Erin del Crepuscolo

di Akashi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio (I) ***
Capitolo 2: *** il buon giorno si vede dal mattino ***
Capitolo 3: *** Mani di fata ***



Capitolo 1
*** Preludio (I) ***


Era notte. Dal fondo della via provenivano fruscii ed urla.

 Salici incorniciavano la stradina sterrata, mentre cespugli di ciliegio erano disseminati un pò ovunque, ai margini dei marciapiedi.

 -Andy, ma che succede?-. Una ragazzina uscì in fretta e furia da casa, una villetta blu, bassa, con il tetto a punta, identica a tutte le altre di Via Terrafredda. Aveva i capelli di fiamma, un rosso intenso che spinto dal vento le copriva interamente le chiare spalle. Una vestaglia color pesca le si adagiava al corpo, riproponendone le curve ancora poco accennate.

 -Erin, torna in casa, chiama papà-, le rospose un ragazzo alto, magro, con la testa disseminata di capelli color pece. Guardava un punto imprecisato del cielo, mentre diverse altre persone uscivano dalle loro abitazioni, stupite, diverse armate.

 -Presto!-. Erin tornò sui suoi passi. Entrando in casa, fece in tempo a girarsi per vedere il fratello correre verso di lei ed urlare qualcosa di incomprensibile. Dietro di lui, nel nero del cielo notturno, si intravide come il bagliore di una stella, che piano piano si intensificava e cresceva di dimensioni; inaspettatemente, ci fu un boato, per poco paragonabile ad un lamento di qualche titanica creatura.

 Andy prese la sorella per il braccio e la schiaffò in casa.

 Nell'atrio taceva tutto: i preziosi mobili di legno intagliato, i tavolini e le foto di famiglia; ogni cosa era stranamente inabbissata in un silenzio surreale. Dal piano di sopra si sentirono dei borbottii sommessi.

 -Ma che cavolo è tutto questo fracasso?-, dei passi affrettati si sentirono arrivare dalla grande stanza da letto.

 -Papà, scendi, presto!-, urlò Andy. Una figura smilza emerse dalle scale che davano sull'atrio, dove erano i due ragazzi.

 -Allora?-, chiese l'uomo, che ben mostrava i suoi quarant'anni di età, con calvizie, un paio di occhialoni sul naso, e una barba incolta stile nonnino.

 -sono i drow?-.

 -Non lo sò-, rispose Andy.

 -Ma ce ne dobbiamo andare-.

 -Su questo, ti do pieno appoggio, caro mio!-. L'uomo si avvicinò alla vecchia scansia, quella che avevano ereditato dalla nonna. L'aprì e ne tirò fuori due caschi, molto simili a due scolapasta arrugginiti.

 -Prendeteli, correte subito al palazzo-.

 -cosa? no!-, protestò Andy.

 -Tu verrai con noi-. Vedendo il sorriso del padre, Andy sentì un tonfo al cuore.

 -Che non si dica che Remur dei Nirie scappa di fronte al pericolo, dico bene?-.

 -No...non è giusto-, disse Andy, con le lagrime che fitte cominciavano a scorrergli sulle guancie.

 -papà...-, sospirò Erin, disorientata. Ci fu un esplosione. La casa scricchiolò tutta, gli infissi e le pareti tossirono polvere ed intonaco.

 -Andate!-, urlò Remur. Andy mise un casco in testa alla sorella, poi indugiò.

 -non c'è tempo!-, incalzò il padre. Come un vecchio re, Andy si sistemò il pesante e ridicolo caschetto anche sul suo capo. Prese la sorella per mano, mentre con l'altra fece pochi e semplici gesti.

 Una rada nebbiolina dorata cominciò a salire dal pavimento, ricoprendoli.

 -Papà...-, ripetè Erin ancora una volta.

 -Salutatemi la mamma. Datele un bacio da pare mia-. Ormai non si vedeva quasi più niente, si distingueva a malapena la sagoma dell'omino, che con fare ardito, e abbastanza inopporuno, aprì a porta  con un calcio e tirò fuori dal nulla un qualcosa simile ad un ombrello...o forse ad una spada. Si sentì un suo urlo.

Erin si ritrovò a piangere nella stanza del fratello, nel palazzo di famiglia, leghe e leghe distante da dove avevano lasciato il suo papà, da solo contro l’oscurità. 

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Capitolo 2
*** il buon giorno si vede dal mattino ***


Buio. Buio. Buio.

-Nirie! Nirie! Apri!-. Diversi colpi percossero la porta.

-Nirie!-. Era la voce di Jon, il capo maggiore delle reclute; ogni mattina, all’alba bussava alle porte di tutti gli uomini per assicurarsi che fossero svegli: davvero un uomo meticoloso e dedito al dovere.

“non mi vààà”, pensò Erin, premendosi il cuscino sulle orecchie.

-Sto dormendo!-, urlò. Si sentirono dei bisbigli. Erin, leggermente preoccupata, alzò di poco il cuscino, per capire che stava succedendo.

-Vai!-. Ci fu uno schianto. La porta della stanza 233 schizzò fuori dai cardini sotto l’unico colpo di un enorme Ogre, alle spalle di Jon.

-Good morning!- Urlò l’ogre, un bestione di due metri di carne verde e rancidume i cui denti, nell’improbabile sorriso, sembravano una scala ridotta di un disastro nucleare.

-Già, buon giorno, Nirie. Possiamo dire che la tua leva inizia proprio male-, disse Jon, mentre con passo cadenzato entrava nella stanza della ragazza, schiacciando i pezzetti rimanenti della povera porta.   

-Ma che diavolo...- bonfocchiò Erin. I capeli rossi, riprendevano malamente la figura di una fontana, che dalla testa gettava spruzzi rubino che non fosse stato per la gravità avrebbero toccato il soffitto (cosa neanche troppo difficile, per quanto era piccola la stanza).

-No, no. Non che diavolo, ma Quale diavolo. E tieniti pronta piccola, ce l’hai davanti. Ora muoviti, ti voglio nella piazza tra cinque e dico cinque minuti. E ti voglio presentabile!- Più parlava, più la faccia del capo maggiore diventava paonazza da far paura, neanche dovesse scoppiare.

 Erin fece /si si/ con la testa. Meglio evitare sangue e cervella di primo mattino.

-Bene. Norg, andiamo-. Jon uscì dalla stanza, lasciando l’elfa con una porta sbriciolata e la bella vista panoramica dell’interno della caserma. “benone”, pensò.

 

-Non shono molte le coshe che nella vita ti danno una vera emoshione. A me lo da.. il mangiare, capisci, no’?-.

-Come no-, rispose Erin. Era alla mensa, un enorme stanzone dove tutta la milizia di Kord, capitale dei cinque regni di Mos, andava a fare “la pappa”, come la chiamava Jon (non si capiva bene il perché). Una delle quattro pareti della stanza era fatta totalmente di vetro, e prestava lo spettacolo sublime nonché annichilente del deserto Daghèl, un deserto di rocce e sabbia, in continua tormenta. Probabilmente i grandi capi volevano che ai soldati rimanesse tutto il rancio sullo stomaco. Almeno a quasi tutti. Yolf, una recluta, era un bambinone formato gigante, abbastanza imponente da far pensare che prima della sua partenza, delle mucche della fattoria della madre di cui parlava sempre, se ne fosse mangiate un paio.

-Potresti almeno ingoiare, prima di parlare con una signora-, disse Kan, un’altra recluta.

Kan era di quel tipo di cattivi ragazzi che Erin disprezzava, perché senza una reale consistenza. Tutto fumo e niente arrosto. Anzi, invece di un arrosto ci trovi un bell’orsacchiotto di pezza. Patetico.

-Certo, come no-, disse Yolf, ridendo.

-Ehi mi stai prendendo per culo?- gli rispose Kan, brandendo il coltello con cui si stava tagliando la colazione.

-Ehi, coso, lo sai cosa è che mi da una vera emozione?-, disse Erin rivolgendosi a Yolf.

- l’emozione più grande ce l’ho quando...uccido-. Lo sguardo della ragazza scivolò sul volto dei Kan e un sorriso le fece fremere il labbro superiore.

-oh beh-, disse Yolf, ridendo,

-il mondo è bello perché è vario!-, e si schiaffò in bocca un altro pezzo di maiale, dicendo, tra una masticata e l’altra /buono, buono/. “stupido panzone”, penso kan, posando il coltello.

-coshè, te ne fai?- disse Yolf vedendolo alzarsi.

-già, guardandoti mi è passata la fam...-. Ci fu uno squillo di tromba e le enormi imposte della mensa si spalancarono.

Ad aspettarli fuori, c’erano Jon e il suo ogre.

-Forza, vermi della fazione rossa, la pappa è finita! Tutti in riga, si comincia con il lavoro vero!!-.

 

La piazza della caserma era un ampio lastricato di cemento che correva in circolo per un raggio di quasi venticinque metri. Al centro di questa c’era una spece di pulpito di legno, sopra il quale un uomo in uniforme cremisi dall’aria austera guardava un manipolo di venti uomini.

-Uomini! Salutate il Generale Barhes! Saluti!- url’ Jon da sotto il palco.

-saluti- ripetè l’ogre, con la sua voce d’oltretomba.

Tutti gli uomini portarono la mano destra sul capo, coprendosi la fronte.

-Uomini!- urlò l’uomo da sopra il pulpito.

-Da oggi sarò il vostro Capitano, (odio la parola Generale), e solo così vi sarà concesso di chiamarmi; vale per tutti. Non so se l’ho avete chiaro ma per i tardi che magari hanno sbagliato albergo darò credo una bella notizia: Siete nell’ esercito personale di Re Dorian, sovrano del regno di Kord e di tutti i cinque regni di Mos. Nessuno ha un urrà?-. Lo sguardo dell’uomo viaggio per i volti dei pochi spettatori di quel singolare spettacolo.

-Già- disse, sputando di lato.

-Ascoltate e sentitemi bene perché questa sarà l’unica regola che pretendo rispettiate, pena la vita. Voi, voi tutti, siete solo cani per quelli per cui lavorate. Cani da guardia addestrati ad uccidere. Molti di voi in altre mani sarebbero esattamente questo, ma non con me. Chi vuol essere un cane, vada a riempire la zuppa di Rukk (che è il cuoco, per chi non lo sapesse). La vita di ogni uomo voglio che vada preservata e se c’è ance solo una possibilità che uno di voi, qualsiasi di voi, ne salvi un altro da un pericolo, lo deve fare. Guardatevi intorno, tutti quanti! Queste faccie, queste mura, per i più sfortunati di voi saranno da oggi in poi l’unica realtà. I più fortunati moriranno prima-

“e il discorso della sacralità della vita va al cesso”, pensò Erin, nella folla.

-Ora sarete divisi in squadre da cinque persone. Sarete assegnati  a diversi compiti, più o meno pericolosi. Ricordate il vostro compito e la vostra priorità: la vita del re!-

Gli uomini esplisero in applausi ed ovazioni

-viva il reee, viva il reee-

Erin si guardò intorno, confusa. “Ma che diavolo... era un discorso senza senso e questo è il risultato? Si prospetta una vacanza monotona...”.

 

Furono rotte le righe ed i soldati furono chiamati a turno da quattro uomini in divisa rossa.

-Nirie Erin?-, fu chimata dal capo squadriglia di sinistra, il più giovane dei quattro. Erano stati chiamati anche Yolf e Kan, i ragazzi che aveva incotrato alla mensa. Si avvicinò al gruppo, seguita da altri due: Una certa Nei Karter, che prima che fosse chiamata Erin credeva fosse un uomo, ed un certo Axam Qudd.

 Erano tutti di fronte al Capo squadriglia, in attesa che compilasse non si capiva bene che carte.

-bene-, esordì.

-Da oggi sarete la squadra 4, fazione rossa. Io sono il vostro responsabile, nonché capo e potete chiamarmi Tom. Se siete pronti, possiamo andare-.

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Capitolo 3
*** Mani di fata ***


Buio. Buio. Buio.

 

Sbarrò gli occhi e strinse con tutte le sue forze le coperte che l’avvolgevano. Dov’era? Goccoline di sudore le imperlavano la fronte mentre i capelli, scomposti le si incollavano alla schiena. Era notte. Dall’enorme finestra della stanza era ben visibile la luna, alta sopra le fronde della Selva...

Il respiro stava accelerando, sentiva la testa sempre più fredda, i pensieri l’assalivano uno dietro l’altro, immagini sfalsate, ricordi sbiaditi... Dov’era?

La porta si spalancò e ne emerse un omino pallido, con un curioso vestito ocra pallido.

Si avvicinò correndo al suo letto e la prese per le spalle.

-Signorina, signorina, si calmi!-. Erin non capiva. Chi era quell’uomo? Che stava succedendo.

L’uomo l’abbracciò. E d’un tratto, riuscì a respirare. Ci fu un improvviso silenzio. Il fatto che fino a quel momento avesse urlato come una dannata non riuscì a penetrarla completamante.

Che sta succedendo?

 Nella stanza entrò qualcun altro.

-Gerrad, lascia fare a me-. Un ragazzo alto, moro, con una lunga veste nera le si inginocchiò davanti, mettendo da parte il povero maggiordomo. Due calde mani le coprirono le guancie.

-fratello-, sospirò Erin, disorientata.

-sono qui- rispose Andy.

-Dove sono?- gli chiese.

-sei qui con me, questo è l’importante. Ricordi...?- rispose il ragazzo, ma non riuscì a finire la frase che la sorella già era ricaduta in preda alle convulsioni.

Dove sono? Che succede?

-Erin, Erin, Parlami! Ricordi le parole del maestro Hume? Erin ricordi il maestro Hume?-. Andy era costretto ad urlare per poter sovrastare le urla della bambina.

Dove sono? Dove sono?

-Erin, calmati!-

Dove sono? Chi sono?

-Ricorda il maestro Hume!-

Il mae...

-il marstro diceva di...di respirare affondo...- Erin abbassò la testa, esausta.

-aiutami...-

-Erin, Erin, ricordi cos’altro diceva di fare il maestro?- incalzò Andy, approfittando della quiete momentanea.

-Io...devo raccontare...devo raccontare i miei sogni...-

-si, esatto, raccontali a me; ma con cautela. Respira, piano. L’importante è respirare-.

Il maggiordomo rimase in un angolino, esterrefatto da ciò che aveva appena visto. Ciò che comunemente veniva chiamato dono, prodigio...martoriare coosì una povera bambina...

La storia di Erin non fu lunga. Andy se la fece ripetere un paio di volte, così da essere sicuro che nessun particolare le rimanesse impresso nella memoria.

Quando ebbero finito la rimise sotto le coperte e le rimase vicino finchè non chiuse gli occhi.

-Sta peggiorando-, disse rivolgendosi al maggiordomo.

-Signore, io...non capisco- bonfocchiò l’omino.

-già. Come tutti, del resto-. Il ragazzo si avviò verso la porta, stanco.

-Se solo ci fossero i genitori...- disse il maggiordomo, una volta usciti dalla stanza.

Andy sorrise.

-Se  quì ci fossero i nostri genitori...probabilmente saremo tutti morti-.

Gerrad non capì.

Anche quella notte passò.

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