Napoleon of Another World! (Volume 3 - L'Immaginazione Governa il Mondo)

di Cj Spencer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 - LA NASCITA DELLO STATO LIBERO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 - IL TASSO E LA VOLPE ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - L'ATTACCO A GROTE MUREN ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - INCONTRO AL PASSO DI GAEL ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 - INFERNO BIANCO ***
Capitolo 6: *** EPILOGO - A LA VICTOIRE ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 - LA NASCITA DELLO STATO LIBERO ***


“Senza aristocrazia,

lo Stato è un vascello senza timone.”

(Napoleone Bonaparte)

CAPITOLO 1

LA NASCITA DELLO STATO LIBERO

 

 

Come un fulmine a ciel sereno.

Una tempesta impossibile da fermare.

Prima ancora che la notizia potesse uscire dai confini di Eirinn per bocca degli esploratori o delle spie straniere, un esercito di messaggeri a cavallo percorse come uno sciame di locuste ogni strada, ogni sentiero. E una mattina, con una coordinazione quasi sconvolgente, sulle bacheche per gli annunci ufficiali di tutte le maggiori città dell’Impero e delle altre nazioni vicine comparve un annuncio.

 

A chiunque legga questo messaggio,

Abitanti di Erthea.

Vi parlo a nome degli abitanti della vecchia provincia di Eirinn, dell’Impero di Saedonia.

Con il favore di Gaia ed il sostegno dei governanti locali abbiamo sconfitto le forze imperiali di stanza nel Castello e preso il pieno controllo della provincia.

Tutti coloro che hanno condiviso i nostri ideali e appoggiato la nostra impresa sono al nostro fianco, ed ognuno di loro è pronto a fare la sua parte nella nascita e nello sviluppo della nostra nuova nazione.

Per questo motivo, annuncio ufficialmente la nascita dello Stato Libero di Ende, il quale a partire da questo giorno agirà come nazione indipendente e sovrana in accordo con la volontà del suo popolo.

Tutte le distinzioni di razza e ceto sociale sono state abolite, e coloro che hanno commesso dei crimini nei confronti della nostra gente e siano caduti nelle nostre mani, o si siano consegnati spontaneamente, saranno presto sottoposti al giudizio della legge dinnanzi ad un regolare processo.

Con il presente proclama intendiamo affermare l’assenza di qualunque volontà aggressiva nei confronti dei nostri vicini.

Quale segno di buona volontà, tutti i contratti e gli accordi commerciali precedentemente vigenti tra le industrie locali e soggetti stranieri, siano essi referenti a privati cittadini o entità nazionali, saranno immediatamente ripristinati, fatti salvi quelli che dovranno essere rinegoziati con il nuovo governo, e i cui tenutari saranno prontamente informati entro il prossimo mese lunare.

Allo stesso modo in cui ribadiamo la nostra volontà nell’astenerci a prendere parte ad un qualunque conflitto di aggressione, afferiamo tuttavia anche la nostra ferma determinazione a fare tutto quanto è nelle nostre capacità per affrontare qualsiasi minaccia dovesse levarsi contro di noi.

Abbiamo preso la spada per affermare il nostro diritto di essere padroni della nostra patria, delle nostre case e del nostro destino, senza ingerenza alcuna di parte di nazioni straniere e senza alcuna volontà di consegnare queste terre nelle mani di un qualunque nemico dell’Impero.

Con gli auspici di Gaia e la benedizione della Trinità tutta, possa questo giorno essere ricordato come la nascita di una pacifica e serena collaborazione tra la nostra patria ed il resto di Erthea.

Il Primo Ministro e capo di governo dello Stato Libero,

 

Daemon Haselworth

 

Dalla piazza della grande città di Maligrad la notizia passò di bocca in bocca, di casa in casa, fino ad arrivare nel cuore del palazzo imperiale che dominava la città.

Sua Altezza Imperiale Arnold Ademar XVI, centoventicinquesimo sovrano di Saedonia, era soprannominato dal suo popolo e da tutti i suoi vicini Giudice di Erthea, perché una sua decisione era capace di cambiare il destino del mondo, tali erano il potere e l’influenza dell’impero che governava.

A distanza di cinque secoli, il mito di Saedonia come nazione che oltre ad aver dominato metà del continente aveva guidato gli umani alla vittoria sul Signore Oscuro riecheggiava ancora come un tuono, scolpito nel marmo e dipinto in oro sulle pareti della reggia.

La sala del trono dove Sua Maestà sedeva, il più delle volte in solitudine immerso nei propri pensieri, era dominata dalla gigantesca statua d’oro di un leone rampante che torreggiava alle spalle dello scranno regale, anch’esso scolpito in modo da raffigurare le fauci spalancate del maestoso felino.

Perché così come c’era un solo re della foresta, così, si diceva, esisteva un solo re tra gli uomini.

Nonostante avesse abbondantemente superato i cinquant’anni Re Ademar appariva ancora come un uomo nel pieno del suo vigore, forte e risoluto come il giorno della sua incoronazione.

Come amava ripetere lui stesso l’età l’aveva reso più saggio, ma mai in vita sua era stato impulsivo o sprovveduto, non per niente il popolo lo aveva soprannominato l’Imperatore Stratega.

«Vostra Maestà.» disse il Barone Flavio Marcello, capo del senato e suo stimato consigliere, entrando nella stanza con una copia dell’annuncio in mano.

«So già tutto, amico mio.»

«Questo è un fatto di una gravità inaudita. Prima d’oggi non era mai successo che dei ribelli reclamassero il dominio di una parte del nostro impero in modo tanto sfacciato. Un simile affronto non può assolutamente restare impunito.»

«Contieni la tua foga, Marcello. Longinus era un incapace, ma la Quindicesima era una delle nostre legioni migliori, e il Generale Ron un veterano di molte battaglie. Se il proclama e le voci dicono il vero, i ribelli li avrebbero spazzati via in meno di un mese. Solo questo fatto direi che suggerisce di tenere un atteggiamento prudente.»

«Comprendo la vostra preoccupazione Maestà, ma mi sento in dovere di riaffermare la gravità di questa situazione. Eirinn è da sempre una delle nostre province più importanti. Nel corso degli anni abbiamo combattuto senza sosta, prima con il Regno e poi con l’Unione, per conservarne il dominio. Le sue miniere e i suoi giacimenti sono ciò che tiene in vita il nostro esercito e la nostra economia. Senza il suo ferro per le armi e il suo argento per le zecche, con cosa sosterremo la ribellione orientale e il mantenimento della tregua con il Principato?»

«Forse non è così grave come tu la dipingi, amico mio. Il proclama non dice forse che tutti i contratti commerciali saranno rispettati? Potrebbe costarci un po’ di più, ma non è meglio questo che sacrificare chissà quanti soldati per piegare un popolo che si è sempre mostrato insofferente al nostro dominio?»

«Questi non sono tempi facili, Divino Imperatore. I venti di ribellione soffiano ovunque a Saedonia. Scendere a patti con quei ribelli sarebbe come ammettere la nostra debolezza. Per non parlare del fatto che riconoscere l’esistenza di una nazione nata da una rivolta di schiavi potrebbe dare adito a nuove insurrezioni, proprio in un momento in cui l’Impero ha più bisogno che mai del lavoro degli schiavi.»

Ademar girò lo sguardo verso il grande mosaico sulla parete alla sua destra che rappresentava gli sterminati domini dell’Antico Impero, prima che crisi di governo, imperatori incapaci e sconfitte militari costringessero i suoi predecessori a spezzettarlo in tanti stati minori, un lento stillicidio che ora sembrava essere ricominciato.

«Quando ho stretto la mano di mio padre mentre moriva, gli ho promesso che avrei riportato l’Impero alla gloria del passato. E invece, da quando siedo su questo trono, non ho fatto altro che trascinarmi da una crisi all’altra. E ora, guarda in che situazione siamo. Connelly si mangia i miei confini, i baroni d’oriente mi ringhiano contro, e ora un pugno di ribelli si porta via in pochi giorni una delle nostre province più importanti. E in tutto ciò non posso neanche sperare in chi verrà dopo di me, dal momento che il mio unico figlio è un completo idiota. Che sia dunque il mio destino di essere ricordato come l’ultimo imperatore ad aver guidato Saedonia

«Non dovete parlare così, Maestà. Ho servito due imperatori prima di voi, e vi prego di credermi se vi dico che voi svettate come un gigante a confronto di vostro nonno e vostro padre. Loro sono stati grandi, ma voi avete tutto per esserlo ancora di più, e l’avete dimostrato in più occasioni.»

«Le tue parole mi lusingano Marcello, ma sappiamo bene tutti e due che la tua opinione non ha molti sostenitori in senato. Non sono state forse le mie riforme a provocare la rivolta dei Baroni, o la mia volontà di porre fine alla guerra con Connelly che ha consegnato al principato la città di Tagrea

«Ma il popolo vi ama, Maestà. Loro lo sanno che è merito vostro se per la prima volta da cinquant’anni l’Impero è in pace con tutti i suoi vicini.»

«Già, ma a quale prezzo? Saedonia in questo momento è un leone ferito, che ruggisce e si dimena per fingere di essere ancora forte come un tempo.»

«E se vogliamo che quel leone torni a governare sul mondo, è necessario che dia prova una volta per tutte della sua forza. Per questo mi sento in dovere di consigliarvi di risolvere al più presto questa crisi. Anche perché al momento non possiamo sapere come reagirà l’Unione. Medici non è tipo da agire in maniera impulsiva, ma i membri del suo consiglio appartengono quasi tutti alla fazione interventista, e certamente non si lasceranno scappare l’occasione di poter mettere le mani su Eirinn e le sue risorse.»

In quel momento un servitore aprì la porta della sala annunciando l’arrivo del Capitano Montgomery, che chiedeva con insistenza di essere ricevuta.

«Non ha perso tempo.» sorrise divertito il sovrano. «Falla passare.»

L’attendente non fece neanche in tempo a spostarsi, e con il passo sicuro di un nobile e il portamento fiero di un soldato la giovane Aria si presentò al cospetto dell’Imperatore, inginocchiandosi rispettosamente una volta giunta ai piedi del trono. Con lei al suo fianco, come sempre, il suo fidato attendente, un uomo-uccello alto e magro più o meno della sua stessa età, le cui ali color terra, per quanto arruffate e spiumate, brillavano ancora di una luce particolare.

In pochi si sarebbero permessi di introdurre un mostro alla presenza del sovrano, ma Aria era troppo orgogliosa di Zypax e troppo affezionata a lui per rinunciare alla sua compagnia.

«È passato un po’ di tempo, mia cara.»

«Vostra Altezza, suppongo non vi sia bisogno che io vi dica il motivo per cui sono qui.»

«Naturalmente. Io e il Barone ne stavamo parlando proprio adesso.»

«Datemi l’ordine, e io vi do la mia parola che sconfiggerò i ribelli. Muovendoci adesso potremo arrivare ai confini della provincia giusto in tempo per quando i valichi montani saranno liberi dalla neve.»

«Cos’è tutta questa tracotanza?» disse irritato Marcello. «Nessuno ti ha nominata comandante di qualsivoglia spedizione. E comunque che ci fa qui questo animale? Solo perché appartieni alla famiglia reale di Eirinn non significa che puoi fare quello che vuoi.»

«Quelle terre una volta appartenevano alla mia famiglia.» rispose la ragazza lanciando un’occhiata obliqua al vecchio senatore. «Le conosco meglio di chiunque altro. E per quanto riguarda Zypax, è al mio servizio da prima che iniziassi a frequentare l’accademia. Non c’è al mondo guerriero più abile e devoto di lui. Mi ha salvato la vita in innumerevoli occasioni, e come me ha versato sangue per la gloria e la prosperità dell’Impero. Ritengo col dovuto rispetto che abbia diritto di stare alla presenza di Sua Maestà tanto quanto voi.»

«Adesso calmatevi tutti e due.» disse bonariamente il sovrano alzando il braccio «Ammiro la tua determinazione Aria, e sono sicura che sarai in pensiero per tuo padre e tuo fratello.»

«È così, Vostra Maestà. Mio padre come sapete al momento non gode di buona salute, e mio fratello Victor malgrado il suo impegno potrebbe non essere in grado di gestire questa crisi da solo.»

«Forse non è il caso di essere così pessimisti. Come stavo dicendo anche al mio scorbutico amico Marcello, i ribelli non sembrano intenzionati a portare la loro lotta al di fuori dei confini della provincia.»

«Come sicuramente sapete, il reunionismo è forte in tutti i domini del vecchio Granducato. Data la situazione, non posso escludere che qualcuno dei consiglieri di mio fratello riesca a convincerlo a dichiarare guerra ai ribelli nel tentativo di restituire ai Montgomery il controllo anche della parte occidentale del nostro antico territorio.»

«Sarebbe un tradimento in piena regola!» tuonò Marcello. «Quei territori sono stati regolarmente ceduti all’Impero dai vostri antenati come forma di compensazione per i debiti che il Granducato aveva accumulato con la famiglia reale. L’Eirinn Occidentale appartiene a noi!»

«Ne sono consapevole, e lo è anche mio padre. Se lui fosse nel pieno delle sue forze non mi preoccuperei. Ma Victor è impulsivo e malconsigliato, soprattutto da nostro zio Philippe.»

«Non era stato esiliato?» chiese l’Imperatore

«Victor ha annullato la sentenza che nostro nonno gli aveva inflitto. È stato uno dei suoi primi atti da quando ha assunto le funzioni di governante dopo l’aggravarsi della malattia di nostro padre. Ora comanda l’esercito granducale assieme al Generale Lefde

L’Imperatore rimase in silenzio per alcuni istanti, passandosi sulla mano sul viso e sfregandosi la punta della barba ingrigita dall’età.

«Alla luce di quello che mi dici capisco la tua inquietudine, ma purtroppo al momento non posso fare niente per te. In questo momento buona parte del nostro esercito è impegnato a combattere contro i Baroni ribelli, e le poche legioni che rimangono sono obbligate dalle circostanze a presidiare i luoghi in cui si trovano attualmente.»

«In questo caso, vi prego di permettermi almeno di recarmi all’est per dare il mio contributo. Se i ribelli dovessero essere sconfitti, a quel punto le legioni impegnate nella guerra potrebbero essere ridestinate al sud per riconquistare la provincia perduta.»

«Stiamo combattendo con Severus e gli altri baroni da più di dieci anni senza ottenere risultati, e questa ragazzina pensa di poter vincere la guerra in pochi mesi? Quanta arroganza!»

«Basta, Marcello. Sembri molto sicura di te, giovane Montgomery. In questo caso, considerati messa alla prova. Ti nomino comandante in terza dell’esercito orientale.»

«Ma, Maestà…!?»

«Se con il tuo contributo riusciremo finalmente a sconfiggere i ribelli non solo prometto di ridestinare parte di quelle truppe alla riconquista di Eirinn, ma prenderò anche in considerazione l’idea di nominarti comandante della spedizione.»

«Vi ringrazio infinitamente, e prometto che non tradirò la Vostra fiducia. Vi porterò io stessa la testa del Barone Severus

Quindi, fatto un ultimo inchino, la giovane lasciò la stanza assieme al suo servitore. Marcello aveva i nervi a fior di pelle, ma quando la rabbia si fu un po’ calmata non poté fare a meno di apprezzare l’astuzia con cui l’Imperatore aveva apparentemente gestito la questione.

«Molto saggio, Vostra Maestà. Inviando quella scalmanata all’est vi siete assicurato che non commetta qualcuna delle sue proverbiali sciocchezze, senza contare che qualora dovesse fallire nel suo compito la poca considerazione di cui gode nell’esercito si sgretolerà una volta per tutte.»

«Dicono che l’età renda più saggi amico mio, ma a quanto vedo questo concetto non si applica a te.»

«Maestà?»

«Tu la sottovaluti, Marcello. Tutti voi la sottovalutate. Si è diplomata all’Accademia Militare con un anno di anticipo, e alla scuola ufficiali ha messo in riga i suoi stessi professori. Nemmeno Adrian, il figlio di Longinus, era stato capace di tanto. Ricordo ancora quando suo padre mi supplicò letteralmente di fare uno strappo alla legge così da permetterle di ereditare il controllo del Granducato al posto di suo fratello.»

«È chiaro che la tenete in altissima considerazione. Dunque perché avete rifiutato la richiesta?»

«Perché c’è solo una cosa peggiore di un idiota su un trono. Un genio su un trono.» rispose il sovrano con una strana luce negli occhi, e stringendo un po’ più forte la mano attorno allo scettro imperiale. «Fai preparare un piedistallo e un piatto d’argento.»

«Per quale motivo?»

«Per quando quella ragazza mi porterà la testa di Severus

 

Non era facile essere un elfo ad Erthea.

In un mondo che amava la legge, l’ordine e i confini non c’era posto per un popolo di raminghi nomadi, in perenne spostamento e sempre pronti a piantare le loro tende ovunque vi fossero foreste vergini per cacciare o ricchi pascoli per i loro cavalli.

Le vaste terre che occupavano –un’inezia se rapportato a quelle che i loro antenati attraversavano da un capo all’altro quando gli umani ancora vivevano nelle case di paglia– erano state il prezzo che Saedonia e la Volkova avevano dovuto pagare per ottenere il loro supporto durante le Guerre Sacre. Il loro contributo di abili arcieri, cavallerizzi ed esploratori era stato determinante nell’arrestare l'apparentemente inarrestabile avanzata verso est delle armate del Signore Oscuro, e consapevoli di ciò non avevano fatto sconti nel momento di avanzare le proprie richieste.

Non erano sicuramente i domini sterminati dei loro avi, ma almeno da quel momento in poi avevano potuto tornare ad essere sé stessi, preservando i loro riti e le loro culture.

Ma anche se un elfo poteva dirsi libero in quelle terre, bastava mettere piede in qualunque altra nazione per essere nuovamente guardati con diffidenza e soggetti ad ogni sorta di pregiudizio, in modo meno sprezzante ma di sicuro non troppo diverso dai mostri.

Così se ne stavano per conto loro cacciando, coltivando e spendendo serenamente la loro lunga vita, lontani dalle questioni degli umani, divisi in tantissime tribù che raramente si incontravano persino tra di loro, se non in occasione dei raduni annuali nelle terre sacre o per dirimere dispute dinnanzi al Consiglio degli Anziani.

Ovviamente non tutti i clan erano uguali, anche se a quelli più grandi e potenti piaceva pensare e dire il contrario.

Capitava così che quando si trattava di nominare un rappresentante, un esploratore o una spia per qualche incarico pericoloso alcuni clan erano più sfavoriti di altri nella scelta.

«Si può sapere dov’è finita Natuli?» sbottò il Grande Capo Sawané della tribù Nara «Ho ordinato di richiamarla dalla caccia giorni fa.»

«Abbiamo mandato esploratori in tutti i suoi abituali territori di caccia, ma nessuno è riuscito a trovarla. Così ieri ho detto ai miei migliori guerrieri di andare a cercarla nella foresta della morte.»

«Dai, non scherziamo.» disse un altro dei capifamiglia. «Nessuno sarebbe così pazzo da avventurarsi da solo lì dentro.»

«Ti sei scordato che stiamo parlando di Natuli

Proprio in quel momento un trittico di conigli demoniaci, animaletti capaci di sbranare un lupo in pochi secondi, piombò all’interno della tenda sollevando una nube di polvere; tutti i presenti scattarono in piedi per la paura, solo per accorgersi dopo qualche attimo che erano già morti stecchiti, legati per le zampe posteriori e pronti per lo spiedo.

«Allora? Si può sapere cosa c’è di così urgente per venirmi a disturbare durante la caccia?»

Che Natuli fosse tanto bella quanto suscettibile era una cosa nota a tutti, non solo nella sua tribù, ma il suo rivolgersi in modo tanto irrispettoso persino agli alti rappresentanti della sua gente faceva andare ogni volta su tutte le furie i capifamiglia, e più in generale chiunque fosse costretto ad avere a che fare con lei.

Sawané fu l’unico a non scomporsi, forse perché era l’unico che ormai si fosse rassegnato ad accettare quella testa calda così com’era.

«Lasciateci soli.» ordinò, venendo subito obbedito

«Ebbene? Spero davvero che sia una cosa importante. Stavo dietro a quel tarkana da tre giorni, e ormai l’avevo quasi preso.»

«Anche se sono tuo padre, vorrei che tu ricordassi che resto pur sempre il capo di questa tribù. Pertanto mi aspetto che…»

«Che mi rivolga a te con il dovuto rispetto, e bla, bla, bla. La conosco questa filastrocca. Avanti, fuori la voce, così poi posso andare a farmi un bagno.»

«Immagino che perfino tu avrai sentito cosa è successo a Saedonia. Il Consiglio degli Anziani è molto preoccupato dalla comparsa di questa specie di nazione di mostri. Secondo alcuni potrebbe essere presagio della comparsa di un nuovo Signore Oscuro.»

«Quei vecchi bacucchi pensano di vivere ancora all’epoca delle Guerre Sacre. Succede qualcosa appena fuori dal normale, e subito gridano al cataclisma imminente.»

«Sii più rispettosa, figlia mia. Il Consiglio più di chiunque altro ha a cuore il benessere del nostro popolo.»

«Se fosse così non ci costringerebbero a passare quasi metà dell’anno in questa fossa mefitica a due passi dalla Foresta della Morte, lasciando alle loro tribù i pascoli migliori. Non sono altro che un branco di arraffoni che pensano solo a sé stessi.»

«Ora stai esagerando! Non ti permetto di parlare in questo modo del Consiglio!»

«Non ti scaldare, che poi ti fa male alla salute. Quanti anni hai, seicento? Al tuo posto starei attento a questi scatti d’ira.»

«Se davvero ci tieni alla mia salute, allora una volta tanto cerca di comportarti come si conviene ad un futuro capotribù. Ormai hai quasi duecento anni, è ora che tu la smetta di fare la matta nelle foreste, o di far scappare tutti i tuoi pretendenti.»

«Ecco, lo sapevo.» disse la ragazza gonfiando le guance. «Mai una volta che si possa evitare l’argomento.»

«Ma davvero non ti vergogni di quello che fai, razza di figlia degenere? Il povero Damian cammina ancora zoppo! Che ti è saltato in mente di farlo combattere contro una tigre nera?»

«Ha detto lui che mi avrebbe seguito ovunque fossi andata, io l’avevo avvertito.»

Il vecchio capo fece un paio di respiri profondi, ringraziando gli dèi che nessuno lo avesse visto dare di matto per l’ennesima volta; non c’era niente da fare, per quanto cercasse ogni volta di darsi un contegno e rimanere calmo, parlare con sua figlia riusciva sempre a farlo uscire di testa.

«Ad ogni modo, per tornare al discorso di prima, il Consiglio ha deciso di inviare qualcuno nella nuova nazione per tenere d’occhio i ribelli e fare rapporto. L’incarico come puoi immaginare è stato affidato alla nostra tribù.»

«E tu hai deciso di inviare me. Lo sai che non sono tagliata per queste cose. Politica, diplomazia e discrezione non sono esattamente il mio forte. Anzi, diciamo pure che le detesto.»

«Non ha importanza. A quanto si dice in giro questo Haselworth non fa distinzioni tra umani e non-umani nello scegliersi i collaboratori. Per quanto non propriamente adatte ad una principessa tu possiedi molte qualità che potrebbero fargli comodo. Basterà che tu ti metta in mostra, cosa che invece ti riesce molto bene.»

Natuli sbruffò contrariata, prendendo ad avvolgersi attorno al dito una ciocca dei lunghi capelli argentei.

«L’hai detto tu stessa figlia mia. La nostra è una piccola tribù. Dobbiamo cogliere ogni occasione possibile per accrescere il nostro prestigio. E forse un giorno, quando prenderai il mio posto, i Nara potranno finalmente porsi sullo stesso piano delle Cinque Grandi Tribù, e ottenere un proprio posto nei vasti altipiani dell’ovest.»

«Tu sogni, papà. L’ordine delle cose non si può alterare. Lo so io, lo sai tu, e presto lo capirà anche questo Daemon.»

«Natuli…»

«D’accordo, d’accordo. Lo farò. Quando dovrei partire?»

«Il prima possibile. Abbiamo già inviato un messaggio ai nostri agenti a Faria. Raggiungerai i territori controllati dai ribelli attraverso il confine del Granducato, passando dalla fortezza di Grote Muren

«Allora sarà il caso che vada a fare i bagagli. Accidenti, che rottura.»

 

Gli abitanti di Connelly amavano i giochi, e non c’era città piccola o grande in cui non ci fosse un’arena.

E quella di Rosada, il secondo maggior porto commerciale della nazione, era una delle più grandi, con un intero settore riservato esclusivamente ai moltissimi mercanti e funzionari stranieri che ogni giorno di ogni mese dell’anno visitavano la città per vendere e comprare.

«Vecchio Yusuf!»

«Said, ragazzo mio!»

«È passato molto tempo. Sono felice di trovarvi in buona salute.»

«Per i capelli di Gaia, guarda come sei cresciuto. Sembra solo ieri che eri un ragazzino scalmanato che correva a destra e a sinistra per il bazar di Khariya, e guardati adesso.»

«Voi esagerate, maestro. Non sono così importante e ricco. Non certo quanto voi, almeno.»

«Attento ragazzo, la modestia spesso non paga negli affari.»

«Comunque, ammetto di essere un po’ confuso. Quando vi ho scritto proponendovi di incontrarci per un saluto non avrei mai pensato che avreste scelto in un posto simile.»

«Sei a Connelly, ragazzo mio. Qui tutto, che si tratti di affari, guerra o proposte di matrimonio, si discute non nella stanza di un palazzo, ma sulle gradinate di un’arena. In realtà non amo molto questo posto e ci vengo molto poco, ma per il mio discepolo preferito questo ed altro. Quindi forza, accomodati. Ho fatto riservare i posti migliori. La battaglia inizia tra pochi minuti, intanto serviti pure. Ci sono carne, vino, birra e frutta. E se vuoi qualcos’altro, devi solo alzare una mano e chiedere agli inservienti.»

«Vi trattate sempre molto bene a quanto vedo.»

«Non mi lamento. Ma ora parlami un po’ di te. Ho sentito dire che ti occupi di tessuti.»

«È così. Tratto soprattutto seta di ragno delle caverne.»

«Bestie pericolose. Tra gli avventurieri, la produzione e i trasporti ti costerà una fortuna.»

«Abbastanza, ma i guadagni compensano abbondantemente le spese. Ho trovato un gruppo di avventurieri in gamba e una covata di ragni che produce un filo di ottima qualità. Non posso ovviamente dirvi dove, sapete com’è. La concorrenza.»

Il vecchio mercante esplose in una risata compiaciuta.

«Tranquillo, ti capisco e ti approvo. Siamo mercanti tutti e due, dopotutto. Quindi sei qui per trattare una vendita? Quando sei arrivato da Torian

«Due giorni fa, ma non resterò molto a lungo. Giusto il tempo di concludere l’affare e intendo ripartire subito, stavolta via terra.»

«Vorrei tanto che i miei affari fossero floridi quanto i tuoi.»

«Avete problemi?»

«Puoi dirlo forte. Fin da quando mio nonno era un bambino, le rotte commerciali via terra erano l’unico modo in cui questi barbari occidentali potevano rifornirsi di merci provenienti dall’oriente, ma ora la situazione è completamente cambiata.»

«Vi riferite all’accordo che la Principessa ha stabilito con gli Jormen

«Quella ragazzina testarda. Nessuno avrebbe scommesso un soldo su di lei. Invece nel giro di due anni ha raggiunto l’armistizio con l’Impero e messo fine alle scorrerie dei pirati nel mare del sud, e tutto questo senza mobilitare un solo soldato. Come hai scoperto tu stesso le rotte marine ora sono molto più sicure e veloci di quelle terrestri. E così ora io mi ritrovo a guadagnare la metà di quello che facevo solo qualche anno fa.»

«Ho parecchi amici nel settore dei traporti via mare. Potrei mettere una buona parola per voi.»

«Ti ringrazio figliolo, ma la verità è che questo mondo non fa più per me. Sono vecchio. Il mio modo di fare affari ormai è superato, ed è tempo di fare spazio a giovani intraprendenti e volenterosi come te. Ora sto pensando di investire le mie ricchezze altrove, magari in quella nuova nazione di cui parlano tutti.»

«Vi riferite allo Stato Libero?»

«Quando ne ho sentito parlare per la prima volta non ci volevo credere. Con tutte le leggi tese a garantire all’Impero il monopolio sui minerali e la pessima gestione Eirinn era un pessimo posto per fare affari, ma il nuovo sovrano sembra avere le idee molto chiare. Ha privatizzato le miniere e aperto agli investitori stranieri. Ora chiunque può investire nella nazione, a condizione di offrire le dovute garanzie di solvibilità. Pensa che garantiscono un interesse del quattro percento annuo sui capitali investiti nei settori agricoli e silvicoli, e addirittura del sette percento sulle quote di partecipazione delle miniere.»

«Siete certo che si tratti di un investimento sicuro? Sono una provincia ribelle. In teoria potrebbero vedersi piombare addosso l’esercito imperiale in qualunque momento.»

«È quello che pensavo anch’io, fino a quando non ho scoperto che persino i mercanti imperiali hanno iniziato a fare investimenti laggiù. Inoltre ho saputo che c’è chi-sappiamo-noi a fungere da intermediario tra gli investitori e il sovrano stesso. Con lui come garante, possiamo essere certi che i nostri interessi non saranno mai messi in pericolo, indipendentemente da quello che dovesse capitare allo Stato Libero.»

Il giovane Said sorrise: «In questo caso, suppongo che d’ora in poi saremo soci in affari.»

«Come?»

«Ricordate che ho detto che devo ripartire via terra? In realtà è lì che sto andando. È stato proprio chi sappiamo noi a contattarmi proponendomi di entrare in affari con lo Stato Libero.»

«E che cosa se ne fanno quei barbari della seta pregiata?»

«Non cercano la seta, ma i carapaci dei ragni. Sono molto resistenti e costano poco, quindi sono perfetti per costruire armature efficaci, leggere e a basso costo.»

«Che idea bizzarra. A chi sarà venuta?»

«Credo al nuovo ministro degli interni. Forse ne avete sentito parlare, è quell’Adrian Longinus che ha fatto parlare di sé quando studiava all’accademia militare.»

«Il figlio del vecchio governatore!?»

«Proprio lui. Al servizio dello stesso uomo che ha ucciso suo padre.»

«Se è così, credo che possiamo stare tranquilli. Una volta l’ho conosciuto. Quello non scommette mai sul cavallo sbagliato.»

«In questo caso, che ne dite di fare un accordo? Io commercio esclusivamente via mare, ma lo Stato Libero non si può certo raggiungere con le navi. Sto per stringere un accordo con un mio conoscente dell’Unione che possiede un magazzino a Michkarn dove intendo stoccare la merce, ma poi sarà necessario trasportarla al nord seguendo le rotte via terra. Se volete, potete occuparvene voi. Mi sentirei molto più sicuro ad affidare il mio investimento a voi piuttosto che ad uno sconosciuto.»

«Parli seriamente!?» disse il vecchio con gli occhi lucidi e l’espressione attonita.

«Assolutamente. Sarà un modo per ringraziarvi per tutto quello che mi avete insegnato.»

Una stretta di mano, un bacio sulla guancia, un brindisi, e l’accordo era fatto.

«Grazie, ragazzo. Non lo dimenticherò.»

«Grazie a voi, maestro. Sarà un piacere fare affari con voi.»

In quel momento il boato della folla preannunciò l’arrivo nell’arena dei contendenti che avrebbero preso parte all’evento più atteso della giornata, una grande battaglia tutti contro tutti che avrebbe visto scontrarsi tra di loro dieci tra i combattenti più forti della città.

Ovviamente si trattava esclusivamente di mostri, tra i quali un gigantesco minotauro, un nerboruto orco, una sensuale lamia, un letale leopardo e persino una piccola yeti.

«Volete fare una scommessa?» disse un allibratore avvicinandosi ai due mercanti. «L’orco lo paghiamo tre volte la puntata.»

«Una quota interessante.» disse Yusuf. «Ci sto. E tu ragazzo?»

«A quanto lo date lo yeti?»

«Figliolo, sei già diventato così ricco che i soldi ti fanno schifo?»

«Sul serio, lo yeti quanto lo pagate?»

«Lo yeti lo diamo a dieci. Al tuo posto darei retta al tuo vecchio.»

«Allora scommetto duemila goldie sullo yeti.»

Sia l’allibratore che Yusuf tentarono di far cambiare idea a Said, che però si mostrò irremovibile.

«Forse dovrei riconsiderare la tua offerta, ragazzo. Simili azzardi possono portare un mercante alla rovina.»

Il principe-vescovo lasciò cadere il fazzoletto dando inizio alla sfida, e con una certa sorpresa da parte di molti degli spettatori tutti i combattenti, invece di dare vita ad una serie di duelli uno contro uno, si coalizzarono istantaneamente contro un unico avversario, ovvero proprio la piccola yeti.

Questa non si scompose, e sembrava che solo il fissare i suoi avversari fosse abbastanza per farli esitare, malgrado fosse l’unica tra di loro a non brandire alcun genere di arma.

La lamia aprì le danze con un rapido assalto, ma la yeti schivò saltando e con un singolo pugno in testa la mise subito a nanna tra le esclamazioni della folla.

A quel punto gli altri attaccarono tutti insieme, ma quella furia scatenata era talmente agile e sfuggente da riuscire ad evitare tutti i loro attacchi saltando come un grillo da una parte all’altra, con una tale precisione che i suoi avversari in alcuni casi finirono per colpirsi tra di loro.

Alla fine rimasero solo l’orco e il minotauro, il primo armato con una clava e il secondo con un’ascia bipenne.

Essendo incontri in cui non era previsto che qualcuno ci rimettesse la vita le armi erano spuntate, ma quei due bestioni erano così forti che ogni loro colpo andato a vuoto incrinava il terreno sollevando nuvole di polvere.

Quasi che stesse prendendo in giro i suoi avversari la yeti continuò a schivare i loro attacchi senza reagire, fino a quando, una volta sicura che entrambi si fossero stancati a dovere, passò all’azione. Prima schivò l’ascia del minotauro, quindi usandola come un trampolino decollò come un uccello, piombando dell’orco e mettendolo al tappeto con un colpo a piedi uniti dritto sul muso; mentre il suo avversario doveva ancora cadere a terra usò il suo pancione come un tappeto elastico, arrivando veloce come una saetta addosso al minotauro e colpendolo con un pugno così forte da fargli saltare un dente.

La folla esplose in un urlo di acclamazione mentre la piccola yeti alzava le braccia al cielo in segno di vittoria, gridando e saltellando come una bambina all’uscita da scuola.

«Che mi venga un colpo, come facevi a saperlo che quello scricciolo avrebbe vinto?»

«Bastava notare come gli altri lottatori la guardavano. Era chiaro che avevano paura di lei. Siete stato voi ad insegnarmi che bisogna sempre tenere d’occhio lo stato d’animo di chi si ha davanti. E poi…»

«E poi?»

«Mai fidarsi delle quote degli allibratori.»

 

Connelly era una nazione che da sempre preferiva la politica e la diplomazia alla guerra, ma anche lì c’erano gli orfani.

E anche se a differenza di quanto succedeva in altre nazioni gli orfanotrofi erano finanziati dallo Stato era difficile fare fronte a tutte le spese senza il sostegno di qualche mecenate o nobile caritatevole.

Ma il piccolo orfanotrofio attiguo al tempio minore Gaia Misericordiosa di Rosada non aveva bisogno né degli uni né degli altri, perché aveva già chi da molto tempo si prendeva cura dei suoi ospiti.

Nel momento in cui Sapi aveva capito di poter guadagnare un sacco di soldi divertendosi nell’arena si era immediatamente gettata anima e corpo nei combattimenti, diventando in poco tempo la stella più famosa di tutta la regione.

Sorella Esther, che si era presa cura di lei fin dal giorno in cui l’avevano portata all’orfanotrofio, aveva tentato per un po’ di tenerla lontana da quel mondo così pericoloso per una ragazzina così giovane, salvo poi smettere di preoccuparsi nel momento in cui aveva capito che per Sapi battersi nell’arena era come passare il pomeriggio al parco giochi.

«Sorella Esther, sorella Esther! Guardate, ho vinto ancora!»

«Sei stata bravissima Sapi. Però mi avevi promesso che ti saresti riposata. Ormai combatti quasi tutti i giorni.»

«Non vi preoccupate, non mi stanco mica. Anzi, è così divertente. E poi così posso sdebitarmi per tutto quello che avete fatto per me.»

Nel sentire la calda mano della chierica che le accarezzava la testa i peli di Sapi divennero dritti per l’emozione. Poteva essere cresciuta, ma dentro restava la stessa bambina di sempre.

«Ogni volta che riguardo resto senza parole. Ricordo ancora il giorno in cui sei arrivata qui da noi. Eri una bambina sola e spaventata, e ci hai messo dei mesi anche solo per rivolgere la parola a me o a qualcuno dei tuoi compagni. E invece guardati adesso.»

Mentre Sapi recuperava le energie divorando dei biscotti appena sfornati sorella Esther recuperò un piccolo forziere da uno scomparto segreto nel muro della cucina, che una volta aperto si rivelò essere pieno fin quasi all’orlo di monete d’oro.

«Allora?» chiese speranzosa la yeti. «Ci siamo riuscite?»

«Direi proprio di sì. Con tutti questi soldi riusciremo a tirare avanti per un bel po’, e ora ne abbiamo abbastanza da poter aprire quel piccolo negozio di cui abbiamo tanto parlato. Grazie ad esso, finalmente saremo in grado di mandare avanti l’orfanotrofio con le nostre sole forze.»

Sapi sembrava quella di sempre, ma ormai sorella Esther la conosceva abbastanza bene da capire quando la sua protetta preferita aveva qualcosa che la turbava.

«Devi dirmi qualcosa, tesoro?»

«Voi e le altre sorelle siete sempre state molto buone con me, e vi devo moltissimo. È anche per questo che ho voluto raccogliere tutti questi soldi per voi. Ora però sento di dover andare via.»

«Vuoi tornare dal ragazzo che ti ha salvata, vero?»

«Gli avevo promesso che lo avrei aiutato quando avesse avuto bisogno di me, e ora quel momento è arrivato. Dopo quello che ha fatto avrà tanti nemici, ma ora io posso proteggerlo. Però, andare via da qui…»

Ancora una volta sorella Esther le mise dolcemente una mano sulla testa, facendo diventare rosse le sue candide guance.

«Sapevamo tutti che non poteva durare per sempre. Ormai sei diventata grande Sapi, e devi fare quello che ti dice il cuore. Ma sappi che dovunque tu andrai, noi saremo sempre qui ad aspettarti.»

Per fortuna con gli anni Sapi aveva imparato a controllare la sua forza, altrimenti avrebbe finito per stritolare sorella Esther con il suo abbraccio.

«Grazie, sorella.»

«Ci mancherai, Sapi. Buona fortuna.»

 

Note dell’Autore

Salve a tutti!

Dopo un mese, come promesso, eccomi qui con il Terzo Volume della mia light novel con protagonista Napoleone Bonaparte.

È stato un mese molto impegnativo, e anche se non ho avuto molto tempo in qualche modo sono riuscito a rimanere entro la tabella di marcia completando il volume prima del suo rilascio qui su EFP.

La storia da questo punto in poi procederà in modo molto spedita, almeno rispetto a quanto visto finora, in un susseguirsi di “saghe” che vedranno di volta Daemon confrontarsi con vari avversari e vicissitudini che si troveranno loro malgrado sulla sua strada verso il successo.

Ancora una volta la pubblicazione seguirà la sua andatura classica, con un capitolo ogni due settimane.

Buona lettura a tutti!^_^

Cj Spencer

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 - IL TASSO E LA VOLPE ***


“Non abbandonarsi alla rabbia è l’illusione degli iracondi,

non provare paura  quella dei codardi.”


 

CAPITOLO 2

IL TASSO E LA VOLPE

 

 

Da molto tempo ormai le arpie avevano dimenticato come si volava.

Coloro che erano abbastanza fortunate da non passare tutta la loro vita chiuse in una gabbia a produrre uova, se volevano conservare la libertà dovevano passare inosservate, nascoste spesso in eremi sperduti in cima alle montagne.

Quello che nei tempi antichi era motivo d’orgoglio di e vanto era diventato una condanna, e potersi librare nei cieli sfoggiando le loro splendide ali si era trasformato in un tabù, qualcosa da temere e da scoraggiate.

Così le piume si erano arruffate, diradate, e ormai era impossibile trovare un’arpia che riuscisse a fare qualcosa di più che planare per brevi tratti, a condizione ovviamente di tuffarsi da grandi altezze.

Prima di finire anche lei in una gabbia Xylla era stata una ragazza energica e piena di vita, che amava sfidare la sorte ed esibire fiera le sue superbe ali dorate.

Peccato che fosse stata una di quelle sue planate avventate a far scoprire ai cacciatori di schiavi l’esistenza del suo villaggio.

Da un momento all’altro aveva visto la sua terra natale bruciare, le sue compagne troppo vecchie o troppo giovani trucidate perché reputate inutili, mentre lei con le poche sfortunate rimaste in vita si era vista trasformare in un animale da cova, costretta con la forza e le minacce a deporre incessantemente uova che andavano poi ad esaltare le cene di qualche nobile depravato.

Non stupiva quindi che tutto ciò avesse fatto di lei un’anima vuota, che si nutriva di odio, e che trovava insopportabile il solo fatto di condividere la stessa stanza con un umano.

Hera, Martha e le altre, dopo essere state liberate, avevano trovato un loro posto, e ora stavano cercando molto faticosamente di lasciarsi alle spalle l’orrore al quale in un modo o nell’altro erano sopravvissute.

Ma lei no.

Lei non ci riusciva.

Il fuoco che le bruciava dentro sembrava inestinguibile.

Così passava le giornate camminando senza sosta per le strade della città attorno al Castello, sempre pronta ad attaccare briga con chiunque non le andasse a genio, umano o mostro che fosse.

Detestava quel posto, ma sapeva di non averne un altro in cui andare, e nel poco tempo in cui era stata lì aveva causato talmente tanti problemi che ormai nessuno, nemmeno le sue amiche, voleva avere più a che fare con lei.

Una mattina stava camminando nella zona del mercato, tornato attivo e brulicante di vita come non accadeva da diversi anni, con l’espressione vuota ed il passo incerto di chi procede per inerzia, senza un vero scopo.

Se solo non fosse stata distratta dalle tenebre che aveva dentro, si sarebbe accorta che quei tre soldati della Guardia Nazionale seduti attorno al tavolo di una taverna a godersi il sole, l’aria fresca e il sidro stavano parlato di comuni uova di haradveni, un grosso volatile del Maharadi.

«Sul serio!? Hai mangiato una di quelle uova?»

«Non una sola, tre!»

«Non ci credo, per me ci stai raccontando una balla.»

«E invece è la pura verità. C’era questo mercante, ricco sfondato. Io ero uno dei suoi stallieri. Aveva pagato una montagna di soldi per quell’animale. Una mattina sono arrivato e le uova erano lì, pronte per la cucina. Il tizio che doveva prenderle era ubriaco fradicio, così me le sono prese, le ho portate a casa, e mi ci sono fatto una bella frittata.»

«Roba da matti. Anche con il nostro nuovo salario non basterebbe la paga di mese per permettersene anche solo una.»

«Dicci allora, com’era? Dicono che abbiano un sapore paradisiaco.»

«Bah, niente di eccezionale. Le chiamano benedizioni di Gaia, ma alla fine erano solo degli ovetti insipidi. Ho dovuto metterci una montagna di spezie perché diventassero a malapena decenti.»

Xylla si avvicinò ai tre soldati con lo sguardo basso, le penne arruffate e i denti serrati.

«Solo degli ovetti insipidi, hai detto? Hai una qualche idea di quello che noi abbiamo subito per produrre quegli ovetti insipidi?»

«Come!? Ma di che cosa stai…».

 

La Sala Grande del Castello era molto cambiata nel giro di pochi mesi.

Una grande tavola rotonda con tredici posti aveva sostituito il pomposo scranno d’oro del precedente Governatore, e appeso al muro, invece dello stendardo imperiale, vi era ora il grande vessillo rosso, bianco e blu dello Stato Libero.

Daemon si guardò attorno ad osservare i membri del suo governo, tutte persone di fiducia scelte guardando unicamente al talento e alle competenze piuttosto che al lignaggio o alla specie di appartenenza.

«Alzate tutti la mano destra.» disse, venendo obbedito. «Noi giuriamo di rispettare la costituzione dello Stato Libero, di agire e di decidere nell’interesse dei suoi abitanti, e di non abusare mai del potere conferitoci.»

«Lo giuro.» dissero tutti insieme

«Dichiaro aperta questa seduta dell’assemblea legislativa. Come da prassi, vorrei che prima di tutto ognuno di voi facesse rapporto circa lo stato dei vostri attuali incarichi. Cominciamo con i governatori delle tre prefetture. Rutte?»

Il vecchio sindaco, ora governatore dell’intera regione di Dundee, si alzò prendendo la parola.

«Lo smantellamento del ghetto è quasi completato, mentre la costruzione della nuova area abitativa nei pressi delle miniere procede secondo i tempi previsti, e alcuni edifici sono già stati assegnati. In base alle nostre previsioni, l’intero villaggio dovrebbe diventare pienamente abitabile entro la fine del mese.»

«La situazione dell’ordine pubblico?»

«Niente da segnalare. Tutti i cittadini stanno cooperando tra di loro nell’interesse collettivo. Se posso permettermi, solo l’anno scorso l’avrei ritenuto impossibile. Mostri e umani che collaborano in modo tanto stretto, vecchi schiavi che trattano alla pari con i loro vecchi padroni.»

«Attento, Governatore.» sorrise Adrian dallo scranno di fronte. «Questi termini ora sono aboliti.»

«Chiedo scusa, è che ancora fatico a rendermene conto. Non siamo mai stati un popolo schiavista, e molti di noi non condividevano il fanatismo dell’Impero. Ma senza che ce ne rendessimo conto stavamo iniziando ad abituarci a questa situazione. La Rivoluzione ci ha aperto gli occhi, e ci ha ricordato come vogliamo vivere davvero.»

«Questo è stato solo un primo passo.» disse Daemon. «Dovranno succedere ancora molte cose prima che umani e mostri possano realmente considerarsi cittadini liberi e uguali anche tra di loro, ma non si può certamente cambiare il mondo in pochi mesi. Ora però, continuiamo. Passiamo alla situazione di Basterwick

A prendere la parola fu Tielde, un piccolo proprietario terriero che la gente di Basterwick aveva nominato come proprio rappresentante in luogo al deposto Van Lobre.

«Posso confermare che l’epidemia è stata completamente debellata, e la situazione a Basterwick è tornata alla normalità. Sia l’attività dei campi che tutte le altre filiere produttive si sono rimesse pienamente in moto. Voglio aggiungere che i soldati della Guardia Nazionale ci sono stati di grande aiuto, e questo ha portato molti giovani ad arruolarsi come volontari.»

«La Guardia Nazionale che ha sostituito le legioni e le milizie cittadine è stata una gran bella idea, se posso permettermi.» disse Oldrick, ora nelle vesti di Generale d’Armata di detta Guardia. «In questo modo abbiamo offerto uno sbocco ai miliziani di lungo corso prima che si potessero abbandonare al brigantaggio. È anche un modo per offrire una prospettiva a molti giovani e schiavi emancipati senza particolari talenti.»

«L’esercito è da sempre una carriera appetibile per chi non ha prospettiva nella vita o ha visto crollare quelle che aveva prima.» disse Daemon. «Ovviamente mantenere un esercito ha un costo, ma sempre meglio che avere le strade piene di vagabondi e disoccupati. Ora, lo stato del Castello. Zorech

«Niente da segnalare sia al villaggio che alla fortezza.»

Zorech sembrava ancora un pesce fuor d’acqua nelle vesti di governatore della più importante delle tre prefetture; era stato Daemon in persona a proporlo per quel ruolo, che lui aveva accettato solo dopo molte esitazioni.

Si trattava di un incarico più di rappresentanza che di altro, ma forse era solo un modo per Daemon per dimostrare una volta di più quanto rispetto nutrisse nei confronti di colui che gli aveva fatto da padre affidandogli un posto nel suo gruppo di reggenza.

«Veniamo alla nostra situazione economica. Mary, che notizie hai per noi?»

Anche Mary aveva ancora qualche problema a concepire realmente la posizione in cui si trovava, per quanto da quando Daemon le aveva affidato l’incarico di ministro delle finanze avesse dimostrato in svariate occasioni di essere più che capace di rivestire quel ruolo.

«Il tesoro che tu e Adrian avete recuperato ci è stato molto utile. Grazie ad esso siamo stati in grado di pagare buona parte dei debiti che la vecchia provincia aveva accumulato nel corso degli anni e stabilizzare le nostre finanze.»

«E per quanto riguarda i commerci» intervenne Borg, che paradossalmente con quel suo vestirsi sempre in modo così appariscente sembrava l’unica persona non fuori luogo tra tutte quelle sedute attorno a quel tavolo «Sarete felici di sapere che sono pienamente ripresi sia con le nazioni del sud che con l’Impero, e i posti lasciati vuoti da chi non ha voluto o potuto rinnovare i contratti sono stati occupati da altri.»

«È così. Il signor Borg sta facendo un lavoro davvero straordinario.»

«Mai quanto il tuo, ragazza mia. Credevo che Daemon esagerasse nel tessere le tue lodi, ma invece devo ricredermi. Io trovo i potenziali investitori, ma sei tu che conduci le trattative.»

Era una cosa assai rara che Borg si complimentasse con qualcuno in modo tanto sincero, e anche se non tutti erano felici di averlo come membro di quel consiglio i suoi meriti e i suoi talenti erano indiscutibili, soprattutto ora che facevano il paio con quelli di Mary.

«C’è altro da riferire?»

«Ecco, in effetti sì.» disse la ragazza quasi con timore. «Il fatto è che ho ricevuto un’offerta da una compagnia mercantile dell’Unione. Hanno bisogno di pece per la costruzione delle navi, ma piuttosto che investire vorrebbero prendere direttamente in affitto uno dei nostri pozzi su cui avere il controllo esclusivo stipulando un contratto decennale. In cambio oltre al pagamento dell’affitto si offrono di assumere manodopera locale.»

«Ritieni che sia un buon accordo?»

«Io… io credo di sì.»

«E allora che bisogno avevi di venire da me?»

«Cosa!?»

«A costo di risultare ripetitivo, voglio ribadirlo un’altra volta. Voi tutti non siete qui perché mi state simpatici, ma perché ho fiducia nelle vostre capacità e nel vostro giudizio. Non siamo più sotto una monarchia, e non c’è più un re che ha l’ultima parola su ogni cosa. Voi siete qui per aiutarmi a rimettere in piedi questa nazione e renderla prospera. Pertanto, fintanto che siete disposti ad assumervi la responsabilità delle vostre azioni, non avete bisogno della mia approvazione per prendere una decisione. Sono stato chiaro?»

«Sì. Certo. Ti chiedo scusa.»

«A proposito, come sta andando l’emporio a Dundee?»

«Bene. La signora Bonbi sta facendo un ottimo lavoro, e i clienti sono soddisfatti. Se continua così, presto potrò aprire un altro negozio anche qui al Castello.»

«Evidentemente sei un’ottima maestra, oltre che un bravo ministro. Ora però passiamo ad altre questioni. Lo stato delle miniere.»

«Eccomi qua.» disse Passe. «Tutti i campi, i pozzi e le miniere sono in piena attività. I ragazzi lavorano alacremente, la sera mangiano come maiali e la mattina dopo riprendono il lavoro ancora più motivati. Niente da segnalare anche ai campi dei taglialegna e alla segheria.»

«Assicurati che Grog e gli altri non esagerino con i bagordi. Ora che non sono più schiavi devono imparare a gestirsi sia nel lavoro che nel divertimento. Non ha senso riempirsi la pancia un giorno per poi dover digiunare il successivo.»

«Faccio quello che posso, ma a quanto pare hanno ancora problemi a capire di essere diventati uomini liberi.»

«A volte ci si dimentica che essere liberi comporta anche dei doveri.»

«Visto che ti piace parlare Adrian, perché non fai rapporto anche tu? Come ministro degli interni, cosa puoi dirmi sullo stato delle nostre risorse alimentari?»

«I campi sono stati tutti ripuliti e sistemati, e presto inizieranno a germinare. Piuttosto che perdere del tutto il controllo sulle loro terre o finire a processo per i loro crimini, Van Lobre e gli altri latifondisti hanno accettato di continuare ad amministrare i loro vecchi possedimenti per conto dello stato. Ma questo non risolve i nostri problemi alimentari.»

«Sì, lo so. Un conto è nutrire degli schiavi il minimo indispensabile perché non muoiano di fame, un conto è garantire loro un congruo apporto alimentare.»

«C’è anche un altro problema.» disse Mary «Per far fronte alla carenza di denaro e abituare gli schiavi emancipati al possesso di beni propri li stiamo pagando per il loro lavoro in cibo e altri beni di prima necessità, ma questo inevitabilmente sta intaccando le nostre risorse alimentari. Per ora stiamo compensando acquistando grano e altri alimenti da fuori, ma riuscire a non andare in passivo con i conti diventa sempre più difficile.»

«Per non parlare dell’esercito.» disse Oldrick. «Quarantacinquemila bocche da sfamare non sono poche, e con questo ritmo di arruolamento presto supereremo quota cinquantamila. A nessuno importa niente se un barbone muore di fame per strada, ma se quel barbone diventa un soldato poi occorre nutrirlo.»

«Tralasciando il fatto che passare da un’economia basata sullo schiavismo ad una fondata sul lavoro di privati cittadini non è mai facile né indolore, sappiamo bene tutti che questa provincia ha sempre avuto un problema con le risorse alimentari.»

«La nostra terra è ricca di miniere, pascoli e montagne. Ma povera di terreni fertili in cui seminare.»

«Non è del tutto vero, Rutte. La terra in realtà è molto fertile. Basta guardare la densità dei boschi o la facilità con cui il grano cresce per rendersene conto. Il problema è che i terreni sono spesso troppo ripidi per poterci coltivare sopra. E a tal proposito, ho pensato ad una possibile soluzione che ora vorrei sottoporre all’attenzione di questo consiglio.»

Daemon fece un cenno a due attendenti in piedi accanto alla porta, che srotolarono sulla parete una grande illustrazione raffigurante una specie di struttura a gradoni.

«Che cosa sono?» chiese Passe «Terrazze?»

«Ho sentito dire che questo sistema sarebbe già in uso a Xi-Zian. In questo modo diventerebbe possibile coltivare anche lungo i fianchi di una montagna o sui pendii di una vallata.»

«Si può fare davvero?» chiese Mary

«Suppongo di sì, a condizione di creare un efficace sistema di approvvigionamento idrico per garantire l’irrigazione e permettere l’eliminazione delle acque in eccesso. E se i campi così ottenuti dovessero venire assegnati agli schiavi emancipati affinché li coltivino a beneficio dell’intera nazione avremmo anche molti meno disoccupati.»

«Sembra un progetto molto ambizioso. Sicuro che saremo in grado di metterlo in pratica?»

«Cos’è che dico sempre in questi casi, Generale?»

«L’immaginazione governa il mondo.» replicò Oldrick con un sorriso compiaciuto

«Tutto si può fare se si ha la giusta determinazione. E c’è anche un’altra cosa di cui vorrei parlarvi. Come sapete tutti siamo una nazione essenzialmente esportatrice, e vendiamo a molte nazioni minerali, pietre e altre materie prime, ma se escludiamo le segherie non possediamo alcuna industria. Se riuscissimo a costruire nuovi poli industriali destinati alla lavorazione di quello che produciamo dalla terra le nostre entrate aumenterebbero considerevolmente, e saremmo anche tutelati contro eventuali embarghi che qualcuno potrebbe attuare contro di noi.»

«Servirebbero operai specializzati.» obiettò Adrian «E attualmente noi ne abbiamo pochi.»

«Non serve che siano molti, basta che sappiano insegnare il mestiere. Lo scopo primario di questa manovra è prima di tutto combattere la disoccupazione. Il problema di trasformare degli schiavi in liberi cittadini è che poi ti ritrovi con più forza lavoro di quanta effettivamente te ne serva. La via delle armi è una possibile soluzione, ma creare un’armata troppo grande sarebbe visto come una minaccia dai nostri vicini.»

«Ho capito, quindi si tratta di prendere due piccioni con una fava.» disse Mary. «Ampliamo e differenziamo la nostra economia, e nel frattempo creiamo lavoro.»

«Ma formare un operaio altamente specializzato richiede del tempo, altrimenti si rischia di produrre merce di cattiva qualità.»

«Mi stupisci, Borg. Tu per primo dovresti sapere che immettere merce di seconda scelta ma in grande quantità in un mercato stagnante come quelli dell’Impero o dell’Unione spesso garantisce introiti ancora maggiori di quelli che verrebbero dal vendere merce pregiata. Verrà il tempo in cui ci renderemo appetibili anche a clientele più sofisticate, per ora accontentiamoci di guadagnare il più possibile. Allora? Siete d’accordo con me?»

Non ci fu neanche bisogno di chiamare una votazione.

«Allora la proposta è approvata. Cominceremo con il produrre utensili in metallo e abiti da lavoro. Adrian, tu sceglierai il terreno per edificare il nuovo polo industriale. Borg, tu trova i compratori. Mary, reperisci le risorse necessarie. Parla con gli investitori, e se necessario offri quote di partecipazione a garanzia.»

Il resto della riunione proseguì senza ulteriori interruzioni, fino a quando tutti non ebbero riferito ciò che avevano da dire sui rispettivi incarichi.

«Molto bene. Per oggi basta così. Ci riuniremo nuovamente tra due settimane, ed entro allora mi aspetto già i primi resoconti circa i due nuovi progetti. Questa riunione è aggiornata.»

 

Attigua alla Sala Grande c’era la sala da bagno dove il vecchio governatore era solito fare i suoi pediluvi, che Daemon aveva fatto riconvertire a proprio ufficio.

Anche lì, tutto era stato riadattato in funzione del nuovo ruolo che la stanza doveva ricoprire: il pomposo seggio con sgabello e poggiapiedi era stato sostituito da una scrivania semplice ma ben costruita, le pareti ridipinte, e accanto alla grande finestra stava ora un’asta con appesa la bandiera dello Stato Libero.

«Non dovresti essere alla caserma?» disse Daemon entrando e trovando Scalia seduta al divanetto per gli ospiti accanto al camino

«Non ho niente da fare, mi annoio a stare lì.»

«Credevo che ti saresti trovata a tuo agio in mezzo a tante giovani reclute da addestrare.»

«Non ho pazienza coi novellini, lo sai. Lascio che se ne occupi Jack.»

«Ho saputo che vai spesso in biblioteca. Mi fa piacere. Vuol dire che alla fine ci sono riuscito a farti amare i libri.»

«In realtà, come ho detto, più che altro è perché mi annoio. Voglio dire, Grog ora sovrintende alle miniere, il vecchio Passe è in quel tuo consiglio di reggenza, Jack addestra le reclute, Lori e le altre tengono in ordine il palazzo. In tutto questo, il mio ruolo quale sarebbe? Se tu mi lasciassi tornare a lavorare…»

«Tu mi servi qui, Scalia. Infatti, temo che presto o tardi verrà il momento in cui la tua abilità con la spada ci sarà nuovamente utile.»

«Credi che qualcuno prima o poi ci attaccherà?»

«Ti mentirei se dicessi che non è una possibilità. I cambiamenti epocali non sono mai processi indolore. La Rivoluzione ha portato qualcosa che non si era mai visto prima in questo mondo, e molti potrebbero considerare la nostra stessa esistenza come una minaccia.»

«Ma tutti quegli accordi commerciali non servono forse a garantire la pace?»

«Sono un ponte. Una mano protesa per dimostrare la nostra buona volontà. Sta ai nostri nemici scegliere se stringerla o meno. Ma dobbiamo essere pronti a tutto, ed è per questo che stiamo costruendo un esercito regolare.»

«A questo proposito, sono venuta anche per parlarti di una cosa. È successo un guaio in città.»

Daemon sospirò: «Xylla, giusto?»

«Da quando l’abbiamo liberata non ha fatto altro che causare problemi. Per fortuna mi trovavo a passare da quelle parti e sono riuscita a fermarla, altrimenti quel tipo ci avrebbe rimesso ben più di un occhio. Pare che li abbia attaccati senza alcun motivo.»

«Non posso giustificare quello che fa, ma ho cercato di essere comprensivo con lei. Quello che ha passato sarebbe stato terribile per chiunque. E ora dov’è?»

«L’abbiamo chiusa in cella nell’attesa che si calmasse. Ora però anch’io penso che andrebbero presi provvedimenti, prima che succeda qualcosa di irreparabile.»

«D’accordo, proverò a parlarle.»

Scalia però sembrava avere qualcos’altro che la turbava: «Daemon, stavo pensando…»

«Sì?»

«Ecco, non mi piace discutere le tue azioni. Dopotutto sei tu che ci hai dato la libertà. Però, il fatto è che alcuni di noi hanno… diciamo qualche perplessità riguardo ad alcune delle tue scelte.»

Il giovane la guardò come ad un libro aperto.

«Parla pure.»

«Quando ci hai spronati a ribellarci hai detto che tutti quelli che ci avevano fatto del male avrebbero pagato per i loro crimini. Però ecco, molti proprietari terrieri, molti schiavisti… persino alcuni ufficiali della milizia. Se escludiamo alcuni, molte di quelle persone non sono mai state punite.»

«Ti sbagli Scalia. Li stiamo punendo. Severamente, anche.»

«Come!?»

«Pensa a Van Lobre, o al Barone Mecht. Non hanno più terre, né titoli, né proprietà. Tutto quello che possono fare è osservare impotenti mentre in qualità di fiduciari amministrano terre che un tempo erano loro, e che adesso sono proprietà dello Stato e affidate agli stessi schiavi che un tempo maltrattavano. E che dire dei miliziani che si sono arresi? Hanno dovuto scegliere tra la prigione o l’arruolamento nella Guardia Nazionale, e se vorranno continuare a vivere non avranno altra scelta che combattere, con noi e per noi. Non pensi che per gente come loro, abituata a vedervi come nient’altro che oggetti, questa sia la peggiore punizione possibile?»

Scalia fu costretta ad ammettere che c’era della logica nelle parole di Daemon, e anche se non era ancora del tutto convinta accettò quella spiegazione, promettendo di spargerla anche tra coloro che nutrivano i suoi stessi dubbi.

In quel momento arrivarono altre tre ospiti, una delle quali non mancò di provocare in Scalia un fastidioso nodo allo stomaco.

«E tu che ci fai qui, tettona?» ringhiò la ragazza all’indirizzo di Isabela. «Sappi che non ho sentito la tua mancanza.»

«Il sentimento è reciproco, piccola sputafuoco.»

«Isabela, basta così.» la ammonì Sylvie prima di rivolgersi a Daemon. «È un piacere rivedervi, Messer Haselworth.»

«Bentornata, Eminenza. Avete fatto presto.»

Lei sorrise, quindi si fece passare dalla sua discepola una scatoletta di legno contenente un rotolo sigillato che porse a Daemon.

«Da questo momento, prendo ufficialmente servizio come Vescovo di questa nazione, e mi affido completamente alle vostre cure. Spero che la nostra cooperazione sia serena e duratura, nel migliore interesse del vostro popolo e a gloria imperitura della nostra Madre Gaia.»

«Sono sorpreso che il Conclave abbia dato il suo consenso. Pensavo ci avrebbero scomunicati senza tante cerimonie.»

«L’hanno fatto. Io ho solo fatto presente che non c’è una legge che impedisca ad un Vescovo di essere assegnato ad una nazione scomunicata, fintanto che i suoi abitanti obbediscono devotamente alla legge di Gaia.»

«Tra l’essere una nazione nata da una rivolta di schiavi e le riforme che abbiamo promulgato, ero abbastanza sicuro che non gli sarei andato a genio. Ma se siete qui per tentare di farmi cambiare idea vi avviso che sarà inutile. La laicità dello Stato e la libertà religiosa sono due cardini fondamentali su cui intendo costruire questa nazione.»

«Potete stare tranquillo. A differenza di molti miei colleghi non ho alcun interesse ad immischiarmi in questioni inerenti alla politica o alla gestione del potere. Il mio scopo è solo quello di portare la parola di Gaia a tutti coloro che la vogliono ascoltare.»

«Se ci fossero più persone come voi, forse oggi la gente avrebbe tutt’altra opinione di coloro che governano la Chiesa.»

 

Nella mia vita precedente non avevo mai fatto sconti a nessuno quando si era trattato di mantenere la disciplina sia nell’esercito che nell’ordine pubblico.

Avevo fatto costruire una ghigliottina in ogni grande città dell’Impero, e avevo l’abitudine di punire severamente ogni più piccolo sgarro commesso dai miei uomini sia in guerra che in tempo di pace.

Spesso mi era stato detto che forse a volte tendevo a calcare troppo la mano, ma indipendentemente dai miei trascorsi da soldato ero sempre stato educato a ritenere il rispetto delle regole una virtù che non ammetteva eccezioni, da imporre anche con la forza se necessario.

Seguendo questo ragionamento Xylla sarebbe dovuta finire sulla forca già da diverso tempo, ma avevo deciso di essere paziente.

Un’arpia, per quanto spiumata, era una risorsa di cui non intendevo privarmi.

Le avevo lasciato del tempo nella speranza che riuscisse come le sue compagne a fare pace con il passato e ricominciare daccapo, ma ormai era chiaro che le sarebbe stato impossibile liberarsi di quella furia aggressiva che si portava dentro.

E se non potevo controllarla, tanto valeva scatenarla, possibilmente nella giusta direzione.

«Comincio a pensare che ti piaccia stare qui.» dissi entrando nella sua cella. «Cos’è, la terza volta in poche settimane che finisci qui dentro?»

Era incredibile come degli occhi così lucenti, degni davvero di una principessa di sangue nobile, potessero esprimere un tale odio verso tutto e tutti.

«Ho cercato di essere comprensivo con te, ma tu mi rendi le cose difficili. A differenza dei guai che hai combinato fino adesso, questa non è una cosa che si può risolvere solo con del denaro. Quel soldato era un elemento importante del nostro esercito, e ha combattuto al mio fianco fin dalla Battaglia del Colle.»

Lei si girò a guardarmi; era dai tempi del Ponte di Arcole che non mi sentivo tremare i polsi al solo incrociare lo sguardo con qualcuno.

«Che cosa vuoi da me?» strillò, talmente forte da essere sentita probabilmente fino in cima alle torri

«Guardati attorno. Lo vedi? Sei rimasta sola. Persino le tue compagne ti hanno voltato le spalle. Sono state traumatizzate tanto quanto te da ciò che avete subito, eppure loro sono riuscite a voltare pagina. Perché per te è così difficile?»

«Sono solo delle sciocche traditrici! Io non mi mischierò mai con gli umani! Mai!»

«Ma non hai altra scelta, e tu lo sai. Non c’è niente per te fuori da questa nazione. Quello che sto costruendo qui servirà a dare a tutti voi un mondo in cui essere liberi. Niente più schiavitù. Niente più gabbie. Niente più bestie umane che ti usano come animale da cova. Le tue amiche lo hanno capito, e ora stanno cercando di aiutarci. E tu, che potresti contribuire più di tutte loro messi insieme, invece sprechi la tua forza e il tuo talento a scatenare risse nelle taverne e a provocare disordini. Un giorno o l’altro però potresti incontrare qualcuno più forte di te, e allora non ci sarà nessuno pronto a toglierti dai guai.»

«Tanto meglio! Almeno così sarà finita!»

Un’arpia era mediamente dalle due alle quattro volte più forte di un essere umano, e una loro artigliata era capace di aprirti in due. Ma c’era un punto, alla base del collo, che se stretto con una forza anche minima le lasciava completamente indifese, impedendogli di muoversi e togliendogli quasi completamente il respiro.

Per un attimo in lei rividi me stesso quel giorno nella grotta, di fronte a Borg; un piccolo, fragile insetto alla mercé di un animale più grande, grosso e cattivo di lui.

E probabilmente l’espressione con cui Xylla mi guardò in quelli che per lei, lo sapevo, erano attimi interminabili, era la stessa con cui io avevo fissato a suo tempo quel maiale.

«Che succede? Non hai appena detto che non ti dispiace l’idea di morire? Ma se davvero la pensi così, come la spieghi la paura che vedo adesso nei tuoi occhi?»

Aspettai fino a quando non iniziò a sbavare, quindi lasciai la presa permettendole di respirare di nuovo.

Non mi preoccupai di allontanarmi per sfuggire alla sua furia; se avesse potuto mi avrebbe ucciso immediatamente, ma era così debole che a stento riusciva a restare sveglia.

«Pensi di essere una dura e fingi che quello che hai passato non sia riuscito a spezzarti. Io però vedo solo una ragazzina troppo codarda per avere il fegato di morire e troppo superba per riuscire ad ammetterlo.»

Quindi mi scoprii il collo, rivelando il segno che Borg mi aveva lasciato quel giorno; lo stesso che io aveva appena lasciato su di lei.

«Anche io ho visto l’inferno. Ma a differenza tua ho scelto di combattere.»

«Che cosa dovrei fare?» mi domandò, in lacrime e a denti stretti

Era il momento di affondare il colpo.

«L’odio che ti porti dentro è un male che ti sta divorando. E se non riesci a gettartelo alle spalle, allora sfruttalo. Non lasciare che sia lui a dominare te. E se è il sangue che desideri, posso dartene quanto ne vuoi. Metterò sulla tua strada talmente tanti stronzi che meritano solo di morire che finirai per perdere il conto di quanti ne ucciderai. E quando un giorno, forse, avrai fatto pace con i tuoi demoni, allora potrai cominciare a fare qualcosa di buono della tua vita.»

La vita mi aveva insegnato che una persona che si lascia guidare solo dalla rabbia e dalla furia è destinata all’autodistruzione.

A volte però certe persone hanno bisogno di guardare l’inferno per capire cosa vogliono essere, e se preferiscono annegarci dentro o lasciarselo alle spalle prima che sia troppo tardi.

Se la rabbia era l’unica cosa capace di dare a Xylla e ad altri come lei uno scopo, mi dicevo, tanto valeva servirsene.

E se alla fine non fosse riuscita a capire che la via dell’odio conduce solo alla rovina, affari suoi; per il momento mi bastava che usasse le sua capacità per qualcosa di utile.

«Se combatterò per te, mi prometti che nessun’altro dovrà passare quello che abbiamo passato noi?»

«Hai la mia parola. Questo piccolo Paese è solo il primo passo, molto presto i nostri ideali saranno legge in tutto questo mondo. E allora nessuno a parte te avrà più diritto di decidere della tua vita.»

«Ma hai detto che non avresti mai attaccato nessuno.»

«Io ho detto solo che non avrei colpito per primo. Ma per esperienza posso dirti che le Rivoluzioni come la nostra, una volta iniziate, non si fermano fino a quando tutto ciò che esisteva prima di loro non è stato spazzato via. È solo una questione di tempo, ma prima o poi qualcuno abbastanza saggio da capirlo e abbastanza stupido da pensare di poterlo impedire cercherà di fermarci. E allora, la parola passerà di nuovo alle armi.»

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 - L'ATTACCO A GROTE MUREN ***


Nota dell’Autore

Quando si dice “fare un errore che più stupido non si può”

Questo è quello che succede quando si cerca di fare troppe cose tutte insieme.

Da bravo idiota mi sono accorto solo adesso di aver dimenticato di pubblicare questo capitolo, passando dal secondo direttamente al quarto.

Mi scuso con tutti quelli che si saranno sicuramente accorti di questo buco e spero che mi darete modo di rimediare.

Cj Spencer


 

“In politica,

la stupidità non è un handicap.”

CAPITOLO 3

L’ATTACCO A GROTE MUREN

 

 

Stando alle parole di poeti, scrittori e artisti, Faria era semplicemente la più incantevole città che il mondo avesse mai visto.

Nemmeno la potente Maligrad o la comunque stupenda capitale di Connelly, Hadowald, le reggevano il confronto.

Le sue alte mura sembravano scolpite nel marmo, una scintillante collina bianca che si innalzava al centro di una pianura coperta di campi e prati perennemente in fiore.

Anche ora che i domini della famiglia Montgomery si erano praticamente dimezzati la capitale del Granducato non smetteva di affascinare chiunque la visitasse.

Il vecchio Berthold Montgomery, ultimo granduca di una dinastia che faceva risalire le proprie origini al leggendario eroe Sigmund, era un cultore della bellezza ed un mecenate generoso, uno di quei sovrani illuminati che credevano che nello splendore delle arti risiedesse la vera grandezza di una nazione.

Ma ormai tutti sapevano che non gli restava molto da vivere.

Perché non importa quanti canali fognari e terme fai costruire, quante paludi fai bonificare, se sei sulla sua lista la lebbra trova sempre il modo di raggiungerti.

Da diversi anni ormai il Granduca viveva come un recluso, prigioniero nelle sue stanze, con il grande balcone rivolto verso le montagne a ovest come unico occhio aperto sul mondo esterno.

Non che si vergognasse del suo aspetto, – infatti non aveva mai voluto indossare una maschera – ma semplicemente perché aveva paura di infliggere a qualcun altro la sua stessa maledizione.

L’unica persona che poteva avvicinarsi a lui senza timori era il suo secondogenito, Victor, che molto piccolo si era ammalato in forma molto blanda riuscendo facilmente a superarla, e diventandone quindi sicuramente immune.

Ma a fare visita al padre Victor non ci andava spesso, perché per quanto fosse ormai il facente funzioni di governatore i suoi veri interessi erano altrove.

Se non altro non aveva gusti particolarmente difficili.

Servette e domestiche in cerca di qualche soldo o un boccone di cibo in più, popolane ingenue o nobildonne ambiziose: tutto gli andava bene fintanto che poteva soddisfare la sua lussuria.

Le guardie e gli inservienti erano talmente abituati a vedere ogni giorno un volto nuovo uscire dalle sue stanze, il più delle volte in lacrime, da non farci quasi più caso; così come in molti avevano iniziato a ignorare le grida ed i gemiti più che eloquenti che a qualsiasi ora del giorno e della notte provenivano da oltre quella porta.

Il vecchio Lefde, Conte di Hoope e comandante dell’esercito occidentale, faceva quello che poteva per assecondare la volontà del suo amico e signore e servire al meglio il figlio garantendo il bene di Eirinn e del casato dei Montgomery; ma ogni volta gli bastava passare cinque minuti con Victor per capire perché Berthold avesse fatto tutto quello che era in suo potere per fare in modo che fosse Aria a prendere il suo posto.

«Mio Signore.» disse una mattina bussando alla porta, e cercando di ignorare ciò che sentiva. «Scusate il disturbo, ma è una cosa urgente.»

La porta si aprì improvvisamente, e una cameriera con la veste strappata passò accanto al vecchio generale correndo via in lacrime.

«Che c’è?» brontolò il giovane alzandosi dal letto e versandosi dell’acqua, senza preoccuparsi di nascondere le sue doti virili. «Avevo appena cominciato a divertirmi.»

«Mi dispiace Mio Signore, ma la faccenda è molto seria.»

«E allora avanti, parla.»

«Forse sarebbe meglio discuterne in un luogo più opportuno. Mi sono permesso di far convocare un consiglio.»

«Che palle. D’accordo, arrivo.»

Vestitosi di tutto punto con gli stivali da cavallerizzo, i guanti da scherma, il soprabito in pelliccia di volpe e il medaglione d’argento con l’ascia e la bilancia, Victor seguì il suo generale nella sala delle udienze, accomodandosi svogliatamente sul trono mentre i suoi ministri e generali si alzavano dagli scranni per porgergli omaggio.

Philippe, fratello minore di Berthold e Conte di Hatlen che sedeva allo scranno di Primo Ministro, non provava altro che disprezzo nei confronti del nipote, che con la sua nascita lo aveva privato del titolo di successore, ma il suo amore per Eirinn era tanto grande che era pronto anche ad essere il suo attendente pur di riuscire a fare il bene del proprio Paese.

Era stata proprio la sua volontà di servire nel modo migliore la propria nazione ed i suoi interessi a portarlo alla rovina, dopo che suo padre lo aveva scoperto in atteggiamenti un po’ troppo amichevoli con svariati gruppi di fanatici reunionisti.

Per sua fortuna Victor non era saggio e avveduto quanto i suoi predecessori, così convincerlo a revocare l’esilio e riprenderlo al proprio servizio era stato un gioco da ragazzi.

«La notizia è confermata.» esordì il Generale Lefde aprendo la riunione «Mercanti di Eirinn e non solo hanno iniziato a fare affari con l’ovest. I ribelli hanno allestito una zona franca al forte di Grote Muren e nei vicini villaggi di Hemlin e Todlen, di qua e di là del confine.»

«Ho sentito dire che pagano grano e cereali una volta e mezza il prezzo normale di mercato.» scherzò il Barone Falkin, uno dei più grandi proprietari terrieri della nazione. «Forse potrei farci un pensierino anch’io.»

«Se tenete alla vostra lingua Barone, vi suggerisco di evitare frasi come questa.»

«Sua eccellenza ha ragione.» intervenne Philippe. «Eravamo stati molto chiari. Era proibito a chiunque fare affari di qualunque tipo con i ribelli.»

«Si trattava di un’intimazione che valeva solo per privati e affiliati alla nostra gilda.» obiettò Falkin. «Le gilde commerciali straniere non sono tenute a rispettarla. L’unico risultato che abbiamo ottenuto promulgando quel divieto è stato spingere molti dei nostri mercanti ad abbandonare la gilda nazionale in favore di quelle straniere. Alcuni hanno perfino aderito alla gilda istituita appositamente dai ribelli.»

«E se non sbaglio siete stato voi, Conte di Hatlen, a proporre quel divieto.» puntò il dito il Conte Van Udren «Come intendete assumervene la responsabilità?»

«L’ho fatto e ne sono fiero!» si difese Philippe. «Per nessun motivo deve passare il messaggio che si possono fare affari con dei ribelli! E se i nostri mercanti sono talmente avidi da aggirare le leggi solo per riempirsi le tasche, allora non c’è altra scelta che ricorrere a soluzioni drastiche.»

«Spero per voi che stiate scherzando!» strillò Lefde «Quelle terre non ci appartengono più. Inviarvi truppe sarebbe come dichiarare guerra all’Impero.»

«Però l’Impero non sta facendo niente per tentare di riprendersele. Anzi, sembra quasi che non gli importi nulla.»

«Mio Signore…»

«Ben detto, Vostra Eccellenza. Inoltre voglio ricordare al nostro Generale Lefde che in quanto stato vassallo siamo pienamente autorizzati ad agire nell’interesse dell’Impero, purché ci venga accordata l’autorizzazione in tal senso.»

«E chi dovrebbe autorizzarci? Il Governatore Longinus che amministrava la provincia è già cibo per vermi.»

«Come Primo Ministro del mio adorato fratello ho passato anni a raffrontarmi con le autorità imperiali, abbastanza da sapere che la loro macchina amministrativa per gestire casi come questo è molto lacunosa. Fino a quando dichiarassimo di agire nell’interesse dell’Imperatore, e a meno che lui non ce lo vieti espressamente, sarà pienamente legittimo da parte nostra servirci del nostro esercito per riportare quelle terre sotto il controllo di Maligrad

«Questi sono solo dei cavilli burocratici, e voi lo sapete.» protestò il vecchio Conte di Nolgern «Se facciamo una cosa del genere l’Impero ci salterà alla gola, e potremmo perdere per sempre quella poca libertà che ci è rimasta.»

«Quindi devo presumere che siate pronti a stare seduti senza fare niente mentre le terre dei nostri avi vengono insozzate da una banda di mostri ribelli?»

Philippe si girò verso Victor, che assisteva al dibattito senza intervenire ma con un’espressione che diventava sempre più inquietante.

«È un’occasione più unica che rara, nipote mio. Se saremo in grado di risolvere questa crisi, potrebbe essere il primo passo per riottenere almeno in parte la sovranità sull’intero territorio della nostra nazione.»

Seguirono attimi di teso silenzio, con i sostenitori dell’una e dell’altra fazione che si fissavano minacciosamente.

«Sono passati tre mesi da quando quei bifolchi si sono presi ciò che non gli appartiene, e sembra che all’Imperatore la cosa non interessi minimamente.» disse con un sorriso raggelante. «È ora di fare il nostro lavoro di devoti servitori.»

«Mio Signore!?»

«Saggia decisione, nipote mio. Datemi l’ordine, e i miei soldati marceranno contro il nemico.»

«No zio, per te ho in mente qualcos’altro. Il tuo compito invece sarà di informare l’Imperatore delle nostre intenzioni. Prepara un documento ufficiale.»

«Come desiderate.»

«Mio Signore, ve ne prego. Riflettete bene su questa decisione. Il villaggio di Todlen dove si svolgono molte trattative è popolato da nostri sudditi, e anche a Grote Muren si trovano molti nostri mercanti.»

«Tanto peggio per loro.» disse acido Philippe. «Così tutti impareranno cosa succede a chi fa amicizia con il nemico.»

«La mia decisione è definitiva. Generale Lefde, prepara i tuoi uomini. In quanto comandante dell’armata occidentale sarai tu ad occuparti della cosa. Tu e il tuo esercito scaccerete i ribelli dalle nostre terre, quindi assalterete Grote Muren aprendo la via verso l’ovest. Mi aspetto una vittoria rapida, totale e gloriosa.»

«… Io… farò come ordinate, Mio Signore.»

«Allora direi che è tutto. Gentili signori, arrivederci.» e il giovane erede se ne tornò ad occuparsi degli affari propri.

 

«E pertanto, avendo constatato l’assenza di una qualunque risposta risolutiva alla crisi attualmente in atto, e dovendo io supporre che la Maestà Vostra si trovi nelle condizioni di non poter agire come vorrebbe, anche al fine di tutelare l’incolumità e l’inviolabilità dei nostri confini, le circostanze attuali mi costringono ad agire preventivamente, e di svolgere devotamente i miei doveri di servitore fedele della famiglia imperiale. Ho già ordinato di mobilitare le mie truppe, e se non altrimenti comandato mi accingo a scendere in guerra contro i traditori e i ribelli che si sono indebitamente impossessati del potere al Castello e in tutta la provincia. Sul mio onore di erede dei Montgomery, io giuro solennemente di riportare il vessillo del leone dorato a sventolare sulle torri del Castello, e di consegnare personalmente alla giustizia umana e divina coloro che hanno commesso un sitale atto di tradimento nei confronti di Vostra Maestà. Con gli auspici di Madre Gaia e la Vostra Benedizione, confido di potervi scrivere quanto prima per comunicarvi la liberazione della provincia di Eirinn e il suo ritorno sotto il controllo dei suoi legittimi governanti. Firmato, il facente funzioni di Granduca di Eirinn, Victor Montgomery. Questo è chiaramente un imperdonabile atto di insubordinazione!» sbottò Marcello dopo che ebbe finito di leggere la lettera.

«Aria ci aveva avvertiti, in fin dei conti. Non dirmi che sei davvero sorpreso che si sia arrivati a questo.»

«Sappiamo bene che è solo un pretesto. Ora i Montgomery tenteranno di sfruttare questa occasione per riottenere il controllo delle terre che ci avevano ceduto trecento anni fa.»

«Ma è chiaro che quel ragazzo è troppo ingenuo e sprovveduto per aver avuto una pensata del genere. Dietro c’è sicuramente quella serpe di Philippe.»

L’imperatore si alzò dal trono e si affacciò ad una delle finestre della sala; la città sotto di lui era bellissima e brulicante di vita come sempre, come se niente potesse turbarne la prosperità e la quiete.

Ma Ademar era il primo a sapere che si trattava solo di una facciata, una sottile patina di marmo che poggiava su pericolanti basi d’argilla.

«Vostra Maestà, non possiamo permetterlo. Dobbiamo ordinare a quella testa matta di fermarsi e…»

«Niente affatto. Lasciamolo fare.»

«Maestà…»

«Su una cosa hanno ragione. Se non facessi niente sarebbe visto come un segnale di debolezza. E ce ne sono troppi qui che non aspettano altro che di vedermi fallire.»

«E che cosa faremo qualora dovessero vincere? Se l’intera Eirinn dovesse tornare sotto il controllo dei Montgomery chi ci garantisce che saranno disporci a restituirci l’occidente?»

Era un aspetto di cui non si poteva non tenere conto. Chi vince le guerre in fin dei conti è sempre dalla parte della ragione, e se fosse stato l’esercito del Granducato a sconfiggere i ribelli pretendere un ritorno almeno ufficioso di quelle terre sotto la piena sovranità dei Montgomery sarebbe stata una richiesta più che legittima.

«Dobbiamo far capire in qualche modo che siete ancora voi a gestire questa crisi. Se qualcuno inviato da Vostra Maestà si recasse lì facendosi carico di occuparsi dei ribelli in vostro nome il Granduca sarebbe costretto a ricordarsi sempre per chi sta combattendo.»

«E chi dovrei mandare? Tutti i nostri migliori generali sono occupati altrove. Dovrei inviare qualche burocrate della capitale o qualche raccomandato che non ha la minima idea di come funzionino le cose laggiù? Mi farebbe solo fare brutta figura.»

«In realtà io stavo pensando ad un’unità militare di qualche tipo. Qualcosa di piccole dimensioni, facilmente schierabile, ma con la forza necessaria per fare la differenza.»

L’imperatore abbassò un momento lo sguardo, quindi si girò nuovamente verso il suo consigliere.

«Mi viene in mente una sola unità che corrisponda alla tua descrizione.»

«Invierò immediatamente una lettera.» rispose Marcello con il medesimo sorriso di complicità.

 

Grote Muren non era mai stato un forte di particolare importanza, ma si trovava in una posizione favorevole al centro della stretta valle che attraversando la parte più meridionale della catena del Khoral collegava tra di loro l’oriente e l’occidente dell’antico Granducato di Eirinn.

Era stato costruito, si diceva, ai tempi delle tensioni tra i due rami della famiglia poco prima della crisi che avrebbe segnato la perdita dei domini occidentali a favore dell’Impero, e da più di cento anni versava in un quasi completo stato di abbandono, rifugio per ladruncoli e sbandati.

I rivoluzionari lo avevano occupato subito dopo aver preso il potere, facendone assieme al ponte sullo Jesi e ad un altro piccolo forte nel passo a nord l’unico punto di contatto tra lo Stato Libero e il resto del mondo.

Al suo interno si poteva commerciare, discutere e richiedere autorizzazioni a proseguire oltre, visto che per poter accedere a tutti gli effetti nello Stato Libero erano necessari documenti che venivano elargiti con molta parsimonia.

Anche i due villaggi di qua e di là del confine, Hemlin a ovest e Todlen a est, facevano parte del meccanismo, visto che in essi avveniva il primo riconoscimento di chi accedeva al forte, cosa che aveva portato benefici ad entrambi garantendo un costante andirivieni di forestieri pieni di soldi.

Natuli detestava trovarsi in ambienti così caotici – una delle poche cose che la accumunavano alla maggior parte degli elfi – e per tutto il viaggio dai territori del nord fino ai confini della nuova nazione non aveva fatto altro che rimuginare sul modo migliore per concludere in fretta il proprio lavoro e tornarsene a casa.

Se non altro erano vere le storie che aveva sentito sul fatto che non facevano distinzioni. Al momento di ottenere il permesso di proseguire verso il forte nessuno le aveva chiesto conto del suo essere un elfo, addirittura zittendo e negando l’accesso ad uno stupido mercante di Patria che aveva fatto allusioni sulle sue orecchie a punta prima che potesse farlo tacere lei stessa con un cazzotto.

Il suo entusiasmo iniziale si era però spento nel momento in cui, una volta giunta al forte, malgrado il permesso che le era stato rilasciato le fu impedito di oltrepassare la porta ovest.

«Come devo fare per andare avanti?» aveva chiesto all’unico altro elfo che aveva incontrato, un senza-clan – come venivano chiamati quelli che lasciavano le terre natali per mescolarsi con gli umani – che vendeva paccottiglia nell’atrio dell’edificio principale.

«Buona fortuna. Fanno passare pochissime persone, e danno sempre la precedenza agli schiavi in fuga. Io sono due settimane che aspetto l’autorizzazione. Altrimenti devi dimostrare di poter essere d’aiuto, o di avere un qualche talento di cui non possono fare a meno.»

In tutto questo caos fatto di mercanti, affaristi, mercenari in cerca di un impiego, schiavi emancipati e anche qualche malintenzionato toccava al povero Septimus, nelle vesti di comandante del forte, mantenere l’ordine.

Daemon gli aveva affiancato alcuni burocrati e notai, oltre ad accordargli un buon numero di truppe, ma per quanto fosse abituato a gestire tanti problemi tutti insieme sentiva di essere ormai vicino perdere la testa.

Praticamente passava la quasi totalità del tempo nel suo ufficio, uscendone solo per dormire qualche ora o sedare vari problemi di ordine pubblico.

«Comandante, il ministero dell’economia sta ancora aspettando la lista dei mercanti in arrivo questa settimana.»

«Dite a Mary che gliela manderemo entro domani.»

«Comandante, l’ambasciatore di Torian non ha ancora ricevuto il suo accredito.»

«È arrivato solo tre giorni fa, può aspettare ancora un po’.»

«Comandante, quei mercenari di Maharadi hanno fatto di nuovo casino alla taverna.»

«Li avevamo avvertiti. Revocategli l’autorizzazione e buttateli fuori.»

«Comandante, c’è un gruppo di conigli che insiste per avere l’accesso prioritario, ma dall’amministrazione dicono che non hanno con sé documenti che provino la loro natura di schiavi.»

«Comandante…»

«Basta, non ne posso più!»

Per fortuna aveva una pessima mira, altrimenti il calamaio che aveva tirato sarebbe volato dalla finestra andando a colpire qualcuno nel cortile.

«Daemon, giuro che questa me la paghi! Che ti è saltato in mente di mandarmi qui? Io sono un soldato, non un burocrate! Io li odio i burocrati!»

«Vi prego Comandante, calmatevi. Qualcuno potrebbe sentirvi.»

«Ma vi pare normale? Non ho fatto certo la Rivoluzione per essere intombato in un ufficio, sepolto sotto un mare di scartoffie! Se vuole qualcuno che si occupi delle scartoffie che lo chieda a Mary!»

Non era raro che la campana della torre suonasse, anche solo per attirare l’attenzione delle guardie su qualche rissa o momento di tensione nella tendopoli sviluppatasi nel tempo davanti al forte, così in un primo momento nessuno se ne preoccupò.

Il problema fu quando, a stretto giro, un gran numero di persone iniziò ad accalcarsi davanti alle porte premendo per entrare.

«Comandante!» gridò un messaggero entrando nell’ufficio coperto di polvere. «Un esercito nemico si sta dirigendo qui!»

«Che cosa!? Che esercito?»

«Dalle insegne deve trattarsi dell’armata occidentale di Eirinn. Hanno già attaccato Todlen, e al massimo entro mezz’ora raggiungeranno il forte!»

«Maledizione! Allarme generale, posti di combattimento! Fate uscire tutti i civili e portateli a Hemlin

In un primo momento Natuli pensò che la cosa migliore da fare fosse unirsi ai civili in fuga e approfittarne per sparire, salvo poi capire che quella poteva essere una buona occasione per mettersi in mostra.

Non che le andasse tanto di rischiare la pelle in una guerra di cui non le importava nulla, ma prima e meglio avesse portato a termine la sua missione, più in fretta sarebbe potuta tornare a casa.

«Accidenti. Che rottura.» brontolò andandosi a nascondere sotto un telo mentre tutti gli altri scappavano.

Nel frattempo l’esercito nemico aveva fatto la sua comparsa, e stava prendendo posizione ad alcune centinaia di metri dal forte.

Ad occhio e croce dovevano essere un migliaio al massimo, con pochissima cavalleria e la maggior parte delle sue forze costituita da fanteria leggera, ideale per un assalto rapido; con loro avevano anche scale e corde, ma nessuna arma da assedio, quasi che non si aspettassero di dover faticare per prendere la fortezza.

«Usiamo i cannoni, comandante?» chiese uno dei sottoposti di Septimus

«Non possiamo. Le fondamenta non sono state ancora rinforzate a sufficienza, e le mura si sbriciolerebbero al primo colpo.»

Daemon aveva accennato ad una nuova arma capace di soppiantare archi e balestre nei combattimenti a distanza, ma visto che non era stata ancora completata non vi era altra scelta che ricorrere ai vecchi metodi.

«Arcieri e balestrieri, pronti a scoccare! E aspettate il mio ordine!»

Nello schieramento opposto, il Generale Lefde si concesse qualche attimo per osservare il forte, constatando non senza una certa ammirazione come i ribelli avessero fatto un ottimo lavoro nel rimetterlo in sesto.

Aveva lo sguardo e l’atteggiamento di qualcuno che non voleva trovarsi lì, consapevole di come le sue azioni fossero destinate ad avere conseguenze irreparabili.

Ma era un soldato di Eirinn, ed aveva fatto un giuramento da cui non poteva tirarsi indietro.

Mestamente, fece un cenno al suo vice.

«Prima linea, avanzare!» e circa un terzo dell’esercito partì all’attacco.

Il modo di combattere degli eserciti di Erthea differiva molto da nazione e nazione. Le legioni imperiali davano molta importanza alla disciplina e all’impiego di ampie formazioni serrate, in cui si combatteva spalla a spalla; l'esercito di Eirinn, oltre a preferire picche, grandi spade e solide armature a piastre agli scudi e alle lance corte imperiali, aveva un approccio molto più individualista, in cui ci si spalleggiava gli uni con gli altri ma ogni soldato doveva in pratica saper badare a sé stesso.

E un approccio simile non rendeva facile il lavoro degli arcieri, le cui frecce spesso andavano a vuoto cadendo tra un nemico e l’altro senza colpire nessuno.

Septimus attese fino a quando i nemici non furono molto vicini, quindi diede l’ordine di sparare e la battaglia iniziò ufficialmente.

Quelli che portavano scale e corde vennero presi di mira per primi e caddero in gran numero, ma anche se altri presero il loro posto i difensori riuscirono in un primo momento a tenere le mura inviolate.

Anche i nemici ovviamente avevano degli arcieri, oltretutto molto bravi, che ad ogni gragnola di frecce riuscivano ad eliminare uno o due soldati dello Stato Libero, cosicché dopo alcuni minuti l’esercito di Eirinn iniziò a guadagnare terreno, pur pagando a caro prezzo ogni metro conquistato.

Natuli dal suo nascondiglio poteva tenere d’occhio abbastanza bene lo svolgersi della battaglia, e ne approfittò per farsi un’idea delle capacità di entrambi gli eserciti.

«Dilettanti.» fu tutto quello che le venne da dire

Quindi, una volta deciso che aveva visto abbastanza, passò all’azione.

Agile e veloce come un gatto sfrecciò accanto a Septimus e ai suoi uomini senza che questi quasi la notassero, sfilò l’arco ad uno di loro e trapassò tre soldati nemici in piena fronte prima ancora di toccare terra dopo essere saltata giù dalle mura.

Una volta all’esterno raccolse il cavallo di un ufficiale e un pugnale da una guardia morta, cominciando ad andare su giù per il campo di battaglia mietendo vittime come una vera e propria dea della guerra, con un’abilità e un’agilità tali che i soldati di Eirinn non riuscivano in alcun modo ad ostacolarla.

«Ma quella chi è?» domandò uno degli uomini di Septimus

«Non ne ho idea, ma è la nostra occasione! Soldati, riprendete a sparare! E state attenti a non colpire quell’elfa

Lo scontro a quel punto divenne ancora più caotico, con i difensori che scagliavano frecce a ripetizione e gli attaccanti più preoccupati di avere a che fare con Natuli che di continuare il loro assalto alla fortezza. La stessa elfa si ritrovò ad un certo punto in una situazione complicata, dal momento che i suoi movimenti erano così fulminei e imprevedibili che gli uomini di Septimus trovavano difficile scoccare senza rischiare di colpirla.

Dopo pochi minuti l’assalto inevitabilmente perse di slancio, e nel caos generatosi non una singola scala raggiunse le mura di Grote Muren.

«Basta così. Suonate la ritirata.»

«Ma Generale, abbiamo ancora molti uomini.»

«Questo era solo un test, Abel. Un modo per mettere alla prova la loro forza. Ora sappiamo che non vanno sottovalutati, e di certo non basteranno poche migliaia di uomini per riuscire a sconfiggere questo esercito. Fai come ti ho detto e torniamo a casa.»

«Sì, Generale.»

Al suono del corno gli attaccanti iniziarono a ripiegare in ordine verso i propri compagni, e per non esasperare la situazione sia Septimus che Natuli decisero di lasciarli andare senza infierire o provare ad inseguirli.

Quindi, una volta che se ne furono andati, tornò a regnare una quiete assoluta, rotta solo dal gracchiare dei corvi che iniziarono subito a banchettare con i caduti.

Tutti sapevano cosa quell’attacco, per quanto fugace e non troppo drammatico, aveva significato.

La pace era già finita.

«Allora?» disse Natuli cavalcando fin sotto le mura. «Adesso me lo permettete di entrare sì o no?»

 

Anche se l’Impero si sforzava di mantenere un’aura di civiltà celando la polvere sotto il tappeto, in molti sapevano che in realtà le rivolte nei ghetti accadevano più spesso di quanto si pensasse.

E sotto questo aspetto il grande ghetto della regione costiera di Gadra, che da solo forniva la quasi totalità degli schiavi impiegati a bordo delle flotte militari e civili dell’Impero, era uno dei più problematici.

Ogni schiavo aveva il suo valore; formare un bravo rematore o un marinaio qualificato richiedeva tempo, e in questi casi ricorrere a sistemi drastici per imporre la disciplina non era mai considerata una buona idea. Gli schiavi lo sapevano, e così capitava spesso che alzassero la testa per chiedere razioni di cibo migliori, qualche ora in meno di lavoro o la possibilità di passare più tempo a terra.

Di solito in questi casi si tentava un dialogo proprio per evitare morti inutili, ma gli eventi di Ende avevano cambiato tutto, e gli ordini dall’alto erano cambiati. L’ordine nei ghetti doveva essere mantenuto con ogni mezzo, perché l’ultima cosa che l’Imperatore voleva era che qualcuno si mettesse in testa di seguire l’esempio dello Stato Libero.

E in questi casi c’era qualcosa di peggio che dover affrontare l’esercito imperiale.

Le chiamavano le Furie di Vanlia, dal nome della remota regione del nord da cui provenivano.

Implacabili.

Inarrestabili.

Si diceva che il rumore dei loro zoccoli era l’ultima cosa che avresti sentito nella tua vita se te li ritrovavi contro.

Ufficialmente non facevano parte dell’esercito, ma erano in pratica i suoi cani sciolti; i mastini che facevano il lavoro sporco dell’Imperatore.

La loro velocità gli permetteva di arrivare dovunque in poco tempo, e per questo erano sempre in movimento, pronti ad andare lì dove veniva loro ordinato.

Sopprimere rivolte, assistere le truppe regolari in qualche battaglia senza nome, o occuparsi di briganti e contrabbandieri che insozzavano le strade più importanti dell’Impero erano i loro compiti.

Erano solo poche centinaia, ma valevano più di un intero esercito.

L’unità esisteva da tempi che si perdevano nelle pagine della storia, e fin dalla sua istituzione era stata guidata sempre alla stessa famiglia. Da circa cinque anni al comando le Furie c’erano due sorelle, la maggiore Athreia, spadaccina con pochi eguali, e la minore Medea, provetta arciera.

Il loro secondo in comando era il vecchio Stavros, un veterano dell’unità nonché amico di lunga data del loro compianto padre, che voleva bene a quelle due ragazze come a delle figlie vegliando costantemente su di loro.

E di motivi per preoccuparsi Stavros ne aveva parecchi. Perché Medea, ma soprattutto Atrheia erano le degne figlie del loro padre, e non ci pensavano nemmeno a restare al sicuro nelle retrovie mentre i loro compagni rischiavano la vita in battaglia.

Proprio come quella notte.

Due settimane prima gli schiavi si erano impossessati di alcune armi, avevano cacciato le guardie e alzato le catene che bloccavano l’accesso alla baia interna attorno alla quale sorgeva il campo.

Dopo che la piccola guarnigione locale aveva tentato senza successo di sopprimere la rivolta in un assalto che però non aveva portato a niente si era presa la decisione di aspettare, con la certezza che senza provviste e in sovrannumero i ribelli si sarebbero presto arresi.

Ma i giorni erano passati senza che vi fosse alcuna traccia di resa, e ormai mancava poco al momento in cui le correnti marine avrebbero iniziato a scorrere in senso contrario, chiudendo alle flotte mercantili le porte verso le rotte meridionali per i successivi tre mesi.

Gli schiavi ribelli lo sapevano, ed erano sicuri che come le altre volte i mercanti pur di non perdere i loro guadagni avrebbero fatto pressioni sul governatore per risolvere la questione.

Ma stavolta era diverso.

Il governatore e il suo generale, Ottone, non erano più disposti ad accettare questa situazione.

E per essere sicuri che la cosa venisse risolta in modo rapido e definitivo senza però mettere in pericolo i propri uomini avevano richiesto direttamente all’Imperatore di inviare sul posto le Furie.

Benché non fossero molto a loro agio nel combattere di notte, appena arrivati sul posto si erano immediatamente scagliati contro il ghetto con la forza e l’impeto di una valanga inarrestabile, sì da cogliere i ribelli impreparati e averne ragione ancor più facilmente.

Subire una loro carica al galoppo significava essere sicuri di non vedere un altro giorno; al loro passaggio la terra tremava, e i loro corpi temprati dalle battaglie sembravano invulnerabili alle frecce o alle lance.

Come sempre, Medea e sua sorella Athreia guidavano la carica, la prima scagliando frecce lunghe come giavellotti che trafiggevano fino a quattro nemici in un colpo solo, la seconda vibrando fendenti tanto precisi da disarmare e immobilizzare gli avversari senza neanche doverli uccidere.

Quello che duemila uomini dell’esercito imperiale non erano riusciti a fare in quindici giorni le Furie di Vanlia lo fecero in venti minuti, e prima dell’alba la rivolta era domata.

«Sorella, stai bene?» disse Medea vedendo un rivolo di sangue sgorgare da una ferita sulla groppa di Athreia, tingendo di rosso la sua elegante pelliccia color nocciola

«È solo un graffio. Uno di loro mi ha ferita di striscio con la lancia.»

«Dovresti essere meno impulsiva. Io e gli altri abbiamo fatto fatica a starti dietro.»

«Non morirò certo per una cosetta del genere.»

«Dico sul serio, sorella. Lo so che vuoi dare l’esempio, ma prima o poi potresti farti male seriamente.»

Al che Athreia le appoggiò una mano sulla testa.

«E dire che tra le due dovrei essere io quella sempre preoccupata. Sono la sorella maggiore dopotutto.»

«Smettila, dai. Non sono una bambina.» provò a protestare Medea, facendosi però tradire dalla coda che ondeggiava furiosamente.

Questa sincera manifestazione d’amore fraterno dovette interrompersi per l’arrivo del Generale Ottone, che ovviamente aveva aspettato fino all’ultimo prima di farsi vedere.

«Allora? Avete risolto?»

«La ribellione è sedata, gli schiavi si sono arresi.» disse Athreia

«Perfetto, allora il vostro compito qui è finito. Ora ce ne occupiamo noi.»

«Secondo gli ordini ricevuti dall’Imperatore abbiamo ridotto le vittime al minimo indispensabile.»

«Quelli erano i vostri ordini, non i miei. Ho avuto anche troppa pazienza con questi parassiti.» quindi il generale si rivolse a due suoi ufficiali. «Trovate i capi della rivolta e mozzate loro un piede se sono rematori, o il naso e le orecchie se sono marinai. Quindi portatemi tre bestie prese a caso per ognuno di loro, e ordinate loro di sceglierne una da far giustiziare. Questo gli farà passare la voglia di alzare ancora la testa.»

«Aspettate, così è troppo brutale!»

«Medea! Però mia sorella ha ragione, non c’è bisogno di essere così drastici.»

«Abbiamo avuto cinque rivolte in tre anni, ora basta! L’Imperatore ha detto chiaramente che fatti come quello di Eirinn non devono più accadere, e io ho tutta l’intenzione di rispettare la sua volontà. Quanto a voi, potete andarvene anche subito.»

Medea, che non aveva l’autocontrollo della sorella, era quasi sul punto di rispondere per le rime a quel pallone gonfiato, ma Athreia fu lesta a fermarla e convincerla a venire via con lei prima che potesse fare qualcosa di stupido.

«Perché l’hai fatto, sorella?»

«Il nostro compito era solo quello di sopprimere la rivolta. Il ripristino dell’ordine all’interno del ghetto non è cosa che ci competa.»

«Però quelle persone…»

«Noi siamo soldati, Medea. Possiamo solo obbedire agli ordini.»

In quel momento le raggiunse il vecchio Stravos, scuro in volto e con in mano l’ascia ancora coperta di sangue.

«Ci sono feriti?» chiese Athreia

«Niente di irreparabile. Qualche graffio, e Zagan che probabilmente perderà un occhio. Comunque è appena arrivato un messaggero. A quanto pare l’Impero ha ancora bisogno di noi.»

«Dove dobbiamo andare?»

«Ad Eirinn.»

Athreia sospirò: in qualche modo era sicura che prima o poi sarebbe successo.

«Per stanotte riposeremo nella prateria qui vicino. E domattina all’alba partiremo.»

«Sissignora.»

A quel punto i tre si avviarono verso i loro compagni, cercando di ignorare le grida strazianti che iniziavano a sollevarsi alle loro spalle squarciando il buio della notte.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 - INCONTRO AL PASSO DI GAEL ***


“Quando mi fisso su un obiettivo

gli ostacoli possono solo farsi da parte”

CAPITOLO 4

INCONTRO AL PASSO DI GAEL

 

 

Subito dopo essere stato informato dell’assalto al forte Daemon convocò immediatamente tutti i suoi ministri per discutere la situazione.

Nell’aria c’era agitazione, e più di qualcuno era preoccupato, ma in realtà quasi nessuno si mostrò eccessivamente sorpreso per ciò che era accaduto.

In qualche modo tutti sapevano che non sarebbe potuta durare.

Daemon lo aveva detto senza tanti giri di parole il giorno in cui si erano riuniti per la prima volta, proprio allo scopo di spegnere facili entusiasmi e riportare tutti alla cruda realtà.

«Non possiamo escludere che prima o poi qualcuno tenti di rubarci la libertà che ci siamo conquistati.» aveva detto. «E quando accadrà dovremo essere pronti a difenderci.»

Quel momento era infine arrivato.

Troppo presto per qualcuno, più tardi del previsto per qualcun altro.

Lo Stato Libero era nato, ora era necessario difenderlo.

Per fortuna nulla era stato lasciato nelle mani del caso.

L’istituzione di un esercito, gli investimenti massicci in armamenti e scorte di emergenza, oltre alla costruzione di alcune roccaforti in punti strategici del Paese erano tutte precauzioni che erano state prese proprio al fine di prepararsi ad una simile eventualità.

Dopo aver rassicurato tutti che nessuno sarebbe stato trascurato furono prese le prime decisioni, a cominciare dall’ordine pubblico.

Venne istituita la legge speciale che limitava l’accesso al cibo, garantendo a tutti il necessario sostentamento contenendo però speculazione e sprechi. Furono anche implementati i poteri dei prefetti di polizia per mantenere l’ordine e assicurare a tutti i villaggi un corridoio di sicurezza per mettersi in salvo nel più vicino centro fortificato in caso di necessità.

Poi fu il turno dell’aspetto economico.

Quasi tutti i mercanti che negli ultimi tre mesi avevano iniziato a fare affari con lo Stato Libero avevano contatti nel mercato nero, ed erano più che capaci di muovere soldi e merci anche in tempo di guerra sfruttando canali segreti e sotterfugi. Furono ricevuti i capi delle gilde, che si impegnarono a proseguire negli affari in cambio di un aggiustamento ai profitti per compensare i rischi.

Nessuno era felice all’idea di svendersi a quelle sanguisughe, ma era l’unico modo per mantenere attivi i commerci.

Naturalmente per poter continuare a commerciare doveva esserci qualcosa da vendere, quindi fu dato l’ordine che tutte le attività restassero aperte, a cominciare dalle miniere e dalla cura dei campi.

Infine vennero riassegnati e riposizionati i battaglioni, con i veterani della Rivoluzione che sarebbero andati ad occupare le posizioni più esposte, a presidio di Grote Muren e sull’impervio Passo di Gael, i soli due punti di collegamento tra l’est e l’ovest dell’antica Eirinn.

Secondo Oldrick presidiare il passo sarebbe stato solo uno spreco di risorse, perché era semplicemente impossibile per un esercito in armi attraversarlo agilmente, perennemente coperto com’era dalla neve e dal ghiaccio.

«In una guerra non si lascia niente al caso, Oldrick. Credevo che lo sapessi. È ovvio che l’attacco al forte è stata solo una prova. E anche volendo dare retta alle voci che dipingono Victor come un’idiota patentato, il Generale Lefde che comanda l’esercito occidentale del Granducato è uomo assai più avveduto. Ora che ha testato le nostre difese a Grote Muren, è logico supporre che farà lo stesso anche al Passo di Gael. E noi dobbiamo farci trovare pronti.»

Finita la riunione, e accompagnato da Scalia, Daemon volle anche conoscere l’elfa che con le sue prodezze aveva contribuito alla difesa di Grote Muren, e che dopo la battaglia era stata portata al Castello sotto scorta per incontrarlo.

«Quindi sei tu il capo qui?»

«Più o meno. Tu invece sei?»

«Natuli

«Anzitutto voglio ringraziarti per il tuo contributo. Senza di te avrebbero potuto esserci molte più vittime nell’attacco. Mi hanno detto che vorresti avere accesso allo Stato Libero. Posso chiederti perché?»

«Mi è sembrato un posto come un altro per fare un po’ di soldi.»

«Un elfo che parla di soldi.» commentò Scalia. «Se non lo vedessi non ci crederei.»

«Mettila come vuoi. Voi avete tanti nemici, e io so come prendermene cura. Allora? Vi servo oppure no?»

I due si fissarono vicendevolmente negl’occhi come se cercassero di studiarsi, e Scalia fu sorpresa nel vedere come l’elfa non battesse ciglio di fronte allo sguardo penetrante del fratello, capace solitamente di far tremare le gambe anche ai più coraggiosi.

Quindi, arrivò il verdetto.

«Indubbiamente ci sai fare sotto molti aspetti. D’accordo, puoi restare, ma ad una condizione. Dovrai servire nel nostro esercito. Stiamo creando un reparto di arcieri a cavallo, dovrai addestrarli e prenderne il comando. Ti occuperai anche di addestrare tutti i nostri reparti di arcieri.»

«Per me va bene.»

Nessuno, neanche i pochi che avevano dimostrato abilità comparabili a quelle di Natuli, aveva mai fatto carriera così velocemente, e la cosa lasciò sia Scalia che tutti gli altri presenti parecchio sorpresi. Ma ciò nonostante non si levò una sola obiezione.

«Allora siamo d’accordo. Septimus, occupatene tu. Da questo momento conferisco a Natuli il ruolo di Capitano dei Cacciatori a Cavallo.»

«Come desideri.»

Detto questo Daemon si congedò e si diresse verso il proprio ufficio, sempre seguito da Scalia.

«Daemon, sei sicuro che sia una buona idea? È sicuramente abile, ma affidarle di punto in bianco un incarico così importante…»

«È una spia.» rispose il ragazzo come se fosse la cosa più naturale del mondo

«Cosa!?»

«Ha nascosto il tatuaggio, ma è ovvio che non sia una senzaclan come vuole farci credere. Gli elfi si agitano per ogni cosa fuori dalle righe che avviene in questo continente, e noi siamo fuori dalle righe sotto molti punti di vista. L’avranno mandata qui per sorvegliarci ed essere sicuri che non siamo una minaccia.»

«Ma se l’hai capito subito, perché le hai affidato quel comando!?»

«Lo hai sentito anche tu il rapporto di Septimus. Hai mai visto un arciere migliore di lei? Se non avessi ricompensato adeguatamente il suo talento avrebbe capito che l’avevamo smascherata.»

«Però, permettere ad una spia di prendere parte alle riunioni e ai consigli di guerra, soprattutto in un momento come questo… Non sarebbe stato più saggio arrestarla o espellerla?»

«Avrebbero mandato qualcun altro, qualcuno più abile di lei a passare inosservato. E comunque il suo talento è troppo prezioso per farne a meno. Ora non pensiamoci più. Come hai detto tu, abbiamo cose più importanti di cui occuparci.»

Ad attendere i due nell’ufficio c’era una vecchia conoscenza che entrambi non vedevano da parecchio tempo.

«Eilon.» disse Scalia. «Che bello rivederti.»

«È un piacere anche per me, Scalia.» rispose il vecchio volatile «Vi siete sistemati bene.»

«Felice di rivederti amico mio. Come vanno le cose a Dundee?»

«Molto bene. Devo ringraziarti. Con i soldi che ci hai prestato siamo riusciti ad aprire una fucina tutta nostra.»

«È stato un piacere. Le tue abilità di fabbro e forgiatore del resto meritavano un ambiente di lavoro migliore delle squallide fornaci delle miniere.»

«Non dico che quel periodo mi manchi, però devo ammettere che ogni tanto mi sento quasi a disagio. Ora non dobbiamo più fare economia di utensili o preoccuparci che la fornace possa saltare in aria perché non viene riparata. Queste vecchie piume ormai erano abituate alle fiammate.»

«Avrei voluto rincontrarti in circostanze migliori. Ma se sei qui, presumo che tu abbia delle novità per me.»

Al che Eilon dirottò la loro attenzione sulla voluminosa scatola di legno appoggiata sul tavolino: «Puoi contarci.»

Nel momento in cui Daemon aprì il contenitore, i suoi occhi si accesero come quelli di un felino.

«Allora? Che te ne pare?»

«Sono davvero senza parole. È identico al progetto che ti avevo lasciato.»

«Non è stato facile, ma lo sai. Io sono il migliore.»

Scalia non ci provò neanche a chiedere che cosa fosse, anche se quella forma particolare qualche sospetto glielo faceva venire.

«Compatto, robusto, e leggero quanto basta. Avete fatto qualche test?»

«Certamente. Tutti brillantemente superati. Nessuna incrinatura, nessuna traccia di sofferenza del metallo. Il meccanismo qualche volta tende a bloccarsi, ma con i pezzi che abbiamo a disposizione non potevamo fare di meglio.»

«Un limite che avevo preso in considerazione. Suppongo che per adesso dovremo accontentarci. Quanti pensate di poterne costruire?»

«I primi trenta sono già pronti. Dì solo una parola, e potremo arrivare a cento prima della prossima luna.»

«Allora mettetevi subito al lavoro. Temo che ne avremo bisogno molto presto. Nel frattempo, io mi occuperò dell’addestramento.»

 

Il fallimento dell’assalto a Grote Muren non provocò grande sorpresa a Faria, giacché nessuno si aspettava realmente che qualcuno che era stato capace di conquistare una provincia in meno di un mese potesse essere sconfitto con così poco.

Tuttavia, una simile disfatta imponeva come prima cosa di aumentare la disponibilità di soldati, così subito dopo il ritorno della prima spedizione si era iniziato a fare i dovuti preparativi bandendo una coscrizione in massa e l'arruolamento di gruppi mercenari.

In realtà le casse nazionali erano tutt’altro che piene in quel periodo, ma c’era la convinzione –per alcuni più che per altri– che i frutti della riconquista avrebbero ampiamente coperto i costi.

Gli Jormen erano sostanzialmente ladri e predoni, barbari dell’estremo nord orientale che saccheggiavano le coste prendendo quello che volevano, e che proprio per questo non disdegnavano di combattere per chiunque potesse permettersi i loro servizi.

La banda di Ignes era una delle poche che si potevano reclutare anche nel profondo entroterra, visto che solitamente gli Jormen non stavano mai troppo lontani dal mare e dalle loro famigerate navi.

Nessuno guardando Ignes avrebbe mai pensato che lei potesse essere il temuto Ferro Cremisi, la cui ascia aveva macellato così tanti nemici da essersi colorata di rosso. Portava le trecce e si vestiva come una ragazzina, ma guardarla negli occhi avrebbe terrorizzato anche il più impavido dei generali, tanto erano freddi, e in battaglia agitava quell’arma più grossa di lei come fosse di carta.

La sua fama era tale che nessuno osava protestare per la natura piuttosto eterogenea della sua banda, che annoverava al suo interno un buon numero di mostri fuggiaschi e schiavi liberati.

«Sua Altezza il Granduca vi ringrazia per i vostri servigi.» disse Philippe, in piedi accanto al trono dal quale Victor presenziava l’incontro con tutti i capi mercenari assoldati per l’occasione. «Con il vostro aiuto, schiacceremo i ribelli e reclameremo il controllo della provincia di Eirinn.»

«Bando alle ciance e parliamo di cose serie.» tagliò corto Ignes «Quand’è che si combatte?»

«Stiamo ancora finendo di riorganizzare il nostro esercito.» intervenne Lefde, anch’egli presente. «Ci vorranno ancora alcune settimane.»

«Tutto questo spiegamento di forze per un pugno di ribelli? Pagatemi il doppio e vi risolvo il problema da sola.»

«La vostra fama vi precede Ferro Cremisi, ma vi invito alla prudenza. Questi ribelli non assomigliano a niente che abbiate visto finora. Il loro comandante è una persona estremamente arguta, che ha addestrato i suoi soldati molto bene.»

Invisibile a tutti, nascosta dietro una colonna sulla balconata che sovrastava la sala delle udienze, un’ombra ammantata assisteva all’incontro. Victor ne incrociò lo sguardo un attimo prima che scomparisse, piegando le labbra in un moto di stizza.

«Tuttavia, il risultato non cambierà.» disse «Quella che ci aspetta è una grande vittoria, e posso assicurarvi che tutti voi avrete la vostra parte in gloria e bottino. Eirinn sa essere molto generosa con chi la serve fedelmente.»

«La fedeltà e la gloria lasciamole fuori.» fu la replica piccata di Ignes «A noi importa solo del denaro, e voi ce ne avete promesso tanto. Per il vostro bene spero che non fosse una promessa campata in aria.»

«Bada a come parli, selvaggia!» sbottò Philippe perdendo la pazienza. «Ti ricordo che ti stai rivolgendo al Granduca di Eirinn!»

«Mi piace la tua schiettezza.» rispose invece Victor. «Non c’è persona più affidabile di quella la cui lealtà può essere comprata, dopotutto. Tranquilla, questa impresa porterà a tutti voi più guadagni di quanti ne possiate immaginare. Avete la mia parola.»

In quel momento le porte in fondo alla stanza si aprirono, e prima ancora che il banditore potesse annunciare i nuovi venuti una coppia di giovani centaure in armatura giunse alla presenza del giovane Granduca.

Nessuno dei presenti le aveva mai viste, ma tutti immaginarono subito di chi dovesse trattarsi; ragion per cui né Philippe né tantomeno Victor furono felici di vederle.

«Salute a Voi, Granduca Montgomery.» disse la più anziana dopo che entrambe ebbero fatto un inchino. «Mi chiamo Athreia Ypsilanti, e sono il comandante delle Furie di Vanlia. Su richiesta di Sua Maestà l’Imperatore, da questo momento ci mettiamo al vostro servizio per assistervi nella campagna contro i ribelli che hanno occupato la provincia dell’Eirinn Occidentale.»

«Il vostro supporto è inatteso e molto gradito lady Ypsilanti, ma al momento abbiamo a nostra disposizione tutte le truppe di cui potremmo aver bisogno.» disse Philippe, la cui espressione però raccontava tutt’altra storia. «Senza contare che nelle nostre attuali condizioni non ci possiamo permettere di assoldare altre truppe.»

«Ehi cavallone, non starete cercando di rubarci il lavoro?» disse Ignis andandole vicino e fissandola con aria di sfida, e questo malgrado Athreia e sua sorella fossero alte il doppio di lei

«Noi non siamo mercenari.» disse offesa Medea «Siamo un’unità scelta appartenente all’esercito imperiale.»

«Calmati, Medea. Sua Maestà ci ha inviato qui per manifestarvi la propria vicinanza e riaffermare il suo appoggio alla vostra impresa per liberare la provincia dal controllo dei ribelli. Obbediremo a voi in quanto signore di queste terre, ma intendiamo rispettare l’ordine ricevuto dal nostro Imperatore. Se non volete il nostro aiuto noi non combatteremo, ma questo non significa che verremo meno ai nostri doveri.»

I denti di Philippe scricchiolavano per quanto forte li stava serrando.

Era fin troppo chiaro per quale motivo l’Imperatore avesse mandato lì quei maledetti centauri. E visto che le Furie si occupavano notoriamente di sopprimere rivolte nessuno avrebbe potuto accusare Sua Maestà di aver agito in maniera pregiudizievole.

«Lo chiamano aiuto, ma in realtà ci stanno solo mettendo il guinzaglio.» disse tra sé e sé Lefde, non senza un certo sollievo.

«Suvvia, non è il caso di scaldarsi tanto.» rispose Victor, con una maturità e una calma tali da lasciare i due uomini senza parole. «Se Sua Maestà ci invia degli aiuti sarebbe sciocco non servirsene. In fin dei conti, noi stiamo agendo in sua vece. Siete le benvenute, voi e la vostra unità. E giacché vi trovate qui, avremmo già il compito giusto da affidarvi.»

«Siamo a vostra disposizione.»

«Abbiamo saggiato la forza dei nostri nemici con un rapido attacco alla fortezza di Grote Muren, e purtroppo abbiamo dovuto constatare che quei ribelli sono più organizzati di quanto credessimo. Pertanto prima di passare all’offensiva vera e propria vorremmo vagliare tutte le possibili soluzioni.»

Al che il giovane Montgomery richiamò l’attenzione di tutti sul gigantesco arazzo appeso sulla parete alla sua sinistra, raffigurante il vecchio Granducato ai tempi del suo massimo splendore.

«Come sicuramente saprete, la valle in cui si trova Grote Muren è l’unico punto di collegamento tra l’est e l’ovest della vecchia Eirinn abbastanza grande da potervi transitare agilmente con un grande esercito. Ma c’è anche un’altra strada, più impervia e pericolosa, a nord della fortezza.»

«Ne ho sentito parlare. È il Passo di Gael

«Un assalto frontale contro Grote Muren ci costerebbe sicuramente perdite considerevoli. Ma se riuscissimo a far transitare una piccola forza attraverso il passo fin oltre la catena del Khoral, potremmo essere in grado di tagliare le linee di rifornimento nemiche. A quel punto, la conquista del forte diventerebbe una questione molto più facile.»

«Sì, capisco.»

«Purtroppo per noi, anche questo Daemon è arrivato alla medesima conclusione. Ci hanno appena comunicato che i ribelli hanno iniziato a fortificare il passo. Pertanto, sarebbe necessario mettere alla prova anche qui le loro difese, per capire quanto questa operazione possa risultare fattibile.»

«Quindi vorreste affidare questo incarico a noi?»

«La vostra è un’unità piccola, ma molto potente. Perfetta per un ambiente angusto come il passo. Di fronte alla forza di una vostra carica i ribelli potrebbero persino abbandonare il campo immediatamente, aprendoci subito la strada verso l’ovest.»

«In questo caso Granduca, potete iniziare subito a pianificare l’offensiva. Perché potete stare certo che libereremo il passo prima ancora che i ribelli possano accorgersi di noi.»

«Ero sicuro che saremmo andati d’accordo. Vi farò sapere quando potremo dare il via all’operazione. Nel frattempo, Eirinn vi accoglie come alleati e come amici. Seguite il mio ciambellano, vi condurrà nei vostri alloggi.»

«Vi ringrazio, Vostra Eccellenza.»

Dire che Philippe e Lefde erano senza parole sarebbe riduttivo.

Ma se Lefde per un attimo volle illudersi che il figlio del suo vecchio amico stesse finalmente iniziando a capire cosa voleva dire essere l’erede dei Montgomery, a Philippe che gli stava accanto non sfuggì il ghigno che si materializzò sul volto del ragazzo nel momento in cui le due centaure gli diedero le spalle; e la cosa lo soddisfò enormemente.

 

L’ultimo piano dell’ala nobile del palazzo era proibito a chiunque; nessuno doveva vedere ciò che il vecchio Berthold Montgomery era diventato.

Non che se ne vergognasse; semplicemente sapeva quanto fosse importante il modo di apparire per un sovrano, specialmente per una famiglia come la sua che portava sulle spalle il peso di una nazione in crisi d’identità, alla perenne ricerca di una figura forte a cui aggrapparsi.

Il popolo stesso ignorava quale fosse il vero motivo che aveva costretto il Granduca a rinunciare il proprio ruolo in favore del figlio; si era parlato di un problema di salute non meglio specificato. Inevitabile quando si aveva a che fare con una malattia che la gente comune considerava una punizione divina.

Da qualche mese la lebbra aveva portato via al Granduca perfino la vista. Ma ormai egli conosceva il suo palazzo così bene da poterlo percorrere in lungo e in largo senza alcun bisogno di vedere, stando sempre ben attento a scegliere quei percorsi in cui non avrebbe corso il rischio di incontrare qualcuno.

Così, quando ne aveva le forze, se ne andava in giro, ascoltando le voci dei servi e delle guardie, e presenziando talvolta alle udienze al sicuro del colonnato che sovrastava il salone.

«Non credo ci sia bisogno di farvi rapporto, giacché vi siete sentito in dovere di assistere all’incontro.» disse Victor chiudendo la porta delle stanze del padre

«Stai prendendo una strada pericolosa, figlio mio.» disse la figura appena visibile dietro le tende del letto parlando con voce roca e gracchiante «L’Impero potrà anche essere più debole che in passato, ma è ancora capace di azzannare chiunque osi sfidarlo.»

«E dunque noi dovremmo continuare a piegare la testa di fronte ad un leone vecchio e morente? È davvero tutto qui il vostro orgoglio?»

«Attento a ciò che dici. Anche se ho giurato fedeltà all’Imperatore, il mio cuore e il mio spirito sono sempre stati rivolti al bene di Eirinn. E se pensi che abbia dimenticato cosa significa essere parte di questa famiglia ti sbagli di grosso.»

«Davvero? Perché onestamente a me sembra il contrario, e il vostro comportamento lo dimostra. Questa è la migliore occasione per noi di riprenderci ciò che ci appartiene, e voi vorreste che ce la lasciassimo sfuggire.»

Victor non aveva il coraggio di dirlo apertamente, ma sospettava a torto che vi fosse proprio lo zampino di suo padre dietro l’arrivo delle Furie. Non occorreva un genio del resto per capire che si trattava di un espediente per ricordare a lui e a Philippe a nome di chi stavano combattendo.

«Se avessimo avuto a che fare con il vecchio imperatore sarei stato il primo a suggerirti di agire in questo modo. Era solo un vecchio incapace prigioniero dei suoi vizi. Ma suo fratello Harnold che ora siede sul trono è tutta un’altra cosa. È furbo e perspicace. E anche se ora ha molti problemi a cui pensare, sbagli a ritenere che ignorerebbe ciò che tu e Philippe volete fare. Eirinn un giorno sarà di nuovo unita e libera, ma quel momento non è ancora arrivato.»

«Quel momento non arriverà mai finché ci sarà gente come voi a governare. Non è forse per questo che avete mandato Aria a studiare all’accademia imperiale? Per legare ancora di più il nostro destino a quello dell’Impero, proprio ora che potremmo finalmente liberarci da questa umiliante condizione di vassalli?»

«Guardami. Il mio corpo sta marcendo, e probabilmente sarò morto prima di un anno. Credi davvero che se pensassi che le tue azioni potrebbero ridarci la libertà non ti darei la mia benedizione, se non altro per poter assistere alla rinascita di Eirinn prima di esalare il mio ultimo respiro? Molti moriranno se compi questo passo, e la loro morte potrebbe non portare a niente. Sei davvero disposto a sacrificare i tuoi soldati, il tuo regno, forse persino la tua vita in nome di un obiettivo che potrebbe essere oltre la tua portata?»

«È qui che vi sbagliate, padre. Io non sono un codardo come voi. Io non ho paura di sporcarmi le mani, e lascerei morire cento, mille, anche un milione di uomini sotto il mio comando per restituire ad Eirinn il posto che merita. Perciò restate seduto qui e osservate mentre porto a compimento ciò a cui voi e i vostri antenati non siete mai andati nemmeno vicini.»

 

Non avevo mai pensato che la pace fosse destinata a durare a lungo, così come avevo sempre saputo che il mio impero, come tutti gli altri esistiti in chissà quanti altri mondi, poteva essere costruito solo con il sangue.

Del resto sapevo di non avere molto tempo, e in cuor mio avevo sperato che le cose si mettessero in moto il prima possibile.

Erano passati quasi quattro mesi da quel fatidico giorno in cui tutto aveva avuto inizio, e l’arrivo del Re dei Demoni si avvicinava sempre di più.

Non era un caso se fin dal primo momento avevo investito pesantemente nel rafforzamento dei nostri confini occidentali, facendo ristrutturare Grote Muren e selezionando i mostri più resistenti al freddo per destinarli al Passo di Gael. Perché sapevo che la prima mossa ai nostri danni sarebbe venuta proprio da Eirinn.

Ovviamente mi ero documentato su chi mi sarei trovato di fronte, e grazie ai rapporti consegnatimi dalle spie che avevo inviato in ogni dove in quasi tutta l’Erthea Occidentale, mi ero fatto un’idea abbastanza precisa di Victor Montgomery.

Per farla breve, non mi preoccupavo minimamente, poiché avevo capito con chi avevo a che fare; con il classico edonista viziato, come ce n’erano tanti tra gli aristocratici di qualunque regno, che scambiava la nobiltà per il talento, alla costante ricerca di un modo per dimostrare la propria forza.

Tipi così ne avevo incontrati a centinaia nella mia precedente vita, e li conoscevo abbastanza bene da sapere cosa potermi aspettare da loro.

Stesso discorso per Philippe, una serpe dalla lingua biforcuta che usava l’amor di patria come scusa per giustificare la sua ambizione, di sicuro competente nel comando ma così poco avveduto da risultare prevedibile nelle sue scelte.

Il problema semmai era il Generale Lefde, del quale non riuscivo a farmi un’idea precisa. Da una parte lo vedevo come un altro di quei veterani ubriachi di onore cavalleresco che mai si sognerebbero di contraddire gli ordini del proprio signore, anche se in disaccordo con lui, dall’altro avevo sentito solo elogi nei confronti del suo talento come generale.

Come se non bastasse tutto pesava sulle mie spalle, e ormai da parecchi giorni a stento trovavo il tempo di dormire.

Nella mia vecchia vita potevo permettermi di demandare ad altri le questioni logistiche e burocratiche, ma anche se mi stavo adoperando per creare una classe dirigente che potesse assistermi nessuno dei miei subalterni possedeva ancora le qualità necessarie a stare al passo con me.

E con una guerra alle porte, ecco che le responsabilità per me si erano moltiplicate: studiare le mappe, organizzare i presidi, occuparsi dei rifornimenti, assegnare gli ufficiali, programmare le marce erano tutte cose che ricadevano sulle mie spalle.

E anche se ora ero tornato giovane, anch’io avevo dei limiti.

Ero arrivato alla mia terza notte trascorsa quasi completamente in bianco ad esaminare pratiche e redigere documenti, avevo in corpo più caffè che sangue, e se avessi avuto a portata di mano uno schioppo penso che avrei sparato alla prima persona che avessi incontrato per quanto ero stanco e nervoso.

Per non scoppiare del tutto decisi di fare una pausa e concedermi due passi.

Il Castello era immerso nel buio e nel silenzio più assoluti, e fatte salve le sentinelle, quasi tutte più addormentate di me, non incontrai nessuno finché non raggiunsi i giardini.

«Scalia.» dissi quando la vidi in piedi davanti alla fontana delle sirene. «Cosa ci fai in piedi a quest’ora?»

«Potrei farti la stessa domanda.»

«Avevo del lavoro da fare, ma ho voluto fare una pausa.»

«Tu lavori troppo, fratellino. Se continui così prima o poi ti ammalerai.»

«Non posso farci niente. Ora che siamo in guerra le incombenze si sono moltiplicate.»

«Quindi è inevitabile?»

«Temo di sì. A quanto pare Victor ha speso fino all’ultimo soldo delle casse di Eirinn per arruolare quanti più mercenari possibili. Non sarà una battaglia facile.»

«Quando abbiamo accettato di seguirti sapevamo che avremmo dovuto combattere strenuamente per conquistare e conservare la libertà, ma sinceramente speravo che la pace potesse durare un po’ più a lungo.»

Beata ignoranza.

Come se i cambiamenti, specie se così epocali, potessero compiersi senza dover versare fiumi di sangue.

«Credi che ce la faremo a vincere?»

«In guerra non esistono certezze. Possiamo solo fare del nostro meglio, e sperare che sia sufficiente. Però sì, possiamo vincere. Del resto siamo arrivati troppo lontano per arrenderci ora, non credi?»

Ufficialmente Scalia era un soldato come gli altri, e non aveva alcuna carica all’interno del mio governo.

Non perché non la reputassi capace di fare la sua parte; non volevo che qualcuno mi accusasse di fare dei favoritismi.

Ma ora più che mai avevo bisogno di lei, del suo coraggio, della sua forza, e anche della sua testardaggine. Anche a costo di farle rischiare la vita sul campo di battaglia.

«Pensavo di farlo domani mattina, ma a questo punto direi di approfittarne adesso.» dissi porgendole una spilla da ufficiale. «Sto creando una unità speciale, che possa muoversi sul campo di battaglia in piena autonomia, e vorrei che fossi tu a comandarla con il grado di Capitano.»

«Capitano!? Io!?»

«Tutti ti hanno vista combattere durante la Rivoluzione. I veterani ti conoscono, le reclute ti ammirano. Inoltre i soldati lotteranno con più convinzione se sapranno che a guidarli è la figlia del famoso Generale Zorech. Volevo proporre questa posizione anche a nostro padre, ma come sai lui non vuole avere più niente a che fare con la guerra e con le armi.»

Effettivamente ci avevo provato in tutti i modi a convincere Zorech a prestarci il suo talento, ma quel vecchio ottuso e idealista evidentemente era ancora tormentato dagli incubi di ciò che aveva visto e fatto durante le Guerre Sacre.

Persino per un ruolo ininfluente e marginale come quello di Governatore del Castello avevo faticato non poco per riuscire a convincerlo.

Con Scalia non dovetti neanche insistere.

«Non sono sicura di essere ciò di cui hai bisogno.» disse prendendo la spilla. «Ma ti prometto che farò del mio meglio.»

«Ne sono sicuro. Ma sia chiara una cosa, voi sarete comunque parte dell’esercito. Potrete muovervi per conto vostro, ma dovrete comunque obbedire ai miei ordini qualora ve ne dia.»

«Non preoccuparti. Prometto che non farò niente di avventato.»

«Lo spero. Perché d’ora in poi temo che le battaglie si faranno sempre più dure.»

Un movimento improvviso in un cespuglio vicino ci fece sobbalzare entrambi, e un attimo dopo mi ritrovai a venire travolto da una specie di piccola ombra che mi si avvinghiò addosso con la forza di un orso.

«Fratellone! Quanto tempo è passato!»

«Sapi!?»

L’ultima volta che avevo ricevuto una sua lettera era stato ancora prima dell'inizio della Rivoluzione.

E anche se già solo da quello che negli anni mi aveva scritto avevo capito da tempo che doveva essere molto cambiata rispetto a come la ricordavo, per un attimo mi sembrò di avere davanti una completa estranea.

L’unico modo in cui potei essere sicuro che fosse davvero lei era il suo aspetto, com’era naturale del resto: era risaputo che gli yeti mantenevano per tutta la vita l’aspetto di preadolescenti, così da rimanere piccoli e robusti e sopportare meglio il gelo delle montagne in cui vivevano.

Stessi capelli azzurrini, stessa pelliccia bianca, stesso naso piccolo. E purtroppo per le mie ossa, stessa forza ciclopica, che nessuno le aveva mai insegnato a dosare.

«Ma si può sapere come hai fatto ad entrare qui? Che accidenti combinano le guardie?»

«Ciao zietta. Sono felice di rivedere anche te.»

«Chi hai chiamato zietta, sottospecie di sgorbietto peloso?»

C’erano poche cose che Scalia detestasse più di qualcuno che le rinfacciava la sua età; certo, se paragonata all’età media dei draghi era poco più di una ragazzina, ma ciò non toglie che fosse abbastanza vecchia da poter essere la mia bisnonna.

Ma chiaramente la nuova Sapi, che all’opposto fatto salvo il carattere sembrava ancora la bambina che avevamo conosciuto otto anni prima, era troppo ingenua e innocente per capirlo.

«Allora, mi vuoi dire cosa ci fai qui?»

«Sono venuta a mantenere la mia promessa. Ti avevo detto che un giorno sarei tornata per aiutarti a realizzare il tuo sogno. Così quando ho saputo quello che avevi fatto non ci ho pensato due volte e sono venuta qui.»

E così, il primo investimento della mia seconda vita aveva finalmente fruttato.

Ero stato io a convincere Sapi a mettere a frutto la straordinaria forza bruta della sua specie nell’arena, così da farle apprendere qualche rudimento di lotta e renderla ancora più capace di cavarsela sul campo di battaglia.

Ora sapevo che quel suggerimento non solo era stato seguito alla lettera, ma i risultati erano andati ben al di là delle più rosee aspettative… e la mia cassa toracica era lì a testimoniarlo.

«Mi dispiace Sapi, ma temo che tu sia arrivata qui in un pessimo momento. La pace è già finita, e presto saremo di nuovo in guerra.»

«Ma io posso aiutarti, fratellone. Te l’ho detto che ho imparato a combattere. Prometto che farò la mia parte.»

Esattamente quello che mi aspettavo da lei e per cui avevo coltivato il nostro rapporto, ma occorreva comunque salvare le apparenze.

«Se proprio vuoi aiutarci, allora puoi restare. Per il momento però voglio che mi resti vicino. Avrai molto presto l’occasione per dimostrare quanto vali.»

«Daemon, non starai pensando seriamente di mandare in battaglia questo scricciolo.»

«Fidati Scalia, sa combattere meglio di quanto credi. E comunque non andrà in battaglia, almeno fino a quando non lo dirò io. Giusto?»

«Sì, te lo prometto. Farò tutto quello che mi dirai. Sono così felice di essere di nuovo insieme a te, fratellone.»

Nel frattempo ormai era sorto il sole, così tutti e tre ci dirigemmo al refettorio.

E dal momento che Tecla aveva la pessima abitudine di venire a fare rapporto nei pochi momenti tranquilli che avevo a disposizione, ci comparve davanti proprio mentre stavamo facendo colazione.

«L’esercito di Eirinn si è messo in movimento. Si sono divisi in due armate che avanzano contemporaneamente.»

«Dove si trovano?»

«Un’armata ha preso possesso di Todlen, l’altra sembra intenzionata ad imboccare il Passo di Gael. Al comando di questa seconda armata c’è il Conte di Hatlen, e ne fanno parte anche molti mercenari. Tra di loro ci sono anche almeno duecento centauri.»

«Centauri.» disse Scalia contenendo a stento l’impulso di sputare per terra. «Se esistono gli dei inferi, devono aver pensato ad un supplizio eterno solo per loro.»

«Le nostre forze dove sono?» chiesi io

«Il Generale Adrian ha raggiunto ieri sera Grote Muren e implementato le difese.»

«Le fortificazioni sul Gael

«Terminate.»

Con un gesto attirai l’attenzione di Septimus, strappandolo con suo enorme sollievo all’ennesima provocazione sensuale di Giselle che non perdeva occasione per mettere in mostra la sua nuova mercanzia davanti a lui.

«Convoca il consiglio di guerra per mezzogiorno. E dì alla mia nuova unità di cominciare a prepararsi. Lo Stato Libero sta per incominciare la sua prima guerra.»

 

Il Passo di Gael era chiamato anche Vetta degli Dei, perché era il valico situato più in alto dell’intera catena del Khoral.

Era chiamato anche Valle della Bianca Vetta, dal momento che la neve che come un sudario copriva il fianco del Monte Gael non si scioglieva mai neanche nel cuore dell’estate, incombendo minacciosa su chiunque si avventurasse in quella vallata pianeggiante e molto stretta, scavata nella roccia e nel ghiaccio.

Al termine di tre giorni e tre notti di marcia Philippe e i suoi uomini erano arrivati quasi in cima al passo, fissando il loro campo nel cuore dell’ultimo scampolo di foresta a poca distanza dai bordi del ghiacciaio.

Anche se ormai era praticamente estate il freddo era spaventoso, e penetrava in ogni cellula del corpo minacciando di congelarti vivo.

Dopo qualche ora di sonno, Philippe convocò i capi mercenari per discutere il piano.

«I ribelli si sono trincerati a tre miglia da qui, nel cuore del ghiacciaio, e hanno eretto barriere di legno. Le Furie di Vanlia apriranno la strada spazzando via la prima linea dei ribelli, seguiti a ruota dal resto dei mercenari che infliggeranno il colpo di grazia aprendo al strada al resto dell’esercito. Nel momento esatto in cui la vittoria sarà a portata di mano invierò un messaggero a Todlen dando al Generale Lefde e a mio nipote il via libera per avanzare, e stringeremo Grote Muren in una manovra a tenaglia.»

Era sempre la stessa storia. Mercenari e gregari facevano il lavoro sporco, e i soldati regolari sfilavano vittoriosi nelle regioni conquistate al seguito dei loro signori.

Non ci si poteva fare niente, e sia Athreia che Ignes lo sapevano bene; quella era la sorte di chi faceva della guerra al servizio di qualcuno il proprio mestiere.

«Ehi cavallona, cercate di non ammazzarne troppi.» disse Ignes al termine della riunione. «A differenza vostra, noi veniamo pagati a scalpi.»

Non era abitudine di Athreia provocare o litigare, quindi si limitò a promettere di non “interferire con le legittime pretese dei suoi compagni d’armi” e chiuse il discorso.

«Quel tipo, il Generale. Non mi piace per niente.» disse Medea andando incontro alla sorella «È chiaro che ci considera solo dei mostri qualunque.»

«Noi siamo mostri, sorellina. Noi possiamo anche dimenticarcene, ma loro no.»

«Abbiamo combattuto al fianco degli umani nelle Guerre Sacre. L’Impero ci considera cittadini a tutti gli effetti. Cos’altro dobbiamo fare per meritare il loro rispetto?»

Athreia aveva imparato a non farsi più certe domande, ma Medea era così onesta e nobile che semplicemente non riusciva a capire per quale motivo certi umani, anche dopo cinquecento anni, ancora non riuscissero a considerare i centauri come dei loro pari.

«Qual è la situazione?» chiese la sorella maggiore a Stavros, di ritorno dalla sua esplorazione

«È come ha detto il nobile Philippe. I ribelli hanno allestito delle difese poco più a ovest, soprattutto palizzate di legno alte un paio di metri intervallate da dei varchi.»

«Tutto qui?» commentò Medea. «Pensano davvero che basti così poco per fermarci?»

«D’altronde non credo si possa fare molto di più in un posto del genere. Forse pensano che il ghiaccio sul terreno ci ostacolerà. Scopriranno a loro spese che ci vuole altro per impensierire i nostri zoccoli.»

Quello che nessuno dei tre né chiunque altro nel campo sapeva era che, subito dopo la fine della riunione, Philippe aveva convocato nella tenda di comando il capo dei suoi esploratori.

«È sicuro che quel Daemon si trovi qui?»

«Assolutamente. I miei uomini lo hanno visto salire sul passo accompagnato da una mezzosangue, un giovane ufficiale e alcuni soldati.»

«Allora, sai cosa fare. Aspettate il mio segnale.»

«Come desiderate.»

 

Di lì a qualche ora arrivò finalmente l’ordine di avanzare e le Furie di Vanlia si misero in movimento, seguite a stretto giro dal resto dei mercenari.

Avanzarono piano, per non sprecare le energie, e ben presto la roccia sotto di loro si tramutò in uno spesso strato di ghiaccio e neve.

Ma come aveva detto Stavros ci voleva ben altro per spaventarli; i loro zoccoli erano come artigli, duri e ruvidi, capaci di fare presa su qualunque tipo di terreno.

I ribelli –praticamente tutti mostri– nel frattempo avevano preso posizione, schierando lancieri e picchieri lungo i varchi per bloccare l’avanzata del nemico e proteggere i loro compagni posizionati dietro le loro barricate di fortuna.

Poche volte Athreia e i suoi compagni avevano visto delle difese così scarne, e probabilmente sarebbe bastato un singolo assalto per spianare quei fragili reticoli di legno e travolgere tutto quello che vi stava oltre.

In un primo momento nessuno fece caso al fatto che gli arcieri ribelli posizionati oltre le barricate non impugnassero archi, ma piuttosto una specie di strane lance in legno e metallo, corte e tozze, terminanti in un foro da cui spuntava una lama lunga e stretta.

Ci fu un istante di quiete assoluta, poi gli araldi suonarono nei loro corni facendo vibrare le montagne.

«Carica!»

Di solito la sola vista delle Furie lanciate all’assalto era sufficiente a far scappare i loro nemici in preda al panico.

Ma evidentemente i ribelli non erano avversari comuni, o forse erano solo molto bene addestrati, e restarono fermi al loro posto, mentre alle spalle della loro prima linea a ridosso delle barriere era un continuo movimento di ufficiali che andavano avanti e indietro ordinando a squarciagola di mantenere la posizione.

In pochi secondi i centauri dimezzarono la distanza che li separava dal nemico, acquistando sempre più velocità man mano che avanzavano.

«In posizione!»

Udendo quell’ordine, la prima linea infilò quelle strane lance oltre le barricate, puntandole dritte in avanti come a voler cercare di formare un’acuminata barriera di punte.

«Pensano che questo possa bastare? Travolgiamoli!»

Quando mancavano poche decine di metri le furie alzarono le armi, preparandosi a colpire; sarebbero passati sulle barricate e sui nemici dietro di esse come su un tappeto, lasciando dietro di sé nient’altro che distruzione.

 Un urlo rimbombò come un tuono nel cuore dello schieramento ribelle.

«Fuoco!»

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti, e ovviamente Buon Natale!

Siamo arrivati al Terzo dei Sei capitoli di questo Volume 3.

Da qui in poi come si può intuire sarà un susseguirsi di eventi che si svolgeranno attraverso vari archi, destinati solitamente a durare 2 o 3 volumi a seconda della loro importanza.

Già da ora abbiamo fatto la conoscenza con il primo vero villain, ovvero Victor, la cui importanza seguirà un andamento altalenante ma che rivestirà sempre comunque un ruolo di primo piano nello svolgersi delle vicende.

A presto!^_^

Cj Spencer

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 - INFERNO BIANCO ***


“Senza cavalleria

ogni battaglia è destinata al fallimento”

CAPITOLO 5

INFERNO BIANCO

 

 

Un frastuono spaventoso sovrastò quello dei centauri nel mezzo della carica e l’aria secca della montagna si riempì del puzzo nauseante della polvere da sparo, mentre la barricate scomparivano dietro una densa coltre di fumo bianco.

Athreia e i suoi compagni inizialmente non capirono neanche cosa li avesse colpiti, fatto sta che da un momento all’altro decine di loro caddero rovinosamente sulla neve, tingendola di rosso per la gran quantità di sangue versato.

Quelli che venivano subito dietro istintivamente provarono a fermarsi per non travolgere i loro compagni, ma nonostante i loro zoccoli poderosi non era facile arrestare una carica su di un terreno ghiacciato, e così anche molti di loro caddero provocando ancora più caos.

Ben presto la cortina fumogena si diradò, giusto in tempo perché Athreia e i pochi che ancora non avevano arrestato la carica potessero vedere i tiratori nemici alzarsi e indietreggiare, pronti per venire sostituiti da dei loro compagni armati nello stesso modo.

«Fuoco!»

La seconda raffica fu ancora più letale, perché ormai molte Furie si erano quasi fermate diventando dei facili bersagli, e infatti in questo caso i morti furono molti di più.

Alla fine, inevitabilmente, la carica si fermò e nessun centauro raggiunse le palizzate, dalle quali nonostante tutto continuarono ad arrivare ad un ritmo incessante raffiche di proiettili. La cosa terribile era che i nemici miravano principalmente alla metà equina dei corpi dei centauri, spesso lasciata scoperta o poco protetta, riuscendo così a far perdere loro l’equilibrio e provocando un letale effetto domino. E una volta che un centauro cadeva non era facile per lui rimettersi in piedi, rimanendo vulnerabile.

Medea, che non indossava alcun tipo di protezione, provò a scoccare alcune frecce riuscendo anche ad uccidere un paio di tiratori, ma ciò ebbe il solo effetto di spingere i nemici a concentrare il fuoco contro di lei.

«Medea, attenta!» urlò la sorella, non riuscendo tuttavia ad impedire che un proiettile la colpisse ad un braccio.

«Comandante, se restiamo qui ci massacreranno!» disse Stavros proteggendosi con lo scudo e cercando nel contempo di soccorrere alcuni compagni feriti

Non c’era altra scelta.

Dovevano ritirarsi.

«Arretrare! Arretrare!»

La ferrea disciplina dell’unità impedì che il ripiegamento si trasformasse in una fuga precipitosa, ma diede anche ai ribelli la scusa per non cessare un momento di sparare fino a quando le Furie non giunsero oltre la portata delle loro armi infernali.

Ovviamente alla vista delle famigerate Furie di Vanlia che si ritiravano senza neanche aver realmente combattuto i mercenari, nonostante gli incitamenti di Ignes, neanche ci provarono ad avanzare a loro volta, e quella che si pensava dovesse essere una rapida cavalcata verso la vittoria divenne un colossale fallimento.

Quando le armi finalmente tacquero sul terreno erano rimasti dieci morti e il doppio dei feriti, che vennero portati via dopo aver concordato una tregua di due ore.

La prima battaglia, per quanto riguardava le forze di Eirinn, si concludeva nel modo peggiore.

 

Anche se dal mio punto di vista gli eserciti di Erthea non erano altro che una massa di cavernicoli che combattevano ancora con spade, lance e scudi era impensabile affrontare un’orda di centauri alla carica con centoventi fucili di scarsa qualità e altrettanti mediocri moschettieri.

Una volta mentre leggevo un libro che mio fratello Giuseppe mi aveva mandato in dono dalla collezione privata dei Reali di Spagna avevo letto di una battaglia avvenuta in estremo oriente più di duecento anni prima, all’alba dell’arte delle armi da fuoco.

Un uomo –un genio o un folle, a mio parere– era riuscito nell’impresa di fermare una carica semplicemente disponendo i suoi uomini dietro delle barriere di legno e ordinando loro di sparare in successione disponendosi su tre file.

Per chi non ha mai visto un fucile in vita sua l’effetto psicologico del vedersi arrivare addosso un’incessante scarica di proiettili doveva essere sicuramente qualcosa di spaventoso, forse anche di più di venire colpiti a cannonate.

Ora sapevo che era così.

Ma non è tutto oro quel che luccica, e come al solito toccò a me, l’unico realista della comitiva, fare la parte dell’uccello del malaugurio.

«Sarebbe tutta qui la leggendaria forza dei centauri?» disse Scalia subito dopo la fine dello scontro. «Grandi guerrieri, ma fammi il piacere. Grandi buoni a niente.»

Le volevo bene, ma alle volte trovavo questa sua baldanza ed eccessiva sicurezza decisamente insopportabili.

«Forse, ma non illudiamoci che finisca così. Questo era solo l’inizio.»

«Pensi che ci riproveranno?» chiese Septimus

«Senza dubbio. Avete visto le loro bandiere? Il centauro rampante su sfondo verde? Erano le Furie di Vanlia. Ci vuole ben altro per impensierire guerrieri così valorosi.»

«Che vengano pure, fratello. Li accoglieremo alla stessa maniera.»

«Non è così facile. Tanto per cominciare, questa semplice schermaglia ci è costata quasi la metà delle munizioni che avevamo portato con noi.»

Per non parlare del fatto che, contrariamente a quanto aveva detto Eilon, molte armi si erano inceppate o erano proprio scoppiate in mano ai soldati, rivelandosi tutt’altro che perfette.

«Inoltre, anche il più stupido dei comandanti non commette due volte lo stesso errore. La prima volta ci hanno sottovalutati, alla seconda saranno più preparati.»

«Quando pensi che torneranno all’attacco?»

«Credo di averne già un’idea. E come saprai già amico mio, in guerra è chi attacca a dettare i tempi. Stanotte le lune saranno in fase calante, ma le stelle riflettendosi sulla neve e sul ghiaccio forniranno tutta la luce necessaria. E probabilmente ne approfitteranno sperando di coglierci stanchi o addormentati.»

«Hai qualche idea su come poterli respingere?»

Se avessi avuto a disposizione qualche cannone non sarebbe stato un problema, ma il poco tempo e l’altitudine mi avevano impedito di portarli con me.

Oltretutto il nemico non ci avrebbe messo molto a comprendere che le nostre armi da fuoco per il momento erano solo un fuoco di paglia, che oltre a spaventare e fare scena non servivano a molto altro, tanto scarsi erano i loro i risultati pratici in battaglia.

«Forse c’è una soluzione. Sapi

«Sì, fratellone?»

«Mi servirà il tuo aiuto.»

«Tutto quello che vuoi.»

 

«Sarebbe tutta qui la leggendaria forza dei centauri?»

Athreia sapeva di meritare lo scherno, e restava immobile con lo sguardo basso a sopportare i commenti sarcastici di Philippe.

«Da guerrieri della vostra fama mi sarei aspettato molto di più, ma è bastato un po’ di rumore e qualche strana arma per farvi scappare a gambe levate.»

«Non avevamo mai visto armi del genere. Ci hanno colti alla sprovvista.»

«La vittoria in questa battaglia è vitale per garantire il successo della nostra operazione. Ogni cosa era stata preparata accuratamente. Ora invece dovrò inviare un messaggero a mio nipote per informarlo che il nostro piano non sarà portato a termine secondo i tempi previsti.»

«Forse non è stato tutto inutile, Generale. Ora sappiamo cosa abbiamo di fronte.»

Athreia fischiò, e Stavros entrò nella tenda tenendo in mano la propria corazza, sul cui petto era ben visibile una vistosa ammaccatura.

«Molti dei nostri soldati che sono stati colpiti da quelle strane armi hanno segni come questo sulle corazze. All’inizio ho pensato che mirassero alle nostre parti equine per farci cadere più facilmente, ma probabilmente anche loro sapevano di non poter trapassare le nostre protezioni. Ora che lo sappiamo, sarà sufficiente proteggerci meglio per rendere le loro armi del tutto inefficaci.»

«In questo caso torneremo subito all’attacco. Stanotte.»

«Forse sarebbe meglio aspettare domani mattina. È probabile che il nemico si aspetti un attacco durante la notte, e potrebbero tentare di tenderci qualche altra trappola approfittando del buio.»

«Dovreste essermi grata invece di replicare, Capitano. Se entro l’alba il passo sarà in mano nostra il piano non subirà alcun ritardo, e nessuno verrà mai a sapere del vostro fallimento. Cosa direbbe Sua Maestà se sapesse che i suoi fidati centauri sono stati respinti da un pugno di ribelli senza aver nemmeno combattuto?»

Athreia digrignò i denti e serrò i pugni, ma sapeva di non poter fare niente; il mandato dell’Imperatore la poneva alle totali dipendenze di Victor e dei suoi generali, quindi era tenuta ad obbedire ai loro ordini.

«Il piano di battaglia rimane lo stesso. Voi aprirete la strada, e i mercenari vi seguiranno. Potete andare.»

Appena uscita dalla tenda Athreia andò a visitare i propri feriti.

«Qualche graffio e poco altro.» sentenziò Kassia, il medico dell’unità. «La maggior parte potrà tornare a combattere molto presto.»

«Mi dispiace chiedervi di tornare subito a combattere amici miei, ma temo di avere ancora bisogno di voi. Il Generale ha deciso di lanciare un nuovo attacco già questa notte.»

«Non preoccuparti comandante. Non sarà una cosa del genere a fermarci.»

«Ben detto! Tu dacci l’ordine, e saremo pronti a caricare di nuovo!»

«E stavolta li spazzeremo via.»

Almeno l’entusiasmo non ne aveva risentito, malgrado avessero perso più compagni nelle ultime due ore che negli ultimi due anni.

Ma anche se era abbastanza sicura che il secondo attacco sarebbe stato molto diverso, Athreia volle prendere una ulteriore precauzione.

«Medea, voglio che stanotte tu resti qui con Kassia e gli altri feriti più gravi.»

«Cosa!? Perché!? Kassia dice che posso combattere.»

«La tua ferita non è una cosa da niente, e anche se combattessi non potresti farlo al meglio delle tue capacità.»

Medea non sopportava quando Athreia faceva la parte della sorella iperprotettiva, ma nel momento in cui, su sua richiesta, non riuscì a tendere completamente l’arco per via del dolore capì che forse per una volta era più saggio darle ascolto.

«Non temere, ci saranno altre occasioni. Questa guerra è solo all’inizio. Ti basterà un po’ di riposo e potrai di nuovo a galoppare al mio fianco.»

«D’accordo. Però tu promettimi di stare attenta.»

 

Al calare delle tenebre, il passo e le montagne circostanti si tinsero del magico colore delle stelle, rifulgendo di una tenue luce azzurra.

Athreia e i suoi compagni avanzarono lentamente, per ritardare il più possibile il momento in cui il nemico si sarebbe accorto di loro dandogli pochissimo tempo per reagire.

Quando giunsero in vista delle stesse barricate su cui la loro prima offensiva si era infranta le trovarono deserte, con giusto un paio di sentinelle che montavano la guardia senza luci magiche né torce.

Forse credevano anche loro al mito secondo cui i centauri al buio erano quasi ciechi, –in realtà semplicemente ci vedevano solo un po’ meno, come gli umani del resto– o forse semplicemente non si aspettavano un nuovo attacco così presto.

«Adesso! Carica!»

Preceduti da una prima fila di compagni coperti dalle più pesanti corazze e da grandi scudi rinforzati le Furie partirono all’assalto sollevando un fitto pulviscolo di neve.

Le sentinelle si diedero alla fuga giusto in tempo per non venire travolte, e con la caduta della prima fila di barricate gli assalitori arrivarono già in vista dell’accampamento nemico.

«Non diamogli tregua! Non devono avere il tempo di organizzarsi!»

Tra loro e il campo ben presto ci fu solo una vasta zona pianeggiante, puntellata da altre barricate che andarono giù come bastoncini sotto la potenza della loro carica inarrestabile.

Colti alla sprovvista i ribelli si affrettarono ad erigere un muro di scudi e di lance, ma era evidente che non sarebbe mai bastato per fermare un simile uragano.

Il ghiaccio tremava come se avesse dovuto rompersi da un momento all’altro… e così accadde.

Senza apparente motivo il terreno crollò improvvisamente sotto gli zoccoli dei centauri, svelando sotto la coltre di neve e di ghiaccio profondi crepacci che inghiottirono molti di loro, soprattutto quelli che a causa delle corazze non si mostrarono l’agilità necessaria a mettersi in salvo.

Persino Athreia per poco non precipitò in una voragine, riuscendo a salvarsi solo perché Stavros che galoppava dietro di lei fu rapido ad afferrarla.

Perché quella in cui le Furie erano capitate era una depressione del ghiacciaio caratterizzata dalla presenza di grosse crepe che nel corso del tempo erano state ricoperte da svariati metri di neve, talmente spessa e compatta da poter sopportare senza difficoltà grossi pesi.

Ma allora, si diceva Athreia, com’era stato possibile che la copertura si fosse frantumata proprio in quel momento?

La risposta le apparve forte e chiara nel momento in cui ricordò di aver visto, un attimo prima che il terreno crollasse, svariati paletti di legno che sbucavano in vari appunti dalla neve.

«Hanno spaccato e danneggiato la coltre di neve cosicché crollasse appena ci fossimo passati sopra.» disse Stavros

«Ma come potevano sapere dove fossero i crepacci?»

Loro non potevano saperlo, ma era tutto merito di Sapi; niente di più facile per un’appartenente ad una specie che per sua stessa natura aveva sempre vissuto in simbiosi con la neve e con il ghiaccio.

A quel punto la carica si era fermata, e i ribelli, tutt’altro che impreparati, balzarono fuori da dietro alcuni avvallamenti assalendo le Furie da entrambi i lati armati di lunghe lance.

«All’attacco!» gridò Verus aprendo la strada «E attenti a dove mettete i piedi!»

Confusi ma non domati, Athreia e i suoi fecero quadrato, riuscendo incredibilmente a reggere l’urto ed impegnando i ribelli in un furioso corpo a corpo.

E fu proprio per via dell’inaspettata resistenza del nemico che Daemon, assistendo alla battaglia dall’alto di una collinetta, non riusciva a spiegarsi il mancato arrivo di una seconda ondata.

«Non capisco. Nonostante abbiamo arrestato la carica sono riusciti comunque ad iniziare uno scontro, ma se aspettano ancora perderanno l’occasione per spingere. Per quale motivo non mandano qualcuno ad aiutarli?»

«Forse pensano che non riusciranno a resistere abbastanza.» ipotizzò Septimus «D’altronde si sa che ad Eirinn non vi è molta stima per l’Impero, e le Furie di Vanlia sono in tutto e per tutto parte dell’esercito imperiale.»

«È questo il punto. La loro fama è risaputa, e potevano aspettarsi che in qualche modo si sarebbero distinti in combattimento. Perché mandarli avanti con il rischio che possano prendersi tutta la gloria?»

Un atroce sospetto si accese da un momento all’alto nella testa del giovane generale, che una volta balzato in piedi iniziò a guardarsi nervosamente attorno fino a scorgere, con la coda dell’occhio, degli strani bagliori sulla montagna.

«Maledizione, avrei dovuto capirlo prima! Ordinate la ritirata, subito!»

«Cosa!?»

Purtroppo era già troppo tardi.

Nel momento in cui un fuoco d’artificio si alzò nel cielo notturno dal cuore dell’accampamento nemico, gli esploratori di Eirinn presenti sulla collina accesero le micce dei barilotti esplosivi con cui avevano imbottito in fianco della montagna.

Dapprima tutti udirono una serie di esplosioni, solo parzialmente mascherate dal fragore della battaglia, poi, preceduto da un cupo suono messaggero di morte, una enorme massa di neve si staccò dalle pendici del Monte Gael scendendo verso il basso nella forma di una delle più spaventose valanghe che si fossero mai viste.

«Presto, mettiamoci al riparo! Raggiungiamo quell’altura lassù!»

«Ma Daemon, e i nostri compagni là sotto?»

«Non possiamo fare niente per loro, Scalia! Se restiamo qui moriremo tutti!»

La battaglia infuriava con tale violenza che sull’altopiano nessuno si accorse di niente fino a quando non arrivò il primo, violentissimo spostamento d’aria.

Nessuno fece in tempo a mettersi in salvo; la valanga, scendendo, travolse ogni cosa, inghiottendo senza speranza tutto ciò che incontrò sul suo cammino e unendo coloro che fino ad un attimo prima si erano combattuti l’un l’altro nella medesima, terrificante morte.

Tutto si risolse nel giro di pochi minuti, poi nella zona tornò a dominare uno sconcertante silenzio.

 

Al sorgere del sole, la portata del disastro che aveva colpito entrambi gli eserciti si palesò in tutto il suo orrore.

Il suolo si era alzato di almeno tre metri, tanto che il colle su cui Daemon e i pochi che erano riusciti a seguirlo si erano messi al riparo era ora allo stesso livello della zona circostante.

Subito ci si mise al lavoro nel tentativo di trovare qualcuno vivo, ma tutto quello che iniziò ad emergere dalla neve furono corpi senza vita.

Venne trovato anche Verus, morto anche lui, e per Septimus fu molto doloroso trovare la forza per chiudergli gli occhi. Si erano conosciuti brevemente poco prima che scoppiasse la Rivoluzione, e nel poco tempo che avevano trascorso fianco a fianco erano quasi riusciti a diventare amici.

«Tutti questi morti.» disse Scalia sull’orlo delle lacrime «I nostri amici. I nostri compagni. Perché doveva succedere proprio adesso?»

«Ho paura che non sia stato un incidente.»

«Cosa!?»

«Non ho ragione, Daemon?»

«Temo che sia così. Si è trattato di una scelta volontaria. Hanno fatto venire giù la valanga nella speranza di seppellirci tutti.»

«Ma… ma c’erano anche i loro compagni! Non posso credere che qualcuno sia disposto ad arrivare a tanto pur di vincere una battaglia.»

«Per qualcuno i soldati non sono altro che pezzi su una scacchiera, da mandare al massacro senza remore se necessario. E se poi non fanno nemmeno parte del tuo esercito, sacrificarli ti crea ancor meno problemi.»

Sapi era sconvolta tanto quanto Scalia, e andava in giro per tutta la zona saggiando la neve sotto le zampe; era stato merito suo se si era potuto mettere in atto quel piano, e ora stava sempre a lei e al suo rapporto simbiotico con il gelo la speranza di poter trovare qualcuno ancora in vita.

«Qui sotto c’è qualcuno che respira!» esclamò ad un certo punto, mettendosi subito a scavare.

Tutti quelli che potevano accorsero subito a dare una mano, e qualcuno quasi storse il naso quando ad emergere dalla neve furono il capo calvo e la lunga barba intirizzita dal gelo del vicecomandante delle Furie. Per chissà quale miracolo anche nel bel mezzo della valanga era riuscito a non perdere la presa con Athreia, che aveva tenuta stretta a sé proteggendola come poteva.

Il suo corpo era ferito e congelato, ed era chiaro che pur di riuscire a salvare la sua protetta, che giaceva priva di sensi ma ancora viva vicino a lui, aveva scelto di sacrificare la propria vita.

«Vi prego… abbiate pietà di lei…» disse, esalando l’ultimo respiro prima che qualcuno potesse provare ad aiutarlo

Malgrado quella scena straziante in molti non erano sicuri di voler aiutare un nemico che prima dell’arrivo della valanga aveva ferito e ucciso un gran numero di loro.

«Septimus, trova una slitta per trasportarla. E tu Sapi, tirala fuori da lì.»

«Subito.»

«Daemon, ma che fai? Lei è un nemico.»

«Forse, ma è una vittima tanto quanto noi. Se la abbandoniamo qui in cosa saremmo diversi da quelli che ci hanno fatto cadere una montagna addosso pur di vincere?»

Scalia si fece un esame di coscienza e tacque, dando anche una mano a Sapi nel tirare fuori la centaura mezza morta da sotto la neve; era talmente grossa che fu necessario destinare a lei una intera slitta per il trasporto dei feriti.

«Generale, ci sono movimenti nel campo nemico.» fece rapporto Tecla. «Si stanno preparando ad avanzare.»

«Non abbiamo scelta. Ritiriamoci.»

«E i nostri amici ancora qua sotto?»

«Non possiamo fare niente, Scalia. Non abbiamo modo di opporci ad un esercito così numeroso, né abbiamo tempo di allestire nuove difese più a valle. Dobbiamo allontanarci da qui finché possiamo.»

«Ma tutti questi corpi…»

«Resteranno qui dove sono. Più cadaveri lasceremo, più tempo impiegheranno a capire che non siamo tutti morti.»

«Daemon…»

«Lo so che è disumano Scalia, ma in questo momento ci serve ogni secondo che riusciremo a guadagnare. Ti prometto che appena potremo torneremo qui per onorarli come meritano. Per ora possiamo solo allontanarci il più in fretta possibile.»

Così, raccolto in fretta e furia tutto ciò che poteva essere portato via, a cominciare dai feriti e dalle nuove armi ideate da Daemon, l’esercito dello Stato Libero scese dal passo con un animo molto diverso da quello con cui vi era salito.

Teoricamente scendevano da lassù imbattuti, visto che il nemico non li aveva sconfitti in uno scontro aperto ma solo ricorrendo ad uno spietato stratagemma, ma questo non importava. Quello che importava era che il nemico avanzava, e presto sarebbe entrato nella loro terra.

 

La ritirata dalle montagne si concluse a Basterwick, la grande città più vicina alla linea del fronte.

L’atmosfera era tesa, e non solo nella sala delle udienze del palazzo del governatore dove Daemon aveva riunito il suo consiglio di guerra.

Inebriati dall’odore di libertà e dalla soddisfazione di essersi finalmente liberati del dominio imperiale, nonché da tutto il benessere che le nuove politiche economiche stavano portato alla nazione, i cittadini avevano finito per dimenticare che là fuori c’era chi non aveva alcuna intenzione di lasciare impunita la Rivoluzione.

Qualcuno si domandava se non fosse ancora possibile tornare indietro, confidando nel fatto che ad incombere su di loro non era l’esercito imperiale, ma quello di Eirinn: fratelli di una stessa stirpe.

Alla riunione mancavano solo Oldrick e Adrian, visto che entrambi si trovavano ancora a Grote Muren, ma la prima cosa che Daemon fece appena iniziata la riunione fu deliberare l’immediato abbandono del forte.

«Difendere Grote Muren poteva andare bene fintanto che mantenevamo il controllo dei nostri territori, ma con la caduta del passo possiamo considerare il confine orientale perduto. Devono ritirarsi ora finché possono.»

«E abbandonare il forte così?» chiese Septimus «Senza combattere?»

«Un forte si può riconquistare, un soldato morto non si riporta in vita. E ora ci serviranno tutti quelli che abbiamo a disposizione. A che punto sono le consegne dei nuovi armamenti?»

«I magazzini sono pieni.» disse Borg. «Potresti dare una spada, un arco, una lancia ad ogni uomo, donna e bambino di questo Paese e resterebbero ancora delle scorte.»

«Artiglieria?»

«Abbiamo appena finito di costruire sedici nuovi cannoni da dodici libbre.» disse Eilon «Li stiamo già portando qui dalle fonderie delle miniere.»

«Non sarebbe stato meglio costruire quelle nuove armi?» domandò Scalia. «Sono sembrate molto efficaci nella prima battaglia sul passo.»

«Saranno anche piccole, ma non sono per niente facili da realizzare e assemblare. Per costruire le duecento che vi abbiamo consegnato abbiamo dovuto lavorare giorno e notte per mesi.»

«E come se non bastasse sono rimaste quasi tutte lassù, sepolte sotto la neve.» disse mestamente Septimus «Speriamo solo che i nostri nemici non le trovino, o che non sappiano come usarle.»

«Ormai non ha senso piangere sul latte versato. Concentriamoci piuttosto su quello che possiamo fare. Useremo Basterwick come nuovo centro di comando per coordinare le operazioni difensive.»

«Non sarebbe più sicuro ripiegare verso il Castello?»

«Scalia ha ragione, è più in profondità nel nostro territorio, e chiudere le valli sarebbe abbastanza facile.»

«Avete guardato fuori dalla finestra? Basterwick e i suoi campi sono la nostra principale fonte di cibo, e come se non bastasse il grano deve ancora essere mietuto. Volete davvero lasciare tutta questa roba in mano al nemico?»

Sia Scalia che Septimus abbassarono gli occhi, vergognandosi di non aver calcolato una cosa tanto ovvia.

«Non possiamo lasciare il nemico libero di devastare e razziare i nostri raccolti. Oltretutto i terrazzamenti più a ovest non sono ancora pronti, e non è detto che lo saranno in tempo per la prossima semina. Se perdiamo questo grano, anche riuscendo a respingere l’invasione il prossimo inverno ci ritroveremo alla fame. Dobbiamo fermare il nemico qui, o lo Stato Libero morirà prima ancora di aver compiuto un anno di vita.»

«Quali sono i tuoi ordini?» chiese allora Septimus

«Mobilitiamo tutti. Voglio ogni singolo soldato a nostra disposizione. Lasceremo a difesa del ponte e del passo a nord solo le unità strettamente indispensabili. Nel frattempo condurremo azioni di disturbo per rallentare il nemico e guadagnare tempo. Ho già dato ordini in tal senso.»

Poi, i pensieri di tutti tornarono su quanto era appena successo al Passo di Gael.

«Abbiamo già una prima stima dei caduti?»

«All’ultimo appello hanno risposto in seicento, di cui solo quaranta della prima linea. I feriti sono centocinque, i morti e i dispersi quasi duemila.»

«I nostri compagni giacciono sepolti sotto metri di neve, e invece quella cavalla maledetta si è salvata.» disse Scalia. «Gli dei a volte sanno essere davvero ingiusti.»

«Lei come sta?»

«Era meno grave di quanto sembrasse.» disse Mary. «Il suo compagno le ha davvero salvato al vita sacrificando la propria. Per adesso è ancora sedata, ma dovrebbe svegliarsi entro qualche ora.»

«In attesa di capire cosa farne l’abbiamo chiusa in prigione. E abbiamo preso anche alcune precauzioni. Ad ogni modo ora ne siamo certi. È davvero Athreia

«Il comandante che sopravvive alla sua armata… Bel lavoro, Septimus. Per il momento lasciamola dov’è.»

«Agli ordini.»

 

Quando gli esploratori riportarono la notizia che il forte di Grote Muren era stato abbandonato, il Generale Lefde non poté non provare un senso di rispetto nei confronti del comandante nemico.

Troppe volte si era sentito di generali e sovrani che per ottuso senso di principio avevano mandato i loro soldati alla morte in battaglie inutili o dall’esito segnato prima ancora di cominciare.

Invece questo Daemon dimostrava una volta di più di essere un pragmatico; non si curava dell’onore o del giudizio di nobili come Victor, ma badava unicamente all’aspetto pratico e a cosa fosse più giusto fare.

Una volta occupato il forte e stabilito il presidio lui e Victor avevano atteso l’arrivo di Philippe, che era arrivato tre giorni dopo con l’esercito praticamente intatto.

«E così queste sarebbero le nuove armi di cui parlava il tuo messaggero.» disse Victor osservando l’oggetto in questione, l’unico che lo zio fosse riuscito a recuperare intatto da sotto la neve.

«Ancora non abbiamo ben chiaro come siano riusciti a crearle o come funzionino. Sembrano una specie di cannoni in miniatura, in grado di essere trasportati e usati da una sola persona.»

«Tattiche insolite, armi mai viste.» disse Lefde «Questo tipo sfida ogni logica.»

«Eppure, eccoci qua.» disse Victor. «Vincitori e con la strada spianata verso la riconquista della nostra terra.»

«Ma cosa è successo esattamente su quella montagna?» domandò Lefde con evidente sospetto

«Semplicemente, una valanga si è staccata nel bel mezzo dello scontro, portandosi via le Furie e quasi tutto l’esercito nemico.»

«E tu ovviamente non c’entri niente con tutto questo, dico bene?»

«Chiamiamolo pure un atto divino.» fu la sentenza soddisfatta di Victor. «Ora sappiamo che persino il cielo è al nostro fianco in questa impresa.»

Nessuno là dentro pensava realmente che si fosse trattato di un caso o di un qualche intervento divino, ma se a Victor piaceva pensarlo il Generale Lefde si era rassegnato al fatto che ormai la situazione andava oltre il suo controllo.

«Abbiamo un’idea delle perdite subite dal nemico?»

«In due giorni abbiamo tirato fuori dalla neve non meno di duecento cadaveri, per non parlare di quelli trascinati a valle e ripescati dal torrente che scende dal passo. Per quanto ne sappiamo là sotto potrebbe essere rimasto perfino il comandante nemico.»

«Ne dubito. I suoi compagni non sembrano avveduti come lui, e non avrebbero compiuto una mossa saggia come abbandonare il forte e ripiegare a ovest.»

Victor la pensava diversamente: «Una mossa codarda, vorrai dire.»

«A quest’uomo non importa dell’onore. Basa le sue scelte unicamente sulla logica e il risultato pratico. E se posso permettermi mio signore, sono proprio questo genere di avversari quelli di cui bisognerebbe avere più paura.»

«Sarà anche bravo, ma le guerre non si possono fare senza soldati.» commentò Philippe. «E lui in una sola notte ne ha perse diverse migliaia. Abbiamo un esercito di quasi ventimila uomini e quasi altrettanti mercenari. Secondo le notizie più recenti i ribelli dispongono al massimo di trentamila soldati, e quasi tutti sono reclute che non hanno mai visto una battaglia.»

«Anche i cani piccoli possono abbattere un bisonte, se sono guidati da un cacciatore esperto.»

«E allora, noi cacceremo il cacciatore.» sentenziò Victor.

«Se posso Mio Signore, suggerirei di aspettare prima di avanzare ancora. Una parte del nostro esercito sta ancora arrivando da est agli ordini del mio secondo, il Capitano Abel, e non sarà qui prima di quattro giorni.»

«E dare a quei ribelli il tempo di rinforzarsi?» rispose Philippe «Bisogna colpire il ferro finché è caldo. Basterwick è ad un tiro di lancia. Una rapida avanzata, un assalto deciso, e avremo tolto al nemico quasi tutte le sue riserve di cibo.»

Poco lontano dalla tenda di comando, nell’area dedicata alle esercitazioni con l’arco, Medea stava facendo a pezzi tutti i bersagli crivellandoli di colpi, ignorando stoicamente il dolore che ancora rendeva imprecisi i suoi tiri.

Nei suoi occhi, solo rabbia.

Alla fine la spalla cedette, e la giovane dopo aver esaurito l’ennesima faretra distruggendo, oltre al bersaglio, anche l’albero dietro di esso, quasi cadde in ginocchio.

«Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte.» disse, amorevolmente ma con fermezza, una voce alle sue spalle.

«Mia sorella è morta, Kassia. E io non mi sentirò soddisfatta fino a quando non avrò ucciso fino all’ultimo di quei ribelli.»

«Morire sul campo di battaglia è il destino di un centauro. È stato così per i tuoi genitori, per i miei, e per quelli di tutti i nostri compagni. Noi siamo nati per questo.»

Il loro padre aveva usato le stesse parole il giorno in cui avevano sepolto la mamma; Medea all’epoca era ancora così piccola che a stento ricordava il suo viso, ma ciò nonostante poteva ancora sentire nelle orecchie quel dolcissimo canto.

Si era chiesta spesso come qualcuno potesse uccidere   nemici sul campo di battaglia e la sera far addormentare le sue figlie con una voce tanto bella.

Dopo la sua morte era stata Athreia a cantarle la stessa canzone per farla addormentare, e ormai quelle parole così dolci erano incise a fuoco nella sua mente, tanto che spesso si ritrovava a fischiettarle senza accorgersene.

«Ora sei tu il nostro comandante, Medea. E anche se siamo rimasti in pochi, è tuo compito guidarci in battaglia con la stessa determinazione e lo stesso coraggio che hai sempre avuto, come tua sorella, tuo padre e tuo nonno hanno già fatto. E se Gaia lo vorrà, verrà presto il momento in cui potremo vendicare Athreia, Stavros e tutti i nostri amici.»

 

L’ultima cosa che Athreia aveva pensato un attimo prima che quella montagna di neve la travolgesse fu che presto avrebbe incontrato i suoi dei, pronti a giudicarla.

Invece, quando riaprì gli occhi, era ancora in questo mondo, distesa su un pagliericcio all’interno di una piccola stanza, grande a malapena da permetterle di rimettersi in piedi e muovere qualche passo.

Anche se non c’era un solo punto del corpo che non le facesse male capiva di essere stata curata, perché ovunque presentava cerotti e bendaggi, il più fastidioso dei quali era una vistosa fasciatura, piuttosto stretta, che le avvolgeva il collo.

Dal momento che a sorvegliare la porta c’erano due mostri capì di essere finita in mano al nemico prima ancora di realizzare di trovarsi nella cella di qualche sotterraneo, domandandosi se altri suoi compagni fossero stati fortunati quanto lei.

Le due guardie, interpellate a tal proposito, non la degnarono di alcuna attenzione, e dal modo in cui ogni tanto la guardavano si capiva cosa provassero nei suoi confronti.

Non li biasimava; anche se non aveva mai passato molto tempo in compagnia dei mostri era fin troppo consapevole di cosa pensassero della sua specie.

«Il marchio dei traditori non si cancella facilmente.» disse ad un certo punto una voce carica d’odio mentre, rivolta verso la finestrella opposta alla porta, cercava di capire dove si trovasse

«Mi ricordo di te. C’eri anche tu sulla montagna.»

«Se c’è un dio disposto ad ascoltarti, dovresti ringraziarlo. Nessuno di noi penserebbe mai di disobbedire agli ordini di mio fratello, e sembra che lui abbia trovato un qualche motivo per volerti tenere in vita.»

«Cosa ne è stato dei miei soldati?»

«Tu sei l’unica che abbiamo trovato. Molti nostri compagni, inclusi parecchi miei amici, non sono stati altrettanto fortunati.»

Quando il dolore in altre parti del corpo iniziò a svanire, Athreia avvertì distintamente un fastidio dietro al collo che invece non voleva saperne di acquietarsi. Se si toccava in quel punto, aveva come l’impressione di sentire una specie di piccola gobba che prima non aveva.

«Ci siamo presi la libertà di inserirti una Pietra del Servo.» disse Scalia quasi ghignando, e godendosi l’espressione attonita della centaura.

Quindi, per provarle che non stava scherzando, usò una pietra di comando per farle passare qualche secondo d’inferno, letteralmente.

«Dimmi, che effetto fa essere al nostro stesso livello?»

«Non era necessario.» rispose Athreia, a cui era costato parecchia fatica far finta che quel tormento, per quanto breve, non l’avesse scalfita.

«Lo sai, mi fai quasi pena. Voi centauri a suo tempo avete tradito i vostri compagni per diventare i cani da guerra degli umani. Pensavate che vi avrebbero considerati loro pari solo perché avete combattuto insieme contro il Signore Oscuro e i vostri stessi fratelli. E invece per loro resterete sempre dei mostri, da sacrificare e gettare via alla prima occasione.»

«Che intendi dire?»

«Davvero non lo immagini? Mio fratello dice che quella valanga non è caduta per caso. Sono stati i tuoi amici a farcela precipitare addosso nella speranza di ucciderci tutti, e hanno usato voi come esca.»

Scalia rise nel vedere lo sgomento apparire negli occhi della prigioniera: «Dalla tua espressione direi che non te l’aspettavi.»

«Tu stai mentendo. Non è possibile.» ma sembrava che nemmeno Athreia credesse alle sue stesse parole.

«Gli umani vi usano, i mostri vi odiano. Devo farvi i complimenti. Quella scelta che avete fatto cinquecento anni fa vi ha ripagati alla grande.»

Scalia avrebbe continuato volentieri ad infierire, ma un servo del palazzo venne a portarle una notizia.

«Capitano, il nobile Daemon ha convocato il Consiglio di Guerra. È richiesta la vostra presenza nella sala delle riunioni.»

Athreia sussultò, essendo riuscita a capire solo l’ultima parte del messaggio: «Che sta succedendo?»

«Siamo alla resa dei conti. Spero che tu non ti sia fatta degli amici nell’esercito di Eirinn, perché stavolta Daemon non sembra intenzionato ad andarci leggero.»

 

Nella breve storia dello Stato Libero non era mai successo che venisse convocato l’intero Consiglio di Guerra, perché di solito c’era sempre qualcuno impegnato altrove in altre attività.

Ma ora era diverso.

Ora era in corso un’invasione in piena regola.

C’erano tutti: il Generale Adrian, comandante dell’Grande Armata Rivoluzionaria, i Capitani di divisione Oldrick, Jack e Septimus, Scalia, e persino Natuli. L’ultimo arrivato era Richard, originario del Principato di Patria, da poco nominato comandante della Prima Divisione fanteria pesante; un leone, di nome e di fatto.

«Credo che la situazione sia chiara a tutti.» esordì Daemon facendo autocritica. «La battaglia sul passo, oltre a costituire una sostanziale sconfitta, ha aperto ai nostri nemici le porte della nazione. E per quanto possa servire, mi assumo la piena responsabilità per quanto accaduto a Gael. Non sono stato abbastanza lungimirante da capire quanto il Conte di Hatlen fosse determinato a vincere.»

«Non c’è niente di cui doversi scusare, ragazzo.» disse Richard grattandosi nervosamente la criniera. «Come schiavo guerriero ho combattuto in quasi tutte le battaglie degli ultimi trent’anni tra Patria e il Sultanato, ma non ho mai conosciuto nessun generale così pazzo da farsi venire in mente una cosa del genere.»

«Comunque ciò che conta è che abbiamo perso molti uomini, e quel che è peggio abbiamo dovuto abbandonare Grote Muren in mano al nemico.» disse Adrian, calmo ma visibilmente preoccupato. «Dubito che i danni che siamo riusciti a provocare nel poco tempo che avevamo sortiranno qualche effetto.»

«Abbiamo raccolto ogni singolo soldato che avevamo, ma anche così solo la Prima Armata del Generale Adrian è al completo.» disse Oldrick. «Le altre, oltre ad essere composte in buona parte da reclute, sono state in parte spezzate per assicurare la difesa dei confini.»

«Quindi non possiamo ritirarci per non perdere i nostri raccolti, e non possiamo avanzare per carenza di soldati.» disse Jack. «Comincio a domandarmi se sia stata una buona idea.»

«Assolutamente sì!» sbottò Scalia. «Preferisco morire libera e con la spada in mano che da schiava e in catene. E sono sicura che anche gli altri la pensano così.»

«Ritirarsi senza combattere è una cosa da perdenti.» osservò acidamente Natuli. «D’altra parte però non è che andare a cavalcare dritta verso la morte sia una prospettiva allettante.»

«Nessuno di noi morirà.» disse Daemon. «Ma Scalia ha ragione, sapevamo tutti a cosa andavamo incontro. Del resto se non ci dimostriamo in grado di difendere il nostro Paese nessuno ci prenderà sul serio. In un certo senso questa situazione ci aiuta. Se respingiamo questa invasione sarà la prova che lo Stato Libero è in grado di difendersi, e chiunque altro ci penserà due volte prima di venire a darci fastidio.»

«Siamo tutt’orecchi, Daemon.» disse Oldrick. «Cosa suggerisci di fare?»

Daemon stette a lungo a fissare le varie carte disseminate sul tavolo, mugugnando riflessioni incomprensibili con le mani dietro la schiena.

«Ci posizioneremo qui. Sul più orientale di questi due colli.»

«Ha senso.» osservò Adrian. «È la collina più alta della zona. Da lì si possono quasi vedere i bastioni di Grote Muren, sempre ammesso di non avere la visuale offuscata dalla maledetta nebbia che copre sempre quella zona.»

«Ti garantisco che tu osserverai Grote Muren da molto vicino. Infatti, mentre io e gli altri prenderemo posizione, tu dovrai recarti al forte con una piccola ambasceria.»

«Per quale motivo?»

Daemon lo fissò in modo enigmatico, uno di quegli sguardi che persino Adrian era incapace di sostenere senza sentirsi tremare le gambe.

«Non è ovvio? Per discutere i termini della nostra resa.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^^

Spero che abbiate passato delle belle vacanze.

Da parte mia a differenza di quanto avevo sperato non ho avuto molte occasioni per continuare a scrivere, con il risultato che anche alla luce di alcuni impegni che mi aspettano da qui in poi la stesura dei nuovi capitoli potrebbe risultare particolarmente rallentata.

Pertanto metto subito le mani avanti dicendo che al termine del Volume 3 (mancano ancora 2 capitoli, quindi un altro mese circa) la pausa prima dell’uscita del Volume 4 potrebbe risultare un po’ più lunga del solito, attorno alle 4 settimane.

Spero di riuscire a recuperare almeno in parte il tempo perduto, ma nel caso tenete per buono quello che vi ho detto.

Un saluto a tutti!^^

Cj Spencer

 

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Capitolo 6
*** EPILOGO - A LA VICTOIRE ***


“Mai interrompere il nemico

quando sta commettendo un errore.”

EPILOGO

 

 

Quando arrivò la notizia che un piccolo drappello di ribelli al seguito di un ambasciatore si stava avvicinando al forte sventolando la bandiera bianca, Victor avrebbe voluto che fossero presi, decapitati, e le loro teste rispedite indietro.

Ma lui, come gli fece ricordare Lefde, era un nobile che comandava un esercito formalmente al servizio dell’Impero, e in quanto tale non poteva venire meno alla legge dell’ospitalità che imponeva di ascoltare sempre le proposte di pace.

Quello che sorprese un po’ tutti, ma forse neanche poi così tanto, fu scoprire chi fosse l’ambasciatore inviato dai ribelli per parlamentare.

«Lord Longinus. Finalmente ci conosciamo. Ho sentito parlare molto di voi.»

Victor quasi rise facendolo accomodare al posto degli ospiti dello stesso ufficio da dove Adrian era dovuto scappare appena una settimana prima.

«E io di voi, Granduca Montgomery. Spero che vostro padre sia in buona salute, e che vorrete portargli i miei rispetti quando lo incontrerete.»

«Non mancherò. Ricordo quando venivate a visitare la mia famiglia, ai tempi in cui la vostra regnava con saggezza su queste terre.»

«Vorrei solo che questo nostro incontro dopo così tanto tempo fosse avvenuto in circostanze migliori. Ma vediamo se possiamo fare qualcosa per migliorare questa situazione.»

«Sono tutt’orecchi.»

«Anzitutto ci tengo a ribadire che mi trovo qui in veste di comandante della Prima Armata della Guardia Nazionale e Ministro degli Interni dello Stato Libero. Ciò che dirò e quello che sarò autorizzato a fare sarà entro le funzioni che mi sono state conferite.»

«Conferite da chi?»

«Dal popolo dello Stato Libero, solo e unico proprietario delle terre che amministriamo in suo nome.»

Victor per poco non scoppiò a ridere: «Il popolo? E da quando il popolo conta qualcosa?»

«Nello Stato Libero il popolo è sovrano. Il popolo ha deciso di alzare la testa contro l’usurpatore, e sempre il popolo una volta che la Rivoluzione ha prevalso ha scelto noi per amministrare la nazione e proteggere la libertà che ha conquistato. E noi siamo pronti a qualsiasi cosa per adempiere a questo incarico.»

Quella che poteva sembrare quasi come una minaccia venne subito stemperata nel momento in cui Adrian, quasi sorridendo, si fece passare dei documenti da uno dei suoi segretari.

«Pertanto, al fine di risolvere questa disputa senza ulteriori spargimenti di sangue, il popolo dello Stato Libero tramite il nostro rispettabile Primo Ministro e Comandante Supremo dell’esercito mi ha incaricato di discutere con voi i termini per una cessazione delle ostilità.»

In base a detti termini, spiegò Adrian con invidiabile autocontrollo, le forze di Eirinn avrebbero rinunciato ad avanzare ulteriormente invadendo i territori dello Stato Libero, il quale si sarebbe impegnato a non intraprendere azioni di rappresaglia per l’attacco subito né avrebbe chiesto un qualche tipo di compensazione. Inoltre Grote Muren sarebbe stato smilitarizzato rimanendo una semplice cittadella commerciale, con la creazione di una zona cuscinetto in modo non dissimile a quanto accadeva lungo il confine con l’Unione.

Victor ascoltò senza battere ciglio, ma il suo sguardo non lasciava dubbi su quale sarebbe stata la sua risposta.

«La vostra proposta è interessante. Ma ditemi una sola ragione per cui dovrei accettare di negoziare. Vi abbiamo già sconfitti, le nostre truppe sono arrivate fin qui senza subire alcuna perdita, e l’esercito che avete radunato sulle colline a ovest di qui è poco più della metà del nostro.»

«Forse. Questa volta però non avete una montagna da farci crollare addosso, o una unità sacrificabile da mandare al massacro per riuscirci.»

Sentendo quelle parole Lefde non seppe se fosse meglio chiederne conto al nipote o biasimare la propria immaturità per essersi voluto convincere che si fosse trattato davvero di una coincidenza.

Ma alla fine preferì tacere, per non macchiare ulteriormente la propria coscienza.

«Ora voi ascoltate me, Adrian. Quello che voi e i vostri compagni dovete fare è abbassare le armi, mettervi in ginocchio e implorare e pietà. Consegnate i capi della ribellione, a cominciare da questo Daemon di cui tanto si parla, a noi perché siano giustiziati. E allora forse, e sottolineo forse, qualcuno di voi potrà salvarsi. Altrimenti, vi spazzeremo via tutti dal primo all’ultimo, e malgrado possiate pensare il contrario neppure voi sarete risparmiato, a prescindere dal nome che portate.»

Era evidente che non c’erano spazi per una discussione civile; e quasi che Adrian si aspettasse si una cosa del genere, subito dopo che Victor ebbe finito di parlare si alzò per andarsene.

«Sembra che ci incontreremo sul campo di battaglia, dopotutto. Ma ci tengo a ricordarvi quanto ho detto all’inizio. Noi siamo qui per fare gli interessi del popolo e tutelare la sua libertà. E potete stare certo che faremo tutto quanto è in nostro potere per assolvere al nostro mandato. A presto, Granduca facente-funzione.»

L’ultima frase colpì nel segno, tanto che Adrian ebbe appena il tempo di lasciare la stanza prima che Victor scagliasse il proprio calice addosso alla porta.

«Ma chi si crede di essere? Maledetto imperiale arrogante!»

«Una simile sicurezza non è normale.» disse Lefde «Stanno sicuramente tramando qualcosa.»

«È solo un bravo attore.»

E i fatti sembrarono in poco tempo dare ragione a chi, come Philippe, vedeva in quell’ambasceria una mossa disperata per tentare di evitare una sconfitta praticamente certa.

«Rapporto, Mio Signore!» disse un esploratore, arrivando poco dopo il termine della cena. «Il nemico ha abbandonato la sua posizione sul Colle di Ratcliffe.»

«Si sono ritirati?» chiese Lefde

«No, Generale. Hanno preso posizione sul colle immediatamente più a ovest, a nord del villaggio di Mistvale.»

«Ha senso. Ratcliffe è la posizione più elevata della zona, ma è molto esposta e senza coperture in caso di attacco. Il colle dall’altro lato è più in basso, ma da lì si controlla facilmente la strada per Basterwick.»

«Poveri illusi. Davvero pensano di volerci affrontare?»

Era ciò che Victor aspettava. Aveva solo diciassette anni, e stava per diventare il più giovane granduca di Eirinn a condurre con successo una campagna militare in un territorio formalmente straniero.

«Li spazzeremo via. Preparatevi, partiremo prima dell’alba.»

«Mio Signore, i nostri rinforzi non sono ancora arrivati.»

«A cosa servono i rinforzi? Già adesso siamo quasi il doppio rispetto a loro. Ed entro domani sera avrò gli occhi di quel bastardo di Longinus in una coppa!»

 

La mattina dopo, l’area era avvolta in una fitta nebbia.

Non era raro che succedesse, specie nei momenti appena successivi al sorgere del sole, quando l’aria fredda della notte si saturava dei miasmi che salivano dalle paludi in attesa che il vento del nord soffiasse via tutto rivelando il cielo azzurro.

Quel giorno però non c’era un soffio di vento, pertanto non c’era ragione di credere che la nebbia si sarebbe alzata tanto presto.

Lefde fece il possibile per ritardare la partenza, ben sapendo quando potesse essere pericoloso combattere in simili circostanze, ma alla fine fu costretto a sottomettersi alla volontà di Victor seguendo lui, Philippe e quasi tutto l’esercito nella marcia oltre le mura del forte.

Servirono appena due ore per raggiungere quello che sarebbe stato il campo di battaglia. Come predetto dagli esploratori i ribelli nottetempo avevano abbandonato del tutto il Colle di Ratcliffe, chiamato anche Il Montello dalla gente del posto, per andare a riposizionarsi sull’altura immediatamente accanto, cosicché a dividere i due eserciti vi era ora solo un avvallamento piuttosto largo costituito dai pendii dei due colli e da una piccola zona pianeggiante. Alle spalle delle fila ribelli la strada per Basterwick, punto di passaggio obbligato per le truppe di Eirinn, e che i loro avversari sembravano avere tutte le intenzioni di difendere ad ogni costo.

Nonostante la nebbia l’esercito dello Stato Libero era ben visibile, anche perché con le urla e gli improperi che i suoi soldati lanciavano a pieni polmoni sarebbe stato impossibile non accorgersi di loro.

A causa della distanza e della nebbia non era facile capire chiaramente come si fosse disposto il nemico, ma sembrava aver assunto una classica formazione allargata, con gli arcieri in prima linea e la fanteria pesante immediatamente dietro. Non c’era traccia di quegli strani cannoni portatili, forse perché erano stati tutti sepolti dalla valanga.

Per l’occasione Victor aveva rispolverato l’armatura da battaglia dei suoi antenati, comprendendo l’importanza di saper apparire in un momento così solenne, ma ovviamente si guardò bene dall’allestire il suo quartier generale in un punto troppo vicino al fronte.

Ovviamente nessuno si sognò di ordinare l’attacco. Se dalla cima delle colline si riusciva ancora a vedere qualcosa l’avvallamento era completamente ammantato, e solo un pazzo avrebbe pensato di portare un esercito là sotto.

Occorreva aspettare che la nebbia si alzasse prima di pensare di combattere. O forse no?

«Rapporto! Abbiamo individuato una piccola unità nemica a sud!»

«Dove si trovano?»

«Presidiano il villaggio di Mistvale, Generale Lefde.»

«Mistvale?» disse Philippe «Ma è a quasi cinque miglia da qui. Il suo fronte è così esteso?»

«No, io non credo.» rispose Lefde «Semplicemente la strada per Basterwick passa proprio lì dietro, ed è anche il punto in cui il versante del colle è meno ripido. Forse è un modo per tentare di proteggere il suo fianco destro.»

Anche un ignorante completo avrebbe capito che era un’occasione perfetta. E Philippe non si considerava certo un ignorante.

«Se lanciamo un attacco deciso e ci impossessiamo del villaggio potremo risalire il crinale e prendere il nemico di fianco, inoltre controllando la parte a valle della strada gli impediremmo di ricevere eventuali rinforzi.»

Ma Lefde non la vedeva così.

«Non lo so, mi sembra un po’ troppo facile. Potrebbero avere delle riserve nascoste dietro al villaggio. Per chi conosce questa regione non sarebbe un problema nascondersi approfittando della nebbia.»

«Ormai mi sembra chiaro che i nostri nemici sono allo stremo, e probabilmente non si aspettavano che saremmo avanzati così presto. Altrimenti non si spiegherebbe la decisione di rintanarsi in quel modo lasciando scoperto il fianco.»

Ancora una volta, Victor concordò con lo zio, ordinandogli di prendere le sue truppe e quasi tutti i mercenari, un terzo dell’intero esercito, e indirizzarlo contro il fianco destro nemico. Lui e Lefde avrebbero tenuto occupato l’esercito ribelle con un fitto lancio di proiettili e lanciato un attacco qualora la nebbia si fosse alzata a sufficienza; quindi, una volta preso il controllo di Mistvale, avrebbero condotto un’offensiva totale e spazzato via il nemico attaccandolo su due lati.

Semplice. Efficace. Con pochi rischi.

Di lì a trenta minuti, una timida carica di cavalleria ribelle diede ufficialmente il via alla battaglia, ma sia quella che tutte le successive vennero respinte senza difficoltà erigendo muri di lance; Victor avrebbe voluto rispondere, ma Lefde una volta tanto riuscì a persuaderlo ad aspettare che la nebbia si alzasse o che arrivassero notizie dal fianco.

A causa del terreno umido e della pendenza Philippe ebbe qualche problema a portare le sue truppe ai confini di Mistvale, che oltretutto era circondato su tre lati da un acquitrino puntellato di isolotti fangosi e palafitte, mancando così l’occasione di cogliere il nemico del tutto impreparato.

A difendere il villaggio e il relativo fianco vi era la 4° Divisione Fanteria Leggera comandata da Septimus, che subito si dispose in formazione serrata accogliendo gli assalitori con una pioggia di giavellotti per poi impegnarli in un furioso corpo a corpo.

In un primo momento sembrò che la forza d’urto della potente cavalleria di Eirinn potesse avere ragione dei ribelli in pochi minuti, ma le truppe di Septimus potevano contare su di un potente alleato.

Sapi era così piccola e leggera, e la sua specie così abituata a muoversi su terreni difficoltosi, che per lei lottare in mezzo alla fanghiglia e alla nebbia era solo un ulteriore divertimento.

Perché per lei, ormai, questo era diventato combattere: un gioco.

Non provava piacere ad uccidere, infatti cercava di farlo il meno possibile, ma ora era consapevole della propria forza, e sapere di poterla usare per aiutare Daemon era sufficiente a farle venire il buonumore.

«Rapporto! Il nemico resiste, ma facciamo progressi! Li abbiamo spinti fuori dal villaggio, e ora combattiamo ai piedi della collina!»

«Hanno ricevuto dei rinforzi?»

«Per il momento no, Generale!»

«Le nostre perdite?»

«Alcune centinaia nell’esercito, poco più del doppio tra i mercenari! Hanno uno yeti che sta mettendo in difficoltà le nostre forze!»

«Abbiamo ancora dei mercenari.» replicò Victor senza battere ciglio, mentre un ufficiale gli serviva un calice di vino. «Mandiamoli a dare una mano. Magari così risparmieremo qualcosa.»

La nuova ondata di mercenari, non dovendo preoccuparsi di passare inosservata o di dover combattere negli acquitrini, si riversò sul fianco destro ribelle con forza spaventosa, spingendo indietro il fronte di parecchie decine di metri fin quasi ai margini della strada.

«Non cediamo!» continuava a gridare Septimus, che combatteva come una furia al fianco dei suoi uomini. «Dobbiamo resistere ad ogni costo!»

Ma non era per niente facile, non con Medea che bruciante di rabbia continuava a scagliare frecce mentre i suoi compagni, per quanto ormai in numero esiguo, con la loro stazza e potenza sembravano sempre sul punto di riuscire a rompere lo schieramento nemico.

Il caso volle poi che, tra i nuovi arrivati, vi fosse qualcuno capace di tenere testa perfino a Sapi.

«Maledetta palla di pelo! La smetti o no di saltellare in giro?»

Per fortuna la pelliccia che copriva le braccia e le gambe di Sapi erano più efficaci di qualunque corazza, altrimenti il colpo di Ignes l’avrebbe tagliata in due invece di limitarsi a farla volare via.

«Sei davvero forte, sorellona!» fu il commento di Sapi, che servì solo a far arrabbiare ancora di più la giovane Jormen.

«Aspetta solo che ti tolga quello stupido sorriso dalla faccia, specie di scherzo di natura.»

Tra le due iniziò quindi una specie di duello privato nel cuore della battaglia, ma per quanto forte Ignes colpisse i suoi fendenti o andavano a vuoto o, qualora colpissero, non riuscivano a scalfire le difese di Sapi, che in alcuni casi arrivò letteralmente ad afferrare l’ascia nemica a mani nude.

E se tutta quella situazione rendeva Ignes sempre più furiosa, Sapi sembrava una bambina al parco giochi.

«Credi davvero che tutto questo sia un gioco?» strillò ad un certo punto Ignes

«Certo che è un gioco. Non ci stiamo forse divertendo io e te?»

«Tranquilla, mi divertirò un mondo… a schiacciarti quella maledetta testa!»

Se gli sforzi di Sapi avevano sortito l’effetto di tenere quella specie di furia scatenata lontana dalla battaglia nello stesso tempo la presenza di Ignes impediva alla piccola yeti di poter dare una mano ai suoi compagni, che malgrado la disciplina e la volontà faticavano sempre di più a tenere a bada le soverchianti truppe di Eirinn.

Poi, ecco arrivare l’intervento divino.

«La nebbia! Si sta alzando!»

L’aria andava ripulendosi, e anche se il bassopiano era ancora per buona parte coperto era probabilmente solo una questione di minuti prima che l’intero campo di battaglia diventasse visibile.

«È la nostra occasione!» esclamò Victor. «Avanziamo con le nostre truppe e schiacciamoli!»

«Mio Signore, forse sarebbe meglio aspettare che la nebbia si alzi del tutto, o che arrivino notizie dal Generale vostro zio.»

«Non ho alcuna intenzione di permettere a quel pallone gonfiato di prendersi tutto il merito di questa vittoria. Date l’ordine di avanzata!»

Cercando di mettere a tacere l’inquietudine che non lo faceva stare tranquillo Lefde non poté fare altro che obbedire, e precedute da un solenne rullo di tamburi buona parte delle truppe iniziò a scendere lungo il crinale.

I ribelli risposero tirando frecce, ma proprio a causa della nebbia che più in basso non si era ancora alzata i loro lanci risultarono imprecisi mancando completamente il bersaglio.

Questo fatto rinvigorì i soldati, che spronati dagli ufficiali accelerarono sempre di più il passo lanciandosi infine in una vera e propria carica.

Come un’onda inarrestabile discesero dal Ratcliffe, pronti a risalire con impeto il colle opposto.

Intanto la nebbia si stava dissipando anche lì, spazzata via dal vento del nord che, quando le truppe di Eirinn erano giunti quasi ai piedi della salita, aprì finalmente la strada al sole… svelando il grande inganno.

Venti grossi cannoni, ognuno circondato da tre serventi ed appoggiato su leggeri ma robusti fusti di legno, attendevano il loro arrivo, apparendo dalla bruma come spiriti infernali pronti a reclamare il loro tributo di sangue e anime.

I comandanti non fecero nemmeno in tempo a ordinare di fermarsi.

«Fuoco!»

Il fragore delle mitraglie che si susseguivano una dietro l’altra arrivò fino al quartier generale di Victor e Lefde prima ancora che potessero rendersi conto loro stessi di cosa stava accadendo; e tale fu lo sgomento che apparve nei loro occhi alla vista di centinaia di soldati sventrati come animali in un mattatoio che il Generale sentì il cuore fermarsi nel petto.

«Maledizione! Li abbiamo avuti sotto il naso per tutto il tempo!»

 

«Come sarebbe a dire, discutere la resa? Non starai davvero pensando di arrenderti!»

Avanti Scalia, non è complicato. Ti facevo un po’ più sveglia di così.

«È chiaro.» disse Adrian anticipandomi. «Si tratta di bluffare.»

«Ormai mi sembra chiaro con chi abbiamo a che fare. Victor è un bambino che gioca a fare la guerra, e Philippe un nobile ambizioso che si considera un grande generale. Fintanto che ci saranno loro non dovremo preoccuparci del Generale Lefde, che sembra invece un tipo assai più imprevedibile.»

«Quindi questa ambasceria servirebbe a fargli credere che siamo in difficoltà?» chiese Septimus

«In realtà non è esattamente una recita. Siamo davvero in difficoltà, e un bravo generale sarebbe capace di approfittarne. Ma se stimoliamo l’ego di quei due convincendoli di poter ottenere una rapida vittoria cadranno nella nostra trappola come pesci nella rete. Per rendere la recita ancora più credibile abbandoneremo il colle di Ratcliffe per riposizionarci qui, dall’altra parte della pianura.»

«Penseranno che vogliamo difendere la strada anche a costo di lasciare una posizione più favorevole ma anche più esposta.»

E bravo Oldrick. Finalmente la tua capacità di ragionamento inizia a riflettere gli anni che hai.

«Quindi se pensano che siamo così disperati da compiere mosse del genere ci attaccheranno sperando di chiudere i giochi con una sola battaglia.»

Ora sapevo di aver fatto bene a promuovere Richard; era stato schiavo di un generale molto famoso del Principato e aveva partecipato a molte battaglie degne di nota tra Patria e Torian, era naturale che avesse finito per imparare qualcosa.

Non era certamente un novello Marco Antonio, ma almeno sapeva distinguere una lancia da una picca.

«Come ha detto Adrian questa zona è perennemente avvolta dalla nebbia, soprattutto di primo mattino. E noi ne approfitteremo.»

«Cos’hai in mente?» chiese Septimus

«Formeremo un fronte il più largo possibile, che vada dal margine del bosco a nord fino alle sponde di questo acquitrino a sud. In questo modo potremo coprire l’intero pendio che scende verso la pianura sottostante. Questo qui, subito a sud della palude, qualcuno sa che villaggio è?»

«È Mistvale. Ci vivono i miei nonni. Pescano rane e crostacei nei laghetti tutto attorno.»

«Suppongo quindi che tu conosca bene quella zona. Allora assegnerò questo fianco a te e alla Quarta Divisione. Occuperete il villaggio dopo aver evacuato gli abitanti e formerete un fronte separato.»

«Sembra una posizione abbastanza esposta.» disse Jack

«Appunto.» rispose Adrian. «È un’esca perfetta. Dico bene?»

«Anche con la nebbia gli esploratori non impiegheranno molto a scoprire questo secondo fronte. Quindi invieranno una parte del loro esercito per sgominarlo, ottenere il controllo della strada, e tentare un aggiramento su di un fianco. Naturalmente se ci riescono noi ci ritroveremmo in grossi guai, quindi è necessario che questo fronte tenga duro il più a lungo possibile. Dirò a Sapi di darvi supporto. Lei da sola dovrebbe essere più che sufficiente.»

E sarà anche un ottimo modo per testare le sue abilità.

«Credo di cominciare a capire. In questo modo la loro armata sarà divisa in due.»

«Esattamente Richard. Le loro forze sono numericamente molto superiori, ma separati saranno solo due piccole armate molto più vulnerabili. L’importante sarà fare in modo che non possano riunirsi quando inizierà il contrattacco. Natuli.»

«Sì?»

«Vedi questa piccola rientranza dietro il colle? È un nascondiglio perfetto. Tu e la tua unità vi piazzerete qui ed attenderete il mio segnale, quindi aggirerete Mistvale e assalirete alle spalle il nemico impegnato in battaglia. Saranno sicuramente stanchi, quindi sottometterli e spingerli a ritirarsi o ad arrendersi non sarà un grosso problema, soprattutto se a comandarli ci sarà Philippe. Così facendo il fronte sud si ritroverà completamente isolato, lasciando noi liberi di concentrarci sul contrattacco alla forza principale.»

«Scusa se te lo dico, ma questo piano poggia su di una premessa assai discutibile. Quando mai si è sentito di una carica di cavalleria, per di più composta di arcieri, lanciata nel bel mezzo di una nebbia?»

«Temo che abbia ragione.» disse Adrian. «Una volta lanciata una carica difficilmente si può fermare o correggere la sua direzione. Come faranno ad attaccare se non sapranno neanche dove si trova il nemico?»

«La nebbia si alzerà. Si alza sempre, di solito verso mezzogiorno. Nasconderà le nostre manovre, e una volta scomparsa ci permetterà di lanciare il contrattacco. E in realtà è proprio sul fatto che si alzerà che io faccio affidamento.»

«Che intendi dire?» chiese Oldrick

«Voglio che la tua artiglieria si posizioni proprio qui, nel cuore della vallata. Nascosti in bella vista. Lefde potrà tenere a bada quella testa calda di Victor per un po’, ma sono sicuro che appena la nebbia inizierà ad alzarsi riceverà l’ordine perentorio di attaccare. I suoi soldati finiranno dritti sotto il tiro dei tuoi cannoni senza nemmeno accorgersene. Quando saranno stati falciati a dovere, una semplice carica sarà più che sufficiente per mandarli in rotta.»

«Ma se saremo in mezzo alla nebbia come faremo a sapere quando prepararci a sparare, o che il nemico sta effettivamente cadendo nella trappola?»

«Ho pensato anche a questo. Ordinerò alle nostre truppe sul colle di fare un gran baccano. Fintanto che ci sentirete urlare sarà la prova che tutto sta andando secondo i piani. Inoltre il fracasso celerà eventuali rumori delle nostre unità in manovra. Riguardo il momento in cui prepararsi a sparare, vi basterà ascoltare i loro tamburi.»

«E questo basterà?»

«Ovviamente no, sorella. Non senza grosse perdite da parte nostra qualora dovessimo risalire il colle di Ratcliffe sotto il tiro dei loro arcieri. Per questo mentre Jack guiderà l’assalto frontale, tu e Richard avrete già portato le vostre truppe verso nord, aggirando la valle nascosti dietro a queste alture. Anche nel caso in cui Victor intuisca il nostro piano e tenti una disperata difesa del Ratcliffe con le forze che gli rimangono, non potrà resistere ad un attacco combinato su tre lati.»

«Sembra un piano assolutamente degno di te, non fosse per il fatto che sembra basato molto sulla fortuna.» disse Adrian. «Se le nebbia dovesse alzarsi troppo presto tutte le nostre manovre verrebbero scoperte anzitempo, viceversa se dovesse alzarsi troppo tardi Septimus e i suoi potrebbero non riuscire a resistere abbastanza a lungo vanificando tutto. Sei sicuro che funzionerà?»

«Fidati, funzionerà.»

Anche perché ha già funzionato una volta.

Nella mia vecchia vita più di una volta avevo visto i miei piani venire vanificati dall’intervento della natura.

Mi ero sempre detto che su di essa nessuno può comandare, e che se qualcosa andava male a causa sua si poteva incolpare solo il fato.

Ma ora sapevo di essere sempre stato nel torto.

Forse la natura non si può controllare, ma sicuramente si può prevederla. Basta capirne i segnali.

Anche per questo avevo scelto di essere un cacciatore; per imparare a leggere ciò che un tempo mi era oscuro.

Entro la fine di quella battaglia avrei scoperto se la conquista di Basterwick era stata solo una fortunosa coincidenza o se finalmente ero riuscito ad eguagliare anche l’unico nemico di cui avessi sempre avuto paura.

 

«Voilà, le soleil de Mistvale.»

«Cosa?» chiese Adrian mentre Daemon, sorridendo, osservava il sole

«Niente, non farci caso. Avanti, ora è il momento. Fai il segnale.»

«Agli ordini.»

Una freccia infuocata lanciata in direzione sud fu il preambolo alla comparsa di centinaia di arcieri a cavallo, che guidati da Natuli si infilarono nello spazio tra la base del Ratcliffe e il villaggio di Misvale tagliando il fronte nemico in due, attaccando alle spalle i soldati di Philippe e tramutandoli in puntaspilli.

Contemporaneamente, Jack guidò la carica attraverso il colle, cogliendo impreparate le truppe nemiche ancora frastornate dopo essere state decimate dalle mitraglie di Oldrick e spingendole alla fuga nel giro di pochi minuti.

Il colpo di grazia arrivò nel momento in cui il fianco destro dell’esercito di Eirinn venne assalito dall’attacco portato dalle forze combinate della Prima Divisione di Richard e della Grande Guardia di Scalia.

Il nome di quest’ultima non era stato scelto a caso; erano minotauri, orchi, coboldi, e ognuno di loro valeva come dieci soldati, soprattutto ora che erano stati adeguatamente addestrati.

Vedere Scalia in mezzo a loro, per di più nel ruolo di loro comandante, poteva sembrare strano, ma in quanto a forza bruta li superava tutti.

Erano stati creati soprattutto per spaventare, perché per un soldato non c’è niente di più terrificante che vedersi arrivare contro trecento energumeni che facevano rimbombare il terreno durante la carica, maneggiando asce e spadoni come fossero giocattoli.

Quella era la loro prima battaglia, ma altre ne sarebbero seguite nei mesi e negli anni a venire.

E ogni volta, al solo sentirli nominare, tutti avrebbero ripensato a quel giorno, alle storie che si raccontavano sulla terrificante Grande Guardia, e avrebbero sentito un brivido alla schiena.

Lefde tentò disperatamente di ricompattare le sue truppe, ma ormai queste avevano abbandonato per buona parte le posizioni più elevate rendendosi vulnerabili.

L’ala destra venne travolta prima ancora di riuscire a ridisporsi per fare fronte alla comparsa del nemico, ed era chiaro che le poche riserve rimase a presidiare il campo base non avrebbero resistito più di qualche minuto prima di fare la stessa fine.

«Mio Signore, dobbiamo ritirarci finché possiamo!»

«Ritirarci? Neanche per sogno! Non esiste che la dia vinta a questi bifolchi! Il mio esercito può ancora combattere!»

«Mio Signore! Di questo passo, molto presto non avremo più un esercito! Ve ne prego!»

Per quanto Victor si atteggiasse era impossibile negare l’evidenza, e nel momento in cui i suoi occhi rabbiosi si sottrassero alla vista dello scempio che stava accadendo davanti a lui Lefde lesse quel gesto come un’ammissione.

«Suonate la ritirata! Ritornare al forte!»

Per fortuna il nemico non infierì né incalzò il nemico in fuga, consentendo ai superstiti di ritirarsi relativamente in ordine e senza subire troppe perdite.

Ma nonostante tutto, qualcuno rifiutava ancora di rassegnarsi alla sconfitta.

«Medea, non hai sentito il corno? Dobbiamo andare!»

Alla fine Kassia e le altre Furie dovettero quasi trascinare via forzatamente il loro comandante, che anche dopo aver esaurito le frecce seguitò a scagliare sui nemici festanti per la vittoria tutto quello che le capitava a tiro.

«A presto sorellona!» disse Sapi a Ignes mentre questa ripiegava assieme ai suoi uomini. «Spero che ci incontreremo per combattere ancora!»

«Puoi starne certa, palla di pelo! E la prossima volta colorerò la mia ascia col tuo sangue!»

Ancora una volta, Daemon aveva compiuto un’impresa impensabile, persino per i più esperti soldati che militavano nel suo esercito.

Dall’alto del suo cavallo bianco, il Comandante Supremo della Guardia Nazionale e Primo Ministro dello Stato Libero osservava la pianura e il colle dinnanzi a lui tappezzati di corpi, testimoni silenziosi e spaventosi della sua grande vittoria.

«La victorie est à nous.»

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Siamo arrivati alla fine anche di questo terzo volume.

Mi scuso ancora per lo stupido errore che ho fatto nel corso della pubblicazione, ma dovendo gestire più cose assieme ogni tanto capita di prendere una cantonata, senza contare che in questo periodo sono letteralmente subissato di incombenze^^

Come preannunciato il quarto volume inizierà la pubblicazione tra circa un mese, giusto in tempo per annunciare a tutti un’importante novità circa il futuro della novel.

A presto, e grazie come sempre a tutti coloro che continuano a seguire e a recensire questa storia!^_^

Cj Spencer

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