Appel du vide

di _Alcor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I ***
Capitolo 2: *** Atto II ***
Capitolo 3: *** Atto III ***
Capitolo 4: *** Atto IV ***
Capitolo 5: *** Atto V ***



Capitolo 1
*** Atto I ***


[Caelum Rothschild]







Scavalco il tronco che ingombra il sentiero, solo poche foglie secche sono rimaste attaccate ai rami, il resto si è perso nel tappeto di vegetazione bassa. Inspiro l’aria carica dell’odore della montagna alla ricerca di una nota inusuale: muschio, umido, piante… Passo troppo tempo in città per poter notare davvero qualcosa.

Piego la mappa disegnata da Josh. «Yelena, ci sei?»

«Ar-arrivo!» La mantella bianca della donna spunta da oltre la curva, mi tende il braccio tremante e incespica. Di questo passo finirà per stramazzare del tutto.

Tiro fuori l’orologio dalla tasca dei pantaloni, faccio scattare la levetta. Il coperchio dorato si apre, sedici e cinquantatré. Josh doveva rientrare da quattro ore e passa. Quel cretino finirà per far venire un infarto a sua madre a forza di sparire così.

Yelena mi raggiunge e piazza le mani sulle gambe, tira un paio di respiri profondi.

Ricaccio il cipollotto in tasca. «Stai bene?»

«Ce-certo, un momento.» La fatica rende più evidente il suo accento inusuale, non riesco a capire quella r così marcata da dove potrebbe venire. Tira fuori dalla tracolla la borraccia.

«Tutto il tempo che ti serve, riorganizzo le idee intanto.» Stendo la mappa e passo le dita sulle entrate al sistema di cave sotterranee, ne abbiamo controllate solo due delle quattro che ci sono state assegnate. Entrambe inagibili a seguito dei crolli degli ultimi mesi.

Scaccio il timore improvviso che mi stringe la gola, Josh avrà perso di vista l’orario e basta.

Yelena tira giù il cappuccio: le iridi punteggiate di bianco sono velate di sudore, si stacca le ciocche nere dalla guancia e porta la borraccia alle labbra. La scuote, non esce nemmeno un filo d’acqua.

Fortuna che le avevo detto di riempirla al mulino quando ci siamo fermati. Sciolgo il nodo che lega la mia alla cintura e gliela passo. «Tieni.»

La prende e si avventa sul tappino come un disperato rimasto nel deserto per giorni. Manda giù due grossi sorsi e si pulisce le labbra con il dorso della mano. «Hanno detto niente, gli altri?»

Lancio un’occhiata oltre le fronde che nascondono il cielo plumbeo, anche se non ne ho davvero bisogno. Il fischio degli schermitori non si è alzato e non ci sono state tracce di luci di segnalazione. «Per ora no.» Ricontrollo la mappa, la prossima entrata è nascosta dietro la statua alla Guardiana che sconfigge il linnormr.

La indico con il dito. «Andiamo qua.»

Yelena allunga il collo. «Non è nel territorio che appartiene ai Keller, quella?»

«La proprietà privata non ha mai fermato il buon Josh.»

«Sì, ma quella è la famiglia del reggente!»

Scrollo le spalle e le tendo la mano, me la stringe e scavalca il tronco. Il vento freddo mi smuove la giacca della divisa, alzo il bavero per ripararmi.

«Caelum!» Yelena si avvolge la mantella addosso, la voce è insicura. «È okay permetterglielo?»

«Non proprio, ma non possiamo farci molto.» Il sentiero si trasforma in una striscia polverosa incuneata tra il fianco della montagna e la boscaglia. Oltre la macchia verde svettano le mura di legno della residenza di caccia del reggente. Per come guida il paese, mi aspetto che si rintani metà dell’anno lì dentro.

Yelena mi tira una spallata. «La spada ve la danno per gioco, quando vi unite all’ordine?» scherza.

«Ci danno spada, il guardaroba totalmente rosso e il nuovo nome in lingua antica. E solo per aver giurato di servire per un anno la Dea!» Ricambio la spintarella. Si sbilancia di lato e tende le braccia avanti per non sfacciarsi contro la parete rocciosa. Serro le labbra, se scoppio a ridere rimarrà offesa per i prossimi tre giorni.

«Cretino.»

«Scusa, è che prendi il volo con nulla…»

«Lo prenderò come un complimento.» Sbuffa, riccioli neri le sono andati in ogni direzione. Quasi capisco cosa intende Ardens quando la chiama graziosa, vederla agitarsi riattiva il bulletto in me che ho sepolto da anni.

Sarà il caso di seppellirlo di nuovo, gli schermitori della Guardiana proteggono le persone, non le agitano per divertimento.

Sul bordo della strada pende un cartello di legno marcio, muschio giallo ne ha ricoperto le incisioni al punto di renderle illeggibili. Il sentiero si divide in due, uno sparisce in mezzo alla boscaglia, l’altro sale e si trasforma in una scalinata ripida scavata nella pietra.

Rimango in testa, qualcosa mi scricchiola sotto le suole. Decine di stelle di cristallo sono state innestate nei gradini. Non c’erano l’ultima volta che nonno mi ha portato qui, qualcuno teme parecchio il ritorno del linnormr per aver costellato il passaggio dei passi della Guardiana.

Le pietre si illuminano di bagliore azzurrognolo al nostro passaggio. La via si inerpica sulla parete e sparisce nel fitto di un’altra macchia verde, due alberi dai tronchi intrecciati fungono da entrata al luogo di culto.

Tasto l’orecchino destro, il perno mi punge il pollice. Guardiana fa che Josh stia bene.

Yelena caccia un sospiro affaticato. «Hai detto qualcosa?»

«No.» Abbasso la testa e passo sotto il varco. «Coraggio, risparmia il fiato, ci siamo quasi.»

Pochi raggi di luce filtrano attraverso le fronde fitte, nella penombra i passi sembrano una via di stelle. Proseguiamo in silenzio finché la strada non si allarga in una piazzetta di pietra circolare, dove centinaia di pietruzze incastonate a terra imitano il cielo notturno.

Tre panche di legno sono posizionate in semicerchio intorno alla Guardiana che sconfigge il linnormr, Yelena ci passa in mezzo e si ferma di fronte alla statua della donna che brandisce una torcia in fiamme. Il serpente mitologico la sovrasta con le zanne scoperte e pare sul punto di lanciarsi su di noi.

Il cinguettio degli uccelli arriva ovattato qui dentro, il reggente si è dato parecchio da fare per rendere il posto perfetto per le meditazioni. Un sospiro leggero mi accarezza l’orecchio; è graffiante e non riesco a identificare cosa stia dicendo, ma sembra una voce.

Non che ci sia qualcun altro oltre a noi, qui…

Me lo sarò immaginato.

Spiego la mappa, in linea d’aria l’entrata della grotta sotterranea sembra essere dietro la statua. Ci giro intorno, l’erba oltre la piattaforma è stata calpestata di recente.

Ottimo, andremo di qu–

«Non va bene,» mormora Yelena.

Le scocco un’occhiata. Si ricorda che stiamo cercando un disperso?

Accarezza il corpo del linnormr, le scaglie della bestia sono state a malapena accennate nella pietra. «…dai testi che ho letto, si pensa che sia stato Mons mille e passa anni fa ad ucciderlo.»

Trattengo una risata. «Dubito che il traditore abbia fatto fuori la bestia della montagna.»

«Traditore?» Yelena ritrae la mano, assottiglia gli occhi in quella maniera da mamma offesa che non fa paura a nessuno. «Non penserai che solo perché non ha rinnovato il giuramento alla Dea, sia un traditore

Scuoto la testa, seguo le tracce di erba pestata e alzo appena la voce. «Non conosco uno schermitore che, dopo aver preso per la prima volta il voto, non l’ha rinnovato ogni anno.»

«Poteva avere un sacco di ragioni!»

Uno scintillio balugina tra gli alberi. Uno dei rami bassi è incurvato dal peso di un fagotto di cuoio lucido, dalla borsa pende una piastrina ovale familiare. Lo tiro giù e giro il pezzetto di metallo.

Complimenti per essere sopravvissuto ad essere sepolto vivo, per favore non farlo più. Non sopravviverei io a un'altra esperienza così. Con odio, Marie-Anne.

Sua sorella poteva evitare di spendere i soldi nell’incisione… ma almeno sappiamo che è qui. Un sussurro serpeggia tra gli alberi, porta di nuovo quel suono graffiante.

Chissà cosa lo sta producendo.

Yelena mi bussa con le nocche tra le scapole. «Cael, parliamone.»

«Buona un attimo.» Alzo la mano per zittirla e seguo le tracce di erba disturbata. Trovo la fenditura nel terreno tra le grosse radici di albero bianco. Poso il fagotto di cuoio accanto all’entrata e mi inginocchio, poggio l’indice accanto a un lato del varco e stendo il pollice.

Il passaggio è parecchio lungo ma largo poco più di una spanna, neanche un animale si infila in un posto simile di sua volontà. Josh sei un tale coglione.

Dentro sembra esserci più spazio, forse ci potrebbe stare un adulto seduto comodamente, magari anche due. Un solo ragno intreccia fili pallidi allo scheletro di una ragnatela. Pochi grumi scuri di tela punteggiano i muri, ma non c’è nessun altro animaletto al lavoro.

«E lì?» Dalle mie spalle arriva la voce di Yelena.

Mi faccio da parte. «Mancano almeno tre settimane di ragnatele, dimmi tu.»

«Okay, chiaro.»

Il sussurro graffiante si ripete, arriva da dentro la fenditura. Un riflesso arancione illumina la parete, una mano che regge una lanterna spunta da un cunicolo, seguita dalla testa castana di Joshua.

Rivolge lo sguardo all’uscita, le iridi viola brillano di soddisfazione. Il sorriso gli si congela sul viso. «Ho fatto tardi?»

Tiro un sospiro di sollievo. «Sì.»

Arriccia il naso, una smorfia addolorata gli distorce il viso sporco di polvere. «Quanti di voi ha sguinzagliato?»

«Giusto un paio di volontari e tre schermitori, sappiamo che sei un cretino.»

Joshua poggia la lanterna su un punto regolare e mette le mani sul bordo del buco da cui è emerso, si issa fuori dal cunicolo stretto. «Mi sdebiterò, promesso.»

«Ah sì? Mi metti una buona parola con Marie-Anne?»

«Non ti avvicinare a mia sorella, tu!»

«Allora mi accontenterò della treccia che fa tua madre ogni volta che ne combini una delle tue.» Mi alzo, caccio la mano in tasca e prendo il fischietto.

Lieto fine.





Scendo le scale e mi stropiccio gli occhi, la luce del mattino illumina le mura della sala comune. È una settimana che quei sussurri graffianti mi tormentano a ogni dannata ora; se non riesco a infilare un paio di ore di sonno decenti sarò un relitto quando, tra tre giorni, ci sarà il rinnovo del giuramento.

Sbadiglio senza coprirmi la bocca e costeggio il muro, razziare la scorta di alcolici del capitano sta diventando un’opzione sempre più allettante. Considerando che non ne bevo un goccio da anni, finirei rovesciato solo a sentirne l’odore.

Yelena è in fondo alla stanza davanti al camino spento, mi dà le spalle e mette in fila, come se fossero un piccolo esercito, i sette gufi di legno che ho intagliato. I più sono a malapena sbozzati, perché li ho interrotti dopo aver fatto qualche errore idiota.

Appena torno dal ritiro, li rifinirò e lascerò ai piccoletti che ronzano sempre intorno a Josh.

Yelena gira la testa. «Giorno.» Accenna un debole sorriso, un paio di occhiaie vistose le segnano il volto. La maglia le arriva a metà coscia e le sta larghissima… è una di quelle di Ardens?

«Ehi.» Il sussurro graffiante si insinua nella stanza, arriva da lontano. Mi mordo la guancia per non pensarci. «Il gigante non ti ha lasciato dormire?»

«Non l’ho lasciato dormire.» Si gratta la guancia, incassa la testa tra le spalle per farsi più piccola. «Ha provato ad aiutarmi tutta notte a prender sonno ma la situazione non si è sistemata… Con l’orario che si è fatto, ho preferito lasciarlo recuperare un po’.»

Siamo nella stessa situazione… «Incubi?»

«Non proprio.» Batte il dito su uno dei gufetti di legno. «Sono la tua offerta per il giuramento?»

È una richiesta di cambiare discorso?

Alzo le spalle. «No, quello buono è al sicuro nella mia stanza.»

«Ne hai intagliati otto?»

«Ne ho sbagliati sette.»

«La cerimonia dura a dir tanto due minuti, ti stai impegnando nelle cose più sbagliate.»

Quanto vorrei che il suo modo di rilassarsi non fosse mettere in discussione le mie scelte di vita. «Quando mi presento alla Guardiana le lascio il mio nome e una offerta che mi rappresenta.»

«Quindi?»

«Quindi se non mi impegno a preparare un’offerta che mi rappresenta davvero, che senso ha mettersi a giurare di difendere l’umanità?»

«Cael… ne avevo il dubbio, ma sei scemo?»

Il sussurro graffiante copre la sua voce, le si irrigidiscono le spalle. L’ha sentito anche lei! Incontro i suoi occhi spalancati, ma distoglie lo sguardo senza spiaccicare parola. Il motivo per cui non riesce a dormire sono quei suoni!

«Altro che incubo…» borbotto, mi passo una mano tra i capelli. Il sonno mi si è asciugato di dosso in un istante. «Abbiamo attirato l’attenzione di qualche spirito che vive nella montagna.»

Yelena scuote la testa. «Dentro la montagna, per la verità.»





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Capitolo 2
*** Atto II ***


[Caelum Rothschild]







Ardens poggia la schiena al tavolo della sala comune e allaccia la fibbia del colletto della divisa, l’ibisco stilizzato scintilla d’argento alla luce del mattino. Visto che il capitano Ferrum e il terzetto di novizi sono alla capitale, ci siamo tutti.

Un sospiro si intrufola dalla finestra, acuto come il gemito delle unghie contro il vetro. Gli occhi di Yelena corrono in direzione della montagna, anche se attraverso il muro di pietra non può vedere niente. Quelli grigi di Ardens la fissano da capo a piede, la bocca contratta in una smorfia preoccupata.

Farci prendere dall’ansia non serve a niente, batto le mani. «Dovremmo contattare la guardia cittadina per chiudere gli accessi alle grotte e tenerle sotto controllo.»

La presenza di un mostro così nelle vicinanze del centro abitato è abbastanza per appellarsi al diritto di guida, detenzione, interrogazione e punizione per conto della Guardiana. Ci mancano solo le prove della sua esistenza per poter costringere i soldati del reggente a darci una mano.

Ardens scuote la testa. «Elias non accetterà mai di ascoltarci, non senza avergli messo il mostro in braccio.»

«Vero… Significa che dovremmo scendere nelle grotte e accertarci della sua presenza noi stessi.»

«Magari non quello, il capitano Ferrum non approverebbe mai se ci mettessimo a rischio così. Dovremmo minimizzare…»

«Joshua ci gioca da una vita in quelle grotte, avrà disegnato delle mappe.» Mi metto la mano sotto al mento. Lui non ha mai dato segno di sentire quella voce, che sia possibile che io la senta solo per il legame con il divino?

Ma anche Yelena la sente e lei è una semplice storica, non ha mai preso voti o qualcosa del genere.

Ardens schiocca la lingua, si stacca dalla tavola. «Tu vuoi scendere in ogni caso.»

«Hai un’idea migliore?»

«No, ma a quel punto dovremmo recuperare tutto quello che serve per una spedizione simile. Potremmo dover neutralizzare la minaccia da soli, se le cose vanno male.» Corruga le sopracciglia, gli si vede in faccia che sta facendo la lista di quello che deve portarsi dietro.

Yelena mormora una serie di suoni strani, riconosco i sussurri graffianti che mi hanno tenuto sveglio nell’ultima settimana. Ha le mani a coppa intorno alle orecchie, gli occhi chiusi. Ripete quell’accavallarsi bizzarro di lettere, sulle sue labbra il suono è pulito e chiaro come se fosse madrelingua.

Abbassa le braccia. «È un dialetto antico della zona. Potrei tradurlo con… oh, porca putt– come si dice quella dannata parola?» Sbaglia un accento dopo l’altro, riconosco l’inflessione del sud nel come mastica i termini. Guarda Ardens alla ricerca d’aiuto, si scambiano un paio di frasi nella lingua alta della nobiltà.

Lui sospira, si passa una mano tra i folti capelli scuri. «Non ho un buon modo per tradurlo… è una parola che indica un dolore prolungato nel tempo patito da soli.»

Alzo un ciglio. Lo spirito si sta lamentando?

Pure Yelena sospira. «Non ho idea se sta chiedendo di essere ucciso o salvato, sembra il tipo di lamentela che fai senza aspettarti che nessuno ti senta.»

Qualsiasi cosa si trovi lì sotto, non è umana e non abbiamo nemmeno idea di quanto si trovi lì. «Saperlo non cambia molto, per ora.»

Yelena esita, sta centellinando talmente tanto le informazioni da rendermi impaziente. «Dalle informazioni che sono riuscita a reperire, quello della montagna potrebbe non essere uno spirito negativo.» Ardens la affianca e le mette una mano sulla spalla, incoraggiante, lei riprende: «Quel Joshua ha visitato le caverne da solo da tempo ed è ancora vivo, no? Da alcuni testi che ho letto, sembra che l’ultima azione che Mons abbia fatto sia stato calarsi dentro le grotte per affrontare il linnormr da solo.»

Fatico a crederlo. «Mons era un essere umano; mettendo anche che sia vero e l’abbia sconfitto. Son passati più di mille anni.»

«Eppure il linnormr non è più emerso da allora. E poi si dice che la gente che viene bagnata dal sangue di certe creature ne venga mutata.»

Serro le labbra. Il pensiero di rimanere bloccato per secoli al buio e da solo mi rende ansioso. Se davvero ci fosse una persona là sotto, sarebbe una crudeltà esitare oltre.





Svoltiamo l’angolo, il cortile di Joshua è invaso dalla solita gang di galline brune che spadroneggiano da mesi. Le più hanno messo le chiappe sui vasi vicino all’entrata della casetta e riposano tra i cadaveri dei fiori divelti. Un galletto becca un grumo di petali azzurri e sfrega il becco a terra.

Da sopra il pozzo di pietra, un gatto dal pelo lungo veglia su di loro.

Ardens si schiarisce la gola e fa un passo a destra, piazzato tra me e Yelena svetta come una torre tra due nani da giardino. Non ha ancora superato la volta che, a dieci anni, è stato inseguito e beccato, ma ci ha accompagnato lo stesso.

Gli tiro una pacca sulla schiena. «Prendiamo la mappa e leviamo le tende.»

Annuisce, la mandibola è così rigida che ho il dubbio si possa frantumare i denti da un momento all’altro. Con un sospiro, rilassa le spalle. Yelena ha intrecciato indice e medio alle sue dita.

Mi fermo alla porta, il gallo gira un occhio verso di noi.

Busso. «Oi, Josh!»

I pennuti ci puntano gli sguardi vacui addosso; con il carattere che hanno, staranno decidendo se siamo commestibili e il modo più veloce per spolparci senza avere troppe vittime.

La serratura scatta, Joshua fa capolino dalla porta, le iridi viola sono ben riposate e la bocca piena di pane raffermo. Non si fa da parte, caccia il resto in bocca e mastica. Qualcosa scricchiola, non saprei dire se il cibo o i suoi denti. «Due schermitori e la stramba sulla porta.» Yelena emette un verso indignato, lui manda giù. «Volete altra treccia o sono nei guai?»

Yelena borbotta qualcosa. Dal tono si tratta di un insulto, ma quel misto di r strascicate e s sibilanti è incomprensibile.

Meglio fare da paciere tra questi due. «Ci serve la mappatura che hai fatto delle cave.»

Joshua sbatte le palpebre. «Perché?»

Ha intenzione di avere questa conversazione sull’uscio, tengo la voce bassa per evitare di attirare l’orecchio di qualche nonnino annoiato. «Pensiamo che ci sia qualcosa là sotto di vivo, è una settimana che Yelena e io ne sentiamo il richiamo.»

Annuisce. «Che volete farci?»

«Raccogliere informazioni e poi rimandare tutto al capitano Ferrum, o forse al reggente stesso. Quasi sicuramente le grotte andranno sigillate finché non prendono una decisione.»

Si gratta l’accenno di barbetta ispida che gli tappezza il mento, alza le spalle. «No.»

Non l’ha detto sul serio. «Perché?»

«È da tutta la vita che sento la voce della montagna e non mi è mai successo nulla, vi ci abituerete dopo un po’.»

Non siamo noi speciali, chi entra in contatto con le grotte ne inizia a sentire la voce. L’informazione non mi fa sentire meglio.

Il rischio prospettato da un mostro che vive così vicino è abbastanza per invocare i diritti di detenzione e interrogazione, ma non voglio usarli su un concittadino. Lancio uno sguardo ad Ardens, leggo un lampo di incertezza nei suoi occhi. Nemmeno lui vorrebbe far degenerare subito la cosa.

Non so come prendere il discorso. «Scenderemo con o senza le mappe, Josh.»

Aggrotta le sopracciglia e incrocia le braccia strette al petto. «Fatelo, troverete cunicoli vuoti.»

«Quella voce deve venire da qualche parte.»

«Saranno i lamenti del linnormr che ancora infesta la montagna, che ti devo dire? Scordatevi che vi dia una mano a sigillare quel posto!» Non l’ho mai sentito alzare la voce così, è come se toccare quell’argomento avesse scoperto una parte di lui ben celata.

Joshua afferra la maniglia della porta e la tira verso di sé, sbatte sul piede che Yelena ha allungato per bloccarlo. La donna assume un colorito terreo e si accartoccia, una sequela confusa di vocali e s sibilanti le sfuggono dalle labbra.

Sul viso di Ardens si stampa uno dei suoi sorrisi di pura circostanza, stringe lo stipite della porta e la spalanca. Joshua, aggrappato alla maniglia con tutto il suo peso, viene trascinato fuori dalla casetta. Gli mette le mani sulle spalle. «Adesso parliamo, seduti.»

Schiocca la lingua, combattivo malgrado si trovi nelle mani del gigante della caserma. «Figurati se il figlioletto del reggente non fa quel cavolo che gli pare.»

Ardens lo spinge dentro casa, neanche lo degna di una risposta.





I sussurri graffiati ormai sono una tale costante che è facile ignorare la loro presenza.

Joshua siede al tavolo della cucina a braccia incrociate, davanti a lui abbiamo steso tutto ciò di collegato ai cunicoli che abbiamo trovato in suo possesso. Venti diari numerati con resoconti minuziosi delle esplorazione e schizzi di mappe o strutture che ha incontrato. Una collezione di pietre verniciate di rosso che saranno state estratte dai cunicoli, ne copro una con il palmo. Rilascia un leggero bagliore vermiglio, i polpastrelli si addormentano.

Sono tinte del sangue del linnormr?

Yelena mi tira uno schiaffo sulla mano. «Non toccarlo più del dovuto,» intima a denti stretti.

Ai suoi ordini!

Recupero l’ultimo taccuino, nella prima pagina c’è la versione più aggiornata della mappa complessiva. Da come li ha disegnati, i cunicoli sono enormi e regolari, come se fossero stati scavati dal passaggio del linnormr stesso. In uno dei vicoli ciechi è disegnata una delle stelle della guardiana, accompagnata da un appunto in calligrafia piccola e nervosa. Pendente?

Anche se Mons non fosse ancora vivo, magari è il luogo dove si trovano i suoi oggetti personali sopravvissuti al tempo. Il minimo che posso fare è portarlo via di lì e dargli una sepoltura decente.

…sto dando per scontato che sia lì?

Marie-Anne passa un bicchiere d’acqua ad Ardens, i capelli biondo cenere sono legati in una coda che riposa sulla sua spalla. Questa mattina non avrà avuto il tempo di fare la solita crocchia. «Mi dispiace per come si è comportato.»

Scuote la testa, non ha perso il sorriso cortese un solo istante ma non c’è nulla del suo solito tono gioviale nella voce. «Figurati, finché indosso questi abiti il nome di mio padre non conta.» Se lo ripete più per convincere sé stesso. «Piuttosto, sai quando Joshua ha iniziato a scendere nelle caverne?»

Marie-Anne fa un paio di passi indietro, si ferma alle spalle del fratello. «Da che ho memoria, è sempre sparito tra le montagne,» sussurra. Cerca un aiuto da Joshua ma lui si rifiuta di aprire bocca. «Forse, al più presto, dieci.»

Yelena si schiarisce la gola. «Il suo colore d’occhi è inusuale. Li ha sempre avuti così?»

Disse quella che ha le iridi punteggiate di bianco, non capisco dove voglia andare a parare.

Marie-Anne intreccia le dita, a disagio. «Non credo? Mamma diceva che aveva gli stessi occhi del nonno, credo abbiano cambiato sfumatura piuttosto tardi…»

Yelena accenna un sorriso. «Capisco. La buona notizia è che è una situazione ancora rimediabile, bisogna lavare ciò che è stato a contatto con il sangue e disfarsi delle pietre.»

Joshua si alza di scatto e Marie-Anne sussulta, in un battito di ciglia Ardens lo affianca e gli mette una mano sulla spalla, lo fa sedere di peso. Si limita a sorridergli, quieto e affabile come un vecchio amico. «Silenzio.»

«È roba mia!»

«Silenzio,» scandisce.

Le spalle di Marie-Anne tremano, sta cercando di rimanere accogliente ma la scena l’ha turbata. Vorrei prometterle che andrà tutto bene, ma non ho mai avuto a che fare con interferenze soprannaturali e Joshua è stato influenzato da quella roba da un decennio. Dopo dieci anni puoi davvero rimediare qualcosa?

Yelena le prende la mano, passa il pollice sulle nocche screpolate dal freddo. «Rimango qui e ti insegno a preparare una tisana che aiuterà ad alleviare i sintomi dell’intossicazione. Chiederà tempo, ma tuo fratello tornerà come prima.»

«Rimango con voi,» mormora Ardens.

Yelena gli tira uno scappellotto. «Tu hai dei cunicoli da esplorare, non lascerai Cael da solo.»

Faccio una risata nasale. «Caelum se la sa cavare.»

Spero. Nel caso migliore dovrò vedermela con un essere mitologico, nel caso peggiore avrò davanti un essere umano che ha vissuto per mille anni in totale isolamento.

Prendo il taccuino con la mappa.

Affronterò il problema quando l’avrò davanti.

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Capitolo 3
*** Atto III ***


[Caelum Rothschild]







Al cartello incrostato di muschio giallo, imbocco le scale per la statua della Guardiana.

Le pietruzze incastonate nei gradini si accendono una dopo l’altra, tracciando un sentiero azzurro che rischiara lì dove la luce delle lanterne non arriva. Il peso dello zaino sulle spalle ha a malapena rallentato il nostro andamento, ma dopo due ore di cammino il fiato inizia a farsi corto.

Ardens mi supera, nei denti stretti riconosco ancora l’accenno di nervosismo che litigare con Yelena gli ha messo addosso. Lei gli ha vietato di lasciarmi andare perché è scemo mandare qualcuno nelle cave da solo! Lui si è rifiutato di lasciarla sola con Joshua perché non sappiamo che può fare né a te né a Marie, si vede che non è il solito!

Il bisticcio è degenerato in sussurri in lingue astruse e ci sono voluti solo dieci minuti per far abbassare loro i toni. Disfarsi delle pietre rosse e preparare la tisana-la-Guardiana-solo-sa-perché-disintossicante ha rubato ulteriore tempo, ed Ardens si è rifiutato di muoversi finché non è stato sicuro di aver preparato tutto il materiale necessario per la discesa nelle grotte.

Fortuna che una volta nel sottosuolo, giorno e notte non faranno differenza.

Mi fermo al varco sotto gli alberi intrecciati e alzo gli occhi al cielo punteggiato di bianco, individuo a colpo d’occhio le tre stelle della linea d’argento. Il lucchetto, la stella del giuramento alla Guardiana, splende immutata poco distante. Un giorno finirò lassù, a vegliare sui passi dei prossimi schermitori.

Stringo l’orecchino destro fino a sentir il perno forarmi il pollice. Guardiana, hai davvero permesso che Mons marcisse lontano da te per un millennio?

Il sussurro graffiante si ripete, un gorgoglio spezza le note ormai familiari. Ardens si irrigidisce, alza la lanterna.

Il fuocherello che crepita dentro il vetro mi acceca, mi schermo il viso. «Ardens.»

«Scusa.» Non la abbassa, mi precede sul percorso illuminato. «Mi aspettavo che avrei capito qualcosa, questo non sembra dialetto dell’ottocento scorso…»

«Appassionato di lingue morte anche tu?»

Alza un ciglio, tira le labbra in un sorriso sghembo. «Si capisce qualcosa di solito, questo è parecchio confuso…» Lascia cadere il discorso, Yelena parla una tale quantità di lingue che non mi sorprendo che abbia preso in cambio un dialetto antico con qualcos’altro di totalmente diverso.

La via si allarga nella piattaforma di pietra, la fiamma riscalda le statue della Guardiana e il linnormr. Passo oltre, la lanterna alta per ritrovare le tracce del nostro passaggio.

Decine di tronchi secchi e ritti come aghi occupano la zona, il bagliore azzurrognolo delle pietre si spegne dopo pochi respiri. Sfrego la punta degli stivali sul terreno. L’erba calpestata porta a una frattura lunga e stretta, circondata da una cornice rada di radici. Trovata la tana per topi preferita di Josh.

Ardens ci gira attorno, accompagnato dallo scricchiolio delle foglie. «È stretta. Troppo per gli zaini.»

Stretta è minimizzare, ma non mi stava dando retta quando gli ho detto che non potevamo portarci troppo dietro. Poggio la lanterna e mi tolgo lo zaino dalla schiena. Slaccio il fodero della spada dal fianco e mi caccio il taccuino con la mappa dentro la tasca della giacca. «Fammi provare.» Mi accuccio a terra e infilo le gambe dentro, sfrego contro i bordi slabbrati. Una pioggerellina di polvere scivola dentro la fenditura, a disturbare i poveri ragni che avranno appena finito di risistemare le loro tane.

Svuoto i polmoni e faccio scivolare il busto all’interno, con i piedi tocco pietra solida. Il buco è così stretto che non riesco a passare con il mento, piego la testa di lato. Sfrego le orecchie contro il terreno, un brivido mi risale la schiena.

Dentro. Raccolgo le gambe al petto. «È un po’ stretto ma è fattibile. Spada?»

La luce della lanterna mi ferisce gli occhi, Ardens la fa calare attraverso la fenditura. Afferro la base tiepida e la avvicino al mio petto, prendo anche il fodero che mi viene passato. Un dislivello pende verso sinistra e si trasforma in un cunicolo a occhio e croce più largo dell’entrata che abbiamo appena varcato, scivolo sulle chiappe in quella direzione.

Gli appunti di Josh parlano di cunicoli di oltre due metri di altezza, questa sarà un'entrata imprevista che si è formata in anni di erosione. Magari se non lo provocavo mi diceva un posto più comodo da cui entrare…

Ardens cala dentro il buco anche la sua lanterna e spada, li sposto di lato per dargli migliore accesso ma indugia senza entrare. Tira una pedata ben assestata che fa saltare grossi pezzi di terra dal bordo dell’entrata. «Forse così ci passo,» mormora.

Compaiono i suoi stivali, le gambe, fa comunque un po’ di fatica a far passare il petto. Essere un armadio a due ante questa volta lo sta impicciando parecchio. Delle zampette mi risalgono il braccio, un ragno dei crinali grosso quanto il mio pollice mi corre sulla spalla e mira al collo. Le zampette acuminate scintillano come se fossero ricoperte di una patina di metallo.

Eh no, tu non sei normale.

Lo schiaffeggio via. La creaturina fa una parabola e si arpiona a un ginocchio di Ardens, che con le gambe strette al petto com’è mi fa venire in mente la carne in scatola che Yelena continua a chiamare un grande passo per l’umanità!

«Ho tutto.» Raccoglie tra i due badili che ha per mani la bestia e la appoggia al suo fianco. Annuisco. Mi lascio dietro le spalle la spada e, con la lanterna stretta in mano, scivolo fino all’unico cunicolo. Sporgenze di roccia irregolari si tendono verso il centro come zanne di una bestia, stringo una roccia squadrata macchiata di verde e calo i piedi dentro il passaggio.

Il tunnel si allarga un po’ e piega verso destra, non credo ci sia rischio di precipitare.

Una pressione leggera mi pesa sul petto, è solo mentale ma mi rende difficile respirare. Proseguo fino a finire sdraiato a pancia in sù, la luce della lanterna di Ardens illumina la bocca del punto da cui sono appena passato.

Lascio la mia lì dove è iniziata la curva e mi giro a pancia in giù, sassolini irregolari mi premono contro le braccia ma almeno dovrei riuscire a strisciare meglio. «Cala la spada! Con calma.»

Sussurri graffianti risalgono dal cunicolo.

Guardiamo il lato positivo, Ardens non mi è ancora caduto addosso.





Tiro fuori il cipollotto dalla tasca e faccio scattare la levetta, trenta minuti di strisciare per cunicoli a passo di lumaca solo per essere sicuri di portarci le spade dietro. Magari un giorno l’ordine si rinnoverà e ci permetterà di portare con noi delle rivoltelle.

Le gambe di Ardens mi volano sopra la testa, alla ricerca di un appiglio. Gli prendo uno stivale e lo guido verso una delle punte sporgenti. Il piede scivola un paio di volte sul supporto, ci appoggia il peso.

Abbasso il braccio, mi scortico la pelle contro la roccia ruvida. Devo uscire, mi serve aria. Dovevo immaginarmi che Josh fosse stregato dagli spiriti dal fatto che si infila di sua volontà qui dentro.

Controllati. «Tu scendi, c’è una lieve depressione nel terreno. Ti infili nell’unico buco che vedi e poi cinque minuti di pausa, okay?»

Ne ho bisogno.

«Hm!» risponde Ardens. Una pioggerella di polvere mi cade tra i capelli, nulla di grave. Ho già fatto collezione di ragnatele e lividi, a un mostro leggendario non importa come ti presenti.

Mi trascino fuori dalla conca e mi tiro dietro spada e lanterna, il paesaggio si apre nell’ennesima stanza irregolare poco più spaziosa di un armadietto. Una fenditura verticale nella roccia, grande quanto quella da cui ci siamo calati per entrare nelle grotte, taglia il muro. Una brezza leggera mi smuove i capelli, l’aria odora di vapore e metallo, sfrego il dorso della mano sul naso e allungo le gambe. I muscoli intorpiditi mi strappano un gemito sottovoce.

Ho perfino della polvere in gola. Non c’è abbastanza luce, aria, nulla. Mi stringo il ponte del naso e poggio la fronte sulle ginocchia. Un respiro, un altro. Il sussurro agonizzante di Mons mi passa accanto e risale su per la via da cui siamo arrivati.

La testa arruffata di Ardens emerge dal pertugio, si trascina dentro e mette in piedi al mio fianco.

Soffoco, è come se il solo fatto che sia arrivato mi abbia tagliato gran parte delle riserve d’aria. Il cuore pompa e, improvvisamente, mi batte nelle orecchie.

Ardens piega la schiena. «Sei pallido.»

«Passerà.» Alzo le spalle. «Gli schermitori fanno questo e altro, lo sai. Tipo, salvare persone, sventare crimini.»

«Non è lo stesso tipo di difficoltà,» dice quello che non dà nemmeno cenno di essere nervoso. Che rabbia. «I criminali basta metterli dentro.»

«“Basta”, perché siamo tutti molto capaci in questo campo.» Mi concentro sul ricordo della celletta torrida della guardia cittadina, ci ho camminato dentro di mia volontà sullo sfondo delle imprecazioni masticate di quel bastardo di Elias. «Mi sono consegnato perché non riuscivano a stanarmi.»

Ardens trattiene una risata. «Oh sì, con quei capelli rossi eri introvabile nella folla.»

«Non è colpa mia se quello là non ha fiato per rincorrere nemmeno un cinno che ha appena imparato a camminare.»

«Avevi tredici anni. E le tue gesta venivano raccontate nelle cucine tra le risate generali.» Alza le spalle. «Mi ci infilavo dentro solo per sentire che aveva combinato il turbine.»

La pressione si allenta a malapena. Avevo le nocche graffiate al tempo e l’occhio mi pulsava, ma me lo meritavo. Quando nasci stronzo devi prenderti un paio di sprangate sulla schiena per riprometterti di non essere più così.

Metto le mani a terra e mi do la spinta per accucciarmi. «Non sentivo quel soprannome da un bel po’.»

«Sicuro di star bene?»

«‘na favola, capisco perché Josh ami così tanto l’ambiente. È intimo.»

Mi tira un pugno sulla spalla, sputo il resto dell’ansia con un colpo di tosse. Espiro l’aria per farmi un pelo più sottile e mi infilo nella fenditura, la pressione della roccia contro il petto ravviva il focolare d’ansia. Premo le mani sulla parete irregolare e scivolo di lato.

Riesco a muovermi bene, faccio un passo indietro per uscire dalla strettoia e allungo le mani sulla spada e lanterna. Il passaggio è troppo lungo per farmeli passare come abbiamo fatto fino ad ora.

Ardens esita. «È stretto.»

Il resto del viaggetto che abbiamo fatto fino a ora sarà stata una passeggiata per lui. Lancio uno sguardo alla frattura illuminata dai riflessi aranciati e poi al mio compagno grosso quanto un armadio a due ante.

Merda.

Se avessimo trattato meglio con Joshua ce l’avrebbe fatto notare, questo.

Ardens sta ancora elaborando la consapevolezza, mi allaccio il fodero al fianco e stringo la lanterna. «Io proseguo, tu è meglio se torni indietro a riorganizzare le idee.» Sorvolo sul fatto che questa è la spedizione per decidere cosa fare, meno gli do il tempo per pensare meglio è.

Sta zitto ma quando mi infilo nuovamente tra le due pareti, mi mette la mano sulla spalla. «È pericoloso da solo.»

«È pericoloso solo se faccio idiozie.» Agito una mano, mi spingo un pelo più in là. Alla fine della frattura qualcosa scintilla di vermiglio: le prime tracce del sangue del linnormr con tutta probabilità. «Dobbiamo portare alla guardia cittadina una prova dell’esistenza del mostro per appellarci al diritto di guida.»

Ardens sa che ho ragione, fatica a elaborare una protesta. Scivolo di lato altri due passi, una sporgenza irregolare mi sbatte contro il ginocchio. Ora sono così lontano che anche se provasse a tendere il braccio dentro non potrebbe fermarmi.

«Cael.» La voce è ferma. «Stai attento.»

Tiro le labbra in un sorriso sardonico.

La frattura mi sputa in una galleria alta: le mura sono verniciate dello stesso rosso delle pietre che ho visto a casa di Joshua, solo pochi schizzi sul soffitto sono stati risparmiati dall’ondata.

Il cunicolo è immerso in una luce rossastra, quasi potrei fare a meno della lanterna. Ci poggio una mano sopra per sostenermi, i polpastrelli si intorpidiscono e il fastidio risale fino al palmo.

Brucia.

«Che cavolo!» Scrollo il braccio ma non riprende sensibilità. Mi controllo il braccio, fratture dorate risalgono le punta delle dita fino al polso, irregolari come le crepe su uno specchio rotto. Così veloce?

Prendo un respiro profondo, ho già la scusa per richiedere la chiusura delle entrate ma c’è Mons qui sotto. Joshua è sopravvissuto dieci anni a girarci e Yelena ha quel suo intruglio strano, posso trovarlo prima di andarmene.

Tiro fuori dalla tasca della giacca il taccuino e sfoglio fino alla mappa complessiva del luogo. Ora che sono arrivato al punto di entrata prospettato, lo stemma a forma di stella della guardiana dovrebbe trovarsi dopo un alcune di svolte semplici un po’ più in basso.

Traccio una linea immaginaria dalla partenza fino all’arrivo.

Per prima cosa si va a destra.





Due spesse corde sono state piantate con dei picchetti al muro in fondo a un vicolo cieco, da esse pende una pietruzza nera, intoccata dal torrente di rosso che ha riempito i cunicoli chissà quanto tempo fa.

Dietro la barriera improvvisata c’è una parete liscia, percorsa da decine di venature di ottone che lasciano sfuggire sbuffi di vapore. La nube tremola non appena si avvicina alle corde, si sgonfia e sparisce al contatto. Questo non è normale, riapro il taccuino e sfoglio le pagine. Come fa a non esserci mezzo appunto su una cosa del genere!

Stringo gli occhi, la luce rossa costante è infernale per leggere. Un sussurro graffiante arriva dal vicolo cieco, l’ottone si spande sulla pietra e si tende verso le corde. Trancia di netto uno dei picchetti che le sostengono.

La pietra nera cade a terra, il metallo pulsa e gonfia come un cuore vivo. Okay, la barriera è positiva, va rialzata subito. Mi chino e la afferro, è pesante e odora di antico.

Fortuna che non me ne sono andato immediatamente! Abbiamo la nostra prova che dobbiamo coinvolgere immediatamente la guardia cittadina, gli schermitori delle città vicine e forse rovesciare il paese fino a smuovere il reggente stesso. E se Elias non si fida, lo caccerò qui davanti a calci.

Tiro su il sassolino nero, il suono violento di uno strappo mi ferisce le orecchie. Il muro di pietra in fondo si sbriciola e un’ondata di metallo mi corre incontro: mangia i cunicoli, ricoprendoli di una spessa lamina di ottone.

Oltre il varco spalancato, un cavaliere in rosso mi dà le spalle con la spada piantata a terra. Di fronte a lui, la colossale figura del linnormr mostra le zanne e soffia. I sussurri graffianti mi travolgono.





[.scuse a margine]

Mi sono prospettata tre capitoli, e ho postato. Siamo saliti a max 5, ma sono del parere che forse potrei concludere anche con il prossimo se la scena non lievita.

Come un gran meme insegna: The risk I took was calculated, but man, I am bad at math.

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Capitolo 4
*** Atto IV ***


[Caelum Rothschild]







Il linnormr mi punta. Il cerchio metallico innestato sulla sua palpebra ruota di mezzo giro, un gemito acuto di componenti che sfregano uno sopra all’altro riempie l’aria, le pupille verticali si assottigliano. Dai tagli lungo il corpo spruzza una nuvola di vapore che copre la sala di un bianco denso, quell’essere è un misto tra una macchina e una bestia.

Inspiro l’aria rovente, tossisco fino a farmi lacrimare gli occhi.

Il rosso del cavaliere contrasta con la figura scura che lo sovrasta. Rivoletti gli vorticano intorno, neanche per un istante mi è sembrato che respirasse.

Qualcosa di enorme si trascina sul terreno, il cavaliere estrae la spada e tira un fendente che disperde il vapore. Rivela il corpo del linnormr teso verso di lui, Mons – se quello è davvero un essere umano – gli scivola sotto il mento. Venature dorate attraversano la lama dell’arma che si spezza in decine di frammenti, schizzano verso l'alto. Lo prendono in pieno e spediscono verso il soffitto.

Lo schermitore pianta il piede per terra e sparisce, linee di colore rosse si avvolgono a spirale lungo il titano, schizzano scintille e sangue. Ricadono a terra, lo schianto alza un mare di polvere che mi gonfia la giacca e frusta i capelli contro il viso. Mi schermo, ma la tempesta intorno al mostro non si arresta e colora le mura di metallo di quel vermiglio fosforescente.

Trattengo il fiato. Che mi sono lamentato a fare di non avere una rivoltella, qui non posso fare nulla.

Le ferite ribollono e si coagulano in aghi che scattano contro il muro. Un paio di essi prende al volo la linea rossa e la pianta alla parete. La spada logora cade a terra con un clangore, la lama rinsaldata come se non si fosse mai spezzata.

La pietruzza nera pulsa tra le mie dita.

Mons non sembra tanto più grande di me appeso com’è per la spalla; il rosso che lo infradicia da capo a piede mi impedisce di vederne decentemente le ferite. Placche di corteccia intrecciata gli tappezzano il corpo, edera avvizzita risale la gamba destra fino al collo. Gli occhi viola scintillano nella luce rossa.

Dischiude le labbra per riprendere fiato, ne escono boccioli grossi quanto il mio pugno. Il linnormr emette il sussurro graffiante che ha tormentato le mie ultime notti, passo il sassolino nero all'altra mano e afferro l'elsa della spada, solo per rassicurarmi.

La pelle addormentata riprende sensibilità, le fratture dorate fluiscono verso il palmo e lasciano una striscia arrossata. Il peso della pietruzza cresce, è grande quanto una moneta ma è come tenere una delle spade di allenamento in mano. Si è appena mangiata l’intossicazione?

I tagli verticali che attraversano il linnormr sputano vapore, si avvolge su sé stesso. Gli aghi che lo tengono ancorato al muro vengono attraversati da crepe ma non lo lasciano andare. L’essere sputa di nuovo vapore, con uno schiocco violento si spezzano.

Mi scivola contro, alzo la pietruzza. Il mostro si ritrae, sposta gli occhi verso l’uscita alle mie spalle, come se stesse calcolando la possibilità di passare malgrado la mia presenza.

Tenendogli gli occhi addosso, avvicino il sassolino al terreno ricoperto dalla patina di ottone. A contatto il metallo si arriccia e sparisce in strascichi di polvere, si dissolve anche lo strato di sangue sottostante. L’aumento di peso repentino mi trascina la mano contro il pavimento: qualsiasi cosa sia questa roba, può occuparsi benissimo della calamità dentro la montagna.

Dovrei rialzare la barriera, è durata mille anni con un paio di corde e picchetti, durerà un altro paio di giorni anche se non ne capisco nulla.

L’ago che bloccava Mons diventa polvere, il ragazzo scivola a terra come un burattino a cui hanno tolto i fili. Pianta le mani per sostenersi e si tira su, raccoglie la spada. Zoppica fino all’entrata a darmi le spalle.

La voragine che gli buca il petto si riempie di fiori sbocciati, foglie sfrangiate e lentamente viene ricoperta di placche di corteccia. Gira il busto e fa un cenno della mano verso il cunicolo. Sillaba qualcosa, ma non appena apre la bocca un’altra cascata di petali appallottolati volano giù dalle sue labbra. Le serra e si gratta la nuca, un sorriso imbarazzato gli increspa le labbra.

È qui da mille anni e nemmeno contempla di andarsene.

Un moto di disgusto mi stringe lo stomaco, risale in gola e lo rimando giù a fatica. Gli vado incontro, l’istinto è di cazziarlo per… non so neanche per cosa. I tagli verticali del linnormr sputano una densa nube di vapore. Mons afferra la spada.

Batto le palpebre, il cavaliere fa cozzare la lama contro i denti spalancati della bestia.

Le batto di nuovo, il serpente lo stringe in una morsa soffocante.

Lampi di colore illuminano la zona uno dopo l’altro, non riesco nemmeno a seguire lo scambio incessante di colpi e ferite inflitte.

Lancio uno sguardo alla pietruzza nera. A che serve rimanere bloccato qui per mille anni quando hai un oggetto in grado di distruggere persino il sangue di quel mostro? Potevano sigillare il linnormr e rinnovare la pietra ogni tanto, invece…

Yelena ha detto che ha letto qualcosa che le ha fatto pensare che Mons fosse sceso, ma non ha senso che un sacrificio simile non sia riportato nelle leggende dell’ordine o inscritto nelle stelle stesse dalla Guardiana.

Qualcuno l’ha sepolto qui apposta; ma se ciò è vero, lei l’avrebbe potuto intuire ben prima di me. Qualcosa non torna… Sembra un errore troppo idiota confondere un dialetto antico con la lingua di un mostro.

Mi ha mentito?

Un bolide rosso mi vola accanto, la schiena di Mons si pianta nel muro con il violento gemito del metallo. Tossisce petali accartocciati. Gli corro accanto e gli metto la pietruzza nella mano spalancata, questa gliela avrebbero dovuto dare fin dall’inizio per permettergli di combattere senza ridursi in questo stato!

Una zaffata di bruciato mi pizzica il naso; passa un istante ma la pietra scava nello strato di corteccia, nella pelle sottostante e buca la mano. L’arto si atrofizza fino alla spalla. Cosa ho fatto–

Mons mi spinge con l’altro palmo e agita il braccio, grosse gocce di sudore gli velano gli occhi viola. È delicato, malgrado la forza inumana che ha dimostrato un attimo fa.

Indica la mia gola, dove sta la fibbia con l’ibisco degli schermitori della zona, indica la propria ricoperta di corteccia ed edera secca. Non ho idea di cosa mi voglia dire, mi mordo le labbra.

Il linnormr scatta verso l’uscita.

«Accidenti!»

Raccolgo la pietruzza e calcio il terreno, ho solo un paio di passi da coprire ma la pressione di quell’essere che mi corre incontro mi fa tremare le gambe. Sibila la lingua a un soffio da me, stringo la mano con la gemma a pugno e gli tiro un colpo.

L’appendice sfrigola e si frammenta, il grido di dolore del linnormr viene spezzato da una meteora rossa che lo colpisce poco sotto gli occhi. Mons pianta la spada illuminata d’oro negli interstizi tra le placche metalliche e la fa scorrere sul muso in orizzontale, schizzi e scintille mi piovono addosso.

Li schiaffeggio via con la pietra: si frammentano prima di attecchire sulla mia pelle.

«Mi ha mandato la Guardiana!» L’esclamazione esce acuta e tremula, è un’idiozia rimanere qui ma se me ne vado sarò esattamente come i bastardi che l’hanno chiuso qui la prima volta. «Sono qui per aiutarti.»

Il braccio toccato dalla pietra non gli è guarito, Mons si indica il collo.

Corrugo le sopracciglia, in mille anni devono essere cambiate persino le gestualità per dire sì o no.

Il linnormr scatta di lato e mi arriva addosso con le zanne snudate, giro il busto per tirargli un pugno. Finché Mons non mi allontana a calci, rimarrò qui.





Incespico e gratto la faccia sul metallo ruvido, la pelle mi si intorpidisce. Decine di aghi bollenti mi pungono, qualcosa di viscido mi fiorisce sotto la palpebra destra. Mi alzo e lo strappo, le lacrime che mi sfuggono confondono le figure del linnormr e Mons nelle solite strisce di colori rapide. Per quanto mi sono addormentato?

Mi tremano le gambe, puntello la spada spezzata a terra come un bastone. Guardiana non ce la faccio più, aiutaci. Un boato mi assorda, lo scontro continua come se non avessi detto niente.

Caccio un sospiro dolorante a metà tra una risata e un singhiozzo; decine di piume rossicce mi tappezzano la schiena, le unghie della mano che brandisce l’arma sono acuminate come artigli. Tenere la pietra nera mi trascina verso il basso e fa male, è come cercare di spostare una statua con un braccio.

Stringo i denti.

Se la uso per assorbire altro sangue con tutta probabilità mi diventerà impossibile spostarla, e a quel punto sarò il secondo schermitore bloccato qui ad arginare gli attacchi di quell’essere. Non so neanche se reggerei abbastanza per permettere agli altri di raggiungerci.

Una macchia rossa schizza di lato e il linnormr mi corre incontro, punta al varco di uscita malgrado ormai si sarà reso conto che non lo faremo mai passare. Alzo la spada, è uno stuzzicadente per quell’affare.

Un capogiro mi offusca lo sguardo, Mons mi appare accanto e prende per la giacca strappata. Mi lancia lontano dalla traiettoria, sbatto la schiena e qualcosa emette un rumore ributtante. Il male non arriva subito, ma ho caldo. Troppo.

Infiorescenze di ogni forma sbucano lì dove la pelle scoperta fa contatto con l’ottone, l’istante dopo vengono divorate dalla pietra che mi schiaccia il palmo a terra. Non riesco ad alzarmi! Una supplica mi esce fuori come un ringhio strozzato.

Metallo contro metallo cozzano, il mostro grida e l’aria si riempie dei petali che lo schermitore si lascia dietro ogni volta che sanguina. La coda mi raggiunge, strappa da quell’inferno e alza a metri da terra come un giocattolo.

Stringe, un paio di placche mi spingono il busto avanti e sono sul punto di spezzarmi. La pietruzza mi scappa di mano e sbatte sul pavimento con l’intensità di una palla di cannone.

Mons esita, chiude gli occhi e per la prima volta gonfia il petto d’aria; gli tremano le spalle. Scatta verso di me e, nello stesso istante, il linnormr mi lascia andare e corre verso l’uscita. Vengo preso al volo e posato sul pavimento con delicatezza, mi rivolge un sorriso amaro.

Cosa?

Afferra la pietruzza da terra e l’odore orrendo di carne bruciata mi investe il naso.

No, diamine! Non osare! Vorrei dirglielo ma non ho l’energia per aprire bocca.

Con una sferzata del braccio avvizzito, la spada si spezza in decine di placche che si piantano in una delle linee verticali da cui l’essere sbuffa vapore. Mons le segue e caccia la mano con la pietra nella ferita.

Il serpente sussulta, convulsioni atroci lo scuotono.

La schiena del cavaliere rimane dritta e sicura, ma la corteccia che lo ricopre si arriccia, marcisce pezzo per pezzo. Si gira, il sorriso stampato sulle labbra e gli occhi di un azzurro chiaro come il ghiaccio.

Se non l’hai fatto dall’inizio è perché volevi sopravvivere a questo schifo, no? Mi si stringe la gola. Sono stato un tale peso…

Guardiana, tutto questo non è giusto.

«Grazie per il tuo servizio,» mormoro. Non ho nemmeno idea se mi abbia sentito o capito, ma gli occhi gli brillano. Alza le spalle e diventa polvere con il mostro.

Di loro rimangono una coppia di pietre azzurre, piene di piccole sporgenze pungenti. Sembrano stelle. Tremano e scattano verso l’alto, spariscono a contatto con il soffitto. Porto la mano all’orecchino, premo il pollice contro il perno ma il dolore è così diffuso che non percepisco niente.

Se non lo lasci riposare sei una…

Senti, se lo merita più di tutti noi.

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Capitolo 5
*** Atto V ***


[Caelum Rothschild]







Una mano fresca mi accarezza la tempia.

Aspetto il dolore, ma non arriva. Il peso di un lenzuolo mi scalda la pelle e un lieve tepore pervade un’orecchio. Quasi rende sopportabile essere sdraiati sulla nuda roccia.

Dischiudo gli occhi, incontro le iridi screziate di bianco di Yelena a malapena nascoste dai riccioli neri. Ha le palpebre gonfie, fresche di un pianto che sarà durato parecchio.

Accenna un sorriso. «Sei vivo.»

«Complimenti per le doti d’osservazione, Shaw.» La voce esce roca, ho la gola secca.

«Non riemergi per quattro giorni e fai il saccente per prima cosa? Sei orribile!» Fa una risata debole, mi picchietta indice e medio sulla fronte. Mi è seduta accanto a gambe incrociate, i pantaloni bucherellati e strappati. Calarsi qui dentro non le sarà stato facile.

La sala sotterranea è a malapena rischiarata dalla luce aranciata della lanterna abbandonata accanto al mio orecchio. Anche se è sparito lo strato spesso di ottone e il sangue, non credo ci siamo spostati da quella in cui erano sigillati il linnormr e Mons. Non me la vedo tentare di trascinarmi in giro con la poca energia che ha. Alzo il braccio, nessuna traccia degli artigli o graffi. Dannatamente conveniente dopo tutto quello che è successo.

Yelena tira fuori da una tasca interna del mantello bianco l’unico gufo di legno che ho intagliato fino in fondo. Me lo porge, è caldo al tatto, gli occhietti scuri scintillano alla luce del fuoco.

Il legno per rappresentare la mia famiglia d’origine, una scultura intagliata per rappresentare il mestiere che ho lasciato, il gufo per rappresentare il nome che ho abbandonato prima di prendere Caelum.

Ho speso una quantità allucinante di tempo solo per incidermi addosso anche quest’anno che avrei donato la mia vita alla protezione delle altre persone. E intanto Mons ha speso ogni singolo istante di veglia degli ultimi mille anni a prestare fede a quel giuramento, senza essere visto o riconosciuto da nessuno.

Yelena sospira, come se si preparasse a discutere. «È già passato il giorno per il giuramento, ma nessuno avrà da ridire se lo fai con me ora.»

«È la Guardiana a decidere se accettare o meno.»

«Lo farà. Puoi fidarti?»

Certo! Dopo la tua svista ne ho proprio voglia di farlo.

Stringo la base della statuetta, il legno cede leggermente sotto le mie dita. Ho usato del tiglio per farla, è morbido e non si scheggia… Avrei fatto meglio ad usarlo come legna da ardere. «Lascio il nome Rainer ai tuoi piedi e prendo Caelum; prometto di utilizzare le quattro parole solo nei casi necessari a preservare l’umanità e a prendere le armi contro chiunque rompa le palle.»

Lancio la statuetta a Yelena che colta alla sprovvista la prende al volo, il legno si accartoccia in una stellina azzurra che rimane inerte tra le sue dita. La stringe al petto.

La Guardiana ha davvero accettato il giuramento anche così. Schiocco la lingua, non so cosa mi irrita davvero. La dea non interferisce, posiziona i pezzi sulla scacchiera che si offrono di essere utilizzati e fa accadere le cose.

Yelena mi accarezza la tempia, il gesto ammorbidisce la morsa di un mal di testa di cui non mi ero reso conto. Mi porge un fiaschetta aperta, odora come una tisana qualsiasi per far rilassare. «Bevi, ti aiuterà a buttare fuori lo schifo dal tuo corpo.»

Sposto la coperta e mi metto a sedere, so per certo che non mi è rimasta addosso nessuna influenza del linnormr ma me lo porto alle labbra perché è un’abitudine farlo senza pensare.

Ma mi ha mentito.

La stacco senza aver bevuto un sorso. «Come sapevi che era lì?» Yelena tiene il cappuccio calato sul viso. Parecchi viaggiatori lo fanno quando sono lontani da casa, un modo per ricordare a chi incontrano che sono un’immagine della Guardiana, ma l’associazione ora mi dà fastidio.

«L’hai visto quindi…» Il sussurro echeggia intorno a noi. «Come stava?»

«Ti ho fatto una domanda.»

Yelena arriccia il naso, contrariata. «Che hai?»

«Perché mi volevi convincere che fosse Mons a chiedere aiuto? Quella che sentivamo era la voce del linnormr. Vuoi dirmi che tra i tuoi studi c’è perfino la lingua di mostri?»

Sussulta. «Che ne sai tu–»

«Aveva i polmoni pieni di piante. Non poteva parlare.»

Yelena dischiude le labbra, un lampo di orrore le attraversa lo sguardo; si fa più piccola ma non può andarsene ed evitare la conversazione quando ci sono tonnellate di pietra sopra la nostra testa.

Si tortura le dita. «C’erano testi…»

Attendo, la rabbia mi ribolle nello stomaco. Ho condotto Mons alla morte con le mie mani, se avessi saputo la situazione di partenza senza giochetti avrei potuto fare qualcosa. Trascinare la Guardiana giù dai cieli e costringerla a salvarlo!

Yelena prende un lembo del cappuccio e lo cala un poco di più sul volto, le posso vedere solo le labbra premute in una linea sottile. Tremano. «Glaciator riportava in una delle sue lettere che uno degli schermitori aveva preso giuramento perpetuo e di quanto lo ammirasse, Lunae in uno dei suoi diari aveva un riferimento astruso a…»

Parla a macchinetta, fa una lista di nomi leggendari per l’ordine e qualche citazione che solo lei può capire. Vorrei crederle come al solito, ma quella pietra nera avrebbe potuto risolvere tutto. È più logico pensare che l’ordine abbia chiuso qualcuno qui giù per puro spirito di tortura o che Mons sia stato vittima di una trappola di qualcuno di esterno?

Il respiro mi si incastra in gola, lancio un’occhiata alla fiaschetta aperta con il suo odore floreale innocuo.

…non è questione di logica. È semplicemente che la seconda opzione mi fa meno male. Chiunque abbia ingannato Mons è già morto da secoli, non ci sono colpevoli da trascinare ai piedi della bilancia argentea per giudicarli.

«Yel… l’hai sigillato tu qua sotto?»

«Sei impazzito!?» L’urlo pieno di sdegno si distorce ed echeggia nella sala.

È la risposta ovvia, ma l’orrore che le vena la voce è una rassicurazione che non sia stata lei. È pur sempre Yelena. Sospiro e mi porto alle labbra la fiaschetta, per una qualsiasi ragione lei non si fida abbastanza di me ma voglio fidarmi di lei. Il liquido è freddo e fa schifo, come tutti gli infusi a base di erbaccia.

Lo scolo fino all’ultima goccia e gliela rendo, i morsi della fame mi aggrediscono lo stomaco. «La prossima volta che hai sospetti di qualcosa di simile in corso, vieni da noi subito. Non stare a inventarti richieste di aiuto.» O carteggi tra gente leggendaria.

Yelena si alza e scrolla la polvere dai pantaloni lisi. «Non pensavo mi avresti creduto.»

«Ardens l’avrebbe fatto per entrambi.»

Rimane impalata come se l’avessi schiaffeggiata. Soffia, rassegnata e mi tende la mano. La accetto, mi tiro su con la coperta da piegare.

«Scusami,» dice.

«Sì, Caelum. Se ci sarà qualcun altro da salvare, lo dirò chiaramente. Anche se l’unica prova che ho della cosa è un sogno premonitore donato dalla Guardiana.»

Trattiene una risata. «Sì, Cael.»

«Sì, cosa?» Gli angoli della bocca mi si piegano verso l’alto, raccolgo la lanterna da terra. Pesante com’era diventata la pietra nera da spostare, sarà qui a terra da qualche parte. Chissà dove… Un colpetto di nocche contro la spalla risveglia una serie di acciacchi che mi avvolgono tutto il corpo. Yelena sbuffa. «Non ripeterò quella filastrocca.»

«Va bene.» Se voglio che mi dica le cose chiaramente devo diventare affidabile per primo. «Fammi cercare una cosa e andiamo.» Giro l’intera sala sotto lo sguardo stralunato della mia compare, non ce n’è traccia della pietra. Non c’è nemmeno la polvere lasciata dalla morte del mostro. «Yel, hai preso qualcosa da qui?»

Tentenna. «Qualcosa cosa?»

«Una pietruzza nera, grande come una moneta.»

Si morde il labbro, una smorfia preoccupata le distorce l’espressione. Rivolge un’occhiata all’unica uscita, arrivando avrà visto i picchetti a terra e le corde. Scuote la testa. «Non ne so niente.»

Con le braccia sottili che ha, non riuscirebbe nemmeno a trascinarla in giro.

Do un’altra occhiata, niente da fare. «Fa nulla. Usciamo.»





Fare il tragitto per uscire dalle grotte è stato peggio di scenderci, butto il braccio fuori dal varco d’uscita e mi isso. Solo pochi raggi di sole filtrano dall’intreccio fitto delle fronde, ma chi se ne frega!

Gonfio il petto d’aria, l’odore di muschio, umido e piante è un miglioramento netto dall’aria malata che ho respirato negli ultimi giorni. Alzo le braccia, niente più roccia sopra la mia testa.

Yelena, ammaccata e con la mantella bianca ancora più sbrindellata di prima, mi attende già in piedi appoggiata a un albero. «Hai finito?»

Scuoto la testa. «Lasciamelo assaporare ancora per un minuto.» Annuisce, tira fuori dalla tasca uno dei nostri fischietti segnalatori. Sarà quello di Ardens? Ma uno schermitore non se ne separa mai. L’improvviso dubbio che sia scesa a recuperarmi senza dire niente al suo ragazzo mi coglie; se è successo davvero ci aspetta una ramanzina da record al nostro ritorno.

La raggiungo e le prendo il braccio. «Meglio muoversi.»

«Ma possiamo ancora aspettare, se ne hai bisogn–»

«Nono, figurati. Sai com’è.»

«So com’è e tu sei rimasto giorni sottoterra!»

«Ho più paura di lui.» Non voglio avere a che fare con Ardens agitato, è peggio di una mamma quando ci si mette.

Raggiungiamo il santuario; non appena poggiamo un piede sulla piattaforma di pietra i passi si accendono uno dopo l’altro di un bagliore azzurro.

La statua del linnormr è aumentata di stazza: le scaglie a malapena accennate sono state sostituite da grosse placche metalliche. Davanti a lui un cavaliere brandisce la spada dorata, colto nell’atto di corrergli incontro.

Ai loro piedi decine di ibisco decorano il sostegno.

Rimango impalato. «Per-perché?»

«Ha restituito l’onore al legittimo proprietario.» Yelena mi mette le mani sulle spalle e si sporge per guardare il complesso.

«Poteva salvarlo prima, più che…»

«E il suo nome sarebbe rimasto nell’ignominia di aver “rifiutato” di continuare il giuramento.» Il tono amareggiato mi coglie alla sprovvista. «Alla morte agli umani non rimane altro che le loro gesta.»

La stoccata arriva chiara e forte.

«Avrebbe voluto vivere,» protesto.

«E io avrei voluto salvarlo prima.» Alza gli occhi, come se attraverso i rami verdi potesse vedere la collezione di stelle che veglia sull’umanità. Tira fuori dalla tasca la gemma generata dal mio giuramento e la lascia andare, la pietra si libra e orbita intorno alle due statue come se fosse attirata dalla loro gravità. «Ma ehi, prima o poi la sua stella tornerà di nuovo sulla terra, avrà un’altra occasione. Noi intanto dovremmo assicurarci che tutti sappiano chi era realmente Mons!»

Mi piace l’idea. «Non so neanche da dove iniziare.»

Yelena sogghigna. «Con uno schermitore rimasto tre giorni e tre notti a combattere al suo fianco e una statua spuntata dal nulla, convinceremo i compaesani in fretta. Il resto… lo capiremo.»





[Ronye Brionac]







Sprofondo nel divanetto rosso fuori dalla sala delle esposizioni temporanee, il nuovo catalogo del Granaio stretto tra le dita. Serro le labbra e mando giù lo sbadiglio che mi risale la gola. È la prima mostra da mesi che Ashley aiuta ad allestire, e non ho l’energie per stare un minuto in piedi di più a guardare vecchie fibbie di uniformi e spade arrugginite.

Il cellulare in tasca vibra, sicuramente una notifica dal gruppo per la ranked. Se evitavo di fare le tre del mattino con loro su Galaxies Collide sarei stata meno stronza.

Sfoglio le pagine patinate: una fila di foto di documenti risalenti a prima della fioritura degli aster, una solo dipinto di un Ardens ragazzo con il resto della famiglia del reggente e alcuni bozzetti dei membri dell’ordine dalla matita di Aer.

L’ultima pagina ha una foto del vecchio santuario in mezzo alla montagna con la statua di Mons e il linnormr. Sento ancora la voce esaltata di Ashley nelle orecchie che ripete tutto ciò che sono riusciti a trovare su ogni singola persona.

Immagina provare a convincere tutti che un essere umano abbia vissuto per mille anni! Non so neanche come gli sia venuto in mente, ma alla fine sono riusciti a convincere abbastanza la popolazione che il reggente ha dovuto cedere. Anche se molte delle prove che han portato sappiamo con sicurezza che sono dei falsi prodotti con l’aiuto di qualche esperto. Tipo, ti immagini!?

E poi ridacchiava, esaltata all’idea di qualche complotto. Richiudo il catalogo; per quel che mi riguarda che gli abbiano creduto è un miracolo o una mossa politica.

Le gambe lunghe di Ashley spuntano dalla sala delle esposizioni temporanee, l’orecchino votivo al suo orecchio cattura la luce delle ampie finestre e scintilla. Accanto a lei, Yelena si abbraccia i gomiti e distende le labbra, malinconica. I ciuffi rossi incorniciano un viso da trentenne, a cui non riesco a mettere una data precisa; gli occhi punteggiati di bianco, simili a un cielo stellato, sono immersi in un altro tempo. Non sono nemmeno sicura che stia davvero ascoltando Ash.

Mi alzo. «Round due?»

Ashley fa una smorfia. «Credo che faresti meglio a sdraiarti, dai l’idea di cadere da un momento all’altro.»

«Esagerata.» Mi cedono solo le gambe, nulla di ingestibile. Tu sei quella con occhiaie tali da sembrare un panda.

Yelena fa un passo indietro, in direzione della sala. «Meglio che vi riposiate entrambe. La gelateria dovrebbe essere appena aperta.»

Mi scambio uno sguardo con Ashley, la proposta è allettante. Recuperare zuccheri per ricaricare le batterie, un giro nel fresco per svegliarmi e la possibilità di parlare di qualcosa di diverso da vecchi eroi morti e complotti. Ruoto l’anello intorno al pollice. «Tu vieni?»

Yelena scuote la testa.

«Vi raggiungo dopo, rimango un altro po’.»





[.note a fine pagina]



La storia è uno spin off del demone di Laplace ambientato suppergiù duecento anni prima, nessuna delle due richiede l’altra per essere compresa perché sono entrambe complete in sé stesse (Almeno, l’obiettivo era quello!) Leggere entrambe dovrebbe essere solo un modo per sapere qualcosa di extra dei personaggi.

Per la questione delle ispirazioni, stavolta sarò più sintetica.

-Sono stata vittima come tutti quelli cronicamente online del flood di video su incidenti nelle grotte, ma l’ispirazione maggiore è stato Floyd Collins, in merito c’è un video bello lungo di Internet Historian.

(https://www.youtube.com/watch?v=bNm-LIAKADw)

-Il diritto di guida, detenzione, interrogazione e punizione per conto della guardiana è ispirata ai giudici della Ten-Lords Commission di Star Rail. Essere più specifica e comprensibile mi richiederebbe cinquecento parole, ma di base si tratta di giudici che si dividono i quattro compiti essenziali per occuparsi della gente che sta per soccombere alla fantasy!malattia della lore.

-L’idea di Mons soldato-albero è un riferimento all’aspetto base dei Mara-Struck di Star Rail (https://static.wikia.nocookie.net/houkai-star-rail/images/a/ab/Enemy_Mara-Struck_Soldier.png/revision/latest/scale-to-width-down/1000?cb=20230501074659), ma ho inserito una dose di hanahaki disease (https://fanlore.org/wiki/Hanahaki_Disease) perché è il massimo che riuscirò mai a scrivere sul trope.

Grazie per essere arrivati alla fine! Come al solito, la storia che pensavo di scrivere non è sopravvissuta all’effettiva pubblicazione. Le impressioni preziose che mi sono state lasciate mi hanno portato ad espandere alcuni dettagli e fatto capire di più dei personaggi. Al punto che so con sicurezza che mi scapperanno un altro paio di spinoff su elementi meno importanti.

Quindi grazie in particolare a Mixxo, NonLoSo_18, CASTORE, fiore di pesco, Tubo Belmont, Slane999new, Kirbo e Glenda.

Y’all made my day.

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