Drag me to hell

di michi88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First signs ***
Capitolo 2: *** Black hero ***
Capitolo 3: *** Eyes ***



Capitolo 1
*** First signs ***


Non riuscivo più a pensare alla vittima. Non pensavo alla casalinga, madre di famiglia a cui avevano sfondato il cranio con una vanga dopo averla stuprata e torturata per ore.
Ora davanti a me, sul lettino in acciaio, vedevo solo uno scheletro. Un lavoro. Il mio lavoro.
Ora, mentre rimettevo insieme i pezzi di un cranio per ricostruirne la struttura, non vedevo un volto; non pensavo al dolore che sicuramente nascondevano quei lineamenti. Il dolore e la disperazione che quella donna doveva aver provato.
Non lo facevo più ormai. Non potevo.
Non potevo, perchè se lo avessi fatto, se avessi ricominciato a farlo, di certo mi sarei fiondata in quel preciso istante fuori da quel laboratorio, lasciando tutto alle spalle. E avrei pianto; avrei cominciato a piangere tanto da morirne.

Quando ebbi finito, appoggiai il barattolo di collante nella vaschetta alla mia sinistra, per poi togliere la mascherina e gli occhiali protettivi.
< Angela? >
Dalla stanza adiacente sentii dei passi affrettati farsi sempre più vicini, finchè da dietro la porta apparve il viso acqua e sapone della mia assistente.
< Mi hai chiamato, Bella? >
< Si, Angela. Ascolta, ho appena finito di ricomporre i frammenti del cranio della vittima... - controllai il numero sulla targhetta legata all'alluce destro -...265. >
Angela diede una rapida occhiata ai fascicoli che teneva in mano.
< Wendy Peterson. > Non era una domanda. Semplice conferma.
< Si, la signora Peterson. Per favore aggiorna la cartella... > Feci una pausa, per dare il tempo ad Angela di estrarre la penna dal taschino del suo camice e appuntare quello che avrebbe dovuto scrivere, poi proseguii.
< I frammenti dell'osso occipitale sono stati ricomposti. Al momento dell'analisi  è stata individuata  la presenza di due profondi fori situati nell'osso sfenoide, procurati alla vittima posteriormente al decesso da un corpo contundente.
Rilevate inoltre la mancanza di un segmento osseo in corrispondenza della fossa mandibolare e una profonda lesione dell'arcata sopraccigliare destra.
La causa del decesso è da attribuirsi alle ferite presenti nell'osso frontale e in quello parietale. > Mentre elencavo ad Angela gli elementi da aggiungere al referto, controllavo di non dimenticare nulla, osservando i resti dello scheletro.
< E' tutto? > Angela alzò lo sguardo ad incontrare il mio, in attesa di una conferma.
< Si, è tutto. > Con un gesto secco mi sfilai i guanti in lattice e il camice protettivo. < Senti, il collante dovrebbe asciugarsi nel giro di qualche minuto. Però mi faresti un favore se controllassi prima di riporlo nella cella. Domani passerà il coroner. >
< Non preoccuparti, ci penso io! > Le sorrisi riconoscente per poi gettare un occhio all'orologio sulla parete. Le 21.28. L'orario "d'ufficio" era stato ampiamente superato, come ormai accadeva da molto tempo. Troppo.
< Bella, vai a casa. Riposati, sembri molto stanca. Chiudo io. >
< Grazie, Angela. Ne ho proprio bisogno. >
Afferrai la mia borsa e il giubbotto di pelle dalla sedia, salutai la mia assistente con un bacio sulla guancia e finalmente uscii da quel laboratorio.
Non appena mostrai il mio badge di riconoscimento al custode, questo mi fermò con un sorriso.
< Anche stasera si è trattenuta oltre l'orario, Miss Swan > Caro, vecchio Al. Il custode più gentile e simpatico del mondo, un omone corpulento e baffuto.
< Già! Purtroppo è un lavoro duro, ma qualcuno deve pur farlo! > Rise, allegro di fronte alla mia smorfia di disappunto.
< Ora vada a riposarsi, dottoressa! Domani si ricomincia da capo! >
< Oh, non ricordarmelo, ti prego! > Con un ultimo sorriso e un augurio di buonanotte lasciai Al e, uscita dall'edificio, raggiunsi la mia auto.

Nel tragitto verso casa mi trovai a pensare alla giornata successiva. Finalmente quel giorno, consegnato il referto al dipartimento di criminologia, non avremmo più avuto motivo di "trattenere" i resti di quella povera donna e la sua famigilia avrebbe avuto modo di darle una degna sepoltura.
Cercai di rilassarmi un po' facendo partire il lettore cd e la dolce melodia che ne uscì riempì l'abitacolo.
Lo squillo del cellulare ruppe l'idillio dopo pochi minuti.
Angela.
< Non è un buon segno... > Afferrai il cellulare con la piccola, vana speranza che si trattasse di un improvvisato invito per una birra.
< Angie, dimmi >
< Tesoro...scusa... > Il tono di reale dispiacere mi fece ridacchiare.
< Non preoccuparti! Spara, che succede? > La sentii rilasciare un piccolo sospiro prima che tornasse a parlare.
< Ha chiamato il detective Newton... > Decisamente non era un buon segno.
< Che voleva il caro Mike? > Questa volta fu lei a ridere del mio tono vagamente sarcastico.
< Hanno bisogno della tua consulenza. Hanno rinvenuto i resti di un cadavere vicino al lago Sutherland. >
Il lago Sutherland? 
< Angie, lì non ci passa la 101? Se non sbaglio è la strada che faccio quando vado a trovare Charlie >
< Si, è quella. Senti, Mike ha detto che si tratta di una cosa urgente e... >
< Si, si, ho capito. Credo che anche per stasera di riposare non se ne parli.. > Sbuffai, facendo manovra per fare inversione.
< Mi dispiace, tesoro. Quando hai finito fammi sapere, così sto tranquilla. >
< D'accordo. Considerato che farò piuttosto tardi, rimarrò a dormire a casa di mio padre. Ti saprò dire a che ora torno domani in base all'entità del caso. Buonanotte, Angie. >
< Notte, Bella! >
Chiusi la conversazione, buttando il cellulare sul sedile del passeggero.
Ecco il motivo per cui non mi ero mai comprata un cane, un gatto o un qualsiasi altro animale domestico non autosufficente: non sapevo mai quando e se sarei arrivata a casa la sera.
Al mio stile di vita forse si sarebbe adattata, non so, una tigre del Bengala. O un ghepardo. Il cibo se lo sarebbe procurato da sè e non avrebbe rischiato di morire di inedia.
Io un giorno Mike Newton lo avrei strangolato e avrei occultato il suo cadavere. Se anche lo avessero ritrovato dopo anni, avrei esaminato io lo scheletro e  avrei liquidato il tutto come "causa del decesso: cause naturali".
Premetti ancora sull'acceleratore in modo da mettere fine a quella serata assurda il prima possibile.
Destinazione finale: Forks.


Grazie alla mia guida, degna dei migliori piloti di un qualsiasi circuito di Formula 1, il tragitto Port Angeles - Luogo del ritrovamento non fu eccessivamente lungo.
Parcheggiai accanto ad un' auto della polizia e scesi,  mentre i lampeggianti blu e rossi illuminavano la zona circostante.
Aprii il baule per poi tirarne fuori la mia valigetta da lavoro. Mi sedetti sul bordo e indossai i fidati stivali di gomma.
< Bella, eccoti! >
Alzai lo sguardo in tempo per vedere il detective Newton dirigersi nella mia direzione, accennando ad una piccola corsetta.
Dio, ti prego, fa che questa serata finisca presto.
< Ciao Bella! > Mi alzai, sorridendo a Mike, sforzandomi di risultare cordiale e non tremendamente irritata.
< Mike.. > Cominciai a dirigermi verso il punto dove era riunito un gruppetto di poliziotti che tentava di allontanare tre persone in tenuta da jogging. Sicuramente dei curiosi.
"Se sapeste di cosa si tratta sono certa che la curiosità vi passerebbe in fretta". Scacciai il pensiero dalla mia testa, sentendo la presenza di Mike accanto a me.
< Allora, come vanno le cose a Port Angeles? > Mi rivolse un sorrisino che non seppi decifrare. Tuttavia da tempo ormai non mi interessava cercare di capire i comportamenti di Mike Newton. Più precisamente da quando sei mesi prima mi aveva rivolto quella proposta indecente - o meglio, pornografica - convinto si trattasse di un gesto estremamente romantico.
< Tutto bene. Spero sia lo stesso per te a Forks. > E con quello speravo capisse che consideravo chiuso il nostro formale scambio di convenevoli, perciò affrettai il passo.
< Per favore, fate spazio. Fate spazio alla dottoressa Swan! SPAZIO!! E' ARRIVATA L'ANTROPOLOGA FORENSE!! >
Mi portai una mano a proteggere il timpano sinistro, girandomi a guardare Mike.
< Non era necessario nè urlare, nè presentarmi come se stessi leggendo il mio biglietto da visita, Mike. Rilassati. >
< Oh... Oh, certo! Sai, com'è...sono appena stato promosso...è il mio primo vero caso in qualità di detective.. > Parlava, guardandosi le scarpe e stropicciandosi la punta della cravatta a pois.
< Tranquillo. Allora, questo cadavere? > Rimase a fissarmi negli occhi con aria da pesce lesso - Dio solo sa cosa stesse immaginando in quella sua testaccia da porco - finchè non alzai un sopracciglio e con un gesto della mano gli suggerii di farmi strada.
< Oh! Vieni con me, te lo mostro. >
Mi portò nei pressi di quello che sembrava un casolare abbandonato e si fermò accanto ad una recinzione di ferro, abbattuta in più punti.
Ai piedi di questa c'era un poliziotto con la divisa della squadra ritrovamenti che mi salutò, mentre accarezzava la testa di un cane lupo.
Accanto a lui il terreno era parzialmente smosso.
< Stavamo indagando sulla sparizione di un uomo. In base alle informazioni in nostro possesso sospettiamo che la vittima potrebbe essere proprio lui. Ora ci serve ovviamente la tua conferma. > Annuii, senza però voltarmi a guardare Mike.
Appoggiai la valigetta a terra per poi piegarmi sulle ginocchia e guardai all'interno della buca scoperta dal cane. Un odore nauseabondo mi investì, stordendomi.
Dalla valigetta estrassi i guanti in lattice e li indossai.
Quello che mi si presentò davanti fu in grado di farmi rabbrividire, nonostante fossi abituata a visioni di quel genere.
Il corpo era parzialmente ricoperto da terriccio e foglie secche. I vestiti, o almeno quel che ne rimaneva, erano ricoperti di sangue raggrumato. Non semplicemente macchiati. Ricoperti, dalla testa ai piedi.
La bocca di quel poveretto era spalancata, così come gli occhi, mentre le mani sembravano piegate a formare degli artigli.
Controllai se avesse una qualche ferita sul corpo, magari sotto i vestiti, che potesse giustificare tutto quel sangue, ma non ne trovai. Che il sangue non fosse il suo? C'era forse un'altra vittima? Non poteva essere dell'assassino, non sarebbe sopravvissuto con una perdita di quelle proporzioni e in quel caso avremmo dovuto trovare un altro corpo non lontano da lì.
La posizione delle gambe era oltremodo innaturale e mi fece pensare che senza ombra di dubbio erano state spezzate.
< Mike, perchè hai chiamato me? > Mi rimisi in posizione eretta, guardandolo interrogativa.
< Cosa intendi? > Sembrava confuso, così decisi di fargli notare un dettaglio a mio parere ovvio.
< Guardalo, Mike. Quest'uomo è ancora...come dire...in carne! >
Il processo di decomposizione era chiaramente iniziato da poco. Non capivo davvero perchè avessero contattato me invece di un medico legale.
< Io mi occupo di antropologia forense, Mike. Scheletri, non corpi con ancora carne e organi all'interno. Da quello che vedo posso solo dirti che probabilmente la causa della morte è da attribuirsi a...dissanguamento. Ma dovresti rivolgerti al medico legale. >
Feci per tornare alla macchina, ma mi fermò.
< Lo so che non è propriamente il tuo campo, ma il tuo capo e il mio concordavano sul fatto che questo fosse un lavoro per te, Bella. In più tu hai un master in medicina legale e dalla tua hai l'esperienza nonostante la giovane età, perciò sei in grado di affrontare questa situazione. >
Maledetto il mio capo, Stan. Ma soprattutto maledetto il capo di Mike. Mio padre.
< Mike, ascolta. Davvero, credo che dovresti... > Non mi fece terminare.
< Questo non è un caso come gli altri! Guarda meglio e ti accorgerai del perchè... Non è il primo, Bella. Il modus operandi è lo stesso di altri tre casi finora. O almeno questo è il numero stimato; non sappiamo se ce ne siano altri. Questo...questo assassino non è un esibizionista. Non è di quelli che desiderano farsi notare, non è in cerca di notorietà, perciò non fa nulla per farci trovare
i corpi. Ma allo stesso tempo non tenta nemmeno di nasconderli. E'...è totalmente differente da qualsiasi altra tipologia conosciuta! Gli archivi non mostrano nessuna analogia!! Siamo in alto mare, Bella. In alto mare! > Quello sguardo serio e il nervosismo che trapelava dalla voce non si addicevano alla faccia da schiaffi di Mike Newton.
 
Probabilmente fu quello che mi convinse a dare un'ultima occhiata.



Mi piegai per avvicinarmi di più al cadavere. Avevo intravisto qualcosa.
< Ma che diavolo... >
Se la mia teoria era corretta e quindi quel poveretto era morto dissanguato...no, non era possibile.  



Troppo piccoli per essere la causa della morte...non poteva essere...


Due fori. Piccoli e abbastanza ravvicinati.
Sul collo, all'altezza della vena giugulare.



Sicuramente fu quello che vidi che mi convinse a prendere parte a quel caso.




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Capitolo 2
*** Black hero ***


 
< Allora? Cosa mi rispondi? >
Rimasi a fissare lo scempio che avevo davanti ancora qualche istante, poi mi decisi.
< D'accordo, Mike. Domattina passerò in centrale: fammi trovare pronti i fascicoli dei precedenti casi che presentano queste caratteristiche. Mi raccomando, non tralasciare nulla. Ho bisogno di tutte le informazioni in vostro possesso. >
< Benissimo! Sapevo che non ci avresti abbandonati! > Fece all'improvviso uno slancio che aveva tutta l'aria di un tentativo di abbraccio, ma una mia occhiata lo fece desistere. Camuffò il tutto con un gesto di apparente euforia.
Afferrai la valigetta e mi diressi alla macchina.
< Ora che fai? Vai subito a casa di tuo padre? > No, Mike. Non ci vengo a bere qualcosa con te.
< Si, sono distrutta. E' stata una giornata interminabile. >
Con la coda dell'occhio lo vidi annuire. Poi la sua espressione mi fece intuire che stava pensando a qualcosa da dire. Meglio mettere fine a quell'inutile cozzare di neuroni.
< Allora a domani, Mike. Buonanotte > Aprii il baule del mio Mercedes GLK 220 CDI per posare la valigetta.
Maledetto mio padre e le sue manie sulla sicurezza. "Bells, è una macchina robusta e resistente. Fammi contento, se devi comprarne una compra questa. E' per la tua sicurezza!"
Robusta e resistente. Come no... era un mostro, ecco cos'era!
Mancava solo il lanciarazzi, il sedile eiettabile e la voce di Kitt ed ero pronta per uno spin-off di Supercar.
Mentre guidavo a velocità sostenuta verso casa di mio padre, ripensai al cadavere. Quei fori. Perchè fargli quei due segni? Che fosse stato accidentale? No, troppo precisi e netti per essere una ferita da colluttazione.
D'altro canto come era possibile che fossero proprio quei due fori la causa del decesso? Troppo, troppo piccoli.
Eppure non avevo riscontrato nessun'altra ferita sul corpo dell'uomo. Che non fosse morto per dissanguamento? No, di quello ero certa.
E allora cosa diavolo significavano?

Presa dai miei pensieri quasi non mi resi conto di essere arrivata davanti a casa di mio padre, a Forks.
Mio padre era il capo della polizia di quel paesino sperduto nei meandri dello stato di Washington. Tremiladuecentoventuno anime. Una media annuale di trecentoquarantacinque giorni di pioggia. Circa cinquantasei miglia da Port Angeles.
Oddio, mi mancava già il mio maledetto laboratorio.
Scesi dall'auto e attraversai il vialetto mentre frugavo nella borsa alla ricerca della mia copia delle chiavi.
Finalmente la ricerca ebbe esito positivo, così entrai.
< Charlie? Sei in casa? > In risposta solo il silenzio più assoluto. Poi dal piano superiore sentii un tonfo e una colorita imprecazione.
Sorrisi scuotendo la testa e, dopo aver appoggiato le mie cose sul divano del salotto, raggiunsi l'origine di quel trambusto.
Non appena mi affacciai alla porta della camera di mio padre, la scena che mi si presentò davanti mi lasciò interdetta.
Una sedia giaceva capovolta sul pavimento ai piedi del letto e accanto ad essa c'era uno scatolone, il cui contenuto - più che altro fogli - era sparpagliato a terra.
In mezzo a tutto quel casino un Charlie dolorante che si massaggiava il fondoschiena.
< Maledettissima accozzaglia di legno... che cosa... ma porca di una... >
< Charlie? > Al mio richiamo divertito, il testone corvino di mio padre si voltò con uno scatto nella mia direzione. Dopo un primo momento di confusione, dovuto probabilmente alla sorpresa di vedermi lì a quell'ora e soprattutto senza preavviso, si rimise in piedi e si spolverò i pantaloni.
< Bells! Che sorpresa...come mai da queste parti? > Nonostante tentasse di non darlo a vedere, la sua espressione imbarazzata mi fece capire che non fosse entusiasta di essersi fatto beccare da me ad imprecare contro una sedia da cui - logicamente - era caduto da solo, senza che questa potesse avere una qualche responsabilità.
< Come se non lo sapessi... > Gli lanciai un'occhiataccia piuttosto eloquente. Era stato proprio lui, insieme al suo caro amico Stan a fare il mio nome per quelle indagini. Non gli avrei risparmiato una bella lavata di capo, ma in quel momento mi premeva conoscere la ragione che lo aveva portato ad inveire contro una sedia, mentre si massaggiava il lato B.
< Si può sapere che stavi facendo in piedi su quella sedia, Charlie? >
< Papà... - fu il suo turno di lanciarmi un'occhiataccia, ma si riprese subito. Probabilmente si stava rassegnando all'idea che l'avrei continuato a chiamare principalmente con il suo nome di battesimo - non stavo facendo nulla, volevo solo prendere una cosa nello scatolone sopra l'armadio. Tutto qua. > Si chinò a raccogliere il contenuto della scatola che si era rovesciato in seguito alla caduta e io andai ad aiutarlo.
< E di preciso cosa stavi cercando? > Tra le mani mi ritrovai tutti libretti di istruzioni di elettrodomentici.
< Ma niente, cercavo le istruzioni di quella stramaledetta trappola che non vuole saperne di funzionare! > Ridacchiai quando lo sentii sbuffare e tornare a lanciare maledizioni contro gli oggetti inanimati della casa.
< Ancora il forno? > Non riuscivo proprio a smettere di ridacchiare e per questo mi beccai un'altra occhiata storta.
< No...stavolta è la lavatrice > Lo disse talmente a bassa voce che lo sentii solo perchè avevo un buon udito. Stavo per rimettermi a ridere, ma mi costrinsi a non farlo, un po' per non metterlo ulteriormente in imbarazzo, un po' per non infastidirlo.
< Senti, che ne dici se alla lavatrice ci penso io domani e ora invece non scendiamo di sotto così mi preparo qualcosa? Non tocco cibo da stamattina, tu hai cenato? > Rimisi i libretti nello scatolone per poi spostarlo con un piede verso l'armadio.
< Veramente ancora no. Sono tornato venti minuti fa dal lavoro. > A proposito di lavoro..
< Bene, allora andiamo giù che ti cucino qualcosa e nel frattempo mi racconti un po' cosa vi ho fatto di male, a te e a Stan, per meritarmi tutte queste attenzioni da parte vostra! > E così prendendolo sottobraccio e ignorando i suoi borbottii imbarazzati, scendemmo le scale diretti in cucina.


< Quindi pensi di accettare l'incarico? > Mi guardò attentamente, bevendo un sorso di vino.
Avevamo finito di cenare da poco e ora parlavamo del caso che mi aveva portata lì. Io nel frattempo stavo mettendo in ordine la cucina.
Prima di rispondere scossi la testa ma un sorrisino fece capolino sulle mie labbra: avevo passato l'ultima mezzora a chiedergli perchè tutte le volte che si presentava un caso complicato e misterioso, in cui nessuno sembrava riuscire a capire nulla, io venivo sempre messa in mezzo. Il più delle volte, tra l'altro, si trattava di casi ben lontani dalla mia sfera di competenza.
Tuttavia ogni santa volta ricevevo in risposta un sorriso e frasi tipo " Ma, figlia mia, tu sei molto brava nel tuo lavoro e per questo hai la stima di molti colleghi e quella delle forze dell'ordine. Stan ha molta fiducia nelle tue capacità. E io come lui " oppure " Non dirmi che questo caso non ha solleticato nemmeno un po' la tua proverbiale curiosità! Bells, sei mia figlia e ti conosco: non resisteresti, devi sempre trovare la verità e svelare i misteri che trovi sulla tua strada. Lo faccio per farti un favore! "
Come no! Volevano il mio aiuto per risolvere l'ennesima mattassa aggrovigliata che nessun altro era riuscito a districare.
Tornai alla conversazione lasciata in sospeso.
< Tanto sai già la risposta.... comunque si, ho deciso di accettare. Domani verrò con te in centrale a prendere i fascicoli. > Non mi lasciai sfuggire il sorriso soddisfatto di mio padre, nonostante avesse tentato di nasconderlo portandosi la mano chiusa a pugno davanti alla bocca.
< Bene. Bene, mi fa piacere. Sono sicuro che tu, come al solito, riuscirai a far luce su tutta la faccenda. >
Subito l'immagine di quei due piccoli buchi sul collo del poveretto trovato morto tornò alla mia mente.
< Non lo so, papà. Ho l'impressione che questa volta ci sia qualcosa di diverso. Temo sarà più complicato del previsto... > Ero talmente assorta che a fatica udii la domanda di mio padre.
< Che intendi? Hai già scoperto qualcosa? > Il suo volto pensieroso mi ridestò.
< No, ancora nulla. Solo una cosa che mi ha dato da riflettere. Ti spiace se ne parliamo domani? Sono molto stanca e vorrei riposarmi: ho l'impressione che la giornata di domani non sarà affatto più facile di questa. Anzi... >
< No, certo hai ragione. Coraggio, vai a dormire. La tua stanza è sempre lì ad aspettarti > Mi sorrise e io ricambiai per poi dargli la buonanotte e salire le scale.
Arrivata nella mia vecchia stanza, non mi guardai nemmeno intorno. La stanchezza mi arrivò addosso tutta insieme, così mi spogliai in fretta, indossando poi dei pantaloni grigi di una tuta e una maglietta viola che presi in un cassetto. Mi fiondai in bagno a lavare i denti per poi tornare in camera e mi buttai a peso morto sul comodo lettone.
< La doccia domattina... > Ero talmente stanca che, mentre biascicavo quella promessa fatta a me stessa, avevo già gli occhi socchiusi.
E, nonostante non riuscissi a levarmi dalla testa quei due maledetti fori, il sonno prese il sopravvento e così in pochi minuti mi addormentai.




Il mattino seguente, dopo la doccia tanto agognata e una veloce colazione, io e Charlie uscimmo di casa e lo seguii fino alla centrale con la mia auto.
Avevo moltissimi ricordi legati a quel posto, sin da quando ero una bambina. Passavo più tempo lì che a casa e probabilmente quello aveva influito molto sulle mie scelte di vita.
Quando arrivammo scesi dall'auto ed entrai insieme a mio padre nella piccola stazione di polizia.
Più o  meno era rimasto tutto invariato dai tempi in cui portavo le treccine e venivo coccolata e presa in braccio dai colleghi di papà.
< Charlie, buongiorno! Oh, ma chi vedo?! Isabella!! > Finn, l'amico storico e collega di mio padre da sempre, mi venne incontro a braccia aperte non appena mi vide.
< Finn! E' bello rivederti! > Gli sorrisi sincera ricambiando l'abbraccio in cui mi cinse vigorosamente. Dopo avermi baciata sulla fronte mi lasciò andare.
< Anche per me è un piacere, piccola. Non ci vediamo da mesi ma sei sempre più bella! Ad una ragazza giovane come te si può ancora chiedere...quanti anni hai ora? >
< Ne ho compiuti 25 due mesi fa, il 13 settembre. > Sorrisi, divertita.
< Una splendida giovane donna, i miei complimenti Charlie. Devi esserne molto orgoglioso! > Si rivolse a mio padre che, da quando eravamo entrati, ci fissava sorridendo ad ogni scambio di battute. A quell'ultima frase iniziò a grattarsi imbarazzato la nuca. Mio padre era fatto così...nessuno dei due in effetti si sentiva a suo agio in situazioni di questo tipo, soprattutto se si trattava del nostro rapporto padre-figlia.
Tuttavia mi rivolse uno sguardo pieno di affetto e ammirazione.
< Si. Lo sono davvero. > Non riuscii ad impedirmi di sorridere felice e lusingata.
< Capo Swan, ha chiamato Jedediah Palmer..dice che.. > Un ragazzo entrò nella stanza per poi bloccarsi non appena ci vide.
Doveva avere la mia età, al massimo qualche anno in meno, ma era decisamente... imponente.
Alto almeno un metro e ottantacinque, capelli neri corti e occhi vispi e accesi, un corpo scolpito dai muscoli. Tuttavia il suo viso ancora infantile rivelava la sua reale età.
Nel complesso un bel ragazzo.
< Oh, Jacob! Vieni, ti presento mia figlia Isabella. Bells, questo è Jacob Black, un recente quanto promettente acquisto della centrale! >
Mi voltai verso il ragazzo con un sorriso e allungai una mano verso di lui per completare le presentazioni.
Tuttavia lui sembrava imbabolato. Continuava a fissarmi con gli occhi quasi spalancati, mentre teneva tra le mani dei fogli che andavano via via stropicciandosi sotto la sua presa ferrea.
Sempre con la mano a mezz'aria lanciai un'occhiata interrogativa a mio padre che distolse lo sguardo dal viso di Jacob, guardandomi e alzando le spalle come a dirmi che nemmeno lui ci capiva molto.
Tornai a guardare il ragazzo-statua e feci per abbassare la mano quando lui con uno scatto in avanti la afferrò, muovendola su e giù freneticamente.
< E' un piacere conoscerla, signorina Swan. E' davvero un onore. La seguo sempre, sa? Cioè...intendo nel suo lavoro...non è che io la pedini o cose del genere! Insomma, seguo sempre le notizie che la riguardano....in ambito lavorativo, s'intende!... La trovo fantastica...professionalmente!! ...Io... >
< Quello che il nostro Jake sta tentando di dire è che ti ammira molto come antropologa forense e segue con attenzione le notizie su di te. Sai...dopo quella storia sei diventata famosa e tutti qui a Forks leggono i quotidiani di Port Angeles. Sono molto orgogliosi che tu sia originaria di qui. > Mio padre mi sorrise comprensivo, mentre Jacob finalmente mollò la presa, restituendomi la mano un po' indolenzita, e abbassando il capo dall'imbarazzo. Povero...
Quella storia. Già. Mi perseguita da due anni oramai.
Probabilmente Charlie notò il mio sguardo assorto perchè volle distrarmi, cominciando a chiedere di Mike per avere i fascicoli.
< Oh, allora Bella hai deciso di darci una mano! Meraviglioso, meraviglioso! Con te al nostro fianco sarà tutto più facile! > Sorrisi dell'entusiasmo del vecchio Finn, ma mi sentii a disagio a causa dello sguardo di quel ragazzo, Jacob. Sebbene non lo stesso guardando, sentivo i suoi occhi puntati addosso come dei fari.
Fortunatamente l'arrivo di Mike portò la mia attenzione altrove.
< Buongiorno capo Swan! Bella, è bello rivederti. > Si, si. Basta ciarlare Mike. Dio, quanto è lecchino!
< Mike > Non sorrisi, meglio rimanere neutri con Mike Newton. Anche solo uno stupido sorriso ed ecco che si immagina già fiori d'arancio e pargoli al seguito.
< Newton, hai portato i fascicoli? > chiese Charlie.
< Si, sono tutti qui. Se vuoi Bella puoi venire nel mio ufficio a studiarli. > Levati subito quel sorrisino da quella faccia da schiaffi che ti ritrovi.
< No, preferisco cominciare subito. Andrò nei luoghi dei ritrovamenti e leggerò i fascicoli uno ad uno sul posto. >
Feci per salutare i presenti, mentre afferravo i fascicoli dalle mani di Mike, quando una voce bassa e impacciata attirò l'attenzione di tutti.
< A proposito del caso... > Quattro teste si voltarono contemporaneamente verso l'origine di quella voce e ci ritrovammo a fissare un Jacob un tantino intimorito.
< Che c'è, Black? > Mike. Il solito arrogante.
< Ecco... prima, quando sono entrato, era per dire al capo Swan che ha chiamato Jedediah Palmer, il proprietario dell'officina, giù vicino al molo. >
< E...?! > Sbottò Mike irritato dalle pause che prendeva il suo sottoposto.
< Mike, se magari lo lasci finire riusciremo a scoprire qualcosa, che dici? > Mike mi guardò sbuffando per poi acconsentire, mentre Jacob mi rivolse uno sguardo colmo di gratitudine. Povero, mi faceva pena vederlo mortificato, da Mike per di più!
< Dicevo... pare che ci sia un'altra vittima. Palmer l'ha trovata ad una trentina di metri dalla sua rimessa. >
Tutti ci gelammo sul posto. Un'altra. E a pochissimo di distanza dall'altra vittima. Maledizione!
< Vado subito. Devo accertarmi di una cosa. > Chissà se...
< Vengo con te, Bells. Newton, vieni anche tu. >
< Si, capo. >
< Vi aspetto fuori. > Detto questo uscii dalla centrale, non prima di aver salutato Finn e l'agente Black.
Quello sguardo continuava a mettermi a disagio.

Hysteria - Muse

Una volta fuori l'aria frizzante di novembre mi costrinse a stringermi nella giacca di pelle. Mancava poco più di un mese a Natale e il freddo pungente caratteristico di Forks già si faceva sentire. Le strade erano coperte da un sottile strato di ghiaccio.
Mi avvicinai all'auto fino a portarmi accanto alla portiera del posto di guida e tirai fuori le chiavi dalla borsa.
Quello che accadde pochi istanti dopo successe in un battito di ciglia senza darmi il tempo di reagire.
Un forte stridìo di gomme a pochi metri da dove mi trovavo mi fece voltare di colpo. Mi trovai gelata dalla paura mentre guardavo quel grosso furgoncino blu slittare sull'asfalto e dirigersi senza controllo verso di me.
Un unico pensiero.
Non riuscirò mai a spostarmi in tempo.
In un secondo qualcosa sfrecciò accanto a me, mi sentii afferrare bruscamente per la vita e trascinare a terra. Non riuscivo a staccare gli occhi dalla carrozzeria  del furgone che vedevo avvicinarsi sempre di più. Ma non successe tutto come nei film, niente slow-motion con la vita che ti passa davanti agli occhi come un collage di immagini sfocate.
Un battito d'ali, un sospiro. E tutto finì.
La fiancata del furgone si trovava ad una decina di centimetri dal mio viso.
Una mano era appoggiata alla portiera accartocciata.
Accartocciata. Come un sottile foglio di alluminio.
Lentamente alzai lo sguardo.
Due occhi. I più sorprendenti che avessi mai visto. Ambra e oro fusi a formare due pozze  profonde attraversate da piccole scaglie nere. Probabilmente fu a causa dello shock, ma mi sembrò di vederle sciogliersi come piccole gocce d'inchiostro, per poi espandersi lentamente fino a sostituire quel caldo e rassicurante colore ambrato.
Prima un campo di grano accarezzato dal sole... poi ali nere di rapace.
Il tutto era circondato da un viso perfetto. Una mascella squadrata e virile, un naso dritto, una bocca sottile e meravigliosa, capelli ramati e brillanti scomposti in ciocche magistralmente scompigliate. Un corpo snello ma terribilmente possente e virile che mi teneva stretta a sè in una morsa d'acciaio.
Restai a fissare quegli occhi che risposero prontamente al mio sguardo.
Quegli occhi.
Non saprei dire quanto passò dallo stridìo agghiacciante delle gomme sull'asfalto a quell'istante, ma ad un certo punto il mio salvatore sconosciuto lasciò la presa intorno alla mia vita, appoggiandomi delicatamente a terra e si rimise in piedi, poi dopo un'ultimo sguardo, tanto intenso da lasciarmi stordita, con un balzo agile e felino scavalcò il punto in cui il furgoncino e la mia auto erano accostati e sparì dalla mia vista.
Come se qualcuno avesse riattivato l'audio nella mia testa, le voci intorno a me esplosero, preoccupate, angosciate. Gridavano il mio nome.
< BELLS!!! BELLA!!! >
In un attimo mio padre mi fu accanto chiedendomi come stavo e se mi ero fatta male. Sbraitava contro il conducente del furgoncino che tentava invano di scusarsi con voce rotta, spiegando che non era riuscito a controllare il mezzo per via del ghiaccio. Urlava a Mike di chiamare un'ambulanza mentre i suoi colleghi si radunavano intorno a noi. Cercai di riprendermi e riacquistare la voce.
< Cha...Charlie. Non è necessario. Non serve l'ambulanza... > Faticai anche io a sentire le mie parole.
< Bells, non dire sciocchezze! Sei quasi finita schiacciata da un furgone! > Era agitato e gesticolava a destra e a manca. Tutti erano preda di una frenesia fatta di paura e preoccupazione.
< Papà - a quel richiamo parve calmarsi un attimo e si voltò verso di me - tranquillo, sto bene. Certo, se non fosse stato per quel ragazzo probabilmente ora non sarei qui a parlarti, ma come vedi invece va tutto bene. Mi sono solo presa un colpo. > Tentai di sorridere per rassicurarlo, ma il suo sguardo si fece confuso.
< Di che ragazzo stai parlando, Bells? Noi non abbiamo visto nessuno, tesoro. > Subito ricambiai il suo sguardo con uno altrettanto confuso.
< Che? Papà, come hai fatto a non vederlo?! Era qui fino ad un secondo prima che voi arrivaste...poi è corso via... > Ero certa di non essermelo immaginato. L'impronta della mano sulla fiancata ne era la prova.
< Bells...non vedo come sia possibile. Quando abbiamo sentito il trambusto ci siamo subito precipitati fuori. Non saranno passati più di trenta secondi! >
< Ma....ma guarda la portiera, Charlie!! L'impronta...come pensi che mi sia salvata?! >
Perchè ora mi guardavano tutti come se avessi detto di aver visto passare un elefante su un monociclo?!
< Tesoro, forse è meglio andare in ospedale. Devi essere un po' frastornata.. >
< O per l'amor del cielo, Charlie!! So quello che ho visto e non ho battuto la testa! Come spieghi quell'impronta, se no?! > Charlie si voltò verso il furgoncino e rimase a fissare l'ammaccatura per qualche istante, poi riportò l'attenzione su di me.
< Bells, probabilmente hai agito d'istinto e ti sei spostata quanto bastava per far sì che andasse a sbattere contro la tua auto. >
< Ma davvero?! E allora come spieghi il fatto che sulla mia auto non ci sia nemmeno un graffio?! >
Ah-ah! Ora si che non sapete come rispondere!!
Sorrisi soddisfatta nel vedere i loro volti perplessi.
Tuttavia l'euforia per quella piccola vittoria che era servita a provare la mia sanità mentale durò poco, perchè subito mi ritrovai a riflettere sull'assurdità di quella situazione.
Certo, quel ragazzo non me lo ero sognato, tuttavia....come diavolo era riuscito a fermare quel furgone, che al momento dell'impatto andava quantomeno a cinquanta chilometri orari, con una mano?!
Era decisamente...impossibile!
Allora come? Come?!
 





Declaimer: i personaggi non mi appartengono, sono frutto della brillante mente di Stephanie Meyer. La storia non è scritta con alcuno scopo di lucro e con essa non intendo offendere nessuno. Ogni dettaglio è frutto di questa mente un po' strana. ^^

Allora, prima di tutto volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto il primo capitolo. Ovviamente dovrò aspettare il riscontro del secondo per vedere se davvero non era solo curiosità iniziale la vostra...delusa poi da quello che ho "partorito" nel secondo.
Tuttavia spero che verrà apprezzato. Io l'impegno ce l'ho messo tutto! ^^
Non scrivo per ricevere recensioni o apprezzamenti, ma per il puro piacere di farlo. Perchè io adoro scrivere. E' qualcosa a cui non riesco a rinunciare. E' ovvio che sapere che a voi piace tanto quello che scrivo da volermelo far sapere mi riempie di gioia, ma non vi chiederò mai di farlo. Non vi "minaccerò" di smettere di postare solo perchè non riceverò un tot di recensioni, perciò non preoccupatevi, fatelo solo se ne avete voglia.
Io ne sarò felice e vi risponderò. ^^
Le canzoni che abbinerò mano a mano ai vari capitoli non hanno un nesso particolare con essi, non sempre almeno. Sono solo canzoni che adoro e che mi danno ispirazione.
Voglio ringraziare di cuore chi ha commentato il primo capitolo.

Myname89 : grazie mille cara! sono contenta che ti piaccia. Spero di non aver deluso le tue aspettative. Un bacio e grazie ancora.

Dod: Tesoro mio!! Che gioia sentirti! Sei sempre dolcissima, non manchi mai di lasciarmi un commento. Sei un po' di parte, ma so che sei sincera. Non avresti motivo di mentire.^^
         Non voglio deluderti perciò mi impegnerò al massimo in ogni capitolo, in ogni parola e in ogni sillaba. Sarai fiera di me!
         Grazie ancora, stellina! Un bacio grande grande!

Grazie mille anche a chi ha messo la storia nei preferiti:

kiakki94
kokochan
PATRIZIA70
__cory__


E grazie a chi l'ha messa tra le seguite:

bell
CHEWBE
chicchi
Lena89
mikkettina
Myname89
Shy88


Grazie. Grazie.
Solo una domanda: vorrei che mi diceste se i capitoli sono troppo lunghi o se vanno bene così.
Alla prossima.
Andy, per servirvi.

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Capitolo 3
*** Eyes ***


Nonostante non sia sicura che dopo tutto questo tempo ci sia ancora qualcuno disposto a leggere, io ci provo.
Ho avuto parecchie ragioni - più o meno serie - che mi hanno impedito di portarla avanti prima.
Non starò qui ad elencarle. Posso dire che non ho intenzione di metterci più tutto questo tempo per aggiornare.
Spero solo abbiate voglia di provare a darmi fiducia ancora una volta.
Bon, a voi l'ardua sentenza.






Impiegai diversi minuti per convincere Charlie che no, non avevo battuto la testa contro l'asfalto e no, non vedevo uccellini azzurri e stelline girarmi in tondo sopra la testa.
Riuscii addirittura ad evitarmi il giro in ambulanza, solo dopo essermi sottoposta alle prove di mio padre che, a parer mio, assomigliavano tanto alla procedura che usava quando fermava un auto e sospettava che il conducente fosse in stato di ebbrezza.
L'ambulanza fu chiamata per il povero malcapitato alla guida del furgone che stava per trasformarmi in una frittella. Nell'urto si era procurato un grosso taglio sopra l'occhio destro e potevo solo immaginare il mal di testa che ne sarebbe seguito e al quale, ero sicura, avrebbe contribuito lo sceriffo con una delle sue ramanzine.
Stranamente riuscii anche a convincere Charlie a restare alla centrale per occuparsi delle scartoffie relative all'incidente e, di conseguenza, a lasciarmi andare da sola al luogo dell'ultimo ritrovamento.
Ovviamente, come condizione, dovetti promettere che sarei passata prima all'ospedale a farmi dare una controllata. Giurai che ci sarei andata, premurandomi di tralasciare nella mia promessa la parola "prima".
Lui parve non accorgersene e io mi sentii autorizzata a non sentirmi in colpa.


Nonostante il pensiero dell'assurda apparizione di quel ragazzo mi ronzasse ancora in testa, decisi di accantonare momentaneamente la faccenda per concentrarmi sul caso.
Ci avrei ragionato più tardi.
Parcheggiai davanti all'officina del signor Palmer, recuperai dal sedile del passeggero valigetta e giacca e scesi dall'auto.
La zona era molto tranquilla, nessun rumore a parte lo sciabordìo pacato dell'acqua, dato dalla vicinanza del molo e il verso di qualche gabbiano di passaggio. Sarebbe potuta sembrare una zona disabitata se non fosse stato per i due vecchietti seduti davanti alla vetrina del vecchio Fred, il barbiere. Vedendomi, interruppero il loro fitto chiacchiericcio e seguirono con lo sguardo la mia figura, mentre camminavo verso l'officina distante una ventina di chilometri.
Alzai il braccio in segno di saluto e in cambio ricevetti due cenni accennati del capo. Sentii i loro sguardi piantati tra le scapole finchè non attraversai l'ingresso.
L'interno era esattamente come la si potrebbe immaginare: uno spazio mediamente grande, decisamente poco ordinato e disseminato di attrezzi, pezzi di ricambio - a terra e su tavoloni di legno - e olio. Olio da motori che chiazzava ovunque il cemento grezzo del pavimento e il cui odore forte impregnava l'aria. Un paio di auto erano parcheggiate verso il fondo del locale, pronte per essere controllate. A vederle, tuttavia, sembravano più che altro pronte per lo sfasciacarrozze.
Sembrava non ci fosse nessuno ma un forte e continuo rumore metallico mi suggerì il contrario. Feci qualche passo avanti e, da sotto una delle sue auto, vidi spuntare due gambe fasciate da un paio di vecchi jeans logori e macchiati di scuro in più punti.
Mi schiarii la gola per palesare la mia presenza e subito il clangore, provocato dagli attrezzi, cessò.
“Eccomi, arrivo subito!” La voce arrivò attutita da sotto il veicolo.

Il carrellino su cui era sdraiata la figura scivolò in avanti e le ruote produssero un cigolìo abbastanza fastidioso.
L'uomo si alzò a fatica. Doveva avere all'incirca settant'anni, i capelli bianchi e radi, chiazzati di grigio in alcuni punti. La barba folta e lunga copriva parte della salopette che indossava e che, probabilmente, in passato non lo strizzava nell'area dell'addome come invece faceva ora. L'impietoso scorrere del tempo.
Il suo sguardo curioso e attento mi riscosse dai miei pensieri, così allungai una mano verso di lui.
Mi sorrise cordiale, facendomi notare però le condizioni delle sue, mentre tentava inutilmente di ripulirle dall'unto con un vecchio straccio che forse un tempo era stato bianco.
Risposi con un sorriso, abbassando la mano.
Buongiorno, lei è Jedediah Palmer?
In carne, ossa e artrosi, Miss! disse con un curioso accento texano.
Piacere, signore. Mi chiamo Isabella Swan, sono qui per la telefonata che ha fatto quasta mattina alla centrale.
Un lampo di consapevolezza illuminò i suoi occhi, seguita anche da quella che mi sembrò un'ombra di terrore nel sentire la parte finale della mia frase.
Oh, Swan! Lei dev'essere la dottoressa, la figlia del buon Charlie! Ne parla spesso, sa? Ho letto qualche articolo su di lei e sul suo lavoro. Sa, mia moglie - Peggy Sue - è un'appassionata di queste cose. Conosce a memoria ogni battuta di ogni puntata della Signora in Giallo! Impressionante, mi creda! sorrisi, divertita dall'incompatibilità tra me e Jessica Fletcher e le rispettive professioni.
Sono io, signore. Alla centrale c'è stato un piccolo - uhm - imprevisto, ma a breve arriveranno degli agenti per circoscrivere la zona a dovere. Io sono un'antropologa. Collaboro spesso con la polizia in queste situazioni. specificai, notando lo sguardo confuso dell'uomo al termine "antropologa". Avrei bisogno di dare un'occhiata al...vorrei che mi mostrasse quello che ha rinvenuto.
Evitai di nominare il termine cadavere, dato che il pover'uomo sembrava già sufficentemente scosso all'idea di tornare sul luogo.
Oh, certo...certo. Le-le faccio strada, Miss. balbettò flebilmente. Appunto.
Uscimmo dall'officina e mi condusse verso una vacchia rimessa distante una decina di metri. Andammo sul retro e a quel punto l'incedere dell'uomo si arrestò quasi di colpo. Si girò verso di me, mentre i suoi occhi saettavano ovunque come impazziti, senza posarsi mai su qualcosa di preciso e le mani torturavano lo straccio sporco d'olio che ancora stringevano.
E' là, qualche passo più avanti...Io...Io non... La voce gli usciva tremante, così lo raggiunsi e posai una mano sulle sue, fermandole.
Stia tranquillo, signor Palmer. Non deve venire con me. Perchè non torna in officina? Prima ho interrotto il suo lavoro. gli sorrisi incoraggiante, stringendo un po' la presa.
Mi rispose con un sorriso tirato ma chiaramente riconoscente e, con un cenno del capo, ritornò indietro decisamente spedito per un vecchietto affetto da artrosi.
Quando lo vidi sparire all'interno, mi diressi dove mi aveva indicato.
Intorno a me l'erba era giallognola e secca in diversi punti, alta e incolta. Tuttavia non dovetti faticare molto per trovare quello che cercavo. Poco più in là, l'erba era piegata a formare uno spiazzo circolare. Al suo interno un corpo immobile.
Mi avvicinai maggiormente e potei constatare che si trattava di una donna. I vestiti, strappati in più punti, erano sporchi ma questa volta non c'erano tracce di sangue su di essi.
Mi piegai sulle ginocchia, appoggiando a terra la valigetta ed estraendo i guanti in lattice per poi indossarli.
Ad una prima occhiata, la donna doveva avere intorno ai quarantacinque anni. Le braccia erano strette al petto, come a proteggersi, e le gambe erano piegate verso l'addome. Con cautela spostai leggermente il viso, girato di lato verso il terreno, e scostai i capelli scuri che coprivano il collo.
Ed ecco che il dubbio che - come un tarlo - mi aveva tormentato da quando avevamo ricevuto quella telefonata, divenne una certezza.
Due fori.
Identici a quelli dell'altra vittima.
In quel momento sentii il rumore di pneumatici avvicinarsi. Mi rialzai, presi l'IPhone dalla tasca dei jeans e scattai una foto al corpo e una nel dettaglio ai due segni. La polizia ne avrebbe fatte altre per il caso, ma io ne avevo bisogno subito. Dovevo mostrarle a qualcuno e quella era la mia tappa successiva.
Mi allontanai, tornando verso l'officina. Mentre mi avvicinavo, scorsi mio padre e Mike parlare con il signor Palmer, mentre altri due agenti scaricavano il necessario dalle auto della polizia.
Charlie.
Mio padre alzò il viso dal taccuino su cui, con ogni probabilità, stava appuntando le informazioni fornitegli da Jedediah.
Bells. Stavamo per raggiungerti. fece cenno di aspettare ai due uomini e mi raggiunse. Ci spostammo di qualche passo per evitare al signor Palmer i dettagli.
Allora, che mi dici?
E' una donna, sui quaranta. Stessi segni. risposi, grave e concisa.
Charlie mi fissò, uno sguardo deciso ed inequivocabile quanto la domanda implicita che celava.
Non esitai a rispondere.
Temo che ci troviamo davanti ad un seriale, papà.
Rimase a guardarmi immobile per qualche secondo, poi con uno sbuffo si passò una mano tra i capelli, grattandosi la nuca. Era teso, preoccupato e decisamente confuso.
In effetti l'idea di un serial killer in un paesino come Forks aveva dell'incredibile.
Ok, mando i ragazzi. fece un cenno a Newton, che richiamò i due agenti e si diressero tutti e tre verso la rimessa.
Papà, io devo andare in un posto. Devo chiedere un parere ad un vecchio amico. Ci vediamo più tardi a casa, va bene? Ho l'impressione che per un po' dovrò restare. dissi, con un sorriso amaro.
D'accordo, Bells. A dopo. Ah! mi richiamò quando avevo già fatto qualche passo verso la mia auto. Che ti ha detto il dottore?
Purtroppo ci misi qualche secondo di troppo a collegare e il mio sguardo confuso dovette tradirmi, perchè Charlie mi rivolse un' occhiata di rimprovero.
Bells... il tono era sicuramente di rimprovero, misto però anche a rassegnazione.
Ci sto andando. Guarda: sto andando... sorrisi furba, aprendo lo sportello dell'auto.
Misi in modo, ridendo alla vista dello sceriffo che scuoteva la testa, mentre si incamminava verso il signor Palmer.


Fermai l'auto nel parcheggio davanti all'ospedale. Recuperai la borsa e scesi.
Mentre mi incamminavo verso l'entrata, vidi uscire due figure, un uomo e una donna. A giudicare dall'aspetto dovevano avere più o meno la mia età.
Il ragazzo aveva il viso teso e lo sguardo di uno che avrebbe preferito andare in guerra piuttosto che rimettere piede in quel posto. Era biondo, alto e snello. Decisamente bello. La ragazza lo teneva a braccetto, sorridendo e accarezzandogli lentamente il braccio. Aveva i capelli neri e corti, scompigliati ad arte. Era minuta e aggraziata. Pronta per salire su una passerella. Senza dubbio innalzavano drasticamente il livello estetico della città, considerando la media di Forks.
Quando ci trovammo a pochi metri di distanza, vidi lei alzare lo sguardo e puntarlo senza esitazione nel mio. Il suo sorriso si allargò ulteriormente e, non appena fummo spalla contro spalla, parlò.
Buona giornata, Bella!
Mi fermai immediatamente, voltandomi confusa a guardare le loro schiene allontanarsi. Salirono su una Mercedes nera e partirono.
Rimasi imbambolata a fissare l'auto, finchè la vidi svoltare ad un incrocio e sparire.
Cosa...?
Ero certa di non conoscere quella ragazza. Ne ero più che sicura, la mia memoria fotografica era uno dei miei punti forti. Allora come?
Certo, Forks era un piccolo paesino. Le persone si conoscevano tutte e sapevano tutto di tutti. Ipotizzai che avesse sentito parlare della figlia dello sceriffo. Eppure un particolare stonava.
Mi aveva chiamata Bella. E quello era un soprannome che solo le persone a me più vicine conoscevano e usavano.
Ripresi a camminare, entrando nell'edificio scuotendo la testa, frastornata.
Quella giornata stava diventando ogni minuto più strana.

Buongiorno, posso esserle utile?
L'infermiera al banco accettazione mi sorrise cordiale. Era una donna sui cinquant'anni, un viso tondo e paffuto e un'espressione tanto gentile.
Si, la ringrazio. Se fosse possibile avrei bisogno di parlare con un medico. Ho avuto un piccolissimo incidente stamattina e, avendo un padre abbastanza apprensivo, vorrei controllare che sia tutto ok. spiegai.
Certo, mi può dire il suo nome? chiese la donna, iniziando già a picchiettare le dita tozze sulla tastiera del pc.
Isabella Swan.
La donna sollevò di scatto il viso, inchiodandomi con uno sguardo tra il sorpreso e l'eccitato. Sembrava le avessi appena rivelato di essere la First Lady.
Lei è la figlia dello sceriffo!! urlacchiò, elettrizzata, facendo voltare diverse teste - tra pazienti e personale medico - nella nostra direzione.
Imbarazzata, mi sporsi ulteriormente verso il bancone, abbassando il tono.
Ehm, già...
Oh, ma che bello! Sai - oh, posso darti del tu? Certo, sei così giovane che potresti essere mia figlia! - ho letto tutti gli articoli che ti riguardano! Sei una celebrità qui a Forks! Giovanissima e uscita da poco dall'università hai affiancato il tuo mentore in quel caso che poi è finito su tutti i giornali. Che brutto fattaccio! E se non ricordo male, sei stata fondamentale nella risoluzione!! Oh, cara! Che bella sorpresa trovarti qui, sei venuta a trovare tuo papà? O forse sei qui per lavoro? concluse con fare cospiratorio.
Ero rimasta interdetta. Un po' per la parlantina-che-stordisce della donna, un po' per la quantità di informazioni che sembrava conoscere sul mio conto.
Ancora quel caso. Era la seconda volta quel giorno.
Decisi di mettere fine alla situazione, avevo una certa fretta e non potevo sprecare il pomeriggio per quella stupida e inutile visita medica.
Uhm, entrambe sorrisi cordiale Senta, se ora è un momentaccio posso passare più tardi...
La donna si riprese e agitò la mano in aria come a scacciare un insetto.
Che dici, cara! Ti chiamo subito un medico. mi assicurò, riprendendo a pigiare sui tasti. Vediamo...ah! Ecco, il dottor Cullen dovrebbe aver finito ora una visita. Aspetta che lo rintraccio!
Sollevò la cornetta e premette tre tasti, poi restò in attesa continuando a sorridermi. In modo vagamente inquietante.
Mi guardai intorno, giusto per spezzare l'imbarazzante connessione di sguardi, e notai che in effetti la sala d'aspetto del pronto soccorso era semi-deserta. Nessun ferito grave, a giudicare dall'assenza di pezze insanguinate tra le mani di quelli presenti.
Ecco, cara. tornai a prestare attenzione alla donna che stava posando il ricevitore Secondo piano, in fondo al corridoio sulla destra. Sulla porta c'è la traghetta col nome. Dottor Cullen, non puoi sbagliare! concluse con un sorriso.
La ringraziai e raggiunsi l'ascensore. Prima che le porte si chiudessero del tutto la vidi sventolare la mano con fare frenetico nella mia direzione.

Avanti. Una voce calda e gentile rispose al mio bussare.
Aprì la porta ed entrai nella stanza. Individuai immediatamente la figura dell'uomo, in piedi accanto ad una scrivania in legno scuro, intento a leggere quella che sembrava una cartella clinica.
Alzò lo sguardo e mi sorrise gentile.
La signorina Swan, presumo. mi venne incontro allungando la mano.
La strinsi, sorprendendomi di quanto fosse fredda e liscia.
Sono io. risposi, contraccambiando il sorriso.
Hanno spostato la settimana della moda a Forks? mi ritrovai a pensare. In un solo giorno avevo incontrato tre persone che avrebbero tranquillamente potuto essere modelli delle griffe più rinomate.
Quattro. Mi corresse il mio subconscio. Il ragazzo di stamattina...
Piacere, Carlisle Cullen. Allora, signorina Swan. Come posso aiutarla? La voce del dottore mi riportò alla realtà.
Oh, vede, stamattina ho avuto un banale incidente. Tuttavia, mio padre è un po' apprensivo e ha voluto che venissi a fare un controllo. spiegai, ripetendo più o meno quello che avevo detto all'infermiera.
Lo vidi annuire e fissarmi intensamente. Per qualche strano motivo avevo la sensazione che sapesse perfettamente di che incidente parlassi. Assurdo.
Conosco Charlie e direi che sarebbe meglio farlo questo controllo, così da rassicurarlo. disse, facendomi segno di sedermi sul lettino.
Annuii distrattamente, persa ancora nei miei ragionamenti.
Lo osservai meglio, mentre indossava i guanti in lattice. Improvvisamente un particolare mi colpì in pieno. Il colore dei suoi occhi era talmente insolito, per non dire unico, che era difficile non notarlo. Infatti, grazie anche alla mia famosa memoria fotografica, mi tornarono in mente le immagini dell'incontro di poco prima fuori dall'ospedale.
Quei due ragazzi...
All'inizio non ci avevo dato troppa importanza, distratta dalla frase della ragazza. Entrambi avevano gli occhi del medesimo colore del dottore. Ambra.
E subito un paio di occhi ancora più magnetici tornarono nella mia mente.
Il ragazzo che mi aveva salvato quella mattina.
Non c'era dubbio.
Il colore era lo stesso.





Alla prossima.
(Se mai qualcuno avesse davvero letto il capitolo XD)


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