di Ranma e il suo carattere irascibile faceva il resto.

Insomma parlare con lui di certi argomenti, soprattutto quelli più intimi e sensibili, era sempre stato molto difficile, se non praticamente impossibile. 

Parlare con Ukyo come stava facendo adesso, invece, raccontandole i suoi problemi e confrontandosi su eventuali soluzioni, si stava rivelando sorprendentemente facile e naturale, come se l’avesse sempre fatto. Con un sussulto interno, si rese conto solo in quel momento che il suo confidarsi con Ukyo l’aveva appena resa la cosa più simile ad un'amica che avesse mai sperimentato in vita sua.

"Ehi, c'è qualcuno?".

Ryoga si riscosse dalle sue elucubrazioni e si ritrovò, di nuovo, a fissare da vicino il viso a cuore della graziosa chef. Ancora una volta, immancabilmente, le orecchie gli andarono a fuoco e cercò subito di riguadagnare un minimo di distanza e di contegno.

"Sì, sì, scusa… ci stavo riflettendo. È solo che non sono abituato a ricevere consigli sensati".

"E con questo cosa vorresti insinuare? Che i miei suggerimenti sono assurdi?".

"NO! Cioè, non è che in passato abbiano proprio prodotto risultati felici… ma non intendevo questo!", aggiunse precipitosamente, vedendo l'aria torva della ragazza. "Volevo dire che, in confronto a quelli di Ranma, i tuoi consigli sono perle di saggezza!".

L'espressione di Ukyo si ammorbidì.

"Ranchan è un bravo ragazzo, ma di sicuro dovrebbe lavorare sull’effettiva validità delle sue ‘geniali intuizioni’. Beh, e diciamo pure sul suo tatto", rise lei facendogli l'occhiolino con un'adorabile espressione sbarazzina.

Per l'ennesima volta, Ryoga si diede internamente dell'idiota. Da quando le espressioni di Ukyo erano diventate adorabili? Tutta quella storia della missione divina di dare una mano a quella ragazza si stava rivelando una delle solite suggestioni della sua iperattiva fantasia, altroché!

"Puoi dirlo forte", mugugnò in risposta, attaccando la ciotola di udon per nascondere l'imbarazzo. "E comunque ci penserò al fatto di accettare la trasformazione e togliermi questo peso. Io… io… credo che tu abbia ragione".

"Davvero?".

Ukyo sembrava così stupita e incredula che lui appoggiò la ciotola sul bancone e la guardò dritto negli occhi.

"Davvero. Ti potrà sembrare strano, ma da oggi ho scoperto di avere una considerazione decisamente diversa su di te".

Stavolta fu il cervello di Ukyo ad andare in tilt, con conseguente furioso battito del cuore e relativo rossore che le invase le guance. In tutta la sua vita, erano state rarissime le volte in cui aveva ricevuto una simile attestazione di stima e forse solo una volta da Ranma. Ma anche in quella occasione, più che un complimento, era sembrato un riconoscimento carico di cameratismo, del tipo, ‘Ehi grazie di poter contare su di te, sei una vera amica!’, ovvero l'ultima cosa al mondo che avrebbe voluto sentirsi dire da lui.

Quello che le aveva appena detto Ryoga, invece, suonava in qualche modo diverso. Era sempre un apprezzamento amichevole, ma forse proprio perché le era stato rivolto in maniera così sincera da una persona che aveva tutti i motivi del mondo per avere l'opinione opposta, che sembrava così… così prezioso e vero. Anche perché, a discapito delle proprie proteste, alcuni dei consigli che gli aveva dato in passato si erano veramente rivelati pessimi, magari non in modo intenzionale, ma pessimi comunque. Il fatto che adesso avesse cambiato idea e che avesse scelto di dirglielo in quel modo sorprendentemente diretto era una delle cose più carine che le fossero capitate da parecchio tempo.

"Ehm… grazie", borbottò un po' bruscamente, togliendogli la ciotola da sotto al naso senza nemmeno controllare che avesse finito - cosa che, in un altro momento, non si sarebbe MAI sognata di fare per questioni di etica professionale - e girandosi di scatto per nascondere il rossore.

Quando un silenzio calò nella stanza, Ryoga si schiarì la voce.

"Uhm… se vuoi posso lavare io i piatti come avevo già iniziato a fare prima… altrimenti non riuscirò mai a liberarmi del mio debito", tentò di scherzare.

Ancora distratta da quanto era appena successo, Ukyo si girò a guardarlo, gettando un'occhiata stupita da sopra una spalla. In realtà aveva quasi dimenticato tutta quella faccenda ed avrebbe voluto dedicare qualche ulteriore momento a riflettere meglio sulle curiose reazioni che le parole di quello strano ragazzo riuscivano a provocare dentro di lei. Non era, inoltre, abituata al fatto che qualcuno interrompesse i suoi rituali e la sua routine nel sistemare la cucina dopo un pasto e stava per rifiutare il suo aiuto, quando la sua espressione di trepidante attesa le fece cambiare idea. Come si faceva a dire di no ad una persona così volenterosa di aiutare? 

"Ok, vieni qui e asciuga".

Ryoga afferrò al volo l'asciugamano che era stato vagamente lanciato nella sua direzione e fece il giro del bancone.

"Ma così stai facendo tu tutto il lavoro…".

"Prendere o lasciare, Hibiki. Uno chef non molla così facilmente la sua postazione di comando, nemmeno se si tratta di lavare i piatti", ribatté lei, passandogli le ciotole. "E poi così non rischiamo incidenti".

"Beh, se è acqua calda non c'è probl… GLUB!".

Uno schizzo di acqua fredda, partito involontariamente dal rubinetto mentre Ukyo stava risciaquando un tegame, lo colpì in pieno viso e lei si ritrovò a fissare nuovamente un cumulo di vestiti neri.

Di fronte al maialino, che la stava guardando malissimo, la ragazza scoppiò a ridere.

"Scusa, scusa… è che sono state proprio le classiche ultime parole famose".

La sua espressione diceva a chiare lettere 'non è divertente' e lei sorrise ancora, chiedendosi di nuovo come fosse stato possibile non riconoscere prima, in quell’adorabile porcellino, i modi di fare così tipici di Ryoga. Lo prese in braccio, lo asciugò e lo appoggiò su uno sgabello per poi mettere sul fuoco il bollitore del tè; dopodiché, una volta pronta l'acqua, la versò in una larga ciotola e ci soffiò sopra per raffreddarla. P-chan la stava osservando dalla sua postazione, quasi rapito, e lei lo schizzò con qualche goccia sul muso, ridendo quando lui se la scrollò subito di dosso, asciugandosi il naso con una zampetta. Poi, intiepidito finalmente il liquido, lo rimise a terra e glielo versò sopra con cautela, restando ad una ragionevole distanza e cercando di evitare di essere nuovamente esposta a conturbanti nudità.

Stavolta la manovra funzionò e lui tornò in forma umana in una più che decente posizione accovacciata che però, nonostante i propri sforzi di guardare da un'altra parte, riuscì lo stesso a permetterle di ammirare la poderosa muscolatura della schiena. Così, per evitare di essere colta sul fatto, Ukyo concentrò tutta la sua attenzione sul finire di lavare e mettere a posto le ciotole. Quando ebbe terminato si girò verso Ryoga che, ormai perfettamente vestito, la stava guardando con un'aria stranamente assorta.

"Ok, Ryo-chan, è giunto il momento di sistemarti per la notte. Se spostiamo i due tavolini davanti alla vetrata credo che ci sia abbastanza spazio per…".

Non fece in tempo a finire la frase che lui aveva già spostato tutto. Non che i pochi tavolini per i clienti avessero potuto rappresentare un serio ostacolo per uno come lui, ma la sua abilità nel maneggiare mobili fu una informazione prontamente notata e archiviata dal cervello di Ukyo, pronta per essere sfruttata al momento opportuno.

"Beh, allora direi che non c'è altro… il bagno per i clienti sai dov'è. Ti serve un'altra coperta?". 

Lui scosse la testa senza dire una parola e lei si diresse verso le scale.

“Ok, allora buonano…”.

“Ukyo”.

La voce profonda di Ryoga la interruppe e lei si girò a guardarlo stupita, colpita dal suo tono grave. “Sì?”, chiese, aggrottando le sopracciglia.

“Grazie ancora. Per tutto”.

Sospirando internamente per la sua eccessiva formalità e per i colpi che le faceva prendere ogni volta, Ukyo si rilassò. Stava per rispondergli che era lei a doverlo ringraziare per la compagnia, ma si trattenne appena in tempo, non volendo esporre in maniera così evidente quel suo punto debole.

”Figurati, buonanotte”.

L’ultima immagine che le rimase impressa, prima di salire le scale per andare alla camera da letto al piano superiore, era Ryoga in piedi al centro del ristorante che la guardava con un’aria indecifrabile ma intensa.

Non capiva perché la cosa le facesse battere il cuore in quella maniera.

È solo suggestione, pensò qualche tempo dopo, mentre si stava rilassando nella vasca. Tutta quella giornata era stata piena di sorprese, dal momento in cui aveva trovato Ryoga sulla soglia del ristorante fino alla scoperta della sua trasformazione, passando per una ancora più sbalorditiva e lunga conversazione con lui. Dopo anni trascorsi a vivere da sola, era una novità così assoluta per lei trovarsi a contatto per un intero giorno con qualcuno - qualcuno che obiettivamente non aveva mai considerato prima come possibile interlocutore - che era chiaro che non riuscisse a smettere di pensare a quello che era successo. Era stata anche presa totalmente alla sprovvista da quanto fosse stato facile parlare con Ryoga, dalla sua esperienza nei viaggi ai suoi problemi con la trasformazione e scoprì, con sorpresa, di essere piuttosto curiosa all’idea di passare con lui un’altra intera giornata. È solo perché è una novità, una cosa diversa dal solito, si disse. È unicamente per questo motivo che lo trovo interessante…

Un altro pensiero improvviso la bloccò, disturbando il relax del suo bagno. E se Ryoga avesse avuto bisogno di andare in bagno quella notte? Lo avrebbe trovato? Ma soprattutto, sarebbe stato poi in grado di tornare indietro?

Uscì dalla vasca come una furia, asciugandosi alla buona. Poi, buttandosi addosso uno yukata decisamente troppo sottile per la stagione preso alla rinfusa da un armadio, si precipitò di sotto.

Lo trovò che stava tranquillamente leggendo un libro, seduto nel suo sacco a pelo, con addosso una consunta t-shirt verde militare che aveva visto giorni migliori e che, evidentemente, costituiva il suo pigiama.

Non appena sollevò gli occhi dalle pagine e la vide, sul volto di Ryoga passò per un attimo una stranissima espressione. Subito dopo, però, si tese, allarmato.

“Ukyo! C-che succede?".

Lievemente senza fiato, più per il sollievo che per la corsa, Ukyo si inginocchiò accanto a lui.

"Niente, è che mi sono ricordata di una cosa", gli rispose, con una noncurante alzata di spalle. Lo osservò per un momento, colpita dal fatto che il verde gli donasse particolarmente, visto che dava ai suoi occhi un'accattivante sfumatura dello stesso colore. Poi, senza aggiungere un'altra parola, prese la bottiglietta d’acqua lì vicino e gliela versò addosso, scatenando la trasformazione. 

Subito dopo, P-chan emerse dai vestiti con un verso oltraggiato e Ukyo sospirò.

“Scusami, Ryo-chan, ma visto l’episodio di oggi pomeriggio non voglio rischiare di doverti venire a cercare di notte in mezzo alla neve, se devi andare in bagno”.

Lo prese in braccio, avendo prima cura - questa volta - di ricomporsi per evitare future rimostranze e si incamminò verso la camera da letto. 

“Non fare quella faccia… se Akane ha avuto il fegato di farti dormire con lei per tutto questo tempo, posso farlo benissimo anche io. Però resta sopra la trapunta, ok?”.

Osservandola terminare i preparativi per la notte, P-chan sospirò, accucciandosi diligentemente sullo stesso angolo di futon della sera prima. 

Vederla arrivare di corsa, con i capelli legati in un disordinato chignon con qualche ciocca ancora umida sul collo, le guance arrossate per il calore del bagno e uno yukata legato in modo decisamente approssimativo, gli aveva fatto schizzare gli ormoni alle stelle e quasi spinto sull’orlo del collasso. Subito dopo il buon senso e la preoccupazione avevano prevalso, ma per un breve, rapido momento la sua mente ipereccitata aveva evocato scenari di tutto un altro genere.

L'inaspettata trasformazione che era seguita era stata quasi un sollievo, per una volta, ma a quel punto era chiaro che doveva a tutti costi prendere qualche drastico provvedimento per evitare situazioni molto più imbarazzanti.

Si girò di nuovo, cercando di trovare una posizione comoda. Ci mancava solo che in quella situazione assurda ci si mettesse di mezzo pure un'attrazione totalmente inaspettata… come se non avesse avuto già abbastanza problemi di suo.

Mentre il sonno lo raggiungeva, un ultimo pensiero sintetizzò quella bizzarra giornata: non era solo una sua impressione… era decisamente il destino che lo voleva su quel letto, accanto a lei.




 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

 

 

La mattina giunse con un leggero chiarore e un silenzio ovattato, tanto che Ukyo si svegliò più tardi del solito. Si mise a sedere di scatto, convinta di aver fatto tardi e che i clienti la stessero aspettando di sotto infuriati ed affamati; quando, però, realizzò di non avere alcun obbligo, si lasciò ricadere tra le coperte con un sospiro di beatitudine. Poi ricordò meglio tutto quello che era successo il giorno prima e, aprendo un occhio, vide un porcellino che la stava osservando con un’aria confusa, tra il perplesso e l’agitato, da un angolo del futon. Più esattamente, la stava guardando come se fosse impazzita.

“Buongiorno, P-chan… uh… Ryoga… vabbè, tu”, rise, di buon umore dopo una lunga dormita ristoratrice. “Non farci caso, è che non sono abituata a svegliarmi tardi durante la settimana. Saranno secoli che non mi prendo qualche giorno di vacanza!”.

Si alzò, stiracchiandosi con soddisfazione e con la coda dell’occhio vide P-chan girarsi di scatto nella direzione opposta. Doveva essere diventato un comportamento quasi istintivo per lui, ma comunque faceva onore alla sua correttezza. Si avvicinò alla finestra per alzare le tapparelle e quando lo fece - non senza difficoltà visto il ghiaccio accumulato - non riuscì a trattenere un’esclamazione di meraviglia. Stava ancora nevicando ma il cielo era più chiaro rispetto al giorno prima e il vento era infine cessato, lasciando cadere la neve in lenti e grandi fiocchi in uno scenario che sembrava quasi irreale, come in una di quelle palle di vetro con un paesaggio innevato che si vendevano sotto Natale.

“Ooh, non ho mai visto della neve così alta in vita mia! Nemmeno quando ero piccola e giravamo con la bancarella ambulante!”, esclamò, appoggiando le mani al vetro, come una bambina. Presa dall’entusiasmo si girò e prese al volo il maialino, che la stava guardando da sotto in su. “Guarda, P-chan, guarda quanta ce n'è! Scommetto che sarà almeno un metro!”.

P-chan osservò con occhio esperto l’altezza dei cumuli e concordò con la stima della ragazza, rabbrividendo all’idea del complicato risveglio che gli sarebbe toccato se fosse stato lì fuori, nella sua tenda. Con una nevicata del genere l’intelaiatura si sarebbe di certo piegata sotto il peso e lui avrebbe dovuto trascorrere tutta la notte sveglio a sostenerla, cercando allo stesso tempo di evitare di perdere qualche dito per congelamento. Ne aveva passata qualcuna di notti così e non ci teneva proprio a ripetere l’esperienza.

Di nuovo, fu invaso da un moto di gratitudine per aver evitato, almeno per una volta, il suo solito, sfortunato destino e, in un raro momento di istinto, si allungò per dare una piccola, affettuosa testatina al mento di Ukyo sopra di lui.

La ragazza sussultò, sorpresa, poi sembrò interpretare nel modo giusto quel piccolo gesto come un ringraziamento, perché sorrise e gli diede un bacino sulla fronte, facendolo arrossire come un pomodoro.

Stavolta Ukyo rise più forte e lui si agitò tra le sue braccia, cercando di sfuggire a quella situazione che lo stava facendo sentire troppo a disagio. La chef non sembrava al momento ricordare che lui non fosse soltanto un animaletto da compagnia ma, a pensarci bene, non poteva darle torto: una cosa del genere poteva aver bisogno di tempo prima di essere elaborata e, dopotutto, era accaduto solo il giorno prima.

Un pensiero simile dovette attraversare anche la mente di lei, perché subito dopo lo lasciò andare.

“Ah, scusami Ryoga. A volte è difficile ricordarsi che ci sei tu dietro questo adorabile maialino”, gli disse con un sorriso. “Non è colpa mia se sei così carino in questa forma…”, aggiunse poi, dandogli per gioco una tiratina leggera ad un orecchio. P-chan sbuffò, seccato, e lei realizzò che al ragazzo non doveva fare piacere essere considerato in quel modo, anzi, con tutta probabilità, doveva essere uno dei motivi per cui lo aveva sempre tenuto nascosto.

Però non è male nemmeno nell’altra, pensò ad un tratto, mentre prendeva i vestiti da indossare quel giorno dall'armadio. Si bloccò ancora una volta, colta di sorpresa da quell'estemporaneo pensiero - le stava capitando un po' troppo spesso negli ultimi giorni - per poi scacciarlo con foga dalla sua testa.

Un quarto d'ora dopo uscì dal bagno, vestita di tutto punto nella sua consueta divisa violetta da chef.

"Ok, il bagno è tutto tuo. Ti ho lasciato l'acqua della doccia aperta e tutto l'occorrente per lavarti", gli disse, aprendogli di poco la porta per non fare sfuggire tutto il calore accumulato.

Poco tempo dopo, però, mentre aveva appena finito di mettere via il futon, la voce profonda di Ryoga si fece sentire.

"Uhm… Ukyo? Potresti…", fece una pausa così lunga che lei tese l'orecchio, per capire cosa stesse succedendo. "...portarmi… uh… i miei vestiti?".

Ukyo si colpì sulla fronte con una mano. Ma certo, che stupida! Si era del tutto dimenticata di quel piccolo particolare quando aveva deciso in modo impulsivo di farlo dormire assieme a lei, in pratica sequestrandolo senza alcun consenso. Corse di sotto dove per fortuna trovò subito, accanto al sacco a pelo, gli abiti piegati pronti per il giorno dopo. Meno male che è un tipo ordinato, pensò con sollievo. Sarebbe stato davvero imbarazzante mettere le mani nel suo zaino e nelle sue cose personali.

Tuttavia, quando fece per passarglieli, si ritrovò ad affrontare la seconda seccatura della giornata nel giro di dieci minuti: la soglia di quel bagno era sempre stata difettosa e tendeva a gonfiarsi se c'era troppo vapore. Di solito non succedeva, ma con due docce di seguito era piuttosto comprensibile che quel problema si fosse ripresentato.

"Dannazione, ci mancava pure questa…", mugugnò, cercando di aprirla. "Ryoga! La porta è bloccata! Ora provo a forzarla quindi stai indietro".

"Vuoi che ci penso io?".

"NO! Non toccare NULLA! Mi serve ancora!", rispose subito, con già negli occhi la devastazione che sarebbe potuta seguire se solo lui avesse provato ad esercitare pressione con la sua spaventosa forza.

Seguirono svariati minuti di infruttuosi e imbarazzanti tentativi poi, infine, il legno cedette di scatto, facendola quasi schiantare sul pavimento del bagno.

“Ooh, finalmente! Scusa ma questa dannata…”, iniziò alzando gli occhi.

E si dimenticò di colpo quello che stava dicendo.

Davanti a lei, circondato da nuvole di vapore, c'era Ryoga coperto solo da uno striminzito asciugamano, legato in modo precario sui fianchi.

A quanto pare i vestiti di ricambio e il malfunzionamento della porta non erano le sole cose che aveva dimenticato, in modo clamoroso, quella mattina… aveva anche omesso di fornirgli un telo da bagno di una misura adeguata.

Ancora una volta non riuscì a trovare la forza di distogliere gli occhi. Al contrario del giorno prima, quando aveva solo sentito di sfuggita quella muscolatura contro di sé, la piena visione frontale le consentì di notare molti più particolari: dall'ampiezza delle spalle alla compattezza dei pettorali, dai pronunciati bicipiti, agli addominali che sfumavano verso il basso in una netta linea, solo in parte coperta dall'asciugamano… ogni singolo, vigoroso dettaglio anatomico appariva quasi scolpito nel marmo e sembrava fremere sotto la pelle umida.

Com'era naturale, si era già accorta che lui fosse diverso, perché era chiaro come il sole che non ci fosse paragone, per altezza e corporatura, al ragazzo che aveva incontrato per la prima volta tanti anni orsono. Tuttavia, solo in quel momento riuscì davvero a capire quanto il tempo e i costanti allenamenti avessero modificato il suo fisico, facendolo maturare e rendendolo in tutto e per tutto quello di un uomo.

La fisionomia di quelle spalle larghe e di quelle braccia poderose evocava una sensazione di potenza eppure, allo stesso tempo, la vita sottile e i fianchi stretti gli davano un aspetto snello e slanciato, del tutto privo della pesantezza che di solito avrebbe associato ad una simile montagna di muscoli.

Quegli stessi che fremettero, davanti al suo sguardo quasi ipnotizzato, quando Ryoga alzò un braccio per grattarsi il mento, di certo a disagio per l'attento esame che gli stava facendo. Gli occhi di Ukyo seguirono di riflesso quel movimento osservando il loro gioco sotto la pelle e lei si accorse, solo in quel momento, che la notte gli aveva lasciato un leggero velo di barba sulla mascella.

La bocca le si asciugò del tutto.

Quel particolare, mai visto o notato prima, unito a tutto il resto, fu troppo da sopportare per il suo animo agitato: con un gesto fulmineo, Ukyo si girò, afferrò i vestiti e, in pratica, glieli buttò in faccia, richiudendo la porta di slancio, con buona pace della soglia difettosa.

Si appoggiò dall’altro lato del battente, con le mani al viso, cercando in tutti i modi di calmare il battito del proprio cuore. Per ovvi motivi quel traditore non ne voleva sapere di placarsi, visto che quella visione di strepitosa prestanza maschile le aveva rimescolato sangue e ormoni con una violenza tale da farle mancare il respiro e rischiare un serio collasso circolatorio.

Maledizione… chi se lo aspettava che Ryoga potesse diventare così dannatamente sexy?, pensò mentre scendeva di sotto con le guance ancora in fiamme e lo stomaco in subbuglio. Aveva urgente bisogno di distrarsi, così, per sbollire l’imbarazzo e non pensarci troppo, decise di iniziare a preparare la colazione.

Dopo un po’ scese anche lui e quando Ukyo si girò a salutarlo si accorse con stupore che stava indossando una maglietta a maniche lunghe bicolore, nera su spalle e braccia e verde scuro sul torace. Sorpresa da quel cambio di look e ben felice di aver trovato un argomento per evitare qualsiasi penoso riferimento a quello che era appena successo, alzò un sopracciglio.

"Buongiorno. Che è successo alla tua solita casacca?".

Ryoga si grattò la testa, imbarazzato e con le orecchie ancora un po' rosse per l’episodio di prima. Pareva proprio che non ci fosse limite alle figuracce che il destino gli stava riservando in quei giorni. Era abituato ad essere sfortunato, ma una simile incidenza di episodi, uno più mortificante dell’altro, rasentava quasi il ridicolo. Notò che Ukyo stava facendo finta di nulla, evitando il suo sguardo, e decise di fare altrettanto.

"Uh… era così lisa che ho dovuto buttarla", rispose, schiarendosi la voce e sedendosi al bancone. Senza contare il fatto che ormai mi stava tanto stretta da potersi strappare al primo movimento più ampio, aggiunse nella sua testa, ripensando alla dolorosa ma necessaria decisione di eliminare il suo amato indumento.

"Beh, direi che era ora", tagliò corto lei, sincera e diretta come sempre. “Il verde non è malaccio, su di te. Sempre meglio di quel tremendo color senape”.

“Era giallo ocra, prego”, mugugnò in risposta, osservando la ciotola di zuppa di miso che gli era stata messa davanti, seguita da pesce grigliato, verdure sottaceto e riso. “Grazie per la colazione, Ukyo”.

La chef roteò gli occhi, sbuffando. “Ryoga, io sfamo gente per lavoro e vocazione… non c’è bisogno che mi ringrazi ogni volta. Preparare per uno o per due per me è indifferente”.

Il ragazzo non disse nulla, non troppo convinto. Era sicuro che se fosse capitato per caso nel ristorante di Shampoo, anziché nel suo, la cinesina lo avrebbe tenuto incatenato in cortile a spaccare legna tutto il tempo con forse, e dico forse, qualche ciotola di ramen in cambio. Anzi, a giudicare da quello che diceva Mousse, era molto probabile che non fosse nemmeno tutti i giorni. Ukyo faceva passare la sua ospitalità come una cosa scontata, ma la gentilezza dietro quei gesti gli sembrava sempre più evidente e soprattutto rivelatoria di un carattere molto più altruista di quello che voleva far credere al resto del mondo. Il che gli fece ricordare che era necessario anche un altro tipo di ringraziamento.

“E… uhm… grazie anche per esserti preoccupata per me, ieri sera”.

Lei rimase per un momento a bocca aperta, con un pezzo di salmone tra le bacchette, poi lo riposò di scatto sul piatto con un gesto nervoso, guardando da un’altra parte. Evitare il suo sguardo era una cosa che faceva sempre quando era a disagio, notò all’improvviso.

“Ah… hmpf, è stato solo perché non avevo alcuna voglia di averti sulla coscienza”, gli rispose alla fine, riprendendo a mangiare. “E poi una volta che ho deciso di ospitarti sotto questo tetto, sei diventato una mia responsabilità: sei un ospite e l’ospite è sacro. Così mi ha insegnato mio padre”.

Ryoga alzò un sopracciglio, colpito e ammirato da quello sfoggio di valori tradizionali. L’onore e il rispetto erano dei concetti estremamente importanti per lui, una guida sotto la quale aveva impostato la sua intera esistenza e vederli espressi in modo così deciso dalla ragazza che gli stava di fronte gli fece davvero molto piacere. Anche se, in fondo, doveva ammettere di non esserne poi così sorpreso: Ukyo era testarda, ossessiva e molto abile nello sfruttare le situazioni a suo vantaggio, ma si era sempre comportata in modo onorevole nella sua annosa lotta con le rivali per l’attenzione di Ranma. Il fatto che fosse stata la prima a congratularsi con Akane per il fidanzamento ne era stata la riprova più grande e lo aveva confermato ancora di più diventandone addirittura la migliore amica. Aveva accettato la sconfitta con dignità ed onore… una cosa che persino lui non era ancora riuscito a fare.

“Ok, allora fammi dimostrare di essere un ospite degno di rispetto e dammi quei piatti”, le rispose, rimboccandosi le maniche.

Una volta finito di mettere via tutto, stavolta senza incidenti, si ritrovarono nella condizione di non saper bene come trascorrere quella giornata. Fuori, il vento aveva ricominciato a soffiare e il cielo si era di nuovo scurito, come preannunciato dalle previsioni: sarebbe stato inutile spalare la neve accumulata fino a quel momento visto che ne era prevista altrettanta, quindi uscire all’esterno era fuori questione.

“Hmm… ok, cosa possiamo fare?”, chiese Ukyo, battendo con aria pensosa con un unghia sul piano da lavoro.

“Non ne ho idea”.

“Sai giocare a carte?”.

“No”.

Seguì una pausa di silenzio, poi stavolta toccò a Ryoga suggerire qualcosa.

“Sai giocare a scacchi? O a dama?”.

“Non ho la scacchiera”.

Altra pausa.

“Di solito cosa fai nel tempo libero?”, chiese Ukyo con un sospiro.

“Mi alleno. Quando non posso farlo in genere leggo. Tu?”.

“Più o meno la stessa cosa: o mi alleno, oppure esco a fare la spesa o shopping con Akane. Quando sono a casa a volte guardo una serie tv o tengo la contabilità”.

“Ah”, rispose il ragazzo, riflettendoci un attimo. “E se io leggo un libro e tu tieni la contabilità?”.

L’altra lo guardò, con aria annoiata ed anche un po’ spazientita.

“Sì, ma che strazio!”.

Silenzio.

“Di allenarsi non se ne parla, immagino”, sbuffò la chef, incrociando le braccia.

Lui scosse la testa. “Non c’è abbastanza spazio. Al massimo possiamo fare qualche piegamento e forse qualche kata”, rispose, guardandosi intorno.

Altro silenzio.

“Possiamo… vederci un film?”, tentò di proporre Ryoga.

Contemplarono l’orologio: erano le dieci meno un quarto.

“Magari più tardi”, sospirò Ukyo, stirando le braccia sopra la testa. Lo sguardo si posò sulle grate del soffitto e, di colpo, ebbe una illuminazione. “Ehi, visto che sei bravo nella manutenzione, cosa ne dici di darmi una mano a fare qualche lavoretto di casa?”.

“Ci sto”.

“Ottimo! Dovrei avere una lista, da qualche parte…”, rispose lei, frugando in un cassetto.

Presi dal sacro fuoco delle pulizie la mattinata passò in fretta e riuscirono a renderla anche piuttosto produttiva: grazie all’abilità di Ryoga nello spostare i mobili, Ukyo riuscì a pulire a fondo parti della cucina che non aveva mai raggiunto se non in casi eccezionali. Cambiarono anche i filtri della cappa di aspirazione, pulirono le grate di areazione e sostituirono varie lampadine che erano diventate troppo fioche. Alla fine, mentre stava avvitando l’ultimo faretto, Ukyo alzò gli occhi verso delle mensole poste in alto e si ricordò di aver lasciato lì a maturare un vaso di salsa per okonomiyaki che ormai doveva essere pronta.

Quando si fece passare la scala e arrivò all’altezza giusta, però, si accorse che davanti c’era una pila di vecchi tegami. Erano parecchio impolverati e visto che aveva appena finito di tirare a lucido la cucina, non voleva tirarli giù e dover ricominciare tutto da capo; li spostò quindi con attenzione uno ad uno su uno spazio più piccolo lì accanto, cercando di tenerli in equilibrio e allo stesso tempo di raggiungere il vaso.

“Ukyo, che stai facendo? Non sporgerti dalla scala in quel modo, è pericoloso”.

“Aspetta… ci sono quasi…”, rispose lei, tendendosi al massimo per raggiungere quel maledetto contenitore di coccio.

“Guarda che, se ti rompi qualcosa, non ti porto in braccio sotto la neve in ospedale”.

“Ooh, quanto sei catastrofico! Ti ricordo che il mio senso dell’equilibrio non è mica bacato come quello di Akane!”.

Ryoga aprì la bocca per difendere in automatico il suo primo amore, ma poi gli tornarono alla memoria tutte le volte che aveva cercato di aiutarla in qualche strampalato torneo di arti marziali alternative: Akane era forte, veloce e resistente ma, in effetti, l’agilità non era proprio una delle sue virtù.

"Beh, comunque l'equilibrio non ti farà arrivare a qualunque cosa tu stia cercando di raggiungere. Ti mancano almeno dieci centimetri di braccio", le fece notare.

"Ryoga, lo sai dove te li puoi infilare quei dieci centimetri di…".

La rispostaccia rimase sospesa a metà perché, nella foga di replicare per le rime, Ukyo aveva perso il controllo sulla pila di pentole che rischiarono di caderle addosso. Si riprese al volo, recuperando il precario equilibrio, ma quando guardò verso il basso, dove Ryoga le stava reggendo la scala, trovò sul suo volto un'espressione che diceva a chiare lettere ‘Lo vedi?’.

Sbuffando rimise a posto tutto e scese. “Riecco quell’atteggiamento da principino arrogante… sei davvero fastidioso, lo sai?”, mugugnò facendosi da parte. Quando il ragazzo la guardò con aria interrogativa, sbuffò di nuovo. “Eddai, lo so benissimo che non vedi l’ora di farlo tu. Cosa diamine stai aspettando? Quell’affare non si tira giù da solo”.

Nascondendo un sorriso per la soddisfazione di averle fatto ammettere di aver bisogno del suo aiuto, Ryoga salì sulla scala, sollevò con una mano la pila di recipienti metallici e afferrò senza problemi il famoso vaso.

“Ok, ora passamelo. LENTAMENTE!”.

Quando lui abbassò lo sguardo per fare quanto richiesto, però, successe l’ennesimo imprevisto. Con la caldaia tornata a funzionare a pieno ritmo, la temperatura interna era risalita fino a sfiorare livelli quasi tropicali e la ragazza aveva così eliminato vari strati di indumenti. Per sua fortuna lo scollatissimo top del giorno prima era stato sostituito dalla ben più castigata divisa da chef ma ciò non toglieva che, visto dalla posizione sopraelevata in cui si trovava in quel momento, lo scollo lasciasse intravedere molta più pelle di quanto non fosse lecito mostrare, compreso un conturbante scorcio della vallata in mezzo ai seni. Distratto da quella visione, Ryoga fece un istintivo passo indietro, mancò in maniera clamorosa il gradino e cadde all’indietro portandosi appresso vaso e tegami.

“NO! LA MIA SALSA!”.

Nel disperato tentativo di proteggere il suo prezioso condimento, Ukyo si lanciò su di lui, cercando di afferrare al volo il recipiente ma, inciampando in una gamba di Ryoga, finì per cadere anche lei e si ritrovarono a terra tutti e due in un indistinto groviglio di arti, mentre la montagna di pentole gli cadeva addosso con un rumore fragoroso.

Una volta terminato il fracasso, Ukyo aprì un occhio, aspettandosi di ritrovarsi coperta di salsa per okonomiyaki a contare i lividi e bernoccoli che le sarebbero venuti in seguito all’impatto. Invece scoprì, con immensa sorpresa, di essere spalmata su Ryoga e che lui stava tenendo in una mano il pesante vaso di coccio, integro e perfetto, mentre con l’altra mano e il braccio le aveva coperto il viso e la testa, schermandola da qualunque collisione.

Un destino che, al contrario, sembrava non essere riuscito ad evitare per se stesso, a giudicare dal pesante wok che gli stava ancora roteando accanto e al segno di impatto sulla sua fronte.

La testaccia dura di Ryoga, tuttavia, aveva resistito ad urti ben più impegnativi e, complice il fatto che i suoi fulminei riflessi avevano protetto sia lei che la sua amata salsa, Ukyo si rilassò tra le sue braccia, cedendo alla stranissima voglia che aveva di prolungare quel contatto.

Quando le aveva protetto la testa con un braccio, l’aveva d’istinto schiacciata contro di sé pressandole il viso tra il collo e la spalla e lei scoprì che quella posizione era piuttosto confortevole. In un angolo del suo cervello si rese conto che avrebbe dovuto protestare per quella prossimità e allontanarsi di scatto, ma la verità era che non ne aveva la minima voglia: era come se il proprio corpo si fosse con naturalezza adattato al suo, in un perfetto gioco di incastri, assecondando una istintiva reazione a quella vicinanza.

“Bei maestri di arti marziali che siamo, ad inciampare in questo modo… così imparo a parlare male di Akane-chan!”, ridacchiò, senza muoversi di un millimetro.

“Ugh… poi mi devi spiegare che diavolo ci fai con tutta questa vecchia ferraglia”, mugugnò lui, portandosi una mano alla fronte e massaggiandosi la parte contusa. “Stai bene?”.

Quella semplice domanda, in apparenza banale, tolse il fiato ad Ukyo. Era stupido e, forse, solo il frutto della sua suggestione, ma le sembrò che esprimesse una preoccupazione nei suoi confronti, una premurosa sollecitudine che andava ben oltre la risposta istintiva ad una caduta.

La memoria le tornò al sogno di quella notte, quando si era sentita sicura e protetta tra braccia maschili che avevano lo stesso calore, lo stesso identico speziato profumo che la stava avvolgendo adesso, un misto di zenzero, bergamotto e odore maschile che ormai associava, a livello inconscio, a quella sensazione di benessere.

E in un lampo, ogni cosa andò all’improvviso al suo posto.

Non era stato Ranma a confortarla quella notte… e cosa ancora più importante, non era stato un sogno: era stato Ryoga. Ora che sapeva della trasformazione, ogni cosa acquistava sempre più senso. Ricordava in modo vago di non essersi sentita bene e il ragazzo doveva essersene accorto: in qualche modo, doveva essere riuscito a riprendere la forma umana e le aveva dato una medicina, perché lei non ricordava proprio di averlo fatto. Non c’era altra spiegazione per quella miracolosa guarigione dall’influenza nel giro di una notte. Poi, doveva averla riscaldata con il calore del suo corpo, cullandola in un sonno ristoratore e scatenando, così, la sensazione di gioia e serenità che aveva in seguito confuso con un sogno, associandolo - com'era naturale per lei - a Ranma.

Le implicazioni le fecero girare la testa, facendola avvampare.

“SEI STATO TU?”, boccheggiò, alzandosi di scatto su un gomito e guardandolo con occhi sbarrati.

“Eh? Di che parli? Hai sbattuto la testa per caso?”, rispose il ragazzo, mettendosi seduto sul pavimento e appoggiando, con cautela, il vaso di coccio di lato.

“Due notti fa… ho avuto i brividi di freddo e TU mi hai riscaldato! Sei entrato nel mio letto!”, lo accusò, ritraendosi in una posizione sulle ginocchia, come per allontanarsi il più possibile da lui.

Un’espressione di panico passò nei suoi occhi ma Ryoga non cercò nemmeno di negare.

“Uhm… mi dispiace?”, le disse, grattandosi la testa con fare imbarazzato.

“RAZZA DI MANIACO CHE NON SEI ALTRO!”, urlò Ukyo, afferrando alla cieca tutti i tegami che riuscì a trovare lì intorno e tirandoglieli in testa uno per uno come una furia.

“OW! Non c’era altro modo! Hai avuto un attacco di febbre… non potevo mica lasciarti così!”, tentò di giustificarsi l'altro.

“Potevi tenere le mani a posto!”.

“L’HO FATTO! Sei tu che ad un certo punto ti sei avvinghiata a me come un boa constrictor!”.

Dopo un secondo, in cui rimase senza fiato per quell'oltraggiosa insinuazione, la furia di Ukyo raggiunse l'apice.

“Che COSA? Prova a ripeterlo, brutto maiale! Di nome e pure di fatto!”, strillò, sempre più rossa, colpendolo più volte con lo stesso wok di prima, ormai da buttare.

“Ehi, vacci piano con le offese! Se non fosse stato per me staresti ancora male!”, si difese lui, facendosi scudo con un braccio.

Quella frase, in effetti vera, ebbe il potere di placare in modo marginale la sua ira. Seppur intenso, un attacco di febbre non rappresentava di certo un pericolo di vita e Ryoga avrebbe potuto benissimo scegliere di non intervenire: invece l’aveva fatto, mettendo a repentaglio il suo più grande e sofferto segreto pur di aiutarla.

Perché lui era fatto così: testardo e rancoroso, ma buono fino al midollo.

Ukyo non era mai stata una sentimentale. O meglio, nel privato del suo animo lo era, ma la vita che aveva condotto fino a quel momento l’aveva costretta a nasconderlo sotto strati e strati di duro pragmatismo e a sacrificarlo sull’altare di una imprescindibile indipendenza. La sua ostinazione nel voler vivere da sola aveva portato come conseguenza il fatto che nessuno si fosse mai preso cura di lei fino a quel momento e i pochi che ci avevano provato erano sempre stati del tutto inefficaci.

Non come invece era riuscito a fare Ryoga in quei due giorni di convivenza.

Il suo modo di sostenerla, non solo dal punto di vista materiale ma anche in maniera profondamente empatica, era stato così spontaneo e istintivo da superare ogni sua resistenza. E questo le rare volte in cui lei stessa era riuscita a rendersene conto, perché Ryoga aveva anche l’inspiegabile capacità di proteggerla senza che nemmeno se ne accorgesse, come era successo poco prima. Era una cosa che la stava facendo impazzire, perché la faceva infuriare e allo stesso tempo la commuoveva nel profondo. Per quanto contrario alla sua natura e molto strano per lei, infatti, non poteva negare di sentirsi riconoscente e forse, forse, anche un pizzico lusingata dai suoi sforzi, che fossero coscienti o meno.

“Hmpf. E va bene, ti perdono”, sbuffò alla fine, incrociando le braccia e sollevando il naso per aria con femminile sdegno. “Ma solo perché mi hai risparmiato un’altra giornata di raffreddore. E guai a te se ci riprovi!”.

“Non mi azzarderei mai”, le rispose Ryoga sfregandosi i numerosi bernoccoli, ancora incredulo per averla passata tutto sommato liscia in quel modo.

“Forza, mettiamo a posto tutto questo casino… uff, ora mi tocca pure lavare di nuovo per terra. Anzi, lo farai tu, visto che è colpa tua!”, gli disse, girandosi a dargli un’altra botta in testa, per buona misura.

“Ehi! Che fine ha fatto il discorso che l’ospite è sacro?”, borbottò lui, che nel frattempo stava già raccogliendo le padelle sparse per il pavimento.

“Non ci provare, bello… l’ospite è sacro solo fino a quando non combina disastri”, sentenziò Ukyo, passandogli la ramazza.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

 

 

 

Una piccola nota integrativa: i kata, di cui si parlerà spesso in questo capitolo, sono una sequenza codificata di movimenti, di attacco e di difesa, lanciati contro avversari immaginari. Esistono anche tornei solo su questa disciplina poiché, visto che ogni mossa deve essere eseguita con velocità e precisione, rappresentano l'esecuzione più pura di un’arte marziale. Vengono usati spesso non solo per aumentare l'abilità in un determinato stile, ma anche per raggiungere uno stato di concentrazione mentale simile a quello della meditazione.

 

 

Dopo un pranzo leggero, durante il quale consultarono di nuovo le notizie meteo scoprendo che un lieve miglioramento era in atto, ma che gli allarmi per precauzione sarebbero perdurati anche per il giorno successivo, si ritrovarono più o meno nella stessa identica situazione di quella mattina. Questa volta, però, dopo aver scartato alcune proposte, fu stabilito quasi subito che avrebbero visto qualcosa alla televisione e si spostarono al piano superiore. Una volta seduta sul divanetto basso all'ingresso della camera da letto, Ukyo si impossessò con decisione del telecomando.

Dopo aver visto qualche episodio di una serie tv, tuttavia, la pazienza di Ryoga si esaurì e ben presto partì un’animata discussione sulla tipologia del programma da guardare.

“Non capisco perché fai tanto il difficile. Per tua stessa ammissione non conosci buona parte dei film o dei programmi televisivi che ci sono in circolazione. Che differenza vuoi che faccia per te uno oppure l’altro?”.

“Il fatto che non li conosca non significa che puoi scegliere quello che ti pare. Non sarò ferrato sull’argomento ma penso di sapere se una cosa mi interessa o meno”, ribatté lui. “Per non parlare di avere almeno un diritto di scelta”, bofonchiò a bassa voce, cosa che gli guadagnò un’altra occhiataccia. A quanto pare avere diritti non era contemplato ma, visto che la televisione era sua e che, per ovvi motivi, non era abituata a condividerla, era abbastanza comprensibile.

“Ma non puoi sapere che una serie non ti piacerà se non ne vedi almeno una stagione!”.

“Ukyo, secondo te una trasmissione che si chiama ‘il Re del Wok’ può interessare qualcuno che non sia del settore? Andiamo, ci deve essere qualche altra cosa che ti piace!”.

“Mi stai dando della fissata?”.

“No, ti sto solo chiedendo delle alternative”.

Alla fine concordarono sul vedere un film e la scelta ricadde su un drammone storico cinese con un tocco di soprannaturale, pieno zeppo di effetti speciali e combattimenti di arti marziali, cosa che, per ovvi motivi, piaceva ad entrambi.

Peccato che Ryoga iniziò quasi subito a commentarne piuttosto aspramente l’esecuzione, a suo dire ‘parecchio fantasiosa’.

“Fanno davvero delle cose assurde… hai visto quel pugno di prima? Sarebbe impossibile da quella angolazione!".

Ukyo sospirò, massaggiandosi le tempie.

“Ryoga, è un film… cosa vuoi che facciano? Un trattato sul Wing Chun del diciassettesimo secolo?”.

“No, ma almeno avrebbero potuto usare un consulente per evitare di rendersi ridicoli!”.

“Guarda che se non ti sta bene rimetto il programma sul wok!”.

Alla fine la minaccia ebbe l’effetto voluto e gli chiuse la bocca quel tanto che bastò per arrivare al finale, sul quale lui riuscì a stento a trattenere qualche lacrima. Non resistendo alla tentazione, Ukyo lo prese in giro a sangue, ridendo come una pazza davanti alle sue risentite rimostranze.

“...e insisto nel dire che, al giorno d’oggi, è considerato perfino offensivo prendersi gioco di una legittima esternazione di un sentimento come il trasporto verso…”.

“Sì, sì… ok, ho capito Ryo-chan, non c’è bisogno che ci scrivi sopra un trattato. Per tutti gli dèi, ma nessuno ti ha mai spiegato come si fa a NON prendere sul personale ogni cosa? Se reagisci così tutte le volte che qualcuno ti fa una critica, non mi sorprende che tu non possa sopportare Ranma”.

“È quel debosciato che non fa che sparare insulti non appena apre bocca!”.

“Sì, ma ormai avresti dovuto imparare ad ignorarli, no?”.

Quella considerazione gli tolse la possibilità di replicare, ma lo fece anche sprofondare in un taciturno silenzio e Ukyo si mordicchiò un labbro. Forse aveva un po’ esagerato con i suoi consigli non richiesti… nonostante la sua tempra e il suo caratteraccio, Ryoga era sempre stato un ragazzo molto sensibile ma, al contrario di altri, non lo aveva mai nascosto. Ci voleva un certo coraggio nel mostrare al mondo questo suo punto debole pur sapendo di esporsi così ad atteggiamenti o commenti che avrebbero potuto ferirlo e all’improvviso si sentì in colpa per averlo preso in giro. Tuttavia, non essendo tipo da scusarsi, cercò di trovare un modo alternativo per risollevargli il morale.

“Ehi, tutta l’azione del film mi ha fatto venire voglia di sgranchirmi le gambe”, disse, alzandosi e stiracchiandosi. “Che ne dici, riusciamo a fare un po’ di kata?”.

Come previsto, la prospettiva di un allenamento fece di colpo uscire Ryoga dal suo malumore.

“Sarebbe fantastico… ma c’è poco spazio. Dovremo limitare un po’ i movimenti”.

“Mmhh, stavo pensando che, se spostiamo un po' i tavoli nella sala di sotto, magari un po' di spazio potrebbe uscire… Certo, sempre senza calci per te e fendenti di spatola per me, ma è meglio di niente”.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e in meno di cinque minuti il loro improvvisato dojo era già allestito. Ukyo aveva tirato fuori da un ripostiglio un vecchio cartellone pubblicitario del suo locale che doveva buttare e lo aveva trasformato, con un po' di fantasia, in un bersaglio per le sue mini spatole attaccandolo ad una parete.

Stava per lanciare la prima, quando vide Ryoga sedersi a gambe incrociate sul pavimento al centro della stanza. Di fronte alla sua espressione interrogativa, lui si affrettò a spiegare.

“Di solito, prima di iniziare a fare i kata, faccio un quarto d’ora di meditazione. Se non ti va di aspettare, posso andare fuori”.

“Nella bufera? Vuoi davvero diventare un bonzo tibetano?”, ribatté lei, incrociando le braccia. “Non essere ridicolo, certo che non mi dispiace. Sono solo stupita… non ti facevo così riflessivo”.

“Come dicevi prima, qualcosa devo aver pur imparato in questi anni, no? Almeno su questo”, borbottò, aggiungendo l’ultima parte a bassa voce. “Tu non hai modificato nulla delle tue tecniche?”.

“Molto poco, in realtà. Il mio stile ha già tutto quello che mi serve. Però, in effetti, l’idea di inserire qualche nuovo attacco non è male”.

“Io lavorerei più sulla difesa”.

Ukyo aprì bocca per replicare che le sue tecniche di difesa andavano più che bene, grazie tante, quando ci ripensò. Per quanto fosse orgogliosa del suo stile di combattimento, non era così arrogante da scartare in automatico il consiglio di uno come Ryoga il quale, che le piacesse o meno, sapeva il fatto suo.

“Mh. Ci penserò”, disse, sedendosi accanto a lui a gambe incrociate.

Ryoga la guardò con aria perplessa.

“Visto che ti devo aspettare, tanto vale provarci anche io”, fece, alzando le spalle. “Che devo fare?”.

Lui le spiegò a grandi linee le basi della meditazione e alcune tecniche utili per rilassare lo spirito e il corpo, poi chiusero gli occhi e il silenzio scese nella stanza. Come era ovvio, Ukyo non riuscì a rilassarsi nemmeno per cinque minuti ma, essendo la prima volta che lo faceva, non si aspettava di certo un qualche risultato. Era ancora intenta a riepilogare nella sua testa le cose da modificare nel menù del mese seguente quando lui si mosse, segnalando la fine della meditazione.

Senza una parola presero posto nelle rispettive posizioni e iniziarono la sessione di allenamento.

Dopo appena qualche movimento, però, Ryoga era già sudato. Abituato com’era a fare i kata all’alba, di solito in posti desolati come montagne o foreste, fare esercizi di riscaldamento in un luogo chiuso e, per giunta, riscaldato lo faceva sentire come in una pentola a pressione. Mentre stava per sollevare il lembo della maglietta, però, gli venne un dubbio e decise che forse sarebbe stato meglio chiedere il permesso.

“Uhm… Ukyo… ti dispiace se mi tolgo la maglietta? Qui fa un po’ troppo caldo per i miei gusti”.

Colta alla sprovvista ancora una volta per quella educata richiesta, Ukyo ci mise un attimo prima di rispondere. Abituata alla giovanile frequentazione di una scuola maschile (sotto mentite spoglie e in tempi non sospetti a livello ormonale) e soprattutto alla nota disinvoltura di Ranma nel denudarsi, non riusciva ancora a capacitarsi dell’educazione di quello strano tipo che le era piombato in casa.

“No, fai pure”.

Ryoga si liberò con un sol gesto della maglietta con un sospiro di sollievo, restando a petto nudo, e Ukyo imprecò dentro di sé per la propria mancanza di lungimiranza. Dopo la visione di quella mattina - che ancora le compariva davanti agli occhi nei momenti meno opportuni - e l’inaspettato contatto seguito alla caduta prima di pranzo, cosa diavolo le era venuto in mente di accettare di avere a meno di un metro di distanza quegli stessi stramaledettissimi muscoli che le avevano aggrovigliato le budella soltanto poche ore prima?

Un'occhiata quasi involontaria nella sua direzione le regalò un’altra scena che, ne era certa, avrebbe passato mesi a cercare di dimenticare. Ryoga, mentre eseguiva i kata, era un vero spettacolo da ammirare: ogni movimento era fluido, rapido e potente ed eseguito con una sicurezza che denotava da sola una pratica profonda e assidua ormai decennale. Vederlo muoversi, in modo così agile ed elegante, attraverso tecniche di parata e di attacco prestabilite contro più avversari immaginari le stava togliendo il fiato, anche perché grazie alla propria esperienza era in grado di osservare, oltre il mero aspetto estetico, la vera essenza dell’arte marziale nella purezza di quella esecuzione.

Negli anni di frequentazione e battaglie di tutti i generi che avevano coinvolto entrambi, Ukyo aveva assistito, suo malgrado, a vari suoi combattimenti. Uno, in particolare, lo ricordava anche meglio degli altri: quello in cui lui l’aveva salvata da quella specie di uomo scimmia sull’isola di Toma. Era stata l’unica volta della sua vita in cui si era trovata nell’inusuale veste della principessina in pericolo… anche se aveva dovuto faticare non poco per convincere il suo improvvisato principe a salvarla. Anche in quella occasione aveva potuto constatare con i suoi stessi occhi quanto lui fosse forte. Ma allora come mai, dopo tutti quegli anni, stava notando soltanto adesso quanto Ryoga fosse dannatamente bravo?

Per ovvie ragioni, la risposta era una e una soltanto: Ranma. Il ragazzo (e ragazza) con il codino aveva sempre calamitato il centro dell'attenzione su di sé, sia per il suo indiscusso talento che per il suo atteggiamento un po' narcisistico e Ukyo, da fidanzata esemplare e devota, assetata di ogni sua più piccola attenzione, non aveva avuto occhi che per lui. Non c'era da stupirsi se, nella propria cieca ossessione, qualunque altro individuo di sesso maschile non fosse stato ritenuto degno di una seconda occhiata.

Sorprendendosi ancora una volta a seguire con lo sguardo l'accattivante percorso di una goccia di sudore lungo quell'ampia schiena, Ukyo distolse a fatica gli occhi e fece un profondo respiro. Da una parte era felice che le cose fossero cambiate e che la sua vita sentimentale stesse in qualche modo andando avanti… dall'altra però non era davvero preparata al fatto che quel cambiamento fosse arrivato proprio adesso. E soprattutto che fosse, almeno in apparenza, determinato da Ryoga.

Okay, lasciamo perdere la mira… a quanto pare mi serve più un esercizio di concentrazione. Devo solo riuscire a dimenticarmi di aver accanto un maschione aitante e sudato che sembra appena uscito dal poster promozionale di una palestra, si disse chiudendo gli occhi.

Inutile dire che non le stava riuscendo nemmeno un po’, ma Ukyo non era ancora disposta ad ammetterlo e raddoppiò i suoi sforzi, focalizzando la sua attenzione nel lanciare le sue affilate mini spatole con più precisione possibile sul bersaglio.

Pochi metri più in là, anche Ryoga aveva i suoi problemi. Fare i kata lo aveva sempre rilassato, permettendogli allo stesso tempo di esercitare il suo fisico, allenare riflessi e concentrazione e sfogare la sua frustrazione. Ma era sempre stato abituato a farlo da solo e trovarsi accanto ad un’altra persona lo stava, con sua grande sorpresa, destabilizzando: era acutamente conscio dei movimenti della ragazza che aveva accanto e la sua disciplina ne stava risentendo perché, per la prima volta da quando la conosceva, si stava scoprendo molto curioso riguardo il suo stile di combattimento. Tuttavia sarebbe stato un errore da vero dilettante lasciarsi distrarre per così poco pertanto, riallineando la sua attenzione nei movimenti che eseguiva da una vita, Ryoga concluse la sequenza senza sforzo apparente. Poi si fermò, girandosi ad osservarla a braccia conserte.

Ricordava bene il loro primo incontro, quando l’aveva scambiata (come tutti, del resto) per un ragazzo e l’aveva affrontata senza alcuna remora, trattandola come l’ennesimo avversario da annientare. Il suo stile, per così dire 'culinario', l’aveva sorpreso e colpito perché era molto simile nella sua agilità e versatilità a quello dei famigerati ninja, tuttavia ricordava anche di non averci messo tanto a neutralizzarlo, una volta arrivato a distanza ravvicinata. Era stato proprio grazie a questa esperienza che le aveva suggerito una difesa più solida della consueta bomba di farina e quasi sovrappensiero iniziò a studiare i movimenti di Ukyo, cercando di escogitare una possibile alternativa. Analizzare lo stile degli avversari per trovare debolezze e punti di forza era quasi una seconda natura per chiunque praticasse a fondo le arti marziali e di certo anche lui non sfuggiva a questa istintiva abitudine.

Ukyo era immobile, con lo sguardo fisso al bersaglio come un lanciatore di coltelli, assorta in una profonda concentrazione. Quando lanciò la mini spatola, con un movimento fluido e potente, questa andò a conficcarsi perfettamente al centro del riquadro, insieme alle sue compagne. Era l’ultima di una dozzina e lui emise un breve fischio di ammirazione.

“Complimenti per la mira”.

La ragazza sussultò per la sorpresa, girandosi di scatto verso di lui e distogliendo lo sguardo una frazione di secondo dopo.

“Grazie. Di solito lo faccio all’aperto e su bersagli mobili, quindi oggi mi è andata di lusso”, gli rispose, alzando una spalla con noncuranza. “Che intendevi prima, con il migliorare la difesa?”, chiese poi, a bruciapelo.

Stavolta fu lui ad essere preso in contropiede, stupito che fossero sulla stessa lunghezza d’onda da pensare quasi la stessa cosa. Essendo entrambi praticanti di arti marziali, però, sapevano bene che il confronto era essenziale, quindi forse non era tanto strano che in un contesto di allenamento le loro rispettive menti entrassero in risonanza.

“Beh, come tutte le armi dalla gittata lunga, il punto di forza della tua spatola è tenere l’avversario a distanza. Ma se questa viene superata e ti trovi ad affrontare un attacco corpo a corpo, allora ti serve una manovra evasiva che sia più solida di una basata solo sull'effetto sorpresa".

"Del tipo?".

"Se possibile, qualcosa che ti permetta di liberarti con rapidità da una presa. I tuoi riflessi sono già molto buoni, quindi schivare ti è senza dubbio congeniale… ma se dovessi trovarti, per esempio, in questa posizione?".

Senza alcun preavviso e con una facilità disarmante, Ryoga le scivolò alle spalle bloccandole entrambe le mani sopra la testa in modo tale da impedirle qualunque movimento.

Sentirsi all'improvviso stretta in una morsa costrittiva e dominante fece subito scattare nella cuoca l'istinto di liberarsi il prima possibile da quella posizione così svantaggiosa; tuttavia, nonostante i numerosi sforzi e svariati tentativi di liberarsi con tutti i mezzi possibili - dai morsi alle testate - tutti subito schivati, la ferrea presa di Ryoga non vacillò nemmeno per un secondo.

A quel punto Ukyo si fermò, ansimante e coperta di sudore, per analizzare meglio la situazione.

Non c'era modo di sfuggirgli a livello fisico, la sua forza e la sua massa erano troppo superiori… il che significava che avrebbe dovuto giocare d'astuzia. Peccato che la sua mente non ne volesse sapere di trovare un modo per separarsi da quella eccitante distesa di muscoli dietro di sé.

Purtroppo per lei, infatti, quella breve pausa le aveva anche permesso di realizzare che quella stretta così intima rappresentava la realizzazione di almeno un paio di fantasie ad occhi aperti che aveva avuto su di lui solo il giorno prima… e che, tra l'altro, la realtà superava di gran lunga l'immaginazione.

Il suo orgoglio guerriero, però, non le permetteva di ammettere una sconfitta di quel genere e, quando una goccia di sudore le scivolò lungo il naso, Ukyo ebbe un'improvvisa intuizione. Smise di cercare di scostarsi da lui e al contrario gli si incollò addosso ancora di più, arrivando a sentire contro la sua schiena ogni muscolo, avvallamento o costola del corpo statuario dietro di sé.

Forse preso in contropiede dal brusco cambiamento di dinamica, Ryoga allentò per un attimo la presa. In quel preciso momento la chef, sfruttando l'effetto lubrificante dei loro corpi sudati, scivolò verso il basso e, sgusciando dalle sue braccia come un'anguilla, riuscì a liberarsi, allontanandosi con una capriola. Si girò trionfante verso di lui con tutta l'intenzione di trovare un nome per quella nuova tecnica, ma non fece nemmeno in tempo a dire una parola che il ragazzo si era già voltato dall'altra parte, dandole le spalle.

"Uhmm… ottima mossa. Però credo che tu debba lavorare meglio su alcuni dettagli e le possibili… uh… conseguenze".

Ukyo sbatté gli occhi, perplessa.

"Conseguenze?".

"Sui tuoi vestiti", mugugnò in risposta Ryoga, da sopra una spalla.

A quel punto, abbassando gli occhi, lei realizzò con orrore che per via del movimento verso il basso usato per sfuggirgli, la sua adorata divisa le si era arrotolata sul petto fino ad esporre quasi per intero sia lo stomaco che il vezzoso reggiseno a balconcino celeste che aveva deciso, per chissà quale strano impulso, di indossare quel giorno.

Rossa come un pomodoro si girò anche lei di scatto, ricomponendosi. Prese al volo due asciugamani per i piatti da un armadio per detergersi il sudore e ne lanciò uno nella vaga direzione di lui.

"Beh, direi che abbiamo entrambi bisogno di una doccia. Vuoi farla…", ci fu un suono strozzato da parte di Ryoga e lei aggrottò la fronte, ma decise che ancora non si fidava abbastanza di se stessa per guardarlo, così lo ignorò. "... prima tu? Io preferisco sempre prendermela un po' più comoda".

"Sì… uhm… grazie".

Stavolta il suo tono di voce, basso, roco e strascicato come se si fosse appena svegliato, era davvero strano ma quando si girò verso di lui Ryoga si era già mosso, così vide solo una nuca, adornata dal nodo della classica bandana a quadretti che sfumava in due spalle poderose, allontanarsi.

“Giusto per capire… da che parte vorresti andare? La doccia è al piano di sopra”, gli fece notare, perplessa, quando lo vide che stava per dirigersi sparato verso la porta che dava sul retro.

Lui si fermò e biascicò qualcosa che sembrava tanto un'imprecazione; poi, sempre dandole le spalle, si voltò di poco e sparì per le scale, lasciandole tutto il tempo del mondo per ammirare un fondoschiena davvero niente male.

Per la miseria, ma che mi prende? Sembra che non abbia mai visto un uomo in vita mia… pensò stizzita. Va bene, ormai ho appurato in tutti i modi possibili che Ryoga È sexy. Adesso la vogliamo conservare uno straccio di dignità?

Sbuffò, facendosi aria sulle guance accaldate con un volantino promozionale trovato lì accanto.

Non riusciva proprio a capire quelle reazioni così estreme ad una presenza maschile. Va bene, di certo era passato parecchio tempo dall’ultima volta che era stata a stretto contatto con un uomo e l'ultima volta era stato circa tre anni fa, quando per un certo tempo aveva ospitato Konatsu, il quale non si poteva di certo definire un perfetto esempio di virilità, avendo vissuto per anni facendosi passare per donna. Però questi istinti carnali non ricordava di averli provati nemmeno con Ranma… o se li aveva provati - e lei sperava con tutta l'anima che fosse così, doveva essere così - di certo non erano stati tanto intensi. Ma forse la spiegazione migliore era anche la più ovvia: era soltanto diventata più matura e il suo corpo non stava facendo altro che lanciarle segnali, per farle capire di essere pronto ad uno stadio successivo. Che poi decidesse di esplorare o meno questi nuovi territori - e soprattutto con Ryoga - era tutto un altro discorso.

Un po' più tranquilla per aver trovato una spiegazione sensata a quel subbuglio emozionale, si stiracchiò con soddisfazione. Tuttavia, mentre aspettava il suo turno per una più che meritata doccia iniziando a tirare fuori il necessario per la cena, un altro pensiero fugace le passò per la testa.

Mmh… chissà se anche per lui potrebbe essere lo stesso…

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

 

 

 

Raggiunto, infine, il bagno padronale, Ryoga stava regolando l'acqua della doccia a temperature vicine al nucleo di una stella.

Mai, da quando era stato colpito dalla maledizione, aveva sentito così tanto la mancanza dell'acqua fredda, nemmeno nei più afosi e umidi giorni d'estate. Certo, avrebbe potuto farsi un giro all'esterno per rotolarsi nella neve come facevano in Finlandia, ma poi avrebbe dovuto chiarire ad Ukyo, quantomeno, il perché di quel comportamento. Ovvero spiegare nel dettaglio come mai una ingenua posizione di combattimento si fosse ad un tratto trasformata nella scena più erotica che avesse mai sperimentato in vita sua e che sembrava uscita dritta da una delle sue più bollenti fantasie.

Ok, l'idea di dimostrarle sul campo la necessità di una difesa più efficiente era stata forse poco ponderata e di certo sarebbe stato meglio farle sapere prima quello che aveva intenzione di fare… ma non avrebbe mai immaginato che la reazione della giovane chef di cercare subito di liberarsi dimenandosi avesse scatenato zone poco conosciute della propria psiche, portando a galla istinti quasi primordiali che non immaginava di poter possedere. O meglio sapeva di averli, come tutti gli uomini, solo che gli era capitato di provarli così di rado - per non dire mai - che non aveva idea di come riuscire a controllarli.

Sentire il corpo di Ukyo sfregare contro il proprio era stato sconvolgente eppure, allo stesso tempo, gli aveva dato un brivido di un'intensità sconosciuta. Perché non l'aveva lasciata andare quando aveva sentito quel particolare fremito che provava in ogni momento in cui ce l'aveva tra le braccia? Perché era restato immobile quando lei gli si era incollata addosso come tessuto bagnato, invadendo i suoi sensi con il profumo della sua pelle e la morbidezza del suo fondoschiena pressato contro di lui? E soprattutto perché - ancora una volta - non era svenuto quando in passato gli era capitato di farlo per molto meno?

Forse la chiave per risolvere quelle domande era proprio nell'abitudine: grazie ai ripetuti contatti di quei giorni il suo corpo si stava abituando ad averla vicino, se non addirittura stretta contro, come era successo soltanto poche ore prima quando, per proteggerla dall'impatto con il pavimento, l'aveva dirottata sopra di sé, finendo per farle da materasso di sicurezza. Per qualche strano motivo, la cuoca non si era scostata subito dalla posizione intima in cui si erano ritrovati e lui aveva fatto altrettanto, restando ad apprezzare quella vicinanza con una voluttà che non era riuscito a trattenere. Soltanto adesso se ne stava rendendo conto: la scabrosa verità era che sentire quelle curve a stretto contatto contro di lui ormai non rappresentava più uno shock ma, al contrario, stava diventando una pericolosa dipendenza. Per questo non l'aveva lasciata andare, pur sapendo di essere sul filo del rasoio per quanto riguardava il suo già abbastanza abusato autocontrollo.

Un limite raggiunto e di fatto superato solo qualche momento dopo, quando Ukyo aveva deciso di liberarsi dalla sua stretta nel modo più ingegnoso e, dannazione, più erotico possibile, ovvero scivolando e strusciandosi contro di lui.

Contro ogni.

Singola.

Parte.

Di lui.

A quel punto il suo corpo aveva raggiunto il punto critico di ebollizione perché, se già era stato difficile controllarsi prima, in quel modo la ragazza gli aveva reso lo sforzo ancora più duro.

Letteralmente.

Stringendo i denti, Ryoga girò al massimo la maniglia della doccia: non potendo contare sugli effetti benefici del freddo sui suoi bollenti spiriti, doveva ricorrere all'estremo opposto per castigare la sua galoppante libido. Soltanto gli dèi sapevano quanto ritenesse inopportuna e indecorosa quella reazione, ma sapeva anche bene che c'era un limite a tutto… e lui non era di certo fatto di pietra. Come se non fosse bastato quell'eccitante sfregamento, infatti, l'involontaria esposizione di uno straripante décolleté, sostenuto da un accattivante reggiseno celeste, era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso e lui non aveva trovato di meglio che girarsi di scatto dall'altra parte, per evitare l'esposizione della naturale reazione del proprio corpo a quegli incontenibili stimoli. Ormai aveva perso il conto di quante volte, per svariati e diversi motivi, si erano ritrovati quasi avvinghiati l’uno all’altra e questo aveva contribuito a proiettare la sua mente in un'unica direzione, tanto che persino l'accenno alla doccia gli era quasi sembrato un seducente invito ed aveva dovuto costringersi ad allontanarsi da lei.

Com'era scontato, il suo cervello agitato gli aveva fatto subito sbagliare direzione e, quando lei lo aveva ripreso, era stato un vero miracolo che non si fosse accorta del suo stato. Tutt'ora non aveva idea di come fosse riuscito ad uscire con dignità da una situazione del genere.

Okay, parola d'ordine: minimo due metri di distanza, si disse mentre finiva di rivestirsi cercando, con profondi respiri, di schiarirsi la testa dall'abisso di pensieri sordidi in cui era precipitata. Aveva appena scoperto che Ukyo si stava rivelando una buona amica e non voleva in alcun modo che uno stupido picco di ormoni potesse rovinare l'unica possibilità concreta che gli era capitata di stabilire un rapporto decente con un esponente dell'altro sesso. Soprattutto non uno finalmente libero da bugie, omissioni e relativi sensi di colpa come era stato quello con Akane. La quieta accettazione da parte della sua nuova alleata del suo più scabroso segreto era troppo preziosa per poter essere messa in pericolo da una banale perdita di controllo sui propri istinti. Senza contare che il suo onore e la sua disciplina non gli avrebbero comunque permesso il contrario: approfittare della gentile ospitalità - benché costretta dalle circostanze - di una donna per sfogare pulsioni sessuali forse normali, ma fuori luogo nella maniera più assoluta? Piuttosto avrebbe passato una notte intera seduto nella neve!

“Ukyo, il bagno è libero”, disse scendendo al piano inferiore, dopo qualche tentativo a vuoto di individuare le scale. La trovò che stava iniziando a tirare fuori il necessario per la cena e d’istinto non ritenne giusto che fosse sempre lei a cucinare, anche se quelle erano, senza alcun dubbio, la sua passione e il suo regno.

“Uhm… perchè non vai a farti la doccia? Ci penso io a preparare qualcosa per cena”.

Ukyo lo guardò come se gli fosse spuntata un’altra testa, tanto da portarsi una mano al petto con fare drammatico.

“Tu… tu… sai cucinare?”.

Ryoga roteò gli occhi al cielo.

“Come hai sottolineato ieri, passo la maggior parte del mio tempo nei boschi a campeggiare. Secondo te come sono sopravvissuto fino adesso? Mangiando radici e funghi?”.

“Che ne so… ramen istantaneo?”.

“Il ramen è comodo, lo ammetto… ma non si può vivere solo di quello. Non sarò di certo un cuoco alla tua altezza, ma sono in grado di cucinare almeno un piatto di curry decente”.

“Curry?”.

Il tono strano, quasi strozzato con cui gli fece quella domanda, lo immobilizzò per un attimo. “Sì, è una cosa che mi riesce abbastanza bene. Non ti piace?”.

“No, no, va bene. È solo che… ”. Si interruppe, indecisa se lasciargli o meno libero il campo nella sua amata cucina; poi, all'improvviso, sembrò giungere ad una conclusione. “Lasciamo stare. Tieni, questi sono i dadi di curry, le verdure le trovi in frigo. Cerca solo di non farmi esplodere il ristorante mentre mi faccio la doccia, ok?”.

“Ti ringrazio di cuore per la fiducia”, commentò asciutto lui, mentre la chef si allontanava sogghignando.

Un pensiero estemporaneo gli fece ricordare un'altra questione e lui si sporse verso le scale.

"Ehi, una cosa importante: piccante o dolce?", chiese alzando la voce per farsi sentire.

"Piccante!", fu la soffocata risposta, proveniente dai remoti recessi del piano di sopra e lui sorrise, scoprendo di avere anche quella semplice preferenza in comune.

Una volta lasciato solo davanti ad un tagliere Ryoga iniziò, con pazienza e metodo, ad affettare le verdure. Era davvero incredibile il modo rilassato e informale con cui riusciva a comunicare con Ukyo, pur passando attraverso tutte le montagne russe emotive che questo gli stava comportando e senza volerlo ebbe, di nuovo, la consapevolezza del valore che stava avendo per lui quella inaspettata amicizia.

Con una fitta di senso di colpa ripensò ad Akari. Anche lei era stata importante… una delle pochissime persone, a parte Ranma e Kasumi, ad essere stata a conoscenza della sua identità di P-chan e - grazie alla sua particolare fissazione per i maialini - l’unica ad averlo accettato non solo senza riserve, ma quasi con gioia.

Era stata davvero la prima in tante cose: la prima ragazza con la quale aveva stabilito un vero contatto, la prima con la quale era uscito per un appuntamento romantico, la prima che aveva tenuto per mano senza morire dall’imbarazzo. Eppure, nonostante tutte quelle ottime premesse e nonostante tutti i suoi sforzi, il loro rapporto non si era evoluto. Akari era dolce e anche molto carina, ma non era riuscito a provare per lei quel trasporto che aveva provato per Akane né tantomeno - e se ne stava rendendo conto soltanto adesso - quella incredibile attrazione fisica che stava provando per Ukyo. Era come se l’avesse incontrata troppo tardi o troppo presto: tardi perché prima c’era già stata Akane e presto perché evidentemente non era ancora pronto a dimenticare il suo primo amore. O almeno, non lo era stato in quel momento.

E adesso dove sono? Sembrava la classica frase che diceva sempre ogni volta che il suo pessimo senso dell’orientamento lo faceva ritrovare in un posto sconosciuto, ma stavolta aveva un significato molto più profondo. A che punto era con la sua vita sentimentale? Era ancora attaccato al passato, ad un amore impossibile e non corrisposto o qualcosa stava cambiando? Oppure, cosa ancora più misteriosa e sconvolgente, quel qualcosa era già cambiato?

Quando Ukyo tornò mezz’ora dopo, con i capelli ancora umidi per la doccia, trovò un ottimo odore di curry nell’aria e del riso in caldo che la aspettava.

“Oh, caspita, sei stato anche in grado di usare la pentola cuoci riso! Chi te l’ha insegnato?”.

“Chi vuoi che me l’abbia insegnato? Mia madre, è ovvio. Non sono mica stato allevato dai lupi!”.

Ukyo ridacchiò, figurandosi il ragazzo in stile Tarzan, con un gonnellino a quadretti come la sua bandana. “Peccato, ti ci vedevo bene”. Il suo sorriso si addolcì un pochino. “Da quanto tempo non vedi i tuoi genitori?”.

“Più di sei mesi”, fu la quieta risposta.

“Hanno anche loro il tuo stesso… hmm… problema?”.

“Mia madre è così. Per nostra fortuna, mio padre di meno e, in aggiunta, ha un lavoro che gli permette di viaggiare e stare sempre insieme a lei seguendola nelle sue, uh, avventure e riportandola ogni tanto a casa”.

“Ah, c'è una speranza, allora. E il resto della famiglia?”.

“Da parte materna tutti uguali, con più o meno intensità. Secondo me qualche loro antenato è incappato in una maledizione e non ha mai voluto ammetterlo. Da parte paterna, invece, sono un pochino più normali… distratti da morire anche loro, ma con meno conseguenze negative. Il matrimonio dei miei genitori si è tenuto in un monastero fortificato in mezzo alle montagne per evitare che la metà degli invitati, sposa compresa, si perdesse”, le spiegò, come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Tu invece?”, le chiese, mettendole davanti una ciotola fumante di riso e curry.

"Li ho visti questa estate, quando sono andata a trovarli. Mio padre vive a Osaka insieme a mia nonna. Sono stati loro a crescermi, visto che mia madre è morta quando ero molto piccola".

"Mi dispiace".

Lei alzò una spalla, con fare noncurante.

"È stato tanto tempo fa e ne ho dei ricordi molto vaghi, ma dicono che fosse una cuoca fenomenale e che io le somiglio molto".

"Non stento a crederlo. Ti manca tuo padre?".

"Certo che mi manca, è stato lui ad insegnarmi il nostro stile di combattimento. Però allo stesso tempo sono tanti anni che vivo da sola e ormai ci sono abituata. Ci sentiamo spesso però".

"Hm, con i miei non è così facile, visto che di frequente vagano per zone non coperte dal segnale".

"Ma dotarsi di un cellulare satellitare?".

"Lasciamo stare questo argomento… come se non bastassero gli altri problemi, si perdono i telefoni in continuazione".

"Oh, mi dispiace. Deve essere difficile non riuscire ad incontrare la propria famiglia".

"Sì, è brutto. In compenso quando ogni tanto capita di rivederci, è sempre una grandissima festa. E poi, come dicevi tu, ormai anche io ci sono abituato".

Entrambi si concentrarono sul proprio pasto, ripensando con nostalgia ai loro genitori e per una volta, nonostante le loro parole in apparenza noncuranti, si sentirono entrambi un po' meno soli. In quel quieto silenzio Ukyo decise, all'improvviso, di essere in vena di confidenze.

“Okonomiyaki a parte, il curry è il piatto preferito di mio padre. Ogni volta che lo mangio ripenso sempre a lui ed è difficile, a volte, non provare un senso di malinconia. Per questo lo preparo di rado”.

“Ti capisco”, rispose lui, mescolando con aria assorta il denso sugo nella sua ciotola. “È anche il piatto preferito di mia madre, è stata lei ad insegnarmelo e, com’è ovvio, me la ricorda tanto. Ma per me è una sorta di comfort food, una cosa che faccio quando voglio riconnettermi a livello spirituale con i miei. Me li rende in un certo modo più vicini”.

Quella pacata confessione le fece venire un groppo alla gola e una tremenda voglia di abbracciarlo per cercare di lenire il dolore di quel cuore solitario e magari, nel frattempo, consolare un po’ anche il suo. Ancora una volta, però, mantenne uno stretto controllo sui suoi slanci emotivi e, per impedirsi di cedere al trasporto, si cacciò una cucchiaiata di curry in bocca.

Stavolta le lacrime agli occhi le salirono davvero.

“M-ma quanto piccante ci hai messo?”, riuscì ad articolare dopo svariati minuti di silenziosa agonia.

“Non avevi detto che lo preferivi così?”.

“Sì, ma con moderazione!”.

“Ah, ne prendo nota. Piccante a parte, come ti sembra?”.

C’era un accenno di ingenua aspettativa in quella domanda, ma allo stesso tempo era anche così ansioso di approvazione che Ukyo faticò a trattenere un sorriso.

“Beh, quello di mio padre è imbattibile, ma direi che il tuo riesce a tenergli testa. Piccante a parte. Anzi, ora che ci penso, credo che te lo approverebbe… anche lui è un amante di tutto ciò che fa ruttare fiamme”.

Finirono di mettere via le stoviglie della cena e Ryoga, insistendo di nuovo per tenere fede al suo debito, lavò ancora i piatti, riuscendo questa volta ad allontanare Ukyo quel tanto che bastava per evitare incidenti con l’acqua fredda.

Nel frattempo lei, stiracchiandosi di nuovo, fece un gran sospiro.

"Ok, dopo tutto questo cibo piccante mi ci vuole una birra. Ne vuoi una?".

"Una birra?".

"Sì, Ryoga, quella roba bionda, di solito fresca e più o meno alcoolica… siamo entrambi maggiorenni e non finiremo in galera per questo. E non provare a dirmi che in tutti i tuoi viaggi non ti sei mai fermato in un locale dove si beve!".

Con una punta di senso di colpa, il ragazzo ripensò alle innumerevoli bettole in cui era capitato per sbaglio o in cui era stato, in modo più o meno consapevole, trascinato e con un sospiro di rassegnazione si passò una mano dietro la nuca. "Che marca hai?".

"Asahi e Sapporo".

"Allora una Asahi, grazie".

La osservò chinarsi a prendere due bottigliette da un basso frigo lì vicino e subito distolse gli occhi dall’allettante vista di quel fondoschiena. La cuoca gliene passò una, poi bevve direttamente dalla bottiglia e lui fece lo stesso, nascondendo un sorriso. Forse era per quello che si stava trovando così bene con lei… Ukyo era priva di qualsiasi artificio femminile, qualunque ipocrita atteggiamento di falso pudore o affettazione dei modi. Gli anni passati travestita da ragazzo avevano lasciato il segno in quel senso, ma era una cosa che lui trovava, ad essere sincero, liberatorio. Dopotutto anche Akane era stata un maschiaccio…

Quel ragionamento lo bloccò per un attimo: stava davvero paragonando Ukyo al suo primo, incondizionato amore? Scartò quell’idea, rifiutandosi di elaborarla in modo ulteriore, ma ebbe la sgradevole sensazione che non si sarebbe liberato così in fretta di quel pensiero strisciante, che sentiva essersi già annidato negli oscuri meandri della sua priche.

"Ehi, vieni su?".

La voce di Ukyo lo distolse dai suoi pensieri e alzando gli occhi la vide ferma sulla soglia per il piano di sopra, che lo guardava. Prima che potesse formulare una risposta, però, lei tornò sui suoi passi con aria decisa, lo afferrò per un polso e lo trascinò per le scale. Mentre la seguiva verso la camera da letto, per un attimo il suo cuore perse un battito, ma si sforzò di restare con i piedi per terra e non farsi strane idee.

Infatti, subito dopo, Ukyo si lasciò andare con poca grazia sul piccolo divano davanti alla tv della sua camera e lui rimase sulla soglia, appoggiandosi a braccia incrociate allo stipite della porta.

"Che vuoi fare? Torni all'attacco con il ‘Re dello Wok’?".

"Nah, tranquillo, ti sei meritato una serata di relax", gli rispose con una risata. "Allora, da che parte del globo eri prima di venire lanciato nel mio cortile?", chiese poi con tono discorsivo e lui, seguendo il suo esempio, le si sedette accanto allungando le gambe.

"Nella prefettura di Yamanashi. Ero andato a trovare Akari".

"Ah", commentò la cuoca, mentre le imposte scricchiolavano per via del vento. "Quella dei maiali da sumo. È la tua ragazza, giusto?".

Com’era scontato, una domanda diretta su un argomento così delicato lo fece chiudere a riccio.

"Sì. Cioè, no… insomma, è complicato".

"E quando non lo è?", sospirò Ukyo, bevendo un altro sorso di birra. "Stai parlando con una che era fidanzata con un tipo a sua volta promesso ad altre due ragazze. Non credo che nella nostra comitiva ci sia una sola relazione che non sia disfunzionale. A parte Kasumi e il suo dottore, ovviamente".

"Beh, se la metti in questo modo…", rispose lui, grattandosi il mento e osservando il soffitto. Non aveva mai parlato davvero con qualcuno di quello che era successo con la giovane allevatrice ma, visto il tono confidenziale di quella serata, decise di essere onesto e di testare allo stesso tempo quel neonato legame di amicizia che sentiva con lei.

"Come sai Akari e io ci siamo prima scritti e poi frequentati per qualche tempo… quindi sì, posso in effetti affermare che siamo stati insieme", disse, bevendo un sorso di birra. "Ma per ovvie ragioni è sempre stato un rapporto a distanza, così avevo deciso di andarla a trovare per stare un po' di più con lei. C'è voluta un'eternità per riuscire ad arrivare a casa sua ma, in qualche modo, ce l'ho fatta e grazie al suo aiuto alla fine sono riuscito addirittura a restarci per poco più di un mese".

"Wow, direi un record per i tuoi standard".

"Già. In realtà, quello che volevo soprattutto fare era prendere una decisione per il nostro futuro".

“Ah. E com’è andata?”.

Ryoga sospirò.

“Non è andata”.

“Mi dispiace”, commentò lei, con tono comprensivo, dopo qualche attimo di silenzio. Il ragazzo scosse la testa.

“È strano. Ero davvero convinto che Akari fosse tutto quello che avevo sempre sognato: una fidanzata dolce e carina, del tutto devota. Avremmo vissuto in una fattoria, un luogo tranquillo dove iniziare una vita tranquilla. Certo, circondato da stramaledettissimi maiali, ma non si poteva avere tutto”.

“E allora cosa è successo?”.

Ryoga osservò pensoso l'orlo della bottiglia.

"Anche quella è stata una illusione. Non dico di non averle voluto bene, perché Akari mi ha aiutato in tantissime cose ed è stato bello sentire qualcuno così vicino, però…”, si interruppe, raccogliendo i pensieri. “Forse era un rapporto troppo sbilanciato. Lei era entusiasta di tutto quello che facevo, il che è una buona cosa se non che, alla lunga, aveva iniziato un po’ a stancarmi; sembrava di essere sempre su un piedistallo e avevo la netta sensazione che non mi vedesse per quello che sono in realtà, ma solo attraverso la lente distorta della sua idealizzazione. Quanto a me… forse avevo cercato, a livello inconscio, di convincermi a provare qualcosa di più profondo, o forse era solo troppo presto dopo Akane”.

Passarono un momento in silenzio, assorti ognuno nei propri pensieri.

“Magari è per questo che non ha funzionato, eravate soltanto troppo diversi”.

"Ma la diversità è confronto. Questo non è un bene?".

"Non quando è troppa”, sentenziò lei. “E il problema dell’idealizzazione è una cosa seria. Credimi, ne so qualcosa: ho passato anni a farlo con Ranchan, sorvolando di proposito su tutta una serie di difetti e guarda com'è finita. Forse idealizzare chi si ama è normale, quando uno ha poca esperienza", disse, guardando il soffitto. “Ma se questo ti porta a non vedere, o ancora peggio, a non accettare chi hai davanti, allora diventa sul serio un grosso ostacolo”.

"Sì, lo penso anche io. Per questo mi sono tirato indietro. Akari è una ragazza fantastica e le auguro tutto il meglio… le serve solo un po' di tempo per capire cosa vuole davvero dalla vita e da una relazione”.

"Hmm, più facile a dirsi che a farsi. Molte persone ci mettono anni prima di capirlo".

"Vero anche questo. Ok, allora diciamo che questa nostra esperienza forse sarà servita a far capire ad entrambi cosa non vogliamo".

“Beh, di certo tu non volevi passare una vita ad allevare maiali”, rispose la chef, tentando di spezzare l’atmosfera seria che si era creata.

Ryoga fece un mezzo sorrisetto. “Heh. Quello è poco ma sicuro. Ma non era solo per quel motivo…", si interruppe, passandosi una mano sul collo con un gesto assorto, indeciso se continuare o meno. "Mi sento un po' in colpa a dirlo, perché mi sembra di mancarle in qualche modo di rispetto, ma la verità è che quella vita era di una noia mortale”, rispose, dopo un po’. “Credevo di non poterne più di esplosioni, maledizioni e rapimenti e invece ho scoperto di non poter fare a meno di Nerima e della sua follia. Tempo atmosferico compreso”.

Ukyo scoppiò a ridere.

“Oh, se ti capisco, bello”, gli disse avvicinandosi e facendo tintinnare la bottiglietta della birra contro la sua. “Ci siamo dentro fino al collo”, aggiunse poi, sorridendo e facendogli l’occhiolino.

Ryoga deglutì con difficoltà, con la gola di colpo riarsa. Quel gesto e quel sorriso stavano creando molte più ripercussioni nelle sue viscere di quanto non fosse lecito per un banale segno di amichevole intesa, facendogli accelerare le pulsazioni nel modo più inopportuno e sconcertante possibile.

"In ogni caso, alla fine ho capito che non sarebbe stato giusto coltivare false speranze, né per me, né tantomeno per lei", finì di dire, dopo una lunga sorsata di birra per recuperare l'uso delle corde vocali. "È stato difficile mettere la parola fine ad un rapporto su cui tutti e due avevamo così tante aspettative e non mi vergogno ad ammettere che ci sono state lacrime da parte di entrambi. Ma alcune scelte, anche se dolorose, fanno crescere e quella era una decisione che andava presa. Così, dopo averle assicurato che ci sarei stato sempre per lei, mi sono incamminato verso casa. Ero convinto di essere ancora nelle campagne fuori Tokyo quando Ranma mi ha scoperto a campeggiare nel giardinetto dietro casa sua".

Con sua grande costernazione, Ukyo gli si avvicinò di nuovo, con un lieve sorriso sulle labbra.

"Sei proprio un bravo ragazzo, Ryochan", mormorò, dandogli un colpetto di pugno su una spalla.

Ancora una volta le pulsazioni gli si triplicarono e la bocca gli si asciugò del tutto così, per sviare l’attenzione, ricorse alla sua più collaudata tecnica di depistaggio: lamentarsi.

"Perché suona come un insulto?".

"E tu perché prendi ogni cosa come tale, razza di idiota?", lo rimbeccò lei. Ma, al contrario di quelle parole, non c'era traccia di durezza o animosità nel suo tono, solo una bonaria presa in giro. "Sto dicendo sul serio, stupidone", aggiunse poi, sorridendogli ancora e stavolta lui non riuscì ad impedire che le orecchie gli andassero a fuoco.

"Oh. Allora… hum… ti ringrazio".

Per un attimo, un brevissimo attimo, in cui Ukyo rimase ferma in quella posizione inclinata verso di lui, Ryoga pensò all'improvviso che stesse per baciarlo. E la cosa più assurda era che, un secondo dopo aver avuto quel pensiero, fu assalito dalla fortissima tentazione di fare lo stesso.

Nonono… distanza, ricordi? Distanza!, si disse mentre tutti gli allarmi possibili gli risuonavano nel cervello. Nonostante quello, però, non riuscì a muoversi di un millimetro, troppo catturato dal magnetismo di quegli occhi e quel sorriso.

Poi, per sua fortuna (o sfortuna?), il momento passò e lei si ritirò dalla sua parte, lasciandogli liberi i polmoni dal respiro che aveva, senza nemmeno accorgersene, trattenuto.

Ryoga fece una profonda inspirazione. La testa gli stava girando ma la colpa non era di certo della birra. Che diavolo gli stava venendo in mente di fare? Provarci con una donna, o meglio con Ukyo, mentre stava finendo di raccontare il disastroso fallimento avvenuto con la sua ex? Si poteva essere più squallidi e insensibili di così?

Il vetro della bottiglia di birra che aveva in mano si incrinò.

"Ne vuoi un'altra?".

Trattenendosi a stento dal manifestare in modo evidente la propria frustrazione verso quegli impulsi che non riusciva né a comprendere, né - in apparenza - a dominare, lui alzò gli occhi. Ukyo era di nuovo là, con lo stesso dolce sorriso che gli aveva visto per la prima volta due giorni prima, quando aveva cucinato il primo okonomiyaki per un maialino infreddolito. Ricordava ancora lo shock che aveva provato scoprendo in lei una dolcezza che non si sarebbe mai aspettato e ricordava altrettanto bene di aver pensato che, con grande probabilità, non gli avrebbe mai rivolto lo stesso sorriso in forma umana. E invece eccolo lì, diretto proprio a lui, dopo una serata passata a farsi confidenze come se fossero…

“Sì, grazie”.

Amici. Siamo solo amici, si ripetè, chiudendo gli occhi e appoggiando indietro la testa sul divano, mentre lei andava a prendere altre birre. Non voglio ripetere gli stessi errori e crearmi illusioni per cose che non esistono. Senza contare che era ancora troppo presto. Aveva chiuso solo di recente con Akari perché non era certo di quel sentimento e perché, in qualche modo, sentiva che la ferita per Akane non fosse del tutto guarita… e adesso stava d’un tratto considerando una terza opzione?

“Tieni”.

Un’altra bottiglia di birra gli apparve davanti agli occhi e lui la prese in modo automatico, osservando stupito altre risiedere in bella vista sul piccolo tavolino davanti al divanetto. Lanciò un’occhiata interrogativa ad Ukyo ma lei alzò una spalla, con fare noncurante.

“Ti va di raccontarmi qualcuno dei tuoi viaggi?”.

“I miei… viaggi?”, chiese, ancora distratto dai pensieri di prima.

“Come li chiami i posti che visiti quando ti perdi?”.

“Ah, le destinazioni involontarie. Non le ho mai considerate viaggi veri e propri, visto che non avevo alcuna intenzione di andarci in primo luogo”.

“Ok, ma almeno hai visto qualcosa di nuovo. Io, a parte quando ero piccola e giravamo con la bancarella ambulante di cui però mi ricordo poco, non sono mai stata più in là di Osaka”.

“Hmm e la gita al Tunnel del Perduto Amore? O l’isola di Toma? Oppure… come si chiamavano quelle terme…?”.

“Ok, va bene. Ammetto di aver visto qualcosa di più… però mi sarebbe sempre piaciuto vedere altro. L'estero, magari. Tu ci sei stato, no?".

"Non per mia scelta. A parte forse quando ho avuto la malaugurata idea di seguire Ranma in Cina e mi sono portato a casa una bella maledizione".

Una cuscinata in piena faccia lo fece sussultare, più che altro per la sorpresa.

"Idiota! La pianti o no di piangerti addosso ed essere così negativo? Ci deve essere per forza qualcosa che ti è piaciuto o ti ha colpito in quello che hai visto!".

Riaggiustando la bandana a quadretti, Ryoga sospirò.

"Beh sì, i templi… la natura… ma non avevo sempre il tempo di apprezzare queste cose. La maggior parte delle volte dovevo pensare a come tornare indietro e a guadagnarmi i soldi per farlo".

"Ah, lo vedi che qualcosa di utile è uscito fuori? Hai mai pensato che tutto quello che ti capita mentre vaghi da un posto ad un altro alla fine si traduce in esperimenti, prove e tentativi che vanno a comporre una conoscenza diretta della vita che la maggior parte di noi non ha?”.

Alzando un sopracciglio, lui si grattò di nuovo il mento, perplesso.

Non aveva mai considerato la cosa da quel punto di vista, ma si poteva in effetti affermare che i suoi ‘viaggi’ gli avessero in qualche modo permesso di accumulare tutta una serie di esperienze che gli altri suoi amici non avevano potuto sperimentare. Trovarsi da solo in zone o città sempre nuove gli aveva fatto sviluppare un forte senso di adattamento e intraprendenza: per mantenersi a livello economico aveva dovuto non solo imparare a fare un sacco di lavori diversi, dal trasportatore al manovale, dal minatore al carpentiere - tutte professioni che la sua robusta costituzione gli aveva permesso di sostenere senza alcun problema - ma anche imparare varie lingue straniere e adeguarsi ad altre abitudini culturali. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma in effetti non era una cosa da poco; dopotutto era stato proprio grazie a queste esperienze che era riuscito ad aggiustarle la caldaia.

"Ok, ok, ho capito cosa vuoi dirmi… va bene, cercherò per il futuro di considerare di più tutto quello che mi succede come un'opportunità e non come la solita botta di sfiga. Te lo prometto. Contenta?".

"Sul tuo onore?".

Sentire tirare in ballo il proprio onore lo fece irrigidire e le lanciò un'occhiata in tralice.

"Perché ti interessa così tanto da volere un giuramento simile?".

"Perché potresti essere una persona migliore, se riuscissi a credere di più in te stesso senza trascinarti addosso la sindrome dello sfigato".

"Ma…".

"’Ma’ un corno. Hai avuto parecchie difficoltà nella vita rispetto ad altri, questo te lo concedo, ma nessuno vive un'esistenza perfetta. È solo una questione di prospettiva e tu hai tante cose di cui essere fiero, a partire dalla tua resilienza".

Ancora una volta Ryoga rimase senza parole davanti a quella sorprendente affermazione. Il suo stupore fu, con grande probabilità, così intenso da costringere Ukyo ad un imbarazzato tentativo di sminuire quel chiaro complimento.

“Voglio dire… per essere un idiota dalla testa dura, testardo e ottuso come un bue, sei anche sempre stato coriaceo e tenace. Non hai mai mollato, nemmeno quando le cose non andavano come volevi".

“Nemmeno dopo ogni sconfitta da parte di Ranma, volevi dire”.

“Non sto parlando di essere vittoriosi o meno… sto parlando della capacità di perseguire sempre e comunque i propri obiettivi. Non ti sei mai lasciato scoraggiare dalle avversità e questa è una cosa di cui dovresti essere orgoglioso. Dovresti soltanto imparare a confidare di più nelle tue qualità, tutto qui".

Per l’ennesima volta in quella sera, Ryoga rimase di sasso. Nessuno, in tutta la sua vita - eccetto forse per sua madre e, in parte, Akari - lo aveva mai incoraggiato in quel modo. Nessuno si era mai preso la briga di guardare oltre i suoi modi bruschi e il suo carattere irascibile. E nessuno, soprattutto, gli aveva dato mai consigli su come migliorare, nemmeno la sua amata Akane, gentile ma distratta dalla presenza ingombrante del suo fidanzato, o la dolce allevatrice, per la quale apparentemente lui non aveva alcun difetto.

Era difficile valutare sul momento l’entità del significato di quella conversazione ed era ancora più difficile riuscire a districare il groviglio di emozioni che gli stava provocando: l’unica cosa che sapeva di certo era che l’imbarazzo gli aveva di nuovo incollato la lingua al palato, impedendo qualsiasi eventuale replica. Ammesso che avesse saputo cosa dire, beninteso.

Dato che anche Ukyo sembrava in seria difficoltà nel gestire un discorso che doveva forse esserle sfuggito di mano, Ryoga decise di fare la cosa più sicura per entrambi: divagare.

Nell’incerto tentativo di recuperare l’uso della parola, si schiarì la voce.

“Allora… vuoi sapere qual è la cosa più strana che abbia mai mangiato nei miei… uh… viaggi?".

Proprio come aveva immaginato, le spalle di Ukyo si rilassarono e un sorriso pieno di eccitata anticipazione si aprì sulle sue labbra.

"Spara!".

Fuori, la tormenta di neve sembrava aver infine perso la sua intensità. Il vento aveva smesso di fare tremare scuri e finestre ed anche se la neve stava ancora cadendo in lenti fiocchi, ormai il peggio sembrava essere passato. Presto l’emergenza sarebbe rientrata.

Tuttavia a nessuno dei due ragazzi, chiusi nella stanza sopra al ristorante, sembrava ormai importare qualcosa e le loro risate continuarono a risuonare a lungo, nel silenzio irreale di quella serata.

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 

 

L’alba del terzo giorno di bufera li trovò abbracciati sul divano.

Questa volta fu Ukyo a svegliarsi per prima: un pallido sole aveva infine fatto capolino da dietro le nuvole e stava riempiendo la stanza di una tenue luce dorata, facendole aprire gli occhi per capire da dove provenisse tutto quel chiarore a cui non era abituata. In modo confuso si rese conto che c’era qualcosa di strano e, subito dopo, capì meglio il motivo di quella percezione: prima di tutto non era nel suo letto; secondo, non era nemmeno da sola. Lei e Ryoga, infatti, erano sdraiati in modo alquanto precario per tutta la lunghezza del piccolo divano e lei gli stava in pratica dormendo addosso, incastrata in maniera tale da non riuscire quasi più a capire dove finivano i propri arti e dove iniziavano i suoi. Proprio come era successo solo il giorno prima, gli aveva appoggiato la testa tra il collo e la spalla, ma questa volta gli aveva anche circondato con un braccio la vita e una mano le era scivolata tra la maglietta e la sua pelle nuda. Una delle proprie gambe era finita tra quelle di Ryoga, allungate ben oltre il limite del bracciolo, mentre una delle sue braccia le aveva circondato la schiena, stringendola contro di lui. L’altro braccio, invece, era abbandonato di lato, a sfiorare una coperta ammucchiata in modo scomposto sul pavimento.

Dopo un rapido controllo che ogni vestito fosse ancora al proprio posto, Ukyo ripensò a come fossero finiti in quella posizione: la sera prima avevano fatto le ore piccole bevendo e chiacchierando e ad un certo punto dovevano essersi addormentati, tuttavia non ricordava per niente di averlo fatto né vicino, né tantomeno addosso a lui. Ancora una volta però, anche se sapeva benissimo che avrebbe dovuto allontanarsi subito da quella scandalosa posizione, scoprì che non aveva nessuna voglia di farlo. O almeno, non subito. Voleva godersi un po’ di più quella strana, ma piacevole sensazione dell’incredibile tepore emanato dal corpo di Ryoga pressato in maniera così intima contro il suo. Durante la notte il riscaldamento si spegneva quindi, soprattutto nelle prime, fredde ore della mattina, la vicinanza di quel termosifone naturale era molto apprezzata. Tuttavia non era l’unica cosa che la stava spingendo a prolungare quel contatto: il tocco di quella pelle liscia contro il palmo della sua mano era, per qualche strano motivo, molto allettante e il modo in cui lui la stava stringendo nel sonno le stava facendo venire le farfalle nello stomaco.

Alzò per un istante gli occhi, osservando quel rilassato viso maschile così vicino al suo. Erano a così poca distanza che se avesse alzato un po’ il mento, gli avrebbe sfiorato la mascella con la bocca e una fortissima tentazione di sentire sopra le proprie labbra la ruvidezza di quella leggera barbetta mattutina la assalì, lasciandola senza fiato.

Si morse un labbro, esitando. E se si fosse svegliato proprio in quel momento, magari cogliendola sul fatto? E poi, cosa le stava venendo in mente di fare, perdipiù approfittando di un attimo di totale vulnerabilità come quello? La memoria, però, le tornò di colpo alla sera prima, quando il racconto della conclusione della relazione con Akari le aveva tolto un peso dallo stomaco che non sapeva di avere.

Era stata una reazione stupida ed eccessiva - dopotutto soltanto tre giorni prima quella notizia non l’avrebbe sconvolta più di tanto - ma il sollievo che aveva provato era stato così intenso che per un momento, un solo breve momento, era stato sul punto di baciarlo. Un desiderio inaspettato e sconvolgente, ma allo stesso tempo innegabile. Per fortuna la sua parte razionale aveva di nuovo preso il sopravvento ed era riuscita a trattenersi, ma quella voglia era rimasta, aleggiando in fondo ai suoi pensieri.

Oh, al diavolo. In fondo non lo sto mica molestando nel sonno… perlomeno, non troppo, si disse, facendosi coraggio. Avvicinandosi ancora di più alla sua pelle, fu di nuovo investita dal sottile profumo di zenzero e bergamotto che ormai associava a lui. Forse era un dopobarba, anche se non sembrava il tipo da usare prodotti cosmetici, o forse era solo la profumazione del sapone che usava per lavarsi, fatto sta che quell'odore maschile le piaceva, e pure tanto.

Inspirò a fondo prima di chiudere gli occhi e superare quegli ultimi centimetri. Non riusciva ancora a credere a quello che stava facendo, ma decise di rimandare i diverbi mentali ad un altro momento. Alla fine, le sue labbra gli sfiorarono la pelle in una lievissima carezza: si ritirò subito, quasi si fosse scottata da quel contatto e lo guardò con attenzione, osservando eventuali segni di un imminente risveglio.

Non successe nulla. Il respiro di Ryoga era lento e profondo e sentiva il suo cuore battere calmo e placido contro il proprio, che invece stava ballando la samba. Con un briciolo di confidenza in più, gli sfiorò di nuovo il mento, risalendo lungo la mascella decisa. Come aveva immaginato la sensazione di quella barbetta contro le sue labbra era strana ma non spiacevole, anzi era anche meno ruvida di quanto si fosse aspettata.

La tentazione di esplorare anche oltre si affacciò, per un attimo, nel suo cervello, ma Ukyo chiuse con decisione le palpebre e, con un sospiro, si ritirò, tornando ad appoggiargli la testa sulla spalla. Se avesse ceduto alla voglia di guardare più da vicino quella bocca socchiusa nel rilassamento del sonno e quegli intriganti canini appuntiti, che si intravedevano oltre le labbra ben delineate, non sarebbe più riuscita a guardarlo senza che le guance le prendessero fuoco. Anche adesso non era del tutto sicura che non potesse accadere lo stesso: il cuore le stava battendo così forte nel petto che aveva quasi paura di poterlo svegliare e la testa le stava girando come una trottola per quell'ondata di bruciante risposta emotiva, generata da ciò che aveva appena fatto. Tuttavia, poco alla volta, la tachicardia e il rossore passarono e, sbadigliando, si assestò meglio sul suo improvvisato cuscino, rilassandosi nel calore di quell'abbraccio. Piano piano, cullata da quel magnifico tepore, scivolò di nuovo nel sonno.

Circa un'ora dopo fu Ryoga a svegliarsi, destato da un implacabile stimolo biologico. Tuttavia, come realizzò di trovarsi, per l'ennesima volta, una graziosa chef addormentata tra le braccia, ogni altra questione venne spazzata via da un’ondata di cocente ansia. Cosa era accaduto la sera prima? Ricordava la birra - o meglio, le birre, come testimoniato dalle numerose bottiglie in fila sul tavolino - ma poi… cosa era successo? Con sempre maggiore agitazione, controllò lo stato dei loro vestiti e il fatto che fossero tutti al loro posto placò per un attimo la sua tensione.

Massaggiando fronte e sopracciglia per svegliarsi meglio, cercò di fare mente locale. Gli sembrava di ricordare che era stata Ukyo ad addormentarsi per prima e che lui era stato sul punto di prenderla in braccio e portarla a dormire nel futon. Poi però si era fermato, perché il gesto gli era sembrato troppo intimo, così aveva preso una coperta e gliel'aveva drappeggiata addosso, anche perché dopo gli eventi di quella sera non si era fidato troppo a toccarla. E poi… e poi forse era rimasto ad osservarla dormire, ma a debita distanza, di questo ne era abbastanza sicuro.

Come erano finiti di nuovo così? Possibile che non riuscisse a restarle lontano, nemmeno mentre dormiva?

Lo stimolo biologico tornò a farsi sentire e lui decise che, prima che altri stimoli iniziassero a manifestarsi reagendo a quella suggestiva posizione, doveva allontanarsi nella maniera più assoluta. Avrebbe di sicuro rischiato il collo, una volta che Ukyo si fosse accorta di dove si trovava e di quello che poteva essere successo, ma la prospettiva di essere preso a palettate per un brusco risveglio era di sicuro migliore rispetto alla possibilità che qualcos'altro si risvegliasse, così decise di andare sul sicuro.

“Ukyo… ehi, sveglia!”.

La ragazza emise un basso gemito - che non migliorò affatto la situazione - poi con un suono a metà tra un lamento e un sospiro, aprì gli occhi.

“Mmrgh… cosa c’è?”.

“Che è successo ieri sera? Stai bene? Ho forse fatto qualcosa di… sconveniente?”.

"Lo stai facendo adesso svegliandomi in questo modo e urlandomi nelle orecchie”, bofonchiò lei in risposta, togliendosi i capelli dalla faccia. "Per tutti gli dèi, Ryoga… abbiamo solo bevuto qualche birra. Non ci siamo ubriacati fino a perdere i freni inibitori!”, disse puntandogli un gomito nelle costole e scostandosi da lui, con suo grande sollievo. “E poi, se solo avessi provato a fare qualcosa di strano, ti avrei spedito a dormire nella neve… quindi rilassati, ok?”.

La cuoca si stiracchiò con soddisfazione, facendo allungare la schiena e portando le braccia oltre la testa, per sciogliere i muscoli intorpiditi dalla posizione non proprio agevole in cui era stata fino a quel momento.

Ryoga distolse subito gli occhi.

“Ma… ma… dormire così… insieme…”, cercò di protestare, non riuscendo ancora a capacitarsi del pericolo potenzialmente corso. “Perchè non mi hai trasformato in P-chan?”.

“Primo, perché non mi ero accorta di essermi addormentata, e meno che mai addosso a te. Secondo… beh, in realtà sei piuttosto comodo”.

Nonostante quelle parole in apparenza noncuranti, Ukyo non lo aveva guardato una sola volta da quando si era svegliata e lui aggrottò la fronte, perplesso. Quella affermazione implicava che, ad un certo punto, la sua improvvisata compagna di bevute doveva essersi svegliata ed aver realizzato la situazione in cui si erano ritrovati; il fatto che non avesse ancora ricevuto nessun attacco pieno di femminile indignazione tra capo e collo, però, era piuttosto anomalo. Significava forse che per lei dormire insieme era un rischio accettabile? Oppure si fidava così tanto di lui da non considerarlo affatto pericoloso? Entrambe le ipotesi comportavano un duro colpo al proprio orgoglio maschile ma, per una volta e in un raro momento di consapevolezza, Ryoga decise di non approfondire troppo la questione, né di commentare il comportamento alquanto bizzarro della ragazza.

“Hmm, ti dispiace se vado prima io in bagno? Credo che tutta la birra di ieri stia iniziando a fare effetto”.

Si girarono entrambi a contemplare l’affollamento di bottiglie sul tavolino.

“Devo ammettere che ci abbiamo dato giù pesante, ieri. Non al livello dei festini di mio padre e dei suoi amici ma… caspita, se ci siamo andati vicino”, commentò la chef, con un sopracciglio alzato.

“Non capisco come sia potuto succedere”, bofonchiò il ragazzo, grattandosi la nuca.

“Di cosa ti lamenti? Con la resistenza fisica che hai è impossibile farti sbronzare… dopo cinque birre non eri nemmeno brillo”, sbuffò lei, dandogli uno scappellotto. “Forza, vai in bagno e cerca di liberarlo il prima possibile che voglio farmi una bella doccia”, gli disse poi, iniziando a raccogliere le bottiglie.

Ryoga non se lo fece ripetere due volte e sparì in quella vaga direzione, alla ricerca del bagno perduto.

Lo trovò, con sua grande sorpresa, abbastanza presto: si vedeva che, dopo il terzo giorno di permanenza in quella casa, stava iniziando a familiarizzare con la disposizione degli ambienti, riuscendo a perdersi un po' di meno. Dopo essersi fatto una doccia, si osservò con aria critica allo specchio e, notando come fosse giunto il momento di radersi, prese l'occorrente dalla semplice pochette blu che aveva avuto l'accortezza di portarsi dietro.

Quando uscì dal bagno, trovò Ukyo che aveva appena finito di preparare un cambio di vestiti e si fece da parte per lasciarla passare. La ragazza lo guardò con un’aria strana, tra il sorpreso e il crucciato, poi sparì nella stanza senza una parola e lui, dopo un attimo di perplessità, scese di sotto.

Ukyo, nel frattempo, si appoggiò alla porta del bagno con un sospiro e si concesse un breve momento di cordoglio per la perdita di quella intrigante barbetta di tre giorni. Per quanto fosse ancora strano vederla sul volto di Ryoga, non poteva non ammettere che gli dava un aspetto diverso e molto più attraente: la sentiva ancora, contro le proprie labbra, come un vago riflesso di una sensazione e chiuse gli occhi, persa nei ricordi. Li riaprì subito dopo, dandosi della stupida, e si affrettò a svolgere le sue abituali pratiche mattutine.

Circa un’ora più tardi, si ritrovarono a fare di nuovo colazione guardando i programmi meteo: i notiziari erano invasi di report sui danni e testimonianze delle disavventure di coloro che erano rimasti bloccati dalla tempesta ma, tutto sommato, ormai la situazione era in fase di miglioramento. Aveva smesso di nevicare un po’ ovunque e le temperature previste erano in netta risalita, il che significava che tutta quella neve sarebbe presto stata soltanto un ricordo.

“Beh, allora direi che è davvero arrivato il momento di togliere il disturbo”.

Ukyo incrociò le braccia, spostando lo sguardo da Ryoga alla vetrata d'ingresso del ristorante, ancora chiusa dai pesanti pannelli di legno.

“Non l’avrei messa in questo modo ma… immagino di sì", disse, andando verso la porta e cercando di sbirciare fuori per capire la situazione. “Ammesso che tu riesca ad uscire. Per quanto ne sappiamo potrebbe esserci un metro di neve qua dietro… non sarà facile creare un passaggio”.

“Lascia fare a me. Hai una pala?”.

“Hmmm… credo di sì. Fammi controllare nel ripostiglio”.

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto negli armadi di servizio della casa, alla fine trovarono una pala da neve in un angolo del vano caldaia. Era un po’ malmessa e arrugginita, ma ancora utilizzabile.

Si misero subito in moto: prima sbloccarono, con molta attenzione, la porta a vetri scorrevole dal ghiaccio che si era accumulato nelle sue guide; poi Ryoga, con una leggera spallata, aprì il primo sportello verso l’esterno inondando di luce l’interno del ristorante per la prima volta in quasi tre giorni. Fuori la gente stava con fatica iniziando a rimuovere la neve dagli ingressi delle proprie abitazioni e negozi, ammucchiandola al centro della strada. Al contrario dei loro timori, non aveva superato il metro ma il vento l’aveva spinta contro gli angoli e i muri delle case, creando degli accumuli. Soltanto davanti alla sua porta ce n'erano almeno settanta centimetri.

“Ok, al lavoro!”.

Ukyo osservò Ryoga ruotare una spalla e iniziare a spalare la neve con ammirabile entusiasmo. Si era cambiato, tornando alla consueta maglietta nera a maniche corte che gli aveva visto nei giorni precedenti e per un attimo si rammaricò di non essersi offerta di lavarla. Poi si diede subito della stupida: adesso aveva anche voglia di fargli il bucato? Da quando si era trasformata nella mogliettina perfetta delle pubblicità? Quel pensiero, unito ad un breve ma intenso flashback di tutti i momenti domestici passati insieme a lui in quei giorni, la fece arrossire e la vista di quei bicipiti scoperti non migliorò di certo la situazione. Si girò di scatto, tornando al piano superiore.

Era decisamente arrivato il momento che lui togliesse il disturbo. In generale era sempre contenta quando qualcuno la veniva a trovare, anche quando aveva ospitato Konatsu per qualche mese; poi però, ogni volta che aveva salutato gli ospiti, era tornata con un certo sollievo alla tranquillità della sua casa, ai suoi spazi e ai suoi silenzi. Adesso, invece, la presenza di Ryoga, che aveva portato un improvviso scompiglio con il suo turbine di pranzi e cene condivisi, pomeriggi davanti alla tv e festini serali a base di birra, si stava rivelando fin troppo gradita. Rischiava di farle intravedere una realtà così diversa dalla sua controllata e solitaria esistenza, da rendere ancora più doloroso il confronto. E lei non poteva permettersi di affrontare il vuoto che ne sarebbe derivato.

Pescò dal fondo di un armadio quello che era venuta a cercare e poi scese di nuovo di sotto. Super efficiente come sempre, quando si trattava di lavori fisici, Ryoga aveva già ripulito l’ingresso creando un perfetto piccolo sentiero nella neve verso la strada ed ora si stava accingendo a ripiegare i pesanti pannelli di legno della copertura. Non sembrava nemmeno un filo affaticato né tantomeno soffrire il freddo, anche se lei riusciva a vedere in controluce un sottile filo di vapore alzarsi dalla sua pelle. Aveva però le orecchie arrossate e lei strinse tra le mani il semplice cappello di lana nero che gli aveva preso dalla sua scorta invernale. Glielo mise in testa di sorpresa, mentre era ancora girato, sbuffando contrariata per aver dovuto stendere le braccia molto più su del previsto. Ma quanto era diventato alto?

“Cos…?”, mormorò lui, portandosi in automatico una mano alla fronte per scostare lana, capelli e bandana che gli erano finiti davanti agli occhi quando lei gli aveva calcato il cappello in testa. "...e questo da dove esce?”, le chiese, girandosi ad osservarla. La ragazza stava indossando una vivace sciarpa di lana gialla intorno al collo e un berretto della stessa tonalità.

“È per tenere al caldo quella tua zucca bacata”.

“Capisco ma… lo sai che non sento il freddo…”.

“Tu dici? Secondo me le tue orecchie non sono tanto d’accordo”.

Ancora una volta Ryoga si portò una mano sulla testa, testando il morbido materiale che la ricopriva. In effetti era vero, quella parte era sempre stata un punto più sensibile rispetto al resto del corpo, ma in genere aspettava che la temperatura scendesse ad una gradazione negativa prima di coprirla. Adesso invece un vago, piacevole tepore si stava già sprigionando sui padiglioni auricolari, segno che in effetti la copertura era stata apprezzata.

“Oh beh… allora grazie, Ukyo”, le rispose con un sorriso.

La ragazza non rispose e si girò di scatto, tornando dentro il ristorante. Poco dopo ne riemerse con una scopa in mano e iniziò a ripulire l'insegna senza dirgli una parola così, considerando chiusa la faccenda, lui tornò al suo lavoro.

Dopo circa un’ora ogni cosa era al proprio posto: la tenda del ristorante sventolava di nuovo nell’aria frizzante e l’insegna con la scritta ‘Ucchan’, ripulita con cura, splendeva nel sole del mattino. Poco dopo Ryoga ne varcò di nuovo la soglia, aggiustando le cinghie dello zaino che aveva sulle spalle, seguito da Ukyo.

"Ok, mi sembra proprio di aver preso tutto”.

“Non che avessi un granchè fin dall’inizio…”, aggiunse lei, appoggiandosi con una spalla alla vetrata.

“Ovvio, quando giri con tutto quello che hai in uno zaino, devi per forza limitare lo spazio. E ogni cosa diventa essenziale. A proposito…”, disse togliendosi il cappello di lana e porgendoglielo. “Grazie per avermelo prestato”.

“Nah, puoi tenerlo”, rispose lei, con un’alzata di spalle. “Ne ho un milione come quello nell’armadio e a te serve molto di più”.

“Oh. Allora… grazie. Per tutto”.

Per avermi dato un tetto, cibo caldo, abbracci, sorrisi, comprensione e calore umano. Per non parlare, con molta probabilità, di sogni erotici per gli anni a venire, pensò, rabbrividendo dentro di sé per quella improvvisa consapevolezza. Fece un profondo inchino davanti a lei, con gratitudine e rispetto, rischiando senza saperlo di farle rotolare addosso il suo pesantissimo e inseparabile ombrello rosso.

“Quante volte te lo devo ripetere che non c’è bisogno di ringraziarmi in questo modo? Tsk, sei davvero troppo formale”, protestò Ukyo, incrociando le braccia e sbuffando. “Casomai dovrei essere io a farlo, visto che mi hai aggiustato la caldaia, aiutato a pulire la cucina e liberato il vialetto per i miei clienti!”.

Senza contare tutta la compagnia che mi hai fatto in questi giorni, aggiunse nella sua mente, mordicchiandosi un labbro. Quei saluti la stavano intristendo e la voglia che aveva di confessargli quanto avesse apprezzato chiacchierare con lui stava diventando sempre più difficile da trattenere.

“Diciamo che ci siamo aiutati a vicenda, ok? Una mutua alleanza per la convenienza di entrambi, come nella famosa gita al Tunnel del Perduto Amore”, gli disse alla fine, guardando da un’altra parte.

"Sì, è vero. Come quella volta”, concordò Ryoga.

Era stato molto di più di quello, entrambi lo realizzarono con lucida chiarezza nell’esatto momento in cui stavano dicendo il contrario. Da un semplice scambio di favori, la convivenza di quei giorni aveva fatto nascere tra loro un rapporto di amicizia che prima non c’era, un legame così naturale e intenso da lasciarli senza fiato per la rapidità con il quale era cresciuto. Nel giro di poco tempo erano passati da semplici conoscenti a confidarsi paure e debolezze, consigli e incoraggiamenti, segreti inconfessabili come una maledizione, fino ad elaborare nuove tecniche di combattimento, il tutto condito con una potente attrazione fisica che li aveva colti di sorpresa come un fulmine a ciel sereno.

Tuttavia questa enorme mole di pensieri e sentimenti così intrecciati tra loro aveva bisogno di tempo per poter essere elaborata. L’inevitabile separazione dei mesi successivi, forse, gli avrebbe dato modo di capire meglio come e quanto il loro rapporto si fosse modificato, magari dandogli l'opportunità di adeguarsi di conseguenza per il futuro.

"Cosa farai adesso?".

Quella semplice domanda colse Ryoga impreparato, facendolo riflettere. Non aveva ancora pianificato la prossima destinazione, sapeva soltanto che ormai aveva esaurito qualsiasi giustificazione per restare da lei e che quella inaspettata, breve convivenza - per quanto strana - fosse giunta alla sua imprescindibile conclusione.

"Ancora non lo so. Adesso che anche Akari è un capitolo chiuso forse è arrivato il momento di voltare pagina e concentrarmi su altre cose. C'è un eremita a nord che volevo incontrare da un po' di tempo che dicono conosca delle tecniche di pressione dei punti vitali in grado di fare miracoli. Magari è la volta buona che riesco a farmi curare la maledizione e, già che ci sono, pure il mio pessimo senso dell'orientamento".

"Oh", rispose Ukyo, sorpresa e un po' rattristata dalla prospettiva di non rivederlo per chissà quanto tempo. Per l'ennesima volta si diede della stupida. Era ovvio che lui avesse altri programmi, tutti li avevano… ma quell'improvviso senso di vuoto la fece sentire ancora peggio.

"Sembra promettente. Ti auguro tanto di riuscire a trovarlo", disse alla fine, cercando di infondere nella propria voce una parvenza di entusiasmo.

"Lo spero anche io".

Uno strano silenzio scese tra loro, interrotto solo dalle voci delle persone che stavano lavorando per liberare le strade dalla neve.

“Beh, allora ti saluto”, mormorò Ryoga, portando entrambe le mani alle cinghie dello zaino e pregando che lei non si accorgesse delle nocche sbiancate, contratte nello sforzo di impedirsi di toccarla in qualche modo. Proprio come aveva temuto, il suo corpo stava già sperimentando i primi sintomi di astinenza da contatto, protendendosi in modo quasi inconscio verso quello di lei. Perché, perché aveva questo dannato e crescente bisogno di restarle accanto?

“Buon viaggio”, rispose Ukyo, con un sorriso un po’ tirato. La propria battaglia interiore per tenere a bada le emozioni era una cosa alla quale ormai era abituata da anni, eppure mai come in questo caso le stava risultando così difficile e intensa. Nascoste dalle ampie maniche dell’haori che stava indossando, le mani le stavano tremando per la tensione e lo sforzo, nel disperato tentativo di mantenere una facciata - se non impassibile - quantomeno di apparente tranquillità.

Quando Ryoga fece per girarsi e andare via, però, all’improvviso qualcosa si spezzò dentro di lei. Come una corda troppo a lungo tesa, il suo rigido autocontrollo si infranse e Ukyo superò la breve distanza che li separava, buttandogli le braccia al collo con uno slancio che lo fece per un attimo barcollare. Con il naso nello scollo della sua maglietta, a contatto con quella pelle meravigliosamente calda, gli ricordò il suo personale promemoria.

“Lo sai che al mio ristorante troverai sempre un bagno caldo che ti aspetta in caso di bisogno, vero? Insieme alla seconda stagione del ‘Re del Wok’”.

Dopo un primo momento di comprensibile confusione e smarrimento, le braccia di Ryoga si sollevarono per scivolarle intorno alla vita e alle spalle, ricambiando l’abbraccio con una leggera stretta.

”Gra-grazie, Ukyo”, una lieve pressione sulla testa le suggerì che Ryoga doveva averle appoggiato una guancia sui capelli. “Ti ho anche promesso che avrei lavato i piatti per sdebitarmi della tua ospitalità… e sai che non rimangio mai la mia parola”, le rispose.

Una risata sommessa, bassa e profonda, la cui vibrazione le si trasferì in un istante alle terminazioni nervose di ogni singolo centimetro del suo corpo, la fece sussultare leggermente sul suo petto.

“Tra l’altro, sono ormai diventato dipendente da quella dannata serie, quindi non sarà così facile liberarsi di me”.

La stretta intorno al suo collo si fece ad un tratto più intensa.

“Allora vedi di non tornare tra quattro mesi, ok?”.

Un’altra lieve risata solleticò una tempia della ragazza.

“Tenterò. Tu piuttosto cerca di stare più attenta alla tua salute… ricordati che non c’è niente di male nel chiedere aiuto, ogni tanto”.

Senza dire nulla, lei annuì con un breve gesto del capo.

Rimasero così per un momento che sembrò infinito e troppo breve allo stesso tempo, fino a che Ukyo non aprì un occhio e per caso vide, in un ristretto spicchio di visuale, un commerciante vicino che stava sorridendo. Era forse… il signor Yamada, il venditore di tofu di due negozi più avanti?

Con crescente orrore alzò la testa e la scena che vide intorno a lei le fece gelare il sangue nelle vene. Lei e Ryoga erano fermi lì, abbracciati in mezzo al piccolo spiazzo davanti al ristorante, in pratica in mezzo alla strada e tutti i commercianti e i vicini che stavano ripulendo le soglie dei propri negozi e dei propri portoni di casa si erano fermati ad osservarli. La maggior parte sorrideva e qualcuno stava pure ridacchiando, scambiandosi gomitate d’intesa con il proprio coniuge o amico, indicandoli con la testa ad altri attoniti passanti.

Una frazione di secondo dopo Ryoga si ritrovò sepolto a testa in giù in un cumulo di neve.

Quando il riverbero della porta a vetri del ristorante cessò, sbattuta nella violenza della rapida fuga della ragazza all’interno di più riservati ambienti, una risata collettiva si alzò da quella piccola folla.

Due signori sulla cinquantina posarono pale e ramazze e andarono subito ad aiutare quel povero ragazzo ad emergere dal mucchio di neve sporca in cui era stato, con scarsa cortesia, lanciato, mentre una signora anziana raccoglieva un cappello nero volato, chissà come, in cima ad una siepe.

“Grazie per esserti preso cura di Ucchan”, gli disse, sorridendogli e mettendogli tra le mani il piccolo triangolo di lana. “Quella benedetta ragazza è sempre troppo sola e tutti noi siamo in continuazione preoccupati per lei, soprattutto quando capitano eventi imprevedibili come la bufera di questi giorni”.

“Oh, secondo me se ne è preso cura, eccome! C’è sempre un motivo se un uomo riceve un abbraccio del genere!”, disse uno dei signori, mollandogli una pacca sulla spalla e scatenando l’ilarità degli altri presenti.

Ryoga sbarrò gli occhi, ritrovando di colpo la voce.

“NO! Non è come sembra, lo giuro!”, urlò, agitando con furia le mani, in segno di diniego. “Non è successo niente! La reputazione di Ukyo è assolutamente immacolata!”.

Mentre il ragazzo si allontanava, cercando ancora di convincere il vicinato della sua irreprensibile condotta, il signor Yamada scosse la testa e sorrise.

“Sì, come no”, bofonchiò, tornando a ripulire il suo negozio dalla neve. “Ma a chi importa più della reputazione, comunque?”.

Qualche tempo dopo Ryoga, con in mano un fascio di fogli con dettagliate indicazioni scritte per raggiungere la prossima meta, si rimise in cammino, salutato con cordialità dai negozianti vicini di Ukyo. Si sfregò la testa, massaggiandosi l'ultimo, ennesimo bernoccolo di quella strana settimana e sorrise: iniziava ad affezionarsi alla loro presenza e scoprì con stupore che non vedeva l'ora di aggiungerne altri a quella collezione. Ripensò al calore dell’estemporaneo abbraccio di Ukyo e un altro, rilassato sorriso si fece strada sulle sue labbra.

Forse, aveva trovato una ragione in più per cercare di curare il suo disastroso senso dell’orientamento.

 

 

 

Fine

 

 

 

Credits e ringraziamenti:

 

Vorrei innanzitutto ringraziare tutti coloro che mi hanno accompagnato fin qui in questa mia prima avventura nel fandom di Ranma:

Silvia/Topmanga, per avermi ispirato ed incoraggiato a continuare a scrivere questa storia, bacchettandomi sul finale (me lo merito, lo so) perché, a suo dire, non c’era stato “nemmeno un bacetto”. Dai, il leggero sfiorare di labbra di Ukyo al viso del bell'addormentato conta, come quasi-bacio?

TigerEyes, prima di tutto per le sue magnifiche e dettagliatissime recensioni, che mi hanno lasciato ogni volta senza fiato per la loro profondità e per l’incoraggiamento; secondo, per il suo contributo essenziale alla mia forma scritta, sfoltendo senza pietà la foresta di avverbi che avevo costruito e aiutandomi con la mia pessima punteggiatura; infine, per avermi accolto a braccia aperte in questo fandom. Grazie cara, sei diventata la mia luce guida, il faro illuminante di questo mondo, quasi dimenticato, da autrice di fanfic… e per questo te ne sarò sempre riconoscente.

FedeGinRic per le sue entusiastiche recensioni (e per essere stata la prima a farlo!) ma, soprattutto, per aver creduto fin dall’inizio su una coppia che non la convinceva tantissimo… quindi il ringraziamento è doppio, per avermi dato questa possibilità!

AndyGrimm, per essersi dovuto sorbire tutti i numerosissimi fanservice sulle grazie di Ryoga… povero, mi rendo conto che questa storia non è proprio agevole per i maschietti! 😁

E infine tutti i lettori - passati, presenti e futuri - che magari non hanno avuto il tempo di lasciare una recensione.
 

A voi mando il mio più sentito ringraziamento, dal profondo del mio cuore.


Infine, non posso non citare le storie in inglese che, in questi 30 anni di fissazione per questi due, sono rimaste impresse a fuoco nella mia anima:

- ‘Magical Mystery Hibiki Tour’, di Jaelle e Orla. Purtroppo non credo sia più online, dato che risale alla fine degli anni 90, ma penso che sia stata tra le prime che ho letto su questo pairing. Ha influenzato tantissimo la mia visione del carattere di Ryoga, rendendolo un adorabile giramondo, un viaggiatore - non per sua volontà! - ormai esperto per le sue avventure in paesi anche molto diversi dal suo. Ho ripreso da loro anche la concezione secondo la quale il nostro eterno disperso possa lavorare saltuariamente nei cantieri edilizi, grazie alla sua robustezza e alla tecnica del bakusai tenketsu.

- ‘Omiyage’ e ‘The Exit’, di Ninnik_Nishukan (https://ryogaukyo.blogspot.com), una bravissima autrice che è stata la vera fonte di ispirazione per la mia visione del loro legame. Ho amato tutte le sue opere in maniera sviscerata e ho spulciato il suo sito, pagina per pagina, per un sacco di tempo. Sfortunatamente per me, lei si stancò di questo pairing intorno al 2009: concluse entrambe le storie, ma senza completare idealmente il percorso intenso e profondo che aveva intrapreso, specialmente in ‘Omiyage’. La sua interpretazione dei sentimenti e dell’amicizia che si instaura tra loro, però, è così bella che le sue opere mi sono rimaste a lungo impresse nel cuore.
Nonostante non le rilegga da anni e che, di recente, abbia consapevolmente evitato di farlo per evitare contaminazioni, sono al corrente che alcune cose, nella mia storia, potrebbero richiamare in qualche modo quello che ha scritto lei: se potete, leggetelo… e sappiate che, se troverete qualche somiglianza, la mia sarà stata, di certo, una inconsapevole ma affettuosa citazione.

E ora, dopo questo malinconico polpettone, una buona notizia: come ho annunciato nella premessa CI SARA’ UN SEQUEL, dove - finalmente - le cose inizieranno a prendere una piega un po’ più soddisfacente per tutti: ora che il ghiaccio è rotto e questi due polentoni stanno iniziando a capire che qualcosa sta cambiando, un’estemporanea richiesta li porterà a passare un altro BEL PO’ di tempo insieme. Ma la vera sfida sarà… fargli ammettere l’esistenza di questo sentimento!

La prima a provarci sarà Akane, quindi… ci si rivede sul piccolo spin-off, ‘Chiacchiere tra amiche!’

A presto!!

 

Quenya

 

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