Se solo Nobara fosse scesa nello scantinato

di Ortensia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il primo che scende qui sotto ci rimane secco ***
Capitolo 2: *** 2. Pare che siano i fratelli Fushiguro ad avere pensieri impuri ***
Capitolo 3: *** 3. Hamburger, tramonti, locandine di film… nemmeno un paio di tette ***
Capitolo 4: *** 4. Lo sapevo che non dovevo dormire fino a tardi! ***
Capitolo 5: *** 5. Non me ne frega nulla della tua prostata! Deve asciugarsi l’olio di argan! ***
Capitolo 6: *** 6. Io voglio solo succhiare un cazzo, ragazzi ***
Capitolo 7: *** 7. Fushiguro, che cos’è un cane procione?! ***
Capitolo 8: *** 8. Io sono una buona amica, la migliore! ***
Capitolo 9: *** 9. Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo ***
Capitolo 10: *** 10. Ma dico io... non poteva capitarci un bonazzo con una bella auto?! ***
Capitolo 11: *** 10.1 Di come Megumi, Tsumiki e Utahime la fecero pagare a Gojo ***



Capitolo 1
*** 1. Il primo che scende qui sotto ci rimane secco ***


Se solo Nobara fosse scesa nello scantinato
「───────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────」
1. Il primo che scende qui sotto ci rimane secco







    L’auto emise un ultimo rantolo, come di una tosse roca e strascicata, prima di abbandonarli definitivamente.
    «Maledizione!» Tsumiki batté i pugni sul volante mentre gli altri, pressati nei sedili posteriori, già protestavano.
    La ragazza girò più volte le chiavi nel cruscotto nel tentativo di accendere il motore, ma l’auto non diede segni di vita.
    «L’hai fatta controllare prima di partire?» Megumi, seduto accanto a lei, non si era scomposto al contrario degli altri passeggeri, ma quell’insinuazione le diede sui nervi molto più delle proteste alle sue spalle.
    «Certo che sì!»
    «La benzina?» Nobara infilò la testa fra i loro sedili per dare un’occhiata al quadro.
    «C’è» confermò Tsumiki.
    «Probabilmente è il motore» disse Megumi.
    «O il radiatore?» azzardò Junpei.
    «Che cavolo è un radiatore?» Nobara si agitò ancora di più.
    Junpei si strinse nelle spalle. «In realtà non ne ho idea.»
    «Penso che dovremmo scendere a dare un’occhiata, no?» Yūji intervenne proprio nel momento in cui Tsumiki aprì la portiera.
    Scesero tutti dopo di lei, radunandosi davanti al cofano che aveva appena aperto.
    Megumi le fece luce con la torcia del cellulare mentre lei controllava il livello dell’olio.
    Tutti restarono in attesa del verdetto di Tsumiki pensando che, in qualità di proprietaria della macchina, spettasse a lei stabilire quali fossero le condizioni del veicolo.
    «Mhh…»
    «Mi pare non ci sia nulla di strano» tuttavia fu Nobara a parlare per prima visto che l’altra non si esprimeva.
    «E da quando te ne intendi di auto?» la punzecchiò bonariamente Tsumiki.
    «Però è vero» convenne Megumi.
    «Sarà la batteria…?» Tsumiki sospirò mentre abbassava il cofano. «È strano che non si sia accesa nessuna spia… aspettiamo che passi qualcuno con i cavi.»
    «Tsumiki» Nobara la guardò scettica.
    «Che?»
    «Il tuo navigatore ci ha portato in mezzo al nulla, non si vedono macchine da chilometri.»
    «Qualcuno passerà…»
    «Più che altro…» Itadori esitò un istante, «siamo in mezzo alla strada.»
    E al buio, per giunta.
    Divenne subito chiaro a tutti che avrebbero dovuto spostare il veicolo in una zona più sicura, cosa che fortunatamente non si rivelò troppo complicata essendo in quattro a spingere.
    Tsumiki, che si era messa al volante per facilitare la manovra, si assicurò che tutto all’interno dell’auto fosse in ordine prima di scendere e raggiungere nuovamente gli amici sulla piazzola di sosta.
    «E se chiamassimo l’albergo?!» propose Nobara. «Possiamo chiedergli di venirci a prendere!»
    «Sai cosa gliene frega a loro» sibilò Megumi con pungente cinismo.
    «Beh, siamo loro clienti!»
    «Hanno i dati della carta di Tsumiki. Si prenderanno i soldi come da accordi e chi si è visto si è visto» ribatté Megumi.
    «Ma non si fa così!» protestò la ragazza.
    «In realtà sì» Tsumiki le rivolse un sorriso nervoso.
    «Beh, possiamo fare comunque un tentativo» Yūji estrasse il cellulare, osservando lo screensaver illuminato.
    «Bravo Yūji!» Nobara fu felice che qualcuno le avesse dato ragione, ma l’entusiasmo si spense non appena il ragazzo riprese a parlare.
    «Non ho campo.»
    «Questo perché il tuo cellulare fa schi─» Nobara aveva già tirato fuori il proprio telefonino quando vide che anche le sue tacche erano a zero. «Merda!»
    Anche Tsumiki, Megumi e Junpei stavano controllando i loro cellulari. Alzarono la testa qualche secondo più tardi e dalle loro espressioni sia lei che Yūji compresero che erano tutti tagliati fuori.
    «Meraviglioso!» Nobara esordì con un mugolio plateale. «Già pregustavo le tartine di benvenuto e l’idromassaggio e invece siamo qui! Nel nulla!»
    «Dormiamo in auto?» Megumi la ignorò completamente.
    «Come facciamo a dormirci in cinque?!» strepitò lei.
    «Meglio che dormire a bordo strada…» commentò Yūji.
    «Emh, ragazzi?»
    Junpei era tornato indietro di un paio di metri e stava puntando qualcosa con il dito.
    Da dove si trovavano loro, complice la boscaglia nera che cresceva dietro il guard rail, non riuscivano a vedere cosa stesse indicando, ma sembrandogli piuttosto tranquillo si avvicinarono senza indugio.
    Appena la vide, Nobara fece dietro front. «Okay, vado a dormire in macchina, ciao!»
    Oltre le sterpaglie, faceva capolino la sagoma scura di una casa.
    «Secondo voi ci vive qualcuno?» domandò Tsumiki.
    «Penso proprio di no» rispose Yūji.
    Non si vedeva molto bene, ma l’assenza di luci e i dintorni incolti suggerivano che fosse abbandonata.
    «Non è nemmeno troppo lontana» osservò Junpei, «andiamo a dare un’occhiata?»
    Tsumiki annuì, chiamando Nobara ad alta voce. «Vieni con noi! Non startene da sola!»
    La prospettiva di restare a bordo strada ad aspettarli era perfino meno attraente di quella di seguirli, per cui, per quanto contrariata, Nobara tornò indietro di corsa, unendosi al gruppetto.
    In completo silenzio, i ragazzi seguirono il sentiero sterrato, Yūji e Junpei in testa.
    «Non ci credo che stiamo vivendo il sogno horror di Junpei» bofonchiò Nobara, scatenando un sorriso nervoso sulle labbra del ragazzo, che si era sentito tirato in causa.
    «A quest’ora potevamo essere in albergo, in un letto morbido e caldo» continuò a lamentarsi, aggrappandosi al braccio di Tsumiki.
    All’improvviso, un crepitio alle loro spalle.
    Nobara gridò e Tsumiki, spaventata più dalla reazione dell’amica che da quel rumore improvviso, fece lo stesso.
    Quando si voltarono videro Megumi con le mani alzate e le labbra serrate in un’espressione rassegnata, un ramo spezzato sotto la scarpa.
    «Megumiii!» infuriata, Nobara si lanciò su di lui assestandogli un pugno nel braccio.
    Tsumiki guardò il fratello, un sorriso sollevato a incresparle le labbra. «Non restare indietro» gli raccomandò con gentilezza.







    «È decisamente disabitata» esordì Yūji mostrando il polpastrello sporco, sul vetro la traccia scura che il suo dito aveva lasciato nella polvere.
    «Già» convenne Junpei mentre esaminava la porta di legno con entrambe le mani.
    «Proviamo ad entrare?» chiese Megumi.
    «Anche no!» sbottò Nobara.
    «Vediamo com’è dentro» disse Junpei.
    «Junpei!!» Nobara protestò, ma a voce bassa vedendolo afferrare la porta e tirarla verso di sé nel tentativo di forzarla. «Le persone muoiono negli horror, lo sai?»
    «Sta per piovere» la interruppe Tsumiki. «Preferirei una casa a una macchina, per quanto catapecchia…»
    Yūji aiutò Junpei con la porta e questa si aprì con un cigolio sinistro.
    I due ragazzi non si scomposero. Yūji rischiarò l’ingresso con la torcia del cellulare e varcò la soglia con Megumi e Junpei subito dietro; Tsumiki, che entrò per ultima con Nobara a braccetto, seguì l’esempio di Itadori e lo aiutò a illuminare l’ambiente.
    «Non sembra tanto male» commentò Junpei.
    «Cerchiamo un interruttore e vediamo se la luce funziona» propose Megumi.
    Il gruppo si disperse, Junpei e Yūji a sinistra delle scale che portavano al secondo piano, Megumi, Tsumiki e Nobara a destra.







    «Ecco qui, vedi» disse Nobara, le braccia spalancate. «Lo scantinato! Ovvio!»
    «Ora» poi si rivolse a Tsumiki, «io manderei Megumi giù a controllare perché, sicuro, il primo che scende qui sotto ci rimane secco.»
    «Sono qui e ti sento, Kugisaki» disse lui.
    «Ma!» alzò l’indice, le labbra distese in un sorriso sornione, «siccome sono una buona amica scenderò con lui! A questo punto, però, anche tu dovresti venire con noi, Tsumiki, così nessuno resterà solo.»
    Tsumiki annuì pur essendo molto scettica riguardo le osservazioni dell’altra, il cellulare ancora stretto fra le dita. «Vi faccio luce.»







    «Secondo te ci sono i topi?»
    Non avevano parlato da quando erano rimasti soli. La domanda di Junpei, con quel tono di voce un po’ traballante, lo stupì.
    «Hai paura dei topi?»
    «Non proprio, ma hai presente il Collezionista di ossa
    A Yūji non ci volle molto per capire a quale scena si riferisse.
    «Ah, sì! Che schifo!» chiuse gli occhi e scosse la testa per tentare di scacciare l’immagine.
    «Insomma, spero non ci divorino nel sonno.»
    «Cercherò di restare sveglio» lo rassicurò Itadori. «Non ti toglierò gli occhi di dosso.»
    Yūji si rese conto dell’ambiguità di quella frase soltanto dopo averla pronunciata, ma si costrinse a fare finta di nulla. Junpei, dal canto suo, sentì le guance avvampare all’idea che potessero condividere la camera e che Yūji avrebbe vegliato su di lui per tutta la notte. Peccato che con loro ci sarebbe stato anche Megumi.
    D'un tratto, la luce si accese.
    Accecati dal bagliore improvviso, strizzarono gli occhi fino a che non si abituarono alla luce.
    Megumi e le ragazze li avevano appena raggiunti.
    «È più carina di quanto mi aspettassi» commentò Tsumiki.
    «Già» Yūji annuì soddisfatto nel constatare che gli interni erano piuttosto puliti.
    La casa era in ordine, un po’ spoglia, i mobili impolverati. Sarebbe bastato trovare una scopa e un panno per la polvere per renderla quasi accettabile.
    «È una fortuna che la luce funzioni» osservò Junpei. «Forse chi ci abitava se n’è andato da poco.»
    «Andiamo a controllare di sopra?» propose Yūji.
    Junpei esitò.
    Ora che ci pensava, la camera da letto avrebbe potuto essere soltanto una e forse avrebbero dovuto condividerla tutti insieme. No, non era realistico. Forse le ragazze avrebbero dormito sul divano che aveva intravisto nel salottino, quando erano ancora al buio.
    Il gruppo salì le scale.
    Al piano di sopra constatarono che anche l’acqua funzionava e che c’erano ben tre camere da letto: meglio di quanto si aspettassero.
    «Io e Tsumiki prendiamo quella matrimoniale!» annunciò felicemente Nobara, che ora mai pareva non rimpiangere più la comodità dell’albergo.
    «Io prendo questa» Megumi prenotò la più piccola.
    «Ooh! Ti voglio proprio vedere mentre dormi in quel lettino rosa!» Nobara rise di gusto, seguita a ruota da Itadori.
    In tutta risposta, Megumi entrò in camera chiudendole la porta in faccia.
    Junpei guardò Yūji senza dire una parola. Lui, ancora impegnato a ridere, nemmeno se ne accorse.






  ɴᴏᴛᴇ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ 
Eccomi qui con una piccola long per niente nelle mie corde… ma dopotutto non si dice che per crescere bisogna uscire dalla propria comfort zone?
Da tempo avevo questa idea di una storiella ambientata in una casetta abbandonata e se con i fandom a cui pensavo di adattarla mi sembravano azzeccatissimi l’horror e il giallo, con JJK mi è sembrato decisamente meglio optare per qualcosa di molto, molto stupido (forse perché il canon ha già fatto abbastanza in quanto a orrore per questi poveri cristi, no?)
E quindi eccomi qui!
In realtà volevo aspettare di concluderla prima di iniziare a pubblicarla, ma mi manca appena un capitolo e mezzo e, forse, un piccolo special come epilogo, e… non so, il mio cervello mi ha detto: “No, tu devi pubblicarlo oggi il primo capitolo!” e io eseguo sono stanca, capo.
Come potete vedere, i capitoli saranno piuttosto brevi. È una cosa super chill che io stessa ho scritto per rilassarmi e divertirmi un po’!
Le ship ovviamente sono sempre le stesse: ItaJun e MeguTsumi, ecco perché ho reso la povera Nobara, che è l’unica a non essere accompagnata, la degna protagonista di questa pazzia!
Dal prossimo capitolo pubblicherò di mercoledì, quindi ci vediamo il 21!
A presto

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Capitolo 2
*** 2. Pare che siano i fratelli Fushiguro ad avere pensieri impuri ***


2. Pare che siano i fratelli Fushiguro ad avere pensieri impuri
「──────────────────────────   ˗ˋˏ    ˎˊ˗   ──────────────────────────」







    Accertatosi che non vi fosse alcun telefono fisso all’interno della casa, il gruppo era uscito a recuperare i bagagli, rientrando poco prima che si scatenasse un’acquazzone.
    Dopo essersi sistemati nelle rispettive stanze, si erano riuniti come da accordi nel piccolo salotto, ognuno portando con sé qualche snack da condividere.
    Tsumiki, che da casa aveva portato soltanto del tè, cosa di cui si stava pentendo amaramente considerato che avrebbe dovuto scroccare il cibo degli altri, era scesa per prima e aveva messo a bollire dell’acqua, constatando con sollievo che anche il gas era funzionante.
    Quando aveva portato tazze e teiera in salotto, aveva trovato il gruppo impegnato in una discussione animata, la televisione accesa.
    «Non voglio vedere budella che schizzano da tutte le parti!» protestò Nobara.
    «Ma sarà divertente!» ribatté Yūji.
    Intanto Junpei trafficava con alcune chiavette USB di diversi colori. Aveva detto loro che avrebbe portato qualche film e Tsumiki aveva pensato che in vacanza non avrebbero avuto molto tempo per vederli, ma ora, in quella vecchia casetta persa nel nulla, un po’ di sano intrattenimento si sarebbe rivelato provvidenziale per passare il tempo. Più ci pensava, più quella situazione le pareva assurda.
    «Megumi?» domandò a vuoto, perché gli altri tre continuarono a discutere, ignorandola.
    Poggiò il vassoio sul tavolino a sinistra del divano e imboccò le scale, diretta al piano superiore.
    Quando arrivò alla porta del fratello bussò piano, restando in attesa.
    Nessuna risposta.
    Bussò più forte e appena qualche istante dopo vide la maniglia abbassarsi con lentezza esasperante, quasi costasse una fatica tremenda aprire quella porta.
    Megumi non disse nulla, limitandosi a rivolgerle uno sguardo indifferente.
    «Stiamo per vedere un film» gli disse, «non fare l’asociale.»
    «Non rompere, Tsumiki.»
    Megumi chiuse la porta, o per lo meno ci provò, perché Tsumiki aveva già anticipato la sua mossa mettendo un piede oltre la soglia, mossa che le aveva permesso di sventare il suo tentativo di fuga.
    «Diciannove anni e fai ancora il bambino» si lamentò lei. «Avanti, è solo un film…»
    Le sue labbra si contrassero in un broncio. «Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu» borbottò subito dopo, le guance leggermente gonfie.
    Megumi sbuffò, spalancando nuovamente la porta.
    «A me la bambina sembri tu» commentò con un sospiro.
    Afferrò un pacchetto di salatini che aveva poggiato su un vecchio mobile accanto alla porta e la raggiunse in corridoio.







    Quando i fratelli Fushiguro scesero al piano di sotto, Junpei era impegnato a scorrere le icone dei film sullo schermo del televisore.
    «Questo qui parla di un gruppo di amici che si riunisce in una vecchia casa. Una di loro viene posseduta e comincia ad ammazzare gli altri… mi sembra adatto alla situazione, no?» Junpei rivolse un sorrisetto a Nobara.
    «Stronzo!»
    «Io ci sto!» Yūji si lasciò cadere sul divano, occupando l’ultimo posto a sinistra. Megumi non disse nulla ma fece lo stesso, sistemandosi all’estremità opposta.
    «Okay» seppur titubante, Tsumiki prese posto accanto al fratello e batté la mano sul divano per esortare Nobara a raggiungerla.
    L’amica le rivolse un’occhiata che trasudava: “Non farmi questo!”, ma si rassegnò e si sedette accanto a lei con un sospiro.
    Junpei sorrise vedendoli tutti sistemati, quindi spense la luce, prese posto fra Nobara e Yūji e avviò il film.







    Non era stato poi così male, alla fine. Anzi, superata la morte del primo personaggio, a Nobara era perfino piaciuto.
    «Volete guardarne un altro?» propose Itadori.
    «Io sono un po’ stanca» Tsumiki cominciava a risentire della sveglia all’alba e delle cinque ore di guida.
    «Anche io» si accodò Nobara, che pur avendo cambiato idea sullo splatter non era certa sarebbe riuscita a reggerne due di fila.
    «O forse hai solo paura» la stuzzicò Junpei.
    In tutta risposta, lei gli infilò una patatina nella maglietta, sogghignando divertita non appena lo vide dimenarsi.
    Il crack della patatina non tardò ad arrivare e Junpei si ritrovò a sollevare appena la maglietta, scuotendola energicamente per sbarazzarsi delle briciole.
    «Va bene» disse lanciando un’occhiataccia alla sua carnefice, «allora andiamo a dormire.»
    Stava per alzarsi quando Nobara, di punto in bianco, disse qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
    «Non scopate, per favore.»
    Come Junpei, anche gli altri si pietrificarono sul posto.
    «Nobara, ma che… che dici?» la voce di Tsumiki tremò appena per l’imbarazzo.
    «Mi riferisco ai due alla mia sinistra» si rivolse a Yūji e Junpei. «Seriamente, Tsumi, non la senti la tensione sessuale fra questi due?»
    «C-che?» Junpei si sentì avvampare. «Perché mai dovremmo? Non stiamo mica insieme!»
    «A me piacciono le ragazze» Yūji si affacciò alla ricerca dello sguardo di Nobara, volendosi accertare che lo avesse sentito.
    «Mh…» Nobara rivolse una rapida occhiata alla sua destra, poi tornò a guardare Yūji e Junpei, un sorrisetto divertito dipinto sul volto. «Io parlavo di voi due, ma pare che siano i fratelli Fushiguro ad avere pensieri impuri.»
    «Cosa…?!» saltò su Tsumiki. «Nobara, che dici?!»
    «Non mi sembra proprio…» mormorò Yūji, sbalordito da quel bizzarro risvolto.
    «Guardate come si tocca la faccia Tsumiki» Nobara sogghignò, assestando una gomitata all’amica, «tutta nervosa e imbarazzata!
    «E prima Fushiguro si è sfiorato il naso per un attimo» aggiunse subito dopo.
    Megumi la incenerì con lo sguardo.
    «Non mi è sfuggito mica» Nobara gli mostrò i denti in un sorriso trionfante.
    «Esco a prendere una boccata d’aria.»
    Seccato da quelle insinuazioni, decise di dileguarsi immediatamente, scattante ed evanescente come un gatto.
    «Anche io.»
    Junpei lo seguì a ruota.
    Nobara, Yūji e Tsumiki restarono seduti in silenzio. La prima sembrava riflettere su qualcosa, mentre Yūji era visibilmente confuso e Tsumiki alquanto imbarazzata.
    «Ma certo!» Kugisaki si batté il pugno destro sul palmo sinistro. «Sì! Megumi e Junpei!»
    «Megumi e Junpei cosa?!»
    Sobbalzò a quella replica istantanea, quasi all’unisono, da parte degli altri due.
    «Umh…» soppesò le parole per paura di scatenare una nuova reazione, poi, quando osservò bene gli sguardi che Yūji e Tsumiki le tenevano puntati addosso, ebbe una nuova, folgorante, rivelazione.
    «Ma certo! Ora ho capito tutto!»







    «Tesoro, per solidarietà femminile ti dico: sì! Okay, scopati Junpei!»
    Tsumiki si pietrificò nel bel mezzo del corridoio. Guardò l’amica con gli occhi sgranati, le labbra appena dischiuse, ma era talmente confusa e imbarazzata che non riuscì a parlare.
    «Però che non vi venga in mente di farlo nel nostro letto.»
    Che situazione assurda.
    «Trovate un posticino carino in questa catapecchia e dateci dentro» Nobara le sorrise alzando il pollice, come a volerle dare la propria benedizione. «Occhio però a non finire come tante coppiette degli horror» rise.
    Tsumiki boccheggiò. Stava finalmente per dire qualcosa, ma l’amica la precedette.
    «Povero Yūji!» sospirò. «A lui sì che è andata male.»
    «Pe—» Tsumiki aggrottò appena la fronte, destabilizzata dal suono roco della sua voce: l’imbarazzo le aveva asciugato la gola. Se la schiarì. «Perché?»
    «Oh, non te ne sei accorta?» Nobara sembrava stupita. «Appena ho parlato di Fushiguro e Junpei siete scattati, è ovvio che siete gelosi. E Yūji è geloso di tuo fratello.»
    Tsumiki non sapeva cosa risponderle, ma le sue labbra si dischiusero ugualmente in un fremito.
    «Come si fa a provarci con Fushiguro? Se ci pensi, Junpei è molto più avvicinabile!
    Che hobby ha tuo fratello oltre ad avere la faccia appesa tutto il giorno?» Nobara si tirò le palpebre verso il basso, scimmiottando l’espressione abbattuta di Megumi.
    Tsumiki distese le labbra in un sorriso nervoso. Quell’imitazione l’avrebbe trovata davvero molto divertente se non fosse stata così turbata dall’insinuazione di Nobara sui sentimenti di Itadori per suo fratello.







    «Fushiguro?»
    Quando si voltò, Megumi si ritrovò il viso di Yoshino a un palmo dal naso.
    Aggrottò la fronte, infastidito dallo sguardo ostile dell’altro.
    «Ti piace Yūji?»
    L’irritazione lasciò il posto allo stupore, tanto che appena qualche istante dopo sentì i muscoli del viso distendersi, le sopracciglia appena inarcate.
    «Non vi avrei lasciati in camera insieme se così fosse» rispose sostenendo lo sguardo dell’altro. «E poi come puoi pensare che mi piaccia uno scemo del genere?»
    L’espressione di Junpei si ammorbidì: Fushiguro sembrava sincero.
    Non riuscì a reprimere un sospiro di sollievo, ma fortunatamente Megumi sembrò non farci caso, anzi gli voltò subito le spalle annunciando che sarebbe rientrato.
    Rimasto solo, Junpei si soffermò a osservare le nuvole rischiarate dalla luce opalescente della luna, lo scintillio dell’acqua sull’erba.
    Quello stesso scintillio lo intercettò appena sopra la sua spalla destra, quando si ritrovò una lattina rossa sospesa a qualche centimetro dalla faccia.
    «Stai bene?»
    Il sorriso largo e luminoso di Yūji gli fece perdere un battito.
    Junpei lo ricambiò con un timido fremito delle labbra, per poi annuire e afferrare la lattina.
    «Ora va meglio, sì.»







    Megumi non riusciva a togliersi dalla testa quanto detto da Nobara. Lui, che le era seduto accanto e la stava guardando, lo sapeva meglio di chiunque altro: Tsumiki aveva avuto una reazione fin troppo imbarazzata e quel continuo movimento delle mani gli faceva sospettare che avesse davvero qualcosa da nascondere.
    Proprio in quel momento, lei uscì dal bagno. Megumi capì fin da subito dallo sguardo che gli rivolse che era arrabbiata.
    «Ho fatto qualcosa?»
    Tsumiki sembrò sorpresa e Megumi non ebbe difficoltà a capirne il motivo.
    Aveva l’abitudine di ignorare le espressioni della sorella, felici o tristi che fossero, perciò doveva sembrarle strano che si fosse interessato a lei di punto in bianco. Angosciato dalle insinuazioni di Nobara, non era proprio riuscito a tenere a freno la lingua.
    «No, non hai fatto niente.»
    Non era esattamente la persona più empatica al mondo, ma il tono secco con cui Tsumiki gli si era rivolta avrebbe reso evidente anche ai sassi che, sì, in realtà aveva fatto sicuramente qualcosa che non doveva fare. Solo, doveva capire cosa.
    «Sei incazzata nera» la pungolò.
    «Non sono arrabbiata» ribatté lei.
    Megumi ripensò di nuovo a come si era imbarazzata quando Nobara aveva insistito sul fatto che avesse “pensieri impuri”. Increspò la fronte, nervoso, ma riuscì a mantenere un’espressione abbastanza piatta da non insospettire la sorella.
    «Tsumiki…» che schifo. Non poteva credere di essere sul punto di dirlo, ma era il modo più rapido per capirci qualcosa… «Se ti piace Itado—»
    «Beh, a te piace Junpei» lo interruppe lei, spiazzandolo.
    «Quindi che vuoi da me?» continuò Tsumiki, puntandogli il dito.
    «Non puntarmi il dito, Tsumiki» odiava quando lo faceva e lei lo sapeva, infatti continuò a muovere il dito avanti e indietro.
    «Tsumiki!»
    Quando finalmente si decise ad abbassarlo, Megumi parlò di nuovo, indispettito all’idea che avesse sorvolato riguardo a Itadori.
    «Si può sapere perché siete tutti convinti che io sia gay?»
    «Non lo so» Tsumiki chiuse la porta del bagno con un tonfo, passandogli accanto in tutta fretta. «Saranno le ciglia da cerbiatto.»
    Megumi rimase fermo nel bel mezzo del corridoio, guardandola andare via.
    «Eh?»






  ɴᴏᴛᴇ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ 
Qui solo per dire che la scorsa settimana ho terminato la long, quindi a meno che io non finisca intrappolata in qualche metropolitana invasa dalle maledizioni ne vedrete certamente la conclusione!
Piccolo fun fact: quando ho scritto questo capitolo ero fresca di maratone di film horror su YouTube (cosa che probabilmente ha influenzato le premesse di questa storia), proprio lì avevo visto il film citato da Junpei… peccato lo avessero già tolto quando l’ho cercato perché non ricordavo il titolo… e infatti ho bellamente sorvolato su come si chiami ahah! (magari qualcuno di voi lo sa: questi tizi a un certo punto si sfidano a chiudersi in bagno e a dire tre volte allo specchio “Bloody Mary”, così facendo una di loro viene posseduta). Ho provato a cercare online ma, per quanto abbia trovato delle trame simili, gli attori erano completamente diversi, a tal punto che a una certa mi son detta che forse avevo sognato tutto…
Vi segnalo che il terzo capitolo sarà pubblicato eccezionalmente giovedì 29, ma dal quarto in poi prometto che si tornerà all’appuntamento del mercoledì!
Sperando che questo ammasso di cavolate abbia allietato la vostra giornata, vi saluto

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Capitolo 3
*** 3. Hamburger, tramonti, locandine di film… nemmeno un paio di tette ***


3. Hamburger, tramonti, locandine di film… nemmeno un paio di tette
「──────────────────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ────────────────────────────────」







    Quando scese in cucina, Junpei vi trovò soltanto Megumi, intento a versare del caffè in una tazzina sbeccata; meglio così vista la domanda che aveva sulla punta della lingua, perché se ci fosse stata anche Nobara l’avrebbe senz’altro trasformato in oggetto di conversazione.
    «Hai visto Yūji?»
    Megumi sollevò lo sguardo dal caffè, due aloni scuri sotto gli occhi. «No. Te l’ho già detto, non me ne frega nulla di Itadori.»
    «Non…» Junpei abbassò la voce e si guardò intorno per assicurarsi che fossero ancora soli, «non è per quello.»
    Megumi non rispose e tornò a specchiarsi nel minuscolo cerchio nero del caffè con aria mesta.
    «Ma hai dormito stanotte?»
    «Non molto» rispose stringendosi nelle spalle, «quel letto è davvero scomodo...»
    «Buongiorno splendori!»
    Junpei, che stava aprendo la credenza in cerca di cibo, trasalì al grido di Nobara. Megumi, invece, si limitò a sorbire il caffè senza degnarla di uno sguardo.
    «Mhh… che strano…» borbottò la ragazza.
    «Che?» seppur titubante, Yoshino si sentì in dovere di risponderle visto che Fushiguro continuava a ignorarla.
    «Oh, nulla, pensavo che Tsumiki fosse qui con voi.»
    Megumi poggiò la tazzina con ben poca delicatezza, producendo un tonfo sordo contro la superficie del tavolo. «Non era in camera con te?»
    Nobara negò con un cenno del capo. «E nemmeno in bagno.»
    «Anche Yūji─» le parole di Junpei persero subito slancio. Si interruppe da solo, aggrottando la fronte con un certo fastidio.
    Anche Megumi non riuscì a reprimere un’espressione colma di disappunto.
    «Anche Yūji?» fece eco Nobara, poi sorrise maliziosa, portandosi la mano alle labbra. «Oooh! Alla fine è Yūji quello che le piace!»
    Junpei e Megumi la maledissero mentalmente. Megumi, in particolare, si dispiacque di aver finito il caffè, perché altrimenti non avrebbe esitato a lanciarglielo addosso per zittirla. Poteva usare la tazzina, chissà, forse se avesse mirato il punto giusto l’avrebbe messa a tacere per sempre.
    «Voi dite che sono ancora in casa?» Nobara continuò a voce più bassa, sogghignando eccitata. «E se fossero andati a farlo in macchina?!»
    «Kugisaki…!» Fushiguro strinse i denti in una smorfia, nel vano tentativo di reprimere la propria frustrazione.
    «Buongiorno a tutti!»
    Proprio in quel momento, Yūji si affacciò in cucina, irrigidendosi sulla soglia non appena si ritrovò bersagliato dalle espressioni furiose di Junpei e Megumi e dal sorriso a trentadue denti di Nobara. «Che succede?»
    «Dov’è mia sorella?»
    «Qui» la testa di Tsumiki fece capolino oltre la spalla di Itadori, rinforzando le convinzioni di Nobara.
    «Dove… dove eravate?» domandò Junpei.
    «Sì, dove eravate?» ripeté Nobara aggrappandosi alle spalle di Yūji senza smettere di sorridere.
    «Ha bevuto?» vedendo l’amica così su di giri, Tsumiki preferì rivolgersi agli altri.
    «Abbiamo fatto un giro qui nei dintorni» spiegò Yūji con un candore disarmante; aveva già estratto il cellulare dalla tasca dei pantaloni e stava mostrando loro una foto delle sterpaglie vicino alla casa.
    Nobara gli strappò il telefono di mano e cominciò a scorrere le foto in galleria.
    «Che schifo di posto!» si lagnò. «Non c’è proprio nulla, qui!»
    «Già» le diede ragione Tsumiki, «in più di mezz’ora di cammino non abbiano incontrato nessuno e sulla strada non è passata neanche una macchina.»
    Megumi aveva osservato Tsumiki per tutto il tempo e siccome gli era sembrata sincera decise di fidarsi e di raggiungere Nobara per dare un’occhiata alle foto scattate da Itadori.
    «Scusami, Junpei» nel frattempo Yūji si era avvicinato all’amico, che per quanto apprezzasse le scuse non riuscì proprio a non rivolgergli uno sguardo accigliato.
    «Sei arrabbiato?» continuò con un mezzo sorriso a increspargli le labbra. «Mi dispiace, eri così carino mentre dormivi… non volevo svegliarti.»
    A Junpei mancò il respiro. Sentì una vampata di calore affluirgli alle guance, ma fortunatamente fu Yūji stesso a spazzare via l’imbarazzo. «A proposito, questo è per te!»
    Con espressione entusiasta, Itadori fece ruotare una piccola pietra bianca fra le dita, così da metterne in mostra i lati scintillanti. «È un minerale, no?»
    Junpei sorrise prendendo la pietra, fredda e liscia al tocco: era stato lui a insegnargli a riconoscerli. «È davvero bello…» ammise dopo averlo osservato per un po’.
    In fin dei conti poteva perdonarlo. Gli porse il dorayaki che aveva conservato per lui e finalmente si decise a scartare il suo, così avrebbero fatto colazione insieme.
    «Kugisaki sta guardando tutte le tue foto» lo avvertì Megumi in tono monocorde.
    «Spione!» lo punzecchiò Nobara.
    «Fa niente» Yūji sorrise divertito.
    «Beh certo» Nobara sbuffò annoiata, «hamburger, tramonti, locandine di film… nemmeno un paio di tette, la galleria più noiosa che abbia mai visto!
    «Beh» si corresse con un sorrisetto malizioso, «perché non ho ancora visto quella di Fushiguro, lui di sicuro ti batte, ci saranno solo rane, bleah!»
    «Stai zitta» ribatté subito Megumi, il pezzo colorato di un involucro fra le dita. Chi prima e chi dopo, avevano già notato tutti quel frammento di plastica sul tavolo, ma nessuno si era posto domande a riguardo.
    «Sentite, ieri sera abbiamo lasciato i salatini sul divano» cominciò Megumi, «quando mi sono alzato questa mattina era rimasto solo questo» lo sventolò per assicurarsi di avere la loro attenzione. «Il sacchetto è sparito, per questa volta ci passerò sopra, ma che non si ripeta più» continuò, «non sappiamo per quanto tempo dovremmo restare qui, a quanto sembra non c’è nulla nel raggio di chilometri e le provviste sono limitate.»
    «Io e Nobara non ci siamo mosse» rispose Tsumiki.
    «Non sospetto di voi, ma di Itadori.»
    «Eh? Io?!»
    «Sei quello che mangia più di tutti qui.»
    «Ma nemmeno io e Yūji ci siamo mossi» confermò Junpei.
    «Non potrebbe essere stato un topo?» ipotizzò Itadori mentre Kugisaki gli restituiva il cellulare.
    «E si è portato via tutto il sacchetto?» ribatté Megumi, sospettoso.
    «A pensarci bene...» Junpei intervenne con aria pensierosa, «ho sentito dei rumori strani durante la notte.»
    Fra i presenti calò un silenzio inquieto. Quella vecchia casa abbandonata in mezzo al nulla li rendeva suggestionabili, tanto che il topo che Itadori aveva plasmato nella loro mente cominciò a mutare forma, assumendo contorni decisamente più mostruosi.
    «Ci sono molti boschi qui intorno» avendo intuito l’atmosfera, Tsumiki cercò di aggiustare il tiro, «non è impossibile che si tratti di un animale, dovremmo controllare meglio in casa, magari c’è un buco da cui è entrato.»
    Di nuovo silenzio.
    «Ci dividiamo e andiamo a controllare?»
    Per una volta furono tutti d’accordo con la proposta di Nobara.







    A consolare Junpei c’era solo l’idea che insieme a Yūji e Tsumiki ci fosse anche Megumi. A lui era toccata Nobara, o meglio era stata lei a prenderlo a braccetto e trascinarlo fuori mentre gli altri tre si dirigevano in soffitta, posto in cui lei, ci aveva tenuto a gridarlo a gran voce, non avrebbe messo piede per nulla al mondo.
    Junpei sospirò nell’aria fredda del mattino mentre seguiva con lo sguardo l’amica, intenta a esaminare il perimetro della casa.
    «Cosa ne pensi?» chiese lei.
    «Mi sembra tutto a posto» rispose con disinteresse.
    «Questo lo vedo anche io» Kugisaki si inginocchiò a osservare un angolo, sfiorando la parete con un dito. «Parlo di Yūji e Tsumiki.»
    Junpei si sentì mancare: possibile che un solo giorno di astinenza dal gossip la rendesse così ossessiva?
    «Oh» guardò il cielo cercando di apparire il più disinteressato possibile, «non penso niente.»
    Nobara si raddrizzò, sfregandosi le mani per ripulirle dalla polvere.
    «Beh, io sarei davvero contenta per Tsumi.»
    Junpei aggrottò la fronte, irritato da quelle parole, ma per fortuna Nobara continuò a rivolgere la propria attenzione ai dintorni della casa.
    «Yūji non è il mio tipo, ma è decisamente un bravo ragazzo. E anche Tsumi lo è. Sono due green flag viventi.»
    «Mi sembra tutto in ordine, possiamo rientrare?» Yoshino non voleva ascoltare quel discorso.
    «E poi lei è decisamente il suo tipo!» Nobara sollevò l’indice con un sorriso trionfante stampato in volto, compiacendosi di aver trovato un ulteriore punto a favore della causa.
    Certo che era il suo tipo, pensò acidamente Junpei: era una donna!
    «Alta col culone, giusto?» Nobara lo guardò.
    «Cosa?» sapeva esattamente a cosa si riferiva, aveva perso il conto di quante volte Yūji lo aveva ribadito, ma decise di fare finta di nulla.
    «Tsumiki» rispose Nobara. «È la sua ragazza ideale.»
    Junpei guardò di nuovo il cielo, un refolo di vento a scompigliargli i capelli: lo sapeva meglio di chiunque altro. Dopotutto quella consapevolezza lo aveva divorato per anni, ogni singolo giorno.

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Capitolo 4
*** 4. Lo sapevo che non dovevo dormire fino a tardi! ***


4. Lo sapevo che non dovevo dormire fino a tardi!
「───────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────────────」







    «E anche oggi nulla» sospirò Tsumiki sulla strada del ritorno.
    Anche quel giorno lei e Yūji si erano svegliati molto prima degli altri e, siccome nessuno dei due aveva intenzione di stare con le mani in mano in quella situazione, dopo la colazione avevano deciso di tentare nuovamente la fortuna lungo i sentieri sterrati paralleli alla strada asfaltata.
    Questa volta si erano spinti qualche chilometro più in là, ma gli arbusti e gli alberi erano aumentati a dismisura, rendendo impossibile vedere la strada da un certo punto in poi. Comunque non avevano udito alcun rumore riconducibile a presenza umana: non il rombo di un’auto, non una voce, non un chiocciare o un muggire che potesse suggerire la presenza di una fattoria nelle vicinanze.
    «Credi che si arrabbieranno?» domandò Tsumiki dopo aver superato un albero caduto: quella preoccupazione le ronzava in testa da quando avevano deciso di uscire, ma era aumentata sulla strada del ritorno, che sembrava infinita.
    «Perché dovrebbero?» Itadori era qualche passo dietro di lei e osservava con attenzione gli alberi, illudendosi che da un momento all’altro avrebbe individuato una persona in mezzo alla vegetazione.
    «Siamo stati fuori parecchio» rispose lei, «già ieri non sembravano molto contenti della cosa...»
    «Immagino fossero preoccupati.»
    Tsumiki si fermò e guardò Yūji con espressione sorpresa.
    «Qualcosa non va?» le domandò lui.
    La ragazza si morse il labbro inferiore cercando di trattenere i propri pensieri: quanto era ingenuo, Itadori? Non si era accorto di Junpei?
    «Nulla» mormorò lei, per poi voltargli le spalle decisa a riprendere il cammino.
    «Oh, a proposito, Tsumiki…
    «Tu sei single, giusto?»
    Tsumiki arrestò subito il passo. Si pietrificò, lo sguardo rivolto al lungo sentiero che ancora li separava dagli altri.
    Si fidava ciecamente di Itadori. Più volte aveva dato prova di essere un ragazzo d’oro, se lei e suo fratello avevano bisogno di aiuto era sempre in prima fila, era un amico fidato. Ecco perché per lei quella domanda così intima e personale fu una doccia fredda.
    Perché voleva sapere se stava con qualcuno? Lei gli piaceva? Eppure non c’era mai stato nulla che le avesse fatto presagire un interesse romantico nei suoi confronti...
    Era così bravo a nasconderlo? O forse a mascherarlo era stato proprio il suo essere un ragazzo d’oro? In effetti lo aveva visto interagire anche con altre ragazze e con tutte, lei compresa, era sempre stato molto cordiale e rispettoso.
    Non si era ancora voltata quando lui parlò di nuovo.
    «Scusa, colpa di Nobara.»
    Colpa di Nobara? Che le sue insinuazioni avessero dato a Yūji la spinta per una confessione? Ora a causa sua avrebbe dovuto spezzare il cuore a Itadori e attirare su di sé altro astio da parte di Yoshino.
    «Non preoccuparti» si voltò a guardarlo e decise di essere sincera, «è che… non mi aspettavo questa domanda da parte tua.»
    «Neanche io pensavo di fartela» Itadori sorrise affabile, «è che Nobara mi ha fatto pensare.»
    «Pensare… pensare che…?» a Tsumiki tremò la voce.
    «Che una come te non abbia ancora il ragazzo.»
    «Beh, mi piace qualcuno» si affrettò a dire lei a scanso di equivoci.
    «Oh!» Yūji sembrò più sorpreso che dispiaciuto. Addirittura allegro quando le sorrise.
    Tsumiki sbatté le palpebre a più riprese, confusa.
    «E lui?»
    «Lui?» la ragazza guardò a terra, un fremito sulle labbra. «Lui non lo saprà mai.»
    «Hai paura che non ricambi?» Itadori l’aveva raggiunta, ma non si era fermato, anzi l’aveva superata. Lo reputò un buon segno. Se lei avesse voluto spingere il ragazzo che le piaceva a una confessione si sarebbe fermata di fronte a lui per guardarlo negli occhi, di certo non gli avrebbe dato le spalle per continuare la conversazione passeggiando come se nulla fosse.
    «Ho pensato ti volessi proporre, sai?» scherzò sollevata.
    Itadori la guardò stupito, poi rise. «Volevo solo dire che è strano tu non abbia un ragazzo, hai tante qualità, perciò mi chiedevo come mai.»
    Non lo aveva detto nemmeno alle amiche, perciò non avrebbe mai pensato di confidarsi con Yūji. Nonostante le avesse tirato fuori quell’ammissione con le pinze, si sentiva già più leggera: sapere che sarebbe stato lui il custode del suo segreto era un sollievo.
    «Non è questione di essere rifiutata» riprese lei. «È che non posso proprio dirglielo, non avrebbe senso.»
    «Vive lontano?»
    Tsumiki negò con un lieve cenno del capo.
    «Non posso proprio dirglielo, Yūji» distese le labbra in un sorriso amaro. «Ma va bene così. Mi sono arresa da tempo. In ogni caso mi rifiuterebbe.»
    «Allora scusami se te lo dico, ma è un vero cretino» commentò candidamente Yūji, sollevandole il morale.







    Avevano saltato la colazione ed erano usciti nella speranza che l’aria fredda del mattino li rendesse più lucidi. Si erano seduti vicini nel retro del giardino ed era stato allora che Megumi lo aveva spiazzato.
    «Visto che ti piace Itadori e siete in camera da soli perché non ne approfitti?»
    Junpei lo guardò a occhi sgranati, non perché fosse sorpreso di essere stato scoperto — dopotutto era piuttosto evidente che gli piacesse Yūji, solo il diretto interessato sembrava non accorgersene — ma perché mai si sarebbe aspettato una domanda così diretta e tanto confidenziale da parte di Fushiguro, con cui aveva sempre avuto un rapporto di circostanza. Per entrambi erano l’amico di un amico, nulla di più.
    «Fushiguro, ti dimentichi una cosa» Junpei sorrise nervosamente.
    «Che?»
    «Non ho la vagina.»
    «Oh» Megumi guardò davanti a sé e sembrò pensarci su. «Dici così perché quel cretino non fa altro che ribadire che gli piacciono le donne? Non lo sai, Yoshino, che la prima gallina che canta ha fatto l’uovo?»
    «Mi stai spaventando, Fushiguro...»
    «Dico solo che ci tiene un po’ troppo a far sapere a tutti che gli piacciono le ragazze, eppure non l’ho mai visto fidanzato. Non mi sembra un brutto ragazzo, è anche gentile, quindi perché?»
    «No, non è per niente un brutto ragazzo» ci tenne a ribadire Junpei; ripensò all’esatate scorsa, quando si era tolto la maglietta davanti a lui, e si ritrovò a deglutire.
    «Yoshino?»
    «Scusa» aggrottò la fronte a occhi chiusi, poi si battè le mani sulle guance per tornare a pensare lucidamente. «Scusa, scusa.
    Non voglio rovinare la nostra amicizia...» aggiunse quando il suo cervello tornò a pensare a qualcosa di diverso dal fisico statuario di Itadori.
    «È il mio migliore amico, se per una confessione smettesse di volermi bene mi… mi distruggerebbe.»
    Fushiguro, che lo stava guardando, si sorprese di ritrovarsi in quelle parole. Calzavano perfettamente anche a lui.
    Distolse lo sguardo, sfiatando dalle narici. «Beh, in ogni caso vorrei che stesse lontano da mia sorella» esordì dopo qualche istante di silenzio. «Quindi sappi che sono dalla tua parte.»
    «Ci ho pensato» ribatté Junpei, «non sarebbe così male se si mettesse con tua sorella.»
    Megumi lo incenerì con lo sguardo.
    «Sono due “green flag”» sorrise amaramente Junpei.
    «Non ripetere le idiozie di Kugisaki» lo ammonì Megumi.
    «Però è vero» il sorriso di Yoshino si fece più teso. «Preferirei saperlo con una persona gentile come tua sorella piuttosto che con una sconosciuta...»
    Megumi si ritrovò di nuovo a guardarlo, ma questa volta non empatizzò. Restò a fissarlo con la fronte aggrottata, lo sguardo accigliato, ammettendo a se stesso che Nobara aveva ragione: Itadori e quella scema di sua sorella erano due cuori d’oro che insieme sarebbero andati d’amore e d’accordo. Lui l’avrebbe resa felice.
    «E poi è il suo tipo.»
    «Tsumiki non è il suo tipo.»
    «È alta e ha il culo grosso.»
    «Tsumiki non ha il culo grosso» il suo sguardo si accigliò ulteriormente.
    «Non lo intendo come un’offesa» si affrettò Junpei. «Comunque, al di là delle osservazioni di Nobara, penso che lei gli piaccia davvero.»
    «No.»
    «Sì» ora era Junpei a guardarlo. «Non vedi? Chiacchierano spesso insieme e se possono si appartano, queste passeggiate da soli vorranno pur dire qualcosa...»
    La mandibola di Fushiguro si deformò.
    Proprio in quel momento, la testa di Yūji fece capolino dietro a un arbusto e Megumi scattò in piedi, dirigendosi verso di lui.
    Junpei ebbe un presentimento orribile e lo seguì a passo spedito, chiamandolo nella speranza di fermarlo.
    «Itadori, dobbiamo parlare.»
    Era già tardi.
    Tsumiki cercò subito di fermarlo. «Megumi, siamo andati a cercare qualcuno che potesse aiutarci, calma—»
    «Ti piace mia sorella?» ma Fushiguro la ignorò, rivolgendosi nuovamente a Itadori.
    Yūji esitò, confuso da quella domanda improvvisa.
    «Beh, è carina.»
    Megumi lo prese per il colletto.
    Junpei agì d’istinto e si aggrappò alle spalle di Fushiguro, trovando subito anche Tsumiki. Lo tirarono indietro, ma non servì a nulla.
    «È carina ma non è il mio tipo» continuò Itadori con le mani sollevate in segno di resa. «Fushiguro, che ti prende?»
    «Megumi, smettila immediatamente» la richiesta di Tsumiki non ammetteva repliche. Megumi lasciò Yūji, arretrando lentamente.
    «Andiamo» ora era Tsumiki a tenere Megumi per il colletto. Quando lo trascinò dentro casa la sentirono chiedergli cosa diavolo gli fosse saltato in mente.
    «Stai bene?» domandò Junpei non appena lui e Yūji furono da soli.
    Yūji si passò le mani sulla giacca, annuendo.
    «Mi dispiace, Yūji, è colpa mia.»
    «Come colpa tua?»
    «Gli ho detto che probabilmente ti piace Tsumiki...»
    Yūji sbatté le palpebre, stupito. «Non mi piace Tsumiki.»
    Il cuore di Junpei saltò un battito, tuttavia cercò di mostrarsi indifferente a quella confessione inaspettata.







    Sentendo quel chiasso, Nobara aveva fatto appena in tempo ad affacciarsi alla finestra per vedere Tsumiki che trascinava via Megumi. Junpei si stava avvicinando a Yūji, intento a passarsi le mani sulla giacca con aria stranita.
    Doveva essere successo qualcosa fra Itadori e Fushiguro.
    Nobara aprì l’infisso per domandare loro cosa fosse accaduto, fu allora che sentì distintamente la parola: “rissa”.
    Spalancò la bocca, espirò a fondo, richiuse la finestra e lasciò andare un urlo silenzioso.
    “Rissa!!”
    Si era persa una rissa! Fra Itadori e Fushiguro, vero?! Ma per quale motivo? Per una ragazza, forse? Per Tsumiki?!
    Si tirò i capelli, i denti serrati per la frustrazione.
    «Ahh! Maledizione! Lo sapevo che non dovevo dormire fino a tardi!»



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Capitolo 5
*** 5. Non me ne frega nulla della tua prostata! Deve asciugarsi l’olio di argan! ***


5. Non me ne frega nulla della tua prostata! Deve asciugarsi l’olio di argan!
「────────────────────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ──────────────────────────────────」







    Junpei si accodò a Megumi prorompendo in uno sbuffo. «C’è Nobara dentro, vero?»
    «Sì» Fushiguro non si scompose. Rispose a denti stretti guardando davanti a sé, come se fissare in continuazione la porta potesse servire a debellare più in fretta la fastidiosa entità che abitava il bagno da chissà quanto.
    «Adesso ha deciso di alzarsi prima di tutti “per non perdersi nulla”» continuò Megumi, per poi tirare due sonori pugni alla porta, «così passa ore in bagno per la sua maledetta skin care e gli altri devono pisciarsi addosso!»
    «Sta’ zitto, Fushiguro!» la voce ovattata di Nobara non tardò a rispondere. «Non me ne frega nulla della tua prostata! Deve asciugarsi l’olio di argan!»
    «Kugisaki, quando esci di lì l’olio te lo faccio bere.»
    «Beh, spero che Yūji sia riuscito ad andare in bagno prima di lei…» mormorò Junpei.
    «Itadori è sveglio?»
    «Sì» Junpei capì il senso della domanda appena qualche istante più tardi. «Anche Tsumiki?»
    Fushiguro annuì: anche se Itadori gli era sembrato sincero non aveva ancora abbassato del tutto la guardia.
    Tsumiki era uscita dal bagno poco dopo il suo arrivo, con Nobara che profetizzava che le sarebbero venute le rughe a trent’anni se non avesse cominciato anche lei a imbottirsi la pelle di creme. Fortunatamente Tsumiki era totalmente indifferente a quella pratica infernale e si era limitata a salutare lui, ignorando le proteste dell’amica.
    Era difficile fare una stima di quanto tempo avesse trascorso davanti alla porta chiusa del bagno, ma era certo che fosse abbastanza. Probabilmente Yūji e Tsumiki stavano già facendo colazione, di nuovo soli. Il pensiero cominciò a renderlo nervoso.
    «Ti tengo il posto.»
    Megumi si sentì improvvisamente più leggero, come se Junpei gli avesse appena tolto un enorme peso dalle spalle.
    Lo guardò di sbieco, valutando la situazione: non avevano molta confidenza loro due, ma era evidente che Yoshino lo capisse più di chiunque altro lì dentro.
    Tornò a guardare la porta, un “no, grazie” appeso alle labbra: voleva fidarsi di sua sorella e perfino di Itadori, quelle paranoie, in fin dei conti, non facevano altro che complicargli le giornate.
    Sospirò abbassando le spalle quando capì che non ce l’avrebbe fatta a resistere. Ringraziò Yoshino e si diresse in fretta al piano di sotto.







    «Fi-ni-to!» Kugisaki uscì dal bagno con aria trionfante, ma il suo entusiasmo svanì non appena vide che era rimasto solo Junpei. «Fushiguro? Non dirmi che è andato a pisciare in giardino perché non riusciva più a tenersela!»
    «No, ha solo dimenticato una...» Junpei non riuscì a terminare la frase, incantato dal viso dell’altra. «Ma tu brilli» constatò con aria trasognata.
    Nobara gli rivolse un’espressione stupita, poi si prese il volto fra le mani e dispiegò le labbra in un grande sorriso.
    «Vedi?» sbatté più volte le ciglia, languidamente. «Questi sono i benefici della skin care, ma nessuno vuole starmi ad ascoltare.»
    Yoshino annuì, non sapendo cosa risponderle.
    «Dovresti farla anche tu, Junpei.»
    «Eh? Io?» si indicò con espressione confusa. «Ma sono un maschio...»
    «E allora?!» Nobara tuonò e Junpei strinse i denti riconoscendo di essersi appena addentrato in un ginepraio. L’amica detestava certi discorsi e in realtà neanche lui era mai stato un sostenitore della divisione “cose da maschio” e “cose da femmina”, eppure in quel momento l’imbarazzo gli aveva fatto dire la cosa più sbagliata.
    «La pelle non ha genere!» Nobara pronunciò la cosa con una certa enfasi, come se stesse dando voce a uno spot pubblicitario. «È la nostra barriera che ci protegge dal mondo esterno, quindi dobbiamo prenderci cura di lei.»
    Junpei dovette ammettere che con quell’osservazione gli aveva reso l’idea ancor più affascinante.
    «Però...» esitò, ancora un po’ imbarazzato, «mi sembra così complicato...»
    «Per niente!» ribatté Nobara, per poi mostrargli i denti in un sorrisetto compiaciuto. «Posso insegnarti io, Junpei!»
    «Davvero me lo insegneresti?»
    «Ma certo!» Kugisaki batté le mani sorridendo felice, gli occhi enormi e brillanti. «Oh, Junpei, sapessi quanto mi rendi felice! Non come quella ingrata di Tsumiki che non vuole saperne nulla! Beh, peggio per lei, fra dieci anni avrà le rughe mentre noi due saremo ancora dei freschi boccioli di rosa!»
    Lo afferrò per la manica. «Vieni, dobbiamo capire che tipo di pelle hai.»
    Junpei si lasciò tirare, poi, appena prima di varcare la soglia del bagno, rivolse un’occhiata esitante al fondo del corridoio.
    «Beh, allora? Non dirmi che ci hai ripensato!»
    «No, è che...» il corridoio era vuoto, «oh, nulla, iniziamo.»







    Quando Fushiguro sbucò in corridoio e vide che la porta del bagno era ancora chiusa immaginò che dentro ci fosse Junpei. In fin dei conti, avendovi trovato soltanto Tsumiki, si era trattenuto più del previsto in cucina e ne aveva approfittato per bere un caffè ancora caldo. Junpei aveva fatto bene a non aspettarlo, lui avrebbe fatto lo stesso.
    Decise di aspettare con le spalle poggiate al muro e le mani in tasca, ma poco dopo udì una voce femminile provenire dall’interno del bagno.
    Si raddrizzò, pronto a urlare il nome di Kugisaki. Era incredibile che ci fosse ancora lei dentro! Allora Junpei si era arreso, forse stufo di starsene lì in piedi era tornato in camera, forse…
    «Eh?»
    Fushiguro si immobilizzò quando sentì anche la voce di Yoshino dietro la porta.
    A un ascolto più attento si rese conto che stavano parlando di una crema.
    Aggrottò la fronte, grugnendo indispettito: non credeva alle sue orecchie! Yoshino lo aveva tradito con quella scostumata di Kugisaki e chissà se d’ora in poi anche lui non avrebbe occupato il bagno per ore!
    Arrestò il pugno a mezz’aria pensando che, magari, avrebbe potuto provare a farla in giardino. Poi si ricordò che fuori c’era Itadori, impegnato a cercare chissà quale animale, e colpì la porta per comunicare ai due parassiti cremosi tutto il suo disappunto.
    Sospirò sonoramente e sforzandosi di trovare il lato positivo in tutta quella situazione ringraziò di non dover cagare.







    Yūji lo notò non appena gli sedette accanto: Junpei profumava più del solito e aveva il viso luminoso.
    «Junpei, tu brilli» esordì.
    Junpei sussultò appena nel trovarsi gli occhi attenti dell’amico puntati addosso, poi distese le labbra in un sorriso imbarazzato. «È la skin care.»
    «Uh?» le sopracciglia sottili di Itadori si sollevarono appena, in un moto di sorpresa.
    «Già» intervenne Nobara, «quella che la cara Tsumiki non vuole fare.»
    Tsumiki sollevò gli occhi dal tè senza scostare le labbra dal bordo della tazza.
    «Vedi quanto brilliamo io e Junpei?» insistette Nobara, continuando in tono teatrale. «Davvero un peccato, dolce Tsumiki! A trent’anni avrai rughe profondissime!»
    «Brillate davvero» osservò Itadori, affascinato.
    Nobara emise un rantolio e si tirò la pelle attorno agli occhi fino a mostrare all’amica gli interni rossi delle palpebre inferiori.
    Tsumiki sbuffò appena, poi sorrise divertita d’innanzi al volto deformato dell’altra. «Smettila di tirarti la pelle, altrimenti sarai tu la prima ad avere le rughe» la ammonì bonariamente.
    Nobara smise immediatamente e si raddrizzò sulla sedia, come a voler riacquistare fin da subito una certa serietà.
    «Mio fratello?» chiese poi la più grande dei Fushiguro.
    «Credo stia pisciando anche per i prossimi cinque anni.»
    «Nobara!» Junpei scoppiò a ridere, seguito a ruota dall’amica.
    «Ma che…?» vedendoli ridere così di gusto, anche Yūji si ritrovò a sorridere.
    Per quanto divertita, Tsumiki negò con un leggero cenno del capo. Era sul punto di dare della disgraziata a Nobara quando Megumi sbucò in cucina con una faccia da funerale: era incazzato nero.
    Tsumiki, le dita sottili di entrambe le mani strette attorno alla tazza fumante, gli rivolse un sorriso gentile. Mentre tutti gli altri ridevano e lei guardava solo lui, Megumi si sentì come se gli avessero appena dato un pugno nello stomaco.






ɴᴏᴛᴇ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ
Alle poche (povere) anime che leggono questa long, avrete notato i titoli stilosi. Ecco, beh, non dico altro, ma mi scuso in anticipo per quello del prossimo capitolo 👀

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Capitolo 6
*** 6. Io voglio solo succhiare un cazzo, ragazzi ***


6. Io voglio solo succhiare un cazzo, ragazzi
「─────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ───────────────────」







    Yūji aveva individuato un buco nel muro posteriore della casa. Non lo avevano notato prima perché trovandosi in basso era stato occultato dall’erba, ma il temporale di quella notte aveva smosso le sterpaglie e la terra quel tanto da metterlo in mostra.
    Era certo che si trovasse più o meno all’altezza della cucina, ma anche controllando dietro ai mobili e al vecchio forno non avevano trovato nulla se non qualche crepa sottile. Megumi aveva ipotizzato che fosse un buco che portava alle fondamenta della casa, ma Junpei aveva ricordato loro che aveva sentito quegli strani rumori nel muro, tuttavia esaminare il buco era fuori questione per quel pomeriggio visto che aveva ripreso a piovere a dirotto.
    Yūji e Megumi erano tornati in soffitta per un secondo controllo, ma a parte tantissime cianfrusaglie polverose dalla dubbia utilità non c’era nient’altro lì.
    Megumi aveva approfittato del fatto che fossero soli per scusarsi di quanto accaduto il giorno prima, seppur con molta difficoltà. Probabilmente Fushiguro lo considerava umiliante, Itadori invece lo aveva apprezzato e aveva pensato gli facesse onore, anche se per lui la faccenda era già chiusa. Megumi aveva esagerato, ma sapeva quanto tenesse a sua sorella e lo capiva: non gli avrebbe portato rancore nemmeno se lo avesse colpito in piena faccia. Forse, però, in quel caso avrebbe risposto. Chissà cosa avrebbe pensato Junpei…
    «Yūji?»
    Junpei lo stava fissando con insistenza e Yūji intuì che doveva aver chiamato il suo nome già un paio di volte.
    «Scusa, ero sovrappensiero.»
    L’espressione di Junpei si distese. «Va bene Scary Movie? Devi averlo visto perfino più volte di me…»
    «Yūji, se vuoi cambiare film non c’è problema» Nobara agitò la mano per attirare la sua attenzione mentre sbocconcellava un pocky alla fragola.
    «Basta che non sia Saw» si accodò Tsumiki, seduta accanto a lei.
    «Scary Movie va benissimo» rispose ancora un po’ confuso.
    Junpei annuì con un sorriso e cliccò play.







    «Ho fame» si lamentò Nobara durante la pausa fra il terzo e il quarto film della serie.
    «In effetti è quasi ora di cena» rifletté Yūji, poi estrasse il cellulare sperando in un miracoloso ritorno della rete. «Se solo potessimo ordinare del cibo…»
    «Darei un occhio per un hamburger» borbottò Nobara.
    «Siamo qui già da tre giorni» disse Junpei, «non li sopporto più tutti questi dolcetti» continuò rivolgendo un’occhiataccia agli incarti colorati sul tavolino.
    «Vorrei tanto una pizza» sospirò Tsumiki.
    Megumi le rivolse un’occhiata di sbieco. «Appena andremo via da questo posto ti porterò a mangiare una pizza» non ci pensò su più di tanto, lo disse e basta.
    Tsumiki lo guardò sorpresa, ma sembrò anche molto felice di quella proposta.
    «Vengo anche io!» con sommo disgusto da parte di Megumi, Nobara si autoinvitò a gran voce.
    «A questo punto vogliamo venire anche io e Junpei» si affrettò Yūji. Junpei si sorprese che avesse parlato anche per lui, ma più di ogni altra cosa se ne compiacque.
    «Affare fatto!» rispose Nobara. «Più siamo meglio è, no?!»
    «Veramente era una cosa fra me e Tsumiki» borbottò Megumi.
    «Mica è un appuntamento fra innamorati!» ribatté Nobara.
    Megumi distolse lo sguardo, accigliato, e Tsumiki scoppiò a ridere.
    «Andremo tutti insieme» disse la ragazza, le labbra piegate in un sorriso raggiante, «niente mi renderebbe più felice che condividere una pizza con tutti voi.»







    Junpei stava per premere nuovamente il tasto play quando Nobara parlò.
    «E comunque, se ci pensate, siamo tutti convinti che a qualcuno piaccia qualcun altro ma io non vengo mai nominata!»
    Junpei mise giù il telecomando e la guardò perplesso, per poi darle una carezza sulla testa nel vederla così abbattuta.
    «Junpei!!» Nobara scoppiò in un piagnucolio, commossa da quel gesto. «Grazie!!»
    «Vado a farmi un caffè» Megumi si alzò e uscì dal salotto con due sole, rapide falcate.
    «Megumi, non si fa così!» Tsumiki lo ammonì, ma non ottenne altro risultato se non un singhiozzo esasperato da parte di Nobara.
    «Anche io voglio un ragazzo!»
    «Qui nessuno è fidanzato, Nobara» le ricordò Junpei.
    «Perché non scarichi una di quelle app di incontri?» propose Yūji, che preoccupato per l’amica si era fatto più vicino.
    «Potrebbe funzionare…» rifletté Tsumiki.
    «Ma è squallido» protestò Junpei.
    «Junpei, tu sei demisessuale, vero?» gli domandò Tsumiki a bruciapelo. «Per te è normale avere un’opinione negativa su queste cose, ma per altri le app di incontri possono essere di grande aiuto.»
    «Umh» Yoshino rivolse un’occhiata a Nobara, che lacrimava sconsolata accanto a lui. «Sì, forse non hai tutti i torti…»
    «Io voglio solo succhiare un cazzo, ragazzi» piagnucolò Nobara.
    Megumi, che era appena rientrato per chiedere se qualcun altro voleva il caffè, alzò gli occhi al cielo e fece subito dietro front con un’improvvisa voglia di strapparsi le orecchie.
    «Beh, anche io» la risposta di Junpei spiazzò tutti, ma non lasciò a nessuno il tempo di intromettersi, «però non ricorro a quelle app.»
    «Perché hai già il tuo fascino da uke!» protestò Nobara.
    «Eh?» Yoshino si indicò, sentendo le guance infimmarsi.
    «E poi» continuò lei, «tu vuoi succhiarne uno in particolare, Junpei, a me andrebbe bene qualsiasi tipo di cazzo!»
    Megumi, che era rientrato per recuperare un biscotto da accompagnare al caffè, si irrigidì sulla soglia, disgustato. «Tsumi? Mi chiami quando ha finito di parlare di cazzi?»
    Tsumiki gli fece segno di andare via, l’espressione accigliata: un’amica in difficoltà era una priorità assoluta. Fushiguro capì che non poteva farci niente e si arrese all’idea che avrebbe passato il resto della serata confinato in cucina.







    Tsumiki fece capolino in cucina dopo una decina di minuti, quando Megumi era alla terza tazzina di caffè: sentire certi discorsi lo aveva messo a dura prova.
    Con sua sorpresa, Tsumiki gli rubò la tazzina da sotto al naso e bevve un sorso senza proferire parola.
    «Da quando bevi il caffè amaro?»
    «È orribile, infatti» la sorella gli mostrò la punta della lingua in una smorfia disgustata, «ma avevo bisogno di qualcosa di forte» accennò un sorriso. «La conversazione di là mi ha un po’ imbarazzata.»
    Troppo casta, pensò Megumi. Lui si era tirato fuori da quella situazione perché gli faceva schifo l’idea di Kugisaki in certi atteggiamenti, ma Tsumiki era così pudica che la fatica per aver sostenuto quella conversazione si era manifestata in un rossore diffuso su tutto il suo volto. Eppure sembrava approvare certe cose…
    «Le app di incontri?» domandò lui. Aveva sentito poco e niente del discorso, ma quello non gli era sfuggito.
    «Che?»
    «Le usi?»
    «No» si affrettò lei, «perché dovrei? E a te che importa, scusa?»
    Megumi esitò un istante.
    «Beh, potresti incontrare qualche maniaco…»
    L’espressione contrariata di Tsumiki si distese e il rossore cominciò a defluire dalle guance, lasciando spazio alla bella pelle liscia e rosea.
    Gli restituì il suo caffè e gli scompigliò i capelli con una carezza, sorridendogli affettuosamente. «Che bravo fratellino.»







    Yūji e Junpei non avevano più parlato da quando Nobara era salita al piano di sopra per darsi una sistemata. Nemmeno la prima volta che si erano incontrati, con Junpei affondato in un’indole introversa e diffidente fino alle punte dei capelli, era venuto a crearsi un silenzio tanto prolungato e imbarazzante fra di loro.
    «Quindi…» Yūji pensava di aver trovato il coraggio, ma la sua gola era così secca che parlare gli fece male. Dovette deglutire un paio di volte prima di riprendere la parola. «Quindi ti piacciono i ragazzi…»
    «Non lo avevi capito?»
    Pensò che anche Junpei sarebbe stato in imbarazzo, invece la sua risposta fu veloce e secca come un colpo di frusta. Yūji si sentì bruciare come se lo avesse punto una medusa.
    «No» si affrettò, «cioè, sì, insomma…»
    Junpei lo incenerì con lo sguardo.
    «Insomma, solo i ragazzi, Junpei?»
    «La cosa ti provoca qualche problema?»
    Di nuovo. Junpei continuava a pungerlo, a usare l’attacco come difesa.
    «Per niente!» lo rassicurò lui. «Volevo solo accertarmene, questo non cambia le cose fra noi.»
    «Già» Junpei guardò davanti a sé, lo sguardo assente.
    Yūji aggrottò appena la fronte, preoccupato, e inclinò il viso per osservare meglio l’espressione dell’amico.
    «Ti… ti piace qualcuno?» gli domandò poi.
    Junpei mugugnò e abbassò appena il capo in cenno di assenso.
    «Oh… okay» rispose Itadori. Si sentì bruciare di nuovo. «Perché non me ne hai mai parlato? Sai che puoi dirmi tutto…»
    «Pensi che sia così facile?»
    «Junpei, non arrabbiarti…»
    «Continui a dire che ti piacciono le ragazze!» Junpei sbottò, sorprendendolo. «Quindi no, per uno come me non è facile fare certi discorsi con un etero come te.»
    «Un etero come me?» ripeté Yūji, sbigottito. «Junpei, io sono tuo amico.»
    «Beh ora lo sai, mi piace uno» sibilò Yoshino. Non lo guardava più.
    Itadori rifletté su cosa dire e se era il caso di parlare ancora.
    «Junpei, ce l’hai con me? Se ho fatto qualcosa di male vorrei rimedia—»
    «Cosa ti importa?»
    Junpei tornò a guardarlo con i suoi grandi occhi acquosi. Yūji si sentì impotente di fronte a quell’improvviso cambiamento di espressione da parte dell’amico: non gli aveva mai visto in faccia un’espressione così triste e disperata.
    «Junpei…»
    «Non mi piace sventolarlo ai quattro venti come fai tu, Yūji. Ti piacciono le ragazze, no? Quindi cos’hai in contrario se a me piacciono i ragazzi? Perché a me sembra proprio che la cosa ti turbi.»
    «Eccomi!»
    Ammutolirono entrambi quando Nobara fece ritorno in salotto, ma le loro espressioni furono abbastanza eloquenti per destare sospetti nell’amica.
    «Che è successo? Avete litigato?»
    «Sono solo un po’ stanco» Yūji fu il primo ad alzarsi, approfittando di un momento di esitazione da parte dell’altro. Si costrinse a sorridere, poi diede una pacca amichevole sulla spalla di Nobara. «Vado su a schiacciare un pisolino, chiamami se trovi il modo di farci avere un hamburger, okay?»



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Capitolo 7
*** 7. Fushiguro, che cos’è un cane procione?! ***


7. Fushiguro, che cos’è un cane procione?!
「────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ──────────────────」







    Avvertì un peso sul petto, ma non riuscì ad aprire subito gli occhi. Strizzò le palpebre infastidito, ma gli passò subito quando sentì la voce di Junpei arrivargli alle orecchie.
    «Scusami.»
    Ora Itadori era completamente sveglio. Quando aprì gli occhi vide che quello che gli era stato poggiato sul petto era un piatto con dentro qualcosa di molto simile a una pita.
    «Mi sono comportato da stronzo» continuò Junpei quando lo vide mettersi a sedere, «scusa.»
    Yūji non riuscì a rispondergli subito. Era più che altro impegnato a osservare il cibo e a domandarsi da dove fosse uscito visto che il piatto era caldo.
    «Per fortuna Tsumiki ha delle ricette salvate sul cellulare. Abbiamo trovato sale e farina e così abbiamo cucinato questa specie di pane in padella… non è un hamburger, però è già qualcosa…» Junpei accennò un sorriso, ma i suoi occhi erano tristi.
    «Mi dispiace se ti ho ferito in qualche modo» Yūji poggiò il piatto sul letto e ruotò gambe e bacino, così da sistemarsi sul bordo.
    Junpei negò con un timido cenno del capo. «Sono stato un po’ aggressivo… è che non mi piace parlarne» guardava a terra, le gote appena arrossate.
    «L’ho capito» Yūji accennò un sorriso, «però, Junpei» gli prese una mano, facendolo sussultare appena, «sappi che non ti giudico. Va bene qualunque cosa, purché tu sia felice.»
    Quando Junpei alzò lo sguardo e vide il sorriso luminoso di Yūji sentì gli occhi pizzicare.
    «L’avete cucinato tutti insieme, eh?»
    Yoshino annuì, concentrandosi sulla stretta delle loro dita.
    «Sono così felice che andiate d’accordo.»
    «Yūji» Yoshino piagnucolò con la vista annebbiata dalle lacrime e Itadori si ritrovò a sorridere intenerito mentre gli prendeva anche l’altra mano, «sei troppo buono, Yūji.»
    Yūji si alzò. Ormai lo superava in altezza di quasi quindici centimetri.
    «Voglio solo il meglio» gli poggiò la mano sulla testa, accarezzandolo affettuosamente, «per la mia persona speciale.»
    Il cuore di Junpei saltò un battito. Fissò Itadori, ma lui non lo stava guardando. Sembrava evitare di proposito il suo sguardo, come se quelle parole gli avessero causato un enorme imbarazzo, eppure non accennava a scostare la mano dalla sua testa.
    «Yūji…» Junpei tornò ad afferrargli la mano libera, vi strinse le dita intorno come se fosse stata il suo unico appiglio in un abisso oscuro. «Yūji, io…»
    La luce si spense all’improvviso.







    «Ih!!»
    Tsumiki, che a luce accesa lo precedeva di appena un paio di passi, gli finì addosso non appena rimasero al buio.
    «Che cos’era quel coso?!»
    Appena un istante prima che le luci si spegnessero avevano visto qualcosa, un’ombra sgattaiolare, una coda marroncina, eppure non era quello che preoccupava Megumi in quel momento.
    «Tsu-Tsumiki…»
    «L’hai visto anche tu, vero?»
    Possibile che non se ne stesse accorgendo? Le aveva messo le mani sulle spalle e la stava spingendo, ma lei era inchiodata al pavimento; spaventata per quella cosa non aveva alcuna intenzione di andare avanti e così continuava a premerglisi contro, a premergli il maledetto sedere sul bacino!
    In uno sprazzo di lucidità, Megumi estrasse il cellulare dalla tasca e dopo aver lottato con il blocco schermo per un istante che gli parve interminabile riuscì ad accendere la torcia. Rincuorata dal raggio di luce bianca, Tsumiki si scostò da lui quel tanto da permettergli di riprendere a respirare.
    Puntò il fascio della torcia in fondo al corridoio, nella direzione in cui era corsa l’ombra, quindi superò Tsumiki, che tuttavia lo seguì dopo un breve istante di esitazione.
    «Secondo te di quale animale si tratta?»
    «Shh…»
    Ormai si trovavano a un metro dal vecchio armadio in fondo al corridoio. Era sembrato ovvio a entrambi che si fosse rifugiato lì visto che tutte le porte che si affacciavano sul corridoio erano chiuse.
    Megumi si inginocchiò e puntò la torcia fra i piedini dell’armadio, aspettandosi un buco nel muro, ma non trovò nulla. A una più attenta osservazione, però, notò che un buco c’era, solo si trovava sul fondo del mobile. Da lì spuntava un angolo di plastica blu che realizzò essere parte del pacchetto di salatini.
    Si rimise in piedi e fece segno a Tsumiki di indietreggiare, quindi aprì l’anta destra e subito dopo la sinistra, puntando la torcia all’interno del mobile.
    Proprio in quel momento la luce tornò, rivelando un armadio vuoto di vestiti e pieno di foglie secche, rametti e incarti colorati. Oltre al foro sul fondo ce n’era un secondo nella sella di legno sul retro.
    Due occhi tondi e ambrati li fissavano oltre il buco nella sella.
    Tsumiki balzò all’indietro, mentre Megumi rimase immobile, illuminandosi non appena realizzò di che cosa si trattava.
    «Un cane procione!»
    «Un che?» chiese Yūji, appena affacciatosi in corridoio con Junpei accanto.
    «Quello che si è mangiato i nostri salatini» rispose Megumi, «è un cane procione!»
    Tsumiki si avvicinò di nuovo e constatò che, difatti, era proprio un tanuki in carne e ossa. A ben guardarlo non era poi tanto spaventoso: come suggeriva il nome assomigliava a un cane e le orecchie tonde e la mascherina nera attorno agli occhi lo rendevano particolarmente carino. Non così carino da perdere la dignità come era appena accaduto a suo fratello, però.
    «Contieniti» disse a Megumi, punzecchiandogli un gomito con aria divertita.
    Era così quando veniva a contatto con un animale: lo pervadeva un entusiasmo che non gli aveva visto in faccia nemmeno da bambino, tanto che solo per vederlo illuminarsi in quel modo era lei la prima a insistere per andare allo zoo o per entrare in qualche negozio specializzato quando ne scoprivano uno.
    Vederlo così la rendeva felice, per questo si dispiacque quando il cane procione si ritirò e si dileguò nel buio.
    «Sono aggressivi?» domandò Junpei alle spalle dei fratelli Fushiguro. Lui e Yūji si erano avvicinati appena in tempo per vedere il musetto allungato scomparire.
    «Per la verità sono piuttosto innocui» rispose Megumi. «Basta non infastidirli, come per tutti i selvatici. Però amano molto il cibo.»
    «Vedi che non li ho mangiati io i salatini?» osservò Itadori.
    «Ecco perché non lo abbiamo trovato subito» disse Junpei, «il buco nel muro è dietro l’armadio.»
    «E il passaggio che usa per fare avanti e indietro in casa è questo» Tsumiki indicò il foro in fondo all’armadio.
    Megumi richiuse le ante.
    «Che si fa?» domandò Junpei.
    «Nulla» il più giovane dei fratelli Fushiguro si strinse nelle spalle, «ma non lasciate cibo in giro, okay?»
    «Me ne sono resa conto adesso» disse all’improvviso Tsumiki.
    «Che?»
    Guardò Megumi, che le si era rivolto con fare svogliato.
    «Dov’è Nobara?»







    La trovarono sul divano a gambe incrociate, una pila di pite nel piatto e una stretta fra le labbra.
    «Ragazzi!» Nobara piagnucolò, poggiando la pita mangiucchiata in cima alle altre e allungando le braccia verso Tsumiki come una bambina bisognosa di conforto. «Ma dove eravate finiti?!»
    «Abbiamo trovato il ladro dei salatini» le rivelò Tsumiki, abbracciandola.
    «Davvero?» Nobara ricambiò la stretta, affondando il viso nei lunghi capelli castani dell’altra. «E chi è?»
    «Un cane procione. Dovresti vederlo, è proprio carino!»
    «Che?!» Nobara trasalì e si staccò da lei. «Che cos’è?! Anche il nome non mi piace» poi si rivolse a Megumi. «Fushiguro, che cos’è un cane procione?!»
    «Un animale che assomiglia a un cane e a un procione» rispose lui, laconico.
    «Wow, Fushiguro, hai proprio reso l’idea!» commentò Yūji. All’inizio Junpei pensò fosse ironico, ma l’entusiasmo con cui lo aveva detto gli fece venire qualche dubbio.
    «Non mi piace!» Kugisaki negò con un vigoroso cenno del capo. «Sbava? Oddio! Sbava, vero? Non lo voglio, mandiamolo via!»
    Megumi stava per risponderle che piuttosto che cacciare via quel bellissimo esemplare avrebbe chiuso lei fuori in giardino, ma fortunatamente qualcuno lo precedette osservando molta più gentilezza.
    «È innocuo» Tsumiki cercò di tranquillizzare Nobara portandole i capelli dietro le orecchie con una carezza affettuosa. «Non preoccuparti, non ci farà nulla.»
    «Fushiguro?» Junpei si avvicinò a Megumi, che ancora bersagliava Kugisaki di occhiatacce colme di disapprovazione. «Hai un momento?»
    Megumi lo guardò di sbieco. Cercò di capire che cosa potesse volere da lui, ma non gli venne in mente nulla.
    «Okay» rispose dopo averci pensato un po’ su.
    «Andiamo in giardino» gli disse Junpei. «Yūji, vieni anche tu.»







    «Non scacceremo il cane procione» dichiarò Megumi con risolutezza.
    «Non volevo parlarti di questo» ribatté Junpei.
    «Oh… allora che vuoi?»
    «Non ti piace Yūji» Yoshino rifletté, ignorando l’occhiata sbigottita di Itadori.
    «No. Basta con questa storia di me e Itadori» protestò Fushiguro.
    «Non ti piace Nobara» continuò Yoshino.
    «A chi piace Kugisaki?» lo incalzò l’altro. «Comunque ti fa male frequentarla, Yoshino. Stai diventando come lei. Perché mi fai tutte queste domande?»
    Junpei lo guardò dritto negli occhi e Megumi ebbe un terribile presentimento.
    «Hai quasi strozzato Yūji quando abbiamo pensato che lui e Tsumiki si piacessero.»
    «Ma che succede?» Itadori sbatté le palpebre a più riprese, decisamente confuso da quell’interrogatorio serrato in cui, volente o nolente, sembrava essere coinvolto anche lui.
    «Insomma, mi sembri un po’ troppo possessivo con tua sorella…»
    «Vuoi fare a botte, Yoshino?» ribatté Megumi, impassibile.
    «L’ho visto, Fushiguro. Il modo in cui l’hai guardata mentre consolava Nobara. Il modo in cui la guardi…»
    Yūji, che cominciava a realizzare, spalancò gli occhi.
    «Itadori, digli qualcosa» sfiatò Megumi. «Sta delirando.»
    «È vero…» mormorò Yūji, in piena epifania. «Fushiguro, non è che lei ti…?!»
    «Strozzo entrambi se non vi tappate quelle bocche.»
    «Allora è vero!» esclamò Junpei. «Ti piace tua sorella!»
    «Sh!» Megumi gli fece segno di tacere con l’indice sulle labbra. «Abbassate la voce, deficienti!
    «E… e non è mia sorella, okay?» borbottò guardando altrove. «Siamo cresciuti insieme, ma non siamo imparentati.»
    «Perverso…» commentò Junpei.
    Megumi lo incenerì con lo sguardo. «Lo ripeto: sembri sempre di più Kugisaki.»
    «Quindi… quindi…»
    «Stai ancora facendo due più due, Itadori?» sospirò Fushiguro. «Non ti sforzare, altrimenti ti si fondono i circuiti…»
    «È come se a me piacesse Choso!» esclamò Yūji, ormai completamente coinvolto. «No, vabbè, scusate, devo chiamarlo subito!»
    «Itadori!» Megumi lo ammonì, ma Yūji aveva già il cellulare incollato all’orecchio.
    «Ti aiuteremo per quanto possibile, Fushiguro» fu Junpei a farlo desistere dallo strozzare l’altro. «Non voglio illuderti, ma anche lei a volte ti guarda in modo un po’ strano…»
    «Choso!!»
    Megumi e Junpei si zittirono, rivolgendo la propria attenzione a Yūji.
    «Sì, lo so, scusa» continuò Itadori, «aspetta, prima ho una notizia incredibile da darti!»
    Megumi premette la lingua contro il palato. Junpei gli afferrò un braccio per tenerlo buono.
    «Sai che a Fushiguro piace Tsumiki?!»
    Megumi sfiatò a braccia conserte: per lo meno quell’idiota aveva avuto la decenza di dirlo a bassa voce.
    «Sì, sua sorella! Vero? Che schifo, è come se io e te…!»
    «Ehi, un attimo» Junpei realizzò quello che stava accadendo e trasalì per l’emozione. «Stai chiamando! Yūji, stai chiamando!»
    «È vero!» esclamò Megumi. «Itadori, digli dove siamo!»
    «… Choso?»
    A Megumi e Junpei si gelò il sangue.
    Silenzio.
    «Choooosoooo?»
    Yūji guardò il telefono con espressione confusa, poi lo mostrò agli altri due. «Non c’è più campo.»
    «Adesso posso strozzarlo, Yoshino?»
    Junpei esalò un sospiro rassegnato. «Merda!»






ɴᴏᴛᴇ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ
Buongiorno splendori! Come state?
Immaginavo che questa storia avrebbe avuto ben pochi riscontri, ma va bene così, dopotutto è nata più come una sperimentazione personale, tanto per uscire dalla comfort zone scrittoria!
Eppure i lettori ci sono… e sono stupita dal numero di visite raggiunto con il primo capitolo, che comunque per me è uno dei più alti dell’ultimo anno!
Btw sono qui solo per segnalare che, anche se il rating resterà verde, nel prossimo capitolo succederanno cose. Ricordo che le coppie sono l’ItaJun e la MeguTsumi, quindi se non vi piacciono lasciate perdere, io non mi offendo!
Ci avviciniamo alla fine, a cui mancano solo tre capitoli più uno special!
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** 8. Io sono una buona amica, la migliore! ***


8. Io sono una buona amica, la migliore!
「───────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────────」







    Megumi si era ripromesso di non prenderla come tale, ma non poteva fare a meno di sentirsi sconfitto mano a mano che avanzava lungo il corridoio.
    Si fermò di fronte alla porta chiusa, sospirando spazientito appena prima di bussare.
    Dopo qualche istante di attesa, la porta si aprì in un cigolio.
    «Che vuoi?» Nobara gli rivolse un’occhiataccia ostile, come se avesse voluto esortarlo ad allontanarsi con il solo sguardo. Megumi, però, non mosse un muscolo.
    «Mi fa male la schiena» borbottò ingobbito.
    «Come come?» Nobara portò la mano a coppa dietro l’orecchio, un sorriso smaliziato dipinto sulle labbra.
    Megumi la guardò con una certa impazienza. «Mi fa male la schiena» ripeté ringhiando fra i denti.
    Le labbra di Nobara si aprirono, lasciandosi scappare una risatina irritante. «Ci credo! Con quel lettino minuscolo da principessa…»
    Il ragazzo rimase a guardarla senza ribattere, facendole perdere il sorriso.
    «Che vuoi?» finì per domandargli Kugisaki, non senza una certa apprensione nella voce.
    Gli occhi di Fushiguro balzarono a destra e poi a sinistra, nel tentativo di sfuggire allo sguardo pungente dell’altra. «Facciamo cambio» mormorò dopo qualche istante di esitazione.
    Nobara strabuzzò gli occhi. «Cheeee?! No! Non se ne parla!»
    «Che succede?»
    Al suono di quella voce, Megumi cominciò a nutrire qualche speranza. Nobara, dal canto suo, esalò un sospiro esasperato e spalancò la porta, così da mostrare a Tsumiki che suo fratello era lì. «Ha mal di schiena e vuole il nostro letto» sfiatò.
    «In realtà solo il tuo posto» puntualizzò Megumi.
    Nobara lo guardò in cagnesco, poi volse un’occhiata in direzione di Tsumiki, ancora seduta sul letto. Sperò di trovarla indifferente, invece il suo visino accigliato dall’apprensione la disarmò totalmente, portandola a desistere nel giro di qualche secondo.
    «E va bene» sospirò tornando a guardare il disturbatore delle ventidue e trenta. «Sai che c’è? Io sono una buona amica, la migliore! Perciò ti cedo il mio letto, ma solo per stanotte!»
    Megumi emise un sospiro di sollievo guardando l’altra allontanarsi per recuperare le sue cose.
    «Spero che il letto non puzzi» lo punzecchiò Kugisaki non appena uscì dalla stanza.
    «L’ho cambiato prima di venire qui.»
    Nobara si fermò, fulminandolo con lo sguardo. «Quindi eri già sicuro che avrei accettato? Stronzetto…»
    Fushiguro la guardò annoiato, una scrollata di spalle, poi le chiuse la porta in faccia, lasciandola di sasso.
    «Neanche grazie?!» Nobara sbottò indignata, assestando una pedata alla porta. «Tsumiki, insegna un po’ di educazione a quel bastardo ingrato di tuo fratello!»







    «Scusami» Megumi si rivolse subito a Tsumiki, totalmente indifferente alle grida di Nobara fuori dalla porta. «Non avevo molta scelta.»
    «Figurati» Tsumiki gli rivolse un sorriso gentile, battendo la mano sul materasso vuoto accanto a lei. «Mi fa piacere passare un po’ di tempo con te.»
    Megumi ripensò alle parole di Junpei. Quando gli aveva detto che anche lei, a volte, lo guardava in modo un po’ strano, il suo primo istinto era stato di respingere quella possibilità ancor prima di accertarsene. Dopotutto conosceva troppo bene Tsumiki per non essersene mai accorto, sicuramente era Junpei ad aver frainteso alcune delle sue espressioni.
    Ora che la guardava meglio, con quel sorriso così allegro e quella mano ferma sul materasso, però…
    «Non hai portato nulla con te?»
    Ma che cosa andava a pensare? Si insultò mentalmente, abbastanza forte da riuscire a riscuotersi da quel pensiero. Maledetto Junpei!
    «Il cellulare non mi serve a niente» Megumi si buttò sul letto con un sospiro stanco, esalando un singulto di sollievo non appena aderì con la schiena al materasso morbido e soprattutto più lungo delle sue gambe.
    «Come va con Yūji?»
    Quella domanda così all’improvviso lo sorprese. Megumi le rivolse una rapida occhiata, poi si mise a sedere facendo attenzione a non compiere movimenti avventati che gli avrebbero senz’altro inferto altro dolore alla colonna vertebrale.
    «Ti riferisci alla cosa dell’altro giorno?»
    Tsumiki si strinse le ginocchia al petto, annuendo.
    «Gli ho chiesto scusa.»
    «Bene» lei sorrise soddisfatta, «siete amici, no?»
    Megumi la scrutò senza dire nulla, alla ricerca di una risposta al perché gli stesse facendo quella domanda. Non amava definire i rapporti, a meno che questi non fossero molto intimi, ecco perché quella conversazione lo aveva colto impreparato.
    L’idea di ammettere che quel cretino allegro di Itadori era suo amico non lo faceva impazzire, ma Tsumiki lo fissava in attesa di una risposta.
    «Immagino di sì…» ammise dopo un po’ di esitazione.
    Tsumiki sembrò rallegrarsene. Forse il suo desiderio era proprio che, per una volta, definisse un rapporto.
    «È un bravo ragazzo, gentile e leale, sono contenta che tu lo abbia come amico» disse ampliando il sorriso.
    Megumi restò a osservarla mentre si mordeva la lingua per fronteggiare la tentazione di porle una volta per tutte quella domanda di cui temeva tanto la risposta. Sfiatò poco dopo, incapace di trattenersi.
    «Sei sicura che non ti piaccia Itadori?»
    «Te l’ho già detto» ribatté prontamente Tsumiki. «Mi ha solo aiutata con una cosa.»
    «Che intendi?»
    «Oh, nulla.»
    Megumi la squadrò con espressione interrogativa: forse era una sua impressione, ma gli sembrava che Tsumiki fosse leggermente arrossita. «Tsumi?» la esortò.
    «Umh» Tsumiki rifuggì il suo sguardo e l’impressione divenne una certezza: era tutta rossa.
    «Tsumiki» la riprese Megumi con impazienza, lo sguardo assottigliato.
    «Mi ha prestato orecchio riguardo ciò che provo per una persona, okay?»
    Megumi si sentì gelare il sangue. «Allora qualcuno che ti piace c’è…» si ritrovò a mormorare poco dopo, la gola chiusa.
    «Si può sapere perché sei così tanto interessato alla mia vita amorosa?» lo incalzò lei, lo sguardo ancora lontano.
    Megumi deglutì senza risponderle.
    «Sei così preoccupato che possa finire insieme a qualcuno che non ti piace? Non sono così sconsiderata, sai?» Tsumiki lo guardò solo per un istante, una breve occhiata imbarazzata, poi tornò a sfuggirgli. «Tanto non c’è modo per noi di stare insieme» sospirò.
    Strano sentirle dire quel “noi”: sembrava quasi che stesse parlando di loro due, non di lei e un altro ragazzo.
    Megumi ripensò all’insinuazione di Junpei e il suo cuore saltò un battito: e se fosse stato proprio così?
    Ora che ci faceva caso, Tsumiki gli si era avvicinata. Gli si era avvicinata un po’ troppo.
    Normalmente non avrebbe indagato oltre, ma i segnali che stava cogliendo lo spinsero ad approfondire.
    «Perché?» azzardò. «Perché non potete stare insieme?»
    Tsumiki non rispose, ma gli rivolse uno sguardo strano, un sorrisetto amareggiato e al tempo stesso complice a incresparle le labbra. Megumi ebbe l’impressione che gli stesse chiedendo come potesse non averlo ancora capito, ma non ebbe il coraggio di osare.
    «Perché?» insistette nella speranza che Tsumiki fosse più chiara. Dopotutto non era da escludere che fosse tutta un’illusione, Megumi doveva tenerlo bene a mente prima di compiere un gesto sconsiderato che avrebbe mandato in fumo il loro intero rapporto.
    «Perché…?» Tsumiki sembrò riflettere, lo sguardo perso davanti a sé. «Perché abbiamo lo stesso cognome» disse poi, prendendo consapevolezza con un sorriso amaro sulle labbra.
    Quando si voltò timorosa alla ricerca della reazione di Megumi, lui le aveva già preso il volto fra le mani per rubarle un bacio.







    Nobara imprecò quando il tuono fece tremare i vetri della stanza e la pioggia cominciò a riversarvi sulle imposte chiuse.
    «Certo! Quale miglior modo di concludere questa bella serata se non con un temporale?!» protestò mentre si tirava le lenzuola fin sopra la testa.
    Come aveva fatto Megumi a dormire in quel letto per così tante notti? Anche se lei ci stava senza problemi, era davvero scomodo! E poi in giro per la casa c’era uno strano cane e lei era tutta sola…
    Si mise a sedere con uno sbuffo, quindi scostò le lenzuola e balzò giù dal letto, decisa a riprendersi il suo posto.
    Percorse il corridoio in tutta fretta, strizzando gli occhi quando un altro tuono, ben più forte del precedente, rimbombò fra le mura della casa. Si chiese sinceramente se quella catapecchia avrebbe retto a quel nubifragio.
    Non appena strinse la maniglia della porta fra le dita si sentì rincuorata. Prese fiato, poi la spalancò con l’idea di proporre a gran voce di dormire tutti insieme, ma la scena che si ritrovò davanti la lasciò di stucco.
    Megumi e Tsumiki reagirono in fretta, ma non abbastanza da impedirle di registrare nella sua mente la chiara immagine delle loro bocche incollate.
    «Oh mio…» si ritrovò a indicarli, incredula. «Voi due! Voi due stavate…!»
    «No-Nobara» Tsumiki balzò subito giù dal letto, andandole incontro a tutta velocità, «ti prego, chiudi la porta e vieni qui.»
    «Voi due stavate… stavate…» Kugisaki arretrò appena, boccheggiando incredula.
    «Ci stavamo baciando, sì.»
    Le mani di Tsumiki sulle sue spalle le restituirono un po’ di lucidità, ma Nobara non aveva più intenzione di restare lì: aveva bisogno di rielaborare il prima possibile ciò che aveva visto.
    «A-Allora me ne vado, okay?» rise nervosamente. «Non voglio disturbarvi!»
    «Nobara» lo sguardo supplichevole di Tsumiki la trattenne. «Non… non dirlo a Yūji e Junpei, per favore.»
    «Tranquilla, già lo sanno» intervenne Megumi, il volto ancora più paonazzo di quello di Tsumiki nonostante stesse guardando in cagnesco Nobara da quando aveva fatto irruzione in camera. Avrebbe voluto ricordarle l’importanza del bussare, ma lei avrebbe sempre potuto rispondere che di certo non si sarebbe aspettata di trovare due fratelli impegnati a pomiciare.
    «Già lo sanno?!» entrambe le ragazze si rivolsero a Megumi. «Prima di me?!» aggiunse Nobara, infuriata.
    Megumi le guardò contrariato. «Avrei evitato, ma mi hanno messo alle strette…»
    «Quelle due comari me la pagheranno per non avermelo detto!» ringhiò Nobara, e se ne andò in tutta fretta, sbattendo la porta.
    Tsumiki e Megumi rimasero a guardarsi per un po’, lei ancora ferma davanti alla porta chiusa.
    «Se vieni qui con certe intenzioni dovresti chiudere a chiave» lo ammonì girando la chiave nella serratura.
    «Eh? Guarda che io volevo solo dormire, sei tu che mi hai approcciato.»
    «Non è vero…!» sbottò lei, arrossendo.
    Megumi la guardò accigliato, riprendendo a parlare dopo qualche istante di esitazione. «Continuiamo?»
    Tsumiki lo incenerì con lo sguardo. «Andiamo a dormire.»
    Megumi sfiatò, girandosi su un fianco con fare arreso. «Maledetta Kugisaki…»







    «Ora!» esclamò Nobara nel bel mezzo del corridoio. «Devo proprio andare da quei due cretini, ma… ahhh!» si portò le mani alla testa, scompigliandosi i capelli, «chissà che cosa staranno combinando!»
    Nobara piagnucolò con le mani sugli occhi mentre l’immagine di Yūji e Junpei che ci davano dentro in più posizioni, fra ansimi e frasi scabrose, diveniva sempre più nitida nella sua mente. Quando divenne del tutto definita, però, scoprì che non era affatto male.
    «Però sarebbero carini» si ritrovò a mormorare appena prima di un tuono il cui fragore coprì lo schiocco delle sue mani sulle guance. «Ma che sto dicendo?! Sono una fujoshi, adesso?!»
    «Eh? Kugisaki?»
    Nobara non riuscì a trattenere un urletto quando si ritrovò davanti Yūji. Senza rendersene conto, infatti, era arrivata davanti alla loro stanza e lui, sentendola gridare, era uscito a controllare.
    «Tutto bene?» le domandò preoccupato.
    «S-sì» boccheggiò lei. «Che fate lì dentro?»
    Yūji spalancò la porta e l’istinto di Nobara fu quello di coprirsi gli occhi per non vedere Junpei nudo. Non fece in tempo, ma con suo grande sollievo vide che Yoshino aveva il pigiama addosso.
    «Giochiamo con i Game Boy che abbiamo trovato in soffitta» disse Itadori con un sorriso trionfante mentre Junpei, seduto sul letto, le rivolgeva un cenno di saluto. «Con il cavo possiamo giocare insieme senza bisogno della rete, non è figo?!» continuò Yūji.
    «Ah?» Nobara lo guardò delusa. «Siete proprio due bambini» commentò senza riuscire a dissimulare il proprio disappunto.
    «Eh?»
    «Nulla» sventolò la mano in aria, come a voler scacciare del tutto quella conversazione, poi sfoderò gli occhi più dolci della sua vita. «Ragazzi, ecco, mi chiedevo… non è che potrei dormire con voi per questa notte?»
    «Non dormi con Tsumiki?»
    «Ho lasciato il mio posto a Megumi» rise nervosamente, ricordandosi delle loro labbra incollate. «Sapete, con questo tempaccio non voglio stare da sola nell’altra stanza…»
    Anche perché ora, con quelle immagini di corpi sudati di fratelli che facevano cose in mente, era certo che non avrebbe chiuso occhio.
    «Per me non c’è problema, Nobara, ma abbiamo solo due letti piccoli…»
    «Non per mandarti via» intervenne Junpei, «ma forse potresti condividere il letto matrimoniale con Megumi e Tsumiki. Credo sia più fattibile, no?»
    All’improvviso, Nobara si immaginò fra quei due corpi sudati e rabbrividì di terrore. «Sì, insomma…!» congiunse gli indici, guardando a terra con il volto in fiamme, «meglio di no… poco fa ho avuto la brutta idea di entrare senza bussare…»
    «Che…?!» Junpei si alzò di scatto. «Stavano facendo qualcosa?!»
    «Oh sì, eccome, e voi due brutti stronzi lo sapevate! Potevate anche dirmelo!»
    «Quindi Fushiguro ce l’ha fatta» constatò Junpei.
    «Che facevano?» domandò Yūji con curiosa innocenza.
    Nobara sorrise tronfia. «Non ve lo dico! Così imparate a non condividere i segreti con me!»
    «Chiudila fuori, Yūji.»
    «Che?! Junpei, bastardo! Va bene, va bene, ve lo dico!»
    Yūji, che stava già per chiudere la porta, si fermò. «Junpei?» chiese poi.
    Yoshino piegò le labbra in un sorrisetto trionfante.
    «Falla entrare.»







    Junpei pensava che sarebbe morto da un momento all’altro. Il cuore gli batteva così forte che quasi non riusciva a respirare.
    Ancora non ci credeva di trovarsi nello stesso letto con Yūji. Un letto davvero piccolo che li costringeva a dormire molto vicini, per di più.
    Anche se Nobara si era appropriata del suo letto come una parassita, le doveva molto. Le avrebbe offerto un pranzo o una cena… anzi! L’avrebbe portata a fare shopping e le avrebbe comprato l’articolo più costoso che fosse riuscito a trovare.
    Era una fortuna che fuori piovesse così forte, altrimenti Yūji avrebbe sentito il suo respiro alterato e forse gliene avrebbe domandato il motivo, cosa che lo avrebbe imbarazzato ancora di più.
    Nonostante lui e Yūji trascorressero parecchio tempo insieme, quella era la prima occasione di intimità fra loro. Junpei era così tanto impegnato a restare immobile per evitare anche solo di sfiorarlo che era certo non sarebbe riuscito a chiudere occhio.
    “Forza, Junpei” si disse, “ce la puoi fare a non implodere, anche se si trova ad appena un centimetro da te”.
    All’improvviso fu Yūji a muoversi, circondandolo con un braccio.
    Junpei si pietrificò a occhi sgranati mentre l’altro lo stringeva pigramente a sé.
    «Yū-Yūji…?» lo chiamò a bassa voce, la gola completamente asciutta e il volto in fiamme.
    «Non ti dispiace, vero, Junpei?» gli chiese lui, le labbra aderenti ai suoi capelli morbidi e scuri. «Se cerchiamo di non toccarci staremo scomodi per tutta la notte. Tanto vale stare comodi, no?»
    Junpei non riuscì a rispondere. Si limitò a boccheggiare con il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, le guance a fuoco.
    Yūji doveva aver interpretato male il suo silenzio, perché di punto in bianco allentò la stretta. «Se ti do fastidio... »
    «N-no!» Junpei gli aveva già bloccato il braccio con entrambe le mani. Dovette fare un enorme sforzo per riuscire a parlare ancora. «No, va… va bene.»
    Non ne vedeva che la sagoma al buio, ma gli bastava per capire che Yūji stava esitando. Quel braccio ancora sospeso su di lui, che non ritornava a stringerlo, ne era la prova.
    «Junpei...»
    Yoshino deglutì avendo un brutto presentimento.
    «Che cosa stava succedendo fra noi prima del black out?»
    Non lo avrebbe creduto possibile, invece il battito del suo cuore aumentò ancora.
    «Yūji... c'è Nobara.»
    «Sta russando nel tuo letto.»
    Avrebbe voluto negare, ma quella maledetta di Kugisaki faceva concorrenza ai tuoni.
    Junpei deglutì a fatica. «Non stava succedendo niente, comunque.»
    «Siamo di nuovo al buio» gli fece notare Yūji. «Possiamo riprendere da dove avevamo lasciato.»
    Junpei gli lasciò il braccio e si coprì il viso con entrambe le mani, troppo imbarazzato per rispondere.
    Le dita di Yūji gli avvolsero i polsi con delicatezza attenta, esortandolo pian piano a scoprire il volto.
    Adesso non c'era più spazio fra i loro corpi, né fra le loro labbra.
    Junpei sentì il cuore scoppiargli nel petto, ma non ci pensò due volte a stringere le braccia attorno alle spalle di Yūji e a ricambiare il suo bacio.

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Capitolo 9
*** 9. Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo ***


9. Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo
「───────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────────」







    Nobara si stiracchiò sbadigliando sonoramente, una rapida occhiata al letto di fronte al suo.
    Si alzò con calma, cercando di abituarsi alla luce del giorno, quindi si avvicinò con passo felpato all’altro letto, soffermandosi a osservare Yūji e Junpei che dormivano abbracciati. Avevano entrambi un’espressione così serena in volto che solo a guardarli le venne da sorridere.
    «Che carini…» mormorò scompigliando i capelli di entrambi con una carezza prima di lasciare la stanza.







    Aveva dormito benissimo quella notte, tanto che non appena fu in cucina e vide Tsumiki seduta tutta sola, il ricordo di lei e Megumi che pomiciavano non la spaventò più, anzi la entusiasmò.
    Balzò sulla sedia vuota accanto all’amica, rivolgendole un’espressione radiosa. «Allora?!»
    «Nobara, no» si affrettò Tsumiki in tono fermo.
    Ovviamente la ignorò. «L’avete fatto?» chiese con impaziente curiosità. «Oh, niente particolari troppo particolari! Non voglio sapere quanto ce l’ha lungo, sia chiaro!»
    «Nobara!»
    «E non lo saprai mai, infatti» Megumi si affacciò sulla soglia, in mano una tazzina fumante e stampata in faccia un’espressione disgustata tutta per lei.
    «Mhpf!» in tutta risposta, Nobara incrociò le braccia e mise su il broncio.
    «Fra poco andiamo a dare un’occhiata all’auto» continuò lui.
    «Vediamo se per una buona volta riusciamo a capirci qualcosa» aggiunse Tsumiki. «Io sono pronta» continuò rivolta a Megumi.
    Megumi bevve l’ultimo sorso di caffè e ripose la tazzina vuota sul lavello, un sospiro rassegnato sulle labbra. «Andiamo.»







    «Dai Megumi, aiutami!»
    «Tsumiki, l’auto è la tua, io non ho neanche la patente, cosa vuoi che ne capisca?»
    Tsumiki, le mani imbrattate di grasso intente a chiudere il serbatoio del liquido di raffreddamento, sospirò sonoramente.
    «Si sarà fuso qualcosa…» borbottò Megumi, temendo di averla spazientita.
    «Ma le spie sono tutte spente» ribatté Tsumiki, «davvero non capisco quale sia il problema.»
    Tsumiki trafficò un altro po’, poi richiuse il cofano sbuffando, arresa all’idea che molto probabilmente sarebbero rimasti incastrati lì per sempre.
    Megumi non disse nulla, ma appena la vide sedersi sul cofano la raggiunse.
    Era un po’ nervoso, perché da quando Nobara li aveva sorpresi a baciarsi non si erano più sfiorati e aveva come l’impressione che Tsumiki volesse evitare a tutti i costi l’argomento. Forse ci aveva ripensato.
    «Vedrai che troveremo un modo» le poggiò una mano sulla schiena, accarezzandola.
    Tsumiki lo guardò, stupita da quel gesto che, per quanto semplice, era un vero sforzo di affetto da parte di Megumi. Accennò un sorriso e poggiò la testa contro la sua spalla, sentendolo rafforzare la stretta in risposta.
    «Se troviamo il modo di tornare a casa…» esordì poco dopo, «come lo diremo a Gojo?»
    Megumi sentì come se una scossa lo avesse appena attraversato: era ovvio che Tsumiki si riferisse a loro due. Allora non ci aveva ripensato!
    Stava vibrando di entusiasmo immaginando a come sarebbero andate le cose da quel momento in avanti, di come lui e Tsumiki si sarebbero scoperti, cosa che dopo tutti quegli anni di desiderio si augurava sarebbe accaduta il prima possibile.
    Si sforzò di scacciare via l’immagine di loro due che facevano l’amore, fantasia che nel tempo gli era stata tanto cara quanto nemica, rispondendo con gola asciutta. «Dobbiamo proprio dirglielo?»
    «Beh… viviamo con lui.»
    «Andiamo via.»
    «Dovremmo comunque dirglielo prima o poi, non credi?»
    Megumi sbuffò, innervosito all’idea.
    «Per ora Gojo non c’è» osservò con un certo sollievo, «possiamo non pensarci? Godiamoci questo schifo di vacanza senza responsabilità.»
    Tsumiki guardò il cielo, le labbra appena protese in una smorfia pensierosa.
    «Già, dimenticavo che a te le responsabilità piacciono» borbottò Megumi.
    «Veramente» Tsumiki lo guardò sorridente, «stavo pensando che hai ragione.»
    Gli prese il viso fra le mani, imbrattandolo di grasso, e gli rubò un bacio.
    Proprio in quel momento, un miagolio acuto attirò l’attenzione di entrambi: un piccolo batuffolo bianco li osservava con curiosità ad appena un metro di distanza.
    «Che carino!» Tsumiki fu la prima a scendere dal cofano. «Da dove spunti fuori?»
    Megumi la seguì, guardandosi intorno alla ricerca di mamma gatta o, quantomeno, di qualche fratellino, ma il cucciolo sembrava solo.
    «È molto magro» constatò Tsumiki, che si era già chinata accanto a lui.
    Megumi la guardò sorridere mentre accarezzava la testolina del piccolo, che aveva cominciato a rispondere con fusa brevi e sommesse, e gli venne naturale inginocchiarsi a sua volta.
    «Lo portiamo con noi?»
    Il più giovane dei Fushiguro si rabbuiò a quella domanda, non tanto perché non volesse prestare soccorso al cucciolo, ma perché avrebbe dovuto essere schietto con Tsumiki.
    «Non abbiamo cibo per gatti» cominciò. «Possiamo provare a nutrirlo con quello che abbiamo, ma sembra molto debole, Tsumi… non sappiamo per quanto ancora resteremo qui, quindi potrebbe anche non—»
    «Non dirlo.»
    Tsumiki lo aveva già preso fra le braccia. Si raddrizzò stagliandosi nel sole, rivolgendogli uno sguardo determinato. «Sopravviverà sicuramente!»
    Megumi la guardò scettico. Sospirò rassegnato, per poi sorridere appena: a volte la fede di Tsumiki sapeva essere davvero accecante.







    Lo svegliò un solletico leggero sulla guancia, come spesso accadeva quando, muovendosi nel sonno, i capelli gli scivolavano sul viso. Ma quella mattina era diverso. Gli ci volle un po’ di tempo per rendersi conto che i capelli si erano spostati seguendo la direzione di una carezza sulla sua testa, ma quando lo capì Junpei spalancò gli occhi in un sussulto.
    Quando vide che Yūji lo stava guardando con le labbra increspate in un sorriso, si sentì avvampare.
    «Sei… sei troppo vicino, Yūji» lo ammonì con voce tremante, le guance in fiamme.
    Aveva moltissime domande da fargli, prima fra tutte se provasse davvero un sentimento per lui o se si fosse trattato soltanto di un momento di debolezza. Dopotutto Yūji aveva sempre detto che gli piacevano le ragazze ed era rimasto della sua anche dopo aver scoperto che a lui piaceva un ragazzo, eppure quella notte lo aveva baciato. E non si era trattato soltanto di un bacio, no.
    Si erano baciati a lungo, si erano tenuti stretti fin quasi a soffocare dal caldo. E in tutta onestà quelli di Yūji non gli erano affatto sembrati i baci di un indeciso, tutt’altro.
    Al pensiero della lingua dell’altro che scavava vorace nella sua bocca, Junpei fu scosso da un brivido di piacere, ma era anche arrabbiato con lui. L’espressione allegra di Yūji, che lo coccolava con così tanta spensieratezza come se stessero insieme da anni, non lo aiutava di certo a trattenere gli interrogativi.
    «Da quanto lo sapevi?»
    Itadori esitò per qualche istante. «Lo sospettavo da un po’… questa vacanza mi ha aiutato ad avere un po’ di conferme.»
    Junpei guardò altrove, non riuscendo a capire se lo indispettisse di più l’idea di essere stato scoperto o l’essere guardato ancora con quel sorriso ingenuo.
    «Ma a te…» indugiò, «a te non piacciono le…?»
    Yūji sospirò. «Mi hai mai visto con una ragazza in tutti questi anni, Junpei?» gli domandò poi, a bruciapelo.
    «In effetti no…»
    «Mi piace chi mi piace» dichiarò Yūji, con una semplicità che Junpei trovò disarmante. «Dico che mi piacciono le ragazze perché fino ai quindici anni è stato così, non mi era mai capitato di provare attrazione per un ragazzo prima di conoscere te.»
    Yoshino tornò a guardarlo, il volto in fiamme. «Ti… ti piaccio?»
    «Eh?» Yūji lo guardò stupito, poi sorrise vagamente divertito. «Perché ti avrei baciato, altrimenti? Mi piaci da parecchio, Junpei» si grattò la tempia con un dito, ridendo imbarazzato, «è solo che avevo paura di essere rifiutato.
    Itadori riprese a parlare dopo qualche secondo. «Scoprire che i miei sospetti erano fondati mi ha sollevato, ma quando ho pensato che quel ragazzo di cui hai parlato in salotto quando hai fatto coming out potevo non essere io la cosa mi ha angosciato.»
    «Certo che sei tu, sei sempre stato tu» Junpei boccheggiò, imbarazzato dalle sue stesse parole, poi ripensò a quello che aveva detto in salotto e divenne paonazzo. «C-con questo non voglio dire che, a-anche se voglio, dobbiamo fare subito quella cosa!»
    Yūji scoppiò a ridere in un modo così bello e cristallino che Junpei non poté fare a meno che incantarsi a guardarlo mentre l’imbarazzo defluiva dalle sue guance.
    «Abbiamo tutto il tempo del mondo, Junpei» gli disse schioccandogli un bacio all’angolo della bocca, «per quella cosa e per mille altre.»
    Le loro labbra si trovarono di nuovo e Junpei si sentì così leggero che pensò di poter volare. Non c’era bisogno di dirsi altro.







    Itadori sbatté le palpebre a più riprese, per essere certo di non stare immaginando tutto. «Un gatto…?» domandò.
    «Sììì! Vieni a vedere che carino!» Nobara era entusiasta; mentre Tsumiki era inginocchiata sul pavimento e gli puliva il pelo con un panno umido, lei spezzettava il pane, ridacchiando intenerita ogni volta che il gattino lo masticava di gusto.
    Yūji non se lo fece ripetere due volte. Quando si chinò, Nobara gli porse un pezzo di pane così che anche lui potesse dare da mangiare al piccolo.
    Anche Junpei avrebbe voluto vedere da vicino quell’adorabile pallina di pelo, ma c’era prima un’altra cosa che doveva fare e considerando che Megumi erano l’unico a essere rimasto in disparte, quello era il momento migliore.
    «Allora ce l’hai fatta» disse affiancandosi a lui, «con Tsumiki» aggiunse a voce più bassa vedendo che Megumi gli aveva lanciato un’occhiata interrogativa.
    «Ovviamente Kugisaki vi ha detto tutto» borbottò a denti stretti.
    «Anche io ce l’ho fatta» gli disse Junpei con una punta di imbarazzo nella voce, le labbra increspate in un sorriso appena percettibile.
    Le sopracciglia di Megumi ebbero un guizzo istantaneo, un’espressione di sorpresa che Junpei riuscì a catturare giusto per un secondo, eppure fecero esattamente la stessa cosa: si diedero il cinque dietro la schiena, per non rischiare che gli altri tre assistessero alla loro celebrazione silenziosa, un sorrisetto complice e orgoglioso sulle labbra di entrambi non appena le loro mani si toccarono.

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Capitolo 10
*** 10. Ma dico io... non poteva capitarci un bonazzo con una bella auto?! ***


10. Ma dico io… non poteva capitarci un bonazzo con una bella auto?!
「─────────────────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ───────────────────────────────」







    Il gattino aveva riacquistato un po’ di vigore mangiando il pane, ma la farina stava per finire. Avevano bisogno di qualcosa di più sostanzioso, cucciolo compreso, ecco perché quella mattina erano usciti tutti e cinque, decisi a spingersi molto oltre rispetto a dove erano arrivati Yūji e Tsumiki durante le escursioni mattutine.
    Prima di addentrarsi nella sterpaglia, Tsumiki aveva fatto l’ennesimo tentativo e aveva girato le chiavi nel cruscotto nella speranza di ricevere un segno di vita dall’auto. Gli altri quattro, che la aspettavano fuori, non si sorpresero dello scoraggiante silenzio.
    Tsumiki chiuse la portiera con un sospiro. Stava per lamentarsi quando udì un cigolio, e lo sentirono anche gli altri, perché tutti girarono il viso nella stessa direzione.
    «Cosa…?» Nobara mise a fuoco, cercando qualcosa sull’orizzonte della strada.
    «Quello è…?» Megumi non credette ai suoi occhi quando vide spuntare il dorso bianco di un camioncino oltre la curva della strada.
    «Non può essere un’allucinazione di massa, vero?» domandò Tsumiki.
    «Ehi!» Nobara si stava già sbracciando a bordo strada. «Ehi, siamo qui!»
    Subito dopo, anche gli altri la raggiunsero agitando le braccia per attirare l’attenzione del guidatore.
    Il camioncino li superò a tutta velocità, lasciandoli tremendamente delusi e più disperati di prima.
    «Maledizione!» Nobara agitò il pugno in aria, cominciando a corrergli dietro. «Torna qui, idiota!»
    A poco a poco, il camioncino cominciò a rallentare sempre di più. Nobara si fermò quando lo vide arrestarsi, rimanendo a guardarlo con rinnovata speranza.
    Il camioncino cigolò di nuovo. Come un’enorme bestia metallica in procinto di risvegliarsi da un lungo sonno, ondeggiò in uno spasmo scricchiolante prima di riprendere a muoversi in una lenta e rumorosa retromarcia.
    Nobara indietreggiò fino a raggiungere gli altri, che come lei osservavano il mezzo con crescente inquietudine. Tsumiki distolse lo sguardo quando sentì grugniti acuti provenire dal suo interno, evitandosi lo spettacolo di una fila di musi di maiale protesi oltre le feritoie laterali.
    «Oh cazzo» Megumi non riuscì a trattenersi quando il guidatore abbassò il finestrino, e a dire il vero anche Yūji e Junpei dovettero sforzarsi di mantenere un certo autocontrollo per non sobbalzare alla vista di quella faccia.
    Tsumiki, che era appena tornata a guardare, rabbrividì.
    «Ha la faccia cucita?» chiese Nobara senza il minimo tatto, guardando gli amici alla ricerca di conferme. «Ma dico io… non poteva capitarci un bonazzo con una bella auto?! Ovviamente no! Dovevamo beccarci lo spaventapasseri!»
    «Nobara» Tsumiki le strattonò il braccio per farla tacere.
    «Mi scusi, signore» Itadori prese coraggio e mosse un paio di passi verso il camioncino, «abbiamo un problema con la nostra auto, per caso ha i cavi della batteria?»
    Il tizio con la faccia cucita dispiegò le labbra in un sorriso tirato, sinistro. «I cavi?» ripeté con voce serafica, passandosi la lingua sul labbro inferiore. «No, ma se saltate su posso portarvi in città.»
    «Che?!» sbraitò Nobara. «Senti, cretino, non penserai mica di farci viaggiare insieme ai maiali! Senti che puzza… bleah!»
    «Nobara, ti prego…!» Tsumiki, ormai completamente aggrappata al suo braccio, la supplicò a bassa voce, impaurita dalla possibile reazione di quell’uomo inquietante.
    «Non credo abbiate altra scelta, no?» li incalzò lui quasi cantilenando.
    Nobara lo guardò con espressione disgustata, per poi esalare un sospiro rassegnato. «Che facciamo? Andiamo?»
    «Non se ne parla» fu Junpei a rispondere per tutti. A Nobara bastò la sua espressione per ammutolire.
    «Hai presente quello di cui avevi tanta paura quando siamo arrivati qui?» le domandò lui. «Beh, eccolo lì. Se fossimo in un horror, quello sarebbe l’assassino.»
    «Ho ricevuto più insulti in cinque minuti che nel resto della mia vita» rise languidamente l’uomo, che ancora li guardava seduto al posto di guida.
    «Piuttosto che andare con lui muoio di stenti qui» disse Megumi.
    Anche Itadori si convinse a lasciar perdere e tornò indietro.
    «Forza, ragazzi» piuttosto che uscire dal posto di guida, l’uomo si spostò sul sedile del passeggero e aprì la portiera dall’altra parte, schermando la propria figura dietro al camioncino una volta sceso. «Saltate su… o vi faccio salire io.»
    Un’auto sfrecciò accanto al mezzo, inchiodando con un rumore assordante.
    Il camioncino vuoto copriva la scena, così i cinque ragazzi restarono a osservarlo con il fiato sospeso.
    «Oh, mi scusi!» una voce femminile si levò subito dopo lo stridore della frenata, «stavo per investirla! Tutto bene?»
    Non udirono la risposta di faccia cucita, perché le ruote dell’auto stridettero nuovamente sull’asfalto.
    La macchinina rossa si accostò proprio dietro al camioncino e la donna si affacciò dal finestrino, la sigaretta stretta fra le labbra e la mano alzata in cenno di saluto. I volti dei cinque ragazzi si illuminarono immediatamente.
    La donna scese, soffiando il fumo con indifferenza. «La mia auto è omologata per cinque» guardò alla sua sinistra, rivolgendosi all’uomo dalla faccia cucita, «quindi se vuole prendersi uno dei ragazzi in sacrificio posso cederglielo.»
    «Mamma!» la ammonì subito Junpei.
    «Già, sì, uno è mio figlio, quindi temo proprio di non poterglielo lasciare» aspirò il fumo con gli occhi socchiusi, sorridendo quando scostò la sigaretta dalle labbra, «allora, preferisce i maschietti o le femminucce?»
    Il tizio borbottò qualcosa e risalì sul camioncino sbattendo la portiera per comunicare il suo disappunto, quindi sfrecciò via a tutta velocità, sollevando un turbinio di polvere che scompigliò i capelli dei presenti.
    La donna lo guardò andare via con espressione indifferente, poi si strinse nelle spalle. «Beh, vorrà dire che uno di voi dovrà restare qui…»
    «Mamma…!»
    Nagi Yoshino sorrise ai ragazzi mentre spegneva il mozzicone sotto la scarpa, poi fece loro l’occhiolino. «Scherzo! Ho portato i cavi!»







    Non appena il motore dell’auto di Tsumiki si accese, Nagi alzò il pollice sorridendole da dietro il parabrezza.
    «Come hai fatto a trovarci?» le domandò Yūji mentre Tsumiki usciva dall’auto per unirsi ai festeggiamenti di Nobara e Junpei.
    Nagi sorrise. «Tuo fratello. È venuto da me disperato perché non riusciva a rintracciarti, così ho localizzato la tua chiamata.»
    Itadori si illuminò. «Oh! Choso!»
    «Beh, non so come siate finiti qui, ma sono contenta che stiate bene» replicò lei. «E poi» aggiunse con un sorrisino, «vedo che finalmente vi siete fidanzati.»
    «C-che?» Itadori la guardò sorpreso.
    «Tu e mio figlio» Nagi lo squadrò solo per un istante, un sorriso di approvazione a incresparle le labbra. «E perfino Megumi e Tsumiki, vero?»
    «Ma… ma come fai a saperlo?!» le domandò Yūji, più ammirato che inquietato dalla prontezza con cui aveva indovinato. «Non sarai mica una strega?!»
    «Ohi, a chi hai dato della strega? Sono ancora una bella donna» lo ammonì lei.
    «Quando sarò grande voglio essere figa come tua madre, Junpei!» esclamò Nobara, strappando una risata compiaciuta a Nagi.
    «Ma tu sei già grande, Kugisaki» osservò Megumi.
    «Sta’ zitto, Fushiguro.»
    Tsumiki e Junpei scoppiarono a ridere all’espressione imbronciata di Megumi.
    «Forza» la madre di Junpei batté le mani per attirare la loro attenzione, «questo posto mi mette i brividi, prendete i bagagli e andiamocene, vi guido io!»







    Quando lungo la strada comparirono le prime abitazioni, il cellulare di Itadori cominciò a trillare all’impazzata.
    «Centodue chiamate?!» esclamò. «E… e cinquantatré messaggi!»
    «Choso?» domandò Junpei con una risatina nervosa.
    «Beh, era molto preoccupato» osservò Nagi mentre si accostava dietro un’auto ferma al semaforo.
    «Mamma! Mi hai chiamato duecento volte?!» Junpei strabuzzò gli occhi di fronte alla notifica appena apparsa sullo schermo.
    Nagi scoppiò a ridere. Una risata liberatoria che la portò a estrarre una nuova sigaretta dal pacchetto. «Beh, ero preoccupata anche io!»
    «Non fumare in macchina!»
    «Che pizza, Junpei! Vi ho salvato il culo, una sigaretta potresti anche concedermela!»
    «Non se ne parla!»
    Vedendoli litigare come erano soliti fare nelle serate in cui si fermava a cena da loro, Yūji si rilassò contro il sedile con un sorriso, sorriso che si trasformò in una sonora risata quando sentì Choso gridare: “Sei vivo!” fra le lacrime non appena rispose alla sua centotreesima chiamata. Per quanto gli riguardava, era già a casa.







    Per quanto ammirata dalla madre di Junpei, Nobara aveva scelto di andare con Tsumiki così che potesse prendersi cura del gattino durante il viaggio. Ad avere bisogno di aiuto in quel momento, però, era più che altro Megumi, perché il cucciolo gli era salito addosso e si era aggrappato alla sua spalla con tutte le unghie.
    «E staccati!» Nobara lo tirava, ma lui proprio non voleva saperne di lasciare Fushiguro, che imprecava per quelle unghiette sottili conficcate nella pelle.
    «Ma che succede lì dietro?» Tsumiki sbirciò solo per un istante attraverso lo specchietto retrovisore, determinata a non perdere di vista l’auto rossa di Nagi che li precedeva.
    «Ho del pane nella borsa» disse poi, non riuscendo a trattenere una risata.
    «Non è divertente!» protestò Megumi mentre Nobara si affrettava a recuperare il cibo dal sedile davanti.
    Non appena avvertì l’odore del pane, il gattino balzò giù da Megumi e salì sulle gambe di Nobara, lusingandola con una serie di miagolii acuti.
    «Oh! Ma quanto sei carino!» gongolò lei.
    «Sì, una creatura del demonio» borbottò Megumi, massaggiandosi la spalla. «Lo sapete che Yoshino e Itadori si sono messi insieme?» disse poco dopo.
    Nobara lo guardò a occhi spalancati. «Cosa?! E tu come lo sai?!»
    «Dio, Megumi, sembri Nobara» commentò Tsumiki.
    «Eh? E con questo cosa vorresti dire?!» si ritrovarono a protestare all’unisono i due passeggeri.
    «Beh, sembra che per una volta siate d’accordo su qualcosa» ridacchiò soddisfatta Tsumiki.
    All’improvviso, il cellulare di Nobara cominciò a trillare. «Eh? C’è di nuovo rete?» lo controllò subito, sorridendo allegramente nel vedere quante chiamate e messaggi aveva ricevuto dalle amiche.
    «Io ho solo un messaggio…» constatò Megumi con espressione indifferente. Nel mentre, anche il cellulare di Tsumiki trillò.
    «Controlli anche il mio?» gli chiese lei.
    «Sì» Megumi lo recuperò dalla sua borsa, dando un’occhiata alla notifica. «Anche tu hai solo un messaggio.»
    Con il suo cellulare nella destra e quello di Tsumiki nella sinistra, aprì gli SMS in simultanea.
    «Gojo mi scrive: “Compri una bottiglia di latte appena torni?”… e a te scrive: “Di’ a Megumi di comprare una bottiglia di latte.”» sfiatò, mettendo via i cellulari. «Vedo che è molto preoccupato per noi.»
    Tsumiki continuò a guidare in silenzio, poi, le labbra increspate in un sorrisetto tirato, disse qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di sentir uscire dalla sua bocca: «Beh, vorrà dire che quando torneremo a casa gliela faremo pagare.»






ɴᴏᴛᴇ ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ
Se solo Nobara fosse scesa (da sola) nello scantinato, forse ciò di cui aveva tanta paura, fosse questo un killer, uno spirito malefico o chissà quale altra creatura partorita dalla sua immaginazione, l’avrebbe assassinata e senza tutte le sue insinuazioni e i suoi interventi non sarebbe mai accaduto nulla fra Megumi e Tsumiki e fra Yūji e Junpei… ma non è questo il caso, quindi… grazie Nobara??
Ebbene, siamo giunti alla fine di questa mia piccola pazzia! Alla fine sono contenta di averla scritta perché ho avuto modo di giocare un po’ con questi personaggi senza riversare su di loro traumi particolarmente gravi, al contrario… qui Nagi e Junpei si sono addirittura presi la rivincita su Mahito (e infatti è il mio capitolo preferito a mani basse ahah!)
Ci ho pensato per un po’ a quale adulto affidarmi per salvare i ragazzi e volevo Gojo per un altro po’ di disagio gratuito, volevo Nanamin per un po’ di daddy fanservice nella mia mente, volevo Utahime perché è la mia queen, ma alla fine ho optato per Nagi perché la adoro e non so quante occasioni avrò ancora per inserirla in qualche storia (vabbè, un’idea che abita la mia testa dalla scorsa estate mi permetterebbe di scrivere profusamente di lei, ma per ora mi considero in vacanza dal fandom di Jujutsu sì, tipo Nanami sulla spiaggia).
Tuttavia! Come avrete notato no dai, non lo avete notato, chi le guarda le note? la storia non è ancora conclusa perché ho voluto scrivere anche un piccolo special che arriverà mercoledì 1!
Piccolo avvertimento sullo special: visto che non ho scontentato già abbastanza il fandom con le coppie presenti nella storia, nello special ci saranno dei riferimenti GojoHime. So quanto questa coppia sia odiata (sigh), quindi mi sembra giusto avvisarvi, anche se ovviamente l’ingrediente principale dell’epilogo sarà il nostro caro amico disagio.
E visto che la conclusione avrà tanto disagio ho deciso che queste saranno le ultime note autrice, giusto per lasciarvi molto molto perplessi quando pubblicherò lo special la prossima settimana!
Anche se questa storia ha ricevuto pochissimo supporto esplicito, di lettori ce ne sono stati, quindi vi ringrazio per averle dato una possibilità (e vi chiedo perdono per avervi rubato il tempo con questa montagna di cavolate ahah!)

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Capitolo 11
*** 10.1 Di come Megumi, Tsumiki e Utahime la fecero pagare a Gojo ***


10.1 Di come Megumi, Tsumiki e Utahime la fecero pagare a Gojo
「───────────────────────────── ˗ˋˏ ˎˊ˗ ─────────────────────────────」







    «Finalmente! Pensavo non sareste più tornati» Gojo se ne restò coricato sul divano quando vide Tsumiki entrare in salotto.
    Attese qualche istante, poi domandò in tono annoiato: «Il latte?»
    Tutto faceva pensare che avesse passato gran parte del tempo a oziare, tanto da non avere avuto neppure la decenza di alzarsi per andare a comprare uno stupidissimo cartone di latte al konbini sotto casa.
    «Eccolo qui, il latte» replicò Megumi poggiando a terra uno scatolone enorme.
    «Ah…? Ma questa è un’intera fornitura!» protestò Gojo. «Io vi ho chiesto solo una bottiglia!»
    «Non è per te, infatti» gli sorrise Tsumiki. «È per il gatto.»
    Satoru inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata confusa ai due. «Quale ga— Megumi! Perché hai un gatto sulla testa?!»
    Il micino miagolò, rispondendo per lui, quindi Gojo si rivolse alla più ragionevole della famiglia. «Tsumiki, perché tuo fratello ha un gatto sulla testa?»
    «Perché è il nostro gatto» rispose lei, serafica.
    Gojo sbatté le palpebre a più riprese, osservando attentamente il volto sorridente di Tsumiki, poi quello apatico e inaccessibile di Megumi e infine il faccino scarmigliato del cucciolo.
    «Abbiamo già due cani, non se ne parla!» sbottò. «Questa casa non è un albergo!»
    Megumi e Tsumiki non si scomposero. Come per i cani, sapevano che si sarebbe fatto impietosire. Probabilmente lo avrebbero trovato a poltrire sul divano con il gattino acciambellato sulla pancia quella sera stessa, e presto lo avrebbero sentito tessere le lodi di quel cucciolo, che con il suo dolce musetto si sarebbe guadagnato il titolo di miglior figlio di casa a tempo di record.
    «Non terremo il gatto» si oppose Satoru.
    «Sì» risposero all’unisono i due fratelli.
    L’uomo mise il broncio. Li guardò accigliato, nella speranza di farli desistere, ma quando si rese conto che non sarebbe servito a nulla, che erano irremovibili, Tsumiki nel suo buonumore e Megumi nella sua irritante indifferenza, si vide costretto a prendere il cellulare.







    «Utahiiiime!»
    «Che vuoi?»
    La voce dall’altro capo del telefono non sembrava ben disposta, come sempre, del resto, e Gojo riprese a parlare con un piagnucolio che non fece altro che indispettirla ancora di più. «Tsumiki e Megumi vogliono tenere un gatto che hanno trovato chissà dove! Ti prego, vieni ad aiutarmi!»
    Utahime restò in silenzio per qualche istante, poi emise un lungo sospiro. «Arrangiati, Gojo.»
    «E dai!» era certo che stesse per riattaccare, quindi si affrettò a parlare. «Ti offro da bere!»
    Silenzio.
    «Nel mio posto preferito» chiosò Utahime.
    Bingo! Funzionava sempre! Lui le offriva da bere e lei dettava le condizioni. Era la regola per tutte le volte in cui Utahime gli faceva dei favori.
    «Dove vuoi tu» le rispose in tono accomodante.
    Utahime sospirò di nuovo, ma era un suono diverso rispetto a prima: era arrendevole, decisamente meno inquieto. Gojo sorrise perché sapeva bene cosa significava: Utahime aveva accettato, ma voleva tenerlo ancora un po’ sulle spine. Per non dargliela subito vinta.
    «Mezz’ora e sono lì da voi» si arrese lei.
    Gojo mostrò i denti in un sorriso che Megumi e Tsumiki trovarono allarmante. «Grazie, Utahime, sei la migliore!»







    «Utahime!!» protestò Gojo quando la vide inginocchiata sul tappeto a giocare con il gattino. «Dovevi aiutarmi, non allearti con loro!»
    «È solo un gattino, Gojo, che differenza fa?» la donna gli rivolse un’occhiataccia, tornando a sorridere non appena il cucciolo catturò fra le zampe il filo colorato che aveva fatto strisciare sul pavimento.
    «Già» si accodò Tsumiki. «Te la stai prendendo con un povero cucciolo indifeso.»
    «Utahime ha ragione, come sempre» puntualizzò Megumi, che con i suoi due cani se ne stava seduto a gambe incrociate a osservare il gioco.
    «Benissimo, scordati la bevuta questa sera» borbottò Gojo.
    «E tu scordati qualcos’altro» replicò Utahime.
    Megumi e Tsumiki le rivolsero un’occhiata interrogativa, poi si guardarono, un sospetto terrificante che già si faceva strada sotto pelle.
    «No, dai, scherzavo Uta—»
    «Io no!» Utahime gli puntò il dito contro, sbraitando. «Lo sappiamo entrambi che a farmi bere ci guadagni molto di più te visto che poi mi porti a letto!»
    Tsumiki quasi si strozzò con la sua stessa saliva, Megumi morì un po’ dentro e desiderò farlo anche fuori.
    «Eh?! Ma hai visto quanto sono bello, Utahime? Dal mio punto di vista ci guadagniamo entrambi allo stesso modo! Giusto, ragazzi?»
    «Non… non vogliamo entrare in questo discorso» boccheggiò Tsumiki.
    «Sono così deluso, Utahime» Megumi si perse a osservare i ghirigori del tappeto con espressione mogia. «Una donna bella e intelligente come te… come fai ad andare con uno come lui?»
    «Ohi!» protestò Gojo.
    «Non lo so neanche io, Megumi» rispose Utahime, scura in volto. «Mi dispiace molto.»
    «Ohi!»
    «Beh, si direbbe che anche a Gojo come a Megumi piacciano le donne più grandi…»
    «Eh?» Gojo e Utahime si voltarono in direzione di Tsumiki, che si tappò subito la bocca, paonazza in volto.
    «Tsumiki!» la richiamò Megumi, anche lui visibilmente in imbarazzo.
    «E-ero a disagio per la situazione e non sapevo cosa dire!» si giustificò lei.
    «E quindi dovevi dire proprio quello
    «N-non ho detto nulla!»
    «Sì che lo hai detto!»
    I volti di Gojo e Utahime continuavano a girarsi, prima in direzione di una, poi in direzione dell’altro, osservando la scena con rapito stupore.
    Poco dopo, Gojo andò a inginocchiarsi accanto a Utahime. «Che cosa sta succedendo?» le chiese a bassa voce.
    «Lasciali fare» gli disse lei. «Ce lo stanno per dire.»
    Intanto Megumi continuava a inveire contro Tsumiki. «Secondo te è normale che tu sappia una cosa simile di me?»
    «Sì!» ribatté Tsumiki, ma perse subito lo slancio. «Dopotutto siamo… siamo…»
    «Oh no» sussurrò Utahime.
    «Oh no?» ripeté Gojo, guardando l’altra con una certa apprensione. «Perché hai detto: “Oh no”?»
    «Non riesce più a dire che sono fratelli» osservò Utahime e l’angoscia di Gojo aumentò a dismisura.
    «Non lo siamo, Tsumi!»
    «Ok, d’accordo, ma non ho detto nulla!»
    «La frase di Tsumiki era un po’ strana» intervenne Utahime, guardando Megumi di traverso, «ma è la tua reazione a parlare.»
    «Utahime…» Satoru la scosse per una spalla, ridacchiando nervosamente. «Utahime, che vuoi dire?»
    «Che i nostri sospetti erano fondati.»
    Megumi guardò Gojo dritto negli occhi, poi sospirò. «Già, il gatto non è la sola novità in questa casa…»
    «Oh mio dio!» Gojo si prese il volto fra le mani, rivolgendosi subito a Tsumiki. «Sei incinta?! Potevate aspettare un po’, almeno! Darmi il tempo di abituarmi!»
    «Che?!» Tsumiki sussultò, arrossendo ancora di più.
    «Okay, voglio bere per davvero adesso» mormorò Utahime.
    «Non sono incinta! Non abbiamo fatto nulla!»
    «Eh?» Gojo sbatté le palpebre a più riprese, per poi sospirare di sollievo.
    «Però stiamo insieme…» borbottò Megumi, torturandosi la nuca con le dita per l’imbarazzo.
    Gojo si raddrizzò senza dire una parola: lui e Utahime sospettavano da un po’ che Megumi e Tsumiki nutrissero qualcosa l’uno per l’altra e, in tutta onestà, si era sempre detto che non avrebbe impedito loro di stare insieme, tuttavia aveva bisogno di abitarsi all’idea. Sperava soltanto che sarebbero andati a convivere prima di cominciare ad avere rapporti perché per nulla al mondo avrebbe voluto rischiare di sorprenderli o sentire qualche verso imbarazzante fra le mura di casa.
    «Il gattino può restare» annunciò poco dopo. «In quanto a voi due…» continuò con aria grave, «usate i preservativi. Non voglio altri Fushiguro in questa casa.»
    «Ma non facciamo…!» Tsumiki si arrese, gonfiò le guance e non disse più nulla.
    «Utahime…» quasi senza voce, Gojo le tese la mano per aiutarla a rialzarsi, «portami a bere, ti prego.»
    «Ma tu non bevi» gli ricordò lei, accettando la sua mano dopo qualche istante di esitazione.
    «Stasera sì.»
    Vedendolo così scioccato, Utahime cercò di fargli forza assestandogli un paio di pacche sulla schiena.
    «Ragazzi, io porto Gojo a bere» disse voltandosi verso Megumi e Tsumiki con il pollice alzato. «Avete casa libera, se volete approfittarne» aggiunse in tono malizioso, sorridendo compiaciuta nel sentire la schiena di Gojo sussultare sotto la sua mano e nell’osservare la stessa reazione negli altri due.
    Non riusciva proprio a smettere di sorridere. Si dava il caso, infatti, che avesse acquistato da poco un paio di sex toy, e quale miglior modo di vendicarsi di Gojo se non farlo ubriacare e testarli su di lui?

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