Drag me to hell di michi88 (/viewuser.php?uid=11323)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First signs ***
Capitolo 2: *** Black hero ***
Capitolo 3: *** Eyes ***
Capitolo 1 *** First signs ***
Non
riuscivo più a
pensare alla vittima. Non pensavo alla casalinga, madre di famiglia a
cui avevano sfondato il cranio con una vanga dopo averla stuprata e
torturata per ore.
Ora davanti a me, sul lettino in acciaio, vedevo solo uno scheletro. Un
lavoro. Il mio
lavoro.
Ora, mentre rimettevo insieme i pezzi di un cranio per ricostruirne la
struttura, non vedevo un volto; non pensavo al dolore che sicuramente
nascondevano quei lineamenti. Il dolore e la disperazione che quella
donna doveva aver provato.
Non lo facevo più ormai. Non potevo.
Non potevo, perchè se lo avessi fatto, se avessi ricominciato
a farlo, di certo mi sarei fiondata in quel preciso istante fuori da
quel laboratorio, lasciando tutto alle spalle. E avrei pianto; avrei
cominciato a piangere tanto da morirne.
Quando ebbi finito, appoggiai il barattolo di collante nella vaschetta
alla mia sinistra, per poi togliere la mascherina e gli occhiali
protettivi.
< Angela? >
Dalla stanza adiacente sentii dei passi affrettati farsi sempre
più vicini, finchè da dietro la porta apparve il
viso
acqua e sapone della mia assistente.
< Mi hai chiamato, Bella? >
< Si, Angela. Ascolta, ho appena finito di ricomporre i
frammenti
del cranio della vittima... - controllai il numero sulla targhetta
legata all'alluce destro -...265. >
Angela diede una rapida occhiata ai fascicoli che teneva in mano.
< Wendy Peterson. > Non era una domanda. Semplice
conferma.
< Si, la signora Peterson. Per favore aggiorna la cartella...
> Feci
una pausa, per dare il tempo ad Angela di estrarre la penna dal
taschino del suo camice e appuntare quello che avrebbe dovuto scrivere,
poi proseguii.
< I frammenti dell'osso occipitale sono stati ricomposti.
Al momento dell'analisi è stata individuata
la
presenza di due profondi fori situati nell'osso sfenoide, procurati
alla vittima posteriormente al decesso da un corpo contundente.
Rilevate inoltre la mancanza di un segmento osseo in corrispondenza
della fossa mandibolare e una profonda lesione dell'arcata
sopraccigliare destra.
La causa del decesso è da attribuirsi alle ferite presenti
nell'osso frontale e in quello parietale. > Mentre elencavo ad
Angela gli elementi da aggiungere al referto, controllavo di non
dimenticare nulla, osservando i resti dello scheletro.
< E' tutto? > Angela alzò lo sguardo ad
incontrare il mio, in attesa di una conferma.
< Si, è tutto. > Con un gesto secco mi sfilai
i guanti in
lattice e il camice protettivo. < Senti, il collante dovrebbe
asciugarsi nel giro di qualche minuto. Però mi faresti un
favore
se controllassi prima di riporlo nella cella. Domani passerà
il
coroner. >
< Non preoccuparti, ci penso io! > Le
sorrisi riconoscente per poi gettare un occhio all'orologio sulla
parete. Le 21.28. L'orario "d'ufficio" era stato ampiamente superato,
come ormai accadeva da molto tempo. Troppo.
< Bella, vai a casa. Riposati, sembri molto stanca. Chiudo io.
>
< Grazie, Angela. Ne ho proprio bisogno. >
Afferrai la mia borsa e il giubbotto di pelle dalla sedia, salutai la
mia assistente con un bacio sulla guancia e finalmente uscii da quel
laboratorio.
Non appena mostrai il mio badge di riconoscimento al custode, questo mi
fermò con un sorriso.
< Anche stasera si è trattenuta oltre l'orario, Miss
Swan
> Caro, vecchio Al. Il custode più gentile e
simpatico del
mondo, un omone corpulento e baffuto.
< Già! Purtroppo è un lavoro duro, ma
qualcuno deve
pur farlo! > Rise, allegro di fronte alla mia smorfia di
disappunto.
< Ora vada a riposarsi, dottoressa! Domani si ricomincia da
capo! >
< Oh, non ricordarmelo, ti prego! > Con un ultimo sorriso
e un
augurio di buonanotte lasciai Al e, uscita dall'edificio, raggiunsi la
mia auto.
Nel tragitto verso casa mi trovai a pensare alla giornata successiva.
Finalmente quel giorno, consegnato il referto al dipartimento di
criminologia, non avremmo più avuto motivo di "trattenere" i
resti di quella povera donna e la sua famigilia avrebbe avuto modo di
darle una degna sepoltura.
Cercai di rilassarmi un po' facendo partire il lettore cd e la dolce
melodia che ne uscì riempì l'abitacolo.
Lo squillo del cellulare ruppe l'idillio dopo pochi minuti.
Angela.
< Non è un buon segno... > Afferrai il
cellulare con la
piccola, vana speranza che si trattasse di un improvvisato
invito
per una birra.
< Angie, dimmi >
< Tesoro...scusa... > Il tono di reale dispiacere mi fece
ridacchiare.
< Non preoccuparti! Spara, che succede? > La sentii
rilasciare un piccolo sospiro prima che tornasse a parlare.
< Ha chiamato il detective Newton... > Decisamente non
era un buon segno.
< Che voleva il caro
Mike? > Questa volta fu lei a ridere del mio tono vagamente
sarcastico.
< Hanno bisogno della tua consulenza. Hanno rinvenuto i resti di
un cadavere vicino al lago Sutherland. >
Il lago Sutherland?
< Angie, lì non ci passa la 101? Se non sbaglio
è la strada che faccio quando vado a trovare Charlie >
< Si, è quella. Senti, Mike ha detto che si tratta di
una cosa urgente e... >
< Si, si, ho capito. Credo che anche per stasera di riposare non
se
ne parli.. > Sbuffai, facendo manovra per fare inversione.
< Mi dispiace, tesoro. Quando hai finito fammi sapere,
così sto tranquilla. >
< D'accordo. Considerato che farò piuttosto tardi,
rimarrò a dormire a casa di mio padre. Ti saprò
dire a
che ora torno domani in base all'entità del caso.
Buonanotte,
Angie. >
< Notte, Bella! >
Chiusi la conversazione, buttando il cellulare sul sedile del
passeggero.
Ecco il motivo per cui non mi ero mai comprata un cane, un gatto o un
qualsiasi altro animale domestico non autosufficente: non sapevo mai
quando e se sarei arrivata a casa la sera.
Al mio stile di vita forse si sarebbe adattata, non so, una tigre del
Bengala. O un ghepardo. Il cibo se lo sarebbe procurato da
sè e
non avrebbe rischiato di morire di inedia.
Io un giorno Mike Newton lo avrei strangolato e avrei occultato il suo
cadavere. Se anche lo avessero ritrovato dopo anni, avrei esaminato io
lo scheletro e avrei liquidato il tutto come "causa del
decesso:
cause naturali".
Premetti ancora sull'acceleratore in modo da mettere fine a quella
serata assurda il prima possibile.
Destinazione finale: Forks.
Grazie alla mia guida, degna dei migliori piloti di un qualsiasi
circuito di Formula 1, il tragitto Port Angeles - Luogo del
ritrovamento non fu eccessivamente lungo.
Parcheggiai accanto ad un' auto della polizia e scesi, mentre
i lampeggianti blu e rossi illuminavano la zona circostante.
Aprii il baule per poi tirarne fuori la mia valigetta da lavoro. Mi
sedetti sul bordo e indossai i fidati stivali di gomma.
< Bella, eccoti! >
Alzai lo sguardo in tempo per vedere il detective Newton dirigersi
nella mia direzione, accennando ad una piccola corsetta.
Dio, ti prego, fa che questa serata finisca presto.
< Ciao Bella! > Mi alzai, sorridendo a Mike, sforzandomi
di risultare cordiale e non tremendamente irritata.
< Mike.. > Cominciai a dirigermi verso il punto dove era
riunito
un gruppetto di poliziotti che tentava di allontanare tre persone in
tenuta da jogging. Sicuramente dei curiosi.
"Se sapeste di cosa si tratta sono certa che la curiosità vi
passerebbe in fretta". Scacciai il pensiero dalla mia testa, sentendo
la presenza di Mike accanto a me.
< Allora, come vanno le cose a Port Angeles? > Mi rivolse
un
sorrisino che non seppi decifrare. Tuttavia da tempo ormai non mi
interessava cercare
di capire i comportamenti di Mike Newton. Più
precisamente da quando sei mesi prima mi aveva rivolto quella proposta
indecente - o meglio, pornografica - convinto si trattasse di un gesto
estremamente romantico.
< Tutto bene. Spero sia lo stesso per te a Forks. > E con
quello
speravo capisse che consideravo chiuso il nostro formale scambio di
convenevoli, perciò affrettai il passo.
< Per favore, fate spazio. Fate spazio alla dottoressa Swan!
SPAZIO!! E' ARRIVATA L'ANTROPOLOGA FORENSE!! >
Mi portai una mano a proteggere il timpano sinistro, girandomi a
guardare Mike.
< Non era necessario nè urlare, nè
presentarmi come se
stessi leggendo il mio biglietto da visita, Mike. Rilassati. >
< Oh... Oh, certo! Sai, com'è...sono appena stato
promosso...è il mio primo vero caso in qualità di
detective.. > Parlava, guardandosi le scarpe e stropicciandosi
la
punta della cravatta a pois.
< Tranquillo. Allora, questo cadavere? > Rimase a
fissarmi negli
occhi con aria da pesce lesso - Dio solo sa cosa stesse immaginando in
quella sua testaccia da porco - finchè non alzai un
sopracciglio
e con un gesto della mano gli suggerii di farmi strada.
< Oh! Vieni con me, te lo mostro. >
Mi portò nei pressi di quello che sembrava un casolare
abbandonato e si fermò accanto ad una recinzione di ferro,
abbattuta in più punti.
Ai piedi di questa c'era un poliziotto con la divisa della squadra
ritrovamenti che mi salutò, mentre accarezzava la testa di
un
cane lupo.
Accanto a lui il terreno era parzialmente smosso.
< Stavamo indagando sulla sparizione di un uomo. In base alle
informazioni in nostro possesso sospettiamo che la vittima potrebbe
essere proprio lui. Ora ci serve ovviamente la tua conferma. >
Annuii, senza però voltarmi a guardare Mike.
Appoggiai la valigetta a terra per poi piegarmi sulle ginocchia e
guardai all'interno della buca scoperta dal cane. Un odore nauseabondo
mi investì, stordendomi.
Dalla valigetta estrassi i guanti in lattice e li indossai.
Quello che mi si presentò davanti fu in grado di farmi
rabbrividire, nonostante fossi abituata a visioni di quel genere.
Il corpo era parzialmente ricoperto da terriccio e foglie secche. I
vestiti, o almeno quel che ne rimaneva, erano ricoperti di sangue
raggrumato. Non semplicemente macchiati. Ricoperti, dalla
testa ai piedi.
La bocca di quel poveretto era spalancata, così come gli
occhi,
mentre le mani sembravano piegate a formare degli artigli.
Controllai se avesse una qualche ferita sul corpo, magari sotto i
vestiti, che potesse giustificare tutto quel sangue, ma non ne trovai.
Che il sangue non fosse il suo? C'era forse un'altra vittima? Non
poteva essere dell'assassino, non sarebbe sopravvissuto con una perdita
di quelle proporzioni e in quel caso avremmo dovuto trovare un altro
corpo non lontano da lì.
La posizione delle gambe era oltremodo innaturale e mi fece pensare che
senza ombra di dubbio erano state spezzate.
< Mike, perchè hai chiamato me? > Mi rimisi in
posizione eretta, guardandolo interrogativa.
< Cosa intendi? > Sembrava confuso, così
decisi di fargli notare un dettaglio a mio parere ovvio.
< Guardalo, Mike. Quest'uomo è ancora...come
dire...in carne! >
Il processo di decomposizione era chiaramente iniziato da poco. Non
capivo davvero perchè avessero contattato me invece di un
medico
legale.
< Io mi occupo di antropologia forense, Mike. Scheletri, non
corpi
con ancora carne e organi all'interno. Da quello che vedo posso solo
dirti che probabilmente la causa della morte è da
attribuirsi a...dissanguamento. Ma dovresti rivolgerti al medico
legale. >
Feci per tornare alla macchina, ma mi fermò.
< Lo so che non è propriamente il tuo campo, ma il
tuo capo e
il mio concordavano sul fatto che questo fosse un lavoro per te, Bella.
In più tu hai un master in medicina legale e dalla tua hai
l'esperienza nonostante la giovane età, perciò
sei in
grado di affrontare questa situazione. >
Maledetto il mio capo, Stan. Ma soprattutto maledetto il capo di Mike.
Mio padre.
< Mike, ascolta. Davvero, credo che dovresti... > Non mi
fece terminare.
< Questo non è un caso come gli altri! Guarda meglio
e ti accorgerai del perchè... Non è il primo,
Bella. Il modus operandi è lo stesso di altri tre casi
finora. O almeno questo è il numero stimato; non sappiamo se
ce ne siano altri. Questo...questo assassino non è un
esibizionista. Non è di quelli che desiderano farsi notare,
non è in cerca di notorietà, perciò
non fa nulla per farci trovare i corpi. Ma allo stesso
tempo non tenta nemmeno di nasconderli. E'...è totalmente
differente da qualsiasi altra tipologia conosciuta! Gli archivi non
mostrano nessuna analogia!! Siamo in alto mare, Bella. In alto mare!
> Quello sguardo serio e il nervosismo che trapelava dalla voce
non si addicevano alla faccia da schiaffi di Mike Newton.
Probabilmente fu quello
che mi convinse a dare un'ultima occhiata.
Mi
piegai per avvicinarmi di più al cadavere. Avevo intravisto
qualcosa.
< Ma che diavolo... >
Se la mia teoria era corretta e quindi quel poveretto era morto
dissanguato...no, non era possibile.
Troppo
piccoli per essere la causa della morte...non poteva essere...
Due fori. Piccoli e abbastanza ravvicinati.
Sul collo, all'altezza della vena giugulare.
Sicuramente
fu quello che vidi che mi convinse a prendere parte a quel caso.
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Capitolo 2 *** Black hero ***
< Allora? Cosa mi rispondi? >
Rimasi a fissare lo scempio che avevo davanti ancora qualche istante,
poi mi decisi.
< D'accordo, Mike. Domattina passerò in centrale:
fammi
trovare pronti i fascicoli dei precedenti casi che presentano queste
caratteristiche. Mi raccomando, non tralasciare nulla. Ho bisogno di
tutte le informazioni in vostro possesso. >
< Benissimo! Sapevo che non ci avresti abbandonati! >
Fece
all'improvviso uno slancio che aveva tutta l'aria di un tentativo di
abbraccio, ma una mia occhiata lo fece desistere. Camuffò il
tutto con un gesto di apparente euforia.
Afferrai la valigetta e mi diressi alla macchina.
< Ora che fai? Vai subito a casa di tuo padre? > No,
Mike. Non ci vengo a bere qualcosa con te.
< Si, sono distrutta. E' stata una giornata interminabile.
>
Con la coda dell'occhio lo vidi annuire. Poi la sua espressione mi fece
intuire che stava pensando a qualcosa da dire. Meglio mettere fine a
quell'inutile cozzare di neuroni.
< Allora a domani, Mike. Buonanotte > Aprii il baule del
mio Mercedes GLK 220 CDI per posare la valigetta.
Maledetto mio padre e le sue manie sulla sicurezza. "Bells,
è una macchina robusta e resistente. Fammi contento, se devi
comprarne una compra questa. E' per la tua sicurezza!"
Robusta e resistente. Come no... era un mostro, ecco cos'era!
Mancava solo il lanciarazzi, il sedile eiettabile e la voce di Kitt ed
ero pronta per uno spin-off di Supercar.
Mentre guidavo a velocità sostenuta verso casa di mio padre,
ripensai al cadavere. Quei fori. Perchè fargli quei due
segni?
Che fosse stato accidentale? No, troppo precisi e netti per essere una
ferita da colluttazione.
D'altro canto come era possibile che fossero proprio quei due fori la
causa del decesso? Troppo, troppo piccoli.
Eppure non avevo riscontrato nessun'altra ferita sul corpo dell'uomo.
Che non fosse morto per dissanguamento? No, di quello ero certa.
E allora cosa diavolo significavano?
Presa dai miei pensieri quasi non mi resi conto di essere arrivata
davanti a casa di mio padre, a Forks.
Mio padre era il capo della polizia di quel paesino sperduto nei
meandri dello stato di Washington. Tremiladuecentoventuno anime. Una
media annuale di trecentoquarantacinque giorni di pioggia. Circa
cinquantasei miglia da Port Angeles.
Oddio, mi mancava già il mio maledetto laboratorio.
Scesi dall'auto e attraversai il vialetto mentre frugavo nella borsa
alla ricerca della mia copia delle chiavi.
Finalmente la ricerca ebbe esito positivo, così entrai.
< Charlie? Sei in casa? > In risposta solo il silenzio
più
assoluto. Poi dal piano superiore sentii un tonfo e una colorita
imprecazione.
Sorrisi scuotendo la testa e, dopo aver appoggiato le mie cose sul
divano del salotto, raggiunsi l'origine di quel trambusto.
Non appena mi affacciai alla porta della camera di mio padre, la scena
che mi si presentò davanti mi lasciò interdetta.
Una sedia giaceva capovolta sul pavimento ai piedi del letto e accanto
ad essa c'era uno scatolone, il cui contenuto - più che
altro
fogli - era sparpagliato a terra.
In mezzo a tutto quel casino un Charlie dolorante che si massaggiava il
fondoschiena.
< Maledettissima accozzaglia di legno... che cosa... ma porca di
una... >
< Charlie? > Al mio richiamo divertito, il testone
corvino di mio
padre si voltò con uno scatto nella mia direzione. Dopo un
primo
momento di confusione, dovuto probabilmente alla sorpresa di vedermi
lì a quell'ora e soprattutto senza preavviso, si rimise in
piedi
e si spolverò i pantaloni.
< Bells! Che sorpresa...come mai da queste parti? >
Nonostante
tentasse di non darlo a vedere, la sua espressione imbarazzata mi fece
capire che non fosse entusiasta di essersi fatto beccare da me ad
imprecare contro una sedia da cui - logicamente - era caduto da solo,
senza che questa potesse avere una qualche responsabilità.
< Come se non lo sapessi... > Gli lanciai un'occhiataccia
piuttosto eloquente. Era stato proprio lui, insieme al suo caro
amico Stan a fare il mio nome per quelle indagini. Non gli avrei
risparmiato una bella lavata di capo, ma in quel momento mi premeva
conoscere la ragione che lo aveva portato ad inveire contro una sedia,
mentre si massaggiava il lato B.
< Si può sapere che stavi facendo in piedi su quella
sedia, Charlie? >
< Papà... - fu il suo turno di lanciarmi
un'occhiataccia, ma
si riprese subito. Probabilmente si stava rassegnando all'idea che
l'avrei continuato a chiamare principalmente con il suo nome di
battesimo - non stavo facendo nulla, volevo solo prendere una cosa
nello scatolone sopra l'armadio. Tutto qua. > Si
chinò a
raccogliere il contenuto della scatola che si era rovesciato in seguito
alla caduta e io andai ad aiutarlo.
< E di preciso cosa stavi cercando? > Tra le mani mi
ritrovai tutti libretti di istruzioni di elettrodomentici.
< Ma niente, cercavo le istruzioni di quella stramaledetta
trappola
che non vuole saperne di funzionare! > Ridacchiai quando lo
sentii
sbuffare e tornare a lanciare maledizioni contro gli oggetti inanimati
della casa.
< Ancora il forno? > Non riuscivo proprio a smettere di
ridacchiare e per questo mi beccai un'altra occhiata storta.
< No...stavolta è la lavatrice > Lo disse
talmente a bassa
voce che lo sentii solo perchè avevo un buon udito. Stavo
per
rimettermi a ridere, ma mi costrinsi a non farlo, un po' per non
metterlo ulteriormente in imbarazzo, un po' per non infastidirlo.
< Senti, che ne dici se alla lavatrice ci penso io domani e ora
invece non scendiamo di sotto così mi preparo qualcosa? Non
tocco cibo da stamattina, tu hai cenato? > Rimisi i libretti
nello
scatolone per poi spostarlo con un piede verso l'armadio.
< Veramente ancora no. Sono tornato venti minuti fa dal lavoro.
> A proposito di lavoro..
< Bene, allora andiamo giù che ti cucino qualcosa e
nel
frattempo mi racconti un po' cosa vi ho fatto di male, a te e a Stan, per
meritarmi tutte queste attenzioni
da parte vostra! > E così prendendolo sottobraccio e
ignorando i suoi borbottii imbarazzati, scendemmo le scale diretti in
cucina.
< Quindi pensi di accettare l'incarico? > Mi
guardò attentamente, bevendo un sorso di vino.
Avevamo finito di cenare da poco e ora parlavamo del caso che mi aveva
portata lì. Io nel frattempo stavo mettendo in ordine la
cucina.
Prima di rispondere scossi la testa ma un sorrisino fece capolino sulle
mie labbra: avevo passato l'ultima mezzora a chiedergli
perchè
tutte le volte che si presentava un caso complicato e misterioso, in
cui nessuno sembrava riuscire a capire nulla, io venivo sempre messa in
mezzo. Il più delle volte, tra l'altro, si trattava di casi
ben
lontani dalla mia sfera di competenza.
Tuttavia ogni santa volta ricevevo in risposta un sorriso e frasi tipo
" Ma,
figlia mia, tu sei molto brava nel tuo lavoro e per questo hai la stima
di molti colleghi e quella delle forze dell'ordine. Stan ha molta
fiducia nelle tue capacità. E io come lui " oppure
"
Non dirmi che questo caso non ha solleticato nemmeno un po' la tua
proverbiale curiosità! Bells, sei mia figlia e ti conosco:
non
resisteresti, devi sempre trovare la verità e svelare i
misteri
che trovi sulla tua strada. Lo faccio per farti un favore! "
Come no! Volevano il mio aiuto per risolvere l'ennesima mattassa
aggrovigliata che nessun altro era riuscito a districare.
Tornai alla conversazione lasciata in sospeso.
< Tanto sai già la risposta.... comunque si, ho
deciso di
accettare. Domani verrò con te in centrale a prendere i
fascicoli. > Non mi lasciai sfuggire il sorriso soddisfatto di
mio
padre, nonostante avesse tentato di nasconderlo portandosi la mano
chiusa a pugno davanti alla bocca.
< Bene. Bene, mi fa piacere. Sono sicuro che tu, come al solito,
riuscirai a far luce su tutta la faccenda. >
Subito l'immagine di quei due piccoli buchi sul collo del poveretto
trovato morto tornò alla mia mente.
< Non lo so, papà. Ho l'impressione che questa volta
ci sia
qualcosa di diverso. Temo sarà più complicato del
previsto... > Ero talmente assorta che a fatica udii la domanda
di
mio padre.
< Che intendi? Hai già scoperto qualcosa? > Il
suo volto pensieroso mi ridestò.
< No, ancora nulla. Solo una cosa che mi ha dato da riflettere.
Ti
spiace se ne parliamo domani? Sono molto stanca e vorrei riposarmi: ho
l'impressione che la giornata di domani non sarà affatto
più facile di questa. Anzi... >
< No, certo hai ragione. Coraggio, vai a dormire. La tua stanza
è sempre lì ad aspettarti > Mi sorrise e
io ricambiai
per poi dargli la buonanotte e salire le scale.
Arrivata nella mia vecchia stanza, non mi guardai nemmeno intorno. La
stanchezza mi arrivò addosso tutta insieme, così
mi
spogliai in fretta, indossando poi dei pantaloni grigi di una tuta e
una maglietta viola che presi in un cassetto. Mi fiondai in bagno a
lavare i denti per poi tornare in camera e mi buttai a peso morto sul
comodo lettone.
< La doccia domattina... > Ero talmente stanca che,
mentre
biascicavo quella promessa fatta a me stessa, avevo già gli
occhi socchiusi.
E, nonostante non riuscissi a levarmi dalla testa quei due maledetti
fori, il sonno prese il sopravvento e così in pochi minuti
mi
addormentai.
Il mattino seguente, dopo la doccia tanto agognata e una veloce
colazione, io e Charlie uscimmo di casa e lo seguii fino alla centrale
con la mia auto.
Avevo moltissimi ricordi legati a quel posto, sin da quando ero una
bambina. Passavo più tempo lì che a casa e
probabilmente
quello aveva influito molto sulle mie scelte di vita.
Quando arrivammo scesi dall'auto ed entrai insieme a mio padre nella
piccola stazione di polizia.
Più o meno era rimasto tutto invariato dai tempi
in cui
portavo le treccine e venivo coccolata e presa in braccio dai colleghi
di papà.
< Charlie, buongiorno! Oh, ma chi vedo?! Isabella!! >
Finn,
l'amico storico e collega di mio padre da sempre, mi venne incontro a
braccia aperte non appena mi vide.
< Finn! E' bello rivederti! > Gli sorrisi sincera
ricambiando
l'abbraccio in cui mi cinse vigorosamente. Dopo avermi baciata sulla
fronte mi lasciò andare.
< Anche per me è un piacere, piccola. Non ci vediamo
da mesi
ma sei sempre più bella! Ad una ragazza giovane come te si
può ancora chiedere...quanti anni hai ora? >
< Ne ho compiuti 25 due mesi fa, il 13 settembre. >
Sorrisi, divertita.
< Una splendida giovane donna, i miei complimenti Charlie. Devi
esserne molto orgoglioso! > Si rivolse a mio padre che, da
quando
eravamo entrati, ci fissava sorridendo ad ogni scambio di battute. A
quell'ultima frase iniziò a grattarsi imbarazzato la nuca.
Mio
padre era fatto così...nessuno dei due in effetti si sentiva
a
suo agio in situazioni di questo tipo, soprattutto se si trattava del
nostro rapporto padre-figlia.
Tuttavia mi rivolse uno sguardo pieno di affetto e ammirazione.
< Si. Lo sono davvero. > Non riuscii ad impedirmi di
sorridere felice e lusingata.
< Capo Swan, ha chiamato Jedediah Palmer..dice che..
> Un ragazzo entrò nella stanza per poi bloccarsi non
appena
ci vide.
Doveva avere la mia età, al massimo qualche anno in meno, ma
era decisamente... imponente.
Alto almeno un metro e ottantacinque, capelli neri corti e occhi vispi
e accesi, un corpo scolpito dai muscoli. Tuttavia il suo viso ancora
infantile rivelava la sua reale età.
Nel complesso un bel ragazzo.
< Oh, Jacob! Vieni, ti presento mia figlia Isabella. Bells,
questo
è Jacob Black, un recente quanto promettente acquisto della
centrale! >
Mi voltai verso il ragazzo con un sorriso e allungai una mano verso di
lui per completare le presentazioni.
Tuttavia lui sembrava imbabolato. Continuava a fissarmi con gli occhi
quasi spalancati, mentre teneva tra le mani dei fogli che andavano via
via stropicciandosi sotto la sua presa ferrea.
Sempre con la mano a mezz'aria lanciai un'occhiata interrogativa a mio
padre che distolse lo sguardo dal viso di Jacob, guardandomi e alzando
le spalle come a dirmi che nemmeno lui ci capiva molto.
Tornai a guardare il ragazzo-statua e feci per abbassare la mano quando
lui con uno scatto in avanti la afferrò, muovendola su e
giù freneticamente.
< E' un piacere conoscerla, signorina Swan. E' davvero un onore.
La
seguo sempre, sa? Cioè...intendo nel suo lavoro...non
è
che io la pedini o cose del genere! Insomma, seguo sempre le notizie
che la riguardano....in ambito lavorativo, s'intende!... La trovo
fantastica...professionalmente!! ...Io... >
< Quello che il nostro Jake sta tentando di dire è
che ti
ammira molto come antropologa forense e segue con attenzione le notizie
su di te. Sai...dopo quella storia sei diventata famosa e tutti qui a
Forks leggono i quotidiani di Port Angeles. Sono molto orgogliosi che
tu sia originaria di qui. > Mio padre mi sorrise comprensivo,
mentre
Jacob finalmente mollò la presa, restituendomi la mano un
po'
indolenzita, e abbassando il capo dall'imbarazzo. Povero...
Quella storia.
Già. Mi perseguita da due anni oramai.
Probabilmente Charlie notò il mio sguardo assorto
perchè
volle distrarmi, cominciando a chiedere di Mike per avere i fascicoli.
< Oh, allora Bella hai deciso di darci una mano! Meraviglioso,
meraviglioso! Con te al nostro fianco sarà tutto
più
facile! > Sorrisi dell'entusiasmo del vecchio Finn, ma mi sentii
a
disagio a causa dello sguardo di quel ragazzo, Jacob. Sebbene non lo
stesso guardando, sentivo i suoi occhi puntati addosso come dei fari.
Fortunatamente l'arrivo di Mike portò la mia attenzione
altrove.
< Buongiorno capo Swan! Bella, è bello rivederti.
> Si, si. Basta ciarlare Mike. Dio, quanto è lecchino!
< Mike > Non sorrisi, meglio rimanere neutri con Mike
Newton.
Anche solo uno stupido sorriso ed ecco che si immagina già
fiori
d'arancio e pargoli al seguito.
< Newton, hai portato i fascicoli? > chiese Charlie.
< Si, sono tutti qui. Se vuoi Bella puoi venire nel mio ufficio
a
studiarli. > Levati subito quel sorrisino da quella faccia da
schiaffi che ti ritrovi.
< No, preferisco cominciare subito. Andrò nei luoghi
dei
ritrovamenti e leggerò i fascicoli uno ad uno sul posto.
>
Feci per salutare i presenti, mentre afferravo i fascicoli dalle mani
di Mike, quando una voce bassa e impacciata attirò
l'attenzione
di tutti.
< A proposito del caso... > Quattro teste si voltarono
contemporaneamente verso l'origine di quella voce e ci ritrovammo a
fissare un Jacob un tantino intimorito.
< Che c'è, Black? > Mike. Il solito arrogante.
< Ecco... prima, quando sono entrato, era per dire al capo Swan
che
ha chiamato Jedediah Palmer, il proprietario dell'officina,
giù
vicino al molo. >
< E...?! > Sbottò Mike irritato dalle pause
che prendeva il suo sottoposto.
< Mike, se magari lo lasci finire riusciremo a scoprire
qualcosa,
che dici? > Mike mi guardò sbuffando per poi
acconsentire,
mentre Jacob mi rivolse uno sguardo colmo di gratitudine. Povero, mi
faceva pena vederlo mortificato, da Mike per di più!
< Dicevo... pare che ci sia un'altra vittima. Palmer l'ha
trovata ad una trentina di metri dalla sua rimessa. >
Tutti ci gelammo sul posto. Un'altra. E a pochissimo di distanza
dall'altra vittima. Maledizione!
< Vado subito. Devo accertarmi di una cosa. >
Chissà se...
< Vengo con te, Bells. Newton, vieni anche tu. >
< Si, capo. >
< Vi aspetto fuori. > Detto questo uscii dalla centrale,
non prima di aver salutato Finn e l'agente Black.
Quello sguardo continuava a mettermi a disagio.
Hysteria
- Muse
Una volta fuori l'aria frizzante di novembre mi costrinse a stringermi
nella giacca di pelle. Mancava poco più di un mese a Natale
e il
freddo pungente caratteristico di Forks già si faceva
sentire.
Le strade erano coperte da un sottile strato di ghiaccio.
Mi avvicinai all'auto fino a portarmi accanto alla portiera del posto
di guida e tirai fuori le chiavi dalla borsa.
Quello che accadde pochi istanti dopo successe in un battito di ciglia
senza darmi il tempo di reagire.
Un forte stridìo di gomme a pochi metri da dove mi trovavo
mi
fece voltare di colpo. Mi trovai gelata dalla paura mentre guardavo
quel grosso furgoncino blu slittare sull'asfalto e dirigersi senza
controllo verso di me.
Un unico pensiero.
Non riuscirò
mai a spostarmi in
tempo.
In un secondo qualcosa sfrecciò accanto a me, mi sentii
afferrare bruscamente per la vita e trascinare a terra. Non riuscivo a
staccare gli occhi dalla carrozzeria del furgone che vedevo
avvicinarsi sempre di più. Ma non successe tutto come nei
film,
niente slow-motion con la vita che ti passa davanti agli occhi come un
collage di immagini sfocate.
Un battito d'ali, un sospiro. E tutto finì.
La fiancata del furgone si trovava ad una decina di centimetri dal mio
viso.
Una mano era appoggiata alla portiera accartocciata.
Accartocciata.
Come un sottile foglio di alluminio.
Lentamente alzai lo sguardo.
Due occhi. I più sorprendenti che avessi mai visto. Ambra e
oro
fusi a formare due pozze profonde attraversate da piccole
scaglie
nere. Probabilmente fu a causa dello shock, ma mi sembrò di
vederle sciogliersi come piccole gocce d'inchiostro, per poi espandersi
lentamente fino a sostituire quel caldo e rassicurante colore ambrato.
Prima un campo di grano accarezzato dal sole... poi ali nere di rapace.
Il tutto era circondato da un viso perfetto. Una mascella squadrata e
virile, un naso dritto, una bocca sottile e meravigliosa, capelli
ramati e brillanti scomposti in ciocche magistralmente scompigliate. Un
corpo snello ma terribilmente possente e virile che mi teneva stretta
a sè in una morsa d'acciaio.
Restai a fissare quegli occhi che risposero prontamente al mio sguardo.
Quegli occhi.
Non saprei dire quanto passò dallo stridìo
agghiacciante
delle gomme sull'asfalto a quell'istante, ma ad un certo punto il mio
salvatore sconosciuto lasciò la presa intorno alla mia vita,
appoggiandomi delicatamente a terra e si rimise in piedi, poi dopo
un'ultimo sguardo, tanto intenso da lasciarmi stordita, con un balzo
agile e felino scavalcò il punto in cui il furgoncino e la
mia
auto erano accostati e sparì dalla mia vista.
Come se qualcuno avesse riattivato l'audio nella mia testa, le voci
intorno a me esplosero, preoccupate, angosciate. Gridavano il mio nome.
< BELLS!!! BELLA!!! >
In un attimo mio padre mi fu accanto chiedendomi come stavo e se mi ero
fatta male. Sbraitava contro il conducente del furgoncino che tentava
invano di scusarsi con voce rotta, spiegando che non era riuscito a
controllare il mezzo per via del ghiaccio. Urlava a Mike di chiamare
un'ambulanza mentre i suoi
colleghi si radunavano intorno a noi. Cercai di riprendermi e
riacquistare la voce.
< Cha...Charlie. Non è necessario. Non serve
l'ambulanza... > Faticai anche io a sentire le mie parole.
< Bells, non dire sciocchezze! Sei quasi finita schiacciata da
un
furgone! > Era agitato e gesticolava a destra e a manca. Tutti
erano
preda di una frenesia fatta di paura e preoccupazione.
< Papà - a quel richiamo parve calmarsi un attimo e
si
voltò verso di me - tranquillo, sto bene. Certo, se non
fosse
stato per quel ragazzo probabilmente ora non sarei qui a parlarti, ma
come vedi invece va tutto bene. Mi sono solo presa un colpo. >
Tentai di sorridere per rassicurarlo, ma il suo sguardo si fece confuso.
< Di che ragazzo stai parlando, Bells? Noi non abbiamo visto
nessuno, tesoro. > Subito ricambiai il suo sguardo con uno
altrettanto confuso.
< Che? Papà, come hai fatto a non vederlo?! Era qui
fino ad
un secondo prima che voi arrivaste...poi è corso via...
> Ero
certa di non essermelo immaginato. L'impronta della mano sulla fiancata
ne era la prova.
< Bells...non vedo come sia possibile. Quando abbiamo sentito il
trambusto ci siamo subito precipitati fuori. Non saranno passati
più di trenta secondi! >
< Ma....ma guarda la portiera, Charlie!! L'impronta...come pensi
che mi sia salvata?! >
Perchè ora mi guardavano tutti come se avessi detto di aver
visto passare un elefante su un monociclo?!
< Tesoro, forse è meglio andare in ospedale. Devi
essere un po' frastornata.. >
< O per l'amor del cielo, Charlie!! So quello che ho visto e non
ho
battuto la testa! Come spieghi quell'impronta, se no?! > Charlie
si
voltò verso il furgoncino e rimase a fissare l'ammaccatura
per
qualche istante, poi riportò l'attenzione su di me.
< Bells, probabilmente hai agito d'istinto e ti sei spostata
quanto
bastava per far sì che andasse a sbattere contro la tua
auto.
>
< Ma davvero?! E allora come spieghi il fatto che sulla mia auto
non ci sia nemmeno un graffio?! >
Ah-ah! Ora si che non sapete come rispondere!!
Sorrisi soddisfatta nel vedere i loro volti perplessi.
Tuttavia l'euforia per quella piccola vittoria che era servita a
provare la mia sanità mentale durò poco,
perchè
subito mi ritrovai a riflettere sull'assurdità di quella
situazione.
Certo, quel ragazzo non me lo ero sognato, tuttavia....come diavolo era
riuscito a fermare quel furgone, che al momento dell'impatto andava
quantomeno a cinquanta chilometri orari, con una mano?!
Era decisamente...impossibile!
Allora come? Come?!
Declaimer: i
personaggi non mi appartengono, sono frutto della brillante mente di
Stephanie Meyer. La storia non è scritta con alcuno scopo di
lucro e con essa non intendo offendere nessuno. Ogni dettaglio
è frutto di questa mente un po' strana. ^^
Allora,
prima di tutto volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto il primo
capitolo. Ovviamente dovrò aspettare il riscontro del
secondo per vedere se davvero non era solo curiosità
iniziale la vostra...delusa poi da quello che ho "partorito" nel
secondo.
Tuttavia spero che verrà apprezzato. Io l'impegno ce l'ho
messo tutto! ^^
Non scrivo per ricevere recensioni o apprezzamenti, ma per il puro
piacere di farlo. Perchè io adoro scrivere. E' qualcosa a
cui non riesco a rinunciare. E' ovvio che sapere che a voi piace tanto
quello che scrivo da volermelo far sapere mi riempie di gioia, ma non
vi chiederò mai di farlo. Non vi "minaccerò" di
smettere di postare solo perchè non riceverò un
tot di recensioni, perciò non preoccupatevi, fatelo solo se
ne avete voglia.
Io ne sarò felice e vi risponderò. ^^
Le canzoni che abbinerò mano a mano ai vari capitoli non
hanno un nesso particolare con essi, non sempre almeno. Sono solo
canzoni che adoro e che mi danno ispirazione.
Voglio ringraziare di cuore chi ha commentato il primo capitolo.
Myname89 : grazie mille cara! sono contenta che ti piaccia. Spero di
non aver deluso le tue aspettative. Un bacio e grazie ancora.
Dod: Tesoro mio!! Che gioia sentirti! Sei sempre dolcissima, non manchi
mai di lasciarmi un commento. Sei un po' di parte, ma so che sei
sincera. Non avresti motivo di mentire.^^
Non voglio
deluderti perciò mi impegnerò al massimo in ogni
capitolo, in ogni parola e in ogni sillaba. Sarai fiera di me!
Grazie ancora,
stellina! Un bacio grande grande!
Grazie mille anche a chi ha messo la storia nei preferiti:
kiakki94
kokochan
PATRIZIA70
__cory__
E grazie a chi l'ha messa tra le seguite:
bell
CHEWBE
chicchi
Lena89
mikkettina
Myname89
Shy88
Grazie. Grazie.
Solo una domanda: vorrei che mi diceste se i capitoli sono troppo
lunghi o se vanno bene così.
Alla prossima.
Andy, per servirvi.
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Capitolo 3 *** Eyes ***
Nonostante non sia sicura che
dopo tutto
questo tempo ci sia ancora qualcuno disposto a leggere, io ci provo.
Ho avuto parecchie ragioni - più o meno serie - che mi hanno
impedito di portarla avanti prima.
Non starò qui ad elencarle. Posso dire che non ho intenzione
di metterci più tutto questo tempo per aggiornare.
Spero solo abbiate voglia di provare a darmi fiducia ancora una volta.
Bon, a voi l'ardua sentenza.
Impiegai diversi minuti per
convincere Charlie che no, non avevo battuto la testa contro l'asfalto
e no, non vedevo uccellini azzurri e stelline girarmi in tondo sopra la
testa.
Riuscii addirittura ad evitarmi il giro in ambulanza, solo dopo essermi
sottoposta alle prove di mio padre che, a parer mio, assomigliavano
tanto alla procedura che usava quando fermava un auto e sospettava che
il conducente fosse in stato di ebbrezza.
L'ambulanza fu chiamata per il povero malcapitato alla guida del
furgone che stava per trasformarmi in una frittella. Nell'urto si era
procurato un grosso taglio sopra l'occhio destro e potevo solo
immaginare il mal di testa che ne sarebbe seguito e al quale, ero
sicura, avrebbe contribuito lo sceriffo con una delle sue ramanzine.
Stranamente riuscii anche a convincere Charlie a restare alla centrale
per occuparsi delle scartoffie relative all'incidente e, di
conseguenza, a lasciarmi andare da sola al luogo dell'ultimo
ritrovamento.
Ovviamente, come condizione, dovetti promettere che sarei passata prima
all'ospedale a farmi
dare una controllata. Giurai che ci sarei andata,
premurandomi di tralasciare nella mia promessa la parola "prima".
Lui parve non accorgersene e io mi sentii autorizzata a non sentirmi in
colpa.
Nonostante il pensiero dell'assurda apparizione di quel ragazzo mi
ronzasse ancora in testa, decisi di accantonare momentaneamente la
faccenda per concentrarmi sul caso.
Ci avrei ragionato più tardi.
Parcheggiai davanti all'officina del signor Palmer, recuperai dal
sedile del passeggero valigetta e giacca e scesi dall'auto.
La zona era molto tranquilla, nessun rumore a parte lo
sciabordìo pacato dell'acqua, dato dalla vicinanza del molo
e il
verso di qualche gabbiano di passaggio. Sarebbe potuta sembrare una
zona disabitata se non fosse stato per i due vecchietti seduti davanti
alla vetrina del vecchio Fred, il barbiere. Vedendomi, interruppero il
loro fitto chiacchiericcio e seguirono con lo sguardo la mia figura,
mentre camminavo verso l'officina distante una ventina di chilometri.
Alzai il braccio in segno di saluto e in cambio ricevetti due cenni
accennati del capo. Sentii i loro sguardi piantati tra le scapole
finchè non attraversai l'ingresso.
L'interno era esattamente come la si potrebbe immaginare: uno spazio
mediamente grande, decisamente poco ordinato e disseminato di attrezzi,
pezzi di ricambio - a terra e su tavoloni di legno - e olio. Olio da
motori che chiazzava ovunque il cemento grezzo del pavimento e il cui
odore forte impregnava l'aria. Un paio di auto erano parcheggiate verso
il fondo del locale, pronte per essere controllate. A vederle,
tuttavia, sembravano più che altro pronte per lo
sfasciacarrozze.
Sembrava non ci fosse nessuno ma un forte e continuo rumore metallico
mi suggerì il contrario. Feci qualche passo avanti e, da
sotto
una delle sue auto, vidi spuntare due gambe fasciate da un paio di
vecchi jeans logori e macchiati di scuro in più punti.
Mi schiarii la gola per palesare la mia presenza e subito il clangore,
provocato dagli attrezzi, cessò.
“Eccomi, arrivo subito!” La voce arrivò
attutita da sotto il veicolo.
Il carrellino su
cui era sdraiata la figura scivolò in avanti e
le ruote produssero un cigolìo abbastanza fastidioso.
L'uomo si
alzò a fatica. Doveva avere all'incirca settant'anni,
i capelli bianchi e radi, chiazzati di grigio in alcuni punti. La barba
folta e lunga copriva parte della salopette che indossava e che,
probabilmente, in passato non lo strizzava nell'area dell'addome come
invece faceva ora. L'impietoso
scorrere del tempo.
Il suo sguardo
curioso e attento mi riscosse dai miei pensieri, così
allungai una mano verso di lui.
Mi sorrise cordiale, facendomi notare però le condizioni
delle
sue, mentre tentava inutilmente di ripulirle dall'unto con un vecchio
straccio che forse un tempo era stato bianco.
Risposi con un sorriso, abbassando la mano.
“Buongiorno,
lei è Jedediah Palmer?”
“In
carne, ossa e artrosi, Miss!” disse con un curioso
accento texano.
“Piacere,
signore. Mi chiamo Isabella Swan, sono qui per la telefonata che ha
fatto quasta mattina alla centrale.”
Un lampo di consapevolezza illuminò i suoi occhi, seguita
anche
da quella che mi sembrò un'ombra di terrore nel sentire la
parte
finale della mia frase.
“Oh,
Swan! Lei dev'essere la dottoressa, la figlia del buon Charlie!
Ne parla spesso, sa? Ho letto qualche articolo su di lei e sul suo
lavoro. Sa, mia moglie - Peggy Sue - è un'appassionata di
queste
cose. Conosce a memoria ogni battuta di ogni puntata della Signora in
Giallo! Impressionante, mi creda!” sorrisi, divertita
dall'incompatibilità tra me e Jessica Fletcher e le
rispettive
professioni.
“Sono
io, signore. Alla centrale c'è stato un piccolo - uhm - imprevisto,
ma a breve arriveranno degli agenti per circoscrivere la zona a dovere.
Io sono un'antropologa. Collaboro spesso con la polizia in queste
situazioni.” specificai, notando lo
sguardo confuso dell'uomo al
termine "antropologa". “Avrei bisogno di dare
un'occhiata al...vorrei
che mi mostrasse quello che ha rinvenuto.”
Evitai di nominare il termine cadavere,
dato che il pover'uomo sembrava già sufficentemente scosso
all'idea di tornare sul luogo.
“Oh,
certo...certo. Le-le faccio strada, Miss.” balbettò
flebilmente. Appunto.
Uscimmo dall'officina e mi condusse verso una vacchia rimessa distante
una decina di metri. Andammo sul retro e a quel punto l'incedere
dell'uomo si arrestò quasi di colpo. Si girò
verso di me,
mentre i suoi occhi saettavano ovunque come impazziti, senza posarsi
mai su qualcosa di preciso e le mani torturavano lo straccio sporco
d'olio che ancora stringevano.
“E'
là, qualche passo più avanti...Io...Io non...” La
voce gli usciva tremante, così lo raggiunsi e posai una mano
sulle sue, fermandole.
“Stia
tranquillo, signor Palmer. Non deve venire con me. Perchè
non torna in officina? Prima ho interrotto il suo lavoro.” gli sorrisi
incoraggiante, stringendo un po' la presa.
Mi rispose con un sorriso tirato ma chiaramente riconoscente e, con un
cenno del capo, ritornò indietro decisamente spedito per un
vecchietto affetto da artrosi.
Quando lo vidi sparire all'interno, mi diressi dove mi aveva indicato.
Intorno a me l'erba era giallognola e secca in diversi
punti, alta e incolta. Tuttavia non dovetti faticare molto per trovare
quello che
cercavo. Poco più in là, l'erba era piegata a
formare uno
spiazzo circolare. Al suo interno un corpo immobile.
Mi avvicinai maggiormente e potei constatare che si trattava di una
donna. I vestiti, strappati in più punti, erano sporchi ma
questa volta non c'erano tracce di sangue su di essi.
Mi piegai sulle ginocchia, appoggiando a terra la valigetta ed
estraendo i guanti in lattice per poi indossarli.
Ad una prima occhiata, la donna doveva avere intorno ai quarantacinque
anni. Le braccia erano strette al petto, come a proteggersi, e le gambe
erano piegate verso l'addome. Con cautela spostai leggermente il viso,
girato di lato verso il terreno, e scostai i capelli scuri che
coprivano il collo.
Ed ecco che il dubbio che - come un tarlo - mi aveva tormentato da
quando avevamo ricevuto quella telefonata, divenne una certezza.
Due fori.
Identici a quelli dell'altra vittima.
In quel momento sentii il rumore di pneumatici avvicinarsi. Mi rialzai,
presi l'IPhone dalla tasca dei jeans e scattai una foto al corpo e una
nel dettaglio ai due segni. La
polizia ne avrebbe fatte altre per il caso, ma io ne avevo bisogno
subito. Dovevo mostrarle a qualcuno e quella era la mia tappa
successiva.
Mi allontanai, tornando verso l'officina. Mentre mi avvicinavo, scorsi
mio padre e Mike parlare con il signor Palmer, mentre altri due agenti
scaricavano il necessario dalle auto della polizia.
“Charlie.”
Mio padre
alzò il viso dal taccuino su cui, con ogni
probabilità, stava appuntando le informazioni fornitegli da
Jedediah.
“Bells.
Stavamo per raggiungerti.” fece cenno di aspettare
ai due
uomini e mi raggiunse. Ci spostammo di qualche passo per evitare al
signor Palmer i dettagli.
“Allora,
che mi dici?”
“E'
una donna, sui quaranta. Stessi segni.” risposi, grave e
concisa.
Charlie mi fissò, uno sguardo deciso ed inequivocabile
quanto la domanda implicita che celava.
Non esitai a rispondere.
“Temo
che ci troviamo davanti ad un seriale, papà.”
Rimase a guardarmi immobile per qualche secondo, poi con uno sbuffo si
passò una mano tra i capelli, grattandosi la nuca. Era teso,
preoccupato e decisamente confuso.
In effetti l'idea di un serial killer in un paesino come Forks aveva
dell'incredibile.
“Ok,
mando i ragazzi.” fece un cenno a Newton,
che richiamò i due agenti e si diressero tutti e tre verso
la rimessa.
“Papà,
io devo andare in un posto. Devo chiedere un parere ad
un vecchio amico. Ci vediamo più tardi a casa, va bene? Ho
l'impressione che per un po' dovrò restare.” dissi, con un
sorriso amaro.
“D'accordo,
Bells. A dopo. Ah!” mi richiamò
quando avevo
già fatto qualche passo verso la mia auto. “Che ti ha detto il
dottore?”
Purtroppo ci misi qualche secondo di troppo a collegare e il mio
sguardo confuso dovette tradirmi, perchè Charlie mi rivolse
un'
occhiata di rimprovero.
“Bells...” il tono era sicuramente
di rimprovero, misto però anche a rassegnazione.
“Ci
sto andando. Guarda: sto andando...” sorrisi furba, aprendo
lo sportello dell'auto.
Misi in modo, ridendo alla vista dello sceriffo che scuoteva la testa,
mentre si incamminava verso il signor Palmer.
Fermai l'auto nel parcheggio davanti all'ospedale. Recuperai la borsa e
scesi.
Mentre mi incamminavo verso l'entrata, vidi uscire due figure, un uomo
e una donna. A giudicare dall'aspetto dovevano avere più o
meno
la mia età.
Il ragazzo aveva il viso teso e lo sguardo di uno che avrebbe preferito
andare in guerra piuttosto che rimettere piede in quel posto. Era
biondo, alto e snello. Decisamente bello. La ragazza lo teneva a
braccetto, sorridendo e accarezzandogli lentamente il braccio. Aveva i
capelli neri e corti, scompigliati ad arte. Era minuta e aggraziata.
Pronta per salire su una passerella. Senza dubbio innalzavano
drasticamente il livello estetico della città, considerando
la
media di Forks.
Quando ci trovammo a pochi metri di distanza, vidi lei alzare lo
sguardo e puntarlo senza esitazione nel mio. Il suo sorriso si
allargò ulteriormente e, non appena fummo spalla contro
spalla,
parlò.
“Buona
giornata, Bella!”
Mi fermai immediatamente, voltandomi confusa a guardare le loro schiene
allontanarsi. Salirono su una Mercedes nera e partirono.
Rimasi imbambolata a fissare l'auto, finchè la vidi svoltare
ad un incrocio e sparire.
“Cosa...?”
Ero certa di non
conoscere quella ragazza. Ne ero più che
sicura, la mia memoria fotografica era uno dei miei punti forti. Allora
come?
Certo, Forks era un piccolo paesino. Le persone si conoscevano tutte e
sapevano tutto di tutti. Ipotizzai che avesse sentito parlare della
figlia
dello sceriffo. Eppure un particolare stonava.
Mi aveva chiamata Bella. E quello era un soprannome che solo le persone
a me più vicine conoscevano e usavano.
Ripresi a camminare, entrando nell'edificio scuotendo la testa,
frastornata.
Quella giornata stava diventando ogni minuto più strana.
“Buongiorno,
posso esserle utile?”
L'infermiera al banco accettazione mi sorrise cordiale. Era una donna
sui cinquant'anni, un viso tondo e paffuto e un'espressione tanto
gentile.
“Si,
la ringrazio. Se fosse possibile avrei bisogno di parlare con un
medico. Ho avuto un piccolissimo incidente stamattina e, avendo un
padre abbastanza apprensivo, vorrei controllare che sia tutto ok.”
spiegai.
“Certo,
mi può dire il suo nome?” chiese la donna,
iniziando
già a picchiettare le dita tozze sulla tastiera del pc.
“Isabella
Swan.”
La donna sollevò di scatto il viso, inchiodandomi con uno
sguardo tra il sorpreso e l'eccitato. Sembrava le avessi appena
rivelato di essere la First Lady.
“Lei
è la figlia dello sceriffo!!” urlacchiò,
elettrizzata, facendo voltare diverse teste - tra pazienti e personale
medico - nella nostra direzione.
Imbarazzata, mi sporsi ulteriormente verso il bancone, abbassando il
tono.
“Ehm,
già...”
“Oh, ma
che bello! Sai - oh, posso darti del tu? Certo, sei
così giovane che potresti essere mia figlia! - ho letto
tutti
gli articoli che ti riguardano! Sei una celebrità qui a
Forks!
Giovanissima e uscita da poco dall'università hai affiancato
il
tuo mentore in quel caso che poi è finito su tutti i
giornali.
Che brutto fattaccio! E se non ricordo male, sei stata fondamentale
nella risoluzione!! Oh, cara! Che bella sorpresa trovarti qui, sei
venuta a trovare tuo papà? O forse sei qui per lavoro?”
concluse con fare cospiratorio.
Ero rimasta interdetta. Un po' per la parlantina-che-stordisce della
donna, un po' per la quantità di informazioni che sembrava
conoscere sul mio conto.
Ancora quel
caso. Era la seconda volta quel giorno.
Decisi di mettere fine alla situazione, avevo una certa fretta e non
potevo sprecare il pomeriggio per quella stupida e inutile visita
medica.
“Uhm,
entrambe” sorrisi cordiale “Senta, se ora
è un momentaccio posso passare più tardi...”
La donna si
riprese e agitò la mano in aria come a scacciare un insetto.
“Che
dici, cara! Ti chiamo subito un medico.” mi assicurò,
riprendendo a pigiare sui tasti. “Vediamo...ah! Ecco, il
dottor Cullen
dovrebbe aver finito ora una visita. Aspetta che lo rintraccio!”
Sollevò
la cornetta e premette tre tasti, poi restò in
attesa continuando a sorridermi. In modo vagamente inquietante.
Mi guardai intorno, giusto per spezzare l'imbarazzante connessione di
sguardi, e notai che in effetti la sala d'aspetto del pronto soccorso
era semi-deserta. Nessun ferito grave, a giudicare dall'assenza di
pezze insanguinate tra le mani di quelli presenti.
“Ecco,
cara.”
tornai a prestare attenzione alla donna che stava
posando il ricevitore “Secondo piano, in fondo
al corridoio sulla
destra. Sulla porta c'è la traghetta col nome. Dottor
Cullen,
non puoi sbagliare!” concluse con un sorriso.
La ringraziai e raggiunsi l'ascensore. Prima che le porte si
chiudessero del tutto la vidi sventolare la mano con fare frenetico
nella mia direzione.
“Avanti.” Una voce calda e gentile
rispose al mio bussare.
Aprì la porta ed entrai nella stanza. Individuai
immediatamente
la figura dell'uomo, in piedi accanto ad una scrivania in legno scuro,
intento a leggere quella che sembrava una cartella clinica.
Alzò lo sguardo e mi sorrise gentile.
“La
signorina Swan, presumo.” mi venne incontro
allungando la mano.
La strinsi, sorprendendomi di quanto fosse fredda e liscia.
“Sono
io.”
risposi, contraccambiando il sorriso.
Hanno spostato la
settimana della moda a Forks?
mi ritrovai a pensare. In un solo giorno avevo incontrato tre persone
che avrebbero tranquillamente potuto essere modelli delle griffe
più rinomate.
Quattro. Mi
corresse il mio subconscio. Il ragazzo di stamattina...
“Piacere,
Carlisle Cullen. Allora, signorina Swan. Come posso
aiutarla?” La voce del dottore mi
riportò alla realtà.
“Oh,
vede, stamattina ho avuto un banale incidente. Tuttavia, mio
padre è un po' apprensivo e ha voluto che venissi a fare un
controllo.” spiegai, ripetendo
più o meno quello che avevo detto all'infermiera.
Lo vidi annuire e fissarmi intensamente. Per qualche strano motivo
avevo la sensazione che sapesse perfettamente di che incidente
parlassi. Assurdo.
“Conosco
Charlie e direi che sarebbe meglio farlo questo controllo,
così da rassicurarlo.” disse, facendomi segno
di sedermi sul
lettino.
Annuii
distrattamente, persa ancora nei miei ragionamenti.
Lo osservai
meglio, mentre indossava i guanti in lattice.
Improvvisamente un particolare mi colpì in pieno. Il colore
dei
suoi occhi era talmente insolito, per non dire unico, che era difficile
non notarlo. Infatti, grazie anche alla mia famosa memoria fotografica,
mi tornarono in mente le immagini dell'incontro di poco prima fuori
dall'ospedale.
Quei due
ragazzi...
All'inizio non ci
avevo dato troppa importanza, distratta dalla frase
della ragazza. Entrambi avevano gli occhi del medesimo colore del
dottore. Ambra.
E subito un paio
di occhi ancora più magnetici tornarono nella mia mente.
Il ragazzo che mi
aveva salvato quella mattina.
Non c'era dubbio.
Il colore era lo
stesso.
Alla
prossima.
(Se mai qualcuno avesse davvero letto il capitolo XD)
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