Stylamid: Le torri di Iaustrin

di risia_writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Consiglio ***
Capitolo 2: *** La Coppelia ***



Capitolo 1
*** Il Consiglio ***


Here's to the fall of man
Fame to dust, fortune to sand
The great surrender finally arrived
(Requiem for my harlequin- Poets of the fall)
 

Il Palazzo dei Quindici quella mattina sembrava quasi sparire sotto tutta quella neve. Le mura rosse erano l’unica cosa che permetteva di distinguerlo tra le varie casette bianche e azzurre del quartiere.
Treman camminava a fatica nella via ancora illuminata dai lampioni, gli stivali affondavano nel soffice manto bianco che ricopriva le strade di tutta Kerneval, mentre fiocchi di neve continuavano a cadere dal cielo sul suo mantello viola.
“Cosa c’è di così urgente da convocare un consiglio straordinario alle quattro di mattina…?” Sperava si trattasse di qualcosa di davvero importante. Non aveva voglia di ritrovarsi in mezzo all’ennesima lite tra i sacerdoti di Thoga e Zotarog. Il Palazzo dei Quindici era nato per permettere ai gran sacerdoti del regno di Utea di discutere le questioni religiose più importanti, ma fino ad allora si era trattato solamente di dispute infantili tra i rappresentanti delle due divinità della guerra, e Treman, Gran maestro di palazzo del regno, che presenziava come ambasciatore del re, non ne poteva più di essere chiamato con urgenza per quelle stupidaggini.
Finalmente raggiunse il grande portone in legno scuso del Palazzo. Afferrò il battente in ferro battuto, a forma di occhio, e batté tre colpi. Una voce parlò dall’interno.
- Chi è?
- Maestro Treman.
Un colpo di chiavistello e la porta si aprì.
 
“La tensione si potrebbe tagliare con un coltello…” Fu il suo primo pensiero quando entrò nella Grande Sala.
La Tavola Rotonda posta al centro presentava quattro posti vuoti. Due figure erano sparse per la sala, un giovane ragazzo era accomodato con ben poca eleganza sul davanzale di una delle finestre ad arco e guardava fuori, i suoi occhi rossi si riflettevano sul vetro; un uomo incappucciato era seduto a gambe accavallate su uno dei divani di fronte al caminetto acceso, intendo a leggere un libro. Erano gli unici ad apparire rilassati, tutti gli altri sacerdoti erano seduti attorno al tavolo, un’espressione grave dipinta in volto.
Mancava una sola persona all’appello. Un dubbio si fece largo nella mente del Gran Maestro, ma cercò di scacciarlo.
Un uomo sulla cinquantina, vestito con una tunica rosso fuoco, coperto da macchie di sporco e fuliggine, lo andò ad accogliere. Vicino a lui l’aria sapeva di fumo e bruciato, l’enorme mano che gli porse era piena di calli e scottature, ma in quel momento tremava.
- Maestro Treman, grazie per essere venuto nonostante il poco preavviso.
- Calmati, Valk, amico mio. Siediti. - Lo invitò ad accomodarsi e si sedette accanto a lui. Il silenziò calò di nuovo su di loro.
Treman sapeva benissimo che attendevano solo la fatidica domanda, e aveva paura a pronunciarla.
- Dov’è Fira?
Una delle donne sedute al tavolo scoppiò a piangere. Il compagno vicino le accarezzò gentilmente la schiena, scossa dai singhiozzi.
Il Gran Maestro sospirò pesantemente. Aveva pregato Rikle fino all’ultimo che i suoi dubbi fossero infondati. Si voltò verso il ragazzo seduto alla finestra che gli confermò tutto con un cenno della testa.
- Ho sentito la sua vita spegnersi durante la notte. Non ha sofferto, il mio signore Rikle ha accettato subito la sua anima.
Treman si chiedeva spesso come un sacerdote del dio della morte potesse sopportare quel genere di potere e apparire così tranquillo, ma non disse nulla al riguardo. Gli bastava sapere che l’amica non aveva sofferto.
- Come? - Si limitò a chiedere, e pregò che la risposta non fosse quella che si aspettava. Non di nuovo.
- Il suo corpo è stato ritrovato stamattina nel suo tempio. È stata attraversata da parte a parte con uno stocco. Un lavoro pulito e veloce. Troppo. Non è modo del culto di Thoga.
Ancora una volta il maestro passò sopra la freddezza del giovane sacerdote.
- Ti ringrazio, Frevek… Chi l’ha trovata?
- Freid. – A rispondere stavolta fu Valk. - Povera ragazza, era sconvolta… è così giovane, Fira aveva ancora tanto da insegnarle.
- È ancora troppo presto perché lei prenda il suo posto… - Sospirò Treman.
- Lo dimostra il fatto che non si sia presentata oggi. - L’incappucciato prese parola per la prima volta, senza smettere di sfogliare il suo libro.
A quel punto la donna in lacrime esplose: - Un po’ di comprensione, ha solo sedici anni! Non deve essere facile questa situazione, per lei! Non è facile, per nessuno di noi...
- Non è una giustificazione, Ners. – La voce dell’uomo era pacata, ma la donna rabbrividì comunque quando pronunciò il suo nome.
- Scossa o meno, ora ha una responsabilità molto grande sulle spalle. Non ho mai approvato la scelta di Fira di nominarla suo successore. Ricordati che avrà anche il compito di guidare l’esercito di Zotarog in caso di guerra. Se si dovesse scoprire che si è trattato di un sotterfugio dei fedeli di Thoga, le toccherà combattere in prima linea.
A quelle parole dell’incappucciato, tutti si voltarono verso uno dei sacerdoti seduti al tavolo, vestito di bianco, con cucito sulla veste uno stemma argentato rappresentante un fiocco di neve.
Lui ricambiò lo sguardo di ognuno, gli occhi gelidi: - Fira aveva fiducia in Freid. Ora è gran sacerdotessa di Zotarog della città di Rie, il nostro parere non vale nulla. In quanto gran sacerdote di Zotarog della città di Kerneval, darò alla ragazza tutto il mio appoggio. Ciò non toglie… - Si fermò un attimo, guardando Ners. - …che il metodo con cui Fira è stata uccisa sembra lavoro da uno dei nostri, Freid aveva un motivo per volerla morta ed è stata la prima a trovarla. Se ci saranno indagini riguardo all’omicidio, e ci saranno, Freid verrà considerata uno dei sospettati.
Ners sussultò e gli scoccò un’occhiataccia: - Un vero sacerdote del dio del ghiaccio, eh?! - Si alzò rovesciando a terra la sedia, e abbandonò la stanza. I presenti, tranne l’incappucciato e Frevek, iniziarono a mormorare indignati, ma ad un’occhiataccia di Treman si zittirono.
Il gran maestro rimase qualche secondo in silenzio a riflettere. Vedere la sacerdotessa della dea della speranza in quelle condizioni l’aveva sconvolto.
Come se gli avesse letto nel pensiero, l’incappucciato parlò: - I sacerdoti di Malay sono sempre così emotivi...
Treman trattenne il fastidio e la rabbia: - Innominato… - si alzò con calma, avvicinandosi al divano. - Non abbiamo nulla da ridire sul suo… come dire… modo di prendere così alla leggera la perdita di una collega. Tuttavia, non ci dispiacerebbe se potesse trattare con più rispetto i sentimenti di chi teneva a lei. Ners era una grande amica di Fira.
L’uomo chiamato “Innominato” scoppiò in una fragorosa risata: - Amica! L’unica cosa che impediva a quelle due di essere più che “amiche” era il voto insensato a cui sono costretti i fedeli di Zotarog. - Chiuse il libro di scatto. Tutti sussultarono a quel gesto.
Treman se lo trovò di fronte. Deglutì senza neanche accorgersene.
- Suvvia! Cosa sono quei musi lunghi? Erano decenni che non accadeva qualcosa di interessante in questa terra così noiosa… e ora che finalmente le acque hanno iniziato a smuoversi sapete soltanto lamentarvi e piangere per una piccola perdita? - Per un attimo, tutti videro i suoi occhi color ghiaccio. Incrociò i loro sguardi uno ad uno e sembrava parecchio divertito, benché il suo viso non fosse visibile.
Treman sentì montare la rabbia e poteva avvertire anche quella dei suoi compagni ma sapeva che nessuno avrebbe mosso un dito contro l’Innominato, cosa che sapeva lui stesso.
 Quelli erano gli occhi di qualcuno che sapeva bene di poter vincere in qualunque momento, di chi non temeva di affrontare i suoi pari perché, a conti fatti, pari non erano. Li stuzzicava, sapendo che non avrebbero mai reagito, troppo spaventati da quel potere che possedeva solo lui, il sacerdote della Voce, divinità creatrice di Stylamid e i loro, di poteri, potevano manipolare tutto ciò che era terreno, ma non qualcosa di intoccabile come la “Parola”. Un potere misterioso, che in quel regno assumeva ancora più valore e forza.
- Forse questa riunione è stata indetta troppo presto… - L’Innominato fece un passo indietro. - Vi lascerò metabolizzare la morte della vostra amica e piangere la sua perdita finché lo riterrete necessario. Indagate pure e, quando ci saranno novità, avvertitemi pure. - Voltò le spalle a tutti e uscì dalla stanza.
Treman si rese conto che l’atmosfera pesante che aveva avvertito all’inizio era svanita, lasciando spazio solo a dolore e ad un senso di vuoto che aleggiava nei cuori dei presenti, non solo in quel posto rimasto libero tra di loro.
Tutti avevano all’incirca iniziato il loro incarico nello stesso periodo, erano cresciuti assieme come apprendisti, poi come sacerdoti ma soprattutto come persone e ora una di loro non c’era più. Treman sapeva, tuttavia, qual era la domanda che stava passando tra le loro menti: “Quanto tempo passerà prima che tocchi anche a me?”
La sua mano si avvicinò d’istinto al medaglione che portava al collo, a forma di goccia d’acqua: - Uria, proteggici tu…
 
La nevicata di era fatta più intensa, per un momento l’Innominato ebbe l’impressione che Zotarog stesso stesse piangendo la morte della sua sacerdotessa. Era quasi l'alba ma il cielo era grigio e cupo, i fiocchi ricoprivano i tetti colorati delle case di Kerneval e le strade, rendendole impraticabili. Per fortuna, o sfortuna, dipendeva dai punti di vista, la gente del luogo era abituata a quelle situazioni. Erano le giornate che l’Innominato preferiva: la città era più tranquilla, la gente rimaneva a casa a scrivere o a leggere, magari davanti ad una tazza di cioccolata fumante.
Le prime persone iniziavano ad aprire le finestre per respirare quell’aria fresca che per loro sapeva di casa per poi sfregarsi le mani in vista di una giornata proficua per le loro opere. Scrittori, compositori, pittori e artisti di ogni genere. Questo erano gli abitanti di Kerneval, se non erano artigiani. Questi ultimi, invece, sicuramente sarebbero usciti e avrebbero aperto le loro botteghe. Non avrebbero avuto molti clienti, ma si sarebbero dedicati lo stesso al loro lavoro.
“In fondo, per questa gente, lavorare equivale a rilassarsi.” Alzò le spalle, sorridendo divertito sotto al cappuccio, e prese la via per il suo tempio.
Una figura dai capelli neri correva nella sua direzione, per quanto la neve potesse permetterle di farlo. Il fermaglio blu a forma di piuma che le fermava il ciuffo era inconfondibile. Per la fretta, lo superò senza notarlo.
- Signorina Halarin! - La chiamò.
Lei si voltò di scatto, irrigidendosi alla sua vista: - Buongiorno, signore. - Stava chiaramente tentando di fingersi tranquilla, ma lui riuscì lo stesso a cogliere dei cenni di nervosismo.
Lui trovò divertente la cosa. Osservò le occhiaie sotto quegli occhi di un blu particolarmente scuro.
- Notte in bianco, vedo. Come procede il suo romanzo?
- A rilento, signore. Come sempre… - Lo sguardo della giovane sembrava quasi disperato.
- Faccia un salto al mio tempio, se ha bisogno di aiuto. Sarò lieto di accoglierla, e di sicuro anche il mio dio.
- Lo farò di sicuro. Grazie, signore. - Sembrava avere parecchia fretta.
L’Innominato, sotto il proprio cappuccio, sorrise: - Vada pure ad aprire il negozio, prima che arrivi Donai. Buona giornata, signorina.
- Buona giornata a lei. - La ragazza si allontanò.
Mentre passava sotto un lampione, la luce sembrò per un momento colorare d’oro il fermaglio che aveva tra i capelli.
Lo sguardo del sacerdote si illuminò della stessa luce e un ghigno si dipinse sul suo volto, che nessuno poteva vedere.
- Allora ci siamo, eh…? - Rivolse lo sguardo al cielo, mentre i lampioni si spegnevano. - Si prospetta una storia… interessante. - Fu la prima volta, dopo anni, che l’Innominato pronunciava quella parola.

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Questa storia è già presente nel mio profilo Wattpad (Risia99), ho voluto tornare un po' alle origini e riprendere anche a pubblicare qui su EFP, spero la mia storia vi piaccia e vi incuriosisca! Potete trovarmi anche su IG (risia_writer, ho una tartaruga come foto profilo) per saperne di più su questa mi ambientazione!

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Capitolo 2
*** La Coppelia ***


Looking through the glass find the wrong within the past knowing
Oh, we are the youth
Cut until it bleeds inside a world without the peace, face it
A bit of the truth, the truth
(Natural- Imagine Dragons)
 

Miell giunse davanti alla bottega. Era sicura di avere la neve fin dentro gli stivali, e anche dentro i vestiti. Prese un grosso respiro. L’incontro con l’Innominato l’aveva sconvolta. Perché aveva dovuto incontrarlo proprio quel giorno?
Aveva ripromesso a se stessa di non recarsi mai più in quel tempio, benché fosse una grande fedele della Voce. L’ultima visita in quel posto le sarebbe bastata per tutta la vita e le seguenti tre reincarnazioni. Cercò di non pensarci, aveva cose più importanti di cui occuparsi. Osservò l’insegna sopra la sua testa, a forma di bambola meccanica, provvista anche di chiave dietro la schiena. Tra le mani la bambola teneva una targa con il nome del negozio: Coppelia.
Miell inserì la chiave nella serratura della porta ed entrò, facendo suonare il campanello.
La prima cosa che colpiva era sempre il forte odore di legno che la bottega emanava, seguito dal suono delle lancette di orologio e di ingranaggi che ruotavano, infine i colori e la bellezza degli oggetti che decoravano gli scaffali.
Respirò profondamente quell’atmosfera piacevole e accogliente, entrò e si chiuse la porta alle spalle facendo suonare di nuovo il campanello sopra di essa. Si avvicinò al bancone in fondo al negozio, la sua postazione di lavoro, e si sedette. Con una chiave più piccola aprì uno dei cassetti, che conteneva un grande libro rosso: il registro di lavoro. Miell controllò le prenotazioni da consegnare quel giorno. Erano solo due. Si assicurò che fossero pronte, già al loro posto negli scaffali alle sue spalle.
Nonostante il brutto tempo, era sicura che i clienti sarebbero arrivati per ritirarli. La Coppelia era una di quelle poche botteghe che riuscivano a lavorare anche in quelle giornate.
Prese il proprio taccuino, che mischiava appunti di scrittura a quelli di lavoro. Appuntò gli orari di ritiro dei due clienti e iniziò a sistemare:
accese il camino, pulì i pavimenti dai residui di polvere e legno lasciati dal suo padrone, mise in ordine la merce spolverandola con cura e tolse quegli oggetti che avevano bisogno di un restauro, portandoli sul retro. Infine, riordinò la vetrina, sostituendo le creazioni vecchie con quelle nuove. Le prime finirono sugli scaffali al posto di quelle da restaurare.
Alle 7:30 in punto, girò il cartello appeso sulla porta e, mentre tornava dietro al bancone, la porta si aprì.  
- Buongiorno, signor Nadier.
- Miell, puntuale come sempre, vedo. - Il proprietario le rivolse un sorriso gentile.
Lei, con prontezza, lo aiutò a togliere il mantello, che mise ad asciugare vicino al camino, prima che la neve bagnasse la merce.
Il bottegaio si sistemò la camicia bianca e si diresse verso il retro, dove aveva il suo studio.
Miell alzò gli occhi al cielo. Per Donai Nadier non esisteva altro che il suo lavoro, non si preoccupava neanche di controllare che il negozio fosse in ordine, e non si capiva se avesse solo fiducia in lei oppure lo facesse per pura distrazione.
Quando il mantello fu asciutto, Miell lo appese accanto al proprio e corse a sbirciare sul retro.
 Nadier stava osservando con i suoi profondi occhi color miele le creazioni da restaurare, le prendeva delicatamente con le mani pallide, e scelse infine quella messa peggio. Non la notò mai, si sedette al banco da lavoro, dandole la schiena, e iniziò il restauro.
A Miell piaceva osservarlo intagliare il legno, così da memorizzare le tecniche e i gesti. Eppure, non trovava nulla di speciale in ciò che faceva. Come facevano le sue opere ad essere migliori delle altre…? Miell non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo, ma era sicura che Nadier fosse una di quelle rare persona a Stylamid ad essere dotato di quella che, a volte, veniva chiamata “magia”, un dono che spettava solo a chi amava con tutto il cuore creare.
Era gentile, dolce e di buone maniere, ma per qualche motivo la intimoriva. Di sicuro, c’era qualcosa di strano in lui.
Il campanello della porta suonò e fu costretta a tornare in negozio.
- Signora Sanir, buongiorno.
- Buongiorno, signorina Halarin. Ciò che avevo ordinato è pronto?
- Ma certo. - Miell recuperò una scatola dagli scaffali alle sue spalle. Era celeste e rotonda, molto elegante. La aprì e ne uscì un carillon a forma di zucca, ma trasparente, come fosse fatto di cristallo. Per dimostrare che funzionava, Miell fece girare da una chiave argentata posta dietro al carillon e la zucca si aprì, facendo partire un valzer. All‘interno una carrozza si muoveva girando, sei cavalli sembravano trainarla e muovevano le zampe come se fossero reali.
La donna osservò meravigliata: - È meglio di come lo immaginavo…
- È un regalo per la sua figlioccia, vero?
- Oh, sì! Oggi compie la maggiore età, la portiamo al teatro “La Fiamma Eterna” per uno spettacolo. Pare che sia arrivato un nuovo direttore musicale da Eugeyus, per una serie di spettacoli di una settimana. Per fortuna siamo riusciti a recuperare i biglietti di oggi per tempo! Andiamo allo spettacolo e poi facciamo una piccola festa a casa.
Mentre ascoltava la donna, Miell richiudeva con cura il carillon e lo riponeva nella scatola, per poi incartare il tutto: - Le faccia gli auguri da parte mia.
- Grazie, cara. Quanto ti devo?
 
Durante la mattinata si susseguirono altri due clienti: il signor Tremet, che venne a ritirare un orologio a cucù, e un giovane uomo che guardò gli oggetti esposti senza però comprare nulla. A Miell sembrò una stranezza, in un primo momento, perché era raro che qualcuno uscisse per una passeggiata quando a Kerneval c’era brutto tempo. La ragazza, per la maggior parte del tempo, si dedicò al suo romanzo, o almeno ci provò: scriveva e cancellava subito dopo, sporcandosi ancor di più le mani di inchiostro nero. Non riusciva a venire a capo di una scena d’azione, e la cosa la faceva quasi ridere. Era possibile che un’esperta di scherma come lei non riuscisse a descrivere un duello? Lasciò perdere quando l’orologio a cucù del negozio, che faceva cantare un gufo al posto del classico uccellino, segnò il mezzogiorno.
Nadier uscì dal suo studio, i vestiti sporchi di trucioli, polvere e vernice.
- Signor Nadier, ha di nuovo scordato il grembiule?
Con l’espressione di chi cadeva dalle nuvole, l’uomo abbassò lo sguardo sulla propria camicia: - Che sbadato! Di nuovo…
Con una spazzola, Miell riuscì a ripulirlo almeno un po’ ma non poteva fare molto per le macchie.
- Grazie comunque, Miell. - Le sorrise il proprietario: - Che dici, andiamo a pranzo? Sto morendo di fame.
- Molto volentieri, signore. “Cigno Bianco”?
Nadier non dovette neanche risponderle. Recuperarono i mantelli, voltarono il cartello di chiusura  ed uscirono dal negozio, dando due mandate alla porta.
Si diressero verso la locanda più famosa della città, “Il Cigno Bianco”, posto vicino al teatro “La Fiamma Eterna”. Lì  alloggiavano molti ospiti importanti provenienti da fuori, e dopo gli spettacoli il locale si riempiva sempre di gente.
Era una struttura su tre piani, fatta con pietre di varie gradazioni di bianco e grigio. Anche dentro i tavoli, il bancone, le mensole e i mobili delle camere, che erano in legno, avevano le stesse sfumature di colore.
Il vecchio Florest, il proprietario, era intento a pulire. Era una giornata molto tranquilla e con pochi clienti, Miell pensò che l’uomo stesse approfittando per sistemare il tutto alla perfezione.
Quando li vide entrare, un caloroso sorriso si dipinse dietro la sua folta barba grigia: - Oh, bentornati! Non speravo di vedervi, oggi.
- Buongiorno, Florest. - Nadier ricambiò il sorriso dell’amico.
Miell chinò il capo, rivolgendosi a lui con il suo cognome: - Signor Auror, buongiorno.
- Buongiorno anche a te, Miell.
Si sentì un forte rumore di stoviglie dalla cucina e qualcuno ne uscì di corsa, un ragazzo dai grandi occhi verdi. Miell arrossì, quando lo vide, e anche le guance di lui si colorarono.
- Ciao, Miell…
- Buongiorno, Willis…
Sulla stanza scese un silenzio imbarazzante, interrotto dopo pochi secondi dai due adulti.
- Il solito Florest, grazie.
- Arriva subito, Donai. Willis, i piatti sono ancora integri? - Il locandiere trascinò di nuovo il ragazzo in cucina.
Miell e il suo capo si accomodarono al loro tavolino preferito: posizionato proprio a metà tra il camino e il bancone, vicino ad una delle grandi finestre ad arco che adornavano le pareti.
Così potevano godere dello splendido panorama della città innevata, ma anche parlare con Florest e i clienti che si sedevano al bancone.
Quando si furono seduti, Florest servì loro dell’idromele.
- Allora, Miell, abbiamo avuto molti clienti oggi?
- Oggi no, signor Nadier. La signora Sener e il signor Tremet sono venuti a ritirare i loro ordini. È passato anche un uomo, non credo fosse di queste parti. Non ha comprato nulla però.
- Sembrava interessato?
- Molto. Credo tornerà.
Willis li raggiunse e servì loro il pranzo. Miell cercò di evitare il suo sguardo, con la scusa di ere un sorso di idromele. Quando si fu allontanato, tornò a respirare in modo normale.
Nadier sorrideva divertito: - Dovresti dargli almeno una possibilità.
- Ho già abbastanza pensieri signore, lo sa. Non ho tempo per questo genere di cose.
- Ma Willis è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle e un buon lavoro. Hai già vent’anni, Miell, devi iniziare a pensarci, e raramente si trovano ragazzi come si deve a Kerneval.
- Lo so bene… - Miell tagliò un pezzo di pollo e se lo mise in bocca.
Non dissero più nulla sull’argomento.
Poco dopo sentirono la porta aprirsi e una folata di vento gelido li fece rabbrividire.
Miell si voltò e vide cinque individui con la divisa della guardia cittadina. Lo trovò molto strano, di solito le ronde erano composte da un massimo di due membri.
“Deve essere successo qualcosa…”
Willis si avvicinò, mentre si puliva le mani su uno straccio: - È arrivata la notizia solo stamattina. La sacerdotessa Fira è stata trovata morta. - Sussurrò.
Fu la prima volta in cui Miell vide l’espressione di Nadier farsi seria e cupa.
- Cause naturali?
- Omicidio.
Calò il silenzio, finché Miell non ebbe il coraggio di chiedere: - Thoga?
- Stavolta non si sospetta di loro, no. È un lavoro troppo… pulito, ecco. - Willis torturava lo straccio tra le mani mentre parlava: - Un colpo solo da dietro, con uno stocco.
Miell perse la presa della propria forchetta, che cadde con un tonfo nel piatto. I due si voltarono a guardarla, con sguardo preoccupato.
- Scusate…- Tentò di riprendere la solita compostezza, recuperò la forchetta ma aveva ormai perso l’appetito. Lo stomaco le si era chiuso all’improvviso. - I quindici si sono riuniti stamattina presto. Sieg ha fatto subito partire le indagini, tra i sospettati c’è Freid, che succede a Fira come Gran Sacerdotessa di Zotarog a Rie.
Miell si ricordò del suo incontro con l’Innominato di quella mattina. Ora che si fermava a rifletterci, erano proprio vicino al Palazzo dei Quindici quando si erano incrociati.
- Beh, se davvero non si tratta del culto di Thoga siamo almeno sicuri che non scoppierà un’altra guerra. L’ultima se la ricordano ancora in molti.
Florest si avvicinò: - Se si trattasse del culto di Thoga, sapremmo almeno cosa aspettarci, Donai. -  Li guardò tutti e tre dritto negli occhi. - Se non si conosce l’entità di un problema, è impossibile sapere quali saranno le conseguenze.
A quelle parole, Miell rinunciò in modo definitivo al suo pranzo. Poggiò coltello e forchetta nel piatto ancora mezzo pieno: “Con uno stocco, eh…?”
 
Si sentì al sicuro solo dopo essersi chiusa la porta alle spalle.
Il cammino verso casa era stato un continuo guardarsi attorno, il pomeriggio in negozio era sembrato durare un’eternità, mentre era intenta a guardare con sospetto ogni persona che passava davanti alla vetrina.
Non è detto si tratti di loro…” Continuava a ripetersi, ripensando alla povera Fira. Ma più cercava di rassicurare sé stessa, meno ci credeva.
Accese il camino del salotto e andò a cambiarsi, indossando già il pigiama per la notte. Quando tornò nella sala, ormai riscaldata, si avvicinò alla mensola posizionata sopra al caminetto e recuperò uno scrigno bianco e argentato posato su di essa. Si accomodò sul divano, la gambe incrociate, e lo aprì.
Per lo più conteneva lettere, tutte senza mittente ma con segnato solo il destinatario: sempre stesso nome, cognome differente, tutti scritti con la stessa calligrafia. L’ultima data riportata era quella del 12 Luglio 1224, un anno prima circa, ad un indirizzo di Venize, altra città del regno di Utea. Ogni lettera riportava un indirizzo diverso di destinazione, ognuno dei quali colpiva Miell al cuore.
“Miell Hissel, Via dell’unicorno, n°2, Ambria, Gegmar.”
“Miell Homber, Via Ondina, n°10, Lavie, Eugeyus.”
“Miell Herbor, via Scarabeo, n°25, Orise, Ashenstral.”
“Miell Honten, Via delle farfalle, n°3, Venize, Utea.”
Le ultime due lettere non erano ancora state aperte.
Miell le ripose sul tavolo e guardò di nuovo dentro lo scrigno. Sotto le lettere vi era un pugnale, blu cobalto con rifiniture d’oro. Lo prese con delicatezza e ripose anche quello sul tavolino.
Infine, sul fondo si trovavano delle foto: una mostrava lei, cinque anni prima, insieme a un ragazzo piuttosto muscoloso e una ragazza molto bella con un caschetto; in un’altra lei sorrideva rivolta all’obiettivo, accanto ad una ragazzina dallo sguardo cupo e l’espressione timida; si soffermò un po’ di più su una foto in cui abbracciava un giovane dai capelli lunghi, molto magro, elegante e dal sorriso carismatico. Sentì gli occhi pizzicare ma cacciò indietro le lacrime.
Osservò l’ultima foto, con lei e gli altri quattro ragazzi messi in prima fila, in ginocchio, con in mano di ognuno uno stocco e appeso al fianco un pugnale, tutti con la stessa divisa. Dietro di loro, cinque uomini, uno dietro ogni giovane. Guardò con malinconia quello posizionato dietro di lei, con sguardo autoritario e una posa ritta e composta.
Si asciugò una lacrima che aveva iniziato a caderle lungo la guancia.
Qualcuno bussò alla porta.

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