CIELI ROSSI

di An13Uta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mauau View ***
Capitolo 2: *** Otumoetai ***
Capitolo 3: *** Kati Kati ***
Capitolo 4: *** The Strand ***
Capitolo 5: *** Contact ***
Capitolo 6: *** Karangahake ***
Capitolo 7: *** The Metro ***
Capitolo 8: *** Invasion ***



Capitolo 1
*** Mauau View ***


MAUAU VIEW






Il drone arriva, prende il rullino, e va.

Micah, Atarau e Kete lo guardano appena. Pengi lo fissa, ma solo perché è mezzo strabico.



E ora?



Dieci minuti sono passati. La consegna è andata in porto. Guardi le foto salvate sul pc di nuovo. Alcune sono proprio sfocate. Non quelle del monte Mauau, quelle sono perfette. Sarebbero state perfette anche con la luce del mattino così presto, quando il cielo non è ancora rosso – anche se il mare lo è, ma da così lontano sembra quasi una brughiera o un deserto – ma non hai resistito a cambiare la tinta, a far diventare la roccia e l'acqua rosa e il cielo blu.

Chissà che se ne faranno del resto. Specialmente di quella della fotocamera usa-e-getta.

Ne avete un sacco qua in giro. Prima che avessi abbastanza spicci per la tua Tabe usavi quelle, perché Kete voleva assolutamente fare la modella e voi tre le facevate il verso dietro. Ti fa ancora impressione sapere che qualcuno le foto che hai scattato con quei cartoni le ha comprate veramente.

D'altronde, è con quelle che hai pagato la Tabe.

Riguardando le foto e cercando di appuntarti mentalmente quali buttare quando le svilupperai ti soffermi sul murale della montagna appena sotto al punto da cui hai provato a rifare la cartolina.


Mauau, “catturato dalla luce del giorno”: il monte senza nome che fu trascinato a morire nell'oceano.


Dall'alto di questo fabbricone abbandonato lo puoi vedere solo attraverso la rete per evitare che finiate lanciati nel vuoto con un ollie sbagliato, ed è lontano, lontanissimo, immobile come un vulcano spento.



Potresti riprovare a metterti sullo skate. Farti insegnare una buona volta come stare in equilibrio. O disegnare sui muri, almeno partendo dalle piume, che sono la cosa più semplice. O scriverci qualcosa di fico, così i posteri lo troveranno e penseranno ad una qualche anima poetica tragicamente cancellata dalla faccia della terra prima del tempo, o spaventare i gabbiani, o cercare di ammaestrare quel falco a cui hai fatto una foto al piano più in basso così, tanto per, perché sai che figura ci fai allo Strand se arrivi a una festa con un falco sul braccio?

Alla fine desisti. Non sei capace di fare nessuna di queste cose.

Hai ancora un po' di rullini, di quelli che hai trovato mentre cercavi di capire come trovare i soggetti per la consegna.

Rialzi la Tabe all'occhio, ti nascondi dietro di lei.

Dai che vi faccio un photoshoot.


E tutti decidono di fare i cretini, prendono skate, bombolette, si scambiano cappelli, vestono Pengi come vogliono, si buttano in quella pozzanghera che chiamate piscina. Vi fate un autoscatto tutti assieme cercando di darvi quante più arie possibili.

Il cielo diventa sempre peggio.

Forza, dice Micah, Andiamo dai marines, andiamo a Silent Hill. Mica dovevi fare una consegna anche là?

Kete storce il naso e fa un grugnito, ma sa che ha ragione; Atarau non dice niente, ma si vede che ci vuole andare.

 

È presto, ma tanto, ora che vi avviate...

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Capitolo 2
*** Otumoetai ***


OTUMOETAI






Voi qui, in teoria, non ci dovreste stare.

Ma per quello che fate voi, che è un gran bel niente, e quello che fanno loro, che è un altro bel niente, finché tenete le mani a posto, non c'è problema. E poi state con Micah, e se state con Micah, allora va bene, va bene.


In questo mondo finché conosci qualcuno che fa dire alla gente “Ma se state con questi allora va bene, va bene” non avrai mai problemi.



Le armi non le potete toccare, quello no. Che ad Atarau dispiace un po', perché tanto non le usano mai e Sharkie sembra troppo divertente da far sparare essendo un mortaio. Ma si accontenterebbe anche delle carabine, eh, giusto per provare contro quei mostri che hanno sui loro bersagli da tiro.

La chiamate Silent Hill perché quattro volte su cinque c'è nebbia. Se non c'è, ci sono nuvole bassissime e l'effetto è più o meno lo stesso, ma almeno i pannelli fotovoltaici fanno qualcosa.

Tra gli avamposti militari in cui avete provato a intrufolarvi senza una vera ragione questo è quello da cui non siete stati cacciati a mitragliate e calci in culo, e generalmente anche quello che vi piace di più.

Un po' per l'accoglienza meno incazzata, s'intende.

Ma anche perché a Otumoetai non ci sono invasati.


Ci sono gli stronzi, che vi fermano e vi guardano male perché sono stronzi, ma quelli sono ovunque, e qui almeno sono in minoranza. Non ci sono quelli che impazziscono per le UN, che le osannano, che si lancerebbero dal tetto per loro, che sono sicurissimi che sono stati scelti neanche se l'avesse fatto Dio. Qui ci sono quelli tranquilli, che fumano mentre aspettano e si fanno i cazzi loro, e non ti rigurgitano addosso che fare il soldato per le UN è l'unica scelta possibile nella vita. Gli stronzi lo implicano, ma non lo urlano.



A Otumoetai, dicono quelli tranquilli, ci stanno per stare in compagnia.

Quindi se voi bestiole volete stare qui, in questa landa desolata, se volete saltellare in giro e fare parkour eccetera, finché non toccate niente che possa uccidere e non calpestate l'orto, a loro fa anche un po' piacere.



Un po' gli secca, che gli fai foto e non sai poi a chi finiscano.

Perché è vero che nessuno viene a Otumoetai a controllare, e perché dovrebbero, quando qui non succede mai niente, ma se qualche superiore scopre cose come l'elmetto con su scritto “proprietà delle UN”, o Sharkie, o loro che bazzicano e fumano e si fanno i loro comodi, poi quelli che finiscono nei casini sono loro.

Secondo te alcune delle foto che fai sono così sfocate che sono invendibili, quindi, a meno che non siano dei disperati, quelle di sicuro non le pubblicano.

Loro comunque non si fidano. Ma sei con Micah, quindi va bene, va bene...


Kete lo odia questo posto. Lo trova uno schifo vuoto dove si soffoca dall'afa. Forse anche per quello Pengi trova sempre un modo o l'altro per andare quanto più in alto possibile, dove fa un po' più fresco.

Vi annoiate, qui, ma come dicono quelli tranquilli, ci state per stare in compagnia. Micah ne conosce tanti, c'è una coi capelli rosa che conosce pure Atarau. Tu e Kete li seguite a ruota; tu ne approfitti per fare foto.

Quando finisci tutti i rullini fai un cenno col mento agli altri.


Dai, leviamoci dai piedi.


Siete tutti rallentati in questo clima. Gli altri salutano i vari soldati mentre tu prendi Pengi in braccio; uno degli stronzi vi aizza col fucile per farvi andare via più velocemente, come se avesse mille cose da fare.

Hai una stanchezza da far paura.

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Capitolo 3
*** Kati Kati ***


KATI KATI






Maxine non la conoscevi.



Più la guardi nelle foto e meno la riconosci.

Nessuno di voi la conosce, solo la nonna, che stava nel suo lotto, il 27, e che la confondeva sempre con qualcun altro, e anche per questo nessuno sapeva bene chi fosse davvero 'sta dannatissima Maxine che una volta aveva due anni e poi ne aveva trentadue, che aveva provato a sputarle in testa e che invece era tanto una cara ragazza che scacciava via quelli che le sputavano in testa.



Quindi no. Non la conoscevi, Maxine.



A Kati Kati non vola una mosca.

Non sai neppure se ci sia lo spazio perché possano volare.

È tutto così chiuso e claustrofobico che quasi ti senti male.

Le candele non coprono nemmeno l'odore di fogna.

Stanno tutti fermi immobili.

Come se aspettassero qualcosa.


Bici abbandonate, gatti a pelo rosso accucciati sugli angoli a lavarsi il muso, corvi che non volano.


Tanti graffiti.


Qui è dove il 2.8.47 Maxine del lotto 27 si erse per difenderci dagli invasori.


Un monumento alla memoria che non sai cosa debbe essere, simile ad una lira, ad un serpente con la coda di pesce.


Tanti altri piccoli monumenti a Maxine. Foto sue a qualsiasi età.


Nelle più recenti – che sono le ultime – sarà grande quanto te.



La immagini dentro una Sentinella della Pace, lassù, che cade e cade e cade e cade e mentre cade piange, o prega, o sta perfettamente in silenzio.



Andiamo a casa.


, sono d'accordo gli altri. Andiamo a casa.

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Capitolo 4
*** The Strand ***


THE STRAND






Più stai allo Strand più ti fanno male gli occhi. Tutta colpa di 'ste pubblicità.

È anche per quello che non puoi stare al ballo improvvisato appena più in là tra le macchine. Si stanno divertendo un sacco, c'è pure tua cugina; buon per loro. Tu i tuoi occhi preferisci non rovinarteli nel neon.

Atarau li guarda e basta. Dice sempre che non sa ballare.

Chissà che pensa Pengi al suo fianco.


Ti rode, in realtà, che non puoi stare lì con Nikki. Siede su un'auto da corsa fingendo di essere su una motocicletta, che sarebbe una cagata, ma è bella da far paura e se riuscissi a parlare forse le chiederesti di cambiare posa per farle una foto meno scema.

La sua amica raver è una chiazza rosata pulsante mentre balla.


La mano della Sentinella è caduta praticamente dietro casa sua, mentre passava il lockdown con il suo ragazzo, quello che si è dipinto le meduse sul cofano e che la polizia cerca sempre di beccare a far qualcosa in auto così gliela sfasciano, perché odiano vedere Kaiju blu elettrico per le strade.


Il pilota della Sentinella siede un po' più in là: fuma e sembra non vedere nulla.


Guardi di nuovo le foto che hai fatto nel sottopassaggio: tra tutti i punk sui pattini, i graffiti, le sedie sul soffitto, le bombolette sparse, c'è un ragazzo col casco VR seduto a terra che si dimena ogni tanto al fianco di un soldato delle UN disegnato con spray rosso, con una faccia sorridente a coprire l'elmo.

Non hai fotografato quello, uguale a lui, che si agitava nella spazzatura.

La musica è altissima.

I giornali a terra riportano il disastro di Papamoa.

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Capitolo 5
*** Contact ***


CONTACT






Micah è il più grande tra di voi – non il più sveglio, perché tra di voi è Atarau, anche se non lo sembra. Ma è comunque il più grande, e il più alto, e vi fa un po' da fratello che ammansisce i bambini allo zoo.

 

Quindi fa una paura boia quando ti prende le spalle e ti sballotta avanti e indietro furibondo come non l'hai mai visto e ti grida in faccia con la voce che si spezza e quasi piangendo, MA CHE CAZZO FAI! MA CHE CAZZO PENSI DI FARE!


Uno dei soldati lo tocca, dolce, dice: Dai, non t'arrabbiare, è una bestiola...

Micah urla ancora più forte: COME CAZZO NON MI DEVO ARRABBIARE? COME CAZZO NON MI DEVO ARRABBIARE CHE STAVAMO MORENDO ED ERA LÀ A SALTARE IN GIRO E FARE LE SUE FOTO DI MERDA? MA LO CAPISCI CHE STAVAMO MORENDO? LO CAPISCI? LO CAPISCI?
 

Tu ti lasci strattonare, quasi piangendo pure tu, perché non ti puoi spiegare.



Non è che ti puoi preparare ad un attacco Kaiju, vi avevano detto una volta quelli che controllavano le radio e tutto: Quelli arrivano, ti sputano melma e calamari addosso, ti ammazzano, e se ne vanno.



Tu quelle sacche per cadaveri le avresti potute fotografare vuote.



Kete ha salvato un uomo facendogli primo soccorso. Atarau aveva preso un fucile e avrebbe volentieri dato la vita per voi. Micah è stato tutto il tempo a chiamare i soccorsi, a tenerli aggiornati, a urlare che se non venivano qui subito sarebbe stato tutto un secondo Papamoa e i media li avrebbero ammazzati. Non c'era una persona che fosse lì con le mani in mano.

E poi c'eri tu.

Con la tua cazzo di Tabesoft, immobile, a fissare Otumoetai che annegava tra i rigurgiti fosforescenti del Kaiju mentre questo veniva illuminato dagli spari.

Poi l'hai alzata all'occhio e hai fatto foto.


Quattro kit di pronto soccorso. La parola boomer. Due carabine. Due sacchi per cadaveri. Dieci bastoncini fluorescenti verdi, ignorando quelli rossi che formano un SOS sul muro. Tre bersagli da tiro, annegati nella melma del piano di sotto. Un generatore. Una foto ai tuoi amici. Una cartolina ricreata.

Poi trova sei rullini, racimola almeno ottanta dollari, consegna tutto entro dieci minuti sul tetto della base, proprio davanti alla medusa aliena che vuole assolutamente uccidervi tutti, ignorando gli spari sotto e di fianco a te, saltando su detriti e reti divelte e un intero aereo militare completamente fossilizzato che si è schiantato sulla seconda base d'attacco, dove la soldatessa stronza con i capelli rosa che conosce Atarau vi ha sempre grugnito che bisogna fare il check-in quando arrivate.


Hai fatto foto saltando nel vuoto tra pezzi di legno e cemento per avere la tua maledetta paga. Anche se, ovviamente, i soldi non contano un cazzo quando un Kaiju ti riduce in poltiglia con un solo tentacolo.

Ma era l'unica cosa che sapevi fare. L'unico modo per essere utile.



Tu fai fotografie.

Non servi a nient'altro.



Micah ti molla con veemenza; va via incazzato nero, si mette le mani nei capelli. Impreca ancora, e ancora, e calcia qualcosa. Il soldato di prima va da lui, gli mette un braccio sulla spalla, appoggia la testa alla sua. Rimangono così, parlando piano, mentre voi altri prendete quel che vi rimane e vi preparate per scendere alla stazione. Il cielo notturno sta diventando rosso.

Il ragazzo bacia Micah. Prendono insieme le sacche e portano i loro amici morti sulle spalle.


Tu chiudi il corteo funebre, senza fiatare.

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Capitolo 6
*** Karangahake ***


KARANGAHAKE






Per tutto il viaggio non fai che andare avanti e indietro per il vagone.



Un po' per le solite cose – foto, consegne, rullini, eccetera – un po' perché ti senti male, e visto che ti senti male cerchi qualcosa da fare, qualcosa di normale da guardare.



Nella parte davanti del vagone c'è gente normale. Madre e figlia. Un pendolare. Un altro pendolare. Un tipo che bazzica lì senza meta. Tazze vuote. Pacchetti di salse. Un pentagramma a stella, con le punte contrassegnate da candele.

Questo non è normale, ma non importa.

Oltrepassi le valigie sfilando tra Kete e Pengi mentre lei continua a parlargli. Ignori con tutte le tue forze il giornale che dice che il primo ministro giocava a golf affanculo mentre i Kaiju radevano al suolo le città.

Fai un cenno ad Atarau; non risponde.


Di qua tutto è decisamente meno normale.


C'è tutto quel che serve per mangiare, vivaddio – bicchieri, tazze, macchinetta del caffè, salse, panini, cereali, ciotole, pacchetti di patatine o biscotti, tante di quelle bandierine statunitensi che il barista di sicuro se ne è tatuata una sul culo tanto ci sta in fissa, la pubblicità di Buzz Chipsum, “Fast Food In Stile Americano”, tavolini, sedie, tovaglioli.

Sarebbe una zona bar normalissima se non fosse per tutti i militari che stanno qui immobili davanti a quel poco che riescono a inghiottire, con le facce ancora coperte di sangue, i punti messi alla bell'emmeglio, gli sguardi che puntano nel vuoto, il silenzio irreale.

C'è anche una Caravella Portoghese su un tavolo. Nessuno sa come ci sia arrivata. Nessuno la muove. Sta lì, ad agonizzare, mentre passi oltre Micah.

Le porte a lato del vagone sono aperte. Fuori il cielo è rosso fuoco, coperto di stelle come fossero lentiggini rosa.



Sul balconcino alla fine del vagone ti appoggi alla balaustra: nell'acqua scarlatta ci sono rovine metalliche, lunghi tubi che sembrano vertebre di un serpente enorme, città lontane, sprofondate nel mare, lasciate alla deriva. Poi vi infilate nella galleria ed l'uscio cremisi dell'entrata sparisce lontano, sempre più piccolo, finché non diventa tutto nero.

Kete arriva all'improvviso, con il suo passo felpato. Si appoggia a te con fare nervoso, aspetta un attimo in silenzio, si toglie gli occhiali; ti guarda in faccia e dice: Io non voglio morire.


 

Poi scoppia a piangere.



Ti appoggi a lei di ritorno e la lasci fare, con i muscoli tirati quanto le corde di un violino che sta per rompersi. Non hai molta pratica, nel rincuorare la gente.



(Queste sono cose che fa Pengi – o perlomeno, che voi spostate su di Pengi. Lui è una bestiola, ma una bestiola vera, un pinguino, non ne sa nulla di quel cazzo che sta succedendo. A volte ti chiedi se vi capisce quando gli parlate, o se vive in uno stato di apatia totale, completamente distanziato dal mondo che lo circonda, come bloccato da una scatola enorme e trasparente. A volte lo guardi e pensi a Tariq, sospeso tra console da DJ e con un casco VR in testa, nel Gamer Palace. Ti ricordi che pensavi fosse una figata assurda. Ora, se fanno sentire Tariq alla radio, con la sua voce robotica sintetizzata femminile che annuncia il suo prossimo brano, lo stomaco ti si torce.)




Ma sentirla che ti singhiozza addosso è l'unico modo per rimanere ancorati a questo mondo di merda al momento, e se non ci fosse tu fluttueresti via, via, verso il cielo di sangue sopra la tua testa, senza mai fermarti.


Neanche tu vuoi morire.

Nessuno su questo treno di merda vuole morire.

Nessuno vuole morire in un mondo tanto schifoso come questo.


Ogni tanto pensi che debba essere stato uno sbaglio, un problema di traduzione; pensi che sarebbe figo veramente se i Kaiju, invece di prendersela con voi, prendessero di mira quegli stronzi che vi hanno messo in questa posizione di merda mentre loro se ne vanno a fare sport del cazzo in lembi di terra così grossi che si potrebbe allargare Kati Kati abbastanza da avere tre parchi e venti strade a tre corsie.

Sarebbe bello, se su quel tetto oggi tu avessi potuto prendere un megafono e gridare a quel mostro terrificante “EHI, I VOSTRI NEMICI NON SIAMO NOI, LORO STANNO PIÙ IN LÀ, A GIOCARE A GOLF” e quello avesse risposto, con una voce da signorotto d'altri tempi, “Poffarbaco, effettivamente è così, ho segnato l'indirizzo sbagliato, scusate l'increscioso disguido, non succederà più” e se ne fosse andato a mangiare la testa di quel coglione del primo ministro.

Sarebbe bello, se i Kaiju almeno fossero dalla parte vostra.

Le UN non lo sono, e non lo è nemmeno il governo.

Almeno una forza dalle proporzioni gigantesche voi poveracci ve la meritereste.


Le Sentinelle della Pace non contano. Perché quelle sono del governo e delle UN, e di sicuro, se anche riuscissero a levare i Kaiju dalle palle, poi le indirizzerebbero verso di voi. E vi farebbero odiare gente come Maxine, che si è fatta il culo in quattro per la sua città.



Che in quelle macchine di merda ci è morta.



Mentre pensavi Kete ha smesso di piangere, anche se è rimasta accollata a te. Strofini la guancia contro la sua frangia.

Ti abbraccia forte, quanto più forte può; si asciuga gli occhi, si rimette gli occhiali, e se ne va col suo passo felpato farfugliando che ti ringrazia, che ora si prende un succo di frutta e che se la cerchi lei è dentro, a uno dei tavolini liberi o sdraiata su una delle poltroncine se le è venuto sonno.

Annuisci.


Guardi lontano, nel nero della galleria.

Ti ci perdi per un bel po' prima di sentire scarpe pesanti che scavalcano i sacchi da morti per fermartisi accanto.

Atarau non si appoggia alla ringhiera. Raddrizza le spalle, batte un po' la punta della suola sul pavimento metallico, e guarda il nulla insieme a te.


Lo sai benissimo, che Atarau non è l'idiota del villaggio: se è qui, allora è qui per te. Per farti compagnia, per mantenerti parte della vita circostante, per evitare che tu ti faccia risucchiare da un gorgo di pensieri e sentimenti che ti vogliono affogare.


Finalmente apre la bocca, parla con il suo tono pigro.

Kete ti manda un bacio e dice grazie ancora che l'hai lasciata piangere, comincia, e dopo uno sbadiglio continua: Micah ti manda un bacio e ti dice che comunque quando vuoi ha tenuto apposta da parte un pacco di biscotti di quelli che ti piacciono, che devi mangiare pure tu sennò svieni.


Tiri su col naso.

 

Ti volti appena per guardare dritto nei suoi occhi: E tu?

Scrolla le spalle: E io sono qui.

Sorridi appena.

Ti sorride di rimando.

Vi prendete un altro po' d'aria prima di tornare dentro e fare anche voi una finta colazione.



La vostra stazione è ancora lontana.

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Capitolo 7
*** The Metro ***


THE METRO






Hanno preso i cadaveri dalle vostre mani come fossero sacchi di concime quando siete arrivati alla stazione.

Con stizza, velocemente, quasi in segreto. Per non farle guardare troppo a lungo dalla gente che aspetta i treni.

Tanto chi vuoi che le guardi.

Ci saranno anche abituati, ormai.


C'è poca gente, tutto sommato. Ti ricordi delle volte dove non si riusciva praticamente a respirare o muoversi anche solo di un millimetro, e bisognava schiacciarsi contro qualsiasi muro possibile per far passare almeno un po' quelli che scendevano dal treno, e poi la calca dove qualcuno immancabilmente finiva col diaframma mezzo spappolato per entrare.

Adesso la metro è completamente ferma.

La città è in lockdown.

Di nuovo.

Avete già avvertito chiunque se ne freghi appena di voi che siete qua giù, quindi non c'è nulla di cui preoccuparsi.

Siete solo voi quattro.


Gli altri o li hanno presi al checkpoint delle UN per chiedergli cose varie ed eventuali (forse per fargli imparare quello che dovranno dire ai giornali, il che potrebbe variare da bugie belle e buone a un racconto mitigato del disastro), o sono sgattaiolati a farsi i cazzi loro in un qualche pertugio. Ne avranno bisogno pure loro, poveracci. Con tutto quello che hanno visto.


Siete stanchi.

Aspettate sulle scale, guardando Pengi che dondola fino ad un soppalchetto di legno e là si blocca, con il suo sguardo strabico, come indeciso su cosa fare adesso che si trova dov'è. Gli altoparlanti fanno partire una playlist di Tariq. Ti senti male.



Il messaggio ti arriva in quel momento: una nuova lista di commissioni. Una boombox e una bomboletta spray, un kiwi, occhiali e trillby (controlli su internet, è un tipo di cappello), tre felci e una panchina, almeno sei manifesti di arruolamento, la parola “calamaro”, e due mascherine. Poi il solito – una cartolina e una foto ai tuoi amici.


Va bene. Va bene, ce la puoi fare. Almeno ti fai un giro.


Lo dici agli altri – state qua tranquilli che torno. E fatemi una posa bella per la vostra foto.



Ci provi, a divertirti, ci provi davvero tanto perché ne hai bisogno; ma raccattare rullini e scattare foto aspettando che passi il lockdown, tra tutta questa gente che aspetta e spera di sopravvivere, ti fa pensare troppo a Otumoetai e a quanto tu non abbia fatto una beneamata minchia di utile.

Non ti conforta l'albero soffocato sulla piattaforma sopra i binari, né i punkabbestia che ballano indavolati attorno a un mangiacassette, né quelli in tuta anti-contagio che controllano i container. Non ti confortano neppure i passeggeri che aspettano ripartano i treni, che fumano, che si disperano sulle panchine, che stanno in fila. Quello che riesci a pensare guardando la bambina con la mascherina è porca puttana, moriremo tutti.



Il drone ti aspetta davanti alla scalinata. Prima di consegnare le foto cerchi gli altri con lo sguardo.

Si sono messi nelle pose più minchione del mondo.


E ridi.


Ridi fino a piegarti in due, fino a tossire, e la prima foto viene mossa perché ridi troppo, e la seconda viene meglio perché gli vuoi bene.



Facciamo una festa, domani, dici.



Accettano.

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Capitolo 8
*** Invasion ***


INVASION






Il mondo sta finendo.





 

Il mondo sta finendo e tu hai consegnato il tuo rullino al drone senza melodrammi, senza solennità, senza renderlo nulla di importante. Non lo guardi mentre vola via, dalla parte opposta, lontano dall'aereo schiantatosi nel cantiere abbandonato appena davanti a voi, lontano dalle Sentinelle della Pace che fissano il cielo mentre aspettano chissà cosa, lontano dalla figura a metà tra creatura marina e obbrobio umanoide che si staglia dal mare sola e fumante come il monte Mauau; sul tetto di un pianeta che affoga i graffiti brillano sulla cima del vostro capannone che si staglia contro il cielo di sangue in cui l'aurora astrale si agita insieme a voi, e la musica urla, urla, urla, e voi ballate, ballate, ballate.




La piscina è un buco chiaro verde-acqua nell'ombra. Ci sono candele ovunque tranne che nelle lanterne sparse in giro, e bastoncini fluorescenti verdi e rossi incastrati a formare scritte e simboli nei buchi della recenzione. Abbondano, spiaggiate, scaraventate fuori dal mare bollente, le Caravelle Portoghesi: i loro tentacoli continuano a iniettare veleno anche dopo la morte, e forse è per questo che fate così tanto casino, perché a furia di correre e ballare ne avete calpestata qualcuna e il dolore lancinante vi provoca fitte improvvise di adrenalina che cercate di smaltire con questa festa per la fine del mondo.


Nikki è seduta su una di quelle balaustre messe alla cazzo di cane.

Kete canta a squarciagola vicino a un mangiacassette.

Atarau balla come se avesse l'argento vivo addosso.

Mika si scatena dopo aver chiamato il suo ragazzo.

Pengi osserva tutti voi dall'alto dello pneumatico di scorta sulla finta tettoia di compensato che vi tiene gli skate e i pennarelli al sicuro dalla pioggia.

Tua cugina vi guarda e sembra divertirsi un mondo.




Un colpo assordante spacca il cielo in due.

Alzate la musica.




Le finestre della città sono ancora illuminate.

Se c'è qualcuno ancora in quei grattacieli non te ne importa.

Il mare è scarlatto.

Sembra ribollire.

Se alteri la tonalità con la macchina fotografica diventa blu, blu brillante, e lo diventa anche il cielo, e la fine del mondo diventa una serata di festa normale.




Un altro colpo.

Ci urlate sopra.




Avete paura, sì, cazzo, avete paura, ma non si può morire spaventati in questo mondo tremendo. Almeno questo, almeno questo ve lo volete tenere: morire felici come pazienti sedati dalla morfina ma coscienti e indiavolati, ballando, saltando, cantado, disegnando, tirandovi skateboard addosso, facendovi foto sceme, buttandovi nella piscina vestiti, lanciandovi dietro lattine vuote, ululando la vostra breve misera vita all'aurora sopra di voi.




Ti guardi intorno: la vostra base è un casino.




Un altro colpo.

Una Sentinella urla.




Ridi forte.




Fortissimo.







Metterete a posto domani.

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