Only Love can hurt like this

di Autumn Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blackmail ***
Capitolo 2: *** Chattery ***
Capitolo 3: *** Wisteria ***
Capitolo 4: *** Clouds ***
Capitolo 5: *** Butterfly ***
Capitolo 6: *** Pumpkins ***
Capitolo 7: *** Heart ***
Capitolo 8: *** Moonlight ***
Capitolo 9: *** Rain ***



Capitolo 1
*** Blackmail ***


1.
Blackmail

Lo scossone del treno risvegliò brutalmente Mary dai propri pensieri. Con un sospiro frustrato, si guardò attorno: nello scompartimento dagli interni scarlatti c’erano soltanto lei e due uomini che discutevano animatamente d’affari masticando tabacco. Non che vi fosse di che stupirsi, considerata l’afa di quella fine di agosto e la meta inusuale: chi mai avrebbe scelto di trascorrere gli ultimi giorni dell’estate in posti così sperduti, a meno che non vi fosse costretto?
Mary sospirò, guardando fuori dal finestrino: da quando aveva lasciato Boston non aveva mai smesso di stupirsi del caleidoscopio di paesaggi che offriva il continente americano. Il contrasto tra la fine città affacciata sull’Atlantico che aveva lasciato e quella terra aspra e rossastra cosparsa di polvere, montagne rocciose ed alberi era quasi disturbante. Si lisciò nervosamente il bordo del tailleur da viaggio blu scuro, composto da giacca e gonna di lino, dentro cui rischiava oramai di soffocare: aveva scelto l’abbigliamento del giorno con scaramanzia più che con apprensione, avendo cura dei pendenti di perle di sua madre, ma già detestava la treccia in cui aveva imprigionato i capelli castani da quel mattino e che sapeva essere ben diversa dalle intricate acconciature che ci si aspettava da una giovane di Boston.

“Tanto vale che capisca subito con chi ha a che fare …” considerò tra sé e sé, guardandosi riflessa nel finestrino: era una donna che sembrava una ragazzina, bassa, tremendamente pallida, con lunghi capelli castani e scalati che le ricadevano in due ciuffi laterali sulla fronte ed enormi occhi nocciola solitamente decisi, ma in cui, quel giorno, un occhio esperto avrebbe saputo leggere paura.
Quando il treno cominciò a rallentare, il cuore di Mary iniziò a rimbombarle nelle orecchie, tanto che, per un istante, temette quasi che sarebbe svenuta sul sedile. “Non essere ridicola: l’hai accettato tu. Non sei la prima e non sarai certamente l’ultima …” si ripeté come faceva da giorni, inspirando a fondo mentre iniziava a raccattare i suoi bagagli, costituiti da due valigie e da un baule pesante per cui avrebbe dovuto senz’altro chiedere l’aiuto del capotreno.
Mentre il treno attraversava una galleria di sempreverdi, Mary ripensò a Boston, alla brezza dell’oceano, alle strade lastricate, ai parchi, alla biblioteca ed al giornale dove faceva pubblicare i suoi romanzi d’appendice. Solo a loro ed a Miss Jane era dispiaciuto davvero quando aveva comunicato che si sarebbe trasferita ad ovest, ma, del resto, erano le uniche persone che considerasse amiche. Miss Jane in particolare …
Sospirò a fondo: era giunta nella sua pensione sotto ad un ristorante una sera d’inverno in cui la neve ed il gelo soffocavano Boston nella loro morsa. Era appena scappata da un sobborgo operaio, oltre che da una vita di stenti: sua madre era morta da forse un mese e suo zio beveva tanto da fare paura e voleva farla lavorare come ballerina per racimolare i soldi per arrivare a fine mese. Anche se Mary aveva solo tredici anni, conosceva l’implicazione di quella professione che le si proponeva e non l’aveva potuto accettare. Era scappata, lasciandosi tutto alle spalle ed era giunta alla porta di Miss Jane in un vestito troppo leggero e le lacrime agli occhi che si congelavano, tanto era infreddolita. Quella donna anziana e cicciotta l’aveva accolta come avrebbe accolto una figlia sua: in cambio di una mano al ristorante la sera, le aveva fornito una camera con caminetto, un letto caldo, cibo, acqua, abiti nuovi, le aveva insegnato come ci si comportava in società e, soprattutto, le aveva dato ciò che Mary aveva sempre agognato: la possibilità di andare a scuola. Era arrivata persino a conseguire una laurea in letteratura, pagandola con i suoi racconti per vari giornali di Boston. E Miss Jane era stata così orgogliosa di lei …
Quando una lacrima le ticchettò sul bordo della mano, Mary si riscosse: al solo ripensare a quando aveva dovuto dirle addio, le veniva da piangere. Ma doveva essere forte: gliel’aveva promesso. E, poi, non stava certo andando al patibolo: avrebbe potuto andare a trovarla quando voleva.
Prese fiato, alzandosi mentre dinanzi agli occhi le apparve l’insegna metallica su cui scintillava la scritta dorata ‘Colorado Springs’. All’apparenza, sembrava una qualunque cittadina del West: polvere, vecchi edifici di legno e mattoni, carri, cavalli e gente semplice. Peccato che l’apparenza, molto spesso, ingannasse.
Il treno si fermò con uno scossone, sollevando una nuvola di vapore. Mary prese le due valigie e si avviò con decisione verso il capotreno, pregandolo di scaricare il baule con i suoi libri ed il materiale per scrivere. Attese appositamente che gli altri due passeggeri scendessero prima di lei prima di fare un bel respiro ed avviarsi con decisione all’uscita: aspettare e rimanda l’inevitabile non avrebbe avuto alcun senso, dopotutto. Via il dente, via il dolore, come diceva sempre Miss Jane.
La banchina era semivuota, assolata e polverosa, come ci si aspettava e Mary, una volta scesa, attese pazientemente che il capotreno scaricasse il suo bagaglio cogliendo l’occasione per guardarsi attorno: proprio come aveva intuito, la città era un grande patchwork di gente e costruzioni in diversi materiali in piena espansione, tremendamente diversa da Boston. Senza contare che non lì c’era neanche l’ombra dell’oceano.
Persa com’era in quelle riflessioni, Mary era quasi riuscita a scordare il vero motivo del suo viaggio, ma, vedendo un solo uomo fermo sulla banchina con un mazzo di fiori colorati, le sopracciglia le si aggrottarono istintivamente e le labbra si chiusero in una linea sottile e ferma. Notando di essere stato visto, l’uomo si avvicinò a passo fermo.
Era strano pensare che quello stesso sconosciuto che si stava avvicinando passo dopo passo sarebbe stato suo marito, strano, vetusto e piuttosto orribile, ma, sfortunatamente per lei, era la pura e semplice realtà.
Quando, mesi fa, si era presentata all’appuntamento che le aveva fissato Preston Lodge II, presidente della National Trust, una delle maggiori banche di Boston, di certo non immaginava di essere posta dinanzi ad un rigido aut aut. Ricordava ancora perfettamente il volto duro e le basette candide di quell’uomo impeccabile e freddo che le aveva spiegato in termini comprensibili e senza troppi giri di parole che suo zio Anthony aveva dilapidato il patrimonio di suo madre, a cui aveva attinto dopo la sua morte e che, per metà e del tutto a sua insaputa, considerato che era scappata di casa a tredici anni, era di Mary. Lodge non si era fatto problemi a sottolineare che si sarebbe ritrovata presto sommersa dai debiti e dalle richieste dei creditori di suo zio e che anche nel caso in cui Anthony avesse fatto un favore al mondo e fosse morto si sarebbe ritrovata a pagare debiti per il resto della vita, probabilmente finendo per strada o in fabbrica. Neanche vendere quella terra incolta del Massachusetts che aveva ereditato da suo padre e che ancora Anthony non aveva intaccato sarebbe servito, a meno che non avesse accettato la sua generosa offerta: Lodge avrebbe chiuso un occhio sugli spaventosi debiti di suo zio, fatti anche in nome di Mary e di sua madre, tra l’altro, limitandosi a spogliarlo della casa e chiudendo definitivamente quel conto, se Mary avesse accettato di sposare il suo ultimogenito.
Sul momento, la scrittrice gli aveva rivolto un’occhiata ferita e sprezzante e si era prodigata nell’informarlo che mai e poi mai avrebbe ceduto ad un simile ricatto ed era uscita dalla banca talmente indemoniata che tutti i clienti ed i dipendenti, al suo passaggio, si erano spostati, impauriti.
Vi aveva riflettutto e rimuginato su per giorni e giorni, a mente fredda, ma la conclusione a cui era giunta era stata sempre la stessa: doveva accettare il compromesso di Lodge, che le piacesse o meno. Non era nelle posizione di scegliere e non poteva scappare dal proprio passato.
Non aveva comunicato la notizia al vecchio banchiere di persona, limitandosi ad un telegramma urgente e Lodge le aveva fatto pervenire tutte le istruzioni necessarie ed i documenti con cui si impegnava a celebrare il matrimonio entro un mese.
Quando l’aveva confessato a Miss Jane a cose fatte, dopo settimane di angoscia e pensieri, la donna l’aveva fissata con un’espressione talmente rammaricata da far scoppiare Mary a piangere per la prima volta da quando aveva realizzato cosa significava quanto aveva appena accettato. “Su, bambina …” le aveva sussurrato, stringendola al petto. “I matrimoni combinati ci sono sempre stati e sempre ci saranno: non è la fine del mondo, né della tua storia. Anzi: forse, ne è solo l’inizio, chissà!”
Quelle stesse parole rimbombavano come tamburi nella testa di Mary in quell’esatto istante, mentre si ritrovava a guardare l’uomo che in poche settimane sarebbe diventato suo marito.
Preston Lodge III assomigliava fin troppo al rigido padre, eppure certamente non si poteva definirlo un brutto uomo, anzi: alto e con le spalle larghe, aveva un sorriso smagliante e capelli tra il castano chiaro ed il biondo scuro. Indossava un impeccabile completo borgogna ed un cilindro ed era piuttosto sicura che i fiori aveva tra le mani fossero freschi di campo.
“Miss Moon?” domandò, esitante, quando l’ebbe raggiunta e la gola di Mary si seccò improvvisamente nel constatare che gli arrivasse solo alle spalle. “Preston Lodge III.” si presentò, facendo per porgerle i fiori, ma venne stroncato sul nascere da Mary stessa.
“Era piuttosto ovvio.” si ritrovò a dire senza neanche pensarci, pentendosene quasi subito nel vedere la sua espressione indurirsi. “Non essere sempre te stessa, sulla difensiva, Mary: per una volta, prova ad essere gentile, quando lo incontrerai.” le aveva ricordato Miss Jane, ma, come al solito, era stata troppo testarda per darle retta.
“Davvero? Dal momento che non ci conosciamo, non l’avrei detto. Questi sono per lei.” replicò lui a denti stretti, porgendole i fiori. “La ringrazio.” mormorò la scrittrice, prendendoli con un’espressione che sapeva essere esitante. “Bene. Benvenuta a Colorado Springs, allora: vedrà, la città le piacerà, è in costante espasione, presenta molti negozi e …”
“Senta, questa non è una gita di piacere, lo sappiamo benissimo entrambi.” sottolineò Mary, evidentemente infastidita dalla falsa cortesia dell’uomo: se c’era una cosa che detestava erano le bugie ed era meglio metterlo subito in chiaro. “Quindi sarebbe il caso di smetterla con questa farsa e di chiarire: saremo sposati, è vero, ma entrambi non abbiamo nessun desiderio di esserlo, a quanto vedo. Terremo fede al nostro accordo celebrando le nozze, ma niente di più: io non sono sua amica, né mai sarò mai pienamente sua moglie e di certo non farò tutto ciò che dice. Non sono una proprietà della famiglia Lodge, a prescindere da quale cognome assumerò.”
Aveva parlato senza prendere fiato e senza rifletterci troppo, vomitando un odio che non si era neanche resa conto di aver covato ed ora si ritrovava di fronte ad uno sconosciuto la cui espressione da stranita era passata a visibilmente irritata. “Io non desidero questo matrimonio più di lei!” ribatté Preston. “Se non l’aveva intuito, ora lo sa. Ma, in ogni caso, non merito di essere trattato in questo modo dinanzi a tutti e perdipiù …”
“Mi scusi!” lo frenò Mary, alzando le mani per bloccare sul nascere la sua risposta rabbiosa: decisamente non stavano partendo con il piede giusto. “Non intendevo certo turbarla. Mi dispiace. Ha ragione, ovviamente, ma deve scusarmi … io … è stato un lungo viaggio. Mi scuso per il mio tono, ma non per il contenuto di quanto ho detto, perché lo penso … ed io dico sempre quello che penso.”
“Questo l’avevo notato.” sottolineò l’uomo in un tono sarcastico che non piacque affatto a Mary. Rimasero a fissarsi per un po’ prima che Preston si schiarisse la voce. “Farò portare i suoi bagagli alla banca, dove ho provveduto a prepararle una stanza. Se lo desidera, possiamo andarci subito.”
Mary annuì, afferrandogli con reticenza il braccio che le offriva mentre s’incamminavano verso la cittadina sotto il sole cocente, entrambi rossi di rabbia ed orgoglio ferito: di certo non era un buon inizio per un matrimonio nato da un ricatto.

Angolo Autrice:
Benveuti,
Non so in quanti leggeranno questa storia, visto la poca popolarità del fandom e della serie, ma, per chi dovesse bazzicarvi, spero sia di vostro gradimento! Era da parecchio che non scrivevo e quest'idea mi è balenata durante una delle tante repliche della Signora del West. Il protagonista principale sarà Preston, oltre al nuovo personaggio di mia invenzione Mary, ma già dal prossimo capitolo compariranno anche tutti gli altri e verranno chiariti dubbi e dettagli. Idealmente, la storia si colloca subito dopo la fine della serie.
Grazie a chiunque passi di qui e buona lettura!
E.



 

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Capitolo 2
*** Chattery ***


2.
Chattery

Se Colorado Springs appariva aspra dalla stazione, addentrandovisi la sensazione veniva decisamente acuita.
Mary non dovette fare molti passi in quelle strade sterrate e rurali, tra edifici in legno ed alberi che sembravano dita nodose ricoperte di muschio, prima che le banca le apparisse dinanzi.
A vederla, ebbe subito l’impressione di uno dei tanti istituti bancari di Boston: mattoni, vetro, orologio, porta scura e massiccia, targhe scintillanti sotto il sole e persino un pinetto mezzo secco.
“Ecco qui: non è un granché, ma per il momento dovrà farselo bastare.” presentò Preston, tradendo un lieve imbarazzo, rapidamente coperto da un colpo di tosse. Mary evitò di guardarlo: non intendeva acuire i loro problemi con domande inutili. Il tempo le avrebbe risposto, forse.
“Gli appartamenti sono al piano superiore. Si può accedervi solo dalla banca, mi spiace.” proseguì il banchiere. “Non è un problema.” sospirò Mary, seguendolo sino alla porta d’ingresso ed attendendo pazientemente che le venisse aperta. “Prego.” la invitò Preston, scostandosi per lasciarla passare. Mary gli rivolse un sorriso forzato prima di intrufolarvisi.
La banca era … beh, una banca come tante: bancone d’ingresso, più dietro una scrivania e varie cassette di sicurezza.
“Non è come quelle di Boston, né com’era originariamente.” commentò Preston, facendola voltare, senza, tuttavia, incontrare il suo sguardo: improvvisamente, il pavimento era diventato interessantissimo.
“È per la crisi dell’anno scorso?” indovinò Mary. Il banchiere le rivolse un’occhiata stupita prima di annuire. “Mio padre glielo avrà sicuramente detto: prima possedevo una banca ben avviata, un hotel e parte di un giornale locale, ma ho dovuto vendere tutto per ripagare i debiti ed ora ho ricominciato in piccolo riaprendo la banca da zero, con tutto quel che comporta. Prego, mi segua di sopra.”
Mary lo fissò, lievemente stupita, prima di accodarsi: per tutto il viaggio, oltre a preoccuparsi, non aveva fatto che chiedersi perché mai il vecchio Lodge fosse così intenzionato ad affibbiare una moglie al suo ultimogenito. Aveva spesso sentito parlare di Preston Lodge III e vi si era informata con discrezione nei mesi precedenti la sua partenza da Boston, scoprendo poco e niente: aveva studiato ad Harvard e si era laureato con i voti migliori per poi iniziare subito a lavorare nella banca del padre prima di decidere di mettersi in proprio nel West. Immaginava che la crisi l’avesse colpito, ma non credeva così tanto. E, in ogni caso, non era un buon motivo per sposarsi con una nullatenente. Per scoprire la verità, però, avrebbe dovuto aspettare ancora un po’, se mai fosse riuscita a scoprirla.
Seguì Preston oltre una porta e lungo delle scale buie e ripide che, oltrepassata un altro uscio, la condussero direttamente nella casa dove avrebbe vissuto.
Era decisamente dimensionata rispetto alle tipiche case bostoniane in cui era sicuramente cresciuto Lodge, ma, per gli standard di Mary, era un appartamento di tutto rispetto: composto da un grande soggiorno sul verde, bianco e lilla sviluppato attorno ad un caminetto, da una cucina e da un’ulteriore porta.
“Lì c’è uno studio, ma potrà usare la stanza come preferisce, eventualmente anche come guardaroba o ...”
“Lo manterrò volentieri come studio, La ringrazio. Scrivo e mi servirà un appoggio.” annuì Mary, affaccianodosi: la stanza era vuota, ma c’era una bella scrivania d’ebano e due libreria semivuote che avrebbe potuto riempire come preferiva. La finestra, celata da tende leggere, dava sulla strada principale: avrebbe potuto essere un’ottima fonte di ispirazione.
“Scrive?” ripeté Preston, facendole rammentare solo in quel momento di non essere sola. Si volse, incontrando l’espressione perplessa dell’uomo. “Sì: a Boston lo facevo per augadagnarmi da vivere. Scrivevo romanzi d’appendice per svariati giornali, anche sotto pseudonimi, sovente. Non vengo certo dalla borghesia.”
“Beh, è … sorprendente.” dissimulò il banchiere, affrettandosi a cambiare argomento. “Al piano di sopra, in mansarda, ci sono il bagno e due camere. In città, dall’anno scorso abbiamo anche un sistema fognario ed un telefono, ma non ne possiedo uno in casa, solo in banca. Se necessiterà di usarlo, però, è a sua disposizione.” riprese ad illustrare Preston, ancora fermo sull’uscio. “Fino a domenica potrà occupare la camera degli ospiti.” mormorò, schiarendosi nuovamente la voce. Mary gli rivolse un’occhiata dubbiosa. “Domenica?” ripeté. “Ho fissato la cerimonia. Il tempo sta per scadere e prima …”
“Sì, certo: ha fatto bene. Non ha senso rimandare l’irrimandabile.” sospirò Mary, guardandosi le dita intrecciate e le nocche bianche. “E, dato che siamo fidanzati, sarà meglio darci del tu, non crede?” azzardò, riprendendo la sua anima pragmatica. “Senz’altro. E credo sia consigliabile fissare fin da subito le condizioni del nostro … accordo.”
“Su questo siamo d’accordo. Per quanto mi riguarda, ti ho già detto che non intendo essere comandata a bacchetta: non so che genere di uomo tu sia, dal momento che non ti conosco, ma ho sopportato per troppo tempo gli ordini altrui. Vivremo assieme e non avrò problemi ad occuparmi della casa ed a cucinare, ma …”
Preston la rivolse un altro dei suoi sarcastici sorrisi a trentadue denti che Mary già detestava. “Strane condizioni, per una sposa per corrispondenza. Credevo foste istruite a tutt’altro ...” considerò. “E pensi davvero che io abbia scelto di venire qui e di sposarti?” ribatté subito la ragazza, zittendolo con la sua sola espressione furibonda. “Se sono qui è solo e solamente perché tuo padre mi ha ricattato: o così o sarei finita in bancarotta a causa dei debiti di mio zio e del vecchio conto che condividiamo. Non avrei alcun interesse a sposarmi, altrimenti.”
“Non preoccuparti: non ce l’ho neanch’io. A dire il vero, non so neanche perché mio padre me l’abbia proposto …”
“Avresti anche potuto rifiutare: sei un uomo, hai molte più opzioni.”
“A che pro? Per far infuriare mio padre? Dopo la crisi il suo sostegno è stato indispensabile per ricominciare daccapo.”
“Ed immagino lo sia ancora per un figlio che segue le stesse orme del padre …”
Preston la fissò duramente. “Lo è.” sibilò. “Le tue condizioni mi stanno bene. Per quanto mi riguarda, invece, anche dopo il matrimonio dormiremo in due stanze separate. Non ho alcun interesse a dormire con te.”
Mary sollevò le sopracciglia. “La cosa è reciproca. Stavo per dirlo prima che mi interrompessi.” reagì senza neanche pensarci. “Naturalmente, vale anche il contrario: non intendo essere comandato in nessun caso. Potrai anche essere mia moglie sulla carta, ma non nella realtà.”
“E se tuo padre dovesse reclamare discendenti?” azzardò Mary, ben sapendo che il vecchio Lodge avrebbe potuto benissimo farlo. “Troverò una scusa plausibile che ti riguardi.”
Mi riguardi?”
“Beh, non potrà certo essere colpa mia, dal momento che le spiegazioni andranno date alla mia famiglia, no?”
“Ovviamente no.” commentò Mary, sospirando per trattenere la rabbia. “Hai detto tu che non t’importa di questo matrimonio.” sottolineò Preston, rivolgendole un altro sorriso falso. “No di certo. Ora, se vuoi scusarmi, vorrei sistemare i miei bagagli.”
“Certamente: sono stati sistemati nella camera libera di sopra. La tua è quella sulla destra. Io oggi pomeriggio sarò in banca.”
“Bene.”
“Bene. Benvenuta a Colorado Springs.”
Il banchiere si toccò il cappello in cenno di saluto prima di voltarsi ed attraversare rapidamente la casa per poi sparire oltre la porta d’ingresso.
Rimasta sola, Mary sospirò, guardandosi attorno: la casa era piuttosto parca, ma non era priva di gusto, per essere abitata da un uomo solo. Le tende e l’arredamento erano curati e c’era pulizia, ma mancava un accenno di vita ad animare le stanze. Tutto sommato, avrebbe potuto abituarvisi e, forse, apporre qualche modifica a suo piacimento.
Salì le scale lignee che portavano al piano mansardato e trovò facilmente, la camera, arredata con un grande letto matrimoniale, un armadio ed un toeletta. Leggere e lunghe tende bianche a fiori rosa coprivano le ampie finestre che davano sulla ferrovia. Mary osservò i binari ed il viavai di gente: ci sarebbe stato un po’ di rumore, ma niente a cui non fosse abituata. Dopotutto, nei condomini di Boston dov’era cresciuta era anche peggio.
Trascorse due ore a disfare i bagagli, sistemando i suoi abiti ed i gioielli in camera e tutti i suoi libri ed il suo materiale nello studio. Dopo una veloce ispezione della casa, scrisse una lista di alimenti e materiale che le sarebbero serviti e si decise ad avventurarsi in paese per comprarli dopo essersi rapidamente cambiata sciolta i capelli come li portava di solito.
Quando scese per uscire, Preston non alzò quasi gli occhi dal proprio lavoro e si limitò a bofonchiare un assenso ed un rapido: “Fa’ mettere tutto sul mio conto.” prima che uscisse.
Solo una volta fuori dalla banca, quando incontrò gli sguardi attoniti e diffidenti del paese, Mary si rese conto di essere completamente sola dall’altra parte del continente.

***

“Di passaggio con il treno?”
Mary sollevò lo sguardo dai tessuti che stava esaminando, incontrando il sorriso di un anziano che pareva saperla lunga. L’emporio era stato il primo negozio in cui era entrata dopo aver chiesto indicazioni allo sceriffo locale, un uomo alto, biondo e molto gentile di nome Daniel. Affollato com’era a quell’ora, Mary non si era disturbata a chiedere ed aveva cercato la merce che le serviva, riempiendo in poco tempo il cesto che si era portata dietro di frutta, verdura, farina e qualche spezia. Stava dando un’occhiata ai centrini ed a qualche oggetto d’arredamento con cui ravvivare casa quando il signor Bray, come aveva intuito, l’aveva apostrofata.
“No: mi sono appena trasferita.” rispose Mary con un sorriso di circostanza, riprendendo ad osservare le stoffe. “Ah! Da dove viene?”
“Boston.”
“Anche lei?”
All’occhiata perplessa della ragazza, rispose con un sorrisetto. “Scusi, è che qua c’è tantissima gente che viene da Boston … il dottor Mike, il nostro medico, il nostro banchiere, il dottor Cook … siete tutti attirati dal selvaggio Colorado, eh?”
“Non proprio: sono qui per motivi personali, signor …?” rispose cordialmente Mary. “Bray, Loren Bray. E con chi ho il piacere di parlare?”
“Mary Moon, il piacere è tutto mio. Posso chiederle dove è possibile trovare materiale per scrivere?”
“Oh, sicuro, quel che c’è è tutto qui! Allora, signorina Moon, dove alloggia, all’hotel, forse?”
“A dire il vero, alla banca.”
Resasi improvvisamente conto del silenzio di Loren, Mary sollevò lo sguardo dalla carta per incontrare quello sconvolto dell’anziano. “Cosa?” esclamò, esibendo una smorfia. “Io ed il signor Lodge ci sposiamo domenica.” spiegò la giovane. Se possibile, l’espressione di Loren divenne ancor più sconvolta “Cosa?” ripeté. “Una bella ragazza come lei con … Preston?”
“Sì: è stata una cosa improvvisa.” mentì, sfoggiando un sorriso poco convinto. “Oh, se vuole un consiglio, fugga finché è ancora in tempo. Anche un indiano sarebbe meglio di Preston Lodge, mi dia retta.” sospirò Loren, scuotendo il capo prima di tornare dietro il bancone. Mary gli rivolse un’occhiata dubbiosa, ma vista la presenza di altri clienti, non indagò oltre, sebbene incuriosita dalla sua uscita. Fece mettere rapidamente la merce sul conto di Preston ed uscì dall’emporio a testa bassa, evitando d’incontrare lo sguardo della gente.
Passeggiò lungo i portici dei negozi della città, stupendosi di quanto fosse fornita: aveva tutto, persino una specie di pensione-saloon chiamata Pepita D’Oro ed un giornale. Mary rimase stupita nel vedere l’insegna della clinica della dottoressa Michaela Quinn: non aveva immaginato che il medico della città fosse una donna. Era insolito persino per Boston, figurarsi per una città sperduta del Colorado. Subito dopo c’era il giornale locale, il Gazette, da cui Mary fu subito attirata come una farfalla dalla fiammella. Ne prese una copia e se lo mise sottobraccio, decidendo di sedersi ai tavolini del Grace’s Cafè per leggerlo.
Era tardo pomeriggio quando prese posto e, lisciando la tovaglia a scacchi, osservò quanto fosse curato quel locale, con i fiorellini ai tavoli ed il paesaggio incontaminato oltre gli alberi e la staccionata. Ordinò un tè e Grace glielo servì con uno dei suoi caratteristici sorrisi. “Benvenuta nella nostra città, è qui per restare?” azzardò subito. Mary sfoggiò un sorriso di circostanza, ritrovandosi a pensare che, in fondo, Boston o Colorado Springs non facesse poi tanta differenza: tutti sapevano tutto di tutti. “Sì.” annuì. “Si è trasferita con la sua famiglia, signorina …?”
“Moon, Mary Moon. E no, sono … sono qui per sposarmi.”
“Davvero? E con chi? Oh, scusi la curiosità, ma in città gli uomini sono quasi tutti già sposati …”
“Preston Lodge. Ci sposiamo domenica.”
La reazione di Grace fu esattamente la stessa di Loren: gli occhi si sgranarono ed il sorriso svanì. “Oh!” commentò. “Oh. E … ed è da molto che siete fidanzati?”
“No: è stata una cosa improvvisa. Volontà delle famiglie.” sviò Mary. “Oh!” ripeté Grace. “Sembra che tutti, in città, abbiano la medesima reazione, quando lo dico, sa? È quasi divertente …”
“Oh, no, non intendevo offenderla, assolutamente, è solo che …”
“Immagino che il signor Lodge non goda esattamente di popolarità in città, o sbaglio?”
Grace sospirò, guardandosi attorno prima di protendersi verso di lei. “Detto tra noi, no: ha abbattuto l’albero degli innamorati appena arrivato per farci una casa, ha sempre fatto i suoi interessi senza badare a quelli degli altri ed ha perso tutti i soldi della gente l’anno scorso. Dire che è odiato è riduttivo, mi creda. E posso garantirle che non è una brava persona, anzi: è falso, avido e senza scrupoli. Se può, fugga da questo matrimonio, prima che sia troppo tardi.”
Mentre Grace si allontanava al pianto di suo figlio, appollaiato su un tavolino, Mary sospirò, fissando il suo tè: avrebbe davvero voluto poter fuggire.

***

“Ho fatto un giro in città, oggi pomeriggio.” commentò Mary a metà di una cena che, più che silenziosa, era stata muta. Preston era rientrato tardi dalla banca e si era seduto, limitandosi a ringraziarla per la cena che aveva preparato. Quello, per lui, era senz’altro un lato positivo del matrimonio …
“Ha incontrato la tua approvazione?” replicò il banchiere, laconico e vagamente sarcastico. La ragazza annuì. “Diciamo che è ben fornita, nonostante sia piccola.”
“Lo è.”
“Molti mi hanno chiesto cosa ci faccia qui e non ho mentito, anche se non neanche ho detto tutta la verità.”
“Non vedo perché avresti dovuto: prima o poi, sarà noto a tutti.”
“Appunto.”
Dopo qualche minuto di silenzio, Preston azzardò una domanda. “E cos’altro ti hanno detto?”
Mary gli rivolse un’occhiata piccata. “Che farei meglio a scappare prima del matrimonio.”
Preston sfoggiò un sorriso beffardo. “Hanno ragione: se avessi scelta, scapperei anch’io.”
“Beh, ce l’hai: potresti sempre tornare a casa.” commentò la ragazza, alzandosi per pulire i piatti. Si sorprese non poco quando il banchiere la fermò con un gesto ed iniziò ad occuparsene personalmente.
“Ed a che pro? Per farmi mantenere da mio padre?” riprese dopo un po’. “Beh, non vedo la differenza rispetto a stare qui …”
“Non la vedi perché non sai e, quando non si sa, è meglio tacere, invece di dar aria alla bocca per niente.”
Mary sobbalzò, stupita dal tono gelido con cui le si era rivolto. “Hai ragione.” commentò, alzandosi, stizzita. “Ed hanno ragione anche i cittadini di Colorado Springs. Ma, sfortunatamente per me, sono costretta a restare qui con te, quindi voglio chiarire subito una cosa: tu non mi conosci, ma stai sicuro che raramente do ‘aria alla bocca’, come dici. Se dico qualcosa, è solo perché lo penso davvero.”
Detto ciò si volse e si diresse a passo sicuro in camera, ricacciando indietro le lacrime: decisamente quella realtà non era quella che aveva immaginato da ragazzina quando, leggendo Shakespeare, sognava il principe azzurro ed un futuro radioso.

 

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Capitolo 3
*** Wisteria ***


3.
Wisteria

Cara Jane, il Colorado è bellissimo ...
No, avrebbe capito subito che qualcosa non andava.
Cara Jane, posso dirmi una ragazza davvero fortunata, dal momento che …
No, troppo pomposo. Non stava certo scrivendo uno dei suoi romanzi.
Cara Jane, spero che tu stia bene. Io sto bene per fortuna
Oh, no, cos’era, un tema delle elementari?
Cara Jane, il mio futuro marito è un uomo splendido
Con uno sbuffo, Mary accartocciò l’ennesimo foglio e lo gettò lontano. Ma chi credeva di prendere in giro? Miss Jane la conosceva meglio di chiunque altro: avrebbe colto subito le bugie celate tra quelle righe.
Volse appena il capo, fissando Colorado Springs fuori dalla finestra: se c’era una cosa che aveva imparato di quella città era che il clima era fin troppo secco, la polvere onnipresente e la gente oltremodo curiosa, specialmente Loren.
Nei sei giorni trascorsi dal suo arrivo, Mary aveva fatto ben poco che non fosse sistemare le sue cose in casa, cercare di abbellirla con dei fiori e rivoluzionare una cucina quantomeno sfornita. Si era sinceramente chiesta cosa mangiasse Preston, dal momento che, secondo Grace, non si faceva vedere al suo caffè da un anno.
Nel tempo libero, Mary rileggeva i suoi libri ed il Gazette o passeggiava. Non era stato difficile identificare i protagonisti principali della vita della città: c’era il dottor Mike con la sua allegra famiglia, a cui mancava la figlia, sposatasi e trasferitasi in Pennsylvania per diventare medico, il gentile sceriffo Daniel, il pettegolo Loren, il sindaco e barbiere Jake con sua moglie Teresa che aspettava il loro primo figlio, il bizzarro, ma tutto sommato simpatico, Hank, la decisa Dorothy, che viveva con un indiano di nome Nube che Corre e poi Grace, Robert E., il loro bambino di solo un anno AJ, il reverendo cieco ed il malinconico Horace. Finora, aveva avuto modo di conversare davvero solo con Loren e Grace, ma bramava con tutta se stessa la compagnia di altri essersi viventi e qualche dialogo di qualunque tipo.
Dire che l’atmosfera con Preston era tesa sarebbe stato gentile: lei ed il banchiere non si rivolgevano mai la parola all’infuori dei canonici saluti, ringraziamenti e delle informazioni minime necessarie. Entrambi sembravano emanare ondate di rancore miste a rabbia per quello che si erano rinfacciati il primo giorno e Mary faticava a credere che solo l’indomani l’avrebbe sposato. Persino il reverendo, quando gliel’avevano comunicato, era sembrato perplesso ed aveva chiesto più volte se il matrimonio fosse davvero programmato solo in base ai sentimenti degli sposi, cosa che entrambi avevano confermato senza mai guardarsi.
Certo, non poteva dire che Preston fosse maleducato o perfido nei suoi confronti: era gentile, l’aiutava ad ambientarsi e, con suo estremo sconcerto, persino in casa, ma era ben lontano dal tipo d’uomo che aveva pensato di sposare da bambina. La banca era l’unico luogo dove sembrava trovarsi davvero a sua agio e dove non sfoggiasse quei sorrisi falsi o quelle frasi di circostanza: lì non si trincerava dietro il bon ton o l’aspetto che curava minuziosamente. I numeri e gli affari erano senz’altro il suo pane quotidiano e doveva essere molto bravo a gestirli. Certo, le voci che aveva sentito in paese sul suo conto lo descrivevano come una delle persone più avide e spregevoli del continente e, quando l’aveva fronteggiato, Mary si era trovata d’accordo, ma era come se, sotto, ci fosse molto di più, un abisso che il banchiere non mostrava forse neanche a se stesso e che di certo non avrebbe scoperto in una settimana.
Picchiettò pensosamente la penna sulla scrivania, fissando con malinconia la pila di fogli sul tavolo: lo studio era oramai sistemato alla perfezione, con i libri ben riposti per genere ed intervallati dagli oggetti che le erano cari, come fiori, le conchiglie che raccoglieva da bambina o i soprammobili a forma di gufo che comprava qua e là, ma le mancava l’ispirazione.
Da quand’era arrivata, complici i cambiamenti e la tensione, non aveva scritto niente, anche se aveva letto avidamente il Gazette ed aveva osservato spesso da lontano Dorothy posizionare fuori i nuovi giornali con l’aiuto del figlio del dottor Mike, Brian. Le sarebbe piaciuto parlarle, ma non osava: dopotutto, non la conosceva e sposare Preston non era un bel biglietto da visita, soprattutto considerato che era stato ex socio del giornale e poteva solo immaginare che cosa avrebbe potuto comportare ciò.
Con l’ennesimo sospiro frustrato, si alzò e, lasciato lo studio, raggiunse la sua camera per indossare l’abito da giorno, dal momento che era ancora in vestaglia: quando si era alzata, Preston, come tutti i giorni, era già uscito. Non appena aprì l’armadio, si ritrovò a bloccarsi fissando il suo abito da sposa, colta dall’oramai familiare angoscia: non sarebbe stato un vero e proprio matrimonio, lo sapeva, ma, nel bene o nel male, la sua vita e quella di Preston, dall’indomani in avanti, sarebbero state legate. Sfiorò la scollatura a barchetta, le maniche, il busto e la gonna di pizzo un po’ più corta davanti e sospirò: miss Jane l’aveva cucito appositamente per lei ed il solo pensiero di indossarlo per un’unione basata su un ricatto l’aberrava. Oramai, però, tanto valeva rassegnarvisi: era lì e non c’era niente che potesse cambiare la sua situazione, se non lei stessa. Prese la camicetta leggera a fiori ed il completo viola ed iniziò a vestirsi. Mentre indossava i pendenti, Mary aggrottò la fronte: forse, dopotutto, una soluzione per quel vuoto che l’attanagliava da quand’era arrivata c’era.
Colta dall’idea, corse in studio e raccattò copie di romanzi che aveva scritto: se fosse riuscita a vendere i suoi libri da Loren, le ulteriori percentuali sulle vendite le avrebbero riempito le giornate e dato l’autonomia finanziaria per fuggire il prima possibile da quella prigione dorata.
Senza pensarci due volte, infilò tutto in una borsa e si precipitò giù.
La banca, come al solito, era vuota e Preston, in grigio, sedeva alla sua scrivania reivsionando carte. Vedendola, le rivolse un’occhiata perplessa. “Buongiorno. Vado all’emporio.” l’apostrofò Mary. “Buongiorno. Va’ pure. Hai intenzione di fermarti da Grace a leggere?” replicò l’altro senza commentare, alludendo alla borsa colma di volumi. Mary esitò, salvo poi decidere di essere onesta: dall’indomani, dopotutto, sarebbero stati marito e moglie. Non aveva senso mentire sin da subito. “A dire il vero, pensavo di proporli a Loren per la vendita: se fosse interessato, potrei fargli avere qualche copia dal mio editore e ci potremmo mettere d’accordo per le percentuali. In questo modo, guadagnerei anche qualcosa …”
Presto sospirò, abbassando per un attimo lo sguardo. “Francamente non credo che Loren sia interessato: in questa città molti non sanno neppure leggere. Non fraintendermi: non voglio sminuire le tua capacità o impedirti di proseguire con il tuo lavoro. Sto solo evidenziando un dato di fatto che, purtroppo, nel tuo mestiere va considerato.”
“L’avevo capito.” sospirò Mary, distogliendo lo sguardo al sentirsi arrossire: non ci aveva pensato, effettivamente e si stava dando della stupida per non averlo fatto. “Ad ogni modo, tentare non costa nulla. Non posso certo stare qui ad aspettare che le opportunità cadano dal cielo: cercherò qualcosa da fare finché non la troverò ...”
“Fa’ pure, ma permettimi solo di ricordarti che questa non è Boston: non pensare che tutti ti accettino senza problemi così per come sei e per quello che fai.”
“Oh, non smetto mai di ricordarmelo, non preoccuparti.” ribatté Mary senza astio, marciando fuori dalla banca sempre più furibonda: sembrava che Preston avesse fatto dello smontare ogni sua iniziativa una specie di passatempo. Naturalmente era consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato nel concretizzare i suoi progetti, ma sentirsele continuamente sbattere in faccia non era di alcun aiuto.
A passo spedito, procedette davanti al negozio di Jake e raggiunse l’emporio semivuoto.
Loren era dietro alla cassa intento a compilare un registro e, non appena la vide, le rivolse un gran sorriso. “Oh, miss Mary, buongiorno! Come sta? È venuta per prendere qualche ultima cosa per il matrimonio?”
“Buongiorno, signor Bray. A dire il vero sono qui per farle una proposta. Forse avrà intuito che scrivo … o, meglio, che scrivevo romanzi d’appendice per alcuni giornali a Boston. Naturalmente dispongo dei titoli necessari, ho una laurea in letteratura. Volevo chiederle se fosse interessato a vendere qualcuno dei miei libri nel suo emporio …”
Loren la fissò, perplesso, annuendo. “Sì, sì, l’avevo intuito. Beh, non vorrei sembrarle scortese, mi creda, davvero, ma … beh, i libri che vanno, qui, sono solo i classici per ragazze ed a volte neanche quelli. Ordino solo quelli che mi vengono richiesti espressamente dai clienti.”
“Capisco …” annuì Mary, celando la delusione dietro ad un sorriso di circostanza. “Non importa: era un fattore che avevo comunque considerato, ma tentare non poteva farmi alcun male. La ringrazio e le auguro una buona giornata, signor Bray.” si congedò con un sorriso prima di affrettarsi a marciare fuori, sperando di non essere arrossita per la vergogna.
Attraversò a testa bassa i portici dei negozi, scansando la familiare folla di gente che la fissava e mormorava qualcosa a proposito di Preston. Camminò spedita sino al caffè di Grace, dove si lasciò cadere ad un tavolo, ansimando per la corsa e gettò malamente i libri sulla sedia accanto alla sua prima di prendersi la testa tra le mani e respirare a fondo per calmarsi: sapeva che probabilmente sarebbe finita così ed anche Preston gliel’aveva detto, ma la delusione bruciava comunque, soprattutto per una come lei, che, nel bene e nel male, combattendo aveva sempre ottenuto ciò che desiderava. Perché ora le risultava così difficile? Perché perdeva in qualunque cosa?
“Tutto bene, signora?”
La voce la fece sobbalzare, ma si rilassò quando, voltandosi si ritrovò a fissare un ragazzino sui quindici anni dai capelli biondi tirati all’indietro e lo sguardo grigio e gentile. Lo riconobbe subito come il figlio del dottor Mike, Brian.
“Sì, certo. Ma grazie per avermelo chiesto.” sorrise, ricomponendosi. Il ragazzino fece spallucce. “Mi hanno insegnato che bisogna aiutare chi si trova in difficoltà e lei sembrava proprio … beh, disperata. Cioè, non volevo …”
Mary sorrise. “Non preoccuparti: ho capito ed apprezzo molto la sincerità, davvero. Ho anch’io lo stesso problema, sai? Dico sempre quello che penso … e, di solito, non lo apprezzano.”
Brian le sorrise, sedendosi. “Lei è la signora Lodge?”
“Domani lo sarò.” sospirò Mary. “Oggi sono ancora la signorina Moon. Mary Moon. So che fa ridere, davvero non so cos’avessero in testa i miei genitori quando hanno scelto il mio nome …”
“Un po’, ma le si addice. Io sono Brian Cooper.” sorrise. “Come mai sposa Preston?”
“Oh, è stata una cosa improvvisa.” sviò Mary. “Ma comunque sembra aver già influenzato ciò che tutti pensano di me, in città.”
“Il signor Lodge non è molto amato. Anche a mia mamma non piace. È il dottore, lo sa?”
“Lo so.” sorrise la scrittrice. “Come mai è così poco amato, se posso chiedertelo?”
“Il mio papà e la mia mamma dicono che è perché pensa solo al proprio profitto ed un po’ è vero, cerca di aumentare i suoi guadagni, come fanno molti in città, poi. Però … però ho sempre creduto che mamma si sbagli. Lei è molto intelligente, davvero, ma penso che abbia sempre mal giudicato il signor Lodge. Forse è perché sono entrambi di Boston, non so. Anche lei viene da là?”
Mary annuì, rapita dal suo racconto. “Ci sono stato, è un bellissimo posto.” annuì Brian. “Comunque, ci sono state delle occasioni in cui il signor Lodge … beh, mi è solo sembrato una persona molto sola e che ha sempre vissuto all’ombra di altri. Uno che deve sempre dimostrare il proprio valore per essere amato, quando invece non ce ne sarebbe bisogno. Ha parlato di competizione tra fratelli, ma non so molto di più: a casa non ne parliamo molto. Lei ne sa di più?”
“Temo di no.” sospirò la giovane. “Ma a volte ho avuto anch’io quest’impressione, Brian.”
“In città dicono tutti che è disonorata perché vive già con il signor Lodge, sa?”
“Lo immaginavo, ma sai una cosa? Non me ne importa un fico secco, come dite da queste parti …” rise Mary, facendo sorridere anche il ragazzo.
L’attenzione di Brian, di colpo, fu catturata dai romanzi. “Lei scrive libri?” domandò, notando il nome sulla copertina. Mary annuì. “Sì, a Boston lo facevo per mantenermi. Ho una laurea in letteratura e scrivevo romanzi d’appendice per vari giornali.”
“Ed è difficile quella laurea? Sa, a me piacerebbe fare il giornalista …”
“Se ami leggere, non direi. Bisogna solo leggere tanto, tantissimo … ed avere una certa sensibilità, ma quella la possiedi già.”
“Posso vederli?”
“Certo: sono di vario genere. Gialli, avventure, storie d’amore … se vuoi leggerli, te li presto volentieri.”
“Davvero?” sorrise Brian. “Non vedo l’ora di leggerli! Posso farle sapere cosa ne penso, dopo?”
“Devi: il parere dei lettori è fondamentale per migliorarsi. E mi piacerebbe davvero molto leggere qualcosa di tuo, se vorrai.”
Il ragazzino sorrise, alzandosi. “Sicuro! Ora devo andare, purtroppo … è stato bello parlare con lei!”
“Anche per me. A presto, Brian!” lo salutò Mary, guardandolo allontanarsi con i suoi volumi ed un sorriso smagliante che un po’ già le mancava.

***

“Davvero? E pensare che ha solo tre anni! Non c’è dubbio che, in quanto ad intelligenza, abbia preso dalla mamma!” sorrise Dorothy, sistemando una pagina sul vecchio torchio mentre Michaela, lisciandosi la treccia, annuiva, orgogliosa dei progressi di Katie. “Anche il papà è piuttosto intelligente e comprensivo, però …” sottolineò. “Comprensivo, soprattutto!” scherzò la giornalista, sbuffando per poi rivolgersi alla porta, da cui era appena entrato Brian. “Oh, ecco qui il mio aiutante! Stavo per andare a chiedere a Daniel di darti per disperso, sai, Brian?”
“Mi scusi, miss Dorothy, ero … distratto.” si giustificò il ragazzino, facendo spallucce. “E da cosa? Da quel libro, forse?” sbuffò la rossa, consegnandogli una pila di giornali da sistemare. Michaela, notando il romanzo, alzò le sopracciglia. “E questo da dove salta fuori? Non da casa nostra ...”
“No, me l’ha prestato miss Moon. Avrete sentito parlare di lei, su …” sbuffò Brian alle loro facce perplesse. “È la fidanzata di Preston!”
Il libro che Dorothy teneva in mano, a quell’affermazione, fracassò a terra con un tonfo. “Cosa?” esclamò la rossa sgranando gli enormi occhi cerulei. “Preston è fidanzato? E da quando?”
“Da quanto non so, ma so che domani si sposano.”
“Cosa?” ripeté Michaela. “E … e lei è …”
“Quella ragazza ben vestita che tutti osservano in città da una settimana, sì, mamma. Le ho parlato da Grace e mi sembrava molto simpatica, anche se triste …”
“Beh, lo credo bene: conoscendo la famiglia Lodge, si tratterà di un matrimonio combinato per risollevare le finanze di Preston!” azzardò Michaela. “No, ma’, ti sbagli: non è … beh, quel tipo di persona.”
“Che intendi?”
“Beh, come la nonna o le tue sorelle … sai, quelli un po’ … beh, quei ricchi che ti guardano dall’alto in basso, le prime volte. Che pensano di essere migliori di noi perché sono di Boston.”
“Ma lei è di Boston?” indagò Dorothy, sviando la lieve indignazione di Michaela. “Sì, ma mi ha detto di aver studiato letteratura e di essersi guadagnata da vivere scrivendo romanzi d’appendice per vari giornali. Questi sono alcuni dei suoi libri, io ho iniziato questo giallo e … beh, scrive davvero bene: mi piacciono le sue storie!”
“Posso?” chiese la rossa, tendendogli la mano. Brian le consegnò i volumi che Mary gli aveva prestato e Michaela subito si precipitò dietro all’amica per osservarli. “Non sembrano male …” commentò, leggendo le trame. “No, infatti. Mentre leggi quello, Brian, posso prendere questi? Vorrei proprio capire cosa scrive …” constatò Dorothy, umettandosi le labbra. “Certo, non credo le dispiacerebbe …” annuì il ragazzino. “E, forse, potrebbe anche darle qualche idea per il Gazette!”
“Era appunto a questo che stavo pensando …” sorrise la giornalista, soddisfatta.

***

“Com’è andata con Loren?”
La domanda di Preston ruppe il silenzio di una cena che era stata caratterizzata dall’assoluta assenza di rumori all’infuori del ticchettio delle posate nei piatti. Mary sollevò il capo dalla lattuga che aveva a malapena piluccato e lo fissò, sorpresa, salvo poi riscuotersi e sospirare. “Come avevi previsto: non è interessato a vendere i miei libri. Sfortunatamente quasi nessuno legge a Colorado Springs.”
“Ci saranno altre occasioni.”
“Non vedo quali per una donna in questa città …” sospirò la scrittrice, alzandosi: non aveva davvero fame. “Spero che non sia stata colpa della tua associazione con me …” azzardò il banchiere, versandosi dell’acqua. Mary gli rivolse un’occhiata piccata. “Quella non c’entra in questa questione, ma sicuramente non mi ha agevolata, da quando sono qui.” replicò, fredda. “Tutti pensano che sia una specie di disonorata, dal momento che viviamo già insieme …”
“Si tratta di una settimana ed ho chiarito a chiunque me l’abbia domandato che abbiamo stanze separate …”
“Peccato che siano davvero in pochi a rivolgere la parola a te e, di conseguenza, a me.”
A quella frase, Mary sentì un nodo in gola tristemente noto e deglutì per frenare l’incontenibile gomitolo di lacrime che le attanagliava la gola da mesi. “Scusami.” mormorò, affrettandosi a correre nella sua stanza e chiudendovisi dentro.
Si lasciò cadere sul letto e lì, osservando le stelle e la luna dalla finestra, le lacrime iniziarono a fluire libere. Non aveva pianto da quando era arrivata in Colorado, forte del fatto che, dopotutto, la sua situazione non fosse così terribile e che c’era anche chi stava indubbiamente peggio di lei, ma ora che mancavano poche ore al suo matrimonio e che si trovava a pensare al suo futuro non riusciva più ad ignorare quel magone che l’accompagnava da mesi. Che vita l’aspettava, dall’indomani in avanti? Chiusa in un appartamento sopra la banca con un marito con cui non faceva che discutere, senza un’occupazione o un ruolo, guardata con diffidenza da tutti in città?
Appoggiò la testa sul cuscino, lasciando che le lacrime inumidissero la trapunta leggera e chiuse gli occhi: questo non era quello che aveva immaginato e sperato per se stessa da bambina. Si era sempre vantata di avere un’indipendenza per non doversi ridurre a quei matrimoni combinati ed ora …
Un lieve bussare alla porta la fece sobbalzare. “Posso?” domandò la voce di Preston, flebile, dall’altro lato. “Avanti.” mormorò Mary, tirandosi a sedere ed asciugandosi le lacrime. Il banchiere socchiuse la porta ed entrò cauto, osservando la futura moglie con un misto di timore e rimorso mentre Mary cercava di ricomporsi.
“Ti chiedo scusa.” mormorò la scrittrice. “Non è stata una reazione molto matura da parte mia e certamente non giusta nei tuoi confronti.”
“No.” la frenò Preston, alzando una mano. “No, sono io a dovermi scusare con te. Non ti ho facilitato la vita da quando sei arrivata: non ho pensato che probabilmente non volevi nemmeno essere qui, badando solo al rancore che sembravi avere per me. La cosa assurda è che io più di tutti avrei dovuto capire cosa si prova ad essere soli in un luogo così lontano e diverso da Boston, circondati da gente che giudica e basta. Mi dispiace per come mi sono comportato, davvero e … e se vuoi ripensarci ed andartene, lo capisco e non ti porterò certo rancore. Se lo desideri, posso riaccompagnarti a Boston domani stesso e cercare di parlare con mio padre per …”
“No.” lo fermò Mary, schiarendosi la voce. “Non servirebbe. Non ho scelta, purtroppo. Quando sono nata i miei genitori erano piuttosto avanti con l’età e, alla morte di mia madre, sono rimasta con mio zio Stephen. Vivevamo nei sobborghi e lui non faceva che bere, giocare ed indebitarsi.” iniziò con un sospiro. “Quando avevo tredici anni, per guadagnare, mi ha proposto di diventare … beh, hai capito, credo. E così sono scappata di casa e mi sono rifugiata alla locanda di Miss Jane, che dava sull’oceano. Sono cresciuta lì: in cambio di una mano, miss Jane è stata una madre per me, mi ha dato un’educazione, vestiti e mi ha permesso di studiare, di laurearmi e di lavorare come scrittrice una volta cresciuta. Credevo di essere felice e libera e me ne vantavo, ma non avevo considerato i debiti di mio zio e quel conto cointestato che era stato dei miei … credo di aver covato troppa rabbia per tantissimo tempo e di averla riversata su di te anche se non ti conosco e non te lo meriti, per quel che mi riguarda. Scusami.”
Presto annuì, sedendosi cautamente accanto a lei sul letto. “Ammetto … ammetto di aver avuto anch’io le mie colpe: mi vergognavo. Sono andato via da Boston per sfuggire alla competizione con i miei fratelli ed alle lodi che mio padre dispensava loro, ma ho perso tutto e non mi ritiene neanche capace di trovare una moglie. È tutta la vita che mi sento dire come i miei fratelli siano più capaci di me e … beh, credo che questa storia della moglie per corrispondenza sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Credo che entrambi ci siamo fatti prendere un po’ troppo dalla rabbia per le vicissitudini che abbiamo vissuto ultimamente, ma, se vogliamo almeno vivere serenamente ed essere amici, dobbiamo voltare pagina e non da domani, ma da subito.”
Mary annuì, accettando con un accenno di sorriso il fazzoletto che Preston le porgeva. “Non ti prometterò che in me troverai un marito perfetto o l’uomo dei tuoi sogni, ma posso garantirti che avrai almeno un amico o un alleato.”
“Lo stesso deve valere anche per te.” sospirò Mary, tendendogli la mano. Il banchiere sorrise e gliela strinse. “Ora va’, che porta sfortuna vedere la sposa!” l’ammonì con un sorriso prima che Preston ricambiasse e la lasciasse sola con la testa fin troppo confusa, ma almeno un po’ più serena.

***

Si sposarono alle sette del mattino del giorno seguente, quando il sole era appena sorto e la città ancora semiaddormentata.
Quando ebbe terminato di prepararsi con il suo vestito di pizzo, i lunghi pendenti di brillanti ed i capelli appoggiati in morbide onde su una spalla e scese di sotto, trovò Preston ad attenderla in completo da festa con un mazzo di glicini lilla.
“Come sapevi che sono i miei fiori preferiti?” sorrise la giovane, accettandoli di buon grado. “Ti ho osservata in questa settimana: i glicini sono gli ultimi fiori che butti.”
Mary gli rivolse un largo sorriso prima di prendere un rametto e sistemarglielo all’occhiello. “Adesso siamo pronti.” sospirò.
Raggiunsero la chiesa insieme sul carro di Preston, senza incontrare anima viva e Mary ne fu quasi grata: il cuore le batteva talmente tanto forte che non avrebbe sopportato le congratulazioni degli sconosciuti.
Il reverendo li attendeva già e pronunciò il matrimonio con parole profonde, anche se con un tono vagamente dubbioso. Mary lo ascoltò appena, guardando ovunque tranne che a lui e Preston per evitare di arrossire o di svenire. Si riscosse solo quando il banchiere le infilò al dito una fede decorata con foglie e dei piccoli brillanti. Alla fine della cerimonia, Preston si chinò a darle un bacio sulla guancia e Mary sospirò, rivolgendogli un accenno di sorriso nervoso, subito ricambiato: forse, dopotutto, avrebbero anche potuto provare ad essere amici.

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Capitolo 4
*** Clouds ***


4.
Clouds

Preston si sfregò energicamente gli occhi, sospirando: quelle azioni ferroviarie gli stavano dando parecchi grattacapi. Un tempo, le avrebbe visionate e sottoscritte rapidamente, ma, ora, si prendeva ore se non giorni per analizzare ogni foglio che sostava sulla sua scrivania. Erano oramai trascorsi gli anni della prosperità, dopotutto ed aveva dovuto ricominciare tutto daccapo e da solo.
Certo, suo padre gli aveva permesso di tenere l’edificio e la banca e già questo era stato un aiuto per ricominciare, anche se decisamente umiliante, soprattutto considerato come avevano liquidato la cosa i suoi fratelli maggiori ed il vecchio Lodge.
La cosa forse peggiore, però, era forse che la banca, ora ripartita, arrancava: quasi nessuno si fidava più di lui per custodire i propri risparmi e non poteva mettere piede in paese che subito occhiate sdegnate ed espressioni ben poco gentili lo accompagnavano ovunque andasse.
Non che gli mancasse la compagnia altrui: era più che capace di accontentarsi della propria e non era mai stato un problema. Era abituato alla solitudine: da bambino era sempre stato considerato l’ultimogenito, piccolo e destinato all’ombra, da giovane, in banca, era solo uno dei tanti figli dei Lodge nonostante si fosse laureato come primo della classe in economia ad Harvard ed a Colorado Springs tutti avevano desiderato soltanto che se ne andasse da quand’era arrivato, un po’ per quell’albero, un po’ per i tassi d’interesse, un po’ per l’hotel ed un po’ per tutto l’insieme. La cosa che più lo stupiva era quanto simile fosse a Michaela per origini e quanto diversamente fossero accettati dalla gente: lei era adorata, lui disprezzato a prescindere dalle sue azioni. Poteva anche portare il progresso ed affari con un bell’hotel, donare medicine e strumenti a Michaela quando aveva dovuto chiudere la clinica per quella malattia rara e dare lavoro a Grace, anche se dalla porta secondaria, ma per tutti sarebbe stato sempre e soltanto avido e cinico. Non sempre si era comportato bene, era vero, ma come tanti altri, del resto: tutti, in città, Jake in primis, avevano commesso azioni positive e negative, eppure non venivano additati come lui.
Oramai non metteva più piede fuori dalla banca ad eccezione delle sue visite a Denver per affari e non aveva alcuna intenzione di farlo. Poteva benissimo farsi recapitare quel che gli serviva a casa e risparmiarsi le occhiate di rabbia e soddisfazione di chi aspettava solo che fallisse di nuovo.
E, poi, a peggiorare il suo costante senso di fallimento, era arrivata Mary. Dopo decine di lettere in cui suo padre non faceva che lodare i successi dei suoi fratelli nel lavoro ed in famiglia, il vecchio Lodge gli aveva persino trovato una moglie, visto che non sembrava capace di fare neanche quello da solo. Preston aveva pensato ad una sposa per corrispondenza ed aveva accettato per non vedersi portare via la banca, l’unica cosa di cui gli importava ancora, ma Mary era ben lontana dall’essere docile che aveva immaginato.
Era una donna bella ed elegante, questo non poteva negarlo, ma chiunque sarebbe stato intimidito dalla sua intelligenza, dall’indipendenza e dalla sua schiettezza che, inizialmente, aveva accolto come uno schiaffo in pieno viso. L’aveva trattata con freddezza, ne era consapevole, ma le sue illazioni l’avevano ferito come lame, forse perché erano la pura e semplice verità. Si era riscosso solo la sera prima del loro matrimonio, quando l’aveva vista piangere e, in un certo senso, l’aveva capita: se c’era qualcuno che comprendeva come si sentiva, sola in una terra sperduta, era proprio lui.
Aveva messo da parte le iniziali divergenze per sperare di avere quantomeno un’amica, di non essere più così solo e patetico e, per il momento, sembrava funzionare, anche se era un rapporto molto fragile e claudicante.
L’aprirsi della porta della banca lo riscosse dalle sue riflessioni e lo fece ancor di più il vedere Dorothy stagliarsi sulla soglia con dei libri tra le mani.
“Dorothy! A cosa devo il piacere della tua visita?” domandò, sorpreso, alzandosi. “Preston, che strano vederti! Non ti si vede da mesi in città … c’è chi mi ha chiesto di pubblicare un articolo sulla tua scomparsa, sai?” considerò la giornalista, avvicinandosi ed invitandolo a riprendere posto. “Sono stato molto impegnato. Come posso aiutarti?”
“Uhm, immagino.” sorrise la donna, ignorando la sua domanda e sedendosi di fronte a lui. “Come mai nessuno sapeva che ti fossi sposato? Conoscendoti, credevo che avresti organizzato una cerimonia degna dei reali d’Inghilterra ed avresti pubblicizzato i libri che scrive tua moglie persino sul New York Times … e, invece, neanche un annuncio sul Gazette ...”
“Non ti è mai venuto in mente che, forse, non mi conosci poi così bene, in fondo?”
“Questo te lo concedo. Comunque, l’ho vista in città: è carina …”
“Lo è. Cosa posso fare per te?”
“Siete felici, spero?”
“Credi che la maltratti?”
La donna tacque per qualche secondo prima di rispondere sinceramente: “No. Conosco bene il tipo d’uomo che maltratta la moglie e decisamente non sei tu. Però è anche vero che non ti ho mai visto fidanzato, né tantomeno, interessato a nessuna donna, tranne forse Isabelle Maynard, anni fa. E Hank si è sempre prodigato nel ribadire che non hai mai frequentato le ragazze del saloon ...”
“Dorothy, non ho molto tempo: come vedi, sono impegnato e questi non sono affari che ti riguardano ...”
“Tu sei sempre impegnato, Preston. E, comunque, volevo parlare con tua moglie: ho una proposta per lei. C’è?”
Il banchiere sollevò le sopracciglia, sorpreso. “Una proposta? E di che genere?”
“Non credi che dovrei parlarne prima con lei?”
“Sono suo marito, mi pare, non un estraneo.” sviò, più perché colto dalla curiosità che per imporsi. La giornalista sbuffò. “Ho letto i suoi libri e sono davvero molto belli. Tu non li hai ancora visionati?” esordì la rossa, posando sulla scrivania una pila di volumi su cui svettava il nome di Mary Moon. Preston prese il primo e lo sfogliò, rendendosi conto, non senza una punta di vergogna, di non aver mai chiesto a Mary dei suoi scritti.
“Non ancora.” ammise. “Ma, come ti ho detto, sono stato molto impegnato.”
“Nemmeno durante il vostro fidanzamento?”
“Vado a chiamartela.” sospirò Preston, affrettandosi ad andare di sopra prima di cacciare malamente Dorothy dalla sua proprietà.

***

Mary aprì gli occhi e, per la prima volta da settimane, si ritrovò a fissare le travi del soffitto della sua stanza senza confusione. Si tirò a sedere ed osservò la fioca luce del mattino entrare dalla finestra per qualche istante prima di sbadigliare e di alzarsi, stiracchiandosi. Spalancò le ante, lasciando entrare l’aria fresca del mattino ed iniziò a vestirsi meccanicamente, indossando la giacca e la gonna blu e gli orecchini bianchi per poi sedere a spazzolarsi i capelli, che non aveva mai smesso di portare sciolti. Mentre terminava, osservò il proprio volto alla toeletta: non era felice, ma, quantomeno, non era più pallida e crucciata come nei primi giorni dal suo arrivo.
Era passato oramai quasi un mese dal suo matrimonio ed oramai si era abituata alla routine che si era instaurata tra lei e Preston.
Non era cambiato il fatto che lei restasse prevalentemente nel suo studio a leggere o scrivere mentre lui passasse la maggior parte del suo tempo in banca, ma, quantomeno, ora, ai pasti e la sera riuscivano ad intavolare la parvenza di una conversazione.
Con un sospiro, osservò la fede che oramai si era accomodata al suo anulare sinistro: c’erano giorni in cui quasi non la notava ed altri in cui le pesava come un macigno. La cosa che più la metteva a disagio erano senza dubbio gli sguardi altrui, che complimentavano l’anello con falsa ammirazione e sfoggiavano una serie di illazioni e previsioni sul suo imminente futuro a cui si costringeva a rispondere con un sorriso tirato per evitare di dir loro di farsi gli affari propri. La massima aspirazione di una donna, dopotutto, poteva anche essere qualcosa di diverso dallo sfornare bambini ed essere una moglie sorridente ed accondiscendente. Nel suo caso, sarebbe stato già tanto se l’avessero mai vista dar apertamente ragione a Preston.
“Quantomeno siamo riusciti a sopportarci, in questo mese …” rifletté mentre scendeva di sotto per fare colazione.
Come tutte le mattine, la cucina era vuota: Preston andava in banca ad orari impossibili, praticamente al sorgere del giorno e vi rientrava al calar della notte. Si tagliò una fetta di crostata e si versò del caffè già tiepido prima di sedersi ed iniziare a mangiare lentamente, avvolta in un silenzio quasi assordante. Silenzio che avrebbe dovuto sopportare per tutta la vita: a quanto pareva, nel suo futuro non erano previsti grandi impegni, successo, amore o figli. Il suo ruolo sarebbe stato quello di stare lì e guardare la vita passarle davanti senza che potesse farci nulla. Peccato solo che, da sempre, Mary detestasse essere una spettatrice.
“Mary!”
La voce di Preston la fece sobbalzare. “Preston! Che succede?” domandò, alzandosi ed andandogli incontro: il banchiere, quel mattino, era in grigio perla ed era appena salito di corsa. “C’è qui Dorothy Jennings: vuole parlare con te.” spiegò. “Cosa? Ora? E … e perché?”
“Credo si tratti dei tuoi libri: li ha in mano.”
“Cosa? Ma … ma io non glieli ho mai dati!”
“Li hai dati a Brian, però, se ben ricordo e Brian lavora per lei ...”
“Giusto. Giusto. D’accordo: devo stare calma e cambiarmi allora …”
“Vai benissimo così, forza, scendi: ti sta aspettando!” la esortò il banchiere, prendendola delicatamente per un braccio ed invitandola a seguirlo in banca, ignorando le sue proteste.
Vedere Dorothy nel suo abito verde, la chioma rossa e gli occhi azzurri e vibranti, fu quasi un colpo al cuore per Mary ed il suo stomaco ancora vuoto fece una capriola.
“Signora Lodge, spero di non disturbarLa …” iniziò la giornalista, avanzando verso di lei. “Oh, nessuno disturbo, davvero! M-mi chiami pure Mary, lo preferisco.” balbettò la giovane, tendendole la mano tremolante. La rossa gliela strinse con soddisfazione. “Dorothy Jennings. Dunque, io volevo farle una proposta … ho letto i suoi romanzi, prestatimi da Brian, il mio assistente e … beh, trovo che abbia molto talento. Sono storie avvincenti, con personaggi ben caratterizzati, una morale profonda e colpi di scena, scritti molto bene … insomma, li ho molto apprezzati. E volevo proporle di scrivere qualcosa per il Gazette.”
“Ne sarei onorata. La ringrazio per i suoi complimenti, davvero …” sorrise Mary. “Ma, esattamente, cosa dovrei scrivere per il suo giornale?”
“Storie da pubblicare a puntate a cadenza settimanale, magari più d’una. E, se riesce, anche qualche articolo. Di recente, ho ingrandito il giornale, ma io e Brian fatichiamo oramai a portare avanti il tutto da soli. Il compenso sarebbe mensile …”
“Una percentuale su ogni vendita, mi auguro.” intervenne Preston, attirando gli sguardi delle due donne. “Dopotutto, la signora Lodge è più che qualificata per questo lavoro, con la sua laurea in letteratura. Non puoi pensare di pagarla quando puoi con qualche mancia come fai con Brian …” si affrettò a spiegare il banchiere. “Ed infatti pensavo appunto di discuterne più avanti. Ma, se la mettete così …”
“Iniziamo con un periodo di prova.” li frenò Mary, rivolgendo un’occhiata piccata a Preston. “Poi, se le cose vanno bene, mi retribuirà come dice … mio marito.”
“Affare fatto.” sorrise Dorothy, tendendole la mano, che Mary strinse prontamente. “Bene, l’aspetto domani alle otto al Gazette per definire i dettagli e, soprattutto, il tipo di lettori.”
“Ci sarò. La ringrazio per questa opportunità, Dorothy. E ringrazi anche Brian.”
“Potrai farlo tu di persona domani. Buona giornata, signori.” sorrise la giornalista, uscendo dalla banca a passo spedito.
Appena fu sparita dalla loro vista, Mary si volse verso il banchiere. “Stavo solo cercando di aiutarti ad essere pagata come meriti per la tua formazione.” si giustificò subito lui. “E non ce n’era alcun bisogno: so difendere da sola i miei interessi.” sospirò Mary. “E so quanto vale il mio lavoro. Santo cielo … ho un lavoro!” si ritrovò a considerare, stranita. “A quanto pare …” annuì Preston, coprendo l’imbarazzo schiarendosi la gola. Mary sorrise, entusiasta e lo abbracciò di slancio, salvo poi separarsi subito per correre in casa. “Devo preparare tutto per domani, scusa, ci vediamo dopo!” esclamò, sparendo lungo le scale.
Il banchiere rimase immobile a fissare il punto dov’era sparita, il cuore che gli martellava nel petto: non era abituato ad essere abbracciato, da nessuno. Nemmeno in famiglia, a Boston, si erano mai abbracciati. La cosa più sconcertante, però, era quanto gli mancasse quel delicato profumo al muschio bianco che Mary si lasciava sempre dietro e che gli aveva invaso le narici, la giacca e persino la scrivania nei pochi istanti che era stata lì accanto a lui.

***

“Sta’ calma, puoi farcela, ce l’hai fatta a Boston, perché qui dovrebbe essere diverso?” ripeté Mary, sistemandosi la camicia di velo rosa sotto alla giacca ed alla gonna borgogna, raddrizzando i pendenti dello stesso colore e lisciandosi i capelli. Aveva preparato tutto la sera prima, persino cosa indossare, eppure si sentiva nervosa come il giorno della sua laurea. Neanche quando si era sposata era così nervosa. “Forse perché era tutto finto ...” si ritrovò a pensare, scacciando subito l’amaro che le era salito in bocca a quella riflessione.
Rinunciando alla sua lotta con lo specchio, si affrettò a scendere. Era talmente nervosa che non aveva neanche fatto colazione, limitandosi a trangugiare un caffè.
Con la cartellina con i suoi appunti stretta al petto, scese in banca, trovandola stranamente occupata da due signori che stavano depositando i loro risparmi.
“Buongiorno. Io vado.” annunciò a Preston. Questi le rivolse un cenno prima di tornare al suo lavoro e Mary, tratto un bel respiro, uscì e si avviò verso il Gazette.
Colorado Springs, di mattina, brulicava di vita: lo sceriffo Daniel aveva già qualche ladruncolo da chiudere in prigione quel mattino, il sindaco Slicker stava tagliando i capelli del reverendo mentre sua moglie si dirigeva a scuola, probabilmente per le ultime volte, viste le dimensioni della sua pancia. L’emporio di Loren era già affollato ed il Pepita d’Oro era tutto un viavai di gente da ogni dove, con Hank che osservava soddisfatto la folla fumando sulla porta d’ingresso. Al passare di Mary, le fece un cenno con il capo. “La moglie di Preston, immagino?” l’apostrofò. Mary annuì. “E lei dev’essere il signor Lawson.”
“In persona. Sa che è famosa in città? Tutti si chiedono come abbia fatto a sposare il nostro banchiere quando noi vorremmo solo caricarlo sul primo treno per Boston …”
“Oh, non è poi così difficile: un anello, un pastore e qualche bella parola ed il gioco è fatto.” sorrise Mary e, dall’occhiata che le rivolse Hank, doveva averla trovata quantomeno spiritosa. “Buona giornata.” lo congedò, avviandosi a passo deciso verso il Gazette.
Appena giunta alla porta, prese fiato, il cuore che le martellava nel petto e bussò, senza, tuttavia, ricevere risposta. La porta cigolante, tuttavia, si aprì al suo bussare e Mary si affacciò timidamente. “Permesso? C’è nessuno?” domandò, cauta, osservando con ammirazione mista a reverenza quell’ambiente tappezzato di libri ed archivi con due scrivanie ed un torchio che profumava d’inchiostro.
Rimase tanto persa nella contemplazione dei ritratti di scrittrici famose da non accorgersi subito dell’entrata nella stanza di un indiano e, quando si volse, sobbalzò per lo spavento.
“Oh, mi scusi, non volevo spaventarla …” sorrise l’uomo, avvicinandosi nei suoi abiti di pelle azzurri e gialli pieni di piume e perline. “È lei che deve scusare me, davvero: sono entrata senza permesso e non avrei dovuto. Cercavo Dorothy.” si riscosse la giovane. “Arriva subito, è andata a prendere un caffè da Grace: è rimasta sveglia tutta la notte per finire un articolo, sa com’è fatta ...”
“Capisco.” deglutì Mary: non era nella posizione di giudicare quell’unione di cui tutti sapevano e non l’avrebbe fatto certo ora che Dorothy le aveva offerto un lavoro.
“Lei dev’essere Mary Lodge, Dorothy mi ha parlato di lei.” proseguì l’uomo, tendendole la mano. La scrittrice la strinse, grata che avesse pensato lui a toglierla dall’imbarazzo. “In persona, piacere di conoscerla …”
“Nube che corre.”
“Nube che corre … e la devo chiamare proprio così, in futuro? Cioè, non voglio essere scortese, ma …”
“Non lo è: è solo sincera.” sorrise l’indiano. “E, comunque, è proprio Nube che corre, sì.”
“Un po’ un problema per la firma.” considerò Mary, strappando persino una risata all’uomo. “Non poi così tanto, no. Ho avuto problemi peggiori, nella mia vita.”
“Posso immaginarlo e me ne rammarico.”
“Non ve n’è motivo: ora sono in pace ed è questo che conta. Vede, voi bianchi spesso dimenticate che le difficoltà e gli ostacoli che incontriamo non sono punizioni. Gli spiriti o il vostro Dio o come vogliate chiamare cosa c’è più su di noi non puniscono: semplicemente, ci indicano la strada.”
“Mi piacerebbe che fosse davvero così …” sospirò Mary, lanciando un’occhiata al cielo del Colorado, di un azzurro giallognolo, con nuvole tanto leggere da sembrare invisibili. “Invece, da quando sono arrivata, penso sempre e solo che tutto sia tremendamente sbagliato …” si ritrovò a sussurrare.
“È solo un momento: passerà, se tu vuoi che passi.” mormorò Nube che corre in tono tanto armonioso da farla voltare di scatto. “Il mondo ci appare attraverso il velo dei nostri occhi: è come lo guardiamo che lo rende bello o brutto. Ed anche a te è data la scelta di come guardare la tua situazione. Io non so perché tu sia qui, Dorothy ha accennato ad un matrimonio, a vederti mi viene da dire che forse non ami tuo marito, ma vedo anche che non sei completamente infelice e non vieni maltrattata e, forse, questo, per il momento, dovrebbe bastarti. Ciò che è destinato a te troverà sempre il modo di raggiungerti, prima o poi.”
Mary lo fissò, sconcertata, proprio mentre Dorothy si presentava in redazione seguita da una donna in blu che la giovane riconobbe essere il dottor Mike e da un uomo vestito da indiano che tutti sapevano essere suo marito Sully.
“Oh, Mary, sei già arrivata! Spero che Nube che corre non ti abbia spaventata …” sorrise la giornalista, riservando un buffetto all’indiano. “Nient’affatto, anzi: è stato un piacere conoscerlo.”
“Posso presentarti Michaela, il nostro medico e Sully, suo marito?”
“Mary, piacere di conoscervi.” sorrise, stringendo le loro mani. “Lei è la moglie del signor Lodge, Mary?” domandò subito Michaela ed a Mary non sfuggì il sospiro del marito. “Sì.” annuì. “Ma oggi sono qui come professionista, non come moglie di.”
“Ben detto!” annuì Dorothy, soddisfatta. “Bene, perché ora credo sia proprio ora di andare. Non so quando tornerò, sarò via con Sully.” spiegò Nube che corre alla rossa, che annuì con un sospiro prima che l’uomo uscisse in perfetto silenzio, seguito da Michaela e Sully, che salutarono con un cennp.
“Chissà cosa devi pensare di me, a questo punto! Posso darti del tu, vero, Mary ...” esclamò la giornalista, raggiungendola. “Certo. E, comunque, non penso proprio niente: non sono nella posizione di giudicare la vita di nessuno.” replicò la ragazza, forse fin troppo tristemente, a ben pensarci. Dorothy sospirò, mordendosi le labbra prima di riprendere. “Sai, non avrei mai creduto di innamorarmi di uno come lui, mai nella mia vita. Ma poi l’ho incontrato e … beh, è stato inevitabile ed oramai non m’importa dei pregiudizi. Non si sceglie chi amare, dopotutto. Ma tu forse puoi capirmi, ti sei appena sposata dopotutto e …”
“Non è la stessa cosa.” la liquidò Mary con un sorriso forzato mentre posava la sua borsa sulla scrivania vuota. “Allora, con cosa posso cominciare?”
“Innanzitutto, da alcuni punti fondamentali. Innanzitutto, il registro linguistico: se vuoi scrivere per questa gente, bisogna usare un po’ meno paroloni, ma non troppo …”
“Miss Mary!”
La giovane si volse e sorrise nel vedere Brian sulla soglia. “Brian! Che piacere rivederti! Devo ringraziarti per avermi dato questa opportunità prestando i miei libri a Dorothy …”
Il ragazzino fece spallucce, dirigendosi verso il torchio. “Se uno merita, merita ed i suoi libri mi sono piaciuti tantissimo. E, poi, serviva una mano in più …”
“Oh, qui ormai fa tutto lui, io non conto nulla!” lamentò falsamente Dorothy, scuotendo il capo. “Allora, dov’eravamo rimaste? Ah, sì: il registro linguistico … poi ti darò le istruzioni sull’impaginazione. Per quanto riguarda cosa scrivere, io direi di iniziare con due storie a puntate, una maschile, una femminile e, magari, posso darti qualche articolo da preparare …”
“Dimmi cosa devo scrivere e lo scriverò.” sorrise Mary, prendendo posto alla scrivania come le indicava la giornalista e sfoderando il suo quadernetto.

***

Mary uscì dal Gazette a mezzogiorno inoltrato, stanca, ma soddisfatta del suo lavoro e, guardando l’ora, si rese conto di non avere il tempo di preparare il pranzo. “Poco male!” pensò, dirigendosi da Grace: aveva sviato i tentativi di Dorothy e Brian di invitarla a pranzo da loro. Ordinò due piatti di polpettone, verdure e due fette di torta di mele e, ignorando le occhiate del paese, si diresse verso la banca: dopotutto, come aveva detto Nube che corre, la sua situazione dipendeva da lei, ora.
Quando vi entrò, la trovò, come quasi sempre, deserta. Preston sedeva alla sua scrivania, chino su alcuni fogli, il completo marrone ed il panciotto beige che lo facevano sembrare ben più vecchio di quanto non fosse. Quanti anni poteva avere? Mary si rese conto con vergogna di non averglielo mai neanche chiesto.
“Posso o sei impegnato?” esordì, così, avvicinandosi alla scrivania. Il banchiere la fissò, perplesso. “Non sei al Gazette?”
“No, lavoro solo la mattina, il pomeriggio scrivo tranquillamente da casa. E dato che non ho avuto tempo di preparare il pranzo, sicuramente tu non hai mangiato, o sbaglio?”
“Non sbagli, ma posso anche andare avanti senza …”
“Con la tua altezza? Se dimagrisci troppo sembrerai il fusto di un ciliegio ...” l’ammonì Mary, attirandosi un’occhiata sconvolta mentre spostava i fogli ed allineava i piatti sulla scrivania, sedendosi dall’altro lato. “Non sono certo Horace!” borbottò il banchiere. “No, ma ti arrivo alla spalla, quindi sei alto. Ecco qui, polpettone, verdure e torta alle mele!”
Preston sospirò, facendo spallucce. “Se insisti …”
“Certo che insisto.”
Mangiarono in silenzio assoluto per un po’, prima che il banchiere si schiarisse la gola. “Com’è andata al Gazette?” domandò, cauto. “Oh, benissimo: Dorothy mi ha dato delle indicazioni. Devo scrivere un articolo per il secondo anniversario dell’apertura del Pepita d’Oro e due storie a puntate, una più femminile ed una più maschile. Per quella maschile ho già in mente una storia di cowboy, per la femminile ci sto pensando …”
“Qualche fanciulla persa nella foresta che viene salvata dall’eroe, forse?”
Mary lo fissò, sorpresa. “Non credevo avessi una vena poetica …” constatò. “Infatti non ce l’ho, ma … ecco, ho letto uno dei tuoi libri ed è … ispirante.”
“Davvero?” esclamò la giovane, alzando le sopracciglia. “Sì, ‘Il Veliero sul Mare di Nebbia’. Mi + piaciuto molto, soprattutto le tue descrizioni e la caratterizzazione dei personaggi …”
“Ti ringrazio dei complimenti … certo, non sono Jules Verne …”
“Oh, gli scrittori francesi sono sopravvalutati, il più delle volte: trovo che ci sia davvero troppo sentimentalismo nelle loro opere. E quella corrente attuale, il naturalismo … è letteratura di denuncia, ma tanto varrebbe scrivere un editoriale!”
Mary sorrise. “Ognuno scrive ciò che sente di raccontare. La letteratura francese ha certamente degli esponenti importanti, come Hugo o Verne, appunto, ma mi sento di preferire quella inglese ed irlandese. Shakespeare soprattutto …”
“Shakespeare!” sorrise Preston. “L’ho adorato da ragazzo. Soprattutto le tragedie, devo dire …”
“Anch’io: Macbeth in particolare.”
“Era anche la mia preferita, assieme alle opere latine. Trovo che rispecchino pienamente la grandiosità dei Romani, quel desiderio sfrenato di poter arrivare il più lontano possibile, persino sulla luna ...”
“Io preferisco la letteratura più recente, ma ammetto che quella latina è la base di tutto. Ed in quanto alla luna, mi affascina il viaggio di Orlando che vi trova gli oggetti dimenticati sulla Terra …”
“Oh, sì, indubbiamente affascinante!”
“Comunque, Preston, devi ammettere la superiorità francese sui tuoi Romani almeno nella pittura!”
“Non ammetterò mai l’inferiorità dei Romani. E, comunque, non dirmi che ami gli impressionisti?”
“Tantissimo, Degas soprattutto!”
“Santo cielo, ci avrei scommesso, sei proprio il tipo di persona che s’interessa a quest’idea di dipingere le impressioni, la realtà …”
“Ed infatti …” rise Mary. “Mi piacerebbe riuscirci anche con i miei libri. Chissà, magari un giorno …”
“Magari, sì. Ma le cose cambiano in fretta.” sospirò il banchiere. “Anch’io da giovane pensavo che avrei fatto una cosa ed invece sono qui …”
“Giovane … non sei certamente vecchio, ora!” rise Mary. “No, è vero, ma … beh, ho trentotto anni …”
“Davvero?”
“Credevi forse di più?”
“No, a dire il vero, pensavo di meno … io ne ho venticinque.”
“Lo si capiva, sei giovane.”
Mary tacque per qualche istante prima di avvicinarsi cautamente con il busto. “Perché hai accettato di sposarmi, se posso chiedertelo?”
Preston sospirò, piluccando le carote senza guardarla. “Tu sei stata sincera con me: mi hai detto da dove vieni e perché hai dovuto sottoporti a questo ricatto. Suppongo di doverti lo stesso. Non avevo più nulla dopo la crisi finanziaria e mio padre mi ha permesso di tenere la banca comprandola e passandola a me. Non avrei più nulla se non fosse per lui, così, quanto mi ha detto che mi sarei dovuto sposare perché non ne poteva più di vedere i miei fratelli avere successo in famiglia e sul lavoro mentre io no … beh, ho dovuto accettare. Non mi sarei mai sposato comunque: non c’è una sola persona che ti parlerà bene di me, qui, questo devi saperlo. Ed infatti non mi sono comportato bene: ho sempre messo gli affari prima di tutto, è il mio lavoro … ma la gente di qui non riesce a capire. Non ha mai capito o apprezzato il progresso ...”
“Questo è vero.” gli concesse Mary. “Ma non significa che le cose e le persone non possano cambiare. Se hai compiuto certi gesti in passato, non è detto che tu debba ripeterli: dagli errori s’impara, di solito.”
“L’hai detto: di solito. Io no e non intendo arrendermi nelle mie punizioni: mi riprenderò quel che ho perso nella crisi, l’hotel che ho costruito soprattutto. Anche se perderlo era ciò che merito.”
“Forse l’hai perso non per punizione, ma per trovare la tua strada.” considerò Mary, riflettendo sulle parole di Nube che corre. “E, comunque, che ci piaccia o no, siamo qui. Prendi la torta …”
“Mary, te lo dico sempre, io apprezzo davvero la tua cucina ed anche quella di Grace, ma la quantità è eccessiva per me …”
“Poche storie e mangia, forza: miss Jane dice sempre che non c’è niente che un po’ di zucchero non possa risolvere e sai una cosa? È proprio vero.”

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Capitolo 5
*** Butterfly ***


5.
Butterfly


Mary sbuffò, accendendo la lampada ad olio nel suo studio: la luce calante di ottobre non riusciva ad accompagnarla fino a tardi nella scrittura come quella di settembre. Tornò all’ennesima puntata della sua storia con un sospiro frustrato, rigirandosi la penna tra le mani: non riusciva proprio a trovare una soluzione che andasse bene per i suoi lettori.
A dispetto delle previsioni tragiche di Loren, l’idea dei romanzi a puntate sul Gazette era stata accolta con entusiasmo dai lettori e, anzi, si era persino registrato un lieve aumento delle vendite. Mary non era normalmente una persona orgogliosa, ma non poteva fare a meno di sorridere, soddisfatta, vedendo gli studenti accalcarsi fuori dal Gazette e dall’emporio per comprare le loro copie e scoprire come proseguiva la loro storia preferita. Oltre a quello, c’erano anche gli articoli che Dorothy le commissionava e che si divideva con Brian, a cui, peraltro, stava pian piano insegnando i trucchi del mestiere. Una sera l’aveva raccontato a Preston ed era rimasta spiazzata quando il banchiere le aveva raccomandato di non insegnargli tutto per non vedersi portare via il lavoro. Allora si era limitata a sganciare una delle solite frasi che riuscivano sempre a zittirlo, ma, ripensandovi, trovava estremamente triste che qualcuno dovesse pensare sempre e solo in quei termini dell’umanità, anche se lei stessa aveva imparato a fidarsi ben poco degli altri. Brian e Dorothy, tuttavia, erano diversi: lavorare con loro era un piacere e le incursioni di Loren, Jake, Michaela, Sully e Nube che Corre erano quasi divertenti. Certo, Mary non mancava mai di notare i loro sguardi perplessi e, spesso, sentiva su di sé anche quello preoccupato di Dorothy, ma continuava a sviare le domande ed a comportarsi come al solito, evitando il più possibile di nominare Preston, che sembrava essere la causa scatenante di tutto quello sconcerto.
Il ticchettio del fermacarte la riscosse dai suoi pensieri, facendole alzare gli occhi verso il soggiorno: quel sabato sera, Preston era rientrato leggermente prima dalla banca e stava visionando gli ultimi prospetti seduto davanti al camino acceso in camicia e panciotto, i capelli che gli ricadevano sul volto e l’aria stanca e tesa. Non le aveva parlato molto e già questo indicava che qualcosa lo turbava.
In quel mese di matrimonio Mary aveva oramai imparato a conoscerlo abbastanza bene ed era giunta alla conclusione che vivere con lui non era poi così terribile, come, del resto, aveva scritto anche a miss Jane, a cui non aveva nascosto nulla del loro accordo: in fondo, si vedevano solo per i pasti e discutevano abbastanza tranquillamente delle ultime novità della scena culturale, considerato che erano forse gli unici in città ad avere quegli interessi, ma nessuno dei due parlava mai di sé all’infuori di qualche commento sul lavoro e sui conti mensili. Non poteva dire di conoscerlo davvero come si dovrebbe conoscere un marito, ma aveva imparato parecchie cose su di lui, come il fatto che non si arrendeva mai, che puntava sempre in alto ed aspirava a migliorarsi ed ingrandirsi, che amava l’Antica Grecia e l’Antica Roma e che era un maniaco dei dettagli e dell’ordine, tanto da curare personalmente ogni singolo particolare di ciò che faceva e del suo aspetto quotidiano. Era un uomo galante, educato e colto, con la risposta sempre pronta ed una certa parlantina, questo senz’altro, ma ogni tanto mostrava anche una vena dell’ambizione e della furbizia che tutti gli avevano attribuito in paese. Tuttavia, mentre gli abitanti di Colorado Springs ne avevano parlato come di una persona avida, senza scrupoli e quasi immorale, Mary aveva l’impressione che fosse soltanto svuotato di ogni scopo e della vitalità che, forse, un tempo aveva avuto. Era difficile immaginarlo minacciare di espropriare la casa del dottor Mike, considerato che non lasciava mai la banca e se ne stava sempre rintanato sulla sua scrivania. Era uscito solo per andare a prenderla alla stazione, per sposarsi e due volte per andare a Denver per affari.
Mary sospirò, alzandosi e lisciandosi l’abito in tartan viola, raggiungendolo in soggiorno. “Preston, non credi che sia ora di lasciar perdere quei conti?”
Il banchiere le rivolse gli occhi nocciola, cerchiati da profonde occhiaie. “Devo finire di visionarli.” spiegò mollemente. “C’è anche domani: è domenica e non andiamo mai in chiesa …”
“Domani c’è la seconda revisione.”
“E sono davvero necessari ben due controlli?”
“Potrebbe essermi sfuggito qualcosa al primo e quel qualcosa potrebbe far fallire di nuovo la banca.”
Mary sospirò, levandogli i fogli dalle mani e posandoli sul tavolino. “Ragionarci su mentre sei stanco non aiuterà di certo.” asserì, consapevole di essersi appena beccata un’occhiataccia. “Disse la donna che sta in piedi fino a mezzanotte a scrivere storie.” rimbeccò il banchiere, seccato, alzandosi per versarsi del whisky. “Richiede molta meno concentrazione rispetto a fare tutti questi conti e prospetti.” considerò Mary, facendo spallucce. “E, in ogni caso, domani non ho intenzione di stare qui tutto il giorno: pare che sarà una bellissima giornata, una delle ultime prima dell’autunno e vorrei andare a fare un picnic.”
“La città ne organizza uno fuori dalla chiesa dopo la messa: potresti andarci con Dorothy e tutti gli altri.” considerò distrattamente l’uomo senza batter ciglio. “No di certo: non farebbero che farmi domande sul perché tu non ci sia e già le sopporto durante tutta la settimana. No, andrò in qualche prato qua intorno …”
“Ancora peggio!” esclamò Preston. “Potresti finire in qualche proprietà e non tutti sono gentili ed accoglienti verso gli sconosciuti, qui …”
“Senza contare cosa direbbe la gente, vero?”
“Senza contare che sarebbe pericoloso ed inutile, piuttosto!”
“Correrò il rischio, sempre meglio che stare qui ad invecchiare bevendo whisky ...”
Preston sospirò, picchiettandosi il naso con l’indice prima di alzare gli occhi al cielo. “E va bene, ti accompagnerò!”
“Al picnic della chiesa?”
“No, a quello su un prato ed è già tanto! Basta che mi lasci in pace nella mia banca con i miei conti ed i prospetti per il resto della settimana ...”
“Se proprio hai così tanti impegni, puoi anche restare qui, te l’ho già detto e te lo ripeto: posso benissimo cavarmela da sola.” l’apostrofò Mary, godendosi la sua espressione frustrata con un sorriso soddisfatto prima di ritirarsi per la notte: in fondo, anche battibeccare con lui non era poi così terribile.

***

“Era davvero necessario? Sembra che tu debba sfamare un intero reggimento!”
“La smetti di lamentarti? Davvero, inizi ad essere irritante!” sospirò Mary, sistemando quello che aveva preparato sulla tovaglia e sedendovisi con uno sbuffo, lisciandosi il completo rosa e la camicia bianca con le rouches.
“Non sono abiti un po’ troppo eleganti per un picnic in una landa desolata del Colorado? Non siamo più a Boston, nel caso te lo fossi scordata ...” obiettò Preston, imitandola e sedendosi nella sua giacca scura e nel panciotto dai ricami dorati. “Si potrebbe dire la stessa cosa di te.” obiettò lei, allungandogli il pollo. “Io ho un lavoro per cui necessito di apparire sempre in un certo modo. Tu accetteresti di mettere i tuoi risparmi nelle mani di un banchiere sciatto e, magari, rozzo? Una banca ed i suoi dipendenti devono dare l’idea di stabilità, precisione e sicurezza ...”
“Oh, sicuro. Comunque non smetterò mai di vestirmi così: ho faticato per potermi permettere questi abiti e questo stile e non cambierò solo perché ho cambiato residenza.”
“Non mi sognerei neanche di chiedertelo o di aspettarmelo: sei talmente ostinata che …”
“Lo sono almeno quanto te, abbi il coraggio di ammetterlo.”
Preston la fissò per qualche istante prima di sospirare. “In questa stagione, a Boston, i teatri sono sempre pieni: ci sono tutte le prime. E quest’anno ho sentito che ci saranno addirittura compagnie da tutta Europa …” rivangò. “Per non parlare delle sale da ballo e della fiera di fiori e piante esotiche, già …” annuì, malinconica, Mary, distogliendo lo sguardo. “Ti manca molto?” azzardò Preston. La scrittrice annuì. “Moltissimo. Ed a te?”
“Suppongo di sì. Ma, col tempo, imparerai che sia Boston che il Colorado hanno i loro lati positivi e negativi, come tutto, del resto.”
“Questo senz’altro. Un panorama del genere, per esempio, non si potrebbe mai ammirare a Boston!” annuì Mary, alludendo al prato che si estendeva dinanzi a loro ed al suo scendere verso un panorama costellato da alberi tintisi di rosso, arancione e giallo, contornati dalle montagne azzurrine sotto un cielo color carta da zucchero. L’unico segno del passaggio umano era l’hotel che si intravvedeva in lontananza, tra gli alberi.
“La visuale da lì dev’essere stupenda!” considerò, addentando una carota. “Lo è.”
“E come fai a saperlo?”
“Era il mio hotel.”
Mary tacque, volgendosi a fissarlo, ma Preston stava guardando il suo piatto come se fosse improvvisamente diventato la cosa più interessante sul pianeta. “L’hai costruito tu?” indagò. “Ho scelto ogni singolo dettaglio di quell’albergo. Come vedi, non è stato sufficiente a salvarlo dalla crisi.”
“Mi dispiace. Dev’essere molto bello …”
“Lo era. Ora non saprei dire, non ci sono più stato da quando è stato acquistato da un senatore. Non ti nascondo che mi piacerebbe molto riacquistarlo, un giorno, ma non credo sia concretamente possibile, allo stato attuale delle cose.”
“Magari le cose cambieranno …”
“Con la crisi odierna, temo proprio di no.”
Mary deglutì e tacque, consapevole di aver toccato un tasto dolente. Intuendo che era uno di quei momenti in cui Preston non voleva parlare di qualcosa che era decisamente troppo personale, si alzò e portò qualche carota ed una mela ai due cavalli che li aspettavano tranquilli sotto un albero. Tuono e Fulmine, uno nero e l’altro marrone, erano due equini docili ed affascinanti che Mary aveva ammirato dal primo giorno in cui le erano stati presentati da un reclutante Preston. Da allora, si era presa l’incarico di portar loro da mangiare e di strigliarli personalmente, a prescindere dalle proteste di suo marito, che riteneva di pagare già Robert E. per questo.
Mentre allungava la mela a Tuono, lo accarezzò, sorridendo al vedere il cavallo farle qualcosa di simile alle feste.
“Ti piacerebbe cavalcarlo?”
“Prego?” pigolò, voltandosi di scatto e ritrovandosi Preston alle spalle in tutta la sua altezza. “Hai capito benissimo. Ti piacerebbe cavalcarlo?” ripeté il banchiere. “Oh, beh … sì, senza dubbio, ma … non ho mai cavalcato. Non credo di sapere come si fa …”
“Ti propongo un accordo: io ti insegno a cavalcare e, in cambio, tu potrai prendere Tuono quando vorrai ed andare a queste escursioni domenicali senza trascinarmi con te ogni volta.”
Mary sollevò le sopracciglia, incrociando le braccia. “E dove sarebbe l’imbroglio?”
“Nessun trucco, nessun imbroglio.”
“E, secondo te, io ci crederei?”
“Sarebbe vantaggioso per entrambi, pensaci: a te darebbe libertà ed a me pace. Allora? Affare fatto?”
La scrittrice fissò la sua mano tesa con l’anello di famiglia scintillante al dito e sospirò, stringendola nella propria. “Accetto.”
“Ottimo: cominciamo subito.” sorrise, soddisfatto, Preston, iniziando a liberare i cavalli dal giogo. “Cosa? Adesso? Stai scherzando, spero? Non ho le scarpe adatte e neanche i vestiti …”
“Non hai detto tu che non avresti mai rinunciato allo stile di Boston? Allora non dovrebbe essere un problema …”
Mary sospirò, trattenendo un insulto: non aveva mai conosciuto nessuno di più impossibile di Preston Lodge, questo era certo.
“Ecco qui … forza: metti qui il piede sinistro e sali in sella.” la invitò. “Fin qui ci sarei arrivata anche da sola, grazie.” sbuffò lei, avvicinandosi cautamente. A vederlo da quel lato, Tuono non le sembrava più carino, anzi: era abbastanza intimidatorio. “Coraggio, Mary: ti sei laureata, hai sposato uno sconosciuto … che sarà mai andare a cavallo?” rifletté, facendo leva sul piede sinistro e sulla sella per salire. L’azione, per quanto semplice, si rivelò ben più impegnativa di quanto pensasse: non riusciva proprio a darsi lo slancio per salire.
“Devi metterci più forza.” la incitò Preston. “Facile a dirsi, per te!” sbottò lei, il sudore che oramai le colava lungo la schiena. “Mi permetti di aiutarti?”
“No, ci riuscirò da sola!”
“Per Natale sicuramente …”
“Ma come ti permetti di … ah!” gridò, sentendosi sollevare quel tanto che bastava da farle montare in sella. “Mi dispiace, non avrei assoluto voluto farlo senza il tuo permesso, credimi, ma, come ti dicevo, serviva una spinta maggiore. Ora possiamo iniziare con tutto il resto.” spiegò il banchiere, rivolgendole uno dei suoi sorrisi a trentadue denti mentre montava con agilità Fulmine.

 

Due ore dopo, a dispetto degli inizi disastrosi, Mary riusciva ad andare quantomeno al trotto e quasi aveva imparato a far correre il cavallo, ma sospettava che i suoi risultati fossero dovuti più che altro all’infinita pazienza che sembrava avere Tuono.
“Gli piaci molto e credo che questo giochi a tuo vantaggio. Ad ogni modo, non è male come prima lezione: la prossima volta andrà meglio e, anche se forse non sarai mai una campionessa ippica, quantomeno riuscirai a cavalcare nei dintorni senza problemi.” giudicò Preston, smontando ed aiutandola a scendere prima di risistemare i cavalli al carro.
Mary sospirò, asciugandosi la fronte. “Non credevo fosse così faticoso!” ammise. “I cavalli sono animali affascinanti, ma richiedono dedizione e costanza, come tutto del resto.”
“Su questo ci troviamo d’accordo.”
“Strano, ma, almeno, è qualcosa.” sorrise il banchiere. “Vogliamo tornare in paese, adesso?”
“Direi proprio di sì.” asserì Mary, raccogliendo tovaglia e piatti ed affrettandosi a caricarli sul carro prima di sedersi accanto a Preston.
Mentre tornavano a Colorado Springs, per qualche istante, la scrittrice si godette il piacevole tepore del sole sul viso, l’aria frizzante ed il profumo dell’autunno che si apprestava ad arrivare. Lanciò un’occhiata di sottecchi a Preston e si stupì non poco nel vederlo visibilmente più rilassato rispetto alla sera precedente.
“Vedo che la domenica all’aria aperta ha fatto bene anche a te.” notò, celando un mezzo sorriso. “Oh, stavo benissimo anche prima …”
“Ho notato. Posso sapere cosa ti preoccupa così tanto, ultimamente?”
“Assolutamente niente.”
“Non eri così turbato quando sono arrivata.”
“Allora eri tu a turbarmi.”
“Preston … non credi abbia il diritto di saperlo? Dopotutto, siamo sposati, anche se … beh, hai capito.”
Il banchiere sospirò, rivolgendole l’occhiata che Mary si sarebbe aspettata di vedere sul muso di una preda messa all’angolo dal predatore. “Gli affari non stanno andando bene come speravo.” ammise a denti stretti. “Che intendi per ‘non stanno andando bene’?” indagò Mary. “Intendo che la banca ha praticamente zero clienti ed investire sta diventando pericoloso in queste condizioni, come potrai immaginare. La banca vive dei suoi clienti e, se non ne ha, è destinata a fallire. Di nuovo.”
La scrittrice tacque, pensierosa: aveva intuito che le cose non andassero bene, ma non credeva così tanto. “Potresti offrire tassi d’interesse minori per attirare i clienti …” azzardò. “E credi che non c’abbia pensato?” sospirò Preston, quasi beffardo. “Il problema sono io e quello che ho sempre fatto da quando sono arrivato, nient’altro.”
“Le persone possono sempre cambiare …”
Il carro si fermò di colpo ed il banchiere le rivolse un’occhiata cupa. “Dillo a Dorothy, a cui ho sempre imposto certe linee editoriali minacciando di chiudere il Gazette, o a Horace, a cui ho pignorato il calesse o al dottor Mike, che ha quasi perso la casa, se davvero ne sei convinta. E poco importa se fossero in ritardo con i pagamenti o no: ai loro occhi, quei rimedi sono solo e semplicemente l’ingiustizia di un avido.” la sfidò, salvo poi riprendere il viaggio in totale silenzio, la domenica oramai rovinata.

***

Il lunedì mattina, Colorado Springs era particolarmente affollata ed indaffarata con i preparativi per Halloween. Quando Mary si recò al Gazette nel suo completo grigio e nella camicia crema a V, Loren era impegnato ad appendere delle zucchette a mo’ di festoni lungo tutte le travi del portico dell’emporio. “Oh, miss Mary, buongiorno!” la salutò, agitando la mano. “Signor Bray …” rispose lei, avvicinandosi. “Sta già preparando tutto per Halloween?”
“Eh, bisogna, altrimenti mi ritrovo a sentire gli improperi di Dorothy, del reverendo e di tutti i bambini della città!” brontolò. “E lei? Non mette neanche una zucchetta in banca?”
“Non credo che Preston ne sarebbe contento.” considerò Mary, facendo spallucce. “Sa, l’idea di serietà e solidità delle banche …”
“Oh, Signore, ancora quelle storie! Ci ha tormentati per mesi, quando è arrivato qui … oramai tre o quattro anni fa!”
Mary si guardò attorno e, notando che l’emporio stava vivendo un momento di calma, azzardò a porre la domanda che le frullava nella testa dal giorno prima. “Signor Bray, posso chiederle una cosa?”
“Quello che vuole, se può aiutarla!”
“Preston non è benvisto in paese e mi chiedevo cos’avesse fatto di preciso. Ho intuito che abbia sempre messo gli affari al primo posto, a discapito di tutto e tutti, ma nulla di più preciso ...”
Loren sospirò, facendole cenno di passargli una zucca. “Quando è arrivato, Preston non era molto popolare, ma come il dottor Mike, sua sorella Marjorie, il dottor Cook ed anche come lei, del resto: siete stranieri, è normale avere dei pregiudizi, in una città come questa. Solo che, poi, mentre gli altri li hanno smentiti, Preston no: si è sempre comportato con una galanteria eccessiva ed ha rifiutato di adeguarsi ai modi della gente di qui. Non l’ho mai visto ad una battuta di caccia ed ha sempre frequentato poco il saloon. E già questo è una cosa da considerare. Poi, c’è tutto il resto: ha abbattuto l’albero dei baci, a cui tenevano tutti, per far su una casa che non ha neanche mai costruito, ha pignorato di tutto e di più, è sempre stato terribilmente ostile verso Sully, il marito del dottor Mike … e poi l’hotel ha dato fastidio a molti. Insomma, ha una mentalità basata sugli affari e sul profitto che non è amata, qui. Certo, ce l’ho anch’io, ma in lui credo siano i modi il problema. E, comunque, non preoccuparti, se temi di non conoscerlo abbastanza: presto avrete figli, lì tutto smetterà d’importare perché avrete ben altro a cui pensare!”
Mary aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. “Forse.” si ritrovò a dire, abbozzando un sorriso forzato prima di ringraziare e salutare Loren e dirigersi spedita al Gazette, l’oramai familiare nodo in gola che non accennava minimamente ad andarsene.
“Buongiorno!” esclamò, falsamente allegra, rivolta a Dorothy ed al dottor Mike, entrambe prese a confabulare alla scrivania della giornalista. “Oh, Mary, buongiorno!” la salutò la rossa. “Hai …”
“Ho la nuova puntata, certo.” sorrise, allungandole le pagine e rivolgendo un sorriso imbarazzato a Michaela, che la fissava dubbiosa, come sempre da quando la conosceva, del resto. “Tutto bene, signora Lodge?” le chiese. “Benissimo.” mentì Mary, prendendo posto alla sua postazione. “La vedo un po’ … accaldata.”
“Oh, sto bene, davvero: ho solo fatto una corsa per arrivare in tempo e, purtroppo, soffro molto il caldo.” liquidò Mary, affrettandosi a mettersi al lavoro e mancando di notare lo sguardo preoccupato che si scambiarono le due donne.

 

“Michaela è un bravo medico.” esordì Dorothy a metà mattina, attirando lo sguardo dubbioso di Mary, fino a poco prima intenta a visionare un articolo. “Non lo metto in dubbio: si vede che sa il fatto suo ed ho sentito molte storie da Loren sulla sua bravura.” ammise. “Certo, un conto è sentire ed un altro crederci, però.”
“Ma io ci credo.”
“Però stamattina non hai dato molto peso al fatto che ti trovasse accaldata, o sbaglio?”
“Perché non ve n’era motivo ed infatti è subito passato: sapevo a cos’era dovuto.”
“Uhm. Se lo dici tu ...” asserì Dorothy, poco convinta. “Se pensi che non mi fidi di lei per i … dissapori che ha avuto con mio marito, ti sbagli.” azzardò Mary dopo un po’ e, sollevando lo sguardo su quello della giornalista, intuì che aveva centrato il punto. “Non stavo dicendo questo, ma ero preoccupata che la cosa potrebbe averti influenzata. Preston deve averti detto …” iniziò la rossa. “Preston non mi ha mai detto niente di nessuno di voi: quello che so, lo so da Loren o, al massimo, da Grace. E, in ogni caso, non permetto mai a niente ed a nessuno di influenzare le mie scelte, figurarsi a mio marito.”
Dorothy annuì, intuendo che la cosa l’avesse infastidita. “Scusami, non volevo insinuare nulla.” disse, infatti. “No, scusami tu.” sospirò Mary, posando i fogli. “Sono qui da un mese, oramai, ma è … è ancora tutto così difficile. La gente a stento mi parla e sento sempre di non sapere o capire tutto come dovrei. Non avrei dovuto prendermela con te, sei stata solo gentile nei miei confronti …”
La rossa le rivolse un sorriso. “Posso capirlo: anche a me è successo così, quando sono arrivata. Credevano avessi ucciso mio marito perché mi picchiava ed era stato trovato morto subito dopo che l’avevo lasciato, ma non era vero e Michaela riuscì a dimostrarlo ed a tirarmi fuori dalla prigione. E, da allora, eccomi qui.”
Mary sollevò le sopracciglia: non immaginava che dietro a Dorothy si celasse una storia del genere, soprattutto considerato quanto fosse spigliata ed allegra. “Dev’essere stato terribile!” esclamò, sinceramente addolorata. “Oh, non poi così tanto. E, poi, è passato, non v’è motivo di rivangarlo. Sai qual è stata la cosa veramente terribile, ancor più del processo, dei brontolii di Loren e dei pettegolezzi su Nube che Corre? Avere come socio tuo marito.”
Il tono di quell’affermazione fece sorridere Mary. “Ecco, se ridi significa che puoi capirmi: dire che era asfissiante era poco. E un giorno era la linea editoriale, l’altro le vendite, l’altro ancora il costo della carta …”
“Dev’essere tutto perfetto e non infastidire nessun finanziatore, giusto?” rise la scrittrice. “Esattamente! Santo cielo, era un tormento quando si metteva in testa una cosa!”
“Lo è ancora.”
“Oh, non lo metto in dubbio. Come vi siete conosciuti?”
“Conoscenti di Boston in comune.” sviò Mary, schiarendosi la voce e rivolgendole un sorriso nervoso. “Allora, su cosa devo scrivere un articolo questa settimana?”
“Oh, su una vera vergogna!” sospirò Dorothy, frugando nel cassetto alla ricerca di una penna che la scrittrice le porse. “E sarebbe?”
“Sarebbe che Michaela vuole vendere la clinica ed aprire un ospedale in città, che serva anche quelle vicine, magari ed in cui potrebbero trovare lavoro molte persone, ma non può per mancanza di fondi. Rifiuta di chiederli a sua madre e nessuna banca di Denver le concede un prestito perché è una donna e non ha garanzie …”
“Avrebbe la sua casa!”
“Non intende toccarla. Io lo trovo scandaloso a prescindere da quali garanzie possa offrire e credo che meriti la prima pagina del Gazette, tu cosa ne pensi?”
“Assolutamente: mi metto subito al lavoro.” annuì Mary: un’idea del tutto nuova le era appena balenata nella mente.

***

“Fare un prestito così ingente a Michaela Quinn, senza alcuna garanzia? Sei forse impazzita, Mary?”
La giovane sospirò, sistemandosi meglio sulla sedia di fronte alla scrivania ed invitando nuovamente Preston a leggere la bozza del suo articolo. “Secondo me è la tua occasione, la tua ultima occasione, se la metti nei termini tragici in cui hai sempre delineato il tuo futuro: se le concederai un prestito che nessuno è disposto a darle basandoti sul riconoscimento della sua professione, la gente ti rivaluterà e ricomincerà a fidarsi di te, anche se forse a piccoli passi. Potrai inserire regole nuove, come proroghe ai tempi di pagamento in cambio di maggiori interessi o di una rata in più e …”
“Ed io che cosa ci guadagnerei?” sbottò Preston, scuotendo fermamente il capo prima di accendersi un sigaro, nervoso. “Clienti ed una banca che funziona. Non era quello che hai sempre voluto?”
“La prospettiva di miglioramento è molto aleatoria, non è detto che Michaela accetti e, come se non bastasse, cambiare le regole non aiuterebbe i miei affari. Non funzionerà, altrimenti avrebbero tutti cambiato idea già anni fa quando le feci quel prestito per la clinica ...”
“Non era a queste condizioni ed ora, francamente, non credo tu sia nella posizione di fare l’esigente …”
“E tu non sei nella posizione di prendere simili decisioni, Mary!” esclamò Preston, sospirando. “Ma non mi dire? Ed è perché sono giovane o perché sono una donna?”
“Perché non conosci la finanza ed il mercato, non hai idea di quello che mi proponi e di come attuarlo concretamente …”
“Quella è la tua specialità, sei tu il banchiere, qui e sei anche bravo!”
“Ma perché continui ad insistere? Non funzionerà, posso solo sperare in influenti investitori …”
“Santo cielo, Preston, gli investitori non arriveranno se starai qui ad aspettarli: l’ospedale di Michaela è la tua chance per ritornare in auge e dimostrare a tuo padre che vali qualcosa!”
Non appena quelle parole ebbero lasciato la sua bocca, Mary se ne pentì e, infatti, tacque immediatamente, come scottata. Preston, che, in un primo momento, parve quasi sobbalzare per quanto detto, le rivolse un sorriso sprezzante. “Detto da una ragazzina, è quasi un complimento. Dovrò anche ciò che sono a mio padre, non lo metto in dubbio, ma almeno non mi abbasso a matrimoni di convenienza per non affogare nei debiti!”
“No, infatti: ti abbassi a matrimoni di convenienza per fare contento un vecchio senza scrupoli a cui ti ostini a voler assomigliare per ottenere la sua approvazione, il che, permettimi di dirtelo, è davvero infantile!” eruppe Mary, sentendo le guance in fiamme per la collera.
Senza neanche attendere la sua risposta, si alzò e, raccattata la bozza del suo articolo, andò in casa, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Si appoggiò allo stipite, espirando a fondo per cercare di calmare la rabbia: contrariamente a quella di Preston, la sua non era una collera gelida, anzi. Come osava rinfacciarle quelle cose dopo quello che aveva fatto per aiutarlo … si era davvero sbagliata così tanto sul suo conto?
“Ma cosa credevo, che saremmo stati buoni amici? Che sarebbe diventato un vero matrimonio? Con un uomo avido che tutti disprezzano? Se tutti la pensano così su di lui, un motivo ci dev’essere!” si disse, lanciando l’articolo in un angolo: non sapeva se a bruciarle di più fosse l’idea di essersi sbagliata così tanto o quello che le aveva detto Preston. “O il fatto che, in fondo, è la verità.” mormorò ad una stanza buia e vuota, illuminata solo dalle ombra danzanti che il fuoco gettava sul muro. Scacciò una lacrima che le stava bagnando gli occhi e corse in camera dove si lasciò scivolare sul letto, aspettando, inutilmente, che il sonno arrivasse e soffocando i singhiozzi nel cuscino.

***

“Mary, devo insistere: sei sicura di stare bene?”
La scrittrice sospirò, alzando lo sguardo ad incontrare quello preoccupato di Dorothy.
“Sto bene, davvero.” mentì, sforzandosi persino di abbozzare un sorriso, nonostante il mal di testa.
Dalla sera del litigio, lei e Preston non si erano mai rivolti la parola: ognuno faceva la propria vita, ai pasti fissavano i propri piatti e la sera se ne stavano lei nello studio e lui in soggiorno. La cosa che l’aveva davvero sconcertata, al di là del risentimento che provava, era il fatto che le mancasse parlare con lui. In un mese avevano quantomeno capito che potevano conversare di libri ed argomenti culturali e non c’era nessun altro a Colorado Springs che sapesse riuscirci come lui. Ciononostante, non credeva che gli avrebbe mai perdonato quello che le aveva detto e la sconcertava credere che l’avesse pensato per così tanto tempo.
Sbuffò, passandosi la mano sulla fronte: l’emicrania era arrivata del tutto inaspettatamente due giorni prima e non accennava minimamente ad andarsene, alimentata dal suo nervosismo e dall’astio che provava per il marito.
Si lisciò la giacca grigia e cercò di concentrarsi sull’articolo che stava revisionando quel mattino, ma proprio non ci riusciva: la testa le pulsava ed i pensieri erano da tutt’altra parte.
“Mary …” mormorò Dorothy. La scrittrice sollevò lo sguardo ed incontrò quello gentile della donna. “Mary, se sei così stanca, dovresti proprio andare a casa e riposare.”
“Sto bene, Dorothy, davvero, non preoccuparti: è solo un po’ di mal di testa.”
“Oh, me lo ricordo bene …” ridacchiò la rossa. Mary le rivolse un’occhiata sconcertata. “Beh, i primi mesi sono così!” si giustificò Dorothy. La nausea assalì Mary con una tale violenza da farle credere di poter essere davvero incinta. “Non aspetto un bambino.” mormorò. “Oh, suvvia: siete sposati, è normale che …”
“Dorothy, non sono incinta e non lo sarò mai!” sbottò la scrittrice, schizzando in piedi. Allo sguardo stupito della giornalista, sentì con orrore le lacrime salirle agli occhi ed il respiro mancarle. “Io … scusami.” biascicò, affrettandosi verso la porta sul retro che dava sul prato del Grace’s Cafè, al momento quasi deserto. Si lasciò scivolare sul gradino, prendendosi la testa tra le mani ed inspirò ed espirò a fondo, cercando di regolare il respiro e di far smettere quelle lacrime del tutto ridicole.
Non passarono che pochi istanti prima che dei passi la raggiunsero ed il familiare profumo di Dorothy l’avvolgesse quando questa si sedette accanto a lei.
“È un matrimonio di facciata, non è così?” azzardò. Mary annuì come potè, asciugandosi una guancia con stizza. “L’avevo immaginato, sai? Voglio dire … eravate entrambi molto evasivi sull’argomento ed è stato fatto tutto in sordina. Per non parlare di te: non sembri il tipo che Preston sceglierebbe, hai troppo fuoco in te. E, come se non bastasse, non hai certo quell’espressione perennemente sognante delle novelle spose …”
“Non sono una sposa per corrispondenza.” mormorò Mary con vergogna. “Io … io vengo da sobborghi di Boston. I miei sono morti quand’ero bambina e sono rimasta con mio zio, ma me ne sono andata a tredici anni perché … beh, beveva e giocava. Sono cresciuta in una locanda, dove la proprietaria, in cambio di un aiuto, mi ha permesso di studiare e mi ha educata. Avevo un lavoro ed una vita che mi soddisfaceva, finché non mi ha chiamata la National Trust. Io e mio zio avevamo un conto cointestato ereditato dai miei e l’aveva dilapidato: la soluzione era finire in prigione per debiti, in mezzo ad una strada o accettare la proposta di Preston Lodge II, cioè sposare il suo ultimogenito, che, da quanto ho capito, considera il fallito della famiglia. E, così, eccomi qui. Preston, da parte sua, non poteva rifiutare perché altrimenti suo padre gli avrebbe tolto la banca, l’unica cosa di cui gli importa davvero.” raccontò con voce incerta. “Abbiamo deciso che non sarà un vero matrimonio, fortunatamente, ma credevo … speravo, quantomeno, che fosse un’amicizia. Ed invece no … lui è esattamente come dicono tutti quanti.”
Dorothy sospirò, annuendo. “Capisco.”
“Io … ti prego, non raccontarlo a nessuno!” la implorò Mary, afferrandole le mani. “Mi vergogno così tanto … per favore …”
“Hai la mia parola … e le mie scuse. Non immaginavo …”
La giovane annuì, tirando su con il naso. Rimase interdetta quando Dorothy la tirò a sé e l’avvolse in un caldo abbraccio, ma, subito dopo, scoppiò a piangere come una bambina.

***

Il venerdì era sempre stato un giorno fiacco alla banca, ma, inutile dirlo, dalla crisi lo era ancor di più. Preston era chino da ore sulle solite azioni ferroviarie, senza, tuttavia, trarvi grandi risultati. Le lasciò cadere, sbuffando e sistemando il cravattino sul completo scuro con stizza: aveva un gran mal di testa, un terribile mal di testa e la causa era Mary.
Aveva sinceramente creduto di aver finalmente trovato un’amica a Colorado Springs, una persona con cui essere se stesso e con cui conversare di tutto e di tutti. A quanto pareva, invece, Mary aveva di lui la stessa opinione di tutta la città, poco importava cosa facesse o non facesse. Il fatto che lo credesse un viziato figlio di papà che cercava disperatamente di assomigliare al padre l’aveva forse ferito più di tutto, anche se, tutto sommato, era vero. Non stava a lei giudicarlo, né proporsi per risolvere tutti i suoi problemi, come a lui non competeva ponderare cosa l’avesse spinta lì. Erano due estranei e lo sarebbero sempre stati. Eppure, gli mancava, forse come nessuno gli era mai mancato: gli mancava il modo in cui rideva, decisamente poco signorile, la sua sfacciataggine quasi impertinente e la sua intelligenza, che sfidava e teneva testa alla sua senza problemi, anzi, quasi divertendosi.
Quando sentì la porta della banca aprirsi, pensò fosse lei e tornò subito a seppellirsi nel lavoro, ma dovette sospirare nel distinguere una macchia rossa marciare verso di lui.
“Dorothy, è sempre un piacere!” mentì, rivolgendole un sorriso forzato. “Bando allo charme, Preston: sono qui per Mary.”
“Le è successo qualcosa?”
“Negli ultimi mesi le sono successe un bel po’ di cose, direi …”
Il banchiere la fissò, sconcertato. “Te l’ha detto?”
“Certo. Era disperata: da giorni ha mal di testa e prima è scoppiata a piangere perché … beh, perché ho suggerito qualcosa di impossibile vedendola così stanca.”
Preston annuì, abbassando lo sguardo con vergogna. “Sei venuta a dirmi quanto io sia deprecabile?”
“No, perché, paradossalmente, capisco tutti e due: so bene cosa significa non avere scelta e non l’avevate. Tu ti sei comportato fin troppo bene, credimi: un altro uomo avrebbe reclamato i suoi diritti senza farsi troppi problemi. Fortunatamente per lei, tu avrai tutti i difetti di questo mondo, ma ti conosco e so che non sei quel tipo di persona. Però … però eravate riusciti ad essere quantomeno amici, me l’ha detto lei. Ora, non so per cos’abbiate litigato e non voglio impicciarmi …”
“Certo, non sei Michaela.”
“Infatti non lo sono. Ma voglio semplicemente consigliarvi di riappacificarvi: non aiuterà nessuno stare così, a prescindere da quel che è successo. E, certamente, non aiuta neanche te perdere l’unica persona che ti sia stata vicina da anni a questa parte, o sbaglio?”
“Anche se fosse, sono abituato alla solitudine. Non so cosa farmene della compagnia della gente, men che meno di chi sembra vivere in un mondo di scoiattolini e coniglietti come tutti voi qui ...” sbottò il banchiere. “Ed ora ho molto da fare, se vuoi scusarmi …”
Dorothy sospirò, scuotendo il capo. “Sai, Preston, da Nube che Corre ho imparato molto, ma soprattutto che nulla avviene per caso. Il fatto che tu ed io siamo finiti a Colorado Springs non è un caso e, forse, non lo è nemmeno il fatto che il destino ci abbia mandato Mary, anche se, devo ammetterlo, è l’opposto del tipo di donna che normalmente guarderesti tu.”
“È testarda, insistente e sfacciata.”
“Ma anche molto intelligente, con un gran talento e, bisogna ammetterlo, bella.”
Al silenzio del banchiere, Dorothy riprese: “Quello che posso dirti è che la felicità è un po’ come una farfalla variopinta: più la inseguiamo a più ci sfugge. Ma può accadere che, quando meno ce l’aspettiamo, arrivi e si posi su di noi e, se lo fa, dobbiamo prenderla per com’è. E, forse, infischiarcene di tutto il resto.”
Detto ciò, la giornalista gli rivolse un’ultima occhiata e se ne andò, lasciandolo solo con i propri pensieri e la propria oramai familiare solitudine.

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Spero che la storia vi stia piacendo se siete arrivati fino a qui e, soprattutto, che i personaggi risultino sufficientemente verosimili agli originali, è la cosa a cui tengo di più. Dal prossimo capitolo entreremo più nel vivo della vicenda.
Grazie a chiunque passi di qui!
E.

 

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Capitolo 6
*** Pumpkins ***


6.
Pumpkins

La mattina del 29 ottobre Mary si svegliò con un’inspiegabile senso di vuoto e tristezza. Sospirò, alzandosi senza alcuno slancio ed indossando il suo completo grigio ed i pendenti di perle. Mentre si spazzolava i capelli, fissò il cielo: plumbeo e ricoperto da soffici nuvoloni grigi, lilla e rosati, minacciava pioggia da un minuto all’altro. Davvero uno splendido giorno per compiere venticinque anni. Era quasi un sollievo che nessuno lo sapesse: la sua vita era talmente differente da come immaginava sarebbe stata a quell’età che non trovava vi fosse proprio nulla da festeggiare. Con un sospiro, scese e, dopo aver mangiato una fetta di crostata ed aver bevuto il suo consueto tè, uscì per andare al Gazette. Si stupì nel trovare la banca deserta, ma non ci diede troppo peso: lei e Preston non avevano l’abitudine di avvisare l’altro su dove andassero. In fondo, anche se era sposato con lei, che cosa avrebbe dovuto legarlo a lei?
Uscì in strada senza troppo entusiasmo e si stupì nel trovare la famiglia del dottor Mike riunita attorno all’ufficio dello sceriffo Daniel.
Normalmente, sarebbe passata avanti senza preoccuparsene, ma Horace la chiamò in quel mentre, attirando l’attenzione di tutta la strada. “Una lettera per lei da Boston!” si giustificò, allungandole una busta senza troppe cerimonie prima di tornare alla sua postazione abituale. Mary fece per ringraziarlo, ma non gliene diede modo: anche nel rapporto con Horace l’influenza esercitata dal suo matrimonio si faceva sentire. Scosse il capo, aprendo la lettera, ma, non appena vide che era di miss Jane, la infilò in borsa: vi avrebbe dedicato il tempo che meritava una volta rincasata.
“Mary!”
La voce di Brian la riscosse dai propri pensieri. Alzando la testa, si ritrovò a fissare l’intera famiglia Sully, con in aggiunta Daniel e ben tre sconosciuti, intenta a fissarla. Con un sospiro, abbozzò un sorriso e li raggiunse. “Buongiorno Brian! Dottor Mike, Sully, Matthew, Daniel …” salutò con un cenno del capo. “Mary, vorrei presentarti Emma, la fidanzata di Matthew, mia sorella Colleen e suo marito, il dottor Andrew Cook! Sono venuti per stare con noi per Halloween! Lei studia medicina in Pennsylvania, sai? Questa è Mary, la nuova collega del Gazette di cui vi ho parlato!” esclamò Brian, entusiasta. “Piacere di conoscervi, Mary Lodge. Brian mi ha parlato moltissimo di voi.” sorrise Mary, tendendo la mano alla sarta dai boccoli castani con un bellissimo abito rosa antichi, ad una giovane dai capelli castano rossicci e gli occhi ridenti, vestita in rosso fragola ed ad un giovane medico in grigio dagli occhi azzurri e gentili. “Il piacere è nostro, Brian ci ha tanto scritto di lei!” sorrise Colleen. “Spero in termini positivi!”
“Assolutamente!”
“Vi fermerete per molto?”
“Fino alla festa di Halloween come minimo.”
“Festa?”
“Sì, ogni anni, ad Halloween, si organizza un ballo, per festeggiare. I bambini festeggiano in costume, ma per gli adulti, più tardi, c’è una vera e propria festa danzante.” spiegò Michaela, facendo spallucce con Katie che si agitava in braccio. “Anch’io, quando sono arrivata, l’ho trovato strano …”
“A Boston una cosa del genere sarebbe impensabile!” confermò Mary. “Confermo.” annuì Andrew. “Anche a New York, se è per quello …” sospirò Daniel, fissando la ferrovia. “C’è qualche problema, Daniel?” chiese Sully. “No, niente di che, solo un carico complicato: sono in arrivo una banda di ladri da Denver, si fermeranno qui in prigione prima di ripartire per Rio Grande. È una bella responsabilità!”
“Oh, sì, ricordo com’era!” annuì Matthew, nostalgico. Allo sguardo perplesso di Mary, Michaela spiegò: “Matthew è stato sceriffo per un po’ prima di dedicarsi alla professione legale.”
“Davvero? Una vita al servizio della legge.” sorrise la giovane. “Non esiste persona più corretta di Matthew!” concordò Emma, stringendosi al giovane con un largo sorriso. “Emma è la fidanzata di Matthew, ma si erano presi una pausa perché lei doveva fare la stilista per una cantante famosa per il mondo. Adesso però si sposeranno ed Emma aprirà il suo atelier in città!” spiegò Brian. Mary sfoggiò un sorriso di circostanza mentre il fratello lo rimproverava ed Emma arrossiva. “Santo cielo, la vostra famiglia sembra proprio uno dei miei romanzi a puntate!” considerò la scrittrice. “Sì, è vero, ma è bella proprio per questo!” sorrise Michaela, stringendosi a Sully ed ai ragazzi con un sorriso raggiante, Mary ne approfittò per controllare l’orologio della banca. “Ora devo proprio andare, oggi tocca a me aprire il Gazette. Vi auguro una buona giornata!”
Si stava già allontanando dopo i saluti quando una voce la fermò. Volgendosi, scoprì con sorpresa che ad aver reclamato la sua attenzione era stato il dottor Cook. Le corse dietro e, quando l’ebbe raggiunta, esordì con: “Lei è forse la moglie del signor Lodge?”
Mary annuì. “In persona.”
“Come sta Preston?”
“Bene, tutto sommato.”
“Mi hanno detto che ha riaperto la banca da zero, ma che ha perso tutto il resto …”
“È così, ma sta avendo ancora delle difficoltà ad avviare la banca. Dopo la crisi, nessuno si fida più di lui e delle banche in generale.”
“Capisco. Sa, io lavoravo per lui allo Spring Chateau: ero il medico della clinica privata dell’hotel. Per due anni, siamo stati … beh, direi quasi amici.”
Mary sollevò le sopracciglia ed Andrew rise. “Sì, so che sembra strano.”
“Perché non vi siete più sentiti?”
“Non lo so. Credo che ci siamo lasciati influenzare troppo da tutto il resto, lui dalla crisi ed io da quello che dicevano di lui. È vero, è focalizzato sugli affari ed ambizioso, ma non è poi così malvagio come spesso lo si descrive e credo ci siano uomini infinitamente peggiori di lui. Senza contare che era l’unico con cui potessi confidarmi … sa, abbiamo quasi la stessa età e veniamo entrambi dalla Boston perbene, come anche lei e Michaela, del resto …”
Mary annuì senza parlare, non sapendo cosa dire o come smentirlo. “Sono contento che abbia trovato la felicità con lei.” azzardò Andrew, rivolgendole un largo sorriso. “Bisognerà capire se è vera felicità o un abbaglio momentaneo.” considerò amaramente la giovane. “Se vuole salutarlo, lo troverà quasi sicuramente alla banca durante l’orario di apertura: credo gli farà piacere. Ora, se vuole scusarmi, dottor Cook … è stato un piacere.”
“Il piacere è stato tutto mio: buona giornata, signora Lodge.”

***

Quel pomeriggio la pioggia si era finalmente decisa a cadere su Colorado Springs da gonfi nuvoloni grigi e violacei, inondando le strade e rimbalzando sui tetti e sulle grondaie, dove si raccoglieva per poi defluire a terra in rivoli scroscianti. Mary stava lavorando all’articolo sul furto di caramelle da Loren ed alle storie senza troppa fretta: era una di quelle giornate che scorrevano lente come spesso accadeva in Colorado, del resto. Brian, appena finita scuola, si era precipitato al Gazette e non vi era più uscito, preferendo aspettare Michaela al tornare a casa a piedi con quel diluvio e Dorothy, come al solito, era sommersa dal lavoro e tremendamente disordinata. Era forse la quinta volta che Mary la rincorreva con uno sbuffo per sistemare le carte che lasciava in giro, suscitando le risate di Brian.
La scrittrice sospirò, voltando pagina e riprendendo a correggere: non aveva alcuna voglia di finire e tornare a casa. Il clima che vi regnava era più gelido di Boston in pieno inverno, tenendo conto che lei e Preston ancora non si scambiavano una sola parola. La tristezza era svanita, lasciando posto all’orgoglio ferito, ma, perlomeno, da quella situazione Mary aveva guadagnato una vera amica. Da quando si era confidata con Dorothy, si sentiva come se avesse tolto un macigno dalle spalle e riusciva ad essere molto più spontanea in sua presenza.
“Dorothy, credo sia ora di dare una svolta alla storia: abbiamo tenuto le lettrici fin troppo sulle spine, non credi? È ora che Scarlett scelga tra Ross e Jonathan, ma, onestamente, non so cosa farle decidere ...” considerò Mary dalla sua scrivania, visionando perplessa le bozze della nuova puntata della storia destinata alle signore della settimana. La rossa, sommersa dalla carta alla sua disordinatissima scrivania, le rivolse un’occhiata perplessa. “Oh e perché mai tra due uomini? Scarlett può avere tutte le possibilità che vuole, è una donna libera ed intelligente!”
“Miss Dorothy, non credo sia quello che le lettrici vogliono trovare, non sente cosa dicono le signore da Loren?” rise Brian, tutto preso dall’aggiustare il torchio. “Vedi, Dorothy? Siamo due contro uno a pensarla così!” considerò la scrittrice, spostando dietro le spalle i lunghi capelli castani con un sorriso soddisfatto. “Io resto dell’opinione che Scarlett dovrebbe scegliere prima di tutto se stessa!”
“Ci penserò su, questo posso promettertelo.”
“Pensare a cosa?” esclamò Hank, facendo il suo ingresso in rosso al Gazette, i capelli biondi al vento. “Alla conclusione di una storia.” rispose onestamente Mary, alzandosi. “Ah, Scarlett, certo: le mie ragazze leggono tutte quei suoi racconti, li adorano. Non sa chi scegliere, eh?”
“Suggerisce qualcosa, Hank?” l’apostrofò Dorothy. “Certo: Scarlett potrebbe stufarsi ed andare a lavorare al saloon! Ispirerebbe le mie ragazze!”
“Oppure potrebbe far perdere la testa al proprietario del saloon e spingerlo sulla retta via!” azzardò Mary. “Ah, divertente! Dovreste darmi retta, invece: non è che voi due abbiate esattamente buoni gusti. Voglio dire, Nube che Corre e Preston …”
“Che cosa le serve, Hank?” sospirò Mary. “Devo pubblicare un annuncio: vendo i mobili vecchi delle mie stanze.”
“Oh e come mai?” notò Dorothy. “Do una ripulita: Zach ha finito la scuola e tornerà a casa. Voglio che viva in un bel posto …”
All’occhiata perplessa di Mary dopo che ebbe contato le parole, rispose con un sorriso sardonico. “È mio figlio: tornerà ad Halloween.”
“Sapevo che fosse un artista, me l’avevano detto! Questo è il conto.”
“Però, le parole costano, eh? E da chi l’ha saputo, miss Mary?”
“Loren, ovviamente.”
“Non si vede tanto in giro con Preston, sa? La gente sparla già e siete sposati da due o tre mesi!”
“Non è un mio problema. Buona giornata, Hank.”
Questi le rivolse un altro sorriso divertito, apprestandosi ad uscire, salvo scontrarsi contemporaneamente con Michaela, Colleen e Teresa.
“Buongiorno! Disturbo?” chiese la signora Slicker, la pancia protuberante. “Oh, no, noi siamo qui per parlare con Dorothy!” sorrise Michaela, dirigendosi dalla rossa a passo sicuro. Mary raggiunse subito Teresa. “In cosa posso esserle d’aiuto?”
“Devo pubblicare questo annuncio.” sorrise la messicana, tendendole un foglio. Mary lo scandagliò rapidamente. “Fanno due penny in totale. Si contano anche le parole con troncamento o elisione …”
“Lo so.” confermò la donna, allungandole il denaro. “Non manca molto, oramai.” considerò educatamente la scrittrice, alludendo al suo pancione. Teresa sorrise. “No, solo un altro mese. Speriamo sia un maschio!”
“Ai suoi ragazzi dispiacerà separarsi da lei per qualche tempo …”
“Per sempre, in effetti: non tornerò al lavoro, dopo. Il posto di una madre è a casa con i propri figli, non a lavoro. Non che ci sia niente di male se una donna decide di lavorare, ma non lo condivido …” spiegò, notando l’occhiata perplessa di Michaela prima di rivolgersi a Colleen. “E tu, Colleen?”
“Io?” domandò la giovane, alzando lo sguardo. “Quando pensate di avere figli tu ed il dottor Cook?”
“Oh, aspetteremo. Io prima devo diventare medico, poi ci sarà tutto il tempo per i bambini. Anche Andrew la pensa così …”
Teresa alzò un sopracciglio e, per l’ennesima volta, Mary provò un moto di stizza verso quella donna così rigida. “Colleen è giovane e lo è anche Andrew: non c’è bisogno che si prestino a sfornare bambini, se hanno altri progetti per il momento. Nella vita non esiste solo quello.” eruppe senza pensarci, attirando gli sguardi sorpresi dei presenti. “Parla così perché lei non ha ancora figli!” considerò Teresa, squadrandola. “No, parlo così perché ho un cervello pensante. Buona giornata, signora Slicker.”
La maestra sospirò, rivolgendo un cenno stizzito prima di andarsene.
Mary, tornata alla sua scrivania, era tanto presa dal fissare le sue bozze senza alcun finale concludente e soddisfacente che quasi non notò le occhiate meravigliate e quasi divertite di Brian, Colleen, Michaela e Dorothy.
“Ho forse detto qualcosa di male?” chiese, accorgendosi, infine, dei loro sguardi. “Affatto, anzi … grazie.” sorrise Colleen. “Oh, io dico sempre quello che penso: è un brutto difetto che ho da quand’ero bambina e niente da fare, più aumenta l’età e più peggiora!” rise, nervosa. Dorothy sollevò il mento, orgogliosa. “Scelgo sempre ottimi collaboratori, come potete vedere! Comunque, non preoccuparti, Colleen: mi occuperò personalmente di farti avere quelle riviste scientifiche!”
“Grazie, Dorothy: gli esami non aspettano certo la fine delle vacanze!”
“Allora ci vediamo direttamente alla festa di Halloween!” concluse Michaela, guardando verso la clinica ancora deserta con apprensione. “Oh, sicuro, quella non me la perderei per nulla al mondo!” sorrise la rossa. “Lei ci verrà, Mary?”
Sentendosi chiamata in causa, la giovane alzò nuovamente lo sguardo ad incontrare quello ridente di Colleen. “Non saprei: non credo di essere qui da abbastanza tempo per potervi partecipare.” mormorò, abbozzando un sorriso di circostanza. “Oh, ma non conta: a noi farebbe piacere averla ai festeggiamenti. Lei ed anche Preston, naturalmente.”
“Non ne ho ancora parlato con lui, ma non credo sia un sostenitore dei belli paesani. Vedremo se riuscirò a convincerlo ...”
Fortunatamente, Dorothy, intuendo forse il suo disagio, sviò discorso e congedò le due dottoresse, rivolgendole un’occhiata complice prima di rimettersi al lavoro.
Non seppe quanto tempo passò prima che la porta del Gazette si riaprisse, ma Mary, quella volta, non vi badò, continuando a revisionare: la maggior parte della gente non la salutava mai, ritenendola forse troppo straniera per meritare una conversazione. Andrew quel mattino e Michaela e Colleen quel pomeriggio erano stati un’eccezione.
Solo quando il silenzio divenne imbarazzante, alzò lo sguardo e quasi sobbalzò nell’incontrare quello di Preston nel suo impeccabile completo borgogna. Questi si tolse il cappello, schiarendosi la voce. “Dorothy, Brian, buon pomeriggio.”
“Signor Lodge.” salutò il ragazzino, rivolgendogli un sorriso. “Preston! Immagino tu voglia parlare con Mary …” considerò Dorothy, alzandosi con grazia. Il banchiere annuì. “Se fosse possibile, sì.”
“Mary?”
La scrittrice sospirò ed annuì. “Bene, allora io e Brian ci prendiamo una pausa da Grace, che ne dici? Anzi, possiamo portarvi qualcosa?”
“Sto bene così, grazie.”
“Lo stesso vale per me.”
“Bene. Torniamo tra un po’, allora.” sorrise Dorothy, indossando la mantellina, subito imitata e seguita da Brian, che rivolse loro un sorriso smagliante prima di uscire.
Per qualche istante, sul Gazette regnò il silenzio più totale, rotto solo dal ticchettio dell’orologio. Fu Preston a romperlo, rivolgendosi subito a Mary: “Sono venuto per scusarmi per quello che è successo l’altro giorno: è stato un comportamento imperdonabile da parte mia e ti chiedo, se puoi, di perdonarmi. Non meritavi quelle parole, anche e soprattutto perché stavi solamente cercando di aiutarmi. Suppongo di non essere abituato alle manifestazioni di affetto. Di alcun tipo.”
La scrittrice annuì: da un lato, era ancora offesa, ma, dall’altro, riconosceva che, quantomeno, si stava scusando e, a giudicare da come evitava di guardarla, non doveva essere facile per lui. “Devo scusarmi anch’io: non avrei dovuto insistere e neanche insinuare quello che ho detto a proposito di tuo padre. Non sono affari che mi riguardano, dopotutto.”
“Avevi ragione, invece: è una vita che cerco di assomigliargli, di essere come lui per ottenere la sua approvazione. La cosa ironica è che non l’ho mai avuta. Nelle lettere mi sento ripetere da anni di come i miei fratelli abbiano carriere brillanti e famiglie numerose e felici, a mio discapito. Poco importa ciò che ho ottenuto, non è mai stato abbastanza. E dopo la crisi credo di aver raggiunto il fondo …” ammise senza guardarla. “E tua madre?” chiese Mary, cauta. “Alice Lodge non è una donna molto materna, anzi: ci ha sempre lasciati alle tate per dedicarsi ai suoi circoli. Ed il suo preferito è sempre stato Henry … il primogenito. Degli altri non ha grande stima.”
La scrittrice annuì, iniziando, forse, per la prima volta dal suo sguardo vacuo a comprendere cosa significasse davvero crescere presso la famiglia Lodge. C’era anche da capire Preston se sentiva costantemente il bisogno di provare di essere migliore degli altri.
“Abbiamo sbagliato entrambi e credo che sia doveroso cercare di chiarirci per continuare ad essere quantomeno sereni. E, inoltre, non sarebbe giusto vederti arrabbiata nel giorno del tuo venticinquesimo compleanno …” proseguì Preston, cambiando argomento. Mary spalancò gli occhi. “Come lo sai?” esclamò. “Ho riletto i documenti del matrimonio. Mi avevi detto di averne venticinque, ma ne avevi ancora ventiquattro, tecnicamente.”
“Era solo questione di pochi giorni …”
“Ciò non toglie che il 29 ottobre sia comunque un giorno importante per te e va festeggiato come tale.” le sorrise, porgendole una scatola cobalto che strasse dalla tasca interna della giacca. “Ma … ma non … non dovevi! Con le cose che non vanno bene in banca … e poi noi non …” biascicò Mary, sinceramente sorpresa: non se l’aspettava. “Non sarebbe conveniente aprirlo, invece di elencare tutti i motivi per cui non avrei dovuto farlo?”
La scrittrice sospirò, rivolgendogli un sorriso abbozzato prima di sciogliere con delicatezza il fiocco ed estrarre dalla scatola una catenina da cui pendeva un piccolo medaglione d’argento a forma di mezzaluna.
“Oh, è … è bellissima! Grazie!” mormorò, sinceramente stupita dalla bellezza del regalo. “Ho scelto la mezzaluna in onore al tuo cognome da nubile, oltre alla tua passione per il cielo, la natura e tutte quelle cose da pittori impressionisti ...”
Mary rise alla sua faccia perplessa. “E, poi, si apre: è piccolo, ma dentro potrai metterci qualcosa che ritieni importante. Non so, una ciocca dei capelli di Dorothy …”
La scrittrice, istintivamente, si allungò e gli schioccò un bacio sulla guancia che, con suo estremo divertimento, ebbe l’effetto di farlo arrossire. “Mi permetti?” le chiese, schiarendosi la voce. La giovane annuì, voltandosi per consentirgli di allacciarle la collana al collo. Ignorò deliberatamente il brivido che le attraversò la schiena quando le spostò i capelli e le agganciò la catenina, attribuendolo alla sorpresa. Quando si voltò, gli rivolse un sorriso appena accennato. “Non dovevi. Ma mi dispiace comunque per quello che è successo ...”
“Facciamo finta che non sia accaduto niente, d’accordo?”
“D’accordo.” annuì lei, accettando la sua mano tesa e stringendola saldamente alla propria. Il banchiere le sorrise. “Buon compleanno, Mary.”
Stava per rispondere, quando la porta si spalancò e, al grido di: “Sorpresa!”, Dorothy e Brian fecero il loro ingresso con una torta e quattro tazze fumanti. “Buon compleanno!” esclamò Brian, precipitandosi a farle gli auguri. “Ma … gliel’hai detto?” balbettò la giovane, volgendosi verso Preston. Questi fece spallucce. “In effetti, potrebbe essermi sfuggito.”
“Oh, su, voi due: bando alle ciance, c’è una torta ed un brindisi da fare alla nostra Mary!” esclamò Dorothy. “Alla nostra Mary!” concordò Preston, rivolgendole un sorriso ed allungandole la tazza. “Che sia solo il primo di tanti compleanni felici a Colorado Springs.”

***

Mary, dal divano, sbuffò sonoramente, gettando sul tavolino i fogli della sua storia. Preston, seduto sulla poltrona, circondato dai soliti prospetti e dai conti, le fissò. “Cos’avranno fatto di così sbagliato da meritare un simile trattamento?” domandò, sardonico. “Non so come far finire la storia di Scarlett.” ammise lei, scuotendo il capo. “Chi dovrebbe scegliere? L’affascinante ufficiale medico Ross, che le garantisce una vita agiata o il povero contadino Jonathan, che l’ama con tutto il cuore? Dorothy dice addirittura che dovrebbe scegliere se stessa, ma come potrebbe? Ed Hank ... lasciamo perdere cos’ha suggerito Hank!”
“Da quando parli con Hank?”
“Da quando anche lui mi rivolge la parola.”
Preston sospirò: quando suo padre gli aveva scritto di aver trovato una moglie per lui, certo non pensava ad una persona tanto ostinata e così lontana dalle belle statuine a cui era sempre stato abituato a Boston. Per far tacere Mary ci sarebbero voluti corde ed un bavaglio come minimo ...
“Potrebbe anche sceglierli entrambi … o non decidere proprio.” considerò, attirando lo sguardo perplesso della moglie. “Non sto suggerendo nulla di scandaloso!” si affrettò a spiegare. “Ma, forse, la sua prima scelta potrebbe essere rivolta ad uno e poi la vita condurla dall’altro … capita, no?”
“Suppongo di sì, ma non so se è quello che le lettrici vogliono.”
“Perché dovrebbe importare? Sei tu che decidi! Non ti sei fatta problemi a farla trasferire a San Francisco, mi pare!” le sorrise il banchiere, ritornando ai suoi prospetti. Sentendo un silenzio fin troppo profondo, tornò a sollevare lo sguardo, incontrando quello sconcertato di Mary. “Hai davvero letto i miei racconti?” mormorò, gli occhi enormi e quasi liquidi alla luce del fuoco. Preston deglutì ed annuì, distogliendo in fretta lo sguardo. “Ho sempre riconosciuto il tuo talento ed ho letto i tuoi libri e le tue storie: scrivi molto bene e caratterizzi splendidamente i personaggi. Leggerti è un piacevole passatempo e, per quanto mi riguarda, dovresti insistere nel pubblicare ancora presso i tuoi editori a Boston.” spiegò, riprendendo le sue carte. “Grazie.” mormorò Mary, rigirandosi l’anello tra le dita. “E tu cosa stai studiando con tanta attenzione?” chiese dopo un po’. “Un progetto.” rispose sinceramente lui. “Per cosa?”
“Per finanziare l’ospedale di Michaela Quinn.”
La scrittrice sollevò le sopracciglia, sorpresa, ma non disse nulla. “Ho fatto i conti due volte e, anche se inizialmente dovrei rimetterci qualcosa, potrei guadagnarci, se davvero la gente tornasse a fidarsi di me. Sempre nella remota possibilità che Michaela accettasse.” ammise Preston con un sospiro, passandosi una mano sul volto stanco. “Non basterebbe solo questo ...”
“Lo so: avevo pensato di concedere tassi d’interesse minori per determinati prestiti e di concedere al massimo due settimane dopo il mancato pagamento di una rata per rimettersi in regola, addebitando solo degli interessi maggiori in merito a quel lasso temporale.”
“Mi sembra una scelta saggia.”
“È l’unica che mi farebbe rientrare in corsa. Ma prima bisogna sempre che Michaela accetti e questo è impossibile …”
“Perché? Non vi siete certo tolti il saluto, mi pare …”
“L’unica volta che si sono messi in affari con me hanno quasi perso la casa, Mary ... senza contare degli scontri e dei dissapori con Sully.”
“Ma sei amico di Andrew.”
Preston la fissò, sconcertato. “Questa mattina Michaela mi ha presentato Emma, Colleen ed Andrew e lui mi ha poi chiesto di te. Mi ha detto che siete stati quasi amici per i due anni che ha trascorso allo Spring Chateau e che vi capivate abbastanza bene, essendo entrambi di Boston.”
“Anche tu sei di Boston, ma non mi pare che ci siamo intesi molto bene, quando sei arrivata!”

“Non cambiare discorso.” lo frenò Mary. “Io non vengo dalla vostra Boston, ha ragione Andrew: per chi, come te, Michaela o Andrew, nasce nelle famiglie benestanti, la strada è già spianata. Tutti e tre avete svolto le professioni dei vostri genitori, da quanto mi è stato raccontato da Dorothy, dopotutto.”
Touché.” sospirò il banchiere, fissando le fiamme per evitare di guardarla in volto. “Se c’era qualcuno che ho potuto considerare una sorta di amico a Colorado Springs, quello è sicuramente Andrew.” ammise quasi più a se stesso. “E perché non vi siete più sentiti?”
“Si è sposato e se n’è andato.”
“Non è una buona ragione per interrompere un’amicizia!”
“Lo è, considerato che ha sposato Colleen Cooper …”
“Si può sapere cosa ti hanno fatto Michaela e Sully e, di conseguenza, tutta la loro famiglia? Io non posso dire di trovarli così terribili, francamente! Sono tra i pochi a parlarmi ...”
Preston sospirò, passandosi una mano sul volto stanco su cui baluginavano le ombre delle fiamme. “Niente. Niente di che, ma non hanno mai fatto mistero della loro antipatia nei miei confronti …”
“Perfettamente reciproca, credo, no?”
“Hai forse deciso di diventare lo specchio della verità ai tuoi venticinque anni?”
“Non ne ho ancora venticinque: sono nata mezz’ora prima di mezzanotte. E, poi, te l’ho detto: dico sempre ciò che penso.”
“Me n’ero accorto.” sospirò il banchiere. “Potresti comunque proporglielo pubblicamente, così da dimostrare almeno un cambio di passo a tutta Colorado Springs. Magari alla festa di Halloween …” azzardò Mary. Preston sollevò di scatto il capo a fissarla. “Cosa? E sopportare un’altra umiliazione pubblica prostrandomi ad una festa a cui nessuno mi vuole? Assolutamente no!”
“Ed invece andarci potrebbe essere l’occasione per guadagnare clienti: è arrivata molta gente nuova, negli ultimi mesi …”
“Non ti sto proibendo di andarci: va’, se ti fa piacere.” le concesse, ignorando un vago bruciore allo stomaco a quel pensiero. “Non potrei, anche se lo volessi: non ho niente di adatto da mettermi, senza contare che andandoci da sola attirerei ancor più voci di quante già non ne abbia attirate e non vorrei certo danneggiare ulteriormente il Gazette … o la tua banca, per quel che vale.” sospirò, alzandosi con uno sbadiglio. “Dove stai andando?” l’apostrofò Preston. “A dormire: non passerò la notte qui a sentirti rifiutare qualunque soluzione ti venga proposta alla tua crisi!”
“Non sto rifiutando!”
Mary gli rivolse un’occhiata accusatrice, facendolo sospirare. “E va bene, ma non consideri che so di cosa sto parlando, sono qui da ben più tempo di te, non credi?”
“Quello che credo, Preston, è che, in definitiva, tu abbia così tanta paura del rifiuto da non volerci neanche provare, ma, a mio avviso, è meglio un rimorso che un rimpianto. Buonanotte e buona lettura.”
La giovane si diresse in camera con un altro, sonoro, sbadiglio, salendo le scale scricchiolanti lentamente: in fondo, non aveva quasi fretta e non le sarebbe dispiaciuto se Preston l’avesse chiamata, invitandola a fermarsi a parlare ancora un po’ con lui. In fondo, anche se lui non aveva voluto confessarglielo, aveva capito cosa gli desse tanto fastidio di Sully: non era difficile intuirlo. Sully era un uomo semplice, senz’arte né parte, eppure era stimato, aveva amici, una moglie che amava e figli che lo adoravano, era, insomma, un vincente. Lui, invece, pur essendo un abile banchiere con una laurea ed un’origine più che illustre, era fondamentalmente solo e disprezzato. Non sapeva se a disturbarla fosse più il fatto che solo lei se ne fosse accorta o che quel lato di Preston, nascosto sotto la sua apparenza sempre impeccabile, lo charme, la galanteria e la cultura, le facesse stringere il cuore in una morsa.
Dal canto proprio, il banchiere, rimasto solo dinanzi ai suoi prospetti ed al fuoco scoppiettante, sospirò: Mary aveva ragione, era un codardo, anche se non l’avrebbe mai ammesso di fronte a lei. Aveva l’opportunità di dimostrare di potercela fare con le proprie forze ed era forse l’ultima che avrebbe avuto, ma aveva così tanta paura di fallire da non voler neanche tentare. E non era da lui. Tanti anni di rifiuti dovevano aver lasciato il segno, alla fin fine: sua madre non l’aveva mai sopportato granché, troppo delusa del fatto che non fosse la bambina che avrebbe voluto per sé, suo padre lo considerava un incapace dal cuore troppo tenero ed il polso poco fermo ed i suoi fratelli semplicemente l’ultimogenito, quello di cui non c’è davvero bisogno e che risulta spesso fastidioso. A Colorado Springs invece era l’avido banchiere dell’est, lo straniero antipatico che avrebbe fatto meglio ad andarsene. Forse l’unica persona che si fosse dimostrata realmente interessata a lui, in tutto quel tempo, era stata proprio Mary, paradossalmente. “E sei riuscito a deludere anche lei. Che bravo!” sbuffò, passandosi una mano tra i capelli e chiudendo gli occhi: ripensando a quel pomeriggio, però, forse, non l’aveva delusa proprio sempre. Era stata felice delle sue scuse e della collanina ed aveva riso quando le aveva insegnato a cavalcare e quando si erano confrontati sulle ultime tendenze teatrali ed artistiche. E, per la prima volta, forse, Preston aveva sentito di valere qualcosa, di essere in grado di fare qualcosa di buono. Da un lato, quella giovane fin troppo schietta ed indipendente era in grado di irritarlo come nessun altro, ma, dall’altro, a volte non riusciva a fare a meno di fare di tutto perché gli sorridesse. Il loro non era un matrimonio vero e proprio, su questo erano d’accordo, ma Preston non era certo cieco e sempre più spesso non poteva fare a meno di notare che Mary fosse effettivamente molto bella, oltre che fin troppo intelligente e tenace. Peccato solo che avesse così tanta paura di venire respinto anche da lei da non riuscire mai a dirglielo …
“Codardo.” sbuffò, tornando ai suoi amati prospetti con un’idea nuova che gli frullava in testa.

***

La mattina di Halloween, Loren aprì il negozio cinque minuti prima, sperando di non vedere nessuno ad attenderlo già fuori dalla porta, ma, con suo estremo disappunto, qualcuno già lo stava aspettando. “Ma che diamine, un vecchio non avrebbe diritto a riposare e … Preston?” esclamò, sconvolto: il banchiere non si vedeva in città da mesi, eppure eccolo lì di fronte a lui, in grigio come l’aveva visto l’ultima volta, sempre perfettamente imbellettato. “Buongiorno, Loren.” lo salutò, schiarendosi la voce. “Non ti si vede in paese da … beh, da un’eternità, ti sei persino sposato senza dire niente a nessuno ed ora ti presenti qui così … che diamine vuoi?” esclamò l’anziano. “Vorrei acquistare un abito.”
“Ma se te li sei sempre fatto spedire da quell’atelier di Boston, non prendermi in giro …”
“Un abito da donna. E, se proprio insisti, sono sicuro che ci saranno molti altri negozi a Denver disposti a vendermene uno.” sorrise. Loren sbuffò: quel suo irritante sorriso a trentadue denti non era cambiato di una virgola, per sua sfortuna. “Misure?” sbottò. “Non ne ho idea … è comunque per una donna bassa e magra …”
“Tua moglie?”
Il banchiere parve trattenere il fiato per un po’ prima di espirare. “Sì.” ammise. “E non conosci le misure di ha tua moglie? Buon Dio, dove andremo a finire! Vieni dentro prima che cambi idea, su: la nostra Emma è giusto tornata dai suoi tour, per tua fortuna!”

 

Il giorno di Halloween Mary era di pessimo umore. Non sapeva se la colpa fosse del fatto che la mattinata era stata talmente piena di annunci da pubblicare da costringerla a chiudersi al Gazette nel pomeriggio per dedicarsi alle sue storie o, semplicemente, dell’euforia generale per la festa di Halloween di quella sera. Loren chiudeva prima e non aveva quasi più alcun prodotto disponibile, Grace era tanto impegnata con il buffet che trovare posto da lei era quasi impossibile, Daniel, con cui a volte si fermava a parlare, era occupato con la costruzione del palco e persino Horace aveva chiuso per provare con l’orchestra. Al Gazette, come se non bastasse, l’atmosfera non era certo delle migliori: Brian era triste e mesto perché non aveva trovato il coraggio di invitare Sarah al ballo ed ora, a quanto pareva, lei ci sarebbe andata con Mac, il figlio dei Marshall e Dorothy sbuffava fissando la strada, considerato che Nube che Corre era alla riserva di East Forth dal giorno precedente e non sapeva se sarebbe tornato in tempo per la festa. A condire il tutto, neanche a farlo apposta, Preston non si era fatto vedere né sentire nemmeno a pranzo, facendola erompere in una serie di improperi che avevano scandalizzato Loren e fatto sogghignare Hank. “Se mai volesse cambiare lavoro, Mary, sa dove venire: cerchiamo sempre donne fini come lei!” aveva esclamato, entusiasta, ottenendo almeno di farla sorridere.
Per l’ennesima volta, Brian sospirò, guardando fuori. Mary alzò gli occhi al cielo. “Brian, sei consapevole che Sarah non sia l’unica ragazza sulla faccia del pianeta, vero?”
“Scusa, Mary, è … è che ci speravo tanto!” sospirò nuovamente, facendo spallucce. “Ed allora perché non gliel’hai chiesto?”
“Avevo paura che rifiutasse.”
“Ed ora lei ha chiesto ad un altro di accompagnarla. Mi sembra quasi di sentire Preston …”
“Perché?”
Mary tacque, rendendosi conto di aver, forse, detto troppo, ma, alla fine decise di essere sincera: “Perché anche lui ha smesso di agire per paura di fallire. Credo sia la cosa che più lo spaventa in assoluto.”
“Tu non sei così!”
“Non ne ho mai avuto la possibilità, probabilmente: se non avessi difeso me stessa ed i miei interessi, non avrei lasciato i sobborghi di Boston ed uno zio ubriaco e non mi sarei mai laureata, questo è poco ma sicuro. A volte bisogna avere il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo!”
“Me lo ricorderò.” sorrise Brian. “E Scarlett? Anche lei butterà il cuore oltre l’ostacolo?” azzardò Dorothy con un mezzo sorriso. “ Volete la verità? Non ne ho idea: sono ancora molto combattuta sul suo destino e la scadenza è dopodomani.”
“Troverai una soluzione e sarà splendida!” la rassicurò la rossa. “Oh, avrò tutto il tempo di pensarci stasera …”
“Non verrai alla festa?” chiese Brian, dubbioso. “Temo di no: farei solo sparlare la città, da sola e … beh, il Gazette non lo merita.”
“E non puoi provare a convincere Preston?” ipotizzò Dorothy. “Sarebbe più semplice smuovere il Pike’s Peek ...”
“Mary, posso farti una domanda personale?” intervenne Brian. “Finché la decenza ce lo permette …” sorrise la scrittrice, annuendo. “Tu ami Preston?”
Il sorriso di Mary morì così com’era arrivato. “Brian!” la rimproverò subito la rossa. “No, Dorothy, non ha chiesto niente di male. Perché me lo chiedi?” domandò, cauta: non voleva ferire i suoi sentimenti di giovane sensibile con la sua storia strappalacrime. “Così: ho guardato tante persone innamorate oggi … mamma e papà, Andrew e Colleen, Emma e Matthew, Dorothy e Nube che Corre, la signora Teresa e Jake, Grace e Robert E. … e niente: me lo chiedevo, siccome sono tutte storie molto diverse.”
Mary annuì, abbassando lo sguardo sui suoi fogli. “Non lo so.” rispose senza neanche pensarci, stupendo persino se stessa. “In che senso?” domandò Brian, ancor più confuso di lei. “Nel senso che a volte vorrei abbracciarlo ed altre strangolarlo.” ammise: almeno quello era vero. “Ma il nostro è stato il matrimonio meno convenzionale di tutti: non ci siamo sposati per nostro volere, ma per un accordo. Si usa spesso così, tua madre te l’avrà spiegato.” sospirò. “E quindi non ho scelto Preston. Anzi, ti dirò la verità: potendo scegliere, non avrei mai e poi mai sposato uno come lui, neanche dopo morta. Ho sempre odiato i damerini, a Boston!”
Brian e Dorothy sorrisero a quell’affermazione. “Però, dopo un po’ di mesi … beh, posso dirti che avevi ragione tu mesi fa, Brian ...” continuò. “C’è tanto di lui che non mostra agli altri ed in questo, forse proprio perché non lo conoscevo, sono stata avvantaggiata. Ad esempio non credo nessuno si sia mai reso conto che, in fondo, sia un uomo estremamente gentile e rispettoso, almeno nei miei confronti, che ami follemente leggere ed andare a teatro o alle mostre. O della sua passione per l’antichità. E certamente nessuno si è mai accorto di quanto disperatamente desideri essere tenuto in considerazione ed accettato, né di quanto sia disposto a fare per le cose e le persone a cui tiene …”
“Ma sei innamorata di lui o … beh, lo sopporti e basta?” la interruppe Brian. “Perbacco, stai iniziano ad assomigliarmi, con queste domande dirette!” rise. “E, comunque, non so se sono innamorata di lui, né se lo sarò mai, ma … beh, non posso dire di detestarlo, ecco.”
Brian annuì poco soddisfatto e tornò a fissare fuori, perplesso mentre Dorothy rivolgeva a Mary una lunga occhiata penetrante.
Alle cinque, tutta Colorado Springs parve morire: i negozi erano già chiusi e la gente era sparita, probabilmente in casa a prepararsi per la festa.
Mary chiuse il Gazette e si avviò alla banca nell’assolato pomeriggio d’ottobre senza incontrare nessuno oltre alla polvere delle strade. Una volta rientrata, salì in casa con uno sbuffo frustrato, salutando con un cenno Preston seduto sul divanetto. Le parole di Brian le tornarono improvvisamente in mente mentre lo guardava: non era il marito che aveva sempre pensato di avere da bambina, ma, in fondo, c’era di peggio.
“Oh, eccoti!” la salutò il banchiere, alzandosi con una pila di fogli in mano. “Ho … stavo leggendo la bozza dell’ultima puntata di Scarlett. Non avrei dovuto, ma era qui e …”
“Non fa niente, anzi: forse potresti anche aiutarmi, dopotutto sono ancora in alto mare!” sospirò la scrittrice. “Che ne pensi?”
“Sinceramente?”
“Non te lo chiederei, altrimenti!”
“Penso che la storia sia ben scritta, come sempre, i personaggi ottimi, me che ci sia poco di tuo.”
Mary aggrottò la fronte. “Poco di mio?” ripeté. “Esatto. Tu non sei una da finali rosa, mielosi e sdolcinati, né da amori profondi e romantici. Per ottenere l’effetto che vuoi, devi essere te stessa, è molto semplice.”
“E come fai ad essere così sicuro di cosa mi appartiene di cosa no?” lo canzonò, voltandosi per nascondere il fatto che avesse centrato pienamente il punto di tutta la faccenda della storia di Scarlett.
“Intuito. Ma dovresti andare in camera tua, adesso.” esordì Preston dopo un po’, schiarendosi la voce. “E perché? Hai forse invitato qualcuno a cena e ti vergogni di tua moglie?” sorrise Mary, lasciando nello studio i suoi appunti. “No, ma potrebbe esserci qualcosa che richiede la tua attenzione.”
Gli rivolse un’occhiata esasperata, dirigendosi a passo marziale di sopra. “Giuro che se è un altro pantalone da rammendare come l’altro giorno …” la minaccia le morì in gola non appena, sul letto, vide l’abito.
Era lilla pallido, con le maniche di vari veli di raso che si arrotolavano gli uni sugli altri sino al gomito, la scollatura quadrata ed appena un po’ più profonda di quanto Mary usasse di solito e ricamato ovunque con violette di un viola vibrante che riverberava nella penombra della stanza.
“Spero che ti piaccia.” spiegò Preston alle sue spalle, facendola voltare di scatto, ancora senza parole. “E soprattutto di aver indovinato le misure. Io e Loren non siamo buoni giudici della figura femminile, temo.” sospirò il banchiere, abbozzando un sorriso. “È … è l’abito più bello che abbia mai avuto!” ammise Mary, raggiungendo il vestito e sfiorandolo delicatamente. “E non posso davvero accettarlo, se è un regalo: è troppo e mi hai già regalato il medaglione, io …”
“Non è per il tuo compleanno: questo è per la festa di Halloween. Mi hai detto di non avere niente da metterti e che non t’importava andarci, ma una domenica mi hai anche confessato che adoravi le sale da ballo di Boston e che ci andavi appena potevi permettertelo. Non è giusto che tu debba rinunciarvi solo perché io ho paura. E, poi, devo fare una proposta importante che tu mi hai suggerito …”
Mary trattenne il fiato, aggrottando la fronte. “Davvero? Hai deciso …”
“Di provarci, sì. Ma adesso ti lascio, devi prepararti ed anch’io …”
“Ma che ore sono? Oh, santo cielo, è tardissimo!”
“Appunto: ci vediamo dopo.” concluse Preston, lasciandola sola con la propria confusione e quell’abito fin troppo raffinato per Colorado Springs.

 

Quando, un’ora dopo, Mary apparve sulle scale di casa, Preston ancora non si era accorto di lei e colse l’opportunità per guardarlo meglio nel suo completo borgogna: era un bell’uomo, in quello, perlomeno, era stata fortunata. Alto e magro, con i capelli ben pettinati all’indietro, faceva la sua figura. Con un sospiro, scese, sorridendo all’espressione imbambolata che le rivolse Preston non appena la vide. “Allora? Come sto?” sorrise, girando su se stessa: per quel vestito, che già parlava da sé, aveva deciso di acconciare i capelli arricciati su una spalla, come al matrimonio ed aveva indossato degli orecchini d’argento che si abbinavano al medaglione che le aveva regalato Preston. Il risultato doveva averlo sconvolto più del dovuto, tuttavia, dal momento che ancora non parlava. “C’è qualcosa che non va? Ti senti male, forse?” rise. “Oh, no: ti stavo solo ammirando. Stai davvero bene.” mormorò questi, ridestandosi e porgendole il braccio. Mary lo accettò di buon grado e lo seguì in banca e poi in una Colorado Springs illuminata da lanterne ricavate da zucche intagliate e festoni con pipistrelli e scheletri.
“A Boston le feste di Halloween non sono così.” considerò Mary, osservando i festoni e le luci attorno ai tavoli ed alla pista da ballo sul prato tra la scuola e la chiesa. “E cosa te ne pare? Quelle del Colorado sono migliori o peggiori?” considerò Preston. “Oh, non saprei: di certo sono più spontanee.” replicò, facendo spallucce e sorridendo prima di immergersi nella calca di gente riunitasi per festeggiare: c’era il reverendo su un palchetto che parlava con Jake, ancorato al braccio di Teresa, Loren che brontolava assieme ad Horace ed al resto dell’orchestrina. Mary non mancò di notare che, al loro passare, venivano rivolte a Preston occhiate ben poco rassicuranti, ma decise di stringergli il braccio e rivolgerli un sorriso prima di trascinarlo, nonostante le sue proteste, al tavolo di Dorothy e Nube che Corre.
“Oh, ma avete deciso di venire, allora!” esclamò la rossa, in un delizioso abito azzurro, alzandosi ed abbracciando Mary. “Non mi sembrava giusto privare Mary dell’opportunità di vedere questa festa solo a causa mia …” annuì Preston, prendendo posto accanto alla moglie. “Avete fatto bene: siamo artefici della nostra felicità.” annuì Nube che Corre, distratto dall’arrivo di Michaela, Sully e dei ragazzi. Mary notò con una punta di sollievo che Andrew raggiunse subito Preston e si sedette accanto a lui con un largo sorriso. “Devo farti i complimenti.” le sussurrò Dorothy mentre Grace iniziava a servire il cibo. “Sei riuscita a smuoverlo … e, come hai detto, è peggio di smuovere il Pike’s Peek.”
“In fondo, credo di doverglielo: come hai detto tu, ci sono uomini ben peggiori.” sorrise Mary, distratta da una considerazione di Colleen su Boston a cui rispose con una battuta che fece ridere tutta la tavolata.
Fu nel bel mezzo della cena che Michaela, con Katie sulle ginocchia, citò il suo progetto dell’ospedale. “Sarebbe davvero bello, utile ed avrei già in mente dove, ma, sfortunatamente, a mancare sono i fondi …” sospirò, sconsolata. “Trovarli potrebbe non essere un gran problema.” intervenne Preston, facendo calare il silenzio sulla tavolata. “Posso concederle un prestito, Michaela, con la promessa che non sarà come l’ultima volta. Sono successe molte cose in passato tra di noi e mi scuso per le mie azioni, ma ora mi ritrovo a far ripartire la banca ed a doverle imprimere un nuovo passo, una nuova linea guida, con tassi d’interesse minori e possibilità di proroghe in caso di mancato pagamento di una rata. Senza contare che, per lei, sono disposto a tenere come garanzia la sua professione, senza richiederne di ulteriori.”
Alle occhiate perplesse di Michaela e Sully, rispose con un rapido: “Naturalmente non dovete darmi subito una risposta, ma mi farebbe piacere avere la possibilità di illustrarvi il prestito in banca, magari nei prossimi giorni, se doveste essere interessati.”
“E cosa dovrebbe farci credere che stavolta sarebbe diverso?” considerò Sully, arricciando il naso. “Sully …” sospirò Michaela. “No, ha ragione, ma dovete considerare che questo accordo è anche nel mio interesse: la banca ha bisogno di ripartire e finanziare il suo ospedale, Michaela, è l’opportunità giusta. Spero vogliate quantomeno considerarla.” concluse Preston. I due si guardarono per un istante prima di annuire. “Verremo sicuramente almeno a sentire cos’ha da dirci.” annuì la dottoressa. “Certo, questo … cambio di passo è inaspettato, Preston.” considerò Grace. “Dovete ringraziare Mary, per questo, non me: non me ne sarei reso conto, senza il suo intervento.” rispose onestamente il banchiere, rivolgendole un breve sorriso. La scrittrice ricambiò, stringendogli brevemente la mano sotto il tavolo.
Ore dopo, alla fine della cena, si aprirono le danze ed il tavolo rimase presto semideserto. Mary venne quasi subito invitata a ballare da Hank e, dopo che Preston le ebbe rivolto un cenno d’assenso, si tuffò in pista, scoprendosi ben presto a ridere su quella musica da sagra assieme ad Hank, che, bisognava ammetterlo, era quantomeno spiritoso, a modo suo.
“Senza nulla togliere alle altre signore, credo che Mary sia la più bella della serata, non è vero, Andrew?” considerò Dorothy, risedutasi a riprendere fiato accanto a Preston ed Andrew, rimasti soli al tavolo mentre Colleen ballava con Brian. “Io non posso esprimermi, sai che per me Colleen è e sarà sempre la più bella ma … beh, Mary è senza dubbio molto bella, sì.” annuì il medico. “Ed è anche diametralmente opposta a ciò che mi aspetterei da te, Preston.”
Il banchiere, con lo sguardo ancora fisso su Hank e Mary che ballavano e ridevano, aggrottò la fronte. “Concordo.” annuì. “Però è simpatica e … beh, ti fa bene: non ti ho mai visto così tranquillo.” concluse il dottor Cook con un sorriso. Preston deglutì, sforzandosi di ricambiare. Per sua fortuna, Colleen tornò in quel mentre a reclamare il marito, sparendo dal suo posto.
“Dovresti chiederle di ballare.” esordì Dorothy dopo un po’, attirando l’occhiata perplessa dell’uomo. “E perché mai? Non mi piace ballare e Mary si sta divertendo con altri.” sbuffò. “Hai davvero così tanta paura di lei?”
“Non ho paura, ma non credo sia giusto imporle la mia presenza, tutto qui.”
“Glielo chiederesti, non la imporresti.”
“Gliel’ho già imposta per troppo tempo.”
“Non credo che lei sia il tipo da lasciarsi imporre facilmente cose che non vorrebbe assolutamente.” sorrise Dorothy, alzandosi per raggiungere Loren in pista.
Preston, rimasto solo con il cane di Sully, sospirò: tutta la città stava ballando e si stava divertendo, tranne lui. Era alle solite, anche se aveva cercato di cambiare. Solo che, stavolta, forse non doveva più essere così …
Al cambio di danza, si alzò e raggiunse Mary. “Posso?” domandò, tendendole la mano. La giovane, con le guance arrossate per il ballo, annuì, contenta, avvicinandosi mentre iniziava un’altra danza. Preston cercò di ignorare la capriola che fece il suo stomaco quando il profumo di Mary l’avvolse e le circondò la vita, concentrandosi, invece, sui suoi occhi ridenti e sul sorriso che sembrava non riuscire a cancellare. “Ti ringrazio per essere venuto: so che non ti piacciono queste feste.” sospirò la scrittrice. “Sono io a doverti ringraziare.” deglutì il banchiere, distogliendo lo sguardo.
Ballarono insieme per il resto della sera, talmente occupati a cercare di non guardarsi direttamente negli occhi da urtare diverse altre coppie e sbagliare continuamente danza.

 

Quando rientrarono alla banca, erano quasi le undici. Dopo i balli non si erano detti nulla ed anche il ritorno a casa era stato intrapreso in religioso silenzio, salvo un breve commento su Sully e sulle sue vesti che sembravano essere sempre le stesse.
Mary, dal canto suo, era stanca come mai lo era stata da quand’era arrivata: i balli, le chiacchiere forse eccessive ed il vino l’avevano stordita. O, forse, era semplicemente più comodo dare la colpa alla serata che alle quattro danze che aveva ballato con Preston …
Lo osservò mentre apriva la porta della banca nella penombra della sera: lo aveva detestato all’inizio, era vero, ma ora non ne era più così sicura. Preston era stato divertente ed aveva sfoggiato il suo solito charme per tutta la cena, salvo poi zittirsi completamente durante il ballo. Dal canto proprio, Mary non aveva osato aprire bocca per timore che se ne andasse. Avrebbe voluto restare lì in eterno, in mezzo a quella gente allegra e sorridente, a volteggiare tra le braccia di Preston, aggrappata saldamente alle sue spalle per timore di scivolare. E, invece, era tutto finito e, dall’indomani, la sua vita sarebbe tornata grigia e scialba.
Il banchiere si scostò per farla entrare e la giovane si avviò con un sospiro, salendo i gradini verso casa. Al primo, però, complice forse la stanchezza e la penombra, inciampò sul vestito e vacillò, frenata subito dalla presa del marito. “Scusa!” esclamò, raddrizzandosi e cercando di ignorare il battito furioso del suo cuore ed il profumo di colonia di Preston, schiarendosi brevemente la voce. “Sono inciampata … che sbadata! Non ne combino una giusta …” mormorò. “Non ti rendi affatto giustizia, allora: da quando sei arrivata, molte cose sono andate nuovamente per il verso giusto.” sorrise lui, osservandola dall’alto della sua statura. Rimasero a guardarsi negli occhi per qualche istante, nocciola nel nocciola, entrambi consci che il silenzio totale della banca e della città forse rotto solo dai loro cuori e dai loro respiri. Ripensandoci, Mary non avrebbe saputo dire chi si fosse mosso per primo: sapeva solo che in un secondo le labbra di Preston furono sulle sue, le sue mani a tenerle la vita e, d’istinto, gli gettò le braccia al collo, desiderando solo che quel momento non finisse mai. Fu solo un istante, naturalmente: si separarono appena si furono resi conto di cosa stessero facendo ed entrambi si schiarirono la voce, nervosi. “Scusami.” disse subito il banchiere. “Scusa, è stato imperdonabile da parte mia …”
“Abbiamo entrambi bevuto troppo.” deglutì Mary. “Credo … credo sia meglio andare a dormire e fare finta che non sia successo.”
“Lo credo anch’io.” confermò lui, facendole cenno di proseguire. La giovane si fiondò immediatamente nelle proprie stanze mormorando un saluto veloce e, una volta chiuse la porta, vi si appoggiò, chiudendo gli occhi. “Ma che diamine mi è saltato in testa: io non lo amo e di certo lui non mi ama! E poi con un damerino del genere … no, assolutamente no: prima o poi ne verrò fuori e tutto questo finirà!” si ripeté mentre si cambiava. Ripeterlo un milione di volte, tuttavia, non riuscì a farle prendere sonno, quella sera.
 

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Capitolo 7
*** Heart ***


7.
Heart

“Allora, che ne pensi?”
Dorothy sospirò, sbattendo le palpebre mentre leggeva l’ultima puntata della storia di Scarlett. “Mi hai stupita: pensavo le cose prendessero una certa direzione ed invece hai trasformato tutto secondo un’altra traiettoria, che, devo ammetterlo, ti si addice molto di più. E chi pensava che Scarlett avrebbe scelto inizialmente Ross, salvo poi scoprire tutti questi segreti su di lui e tornare indietro da Jonathan?”
“Temevo che non ti piacesse, sai?” sorrise la giovane, lisciandosi la giacca blu e giocherellando distrattamente con la collana a forma di mezzaluna, salvo poi lasciarla subito dopo una volta resasene conto.
“Oh, invece mi piace ed anche molto! Davvero! E sono certa che piacerà anche alle nostre lettrici!” annuì la rossa, tornando al suo torchio con un sospiro. “Santo cielo, l’aria è carica di umidità questa settimana …” considerò stancamente. “Ho sentito che è tipico del cambio di stagione in Colorado!” ragionò Mary. “Oh sì, ma mai così, credimi! Ecco, con questo abbiamo finito: ora c’è il servizio sull’inaugurazione del nuovo teatro …”
“Quello che verrà aperto accanto allo Spring Chateau dal senatore Dinston?” domandò Mary, osservando la città assolata ed affollata oltre le porte spalancate del Gazette. “Esattamente: domani sera ci sarà l’inaugurazione. Oh, ma aspetta: non posso andarci! Sono invitata da Michaela per fare un’intervista a Colleen che si è diplomata alla scuola medica, è un impegno che ho preso da tempo … non potresti andare tu all’inaugurazione, Mary? Ti dispiacerebbe?”
“Mi piacerebbe tantissimo, è da quand’ero a Boston che non mi occupo di cronaca di questo genere!”
“Sapevo che saresti stata d’accordo. Ci andrà anche Daniel, in qualità di sceriffo, per evitare le proteste di quel comitato di vecchiette contrario ad ogni divertimento … sai, quelle contro l’alcool … girano per le città del Colorado, di quando in quando!” sorrise la rossa, cambiando foglio. “Immagino ci sarà anche Jake!”
“Immagini male, stavolta: è appena diventato padre, ha già fatto sapere di non poter presenziare.”
“Ah è dunque nato il bambino?”
“Sì, stamattina: è un maschietto. L’hanno chiamato Gabriel.”
“Dovremo scrivere un articolo per congratularci …”
“Oddio, è vero: un altro pezzo che devo scrivere! Dire che sono oberata è poco!” sospirò Dorothy. “Non agitarti: con calma si fa tutto! E, poi, hai me e Brian …”
“Sarei già esplosa, altrimenti! Spero che per Preston non sia un problema il tuo presenziare alla cerimonia di apertura del teatro, considerato il suo … beh, legame con lo Spring Chateau! Perché immagino ci andrai con lui ...”
Mary sospirò, posando la penna. “Cercherò di convincerlo!” sviò, distogliendo lo sguardo: l’ultima cosa a cui voleva pensare era Preston e la confusione totale che provava nei suoi confronti.
Erano passate oramai tre settimane dal bacio che si erano scambiati ad Halloween e non ne avevano più parlato, tornando alla solita routine fatta di pasti condivisi, richieste di opinioni e picnic domenicali. L’unica eccezione era stata una domenica in cui l’aveva portata al ristorante ed a teatro a Denver per festeggiare l’accettazione del prestito da parte di Michaela, dandole un’altra occasione per sfoggiare il bellissimo vestito che le aveva regalato.
Mary si era comportata come al solito, ma, quando era sola, non riusciva a smettere di pensare a quel bacio. Non se l’era minimamente aspettata e non era né la situazione né il momento giusto. Aveva cercato di ignorarne il pensiero e si era aspettata che passasse così com’era venuto, ma, al contrario, si era ritrovata ogni giorno più ansiosa che arrivasse la sera solo per potersi sedere davanti al fuoco dopo cena con Preston per parlare. Le piaceva discutere le ultime novità della città e d’America con lui, occasionalmente anche ridere e scontrarsi e, soprattutto, le piaceva guardarlo in tutta la sua altezza mentre lavorava ed accoglieva i clienti che la banca, pian piano, iniziava ad attirare nei suoi completi impeccabili, con il suo sorriso fin troppo largo ed un sottile sarcasmo.
Naturalmente, da qui a dire che lo amava ce ne passava. Razionalmente, riteneva di essergli solo affezionata poiché era la persona con cui aveva passato più tempo a Colorado Springs e perché si era rivelato migliore di quanto sembrasse ad una prima occhiata.
“A che ora sarà l’inaugurazione?” domandò a Dorothy, ben decisa a distrarsi. “Alle sette e finirà a mezzanotte, in tempo per il Ringraziamento! A proposito, tu e Preston avete programmi per la festa?”
“Non ne abbiamo parlato. Forse parteciperemo al pranzo cittadino da Grace e dal reverendo …”
“Io sarò da Michaela con Nube che Corre e tutto il resto: come ti dicevo, ci saranno anche Andrew e Colleen.”
“Sono persone molto simpatiche, è piacevole parlare con loro.”
“Senza dubbio.”
“Quello che ha fatto Michaela per i ragazzi è davvero ammirevole: non so se ne sarei capace …”
“Lo saresti, solo che è difficile immaginarlo.” sorrise Dorothy, mettendo ad asciugare i giornali freschi di stampa. “Per i figli si farebbe qualsiasi cosa.”
“Mi hai detto di averne quattro, Dorothy, ma …” azzardò Mary. “Se ne sono andati tutti, per questo: le mie figlie sono scappate da casa e dalle ubriacature del padre e si sono sposate senza farmi più sapere niente di loro, Tom è diventato un alcolista dopo la guerra e Victor ha la sua famiglia e la sua vita lontano da casa … nessuno mi parla, al massimo mi scrivono qualche lettera. Sai, mi incolpavano per non averlo cacciato via …”
“Non è stata colpa tua, Dorothy: come potevi difenderti?” eruppe Mary, sconvolta da quella rivelazione. La rossa le rivolse un sorriso triste. “La verità è che avrei potuto, ma continuavo a credere che Marcus sarebbe cambiato. Ci vuole tanta forza di volontà per abbandonare queste situazioni … come hai fatto tu scappando da tuo zio.”
“Per poi ritrovarmi in un matrimonio di convenienza.” sospirò la scrittrice, aprendo un libro per controllare un nome. “Davvero una bella fine …”
“Beh, hai un lavoro, un’entrata e non mi pare che tu e Preston litighiate di continuo, anzi: poteva andarti molto peggio, alla fin fine.”
“Sì, forse hai ragione.” asserì Mary, picchiettando la penna sul tavolo. “Ma non è comunque una scelta che ho preso liberamente.”
“No, questo è vero. Ma potrebbe diventarlo …”
La giovane aggrottò la fronte, fissando Dorothy che le sorrideva, maliziosa. “Sei l’unica, qui, a sapere che tra me e Preston non c’è niente, Dorothy!” esclamò, abbassando la voce. “Lo so, ma non sono certamente l’unica ad aver notato come vi guardavate ad Halloween.”
Mary scosse il capo. “Sbagli.” asserì. “Ad Halloween c’è stata molta confusione: avevamo litigato, ci eravamo riappacificati e poi c’era la festa ...”
“Però continui ad indossare la mezzaluna che ti ha regalato.”
“Perché mi piace e credo mi rappresenti.”
“Mentre ballavate, non avete smesso per un istante di arrossire ed evitavate accuratamente di guardarvi …”
“Se è per quello, ci siamo anche baciati, tornati in banca!”
All’occhiata sconvolta dell’amica, si affrettò ad aggiungere: “Ma è stato soltanto un momento, dovuto al fatto che avevamo bevuto ed eravamo finalmente riusciti a trovare un equilibrio. Un errore dimenticabile che non ha avuto alcun seguito! E se andiamo d’accordo è perché ci siamo sforzati di convivere per la serenità reciproca ...”
Dorothy scoppiò a ridere, ottenendo solo di irritare ancor di più Mary. “Non vedo cosa ci sia tanto da ridere!”
“Santo cielo, dev’essere una cosa di Boston, sai? Tutti quelli che conosco che vengono da lì sono davvero dei veri disastri nei sentimenti! Michaela ci ha messo anni per rendersi conto di amare Sully, Andrew pensava sempre di non essere abbastanza per Colleen e tu e Preston … beh, vi commentate da soli!”
“Quali sentimenti? Qui non ce ne sono!” sbottò la scrittrice, tornando al proprio lavoro. “Mary …” sospirò la rossa, sedendosi sul bordo della scrivania della collega. “Ci sono passata anch’io: la gente aveva notato prima di me che amassi Nube che Corre ed io negavo, per paura. Paura di quello che avrebbe comportato, di cambiare …”
“Non è il mio caso, perché non c’è proprio niente di cui rendersi conto!” ribadì Mary, sicura. “In circostanze normali, io non avrei mai e poi mai scelto Preston e lo sai: ho sempre detestato i damerini di buona famiglia, ancor peggio se leziosi banchieri!”
“Spesso le cose non vanno come credevamo sarebbero andate ed è il destino a decidere per noi.”
“Non nel mio caso.”
“Dovresti chiederti se è me o te stessa che stai cercando di convincere!” sorrise la rossa con il suo solito sorriso malizioso, ottenendo solo di far irritare ancor di più l’altra per il resto della giornata.

***

“Una firma qui … perfetto: siete ufficialmente proprietari di una splendida casa nei dintorni di Colorado Springs, congratulazioni!” sorrise Preston, stringendo la mano dei signori Collison, i quali avevano appena concluso un prestito. Quelli che aveva concluso sinora non erano tanti come un tempo, ma abbastanza da far capire che la banca stava tornando al suo antico splendore, passo dopo passo. In questo, la decisione di Michaela di fidarsi nuovamente di lui era stata senz’altro determinante, doveva riconoscerlo.
Mentre apriva la porta ai due contadini, si ritrovò faccia a faccia con un nefasto Horace. “Posta.” sbottò, consegnandogli le buste in mano prima di andarsene.
Preston congedò i clienti e tornò alla sua scrivania, smistando le missive: c’erano delle comunicazioni per la banca, proposte d’affari e d’investimento, due lettere per Mary, una di miss Jane ed una del suo editore ed una per lui dai Lodge. Con un sospiro, mise da parte il resto ed aprì per prima quella, stupendosi nel riconoscere la grafia di sua madre: non gli aveva mai scritto da quand’era arrivato a Colorado Springs, salvo mandargli occasionali saluti tramite suo padre, il suo unico interlocutore.

Caro Preston,
Mi vedo costretta a scriverti personalmente in quanto tuo padre ha contratto una brutta influenza e non è nelle condizioni mentali e fisiche di farlo. Sta bene, non angustiarti: i Lodge hanno tempra difficili da scalfire, come ben sai.
Qui a Boston la vita procede come al solito: sta arrivando l’autunno e tutti si riversano nei caffè e nei teatri. Al circolo gira voce che verrà in città un circo dall’Europa, ma non vedo come questo potrebbe interessare la gente perbene: come ben sai, è una pratica estremamente barbara, a mio avviso.
I tuoi fratelli stanno bene e stanno portando a compimento un successo dopo l’altro: James ha investito con successo in delle miniere e ne sta traendo grande profitto, Henry oramai conduce abilmente la filiale newyorkese della National Trust, Connor si sta mostrando un abile rivenditore nel settore delle grandi catene, anche se ero molto scettica sui grandi magazzini, come sai e Thomas ci ha deliziati giusto la scorsa domenica annunciandoci che presto diventerà padre per la terza volta.
Posso dirmi soddisfatta del numero di nipoti che mi sono stati dati dai tuoi fratelli e dalla compostezza delle loro mogli, ma non faccio a meno di chiedermi quando anche il tuo matrimonio inizierà a dare i suoi frutti, Preston: il fatto che abbia dovuto trovarti moglie tuo padre, e per giunta nella Boston dei peggiori sobborghi, lavoratrice e così testarda a quanto scrivi, è già dura da sopportare. Non potrei tollerare l’umiliazione di vederti senza figli che portino avanti la tua banca, se mai resterai in Colorado per il resto della tua vita. Vedrai che, una volta impegnata con la maternità, anche tua moglie tornerà a portarti rispetto ed a mantenere il ruolo che ogni donna deve avere, senza ridicoli sconfinamenti.
Spero di avere tue notizie prima del Ringraziamento e, come ogni anno, ti invito a farci visita per l’occasione, anche se già so che probabilmente declinerai con qualche scusa.
Ogni bene

Tua madre
Alice McKinnon Lodge

Preston appoggiò la lettera con un sospiro frustrato e, istintivamente, cercò un sigaro: niente riusciva a dargli sui nervi come quelle lettere da Boston, soprattutto se provenienti dalla penna di sua madre. Alice non aveva mai mostrato affetto né simpatia per l’ultimogenito: all’epoca, sperava di avere finalmente la bambina che aveva sempre desiderato e l’ennesimo maschio si era rivelato una profonda delusione. Suo padre lo vedeva come un costante fallimento rispetto agli altri suoi figli ed i suoi fratelli come il buono a nulla di casa, troppo pomposo ed ambizioso, ma fondamentalmente senza abbastanza polso per ottenere qualcosa. Quando aveva sentito da un vecchio professore di Harvard delle possibilità offerta dal Colorado in termini di affari, era stato quasi felice di lasciare Boston, anche se il trasferimento era stato accolto con scherno, come la crisi economica ed il matrimonio combinatogli dal padre.
L’unica persona in tutta Boston che gli mancava e gli scriveva spesso era sua zia Fanny, la sorella di suo padre: lei era sempre stata inspiegabilmente affezionata all’ultimogenito del fratello e, non essendosi mai sposata, aveva riversato su di lui tutto l’amore che aveva da dare. A detta di suo padre, era stata la sua pessima influenza a renderlo un rammollito, o a salvarlo dal baratro, come avrebbe sostenuto chiunque altro.
La porta della banca si riaprì in quel mentre, facendo entrare una stanca Mary. “Ciao!” lo salutò, dirigendosi spedita verso le scale. “Com’è andata al Gazette?” chiese Preston, allungandole le sue lettere. “Una faticaccia, con questa umidità …” considerò la giovane, aprendo subito quella dell’editore e sbuffando quando l’ebbe letta. “Brutte notizie?”
“Non intendono pubblicare il mio ultimo romanzo e m’invitano ad essere meno scialba. Suggeriscono anche non troppo velatamente che il Colorado mi abbia rammollita ...”
“Forse ti stanno solo invitando ad essere più te stessa, come ti dico sempre anch’io, del resto: non devi aver paura di osare.”
Mary annuì, poco convinta: quel romanzo l’aveva impegnata per tantissimo tempo, praticamente da quand’era arrivata e vederlo rifiutato così bruscamente era un vero e proprio affronto.
“Potresti sempre revisionare e proporre la storia di Scarlett, magari con qualche aggiustamento!” azzardò Preston, facendo spallucce. La moglie gli rivolse un’occhiata perplessa. “Nella raffinata Boston una storia del genere sarebbe sgradita ...” sottolineò. “Forse no: il fascino del selvaggio west è un’attrattiva non da poco, lo sai bene!”
La giovane annuì, poco convinta, ma, al contempo, intrigata dalla prospettiva: forse, ogni tanto, Preston aveva ragione, anche se non l’avrebbe mai ammesso, neanche a se stessa.
“Hai altri appuntamenti per oggi?” gli chiese, cambiando discorso. Il banchiere sospirò, alludendo a delle carte impilate accanto a sé. “I signori Fitzwilliam: sono in ritardo, oltre che nell’appuntamento di oggi anche nel pagamento della loro rata e di ben due settimane. A breve scadrà un’ulteriore rata, ma non potranno permettersela per via delle ingenti spese mediche del figlio e mi hanno chiesto di essere … comprensivo. Iniziamo ottimamente con la politica della bontà, come vedi! Per una banca, non può funzionare: se non rientro nei termini, i finanziatori chiuderanno i cordoni ...”
“Ti ritengo una persona previdente, ma, a volte, ti perdi in un bicchiere d’acqua ...” sospirò, trattenendo a stento un sorriso. Il banchiere cercò di ignorare quanto gli scaldasse il petto l’idea di essere riuscito a farla ridere di nuovo. “Offriti di coprire le spese mediche.” gli disse semplicemente. Preston sgranò gli occhi, volgendosi a fissarla, sconvolto. “Cosa? Un altro prestito se non sono nemmeno in grado di gestire quello che hanno? Ti è forse andato di volta il cervello?”
“Non l’ho mai avuto completamente apposto, se è per quello, ma pensaci bene: se coprissero con un altro prestito le spese mediche, avrebbero più tranquillità nell’immediato e soldi per pagare la proprietà, si dovrebbero preoccupare di restituirti quelli delle spese in futuro. Inoltre, ci guadagneresti: due prestiti, doppi interessi, anche se meriterebbero senz’altro uno sconto. Proponiglielo, almeno, ma secondo me accetteranno, non sono persone orgogliose o ignoranti. Su Michaela avevo ragione, concedimelo: forse, ce l’ho anche ora!”
Preston annuì, soppesando mentalmente i conti dei Fitzwilliam. Mary rimase a guardarlo, sconsolata, sospirando e preparandosi mentalmente a ciò che stava per dire. “A proposito, domani devo recarmi allo Spring Chateau per l’inaugurazione del teatro: devo scrivere un articolo per il Gazette ...”
A quelle parole, il banchiere parve dimenticare tutti i suoi conti e scattò in piedi. “Vuoi dirmi che sarai tu ad andare a quell’evento con Dorothy?” obiettò. “Sarò sola.”
“Meraviglioso, così, oltre ad andare all’hotel che ho perso, ti farai anche fotografare con il senatore che mi ha umiliato!”
“Non essere ridicolo: è stato tempo fa ed io non c’entro in questa storia! Non ero neanche in Colorado, all’epoca!”
“Ma ci abiti adesso e sei sposata con me!”
“Questo non significa che io sia del tutto incapace di badare a me stessa: ho la mia indipendenza e l’avrò sempre e comunque, qualunque cosa accada!” replicò lei, secca. “Non è di questo che stiamo parlando, ma del fatto che in città così piccole tutti sparlano e la banca sta appena iniziando a risollevarsi: cosa potranno dire i residenti, vedendoti coinvolta nell’attività che ho perso? Che forse gioisci anche tu nel vederla prosperare perché sono un despota?”
“Non sarà certo questo ad impedirmi di svolgere un incarico che fa parte del mio lavoro e per cui sono pagata! E, comunque, non preoccuparti: se non intendi accompagnarmi, lo chiederò a Daniel!” ribadì, rivolgendogli un’occhiata sdegnata prima di andare in casa sbattendo la porta. Preston sospirò, portandosi una mano alle tempie mentre, con l’altra, si accendeva un altro sigaro: sul fatto di avere una moglie troppo testarda aveva indubbiamente ragione sua madre. Nessuno, neanche Michaela Quinn, era mai riuscito a farlo esasperare come Mary con la sua ostinazione. Certo, era altrettanto vero che nessuno era mai riuscito a farlo sentire apprezzato come lei.
In tanti anni trascorsi in Colorado, non si era mai sentito del tutto a proprio agio, né aveva mai avuto la sensazione di poter abbassare la guardia ed essere davvero se stesso, ma con Mary era diverso. Forse era dipeso dal fatto che fosse lì apposta per lui e che fosse la persona che aveva conosciuto meglio in Colorado, ma, in presenza della sua schiettezza, Preston riusciva ad essere sempre sincero. Avrebbe mentito se avesse negato che gli facesse piacere averla lì: apprezzava i consigli che gli dava su come riacquistare la fiducia dei clienti della banca, anche se, il più delle volte, non glieli chiedeva, il fatto di trovare sempre profumo di dolci una volta tornato in casa e fiori freschi sparsi ovunque, ma ancor di più, di poter parlare di qualunque cosa anche fino a tardi di fronte al caminetto ed ad una tazza di tè caldo. L’intelligenza di Mary avrebbe intimidito la maggior parte degli uomini, ma a lui intrigava: si potevano dire molte cose di lui, ma non che fosse stupido o ignorante e trovare qualcuno con cui confrontarsi era come una boccata d’aria fresca, anche e soprattutto perché molto spesso si trovavano d’accordo.
Certo, le cose erano cambiate dalla sera di Halloween, se ne rendeva conto e quella discussione ne era l’ennesima prova: prima erano entrambi molto più spontanei ed a loro agio, ma, dopo quanto successo una volta tornati alla banca dopo la festa, a volte erano quasi timorosi di parlarsi. Preston non era cieco e si conosceva bene: sapeva che aveva iniziato a guardarla con occhi diversi e da ben prima di Halloween, ma il terrore di venire in qualche modo rifiutato era tanto da fargli soffocare qualunque cosa, attribuendo quei sentimenti alla troppa solitudine degli ultimi anni. Questo non gli impediva di fare di tutto solo per farla sorridere: quando lo faceva, era in grado di illuminare qualunque ambiente. La verità, pura e semplice, era che, a volte, avrebbe solo voluto posare nuovamente le labbra sulle sue, ma era troppo timoroso anche solo per dirle quanto la trovasse bella, figurarsi per confessarle altro. La codardia era la sua condanna.

***

Dopo un’intera giornata trascorsa al Gazette a prendere appunti, correggere e scrivere, Mary accolse l’inaugurazione del teatro come una meritata occasione di svago e riposo dopo tanto lavoro.
Nonostante avesse promesso a se stessa ed a Dorothy di divertirsi, tuttavia, anche mentre terminava di prepararsi non poteva fare a meno di sistemare e risistemare i fogli con gli appunti. Solo quando fu certa che fosse tutto in ordine, osò guardarsi allo specchio: il vestito lilla di Halloween le donava e le perle le davano un’aria professionale, esattamente quella che voleva avere. Controllò l’ora con un sospiro, raddrizzando i capelli che aveva acconciato su una spalla ed indossò il soprabito melanzana, dirigendosi spedita giù in banca: Daniel, che aveva accettato con piacere di fare la strada fino allo Spring Chateau con lei, l’aspettava. Anche se si era senz’altro posto qualche domanda, lo sceriffo aveva avuto la decenza di non chiedere perché non ci andasse con Preston.
Al solo pensiero del marito, Mary si ritrovò a scuotere il capo: non conosceva persona più impossibile di lui. Certo, aveva immaginato che potesse essere contrario al suo andare all’inaugurazione, ma non era preparata al silenzio tombale che aveva seguito il loro piccolo diverbio. Come ad ogni discussione, entrambi erano semplicemente troppo orgogliosi per cedere e, così, avevano continuato a fissarsi in cagnesco ed a non parlarsi. Forse, dall’indomani, le cose sarebbero tornate come prima. Ma, poi, era quello che voleva?
Mary sospirò, guardando il cielo basso e violaceo di quella sera: quel mattino, quando Loren le aveva descritto nei minimi dettagli il piccolo Gabriel Slicker, era stata sinceramente felice per Teresa e Jake, ma il suo umore si era decisamente rabbuiato quando il signor Bray le aveva dato una gomitata complice. “Su, presto toccherà anche a lei, vedrà! Intendo, pancioni, pannolini e tutto il resto ...”
Mary aveva replicato con un sorriso tirato, ignorato il dolore sordo che l’aveva accompagnata per il resto della giornata, distraendola anche dai suoi lavori di revisione. In fondo, aveva sempre voluto un figlio, era vero: non ci aveva mai pensato concretamente, ma, quando si era posta la questione, era stata favorevole. Solo uno, due bambini al massimo, cresciuti nell’amore di una famiglia serena. Peccato che la cosa non si sarebbe mai realizzata: il suo non era un vero matrimonio, tutt’altro, anche se la prospettiva di passare la vita con Preston oramai non le sembrava più così terribile. C’erano state notte insonni, almeno da parte sua, in cui aveva fissato il soffitto, chiedendosi perché le veniva così spontaneo essere se stessa con lui, perché nessuno avesse mai capito perché lui si comportasse come spesso si comportava senza vedere la sua storia e senza capire che aveva bisogno solo di un po’ d’affetto e di stima ed immaginando come sarebbe stato se tutte le sue piccole e ridicole fantasie nate dalla sua immaginazione fin troppo fervida si fossero avverate, come sarebbe stato se lui l’avesse baciata liberamente ogni volta che ne aveva voglia e cos’avrebbe provato tra le sue braccia nelle fredde notti del Colorado. Tutte sciocchezze nate dall’essere troppo sola e dall’immaginare troppe storie, senza dubbio: tra lei e Preston non c’era niente e non ci sarebbe mai stato nient’altro che quel finto matrimonio alquanto ridicolo, ma necessario per entrambi.
Scese in banca e lo trovò intento a revisionare alcuni prospetti con aria crucciata. Vedendola, sollevò appena lo sguardo. “Sei davvero decisa ad andarci con Daniel?” disse solo. “Ovviamente.” replicò, rivolgendogli un’occhiata esasperata: quando faceva così, il che avveniva più o meno una volta al giorno, non c’era niente che desiderasse di più di schiaffeggiarlo. “Bene: il nostro sceriffo ti sta già aspettando, lo vedo da qui. Di certo attirerai l’invidia di tutte le donne nubili di Colorado Springs: Daniel è considerato il principe azzurro dal cavallo bianco ...”
“Trovo sia più importante la sua gentilezza spassionata ed indistinta verso tutti. Non so a che ora tornerò.”
“Oh, non preoccuparti: me la caverò.” sibilò il banchiere, ingoiando una risposta al vetriolo e tutto il suo risentimento. “Come sempre, del resto. Buona serata.”
“Aspetta!”
Mary, già sulla soglia, si volse a guardarlo, vagamente sorpresa. “Dobbiamo davvero salutarci in questi termini? E devi proprio andare là … con lui?” sospirò Preston, alzandosi. “Se non sei disposto a mettere da parte il tuo orgoglio per un secondo ed ad accompagnarmi, sì.” sospirò lei, fermandosi per qualche istante a guardarlo. Notando che non accennava a muoversi, scosse il capo ed uscì in fretta dalla banca, dirigendosi a passo sicuro verso Daniel, che già l’aspettava in un elegante, ma sportivo, completo scuro. Preston restò sulla soglia della banca a guardarla prodigarsi in saluti con lo sceriffo ed espirò per liberarsi dal fervente bruciore che gli risalì il petto e la gola al vedere Daniel aiutare Mary a montare a cavallo e venire ricompensato da un altro dei suoi sorrisi: com’era possibile che quel bellimbusto riuscisse a farla sorridere così facilmente e che avesse avuto con lei lo stesso tipo di contatto che aveva avuto lui, che era suo marito? Avrebbe dovuto essere lui ad aiutarla a cavallo e, all’inaugurazione, avrebbe dovuto essere sempre lui a tenderle il braccio, non lo sceriffo. “E potresti essere tu, se fossi un po’ meno egoista. E se anche lei lo fosse.” si disse, amareggiato. Sbuffò, vedendoli andare via e guardò le nuvole scure che si rincorrevano nel cielo: poco male, almeno il tempo aveva il buon gusto di rispecchiare il suo umore.

***

“Un altro bicchiere, Mary?”
“Oh, no, grazie, altrimenti prenderò appunti tremendamente confusi, temo!” sorrise la giovane, rivolgendo la propria attenzione alla sala gremita dove si stavano svolgendo le ultime danze: la serata era stata impegnativa, ma tutto sommato soddisfacente. Dopo il discorso del senatore Dinston, c’era stata la prima del teatro, un gioiellino esternamente in legno chiaro dalle poltrone rosa, le tende rosse ed i lampadari floreali. Gli attori di una delle compagnie più famose di Denver avevano recitato in una divertente versione di Sogno di una Notte di Mezza Estate e, subito dopo, gli spettatori erano stati scortati all’hotel per buffet e danze. Mary, dopo una breve intervista a Dinston ed all’attrice che interpretava Giulietta, aveva passato buona parte della serata a scribacchiare freneticamente sul suo taccuino per annotare ogni impressione ed ora, finalmente, poteva godersi un po’ di spensieratezza.
Daniel, accanto a lei, aveva appena finito di divorare una tartina senza troppi indugi. “Mi aspettavo fossi dai Sully, stasera!” considerò Mary ad un certo punto. “Oh, no: è un momento in famiglia, non volevo essere di troppo.”
“Credo che loro ti considerino parte della loro famiglia.”
“Sì, questo sì, ma non è come farne davvero parte, non so se mi spiego …”
La scrittrice annuì. “Capisco. Capisco fin troppo bene ...”
“E, poi, ho pur sempre i miei doveri di sceriffo. Fortunatamente, quelle vecchiette ululanti non si sono fatte vedere!”
“Sarebbe stato divertente, però! Avrei avuto qualcosa di davvero unico da scrivere!” rise Mary. “Senza dubbio. Domani sarai al pranzo di paese?”
“Non ho ancora deciso.” sviò lei. “E tu?”
“Domani sarò dai Sully: è un’occasione non troppo familiare, a quanto pare.” rise. “Spero di avere anch’io una famiglia mia con cui trascorrere il Ringraziamento …”
“Accadrà prima di quanto immagini: non c’è motivo per cui qualcuna debba rifiutarti, dopotutto!”
“Non si può mai sapere: voi donne siete imprevedibili!” sorrise Daniel. “Davvero? A me sembriamo molto semplici, invece …”
“Affatto. E la cosa più difficile da capire sono i vostri gusti … prendi te, ad esempio!”
“Io? Santo cielo, penso di essere la meno complicata di tutti!”
“Se lo fossi, non ci sarebbe mezza città a chiedersi perché tu abbia sposato Preston.”
Mary annuì, sospirando. “A volte me lo chiedo anch’io. Ma non roviniamoci la serata con queste considerazioni: vogliamo ballare?”
“Volentieri. Prego!”
La scrittrice accettò di buon grado la sua mano e si lasciò guidare al centro della pista, ben decisa ad allontanare ogni pensiero negativo da quella serata. Certo non si aspettava il vuoto che sentì dentro quando si rese conto che, per quanto Daniel fosse gentile e ballasse bene, era un’altra compagnia che avrebbe voluto con sé quella sera.

***

Quando rientrarono a Colorado Springs, era quasi mezzanotte e Mary si stupì, come sempre, di quanto bella apparisse la città sotto le luci soffuse della notte.
“Grazie per avermi accompagnata: non mi sarei fidata, da sola, per la strada. Non la conosco poi così bene!” sorrise mentre, con Daniel, smontavano da cavallo dinanzi al Gazette. “Non c’è problema, figurati. Immaginavo che Preston non ti avrebbe comunque accompagnata …”
“Non ha digerito molto bene la perdita dello Spring Chateau, temo.” annuì lei. “Avrebbe anche potuto mettere da parte l’orgoglio per accompagnarti!” obiettò lo sceriffo. “Avrebbe, sì, ma l’orgoglio è qualcosa di radicato per quelli della Boston perbene. Tu forse non li conosci abbastanza, ma posso assicurarti che non se lo leveranno mai completamente di dosso. Neanche Michaela ed Andrew, in una certa misura.”
“A vederli, non si direbbe!”
“Perché è un orgoglio diverso, ma sempre di onore si tratta.”
Una serie di schiamazzi provenienti dal saloon interruppe la loro conversazione. Daniel sospirò, legando le briglie dei cavalli alla staccionata. “Vado a controllare che non si stiano azzuffando come al solito, aspettami qui.”
Mary annuì, ponendosi di fronte alla clinica di Michaela mentre Daniel entrava nel locale: da dentro venivano i soliti rumori di bicchieri, risate sguaiate e sedie trascinate. Stava per tornare a concentrarsi sul suo cavallo quando uno scintillio familiare attirò la sua attenzione.
Ad un tavolo non troppo distante dall’entrata, Jake sedeva tranquillo con un sombrero messicano, la superficie ricoperta da carte da poker e vari boccali di birra. Accanto a lui, Loren, Preston, Horace e Hank. Loren sembrava già completamente ubriaco, rideva e si dondolava ed Horace era sulla buona strada per imitarlo. Probabilmente, stavano festeggiando la nascita del figlio di Jake, aveva sentito Loren accennare a qualcosa di simile. Quello che le fece gelare il sangue nelle vene, però, fu vedere Preston ridere tranquillo con uno dei suoi sigari ed un boccale di birra, circondato dalle ragazze di Hank: due gli si erano avvinghiate alle spalle ed una, addirittura, gli sedeva sulla gambe e fissava le carte, sussurrando, di tanto in tanto, suggerimenti con le sue labbra rosse e carnose.
Non ebbe neanche il tempo di riflettere sulla situazione che le sue gambe erano già automaticamente marciate nel saloon, del tutto incuranti delle occhiate degli avventori che si trascinava dietro al suo passaggio.
“Mary!” esclamò Hank, sornione, al suo ingresso. “Non avrei mai pensato di vederla in un locale del genere di sua spontanea volontà!”
“La smetta, Hank!” tagliò corto lei, riversando, forse erroneamente, la rabbia che in quel momento le bruciava nel petto sull’uomo. “Come preferisce!” ghignò questi, agitando la chioma dorata all’aria pesante del saloon. “Quello che di sicuro non sembra aver intenzione di smetterla tanto presto è suo marito, però, a giudicare da come si sta divertendo! Sa come si dice … se uno non mangia a casa, mangerà da qualche altra parte!”
Una serie di risate accompagnò quel commento, ma Mary le ignorò, dirigendosi a passo spedito al tavolo in questione ed ignorando totalmente Daniel che la chiamava, preoccupato.
Quando fu dinanzi ai quattro uomini, Loren, che stava ridendo, smise subito, rivolgendole un’occhiata mortificata nonostante l’evidente ubriacatura. Preston si volse in quel mentre e, quando incontrò il suo sguardo, Mary seppe immediatamente che, qualunque cosa avesse detto, l’avrebbe ferita. “Ah, Mary! Stavamo giusto parlando di donne … com’è andata la festa? Immagino splendidamente! Del resto, con una compagnia affascinante come quella del nostro sceriffo …”
“Potrei dire lo stesso di te, anche se temo che le signore qui presenti non siano altrettanto affascinanti …” ribatté lei, gelida. “Oh, al contrario: sono un’ottima compagnia!”
“Preston …” tentò Jake, salvo poi rivolgersi direttamente a Mary. “Non stava accadendo nulla di sconveniente: stavamo solo brindando alla nascita di mio figlio.”
“Oh, da parte sua lo credo, signor Slicker. Temo che da parte di qualcun altro però non sia esattamente così!”
“Almeno lui può festeggiare la nascita di un figlio!” ghignò Preston, prendendo un’altra sorsata di birra. Mary, come congelata, lo fissò prima di prendere un respiro e sibilare: “Per quanto mi riguarda, puoi anche ubriacarti o andare con queste sgualdrine, ma non ti permetterò di discutere dinanzi a tutti i nostri affari privati!”
“E perché tu cos’hai fatto andando a quella festa?”
“Ho lavorato, l’unico modo che ho per uscire da questo inferno!” sbottò, salvo poi scuotere la testa, convinta a non lasciarsi sopraffare dalle emozioni contrastanti di quel momento. “Sei esattamente come dicevano tutti. Sono stata stupida io a ricredermi!” sibilò, del tutto ignara dell’espressione ferita di Preston, voltandosi ed uscendo in fretta dal locale, trascinandosi dietro un silenzio assordante. Una volta fuori, inciampò persino su uno degli scalini del locale, ma ignorò la mano tesa di Daniel che cercò di aiutarla a rialzarsi. “Sto bene, grazie.” mormorò. “Mary, non credo che tu stia esattamente bene …” iniziò lo sceriffo. “Ed invece sto benissimo. Davvero. Ora, se non ti spiace, vorrei solo andare a casa. E dovresti farlo anche tu: è tardi e domani è il Ringraziamento.” considerò, sfoggiando un sorriso forzato che le risulto difficile mantenere prima di voltarsi e, con le lacrime che le salivano agli occhi, trascinare Tuono fino alle scuderie di Robert E.
Lo legò e si diresse a passo spedito in banca, correndo in casa il più velocemente possibile. Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle e tolta il soprabito, permise alle lacrime di scenderle lungo le guance ed ai singhiozzi di scuoterle il petto, rannicchiandosi dinanzi al camino: non immaginava che sarebbe andata così. Era iniziata male, malissimo, ma poi aveva scoperto quel lato di Preston che l’aveva fatta ricredere e, pian piano, se n’era addirittura innamorata, oramai poteva ammetterlo. Ma quella sera, come si era comportato per il solo fatto di essere andata a quella festa contro la sua volontà e con una persona che lui disprezzava …
Si circondò le ginocchia con le braccia e vi affondò il viso, lasciandosi andare al primo pianto da quando si era sposata. Si fermò solo quando sentì dei passi e la porta di casa aprirsi e chiudersi.
Nel silenzio totale della stanza, sollevò gli occhi rossi, incontrando quelli altrettanto arrossati di Preston, apparentemente come al solito, se non fosse per la serietà del suo volto.
“Mi dispiace.” disse, dopo un po’. “Oh, ti dispiace? Adesso ti dispiace? Dopo avermi umiliata di fronte a tutti, standotene con … con quelle?” eruppe lei, sdegnata, alzando il mento con rabbia nonostante le lacrime. “E per cosa? Perché ho fatto il mio lavoro?”
“Eri andata via con Daniel.” sospirò il banchiere, grattandosi le tempie. “E con ciò? Lo sapevi che sarei andata a quell’inaugurazione con lui! Io …”
“Io … io vi ho visti ridere. Ed ho … ho visto che eri felice, con lui. Molto più di quanto lo sei stata con me.” ammise, con una fatica sovrumana. Mary lo fissò, sconvolta, trattenendo il fiato. “E l’ho invidiato. Non per la prima volta e non più di quanto abbia invidiato Sully dal mio arrivo, o Horace, o Jake, per quel che vale. Tutti.” sospirò, frugando nelle lettere posate sul tavolino e porgendogliene una aperta. Mary la afferrò cautamente e lesse le parole di Alice Lodge, restandone sempre più sconvolta ad ogni riga. “Perché non mi hai detto niente?” domandò con freddezza una volta terminato, restituendogliela. “Perché non condivido quello che dice, non l’ho mai fatto. E non intendevo turbarti. La verità, Mary, è che … è che mi sono sempre sentito solo, sin da bambino. Nessuno s’interessava particolarmente a me e mi consideravano tutti un fallito. Speravo di avere degli amici, crescendo, magari una famiglia tutta mia, ma … ma non è successo, anzi: qui ho trovato soltanto nemici e mio padre mi ha addirittura dovuto trovare una moglie perché nessuno sembrava capace di riuscire ad amarmi o anche solo a sopportarmi. Quello …” deglutì, rivolgendole lo sguardo, che, come Mary notò con stupore, era rosso dal pianto trattenuto. “Quello che non mi aspettavo era una come te. Testarda, cocciuta, sarcastica e spesso invadente, te lo concedo … ma … ma anche determinata, coraggiosa, intelligente … e bellissima. Io non mi aspettavo di riuscire a condividere tutto con te, di essere davvero me stesso per la prima volta nella vita, anche se ammetto di non essere un granché … e di certo non mi aspettavo di innamorarmi di te.”
Mary trattenne il fiato, come colpita da un pugnale in pieno petto. “Dunque ti chiedo scusa. Sono stato geloso e stupido, simile a quei selvaggi che prendo sempre in giro. Ma non credo sia giusto per nessuno dei due andare avanti così: domani ti comprerò i biglietti per Boston e ti ci accompagnerò. Tornerai al tuo mondo ed annulleremo il matrimonio, non sarà troppo difficile dimostrare che non è stato … beh, hai capito. Ti chiedo solo, se puoi, di non odiarmi.”
Stava per voltarsi ed andarsene, ma Mary lo raggiunse in pochi passi e gli afferrò la mano, stringendola. Preston le rivolse un’occhiata sconcertata. “Non ti odio.” ammise, tirando su con il naso. “Non potrei mai. Ero gelosa anch’io di vederti al saloon con … con quelle: sei riuscito nel tuo intento. Ammetto che questa storia sia cominciata male, molto male: nessuno dei due è un granché nei sentimenti e siamo entrambi testardi. All’inizio non ti sopportavo, è vero: eri il classico figlio di papà, il genere di damerino che odiavo. Senza contare cosa dicevano di te ...”
Preston abbozzò un sorriso. “Ma poi ho capito che c’era dell’altro: la tua famiglia, come ti hanno fatto sentire rifiutato, la solitudine … ed anche le tue qualità, sì: non ho mai conosciuto nessuno di più gentile ed intelligente di te. Mai. Ed avresti potuto approfittare di me quando volevi, ma non l’hai mai fatto. Mai. Ad Halloween … ad Halloween, lo volevo. Lo volevo davvero e l’ho voluto anche dopo, ma fare finta di niente è stato più semplice. Dio solo sa quanto siano complicate le cose tra di noi, ma … ma non voglio andarmene.”
Il banchiere, le sfiorò la guancia con le dita, raccogliendo una lacrime furtiva. “Ed io non voglio che tu te ne vada.” mormorò prima di abbassarsi su di lei e posare le labbra sulle sue.
Il tempo, in quegli istanti, per Mary parve fermarsi: c’erano solo il silenzio delle strade, il crepitio del fuoco, le braccia e le labbra di Preston che sapevano di whisky sulle sue, sempre più pressanti. Quando si ritrovò ad urtare la parete con la schiena, sobbalzò, staccandosi brevemente ed ansimando. “Sono un totale disastro.” mormorò, sapendo di essere scarmigliata, di avere gli occhi lucidi e le guance rosse. Preston, però, non sembrava essere dello stesso avviso, a giudicare da come continuava a sfiorarle le guance. “Io non credo di aver mai visto nulla di più bello, invece …” sussurrò, deglutendo, una luce negli occhi che Mary credeva di non avergli mai visto prima. “Possiamo …” deglutì. “Possiamo provarci. Non ti prometto che andrà bene o che saremo felici, ma vorrei … vorrei provarci.”
Per tutta risposta, il banchiere, la sollevò alla sua altezza, strappandole un gridolino prima di baciarla di nuovo, tenendola saldamente a sé. Quando l’intensità e la profondità di quei baci divenne troppa per poter essere ignorata, lui si stacco appena da lei, osservandola con serietà. “Mary, se non …”
“Lo voglio tanto quanto lo vuoi tu.” replicò lei, rivolgendogli un timido sorriso prima di lasciarsi trasportare dalle sue braccia salde di sopra, con in testa solo il battito furioso del proprio cuore ed il desiderio di non separarsi mai più da lui.

 

Mary aprì gli occhi il giorno seguente e si rese conto con sorpresa di non essere nella sua stanza. Si era abituata, in quei mesi, a svegliarsi con il rumore della ferrovia e la luce filtrata dal grande albero che sorgeva sopra la sede dello sceriffo, ma, in quella stanza, si vedeva solo il cielo azzurro e sereno dell’alba, solcato da soffici nuvole rosate ed aranciate. La seconda cosa di cui si rese conto fu un braccio saldamente ancorato alla vita che la teneva premuta contro un petto ed un respiro regolare tra i capelli. L’ultima realizzazione fu quella di quanto fosse tranquilla, a dispetto del lieve fastidio al basso ventre e fu questa a farla ricordare e sorridere, assieme al profilo del suo vestito e del panciotto di Preston, entrambi abbandonati sul pavimento. Sorrise al ricordo di com’era sparito in fretta tutto ciò che potesse dividerli. Preston era stato titubante fino all’ultimo, timoroso di farle del male, ma, a dispetto di un lieve fastidio, tutto ciò che Mary aveva sentito era una felicità piena e completa, come mai aveva provato nella sua vita. Si era sentita come se avesse sempre vagato, sola e spaurita, in una landa gelida e deserta e fosse finalmente giunta a casa, davanti ad un focolare ed a due braccia calde che l’avevano accolta e scaldata. E solo allora aveva realizzato che, forse, aveva ragione Dorothy: forse era a lì che apparteneva.
Con un sorriso, si girò, per poi trovarsi di fronte a Preston appena sveglio, con gli occhi semiaperti ed i capelli spettinati.
“Buongiorno.” gli sorrise, baciandolo prima che avesse l’opportunità di parlare. Quando questi si separò da lei, le sorrise. “Come ti senti?” chiese subito, accarezzandole la guancia. “Bene. Forse non sono mai stata tanto bene in tutta la mia vita …” arrossì Mary, accoccolandosi nuovamente tra le sue braccia e lasciando che lui le accarezzasse pigramente i capelli. “Oggi è il Ringraziamento.” statuì Preston ad un certo punto. “Lo so. Dorothy mi aveva invitata al pranzo cittadino.”
“Le avevi detto che ci saresti andata?”
“Che ne avrei parlato con te.”
“E vuoi che ci andiamo?”
Sollevò la testa a fissarlo. “No. No, voglio restare qui con te. Voglio far finta che non esista il mondo là fuori … soltanto per oggi …”
Preston la fermò baciandola per poi regalarle uno dei suoi sorrisi smaglianti, forse ancor più brillante perché di vera felicità, stavolta. “Anche per tutta la vita.”

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Spero che la storia fin qui vi sia piaciuta e che i personaggi risultino realistici e coerenti. Dal prossimo capitolo arriveranno difficoltà varie, ma, intanto, lasciamo godere ai nostri protagonisti della felicità ritrovata. V
oglio ringraziare chiunque sia arrivato fin qui: spero sempre di leggere un vostro parere!
A presto!
E.

 

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Capitolo 8
*** Moonlight ***


8.
Moonlight

Mary aprì lentamente gli occhi, ferita da un raggio luce che trapassava le leggere tende accostante della camera. Sbadigliò, stiracchiandosi nel familiare abbraccio in cui si era lasciata cullare per tutto il finesettimana prima di sollevare il capo ed incontrare lo sguardo confuso di Preston, appena svegliatosi. Prima che potesse anche solo salutarla, si sollevò su un gomito, baciandolo e si lasciò trasportare dalla familiare sensazione di calore ed ebbrezza che accompagnava quel gesto divenutole quasi familiare. Si guardarono per qualche secondo quando si separarono, entrambi incapaci di smettere di sorridere. Preston le accarezzò una guancia con le dita e Mary appoggiò il volto al suo palmo, sospirando. “È finito il Ringraziamento … ed anche i giorni successivi.” disse dopo un silenzio che parve ad entrambi infinito. “Purtroppo sì.” annuì Preston, sorridendole. Mary arrossì, distogliendo appena lo sguardo da quello nocciola del marito: erano stati quattro giorni felici, che avevano passato praticamente sempre insieme. Avevano trascorso le mattine in soggiorno, dinanzi al caminetto, Mary a revisionare le sue storie ed a riordinare i suoi appunti e Preston a controllare i conti della banca. Dopo pranzo, si ritiravano in camera, da cui uscivano solo per cena: lì trascorrevano ore ed ore abbracciati a leggere, a parlare o, semplicemente, ad amarsi per poi addormentarsi l’uno tra le braccia dell’altra. Probabilmente avevano scoperto più cose su loro stessi in quei giorni che negli scorsi mesi di matrimonio.
Mary avrebbe sinceramente voluto che quei giorni non finissero mai: per la prima volta da quand’era scappata da suo zio a tredici anni, si era sentita a casa, al sicuro e, soprattutto, amata esattamente per ciò che era. Preston, dal canto proprio, aveva dormito bene per la prima volta dopo anni di notti insonni e non sembrava volersi mai separare da Mary, dal suo profumo e dal suo sorriso, ancora incredulo del fatto che, tra tutti, fosse rivolto proprio a lui.
Peccato solo che quella pausa fosse già terminata …
“Tra poco devi andare al Gazette ed io in banca …” considerò, appunto, Preston con un sospiro. Mary annuì e sbuffò, stiracchiandosi faticosamente prima di tirarsi a sedere. “Credo sia il caso che sposti i miei vestiti, una volta tornata a casa dal Gazette.” disse, ad un certo punto. Preston fissò la moglie, stupito. “Sempre se vuoi, naturalmente.” si affrettò ad aggiungere la giovane, arrossendo e distogliendo subito lo sguardo: quello che c’era tra loro era giovane e fragile come uno scricciolo a primavera. A volte sembrava solido, altre pareva che sarebbe bastato un colpo di vento a spazzarlo via. Per tutta risposta, Preston le sorrise, baciandola. “Certo che voglio.”
“Non credo che ci stiano, però, essendoci già i tuoi in questo armadio …”
“Ne occupano solo la metà, a dire il vero.”
“Preston, hai più completi di me!”
“Tu ti rivolgeresti mai ad un banchiere vestito come uno straccione, scusa?”
Mary rise, scuotendo il capo. “E, poi, questa stanza è così … triste: fanne ciò che più ti aggrada, qualunque tua aggiunta la migliorerà! Hai già abbellito la casa …”
“Basta poco per darle un po’ di calore. Per darlo alla tua vita, invece, ci sono voluti molti più sforzi …” sorrise. “Beh, alla fine, ci sei riuscita.” rispose lui, afferrandole saldamente la mano. Mary annuì, sorridendogli prima di alzarsi con un sospiro. “Sarà meglio andare, ora, prima che tutti si chiedano dove siano finiti …”
“Oh, lasciali speculare: sarà divertente vedere le loro facce perplesse ed ascoltare le loro ipotesi alle spalle.” azzardò Preston, iniziando a vestirsi con uno sbadiglio. “Forse per te!” obiettò lei, sedendo alla toeletta ed iniziando a spazzolarsi i capelli con gesti meccanici. “Per quanto mi riguarda, ne ho abbastanza delle loro ipotesi!” sbuffò, faticando a districare una ciocca particolarmente aggrovigliata. Dopo qualche tentativo fallito, Preston la raggiunse alle spalle e le prese di mano la spazzola, iniziando a districare i nodi con maestria. “Dove hai imparato?” chiese Mary, sinceramente stupita. “Mia zia Fanny: mi chiedeva spesso di farlo, quando stavo da lei da bambino.”
“È ancora viva?”
“Lo è: mi scrive, di tanto in tanto e m’invita a tornare. Non che ne abbia granché voglia … non adesso che ci sei tu, perlomeno ...” tossicchiò, visibilmente imbarazzato, facendo sorridere Mary. “Ti diverte tanto vedermi in impaccio?” sospirò il banchiere. “Tantissimo!” rise la giovane, alzandosi sulle punte dei piedi e tirandolo per le spalle per schioccargli un bacio. “Ma adesso è meglio che ci prepariamo davvero, se non vogliamo che il Gazette, domani, parli della nostra assenza in prima pagina!”

 

Quando Mary entrò al Gazette, lo sguardo di Dorothy la trapassò come uno spillo. “Buongiorno!” disse, ignorando le sue occhiate sconvolte e togliendosi il cappotto per poi sedersi al proprio posto nella gonna nera e nella giacca rossa ed iniziare a revisionare l’articolo sull’inaugurazione del teatro. Non poté fingere per molto che nulla fosse accaduto, però, perché Dorothy le si piazzò subito davanti, fissandola, come spiritata. “Tutto bene?” le chiese Mary. “Io? Tu, semmai! Giovedì sono stata da Michaela per il Ringraziamento e Daniel mi ha raccontato tutto della sera dell’inaugurazione. Sono tornata subito in città per vedere come stavi, ma Loren mi ha detto che né tu né Preston eravate andati al pranzo cittadino, nessuno vi aveva visti dalla sera prima ed anche in banca ed in casa vostra non si vedeva nessuno. Ero un po’ preoccupata, molto preoccupata, sono passata e ripassata durante tutto il finesettimana!”
Mary arrossì, abbassando lo sguardo. “Ci siamo chiariti.” spiegò. “Non c’è nulla di cui preoccuparsi, Dorothy, anche se apprezzo moltissimo il fatto che tu ti sia interessata tanto.”
La rossa sospirò, scuotendo il capo. “Non riuscirei mai a smettere di preoccuparmi per te, Brian o Michaela.” ammise, sorridendo appena. “Ma … siamo sicuri che sia tutto apposto?”
Mary annuì e sorrise. “Davvero. Diciamo che, come avevi paventato, la gente si è accorta ben prima di noi dei nostri sentimenti. Ma ci siamo chiariti, come ti dicevo.”
Dorothy annuì. “Mi fa piacere. Anche perché ti vedo sorridente e davvero molto felice, Mary, quasi più bella di prima: devo durre che questo matrimonio non sia più solo apparente, o sbaglio?”
La giovane arrossì fino alla punta dei capelli e distolse lo sguardo. “Beh, ecco …”
“Oh, non prendermi per un’impicciona: ho soltanto l’occhio dell’età, per così dire. Dimmi, solo: com’è stato?”
“Oh, beh … a proposito, ora che mi ci fai pensare, ci sarebbe questa cosa sull’inaugurazione del teatro dello Spring Chateau …”
Dorothy soffocò una risatina. “E cosa sarebbe?” si arrese, sentendosi, tuttavia, molto più tranquilla per l’amica.

 

Erano le dieci e mezza quando la porta della banca si aprì. Preston, da quel mattino, aveva la testa immersa in proposte di prestiti che avrebbe dovuto sottoporre ai clienti che le avevano richieste nel pomeriggio ed aveva dovuto darsi da fare, dal momento che, nei giorni festivi dopo il Ringraziamento, non aveva combinato granché. Il tempo era scorso rapidamente e, spesso, si era ritrovato a dover rivedere ciò che aveva già scritto e calcolato: la sua testa, per quanto si sforzasse di concentrarsi, continuava ad andare a Mary ed ai giorni trascorsi insieme. Erano stati un tale tumulto di emozioni da destabilizzarlo completamente: era passato dalla gelosia alla disperazione totale, per poi sperimentare tutte insieme speranza, passione e pace, seguita da felicità. Per la prima volta in tutta la sua vita, aveva sentito di poter essere semplicemente se stesso, senza alcun ruolo ed alcuna aspettativa da soddisfare. Per mesi non aveva saputo definire cosa sentisse per Mary, ma la realizzazione era giunta, inattesa come uno schiaffo in pieno viso, quando, sabato mattina, si era svegliato prima di lei dopo una notte trascorsa insolitamente senza incubi e l’aveva vista dormire, tranquilla e serena, tra le sue braccia.
C’erano state altre donne prima di lei, era vero, signorine pur sempre di buona famiglia, ma disinibite, con cui si era divertito, spronato dai fratelli e dai coetanei, ma, dopo, si era sempre sentito sporco, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Con Mary, al contrario, si era sentito finalmente in pace ed aveva potuto chiudere occhio serenamente, conscio che qualcosa di buono doveva pur averlo fatto se quella creatura straordinaria aveva voluto stare proprio con lui, nonostante tutto ciò che l’avrebbe dovuta allontanare.
Sentendo la porta, si sistemò istintivamente il completo marrone e si alzò per accogliere l’avventore. Rimase immobile, come paralizzato, quando si rese conto che si trattava di Andrew. “Preston …” lo salutò il medico, gli occhi azzurri scintillanti nella luce del mattino. “Andrew! Che sorpresa! Come posso aiutarti?”
“Devo cambiare dei soldi e credevo che tu fossi la persona più adatta …”
“Infatti è così. Vieni pure.” annuì questi, prendendo posto allo sportello ed iniziando a fare meccanicamente il cambio richiesto.
“Non abbiamo visto in città né te né Mary al Ringraziamento e nei giorni seguenti …” azzardò il medico dopo qualche minuto di silenzio. Preston lo guardò brevemente. “Temo che la mia compagnia non sia mancata particolarmente a nessuno.” replicò. “A me non sarebbe dispiaciuto farti gli auguri, tutto sommato.” sorrise tristemente Andrew. “Ci siamo persi di vista ed è un peccato.”
“Non eri particolarmente afflitto quando mi hai comunicato su due piedi che avevi deciso di andartene dalla clinica.” considerò Preston, risultando più acido di quanto volesse. Andrew annuì. “Neanche tu mi sei sembrato molto toccato dal fatto che me ne andassi o che mi sposassi. E non ti sei disturbato a scrivermi neanche dopo … né a venire al matrimonio.”
“Avevo altro a cui pensare e non ho ricevuto alcun invito. Probabilmente, tua suocera riteneva che staccarti dalla mia pessima influenza non avrebbe potuto che giovarti. Ecco il denaro.”
“Cosa ti devo?”
“Niente.”
Andrew sollevò le sopracciglia, forse un po’ sorpreso. “In quanto ad influenza, pare che Mary ne abbia una davvero ottima su di te!” considerò, abbozzando un sorriso. “Solo perché non ti sto facendo pagare l’operazione?”
“Perché hai cambiato linea in banca ed atteggiamento: ne parlano tutti, in città. Persino Michaela ha accettato di fidarsi di te.”
“Se più gente lo facesse, le cose andrebbero meglio, però: la banca non è ancora in grado di reggersi sulle proprie gambe. E che futuro posso dare a Mary in questa situazione di incertezza?”
“Dunque ora il tuo pensiero principale è Mary?”
Al sentirla nominare, Preston sollevò di scatto gli occhi, deglutendo. “Che cosa vorresti insinuare?”
“Niente.” spiegò Andrew, rivolgendogli un sorriso timido. “Solo che … beh, molti hanno notato che il tuo cambio di prospettiva riguardo alla gestione della banca è iniziato poco dopo il tuo matrimonio. Matrimonio che, peraltro, ha fatto discutere: nessuno sapeva che fossi fidanzato e nessuno conosceva Mary. Inoltre, non avete fatto le cose in grande come ci si aspettava da te … e, poi, molti hanno detto di avervi visto spesso litigare …”
“Non l’ho mai costretta a fare niente.” lo frenò Preston, sentendosi subito irritato. “Non stavo dicendo questo: solo che è molto diversa dal tipo di donna che hai sempre guardato con interesse.”
“Non è stata una scelta libera: era un’unione combinata dalle famiglie anni prima, credo di averlo spiegato.”
“Ma Mary viene dai sobborghi di Boston, non da una famiglia prestigiosa!”
“E che prestigio avrei io, in quanto ultimogenito fallito?”
Andrew tacque con un sospiro. “Ho capito. Bene, ti ringrazio per l’operazione, Preston.” concluse, evidentemente amareggiato, voltandosi. “Quanto ti fermerai in città?” domandò il banchiere. “Fino a Natale, almeno e, forse, anche dopo: io e Colleen stiamo valutando di trasferirci definitivamente e lavorare all’ospedale di Michaela.”
Il banchiere annuì. “Spero di rivederti in giro.”
Il medico sorrise prima di sfiorare il cappello e congedarsi. Non appena fu uscito, Preston sospiro, grattandosi le tempie: perché diamine riusciva sempre a dire la cosa sbagliata?
Gli parve quasi di sentire Mary rimproverarlo di essere sempre troppo freddo nei confronti degli altri e, d’improvviso, sentì un gran bisogno di rivederla. Almeno con lei, sapeva esattamente cosa doveva fare.

 

Quando scoccò mezzogiorno, Michaela entrò al Gazette assieme ad una vivace Katie. “Buongiorno! Mary …” sorrise. “Dottor Mike.” annuì lei, riprendendo a scrivere. “Dorothy, ho una notizia che dovresti considerare per la pubblicazione: il senatore Dinston, la sera del Ringraziamento, è venuto a porgerci i suoi auguri e mi ha detto di voler fornire attrezzature all’ospedale, cosicché possiamo usare i fondi …” spiegò, alludendo a Mary. “Per le stanze ed il personale. Vorrei che lo pubblicaste, magari assieme all’articolo sull’inaugurazione …”
“Oh, certo, se ne sta occupando Mary, ma non dovrebbe essere un problema una piccola aggiunta, no?”
“Assolutamente!” annuì questa. “Se mi dà più informazioni, mi metto subito al lavoro!”
“Perfetto.” sorrise Michaela, interrompendosi quando la porta si aprì per lasciar entrare Preston. “Michaela, Dorothy …” salutò, togliendosi il cappello. “Spero di non interrompere: ero venuto per portare Mary a pranzo …”
“Mi piacerebbe molto.” intervenne questa, cercando di non sembrare una bambina impacciata che arrossiva e sorrideva. “Ma devo scrivere un articolo per Michaela.”
“Oh, va’ pure, Mary: posso pensarci io, qui!” intervenne Dorothy. “Sei sicura? Dopotutto, l’articolo principale sul senatore Dinston era mio e …”
“E quello sull’ospedale sarà mio, nessun problema: andate, su o non troverete posto da Grace!”
Mary le rivolse un sorriso grato prima di alzarsi ed accettare il braccio di Preston. “Torno subito!” si affrettò a dire. “Signore …” salutò il banchiere prima di aprire la porta alla moglie ed uscire.
Michaela, una volta che se ne furono andati, rimase a fissare la scena, stupita. “Santo cielo, non ho mai visto Preston così … così ...” sospirò. “Così come?”
“Così … sereno. Sì, il termine giusto è proprio questo: non aveva risentimento né smania di primeggiare o guadagnare.”
“Forse, a dispetto delle aspettative di tutta la città, Mary è davvero la sua cura.” considerò Dorothy. “Cura? Non mi risulta che sia malato, solo tremendamente avido!”
“Michaela, sai meglio di me che non tutti i mali sono fisici e quelli interiori non si possono curare così facilmente. Preston aveva un tarlo che lo divorava, era ovvio, ma era così insopportabile che a nessuno interessava pensarci. Mary è la sua cura e sembra funzionare alla grande, se mi permetti.”
“Su questo non c’è dubbio: ho sentito da Loren che stamattina ha addirittura concesso uno sconto a due contadini per un prestito! Non è da lui …”
“O, forse, sì, ma, molto più semplicemente, noi non lo conosciamo abbastanza bene.” sorrise la rossa prima di iniziare a prendere appunti per l’articolo.

 

“Non hai neanche idea di tutti i commenti che ho dovuto sopportare stamattina sulla nostra assenza dal Ringraziamento!” sospirò Mary, addentando la sua fetta di crostata alle pesche. “Loren ha detto che stava quasi pensando di chiedere a Daniel di sfondare la porta della banca! E Hank … beh, conosci Hank!”
Preston si rigirò la tazza di caffè tra le mani. “E Dorothy, poi! Va tutto bene, Preston?” domandò, ad un certo punto, Mary, notando lo sguardo assente del marito. Questi si riscosse, abbozzando un sorriso. “Sì, sì, certo.”
La scrittrice posò la forchetta, intuendo che qualcosa non andasse. “Ho … ho detto o fatto qualcosa che ti ha infastidito, forse? Io … beh, so di non avere esattamente molta esperienza nelle relazioni, ma … ma ci sto provando …” ammise, senza guardarlo per temere che i timori che aveva dal Ringraziamento fossero fondati. “È una cosa totalmente nuova anche per me … potrei non sapere neanch’io come comportarmi.” sorrise, invece, Preston, afferrandole una mano e stringendola nella sua. La giornalista sollevò le sopracciglia. “Beh, qualche frequentazione l’hai sicuramente avuta!” azzardò. Il banchiere distolse lo sguardo, arrossendo come una fragola e facendola sorridere. “Non ho mai avuto fidanzate ufficiali.” la liquidò, imbarazzato. “E chi erano, allora?”
“Nessuno di importante.”
“Beh, di certo qualcuno erano …”
Il banchiere sospiro, visibilmente in imbarazzo, guardando altrove e facendo ridere ancor di più Mary: era molto più pudico di quanto si potesse pensare e, probabilmente, l’unica a saperlo in città era lei. “Si è sempre trattato di qualche incontro senza seguito. Non del genere che pensi tu: se vuoi, puoi chiedere anche ad Hank, non frequento certi … posti. Non in quel senso. Erano frequentazioni sporadiche e non ufficiali con giovani dell’alta società che amavano … beh, divertirsi. A me non piaceva. Cioè, non volevo dire … mi piaceva, ma ...” sospirò, grattandosi le tempie mentre Mary rideva oramai liberamente. “Io … erano più i miei fratelli a spronarmi. Ma non hanno mai significato niente. Non è mai stato come con te.”
A quell’affermazione, la giovane si zittì, deglutendo mentre tornava a fissarlo negli occhi liquidi. “Io non ho alcun metro di paragone, invece.” ammise. “Non avevo neanche mai baciato nessuno prima di Halloween.” arrossì, senza, però, distogliere lo sguardo: sentiva di poter essere pienamente sincera con lui. “Ma … ma spero che sia abbastanza …”
“Tu non sei abbastanza: sei molto più di quanto mi meriti.” replicò Preston, stringendole saldamente la mano ed accarezzandole la mano con il pollice prima di sospirare: poteva fidarsi di lei, lo sapeva, anche se era tremendamente difficile, dopo anni ed anni passati in totale solitudine, a non mostrare mai la benché minima debolezza.
“Stamattina è venuto Andrew alla banca.” raccontò, infine. “Oh!” annuì Mary. “E ... dunque?”
“Mi ha confessato di essersi risentito perché non sono andato al suo matrimonio e non gli ho mai scritto.”
“Beh, non siete certo in punto di morte: una possibilità per recuperare c’è sempre …” azzardò Mary. “Il punto non è questo.” sospirò il banchiere. “Andrew è stato la cosa più simile ad un amico che abbia mai avuto e l’ho rovinata, come sempre riesco a fare, del resto. Ed a questo non c’è rimedio …”
“Ti sbagli.” lo frenò subito la moglie. “C’è un rimedio per qualsiasi cosa, tranne che per la morte. Lo diceva sempre mia madre ed aveva pienamente ragione. Ma c’è un’altra cosa che ho capito con il tempo: non possiamo mai sapere con certezza quanto ancora ci resta da vivere e, dunque, è meglio non rimandare a domani quello che potremmo fare oggi e concentrarsi sulle cose realmente importanti, sulle cose che ci rendono felici. In fondo, alla fine, contano solo quei piccoli momenti di felicità di cui, magari, sul momento non ci siamo neanche resi conto …”
“Vorrei averlo saputo prima ...”
“Preston, se non te ne fossi accorto, Andrew non è morto. Perché non inviti lui e Colleen a cena da noi?”
Preston la fissò, perplesso. “Cosa?”
“A cena. Da noi. Capisci l’inglese?”
“Ma sì, che … oh, santo cielo, sei impossibile quando fai così!” sospirò. “Sei sicura?”
“Certo: non abbiamo mai avuto ospiti a casa e … beh, sarebbe carino. Sono belle persone. Senza contare che ti conviene tenertelo buono, se vuoi che Michaela continua a fare affari con te … e sai quanto lei sia influente, in città …”
Il banchiere parve soppesare quell’idea per un po’ prima di annuire. “E va bene: ci proverò. Ma non garantisco niente!”
“Non serve: so già che accetteranno.” sorrise Mary. Era già tornata alla sua crostata quando si rese conto che Preston la stava fissando con un sorriso appena accennato. “Cosa c’è? Oddio, ho di nuovo marmellata addosso? Santo cielo, sono un disastro!” sbuffò, afferrando il tovagliolo. Per tutta risposta, Preston glielo prese dalle dita e lo posò sul tavolo, per poi prenderle nuovamente la mano e baciarla. “Come ho fatto senza di te per tutti questi anni?” sussurrò in un tono talmente serio che fece arrossire Mary. “Te la sei cavata bene comunque!” obiettò. “Non particolarmente, no.”
“Allora è un bene che io sia arrivata, dopotutto!”
Per tutta risposta, Preston si sporse e la baciò, totalmente incurante degli avventori del caffè di Grace. “Ci stanno guardando tutti.” obiettò Mary, le guance in fiamme. “Allora diamo loro qualcosa da guardare.” replicò lui, ritornando a baciarla.

 

Quando Andrew aveva risposto affermativamente all’invito, Preston aveva ingenuamente creduto che la cosa non l’avrebbe innervosito più di tanto: in fondo, erano stati amici e colleghi per un po’ di tempo. Ora che lui e Colleen avevano terminato la cena, però, non ne era più così sicuro: avevano mangiato in relativa tranquillità, commentando Colordo Springs e Boston, ma, una volta terminato il dolce che Mary aveva passato il pomeriggio a preparare, la giornalista stessa aveva rivolto loro un’occhiata piccata prima di invitare lui ed Andrew ad andare in soggiorno a parlare mentre lei e Colleen si scambiavano la ricetta della crostata.
Ora, seduto sul divano, con un sigaro tra le labbra ed un bicchiere di whisky, non riusciva a smettere di fissare l’espressione serena del medico, invidiandogliela: sembrava che nulla potesse turbarlo, immerso in una pace che neanche un santone avrebbe avuto. Rivaleggiava Nube che Corre, c’era da dirlo.
“Sono contento che tu abbia trovato Mary.” esordì, ad un tratto, Andrew, sorridendogli. Preston si bloccò a metà e lo fissò. “Nessun uomo è un’isola.” spiegò il medico. “Nemmeno Preston A. Lodge III. La solitudine che ti eri creato qui ti stava avvelenando, ma, da quando c’è Mary, sei cambiato: ti vedo rilassato, riposato. Beh, non proprio da quando c’è lei, ma da qualche settimana a questa parte sì.”
Preston sospirò, grattandosi la tempia. “Hai ragione.” ammise, scegliendo, forse per la prima volta, di essere sincero con Andrew, almeno tanto quanto lo era sempre stato lui. “Ma non ho trovato Mary, non come tu hai conosciuto Colleen, tutt’altro. Mio padre l’ha mandata qui da Boston.”
“Riteneva che fosse un buon matrimonio per te?” annuì Andrew, improvvisamente serio. “No: riteneva semplicemente che fosse un matrimonio e che, perlomeno, non avrei fallito anche dal punto di vista familiare, sposandomi. Mary rischiava la galera per i debiti dello zio da cui è fuggita a tredici anni. Da allora è cresciuta in una locanda, ma non sapeva di un conto cointestato che suo zio ha dilapidato. In cambio di uno o due occhi chiusi, ha accettato di sposarmi senza neanche sapere chi fossi. Ed ho accettato anch’io.”
Andrew ridusse gli occhi a due fessure, ma non commentò. “Non vedevo che altro avrei potuto fare: ho potuto mantenere la banca solo perché mio padre me l’ha concesso ed è tutto ciò che ho. Inoltre, questo genere di matrimoni è comune, a Boston.” proseguì il banchiere, bevendo un sorso di whisky. “Fatto sta che non ci sopportavamo: avevamo deciso di comune accordo che sarebbe stata solo una facciata e così è stato per un po’. Certo non mi aspettavo … beh, insomma, hai capito.”
“Di innamorarti di lei?” rise il medico. “Sia mai che un Lodge parli apertamente di sentimenti!”
“Non mi trovi riprovevole?” sospirò Preston. “No. Hai fatto ciò che dovevi senza approfittare di lei e già questo è abbastanza per impedire di definirti un tiranno. E, poi, ora mi pare che le cose siano cambiate, o no?”
“Sì.” annuì il banchiere. “Sì, sono cambiate. Ma ancora non so se dureranno …”
“Beh, non sono sposato da tantissimo, ma una cosa posso già dirtela: il rapporto che c’è tra marito e moglie non prosegue e basta. Ci sono giorni felici e giorni tristi, incomprensioni e vere e proprie litigate che si possono superare solo se c’è alla base un sentimento vero, puro e sincero e se sappiamo coltivarlo adeguatamente. Tutto qui: non è difficile, ma neanche così semplice come può sembrare a parole.”
“Come negli affari.” sospirò Preston. “Bisogna curare i finanziatori, se si vuole tenerseli stretti.”
“Non avrei usato un paragone del genere, ma suppongo di sì.”
Si guardarono per un istante prima di scoppiare a ridere. “Mi era mancato, lo sai?” sorrise Andrew. “Anche a me.” annuì Preston. “E spero potremo ripeterlo quando tornerai definitivamente a Colorado Springs …”
“Senz’altro, anche perché, come ti dicevo, probabilmente inizierò a lavorare nell’ospedale di Michaela, non appena sarà ultimato.”
“Come procedono i lavori, a proposito?”
“Ottimamente: la ditta ha ultimato le fondamenta, ora inizieranno ad innalzare i muri portanti.”
“La ditta … Sully, semmai!”
“Si è voluto concentrare nel settore edilizio, sì. Credo sia giusto: è quello che gli riesce meglio!”
“Forse ripenserà anche alla mia casa, un giorno!”
“Beh, devi ammettere che avevi cambiato idea moltissime volte!”
“Non giustifica certo un inadempimento tale, Andrew: mi ha lasciato con tutto a metà e lì è rimasto!”
Le risate di Mary e Colleen dalla cucina interruppero la chiacchierata. Il banchiere osservò con stupore l’espressione beata del medico mentre guardava la moglie prima di sospirare.
“E lo Chateau?” chiese. “Oh, è lì: il senatore Dinston se ne prende adeguatamente cura, a quanto dicono.” sospirò Preston, picchiettando sul bicchiere. “Non ti manca?”
“Mentirei se ti dicessi di no.” commentò aridamente il banchiere. “Spero sempre di riuscire a riprendermelo, un giorno: ho messo anima e corpo in quell’hotel e l’idea è stata mia. Ma capisco anche che, in fondo, me lo merito. Non mi sono comportato bene …”
“Michaela mi ha detto che stai rimediando, sorprendentemente: hai cambiato le regole della banca riguardo alle proroghe per i pagamenti ed i tassi d’interesse …”
“Vorrei che bastasse.” sospirò Preston. “Gli affari non sono ripartiti come speravo e c’è sempre il rischio che tutti precipiti di nuovo: il mercato è molto instabile e la banca ancora in perdita …”
“Ce la farai: ci vuole tempo.”
“Quello ce l’ho, è la fiducia dei clienti a mancare.”
“Torneranno. A tal proposito, dovrei chiederti un piccolo prestito anch’io, prossimamente. Per me e per Colleen … sai, finché non iniziamo a lavorare all’ospedale …”
“Non c’è problema. Si tratta di una cifra per costruire una casa?”
“No: per quello non c’è problema, Michaela vuole lasciarci gli appartamenti sopra la clinica. No, è …”
Andrew si interruppe, scuotendo il capo. “Sei il primo a cui lo dico al di fuori di Michaela, Sully, Matthew, Brian e Katie: Colleen è incinta. E so che non è la tempistica migliore, considerato che ha appena finito la scuola di medicina e che ancora non abbiamo lavoro, ma …”
“Congratulazioni, Andrew: sono molto felice per voi.” annuì Preston, sorridendo e stringendogli la spalla. “Grazie!” sorrise il medico. “Anch’io lo sono … spero solo di essere un buon padre!”
“Sarai un ottimo padre.” annuì il banchiere, guardando oltre la sua spalla a Colleen e Mary che ridevano.

 

Quella notte, Mary fu svegliata da un trambusto in camera. Si tirò a sedere, ancora mezza addormentata e distinse la figura di Preston nella penombra. “Che cosa succede?” chiese, stropicciandosi gli occhi: da quando Andrew e Colleen se n’erano andati, Preston aveva parlato pochissimo ed era venuto a letto tardi con la scusa di dover revisionare dei prospetti per la banca.
“Niente. Torna a dormire.” replicò il banchiere, ancora immobile sulla porta. Mary non gli credette nemmeno per un istante e si alzò, raggiungendolo. Con stupore, si accorse che era pallido, sudato e che le mani gli tremavano. “Preston …” mormorò, stringendogliele istintivamente nelle proprie. “Non è niente, davvero: solo un brutto sogno.” spiegò lui con voce roca. Mary alzò le sopracciglia: aveva notato anche nei mesi precedenti che, spesso, la notte si svegliava e si alzava, ma non l’aveva mai collegato agli incubi.
“E da quanto vanno avanti questi brutti sogni?” azzardò. Il banchiere non rispose, continuando a guardare la porta. “Preston … puoi fidarti di me!” sospirò la giovane, sfiorandogli le braccia. Questi si volse a fissarla, deglutendo ed arruffandosi i capelli già spettinati. “Da anni. Da prima della crisi, più o meno.” ammise. “E … e cosa sogni?”
“Tante cose diverse: di perdere di nuovo tutto, anche la banca, di non riuscire più a risollevarmi, di dover tornare a Boston … che tu te ne vai e mi odi.” deglutì, passandosi una mano sulla fronte. “Ma la cosa più terrificante è il risveglio, quando mi rendo conto che tremo e … pensavo che fossero finiti. Ho passato mesi cercando di non dormire per evitare di svegliarmi così: mi chiedevo a chi avrei potuto rivolgermi se fossero peggiorati. Nessuno mi avrebbe aiutato. Ero arrivato a non dormire più senza whisky …”
Mary gli strinse nuovamente le mani. “Ma ora non sei più solo.” disse, sorridendogli nella penombra. “Ci sono io. E non devi nasconderti o fingere che tutto vada bene: se qualcosa ti turba, voglio saperlo perché m’interessa, perché m’importa. Davvero.”
Preston la guardò poco convinto e Mary si alzò sulle punte e lo baciò. Non aveva mai preso l’iniziativa, tra loro due, ma stavolta era diverso.
Si amarono lentamente nella penombra della stanza, assaporando ogni istante e, dopo, Preston si addormentò con la testa sul suo petto, finalmente sereno. Mary rimase ad accarezzargli i capelli guardando la luna piena prima di arrendersi a sua volta al sonno.

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Capitolo 9
*** Rain ***


9.
Rain

L’esplosione svegliò la cittadina di Colorado Springs alle quattro di un umido, ma tutto sommato tiepido, mattino di pioggia di uno dei tanti inverni del Colorado.
Loren si destò di soprassalto e schizzò sul balcone indossando malamente la vestaglia, ma, affacciandosi, non vide nulla di strano. “Bah, se non la finiscono con questi scherzi!” sbottò, borbottando al Reverendo di tornare a dormire mentre ritornava in camera, sbuffando come un mantice.
Jake e Teresa, come Grace e Robert E., di per sé, non sentirono il boato, ma il pianto inconsolabile dei loro figli impedì loro di riaddormentarsi e ci vollero ore ed ore per riuscire finalmente a calmarli.
Hank, così come tutto il saloon, neanche sentì il rumore per la quantità di whisky che aveva bevuto la sera prima in occasione di un addio al celibato.
Al Gazette, Nube che Corre, destato, corse alla finestra, svegliando anche Dorothy, che lo fissò, assonnata. “Che cos’è successo?” sbadigliò la rossa. “Un rumore: non l’hai sentito?”
“No.” sospirò la giornalista: era abituata allo svegliarsi del compagno in piena notte, in preda alla paura perché gli sembrava che i soldati stessero tornando a prenderlo per trascinarlo nelle riserve, per questo non vi diede troppo peso.
Horace, sulla banchina ad attendere il primo treno, fissò la cittadina, perplesso, ma venne distratto dal fischio della locomotiva e dimenticò ben presto quel boato sordo e lontano, preso com’era da un arrivo per lui a dir poco fondamentale.
In banca, Mary, al boato, si svegliò di soprassalto, ansimando. “Preston!” esclamò, scuotendo il marito. Questi bofonchiò qualcosa, aprendo un occhio. “Che c’è?”
“Hai sentito?”
“Ci sono dei ladri?”
“No, era un rumore lontano … come un boato.”
“Saranno le ferrovie.”
“E se non fosse?”
“Ce ne preoccuperemo se tornerà e si avvicinerà. Cerca di dormire, adesso.” sospirò, volgendosi dall’altra parte. Mary sbuffò, tornando sotto le coperte, ma non riuscì più a chiudere occhio.

 

Dicembre era arrivato e passato prima che i cittadini di Colorado Springs potessero rendersene conto ed aveva portato con sé una marea di scadenze, al Gazette, motivo per cui, quel mattino, era stata Mary a ritirare la posta, invece di Dorothy.
Sotto il cielo grigiastro, nel cappotto nero sopra all’abito viola, aspettava che Horace terminasse di smistare le lettere ed i pacchi picchiettando con le dita sul banco.
“Ci vorrà ancora molto, Horace?” chiese, ad un certo punto. “Avrei un articolo da scrivere: se vuoi, posso ripassare dopo …”
“No, no, era qui: l’avevo vista prima …”
Mary sospirò, zittendosi quando notò nel piccolo ufficio la presenza di una bambina e di una donna elegante dai capelli neri in una crocchia, alta più o meno come lei. “Horace, le avrai già messe al loro posto, come al solito!” sospirò questa. “Dici? Oh, sì, è vero: ecco a te, Mary!” sorrise l’uomo. “Grazie.” annuì lei, continuando a fissare la donna: non l’aveva mai vista e non le risultava che frequentasse qualcuno. Solo allora la donna parve accorgersi della sua presenza. “Oh, scusi, che sbadata: lei dev’essere la nuova giornalista di cui Dorothy parla sempre! Myra Bing, l’ex moglie di Horace, piacere di conoscerla, signora …” si presentò, allora, avvicinandosi. “Oh! Il piacere è tutto mio. Sono Mary, Mary Lodge.” sorrise questa, stringendole la mano. Al cognome, Myra sgranò gli occhi, volgendosi verso Horace. “Non mi avevi mai scritto che Preston si fosse sposato con la nuova dipendente del Gazette!” notò. L’uomo abbassò lo sguardo su Samantha, colpevole. “È una cosa recente.” intervenne Mary, togliendola dall’imbarazzo e rivolgendo subito le attenzioni verso la bambina. “Ciao! E tu chi sei?”
“Samantha.” mormorò questa. “Piacere di conoscerti, io sono Mary. Sei qui per passare le feste con il tuo papà?”
“Sì. Ma voglio tornare a casa, qui non c’è niente per bambini!”
“Samantha!” la rimproverò Myra. “No, ha ragione: oltre ai giocattoli di Loren, non c’è granché per i più piccoli, qui.” confermò la scrittrice. “Beh, di questo non devi preoccuparti, Sam: ci ha pensato il papà a prenderti tutto quello che può farti divertire! Vieni, voglio mostrarti qualcosa!” sorrise Horace, entusiasta, prendendo la bambina in braccio e dirigendosi verso gli appartamenti dove abitava. Mary, rimasta al banco accanto a Myra, fissò per un po’ la scena prima di rivolgerle la parola. “È ammirevole che abbia deciso di mettere da parte ogni possibile dissapore per la bambina.”
La donna sorrise. “Cerco di fare del mio meglio: ho già sbagliato troppo, con lei.”
“Non direi: è amata, è felice ed è sana. Non tutti i bambini possono dire di esserlo …”
“Questo è vero, ma neanche gli adulti, dopotutto, no?”
“Decisamente.”
“Sa, io ci sono passata, nell’infelicità, intendo, anche se era una cosa diversa e … beh, volevo dirle che non deve avere paura di liberarsi dalla sua prigionia!”
La scrittrice parve raggelarsi completamente mentre si voltava. “Come, prego?” ripeté, fingendosi confusa per non sembrare irritata. “Beh, un matrimonio combinato è come quello che facevo io a … beh, ha capito.”
“Non so davvero cosa le abbiano raccontato, signora Bing, ma posso assicurarle che non c’è motivo di preoccuparsi: sono felice e sto bene. Davvero. Non è un matrimonio di facciata.” la liquidò. “Ma potrebbe chiederlo a Preston stesso, se non mi credesse: dopotutto, ha lavorato per lui, a quanto ne so. Gli farà piacere salutarla.”
Myra annuì, poco convinta. “Passerò senz’altro.” convenne. “Bene. Le auguro una buona giornata.” si congedò Mary, voltandosi ed iniziando a dirigersi spedita al Gazette: inutile dire che l’uscita l’aveva irritata più del dovuto. Sospirò, passando davanti all’ufficio dello sceriffo ed a Robert E, dove ghirlande d’agrifoglio, fiocchi rossi e stelle di Natale la facevano da padrone. All’emporio, Loren stava litigando con una gigantesca candela da mettere accanto alla porta. “Oh, stupido affare!” brontolò, le mani sui fianchi. “Mary, buongiorno: cosa ne pensa, a destra o a sinistra quest’affare?”
“Perché non accanto al bancone?” suggerì lei. “Dice? L’ho sempre detto che è una donna intelligente!”
“Fa sempre piacere sentirselo dire!” sorrise, attraversando la piccola piazza totalmente occupata dall’enorme abete decorato con centinaia di palline e decorazioni che luccicava nell’uggioso mattino. Un sottile strato di fumo usciva dal saloon, mentre, dalla finestra della clinica, vedeva Michaela e Colleen ripulire degli strumenti chiacchierando amabilmente.
Infine, Mary poté finalmente rifugiarsi al Gazette, come sempre sommerso di carta.
“Sono arrivate le informazioni da New York.” annunciò, consegnando la posta a Dorothy prima di togliersi il cappotto ed accomodarsi alla scrivania. “Oh, grazie a Dio!” sospirò la rossa, sommersa dalle revisioni mentre Brian lavorava al torchio, guardando, di tanto in tanto, fuori dalla finestra.
“Potremmo decorare anche noi un albero, qui in redazione!” propose il ragazzo con un sorriso smagliante ad un certo punto, alludendo all'enorme abete che stavano decorando in piazza. “Oh, sarebbe un’idea meravigliosa, Brian, ma non saprei davvero dove metterlo: siamo già a stretto in tre! Per questo ci basta così poca legna nella stufa! E, poi, è un po’ tardi ...” replicò Dorothy nell’abito verde e nel caldo scialle di lana. “Senza contare che dovremmo procurarci anche le decorazioni e non ne abbiamo proprio il tempo! Sembra che, col Natale alle porte, mezza città si sia decisa a mettere annunci o combinare qualcosa degna di prima pagina! Ho avuto così tanto da fare che non ho fatto l’albero neanche a casa mia …”
“Ci potrebbe pensare Nube che Corre!” azzardò Brian. “Oh, no: lui non festeggia, non come noi, lo sai, anche se partecipa per cortesia. Ora che mi ci fai pensare, sarebbe proprio il caso di decorare anche in soggiorno ...” sospirò Dorothy. “Abbiamo messo la ghirlanda alle porte e le candeline alle finestre: non siamo totalmente sprovvisti di decorazioni!” considerò Mary. “Per l’anno prossimo ci organizzeremo meglio magari, ma, per ora, dovremo farci bastare il pensiero …”
“A casa tua hai già decorato, Mary?” domandò Brian. “Sì. E, se vi può consolare, ho litigato con il mio amabile marito per tutta la domenica sul colore delle decorazioni dell’albero di casa!” sospirò, lisciandosi il pesante vestito viola. “Scommetto che Preston optava per rosso ed oro!” indovinò Dorothy. “Oh, sicuro, peccato che io trovi più elegante l’argento. Alla fine abbiamo messo tutte e due, ma l’effetto non è molto di classe come credevamo …”
“Dove passerete il Natale?” chiese la giornalista. “Non ne abbiamo ancora parlato, ma immagino a casa, tra di noi: non abbiamo altri familiari, qui. Voi sarete tutti dai Sully, immagino!”
“Sì e spero che Michaela abbia imparato a cucinare un arrosto come si deve per allora!” rise Dorothy. “Avresti dovuto assaggiare i piatti di quando ci ha presi con sé, erano anche peggio!” commentò Brian, facendo ridere le colleghe.
“Comunque …” proseguì Dorothy dopo un po’. “Ancora non ho trovato un’idea speciale per il numero di Natale!”
“Potremmo parlare del Natale in città!”
“Lo facciamo ogni anno, Brian. No, dev’essere originale … ma cosa? Le tradizioni invernali degli indiani non interessano a nessuno …”
“Ed una storia di Natale per bambini?” azzardò Mary, rammentando le parole di Samantha. “Oh, questa sì che è un’idea: grandioso!” esclamò la rossa, entusiasta, saltando sulla sedia. “Ve ne occuperete tu e Brian!”
“Ma sarebbe per domani!” protestò il ragazzo. “Appunto, non c’è tanto tempo, al lavoro, su!”
Mary scosse il capo, tornando all’articolo sul furto di vacche degli Winstol: a volte c’era così tanto da fare al Gazette che non trovava neanche la forza per dedicarsi alla revisione della storia di Scarlett da presentare al suo editore di Boston per Capodanno come avevano concordato dopo varie lettere al vetriolo da entrambe le parti che Horace aveva consegnato e spedito con interesse. “È quasi meglio della storia a puntate sul Gazette!” soleva dire.
In quel mentre, la porta della redazione si aprì, facendo entrare un agitatissimo Matthew. “Che succede?” chiese subito Brian. “Un’esplosione alla miniera: ci sono morti e feriti.”

 

“Le ringrazio della fiducia, Loren.” sorrise Preston, riponendo le carte con cui il commerciante aveva appena trasferito i suoi risparmi dalla sua banca di Denver alla sua a Colorado Springs. “Io mi fido, sia chiaro, ma solo perché l’ha fatto anche il dottor Mike! Alla tua prima piazzata, i miei risparmi se ne tornano a Denver, sia chiaro!” brontolò Loren. “E quando mai ho fatto una … come l’ha chiamata? Piazzata?”
“Oh, vuoi un elenco delle volte in cui è accaduto? Per fortuna che ora hai Mary che ti ricorda di startene al tuo posto!”
“Mi spieghi una cosa, Loren: devo per forza essere sempre io il cattivo, tra me e mia moglie?” sospirò il banchiere. “Sì! Certo che sì!”
“La stupirebbe sapere che neanche lei è sempre perfetta!”
“Chiunque, rispetto a te o ad Hank, sembrerebbe un santo!”
Stava per replicare, quando Mary in persona fece il suo ingresso in banca nel cappotto nero, una pila di fogli tra le braccia. “Signor Bray, buongiorno!” salutò, abbozzando un sorriso prima di dirigersi speditamente in casa. “Buongiorno, miss Mary! Ma che ha?”
“Non saprei dire, ma, dai fogli, si tratta di questioni riguardanti il Gazette.” sospirò Preston senza smettere di guardare le scale. “Se vuoi il mio parere …”
“Non lo voglio e non gliel’ho richiesto, Loren, mi spiace ...”
“Beh, sarebbe ora che aveste anche voi un bambino.”
“Siamo sposati da pochi mesi e non ne abbiamo neanche mai parlato!” eruppe il banchiere, esasperato dai rimarchi di Loren sull’argomento. “Ma il dottor Mike …”
“Non sapevo che Dio avesse cambiato nome e si chiamasse dottor Mike, ora …”
“Stai diventando blasfemo, sai? E, comunque, adesso devo proprio andarmene!”
“Me ne dispiaccio enormemente. Grazie ancora-, Loren e buon lavoro!”
Il vecchio bofonchiò qualcosa prima di uscire dalla banca sistemandosi il cappello sulla testa.
Una volta che se ne fu andato, Preston trasse un sospiro di sollievo: quel mattino Loren gli aveva proprio fatto venire mal di testa. Il pensiero di Mary, tuttavia, tornò subito a farsi sentire e si affrettò a porre in banca il cartello ‘torno subito’ per salire in casa.
Come ogni giorno, si stupì nel vederla armeggiare con le sue carte in soggiorno, i lunghi capelli castani che le ricadevano sulla schiena in contrasto con il vestito viola. “Va tutto bene?” le chiese. La giovane sollevò gli occhi nocciola a fissarlo. “Certo! Perché?”
“Mi sei sembrata infastidita, prima. È forse successo qualcosa al Gazette?”
“No, affatto: sono solo un po’ oberata, tutto qui.” sospirò Mary, sforzandosi di sorridere. “Niente per cui tu ti debba preoccupare, davvero. Com’è andata con Loren?”
“L’affare è concluso, anche se lui è … beh, è Loren.”
“Dovevi prevederlo. Cambiando discorso, sapevi che Myra Bing è tornata in città per passare il Natale con Horace e la bambina?”
Preston sollevò le sopracciglia. “Davvero?”
“Ebbene sì. Mi ha detto che passerà a salutarti.”
“Lo sperò bene: un saluto e delle scuse sarebbero il minimo, considerato che se n’è andata su due piedi, lasciandomi senza dipendente.”
“E scommetto che questo ti ha causato un enorme disagio!” sospirò lei, continuando a dividere le carte. “Ovviamente.” annuì Preston. “Avevo deciso di assumere qualcuno per avere una mano alla banca, all’epoca gli affari andavano a gonfie vele e faticavo a gestire tutto da solo.”
“Ed ora come vanno?”
Il banchiere sospirò, abbassando lo sguardo. “Meglio rispetto a quando ho riaperto, ma non è ancora del tutto sufficiente. I miei finanziatori apprezzano gli sforzi ed il rialzo, ma devo fare di più …”
“Stai già facendo tutto quello che puoi: non puoi certo legare la gente ed obbligarla a fare un prestito!”
“Sarebbe una splendida idea, però, senz’altro molto meno faticosa che abbassare i tassi ed allungare i tempi di pagamento!”
Mary alzò gli occhi al cielo, esasperata e Preston sorrise tra sé e sé, raggiungendola per poi abbracciarla da dietro e porle un bacio sul collo. La giovane sospirò, appoggiandosi a lui e chiudendo gli occhi mentre il banchiere le posava il mento sulla testa. “Mi diresti se ci fosse qualcosa che ti turba?” le chiese di nuovo. “Certo che te lo direi, ma non è niente, davvero: solo tanto lavoro e qualche chiacchiera di troppo. E, comunque, lo stesso deve valere per te …”
“La banca è tutto ciò che mi preoccupa, al momento. Per il resto, la mia vita è serena come non è mai stata.”
“E la cosa ironica è che devi ringraziare tuo padre per questo!”
“Già … di nuovo …”
Mary si girò nell’abbraccio, fissandolo negli occhi, nocciola nel nocciola. “Non era questo che volevo dire e lo sai.” asserì, sfiorandogli un sopracciglio con un dito.
Furono interrotti da dei colpi decisi alla porta della banca. “E chi è adesso?” sospirò Preston, affrettandosi a scendere, seguito da Mary, incuriosita. Quando, aperta la porta, si trovarono dinanzi Dorothy, però, si stupì.
“Dorothy! Come possiamo esserti d’aiuto?” chiese Preston. “Volevo appunto parlare con Mary …” sospirò la rossa. “Oh. In tal caso, torno al lavoro …”
“No, resta, non c’è problema. Davvero.” lo fermò Mary, tornando a rivolgersi alla collega. “Dimmi pure, Dorothy!”
“Si tratta dell’esplosione alla miniera: Michaela ci sta andando per curare i feriti ed io l’accompagnerò, ma vorrei, se sei d’accordo, naturalmente, che venissi anche tu per aiutarmi a documentare l’accaduto.”
“Va bene.” asserì Mary. “Quando partiamo?”
“Tra un’ora: Michaela è quasi pronta ed io devo solo prendere la borsa.”
“Lo sarò anch’io.”
“E ci andate da sole?” obiettò Preston, lo sguardo evidentemente agitato. “Non è lontano, neanche un quarto d’ora a cavallo … conosciamo bene la strada.”
Il banchiere parve tutt’altro che convinto, ma, stranamente, non obiettò.
“Perfetto: ci vediamo tra poco.” annuì Mary. La rossa confermò prima di uscire. Non appena se ne fu andata, Preston si volse di scatto verso la moglie. “Stavi solo bluffando, spero, quando le hai detto che ci saresti andata!”
“Affatto: è il mio lavoro. E non ho l’abitudine di fingere!” rispose lei, dirigendosi decisa in casa per prepararsi: immaginava che quella discussione sarebbe arrivata, ma sperava che suo marito si fosse messo il cuore in pace. Avrebbe dovuto sapere che era più testardo di lei ...
“Ed il tuo lavoro include anche mettere deliberatamente a rischio la tua vita in quelle miniere pericolanti?”
“Non entrerò in nessuna miniera pericolante personalmente: il mio lavoro è solo intervistare i lavoratori per denunciare le pessime condizioni di sicurezza in cui sono costretti ad operare!” spiegò, iniziando ad allineare gli oggetti che le sarebbero serviti sul letto mentre frugava per cercare una borsa in cui trasportarli. “E, secondo te, è del tutto privo di rischi, vero?”
“A Boston, se vuoi saperlo, ho dovuto fare interviste in condizioni ben peggiori!” sbottò, esasperata, volgendosi a fissarlo con le braccia incrociate al petto. “Ad esempio al porto, con il mare in burrasca che rischiava di trascinarmi via!”
“Beh, anche lì sei stata imprudente: non avresti dovuto mettere a repentaglio la tua sicurezza allora e non dovresti nemmeno adesso!”
“Avrei perso il posto!”
“Ma oggi non lo perderesti!”
“Dorothy mi ha dato un’opportunità: dandomi questo lavoro mi ha permesso di riavere l’indipendenza economica …”
“Per fuggire alla prima occasione e tornartene a Boston, al tuo vecchio mondo! Perché era questo il piano originale, non è così? Devo dedurre che ancora non è cambiato?”
Mary arretrò, come colpita in pieno volto. “Non ho mai detto questo!” replicò, ferita, pur conscia di averlo spesso pensato, appena arrivata. “Sì che l’hai detto ed anche a più riprese!” continuò Preston, oramai visibilmente alterato. “Qualunque cosa abbia detto, è stato prima che le cose cambiassero!” sbottò lei. “Il fatto che le cose siano cambiate, però, non riesce comunque a farti mettere al primo posto qualcosa che non sia il tuo lavoro!”
“E per te non è forse lo stesso? La banca è l’unica cosa che conta, o sbaglio?”
“Contrariamente a te, io però voglio tornare a casa la sera! Anche se, forse, non la consideri poi casa tua ...”
“Mi hai fatto credere che la mia casa, ora, fosse questa!”
“Dipende da te, non da me!”
“Non ho scelto io di stare qui!”
“E perché, io sì, invece?”
“Tu sei un uomo, puoi fare quello che vuoi, non puoi capire cosa significa viaggiare per mezzo continente per sposare uno sconosciuto sotto ricatto!”
“Ma capisco perfettamente che sei un’irresponsabile ed un’egoista!”
“Cosa?” scoppiò Mary. “Non t’importa di niente e di nessuno, se non di te stessa!”
“Ed allora siamo un’accoppiata davvero vincente, visto che mi tieni buona per scaldarti il letto pur continuando ad essere così sicuro che prima o poi me ne andrò, vero?”
Approfittò del fatto di averlo lasciato senza parole per chiudergli la porta della camera in faccia e sbuffare, esasperata, prima di continuare a fare i bagagli: perché diamine si era convinta che fosse davvero diverso da come sembrava? Possibile che, ogni volta, ci ricascasse? Come poteva pensare quelle cose su di lei, dopo tutto quello che aveva creduto di aver provato? Forse non era mai stata neanche ricambiata ...
Scacciò il pensiero, continuando a prepararsi: ci avrebbe pensato una volta tornata dal suo incarico. O, forse, più semplicemente, avrebbe fatto quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio e prendere il primo treno per Boston.

 

“Uff! Che faticaccia! Va tutto bene, Mary?” sospirò Michaela, lasciandosi cadere sulla sua brandina: con quei pantaloni larghi che sembravano una gonna, i capelli sciolti ed il lungo cappotto in pelle, sembrava quasi una delle conquistatrici del selvaggio west, partita in sella a Flash alla volta di un’avventura. Mary sollevò lo sguardo dalla lanterna che lanciava lunghe ombre sulle pareti della tenda e le rivolse un sorriso serrato. “Certamente! Non preoccuparti per me, davvero: se ci fosse qualcosa che non va, te lo direi subito!” si affrettò a dire, sistemando meglio la comoda gonna blu del caldo completo in lana che aveva indossato sotto al cappotto nero per l’escursione, assieme alla sciarpa in lana, ora abbandonata nei suoi bagagli ed alla treccia in cui aveva imprigionato i capelli. Come scossa da quel pensiero, iniziò meccanicamente a scioglierli dalla costrizione: aveva già mal di testa per averli tenuti legati.
“Io devo dire che non vivevo nulla di così avventuroso da tantissimo tempo, a dispetto della pessima situazione!” sorrise Dorothy, in un inconsueto abbigliamento da mandriana accanto a Myra, che aveva deciso di accompagnarle per dare una mano al dottor Mike a curare i feriti.
Fuori dalla tenda, la natura era modellata in una tiepida sera di dicembre, con l’erba brulla che si piegava al vento e le nuvole rosate e violacee che si rincorrevano nel cielo color ghiaccio, trafitte da lame di luce calante. Attorno alla miniera crollata, nelle tende illuminate da fuochi e lanterne, regnava invece il silenzio: dopo un viaggio relativamente breve a cavallo, avevano trascorso l’intera giornata aiutando i cinesi che lavoravano alla miniera. Michaela e Myra avevano curato i feriti, ritrovandosi costrette ad amputare molti arti e Dorothy e Mary, con l’aiuto di un interprete, avevano intervistato pressoché tutti e documentato le condizioni di vita nel campo. La scrittrice era stanca, ma, perlomeno, aveva potuto evitare di pensare ad altro.
“A chi lo dici! A St. Luois non succedono cose così …” sospirò Myra, vagamente nostalgica. “Se è per quello, nemmeno a Boston … credo sia uno dei motivi per cui Sully odia così tanto la mia città d’origine! L’etichetta, il vestirsi bene … decisamente non fa per lui!” rise Michaela. “Oh, anche Nube che Corre è così, è la sua coltura, del resto! Lo sapevo quando l’ho scelto, come lo sapevi tu, Michaela ...”
“Invece John è dell’idea che bisognerebbe essere sempre eleganti.” raccontò Myra, attirando gli sguardi sorpresi delle altre tre. “Oh, John è solo un amico, un mio collega, ma non è nulla di serio!” si affrettò a spiegare, ma Dorothy già rideva. “Sì, certo! Guarda che non c’è niente di male ad essere felice, dopo tutto quello che hai passato, Myra … voglio dire, il lavoro da Hank, poi il divorzio, il lavoro in una città lontana sola con Samantha …”
“Qualcuno ha azzardato a dire che non dovrei farmi tutti questi problemi, visti tutti gli uomini che … beh, avete capito.” sospirò Myra. “E forse è vero … ne ho viste talmente tante che non mi stupisce più niente e certamente non ho nulla da offrire, ad un eventuale nuovo marito!”
“Come no: hai da offrire la cosa più importante, ovverosia tutta te stessa, la tua personalità ed i tuoi pregi. A me non sembra niente!” considerò Michaela. “Arrivare illibate al matrimonio non significa nulla. A me è ... beh, è semplicemente successo per una serie di circostanze, ma non l’ho mai considerato fondamentale. Solo più giusto, perché significava impegno, fedeltà, ma il fatto che Sully fosse vedovo non mi ha mai infastidita …”
“È difficile che gli uomini arrivino illibati al matrimonio!” sospirò Myra, prendendo un altro sorso di tè. “E, di solito, frequentano posti come il saloon anche dopo ...”
Mary si sentì quasi fisicamente male a quelle parole, ma continuò a bere facendo finta di nulla: non era proprio il momento di pensare alle sue questioni personali.
“Siamo state fortunate, a prescindere da tutto: abbiamo trovato uomini splendidi, buoni, integri, onesti e gentili. Come siamo terminate le storie, come siamo arrivate ad esse e perché non conta poi molto, non credete?” sorrise Dorothy.
Quelle parole furono semplicemente troppo. Mary schizzò in piedi, sfoggiando un sorriso forzato. “L’acqua è finita: vado a prenderne dell’altra, ho molta seta.” annunciò, affrettandosi ad uscire dalla tenda per evitare di mostrare il suo evidente disappunto.
L’aria fresca, sebbene non gelida come quella di Boston, sulle guance bollenti l’aiutò a schiarire le idee ed a rilassarsi, seppur non quanto avrebbe sperato. Chiuse gli occhi, cercando di scacciare la vergogna, godendosi il silenzio e la solitudine dell’accampamento a quell’ora e sobbalzò quando sentì una mano sulla spalla. Si volse di scatto, ritrovandosi di fronte a Dorothy, visibilmente preoccupata. “Va tutto bene?” le chiese. “Non è nulla, davvero: torna dentro, non c’è bisogno che tu stia qui con me: abbiamo cavalcato e lavorato sodo, devi risposarti.” disse, sospirando e portandosi una mano tremolante alla testa. “A me non sembra niente, francamente. Cos’è successo con Preston? Perché immagino sia quella la causa scatenante il tuo malumore ...”
La scrittrice la fissò con i grandi occhi liquidi, scrutandola con attenzione e sospirò, scuotendo il capo, i lunghi capelli a coprirle le spalle. “Non voleva che venissi: secondo lui, non ce n’era alcun bisogno. Io gli ho detto che è il mio lavoro e che te lo dovevo e lui mi ha accusata di essere egoista e di voler soltanto tornare a Boston alla prima occasione e che per questo tengo tanto al mio lavoro. Ed io … beh, gli ho detto che lui era ancor peggiore perché mi teneva solo per scaldargli il letto, se davvero pensava questo di me. Non ci siamo neanche salutati: me ne sono andata senza guardarlo e lui è rimasto alla sua scrivania con dei clienti.”
Quando ebbe finito, si rese conto con vergogna di avere le guance arrossate. Lo sguardo di Dorothy era un misto di sorpresa e compassione che credeva non avrebbe sopportato ancora a lungo.
“Ecco cosa c’era dietro …” sospirò la rossa. “Sai, io un po’ capisco Preston: ho lavorato per lui per parecchio tempo e, a dispetto di come tutti lo disapprovassero, posso dire che era ed è molto meglio di quello che sembrava. Vive in quest’eterna competizione con i fratelli per avere l’approvazione dei genitori e pensa che eccellere nel lavoro sia l’unico modo per ottenerla, ma, per quanto si sforzi di assomigliare al padre, è molto diverso da lui: non avrebbe mai assunto Myra pur sapendo cosa facevo prima, altrimenti. Né finanziato me o la clinica e l’ospedale di Michaela. Od offerto lavoro a Grace …” spiegò. “In quanto a te, Mary, vale lo stesso: avrebbe potuto approfittare di te, ma non l’ha mai fatto e … beh, abbiamo visto e commentato tutti quanto sia cambiato ultimamente, grazie a te. Riesce ad essere più … più se stesso. Vi ho visti, in banca, da Grace ed al Gazette ed ho capito subito che ti amava. Non l’avevo mai visto … così. Aperto, felice, sincero. Ha anche cambiato la politica della banca. Per come la vedo io, tutta la discussione che avete avuto è stata dettata dal fatto che entrambi avete paura di perdere quello che avete trovato e che era ciò di cui avevate bisogno, anche se non lo sapevate nemmeno voi. Forse, non ve lo siete mai detti apertamente ...”
Mary aggrottò la fronte. Stava per parlare, quando la terra tremolò ed il fuoco della lanterna accanto a loro si spese di colpo. Prima che potessero reagire, il boato ed il vuoto sovrastarono qualunque altra cosa.

 

Il boato riecheggiò nuovamente per Colorado Springs, immersa nelle tenebre della sera.
Preston, ancora chino su dei prospetti che stava completando con stizza, si bloccò, come congelato. Per un attimo, pensò di ignorare il tuono, ma, poi, si decise ad alzarsi ed ad andare fuori a dare un’occhiata.
Come si aspettava, c’era praticamente mezza città in strada ed erano tutti agitati.
“Che succede?” domandò a Daniel. “Non ne ho idea …” replicò questi, facendo spallucce. L’ennesimo tuono rimbombò sopra le loro testa e, da una nuvola passeggera e grigiastra sopra di loro, iniziò a scendere una pioggia fine ed argentea. “Magnifico: oramai tutta la città esce per dei tuoni!” sbuffò il banchiere, scuotendo il capo. “Ed anche se fosse? Era un bel tuono e sei uscito anche tu!” rispose Daniel. Preston si volse, pronto a rispondergli per le rime: non sopportava lo sceriffo, non l’aveva mai sopportato e, da quando Mary se n’era andata senza neanche avere la decenza di salutarlo, lo sopportava ancor meno. Al solo pensiero, sospirò per il nervosismo: più rimembrava il loro battibecco e più s’infuriava. Come poteva pensare che lui fosse un uomo del genere, dopo tutto quello che era successo? L’aveva ferito, ma, soprattutto, l’aveva illuso di aver trovato finalmente una persona con cui essere sincero, se stesso, senza suscitare ribrezzo o sconcerto.
“Macché temporale!” esclamò Loren, uscendo dall’emporio con Matthew. “C’è stato un crollo dell’intera zona della miniera, ecco cos’è successo!”
Immediatamente, il cuore di Preston perse un battito. “Cosa?” esclamò. “In che senso? Cos’è successo?”
“Non lo so: ho solo sentito che c’è stato un crollo da un cliente, è un disastro!”
“Il dottor Mike era là!” considerò Matthew, scuotendosi della pioggia di dosso. “Ed anche Mary!” esclamò Preston, correndo verso la banca senza neanche rendersene conto, completamente dimentico delle voci degli altri che lo chiamavano. Afferrò in fretta cappotto e cappello e corse a prendere Fulmine da Robert E.
“Preston! Dove diamine pensi di andare da solo?” lo richiamò Daniel. “Alla miniera.”
“Aspetta almeno che racimoliamo qualche aiuto e vieni con noi!”
“Per allora potrebbe essere già troppo tardi!”
“Ma tardi per …”
“Senti!” lo zittì il banchiere, volgendosi, furibondo, verso Daniel. “Là c’è mia moglie, va bene? Potrebbe essere sotto le macerie o peggio e … e non me ne starò a discutere con te!”
Detto ciò, salì in sella e partì al galoppo nella pioggia che oramai era diventata un acquazzone.
Daniel rimaste a dissarlo, sbalordito. “Ma … ma ...” biascicò, rivolto a Matthew e Loren. “Non l’ho mai … visto così … irrazionale!”
“Forse perché non ha mai avuto nulla per cui valesse la pena esserlo.” considerò Matthew, scuotendo il capo.

 

Quando Preston arrivò all’accampamento, il caos regnava sovrano: rocce erano cadute da ogni dove e la pioggia aveva asciugato la polvere, facendola attecchire alle tende, ora fradice d’acqua. Ovunque c’erano uomini che andavano e venivano, bendati, da una grande tenda, evidentemente l’ospedale.
“Cos’è accaduto?” chiese ad un anziano. “Un crollo, uno dei tanti: sono morti dei cinesi e chi era vicino è rimasto ferito, ma niente di serio.” rispose questi. “E lei che ci fa qui?”
Preston lo ignorò, smontando da cavallo e consegnandoglielo, ignaro delle sue proteste mentre correva verso l’ospedale da campo con il cuore in gola ed il cappotto incollato alla pelle: l’unica cosa di cui gli importava era trovare Mary.
Non appena fu entrato, si bloccò, guardandosi freneticamente attorno, ma, ovunque guardasse, c’erano solo uomini fasciati e doloranti.
“Preston!”
La voce di Michaela lo ridestò, facendolo voltare per trovarsela davanti, sudata e stanca. “Sono venuto appena ho saputo.” riuscì a biascicare. “Mary?”
Il medico parve addolcirsi. “Non è qui: è nella sua tenda. Ha solo una ferita alla schiena, ma niente di grave …”
“Grazie a Dio!” annuì Preston, sentendo un’ondata di sollievo riversarglisi addosso mentre si affrettava ad uscire senza badare più a Michaela.
Vagò per qualche minuto e, quando, finalmente, intravide Dorothy uscire da una tenda, vi si precipitò. “Preston!” lo salutò questa, sorpresa. “Dorothy: Michaela mi ha detto che Mary è ferita …”
“Nulla di grave: un vetro l’ha colpita alla schiena, ma sta bene. Sta riposando e credo le farebbe bene vederti … magari anche chiarirvi.”
Il banchiere sospirò incassando lo sguardo accusatore della rossa prima che questa si allontanasse sotto la pioggia battente.
Con un sospiro, si fece coraggio ed entrò.
Nella tenda, l’aria era tiepida e la calda luce di una lampada rischiarava l’ambiente. Mary era stesa su una brandina, le coperte avvolte intorno a sé e l’aria stanca e confusa. Quando lo vide, però, ebbe un fremito. “Preston!” esclamò, facendo per tirarsi a sedere. “No, aspetta, lascia che ti aiuti!” la fermò lui, togliendosi cappello e cappotto ed affrettandosi a raggiungerla per porre dei cuscini alle sue spalle, cosicché vi si potesse appoggiare. “Michaela mi ha detto della ferita alla schiena.” disse, tossicchiando per rompere l’imbarazzante silenzio. “Non è grave.” sorrise tristemente lei. “Ma avrebbe potuto esserlo: era questo che intendevo quando non volevo che partissi, nient’altro!” ammise il banchiere, afferrandole la mano. “Non hai sbagliato solo tu, non devi scusarti: ho detto anch’io cose che non pensavo. Ero arrabbiata perché credevo non t’importasse poi tanto di me, ma non è così … non è affatto così ...” sospirò Mary, stringendogli le dita. “Io … io, quando ho sentito del crollo … avevo così tanta paura che ti fosse successo qualcosa … non voglio che tu te ne vada, in nessun caso ed in nessun modo, te l’ho già detto e te lo ripeto. Non posso fare a meno di te, non ora che ti ho trovata ...” mormorò il banchiere, rendendosi conto con orrore che gli occhi gli bruciavano. “E non devi: io sono qui. Non me ne vado. E non devi andartene nemmeno tu ...”
“L’unico posto dove andremo è a casa, insieme. E d’ora in poi potrai andare dove vorrai, fare tutte le interviste che vorrai o dovrai, ma non lasciamoci più così … per favore …”
Mary gli sorrise, asciugandogli le guance prima di sollevarsi leggermente e baciarlo. “Sei fradicio: levati quei vestiti e vieni qui, su!” gli disse. Un guizzo di malizia attraversò il volto di Preston. “Non credevo che avessi le energie per certi pensieri, dopo una tale giornata …”
Mary gli assestò una pacca sul braccio. “Stupido!” rise. “Siamo entrambi stanchi e dobbiamo risposare per tornare a casa per Natale …”
“A me non importa … basta che ci sia tu, del resto non m’interessa.” le sorrise, baciandola e tirandola a sé. Mary venne stretta con una tale forza che le fece quasi male, ma non disse nulla, limitandosi a sospirare, concentrandosi solo sulla colonia di suo marito, sulla musica della pioggia fuori e sul lasciarsi andare in quell’abbraccio che sapeva di casa.

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