Ancora una volta. Due destini che si uniscono

di ticcany
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo, due destini ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo, desiderio. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo, due destini ***


Era una giornata come le altre all’istituto delle arti occulte, ma qualcosa negli occhi di uno studente era diversa dal solito.

Era la fine di un’estate come tante, un’estate di lavoro intenso per uno stregone forte come Suguru Geto, la vita smette quasi di avere un senso quando si è immersi nella routine. Il senso di vuoto aveva scavato un solco dentro di lui lasciando la strada libera per un’idea, un’idea che sembrava insana e paradossale per uno stregone come Suguru Geto, ma che ormai aveva iniziato a prendere forma.

Geto era considerato uno dei tre stregoni più forti al mondo, insieme a lui, a fare parte di questo trio, c’era il suo migliore amico di sempre Satoru Gojo, anch’egli stregone di livello speciale, ma di tutt’altra levatura, specialmente dopo gli eventi dell’anno passato.

Gojo era uno stregone unico, quasi una divinità. Possedeva una delle tecniche più forti mai avute da uno stregone e non si limitava mai nel mettere in mostra queste sua abilità quasi divine.

Geto e Gojo erano cresciuti insieme, erano diventati stregoni insieme, erano divenuti uomini insieme, ma qualcosa nel cuore di Geto stava cambiando, si insinuava dentro di lui un pensiero, un pensiero logorante che non lo lasciava sorridere: gli umani sono tutti delle scimmie.

Gli esseri umani, inferiori per abilità agli stregoni, producevano energia malefiche che, spesso, creava delle maledizioni molto forti e toccava agli stregoni gestire tutto questo. Spesso dei talentuosi stregoni finivano per morire nel tentativo di fermare questi spiriti maledetti. La realtà del mondo per Geto era inaccettabile, la vita dei più forti a favore della vita di coloro che avevano creato il male, che erano il male, che erano deboli di fronte a esso.

Quella mattina Suguru, dopo l’ennesimo esorcismo di uno spirito maledetto, si trovava nello spogliatoio dell’istituto delle arti occulte, cercava di lavare via quella sensazione, di far scivolare via quei pensieri.

I lunghi capelli neri si adagiavano dolcemente sulle sue spalle muscolose tracciandone i contorni.

L’acqua calda scorreva da ore sul suo corpo e lui era incapace di fuggire del labirinto intricato della sua mente, “se solo qualcuno si accorgesse del mio sguardo”, pensava, “se solo qualcuno fosse abbastanza forte da farmi cambiare idea, se qualcuno riuscisse a farmi sorridere di nuovo”.

Geto sapeva, in cuor suo, che probabilmente ormai era troppo tardi, ma non smetteva di sperare che qualcuno riuscisse a carpire l’immensa solitudine che provava.

Qualcuno, però, se ne accorse.

Quando uscì dalla doccia, avvolto nel suo telo, si trovò davanti due occhi azzurri, due profondi occhi azzurri, lì a fissarlo.

Satoru, suo amico e rivale da sempre, aveva notato il suo sguardo, si era accorto del vuoto creatosi tra di loro e non poteva accettarlo senza provare a porvi rimedio.

In un’altra circostanza Gojo avrebbe ignorato lo stato del suo amico, ma in questo momento sentiva che aveva le necessità di parlare con lui, di comprendere le sue ragioni.

Geto ignorò la sua presenza e, dopo solo un breve cenno di saluto, si diresse verso gli armadietti per rimettere i vestiti.

La divisa dell’Accademia era scura ed elegante e donava moltissimo a Geto, data la sua statura e il suo fisico muscoloso, ma snello.

Gojo rimase li impalato a fissarlo, aspettando che il suo amico, il suo unico amico, gli desse l’occasione di poter parlare, ma Suguru non lo fece. Si rivestì in fretta e si diresse verso la porta, ma qualcosa lo trattenne bruscamente.

Geto si voltò e vide che Gojo lo teneva stretto dal polso, aveva gli occhi lucidi. Quegli occhi che erano sempre pronti a vedere tutto, a percepire tutto, gli occhi del più forte, gli occhi dello stregone leggendario erano, però, pieni di lacrime. Geto pensò che sarebbe potuto affondare in quegli occhi, tanto erano profondi.

“Aspetta Suguru” disse Gojo in maniera decisa tenendo stretto il suo amico.

“Satoru, non è il momento. Per piacere lasciami andare” replicò.

“In un altro momento ti avrei lasciato andare, ti avrei lasciato fare, non adesso però. Sento che è il momento di starti vicino. Suguru, da quanto tempo non sorridi? Da quanto tempo non mi sorridi più?”.

“Non è un mondo nel quale vale la pena sorridere, non riesco a non pensare a quello che stiamo perdendo per nessun motivo, per difendere delle...scimmie”, disse Geto con tono rabbioso, “lasciami andare, lascia andare la mia mano e lasciami proseguire per la mia strada”, aggiunse. Dentro la sua mente però, qualcosa gridava, gridava di tenerlo stretto, di non lasciare andare la sua mano, di salvarlo dal baratro dentro il quale si trovava.

“Lascerò andare la tua mano, ma non ti lascerò andare. A questo mondo vale la pena lottare per poche persone e tu sei tra queste. Non puoi lasciarmi solo, non puoi permettere che io continui la mia vita come se tu non ci fossi mai stato”, disse Gojo.

“Sei il solito egoista. Non sono io ad averti lasciato solo, non sono io a essere andato avanti senza mai guardarmi indietro. Per noi stregoni tu ormai sei inarrivabile. Il nostro legame, il nostro essere i più fort

i di tutti, è svanito. Sei tu adesso, Satoru Gojo, l’inarrivabile Satoru Gojo, tu soltanto. Io sono di contorno. Non voglio sprecare la mia vita a inseguirti, a perdere compagni, per una causa futile. Scusami Satoru”. Dicendo questo Geto tirò con violenza via la sua mano dalla stretta forte di Gojo e andò via.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo, desiderio. ***


Per una settimana intera i due amici non si rivolsero la parola. Si incrociavano nei corridoi senza nemmeno accennare un saluto. Gojo soffriva, soffriva terribilmente per la situazione. Per lui Geto era la persona più importante della sua vita, l’unico che potesse definire amico. Solo Geto sapeva cosa significava essere forte, avere la pressione addosso, avere le attenzioni di tutti e la responsabilità delle vite, salvate e perse, pesava meno se divisa con lui. Geto, dal canto suo, avrebbe voluto che Gojo appoggiasse la sua decisione, ma sapeva che era impossibile ed era disposto anche a perdere la persona più importante per seguire l’idea che, ormai aveva monopolizzato i suoi pensieri. Qualche giorno dopo i due stregoni furono chiamati per una missione, una missione semplice per chi è così forte. Gojo atterrò la maledizione senza nemmeno pensarci, Geto l’assorbì come era solito fare grazie alla sua tecnica. Le maledizioni avevano un sapore orribile, un sapore disgustoso che Geto era ormai abituato a sentire. Finchè si ha uno scopo per svolgere un compito, si riesce a sopportare qualunque difficoltà, adesso questa azione vomitevole era priva di significato, era vuota, esattamente come il suo sguardo. Durante quella missione Gojo notò subito che Geto era totalmente disinteressato a salvare le vite umane, voleva solo finire, assorbire la maledizione e andarsene. Fu, infatti, Gojo a gestire tutta la situazione e Geto si limitò ad osservare e ad assorbire lo spirito maledetto. La sera stessa i due stregoni si ritrovarono a tavola insieme per la cena alla mensa dell’istituto. Erano presenti tutti gli stregoni dell’accademia, la sala era piena di persone, ma la solitudine avvertita dai due era palpabile, era una presenza preponderante. Entrambi con gli occhi bassi si affrettarono a finire il pasto e ad andare via, lasciando il caos della sala per rifugiarsi nelle loro stanze. Gojo si diresse verso la sua camera e, una volta dentro, aveva solo voglia di sprofondare nel suo letto, di chiudere gli occhi e non pensare. Si tolse la divisa buttandola a casaccio su una sedia e, senza nemmeno mettere il pigiama, si buttò a capofitto sotto le coperte, ma, nonostante la stanchezza, non riusciva a smettere di pensare allo sguardo del suo amico, a come aveva ignorato la persona in difficoltà durante la missione senza traccia di colpa sul viso. Non riusciva a dormire, pensava e ripensava. Improvvisamente, come se il suo corpo di muovesse da solo, scattò fuori dal letto e corse verso la stanza di Geto. Restò lì impalato, non sapeva se fosse il caso di bussare, di entrare, di provare di nuovo ad avere una conversazione con il suo amico, sentiva che se non l’avesse fatto, però, se ne sarebbe pentito per tutta la vita. Bussò, un solo tocco deciso, alla porta. Geto era sveglio e avvertì la presenza del suo amico dall’altra parte della porta. Non aveva voglia di sentire un’altra predica, non aveva voglia di subire di nuovo lo sguardo di quegli occhi azzurri che non riusciva più a guardare, perciò non aprì. Gojo sapeva quello che stava succedendo e accennò con la voce spezzata, quasi come se fosse un sussurro del suo cuore: “apri, ti prego”. Geto si alzò di scatto e aprì la porta. Si trovò davanti l’amico, con gli occhi gonfi di lacrime e con l’aria di chi aveva bisogno di essere accolto. Il perché fosse senza vestiti, però, non gli era chiaro. Pensò che, di sicuro, si era lanciato a letto senza mettere il pigiama, come era solito fare. Geto era travolto dalle emozioni, non sapeva il perché, ma questa volta gli occhi blu dell’amico erano diversi. Sapeva che non era lì per cercare di convincerlo o per fargli l’ennesima ramanzina, ma perché voleva stargli vicino, perché, in fondo, erano amici da una vita e lui adesso aveva bisogno di essere abbracciato. Tutti questi pensieri furono fatti in un lampo, il secondo dopo la vista di Gojo, Geto lo stava già stringendo a sé. Un abbraccio che era qualcosa di più. I loro corpi stretti era come se riuscissero a leggersi dentro, senza bisogno di parlare. Gojo, dal canto suo, era paralizzato, sapeva che la stretta forte di quelle braccia attorno al suo corpo, era tutto quello di cui aveva bisogno e non disse niente. Smise di piangere e si perse nel calore di quell’abbraccio, nel profumo di quei lunghi capelli neri, nella sensazione che, tra le sue braccia, avrebbe anche potuto chiudere gli occhi per un po' perché non aveva bisogno di sentire nient’altro che quello. Si lasciò pervadere da quella sensazione. “Questo non cambia niente, non cambia quello che vorrò essere e quello che vorrò diventare, ma stringimi adesso, per favore”. Dicendo questo anche gli occhi di Geto si riempirono di lacrime e strinse quel corpo a sé ancora più forte. Restarono impalati davanti la porta per diversi minuti, stretti in un abbraccio che, entrambi, avrebbero voluto durasse per sempre. Non si era più sentito così bene da mesi Geto, stringere tra le braccia l’anima della persona più importante per lui, aveva fatto scomparire, almeno per qualche istante, tutta la sofferenza e la malinconia che lo attanagliava. “Satoru, non so se ormai è troppo tardi. Ciò che si insinua dentro di me grida a tutta voce, spinge per venire fuori. È come se il mondo non fosse più adatto a me, come se sentissi la necessità di rivendicare la vita dei nostri amici scomparsi negli anni” disse Geto con la testa dolcemente adagiata sulle spalle di Gojo. Gojo si staccò a fatica dall’abbraccio infinito e guardò Geto negli occhi tenendo il suo volto tra le mani. “Suguru, non posso prometterti che le cose andranno bene, non ho il potere per farlo succedere. Posso prometterti che ti starò vicino con tutte le mie forze. Posso prometterti che qualsiasi cosa accada io starò sempre qui vicino a te, che affronteremo tante difficoltà, ma che lo faremo insieme”. Quella sera Gojo promise sinceramente all’amato Geto che non l’avrebbe più lasciato da solo, che era possibile trovare una soluzione insieme e per qualche istante Geto, che era perso dentro agli occhi di quel blu accecante, sembrò credere alle sue parole. Pervaso da un impeto, Geto strinse forte a se il corpo di Gojo e lo baciò. Non fu un bacio come gli altri, era un bacio potente, un grido di aiuto, la ricerca dell’amore che avevano sempre provato l’uno per l’altro e che non avevano mai trovato il coraggio di confessare. Le braccia di Gojo si staccarono dal volto dell’amato e si ancorarono a quelle spalle forti che l’avevano sempre sostenuto negli anni e che adesso toccava a lui proteggere. Si persero dentro quel bacio infinito come se il mondo intero non fosse mai esistito, un’istante che sembrò durare un’intera vita. Come sarebbero potuti andare avanti dopo quel bacio? Come avrebbero potuto continuare le loro vite dopo l’immensità provata in quell’istante? Queste erano le domande che passavano dentro la testa dei due ragazzi. Purtroppo, però, la vita non va sempre come sperato. Dalla sera del bacio i due innamorati non riuscirono più a guardarsi negli occhi. Forse, dietro alle amorevoli parole di conforto era stato chiaro sin da subito che non sarebbero servite a cambiare il corso degli eventi. Si lasciarono convincere solo per un istante dalle loro parole, solo per perdersi in quel bacio che, per Geto, era un addio. Il giorno seguente Geto abbandonò l’istituto e iniziò la sua battaglia personale contro gli esseri umani.

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