Solitude

di Velidart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Dalle 2.00 alle 3.00 AM ***
Capitolo 3: *** Dalle 3.00 alle 3.30 AM ***
Capitolo 4: *** Dalle 3.30 alle 4.00 AM ***
Capitolo 5: *** Dalle 4.00 alle 5.00 AM ***
Capitolo 6: *** Dalle 5.00 alle 5.30 AM ***
Capitolo 7: *** Alba ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


L’automobile arriva al parcheggio, fa manovra e si inserisce fra le strisce. Poco prima di spegnere il motore, il conducente guarda stancamente l’insegna illuminata e nella sua mente legge “Cock ail Bar”. Sorride, sbuffa e scuote la testa.
“Facciamolo” si dice semplicemente, quindi gira la chiave e apre lo sportello: un getto d’aria gelida lo investe, quindi rabbrividisce e chiude la zip del cappotto fin sotto il mento.
S’incammina a testa basta, compie una cinquantina di passi e apre la porta; questa volta viene investito da un getto d’aria inversamente e sproporzionalmente bollente che gli procura una spiacevole sensazione.
Borbotta, individua uno sgabello libero al bancone e si siede, toglie il cappotto e si guarda attorno: qualche coppia che parlotta al tavolo, una ragazza che ride sguaiatamente a una probabile pessima battuta del giovanotto che le sta davanti; una coppia di amiche che parlano del tradimento di un ex davanti a due calici ricolmi di vino. A un altro tavolo un gruppo di anziani che impreca alla calata dell’asso di uno di loro; qualcuno poco lontano lancia qualche freccetta contro il bersaglio, picchiettando rovinosamente il muro. 
Eppure il nuovo arrivato guarda il tutto con una sorta di indifferenza, si focalizza quindi sul barman e richiama la sua attenzione con un gesto della mano.
-Montenegro con ghiaccio per favore-
L’altro annuisce e si dirige verso il cestello del ghiaccio con un bicchiere di plastica in mano.
“Un fottuto bicchiere di plastica?” pensa l’ordinante, per poi formulare una complessa teoria sul famoso e tanto eclatante inquinamento ambientale.
Pazienza – si dice dopo un poco – e si vede arrivare un involucro opaco, da cui traboccano cinque o sei cubetti e un mezzo dito di liquido denso e scuro.
-Sei dollari.- esordisce il barman e senza tanti complimenti gli ficca uno scontrino sotto al naso.
Steve piega il labbro, caccia le dita in tasca e ne estrae una manciata di monete che getta alla rinfusa sul bancone.
-Tieni il resto. – dice semplicemente, poi afferra il bicchiere e beve un sorso.
L’amaro gli cola giù per la gola, un brivido gli corre lungo la schiena ma, in fondo, non ottiene l’effetto sperato.
“Tanto vale buttarlo giù tutto d’un fiato e togliere le tende” si dice e fa per andarsene ma qualcuno gli si siede a fianco, fin quasi a toccarlo e Steve si volta incerto verso il nuovo arrivato.
Lei è mora, indossa un pellicciotto e un body che lascia intravedere le forme vistose e prorompenti dei seni: vestita completamente di nero – gonna e stivali compresi – richiama a sua volta il barman con delle lunghe dita affusolate alla cui punta culminano delle lunghe unghie in gel dello stesso colore. 
-Fanne altri due- esordisce senza tanti complimenti e indica il bicchiere di Steve, poi si gira verso di lui e abbozza un sorriso.
Gli occhi sono scuri, talmente scuri che a causa delle luci soffuse del locale nemmeno se ne riesce a distinguere l’iride, ma una cosa Steve la intuisce: è certamente la donna più bella che abbia mai visto in vita sua.
-Non capita tutti i giorni di vedere qualche faccia nuova a Crossword Street, di questa stagione per di più. Beh almeno sei arrivato tu e puoi distrarmi dai soliti bifolchi che si sbronzano in questo dannato buco. A meno che tu non abbia qualcosa in contrario.-
Steve s’acciglia, si prende qualche secondo e poi le risponde.
-Avevo voglia di farmi un giro lontano dal caos cittadino. Ho semplicemente inforcato la macchina e guidato alla cieca. Non ero mai stato da queste parti in effetti, ma evidentemente la solitudine non ha vinto sulle mie scorribande. E poi, sinceramente, dovevo pisciare.-
-Cosa che non hai ancora fatto…-
-Steve.-
La donna si porta una mano al mento e ripete quel nome pensierosa, poi gli tende la mano che – nota lui – è ghiacciata.
-Piacere Steve, io sono Selene. Il cesso è di la comunque.- e gli indica una porta malconcia e sbeccata in più punti a un angolo del locale.
-Capisco. Grazie dell’informazione Selene. Visto che me ne hai ordinato un altro, aspetto di buttare giù il bicchiere prima di svuotare la vescica. Dimmi, cosa ti spinge a sederti a fianco a un perfetto sconosciuto, nel cuore della notte e di questi tempi, ed a offrirgli persino un amaro?-
Selene ridacchia.
-La noia. Te l’ho detto prima, e le novità sono sempre ben accette. Tanto per cominciare mi hai parlato di solitudine, vuoi approfondire? A volte parlare con uno sconosciuto dei propri problemi può essere liberatorio. Si possono dire le cose senza alcuna aspettativa e l’altro può rispondere senza apparenti filtri.-
-Certamente hai ragione, anche se credo dipenda dall’educazione che ci è stata impartita da piccoli. Ti basti sapere che non è un periodo della mia vita di cui vado particolarmente fiero. Avevo bisogno semplicemente di schiarirmi le idee e guidare mi fa bene: mi permette di stare con me stesso e fare qualcosa allo stesso tempo, non so se capisci.-
-Capisco eccome.- le risponde, poi afferra uno dei due bicchieri che le sono appena stati portati, glielo porge e ne prende uno a sua volta.
-Alla solitudine. Cin cin.- 
Segue un momento di imbarazzante silenzio.
-Allora Selene, che cosa ci fa una così bella ragazza nel cuore della notte in un bar di balordi?-
Lei alza le spalle e beve un altro sorso.
-Probabilmente aspettavo qualcuno come te. Te l’ho detto mi annoio. Ma sei scorretto: io speravo potessi parlarmi un po’ di te, invece che basare la conversazione su di me.-
-Ammetto che non sono bravo in queste cose. Facciamo così: chiedi e ti sarà detto.-
-Partiamo dalle basi allora. Da dove vieni?-
 
-Stiamo chiudendo ragazzi, mi spiace ma devo chiedervi di saldare e uscire.-
Il Barman piazza gentilmente il conto sotto il naso di Selene e invita i due ragazzi a uscire, Steve si scusa e dà un’occhiata all’orologio: sono appena battute le due e sono gli unici ancora nel locale.
-Porti pazienza il tempo ci è scappato di mano. Prima di andare posso usare il bagno?-
L’altro al di la del bancone grugnisce un “prego”, quindi Steve paga e fa per dirigersi alla porta sbeccata.
-Lascia, faccio io.- lo blocca Selene, ma Steve le ferma la mano che è corsa alla borsetta e insiste perché accetti che le offra i giri di drink.
Quindi finalmente raggiunge il bagno, si chiude la porta alle spalle e si appoggia al muro colto da un lieve capogiro. La lampadina sopra di lui brilla fastidiosamente a intermittenza e l’odore di merda e la dannata mosca che gli svolazza davanti non gli rendono la situazione piacevole. 
Si svuota un bel po’, tira lo sciacquone, esce si lava le mani e si da un’occhiata allo specchio.
Le occhiaie sono li, ancor più accentuate del solito, e gli occhi sono ridotti a due sottili strisce che sbattono spesso le ciglia.
“Ubriaco e pure catatonico” si dice.
Esce e Selene è li che lo aspetta in piedi; Steve riesce a notare ancora di più quanto quella ragazza sia sexy: alta, slanciata, fisico da modella con un culo e un paio di tette sode e prominenti.
“Sarebbe il sogno di ogni uomo” pensa, poi ridacchia ed esce con lei.
-È stato un piacere Selene.- abbozza come saluto.
-Pensi che ti lasci andare via così? Rischi di finire contro un albero o peggio, investire qualcuno. Ti sei dato un’occhiata allo specchio?-
-Si. E devo dire che lo spettacolo è decisamente peggio del solito, lo ammetto.-
Selene ci pensa un po’ su, poi gli fa una proposta.
-Senti casa mia è poco distante da qua. Facciamo così: mi sembri un tipo raccomandabile, d’altronde non hai neanche allungato le mani o cercato di ficcarmi la lingua in fondo alla gola. Vieni a casa mia, te ne dormi sul divano e domani mattina ti riporto qui e riparti. O almeno, permetti che ti accompagni ad un qualche hotel.-
Steve ridacchia e le risponde.
-È così dunque? Quelle come te non hanno proprio paura eh?-
-Quelle come me? Cosa intendi scusa?- Selene fa una faccia offesa.
-Le tipe toste come te. Questo intendo. Non voglio disturbare comunque e posso dormire tranquillamente in macchina.-
-Lo faresti? Dormire in macchina intendo.-
-No. Ma in questo stato potrebbe essere più piacevole forse.-
-Non capisco cosa intendi.-
-Nulla, nulla. Sono ubriaco e stanco morto. Non puoi pretendere che dica solamente cose sensate. Non trovi?-
Selene aggrotta le sopracciglia, gli cinge il braccio e lo tira verso la sua auto.
Steve la lascia fare e pensa che forse è davvero meglio così. Dopotutto quella donna è interessante, cosa rara di questi tempi, e fra i tanti modi che aveva escogitato, forse quello poteva essere il migliore. 
Dopo pochi passi arrivano a una vecchia Ford del ’78, Selene gli apre lo sportello e lo accompagna dentro, poi si sistema al posto di guida ed avvia il motore.
-Ti piacciono le macchine antiche? Non ne vedevo una così da trent’anni.-
-Amo le cose vecchie.-
-Già, lo immagino. Almeno il riscaldamento funziona in questo macinino?-
-Ehi non insultare la mia piccola sai? Ti lascio qui se no.-
-Fai come credi.- risponde semplicemente Steve, che abbassa le palpebre e si svacca comodamente sul sedile.
-Hai deciso di dormire in macchina?-
-No, non temere. Riposo solo un po’ gli occhi finché non arriviamo. Ti chiedo solo di non uccidermi qui. Ho ancora qualche domanda da farti.-
-Ucciderti?- Selene si fa seria e lo guarda di sbieco.
-Sono in macchina con una donna meravigliosa, bella e intelligente che ho conosciuto da un paio d’ore. Che per giunta ora mi invita a casa sua. Mi aspetto la fregatura, no?- e le fa l’occhiolino.
Selene ride, ingrana la marcia e parte.
-Sei proprio strano.- esordisce scuotendo la testa.

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Capitolo 2
*** Dalle 2.00 alle 3.00 AM ***


-Ti dispiace se piazzo un po’ di musica?- dice dopo un po’ la guidatrice e Steve borbotta un “fa pure” mentre si rannicchia ancor di più sul sedile.
Selene armeggia con la vetusta radio, e dopo un po’ di interferenze si posiziona su una stazione che riproduce un’opera classica, con la cantante lirica che canta su una base orchestrale malinconica.
-Hai deciso di conciliarmi il sonno?- replica Steve alla scelta.
-Preferisci una di quelle chiassose band Hardcore Punk per caso? Volevo solo renderti il viaggio più piacevole- dopodiché posiziona la freccia, abbandona la statale e s’inserisce in una stradina che s’immerge nei boschi.
Steve guarda fuori dal finestrino e con lo sguardo segue i profili alti e appuntiti dei pini che sinistramente, svaniscono in ombre confuse fra i fari dell’auto e il chiaro di luna.
-Dove hai detto che abiti?- esordisce incuriosito.
-Non l’ho detto. Comunque tranquillo siamo quasi arrivati: non amo il casino e ho scelto una casa che mi dia tutta la possibilità e la privacy necessarie per farmi i fatti miei.-
-Capisco.-
La vecchia Ford compie una serie di curve, salite e discese, poi finalmente sbuca in una radura dove compare una villetta moderna su due piani. Selene parcheggia l’auto e puntualizza un “siamo arrivati” al suo ospite, che lentamente e a fatica apre lo sportello dell’auto e si alza in piedi sgranchendosi vistosamente le braccia.
-Ah però! Mica male! Hai anche la piscina?- le domanda incuriosito.
-Certo. Se vuoi morire congelato accomodati pure.- e gli indica una pozza scura alle spalle della costruzione.
-Per questa sera passo. Magari domani mattina per darmi una svegliata… chi lo sa! Abiti tutta sola?-
S’incamminano lungo il vialetto, poi Selene estrae una tessera magnetica e la inserisce nella serratura della porta, si sposta sul lato sinistro, digita un codice e sblocca la porta.
-Si.- risponde semplicemente.
-Che lavoro fai? Non deve essere facile mantenere da sola tutto questo ben di Dio.-
-Oh qualche commissione per dei ricchi aristocratici con il culo perennemente in poltrona.-
Spinge la porta, entra in casa e accende le luci.
L’arredamento si presenta in uno stile ultra moderno e minimal: pochi quadri appesi alle pareti con forme geometriche confuse, mobili bianchi e neri dominano la scena con alcuni corredi e oggetti d’arte incomprensibile che sono posizionati qui e li. I due passano davanti a uno specchio nel corridoio, Steve lancia un’occhiata alla sua immagine e a quella di Selene e poi sorride.
-Di qua c’è il salotto- afferma la donna, per poi indicargli un grosso divano in pelle bianca a quattro posti.
-Immenso non c’è che dire, ci starò benone!-
Continua a guardarsi intorno e si focalizza su una serie di oggetti che appaiono un po’ più interessanti del resto: il termostato della casa, la libreria con tomi che trattano arredamento di svariato tipo, un camino in marmo bianco…
-Sei un’arredatrice quindi?-
-Mi interesso di arte e arredamenti. Ho sempre amato seguire le mode del momento e vedere come si evolvono gli stili di anno in anno. Posso dire di essere parecchio versatile in questo campo: adoro il minimal, gli anni ’50, lo Shabby e perfino il gotico e il medioevale. Sono dell’idea che quando qualcosa è bello, lo è a prescindere dallo stile e dall’epoca in cui è stato concepito.-
-Ammetto di non essere molto erudito riguardo l’argomento; anche se anche io sono un uomo d’arte: amo la musica in tutte le sue forme. La suono, la ascolto e la compongo quando capita, anche se assai di rado ultimamente.-
-Pianista?-
-Chitarrista. Con una vena da cantante sguaiato.-
-Magari domani mattina potresti cantarmi qualcosa.-
-Non credo sarà necessario.- 
-Ti porto una coperta, il bagno è di la se devi usarlo. Vuoi che ti accenda il fuoco?-
-Potrebbe essere dannatamente romantico. Perché no?-
-Stai cercando di trasformarlo in una appuntamento?- e gli accenna un sorriso malizioso.
-Sto cercando semplicemente di capire come si evolverà questa nottata.- le risponde sincero.
-Probabilmente non nel modo che pensi tu.- e gli fa la linguaccia.
Steve la osserva stancamente e abbozza un sorriso enigmatico -Credo invece che finirà esattamente come penso io.-
-Ora si che mi potrei pentire di averti portato qui. È un’affermazione estremamente inquietante sai?- Selene si allontana un poco da lui e assume un’aria spaventata, ma Steve scoppia a ridere e scaccia quell’affermazione con un gesto della mano.
-Vado in bagno, ho bevuto davvero troppi drink stasera. Il fuoco sarebbe davvero piacevole, ti ringrazio.- 
Selene annuisce e si dilegua dalla stanza, così Steve entra in bagno che gli è stato indicato e svuota nuovamente la vescica. Torna nella sala e comincia a gironzolare in attesa che la proprietaria torni da lui: si sofferma su delle foto che sono sopra un mobiletto. Ci sono un paio di anziani felici che sorridono all’obiettivo, nelle altre cornici un paio di bambini e una coppia di adulti.
-Stai curiosando?- sente alle sue spalle.
-Ammiravo la tua famiglia, anche se mi dispiace non vederti comparire in nessuna di queste foto.-
-È che non amo farmi fotografare.-
-Capisco.-
Selene gli porge la coperta, si avvicina al caminetto e accende il fuoco.
-Allora ti lascio dormire ora, ti serve qualcos’altro prima che mi congeda?-
Steve si sistema sul divano e le fa cenno di sedersi accanto a lui.
-La notte è ancora lunga, non sono ancora le tre. Tanto poi dormirò a volontà… chiacchieriamo ancora un po’, ti va?- le chiede.
-Sei sicuro? A me pare che tu stia letteralmente crollando.-
-Sono sicuro. Non voglio sprecare il mio tempo così. E poi voglio conoscerti meglio.-
-Domani non ho nulla da fare, se vuoi possiamo rimandare la conversazione a domani matt…- 
La vibrazione del telefono di Steve interrompe la conversazione, lui estrae il dispositivo e lo spegne seccamente.
-Potevi rispondere. Forse qualcuno si sta preoccupando per te?-
-Non è nulla. Solo scocciatori.-
-A quest’ora?-
-A quest’ora.- esordisce lapidario lui.
Selene si mordicchia il labbro, poi gli si siede accanto e lo guarda dritto negli occhi.
-Sei sposato? Hai famiglia?-
-Non sono sposato e non ho dei figli, se è questo che intendi. E neanche una fidanzata a dirla tutta.-
-Vivi ancora con i tuoi quindi?-
-Presto li libererò del mio fastidio.-
-Gli farai passare la notte in bianco, almeno mandagli un messaggio e dì loro che va tutto bene.-
-Non preoccuparti Selene, va benissimo così. E poi è meglio che questo aggeggio rimanga spento, non amo essere interrotto.-
Lei si alza nelle spalle, poi si appoggia allo schienale del divano.
-Hai qualcosa da bere?-
-Non credi di aver bevuto abbastanza?- 
-Sono al sicuro dal volante, che potrebbe succedere?-
-Il divano è nuovo, non voglio doverlo lavare sinceramente.-
Steve passa una mano sulla pelle bianca e sorride rispondendole che non succederà.
-Va bene, ma solo uno. Ho del vino.-
-Il vino andrà benissimo.-
Selene si alza e scompare di nuovo lasciando il suo ospite solo e scarsamente illuminato dalle fiamme che si sprigionano dal camino.
Posa il telefono sul tavolo, poi sposta una mano al di sotto del pesante maglione di lana e stringe qualcosa di appuntito. Chiude gli occhi e mima una preghiera silenziosa; Selene torna con un paio di calici e lui svelto toglie la mano.
-Vino italiano. Sei fortunato.- e gli porge il bicchiere.
-Beh non potevo desiderare di meglio. Come te lo sei procurato? Deve essere stato molto costoso. Sicura che sia la giusta occasione per berlo?-
-Bah: regalo di una cliente. E poi non sono una che riserva le cose per le grandi occasioni. Magari ci lascio le penne prima e non avrò la possibilità di bermelo. L’avrei aperto comunque- avvicina il calice a quello del suo ospite e lo tocca dolcemente, poi ne beve un sorso.
Il silenzio cala fra i due.
-Prima al bar ti ho raccontato qualcosa di me, ti va di raccontarmi un po’ di te ora?- chiede Steve guardandola negli occhi.
Lei sposta gli occhi lontano e si focalizza sulle braci ardenti, poi inizia a raccontare.
-Sono nata nel Vermouth da una famiglia aristocratica. Papà era un commerciante di tabacco mentre mamma si dedicava alla casa ed ai figli. Sono cresciuta secondo una rigorosa educazione cattolica, ma durante l’adolescenza ho abbandonato quel mondo. Mi sono lasciata tutto alle spalle e me ne sono andata: non ne potevo più di preghiere, abiti casti e finte buone azioni. Ho sempre trovato parecchio contradditorio e falso questo mondo: si studia la castità, la salvezza, la carità e l’aiuto verso gli altri, poi appena si esce dal tempio ci si dimentica i principi di ciò che si adora.-
-Già, quel che si definisce “predicare bene e razzolare male”. Continua- commenta Steve.
-Beh diciamo che ho avuto un’occasione intorno al mio diciassettesimo compleanno. Così ho fatto fagotto e mi sono dileguata con i pochi soldi che avevo. Mi hanno cercato per un po’, ma sono stata brava e non mi sono fatta trovare… Con il passare degli anni sai, conosci persone, chiacchieri, fai determinate conoscenze e acquisti l’esperienza necessaria per capire come va il mondo, e impari a sfruttare le cose a tuo favore.-
-E come va il mondo?-
-Di merda, poco ma sicuro. La nostra società gira attorno ai soldi e in un modo o nell’altro il modo per farli lo trovi.- 
-Non sembri contenta del tuo passato, sbaglio?-
Lei lo fissa dritto negli occhi assumendo un’espressione contrita, ma poi gli risponde.
-Tutti da giovani abbiamo fatto cose di cui non andiamo fieri. La mia è stata una fase, necessaria per diventare quel che sono oggi.-
-Diamine avrai si e no trentacinque anni e parli come una vecchietta.-
-Ma io sono una vecchietta! Con un corpo dannatamente sexy!- e si passa una mano sui seni sghignazzando.
-Non posso certo dissentire su questo. Avrai una stuola di aitanti pretendenti che ti sbavano dietro.-
-Non lo nego.-
-Eppure sei ancora single?-
Selene lo fissa con malizia.
-Ho le mie avventure, non sono di ghiaccio. Ma come ti dicevo amo la solitudine e preferisco starmene per i fatti miei. Non sento il bisogno di avere un uomo accanto.-
-Lo dici come se fossimo solamente una seccatura.-
-Lo siete, ma che vuoi che ti dica: a volte non riesco a farne a meno. Come la nicotina per un fumatore immagino.-
-Io ho smesso da un po’ di tempo, ma ammetto che in questo momento una me la fumerei volentieri.-
Selene assume una faccia disgustata.
-Odio l’odore del fumo, rovina tutto. Sono felice di non potertene offrire una.-
Steve annuisce e beve un sorso, poi Selene si inclina leggermente verso di lui.
-Anche tu non sei male comunque e mi ha detto che hai uno studio legale, possibile che nessuna fanciulla o stagista sia riuscita a rubarti il cuore?-
-Oh ci sono riuscite eccome, ma in questo momento della mia vita non nutro assolutamente interesse verso l’amore o il sesso.-
Selene alza un sopracciglio.
-Vuoi dire che non hai fantasticato nemmeno un secondo venendo a casa mia?- chiede stupita.
-Sinceramente? No. Neanche per un secondo.-
-Non ci credo… sarebbe la prima volta. Sei un bugiardo. Mi fai venire voglia di metterti alla prova.-
E gli mette una mano sulla gamba.
-Beh sarei curioso in effetti: alcohol, stanchezza e tutto il resto. Se riuscissi a farmelo venire duro, sarebbe dannatamente interessante.-
Selene gli si mette a cavalcioni sulle ginocchia, gli prende un dito della mano e lo mette in bocca succhiandoselo, poi comincia ad ancheggiare sulla sua intimità e lo guarda fisso negli occhi.
Steve in quel momento sente qualcosa che non sentiva da molto tempo: la osserva con attenzione.
Vede quella figura, lievemente illuminata dalle fiamme del fuoco che trasfigurano in continuazione le sue forme. I suoi occhi sono così profondi, talmente scuri che gli sembra di cadere in un baratro fatto di sensualità e perdizione.
-Sento qualcosa. Hai visto?- annuncia lei trionfante ancheggiando ancor più velocemente e Steve inizia a ridere di gusto, a lungo. Troppo a lungo.
Selene si ferma e lo guarda perplessa, ma Steve la afferra per la vita e la sposta delicatamente sul divano, poi si alza e si avvicina al fuoco.
-Non vuoi scopare?- chiede lei incredula.
Steve si avvicina al fuoco, trangugia il contenuto del bicchiere e si appoggia al cornicione del camino guardando le fiamme con insistenza.
-Non credevo che potessi davvero fare anche questo sai?- le risponde semplicemente, poi si gira in direzione della donna e la fissa intensamente.
Il sorriso è completamente sparito dal suo volto.
E a quel punto le fa semplicemente una proposta.
-Facciamo un patto.- 

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Capitolo 3
*** Dalle 3.00 alle 3.30 AM ***


Selene lo osserva e assume un’aria truce.
-Stai cominciando davvero a spaventarmi ora Steve.-
-Non serve più fingere Selene. Per quanto tu abbia acquisito questa straordinaria capacità attoriale non sei riuscita ad ingannarmi. Ho una particolare abilità sai? Chiamalo dono se vuoi...- 
Steve fa una pausa e la osserva in modo tremendamente serio, Selene lo guarda come di ghiaccio e attende che prosegua il suo discorso.
-…Sono sempre riuscito a capire le persone guardandole negli occhi. So se mentono, se fingono, cosa realmente provano quando parlo con loro. Per quanto siano brave a mascherare i propri sentimenti, io sono sempre riuscito a capire esattamente chi mi trovavo davanti. Sempre.
Per questo forse sono così bravo nel mio lavoro. È un dono, ma anche una tremenda punizione divina: non posso fingere che le cose vadano bene perché mi trovo davanti delle persone che mi disprezzano in continuazione, che dicono bugie. È un fottuto mondo di bugiardi quello in cui viviamo: ognuno cerca di mettertelo nel culo prima o poi, solo che alcuni usano sapientemente la vasellina, altri un spranga acuminata. In qualunque modo vada.-
-Ed io come avrei cercato di farlo?- chiede Selene con tono estremamente calmo e misurato.
-Raccontandomi balle. Una dietro l’altra. È tutta la sera che non fai altro che seguire alla lettera il personaggio che ti sei costruita negli anni. Perciò prima che tu mi salti addosso, ascolta la mia proposta. Poi potrai fare quello che vuoi.-
Selene sorride, i suoi occhi assumono l’espressione di un’abile cacciatrice, ma incrocia le gambe e sbuffa stancamente.
-Sentiamo.-
-I tuoi occhi sono vuoti. È la seconda volta in vita mia che mi è capitata una cosa del genere. Il tuo sguardo mi ha ricordato lo stesso che avevo visto tanti anni prima, quando ancora ero un bambino. Avevo visto la vita sparire dagli occhi di mia madre: lentamente, come una fiammella che lotta al termine della cera della candela su cui è accesa. La luce era scomparsa dalle sue pupille: in quel momento avevo capito che era diventato un semplice involucro di carne e ossa. Tu sei esattamente la stessa cosa: un involucro di carne e ossa che ha imparato alla perfezione a mimare la vita.-
-Continua.-
-Il patto è questo: raccontami di te, questa volta senza bugie. Raccontami di chi sei realmente, da dove vieni, che cosa provi e come hai la forza di continuare a vivere eternamente circondata dai vivi. Che cosa ti spinge a continuare a vivere, che cosa ti spinge a uccidere, che cosa prova una come te.-
-L’hai detto di nuovo: una come me. Non sei il primo che se ne accorge, ma sei il primo che lo fa così in fretta. È ammirevole Steve e hai stuzzicato la mia curiosità, cosa mi ha tradito?-
-Risponderò alla tua domanda quando mi avrai detto tutto di te. È una promessa. Poi potrai fare di me ciò che vuoi. Non mi interessa morire: se non ti avessi incontrata mi sarei buttato giù dal ponte di Downtown East e a quest’ora sarei sul fondo del fiume a far compagnia ai pesci. Era già tutto stabilito. L’unica cosa che ti chiedo è di non farmi soffrire. Fra tutti i modi che avevo pensato per farla finita, questo è decisamente il più interessante e stimolante.-
Selene si piega in avanti: sul suo viso ormai non c’è più alcuna ombra della ragazza che aveva conosciuto fino a quel momento. Lo sguardo è apatico, la piega della bocca non abbozza nessuna emozione, così come le sopracciglia o le guance. Selene in quel momento è una splendida macchina della morte che osserva la sua preda con totale indifferenza.
-Perché dovrei accettare le tue condizioni?- gli chiede dopo un poco.
-Perché ne hai bisogno. Sei stata umana un tempo e se racchiudi in te ancora un poco quel barlume di umanità, come credo che sia, parlare con uno sconosciuto ti farà bene. Non l’hai affermato tu stessa qualche ora fa? Inoltre, so di non avere possibilità di scampo: le finestre e la porta sono sbarrate, e se quel che si dice è vero – anche se ormai ho appurato che tutto quello che ho letto in merito a voi fino ad adesso lo è – non avrei comunque alcuna possibilità di scampo.-
-Sei molto saccente Steve. Pensi che me ne importi realmente qualcosa di raccontarti i fatti miei?-
-Si, altrimenti mi saresti saltata addosso appena messo piede qui dentro. Sei la cacciatrice più temibile sulla faccia della terra e di sicuro ami giocare. Ti propongo un gioco diverso stasera: d’altronde che hai da perdere?-
-Dillo. Amo sentirlo dire. Che cosa sono?-
Steve abbozza un sorriso e pronuncia la parola “vampiro”.
In quel momento Selene si trasfigura: i canini si allungano, la bocca si allarga a dismisura e gli occhi diventano ancor più neri e profondi. La creatura balza in avanti, tanto fulminea che Steve non riesce quasi nemmeno a vederla, e viene sollevato in alto sopra le fiamme come se non avesse alcun peso.
-Hai paura- biascica il vampiro schioccando la lingua.
-Lo ammetto. D’altronde sono umano. Accetta la mia proposta Selene, te lo chiedo come ultimo desiderio.-
Selene lo osserva intensamente dritto negli occhi e Steve riconosce che finalmente qualcosa riescono a trasmettere: fame. Insaziabile, bramosa, omicida e fin quasi erotica.
-Che condanna terribile.- sibila lentamente a quella visione e la donna ride di gusto, poi lo poggia con delicatezza a terra.
-E sia. È qualcosa di diverso dal solito ed hai perfettamente ragione: non sei altro che un condannato che attende sul patibolo che il boia tagli la corda. Risponderò alle tue domande, ma solo finché ne avrò voglia ti avverto. Hai altre richieste?-
-Un altro calice di vino magari.- le risponde stancamente Steve.
Selene ride sguaiatamente facendo scomparire ogni briciolo di sensualità che fino a quel momento aveva mantenuto, poi poggia l’ospite a terra.
-Lo stesso di prima o preferisci un amaro?-
-Il vino di prima andrà benissimo, porta direttamente la bottiglia. Credo che me la scolerò tutta dopotutto.-
La vampira lo osserva con attenzione, titubante sul da farsi: ma lo sguardo della sua preda è sincera e rassegnata. Sa che non tenterà la fuga in alcun modo.
E Selene, quasi delusa da ciò, riprende il suo aspetto e si dilegua in cucina.
 
******
 
Entrambi sono seduti nuovamente sul divano; se possibile, le ombre proiettate dalle fiamme sui loro volti li fanno apparire ancor più lugubri di prima. Selene abbozza un sorriso divertito, con le gambe incrociate e rivolta verso l’ospite.
-Chiedi pure dunque Steve. Prometto che sarò assolutamente sincera.-
-Bene dunque… per prima cosa, vorrei sapere che ne è stato della famiglia di questa casa.-
-Non ti ho mentito: sono un’arredatrice. Questo mi permette di spostarmi in continuazione e conciliare la mia attività lavorativa con i miei divertimenti. Loro erano una coppia di giovani imprenditori: lui, cresciuto nei bassifondi di New York, ha dedicato la sua vita a rincorrere successo e ambizione. Lei una scrittrice di romanzi rosa piuttosto futili: aveva finalmente trovato un editore disposto a pubblicare le sue sciocchezze e domani uscirà il suo manoscritto in tutte le librerie. Me ne sono aggiudicata una copia ovviamente. I loro bambini erano come dei piccoli angeli: Chloe aveva sei anni, un’età incredibilmente nostalgica per quel che mi riguarda. È quel periodo della tua vita dove, sebbene si comincino a intravedere le schifezze che ci circondano, riesci ancora a fantasticare su quanto la vita sia bella e favolosa. Eric era pestifero: un monello viziato con la passione per i Mech giapponesi. Dovresti vedere la sua camera di sopra: ci sono fottuti robottini ovunque, ti basta fare un passo perché tutti quanti si animino riempiendo l’ambiente di fastidiose lucine a led colorate.
Eppure è stato quello che mi ha divertito di più: ha preso la situazione con estrema tenacia, come se si trovasse all’interno di un videogioco e guidasse un protagonista eroico. Distruggerlo è stato un vero piacere.-
Steve ascolta in silenzio la sua spiegazione, eppure per quanto ci provi non riesce a provare un vero sentimento di sgomento per quel suo terribile racconto.
-Dove sono?-
-All’inferno, o forse in paradiso chi lo sa… Se lo stai chiedendo in maniera figurata ovviamente, se invece parli dei loro cadaveri beh: sono sparsi un po’ ovunque nel seminterrato della casa. Credo di aver fatto un’opera d’arte con il loro sangue: un vero tripudio di sfumature scarlatte intense. Vuoi vederlo?-
Steve beve un sorso di vino e deglutisce rumorosamente.
-Per stanotte mi limiterò ad ascoltare.-
Selene ride di gusto, in modo aggraziato ed estremamente femminile, tanto che per un momento l’uomo pensa di star a  conversare con una donna normale.
-Non pensavo che nel tuo stato la vista di una carneficina potesse influire sul tuo umore.-
-In teoria non dovrebbe, ma voglio essere sicuro di lasciarmi la vita alle spalle ignaro di certi spettacoli. Hanno sofferto?-
-L’hai detto tu stesso: il nostro istinto animalesco ci infonde uno straordinario piacere nel braccare, scorticare e uccidere le nostre vittime. E questa è probabilmente la prima risposta a una delle tue domande: il vuoto regna incontrastato nel mio corpo, solo quando caccio riesco ancora a provare qualcosa. È come una scintilla che scoppia alimentando la fiamma: ma per quanti omicidi possa commettere dura sempre troppo poco.-
-Come ti chiami?-
-Catherine. Sono nata nel 1863 a Boston, nel pieno della rivoluzione civile americana. Mio padre era effettivamente un commerciante di tabacco, mia madre una sgualdrinella pudica e con il crocifisso perennemente stretto fra le dita: era di origine slava e parlava poco l’inglese, ma conosceva a memoria Bibbia e versetti e li ripeteva come un pappagallo dalla mattina alla sera. A diciassette anni un gruppo di sudisti è entrato in casa, uno di essi le ha tagliato la gola, altri due si sono divertiti con il mio corpo casto e mi hanno lasciata in fin di vita riversa nel giardino di casa fra i gigli e le raganelle dello stagno. È stata una violenza particolarmente brutale e romantica allo stesso tempo: sai il chiaro di luna, la brezza estiva e gli spari in lontananza. Durante la convalescenza ho fantasticato molto di quel momento, e successivamente ho dedicato parte della mia vita a rintracciare quegli uomini e a distruggerne sogni e famiglia.-
-Ed hai realizzato il tuo scopo?-
Selene freme, si mordicchia un labbro e abbassa lo sguardo, ma gli occhi le rimangono vuoti.
-Si, anche se ho dovuto aspettare parecchi anni per rintracciare tutta la loro stirpe. Solo grazie alle mie innaturali capacità sono riuscita a portare a compimento l’opera.-
Dopodiché apre la borsetta e armeggia al suo interno: ne estrae infine un cofanetto di fattura pregiata, molto vecchio a giudicare dall’opacizzazione delle pietre incastonatele sui bordi. Lo apre e lo mostra a Steve, il quale non riesce a contenere un verso di disgusto.
-Li porto sempre con me da allora. Non so per quale motivo, ma averli vicina mi aiuta a ricordare chi ero e cosa sono stata. Specialmente, cosa sono stata in grado di fare.-
Afferra un dente dall’interno della scatola e se lo rigira fra le dita osservandolo con attenzione, provando un innaturale piacere nel farlo, poi lo rimette al suo posto e nasconde nuovamente il contenitore all’interno della borsetta.
Steve prende parola.
-Dunque c’è qualcosa che ti spinge disperatamente a ricercare ancora la tua vita passata. È davvero interessante: non provi nulla, nessuna emozione a parte la brama di uccidere, ma qualcosa di insito nel tuo essere ti spinge a non abbandonare certi sentimenti che fanno parte solo dei vivi.-
-È così: non me ne frega nulla di averlo o meno con me, ma non posso farne a meno: è una sorta di processo automatico che il mio corpo fa. Me li porto dietro e li costudisco.-
-E se provassero a portarteli via?-
Lei alza le spalle.
-Nessuno ci ha mai provato. Non so che cosa potrebbe accadere.-
-Capisco.- e beve un altro sorso prima di riprendere le sue domande.
-Cos’è successo dopo?-
-Dopo? Naturalmente hanno cercato di rintracciare mio padre, ma è venuto fuori che era morto di tifo poco prima della mattanza a casa mia. Così sono stata affidata ad un convento di suore. Non ti nego che la mia dedizione verso il Signore fosse già crollata a picco, ma le suore hanno avuto la straordinaria capacità di farmelo odiare con tutto il cuore. Fortunatamente è durato poco e, raggiunta la maggiore età, me ne sono andata per i fatti miei. È scontato lo so, ma qual è l’unico modo in qui una ragazza sola e senza denaro può sopravvivere?-
-Vendendosi immagino.-
-Esattamente: ero una ragazza bella, nel fiore degli anni e con uno sguardo terribilmente dispregiativo verso la vita. La mia unica devozione, se così vogliamo chiamarla, era dedita alla vendetta. Così sono finita in un bordello di New York, mi sono fatta sbattere in ogni modo possibile ed immaginabile e sono sopravvissuta. Poi ho incontrato un uomo: uno di quelli impomatati, profumati e con il fiuto per gli affari e per le belle donne. L’ho fatto innamorare di me, gli succhiavo via anche l’anima durante le notti che pretendeva di passare con me. Così alla fine mi ha portata via, mi ha fatto grandi promesse e cantato dolci parole e mi ha stesa in un giardino di fiori circondato da rovi spinosi. Ho persino avuto un figlio da lui, ma è morto prima che potesse vedere la luce…-
Steve la interrompe.
-E come ti ha fatto stare ciò?-
La donna rimane in silenzio per un secondo, tanto che a Steve pare di vedere uno scintillio nei suoi occhi, ma talmente breve che forse era stato causato dal crepitio di una fiamma più alta delle altre.
-Vuota immagino. Da quel momento in poi non ho più provato nulla: se prima riuscivo ancora a vedere la bellezza, assai di rado a dire il vero, quel momento ha vanificato totalmente la mia sensibilità. Me ne sono andata e ho ricominciato a fare quello che avevo fatto fino ad allora: scopare.
Poi un giorno, nel 1895, è comparso un uomo: desiderava una donna forte e autoritaria che lo fustigasse a dovere. Avevo conosciuto dei masochisti, ma quell’uomo era al limite dell’accettabile; le sue richieste furono dettagliate e precise perciò la governante del bordello gli propose me: la mia apatia mi permetteva di esaudire qualsiasi desiderio senza battere ciglio. Così accettai la richiesta, e indovina un po’…-
-Era uno degli uomini che ti avevano violentata.-
-Esattamente. Vederlo risvegliò dei sentimenti che erano stati sopiti e sepolti sotto una coltre di nebbia tanto fitta da poter essere tagliata con un coltello. Mi sentì finalmente di nuovo viva e ciò mi fece ricordare la promessa che mi ero fatta da adolescente. Il sapore della vendetta pervase il mio corpo. Fu uno dei delitti più efferati dell’epoca, talmente brutale e straziante che ancora oggi se ne parla sai?-
-Forse ho letto qualcosa in merito.-
-Henry Edward Holmes-
Steve la guarda di sbieco e fa per replicare, ma prima che possa farlo Catherine delucida i suoi dubbi.
-È stato facile fare in modo che la colpa ricadesse su di lui, dopotutto era un assiduo frequentatore del nostro bordello ed aveva alle spalle tutta una serie di delitti efferati. Ma Aimè, venni comunque sbattuta dentro pochi mesi dopo per aver fumato dell’oppio in compagnia di un poliziotto sotto copertura, a cui naturalmente non diedi le informazioni che cercava. Tentata estorsione e consumo di stupefacenti. Buffo non trovi?-
Il vampiro a quel punto si alza e si avvicina alla bottiglia, la prende e se la scola tutta d’un fiato, poi getta il vetro all’interno del camino con tale violenza da far sobbalzare Steve.
-Il vino è finito e la notte avanza, tic tac, lo senti?- ringhia lei.
-Lo sento, ma non sei ancora arrivata alla parte più interessante della tua storia.-
-Stai crollando dal sonno, non sono certa che riusciresti a rimanere sveglio.-
-Stai conversando con la tua preda, non è altrettanto affascinante?-
Catherine ci pensa un po’ sopra prima di rispondere.
-Sarà meglio che vada a farti un caffè allora.-

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Capitolo 4
*** Dalle 3.30 alle 4.00 AM ***


-Fu una mattina d’autunno. Mi trovavo in una piccola cittadina chiamata Salem, a nord del Massachussetts. All’epoca era poco più che un borgo di commercianti e contadini, tuttalpiù conosciuta per il grande processo alle streghe perpetrato dalla chiesa del 1692. Naturalmente all’epoca non aveva la fama di oggi, con tutti quei film che sono stati ambientati fra le sue costruzioni, ma ha comunque sempre avuto una nomea piuttosto oscura fra i suoi abitanti. Beceri creduloni e cacasotto che si trascinavano nelle notti autunnali leggende oscure di baie e foreste infestate. Beh, forse ora che ci penso non proprio a torto.- Catherine ride e osserva il suo ospite sorseggiare dalla tazzina del caffè.
-In ogni caso, all’epoca avevo trentatré anni e, sebbene fossi ancora una donna piuttosto ambita, il mio corpo cominciava a manifestare i sintomi della vecchia. I capelli erano ingrigiti, la pelle non più liscia come un tempo e il trucco, vanto delle donne odierne, non era così largamente diffuso. Così con i soldi che ero riuscita a mettere via mi ero presa una casupola modesta lungo il fiume, alla periferia sud del villaggio. La mia indole era schiva e preferivo trascorrere le mie giornate in solitudine immersa nelle tragedie Shakesperiane o fantasticando sulle antiche civiltà cretesi di cui narravano i miti classici. Fatto sta che, come dicevo, quella mattina la nebbia era calata piuttosto fitta nei dintorni della mia casa e il clima era piuttosto freddo per la stagione, tanto che durante la notte erano perfino caduti i primi fiocchi di neve. Mi ero alzata presto, avevo fatto colazione ed ero intenta a prepararmi per fare un salto in città per svolgere alcune commissioni, ma qualcuno inaspettatamente bussò alla porta. Titubante e scettica, visto che non attendevo visite, chiesi più volte chi potesse essere ma dall’esterno non proferì alcuna risposta. Il battere incessante tuttavia mi inquietò e alla fine, stanca e spaventata, presi coraggio e afferrai una rivoltella che nascondevo sotto la gonna per i casi di emergenza: feci scattare la serratura e mi feci trovare con la pistola puntata, ma davanti ai miei occhi non c’era nessuno, solo nebbia.-
La vampira fa una pausa e si sposta una ciocca di capelli dal volto, poi guarda fuori dalla finestra e si concede qualche secondo per mettere insieme le parole; Steve la osserva attento, rinvigorito dalla caffeina che comincia a fare effetto.
-E non è successo assolutamente nulla. Certo ero spaventata, ma ho fatto più e più volte il giro della casa non trovando anima viva. Ho pensato ad uno scherzo di pessimo gusto e me ne sono andata in città a fare quel che dovevo. Trascorsero un paio di mesi e mi dimenticai completamente di quell’episodio, ma una notte di gennaio venni svegliata di soprassalto nuovamente da quei colpi alla porta. Li riconobbi immediatamente: il suono, la cadenza con cui venivano inferti sul legno erano gli stessi; perciò non persi tempo ed afferrata la mia pistola mi precipitai l’ingresso ad aprire per sorprendere il disturbatore. Ma ancora una volta non trovai nessuno dall’altra parte, se non di nuovo una fitta e spessa coltre di nebbia. L’episodio da quel momento si ripresentò più e più volte nel corso dell’anno ad intermittenza di un paio di mesi uno dall’altro ed ogni volta sempre allo stesso modo: o la mattina presto o la sera tardi. In ogni caso, la nebbia era sempre presente e fitta. Alla fine esasperata da quello strano fenomeno, quando aprì la porta per l’ennesima volta mi ritrovai ad urlare queste parole: “Chiunque voi siate avete fatto esaurire la mia pazienza. Mostratevi una buona volta, entrate ed affrontatemi con onore!”.-
-E lì accadde.- dice Steve, rapito da quel racconto. Catherine annuisce.
-Come da manuale: qualsiasi cosa fosse l’ho sfidato ed invitato ad entrare allo stesso tempo. Non ricordo bene cosa accadde poiché fu talmente fulmineo e veloce da non lasciarmi scampo. Ricordo solo il freddo, il vuoto e la luce svanire lentamente dalla vita. Era come se venissi risucchiata da un vortice oscuro, privata di vita, emozioni, sentimenti e paure. Il terrore non mi travolse, d’altronde non ne ebbe il tempo, ed alla fine mi ritrovai riversa sul pavimento della mia dimora. Non versai una goccia di sangue, il mio corpo sembrava rigido come un pezzo di legno e il mio cuore aveva smesso di battere, così come il mio petto di alzarsi ed abbassarsi. I miei occhi vedevano solo un mondo grigio, privo di colori e fumoso come la nebbia che era entrata all’interno della casa. Non seppi mai chi o che cosa mi trasformò in quel che sono oggi.-
-Lo cercasti?-
-Prima, una volta appurati i miei poteri ed imparati a conoscerli, mi dedicai alla mia vendetta. Poi si, per qualche anno cercai notizie ed informazioni che potessero ricondurmi a colui che mi aveva trasformata, ma invano. Oggi non lo cerco più, non è più di mio interesse, ormai nulla lo è. Solo il sangue è ancora capace di farmi sentire viva.-
-Se per caso un giorno riuscissi a trovarlo, cosa ne faresti?-
Catherine alza gli occhi al cielo, sembra rifletterci sopra ma poi riprende tranquilla.
-Che cosa gli farei dici? Probabilmente nulla, o forse cercherei di farne una moderna opera d’arte fatta di pelle ed ossa. Ma come ti dicevo, adesso come adesso non lo posso sapere. Non mi fa assolutamente né caldo né freddo.-
Fuori un’automobile passa lungo la strada ed i fari illuminano per qualche secondo la casa filtrando attraverso le persiane delle finestre. Steve la guarda allontanarsi ed improvvisamente gli balza alla mente un ricordo d’infanzia: la sua prima gita in campeggio nei boschi del Vermouth con il padre.
Scuote la testa e torna con l’attenzione alla sua interlocutrice.
-Prosegui da dove avevi interrotto, te ne prego.-
-Molto bene. Non so per quanto tempo sono rimasta riversa su quel pavimento con gli occhi spalancati, ma una mattina si presentò un’agente di polizia alla porta e vedendola aperta, entrò senza troppi complimenti. Ricordo ancora il suo urlo e il disgusto. Quando mi sollevarono per portarmi in obitorio riuscì a vedere il resto del mio corpo: era mangiato dalle mosche e dalle larve e ormai non rimanevano che pochi brandelli di pelle attaccati alle ossa. Però la cosa non mi fece assolutamente alcun effetto. I medici fecero quel che c’era da fare, ma venni sballottata a destra e a manca per un periodo indefinito: a quanto pare non riuscivano a spiegarsi come mai i miei occhi fossero ancora intatti e non corrotti, seppur privi di vita. Ricordo che alla fine me li cavarono, ma non so che cosa ci avessero fatto. Da quel momento vivevo solo nel buio e nel freddo del mio corpo. Ma potevo ancora sentire nonostante le mie orecchie fossero ormai polvere. 
Capì di essere stata seppellita dopo un po’ e rimasi nel silenzio più completo per un gran numero di anni. Finché un giorno qualcuno non picchiettò con la pala contro il coperchio del mio sarcofago. E lì iniziò: le mie ossa si mossero in automatico e il mio cranio affondò i pochi denti che mi erano rimasti nel collo di un becchino. Quel che successe fu straordinario, chiamalo processo inverso alla decomposizione se vuoi: tendini, muscoli, carne e pelle tornarono a mano a mano a crescere lungo le mie spoglie. E più il malcapitato moriva e si consumava, più io riacquistavo una parvenza di vita. Rubai i suoi occhi, li incastrai fra le mie orbite vuote e tornai a vedere: era notte fonda e il mio tumulo si trovava all’interno di un cimitero dimenticato da Dio immerso fra i boschi. Sulla mia lapide nessun nome, nessuna indicazioni di chi fossi stata. Meglio così, avrei avuto meno rotture di scatole nei giorni a seguire.-
Un’altra macchina passa all’esterno, questa volta con il volume della radio sparato a tutto volume e in lontananza il duo avverte il ritornello di “I’m a Barbie Girl” per qualche secondo.
-Porti ancora i suoi occhi oggi?-
-No, non è stato necessario. Una volta finito il processo di rinascita, sono spuntati fuori facendo schizzare i vecchi per terra come biglie. È stato divertente sai? Credo che se qualcuno mi avesse vista in quel momento si sarebbe pisciato addosso dal ridere.-
-Indubbiamente… prosegui.-
-I primi giorni sono stati difficili: è stato come reimparare a camminare, a pensare, a usare la mia mente e il mio corpo. Ho imparato che la luce del sole mi fa sprofondare in un sonno profondo mentre la notte mi dona energia. Ho imparato che ogni essere vivente mi ripudia e mi teme e che la carne non sazia la mia fame. Ho imparato che se non bevevo sangue il mio corpo tornava a decomporsi. Così con molta pazienza di giorno in giorno ho affinato sempre più le mie tecniche di caccia. All’epoca non pensavo assolutamente a nulla, agivo semplicemente di istinto. Solo nel corso degli anni i miei pensieri sono tornati a essere quelli di un tempo. Mi aggirai per i dintorni di quel cimitero per cinque anni, finché non capì di essere pronta per esplorare il mondo e nel 1951, data che scoprì grazie alla comparsa di una nuova lapide, me ne andai. Avevo bevuto a sufficienza e strappato tante di quelle vite che il mio corpo aveva ripreso l’aspetto di un tempo, anzi non solo: la mia pelle era seta, i capelli pregiati e lucenti, la mia bellezza incredibilmente suadente. Ci misi poco a mischiarmi fra la società e a rimettermi in sesto: d’altronde una donna così meravigliosa era tanto ambita dagli uomini e ben presto imparai a trarre la cosa a mio vantaggio. Commisi un paio di errori certo, tanto che nel ’54 arrivai a tanto così a svelare al mondo intero l’esistenza di un vampiro, ma alla fine riuscì a cavarmela.- 
Steve si avvicina incuriosito: il timore che provava fino a poco fa, complice quello strano rapporto che si stava via via consolidando, è quasi del tutto sparito.
-Che cosa sbagliasti?-
-Conobbi un uomo, un certo Richard Matheson che incontrai durante uno dei miei viaggi in California…-
-Cristo, quel Richard Matheson?-
Catherine annuisce maliziosa, si alza e comincia a danzare mimando un lento e seguendo il ritmo di una musica immaginaria. Prosegue il suo racconto continuando a seguire passi e movenze.
-Proprio lui. Lo conobbi a una serata di gala organizzata per la promozione del suo nuovo romanzo: “Nato d’Uomo e di Donna”. Ovviamente io ero li solamente per adocchiare qualche ricca prelibatezza e non pensai certo di iniziare una relazione con un umano. Fatto sta che lui rimase molto affascinato da me, ma quel che mi sorprese più di tutto… è stato il primo uomo a capire che cosa fossi.-
-E io che credevo di essere stato il primo.- dice Steve sorpreso.
-Sciocco che ti consideri speciale, te l’ho detto non sei stato il primo, né probabilmente sarai l’ultimo. Ti concedo comunque la scaltrezza di avermi beccata dopo appena un paio d’ore.- continua lei danzando.
-E come ci è riuscito?-
-Ero sola al bancone dei drink quella sera, mi ero appena seduta e avevo ordinato un Martini ghiacciato. Sapevo che mi teneva d’occhio da un pezzo e così ha colto l’occasione per sedersi accanto a me. Mi ha chiesto chi fossi e da dove venissi e così gli ho raccontato una certa storiella ed abbiamo conversato per un po’. Sapevo fosse sposato, ma al termine della serata mi ha fermata e mi ha lasciato fra le dita un bigliettino con su scritto luogo e orario per un incontro. Ero contenta perché non potevo sperare di meglio: da uomo sposato sicuramente non avrebbe rivelato a nessuno la natura della sua uscita clandestina, così sarebbe stata una preda piuttosto facile. Ma le cose non andarono esattamente come me le ero immaginate. 
La sera seguente ci trovammo davanti a un motel: lui mi propose di salire ma io prima gli chiesi di fare un giro in auto. Acconsentì e ci ritrovammo a vagare lungo la costa fino a fermarci lungo un promontorio che dava sul mare. Lasciai che facesse quel che voleva con il mio corpo per un po’, dopotutto avevo iniziato a provarci gusto nel vedere il piacere trasformarsi in orrore: è come quando un bambino riceve un cono gelato farcito delle bombe zuccherate più tossiche e piene di coloranti che possano esistere, per poi vederselo cadere miseramente sul marciapiede. In ogni caso, stavo per affondargli i denti nel collo quando lui mi ha sussurrato all’orecchio dell’idea per il suo nuovo libro.-
-Immagino si trattasse di “Io sono Leggenda”.-
-Indovinato- e gli fa l’occhiolino, poi compie una giravolta su se stessa e continua a danzare, stavolta più lentamente.
-Insomma, mi comincia a parlare della sua nuova idea sui vampiri e di come questi ultimi lo affascinino particolarmente, così decido di lasciarlo ancora in vita per un po’ per permettergli di parlarmi delle sue idee. Mi racconta di essere un grande appassionato di Stoker, di come il mondo dell’occulto e del vampirismo in particolare lo abbiano sempre colpito e al termine della conversazione mi fa “Potresti insegnarmi qualcosa, prometto di tenere per me il tuo segreto”. Non ti nego che a quell’affermazione sono rimasta estremamente stupita di essere stata scoperta così facilmente. Stavo per ucciderlo a quel punto – non potevo certo permettermi errori – ma la curiosità mi spinse a chiedergli come lo avesse intuito. Era la prima volta che mi succedeva dopotutto. E a quel punto lui estrasse una vecchia foto, una di quelle in bianco e nero risalenti alla fine dell’800: raffigurava me in abito da sposa con il mio ex marito. E subito dopo un paio di ritagli di giornale: uno risalente all’epoca in cui Holmes era stato arrestato -nel ritaglio comparivo anche io come testimone- un altro invece raffigurava il mio cadavere, completo di nome e cognome, e dello studio che era stato fatto sui miei occhi che non erano stati intaccati dalla decomposizione. L’ultimo trattava delle misteriose morti a Downtow Abbey, il paesino dove ero stata sepolta, e della lapide divelta in seguito alla morte del becchino. Ero stata così poco previdente allora: mi ero prodigata di passare inosservata al meglio delle mie capacità, ma non avevo distrutto le tracce che avevano fatto parte del mio passato. E dopotutto, Matheson era uno scrittore appassionato di gialli, omicidi brutali e tutto il resto: la mia sfortuna fu che rimase affascinato dalla mia fotografia come sposa, mi disse che era stato letteralmente folgorato dalla mia bellezza. Quando iniziò a interessarsi dei delitti di Holmes notò la mia fotografia sul giornale e da li ricominciò a mettere insieme i pezzi. Così quando mi vide la sera prima mi riconobbe immediatamente e mise insieme i pezzi del puzzle.- 
Catherine smette di danzare e guarda Steve dritto negli occhi.
-Per la prima volta in vita mia non seppi cosa fare: se ucciderlo immediatamente o attendere e riflettere sul da farsi. Fui fortunata e presi la via giusta: il furbacchione aveva preso delle precauzioni ovviamente, qualora avessi deciso di pasteggiare con il suo corpo. Dopotutto non era affatto uno stupido e ben sapeva a che cosa potesse andare in contro nell’uscire con una creatura della notte. Fu il primo ed unico uomo che risparmiai.-
Steve si alza incredulo, si passa una mano fra i capelli e inizia a girare in tondo pensoso.
-Che cosa ti convinse a farlo?-
-Mi fece una promessa, chiamiamolo scambio di favori. Lo avrei aiutato con il suo nuovo libro raccontandogli i dettagli sulle mie capacità, sui miei sentimenti, sul mio modo di vivere e lui in cambio avrebbe mantenuto il segreto. Che cosa aveva da perdere dopotutto? Io resi il suo racconto credibile, dettagliato, moderno. E lui ben sapeva di avermi col fiato sul collo e che se solo avesse osato parlare gli avrei reso la vita un inferno. Così mantenne la sua promessa ed io la mia.-
-Coltivaste il rapporto quindi?-
-Ammetto che mi misi alla prova: passare così tanto tempo con un uomo, scopare con lui e sopperire i miei istinti omicidi fu veramente difficile, ma formativo: imparai ad aspettare, a pazientare, ad attendere il momento giusto e a trattenere la mia fame.-
-Ecco perché mi stai tenendo in vita allora, vuoi sapere come me ne sono accorto.-
Catherine sorride e si lecca le labbra.
-Sarà un vero piacere divorarti Steve. Adoro quando le mie vittime sono così argute ed intelligenti. Strapparti alla vita sarà per me un vero premio.-
La vampira poi si avvicina a un giradischi posto a fianco di una libreria, accende il dispositivo e apre l’armadietto sottostante dei vinili.
-Ti va un po’ di musica?-

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Capitolo 5
*** Dalle 4.00 alle 5.00 AM ***


Il rumore graffiante e stridulo comincia a diffondersi nella stanza, poi lentamente nell’aria si diffonde una musica lenta, malinconica, composta in tempi lontani. Una sezione di fiati cadenza un blues vecchio stile, di quelli che si sentivano nei locali del Mississippi durante gli anni ’30 del ‘900. La donna nel disco canta con voce suadente il dolore del suo lavoro nella piantagione di cotone, Catherine scuote la testa lentamente e mima la melodia in un sussurro dolce e carico di tristezza.
-Credo che mi sarebbe piaciuto questo periodo storico, trovo sia un peccato essermelo perso. Avevano una moda in quegli anni che trovo davvero entusiasmante.- esordisce lei a un certo punto.
-Provi nostalgia per essertelo perso?-
-Te l’ho detto non provo assolutamente nulla in realtà, ma a volte mi piace immedesimarmi nella donna che ero, quando ancora sentivo qualcosa. Così mi piace pensare a come avrei vissuto certi periodi dei miei trascorsi: che cosa avrei provato in quella situazione? Quale scelta avrei fatto? Come mi sarei comportata?-
-Se non provi nulla, perché lo fai?-
A quel punto Catherine si alza e si rivolge nuovamente a Steve, il quale stavolta ne è sicuro: non sono state fiamme o riflessi indefiniti a solcare i suoi occhi, ma qualcosa che le proviene da dentro.
-Per curiosità. Nonostante tutto, sono ancora un essere pensate e prodigo di ragionamenti. È straniante in effetti vivere e non provare nulla.-
-Concettualmente è molto difficile da pensare, probabilmente impossibile per qualcuno che non vive la tua stessa situazione. Io ci sono andato vicino lo ammetto, ma la sensazione è sgradevole: anedonia e apatia ti lasciano vuoto, spossato, privo di interessi. In un certo senso, io che sono un depresso cronico, comprendo in parte ciò che mi stai raccontando, anche se non posso negare che qualcosa comunque la sento: è la tristezza, un senso di vuoto e di incompatibilità con il mondo che mi circonda.-
-L’avevo intuito Steve. Ho avuto occasioni nella mia vita di conoscere persone affette da depressione maggiore: li ho trovati sempre individui estremamente lucidi, nonostante la loro dimensione della vita fosse incentrata solo su se stessi. Tu non sei da meno in effetti. Si: alcuni aspetti della mia condizione sono effettivamente compatibili con la tua patologia, ma io non riesco a provare nemmeno tristezza. Il freddo e il gelo sono la mia casa, la brama di sangue, l’adrenalina della caccia, il piacere nell’infliggere pena e dolore agli altri. Questa è l’unica cosa che conosco.-
Steve annuisce e le risponde.
-Ho capito: ecco perché quella scatola, ecco perché la musica, la lettura, l’architettura e tutto il resto. Ti aggrappi disperatamente al tuo passato e te lo trascini dietro perché non vuoi dimenticare chi eri e cosa sei stata. Dopotutto Catherine sei un essere nostalgico e afflitto da una profonda solitudine. Il desiderio di provare pena, afflizione, dolore verso te stessa è talmente intenso da essere soverchiante, non riesci a staccarti da esso. E se vuoi sapere la mia, è proprio per questo che provi così tanto piacere nell’infliggere dolore negli altri: rivedi te stessa, come Alice attraverso lo specchio, nel terrore e nell’angoscia delle tue vittime. Desideri e speri ogni volta di rivedere la te stessa che altro non era che una donna che nella sua vita ha solamente sofferto.-
La vampira inclina leggermente di lato la testa.
-Non l’avevo mai vista in questo modo, sai? Potresti avere ragione. In effetti desidero di continuo, pur non provando realmente desiderio, di provare qualcosa. E so che quel qualcosa lo proverò nel momento in cui affonderò i miei denti nel collo di qualcuno. Questa è l’unica certezza che ho.-
Steve si alza e le va incontro, Catherine lo guarda di sottecchi avvicinarsi ma resta immobile.
-Sei sola, come me. Perché continui a vivere? Perché non liberi Catherine da questa maledizione?-
-Te l’ho detto Steve: per compiere un suicidio bisogna volerlo. E io non sento né voglio nulla. L’unica cosa che posso fare è andare avanti e uccidere, fino a che qualcuno non mi fermerà. Ma io farò di tutto perché ciò non accada, perché il mio diletto verso il sangue mi impedisce di fermare il mio corpo.-
In quel momento Steve sente il bisogno di fare qualcosa: la repulsione è completamente scomparsa, la paura anche. Il suo solo desiderio è abbracciare quella creatura che sta molto peggio di lui.
Catherine rimane immobile quando sente le sue braccia avvolgersi intorno alla sua vita: è successo tante di quelle volte che un uomo la cingesse che ormai non se ne stupisce più; eppure in cuor suo sa che questa volta è diverso perché da Steve non c’è alcuna pulsione sessuale. Il suo abbraccio è tenero e carico di comprensione.
In quel momento Catherine ha la testa appoggiata contro il petto della sua preda: avverte i battiti del suo cuore e il sangue caldo scorrergli nelle vene. Vorrebbe solamente affondare i suoi denti e succhiargli via tutta la linfa vitale, prosciugare completamente quel corpo fino all’ultima goccia ma resiste.
-Ora raccontami di te Steve, prima di ucciderti voglio sapere che cosa ti ha portato alla tua decisione.- gli dice con voce afona; Steve inizia il suo racconto.
-La mia vita è sempre stata una successione di eventi infausti. O almeno, è così che mi sono convinto a pensarla. Lucidamente, mi rendo conto che i miei successi non possono certamente definirsi terribili, ma non sono mai stati realmente voluti: mi spiego, le strade che ho intrapreso non sono mai state quelle realmente desiderate. Avrei voluto essere tutt’altra persona, e invece mi sono trasformato in qualcosa che disprezzo profondamente. Così come nella mia carriera lavorativa, la nausea mi ha perseguitato sempre in qualsiasi mia attività; solo quando mi immergo nella musica essa scompare. Così lentamente nel tempo i miei sentimenti si sono dapprima anestetizzati, e poi tutto quel che sono riuscito a provare non è stato altro che una serie di emozioni negative: noia, paura, ansia, dolore, vuoto… mi sento un essere che fa parte di un mondo che non vede, non sente e probabilmente non si merita. Non c’è più piacere nell’alzarmi la mattina, né nel sorseggiare una tazza di caffè o nell’osservare gli uccelli migrare. La natura non mi stupisce più, il sesso non mi interessa, le relazioni nemmeno. L’unica cosa che per un certo periodo mi ha sedotto è stare a rimuginare su me stesso e sulla mia condizione. I farmaci e gli psicologi non sono serviti ed io sono saturo di tutti questi anni. Ora desidero solo smettere di provare.-
Catherine si lascia andare in uno sbuffo divertito.
-Incredibile: io desidero provare qualcosa mentre tu desideri non provare più nulla. Saresti un ottimo vampiro sai Steve?-
-Probabile. Ma la vita eterna non mi interessa, così come non mi interessa strappare via vite a chi riesce a godersi la propria. Voglio solo sparire e trovare una seconda possibilità da un’altra parte.-
-Nessuno ci è mai riuscito dici? Sono sicura che io ci riuscirei.-
-A fare cosa?-
Catherine in quel momento si scioglie dal suo abbraccio e lo guarda dritto negli occhi.
-Ora ti farò provare cosa vuol dire vivere. Ti disprezzo Steve: perché tu hai la possibilità di guarire, mentre io no. Ti farò provare il piacere più intenso che tu abbia mai ricevuto in tutta la tua vita, cosicché io possa vederti piangere e disperarti quando te la porterò via. Se fossi un’umana ora ti odierei, mi conosco dopotutto: hai la possibilità di avere ciò che a me è stato negato e vuoi buttarlo via così.-
La vampira non lo lascia replicare, ma si avvicina alla sua bocca e bacia le sue labbra.
Steve avverte la lingua di Catherine insinuarsi nella sua cavità e contorcersi sensualmente contro il proprio muscolo. In un battito di ciglia le mani della vampira sono ovunque: dolci come il miele e innaturalmente sensuali, tanto che trova impossibile che colei che gli sta di fronte non sia in realtà una creatura angelica.
“Quanto è seducente il male” pensa, prima che la sua lucidità lo abbandoni.
Il piacere invade il suo corpo, la sua mente è come ubriaca e l’eccitazione è tale da risvegliare completamente la parte che Steve credeva ormai scomparsa. 
La vampira è come un fiume in piena e distrugge tutte le sue convinzioni: nel corso dei minuti Steve viene più e più volte fino a che non si ritrova sfinito con la testa immersi nei seni di Catherine. Lei aveva ragione: Steve in quel breve lasso di tempo è tornato a vivere ed a provare amore, felicità, pulsione e desiderio.
Solo l’assenza del battito nel corpo della donna lo riporta alla realtà, dopo un poco.
-Ora sai, mio caro Steve, che la vita può ancora riservarti tante cose. Non vale la pena di vivere per ciò che hai provato ora?-
L’uomo sussulta, ansima ma non risponde.
La vampira ride divertita e carezza la testa della sua vittima, poi aggiunge.
-Fra poco sarà l’alba. Ti racconterò di come conduce la vita un vampiro e delle sue straordinarie capacità, come promesso. Poi toccherà a te svelarmi come hai capito che cosa sono.-
Catherine solleva il volto della sua preda e la guarda dritto negli occhi.
-Poi morirai- aggiunge semplicemente.

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Capitolo 6
*** Dalle 5.00 alle 5.30 AM ***


-Sai, dei vampiri si narra sin dalle civiltà più remote dell’antichità: sumeri, greci, egizi… naturalmente, il termine vampiro è stato coniato solamente in epoche più recenti, ma già allora si parlava di demoni o umani risorti in grado di cibarsi della linfa vitale di un vivente. Chi con più fantasia, chi con meno, nel corso dei secoli si sono delineati vari tratti per definire e caratterizzare un essere come me; trovo comunque molto interessante l’accostamento della loro natura alla chiesa cattolica e a Satana degli ultimi secoli.- Catherine ride e continua ad accarezzare la testa di Steve.
-A volte trovo che vampiri e succubi siano la stessa cosa, solamente che vengono concettualizzati in modi differenti: il primo è un essere che si nutre del sangue, il secondo invece della sessualità delle sue vittime. Guarda ora come sei ridotto Steve: non riesci nemmeno a muoverti da quanto ti ho prosciugato, non trovi che la mia sensualità sia dannatamente travolgente? Credevi di non desiderarmi e invece il tuo corpo si è fiondato su di me come una calamita, hai addirittura avuto molteplici orgasmi, cosa che non sarebbe possibile in qualsiasi altro rapporto. Me lo sono sempre chiesta sai? Come fa un essere tanto temibile come me a provocare simili pulsioni nell’essere umano? Che siano donne, uomini o bambini… la mia sensualità è travolgente, nessuno può resistervi. Per questo non disdegno l’associazione fra queste due creature. Anche in oriente esiste una figura simile alla mia, fa parte della mitologia degli Yokai giapponesi o delle creature demoniache cinesi. In ogni parte del mondo si vada ad indagare, le creature della notte compaiono sempre; ma sai qual è l’unico tratto in comune che li caratterizza tutti? Non il terrore per il sole, non l’animo oscuro, non la capacità di sparire, di volare o di succhiare il sangue…-
-La sessualità.- esprime Steve in un soffio.
-Esattamente. Il sesso, centro della vita dell’essere umano, è il comune denominatore del vampiro in tutte le civiltà. E questa è proprio la mia caratteristica principale. Non ho bisogno di super poteri, di volare, di scomparire o rimpicciolire; la mia sensualità è il potere più grande: mi consente di poter ghermire e stregare chiunque io desideri, di stanarlo e di finirlo, lasciarlo inerme e privo di forze. Naturalmente, non è un privilegio che concedo a tutti, anche perché come ti avevo detto io non provo alcun piacere nel farlo. Ma riconosco le persone da premiare, e so che il mio corpo è per loro uno dei più grandi piaceri che possano mai provare.-
Steve alza la testa ansimante e la guarda negli occhi – Sei misericordiosa dopotutto – le dice.
-Trovo semplicemente che ci siano persone che si meritano una fine più o meno dolce. Ma ammetto che altre volte il piacere di vedere il loro volto trasfigurarsi dall’orgasmo al terrore più intenso è dannatamente stimolante. Sono una cacciatrice e, come tale, stanare le mie vittime e togliere loro ogni speranza aumenta il mio lato bestiale. Misericordiosa nei tuoi confronti? Steve ti ho appena dimostrato che puoi ancora guarire dal tuo malessere interiore, eppure sto per portarti via questa rinnovata e flebile speranza. Mi trovi davvero misericordiosa?-
- Vedendola sotto un altro aspetto, mia cara, potremmo anche dire che mi hai regalato un dono d’addio: hai realizzato il mio ultimo desiderio di provare qualcosa di bello.-
La donna lo scruta con attenzione.
-Questo lo scopriremo solamente nel momento in cui i miei denti affonderanno nel tuo collo.-
L’ospite si scrolla nelle spalle, poi lentamente e a fatica si mette in ginocchio tenendo gli occhi fissi sul corpo di lei; fuori il cielo è un poco più chiaro.
-Guardati adesso in mezzo alle gambe: nonostante tu sia sfinito sei ancora pronto per un altro round.- esordisce Catherine seriamente, poi riprende da dove aveva interrotto.
-In ogni caso, alcune cose sono vere e altre no: ad esempio croci, santuari o cimeli vari non mi fanno alcun effetto. Tutto quello che è religioso non mi tange e l’acqua santa non brucia il mio corpo. No, ho sperimentato ben presto le mie debolezze nei primi anni della mia nuova condizione e nulla di tutto questo mi ha mai fatto il benché minimo effetto; vero invece che ci sono delle patologie nelle mie vittime che non tollero: l’odore del fumo ad esempio, o un tumore del sangue nelle mie vittime, o ancora una malattia ematica particolarmente aggressiva. Coloro che sono affetti dalle malattie del sangue non rientrano fra le mie scelte: non giovano alla mia sete, non bloccano il processo di decomposizione ed hanno un odore e un sapore tremendo.-
-Come lo capisci?- chiede incuriosito Steve.
-Dall’odore. Il corpo dell’uomo trasmette una serie di fragranze che mi fanno capire il suo stato di salute, la sua età e condizione mentale. Se te lo stai chiedendo, si: avevo già capito ancor prima di rivolgerti la parola il tuo grande turbamento interiore, ma fortunatamente ciò non mina il tuo sapore. Sono invece contenta di non averti fatto fumare per tutta la sera.-
-Nella mia prossima vita diventerò una ciminiera allora- e le fa l’occhiolino.
-Sai Steve ammiro la tua capacità di sdrammatizzare tutta questa situazione, lo trovo fin troppo straniante a dire il vero. In ogni caso, se vengo colpita o ferita il mio corpo si rigenera con una nuova bevuta. Se rimango troppo tempo a secco il mio corpo comincia a decadere velocemente: inizio a invecchiare in modo straordinariamente veloce e poi deperisco.-
-Ti è mai più capitato?- 
-Una volta, nel ’78. Ero rimasta chiusa in una dannata cella frigorifera per ben due settimane. Sai, il macellaio era riuscito a chiudere la porta prima che esalasse l’ultimo respiro e, aimè, non c’era modo di aprire la porta dall’interno.-
-La tua forza non è sovraumana dopotutto allora.-
Catherine scatta in avanti, afferra per il collo Steve che sobbalza per la sorpresa, e lo alza fin sopra la sua testa.
-Trovi?- domanda lei e stringe forte le dita intorno al suo collo.
Steve si divincola e cerca di sciogliere la sua morsa, ma la presa della vampira è forte, dannatamente forte. La vista comincia ad appannarglisi, la bocca si contorce alla disperata ricerca d’aria e i polmoni si alzano e si abbassano alla velocità della luce; in sottofondo il ghigno di Catherine si trasforma nuovamente in un suono orrendamente bestiale, del tutto privo di umanità.
Poi, proprio quando Steve credeva di essere stato tradito, la creatura scioglie le mani intorno al suo collo facendolo crollare a terra rantolante. Lei gli gira intorno e ricomincia a parlare come se nulla fosse.
-Il sole non mi trasforma in cenere, ma è alquanto fastidioso. In un certo senso, non è tanto l’esposizione del mio corpo alla luce il problema, ma la vista della luce stessa che mi provoca un grosso disagio. È insostenibile, quasi come se avessi puntano dritto negli occhi un laser dalla potenza inaudita. Inoltre il mio corpo si fiacca e sento il bisogno impellente di rintanarmi nell’oscurità per recuperare le forze. Dormo finché il sole non cala oltre l’orizzonte, ed il sonno è lungo, noioso e privo di sogni. Il mio corpo è gelido e freddo, caldo o umido non turbano minimamente la mia pelle: è come se fossi completamente immune alle intemperie e la mia pelle non fosse altro che una copertura di gomma. Un involucro vuoto, privo di qualsiasi cosa: sangue organi e muscoli ci sono e funzionano finché il sangue di qualche vittima circola, poi quando si esaurisce inizia il processo di morte. Vuoi sapere come espello il sangue per caso?-
Steve tossisce e si pulisce la bava che gli è colata lungo il mento.
-Posso immaginarlo- esclama.
-D’altronde ano e uretra sono sempre al loro posto- sminuisce Catherine prima di proseguire.
-La mia forza è sovraumana, questo è certo, ma ha un limite e naturalmente esso è definito dalla mia corporatura: la morsa di un coccodrillo e di uno squalo sono molto più forti delle mie, io riesco solamente a spingere muscoli e ossa al massimo della loro potenza senza freni. È come se avessi l’adrenalina nel corpo continuamente attiva: quel particolare stato che ogni uomo può provare nel momento in cui si sente estremamente minacciato, solo che io posso usarla a mio piacimento. Posso correre per sempre senza accusare fatica e a una velocità incredibile, mantenere sollevati pesi per giorni interi… insomma, una moltitudine di attività che un normale umano, a causa della fatica e della resistenza, non può svolgere. Oltre a ciò, percepisco molto più del normale odori e suoni, per questo riesco a essere così silenziosa se lo voglio, ma non posso volare, trasformarmi in un pipistrello o tutte le altre diavolerie di cui hanno romanzato centinaia di scrittori negli anni. Non mi ammalo mai, non sento dolore, non provo assolutamente nulla a livello fisico.-
-Perché credi che esistano esseri come te?- chiede Steve mentre si rialza in piedi per poi riabbandonarsi stancamente sul divano.
-Non lo so e non mi interessa. Esisto e basta. Perché esistono le mosche, le zanzare e tutte quelle miriadi di insetti fastidiosi?-
-Non ne sono sicuro al 100%, ma avevo letto da qualche parte che ogni creatura vivente su questo pianeta ha uno scopo e una funzione ben precisa per permetterne l’esistenza.-
-Ma io non sono esattamente viva Steve.-
-Ma non sei neanche esattamente morta. Potresti essere come un virus: creature che non sono ne vive ne morte.-
-Tutto può essere. So solo che esisto che piaccia o meno, ne sono la prova tangibile. Non ho mai avuto il piacere di incontrare dei miei simili, ma sono convinta che prima o poi accadrà. Allora forse avrò le risposte, o magari ciò non farà altro che creare altre domande.-
Segue una pausa che viene prolungata dalla vibrazione di un cellulare nella borsetta della donna.
-Non rispondi tu questa volta? Difficile sia qualche cliente a quest’ora del mattino. Altri conoscono la tua identità Catherine?-
Catherine alza gli occhi al cielo.
-Dimmi Steve: telecamere, smartphone, accrocchi elettronici che raccolgono dati di ogni tipo. Davvero sei così stupido da pensare che non abbia preso le dovute precauzioni? Sarei stata già beccata un’infinità di volte altrimenti.-
Steve si gratta il mento.
-In effetti, devi avere degli amici ai piani alti o con una certa influenza. Dopotutto lasci dietro di te una moltitudine continua di scie di sangue. Raccontami.-
-Steve stiamo prolungando più del dovuto la nostra conversazione, e sai benissimo che fra poco sarà l’alba. Non credere di fregarmi con questi mezzucci, la mia pazienza è ormai esaurita. Ti basti sapere che in ballo c’è uno scambio di favori, che naturalmente comprende l’incolumità dei miei collaboratori. Mi sono creata un personaggio, come hai detto tu nel corso degli anni, e l’ho reso talmente importante e potente che chiunque voglia provare a fermarmi, deve prima pensarci sopra centinaia, se non migliaia di volte. In ogni caso è arrivato il momento Steve.-
Catherine gli si avvicina e gli si accavalla sulle gambe, gli afferra la testa e lo guarda dritto negli occhi.
-Che cosa mi ha tradita?- 

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Capitolo 7
*** Alba ***


C’è un chiarore all’orizzonte: è appena visibile ma è il segnale che la notte sta lasciando spazio al nuovo giorno. Le punte degli alberi dall’altro capo del versante si fanno appena visibili e presto si faranno rosate. Steve le fissa attraverso le tendine delle grandi finestre della sala; alle sue spalle Catherine, nuda, osserva la sua preda e si lecca labbra. 
Il fuoco ormai è morente e le braci sono l’unica fonte di luce che rischiara un poco l’ambiente.
-Come ti avevo detto all’inizio mia cara sono un grande osservatore: studio le espressioni, i gesti, i dettagli e ne tengo conto. Il primo dubbio si è insinuato in me quando mi hai stretto la mano: rigida e ghiacciata, come se non ci fosse l’energia di un vivente al suo interno. Eppure eri svestita ed eri almeno già da qualche minuto all’interno del locale: il calore che c’era all’interno di quel luogo avrebbe fatto sciogliere un ghiacciolo dopo un paio di minuti, ma tu eri gelida come un iceberg.- l’uomo si volta e guarda la sua carnefice dritta negli occhi.
-Poi, ovviamente il tuo sguardo. Quello è stato probabilmente il motivo principale: non avevo mai visto nessuno con un’espressione così spenta e apatica; nemmeno quando sono stato ricoverato nella clinica di Oakland, al centro malattie mentali. Ho avuto modo di conoscere persone che non ce l’hanno fatta, che avevano perso tutto e che si dichiaravano perdute, senza più nessuno stimolo verso la vita: per quanto tragica fosse la loro situazione, i loro occhi erano pregni di un barlume di vita. I tuoi invece trasmettono solo morte e nient’altro. 
In secondo luogo, non emetti nessun odore: ogni uomo o donna ne ha uno per quanto flebile o mascherato che sia. Ma la tua pelle non emana nulla, neanche dopo che ti sei fatta fuori bicchieri e bicchieri di alcool, il nulla più assoluto. Non ti sei ubriacata, nemmeno un poco, ma sei rimasta sempre perfettamente cosciente: per quanto una persona possa bere e reggere la sbronza, appaiono dei sintomi fisici inequivocabili: le iridi si allargano, l’alito si fa acidulo, il colore della pelle s’arrossa e le movenze si fanno più lente, le occhiaie compaiono. A te non è successo nulla di tutto questo.-
Catherine sorride lisciandosi la bocca con le lunghe dita.
-Eppure Steve questi non possono certo essere dettagli che ti portano alla certezza di trovarti di fronte ad un vampiro. No, non me la dai da bere. Ci deve essere altro.-
-Ovviamente. Tutto quello che ti ho descritto, mischiato al fatto che ti sei avvicinata ad uno straniero, nemmeno particolarmente bello per una donna della tua portata, che non conosceva nessuno in città mi ha certamente insospettito. Sono addirittura arrivato a pensare che fossi un robot o una sorta di androide ad un certo punto della conversazione per le tue risposte: non un cenno di incertezza, non una singola elaborazione di un concetto più lungo. Era come se mi trovassi davanti ad un attore che leggeva le risposte di un copione, o ad un super computer capace di elaborare informazioni e rispondere ad un altissimo numero di variabili ad una velocità inaudita. Si, avevi indubbiamente qualcosa di strano.-
-Eppure hai scelto di seguirmi.-
-In realtà mi hai quasi costretto prendendomi sottobraccio e trascinandomi alla tua auto; però certo non mi sono ribellato. Come ti avevo detto, avevo già stabilito la mia fine, ne ero convinto al 100%. Ma la possibilità di conoscere qualcuna come te e di rimanerne vittima era una possibilità davvero stuzzicante. Forse avrei scoperto qualcosa che nessun altro al mondo, o di cui pochissimi sono a conoscenza. Quale modo migliore per morire quindi?-
-Non prendere tempo Steve, sei ormai alla fine. Sto per affondare i denti nel tuo collo. Avanti: cosa ti ha fatto capire che cosa sono?-
Steve sorride e socchiude gli occhi, perso in memorie lontane.
-Il finestrino della tua auto.-
Catherine strabuzza gli occhi poi scoppia a ridere.
-Che diavoleria è mai questa Steve? Mi vuoi dire che non hai visto la mia immagine riflessa? Non funziona così.-
-Oh no la tua immagine era riflessa eccome: è stata proprio quella a tradirti. Ti sei leccata le labbra e per una frazione di secondo, mentre stavo per aprire la portiera, hai avuto la tentazione di affondare i tuoi canini nel mio collo. Ma ti sei trattenuta, come è avvenuto poco fa quando ti ho abbracciata, ed ancora prima quando hai mostrato la tua vera identità. Per una frazione di secondo i tuoi occhi si illuminano come se la vita tornasse nel tuo corpo, la tua bocca assume un ghigno sardonico da cui spuntano i canini. È esattamente come hai detto tu: il sangue è l’unica cosa che ti fa provare qualcosa, ed io quel qualcosa l’ho visto. L’ho captato più volte nel corso della serata e man mano che abbiamo trascorso la notte assieme, ho visto quel barlume di vita comparire più volte durante la nostra chiacchierata. Io non so molto di vampiri, ma ho avuto una fase adolescenziale dove ero catturato dall’occulto e dal mistero, come la maggior parte dei ragazzini. Così ho messo insieme tutti i pezzi e ne ho avuto la conferma quando mi sono seduto su questo divano: una casa senza riscaldamento acceso, davvero incredibile per una normale famiglia americana, nessun rumore, nessuno in vista, nessun animale domestico e tutto perfettamente in ordine. 
Forse Catherine ti sei costruita un copione fin troppo perfetto.-
Catherine alza un sopracciglio, sospira e mima una sincera delusione.
-Che sconforto: e io che avevo quasi creduto in qualche mirabolante capacità soprannaturale, in qualche straordinaria congiura o complotto. Stavo viaggiando con la fantasia ventilando le ipotesi più complesse ed invece… tutto qui. Che finale banale.-
Steve aggrotta le sopracciglia.
-Si, tutto qui.-
Per l’ennesima volta Steve si ritrova sospeso da terra, con i piedi a penzoloni e la schiena schiacciata contro il freddo vetro della finestra.
Il mostro lo tiene alzato per il collo con una mano, il volto è trasfigurato in un’orribile maschera bestiale, priva di qualsiasi pietà: nei suoi occhi lampeggianti circolano un’infinità di emozioni, e nessuna di queste benevola. 
-Le tue ultime parole Steve?- pronuncia una voce gracchiante, disumana e terribilmente roca e profonda.
E Steve la guarda con compassione.
-Diamine se sei brutta quando assumi il tuo reale aspetto.-
-Se questo è tutto quello che hai da dire, allora addio Steve.-
Il vampiro emette un grugnito intenso, simile a quello dell’orgasmo di un animale e avvicina il collo alla sua mascella.
-Ti avevo chiesto di non farmi soffrire- biascica lui, ma in tutta risposta l’essere ghigna ancora più forte e senza proferire parola spalanca le fauci.
Catherine affonda i suoi denti nel collo di Steve e lo morde forte quasi a volergli strappare via la pelle; poi comincia a succhiare avidamente.
Steve ridacchia, ma tossisce e sente che il fiato comincia a mancare.
Desiderava davvero per la prima volta nella sua vita provare dolore, e si era quasi convinto che lei avesse potuto dargli quella sensazione che non era mai riuscito a provare durante tutto il corso della sua vita.
Mentre il suo corpo lentamente si svuota, i suoi ricordi tornano a un tempo lontano della sua infanzia: improvvisamente si ritrova in una clinica circondato da una moltitudine di dottori; i suoi genitori sono in un’altra stanza, celati per metà da uno spesso vetro che s’affaccia sul corridoio centrale. Stanno confabulando con un medico che si gratta la testa e parlotta visibilmente in difficoltà. Steve abbassa lo sguardo e si osserva per la centesima volta la caviglia: l’osso è fuoriuscito dalla carne e l’equipe che lo sta operando lavora con minuziosa attenzione. L’infermiera ad un certo punto gli chiede nuovamente volta se si senta bene e non avverta dolore e il bambino le ribadisce che non c’è nessun problema. I ricordi cambiano e questa volta si trova faccia a faccia con un neurologo: con uno spillo sta punzecchiando varie parti del suo corpo e ogni volta che lo fa gli chiede se abbia avvertito qualcosa. Ma Steve nega sempre: si sta ormai annoiando poiché sono parecchi giorni che il suo piede è guarito, ma i medici continuano a tormentarlo con assurdi test ed esperimenti. Aghi, cannule, ferri roventi, pressioni sulla pelle. Ma nulla: Steve non riesce a sentire dolore. 
La scena cambia di nuovo: un nuovo posto, una nuova ferita. Questa volta Steve, adolescente, si è conficcato un cacciavite nella mano passandola da parte a parte nel tentativo di girare una vite ostinata. Ma di nuovo non ha avvertito nulla.
Se ne sta semplicemente lì a fissare il sangue colare, finché non decide di estrarre la punta d’acciaio e osservare i contorni del buco che si è fatto. Allarga i lembi di pelle con le dita e nota con interesse i muscoli e i tendini della mano che si contraggono come colti da spasmi, per poi guardare attraverso la ferita della mano usandola come una sorta di mirino. Il tutto viene interrotto dall’urlo di sua madre e dal successivo sopraggiungere di suo padre.
Da quel momento in poi Steve comincia a sperimentare su se stesso:  a volte si taglia, altre volte si schiaccia volontariamente un dito con un martello, altre ancora mantiene la mano su una fiammella fino a sentire l’odore di carne bruciata. È quasi come se fosse un gioco per lui e in un certo senso, per un periodo della sua vita si è sentito un supereroe come quelli dei fumetti. A scuola invita i compagni a prenderlo a sassate, oppure li sfida a certi giochi pericolosi che quasi sempre finiscono nel sangue. Si sente invincibile, mentre tutti gli altri piagnucolano per qualche pizzicotto, sbucciatura o poco altro; lui invece no: e ogni volta propone sfide sempre più pericolose. Il culmine lo raggiunge ai sedici anni, quando decide di schiantarsi con il motorino contro un muro. Si ritroverà riverso a terra, coperto di sangue: incapace di ridere per la mascella spaccata, le gambe rotte e il bacino sfondato.
Da quel momento nella sua vita ci sarà soltanto il dolore: perché se per il suo corpo quella sensazione è sconosciuta, per la sua mente le cose cominciano a cambiare. Se prima si sentiva un Dio, con il passare delle settimane comincia a porsi domande. Perché non è come tutti gli altri? Perché non riesce a capire se l’acqua calda che tocca lo sta ustionando? Perché non avverte il mal di pancia e a volte gli capita semplicemente di vomitare così dal nulla? Perché tutti gli altri hanno cominciato a guardarlo in modo così strano? Perché sua madre è sempre terrorizzata quando viene lasciato da solo e vuole sempre tenerlo sotto controllo?
Con il passare dei mesi e poi degli anni quelle domande si moltiplicano e i dubbi si fanno sempre più incalzanti e oscuri. A ventisei anni Steve lega una corda sulla trave del suo appartamento  e ci si appende, ma la corda si spezza facendolo schiantare al suolo. Una vertebra incrinata gli impedirà di alzarsi prima di essere ritrovato dalla sua coinquilina e così viene ricoverato per la prima volta in un centro di salute mentale. Da quel momento la diagnosi non farà altro che peggiorare trascinandolo in un turbine di dolore e tristezza. Si, a Catherine non aveva raccontato tutto di sé: voleva davvero essere sicuro delle capacità innate del vampiro. Ma in un certo senso, desiderava anche provare dolore per la prima volta nella sua vita. Durante la notte aveva intuito che la donna lo avrebbe divorato senza pietà, interessata solo a soddisfare i suoi istinti primordiali, e confidava davvero che sarebbe riuscito, attraverso lei, a provare dolore per la prima volta. Com’è buffo: tutti coloro con cui Steve aveva parlato nel corso della sua vita erano terrorizzati dal dolore. La morte stessa non è temuta tanto quanto il male fisico del proprio corpo. Lui invece non desidera altro: provare dolore nella speranza che il male che ha nella testa possa spostarsi e assumere una dimensione fisica. Che sciocco era stato a sperarci così tanto. 
L’uomo capisce quanto ha in comune con quell’essere, quanto siano entrambi condannati a una vita penosa alla continua ricerca di una sensazione che li faccia sentire vivi entrambi. 
E proprio mentre le forze lo stanno per abbandonare, Steve riceve un’illuminazione: una forza dentro di sé lo travolge e la sua voce interiore lo incalza. “Hai sempre sognato di essere un supereroe Steve, perché per una volta non lo diventi davvero e poni fine alla sofferenza di quella creatura mitologica? Il mondo avrà un assassino sanguinario in meno e tu te ne andrai con la coscienza di aver fatto realmente qualcosa di bello e importante. Salverai la sua vita e quella di tanti altri innocenti.” 
La consapevolezza lo travolge: spalanca gli occhi e, alla maturazione di quel pensiero, Steve comincia a sentirsi finalmente vivo. Perché vivere non vuol dire provare dolore ed essere come tutti gli altri, ma realizzare il proprio più grande desiderio fino a trovare la felicità. E Steve ormai è stufo di vivere così: ora sa qual è la cosa che desidera più di ogni altra.
È in quel momento che decide di agire: afferra la testa del vampiro ed inserisce le dita nelle cavita oculari dei suoi occhi spingendo con tutta la forza che ha; Catherine molla la presa e lancia un urlo acuto, ma non fa nemmeno in tempo ad agire che Steve le è già addosso.
Il vampiro graffia la carne, lancia calci e si divincola come se fosse posseduto dal demonio. I due corpi si abbracciano in una lotta infernale dove entrambi mordono, scalciano e feriscono terribilmente il proprio avversario.
-Tu! Dovresti essere paralizzato dal dolore. Com’è possibile?- ringhia furiosa Catherine, ma Steve non risponde e sprigiona tutta la propria forza in quell’ultimo colpo rivolto al collo di lei.
Il ferito avverte un sonoro schiocco provenire dalla donna e subito dopo crolla a terra: ha la vista annebbiata, il fiato corto e la sensazione che stavolta sia davvero la fine.
“È così alla fine il momento è arrivato” pensa abbozzando un ultimo sorriso, poi si rivolge al corpo del vampiro e pronuncia le sue ultime parole.
-Neuropatia autonimica e sensoriale mia cara. Non ho mai conosciuto il dolore fisico. Queste sono le mie ultime parole.- 
La realtà svanisce dagli occhi di Steve; nella sua mente l’ultimo baluardo d’una immagine che lentamente scompare: un coltello da cucina affilato.
 
L’alba è giunta. Il sole affiora sopra le cime delle montagne illuminando l’ambiente con una luce dorata: la foresta nei dintorni della villa si risveglia e i rumori della vita cominciano a diffondersi nell’aria. In quel momento una vecchia Ford del ’76 si mette in moto, inserisce la retromarcia e si immette pigramente lungo la strada sterrata che la riporterà in città. 
All’interno della casa sulla collina vige ora solo il silenzio e la morte.

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