The beginning of a New Era

di Lilyrae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The beginning of a New Era
Prologo
«Yuma, mancano due settimane e non hai ancora toccato libro!»
 
L’urlo di Akari, dalla cucina di casa Tsukumo, è ormai parte dell’ordinaria quotidianità, non appena il fratello minore saliva le scale per rintanarsi in camera sua fino all’ora di cena. Più volte v’è passata davanti, sopprimendo l’istinto di sorella maggiore che le diceva di aprire la porta per accertarsi almeno come stava, cosa faceva o se semplicemente dormiva, ma finiva sempre col fissare quel muro fatto di legno, ridestata dal trillare della sveglia, dell’orologio da polso, che le ricordava che la pausa era finita e doveva riprendere il lavoro, lasciato momentaneamente sospeso; le cartelle contenenti notizie, raccattate su Internet, ancora sparpagliate disordinatamente sul desktop del computer portatile, coprendo l’immagine raffigurante lei e la sua famiglia, tutti sorridenti mentre guardano verso l’obbiettivo.
 
Stringe la spugna - sentendo l’acqua, mista a detersivo dei piatti, bagnarle la manica arrotolata poco sotto il gomito - per fissare il proprio riflesso sulla superficie di ceramica, domandandosi cos’ha sbagliato stavolta. Era stata troppo dura? Eppure gli concedeva sempre il permesso di duellare, facendogli tuttavia promettere di rincasare in tempo per la cena, quando lo chiedeva. Era passato almeno un mese dall’ultima volta che l’aveva visto uscire, ricordando anche come tornava a casa sfinito e si buttava subito sul divano.
 
Quel silenzio non le piaceva affatto, al punto che vorrebbe dire immediatamente “si”, senza neanche dargli il tempo di formulare la frase, appena l’occasione si ripresenta. Come per cercare risposta guardò prima la cartolina, spedita dagli Stati Uniti d’America, dei propri genitori - il paesaggio esotico di Hialeah, situata in Florida, alle loro spalle - poi nonna Haru intenta a pulire il tavolo con uno straccio, ma né lei né l’immagine di Kazuma e Mirai sembrano notare il suo stato d’animo inquieto.
 
Per rompere il ghiaccio, guardando in direzione dell’orologio da muro, nascosto dall’anta della credenza aperta, domanda «Che ore sono?»
 
«Le 14:00 cara, hai ancora tempo prima di iniziare a lavorare» le rispose, alzando il capo senza smettere di pulire il tavolo. Akari appoggiò il piatto pulito sulla pila, mollando la spugna ancora zuppa di detersivo nel lavandino prima di sfilarsi il grembiule verde con un pattern di quadratini bianchi.
 
«Vado a vedere Yuma.» sentenziò infine, stanca del silenzio del fratello. Le dispiaceva irrompere bruscamente nella sua vita, anche con un semplice gesto come il bussare alla porta, ma non poteva limitarsi a fargli da promemoria, in vista dell’imminente inizio del nuovo anno scolastico, ulteriormente. Odiava ricevere in risposta il silenzio, specialmente da qualcuno a lei importante e Yuma rientrava pienamente nella categoria. Per lei esso era sinonimo della completa assenza di notizie, quindi inaccettabile essendo una giornalista, coperte dal velo d’oscurità chiamato menzogna. Aveva lo stesso sospetto nei confronti della JAXA, l’agenzia spaziale giapponese, sprofondata in quella che per lei è più una spirale di menzogne per coprire il segreto dietro gli strani avvenimenti caratterizzanti il cielo di Heartland City. Era un paragone strano, ma c’era una similitudine tra l’ente del governo e Yuma: l’uso di tante parole generiche per eludere il problema.
 
Non poteva fare loro una bella ramanzina, irrompendo nel loro ufficio per guadagnare solo l’arresto, e nemmeno commentare gli articoli col dente avvelenato, ma aveva il diritto di farlo con Yuma sperando di rimetterlo in riga.
 
Con un certo timore, bussò infine alla porta. Attese per qualche secondo, tamburellando con le dita sulle braccia incrociate, a ritmo delle lancette dell’unico orologio vecchio stile, collocato vicino alle scale. L’aveva comprato Kazuma diversi anni prima, amante degli elementi appartenenti al passato. Anche l’intera casa aveva subito lo stesso trattamento, tanto da ricordarle quelle del Giappone novecentesco, escludendo la stanza ristrutturata con le ultime tecnologie, permettendole di cercare velocemente notizie, provenienti da ogni dove, senza problemi di connessione.
 
«Avanti»
 
Venne invitata dall’entusiasmo forzato del fratello. Aprendo la porta lo trova disteso sul letto, con le carte componenti il deck appoggiate sul petto, eccetto un paio in mano. Le riconosce come XYZ, il cui bordo tipicamente nero accentua l’immagine al centro, fissata da uno sguardo vacuo distolto solo per salutarla.
 
«Mi hai sentita prima?» lo rimprovera, appoggiandosi minacciosa sulla testata del letto per chinare appena il busto in avanti. Intimorito dal tono della sorella, Yuma indica la scrivania dai toni del blu e dell’arancio, come il resto della mobilia, sul quale v’è appoggiato il quaderno ancora aperto. Akari si avvicina per controllarne le risposte, rimangiando con sorpresa le parole gridate poco prima, già rassegnata all’idea di vedere le cose fatte, come al solito, di fretta. Non erano perfette, le bastò una rapida occhiata per notare diversi errori, alcuni anche gravi, ma ogni tanto le faceva piacere ricredersi e c’era sempre tempo, seppur poco, per rimediare.
 
«Sono stupita, davvero» commenta con mezzo sorriso, eliminando dalla mente la spiacevole immagine di vederlo tornare a scuola coi compiti non fatti. Purtroppo era già successo e non voleva nuovamente perdere la voce per rimproverarlo.
 
«Non sono uno che passa il tempo con le mani in mano» ribatte, facendo cadere le carte come foglie dall’albero appena si mette seduto sul letto. In risposta gli poggiò una mano sulla spalla, con una delicatezza rara quanto l’espressione rilassata del volto. La fissò dritto negli occhi lilla, aprendo la bocca per commentare la strana paura, in secondo piano rispetto all’atteggiamento tipicamente severo, nei suoi confronti. Venne liquidato da delle piccole pacche, senza neanche dargli il tempo di formulare la frase, affacciandosi sulla soglia ancora una volta per dire, prima di tornare in soggiorno «A proposito, Kotori è tornata ieri»
 
Yuma annuì piano, sentendo sollevato il rumore della porta che viene chiusa. Ascoltò la sorella scendere le scale, sfiorando inconsciamente il ciondolo dalla forma di chiave, di un dorato riflettente la luce del sole pomeridiano e la osserva perso nella marea di ricordi che quell’oggetto, all’ignara apparenza insignificante, ma per lui è come una parte del suo cuore, può trasmettergli semplicemente guardandolo.
 
«Spero che un giorno ci rivedremo, Astral» sussurra il nome di un vecchio amico andato da tempo, partito per un lungo viaggio con destinazione un luogo lontano. Gli metteva tristezza sapere di non poterlo raggiungere, soffocandola ancora una volta con un sorriso quando salutò i suoi genitori all’aeroporto di Heartland City. Erano stati assieme neanche un mese e già le loro strade si separano, lasciandolo indietro mentre volano oltreoceano.
 
«Magari potremmo duellare assieme, come ai vecchi tempi…» i contorni della Chiave dell’Imperatore diventano meno nitidi, una lacrima si infranse su di essa facendogli capire che stava piangendo. Le asciugò subito col dorso della mano, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi. Non voleva che Akari e nonna Haru lo vedessero così, anche se gli sembra che hanno già capito tutto, notando la sua profonda tristezza dal comportamento pressoché solitario. Per qualche strano motivo, lo lasciavano stare, dando la colpa alla partenza di quasi tutta la cerchia di amici. L’unico rimasto era Girag e di tanto in tanto faceva affidamento su di lui, invitandolo a duellare per mantenersi allenato, ricavando sonore sconfitte a causa della ruggine. Del resto, sono settimane che non mette mano al deck.
 
Ricorda, anche, di come scoppiò a ridere, ancora a terra dall’ultimo colpo, ironizzando sul come le cose sarebbero cambiate se l’avesse battuto pochi mesi prima.
 
«Yuma!»
 
La voce di Akari rompe il silenzio della stanza, facendo sobbalzare il ragazzo e la collana per poco non gli sfugge dalle mani. Grazie ai suoi riflessi ben allenati, riesce ad afferrarla appena in tempo, prima che finisca sul pavimento di legno. La rimise al collo, costatando divertito come il buonumore della sorella sia rapidamente scomparso.
 
Non impiegò molto a capirne il motivo, gli bastò raggiungere la cucina per vedere il pavimento completamente zuppo e l’acqua filtrare da sotto il mobile del lavello, la cui anta è aperta rivelando il tubo incriminato. Neanche una decina di minuti dopo, si ritrova a fare avanti e indietro dal bagno, versando l’acqua nella vasca nel momento in cui raggiungeva il bordo della bacinella.
 
Stremato, si accasciò a lavoro concluso sul divano. Le gambe, avvolte dai pantaloni zuppi, lasciate penzolare sul poggiolo per non bagnare il telo. Quel problema era riuscito a distrarlo dall’opprimente nostalgia, ma ora che il lavoro è concluso, con del nastro isolante messo attorno al tubo, è tornata più spietata di prima. Per distrarsi, prende in mano il telecomando e accende la televisione, chiudendo un attimo gli occhi nel momento in cui un raggio di sole lo colpì direttamente in volto. Era caldo, come la stanza, seppur raffreddata dal condizionatore per mantenerla su una temperatura accettabile, quanto basta per asciugarlo. Appoggia il capo sul cuscino, saltando stranamente il canale dedicato ai duelli per soffermarsi su quello delle notizie, ovviamente il preferito di Akari.
 
«Ultime notizie, stasera si potrà ammirare la pioggia di stelle cadenti…»
 
Il nome di Aruna Okamoto non gli era del tutto nuovo, presentato dai kanji aggiunti in sovrimpressione, così come il tono calmo, sfumato da una certa eccitazione che lui ben conosce, nel narrare di un evento, al quale tutti sono ormai abituati, e di come esso sia visibile chiaramente, nonostante il velo di luce occultante il cielo notturno. Storse involontariamente il naso nel sentire il discorso, stanco di eventi più di una semplice coincidenza. E’ un messaggio di Astral? Ma allora perché non lo raggiunge? La porta di casa, per lui in particolare, è sempre aperta.
 
Inoltre, come può essere una pioggia di stelle cadenti un’ultima notizia? Non c’è tutta una preparazione prima?
 
Il cervello di Yuma, stranamente, lavorava, elaborando molteplici scenari, assurdi per chi non ha visto ciò che ha visto lui. A interrompere il flusso di pensieri è uno squillo, proveniente dal Duel Gazer appoggiato sul tavolino. Allunga una mano per prenderlo, leggendo subito il nome di Kotori. Giusto, è tornata.
 
«Yuma!» allontanò subito il simil-telefono dall’orecchio. Nell’arco di un’ora avevano detto il suo nome diverse volte «Hai sentito la notizia?!»
 
«Ciao Tori» la saluta, sorvolando sulla strana fretta della ragazza. Di solito, era lui quello che passava direttamente al fulcro del discorso, a scapito delle buone maniere, come un semplice saluto prima di iniziarlo, continuamente rimarcate nella speranza di insegnargli qualcosa. Era solo impaziente di sentire la sua voce, magari anche di vederlo di persona.
 
Poté udire chiaramente il rumore di una manata tirata sulla fronte «Giusto, perdonami. Ciao anche a te» si corregge con evidente imbarazzo, tossicchiando appena prima di continuare «Stasera ci sarà la pioggia di stelle cadenti e volevo chiederti se…»
 
«Si» non la lasciò finire, intuendo subito la richiesta. E’ impaziente di uscire di casa, stanco di avere come sola compagnia una presenza non del tutto frequente. Non gliene faceva una colpa a Girag, neanche era arrabbiato, ma ogni tanto voleva una distrazione che andasse oltre il paio d’ore, di cui una spesa duellando, dimenticando così il tetro silenzio dell’ultimo periodo.
 
Kotori sembrò un attimo sorpresa della sua perspicacia, chiudendo poi la chiamata dopo un’ultima chiacchierata, raccontandogli la sua vacanza all’estero e curiosa di sapere le ultime novità di Heartland City, oltre a tutto ciò che lo riguarda direttamente. Passò un lungo quarto d’ora, facendo il possibile per nasconderle la tristezza dovuta alla mancanza di Astral. E’ senza dubbio pessimo nel mentire, ma in cuor suo sperò di aver fatto un ottimo lavoro e rimandato l’inevitabile. L’ultima cosa che vorrebbe fare è rovinarle gli ultimi giorni di tranquillità.
 
«Ci vediamo dopo, ho anche preso qualcosina per te!» trillò infine come saluto.
 
 
Verso sera, vestito di tutto punto, iniziò ad avviarsi al luogo d’incontro, guidato dai messaggi che gli suggeriscono anche di portare qualche snack. Si sentiva un po’ un idiota a girare con tutte quelle buste contenenti del mangiare, gentilmente fornite da una Haru timorosa che potesse morire di fame, così ingombranti da rendere goffo il saluto, con un rapido cenno della mano, alla coetanea sua vicina di casa, non negando di sentire un certo languorino man mano che cammina. Raggiunge il Santuario dei Duelli una ventina di minuti dopo, la metà spesa in metropolitana.
 
«Siamo qui, Yuma!» si sbraccia Kotori dalla cima delle scale, accanto a lei c’è Girag con un telescopio portatile, tenuto a mo’ di mazza da baseball. Non appena salì l’ultimo gradino, venne accolto da un abbraccio da parte della ragazza e delle pacche sulla spalla dal combattente, che gli sottrae il peso delle borse.
 
«Però, hai portato da mangiare per un intero esercito!» commenta, sollevandole come se fossero riempite da piume e non diverse pietanze.
 
«Colpa di mia nonna» si gratta il capo, giustificando il gesto ritenuto esagerato da Kotori. Girag invece sembrò contento, indicando poi un tappetino da spiaggia, adagiato poco distante, con la punta del cannocchiale «Quello è il nostro posto»
 
Annuisce, lo sguardo fisso sull’oggetto tra le grandi mani del ragazzone «Dove l’hai preso?» domanda, in risposta Girag indicò col pollice un punto dietro di sé. Situato sul tronco di un albero caduto, stava un invasato dai capelli azzurrini e gli occhiali tondi, intento a sbracciarsi con lo scopo di attirare l’attenzione, per sua sfortuna parecchio stizzita.
 
«State per osservare la settima pioggia di stelle cadenti nell’arco di tre mesi. Uno spettacolo molto bello, ma che si dovrebbe vedere più raramente di così»
 
Fece una pausa d’effetto, ignorando le occhiate torve di gran parte dei presenti. Yuma, d’altro canto, alza un sopracciglio, perplesso dall’astio e sinceramente interessato «E la colpa è degli alieni!»
 
«Toshiyuki, stai zitto!» esclamò uno dei suoi compagni di classe, tirandogli una lattina vuota di Coca Cola dritta in faccia. Si sbilanciò nel tentativo di schivarla, finendo a terra con un “ouch” sibilato a denti stretti. Per quanto disapprovi l’uso leggero di una certa parola del discorso, solitamente usata per descrivere il fuori dall’ordinario, non poté fare a meno di lanciare loro un’occhiataccia, empatizzando con lo studente più grande. Lo guarda gattonare verso il suo angolo di mondo, il volto ferito, non solo per l’alone rosso sulla fronte, laddove ha incassato il colpo, coperto in parte dalle ciocche azzurrine.
 
«Dovrebbero essere più gentili con lui» borbottò Girag, finendo di ruminare la palla di riso. La trovava solo un’innocua passione, un po’ ironica considerando che, in realtà, non stava effettivamente dicendo cose campate per aria, ma con uno sfondo di verità. E lui lo sapeva bene, anche troppo.
 
Inoltre, era l’ultimo che poteva commentare. Oltre alla facciata di lottatore, circondato da una schiera di amici solita atteggiarsi da duri, si nascondeva un’amante delle idol.
 
Anche Yuma era rimasto a fissare lo studente più grande per un po’, tentato dall’avvicinarsi per scambiare quattro chiacchiere e, magari, fissare un duello nei giorni a seguire. Fece per alzarsi, ma Kotori gli afferrò la maglia costringendolo a rimanere seduto, accanto a lei. Le rivolse un’occhiata interrogativa, un po’ stizzita dal come l’aveva trattenuto, ricevendo come risposta un dito puntato verso il cielo.
 
«Giusto, le stelle cadenti» se le era quasi dimenticate. Una scia luminosa comparve, tracciando un arco sulle loro teste per scomparire dietro il profilo dei grattacieli. Ne seguì poco dopo un’altra, riempiendo il cielo di stelle cadenti. Un paio di settimane prima sarebbe stata la normalità, ma ora si trovavano alle porte di Settembre e il ripetersi dell’evento era diventato alquanto strano. Aveva uno strano presentimento, impossibile da esporre senza rovinare la tranquillità tanto agognata dalla sua cerchia di amici. Mentirebbe con sé stesso se la pensasse diversamente, felice di girare e non trovare l’ennesimo malintenzionato, che lo sfida a duello per le carte Numero, sulla strada.
 
 
Si concesse uno sbadiglio quando finalmente giunse nella via di casa, il profilo di essa annebbiato dalla stanchezza. Non si preoccupò neanche di coprirlo con la mano, nonostante fosse completamente libera dall’ingombrante presenza dei sacchetti contenenti gli ormai finiti stuzzichini preparati per la serata.
 
«Yuma!»
 
Una voce, non del tutto conosciuta, lo bloccò nell’atto di cercare le chiavi per aprire il cancello. Seduta su una panchina c’era una ragazza dai capelli chiari, tagliati corti poco sotto le orecchie. In mano reggeva un pacco di piccole dimensioni.
 
«Dalia?» domandò incerto, felice di essersi almeno ricordato il nome della sua nuova, momentanea, vicina. Sapeva infatti che non era una presenza fissa e che presto sarebbe dovuta tornare nel suo paese d’origine.
 
«Vedo progressi, molto bene. Qualche settimana prima non ti ricordavi neanche come mi chiamo» commenta sarcastica, allungandogli poi il motivo del loro incontro «Il robot postino ha di nuovo sbagliato a consegnare la posta, questo è per tua sorella»
 
Lo afferrò senza troppe cerimonie, rigirandolo per avere l’adesivo rivolto nella sua direzione. Effettivamente c’era l’indirizzo di casa Tsukumo, Dalia non aveva mentito. Dovrebbe essere meno diffidente, specialmente con una ragazza che manco esiste nella sua vita per una buona parte d’anno, ma le esperienze passate non si dimenticano facilmente.
 
«Grazie, Dalia. Ci vediamo…»
 
«L’anno prossimo, sempre se non ti va un viaggio in Inghilterra» concluse per lui, salutandolo con un cenno della mano prima di allontanarsi. Rincasò anche lui poco dopo, il tempo di trovare le chiavi giuste, lasciando il pacco sul tavolo prima di raggiungere camera sua, dove si gettò vestito sul letto, addormentandosi non appena appoggiò la testa sul cuscino.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


The beginning of a New Era
Capitolo 1
«Che brutta faccia, Yuma» l’ironia accarezza le parole volte a deriderlo, rimarcata dal piccolo ghigno sul volto di Vector «Sei inciampato da qualche parte o volevi fare il cosplay di un panda?»
 
Non ricevendo risposta iniziò a solleticargli ogni punto vulnerabile, come ripicca per essere stato ignorato e desideroso di una reazione che lo facesse divertire un po’. La ottenne, ma si rivelò diversa da ciò che desiderava.
 
«Basta.» protestò, afferrandogli il polso con una presa sorprendentemente salda. Nonostante avesse mirato a infastidirlo, la richiesta risultò più una supplica che un ordine, lasciando trapelare anche la stanchezza che poco gli s’addiceva. Alzò un sopracciglio, come per invitarlo a parlare, ad aprirsi, malgrado non fosse la persona ideale per farlo.
 
«Scusami, ho dormito poco stanotte.» ammette, concludendo la frase con uno sbadiglio per rimarcare il ciò. Vector annuì piano, ponderando un attimo la risposta e se tormentarlo un po’ o meno. Per quanto l’idea lo stuzzicasse, decise di lasciare perdere, notando il pessimo umore dell’amico, limitandosi a un superficiale «Akari ti ha fatto studiare fino a tardi?»
 
«No, incubi» rivelò, appoggiando il capo sul pugno chiuso mentre con l’altra mano mescola il ghiaccio nel succo all’ananas, uno dei tanti semplici drink presenti sul ricco menù del BARian, famoso per farne di più complessi e stravaganti, ma lo stesso buoni. Socchiuse gli occhi cercando di ricordare, di afferrare le ormai volatili immagini per mostrarle a Vector, come le farfalle che, da piccolo, racchiudeva delicatamente tra le mani, esibendole come un trofeo ai suoi genitori. C’era un mare reso cremisi dai raggi di un Sole tagliato a metà dalla linea d’orizzonte, l’oscurità della notte che discende per estinguere l’ultimo barlume di luce. E poi, e poi… «Non ricordo, so solo che c’era un mare»
 
«Magari ti mancava di andare al mare e l’hai sognato» l’ormai decaduto principe scrollò le spalle, sminuendo l’affatto divertente Estate di Yuma. L’aveva passata sui libri, lo sapevano tutti e ci aveva pure ironizzato sopra, vantandosi della sua abilità di organizzarsi nonostante una parte dell’anno l’avesse passata a cercare di elaborare piani per sterminare una popolazione intera. Era un regalo della sua vita passata, del ruolo che ricopriva che pretendeva una buona dose di responsabilità per non mandare il regno in malora. Ma, nonostante gli sforzi, così era andata, ritenendosi lo stesso innocente e puntando il dito contro chi aveva interferito con la sua vita.
 
«Forse, non ho combinato niente di bello» brontolò con un sorriso che un po’ ricordava il vecchio Yuma, quello impaziente di duellare e che l’aveva accolto nel gruppo di amici la prima volta, ignaro delle sue vere intenzioni. Afferrò una manciata di patatine dalla ciotola, sgranocchiandole mentre seguiva le figure di Tori e Arito con lo sguardo ametista.
 
La prima reggeva un cono gelato al pistacchio, il secondo un bicchiere di Coca Cola, che rischiò di versare sui fogli di carta, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Yuma.
 
«Non potevi fare i compiti in digitale?» commentò il pugile, fissando perplesso l’altro e l’aria scocciata con la quale infilava il quaderno, stropicciandone le pagine, dentro lo zainetto rosso. In risposta, riceve un cenno del capo in senso di diniego «L’ultima volta ho accidentalmente mandato i compiti non finiti al professore» rivelò, ricordando il brutto volto, il rimprovero di Akari per la sua solita sbadataggine, e il senso d’imbarazzo non appena se lo ritrovò nella posta elettronica. Carta e penna sono più sicuri, salvo il rischio di macchiarli con cibi e bevande, sempre presenti in momenti del genere per tenersi carico. Inoltre, aveva pure il presentimento di non essere tanto simpatico al professore e, per questo, non poteva permettersi ulteriori errori.
 
«Ho voglia di duellare» sentenziò poi, non prima di aver svuotato il bicchiere di succo. Nel sentirlo dire ciò, il volto di Tori si illuminò di un grande sorriso, rassicurata dal rivedere quello che sembra essere il vecchio Yuma, un vulcano d’energia sempre pronto a duellare. Egocentricamente, sente che la sua ritrovata felicità è merito loro e dell’essere semplicemente presenti. Lo sguardò ambrato balzò su Arito, non appena quest’ultimo venne colto da un colpo di tosse, che si rivelò un modo per attirare l’attenzione.
 
«Puoi farlo con me» sogghignò, additandosi tronfio col pollice. Senza perdere un secondo, entrambi si alzarono di scatto dalla sedia, munita ovviamente di cuscinetto, facendo traballare il tavolo e i bicchieri posti sopra. Uno di questi, l’unico ancora pieno, appartenente a Tori, rischiò pure di rovesciarsi, ma venne prontamente afferrato da Vector, salvando la borsetta appoggiata accanto a esso.
 
«Fate più attenzione!» gridò loro dietro, la quasi vittima al petto per proteggerla da altri, eventuali, attacchi. La nonchalance di Yuma, che le rivolse le spalle, la tentarono di trasformarla in un’arma tirandogliela in testa.
 
«Pronto, Yuma?»
 
«Al cento per cento, e tu?» rispose, ignorando ancora una volta gli istinti omicidi di Tori alle sue spalle.
 
«Ovviamente!»
 
«Bene, duelliamo!» gridano i due sfidanti all’unisono, sistemandosi il Duel Gazer sull’occhio sinistro. Lo sguardo smeraldino dell’ex gladiatore rimase fisso per qualche secondo sulla figura di Yuma, intento a litigare con le carte in mano con la tipica goffaggine di chi riprende un’attività dopo tanto tempo.
 
«Lascio a te la prima mossa!» annuncia Arito, ammiccando in direzione di Tori.
 
«Sta combattendo una battaglia persa» commenta Vector, afferrando la ciotola di patatine, portatagli dal barista, per godersi meglio lo spettacolo, le gambe incrociate sulla seduta.
 
«Evoco Mago Gagaga!» Yuma appoggia sullo schermo del Duel Disk la carta, avendola scelta fin da subito, non appena gli occhi cremisi l’hanno vista nel mazzo assieme alla compagna, in modo meccanico.
 
Livello 4
ATK: 1500
DEF: 1000
 
«E dalla mia mano utilizzo la carta magia Gagagavento, che mi permette di evocare un mostro Gagaga dalla mia mano ed aumentarne il livello…» si concede una pausa per sorridere, passando un dito sulla figura stampata della fanciulla col cappello a punta e lo scettro «Scelgo Ragazza Gagaga
 
Livello 4
ATK: 1000
DEF: 800
 
Impiegò qualche secondo per rendersi conto della mossa appena fatta, l’espressione divenuta nostalgia al pensiero di aver inconsciamente ripercorso, punto per punto, il suo marchio di fabbrica. «Prima Mago Gagagaga, poi Ragazza Gagaga, modifico il livello ed evoco Utopia» pensa, i passaggi vividi nella sua memoria quanto l’ansia provata durante quei terribili duelli, che ne richiedevano la presenza in campo, ormai parte del passato.
 
«Con questi due mostri costruisco una rete di sovrapposizione, Evocazione XYZ! Mostrati Cowboy Gagaga!» le figure dei due maghi si dissolvono in una scia colorata, percorrendo il terreno della piazzetta prima di incontrarsi al centro di un portale rossastro, tipico delle evocazioni XYZ, per dare vita a una nuova.
 
Livello 4
ATK: 1500
DEF: 2400
 
«Posiziono due carte coperte e finisco qui il mio turno, vai Arito tocca a te!»
 
«Ora vedrai cos’ho imparato durante l’Estate! Pesco!» quest’ultimo sorride, l’impazienza udibile nel tono di voce trepidante. Osservò le carte in mano, elaborando scenari con una rapidità e un impegno mai utilizzato in altro, se non per un allenamento di pugilato. Una prontezza ottenuta grazie ai numerosi duelli fatti durante la pausa estiva, nel tempo libero. Nonostante ciò, è ancora restio a cantare vittoria, considerando chi ha davanti, seppur penalizzato da doveri inderogabili e l’inflessibilità di sua sorella maggiore.
 
Con la coda dell’occhio, sperando di non pentirsi, in seguito, di questo attimo di disattenzione, catturò il movimento di due figure, un ragazzo e una ragazza, soffermatesi un attimo per guardarli dal lato opposto della piazzetta. Si diede mentalmente una manata sulla fronte, a mo’ di rimprovero, prima di selezionare una carta dal mazzo e annunciare «Evoco Pugile Indomito Mascelladivetro»
 
Livello 4
ATK: 2000
DEF: 0
 
«E poi, evoco Pugile Indomito Allenatore»
 
Livello 4
ATK: 1200
DEF: 1400
 
«Due Evocazioni XYZ, vedo che schierano subito le armi pesanti» commenta Tori, ricevendo in risposta un’occhiata annoiata da parte di Vector, intento a sgranocchiare delle patatine. L’altra mano occupata dal telefono. Per un attimo si chiese se, nel rivedere Yuma duellare per la prima volta dopo tanto, contro un avversario storico, per giunta, non provasse anche lui un moto di nostalgia, ma le bastò un rapido sguardo per capire che, qualsiasi cosa stesse provando, non l’avrebbe mai data a vedere.
 
«…mostrati Pugile Indomito Giogo di Piombo!» concluse di recitare, nel frattempo, Arito, nel momento in cui iniziò a materializzarsi un gigante di metallo, il giogo, dal quale pendono delle catene, che gli gravava sulle spalle, al posto dei due pugili.
 
«Attivo il suo potere speciale! Scartando un’unità sovrapposta, mi permette di aumentare l’attacco di 800…»
 
Livello 4
ATK: 3000
DEF: 2000
 
«…e con l’effetto della carta magia K.O. Bruciante posso farti assaggiare un bel destro! Vai, metti al tappeto Cowboy Gagaga
 
«Spiacente…» Yuma sorride afferrando una carta, per posizionarla sul Duel Disk «…ma il round non è ancora finito! Utilizzo la carta trappola Bollascudo, che mi permette di impedire la distruzione di Cowboy Gagaga, negando l’effetto di K.O. Bruciante…»
 
Appena ha terminato di parlare la carta di Arito si distrugge, lasciando al proprietario la magra consolazione di vedere i Life Points venire smezzati da metà del danno promesso, pari all’attacco di Cowboy Gagaga, protetti dalle bolle che avvolsero il mostro come uno scudo. Non è affatto infastidito dalla cosa – lo sarebbe stato se il colpo fosse andato pienamente a segno, subendo danno come un principiante qualsiasi e non il rinomato campione del World Duel Carnival - anzi, il fatto che avesse adottato i suoi stessi termini, rendendolo un vero e proprio scontro sul ring, lo divertiva ancora di più.
 
«…e dimezza il danno subito!»
 
Yuma: 4000 LP → 3250 LP
 
«Nonostante tutto, ti vedo ancora in forma» commenta, sollevato nel vederlo tenergli testa nonostante la ruggine. Sogghignando, posizionò due carte coperte prima di terminare il turno.
 
«Molto bene, pesco!» Yuma lancia una rapida occhiata alla carta trovata, non trovando alcuna utilità la scarta, mettendola verso la fine del mazzo.
 
«Utilizzo l’effetto speciale di Cowboy Gagaga, che mi permette di aumentare il suo attacco di 1000 e diminuire quello di Giogo di Piombo…» dice.
 
Cowboy Gagaga → ATK 2500
Pugile Indomito Giogo di Piombo → ATK 2500
 
«…per poi passare all’attacco!»
 
«Lo sai che i nostri mostri si distruggeranno a vicenda e tu hai appena sprecato la possibilità di salvarlo?» lo contraddice Arito, affatto stupito dall’azione avventata di Yuma. Ci scommette il buono in palestra che ha un asso nella manica, quanto detto ha proprio lo scopo di svelarlo.
 
Come risposta, lo vede posizionare un’altra carta sul pad «Attivo Attacco Impenetrabile, che mi permette di salvare Cowboy Gagaga dalla distruzione e proteggere i miei Life Points dal danno!»
 
«Touché» gongolò con fare saccente, malgrado vide i, fino ad ora intoccati, Life Points venire scalfiti, per aver fatto centro.
 
Arito: 4000 LP → 1500
 
«E con ciò, termino il mio turno!» non appena Yuma termina di parlare, si scambiano uno sguardo carico di sfida. Nel frattempo, i punti d’attacco di Cowboy Gagaga tornano a essere 1500, mentre quelli di Pugile Indomito Giogo di Piombo 3000.
 
«Tocca a me! E sai che ti dico?! Che passo a un attacco diretto!»
 
«Attivo la carta trappola Cancello Dimensionale…» obbietta Yuma innescando la carta trappola, precedentemente posizionata sul terreno «…bandisco nel cimitero Golem Gogogo e annullo il tuo attacco diretto!»
 
«Spiacente, ma attivo Contrasto a Spirale: distruggo Cancello Dimensionale e t’infliggo 500 danni!»
 
Yuma: 3250 LP → 2750
 
«Attivo Lampo Rivestito: sacrificando un’unità sovrapposta di Pugile Indomito Giogo di Piombo, posso negare gli effetti di Cowboy Gagaga!» Arito utilizza l’ultima carta magia rimastagli sul campo, negando ogni via di fuga a Yuma. Il cuore palpita dall’emozione, benché facesse il possibile per rimanere composto, sentendosi un po’ in colpa per averlo battuto in un periodo fiacco della sua vita, mentre grida «Non puoi scappare, Yuma!»
 
«A quanto pare» dice quest’ultimo, felicemente rassegnato. I Life Points precipitarono rapidamente verso lo zero, mettendo a tacere un inevitabile barlume di paura pur di non rovinare il momento. «E’ solo un duello amichevole» ripeté piano, ricordando i lividi e le scorticature causate da ogni colpo subito, talmente forte da spingerlo bruscamente a terra.
 
Yuma: 0 LP
Arito: Win
 
Annuncia la proiezione, fissata da un incredulo Arito e accolta dagli applausi educati di Kotori e Vector. Una parte di lui vorrebbe festeggiare - è finalmente riuscito a battere Yuma dopo tanto, un sogno nel cassetto conservato con cura e coltivato da ogni tipo di addestramento - ma preferì limitarsi a stringere la mano all’attuale campione del World Duel Carnival, prima di mollargli un’amichevole pacca sulla spalla.
 
«Non ero poi così allenato, ho dovuto passare un intero mese a recuperare il programma perso. Peccato, ti avrei dato più filo da torcere» borbottò, sfilandosi il Duel Gazer. Doveva ringraziare Girag se il duello non è finito 4000 a 0, permettendogli di fronteggiare la strategia del pugile e spiluccargli un bel po’ di Life Points.
 
«Beh, accetto ovviamente una rivincita!»
 
 
Mizael sbuffa, affossando nella scomoda sedia dell’aeroporto mentre, con non poca irritazione, blocca per l’ennesima volta Vector e il suo tentativo di importunarlo. Mentalmente, si segna di tenere il telefono con sé il più possibile, così da impedire che quest’ultimo lo rubi per smaneggiarci un po’ e recuperare, già che c’è, la chat giustamente negatagli. Lancia un’occhiata, vagamente annoiata, al tabellone degli arrivi posto sul muro, proprio davanti alla sua seduta. Il sole, quasi allo zenit, illumina il salone d’attesa coi suoi raggi caldi, filtrati dalle grandi vetrate.
 
Dopo aver superato, con eccellenti voti, gli esami finali per passare alla scuola media superiore, è stato selezionato per partecipare allo scambio culturale tra Giappone e Stati Uniti. Un’idea del coordinatore della sua classe, alla quale ha preso parte per genuina curiosità – cosa che non ammetterebbe mai – e la presenza di Durbe tra i fortunati. Se non ci fosse stato, avrebbe gentilmente rifiutato l’invito cestinando il file senza manco aprirlo. Quell’esperienza, malgrado avesse trovato i nuovi compagni più irritanti di Vector e Arito messi assieme, gli ha permesso di aprirsi un po’, accettando Yvonne Henry, una ragazza proveniente dalla Francia, nella sua ristretta cerchia d’amicizie, già allargatasi non appena ebbe l’occasione di conoscere i suoi compagni di stanza meglio.
 
Ed ora eccolo qui, ad aspettarla all’aeroporto di Heartland City, pronto ad accompagnarla in giro per la città, divertendosi assieme un’ultima volta prima dell’inizio dell’anno scolastico. L’ora di cena è ormai vicina, scorrendo distrattamente col dito sullo schermo, cerca un ristorante, non troppo costoso, per darle un degno benvenuto, alternando lo sguardo dai suggerimenti al tabellone rimasto fermo sugli stessi voli per qualche minuto, non segnando quello che dovrebbe portare la francese in terra nipponica.
 
«Ci saranno stati ritardi?» ipotizza, abituato a un mondo dove i mezzi arrivano spaccando il secondo. Il volo stesso di Yvonne appartiene a una compagnia giapponese, rendendo il tutto ancora più sospetto: chi mai incappa in un imprevisto e non lo annuncia ai passeggeri in attesa o, ancora meglio, alla torre di controllo? Sembra quasi che il volo non esiste proprio, che l’avranno cancellato?
 
«No, me l’avrebbe comunicato» ribatte, iniziando a temere che fosse successo qualcosa di grave: la storia del trasporto, coi mezzi di terra, cielo e mare, è costellata da incidenti di tutti i tipi, ma anche in questo caso l’avrebbero dovuto annunciare. Iniziò a comporre il numero di Yvonne, sperando che non avesse messo il telefono in modalità aereo, quando una voce femminile si propagò, dagli altoparlanti, per tutto l’ambiente, confermando l’ultima cosa che vorrebbe udire e che ha cercato di scartare, malgrado il lato più pessimista di sé continuasse a presentargli l’orribile scenario di una disgrazia accaduta proprio a quel volo.
 
«Siamo dolorati nell’informarvi che il volo Parigi – Tokyo è scomparso nella tratta dell’Oceano Atlantico…» anche se il tono della donna era palesemente dispiaciuto, non poté fare a meno di provare un moto di rabbia nei suoi confronti – per questo, strano, silenzio – che accompagna lo sgomento visibile negli occhi sbarrati. Cercò di recuperare fiato, sforzandosi di superare lo shock per analizzare la situazione «-la marina per recuperare la scatola nera»
 
C’è almeno un’ora di vuoto tra l’accaduto e la notizia, segnando un altro punto al mistero che non poteva essere più ignorato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


The beginning of a New Era
Capitolo 2
Il venticello caldo gli accarezza i capelli, legati in una coda alta, nonostante il Sole sta iniziando a scomparire dietro l’orizzonte, deformato dalla presenza di palazzi di ogni dimensione, disegnando sulla strada le slanciate ombre degli alberi. Attorno a lui la gente passeggia, ignara del suo stato d’animo e dell’incidente appena successo, troppo recente per essere già sulla bocca di tutti. Si ferma davanti alla rampa di scale che portano alla stazione metropolitana, tormentando la zip della borsa contenente il biglietto mensile e i soldi per una cena che mai si farà. Al momento, l’unica cosa che vorrebbe fare è tornare a casa e rinchiudersi in stanza per metabolizzare l’accaduto, mal sopportando l’uggia di dover prendere il treno fino alla sua fermata.
 
Rassegnato all’idea di essere schiacciato tra perfetti sconosciuti, iniziò a percorrerle con lo sguardo fisso sui gradini, fino a quando una voce non lo fermò a metà. Voltò appena il capo, incrociando gli occhi azzurri della sua vecchia nemesi, ora divenuta una semplice conoscenza. Si fissarono in silenzio, prima che Mizael distolse lo sguardo, scrutando il cartellone pubblicitario dietro di lui per fingere l’aria di superiorità, in contrasto con la sensazione di vergogna provata al momento, che solitamente lo caratterizza. Le scene sulla Luna si ripetono come una pellicola, inceppata sui punti più dolorosi da guardare, facendogli optare il silenzio. È troppo orgoglioso per mostrarsi così debole, scosso dalla spiacevole notizia e il ritrovarsi davanti una vittima della sua crudeltà bariana senza preavviso.
 
Non poté fare a meno di maledire Durbe e il suo consiglio di iniziare a stringere qualche nuova amicizia, rendendolo una persona diversa dal sé di pochi mesi prima, limitato in un mondo di arroganza, rivolta verso ogni singola forma di vita, che risparmia solo pochi individui.
 
«’Sera» lo salutò, non dimostrando alcun astio, ma la consueta indifferenza alla quale tutti - chi più, chi meno - si sono abituati. Fece l’errore di scrutare il suo interlocutore una seconda volta, temendo di rilevare l’angoscia provata attraverso gli occhi. Da quando ha sentito quel proverbio terreste, detto proprio da Durbe, che li dipingeva come lo specchio dell’anima, l’idea di intrattenere una chiacchierata non lo entusiasma affatto, riluttante al raccontare di sé.
 
Ricambia con un cenno, accorciando la distanza di qualche passo. Mantenne un po’ di distanza, per non sentire il suo spazio personale violato, in attesa di sentirlo parlare. Il massimo che può offrire in un dialogo sono delle risposte quando viene interpellato, non prenderà mai l’iniziativa e, semmai succede, è perché deve comunicare qualcosa di importante. Non parlerà solo per dare aria alla bocca.
 
«Vuoi un passaggio?» la domanda lo spiazzò, trovandola inaspettata e alquanto strana. Kaito è un lupo solitario, uno che preferirebbe starsene sulle sue, poco incline alla compagnia. Men che meno la sua, eppure non ci ha pensato neanche un secondo, prima di fargli quella stramba proposta.
 
«Quindi?» insiste, facendo trapelare una certa impazienza, tipica di chi sta per dire qualcosa importante, ma non è il luogo adatto per farlo. Questa sensazione, lo spinse ad accettare, in parte allietato all’idea di fare un viaggio più comodo per tornare a casa.
 
Lo seguì al parcheggio, non troppo lontano dall’aeroporto per permettere ai viaggiatori di scaricare le valigie in tutta comodità, senza la fretta di dover percorrere un ulteriore tratto di strada prima del check-in. Fissò il casco lucido per qualche istante, ancora stupito dal come ha accettato l’aiuto di qualcuno, di un ex nemico per giunta, prima di notare il riflesso di Kaito che lo esorta a indossarlo.
 
Forse, l’umanità l’ha reso più modesto. Facendo attenzione a non spettinarsi, se lo calò sul capo per prendere posto dietro di lui, ringraziando il cielo che i nuovi modelli non lo costringono ad avere ulteriori contatti col conducente. La vicinanza è più che abbastanza.
 
«Parla, che vorresti dirmi?» domandò inquisitorio, il tono di voce, freddo se rivolto a persone con le quali non è in confidenza, di nuovo sotto il suo controllo.
 
«Non è una coincidenza»
 
«Che?!» Mizael finse un colpo di tosse, la sorpresa sfumata subito in realizzazione: Kaito è sempre un passo avanti a loro, grazie alla disgustosa quantità di tecnologia che possiede. Gli basta niente per trovare informazioni sull’incidente aereo e cosa c’è dietro, seppur un grammo di verità.
 
«Stiamo raccogliendo informazioni tra una cosa e l’altra» continuò, sicuro che riuscirà a stargli dietro. Mizael non è stupido, farà tesoro di questa breve, importante, chiacchierata.
 
«E sentiamo…» rimarcò quest’ultimo «…cosa vi tiene occupati dall’approfondire una ricerca su una possibile minaccia»
 
«Non siamo macchine. Si tratta comunque di una cosa inerente ai duelli, il resto lo scoprirete in seguito» e prima che possa dire qualcosa, la motocicletta si ferma. Ci impiegò un po’ a notare che si trovavano davanti al cancello del dormitorio, e di certo non ha modo per trattenere Kaito, mirando a fargli svuotare il sacco.
 
«Vi faremo sapere appena abbiamo delle certezze» lo congedò, partendo non appena mise entrambi i piedi sul marciapiede e il casco al suo posto.
 
 
Yuma si svegliò di soprassalto, per realizzare di essere steso sul pavimento e non nell’amaca. Da quando aveva superato il sentimento di nostalgia, che l’aveva tormentato per un bel po’, era tornato a dormire nella soffitta come ai vecchi tempi, solo che non c’è più Astral a dargli il buongiorno, ma il volto furente di sua sorella Akari. Istintivamente, prese il cuscino, finito anch’esso a terra, per usarlo come scudo.
 
«Ben svegliato, Yuma! Lo sai che è iniziato il tuo primo giorno di scuola e sei ad un passo così…» alzò una mano, appoggiando intanto una scatola di medie dimensioni sulla cassettiera, per indicare il poco tempo disponibile col pollice e l’indice che, quasi, si sfiorano «…dall’arrivare in ritardo. Se ci tieni a duellare quando torni a casa, voglio vederti pronto entro cinque minuti»
 
Detto quanto deve dire, e scoccandogli nel mentre un’occhiata che lo fece balzare in piedi, chiuse la porta. Nel prepararsi, correndo da una stanza all’altra con lo spazzolino in bocca, non poté fare a meno di soffermarsi sulla nuova uniforme scolastica. Simile alla sua solita, ma col bordo smeraldino, segno che era riuscito a passare l’anno. Con un sorriso gongolante, al ricordo dell’espressione stupita della sorella quando il professor Kitano rivelò di averlo graziato, si sfila la maglia del pigiama per indossare gli abiti per la giornata.
 
Raggiunta la cucina, appena in tempo, trova Akari intenta a bere un caffè sull’entrata, la quale gli tende il deck non appena le si avvicinò. È stato il suo metodo di ricatto fino a ora, per incentivarlo a studiare. A compiti conclusi non ha più motivo di farlo.
 
«Grazie» esclamò, felice di averlo, di nuovo, al sicuro con sé.
 
Il tavolo è imbandito con un cestino di pane e diversi vasetti di marmellata: una colazione all’occidentale, ordinaria amministrazione in casa Tsukumo. I suoi genitori sono soliti viaggiare in giro per il mondo, e anche lui ha avuto l’occasione di visitare l’estero. Sarebbe stato piacevole, se non avesse avuto i bariani alle calcagna.
 
«Mamma e papà sono al lavoro, torneranno qualche ora dopo il tuo ritorno a casa» stava snocciolando la sorella, lo sguardo fisso sul telefono mentre apre pagine dopo pagine. Annuì, non senza smettere di spalmare la confettura sul pane.
 
«A proposito, il primo giorno finisce a mez- Yuma, non ingozzarti di cibo!» l’occhiataccia di Akari lo costringe a sfilare la fetta di pane, intera, dalla bocca «E sarà così per questa settimana, dalla prossima tornerà l’orario classico»
 
«Benissimo, grazie per la colazione!» le saluta Yuma, divorando l’ultima fetta di pane e marmellata, prima di uscire di corsa da casa.
 
Akari si passa una mano sul volto, sconsolata «Non cambierà mai»
 
A pochi metri, Yuma si accorse che non è necessario correre: ha tutto il tempo che vuole, e la probabilità di venir attaccato da qualche figura losca è praticamente nulla. Ogni tanto si lascia scappare uno sbadiglio, certo di destarsi completamente grazie alla camminata mattutina. Uno dei motivi per cui non viene mai accompagnato, considerando l’ultima volta dove si è addormentato in auto e sua sorella ha dovuto passare una buona manciata di minuti a svegliarlo.
 
Svoltò l’angolo, venendo accostato da Arito e Tetsuo, indaffarati in una gara sullo skateboard.
 
«Uno Yuma mattiniero, che cosa rara!» commentò il ragazzone, rallentando appena come per studiarlo. Anche l’ex gladiatore si accostò, ritrovandoseli entrambi ai lati.
 
«E già, già» gli fece l’eco. Yuma arrossì appena, sentendosi una cavia da laboratorio circondata da un gruppo di scienziati. Per sua fortuna, uno dei due schettinò poco più avanti.
 
«Chi arriva per ultimo compra la merenda!»
 
«Ma non è un po’ scorretto?» obbiettò Arito, rimasto affianco al campione dei duelli. Vincere non gli dispiace, ma lo trova un po’ ingiusto quando loro possiedono uno skateboard e Yuma solo le sue gambe.
 
«Naaah, quello se vuole corre come un ghepardo» Tetsuo agitò una mano con noncuranza. Convinto dalle sue parole, Arito prese velocità. Saltarono entrambi la rampa di scale, passando dalla discesa nel mezzo, con Yuma che cerca di tenere il passo poco più indietro, fino a quando non inciampò rotolando giù dagli ultimi gradini.
 
«Owh» piagnucolò, dandosi mentalmente dello stupido. Avrebbe dovuto declinare la sfida, così non si sarebbe trovato col dover pagare per tre e il fondoschiena dolorante. Lo sgommare di una moto lo distrae dal momento di autocommiserazione, riaprì gli occhi per vedere il volto di Rio che copre il sole.
 
«Oh, ma guarda chi abbiamo!» esclamò la ragazza, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi «Il grande Yuma Tsukumo, in tempo per giunta!»
 
Yuma alza gli occhi al cielo, borbottando «Il fatto che sono in tempo è così strano?»
 
«Abbastanza, non sei mai in tempo» si aggiunse Ryouga, rigirando le chiavi della moto, parcheggiata poco più in là, su un dito. Recuperato pure il casco della sorella, si congedò.
 
«A dopo Ryouga!» gli grida dietro, ricevendo un cenno della mano come saluto. Dopo essersi sistemata la gonna blu, prende Yuma sottobraccio trascinandolo davanti all’entrata. Lì, s’imbatterono in Tetsuo e un Arito alquanto gongolante.
 
«Il primo posto spetta a me!» gongolò, allungando una mano in direzione del campione di duelli «It’s coming Spartan City!»
 
«To Spartan City! It’s coming to Spartan City» lo corregge Rio, non senza farsi sfuggire le monetine posate sul palmo. Lanciò ai due ragazzi un’occhiata inquisitoria.
 
«Abbiamo fatto una scommessa…» si difende Tetsuo, prendendo anche lui il suo gruzzolo.
 
«E?»
 
«Yuma l’ha persa»
 
«Yuma!» strillò Rio, fulminandolo con lo sguardo.
 
«Lo so, lo so!» alzò le braccia, nel tentativo di difendersi dall’ira della ragazza «Non devo accettare scommesse del genere!»
 
Alle sue parole, la ragazza si rilassò tornando a sorridere tranquilla, ignara degli sguardi spauriti che ha attirato su di sé.
 
«Scusate?» s’intromette una voce, sconosciuta al quartetto, appartenente a una ragazza dai capelli acquamarina tagliati corti. Rio la studiò per un attimo, facendo balzare poi lo sguardo sul ragazzo che l’accompagna. Acqua e fuoco, che combinazione particolare.
 
«Serve qualcosa?» domandò, con una cordialità contrastante con le silenziose minacce proferite poc’anzi.
 
«Siamo nuovi qua, e ci servirebbe la mano di un membro del consiglio studentesco» risponde, indicando la fascia gialla, avvolta sul braccio della ragazza, col capo «A proposito, io sono Amaya Shimizu»
 
«Akihiko Kaneko» dice il ragazzo dalle ciocche fiammeggianti. Tende la mano verso la studentessa senior, ma quando la stava per ritrarre, imbarazzato di essersi presentato in un modo così informale in terra nipponica, Arito gliela strinse.
 
«Arito! Ma, ci siamo per caso già visti?» domandò, cercando di associare il volto a un ricordo. Improvvisamente, la realizzazione lo colse «Ma certo! Durante il duello contro Yuma!»
 
Akihiko annuì piano, tacendo per permettere ai restanti ragazzi di dire il proprio nome. A convenevoli finiti, iniziò a raccontare «Si, abbiamo visto un po’ di duello. Anche se Amaya non era molto d’accordo»
 
«Mi sembra un po’ inopportuno fissare dei completi sconosciuti» ribatte lei, incrociando le braccia con aria di rimprovero.
 
«Siamo stati lì per poco» si giustificò, scrollando le spalle. Non era raro che un duello attirasse curiosi «E comunque, ora non sono più sconosciuti»
 
La giovane borbottò qualcosa di indistinto, che giunse alle orecchie come un “se lo dici tu”, mentre la campanella suonò chiamando gli studenti a raccolta. Augurando loro buona giornata, Rio si avviò in segreteria coi due nuovi arrivati al seguito.
 
I tre ragazzi si fissarono per qualche istante, ora liberi dalla severa presenza della Kamishiro, non avendo altro da fare se non entrare in classe. La raggiunsero seguendo la fiumana di scolari, ripercorrendo gli stessi passi dell’anno scorso. All’interno, vi trovarono altri volti familiari.
 
«Ma guarda un po’!» Vector scese dal banco, uno dell’ultima fila, per andare a salutarli «Vi sono mancato?»
 
«Ovviamente, no» sbuffò scocciato Arito, andando a prendere posto il più lontano possibile dall’ex principe. Tetsuo lo imitò, facendo cenno a Yuma di sedersi accanto a lui. Non volendo rattristarlo, si avvicinò per appoggiare la tracolla sulla parte libera del banco, reclamandolo.
 
«Ehy, ma Yuma è-»
 
«Arrivato in tempo, ho capito!» esclamò esasperato quest’ultimo, voltandosi verso un ragazzino minuto con cipiglio severo. Durò poco, per lasciare spazio a un enorme sorriso «Takashi, Tokunosuke. Quanto tempo!»
 
«Sono passati un paio di mesi, non anni» precisa Takashi, ben sapendo l’indole socievole di Yuma. Data l’assenza del professore, chiacchierarono per un po’, parlando di come sono andate le vacanze – e qui il campione dovette mascherare una punta di gelosia, nel sapere che tutti si sono, in qualche modo, divertiti – finché non sentirono due voci femminili bisticciare.
 
«La prossima volta non ti aspetto, vai da sola!» brontolò Kotori, aprendo la porta con la delicatezza di un elefante in una cristalleria. Dietro di lei, Cathy non è da meno.
 
«Dovevo dar da mangiare ai gatti!» soffiò, richiudendola. Dopo diversi attimi carichi di tensione – i ragazzi pronti a separarle – si allontanarono per sedersi ai lati opposti della stanza, Cathy da sola e Kotori con Arito.
 
«Buongiorno» salutò Michael, per venire accolto da uno Yuma che si sbraccia e, in un modo più educato, dagli altri. Un po’ nervoso, essendo il suo primo giorno in una scuola pubblica, preferì prendere posto, in ultima fila, in silenzio.
 
A classe piena, il professor Kitano fece il suo ingresso, seguito a ruota da Akihiko.
 
 «Posso?» domandò, accennando alla sedia libera accanto a lui. L’Arclight annuì, levando la cartella da essa per appoggiarla sul banco. Aveva notato la chiacchierata tra il nuovo arrivato e Yuma, preferendo non aggregarsi poiché si sentiva un pesce fuor d’acqua.
 
«Ben ritrovati, tutti quanti! Avete passato bene le vacanze?» domandò il professore. Lasciò un po’ di tempo alla classe per rispondere, prima di continuare «Abbiamo tutta l’ora per approfondire meglio la questione, ma prima le presentazioni»
 
Il suo sguardo si posò sul suo compagno di banco. Ma, a differenza di quello che Michael s’aspettava, Akihiko non trasalì.
 
«Come potete vedere, abbiamo un nuovo compagno di classe. Io sono il professor Kitano, e sarò il tuo insegnante da qui fino alla fine del prossimo anno. Si vuole presentare, signorino…» si fermò per un attimo, per controllare il registro elettronico «…Kaneko?»
 
Akihiko si alzò, attirando completamente l’attenzione su di sé. Per essere uno che si imbarazza facilmente - Michael notò, ancora stampato in mente il suo incontro col quartetto - riuscì a parlare disinvolto, nonostante la quarantina di occhi puntati addosso.
 
«Molto bene. Ora, ditemi, che avete fatto di bello?»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


The beginning of a New Era
Capitolo 3
«Come sei noioso, nerd» ridacchiò Vector, dondolando le gambe come un bambino, alquanto entusiasta, col solo scopo di irritarli. Mizael e Durbe, il bersaglio del mezzo insulto, si guardarono, rassegnati all’idea che nemmeno un diverso edificio può salvarli dall’indole molesta dell’ex principe.
 
«Simpatico come sempre» il cervellone del gruppo rimette a posto gli occhiali, per niente offeso, scivolati sul naso nel mentre chinò la testa per continuare la ricerca di un’eventuale notizia. Sono, ormai, passate diverse ore dalla scomparsa dell’aeroplano, con a bordo Yvonne, sufficienti per permettere alle autorità di riordinare le idee e pubblicare un qualcosa che possa, all’incirca, soddisfare la curiosità del web.
 
Nessuna di queste, tuttavia, parlava di altro se non la continua ricerca di eventuali rottami. O peggio, cadaveri.
 
Durbe, istintivamente, guardò Mizael di sottecchi, mascherando la punta di preoccupazione dietro la consueta aria seria. È senza dubbio triste, più di quanto voglia dare a vedere, ma l’idea di confrontarlo sull’accaduto gli sembra un po’ un’intromissione nella sua vita personale.
 
Deve essere il primo a prendere iniziativa, l’unica cosa che può fare è dargli una piccola spinta.
 
«Qua c’è palesemente qualcosa sotto» borbotta quest’ultimo, intuendo la ricerca dell’occhialuto senza nemmeno guardare lo schermo.
 
«Chi è? La tua fidanzatina?» lo distrae Vector, allungando il collo per sbirciare il suo telefono. Estesa per tutto il display, vi è una foto ritraente il domadraghi e la francese assieme, sfoggianti entrambi un cerchietto giallo sgargiante che fa a botte col biondo dei loro capelli. Con una mano copre l’immagine, lanciandogli un’occhiataccia che, se potesse, l’avrebbe incenerito sull’istante.
 
«Fatti gli affari tuoi, Vector!» sbraita irritato.
 
«Chi è Vector? Io sono Rei Shingetsu» ribatte l’ex principe, indietreggiando appena sul bordo del banco per sottrarsi alla sua ira.
 
«Ancora con sta storia?» domanda Durbe, rimettendo l’ormai inutile tablet nella cartella. In risposta, riceve un’alzata di spalle «Mi ero iscritto usando questo nome, non posso ripresentarmi con uno diverso. Sai quante domande mi farebbero?»
 
«Capisco» annuì piano, guardandolo come se gli fossero spuntate due teste. Notando che il suo intervento aveva un po’ calmato Mizael, ne approfittò per chiedergli «Tornando alle cose più importanti, hai chiamato i genitori di Yvonne?»
 
«Ovviamente, ma sono nella nostra stessa situazione: attoniti, furenti contro la compagnia aerea per aver omesso informazioni, né sanno qualcosa in più»
 
«Brutta storia, su questo non ci sono dubbi» stabilisce l’occhialuto, scorrendo distrattamente con l’indice sullo schermo senza far caso ai risultati. A scapito della sua reputazione di geniaccio costantemente affamato di conoscenza, una parte di lui non vorrebbe approfondire la questione temendo per la sua normalità, da poco, conquistata. Sa che è ingiusta per Mizael questa sua inquietudine, ma non sente affatto la mancanza delle notti insonni, passate a pianificare contrattacchi contro gli Astrali. Per una volta che poteva vivere con la mente sgombra da schemi intricati, un nuovo mistero si presenta, facendo proprio beffe di uno di loro nel portarsi via una persona cara, amica.
 
«Luridi bas-» impreca Mizael, zittendosi non appena la porta, chiusa per precauzione da Durbe, si apre rivelando un terzetto, caratterizzato da capigliature sui toni freddi e gli occhiali tondi, munito di un’esagerata quantità di libri.
 
«…non ci sono altre spiegazioni: secondo me è andata così!»
 
«Potrebbe, questo rafforza la nostra teoria!»
 
Senza troppe cerimonie, il domadraghi afferrò il primo libro, che gli capita a tiro, dal banco di Durbe per schiaffarselo in faccia, sprofondando nella sedia sotto lo sguardo divertito di Vector. Fece balzare lo sguardo da un gruppetto all’altro per un paio di secondi, prima di indicarli col pollice «Chi sono?» domanda, incuriosito nei loro confronti a causa della reazione di Mizael nell’istante in cui notò la loro presenza.
 
A rispondergli è Durbe «Il Club di Astronomia»
 
«Un branco di idioti» s’intromette quest’ultimo mentre l’ex cavaliere parlava, creando un coro alquanto discordante. Per sua sfortuna, quell’insulto sembra aver attirato l’attenzione del club: il capo del trio, Toshiyuki, si avvicina con tanto di braccia incrociate e cipiglio sul volto.
 
«Rimangiatelo» sibila a denti stretti, ricevendo in risposta un cenno della mano che lo invita ad andarsene, col risultato di l’irritarlo ancora di più. Batté coi piedi per terra, accorciando le distanze per agitargli il pugno chiuso davanti alla faccia.
 
«Se non lo fai, io…»
 
Mizael lasciò cadere il libro sulle gambe, piegando il capo in avanti per sostenere lo sguardo dell’invasato, storcendo un po’ il naso davanti alle occhiaie da caffeinomane e le ciocche incolte. Si alzò nel frattempo dalla sedia, torreggiandolo di diverse spanne sulla sua statura minuta «Tu?» sogghignò con fare minaccioso, puntandogli l’angolo del volume sul petto.
 
«N-niente» ingoiò un groppo di saliva, indietreggiando intimorito finché Vector non tende un braccio per bloccarlo.
 
«Non ci siamo ancora presentati! Tu sei?» esclamò con il più grande, e finto, dei sorrisi che poteva sfoggiare. L’ha subito preso in simpatia durante il bisticcio, cercando di intervenire, per infervorarlo ancora di più, col solo risultato di essere costantemente ignorato.
 
«Yoshida, Yoshida Toshiyuki» risponde con tono scazzato, tornando a fissare storto Mizael proprio quando l’espressione dell’ex principe divenne beffarda, pregustando già nuovi modi per tormentare il biondo. Nel sentire lo sguardo ceruleo puntato su di sé, assunse un atteggiamento più spensierato «Io sono Rei Shingetsu! Vuoi essere mio amico?!» domandò, appoggiandogli le mani sulle spalle con fare espansivo.
 
Invece dell’entusiasmo che si era aspettato, ricevette in risposta un sorriso timido, accompagnato da un cenno della testa in assenso. Accantonò i dubbi per un attimo, ritrovandosi tirato indietro da Mizael per il colletto della camicia.
 
«Ti sei presentato, ora sparisci» ordina con fare perentorio, riconsegnando il libro al legittimo proprietario. Durbe fissò i presenti, dai due litiganti agli amichetti di Toshiyuki, immobili come due statuine, che non hanno smesso per un secondo di guardarli, preferendo non intervenire per evitare che la situazione peggiori. Ha il potere di prendere Mizael e portarlo in un luogo molto più tranquillo, ma sa quanto può essere testardo quando qualcuno gli manca di rispetto.
 
«Non senza aver difeso l’onore del mio Club» Toshiyuki mette le mani sui fianchi con fare di sfida.
 
«Teoria del Multiverso, esistenza degli alieni…» il domadraghi alza un dito per ciascun punto, incrociando poi le braccia sdegnato «E avete il coraggio di chiamarvi Club di Astronomia. Fate due più due sul perché Durbe non si è voluto unire»
 
«Sono tutte…»
 
«Idiozie, gli alieni non esistono»
 
«…teorie valide. Ehy, smettila di prendermi in giro!» strillò isterico, facendo tirare all’ex cavaliere un sospiro di sollievo, trattenuto nel sentire il suo nome tirato in ballo. Vector, d’altro canto, sembra ancora più divertito dalla situazione, coprendosi la bocca con una mano per soffocare la risata, incapace di trattenerla dopo l’ultima asserzione del ragazzo dai capelli biondi.
 
«Gli alieni, pfff- ahahah»
 
«Il tuo amico è di tutt’altra opinione sulle tue parole» Toshiyuki alza il mento con fare soddisfatto, interpretando la reazione dell’ex principe come a suo favore. Nel sentirsi definito amico di Vector, Mizael fa volare la mano al deck, venendo prontamente fermato da Durbe che gli afferra il polso «Noi dobbiamo accompagnare Rei nell’altro edificio, vero?» annunciò a metà tra il serio e l’isterico, con un tono che non ammetteva repliche. Capito al volo il desiderio di allontanarsi il prima possibile - ben sapendo che Toshiyuki, assieme agli altri due, è un loro compagno di classe - Mizael prende Vector per il braccio, trascinandolo fuori dall’aula mentre Durbe si attarda a fare un rapido inchino come cenno di saluto.
 
«Io non prenderei la cosa alla leggera» lo ammonisce Mizael, dandogli una spinta in avanti per incitarlo a camminare. Si strofina poi la mano sui pantaloni, disgustato dall’aver toccato l’ex principe anche solo per pochi minuti «Quello è capace di tutto pur di mettere mano su esclusive extraterrestri»
 
«Se potessi gli darei un biglietto da visita per Barian» sghignazza Vector, ricevendo una manata sul capo da parte dello studente senior. Colto dal desiderio di ficcare il naso nel loro orario, domanda «Voi che lezione avete, ora? Io Educazione Fisica in piscina»
 
«Storia» risponde Durbe, guardando l’agenda riportante una pianificazione momentanea per la settimana, coperta con una mano per evitare un’altra, eventuale, visita da parte di Vector. Una volta era anche troppa, specialmente con Toshiyuki di mezzo.
 
Chiudendola, aggiunge «Ne riparliamo dopo della questione, possibilmente con tutti quanti»
 
 
Vector, senza dubbio, odia Educazione Fisica, specialmente quando riguarda esercizi acquatici. Il problema non è mettere alla prova il proprio corpo, fallendo di proposito come da copione, ma il rischio di venire umiliato nascosto dietro l’angolo, riportante il nome Yuma Tsukumo. Una persona non basta per contare tutte le volte che l'ha trascinato in lungo e in largo per la palestra, arrivando persino a finire bloccato nel canestro per recuperare la scarpa lanciata contro il pallone da basket.
 
Le sue doti da attore da Oscar gli avevano permesso di riderci sopra, ignorando una parte di sé che desiderava mandare all’aria il piano e trucidare i presenti seduta stante, a cominciare da Yuma. Forse, per questo ci è andato giù pesante a Sargasso, sia per sadismo che per vendicare il suo orgoglio ferito.
 
E ora, per puro karma, è costretto a continuare la messinscena. Tutto, per non far insospettire la scuola e, di conseguenza, anche le autorità. Verrebbe, come minimo, mandato in un orfanotrofio, negandogli tutti i comodi che la vita di ora gli può offrire.
 
Mentirebbe con sé stesso, se non avesse provato un briciolo di paura, quando, durante una lezione di scherma, è riuscito a disarmare agilmente l’avversario. Rei Shingetsu è un incapace, ma anche loro possono avere un talento nascosto ed eccellere in qualcosa.
 
Ora è seduto a terra sull’asciugamano, coi capelli ancora gocciolanti dall’ultimo bagno, mentre fissa annoiato il vuoto. Il professore non ha più niente da chiedergli dopo averlo visto sguazzare per una vasca, passando al prossimo nella lista. Ironicamente, proprio Yuma.
 
Si concentra sulla sua figura, intenta a fare un tuffo che infrange la superficie dell’acqua di pancia, accompagnata da un sonoro “splash”. L’uomo scuote il capo con fare sconsolato, prima di venir chiamato da una sua collega, che gli fa cenno di avvicinarsi dalla porta. Lo guarda allontanarsi, dopo aver passato a Takashi il registro e l’arduo compito di mantenere l’ordine.
 
Non trovando più nulla di interessante, o divertente, da guardare, sta per stendersi sul telo in stato vegetante, distratto dalle due porte dell’edificio che si spalancano rivelando un’altra classe. La campanella accompagna il loro procedere verso gli spogliatoi, intercettando la testa viola di Shark e il fisico possente di Girag tra la folla, dalla quale si stacca la donna precedentemente intravista e il loro insegnante di Educazione Fisica.
 
«Qua le cose si stanno facendo interessanti» borbotta, tra sé e sé, a bassa voce, già immaginandosi spingere il Kamishiro in acqua.
 
Incurante dei piani malefici a pochi metri da lui, il diretto interessato si era messo sul bordo della vasca, quello opposto alla classe di Yuma.
 
«Aspettiamo l'intervallo» Ryouga alza una mano, accorgendosi di come Girag fissava i loro conoscenti. C’erano troppe orecchie indiscrete per esporre teorie che coinvolgevano il Mondo Bariano o quello Astrale; sui quali ha un certo sospetto, considerando gli strani avvenimenti che hanno caratterizzato il cielo di Heartland City durante gli ultimi mesi. Yuma li aveva interpretati come un messaggio, ma molti hanno preferito fare orecchie da mercante e andare avanti con le loro vite.
 
Non li biasima più di tanto, la sconfitta di Don Thousand gli aveva tolto non poche responsabilità. Gli basta scrutare, anche solo per un attimo, i suoi compagni di avventura per notare quella tranquillità che, fino a pochi mesi prima, si potevano solo sognare.
 
«Ma che-» fa in tempo a dire, sentendo qualcuno che gli dà una spinta così forte che lo scaraventa in avanti. Nemmeno la mano di Girag riesce ad afferrarlo in tempo, ritrovandosi a mollo nell’acqua fredda.
 
«R-e-i» scandisce a denti stretti, lanciando un’occhiata assassina al diretto interessato, che si era avvicinato di soppiatto ai due approfittandone della loro distrazione.
 
«Sono inciampato!» si giustifica con aria innocente, sfuggendo a un Girag con evidenti istinti omicida. Shark, nel frattempo, aveva raggiunto bordo, trovando una mano pallida tesa in suo soccorso. Alzò lo sguardo per vedere l’anima pia precipitatasi in suo aiuto, riconoscendo la nuova arrivata dai capelli color acquamarina, Amaya Shimizu.
 
«Tutto bene?» gli domanda con fare apprensivo, tirandolo fuori dall’acqua con non poca difficoltà. Si levò diverse ciocche dalla faccia, prima di annuire il più amichevole possibile. Non aveva senso indirizzare il fastidio, per un brutto scherzo, su di lei.
 
«Diciamo di sì» risponde abbastanza onestamente. C’è tempo per farla pagare a Vector, ora aveva cose più importante a cui pensare. A cominciare dal rassicurare la ragazza e congedarsi il prima possibile, non amava intrattenersi in chiacchierate, specialmente con sconosciuti.
 
«Capisco» commenta piano, per sua fortuna non interessata a proseguire il discorso. Fece poi un cenno di saluto con la mano, chiamata dalla professoressa per fare la dimostrazione di un esercito «Allora a dopo! Se ti dà ancora fastidio dovresti dirlo ai professori. Quello non era un incidente, secondo me ti ha spinto di proposito»
 
«Sicuro» commenta sarcastico. Nessuno poteva mettere in riga Vector, se non Vector stesso. Intanto che si appuntava mentalmente di chiamare Kotori, l’unica che andava dritta al punto - a differenza di Yuma - senza perdersi in pettegolezzi, per organizzare un incontro, iniziò a guardare la novellina, impegnata a fare ginnastica in acqua con l’aiuto di un tubo galleggiante.

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