Stranger Things On Saxony

di lo_strano_libraio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lützen, un posto tranquillo…per ora. ***
Capitolo 2: *** La scomparsa di Will Bayern ***
Capitolo 3: *** Il Giovane Soldato, La Principessa Calva e La Fanciulla Sventurata ***
Capitolo 4: *** La Stramba di Müppen Strasse ***
Capitolo 5: *** Il disperato piano di Lord Hans Spieghel ***
Capitolo 6: *** Il mostro ***
Capitolo 7: *** Piani Di Guerra ***
Capitolo 8: *** Benvenuti in casa Mayfield/Hargrove ***
Capitolo 9: *** Andando al Macello ***
Capitolo 10: *** Una nuova casa per Undi; un posto, da chiamare: famiglia ***
Capitolo 11: *** Agguati, addii e amicizia inter-religiosa ***
Capitolo 12: *** Le Trombe della Guerra ***
Capitolo 13: *** Il giorno in cui Lützen si tinse di sangue ***
Capitolo 14: *** Una morte e una resurrezione che cambiarono la storia ***
Capitolo 15: *** La fine dei giochi ***



Capitolo 1
*** Lützen, un posto tranquillo…per ora. ***


Stranger Things on Saxony- Caitolo 1: Lützen, un posto tranquillo…per ora.

Ottobre 1632.

La cittadina di Lützen, immersa nella campagna sassone circondata da prati verdi e boschi, era riuscita a scampare fino d’ora alla guerra religiosa che sconvolgeva il Sacro Romano Impero e l’Europa intera da ormai 14 anni. 

La vita dei contadini, artigiani, mercanti, prelati e altri abitanti della cittadina scorreva normalmente, mentre intorno alla loro isola sicura si scatenava l’inferno nel reame di Ferdinando II D’Asburgo. Certo, viaggiare era diventato più difficile e i beni provenienti da fuori divennero ardui da reperire e più costosi, facendo soffrire le finanze dei mercanti locali; ma nessuno ancora moriva di fame o di peste, e nessuna armata di mercenari era ancora passata a saccheggiare e bruciare le case di queste quattromila anime. Ben presto però, tutto sarebbe cambiato nelle loro vite, che sarebbero entrate nella storia in modi decisamente inaspettati. Cose strane stavano per accadere, cose molto strane.

Micheal, per gli amici “Mike”, Wheeler era un ragazzino di 12 anni. Di famiglia inglese, suo padre mercante di era trasferito in Germania per sfuggire alle persecuzioni religiose in terra natia e fare affari sotto invito del lord locale. Poco importava che il feudo fosse a maggioranza cattolica, la religione dell’oro ha la precedenza, e comunque Mr. Wheeler non era uno zelante luterano. La gente del luogo tollerava la sua famiglia per non avere guai, almeno fino a quando avrebbero tenuto un basso profilo. 

Tra gli amici di Mike si potevano annoverare Dustin figlio del macellaio, Luka Sinkako (per gli amici “Lucas Sinclair”), un ragazzino etiope giunto con la famiglia dal continente nero per attività missionarie; ma soprattutto il suo migliore amico: William “Will” Bayern. Era figlio di una contadina rimasta vedova che lavorava i campi insieme al figlio maggiore, ma la provvidenza divina volle che avesse un incredibile talento per il disegno, e quindi venne assunto come apprendista stipendiato alla bottega di Woham, il pittore locale, aiutando così la famiglia con un guadagno mensile superiore ai loro due messi insieme. La sua maestria aveva del prodigioso: in soli sei mesi d’apprendistato era pari a un allievo del terzo anno, e ora finiva particolari nei lavori del maestro ma dipingeva anche opere tutte sue. La nuova pala d’altare della chiesa di Lützen stessa era opera di Will, dopo che la precedente si era rovinata per l’umidità dell’autunno, che si infiltrava nella cappella. Ora stava lavorando al suo soggetto preferito: una grande tela di San Giorgio che uccide il drago, su commissione del lord locale, per la sala degli ospiti del castello. 

Ma quel nuvoloso giorno d’ottobre, Lützen avrebbe accolto molti nuovi ospiti inattesi: alle tre del pomeriggio gli abitanti iniziarono ad intravedere una massa nera seguita da una nube di polvere, avvicinarsi da ovest, con lunghe file di picche levate verso il cielo. Una massa di uomini, cavalli e carri al seguito invase la piccola cittadina. Le signore chiudevano le serrande, i mercanti come mr. Wheeler da un lato si fregavano le mani, perché agli eserciti servono risorse da comprare, ma dall’altro pregavano il buon signore perché i soldati mercenari sono sempre disponibili a un può di buon saccheggio. 

Joyce Bayern e la giovane Nancy Wheeler erano nel mezzo della strada principale, commentando l’arrivo di questi ospiti inattesi. 

“Speriamo non gli venga troppa fame: dico io, avranno delle provviste da parte senza che debbano prenderne dai nostri campi giusto?”

“Oh signora Bayern, lo spero proprio. Non si saranno messi in marcia a migliaia senza delle scorte da parte. Avete cambiato le colture dal grano alle patate? Non ci fanno passare i cavalli sopra perché sono velenose per loro.”

“Si, ce ne siamo occupati questa estate, dopo l’ultimo raccolto. Ma non devi preoccuparti per noi tesoro, piuttosto stai attenta ad andare in giro quando ci sono molti di questi bruti in giro: sei una bella e giovane fanciulla. Chissà cosa potrebbe passare per la testa di alcuni di loro, se ti vedessero di sera a camminare tutta sola…oh, non voglio neanche pensarci!”

“Vi ringrazio per questa premura, ma non duolete: vostro figlio Johnathan è un vero cavaliere, e mi scorta sempre quando devo fare lunghi giri per il paese.”

Un uomo con indosso un largo cappello marrone approcciò la coppia, facendo loro un occhiolino. 

“Buondì signore, come va la giornata?” Era Theodor Hopper, capitano della piazza e sceriffo di Lützen, sotto incarico del lord. Un omone simpatico e affidabile, che corteggiava la signora Byers da quando era stata abbandonata. Questa a causa della sua timidezza, non si era ancora aperta sentimentalmente nei suoi confronti, ma contraccambiava con gentilezza le sue attenzioni, e intraprendeva amorevoli chiacchierate col pretendente.

“Oh Hopper, ma secondo voi che intenzioni hanno questa gente?” Chiese con apprensione Joyce.

“Non temete, Lord Hans mi ha mostrato la loro lettera d’annuncio, sono gli uomini del generale Wallenstein ma sono solo di passaggio per attaccare la Sassonia protestante.” 

“Oh menomale, ci mancherebbe solo dover sopportarli per più di una settimana, mi viene da svenire al solo pensiero di dormire vicino a così tanti bruti in arme questa notte.” Disse Nancy.

“Oh suvvia, io sono comunque la legge qui, e lord Hans non vorrebbe di certo che saccheggiassero il suo feudo o molestassero i sudditi suoi. Non temete, non arrecheranno danno alcuni finché respirerò!” Disse gonfiando il petto, e intonando la voce con fare autorevole e vigoroso. Le due donne gli sorrisero arrossendo.

“Hop, Hans mi ha appena detto che dobbiamo essere presenti a un incontro richiesto dal generale stesso, stasera al castello.” Era giunto Sinclair, il padre di Lucas e vice sceriffo. Era l’uomo più esotico di Lützen per ovvi motivi, e ogni volta che un visitatore giungeva, stropicciava gli occhi vedendolo. 

Intanto, la maggior parte della truppa di stava accampando fuori Lützen, aprendo i carri e piantando le tende a terra. Uno di questi di fermò e una ragazzina dai capelli rossi carota fece capolino dal retro di esso.

“Neil-“ si interruppe vedendo la disapprovazione nello sguardo di sua madre, accanto a lei.

“Ehm, volevo dire: padre, siamo arrivati?”

L’uomo scese dal posto di traino, dando una pacca al tendone che copriva il carro.

“Si, finalmente…su signore, è il momento di sgranchirai le gambe; e si, mi stavo rivolgendo anche a te Billy!”

“Come desiderate…” il figlio scese sospirando, mal sopportando le frecciatine del genitore.

“Padre, padre, posso fare un giro per il villaggio? Mi sono annoiata così tanto in questo viaggio!”

“Va bene, ma torna entro i primi fuochi, ci manca solo che ti dobbiamo rincorrere per  questo posto.”

“Giurin giurello! Sarò di ritorno prima che tu possa elencare tutte le contee dell’Eire.”

La ragazzina uscì correndo per il prato, diretta verso le viuzze.

In effetti, questa famiglia mal assortita ne aveva visti di luoghi: Susan Mayfield e sua figlia Maxine vivevano fino a un anno e mezzo prima nella contea dell’Ulster in Irlanda. Quando i coloni protestanti insieme all’esercito inglese, avevano ucciso suo padre, scacciando loro e altre famiglie dalla contea del loro Gaeltacht, sua madre si dovette risposare con questo mercenario, che errava insieme a suo figlio in cerca di nuovi datori di lavoro. Neil era un uomo che traballava tra la tipica simpatia ironica irlandese e la rabbia indotta dalle sue crisi alcoliche, che lo rendevano irascibile e violento. A soffrirne di più era però suo figlio, che era l’obbiettivo principale dei suoi sfoghi. Billy era un ragazzone, dall’aria costantemente nebuloso neo suoi pensieri. Sembrava sempre arrabbiato e sospirava ogni volta che iniziava a fare qualcosa. Era sempre lui l’incaricato ad andare a ripescare Maxine in giro, quando ne combinava una delle sue. Lei aveva un po’ paura di lui, ma non aveva mai alzato le mani su di lei. Quando la guerra si riaccese in Germania, in seguito allo sbarco degli svedesi in pomeriana, si trasferirono tutti in terra tedesca, iniziando un errare al seguito dell’esercito imperiale di Albrecht Von Wallenstein. Non avevano ancora visto vere battaglie, essendosi formata L’armata da qualche mese, dopo la sconfitta del collega Tilly a Breitenfeld il settembre dell’anno prima. 

Tra la fila di carri, uno particolarmente decorato e pomposo si fece strada in mezzo a quelli più spartani. Era laccato in legno d’ebano nero, con decorazioni a motivi floreali d’oro. Il cocchiere indossava un gilet d’alta sartoria e un basso cappello a cilindro sulla testa. Neanche i trasporti dei comandanti d’armata erano così lussuosi e i vari carristi guardavano straniti questa bizzarra apparizione che si era aggiunta al convoglio soltanto poco prima dell’ultima tappa. Quando il carro si avventuró per le stradine del paese, gli abitanti lanciarono occhiate stupefatte e d’ammirazione, non temendo al contrario del resto della truppa chi vi fosse all’interno, ma al contrario, facendo supposizioni su quale grande personalità stesse trasportando. Alcuni arrivarono a ipotizzare potesse essere addirittura l’imperatore Ferdinando in persona, giunto per gestire la complessa situazione sul campo, affianco dei suoi vassalli e generali più fidati. Quando il carro giunse ai piedi del castello, lo stalliere scese dal posto di guida e aprí la porticina, annunciando i suoi passeggeri:

“Don José Martino de la Rivera Mardon Brennero…” prese un attimo di fiato.

“E sua figlia Giovanna!”

Un uomo dai capelli bianchi scese, tenendo per mano una ragazzina, dall’elegante vestito nero come i suoi capelli, che gli attendenti non potevano vedere essere in realtà una parrucca, che nascondeva la testa quasi pelata della fanciulla. Don Brennero era un conte e rinomato scienziato spagnolo, che aveva dedicato tutta la sua vita nel fare coincidere la ragione della scienza, assieme allo spirito della controriforma, con la missione di portare la vittoria della lega cattolica sugli eretici ribelli protestanti dell’Unione evangelica. Viaggiava insieme alla figliola per dimostrare i frutti dei suoi esperimenti a favore della causa della guerra. Perché sua figlia stessa era l’esperimento e anche il risultato delle sue ricerche. In effetti la piccola aveva un segno particolare che dimostrava la sua strana natura: un tatuaggio col numero “011” tatuato sul polso. Il padre a volte si riferiva a lei come “Undé”, abbreviazione di “undicésimo”, “undicesima”. Vennero accolti da Lord Hans Spieghel, Che li accompagnò su fino al salone, dove a un grande tavolo li aspettavano Hopper e i comandanti dell’Armata: il generalissimo Albrecht Von Wallenstein, richiamato da poco in servizio dall’imperatore in persona dopo la disfatta del collega e rivale conte di Tilly, morto nello scontro di Rain nell’aprile scorso; l’italiano Annibale Gonzaga, duca di Mantova e Gottfried Heinrich, il conte di Pappenheim. 

“Facciamo il punto della situazione.” Iniziò Wallenstein. 

“Ci servono rifornimenti prima dell’attacco in Sassonia, quindi lei Heinrich andrà con cinquemila soldati a fare scorta di viveri nelle campagne circostanti, mentre voi Lord Hans e capitano Hopper ci darete una mano ad alloggiare i soldati in attesa della partenza, prenderemo anche dei viveri da qui, ma sarà un prelievo controllato: non ho intenzione di lasciar al saccheggio i miei uomini, giuro sul mio onore!”

“Ma quanto rimarrete qui?” Chiese il conte.

“Non molto, contiamo di ripartire entro una settimana.”

“Ma la gente non potrà darvi comunque molto: Lützen conta soltanto quattromila anime cristiane e voi siete ventimila!” Protestò Hopper.

“Capisco benissimo i vostri timori, ma non temete: stiamo facendo scorta per il viaggio, non per sfamare i soldati ora, quindi prenderemo soltanto il 20% dei viveri da ogni centro abitato della regione, compreso questo, nessuno morirà di fame. Capisco che per molti sarà comunque una seccatura, ma ci serve tutto il supporto possibile se vogliamo sconfiggere gli eretici protestanti, soprattutto gli invasori svedesi!”

“A proposito, non c’è il rischio che attacchino il villaggio mentre voi siete di stanza qui, vero?” La più grande paura di Hopper, e di tutti gli abitanti in generale.

“No, no: abbiamo ragione di credere che Gustavo Adolfo sia indaffarato in altri piani, e ben a sud, in Baviera. Probabilmente neanche di aspetta quello che stiamo per fare, attaccando il suo principale alleato, e anche se lo sapesse non farebbe in tempo a raggiungerci.” O almeno questa era la sua grande speranza, per cui pregava per cui pregava il buon Signore e la Madonna ogni sera e ogni mattina, prima e dopo d’alzarsi dal letto. Aveva già subito troppe insolenze da parte dei suoi nemici politici. Proprio lui, che aveva sconfitto innumerevoli volte i protestanti, era stato dimesso per vili intrighi politici. Lo sbarco degli svedesi in Pomeriana e la morte di Tilly gli presentarono l’occasione d’oro per dimostrare all’imperatore Ferdinando le sua abilità in conando ancora una volta. Ma doveva essere cauto: la distruzione di un altro esercito avrebbe aperto la strada per Vienna ai protestanti, non poteva sbagliare. Vittoria o morte.

Si voltò verso gli ospiti spagnoli.

“E Don Brennero insieme a sua figlia Giovanna, sono qui proprio per aiutarci a prevedere le sue mosse.” La ragazzina, sotto indicazione del padre, si tolse la parrucca suscitando sorpresa tra i presenti.

“Don, ma sua figlia è malata? Mi dispiace molto…” reagì Gonzaga.

“No, no, apprezzo la vostra empatia ma non temete” rispose cordialmente con un sorriso il padre “La calvizie di mia figlia è solo un effetto collaterale del processo che sto per mostrarvi.” Delle guardie portarono dentro il salone a forza, un uomo incatenato ad armi e piedi.

“Senior, ve pressento Lord Olaf Stegson, ufficiale dell’esercito svedese, concessoci grazie alla brillate vittoria di Senior Wallenstein ad Alto Verde.” L’omone tedesco ringraziò con un cenno della mano.” 

Intanto la ragazzina si stava bendando gli occhi con una fascia, mentre suo padre sistemava sulla sua testa uno strano casco. La stranezza di questa situazione non convinceva a fondo Hopper, che non riusciva a comprendere che cosa centrasse questo “esperimento” con la guerra santa. 

“Questo casco ha una rivestitura interna di tungsteno, che permette insieme alla copertura degli occhi di effettuare una completa deprivazione sensorial. I miei esperimenti hanno permesso a Undé, o scusatemi: é l’abitudine, Giovanna, di sviluppare il potere nascosto del cervello umano. E quindi, di entrare nelle menti altrui!” Tutti rimasero sbalorditi da quest’ultima affermazione.

“Quindi ci state dicendo, che vostra figlia è seriamente in grado di leggere i pensieri di quell’uomo?!” Poppernheim non sembrava convinto della fattuabilitá di questo vostro intento.”

“Suvvia, Heinrich, lasciate dimostrare a Don Brennero le sue teorie! È venuto fino a qui dalla Spagna per aiutarci, e ora come ora, ne abbiamo si grande necessità.”

“Ma com’è possibile tutto questo? Non sarà mica magia nera?!” Si allarmó Hopper.

“Assolutamente no, qui non c’è nessuna magia, solo scienza! Se vogliamo progredire come genere humano, dobbiamo superare gli oscurantismi che lo scorso ssecolo, hanno rotto L’Unità della civiltà crisstiana!” Arringò a suo favore il conte, nel suo marcato accento spagnolo che faceva sibillare le s e marcare le r.

Intanto la ragazzina aveva concluso i preparativi.

“Undé! Mostrarles tu poder!”

“Si, Papa!” 

Lo svedese, piazzato davanti lei iniziò ad urlare mentre i suoi occhi si rovesciarono. La ragazzina teneva una mano tesa verso il capitano straniero, e dopo qualche secondo iniziò a parlare.

“L’essercito de Gusstavho Adolffo se trova ancora oltre il Lech. Lui è nella ssua tenda, está mirando delle carte. Esta…esta ablando con un hombre: vogliono occupar Los villaggi e città della bassa Alemanna. Non ssanno del vostro piano de atacar la Sassonia.”

“Ma come fa a sapere della nostra missione? Non gliene avrete parlato voi, Wallenstein?” Commentò scioccato l’alto ufficiale di Mantova. Ma il collega alzò le mani in segno di resa, per dimostrare di non essere stato lui.

“Tranquilli, tranquilli Senor! È stata Giovanna a leggerlo nella mente de Don Wallenstein, perché in linea de aria con los svedesse. Les stessa ha risposto alla domanda che albergava nella vostra testa.” La risposta lasciò gradevolmente sconcertato il tedesco, perché per quanto incredibile, aveva perfettamente senso: il prigioniero era di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo e lei aveva dato quell’informazione nell’esatto momento in cui si era chiesto quali fossero i piani del re svedese. I galantuomini si raccolsero intorno all’ospite per congratularsi con lui, mentre  il prigioniero, sanguinante dagli occhi, veniva sollevato fuori.

Ma Hopper non riusciva a stare tranquillo, c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che aveva visto. Una fanciulla, tantomeno di quell’età, non sarebbe mai dovuta essere utilizzata per scopi così sinistri. Una vena di tristezza fu intravista da lui negli occhi di lei, quando i loro sguardi si incrociarono per un secondo.

Ma poi, l’assurdo accadde: le luci iniziarono a tremare, e i peli sulle braccia dei presenti si rizzarono per un inaspettata tensione che riempiva l’aria. Un ombra si innalzò dietro il conte spagnolo, tutti guardarono atterriti nella sua direzione, poi si voltò e i suoi occhi videro l’orrore puro. Era il:

“Demogorgone!” Esclamò Will, pieno di entusiasmo, mostrando agli amici di fronte a lui, la pagina aperta del manuale di demonologia di Giovanni Boccaccio: “Genealogie Degli Dei Gentili”..

“Accipicchia! Che cos’è?!” Chiese spaventato ma allo stesso tempo estremamente incuriosito Mike.

“É uno dei più potenti demoni dell’inferno: si dice che fosse figlio di Giove, ma abitasse nelle viscere della terra, gettato lì da suo padre per quanto fosse orribile nell’aspetto, in attesa di uscire dal l’abisso e vendicarsi di suo padre!”

“Oh, e poi dicono di belzebub…” commentò Lucas.

“Ma non è tutto, si dice che se vieni preso da lui, ti-“

“Bambini! E ora del coprifuoco! Domani dovete andare a scuola del pastore.” Entrò improvvisamente la signora Wheeler, con indosso uno dei suoi eleganti abiti di seta indiana, regalategli dal marito dopo uno dei suoi fruttuosi viaggi. 

“Ma madre, ancora qualche minuto, ve ne prego! Solo Will è in grado di leggere così bene da poter narrare dei libri di folklore!”

“Niente scuse giovinciello! È tutto il pomeriggio che siete qui, avrete tempo domani.”

Tutti si alzarono, ma Dustin si fermò un momento davanti la padrona di casa, porgendole un incartato che aveva con se, dentro un fagotto. 

“Tenga Miss Wheeler! Me n’ero scordato di darglielo prima: salsicce fresche da parte di mio padre.” 

“Awww, tesoro. Ringrazialo da parte mia.” 

In realtà non se n’era scordato affatto, anzi, aveva aspettato che Nancy rientrasse per porla a sua madre in quel preciso momento e poterla spiare così dalla porta semi aperta, all’angolo del corridoio proprio in quel preciso momento.

La ragazza stava filando, quando notando l’occhiata dal sorriso ebete del ragazzino, si destò per chiudere la porta imbarazzata.

“Almeno l’ho vista per un qualche attimo”. Pensava tra sé, nella sua buffa testa di ragazzino. Dustin era il più grassottello tra i più giovani di Lützen, essendo figlio del macellaio, e potendo quindi consumare più carne nella media. Questo lo rendeva invidiato da alcuni, ma anche buffo agli occhi di altri, e oggetto di ischerzi e battute sulla sua ciccia sporgente. 

I fanciulli si avviarono fuori dalla porta, ma Will si fermò un momento per dire qualcosa all’amico di casa:

“Ti ruba l’anima.”

“Come?”

“Il demogorgone…se ti rapisce, c’è scritto nel tomo che ti ruba L’anima. Quindi sta attento Mike, so che te la fai sotto nel buio alla notte.” 

“Ahah, divertente. Ma ora sei tu quello che deve tornare a casa sua al buio, quindi vedi di fare attenzione tu al demogorgone.”

“Va bene, vediamo domani se mi avrà preso o no. Buonanotte.” Concluse con un occhiolino.

Will si avventuró per il tratto di bosco che portava a casa sua, ai campi fuori paese. Il vento faceva scricchiolare gli alberi e c’era buio d’ovunque intorno a lui, tranne che per la luce della luna piena, proveniente dal cielo. I discorsi di quella serata lo avevano inquietato assai, nonostante la sua spavalderia con Mike, quindi acceleró il passo per giungere il prima possibile alla sua umile dimora. A un certo punto però, sentí delle vere e proprie urla in lontananza, provenienti dal castello del Lord, sulla collina. Questo accrebbe ancor di più il suo timore. Giunto in prossimità del campo, al limitare della boscaglia, tirò un sospiro di sollievo, ma dietro di lui crebbe improvvisamente una sorta di ruggito. Prese a tremare e voltandosi molto lentamente: di fronte a lui vide l’orrore più grande che la sua mente di fanciullo potesse contemplare. Ma nessuno sentí urlare Will Bayern, di lui rimase soltanto il libro, caduto a terra, aperto sulla pagina dov’era ritratta quella mostruosità dal nome di Demogorgone.

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Capitolo 2
*** La scomparsa di Will Bayern ***


Capitolo 2- La scomparsa di William Bayern 

 

Nota autoriale: in questo capitolo alcuni personaggi diranno cose che urterebbero la sensibilità di certe persone al giorno d’oggi. Confido nella vostra capacità di contestualizzare la storia, che è ambientata nel’600, durante la stramaledetta guerra dei trent’anni. In fondo alla storia troverete anche una piccola rubrica dove vi spiegherò alcuni riferimenti storici presenti nel capitolo, che non tutti potrebbero capire.

Grazie per la vostra attenzione, buona lettura!

 

La scuola parrocchiale di Lützen era gestita da Padre Scott Von Clark, il simpatico e sorridente sacerdote del paese. La riforma di Lutero aveva portato in auge l’importanza dell’alfabetizzazione dei fanciulli. Insegnare loro la corretta interpretazione della Bibbia poi, li avrebbe resi meno influenzabili dai sermono eretici dei pastori protestanti. 

Mike, Lucas e Dustin si incontrarono come ogni mattina alle porte della canonica. Notarono fin da subito l’iniziale assenza di Will, che usualmente era il primo ad arrivare, desideroso di conoscenza com’era. Pensarono però che fosse probabilmente malato, non dandogli così troppa importanza. 

In compenso, il posto del loro amico venne occupato da una nuova arrivata: il gruppetto vide infatti sfilare sbuffando davanti loro una ragazzina dai capelli rossi, che non avevano mai visto prima d’ora. Essendo Lützen un paesino, si conoscevano tutti. Così la rossa si vide addosso occhiate curiose di cui avrebbe fatto volentieri a meno. 

I suoi abiti erano un po’ più eleganti di quelli di una contadinotta, ma meno curati di una figlia di mercanti. In effetti, il vestito blu scuro e dalla gonna larga che indossava le era stato regalato da Neil, durante il saccheggio di una cittadina protestante, quando erano entrati tutto assieme in una casetta elegante del borgo, che poteva appartenere benissimo a un borghese come un mercante o un notaio. Uscendo prima degli altri dall’edificio, si imbatté nella precedente proprietaria, una ragazzina della sua età, che era corsa indietro per cercare di salvare almeno qualcosa dal saccheggio. Vedendo Maxine contenta come una pasqua, col suo vestito in mano intenta a scuoterlo al sole per liberarlo dalla polvere, scoppiò in un pianto furioso:

“Ehi! Ridammelo, è mio! Non è giusto!”

Per tutta risposta, Max fece sfogo della sua solita delicatezza dandole uno schiaffo così sonoro da farla cadere per terra. 

“Non è giusto, dici? Vedila così: è un risarcimento per quello che voi protestanti mi avete portato via.”

“Ma io neanche ti conosco!”

“Allora lascia che mi presenti: Maxine “Fearbach Max” (Mad Max in gaelico irlandese), Mayfield. Non fare quello sguardo da cane bastonato, non ti servirà più quando brucerai all’inferno nel girone degli eretici, brutta sgualdrina luterana!”

La fanciulla corse via mentre Max la guardava sorridendo, considerando questa una rivincita per cos’era accaduto in terra natia. Certo, vivendo in costante erranza il vestito si sgualcì in fretta, ma non importava: averlo sottratto dalle mani di una luterana era l’importante. 

A ogni passaggio per un centro abitato l’armata si dava alla baldoria del saccheggio, comprendendo anche le famiglie dei soldati al seguito come la sua. Gli capitò un giorno, di trovare un’altra di quelle case di gente facoltosa, che scappando di tutta fretta avevano lasciato la tavolata piena di leccornie per una cena coi fiocchi: bollito con mostarda, uva sotto spirito, strudel appena sfornati e strane verdure provenienti dalle Americhe chiamati “peperoni”. Si erano fiondati sull’abbondante pasto, ancora caldo, strafogandosi in allegria, concedendosi qualcosa di decisamente migliore del cibo da campo a cui erano abituati. Poi come di consueto, passarono a svaligiare le camere, alla ricerca di bauli nascosti contenenti preziosi: un autentico momento famigliare seicentesco! 

“Secondo voi chi sarà?” Chiese Mike.

“Boh…ma è carina!” Sorrise Dustin.

“Già…” aggiunse Lucas.

“O signore, ma vi sentite?! Non sapete nemmeno da dove sia sbucata e già gli sbavate dietro. Padre Scott vi definirebbe dei lussuriosi.” Protestò ironico Mike. 

Proprio in quel momento la nuova arrivata passo davanti loro. Gli sguardi di lei e il ragazzo etiope si incrociarono, in quello di lei c’era stupore non avendo mai visto prima d’ora un nero. 

“Ehi, ciao!”

“Ciao…”

Ora i due si fissavano in silenzio, mentre gli amici di Lucas li guardavano imbarazzati. Lui sorrideva come un ebete, essendo il primo approccio in vita sua a una ragazza, mentre lei analizzava perplessa le sue peculiari caratteristiche anatomiche. Dopo un po’, Max ruppe lo stallo ed entrò nella canonica.

“Già mi ama!”

“Vedrai, con quei capelli rossi si scoprirà che è una strega che ti ha fatto un malocchio!” Mike concluse la frase facendosi il segno della croce.

“Una strega dici? No no, é un angelo.”

“Sei una causa persa.” Rispose Dustin. 

Ora erano seduti ai loro banchi, tranne la nuova ragazza, che stava affianco a Padre Clark in attesa di essere presentata. 

“Dustin, rullo di tamburi!” Il ragazzino incominciò a picchiettare sul banco con le dita, mimando il suono dello strumento.

“Diamo un caloroso benvenuto alla nostra nuova compagna di gregge, direttamente dalle verdi colline d’Irlanda: Maxine!”

“É Max.”

“Come?”

“Maxine é il mio nome, nessuno però mi chiama così, ma Max.”

“Va bene.”

“E comunque non vi consiglio di affezionarvi troppo a me, sono solo di passaggio e sono venuta qui oggi perché il mio patrigno voleva starsene da solo con mia madre stamani.” Un risolino si diffuse per la sala, soltanto Max non rideva.

“Non si sa mai, cara Max. Le vie del signore sono infinite! Ora prendi posto.”

La rossa si sedette sbuffando: non nascondeva a nessuno che non sarebbe voluta essere lì.

“Bene ragazzi, oggi vi parlerò delle parabole di Gesù. In particolar-“ Non poté finire la frase che la porta si spalancò furiosamente. Sulla soglia, un ansimante e visibilmente scosso sceriffo Hopper. Il suo sguardo incontrò brevemente quello del pastore, per poi cadere sui tre amici di Will.

“Voi tre! Nella sacristia, devo farvi delle domande. Ora!”

Le risposte che ricevette alla domanda:

”avreste un idea su dove possa essere finito Will Bayern?” Furono caotiche, confuse e accavallate una sull’altra. 

“Uno alla volta!” Urlò infine, esausto l’omone. 

“Eravamo a casa di Mike” prese la parola Dustin “Will ci aveva portato il libro di demonologia del vecchio Woham.”

“Demonologia? Che ci faceva con un tomo del genere?” 

“Will sta dipingendo San Giorgio contro il drago per il conte. Il libro gli serve per conoscere e rappresentare meglio queste creature, ci sono anche i draghi!” Rispose al suo posto Mike.

“Ma soprattutto il demogorgone!”

Hopper a sentire quel nome si paralizzò all’istante. Sembrava sul punto di iniziare a tremare come un bambino impaurito dai racconti della nonna sull’uomo nero, per far obbedire i nipotini. 

“Hop…tutto a posto?” Chiese Lucas. 

“Si…parlatemi di questo demogorgone.”

“Will ci ha detto che è figlio di Giove. Venne buttato nelle viscere della terra dal padre per l’orrendo aspetto, finendo per covare il male e il peccato per millenni. Ora si è alleato con Satana e aspetta di uscire dalla sua prigione per vendicarsi sulla razza umana.” Disse Dustin. 

Hopper rimase in silenzio, contemplando quelle parole. 

“Ma non siamo sicuri se si sia inventato qualcosa per arricchire il racconto, perché al contrario di lui, noi non sappiamo leggere.” Aggiunse Lucas.

Ancora nessuna risposta dall’uomo, che ormai fissava a vuoto il muro sulla loro destra. La faccenda iniziava a farsi inquietante. 

“Hop…perché ci stai facendo queste domande? Will sta bene?” Chiese Mike.

“Ragazzi…William Bayern é scomparso.”

“Come?!” I tre rimasero basiti, nessuno si perdeva mai in un posto come Lützen. Will, non viveva neanche troppo fuori il paese. Ora che Mike osservava meglio lo sceriffo, iniziò a notare qualcosa di strano: i suoi abiti avevano tagli in più punti, come se fosse stato aggredito da un animale; ma ancora più inquietanti erano le macchie rosse che aveva sparse qua e là sulla camicia. 

“Ma…ma quello è sangue?”

“Hopper lanciò uno sguardo ai suoi vestiti, rendendosi conto solo ora dello stato in cui versavano.

“Ragazzi, devo andare. Ma voi rimanete qui: Lucas, tuo padre interrogherà tutti i ragazzi.” Non servirono le implorazioni dei tre amici per sapere qualcosa in più, Hopper si fiondò all’uscita come se il diavolo stesso lo stesse rincorrendo. Chissà, forse era proprio così…

Visto che il padre di Lucas non poteva interrogare i ragazzi tutti assieme, e anche se loro tre avevano già dato la loro versione dei fatti furono costretti a rimanere lì fino a quando non avesse finito, Mike e Dustin iniziarono a fare delle ipotesi sulla scomparsa di Will. Secondo il primo, l’amico, inquietato dalla storia del demogorgone e dai rumori del bosco, si era perso nella vegetazione e si era addormentato in qualche cespuglio. Qualche taglialegna lo avrebbe trovato probabilmente nel pomeriggio e sarebbe divenuta una storia da ripescare per quando lui li avrebbe presi in giro di nuovo, per essersi spaventati per le storie di mostri dei suoi libri. Secondo Dustin invece, Will era stato rapito da uno di quei mercenari appena giunti in paese e sarebbe giunta a casa di Joyce una richiesta di riscatto a breve.

“Oh per favore, ma se sono una famiglia di contadini! Avrebbe avuto senso se avessero rapito me o te; cioè, i nostri hanno soldi da parte, ma loro campano grazie all apprendistato di Will, praticamente.”

“Ma forse lo sanno e quindi si aspettano che il vecchio Woham paghi per loro. D’altronde, non vorrà mica perdere un così talentuoso apprendista, no?”

“Hmmm. Tu cosa ne pensi Luc-“ Mike si interruppe nel vedere che l’amico stava parlando con la stregetta pel di carota, in fondo alla sala. “Oddio…”

“Non ti credo!” Esclamò Max.

“È tutto vero: questi cani che ridono si chiamano “iene” e da dove provengo, sono animali domestici quanti i cani spinoni qui.”

“Hai mai incontrato il re Salomone?” 

“Oh cielo, voi europei siete fissati von questa storia: me lo chiedono tutti! In Etiopia non c’è nessun re Salomone; il nostro re si chiama Negus e quello attuale è Alam Sagad Fasilsdas!”

“Se lo dici tu…non è che vi è proibito parlarne del re Salomone agli stranieri?” La ragazza abbozzò un sorriso, facendogli l’occhiolino.

“Santi numi! Se non posso convincerti, credi a quel che vuoi. Piuttosto, parlami dell’Irlanda. Non ne so molto.” L’umore di Max cambió radicalmente nel giro di qualche attimo. Lo sguardo si abbassò, triste; sembrava che solo sentir nominare la terra natia l’avesse incupita.

“Non me la sento veramente…” Lucas si sentiva in colpa di aver tirato fuori un argomento che evidentemente, le faceva tornare in mente ricordi dolorosi.

“Ehi, scusami. Non volevo.”

“No, tranquillo. Non è colpa tua.” Lucas voleva sollevarle il morale, per vedere di nuovo quel suo raggiante sorriso. Così combinò quella, che tra gli ubriaconi in taverna, viene definita una sonora cavolata. 

“Ti confido una cosa, perché mi voglio fidare di te.” Lei sembrava interessata. 

Lucas si avvicinò al suo orecchio e iniziò a sussurrarle qualcosa:

“Mike, lui…protestante…ma tutti lo sanno che…e quindi fanno finta di niente…” mentre le parole le attraversavano la testa, gli occhi di Max si riempivano di stupore.

“Davvero?!”

“Eh già!” Improvvisamente Max si incamminò verso Mike con un sorriso sardonico stampato in volto, mentre il diretto interessato la guardava avvicinarsi perplesso.

“Ehi, aspetta, che fai?” Protestò Lucas.

Quando ella giunse di fronte a Mike, si mise i pugni sui fianchi e iniziò a canticchiare con tono ironico:

“Bastardo protestante, bastardo protestante, bastardo protestante! Peggio dei giudei, dei turchi infedeli e dei satanassi dell’inferno! La tua anima è più schifosa di quella di un cane con la rabbia! Bastardo protestante, bastardo protestante, bastardo protestante!” 

“Hai finito?” Chiese Mike, col tono più pacato possibile per non sembrare impressionato dalla goliardica trovata bardesca di Max. 

“Hmm vediamo…ah no, ne ho ancora una: se Gesù diceva che è più facile per un cammello passare la capocchia di uno spillo, che per un ricco entrare in paradiso; io dico che è più facile che il tuo merdoso Re D’inverno diventi Sacro Romano Imperatore, che un ricco protestante come te entri in paradiso!”

“Il Re D’inverno non è il mio re, soltanto perché la mia famiglia è protestante. Non siamo neanche luterani, ma anglicani! Veniamo dall’Inghilterra!”

“Ah, ancora peggio! Quindi pensi che gli irlandesi come me vadano sterminati per rubare la nostra terra?”

“Ma no! Ti conosco solo da stamani! E la mia famiglia non è ricca come il conte, se ci tieni a saperlo.”

“Ma se Lucas mi ha detto che tuo padre è un mercante, che sta in mezzo ai cattolici soltanto per fare soldi.” Mike si girò scioccato verso l’amico che nel frattempo stava sudando freddo, per la piega che aveva preso la situazione. 

“Cosa?! Sei stato tu a dirgli queste cose?!”

“Si, ma non pensavo che avrebbe reagito così!” Lucas si rivolse verso Max “guarda che te l’ho confidato solo perché sapessi che puoi fidarti di me, non perché insultassi Mike. Siamo amici da tempo e ti giuro che non è come pensi tu.”

Ora Max iniziava a sentirsi in colpa: effettivamente Mike non sembrava uno di quei zelanti eretici che le avevano portato via tutto. Inoltre, se viveva in mezzo alla gente di Lützen ed era amico di Lucas, che sembrava un tipo a posto, non doveva essere poi così male.

“Ok…magari non sarai un bastardo come immaginavo, ma rimani un eretico. Coraggio Lucas, andiamo a vedere i fiori nel giardino.” E con questo prese il ragazzo sotto braccio, incamminandosi verso l’uscita. Lucas si voltò verso Mike mentre camminava per sussurrargli un: “Scusa!”

Mike e Dustin si guardarono confusi. 

“Quella strega lo sta plagiando…” disse a denti stretti Mike.

“Ah le ragazze, ci fregano dai tempi di Eva…” concluse Dustin. 

Nel frattempo, a casa Bayern l’umore era grigio per ovvi motivi. Brocket, l’affittuario dei loro campi, aveva permesso a Joyce e Johnathan di non lavorarli quel giorno ed andato a porre le sue condoglianze. Il figlio maggiore aveva trascorso tutta la mattinata insieme a lui e altri uomini offerirsi volontari a passare al setaccio i campi, in cerca del fratellino ma senza risultati. Più passavano le ore, meno speranze rimanevano di trovarlo, o trovarlo almeno vivo. Oramai Johnathan era l’unico che non si aspettava di trovare il suo cadavere dilaniato dalle bestie del bosco; ma nonostante, tirava avanti confidando nella provvidenza divina. 

Ora sua madre stava piangendo sulla spalla di Nancy Wheeler e sua madre Karen, venute a farle visita. 

“Coraggio, sono sicura che lo troveranno.” La consolava quest’ultima. 

“Oooh lo spero davvero…” 

La porta si aprì. Johnathan, sudato e ansimante era sulla soglia. Sua madre gli lanciò un occhiata con occhi speranzosi, ma lui abbassò lo sguardo e scosse il capo. Joyce affondò di nuovo la testa sulla spalla di Nancy e ricominciò a piangere.

“Il mio bambinooooo…”

Johnathan si avvicinò, lNancy lo prese per mano, pronunciando sottovoce:

“Mi dispiace…” Lui rispose facendo un cenno col capo, mentre una lacrima gli rigava il viso. 

Dalla porta fece la sua comparsa anche Hopper.

“Ti scongiuro Hop, dimmi che hai trovato Will!” Lui avrebbe voluto dirgliene di cose, ma non poteva raccontargli di aver assistito al massacro di sei soldati la sera prima, giunti in soccorso al generale Wallenstein, per difenderlo da un demonio talmente orribile che a stento se ne ricordava l’aspetto, tranne che aveva un aspetto umanoide con due braccia e due gambe. La creatura era misteriosamente scomparsa dopo il breve scontro, lasciando tutti allibiti e terrorizzati. Don Brennero aveva perso una mano, tranciata di colpo da uno degli artigli della bestia, e ora stava sistemandosi al suo posto una delle sue diavolerie scientifiche: una mano di metallo, in grado di muoversi come una vera. Finito il lavoro, si guardò intorno.

“Undé, Undé! Dov’è finita mia figlia?!”

“Signore, è scomparsa insieme al demonio. Si è messa tra me e lui quando si è lanciato contro il generale.” Rispose Annibale Gonzaga. 

“Oh no! Ha usato i suoi poteri per portarlo via da qui…mi ninã…”

“Signor Brennero, sono sicuro che vostra figlia stia benissimo visti i suoi poteri. È capace di difendersi meglio di tutti i presenti qui. Le devo la vita, è un eroina.” Disse Wallenstein, chinandosi per guardare negli occhi il lord spagnolo. 

“Eroina?! È solo una bambina! Non dovrebbe affrontare certe cose; tutto questo è assurdo! Dovremmo chiamare l’inquisizione, degli esorcisti!” Protestò Hopper: in quanto sceriffo non poteva ignorare qualcosa del genere, e gli sembrava che i presenti avessero perso la bussola dalla leggerezza con cui ne parlavano. Quella ragazzina era stata costretta a torturare mentalmente un uomo e poi ad affrontare un mostro dell’inferno, c’era qualcosa di profondamente sbagliato in questo. 

“Sono d’accordo, c’è un demonio che scorrazza per il mio Feudo! Pronto a trucidare anime cristiane per le strade di Lützen! Esigo che impiegate i vostri uomini per dargli la caccia!” 

“No no no! Il nostro obbiettivo rimane sconfiggere la Lega Evangelica, probabilmente quella creatura se ne andrà da sola, qualsiasi cosa sia.” Rispose per conto di Wallenstein, Poppenheim. 

“Voi siete un codardo! So a cosa state pensando: “tanto tra poco ce ne andremo, lasciamo questo cavillo al piccolo vassallo di campagna.” Ma vi ricordo, che questo è uno stato del Sacro Romano Impero come tutti gli altri!”

“Mi date del codardo?! Stiate attento alla vostra lingua, che potrei esigere onore.” Disse sfoderando la spada l’ufficiale.

“Fermi! Fermi signori. Capisco le vostre paure, ma dobbiamo rimanere uniti.” Intervenne il generale, fermando la mano armata del collega, mentre Hopper faceva lo stesso col conte.

“Poppenheim, lei partirà per Lipsia come prestabilito. Ma impiegherò i miei uomini per cercare Giovanna e cacciare il mostro, lo giuro!”

“Ma se quando sarete partiti non l’avrete ancora ucciso, cosa succederà?” Chiese Hopper.

“Non temete, mi prenderò personalmente carico di questo onere.” Si propose Gonzaga, il duca di Mantova. 

Hopper non era convinto fino in fondo di questo piano, ma era meglio di niente. La sua pistola spingarda non aveva neanche ferito il demone, tantomeno le spade e alabarde dei soldati morti combattendolo. Gli pareva che a questa gente importasse soltanto della guerra, di questioni d’onore, di difendere il loro nome. Quindi ci avrebbe pensato lui a difendere la sua gente, la gente di Lützen.

I ragazzi stavano incamminandosi lanterne, badili e forconi in mano sul sentiero del bosco. Avevano preso la roba dal capanno degli attrezzi della sacristia, dicendo a Padre Clark che li avrebbero utilizzati per esercitarsi a coltivare la terra. “Che credulone! È un brav’uomo, ma ogni tanto dovrebbe fidarsi meno della parola degli altri.” Commentò Mike.

“Guardate cosa gli ho preso dall’ufficio!” Dustin tirò fuori un crocifisso in legno. “Se il Demogorgone si avvicina, glielo punto in faccia e così brucerà grazie allo Spirito Santo!”

“Ehm…non credo che funzioni in questo modo.” Commentò Lucas.

“Già, lo Spirito Santo non è mica un arma.” Aggiunse Max.

“Ma tu cosa vuoi saperne? E poi che ci fai qui? Sei soltanto una ragazza, scommetto che quando vedrai il demogorgone scapperai via tenendoti la sottana. Vai a lavorare a maglia con tua mamma, piuttosto.” Mike non riusciva proprio a digerire che la ragazza si fosse accollata a Lucas, e ora ci fosse il rischio che potesse unirsi al gruppo.

“Guarda che sono più esperta di combattimenti di tutti voi messi assieme: sono una mercenaria! E poi, guarda cosa mi sono portata dietro.” Max estrasse da una tasca nascosta tra le pieghe della gonna un coltellaccio, abbastanza spesso da poterci uccidere un cinghiale.

“Wow! Ma chi te l’ha dato quello?!” Chiese Dustin entusiasta. Essendo figlio di macellai, la vista di coltelli lo fomentava.

“Il mio patrigno. Mi ha anche insegnato ad usarlo.”

“Ma l’hai mai utilizzato veramente?” Chiese piccato Mike.

“Meglio che non ne parli…ma vedrete che stasera ne farò buon uso se incontreremo questo bestione!”

“Max!” Una voce calorosa ma furibonda la fece sobbalzare, tanto che per un pelo non le cadde l’arma di mano. 

Un ragazzone con un largo cappello in testa, si avvicinava al gruppo dei ragazzi rossi nel faccione dalla rabbia.

“Dove cazzo eri finita?! Devo sempre prendere le botte da mio padre perché ti perdi in giro!” 

“Ehm…scusa Billy!”

“Chi é?” Chiese Lucas.

“Billy, il mio fratellastro.”

“Ora vieni con me e smetti di rompermi i coglioni almeno per oggi!” Il ragazzone la prese per la mano, trascinandola via di peso.

“Ehi, piano! Mi fai male!” Max si girò un ultima volta verso i ragazzi. “Scusatemi, mi sarebbe piaciuto venire a caccia di mostri insieme a voi. Sarà per un altra volta, ci vediamo prima che parta!” Li salutò con la mano libera. Tutti fecero altrettanto, tranne Mike, che la guardava a braccia conserte.

“Finalmente si è levata di torno. Benedetto sia suo fratello!” 

“Ma smettila, vedrai che diventerete amici anche voi, prima o poi.” Lo ragguagliò Lucas. 

“Ah certo, dopo che mi ha chiamato “bastardo protestante” e tutta quell’altra sfilza di insulti, andremo d’amore e d’accordo. Tanto è solo di passaggio, non vedo l’ora che parta.”

“Se la conoscessi meglio, e lei te, vedreste che c’è del buono in entrambi.”

“Ragazzi, potremmo riprendere il cammino? Siamo qui per cercare Will, giusto!? E si sta facendo buio.”

Il gruppo si immerse quindi nella boscaglia, aveva cominciato a piovere e la luce di faceva sempre più fioca. Mike accese quindi una lampada ad olio, illuminando il cammino col suo giallo e caloroso bagliore. A un certo punto sentirono degli strani rumori, accorsero timidamente al punto da dove provenivano, timorosi ma trepidanti allo stesso tempo di poter trovare Will o il Demogorgone. Ma per loro sorpresa, la luce della torcia di Mike illuminò il viso spaventato di una ragazzina dalla testa rasata. 

 

Curiosità storiche: il “Re Salomone” a cui si riferisce Max, è una leggenda diffusasi in Europa a partire dal medioevo, secondo cui nell’Etiopia cristiana regnasse un discendente del famoso re ebraico, dotato della stessa saggezza è capace di fare miracoli. La cosa buffa è che ai concili e conferenze internazionali che si tenevano in Italia, ai rappresentanti etiopi veniva sempre chiesto a riguardo di questo re, ma ovviamente loro negavano la sua esistenza perché non esisteva davvero. Ma gli europei si convincevano che facessero così perché fosse una loro legge non parlarne con gli stranieri, affinché rimanesse un segreto e nessuno invadesse il loro regno per rapirlo. Proprio come accade nella scena tra Max e Lucas! 

 

Il Re D’Inverno di cui parla invece con Mike fu Federico V Del Palatinato. Il responsabilmente dell’inizio della guerra dei trent’anni e della defenestrazione di Praga. Quando i principi protestanti dell’impero gli proposero una secessione con lui come loro imperatore, accettò subito e lanciò giú dalle finestre del suo palazzo gli emissari imperiali che gli intimarono la resa. Verrà però presto sconfitto nel 1618, alla battaglia della montagna bianca, dovendo anche fuggire da Praga stessa e rimanendo di conseguenza un re vagabondo e senza terra per il resto della vita,costretto a chiedere protezione agli alleati protestanti. Per questo venne definito coll’appellativo canzonatorio di “Re D’Inverno”, perché il suo regno durò praticamente per il solo autunno-inverno del 1618. Confidava nella vittoria perché sua moglie, la principessa inglese Elisabetta Stuart, si fece promettere dal padre rinforzi che non arrivarono mai per le tensioni in terra natia, che porteranno vent’anni dopo alla guerra civile.

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Capitolo 3
*** Il Giovane Soldato, La Principessa Calva e La Fanciulla Sventurata ***


Capitolo 3: Il Giovane Soldato, La Principessa Calva e La Fanciulla Sventurata 

 

Una folta compagine d’uomini in arme e comuni abitanti s’aggirava per i boschi in cerca di qualche traccia, segno di vita (o ahimè, morte) del povero Will Bayern. 

Il suo nome risuonava per la foresta spaventando uccellini posati sui rami, daini che brucavano l’erba e marmotte che scavavano le loro tane. 

“Will!” “Bimbo, non avere paura! Tua mamma chiede di te!” Urlavano i partecipanti ai quattro venti, ma per ora, senza risposta. 

A condurli v’erano il Gonzaga e lo sceriffo Hopper. Quest’ultimo camminava ora affiancato da un giovine, l’assistente del comandante italiano.

“Mi chiamo Raimondo Montecuccoli.” Si era presentato prima a lui, con un sorrisone che poco si addiceva alle tetre circostanze, ma trapelava un energia così vivace da mettere il buon umore a Hopper stesso.

“Siete anche voi italiano?”

“Si, provengo dal castello che mi ha dato il cognome: Montecuccolo, in provincia di Bologna.”

“Ho sentito dire che avete salumi niente male da quelle parti!”

“Eccome, mortadella in primis. L’ha mai assaggiata?”

“Una volta si, ma mi chiedo come fate a mangiarla in grandi quantità: era così salata, che dopo due fette già dovetti bere una caraffa d’acqua.”

“Eheh lo so, ma è proprio quello che la rende gustosa.” I due si percepivano già in sintonia: era bastato uno scambio di battute a farli sembrare zio e nipote a occhi estranei.

“Com’è che siete finito nell’esercito del Sacro Romano Impero?”

“Dopo la morte di mio padre, 13 anni orsono, fui accolto com’era sua intenzione nel testamento, dal cardinale Alessandro d’Este di Reggio Emilia, fratello del duca Cesare di Modena. Ma la carriera ecclesiastica non faceva per me, così chiesi a mio zio (ufficiale d’artiglieria), di trovarmi un posto nelle file imperiali: ed’eccomi qui! Ho già avuto il battesimo del fuoco l’anno scorso a Breitenfeld! Avrebbe dovuto vederla: che battaglia imponente!” 

“Scusami se te lo chiedo figliolo, ma cos’hai fatto in quello scontro? Eri nelle retrovie, spero.”

“No no, ho combattuto in prima fila e sono stato anche catturato dagli svedesi!”

Hopper rimase strabiliato e basito. Certo, i nobili si vantano spesso delle loro imprese in guerra, ma di quella in corso (tanto terribile e sanguinosa era), proprio mai. Tant’è che gli unici veterani di guerra che  si incontravano in giro a raccontare storie di guerra come un vanto personale, erano vecchi uomini che avevano combattuto come mercenari per i polacchi contro i russi a Klušino nel 1610, o contro i turchi per gli austriaci sempre in quei anni. Lord Hans aveva pregato il signore, la madonna e tutti i santi ogni giorno affinché non arrivasse nella sua contrada, e quando comparvero all’orizzonte le nere file di picche e le sgargianti tappezzerie degli stendardi, gli tremavano le mani e gli occhi dall’apprensione. 

Era la prima volta che gli capitava di sentire un giovanotto, così entusiasta di imbracciare le armi e rischiare la propria vita in quel sporco affare che durava oramai da 14 anni ed era soltanto alla metà della sua durata. 

Hopper non poteva sapere (e figurarsi immaginare), però che quel ragazzotto dall’aria poco sveglia e l’aspetto umile dovuto alla lunga e verde casacca e gli stivaloni, sarebbe diventato uno dei più grandi condottieri mai vissuti e uno dei pochissimi a non aver mai perso una battaglia in vita sua. 

Raimondo Monteccucoli sarebbe infatti passato alla storia per essere stato il primo a sconfiggere l’imponente esercito ottomano in campo aperto, nella battaglia del San Gottardo nel 1664. Sempre lui sarebbe stato il più brillante comandante imperiale della fase finale della guerra dei trent’anni, e l’unico a riuscire a tenere testa nei conflitti successivi, al migliore dei generali di Luigi XIV, il “re sole”: il “Grand” Turenne. 

Ora però, come già detto, appariva ad Hopper solamente come uno scemotto entusiasta di cose che non comprendeva neanche. Pensava che sarebbe morto presto, prima di rendersi conto di cosa fosse veramente la guerra; ma gli stava troppo simpatico per dirglielo in faccia e rovinare i suoi sogni. Si limitò quindi a concludere il discorso con un finto sorriso:

“Ah però! Buona fortuna.” 

Più indietro Gonzaga e Padre Clark nel setacciare le frasche, seguendo i due, discutevano nel mentre quando il discorso virò su Hopper stesso. 

“Certo che ci tenete proprio a questo bambino: non ho mai visto uno sceriffo impegnarsi tanto a trovare un fanciullo scomparso nei boschi.” Disse il conte di Mantova.

“È molto affezionato ai più piccoli per un trauma passato: la peste di portò via dieci anni or’ sono, sia la moglie che la figlioletta. Aveva solo sei anni; non è mai più stato lo stesso.” 

“Ah, che storia triste…” vedendolo ora da lontano, l’uomo parve al nobile italiano non più come un risoluto uomo di legge, la cui importanza e valore dipendevano quasi unicamente dal lignaggio di sangue e dalla forza fisica, com’era solito vedere tutti; al contrario, i suoi occhi era un essere umano, un uomo ferito che cercava di riparare la sua anima aiutando gli altri. Quello a cui ogni cristiano dovrebbe mirare, ma che sembrava ultimamente il mondo se ne fosse scordato.

A casa Wheeler, i padroni e Nancy erano usciti per andare a consolare la povera signora Bayern e Johnathan. I ragazzi poterono nascondere quindi nella cameretta di Mike la misteriosa ragazzina dai capelli corti. Indossava un vestito elegante nero con decorazioni d’orate, dalla larga gonna, il colletto in pizzo bianco e un corsetto non troppo spento in vita. L’abito portava però in più punti strappi che sembravano potersi ricondurre a graffi di un animale. Il tempismo del ritrovamento, misto al suo mutismo a qualunque domanda (a cui di limitava a fissarli in silenzio con sguardo triste come sola risposta), rendeva il tutto inquietante.

“Chi sei? Una nobile o figlia di ricchi immagino. Sei arrivata qui con l’armata?” Le chiese Mike, ma Di nuovo, senza successo.

“Tu sei pazzo a tenerla in casa qui, la staranno cercando e crederanno che l’abbiamo rapita per estorcerle denaro, sei pure un protestante, Mike!” Cercò di smuoverlo Lucas.

“Ma no, non vedi quanto è spaventata? Una belva l’avrà attaccata, come minimo ci ringrazieranno.” Controbatté l’amico.

“No no, io non ci sto. Ora vado a chiamare mio padre e gli spieghiamo tutto.” Lucas si mosse verso la porta, ma pomello in mano, questa si richiuse di colpo quasi per magia, quando la misteriosa sconosciuta le lanciò uno sguardo mentre ansimava.

“No.” La sua prima parola.

Il trio rimase in silenzio a fissarla, atterriti com’erano da questa svolta paranormale. Il primo a reagire fu Dustin, e non bene, anzi per niente.

“É UNA STREGAAAA! CI MANGIERÁ VIVIIII!”

Si attaccò alla maniglia della porta, cercando disperatamente di aprirla con tutte le sue forze, ma senza risultato. 

“VOGLIO LA MAMMAAAAAH!” Mike e Lucas lo tirarono via prendendolo dalle spalle, finendo tutti e tre per terra.

“Ma ti vuoi calmare?!”

“OH MIO DIO, NON VOGLIO MORIRE!”

Solo dopo un minuto buono di lotta e un bernoccolo provocato da un pugno in testa da parte di Lucas, il ragazzino cicciottello si calmò. La “streghetta” nel frattempo, era rimasta seduta a fissarli con occhi spalancati. Finalmente Mike cercò un approccio diverso, avvicinandosi a lei con cautela prendendola per mano.

“Il mio nome è Mike, Mike Wheeler. Sono protestante, ma puoi fidarti di me, un amico.”

“A-amico?” Chiese lei timorosa. 

“Si: un amico. Quindi, perché non inizi a presentarti? Come ti chiami?” Lei rimase in silenzio a guardarlo ancora per un po’, quando la sua risposta giunse finalmente con un esuberanza, alquanto inaspettata:

“Essoy Juana Ariana Brennera De Las Tierra de Castillia, tipos de cretinos! ¿ Cómo terminé en la casa de un hereje protestante, Dios mios?! Es todo un encreible desastre: hay un demonio rondando este pais.” A quel punto sfoderò un accusatorio indice puntato contro Dustin “Y me acusas de ser bruja! Feo e ignorante patán cabrón que eres!”

“Ehiiiii! Calma un po’: ci stai spaccando i timpani! Ma che sei caduta in un buco in Spagna e sbucata qui?” La interruppe finalmente la protesta di Lucas. 

“Credete mi abbia lanciato contro un malocchio?” Chiese pallido dal terrore Dustin. 

“Ma per favore, al massimo ti avrà mandato a quel paese in una trentina di modi diversi nella sua lingua.”

“Ragazzi, silenzio un attimo! Credo abbia detto qualcosa di importante.” Li zittí Mike.

Si accostò nuovamente a lei, guardandola negli occhi.

“Hai parlato di un demonio, giusto?”

“Si…” rispose lei, ancora ansimante dallo sfogo.

“È per caso simile a questo?” Gli porse il libro di demonologia di Will, che avevano trovato nel bosco, sulla pagina aperta del Demogorgone. 

“Si…credo.” Per fortuna parlava e capiva un po’ di tedesco.

“E hai visto un ragazzino? Si chiama Will, è nostro amico. Credo che lo abbia rapito il demogorgone.”

“Si, si! C’era…yo vista. Esso…tomado, Will.” I tre si guardarono negli occhi, spaventati ma speranzosi al contempo. 

“E ci puoi aiutare a trovarlo?”

“Yo creo…si.” 

Max stava cenando con i suoi e Billy nella loro tenda da campo nell’accampamento. Stavano seduti sul terreno pratoso, coperto all’interno del riparo da tappeti presi in case saccheggiate durante la campagna. Mangiavano una zuppa di farro e verdure, cucinata da sua mamma il pomeriggio nel loro calderone da campo. Spesso Max vedendola ravanare col grosso cucchiaio di legno nella pentola, amava viaggiare di fantasia e immaginare che sua madre fosse una strega, e preparasse pozioni magiche lì dentro.; così il farro e il porro divenivano pollici di orco e occhi di salamandra, mentre le foglie di verza, ali di pipistrello.

“Com’è andata la giornata Maxine? Hai visto qualcosa di bello in giro?” Le chiese Neil. 

“Oh sí! All’inizio non ero molto entusiasta di andare alla canonica, ma ho conosciuto tre ragazzi, beh diciamo due, davvero simpatici.” 

“Ma guarda te!” Riprese il patrigno, rivolgendosi a Billy “La nostra volpetta si fa amici più velocemente di una vera volpe all’inseguimento di una gallina. A te invece verranno i capelli bianchi prima che ti svegli.” Max detestava quando Neil faceva così: perché doveva essere così gentile con lei e sua madre, ma invece così burbero e sfottente nei confronti di Billy? Per questo il fratellastro la detestava, ma non era colpa sua. Se solo suo padre fosse un po’ più gentile con lui, magari potrebbero essere amici, o almeno non tenersi sempre il muso.

“Attenta Susan: uno di questi giorni Maxine ci fa uno scherzo e scappa via col principe azzurro!” Continuava scherzoso il patrigno.

“Per l’amor del cielo, spero proprio di no!Ha solo tredici anni, non sono mica una di quelle madri che danno in promessa le loro figlie prima che abbiano l’età da matrimonio!”; “Ed ecco qui, ora mia madre si preoccuperà ancora di più grazie alle tue battutine Neil” pensava Max nella sua testa, ma esprimendolo tirando un sospiro e roteando gli occhi. Questi finirono per incrociare quelli di Billy, che scoprì essere posati con sguardo serio su di lei. Max abbozzò una linguaccia come per dirgli: “che vuoi da me?” Billy distolse il cipiglio sbuffando, mentre la sorellastra tornò a guardare sua madre. 

A un certo punto Neil venne chiamato fuori da un soldato, e quando tornò ancora più esuberante di prima. 

“Mi hanno dato una promozione: sarò l’aiuto te da campo del generale Wallenstein!”

Nancy e la sua migliore amica Barb stavano tornando alle loro case, tenendosi compagnia durante il tragitto. Era sera, il vespro si stava immergendo nel cielo portando con sé le stelle, presto non si sarebbe più visto nulla ad un palmo dal naso fuori dalle stradine del paese.

“Santi numi Nancy! Presto sarai la più discussa di Lützen se continui così!”

“Si può sapere perché ti importa tanto? Se lo amo lo amo.”

“Ma è solo un contadinello.”

“Un contadinello dal cuor gentile e degno di rispetto quanto il più virtuoso dei signori. Devo ricordarti di cosa è successo al fratellino di Johnathan? E di quanto si stia impegnando a cercarlo e nel mentre a prendersi cura della madre? Non riesci a vedere la bellezza delle più lodevoli virtù dietro le sue azioni?”

“Tuo padre comunque non accetterà mai di farvi convogliare in matrimonio.”

“Non mi importa un fico secco di cosa pensa lui!”

“Ma ti senti?! Te l’ha insegnato lui questo linguaggio da rozzi bifolchi? Non ti riconosco più, Nance…”

“E io non riconosco più te, Barb. Dov’è finita l’amica d’infanzia che mi sosteneva sempre in tutto?” Nancy si incamminò a passo celere verso casa sua, sostanziandosi da lei e ignorando le sue suppliche. 

“Nance, dai aspetta: non volevo offenderti. Sai che ti voglio un gran bene.” Ma nulla serví, e così Barbara si ritrovò sola a incedere pensierosa e intristita, cercando di trattenere le lacrime, resasi conto di come ingiustamente aveva trattato la sua migliore amica. In fondo, se Johnathan era davvero questo bravo e industrioso ragazzo, non sarebbe stato un poi così terribile partito, e suo padre (che s’era fatto da solo non così diversamente dal giovine contadino, ritrovandosi per altro straniero in terra di fede diversa e ostile alla sua), lo avrebbe anche potuto introdurre al suo esercizio commerciale; chi era in fondo lei per giudicarla, se questo amore era vero e corrisposto?

Purtroppo però, questi non furono gli ultimi pensieri di Barbara Holland. Bensì, ben più cupi e colmi di terrore, visto che l’ultimo suo atto nella vita datagli da nostro signore fu voltarsi per aver udito uno strano ruggito dietro di lei e lanciare un grido acuto e lacerante il silenzio condito dal suono delle cicale che avvolgeva Lützen.

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Capitolo 4
*** La Stramba di Müppen Strasse ***


Capitolo 4: La Stramba di Müppen Strasse

 

Nota autoriale: in questo capitolo, ho sperimentato un po’ con la lingua nella parte di Nancy e Johnathan, per provare a dare al racconto uno stile più antiquato, come se fosse un racconto dell’epoca. Fatemi sapere se vi piace. 

Quel mattino, Lützen ebbe un terribile risveglio, il peggiore della sua storia. 

La prima, povera spettatrice di questo orrore fu la signora Wetmitz, che disgustata dal tanfo di morte proveniente da sotto casa, aprí le serrande per vedere da cosa provenisse, ed ebbe quasi un attacco di cuore al solo rimirare quell’orrore. 

Il secondo a sopraggiungere fu invece Emmund Stroisse, che attirato dalle urla di orrore della povera donna, ne lanciò un altro ma ben più rauco e meno squillante.

Ben presto tutto il paese sopraggiunse nella viuzza, formando un cerchio rumoreggiante di folla intorno alla pozza di sangue e interiora, che aveva insozzato quel pezzo di strada. 

Ben presto una voce iniziò a serpeggiare tra gli abitanti di Lützen: Barb Holland non aveva fatto ritorno a casa la sera prima: il suo letto era vuoto e freddo. La terribile conferma giunse quando i genitori videro tra i macabri resti l’anello regalatole dal padre nel giorno del suo sedicesimo compleanno, ora insozzato del suo stesso sangue. 

“La mia bambinaaaaaah! La mia povera, piccola, Baaaaarb!” Piangeva tra i singhiozzi e sorretta dalle braccia del marito, la signora Holland. 

Lord Hans, Hopper e i suoi uomini cercavano di calmare la folla e di tenerla lontano dai resti, ma presto questi iniziarono a notare un altro dettaglio: questi emanavano un mortifero tanfo di zolfo; e questo significava nelle loro menti timorate una sola cosa:

“É opera del demonio!” “Ci sono streghe e fattucchieri tra di noi; l’hanno uccisa con la magia nera!” “Satana ha maledetto le nostre case!”

“Suvvia, suvvia. Non traete conclusioni affrettate.” Cercava di calmarli Padre Scott Clark “Come vi dico sempre: essere superstiziosi non significa essere buoni cristiani; dio è ovunque, il diavolo no.”

“Ma Padre, come spiega allora la puzza di zolfo?” Gli chiese il padre di Dustin, il signor Handerson.

“Lo zolfo non è una sostanza di un altro mondo; potrebbe essere stato un animale che vive vicino a una fonte di vapori. Non sto dicendo che non sia stata una disgrazia, lo è senza dubbio, ma questo non significa che dobbiamo lasciarci andare a facili isterismi.”

Nel frattempo, Nancy Wheeler guardava con occhi bagnati e doloranti ciò che rimaneva rimaneva della sua migliore amica, la sua migliore amica che aveva abbandonato a sé stessa al sopraggiungere del vespro, soltanto per uno stupido litigio da mocciosi. La sua bocca era aperta come se dovesse dire qualcosa, ma non disse niente, e se anche lo avesse detto, non sarebbe stato nulla di gentile nei propri confronti. Ora Nancy stava lì, spaesata e triste, pallida come un cadavere e passiva come se fosse morta. Non si poteva dire lo stesso di sua madre:

“Lo so io cosa è successo! Da quando è arrivata qui l’armata sono iniziate ad accadere strane cose, quei soldati, sono stati loro!” Un vocio di indignazione e rabbia si diffuse.

“È vero, in quella carovana gira gentaglia di tutti i tipi.” “Ho sentito che quando hanno fame, i mercenari praticano addirittura cannibalismo dei loro compagni morti.” “Per non parlare poi si quelli che saccheggiano i campi e le case dei contadini.” A sentirli, si geló il sangue a Joyce Byers: possibile che abbiano ucciso e mangiato anche il suo piccolo Will?”

Il signor Wheeler tirò la manica della moglie, per cercare di calmarla.

“Non mi sembrano cose da dire in pubblico tesoro, non di certo in questo momento. Ti ricordo che siamo protestanti in un paese in guerra con la nostra religione, in una cittadina invasa da soldati cattolici.” Gli sussurrava all’orecchio, ma sua moglie non aveva proprio intenzione di farsi pestare i piedi da suo marito quel giorno.

“Anche Will e Barb erano cattolici, tutti sono cattolici in questo paese, ma non sono nostri nemici: ci hanno accolti come una famiglia. Vuoi deciderti a onorare i tuoi doveri di padre di famiglia e proteggerla, o aspetterai che quei bruti si mangino anche Mike e Holly o stuprino Nancy?!” Alzò la voce apposta, in modo che tutti potessero sentirla.

“Ha ragione! Non possiamo lasciarli toccare i nostri figli!” Si uní al coro la madre di Lucas, mentre il vocio diventava uno schiamazzo. 

“Non è il caso di accusare così i nostri alleati.” Protestò Lord Hans.

“I nostri alleati che mangiano i nostri figli?!” “Se lei è il Lord di questo paese, dovrebbe ordinargli di andarsene!” 

“Ehi ehi, calmiamoci tutti!” Urlò Hopper.

“Cosa sta succedendo qui?!” Tutti si voltarono nel vedere arrivare una piccola truppa, comprendente il generale Wallenstein, Don Brennero e Neil Halgrove. “Parli del diavolo…” commentò il padre di Lucas all’orecchio di Hopper. 

“C’è stato un altro omicidio, una giovine fanciulla stavolta” e si avvicinò all’orecchio di Wallenstein per finire la frase “Ad opera della “COSA”, se capisce COSA intendo.”

“Quello che mi preoccupa di più sono le voci di sedizione.” Rispose lui in tono di sfida.

“Incontriamoci stasera al castello per una riunione, dobbiamo parlare…” “su questo sono d’accordo.” Concluse Hopper, mentre il gruppetto ritornava sui suoi passi. 

Intanto Johnathan si avvicinò a Nancy, che si strinse a lui.

“Ora capisco veramente cosa provi.” Gli sussurrava in lacrime. 

“È una tragedia, ma andremo in fondo a questo mistero insieme, Nance…”

La coppietta decise di effettuare ricerche per conto loro. Da buon conoscitore dei boschi, Johnathan aveva una sua teoria: la scomparsa di suo fratello e la morte di Barb erano opera di un animale aggressivo che stava facendo scorte per il letargo, probabilmente un orso. Fiutava l’odore delle due vittime per poi inseguirle e rapirle/ucciderle quando le trovava sole e indifese; questo spiegava perché avesse attaccato un bambino e una giovine ragazza, ma non un uomo d’arme dei nuovi arrivati. La mancanza di resti o sangue di Will lo faceva ancora sperare di trovarlo vivo. Incominciarono così a seguire la strada che Nancy e Barb avevano fatto la sera prima, ma al contrario. 

Giunti nella boscaglia, Nancy vide qualcosa di assai strano sul tronco di un albero: un buco da cui fuoriusciva una luce rossa.

“Santi numi, dev’essere una porta per l’inferno!” Esclamò “non dev’essere stata una fiera a rapire tuo fratello, ma un demonio! Riferiamolo a Padre Clark.” Si coprí la bocca con le mani, dall’ apprensione.

“Non saltiamo a conclusioni affrettate: potrebbe essere muschio fosforescente, proveniente dall’interno; nelle grotte accade spesso, e i minatori talvolta ritengono irroneamente di stare vedendo la luce del sole.”

“Beh, questo parrebbe loro un sole alquanto malato.”

Johnathan si accucciò presso il buco e constatò con suo stupore che lo spazio succedente era ben più grande di quello del tronco. 

“Facciamo così, torniamo a riferire in paese e poi ci decideremo con Hopper sul da farsi.” Disse lui, mentre girato, si sgranchiva le gambe. 

Ma a nulla serví per fermare lei, che di gran corsa si era già intrufolata nel baratro scarlatto, e di lei si vedevano solo le scarpe affondarvi dentro.

“Nance, aspetta!”

Dall’altro lato, Nancy si ritrovò in quello che le pareva come una versione oscura di Lützen: tutto era uguale, ma circondato da un aura rossa e un cielo in tempesta. Inoltre, strani viticci si propagavano sul terreno e avviluppavano sugli alberi e muri degli edifici: pareva proprio di stare all’inferno, o ‘tosto, che lo inferno di Dante avesse rinunciato ai suoi gironi, e che preso spunto dallo scempio macellaio intercorrente tra cattolici e protestanti, si fosse riscoperto e riscolpito a immagine del campo di battaglia. 

Mentre posava lo sguardo sullo sconcertante paesaggio, incominciò a sentire un basso ruggito antistante lei. Voltatasi lentamente e con fare timoroso, i suoi occhi incrociarono un orrore, sí ben peggiore eppur cotanto famigliare alla povera Barb, anch’essa incontratalo la sera prima: c’era infatti un creaturo umanoide, irto su due zampe caprine, dalla pelle squamosa e sí priva di pelume alcuno, la testa pareva troncata, ma così scoprí che non era, quando questa di aprí come un fiore divelando fauci all’interno e un grido demoniaco. 

“Aaaah!” Nancy prese a correre verso il cunicolo da cui era entrata e solo con l’aiuto di Johnathan riuscì a scampare al pericolo. 

“Cos’hai visto, Nance?”

“Il demonio! Era il demonio!” Urlava in lacrime, aggrappata a lui.

A casa Wheeler si imbastivano i preparativi per qualcosa di altrettanto oscuro. Juana, la stramba ragazzina spagnola ritrovata nei boschi la notte prima, aveva richiesto a Mike e ai suoi amici un frustino e del sale. 

Non avevano ancora capito esattamente a cosa le servissero, ma era l’unica possibilità di scoprire che fine avesse fatto Will, quindi le portarono tutto senza fare domande.

“Ecco qui, anche se vorrei che mi dicessi a cosa ti serva, Ju-come hai detto che ti chiami?”

“Juana…ma te Líamame, chiamami, Undé”

“Undé?”

“Si…undici in espanol.” Tirò su una manica, mostrandogli un tatuaggio recante una serie di tre numeri in caratteri gotici: “011”.

“Wow, hai un tatuaggio! Tu sei molto più tosta delle altre ragazze!”

“Tosta?”

“Si, più…interessante, divertente. Le altre pensano solo a fare il cucito e a sognare di trovare marito una volta cresciute. Oh, dovresti sentire quanto è noiosa Nancy, mia sorella, quando passa i pomeriggi a parlare di quel Johnathan, manco fosse Re Artú. Tu invece, hai poteri sovrannaturali e hai combattuto contro un mostro: sei tosta!” Un risolino, il primo che Mike abbia visto di lei, scappò a Undé, e al solo vederla sorridere, gli vennero le farfalle allo stomaco; ora capiva Nancy.

“Ehi, stai diventando…todo rosso.” Mike se ne rese conto, e nell’imbarazzo cercò di cambiare argomento.

“Ehm….comunque, chi ti ha fatto quel tatuaggio, e cosa significa?”

“Undicesima….jo soy…undé figlia de papà.”

“E gli altri dieci? Sono rimasti in Spsgna? Avevo sentito che le famiglie nobili hanno molti figli, ma non pensavo che arrivassero a numerarvi. Hanno paura di perdervi?”

Juana abbassò lo sguardo, come se tristi ricordi fossero affiorati alla sua mente.

“Non volevo intristirti, scusami.”

“Tranquillo…”

“Comunque se ti facesse piacere, ti potrei chiamare Undi, suona meglio.” Lei sorrise, annuendo.

“Allora, piccioncini, vogliamo darci una mossa?” Disse, intromettendosi, Dustin affiancato da Lucas, che nel frattempo aveva recuperato il frustino per cavalli, dalla piccola stalla fuori casa Wheeler.

Voltandosi, Undi mostrò loro la parte alta della schiena, dal corsetto aperto. Lucas e Dustin si voltarono di scatto dall’imbarazzo, ma non Mike, che aveva notato qualcosa di strano. 

“Ma…Undi…chi ti ha fatto quelle cicatrici?”

I due amici si voltarono lentamente e incuriositi, per vedere poi, che una serie di segni superficiali segnavano la schiena della ragazza. 

“Io…le ho fatte io…cosí” Undi prese la frusta, per caricare un colpo, ma Mike la fermò, tenendole ferma la mano.

“Ferma! Che fai? Non vorrai farti del male da sola?!”

“Pentimento.”

“Come?” Chiese Dustin.

“Se chama cosí: i miei poteri…aumentano col pentimento.”

“Oh, credo di avere capito…” disse Lucas.

“Cosa?” Gli chiese Mike.

“Credo sia una di quei spagnoli ultra-religiosi, che credono che con la fustigazione e le penitenze, si riescano a fare miracoli.”

“Beh, lei è in grado di farli davvero, sempre che non sia una strega…”

“¡No soy una bruja!” Gli urlò contro, nuovamente lei.

“Va bene, va bene, ho capito! Scusa!” Alzò le mani, Dustin, in segno di resa, spaventato da lei. 

“De todos modos” riprese lei “É vero…io…sí milagros.”

“Oh, oh! Questa devo proprio raccontarla a Max!” Lucas era esaltato all’idea di fare ancora colpo sulla nuova arrivata irlandese. 

“Chi?” Chiese Juana.

“Dovresti conoscerla: é una ragazza tosta, figlia di-“

“No! Tu non le dici proprio niente!” Lo fermò Mike “questo è un segreto che deve rimanere tra noi, per la sicurezza di Will. Cosa succederebbe, se qualcuno facesse la spia e portassero via Undi?”

“Va bene, compreso, non le dirò nulla.”

“Lucas, giuramelo.”

“Si, te lo giuro; contento?” In realtà il ragazzo stava incrociando le dita dietro la schiena, ma questo Mike non lo vide. 

“Ma ci dev’essere un modo per trovare Will, senza farti male.” Disse Mike a Undi, prendendola per mano. 

“Forse…” 

“Forse?”

“Siguéme…seguitemi.”

Max stava passeggiando per le stradine, ingenuamente incurante della nuova opinione degli abitanti verso i nuovi arrivati come lei, dopo gli eventi di quella mattina. Ne aveva sentito parlare nell’accampamento, ma la sua vivacità la portava, come suo solito, a ignorare i rischi.

Saltellando per la via, di fronte a una bottega incontró due ragazzini, probabilmente fratello e sorella, che chiacchieravano. Riconosciutili dal seminario di Padre Clark, attaccò bottone.

“Come va? Non trovate sia una bella giornata di sole? Qui in Germania sono così rare!” Ma i due la fissavano piuttosto diffidenti.

“Si…” rispose timorosa la fanciulla. 

“Vi va di giocare a campana?”

“Non saprei…” rispose lui.

“Ma che vi prende? Mica mordo, eh.” Al solo sentire di quella parola, la coppia sembrò irrigidirsi ulteriormente. 

Loro madre aprí la porta e gli fece cenno di entrare, sussurrando non abbastanza piano da non farsi sentire da Maxine: “State lontani da quella…” e così sbatté la porta in faccia alla pel di carota, come se fosse un appestata che chiedeva l’elemosina.

“Ma andatevene a fanculo…” si disse tra sé e sé, per poi aggiungere, urlando con le mani alla bocca, nella speranza di essere sentita dall’interno:

“E siete fortunati, che non abbiamo il permesso di saccheggiarvi casa, altrimenti, vi porterei via anche i calzoni!”

Il conte di Pappenheim stava conducendo la sua divisione, circa cinquemila uomini dei ventiduemila dell’amata, attraverso la brughiera sassone, in direzione di Lipsia. Durante il tragitto, reclamavano rifornimenti dai campi e dalle fattorie che incontravano lungo la strada, per alimentare l’esercito imperiale, di cui la gran parte era rimasta ancora di stanza a Lützen. 

A volte bastava mostrare gli stendardi, e i contadini gli porgevano con timore nel cuore, i loro raccolti e parte del bestiame. Ma la fame e la fame, così, più spesso di un tempo, nei loro cuori ardeva la furia generata dalla disperazione e la voglia di rivalsa contro gli eserciti che devastavano le loro case da anni. Si armavano di ciò di cui disponevano, e organizzavano difese improvvisate, se non addirittura agguati ai soldati, indipendentemente da quale schieramento facessero parte. Nell’ultimo, avevano ucciso sei dei suoi uomini. Dopo aver represso la banda, Papphenheim fece impiccare tutti e venti i rimanenti, agli alberi dei meleti lí presenti. Forse, intingendo il sangue di questi bifolchi sul legno, la linfa avrebbe prodotto mele più rosse. 

Ma qualcosa di ben più inquietante sopraggiunse all’attenzione del conte, mentre si intratteneva in questi macabri pensieri: le piante nei campi erano strane.

“Signore, guardi: questi tuberi sono marci, mai visto nulla di simile!” Gli disse un soldato, porgendogli una patata dal colore violastro, e pendente di strani rampicanti. 

“O signore, questa gentaglia sarebbe capace di avvelenare i propri figli, se l’imperatore chiedesse loro di darglieli in tributo.” Osservando meglio, Henreich notò che questi rampicanti si estendevano per tutto il campo, collegando tra loro i tuberi interrati, come in una rete vegetale.

Un oscuro presentimento iniziò a farsi strada su per la sua schiena, come se quelle non fossero piantagioni di patate, o forse non più. In effetti, alcuni di quei zoticoni sembravano essere stati presi da una qualche frenesia mistico-religiosa, e farneticavano sbraitando di bestie del demonio, mentre li attaccavano. Altri tre soldati stavano cercando di estirparne altri, quando uno di loro iniziò ad agitarsi, come se qualcosa stesse per uscire dall’interno. Il trio indietreggiò di qualche passo, spaventato dall’incomprensibile evento; quando la verità venne si manifestò alla mente di Heinrich: non erano piante, ma bozzoli.

“Voi, via di lí!” Ma era troppo tardi: una sorta di canide, dalla testa a fiore come quella del demonio che aveva visto quella temibile notte al castello, tre notti or’sono, si avventò su uno dei tre uomini, spappolandogli la faccia. Il secondo scappò terrorizzato, mentre il terzo perse la gamba, quando un altra di queste bestie gliela azzannò. Decine di uomini accorsero armato di picche, spade e asce da taglialegna; ma solo la testa sembrava il loro unico punto debole, che però era difficile da colpire, vista la ridotta stazza e grande agilità. Poi, uno di loro puntò contro una bestia una torcia, e questa incominciò a indietreggiare, facendo comprendere a tutti che il fuoco era il loro punto debole.

A suon di colpi di spingarde e moschetti, il demoniaco branco venne messo a tacere, con Pappenheim che diede il colpo di grazia a una di loro con la sua rivoltella, a della del suo cavallo.

“Bruciate i campi! Non lasciate niente intatto!” Il fuoco avrebbe purificato tutto, come nelle sentenze dell’inquisizione spagnola contro le streghe. Ma il conte di Pappenheim non poteva più dirigersi a Lipsia per semplici rifornimenti, ora che aveva fatto questa orrenda scoperta; doveva avvertire Wallenstein. Così, dato alle fiamme il campo, la divisione fece dietrofront, quella sera stessa, per ritornare a Lützen. 

 

Dopo avere dato a Juana dei vestiti più umili, che avrebbero attirato assai di meno l’attenzione, il gruppo dei ragazzini si divise: Mike e Undi preparavano dei sacchi di lino, riempendosi di farina dal magazzino del padre di lui; mentre Lucas e Dustin andarono a recuperare una bussola a casa del primo. 

Uscendo da lí, il duo incappò in una sorpresa inattesa, e decisamente inopportuna per il momento: Max.

“Ehilà, come va?” Sbucò fuori sfoderando uno dei suoi esuberanti sorrisi. I due si guardarono increduli e indecisi sul da farsi. 

Lei notò subito il loro strano comportamento e corrugò la fronte.

“Che c’è che non va? Vi ricordate di me, no?”

“Ma certo che ci ricordiamo: Maxine, no?” Disse Dustin, imbarazzato. 

“MAX!”

“Si, certo, Max. Scusami” poi si rivolse verso Lucas “Senti, pensaci tu, ok?”

“Cosa?!” 

“Si, tu ci sai fare meglio di me con le ragazze, no? Andrai benone. Raggiungici dopo. Ciao, Max, ci di vede!” Mentre il figlio del macellaio se la squagliava, Max guardò ancora più cruciata, il ragazzino di colore, che nel frattempo, stava affogando nell’imbarazzo.

“Si può sapere cosa sta succedendo?” Chiese la pel di carota, a braccia conserte. 

“Ehm…no, o almeno, non ancora.” Ma lei non sembrava convinta, anzi solo più arrabbiata.

“Eh eh, scusa?”

“Cos’è? Avete iniziato anche voi a trattarmi male soltanto perché sono di una famiglia di mercenari, e quindi pensate che sia una cannibale?”

“Cooosa?! Assolutamente no! Semplicemente, ci sono dei segreti da amici, che ancora non possiamo confidarti.”

“Ma pensavo di essere già vostra amica.”

“Lo sei! E se fosse per me, ti direi tutto quanto, ma Mike mi ha fatto giurare di non dirti questa specifica cosa.”

“Oh, quindi preferisci dare retta a quello stronzo di un protestante, piuttosto che a me?!” Ora Lucas aveva decisamente toccato il tasto sbagliato. 

“Ehi, non metterla così: lo conosco da quando era piccolo.”

“Sai cosa c’è, Lucas? Pog mo thóin!”

“Cosa?!”

“Significa: “Baciami il culo” in irlandese!” E con questo, Max giró i tacchi e tornò sui suoi passi.

“Oh accidenti, Mike. Spero che ne valga la pena…” sospirò tra sé e sé, Lucas, sconsolato.

Quella sera, al castello, volavano parole grosse. 

“Questo è inaccettabile! Siete al servizio dell’imperatore quanto me, Lord Hans Gosper; non potete mancare ai vostri doveri in tempi di guerra!” Sbraitava, rosso in volto, il generalissimo Albrecht Von Wallenstein.

“Vi abbiamo dato tutto: viveri, merci belliche, fieno per i cavalli, e voi in cambio non avete neanche vigilato sulle voglie omicide dei vostri bastardi armati e delle puttane al seguito.” Rispose di muso Lord Hans.

“Non avete prove che siano stati i nostri uomini.” Si inserì il Gonzaga.

“Infatti, le vostre colpe sono anche ben peggiori a riguardo” rispose Hopper “o forse devo ricordarvi, che il vostro amico spagnolo ha evocato un demone in questa stessa sala, e che questo stia massacrando le anime innocenti di questo paese?”

“Se permette” disse con tono cordiale, ma perentorio, Don Brennero “io e i miei uomini stiamo continuando a cercare le persone scomparse, e mia figlia Juana è capace di difendersi da sola, come avete visto”

“Ma è solo una bambina!”

“Suvvia, perché siete così attaccati alle vite del popolino? I morti sono stati soltanto: un contadinello di dodici anni e la figlia di una sarta, neanche maritata.” Disse con tono beffardo, Wallenstein, alla direzione di Hopper e Hans. 

“Forse sarete abituati a buttare via le vite della gente sottoposta a voi, gente di città, ma io ci tengo agli abitanti di Lützen. Sono loro che mi fanno da mangiare e mi pagano i tributi; in cambio mi chiedono solo di poter vivere sicuri, io devo difenderli!” Hans era stato ferito nell’orgoglio. 

“Voi lord di campagna vi fate sempre intenerire dalle suppliche di chi vi serve, vi credete moralmente superiori, soltanto perché conoscete  i nomi di tutti i vostri sudditi.”

“Voi parlate con insolenza contro un lord con più anni di voi, e non solo; dovrei forse ricordare ai qui presenti, che originario di una povera, famiglia PROTESTANTE, e che avete scalato la gerarchia imperiale soltanto grazie al vostro talento opportunistico.”

“ADESSO BASTA!” Wallenstein schiantò le mani sul tavolo “la mia carriera non è affare vostro. Voi silenzierete i focolari di rivolta nel vostro feudo, o lo farò a modo mio.” Il generale e il suo entourage uscirono dal salone, lasciando Hopper e Lord Hans a meditare sul da farsi. 

“Forse, potremmo mandare una lettera di protesta a Vienna, la corte sa che siete alleato della corona, non possono trattarvi così, in qualità di principe elettore, per lo più nel vostro stesso feudo.” Hopper si avvicinò al suo signore, come farebbe un figlio all’anziano padre.

“Scrivendogli cosa? Che il generale ha evocato un demone per spiare il nemico, e ora fa finta di niente? Ci prenderebbero per pazzi, o peggio, pessimi bugiardi. No, ho un altro piano in mente, drastico ma efficace; anche se so che non ti piacerà.” Rispose, pensieroso con le mani poggiate sulle ginocchia.

“Di cosa si tratta?”

“Wallenstein non vede l’ora di andarsene e quel fanatico di Brennero non riuscirà mai a sconfiggere da solo il demonio. Quindi, lo obbligheremo a rimanere, facendo diventare il paese stesso un campo di battaglia, dove fortunatamente, il mostro rimarrà coinvolto e perirá.”

“Ma non vorrà mica dire che?”

“Si, mi hai capito bene: porteremo gli svedesi a Lützen.”

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Capitolo 5
*** Il disperato piano di Lord Hans Spieghel ***


Capitolo 5: il disperato piano di Lord Hans Spieghel

 

“Non capisco ancora, come trasformare Lützen in un campo di battaglia, possa risolvere il problema del mostro.” Disse un Hopper incredulo.

“Pensaci: il demonio si è palesato con l’arrivo dell’armata, questo significa che è attratto da grandi concentrazioni di persone. se evacuassimo in tempo la popolazione, l’entità apparirebbe quando i due eserciti si scontrerebbero, e così sarebbero costretti a ucciderlo; non potrà mica sconfiggere una tale quantità di soldati, dico io.” Hopper sembrava convincersi, ma era ancora pensieroso.

“Non lo so, e se qualcosa andasse storto? Se Wallenstein lo scoprisse e vi denunciasse alle autorità?”

“La Pomeriana ha siglato un accordo con gli svedesi, quando sbarcarono sul continente un anno fa. Lo fecero non per tradimento, ma per scampare ai soprusi di Torquato Conti, che infatti la gente chiamava “Conte Diavolo”, l’imperatore l’ha saputo e l’ha allontanato così dal fronte di guerra.”

“Come facciamo a contattare gli svedesi?”

“Andrai tu, senza vessilli o simboli di riconoscimento, al campo del re Gustavo Adolfo. Non sono lontanissimi; gli dirai che il tuo lord ti ha comandato di riferirgli che Wallenstein è nel suo feudo, esposto e intenzionato a marciare sulla Sassonia. Se ti chiederanno il motivo del gesto, tu rispondigli che l’ho fatto per inemicizie personali: il generalissimo ne ha di nemici. i comandanti imperiali penseranno che sia stata soltanto l’ennesima trovata geniale del “Leone del Nord” o un colpo di fortuna grazie a qualche intrepido ricognitore.”

“Va bene…lo farò, per voi, e per gli abitanti di Lützen.”

“Un ultima cosa” Lord Hans si avvicinò a un baule, da dove estrasse uno spadone da cavaliere. “Questa è “Vendetta D’Inverno” la spada tramandata da generazioni nella mia famiglia da padre in figlio. La ricevetti a quattordici anni, ma sono troppo vecchio ormai per utilizzarla; voglio che la prenda tu, come prova della mia fiducia nei tuoi confronti, Theodor.” Hopper era sul punto di piangere.

“Veramente? Ne siete sicuro?”

“Non ho mai avuto la fortuna di trovare moglie: le mie terre troppo esigue e il mio aspetto non dei migliori. Ma voi abitanti di Lützen siete stati la mia famiglia. E tu, Hop, come un figlio.” 

“Io…io porterò avanti il vostro volere, lo giuro!”

All’uscita del castello, Hopper incrociò Raimondo.

“Ho sentito che il vostro incontro non è stato dei migliori, mi dispiace.” Disse, genuinamente preoccupato, il ragazzone romagnolo.

“Non te ne duolere, ragazzo. Presto tutto cambierà per il meglio. Piuttosto, posso chiederti un favore?”

“Ma certo.”

“Io devo partire per un breve viaggio, per conto di Lord Hans. Per favore, in mia assenza dovresti proteggere una persona a me cara: si chiama Joyce Bayern.”

Joyce stava pregando la Madonna, come tutti i giorni e tutte le notti, affinché il suo piccolo Will fosse ritrovato sano e salvo. Aveva acceso vari cerini per tutta casa, e stava inginocchiata con le mani conserte, tutto il giorno di fronte a una madonnina intagliata in legno, opera di Johnathan.

“O ti prego, ti prego, fallo tornare a casa!”

A un certo punto, una delle candele prese ad accendersi e spegnersi in alternanza.

“C-cosa vuoi dirmi, oh signore?” Ma continuava a lampeggiare, non riuscendo a decifrarne un qualche significato.

Le venne un idea, efficace quanto pericolosa: prese altri cerini, e li dispose in fila di fronte al muro, alcuni sopra a degli scaffali. Poi, con un pezzo di carbone, disegnò tutte le lettere dell’alfabeto sulla parete. Ogni candela era abbinata a una lettera. 

Si accesero quelle che componevano la parola: “mamma”.

“Will, sei tu?” “Si”

“Dove sei, amore mio?” “Buio”

“Come buio? Vedi qualcosa intorno a te?” “Casa”

“Si si, devi tornare a casa, Will. La mamma ti aspetta.” “Aiuto.”

“Come aiuto? Cosa succede?” Nessuna risposta.

“Will! WILL!” Dalla porta entrarono Johnathan e Nancy, che rimasero sbalorditi nel vederla delirare, in qualsiasi cosa stesse facendo.

“Mamma! Sei impazzita?! Potresti dare fuoco alla casa!” Il figlio accorse a spegnere i cerini ancora accesi, e a metterli a posto. La madre, cercava di fermarlo, ma inutilmente.

“No, fermo. Non capisci: ho avuto una apparizione mistica, Will mi ha parlato!”

“E come?”

“Coi cerini, vedi? Si accendono con le lettere!” Ma lui scuoteva la testa, incredulo.

“Forse è meglio se esci un po’: stai impazzendo.”

“Te lo giuroooo! L’ho visto coi miei occhi!” Si era aggrappata a Johnathan, piangendo come una fontana. Anche a Nancy stavano venendo le lacrime agli occhi, impietositasi nel vederla così. 

Dalla porta irruppero anche Hopper e Raimondo.

Lo sceriffo prese in disparte la signora di casa, fuori nel giardino.

“Hop, devi credermi: stanno succedendo cose strane. Lo so che è assurdo, ma Will mi ha contattata!”

“Ti credo!” “Come?” Chiese lei, incredula di essere creduta così facilmente da qualcuno.

“Si, ti credo perché anche io ho assistito a degli eventi paranormali. Un mostro si aggira per Lützen, lui ha rapito Will! Non potevo dirtelo prima, ma ora è cambiato tutto. Lord Hans, mi sta mandando a contattare l’esercito svedese affinché vengano qui e nello scontro con gli imperiali lo uccidano, visto che Wallenstein pensa solo a levare le tende. Ho detto lo stesso già a Nancy e Johnathan, mentre quel ragazzo, Raimondo, vi proteggerà in mia assenza, ma non dovete dirgli niente del nostro piano, perché è un soldato imperiale, intesi?”

Joyce rimase a fissarla basita per qualche altro secondo, per poi esplodere in un sonoro:

“COSA?!”

Dopo averla tranquillizzata e rassicurata con ulteriori spiegazioni, Hop partí, mentre Johnathan e Nancy discutevano sul da farsi: non sarebbero stati con le mani in mano.

“Secondo te dovremmo dirlo a lui, almeno del mostro?” Chiese Nancy, facendo cenno con la testa in direzione di Raimondo, che nel frattempo faceva conoscenza con la signora Bayern.

“Si, ma diciamogli che è soltanto una bestia”

“Cosa avete detto che ci dovete uccidere con questi?” Chiese Raimondo a loro, dandogli dei fucili, che gli avevano chiesto.

“Un orso” “un lupo” si guardarono a vicenda, indispettiti: non si erano messi d’accordo prima sulla versione ufficiale dei fatti.

“Cioè…pensiamo sia un incrocio o qualcosa di simile…” disse Johnathan.

“Va bene, ma prima devo addestrarvi ad usarli. Sono pericolosi in armi inesperte.”

Raimondo mise delle bottiglie vuote su dei ceppi di legno, a mo’ di obbiettivi da tiro al segno.

Per l’incredulità dei due giovani, Nancy si dimostrò la tiratrice migliore.

“Accidenti, Nance…” il fidanzato era sbigottito.

“Davvero…dovrebbero prenderti nell’esercito imperiale: certi moschettieri non sono neanche capaci di mirare a un tizio che gli corre incontro, mentre tu hai centrato un obbiettivo a dieci metri di distanza al primo colpo!” Aggiunse Raimondo, dopo aver lanciato un fischio.

“Ahah grazie…” non era comune per una signorina di buona famiglia arrossire per complimenti simili, ma le vie del signore erano infinite, ed ecco qui Nancy Wheeler riscopertasi provetta fuciliera.

“Chissà…forse sarò io a difendere voi.” Disse poggiandosi il fucile sulla spalla, mentre masticava tra i denti una spiga di grano. Johnathan la guardava con occhi torbidi e lussuriosi; se fosse vissuto trecento anni dopo, l’avrebbe definita: “sexy”.

“Comunque, io preferisco combattere con questa”  Raimondo armeggiò con la sua lunga e possente alabarda, mettendosi in posa da battaglia.

“É un arma davvero impressionante! Quindi, tu vai in guerra con quella?” Gli chiese Johnathan.

“Sí, questa è l’arma dei capitani di fanteria come me!” Gli rispose il ragazzone, battendosi con un pugno sul petto.

Nei boschi vicino Lützen, il gruppo dei ragazzini si era riunito. Undi aveva spiegato loro di mettere la bussola sul terreno e di cospargervi intorno della farina. Sollevò poi le mani e la farina si alzò in volo, formando un vortice intorno allo strumento, il cui ago magnetico prese a muoversi.

“Jo…siento Will, me mostrerà in Che direcion está…” il “rito” stava mettendo le sue forze a dura prova.

“Io credo in te, Undi…” le disse Mike.

A qualche centinaia di metri di distanza, Don Brennero, il padre di Undi, era sulle sue tracce, o per meglio dire, stava per sguinzagliare i cani, sulle sue tracce. Mentre i suoi uomini tenevano al guinzaglio le belve, lui passava vicino i loro nasi un pezzo di stoffa che era parte del vestito della ragazzina, cadutole durante lo scontro con il demonio. 

“¡Fuerza! Encontrar y traer de vuelta m ninja.” Sapeva che non le avrebbero fatto del male, perché li aveva addestrati appositamente per ritrovarla e avvertirlo con un ululato, in caso fosse scappata da lui; lo stesso non di sarebbe potuto dire dei malcapitati che le avrebbero trovato accanto. 

Sciolte le redini, il branco partí alla caccia di gran corsa tra gli alberi del bosco, mentre il loro padrone li guardava allontanarsi con speranza e ambizione nel cuore. Nessuno le avrebbe portato via la sua Undé!

Intanto, al lago, Max e il suo fratellastro stavano seduti a guardare le anatre nuotare, con le gambe a penzoloni, seduti su una Pergola di legno. I loro genitori li avevano costretti a passare il pomeriggio insieme, per evitare che la ragazzina venisse aggredita da qualcuno, visti i recenti sviluppi.

Nessuno dei due sembrava gradire l’idea.

“Ehi…” ruppe il silenzio, Billy. Lei lo guardò.

“Che c’è?”

“Volevo solo dirti…che al contrario di quanto pensi, io non ti odio, Max.”

“Beh, neanch’io.”

“E che…che mio padre è un vero stronzo!” A Max venne da ridere nel sentirlo insultare Neil, per la prima volta.

“Ahah, su questo siamo d’accordo.”

“Davvero?”

“Decisamente, infatti penso che sia solo colpa sua se non siamo ancora diventati amici. E in fondo, mi dispiacerebbe anche se morissi in guerra” Billy la guardava con un misto di adorazione e sorpresa.

“E poi, sei l’unico che mi chiama Max e non Maxine al primo colpo. È un punto a tuo favore.” 

“Allora, riproviamo da capo?”

“Sí, perché no?” I due si strinsero la mano. 

Il destino però, aveva in serbo un futuro molto più cupo per i due fratellastri: un mostriciattolo, simile a un verme, ma con una testa a fiore, sbucò dal terreno, sulla riva. 

“Oh, che schifo! Ma cos’è?!” Si alzò Max, dal disgusto.

“Stai dietro di me!” Billy le fece da scudo ed estrasse la sua spada.

L’essere balzò in aria ed entrò nella sua bocca, Billy lasciò cadere l’arma e cercò di tirarlo via, aiutato dalla sorellastra. 

“Lascialo!”

Quando ci riuscirono, e lo buttarono di nuovo a terra, la ragazzina lo calpestò, spappolandolo.

“Nessuno tocca mio fratello!” Poi si voltò verso Billy “stai bene?”

Lui però pareva perso in volto, e dondolava senza rispondere.

“Billy…” un ceffone da parte sua, la fece cadere a terra.

Billy riprese l’arma e camminò via, come se non fosse successo niente. Sembrava posseduto da qualche entità maligna che lo manovrava come un burattino, il suo volto era deciso e tetro come se stesse per andare a uccidere qualcuno.

“Billy…fermati!” Ma a nulla serví e lei era troppo spaventata per inseguirlo.

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Capitolo 6
*** Il mostro ***


Capitolo 6: il mostro

 

Undi stava utilizzando tutta la sua forza mentale per captare la posizione di Will. Lo sforzo era così intenso, che la vista le si sdoppiava, la testa girava e i suoni si ovattavano. Ma teneva duro per Will, quel povero ragazzino che non era riuscita a salvare quella notte, e per Mike, che era stata la prima persona in vita sua a mostrarle un po’ di affetto. Avrebbe già perso conoscenza se non fosse per la sua voce rassicurante, che era l’unica cosa che riuscisse a sentire in quel momento.

“Coraggio, Undi, sei la nostra unica speranza.” La farina che vorteggiava intorno alla bussola seguiva il battito del suo cuore: finalmente non stava adoperando i suoi poteri per assecondare il volere di suo padre, ma per aiutare qualcuno a cui teneva davvero.

Il raccoglimento emotivo di quel momento, venne rotto dall’ improvviso sopraggiunge del feroce branco di cani di Don Brennero: il suo personale guinzaglio intorno al collo di Undi. 

Le bestie sorpresero i ragazzi, ringhiando e sbavando, piazzati tra Undi e loro.

“Piano, piano Fido!” Cercava di ammansirli Lucas, armeggiando con un bastoncino di legno, che venne spezzato in due dal morso di uno di essi. 

Neanche Dustin riuscì a calmarli, provando a lanciare loro un po’ di carne secca, che si portava sempre in tasca per sgranocchiarla quando veniva preso dai suoi attacchi di fame. 

Solo Mike non si mosse, e cercava di tenere lontano da Undi, uno di essi, facendole da scudo umano.

“Pablo, ¡Irse!” Urlò la ragazza, al cane, che però non sembrava voler mollare l’osso. 

“Aspetta, li conosci?” Le chiese Mike.

“Si, sono los cani de papa…ci ha encontré…trovati.” 

“Ti difenderò io.”

Alcuni uomini vestiti di nero e armati fecero la loro comparsa.

“Undé! Síguenos, te llevaramos a tu padre.” Disse uno di loro a Undé, con tono rassicurante.

“No, Ernesto! No quiero!” Undi rispose, gridando all’uomo. 

“¿Qué estás diciendo? ¿No quieres ver a tu padre?”

“NO!” La contessina decise di contrattaccare, agitando le mani nella sua direzione, la farina, che accecò il gendarme, facendolo cadere a terra. 

Mike la aiutò a rialzarsi. I ragazzi cercarono di scappare, ma vennero presto circondati da altre guardie armate. Undi li minacciava puntando le mani verso di loro, ma Ernesto (che evidentemente la conosceva più degli altri), prese come ostaggio Dustin, dopo aver sparato un colpo in aria per spaventarli e puntandogli una rivoltella alla testa. 

“Non voglio morire, non voglio morire! Mike, ti prego, aiutami!” Piagnucolava il ragazzino. 

“Dustin! Tranquillo, risolveremo tutto.”

Era uno stallo.

“Por favor, Undé, tu papá te ama…”

“me usa para sus propios fines! No me quiere como a su hija!”

Mike li guardava, comprendendo solo che quell’Ernesto stava parlando del padre di lei. Le mise una mano sulla spalla, e Undi rivolse il suo sguardo a lui per un momento, come per dirgli: “lo so che ti fidi di me”.

Intanto, Johnathan Bayern, Nancy Wheeler e Raimondo Monteccucoli, avevano udito gli spari e stavano accorrendo nella loro direzione. 

“Credi che abbiano trovato Will? Magari un cacciatore ha attaccato la bestia.” Ipotizzò Nancy, col fiato e per la corsa.

“Spero non abbiano scambiato mio fratello per essa!”

“Ehi, aspettate! Potrebbe essere pericoloso!” Li seguiva a ruota Raimondo.

Nella foresta, lo scambio di vedute dovette però interrompersi quando uno strano ruggito, lo stesso che sentirono Will e Barb, prese alla sprovvista Ernesto, che venne aperto in due come un pomodoro delle Americhe, lanciando in aria le sue interiora, da delle zanne che lo conficcarono dal dietro. 

In tutta la sua mostruosa, demoniaca magnificenza, il demogorgone fece la sua comparsa e iniziò a massacrare uno dopo l’altro, gli impotenti uomini e cani da caccia di Don Brennero. 

“Ernesto, NO!” Undi voleva lanciarsi contro il mostro, ma Mike la obbligò a seguirlo, trascinandola via dalle braccia. Lucas sollevò Dustin da terra; il gruppo stava per scappare via, quando l’orrore si fece ancora più intenso, facendo sfiorire la loro speranza in un sol attimo: un secondo demogorgone sbucò da un portale rosso dal terreno e si piazzò sulla loro via di fuga. 

I ragazzini rimasero impietriti.

Max fece la sua comparsa, arrampicatasi sulle frasche che avvolgevano la salita a lato. 

“Ragazzi! Mi serve il vostro aiuto! Mio fratello, Billy é-“ si fermó a guardare incredula l’essere alla sua sinistra “ma che cazzo é quello?!”

“MHUAAAAAAH!!!” Il demogorgone le urlò in faccia, col suo tipico ruggito, prorompente dalla faccia a fiore. Max urlò con tutta la sua voce, mentre il demone le si lanciava contro.

Rimase però, levitante a mezz’aria, quando Undi puntò una mano contro di esso, e poi lo schiantò telepaticamente, contro un albero.

“Muori!” Mimando l’apertura con furia, di qualcosa nelle sue mani, Undi smembrò in due, dalla testa ai piedi, il demogorgone.

“Uhm…ok. Cosa diamine é appena successo?!” Chiese Max. 

“È di questo che non potevo parlarti, lo capisci ora?” Le disse Lucas “volevo tenerti al sicuro!” 

“Ma stai scherzando?! Vi avrei aiutati, ricordi?!” Disse estraendo il suo coltellaccio dalla tasca nella gonna.

L’altro demogorgone si avvicinò.

“Sta lontano, demonio, o ti faccio a fette!” Ma l’arma si spezzò in due al primo impatto.

Max guardava ora la lama tagliata, incredula e spaventata da cosa aveva a che fare.

“Oh mamma…” 

“Max, attenta!” Lucas cercò di proteggerla, coprendola con la sua schiena dalla zampata del mostro, in arrivo; ma non serví, perché la bestia indietreggiò, quando un colpo di moschetto esplose sul suo collo, ferendolo. Tutti si voltarono, e videro Nancy, con un moschetto ancora fumante in mano.

“Accidenti, l’ho mancato per poco!”

“Nancy?!” Mike era perplesso.

“Mike! Che diamine ci fai qui?!” 

“Potrei chiedere lo stesso a te! Da quando vai in giro a sparare?”

“Non sono affari tuoi!”

Intanto, Johnathan era sopraggiunto e mirava al mostro col suo fucile. L’essere però riuscì a farglielo cadere di mano, con un attacco che il giovane schivò all’ultimo. 

Il demogorgone si avvicinava minaccioso a lui, ma Nancy non poteva ancora sparare perché i moschetto richiedevano un lungo periodo di ricarica, e anche Undi pareva doversi ricaricare, essendo quasi svenuta tra le braccia di Mike, con abbondante sangue che fuoriusciva dal suo naso. 

“Johnathan!” Pareva la fine per il fratello di Will, se non fosse stato per un fendente dell’alabarda di Raimondo, che si conficcò in mezzo alla testa del mostro.

L’essere si dimenava e il giovine soldato cercava di affondare del tutto la lama, che pareva essere incastrata nella dura testa della creatura.

“E muori, satanasso!” Johnathan accorse ad aiutarlo, e insieme, puntando i piedi nel terreno facendo da leva sull’asta dell’arma, riuscirono finalmente a decapitare il mostro, per poi cadere a terra esausti. 

“Che cazzo era quello?”

“Era l’essere che ha rapito mio fratello…ma evidentemente c’è n’è più di uno…merda…”

Iniziarono a sentire i passi e le urla di altri uomini in arrivo.

“Presto, andiamocene! Sono i soldati del conte spagnolo arrivato con l’armata. Vogliono lei” disse Mike, indicando con la testa a Undi, tra le due braccia “ma è la nostra unica speranza di ritrovare Will!” 

Sua sorella lo fissava seria e confusa. Annuí e l’aiutó a portarla via, seguiti da tutti gli altri. 

Quando Don Brennero e i suoi scagnozzi arrivarono sul luogo, trovarono solo un massacro di cadaveri a pezzi. 

“Ernesto…no…” si chinò sul corpo tagliato in due di quello che evidentemente era il suo preferito, trattenendo le lacrime. 

Poi però la sua attenzione si spostò sui corpi dei mostri uccidi, e la sua tristezza mutò rapidamente in una vivace curiosità. 

“Interessante…”

Billy giunse da suo padre, presso il comando del generale Wallenstein. C’era qualcosa di strano in lui: troppo poco disordinato nel muoversi, troppo poco timoroso nel vedere suo padre. Ma quel qualcosa, in qualche modo, lo stava facendo piacere di più a Neil.

“Billy, dov’è Maxine? Non l’avrai persa di nuovo in giro?”

“Oh no, Maxine é al sicuro, non temete, padre.” Gli rispose lui con un sinistro sorriso. 

“Stai bene? Ti vedo strano.”

“Mai stato meglio. Piuttosto, potrei aiutarti a fare da guardia al generale? Una mano in più non guasta mai.” Neil scrutava attentamente suo figlio, cercando di cogliere cosa l’avesse sbrogliato da quella matassa di pigrizia che era. 

“Va bene. Accomodati pure…” Eppure, anche se non gli pareva suo figlio, gli piaceva di più così.

La sera di quello stesso giorno, dalla altura di una collina, più a sud di Lützen, Hopper scorse i fumi e la variopinta moltitudine delle tende e dei vessilli in lontananza, dell’esercito svedese. Pareva che fosse ancora più vicino di quanto lui e Lord Hans di aspettassero.

“Eccoci qui. Dio, ti prego, non abbandonarmi ora.” E così, iniziò la discesa.

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Capitolo 7
*** Piani Di Guerra ***


Capitolo 7: Piani di Guerra

 

Nota autoriale: se vi piace il Trono Di Spade, adorerete questo capitolo e il misto di Stranger Things ed eventi storici che prenderà la fanfiction da ora in poi.

 

Hopper stava aspettando, seduta su una panca di legno, nell’anticamera del comando centrale (una palazzina abbandonata, presa in prestito dall’esercito svedese), ora circondato da una miriade di tende da campo. Aveva dovuto insistere non poco, per farsi accompagnare dalle guardie fino al loro re, avendo dovuto viaggiare in anonimo e non essendo facile credere al primo straniero che si incontra, il quale sostiene di essere emissario di un conte. 

Nel tragitto dalle porte fino all’edificio, aveva assaporato quel vitale, umanamente rozzo caos di un accampamento militare: mandrie di animali di disparate razze e tipi, girovagare in numeri che farebbero impallidire la più feconda delle fattorie, che probabilmente era stata saccheggiata da loro lungo il cammino. Gabbie di prostitute (chi volontarie, chi meno), chi tra loro piangeva o faceva moine ai passanti, per elemosinare loro un pezzo di pane in più. Bambini che scorrazzavano inseguiti dalle madri, imprecando parole dallo strano gusto norreno: figli e mogli dei soldati. Tende piene zeppe di feriti: senza arti, avvolti in bende che avevano perso il loro bianco venendo inzuppate dal sangue delle emorragie. Fonderie improvvisate, dove fabbri lavoravano instancabilmente nel riparare o fabbricare armi, bianche o da fuoco, per i soldati; dando però precedenza a quelle degli ufficiali. Gruppi di soldati e mercenari ubriachi marci, cantare in gruppi cori da buzurri: bevevano come muli per scacciare dalle loro menti gli orrori della guerra a cui avevano assistito.

Per non parlare poi del tanfo: ci sono poche cose che puzzano di più di un accampamento militare. Ovviamente non potevano contare su tubature fognarie, essendo un ammasso di tende, i bagni chimici non erano stati ancora inventati e non potevano migliaia di uomini, andare tutto assieme nei boschi per espletare le loro funzioni fisiologiche. Per non parlare poi degli animali da campo. 

Hopper dovette quindi trattenere l’impulso di vomitare l’anima, passando davanti ai mastodontici cumoli di merda umana e non, quando i suoi accompagnatori invece, v’erano ormai abituati e non ci facevano neanche caso.

In un accampamento si poteva trovare l’umanità in tutte le sue facce, nel bene e nel male. 

Capí di essere giunto al comando generale d’armata, quando vide sventolare l’altrimenti spartano edificio, i vessilli delle casate che stavano seguendo Gustavo Adolfo nella sua impresa. Tra questi, lo stendardo della casata di Vasa (la famiglia reale svedese dell’epoca) un vaso d’oro decorato ricolmo di grano, su un tricolore rosso bianco e blu, che taglia diagonalmente lo stemma. Accanto ad esso, quello dei suoi principali alleati tedeschi della casata di Sassonia-Weimar: su sfondo a bande orizzontali gialle e nere, una corona verde che le cinge trasversalmente come una fascia; e quello della famiglia dell’Alto Consigliere di Svezia, Axel Oxenstierna: uno scudo giallo ritraente corna rosse di un bufalo, con al di sopra di esso un elmo da cavaliere, con sulla testa quelle stesse corna e due drappeggi rossi scendenti ai lati. 

Nella sala d’aspetto, Hopper condivideva l’attesa con uno strano gruppo di cinque persone, che non riusciva proprio ad inquadrare.

Erano vestiti piuttosto umilmente, ma non abbastanza da considerarli contadini o mendicanti. Il loro “capo” indossava addirittura una corona, che stonava grandemente con la soartanitá del suo abbigliamento. Il suo sguardo era altezzoso ma timoroso allo stesso tempo, come se fosse stato buttato al mondo per ricoprire un grande ruolo, ma non ne fosse veramente capace, e pur cercando di nasconderlo, sarebbe voluto esserne degno essendo orgoglioso del compito affidatogli. Tra di loro poi, c’era un giullare, che non riusciva a tacere, ma tutti (tranne il nostro), continuavano ad ascoltarlo per combattere la noia dell’attesa.

“Tyll, fai un trucco per il tuo re!” Gli ordinò la testa coronata.

“Ai vostri ordini, sire!” Esclamò con gioia il buffone “guardatemi dritto negli occhi.”

Il “re” obbedì e nel giro di un minuto, le sue palpebre si aprirono sempre di più, fino a stampare sulla sua fronte uno sguardo fisso e stralunato. Poi il re cadde a terra come un sacco di patate.

“Signore e signori, Tyll Ulenspiegel!” Esordí uno degli accompagnatori, un uomo grasso e pelato, ma dalla barba lunga. Il gruppetto fece un applauso collettivo, mentre il buffone ringraziava con degli inchini e il loro sovrano era ancora privo di sensi, faccia a terra sulle assi del pavimento, la corona mezza caduta dalla sua testa. 

Hopper guardava loro perplesso: avrebbe voluto che qualcuno gli desse un pizzicotto, per capire se fosse stesse sognando, addormentato sulla panchina della sala d’aspetto, esausto dal viaggio, o meno. 

Poi però, un dubbio gli percorse la testa: Tyll Ulenspiegel, aveva già sentito il suo nome. Era…era…un famoso mago e giullare alla corte di…

“No, non è possibile!” Esclamò, attirando l’attenzione dei presenti “mi state dicendo, che questo tizio” indicando il sovrano, che stava per essere tirato su dai suoi uomini “É il Re D’Inverno?!”

“Ehm…si…” rispose un consigliere, visibilmente imbarazzato di doverne dare la conferma, in quella situazione. 

“Federico V del Palatinato…al vostro servizio…” bofonchiò il diretto interessato, sbiascicando le parole, ancora rintronato, agitando la corona nella mano destra. 

Hopper scoppiò a ridere, senza freni: se non fosse per il re di Svezia, come sarebbe ridotta male l’alleanza protestante, se questo dovrebbe essere il loro paladino!

“E pensa che questo è uno dei suoi giorni migliori!” Gli fece gomito-gomito Tyll, aumentando ancora di più la sua ilarità, che non riusciva a controllare proprio.

In quel momento, Hopper stava scatenando tutto il nervosismo che aveva accumulato in quegli anni, dovendo nasconderlo agli abitanti di Lützen, per apparire loro come il gioviale, affidabile e fiducioso sceriffo di paese. 

Era possibile che questo idiota fosse il responsabile dello scoppio della più grande guerra avvenuta in Europa fin’ora? Era possibile che un cretino tanto misero e inutile, fosse il responsabile della morte di milioni di persone, che un suo capriccio avesse ucciso la sua figlioletta, colpita dalla peste causata dal vagare incessante per la Germania di eserciti? 

La porta dell’ufficio si aprí e un attendente fece la sua comparsa. 

“Chi è il prossimo?”

Il “Re dei protestanti” si mise in piedi, ma Hopper gli passò davanti, rigettandolo a terra con una spinta, senza neanche degnarlo di uno sguardo.

“Passo prima io, coglione!” Nessuno protestò. 

La diceva lunga. 

Varcata la soglia, l’ansia riprese a salirgli: non era mai stato ricevuto da un re, un vero re. E se avesse detto qualcosa di sbagliato? Non conosceva l’etichetta o cazzate simili. E se il sovrano svedese non fosse stato interessato ad attaccare Wallenstein in quel momento? La sua missione era troppo importante per fallire ora: la vita degli abitanti di Lützen era in gioco. 

E così, al fondo del salone, accanto a un tavolo tattico, circondato da generali, consiglieri, cavalieri e guardie del corpo; Hopper vide finalmente Gustavo Adolfo.

“Siete al cospetto di re Gus-“ iniziò un attendente, che venne messo a silenzio con un gentile movimento della mano dal suo sovrano.

“Non c’è bisogno di questi convenevoli, il nostro amico qui sa benissimo chi è venuto a cercare”.

Non temete amici miei, ve lo presento io: Gustavo Adolfo, re di Svezia della casata di Vasa, secondo del suo nome, il Leone del Nord. 

I capelli biondi, la lunga barba rossa, le spalle larghe, le braccia possenti con mani vigorose che mostravano i segni delle battaglie combattute tra i calli delle dita, trasudavano un aura di autorità e potenza. Niente aveva a che fare con lo smidollato boemo della stanza precedente, il cui buffone aveva più dignità di lui. 

Stranamente però, dopo esservisi avvicinato, Hopper ritornò a sentirsi a suo agio. Quella sua aura, non intimoriva affatto chi lo incontrava, anzi, nel suo aspetto generale, aveva qualcosa da uomo comune, che lo faceva apparire come un suo pari, un altro sceriffo agli occhi di Hopper.

Ripreso coraggio, si fece avanti: “Mi chiamo Theodor Hopper. Sono lo sceriffo di Lützen, mi manda il mio signore, Lord Hans Spieghel. Abbiamo delle informazioni che vi interesseranno molto.”

A Lützen, i ragazzi si erano riuniti tutti a casa Bayern. 

“Vi dico che quell’affare che ha “posseduto” Billy, aveva la stessa testa a fiore del mostro della foresta!” Disse Max.

“Accidenti…questo cambia tutto…” Nancy le rispose, scoraggiata.

“Cosa intendi?” Le chiese Mike, che stava tenendo per mano Undi, posata con la testa sulla sua spalla; entrambi erano seduti su dei cuscini a terra.

“Pensavamo ci fosse un solo demogorgone, quando abbiamo trovato il buco per la dimensione infernale nel bosco. Ma questo significa che c’è un intera armata di esseri demoniaci che sta per entrare a Lützen.”

“Ehi, ehi, ehi! Aspettate un momento” intervenne Raimondo “dimensione infernale? Demoni? Che sta succedendo?!” 

“Non potevamo ancora dirtelo” gli rispose Johnathan “una di queste creature hanno rapito mio fratello”

“Il generale Wallenstein deve saperlo, setaccerà il paese per dargli la caccia.” Raimondo stava per dirigersi all’uscita, quando Joyce lo fermò.

“A Wallenstein non gliene frega niente: sta pianificando ad andarsene! Per questo, Lord Hans ha mandato Hopper a chiedere aiuto agli s-“ Joyce venne interrotta dal figlio, che aveva capito appena in tempo che stesse per dire troppo. 

“Agli inquisitori, sta andando dal tribunale degli inquisitori di Nuremburgo.”

“Hmmm” Raimondo si massaggiava il mento, pensieroso “io rimango del parere che l’acciaio e la polvere da sparo siano l’arma migliore per uccidere questi demoni, ma capisco che in certi casi, ci di debba rivolgere agli specialisti.”

Johnathan tirò un sospiro di sollievo, avendo temuto per un momento che non gli avesse creduto. 

“Ma nel frattempo, cosa facciamo con il fratellastro di Max?” Chiese Lucas.

“Tesoro, se hai paura di tornare a casa, puoi rimanere qui con noi” le disse Joyce, con la sua solita voce premurosa “abbiamo il letto di Will, libero.” 

“La ringrazio infinitamente signora” le rispose Max, con un tono cortese che non era suo solito “ma mia mamma morirebbe dalla paura se non mi vedesse tornare stasera. Piuttosto, ci servirebbe un piano per liberarlo dalla possessione demoniaca.” 

“Jo…io credo Di saper como fare…” disse Undi.

“Davvero?! Grande! Ho visto i tuoi poteri: sono una figata assurda. A proposito, non ci siamo ancora presentate. Il mio nome è Maxine Mayfield, ma tu puoi chiamarmi semplicemente “Max”.

“Hola, Max. Mi chiamo Juana Ariana Brennera De Las Tierra de Castillia, ma tu puoi chiamarmi “Undi”.

“Accidenti, ma quanti cognomi hai?! Cos’è? Sei di sangue blu?”

“Si.” Le rispose, arrossendo. Le ultime vicende l’avevano portata a desiderare di non essere una nobile, invidiando loro: plebei senza il peso di genitori interessati solo ai giochi di potere, come il suo, sulle loro spalle.

“Non smetti mai di sorprendermi, ragazza mia!” Undi le sorrise.

Intanto, Mike guardava perplesso entrambe. 

“Ehi, un momento. Non hai visto quanto è stata male, l’ultima volta che ha usato i suoi poteri? Undi non è un aggeggio da usare a tuo piacimento!”

“Calma Wheeler, nessuno ha intenzione di portarti via la tua fidanzatina!” Rispose ironica, Max.

“Fidanzatina?! Ma che dici?! Siamo-siamo solo…E smettila di parlare a vanvera!” Mike divenne rosso come un peperone.

“Mike, è tutto a posto” lo rassicurò la sorella “non devi vergognarti se ti piace qualcuno, e poi, detto tra noi, a papà farebbe solo che piacere se ti fidanzassi con una principessina spagnola.” Concluse ridacchiando: i due non perdevano mai occasione per stuzzicarsi a vicenda. Ora Mike stava per soffocare dall’imbarazzo.

“Nancy!”

“E poi dici di Lucas e Max…” commentò ironico, Dustin.

“Fidanzata? Cos’estas?” Chiese perplessa, Undi.

“È quando praticamente-“ Max venne interrotta da Mike.

“Non è niente, Undi! Tranquilla. Il punto è che ci tengo a te e non voglio che tu ti faccia del male correndo rischi inutili.”

“Ma il piano non era salvare Will, con il suo aiuto?” Protestò Lucas.

“Si, ma questo non significa che dobbiamo sacrificare la vita di una persona per salvarne un altra!”

“E dai Mike, Undi è capacissima di scegliere per se: non è il tuo animaletto domestico.” Puntualizzò la rossa.

“Non ho mai detto questo, e tu dovresti farti un sacchettino di affari tuo-“

“Mike, va bene!” Si intromise Undi.

“Come?”

“Va tutto bene. Fidati di me…ce la farò.” E gli strinse la mano, ancora più forte ma teneramente.

“Va bene…anch’io mi fido di te.”

Nel comando dell’esercito svedese, re Gustavo Adolfo ponderava sul da farsi, accarezzandosi la barba rossa. 

“Quindi, ricapitolando, mi state dicendo che Wallenstein si trova a Lützen, totalmente all’oscuro della nostra posizione, e che si sta preparando per marciare sulla Sassonia? Sembra il momento ideale per attaccarlo…”

“Lo é!”

“Ma mi chiedo, non è un po’ sospetto, che voi siate giunto fin qui a riferirmelo, in vece del vostro signore, Lord di Lützen stessa? Suona alle mie orecchie come una potenziale trappola. D’altronde, cosa ci guadagnerebbe Hans Spiegel nel vedere la sua cittadina divenire terreno di battaglia?”

“Posso solo dirvi che il generale Wallenstein ha messo in grave pericolo l’incolumità degli abitanti di Lützen, e ora non vuole porvi rimedio. Assurdo da come possa suonare, voi siete la nostra unica speranza.”

“Eh…addirittura?!” sogghignò, tra sé e sé il re svedese “parlare come se avesse evocato il demonio in casa vostra!” A sentire la parola “demonio”, Hopper ebbe un fremito.

“Accidenti, calmatevi. Voi gente di campagna siete così timorati di dio…”

“Se posso dire la mia” si intromise nella discussione, Bernardo Di Sassonia-Weimar, principe e undicesimo figlio del duca dell’omonimo principato “ma se è vero che l’armata imperiale stia per attaccare la Sassonia, io dovrei comunque separarmi da voi coi miei uomini, per andare a difenderla; quindi, tanto vale che li attacchiamo ora insieme, a Lützen.”

Gustavo Adolfo guardò i suoi consiglieri.

“Voi cosa ne pensate?”

Il primo a cui guardò e che ovviamente rispose, fu il suo migliore amico e consigliere: l’Alto Cancelliere Axel Oxenstierna.

“Secondo me non possiamo lasciarci sfuggire questa occasione. D’altronde, il terreno da qui a Lützen é tutta brughiera tedesca; non ci sono punti per tendere imboscate. Inoltre, a quanto ne so, Wallenstein è disprezzato da molti nobili, ministri e ufficiali imperiali per essere di famiglia protestante e l’abile arrivismo politico di cui è capace. Non vuole combatterci, perché sa che non può permettersi errori. Quindi è il momento migliore per costringerlo a uno scontro decisivo in campo aperto, che non si aspetta.”

Affianco a lui, un uomo dall’aspetto ancora più spartano, se non selvatico: il mercenario scozzese Alexander del clan Leslie, primo conte di Even. Sulla sua spalla destra, il tipico cardigan del suo clan dai quadrati azzurri e verde chiaro.

“Dobbiamo fargliela pagare per Alte Veste, no? Quel figlio di buona donna non ci ha mai affrontati in campo aperto e la mia claymore non è abbastanza sporca di sangue imperiale ultimamente!” Come avrete compreso, dove Oxenstierna si occupava della diplomazia senza sporcarsi le mani, Leslie era l’uomo d’azione di Gustavo Adolfo.

“Beh, allora è deciso” sentenziò il re svedese “daremo battaglia a Wallenstein a Lützen!”

Il dado è tratto.

 

Curiosità: se ve lo stesse chiedendo, sí, Alexander Leslie é un antenato di Rose Leslie (l’attrice di Ygritte nel Trono Di Spade), il suo è uno dei clan più antichi di Scozia e tra i suoi antenati ci sono moltissimi condottieri e mercenari; infatti, al contrario del suo personaggio, lei sa cos’è un castello: c’è nata e cresciuta! 😉

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Capitolo 8
*** Benvenuti in casa Mayfield/Hargrove ***


Capitolo 8: Benvenuti in casa Mayfield/Hargrove

 

Nota autoriale: dato che ci tengo a mantenere un po’ di realismo e creare suspense, Hopper e l’armata svedese non possono arrivare a Lützen in un giorno solo. Quindi, ecco alcuni capitoli dove la storia avanzerà, ma conosceremo un po’ più a fondo i nostri protagonisti. Non preoccupatevi, non saranno tantissimi. Inoltre, per chi non lo conoscesse, nello scorso capitolo, la parte dove Hopper incontra il Re D’Inverno, è fortemente ispirata a “Il Re, Il Cuoco e Il Buffone”, un bellissimo romanzo di Daniel Kehlmann, ambientato durante la guerra dei trent’anni, che vi consiglio molto.

Quella sera, la cena a casa (o “tenda” per essere corretti) Hargrove-Mayfield, fu a base di inquietudine e disagio: 

Billy sorseggiava la zuppa di gallo cedrone fissando Max e, tra una cucchiaiata e un altra, le rivolgeva inquietanti sorrisi. La sorellastra, d’altro canto, rispondeva tenendogli un broncio costante. 

Quel pomeriggio aveva aiutato la madre a cucinare. Susan le aveva permesso di tirare lei il collo al galllo, sfogandovi tutta la frustrazione per la situazione di Billy.

“Accidenti Maxine, é giá morto!” Le disse la madre per farle lasciare il collo della povera bestia morta tra le sue mani. Poi, mentre lo spennavano insieme, sua figlia non parlava, mantenendo quello sguardo furioso e ottenebrato. 

I loro genitori non capivano cosa stesse succedendo. Pensavano che fosse per la situazione in città, che qualcuno avesse minacciato Maxine, e che la reazione di Billy li avesse portati a litigare.

“Billy, tesoro” iniziò Susan “tutto bene?” con un tono imbarazzato. 

“Certo, Susan. Io e Maxine abbiamo passato un delizioso pomeriggio insieme.”

“Già…uno spasso proprio…” Max masticó le parole insieme al pollo, tra i denti stretti.

“Così delizioso che non ti riconosco neanche più.”

“Maxine, suvvia: le persone cambiano. A volte, ti sembra che siano morte, e poi risorte…” un ghigno inquietante si stampò sul volto di Billy. Susan era inquietata davvero e Neil lo notò.

“Santi numi!” Sbatté un pugno sulla tavola “non vedi che le stai spaventando?! Razza di coglione! Mi fossi buttato giù da un ponte piuttosto che farti nascere!” La moglie dovette prenderlo per mano per farlo sedere di nuovo e calmare: respirava a fatica ed era tutto rosso in volto. Stavolta non era stato l’alcol a farlo irare.

“Perdonatemi padre, mi sono lasciato sfuggire la lingua dalla bocca. Meglio se mi congeda un attimo dalla tavola, farò due passi per svolgere un incarico datomi dall’attendente da campo.”

Anche suo padre iniziò a incupirsi: Billy non mostrava neanche un accenno di timore nei confronti del padre, in quelle parole; non era da lui.

Il giovane si incamminò verso l’ovile più grande di Lützen, cappuccio in testa e coltello in mano. Aveva letto sul rapporto dell’attendente, che il giorno dopo sarebbero andati a reclamare delle pecore per i rifornimenti del viaggio. Era giunto il momento di seminare un po’ di zizzania tra questa gente.

Una volta uscito il figliastro e sparecchiata la tavola, Susan si mise a cucire a maglia. Neil rientrò ubriaco marcio e cadde letteralmente tra le sue braccia.

“Oh reGiIina…mIa rleshiiinaa…come fhareiii…shensha di teeeee….” Concluse il bofonchio alcolico dando un buffetto col indice sul naso acquino della moglie.

Lei gli sorrise “abbiamo la ciuca allegra stasera?” Gli disse mentre gli accarezzava i capelli.

“Shi…shono stanco di arrabbiarmih…scusha sE ho alSHato la vOsheEe…Uh!”

“Sei scusato per stavolta.” I due di baciarono e Max, che nel frattempo era impegnata a giocare col suo abaco di legno seduta su una coperta, spostò lo sguardo perché le faceva schifo quando gli adulti si baciavano, soprattutto se uno dei due era ubriaco ed emetteva quel dolce tanfo che sapeva di aceto e uva.

“Maxine” la chiamò sua madre “aiuteresti Neil a sbollentare l’ubriacatura, facendogli prendere un po’ d’aria prima che rimetta d’ovunque?”

La figlia sospirò, ma si alzò comunque, perché sapeva di non poter dire di no a sua madre “va bene…”

Lo aiutò a reggersi in piedi, dirigendosi insieme verso la collinetta che sovrastava l’accampamento imperiale. Nel tragitto incontrarono molti compagni d’arme di Billy e Neil, spesso ubriachi anche loro (d’altronde era sabato sera) che non mancarono di salutarli.

“Ehi Neil…quella bambina ti fa già da stampella?!”

“Shi…la mIa Maxine è uGNa Forsha della Naturaaah…lo fArá veDere a tutto il mondo…”

“Ma sta zitto” pensò lei “non sei mio padre…lui è morto…”

Arrivati alla cima, si sedettero sul prato, dove grazie alla fresca brezza serale, Neil recuperò parte della sua sobrietà. 

Si vedevano tutte le luci dei fuochi e delle lanterne dell’accampamento, mentre il brusio delle voci e delle risate dei suoi abitanti in lontananza, faceva da colonna sonora. Tutto era così suggestivo.

“Aaah…” Neil respirava a fondo, godendosi quelle boccate di sano ossigeno “grazie Maxine”

“Prego”

“Anzi, aspetta…com’è che dici sempre di voler essere chiamata? Max?”

“Ahah. Si, com’è che te ne sei ricordato?”

“Ti conosco meglio di quanto credi…e poi tua madre non fa altro che parlare di te. Sei la cosa più importante per lei, ricordatelo.” Max abbassò la testa a fissare l’erba illuminata dalla luce della luna, pensierosa.

“Posso farti due domande?”

“Avanti, sputa il rospo.”

“Numero uno, posso evitare di chiamarti padre? Lo so che mamma ci tiene e io ti sono grata per tutto quello che fai per noi; ma non posso sostituirlo con te come ha fatto lei. Fa male…”

“Tranquilla piccola, lo so. Non sono comunque tuo padre, e non posso essere sicuro neanche di sopravvivere alla prossima battaglia…” dondolava con gli occhi chiusi, ma si sentiva che le sue parole fossero serie e pensate.

“Ma soprattutto, perché sei così duro con Billy?” Lui aprí di scatto gli occhi, e gli servi qualche secondo prima di rispondere.

“Il fatto è che…quando eravamo in Irlanda,  quando lui nacque…io amavo così tanto Síonad, sua madre, mia moglie…ma mori dandolo alla luce…”

“Ma non è colpa sua.”

“Si, lo so…ma capiscimi Maxine…non potei neanche salutarla…e l’amavo così tanto…io ero lì che aspettavo e avevo così tanta paura perché lei era così gracile ed era sempre malata e l’amavo così tanto…ma semplicemente l’ostetrica uscì, mi disse: “mi dispiace” tra le lacrime, lasciandomi tra le braccia questo bambino che piangeva, e piangeva, e piangeva…che diritto aveva di porre fine alla mia vita in quell’istante? Non sapevo come si crescesse un bambino; mio padre sapeva solo picchiarmi e bere, picchiarmi e bere. Prima di conoscere Síonad non sapevo cosa fosse amare, mostrare affetto, e ora lei non c’era più e l’amavo così tanto…”

Max si commosse genuinamente a sentirlo confessare qualcosa del genere, di cui non lo riteneva neanche capace. 

“Mi dispiace così tanto, Neil…” lo prese per mano. Lui le rivolse occhi teneri e lucidi. 

“Cos’è successo a Billy, Max? Ho sempre desiderato vederlo diverso da com’era, ma ora che è successo…non ho mai avuto così tanta paura da quando è nato. Non lo riconosco più, voglio indietro mio figlio.”

“Non lo so, ma lo porterò indietro, te lo giuro. Ti fidi di me?”

“Si, tu sei…ai tempi, con Síonad, avrei voluto avere una figlia. tu, sei la figlia che ho sempre desiderato e non ho mai avuto. E se dio me lo concederà, vorrei tantissimo darti una sorellina. Tua madre è così forte, così diversa da lei…”

Max lo abbracció, lui rispose mettendole una mano sulla spalla e stringendola a sé.

“Ho così tanta paura…”

“Anch’io, piccola. Ti proteggerò io, te e tua madre. Andremo avanti insieme come stiamo facendo da due anni a questa parte. E spero che forse, un giorno, mi meriterò di essere chiamato padre da te.”

“Ti voglio bene, Neil.”

“Ti voglio bene, Max.”

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Capitolo 9
*** Andando al Macello ***


Capitolo 9: Andando al Macello

 

Chi può viver senza mangiare, esca in campagna senza le vittovaglie necessarie.    (Raimondo Montecuccoli, Memorie).

La tensione era tornata a salire a Lützen, e questa volta si era arrivati alle mani, al sangue.

I soldati addetti al rifornimento delle salmerie erano giunti la mattina presto all’ovile per prendere gli animali richiesti; ma al l’iro arrivo, trovarono una schiera di uomini in arme (perlopiù strumenti di campagna, ma si vide anche qualche coltello, accetta e spada) capeggiati da Herbert: il mandriano proprietario, nero in volto.

Qualcuno aveva sgozzato tutte le pecore la notte prima, non risparmiando neanche i poveri agnellini. Su alcune di esse, era stata incisa con un coltello sulla pelle, la scritta: “orgoglio tedesco”.

Herbert aveva trovato anche una testa di agnello appesa sopra la porta di casa sua; non aveva dubbi fosse un offesa personale.

“Ammazzate i miei animali, e poi avete anche la faccia tosta di presentarvi a riscuoterli?! Siete voi le bestie!”

“Non so di che cazzo parli, vecchio! Dacci le pecore o ce le prenderemo con la forza.”

“Ti faccio vedere io di cosa sto parlando!” E gli lanció ai piedi un’altra delle teste che aveva trovato in giro. 

“Baciateci il culo!” Provocò i militi, un contadino, abbassandosi i pantaloni e mostrando le natiche. Un soldato estrasse la sua rivoltella e gli sparò su quella di destra.

Questa fu la miccia che fece esplodere lo scontro. Rimasero morti cinque uomini: tre soldati e due contadini. Un uomo di Wallenstein venne anche infilzato al collo con un forcone, e ora la sua testa rimaneva attaccata al resto del corpo morto soltanto perché era bloccata al muro dell’ovile. Herbert rimase ferito, e sentendo i rumori dello scontro, tutta Lützen era accorsa a difenderlo, mettendo in fuga il manipolo di soldati. Ora il padre di Lucas lo stava medicando, mentre ascoltava la sua versione dei fatti, in quanto sceriffo sostituto. 

Se non fosse intervenuto il Gonzaga a far tacere le voci di vendetta tra le tende dell’accampamento, sarebbe stato versato molto più sangue quel giorno.

Ora gli abitanti di Lützen dovevano guardarsi le spalle non solo dai mostri provenienti dall’altra dimensione, ma anche da gli uomini che in teoria, li avrebbero dovuti difendere. 

Dustin aveva un rapporto ambivalente col mestiere del suo babbo.

Se da un lato era ghiotto di carne e a casa sua non mancava mai, venendo invidiato da tutti i ragazzi di Lützen, la vista del padre impegnato nel fare a pezzi le carcasse nella bottega lo faceva rabbrividire. 

Questo perché aveva un animo buono, e anche se gli piaceva mangiarli, amava gli animali. Vedere i loro scheletri con ancora la carne attaccata gli ricordava che una volta erano stati vivi. Erano nati, cresciuti respirando e mangiando per poi morire. Come noi. 

In particolare, la gabbia toracica delle carcasse di manzo appese ai ganci, lo inquietavano più di tutte: perché erano le più simili al corpo umano. E se ci fosse stata appesa una persona in quel modo? La gente sarebbe inorridita come lui.

Detto questo, davanti a una bistecca fumante nel suo piatto, questi pensieri svanivano e il suo motto diveniva: “Pancia mia, fatti capanna!”

Quel pomeriggio lo doveva aiutare nella macellazione di un manzo, per imparare il mestiere che, per sua fortuna o suo malgrado, avrebbe ereditato un giorno.

“Arrivati a questo punto, tagli questa parte qui: sono le parti più pregiate.”

Mr. Henderson stava tagliando il quarto inferiore, facendo scorrere il coltello sui lati delle costole dell’animale.

Dustin lo guardava con attenzione, ma sudava freddo.

“Pensa, ragazzo mio, che noi tedeschi siamo i più grandi mangiatori di carne in Europa” gli spiegava il padre mentre sfilettava “in Italia, preferiscono quella roba gialla che chiamano polenta. Laggiù la carne è roba apprezzata da pochi, in Veneto è Alto Adige sopratutto. Ma per quanto riguarda la qualità, beh lasciami dire che non è paragonabile alla nostra.”

Dustin lo ascoltava in silenzio, ipnotizzato da quello che rimaneva dell’animale appeso. Un’altra cosa che lo inquietava, era quando lo prendevano in giro chiamandolo “maialino”, per la sua ciccia.

Altri l’avrebbero presa a ridere, o si sarebbero arrabbiati. Ma per lui che aveva visto, come si fanno a pezzi i maiali per mangiarli, l’appellativo aveva del macabro. A volte, guardandosi allo specchio, o vedendo i suoi genitori, gli veniva da pensare che fossero un po’ tutti loro simili a maiali. Se erano vere le storie di cannibali in continenti lontani, o anche solo quelle di tedeschi spinti dalla fame portata dalla guerra a commettere atti estremi, li avrebbero trovati appetitosi come i maiali propriamente detti?

D’altronde, quei spagnoli nella foresta, erano stati sbranati vivi dal demogorgone: questo mostro vedeva gli umani come gli umani vedono gli animali? 

Concluso il taglio per la frollatura (la refrigerazione dei vari tagli per la conservazione), padre e figlio si recarono in bottega, dando il cambio alla madre; che così poté andare a mettere i piedi a bagno come ogni pomeriggio, placando i dolori della gotta di cui era affetta.

La signora Gretel Parr, una sessantenne dai capelli già grifi moglie del contabile del paese, entrò mentre suo padre era indaffarato a mettere a posto nel retrobottega.

“Buon pomeriggio, signora Parr. Come posso esserle utile?” La accolse Dustin con uno dei suoi sorrisoni. 

Al banco non provava quell’inquietudine del mattatoio, perché la carne da vendere non aveva più l’aspetto dell’animale, e ai suoi occhi erano solo portate. 

“C’è tuo padre, tesoro?”

“Ora è impegnato, ma ci sono io qui per servirla.” Ma la signora non sembrava fidarsi.

“Si può fidare: sarò giovane, ma sono pur sempre l’apprendista di mio padre.”

“Esatto, sei solo l’apprendista, e io non ho tempo da perdere.”

Così attirò l’attenzione del signor Henderson suonando il campanello sul bancone.

“Ma buonasera, signora Sparr!” Rientrò il padre con la sua vociona calorosa.

“É Parr.”

“Si, Parr. Giusto. Come la posso servire?”

“Mi serve del manzo per lo spezzatino.”

“Oh guardi, è arrivata al momento giusto. Ne abbiamo proprio tagliato uno poco fa, così stasera mangerete spezzatino fresco.”

“Ma mi dica un po’, signor Henderson: con quello che è successo all’ovile stamani, avrete problemi a rifornirvi?”

“Non saprei dirlo sinceramente. Certo, non riuscirò a vendere agnelli per un po’. Ma quanto al resto, dipende da quando se ne andrà l’esercito da qui.”

“Spero davvero che sia il prima possibile. Non c’è da stare tranquilli, con questa gentaglia un giro.”

Nel frattempo, Lucas si era imbucato per la porta d’entrata, e faceva cenno di seguirlo a Dustin.

Lo raggiunse sull’uscio della porta, con ancora addosso il grembiule e il cappello bianchi da macellaio..

“Che c’è?”

“Mi manda Mike, per il piano di cui abbiamo parlato ci serve l’anestetico per animali di tuo padre.”

“Non sono sicuro di volerne ancora fare parte…”

“Ma che dici? Non ci pensi a Will? Dobbiamo salvarlo.”

“Si, ma…hai visto che fine ha fatto quella gente nel bosco? E loro erano anche soldati professionisti.”

“E allora? Anche noi abbiamo un soldato dalla nostra parte, più Nancy e Johnathan Che sono stati addestrati da lui e ne hanno uccisi due di quei demogorgoni. Di cosa hai paura?”

Dustin si sedette sullo scalino della porta, sospirando.

“Non lo so. Ultimamente mi sembra che questa faccenda sia più grande di noi. Siamo solo ragazzini, dopotutto.”

“Anche Undi è una ragazzina, ma hai visto che poteri ha? E quanto è coraggiosa?”

“Si ma…io non sono così…come voi…ho paura anche solo a vedere gli animali morti nella bottega di papà, di che utilità sarei nel combattere contro il demogorgone? Mi hai visto l’ultima volta, no? Ero paralizzato dalla paura. Se fossi stato da solo sarei già morto.”

“Ma non sei solo.” Lucas gli mise una mano sulla spalla “ci siamo noi, i tuoi amici. Sei un macellaio, no? Sono sicuro che capirai al volo i punti deboli del corpo del demogorgone, aiutandoci a capire dove colpirlo. Vai benissimo così come sei, Dustin.”

“Grazie.” Gli sorrise “aspettami qui.”

Rientrato in bottega, la vecchia Parr stava uscendo con il suo incartato in mano e rivolgeva a lui un occhiata diffidente. 

Dustin passò per il retrobottega, dove prese una boccetta contenente una polverina blu. La nascose nella tasca dei pantaloni, sperando che il grembiule sul davanti ne nascondesse la forma.

“Dustin.” Direttosi verso l’uscita, si bloccò sul posto, al sentire il suo nome da suo padre. Si voltò lentamente, gelido in volto.

“S-si?”

“Non te la prendere se la Parr non ha voluto essere servita da te: è solo una vecchia bisbetica, non fa altro che lamentarsi da quando suo marito ha iniziato a stare male. Ti ricordi di quando hai tagliato quelle finissime fette di agnello per la signora Wheeler? Lei sì che era contenta. Mi fece personalmente i complimenti per il tuo lavoro, la domenica dopo a messa.”

“Davvero?! E perché non me lo hai detto prima?”

“Scusa, a volte anche papà si dimentica cose. Ahah. Comunque, quello che volevo dirti è che sono orgoglioso di te, è un giorno diventerai il degno successore del macellaio di Lützen!”

“Grazie padre!”

Porse la boccetta a Lucas.

“Per il piano di Billy, ci saró, contaci.”

“So che possiamo fidarci di te. Allora a domani da Mike.”

Lucas si incamminò velocemente verso casa. 

Dustin rimase a vedere per qualche secondo il cielo arancione caldo, frutto del sole che iniziava a calare. Era sera, era felice e lo sapeva.

“Padre! Posso tagliare anche il vitello?” Chiese mentre rientrava. Il vicino di casa, il bonario Michael Parsen, affacciato al balcone di casa e sentendolo, sorrise e scosse la testa, ricordandosi di quando supplicava il padre di lasciarlo tagliare le assi di legno da solo, per le commesse per le nuove finestre del castello. “Ah, la gioventú…”

Al suddetto castello, si tenne l’ennesimo, teso consiglio tra Lord Hans e il generale Wallenstein. Hans accusava l’altro di non riuscire a controllare i suoi soldati, e questo controbatteva che a Lützen non vigeva l’ordine e la legge. 

“Per esempio, si potrebbe sapere che fine ha fatto il vostro sceriffo?”

“È in missione per conto mio per risolvere il problema sovrannaturale che avete causato.”

“È meglio che torni presto, o farò entrare in vigore la legge personalmente.”

Wallenstein uscì e Lord Hans poté tirare un sospiro, senza dover mostrare le sue debolezze all’avversario.

“Hans…mi raccomando…nessun passo falso ora, se ci tieni alle vite del tuo popolino…” Hans si voltò, gelido e terrorizzato. Nell’oscurità del salone antistante, due occhi rossi e demoniaci lo osservavano dalle ombre.

“Ti giuro che sta arrivando con l’esercito svedese, non ti sto ingannando.” La sua voce tremava con tono supplichevole. Se Lord Hans Spiegel riusciva a tenere testa senza batter ciglio al generalissimo imperiale Wallenstein, chi mai poteva incutergli questo profondo timore nell’animo, che lo faceva parere un bambino spaventato?

“Sarà meglio…non manca molto. Fai come ti ho detto, e nessuno dei tuoi amici si farà male…” gli occhi sparirono nell’oscurità.

Hans si sedette al tavolo, cercando di riprendere fiato dalla paura.

“Ti prego, Hop…arriva il prima possibile…”

Nota autoriale: e secondo voi, chi è l’entità nelle tenebre? Qua l’è il suo scopo? Scrivetemelo nei commenti!

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Capitolo 10
*** Una nuova casa per Undi; un posto, da chiamare: famiglia ***


Capitolo 10: Una nuova casa per Undi. Un posto, da chiamare famiglia.

 

Juana, o Undi, come la chiamavano i suoi nuovi amici, non aveva mai potuto in vita sua chiamare un luogo: casa. 

In Spagna, aveva conosciuto soltanto i spogli muri di mattoni grigi della sua cella-camera, dove papa la rinchiudeva dopo averla sottoposta ai suoi esperimenti. 

Oltre a qualche altra stanza, incluso il suo laboratorio, non aveva mai visitato altri luoghi in vita sua. Ogni tanto le era permesso fare delle passeggiate sui merli del castello, sempre sotto lo sguardo vigile delle guardie.

Sapeva che, a modo suo, papa le volesse bene: facevano sempre cena insieme nel salone (riempendo il vuoto delle colazioni e pranzi dove era buttata in cella con un tozzo di pane ed acqua)e  non l’aveva mai picchiata; ma aveva sempre un vuoto nel cuore. La mancanza di qualcosa che neanche conosceva: una famiglia.

Così quando era lasciata a sé stessa a fissare la luce del giorno proveniente dalla grata sul tetto della sua cella, o ad ammirare da essa le stelle che brillavano nel firmamento notturno; sognava il mondo al di fuori di quelle tristi mura e le persone che l’abitavano. 

Per questo fu così tanto felice all’annuncio del viaggio in Germania. Ma mai si sarebbe aspettata quello che era accaduto. Dio solo sa quanto fosse spaventata, quella notte che scappò nel bosco dal demogorgone.

Così adesso era in una dimora assai più umile, ma decisamente più calorosa, un luogo da chiamare casa, famiglia. 

Joyce si prendeva cura di lei come se fosse sua figlia, come se fosse da sempre una sorella del suo povero Will. 

Stava riversando proprio tutto il suo amore materno su di lei, riempendo quel vuoto che le aveva lasciato dentro la scomparsa del figlio. 

“Ma buongiorno, tesoro. Hai dormito bene?” La svegliava così la mattina, portandole la colazione a letto. E poco importava se lei non fosse abilissima nel tedesco, a Joyce le bastava un sorriso e un cenno con ma testa come risposta. 

Faceva a Undi molte carezze, le raccontava le favole della buona notte e le pettinava i capelli: ora sapeva com’era avere una madre. 

Dato che nessuno doveva venire a sapere della sua presenza lí, inizialmente Joyce le ordinava di stare in casa, mentre lei lavorava la terra insieme a Johnathan.

Ma poi, vinse le resistenze nel vedere la ragazzina guardarla con occhi da cane bastonato dalla finestra. 

Le insegnò come seminare e annaffiare il campo, e fu anche un’opportunità per migliorare il suo tedesco.

Undi aveva scoperto la soddisfazione ma anche la fatica del lavoro agricolo; che dava soddisfazioni completamente diverse dal superare i test para scientifici di suo padre.

I due le avevano così insegnato cosa fossero il frumento, il farro, le patate e la verza con annessi periodi di crescita e raccolto. 

“Va bene così?” Chiedeva loro, mentre seminava nei buchi fatti nel terreno da Joyce. 

“Si, stai diventando una contadina provetta!” 

La sera, il pane e la minestra in tavola avevano un gusto completamente diverso, quando li si avevano faticati e si era visto da dove provenivano gli ingredienti. 

Pregare tutto insieme tenendosi per mano prima di mangiare poi, dava un senso di sacralità e amore per il cibo, che a lei era fin ora sconosciuto.

Effettivamente, non sapeva proprio chi fosse la sua madre biologica; anzi, non sapeva neanche come nascessero i bambini. 

Ogni giorno veniva a visitarla Mike, portandole notizie su cosa stava accadendo a Lützen. 

“La gente sta dando di matto: i paesani credono che i soldati mangino la gente è uccidano gli animali. Mentre, i soldati si guardano le spalle perché temono di essere assassinati nel sonno dai campagnoli. Addirittura, l’altro ieri sono arrivati alle mani per delle capre trovate morte, e c’è scappato anche il morto! Solo che, non possiamo mica dirgli che sia colpa dei demogorgoni: anche se non ci prendessero per pazzi, si scatenerebbe il caos a Lützen! Credimi, sei molto più al sicuro qui.”

“Billy…estas…é stato Billy.”

“Come?”

“L’ho visto nei miei sogni, nella habitacíon, camera oscura.”

“Quale camera oscura?”

“Quando chiudo gli occhi…e soy calma…como dormire…jo vedo cose, persone. Ho visto Billy farlo, è veramente posseduto; da un…un’aura rossa.”

“Allora questo tuo potere ci servirà per il piano. Vedrai, lo sconfiggeremo e lo libereremo dalla possessione demoniaca.”

“Senza di me, Wheeler, non riusciresti a fare un dico secco!” I due di voltarono, e videro Max sulla soglia con le mani sui fianchi e uno dei suoi sorrisi sornioni stampato in volto e diretto a Mike. 

“Si può sapere che ci fai tu qui?!” Disse, offeso dell’intrusione, Mike. Aveva sviluppato chiaramente dei sentimenti per Undi, e ora era geloso dei momenti di privacy tra loro due. Soprattutto se venivano interrotti da quella insopportabile streghetta dai capelli rossi.

“Mike! Ti sembra questo il modo di trattare gli ospiti?!” Lo rimproverò la signora Bayler, che entrò nella stanza, con delle borse di tela in mano. 

“I genitori di Maxine ci hanno chiesto di tenerla qui per qualche giorno e sono stati anche così gentili da darci del denaro per ospitarla. L’accampamento non è più un posto sicuro, viste le violenze in paese.”

“Il che significa che sono più a casa io rispetto a te qui, Wheeler.” Aggiunse Max facendogli una pernacchia. 

Poi, la ragazza si avvicinò alla spagnoletta e le porse la mano, che quella strinse timidamente.

“Come va, Undi? A quanto pare passeremo qualche notte insieme” si guardò intorno “oh beh, tu sarai abituata a ville e castelli, ma quanto a me, rispetto alla nostra tenda da campo, questa casetta è una dimora di lusso!”

Mike non poteva crederci: lei avrebbe dormito con Undi? L’avrebbe di sicuro allontanata da lui, come aveva già fatto con Lucas. Non poteva permetterglielo!

Prese in disparte Joyce.

“Mi dispiace di essere stato sgarbato, signora Bayern; ma vede, quella ragazza non ha tutte le rotelle a posto. Pensi, che portava un coltello nascosto nella gonna.”

“Suvvia, Mike. Tutti ultimamente siamo un po’ sballati di testa: io per esempio ho parlato con Will accendendo cerini per tutta casa.”

“Ehm, ok…” nessuno gli aveva riferito di questa cosa, e ora non sapeva più cosa dirle.

“Ma non preoccuparti, staremo benone! E tu dovresti cercare di fare amicizia con lei: sembra una ragazza in gamba!”

“Si…anche troppo…”

Intanto, le due ragazze avevano attaccato bottone. 

“Gli altri mi hanno detto che sei una contessina, ma in che senso?”

“Si…io…soy contessina de Mérida. Jo soy vissuta en un castello, prima di venire qui.”

“Cioé, tu mi stai dicendo che sei nata e cresciuta in un castello, e ora sei felice di stare qui con noi poveracci in una casetta di legno da contadini in mezzo si campi.

Undi annuí con tutta l’innocenza del mondo. 

“Si, sono mas felice anche di prima: papa me usava como espierimento, él non voleva mi bien. Joyce, Johnathan e Mike si.” Faceva una tenerezza assurda a Max. Dopo tutto lo schifo e le bassezze umane che aveva visto nelle persone che aveva incontrato fin’ora, non credeva piú di poter incontrare un anima così pura.

Ora capiva perché Mike si era così innamorato di lei.

“Max…todo bene?” Chiese timidamente Undi, vedendola con la bocca spalancata dalla sorpresa per un minuto buono. La rossa non se n’era neanche resa conto.

“No scusa, é solo che…wow, sei veramente una persona incredibile.” Undi arrossí e sorrise.

“Ma parlando di cose eccezionali, da dove provengono i tuoi poteri? Hai detto che tuo papá faceva esperimenti su di te?”

Undi sospirò, comprendendo che fosse giunto il momento di far vedere anche a lei il doloroso retaggio di suo padre, che tanto le procurava vergogna ora.

“Mio papa, ha inventato un…casco…stimular mi mente, sviluppando poteri dal cervello…alimentati dal…pentimiento.”

E le mostro così le cicatrici sulle sue spalle e la schiena.

Alla sua mente riapparvero i ricordi di un giorno di due anni prima. 

Eladio, cugino di suo padre, si era presentato al castello, sostenendo di essere in possesso di un testamento dello zio, che in punto di morte avrebbe lasciato a lui il castello, in quanto: “Vero cristiano, non come quello stralunato di Martino Brennero, che fa esperimenti su sua figlia.”

Eladio era quindi entrato attraverso il cancello levatoio, accompagnato da una sciarada di uomini in armi amici suoi, reduci di battaglie contro i cinesi nell’oceano Pacifico, le filippine in particolare, da dove avevano appena fatto ritorno. Stavano gozzovigliando nel salone, abbuffandosi a volontà, ruttando, molestando le cameriere. 

Papa l’aveva presa dalla sua cella, le mostrò il volto di Eladio e dei suoi compari, presentandola loro.

“esta es mi hija juana” 

Eladio le si era avvicinata, con la bocca sporca di cibo e l’alto che puzzava di vino, col sorriso ebete, tipico degli ubriachi.

“que linda niña! Ahah!” Undi si era tirata indietro di scatto, quell’uomo la disgustava.

Suo padre la condusse al laboratorio.

“Ha llegado el momento de poner a prueba tus poderes. Juana, confío en ti.” 

Le porse il frustino. 

Le bastarono tre frustate, tre parole:

“Mea culpa, mea culpa, MEA GRANDISSIMA CULPA!” 

E le teste di Eladio e di tutti i suoi amici esplosero all’unisono, mischiando il rosso del loro sangue a quello del vino nei calici.

Sentendo le urla, il popolino del borgo si era raccolto al cancello. 

Questo si sollevò nuovamente e da esso uscì Brennero con lei tra le braccia.

“Don Eladio está muerto!” La sollevò affinché fosse visibile a tutti.

“y era mi hija, porque es bendecida por dios! Que sea como prueba para cualquiera que se atreva a desafiarme!”

Tutti si inchinarono a lui.

“Dolore…me alimienta…mi poteri.” 

“Ma Undi, nel bosco tu ci hai salvati usando i tuoi poteri anche senza fustigarti. Non può essere quello il motivo per cui li hai.”

“Oh, finalmente siamo d’accordo su qualcosa.” Mike si inserì nel discorso, sedendosi accanto a Max.

“Non devi farti del male per proteggerci. Anzi, credo di aver capito come funziona: nella foresta, hai sconfitto i demogorgoni quando stavano per sopraffarci. Significa che tu volevi proteggerci con tutta te stessa, che i tuoi poteri sono alimentati da emozioni forti, come l’amore verso di noi, non il dolore in sé.”

Undi aveva creduto di sapere cosa fosse la felicità, in quella domenica soleggiata di sangue, senza forze, tra le braccia di papa, che per la prima volta le sorrise. Credeva che l’obbiettivo della sua vita fosse fare contento papa; ma ora, seduta in quella casetta di contadini, vedendo Mike e Max sorriderle, in quel momento, in quel momento seppe finalmente cosa volesse dire essere felici.

E naturalmente arrossì di nuovo.

“Oooh, sei tenerissima.” 

“Non è un cagnolino!” Protestò Mike, per poi aggiungere: “però, si…lo é.”

Lucas e Dustin arrivarono con una strana boccetta di polvere. “Eccoci, scusate il ritardo.”

“Allora, visto che ci siamo tutti; bando alle ciance e iniziamo i preparativi del piano: esorcizzare Billy.”

Intanto, Nancy, Johnathan e Raimondo si incontrano nel salotto di casa Wheeler. La giovane li aveva invitato in segreto, mandando a chiamarli tramite la domestica. Questa disse semplicemente loro, che: “Nancy vi manda a dire che ha un piano.”

Arrivati lì, l’idea del suddetto piano non piacque loro affatto: “andremo tutti e tre insieme nel sottosopra!”

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Capitolo 11
*** Agguati, addii e amicizia inter-religiosa ***


Capitolo 11: Agguati, addii e amicizia inter-religiosa 

 

Billy camminava sul limitare dei boschi, nel suo solito giro di pattuglia. 

A un certo punto, il suo olfatto potenziato dai poteri datigli dall’entità che lo possedeva, venne colto dal profumo della leccornia da lui preferita: biscotti al cioccolato. 

Guardandosi intorno, trovò sul prato tra gli alberi, una scia di biscotti sbriciolati. Ma non aveva senso: che cosa ci facevano nel bosco? Che si fosse perso qualcuno che ne trasportava un cesto pieno? 

Ipnotizzato da quella visione, e dalla prospettiva di trovarne da mangiare anche per sé, iniziò a seguirli, con l’acquolina in bocca come Hansel e Gretel di fronte alla casetta di marzapane.

Si ritrovò, infine, alla soglia di un magazzino in legno di medie dimensioni abbandonato da anni. 

“C’è nessuno?” Chiese rivolto all’oscurità al suo interno, una volta dentro. 

L’unico fascio di luce alle sue spalle, scomparve quando la porta si chiude di colpo.

“Ehi! Chi se-uiuhmpf!” Qualcuno gli stava premendo contro la bocca un fazzoletto di stoffa, imbevuto di alcol e di una polvere dall’odore aggressivo e alacre. Una marmaglia di ragazzini (capiva che lo fossero, dalla loro statura), cercava con forza, di tenerlo fermo dalle braccia e le gambe. 

“Dategli addosso, continuate così!” Sentiva uno di loro comandare; non c’era dubbio: era la voce del mocciosetto dei Wheeler.

Sentiva i suoi sensi venire meno e faceva fatica a respirare. Le sue gambe vennero meno e crollò con la schiena contro una parete. 

La porta si riaprí, e la prima cosa che vide fu l’insieme delle facce dei mocciosi, scrutarlo, incuriositi e timorosi allo stesso tempo. Ma la cosa che notò più di tutte, era che tra di loro c’era Max.

“Io vi strozzo, uno a uno…”

“Si certo come no: ma se non ti reggi neanche in piedi!” Lo prendeva in giro, Dustin.

“Strangolerai anche me?” Max lo affrontò, avvicinandosi con tono provocatorio; sul suo volto non di leggeva un briciolo di paura.

“Tu sarai la prima…”

“Non sei tu a dire questo; chiunque, qualunque cosa lui sia…devi liberarti, ribellarti!”

Billy incominciò a piangere: “non è colpa mia…io non lo volevo…Max, aiutami tu…”

Anche le guance della sorellastra iniziarono a rigarsi di lacrime.

“Farò di tutto per aiutarti, Billy…”

Eppure, Mike stava notando qualcosa di strano: era come se stesse…stava fingendo!

“Max, allontanati da lui…” ma lei non l’ascoltava. “MAX, VIA DI LÍ!”

Billy sí alzò di colpo e tenne fede alla sua promessa, sollevando dal collo Max, stringendola così forte da non permetterle neanche di urlare. 

Undi però era pronta. Sollevando una mano, scaraventò contro il muro opposto Billy, liberandola dalla sua presa. Mike corse incontro a Maxine, che mentre riprendeva fiato, lo guardò con tono interrogativo, come se lui avesse fatto qualcosa di impensabile. 

“Stai bene?”

“Si…”

Intanto, Lucas e Dustin si erano attaccati al muro, come la carta da parati, non volenterosi di essere trascinati nello scontro che stava avvenendo tra l’assatanato e la telepate.

Billy si lanciò nuovamente su Undi, ma lei lo respinse con la sola imposizione delle mani.

“Donde está Will?!” 

“É al sicuro, in un luogo speciale, dove finirete tutti…sopratutto te, Undé…o forse dovrei dire, Juana. Papa non ha ancora finito coi suoi esperimenti?”

Questa era la prova definitiva che quello con cui stavano parlando non fosse Billy: lui non conosceva lo spagnolo e non poteva conoscere il vero nome di Undi, tantomeno da dove provenisse, non avendola mai vista prima.”

Undi ora la scrutava con una nota di paura e inquietudine: con chi stava parlando? Perché si rivolgeva a lei, come se si conoscessero da tempo?”

“C-chi sei?”

“Non ti ricordi niente? Oh beh, spesso cerchiamo di scordarci delle brutte memorie. Il nome, Henry, ti dice niente?”

Flash di un ragazzo dai capelli biondi emersero da un angolo recondito della sua mente e le attraversarono la testa.

“Ti devi fidare di me…ti libererò da lui…” gli aveva detto, chissá quando, quello stesso ragazzo, nella sua cella. 

“Chi sei? Lascia mio fratello!” Chiese Max, dal fondo della stanza, ma senza ricevere risposta.

“Oh…adesso ti ricordi, si…” il volto di Billy perde tutta la sua rabbia, e si aprí in un ghigno sinistro.

I poteri di Undi sembravano stare sortendo meno effetto, e ora il ragazzone avanzava spavaldo verso di lei.

“No…non puede…” scuoteva la testa, confusa, Undi.

“Si…e ho appena iniziato…”

Con uno scatto, le prese la mano, intrappolandola in una stretta. 

“No!” Mike le corse incontro, ma lui e tutti gli altri, vennero atterrati dall’onda d’urto del potere di teletrasporto di Undi.

Mike si rialzò a fatica, dolorante: “No, no! Undi!” Lei e Billy erano spariti. Si era teletrasportata per salvarli.

Solo Max aveva ripreso i sensi: Dustin e Lucas erano accasciati a terra.

La ragazza corse da Mike, che in preda alla collera, prendeva a pugni il pavimento.

“Ehi, li ritroveremo, non possono essere lontani.”  Mike di calmò e incominciò a guardarsi intorno.

“E loro?” Disse facendo cenno con la testa agli altri.

“Si faranno una bella dormita.”

Un urlo proveniente da fuori, ruppe il velo di quieto silenzio imperante nella casupola.

“É lei!” Esclamò Mike.

Entrambi i ragazzi di fiondarono fuori.

Nancy, Johnathan e Raimondo si stavano nel frattempo inoltrando dentro il portale per la dimensione alternativa, apertasi nel tronco della quercia nel bosco.

Raimondo fece qualche resistenza, perché va bene tutto, ma lui era un mercenario mica un cacciatore di mostri, ma alla fine si imbucò anche lui, per non fare una brutta figura davanti loro.

“Ritrovatisi nuovamente nella versione a “sottosopra” della loro cittadina, incominciarono a incamminarsi verso le strade del centro.

“Quindi…cos’é che stiamo cercando, esattamente?” Chiese ai suoi intrepidi compagni d’avventure.

“Voglio vedere se…c’è qualcosa di una persona a cui tenevo, dove è avvenuto tutto…” rispose a metà, Nancy.

“Nance…se questo é troppo per te, non c’è niente di male nel tornare indietro.” Le disse dolcemente, Johnathan.

“No…devo vedere…devo sapere…” insisteva lei, andando avanti, senza guardare neanche gli altri due.

Giunsero infine a August Strasse, sotto casa Wetmitz, dove lei era morta.

Nancy di guardava intorno persa, fino a che il suo sguardo di bloccò su qualcosa, e prese a tremare e piangere, come una bambina spaventata.

“Ba-AAAAARB!” Il cadavere dell’amica era avvolto in dei viticci uscenti dal terreno. Il suo volto (che nel mondo normale non era neanche stato rinvenuto), pallido e pieno di terrore, emergeva da essi.

Nancy mise le sue mani sulle guance di lei, come se fosse viva e stesse per confessarle un segreto.

“Mi dispiace, Barb. É tutta colpa mia, non avrei dovuto abbandonarti…” la ragazza cercò di liberare il corpo, pugnalando i viticci con un coltello, ma non sembrava funzionare. “Ridammela indietrooooh!”

Johnathan le Di fece vicino, posandole una mano sulla spalla. 

“Nance…mi dispiace…”

“Johnathan, aiutami: non so cosa devo fare con lei…” il fidanzato non sapeva neanche cosa risponderle, ed era troppo timoroso di fare ipotesi, rischiando di ferirla.

“Credo di avere un idea.” Si fece avanti Raimondo. 

Prese una pietra focaia, con cui accese una torcia e la porse a Nancy. 

“Prenditi tutto il tempo che ti serve.” Le disse.

Ora Nancy stava abbracciata a Johnathan, Raimondo accanto a loro, torcia in mano, mentre guardavano il funerale vichingo di Barb illuminare di rosso fuoco i loro volti.

Dopo un po’ di tempo, indefinito alla loro attenzione, per la solennità del momento; accadde qualcosa di strano: i viticci che circondavano il luogo, di animarono come se fossero colpiti da ditte di dolore.

Dal castello di Lützen, sopra la collina, riecheggiava il suono delle campane, svegliandoli da quel nostalgico torpore in cui erano assorti.

“C-cosa succede?!” Chiese Nancy. 

“Sono vivi, i viticci!” Rispose Johnathan, puntando ai tentacoli vegetali che si dimenavano a terra. 

Un urlo atroce e non umano eruppe dal castello. Ma la cosa più inquietante fu il rombo di un branco in movimento, provenire verso di loro dalla strada principale. 

Quando videro che si trattava di un esercito di demogorgoni, presero a correre verso il tronco, come non fecero mai prima d’ora in vita loro.

Mike e Max camminavano per i boschi, nella direzione da cui era provenuta quella voce.

“Perché mi hai aiutata, prima?” Chiese lei a Mike.

“Eri in pericolo e non te ne stavi rendendo conto…Perché tu mi odi?”

“Io non ti odio…”

“Allora perché non perdi mai occasione di insultarmi?”

Max si prese un momento per pensare prima di rispondergli.

“Io non ti odio, dico davvero…in realtà non ho niente contro di te, Mike, tranne quando fai il rompipalle…è che…io odio i protestanti…tutti loro, é così da quando…”

Questa volta fu Mike, che si fermò a rifletterci su: voleva chiederglielo, ma sapeva bene che la risposta sarebbe stato qualcosa di terribile, forse per entrambi.

“Come mai?” 

Una voce attraversò la testa di Max, rievocata dai suoi ricordi peggiori: “Max, ti prego! SCAPPA!” 

Era la voce di un uomo, il ricordo di un intenso odore di legno bruciato sopraggiunse al suo naso. 

“Ti piacerebbe se dei cattolici venissero a Lützen e ti portassero via tutto? Ecco.”

Qualsiasi cosa le fosse successo in Irlanda, qualsiasi fosse il motivo che l’avesse costretta a scappare via da lá; doveva essere qualcosa di veramente serio, se era riuscito a rendere silenziosa Maxine Mayfield.

“Mi dispiace, Max.” 

“…grazie.” La ragazza si asciugò una lacrima, col polso della mano.

“E a me dispiace di averti chiamato bastardo protestante.”

“Per questa volta ti scuso” rispose Mike, in tono scherzoso “e fanculo al Re D’Inverno.”

Riuscì a farla stemperare dalle emozioni cupe che l’avevano avvolta fino a un momento prima. Max l’aveva guardato di scatto, stupita dall’ averlo sentito dire una cosa simile: “Si, fanculo a quel coglione! Ahah!”

“Sai che ti dico?” Aggiunse Mike “Fanculo anche al re d’Inghilterra, anzi, fanculo a tutti i re del mondo per incasinare sempre le nostre vite!” 

Urlò al cielo, direzionando l’eco giù dalla collina, come se volesse che il suo proclama raggiungesse i sovrani in questione, sapessero cosa pensava di loro.

“Si, andate tutti quanti a farvi fottere! Wo-oooh!” Urlò al cielo, la rossa, euforica.

“Caspita, ti è servito proprio, eh?”

“Si…mi sento rinsavita, grazie, Mike.” Gli rispose mentre riprendeva fiato per la foga che ci aveva messo.

Presto però, un altro urlo giunse alle loro orecchie; solo che non era di Undi, ma di Billy!

I due si scambiarono un’occhiata e giunsero presso due alberi in cima a una collina costellata di rocce ed erbe alte.

Il fratellastro di Max, era sdraiato a terra, contorcendosi in fitte di dolore, sbraitando mugugni senza un senso coinciso. Undi, invece, era poggiata con la schiena a un albero, seduta a terra, mentre lo fissava, terrorizzata.

“Undi!” Esclamarono all’unisono i due amici. Lei si voltò di scatto verso loro, e nei suoi occhi la paura scomparve, sostituita da speranza. 

Accorsero al suo fianco, Mike la abbracciò d’istinto.

“Ho avuto così tanta paura di perderti…”

“Cosa gli sta succedendo?” Le chiese invece, Max, puntando a Billy.

“Non so…ha iniziato tutto all’improvviso…como se…estas bruciando.”

In effetti, ora che lo osservavano meglio, si rotolava a terra, come se stesse cercando di spegnere delle fiamme invisibili che lo circondavano.

“Billy, parlami! Cos’hsi? Sono io, Max! Voglio aiutarti!” Gli si avvicinò la sorellastra, cercando di tenerlo fermo.

“Aspetta, è pericoloso!” Esclamò Mike.

Billy si fermò per un momento a fissarla negli occhi. La prese dalle braccia 

“Voi non capite: dovete fuggire! Siete già morti: lui vi sterminerà tutti!”

Max non capiva, voleva solo indietro suo fratello.

“Ti prego, basta! Ritorna a essere te stesso! Non mi importa se sbuffi, ti lamenti e non hai voglia di starmi dietro: io rivoglio il vecchio te, Billy!” 

“Non c’è più tempo, Max!” Con un agilità degna di un animale selvatico, Billy saltò su un albero per poi balzare giù dalla collina, perdendosi nella fitta boscaglia. 

Max rimase a fissare il suo tragitto, senza più alcun segno ormai della sua presenza, illuminata dalla luce del tramonto in quel suo volto pallido, umido di lacrime, gli occhi azzurri profondi e persi.

Mike e Undi le si fecero accanto.

“Lo troveremo, te lo prometto.” le disse Mike.

Lei si voltò verso di loro.

“Vi voglio bene…”

Intanto, il gruppo degli esploratori del sottosopra, era riuscito a sfuggire dalla parata demoniaca, nascondendosi in una casa, mentre questa passava via per la strada. 

Per un momento pensarono di essere finiti, quando i demogorgoni iniziarono a fiutare le finestre sbarrate con assi di legno, intravedendo dalle fessure tra esse. 

Johnathan dovette coprire la bocca a Nancy, che sussultava dalla paura. 

Sgattaiolati fuori dal tronco, tirarono il sospiro di sollievo più forte della loro vita.

Ma nel castello di Lützen nel sottosopra, qualcun altro non se la passava altrettanto bene: una figura attaccata ai viticci che si estendevano per tutto il luogo, si dimenava, seduta sul trono della sala grande, come se stesse andando a fuoco. 

“Voi siete già morti…VOI SIETE GIÀ MORTI!”

Quella sera il gruppo si riunì a casa Bayern, dove constatarono la connessione degli eventi di quel giorno, ma non seppero ideare un nuovo piano, se non aspettare il ritorno di Hopper con l’amata protestante.

Max e Undi dormirono insieme nel letto che era tecnicamente di Will.

Max si girò verso la ragazzina spagnola:

“Secondo te riusciremo a salvarlo? Intendo, Billy.”

“Non ti preoccupare…Hop sistemerà tutto.”

“Buona notte Undi.”

“Buenas noche, Max.”

Non dovettero aspettare molto, perché il pomeriggio del giorno dopo, le prime file di picche e stendardi si iniziarono a intravedere all’orizzonte, verso sud, e con essi a udire il suono delle trombe e tamburi: la guerra stava arrivando…la guerra stava arrivando…

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Capitolo 12
*** Le Trombe della Guerra ***


Capitolo 12: le trombe della guerra

 

Fu Elizabeth Ganthermausen, la figlia del mugnaio a vedere per prima l’armata protestante in arrivo da sud. A primo acchito, le file nere di picche, non la impressionarono molto:

“Uh…Sir Poppenheim é tornato; sarà la volta buona che sloggiano tutti…” pensò tra sé e sé.

Ma quando intravide i primi stendardi svedesi corse giù dalla collina dove stava raccogliendo fiori, urlando a squarciagola: “Protestanti! I protestanti sono qui!”

Tutti si impanicarono, iniziarono a levarsi dalla strada, mettere gli oggetti preziosi in borse e valigie in caso di fuga, tutti tranne i soldati imperiali, che già da mezz’ora si stavano schierando ma non avevano fatto la cortesia di dire il motivo agli abitanti di Lützen, che pensavano fino a quel momento fosse solo un esercitazione.

Il motivo? Lo sapeva Hopper, che cavalcando al fianco di Alexander Leslie, a capo dell’avanguardia. 

Un chilometro prima, erano stati sorpresi da un drappello di quei corazzieri croati, famosi per la loro agilità a cavallo, posizionati come vedette da Wallenstein al limitare del bosco sulla strada che conduceva a Lützen da sud. 

La rincorsa era stata inutile: erano troppi veloci; il fattore sorpresa era perso. Comunque, Gustavo Adolfo non sembrava toccato negativamente, quando ritornarono a riferirgli la notizia. Anzi, esordí dicendo:

“Meglio così, potremo vantarci di aver sconfitto il generalissimo Wallenstein in campo aperto!”

Il sovrano di Svezia era un re guerriero nel vero senso del termine.

Il diretto interessato stava consultandosi col Gonzaga nella tenda da campo, organizzando la difesa al meglio.

“Potremo averli scoperti, ma fino al ritorno di Popoenheim siamo comunque in inferiorità numerica. Dovranno sconfiggerci il più velocemente possibile, quindi, niente azioni affrettate: stabiliremo linee salde e saranno loro a doverci attaccare.”

“Consiglio di utilizzare i giardini e le colline come trinceramenti naturali.” Disse il duca di Mantova “gli faremo pagare per ogni centimetro.”

Intanto, i ragazzi mettevano in atto il piano B: avevano scoperto l’esistenza di un altro portale sul muro esterno di un vecchio mulino abbandonato su una collina a sud-ovest. Quando i demogorgoni sarebbero fuoriusciti dal sottosopra, attirati dal sangue della battaglia, loro sarebbero entrati lí per liberare Will. Ma stavolta ci sarebbero andati i più giovani, protetti da Undi: Nancy e Johnathan dovevano proteggere la fattoria dei Bayern, aiutato da Joyce. Raimondo dovette rispondere alla chiamata alle armi e ora comandava la sua divisione di fanteria, mentre si schierava tra il muretto della strada carreggiata e i giardini del paese. Dietro di loro, una colonna di carri e cavalli, diretta fuori Lützen per scortare fuori i più vulnerabili, oggetti preziosi e i viveri della popolazione.

Il signor Wheeler era tra questi. Sua moglie al suo fianco, Holly sul retro, giocava con la sua bambola preferita. Pareva non capisse cosa stesse succedendo tutt’intorno a lei.

“Dove sono Nancy e Mike?!” Urlava Karen al marito.

“Non lo so, dannazione! Dobbiamo pensare a mettere le nostre cose in salvo o saremo finiti!”

“LE NOSTRE COSE?! Le tue cose semmai! Stai veramente preferendo la tua merce ai NOSTRI FIGLII?!” 

“Eh finiscila per una buona volta, Karen…quel ragazzo, Johnathan, la starà difendendo e io tornerò per riprenderla”.

I soldati imperiali di stavano schierando di fronte a Lützen.

“In posizione! Passeranno sui nostri cadaveri se vorranno questa cittadina!” Urlava Raimondo ai suoi soldati, che gli risposero con un grido di guerra. 

Il piano degli imperiali consisteva nello schierare L’armata a ridosso del perimetro di Lützen: al centro divisioni di fanteria con alle spalle batterie di cannoni. Sul fianco sinistro, la cavalleria. Si quello destro, tra i giardini della cittadina, le divisioni al comando di Gonzaga.

Sulla collina orientale dei mulini, l’altra metà dell’artiglieria, da dove Wallenstein monitorava tutto il campo dall’alto.

Gli svedesi e i loro alleati si stavano schierando sulla piana a sud, fronteggiando l’armata imperiale frontalmente. 

Tutt’ora disponevano della superiorità numerica essendo ventimila contro diciassettemila, ma era solo questione di tempo prima che Poppenheim arrivasse con la sua divisione di cinquemila uomini di rinforzo, quindi Gustavo Adolfo sapeva che dovevano sbaragliarli in fretta se volevano vincere.

I ragazzi ammiravano a bocca aperta, estasiati e spaventati allo stesso tempo quel maestoso spettacolo: non avevano mai visto così tanti uomini Messi insieme. Non riuscivano a vederli tutti in una sola occhiata senza spostare lo sguardo e facevano fatica anche solo a immaginarli. Neanche Mike, che mirava in dettaglio lo spettacolo tramite un cannocchiale sgraffignato dalla merce del padre, riusciva a completare nella sua mente tutto il disegno o a credere ai suoi occhi, che gli presentavano uno spettacolo troppo maestoso, terrificante e intenso per la sua mente da ragazzino di campagna, parandoglielo di fronte senza filtro.

“Woah…é la cosa più incredibile che abbia mai visto!” Disse Max.

“Ma non eri con l’esercito insieme ai tuoi?” Le chiese Dustin.

“Beh, si…ma non avevo mai visto uno scontro così enorme.”

“Ehi, vedo Hop!” Esclamò Mike.

“Davvero?! Dov’è?” Chiese Lucas.

“È sul fianco sinistro, affianco a un tizio con un cardigan sulla spalla…sta brandendo uno spadone!”

In effetti, Hopper era smontato da cavallo e si trovava di fronte a uno schieramento assieme a Leslie.

“Ah, quanti imperiali ammazzeremo oggi! Un bel giorno per morire!”

“Confido in previsioni meno tetre…” gli rispose Hopper.

Gustavo Adolfo si avvicinò a cavallo e porse la mano allo sceriffo di Lützen:

“É soltanto grazie a voi se oggi siamo qui. Voi e Leslie attaccherete con la vostra divisione di fanteria gli imperiali asserragliati nei giardini, così potrete entrare direttamente a Lützen di lì e recarvi dal Lord e i vostri cari per metterli al sicuro.”

“Grazie” Rispose Hopper stringendogli la mano. “É stato un onore conoscervi.”

“Parlate come se debba morire, ahah!” Il re di Svezia proruppe in una delle sue fragorose dimostrazioni di informale bonarietà e sicurezza di sé “No, no, ho ancora molte lezioni da impartire a sua maestà il sacro romano imperatore e i suoi cugini spagnoli, per non parlare del bastardo di Copenhagen e quel meticcio di mio cugino Ladislao, che è stato così fortunato da divenire re del Commonwealth polacco-lituano e al contempo zar di Russia, ma non abbastanza, anche se ci prova costantemente, da reclamare il trono di Svezia appartenente a quello smidollato di suo zio prima che mio padre lo buttasse a calci in culo fuori dal paese. Tutti costoro sperano nella mia morte e so che mi stanno facendo le corna in questo momento, ma no, non gli darò questa soddisfazione prima di poter posare di nuovo le mie regali chiappe sul trono a Stoccolma.”

Hopper si tolse il cappello in segno dj riverenza. “Signore, se tutti i re fossero come lei, il mondo sarebbe un posto migliore!”

Dietro di loro, il multietnico esercito (come tutti gli eserciti dell’epoca, d’altronde) dell’Unione Evangelica guardavano con orgoglio al loro condottiero, pronti nel loro cuore a versare sangue per lui. 

Tra di loro si riconoscevano visi boemi, svedesi, sassoni, occhi della Valacchia a e Transilvania, mani poderose scozzesi; ma tutti erano uniti dallo stesso fervore guerresco nei loro occhi.

In quel momento, Hopper realizzò che questi uomini non sarebbero scappati facilmente dal campo di battaglia e avrebbero combattuto fino all’ultimo, anche se le cose si fossero messe male.

Lo schieramento era suddiviso in battaglioni di uomini in formazione rettangolare, intervallate da spazi tra l’una e l’altra per permettere ai rinforzi o ai feriti in ritirata di passare tra l’una e l’altra evitando resse umane tra le masse d’uomini in movimento.

Intanto, un fitto scambio d’artiglieria stava avvenendo tra i due eserciti. Palle di cannone si schiantavano sul campo in mezzo ai due grandi schieramenti, senza colpire molto. Lo scopo era infatti testare la gittata dei cannoni e cercare di intimorire il nemico, non recargli danno. In circostanze normali, solo udire l’impatto a terra avrebbe fatto almeno tremare gli uomini in prima fila, anche alcuni veterani.

Ma non oggi: la posta in gioco era troppo alta. Anche i soldati più inesperti e analfabeti, presi dalle strade o dalle carceri sapevano, sentivano, che questa non sarebbe stata una battaglia come le altre, che sarebbe stata le chiavi della guerra e di tutta la storia in toto. Una guerra, che era la più grande e ideologicamente divisiva che era stata combattuta fino a quel momento in Europa e per cui di sarebbe dovuto aspettare trecento anni, le due guerre mondiali, per vederne di altrettanto intense.

E tutto questo, soltanto perché un ragazzino, Will Bayern, era scomparso una notte mettendo in moto tutta una catena d’eventi che aveva portato a questo.

Neri spruzzi di zolle di terra si alzavano all’impatto per anche centinaia di metri nel cielo, come avrebbero fatto spruzzi d’acqua se fosse stata una battaglia navale. 

“Guardate: sembra che il re svedese stia tornando dai suoi cavalieri” osservava Mike dalla collina: “le picche…avanzano; stanno per attaccare!” 

In effetti, le divisioni di fanteria centrale e quello ad ovest (dove si trovavano Hopper e Leslie), si stavano preparando ad attaccare. 

Le foreste di lunghissime picche si approcciavano in un movimento diretto verso lo scontro e la morte di migliaia di uomini. Hopper teneva salda la presa sullo spadone di Lord Hans, pronto a tutto.

Il suddetto Lord di Lützen, nel frattempo, veniva portato di forza da un gruppo di uomini capitanati da Neil, al cospetto di Wallenstein, poco dietro le prime linee imperiali.

“Che cosa state facendo?! Io sono il signore e protettore di questo paese!”

“Vi rendo conto dei vostri inusuali sforzi; perché è alquanto inusuale per un Lord invitare l’esercito nemico nella vostra cittadina, tramare contro i vostri alleati e imperatore!” Gli rispose Wallenstein.

“Siete stati voi a obbligarmi…”

“Non importa, perché ora Lützen stessa pagherà insieme a voi.” Wallenstein si volse verso Neil. “Date fuoco al villaggio!”

“No, NOOO!” Lord Hans si dimenava inutilmente tra le braccia dei suoi rapitori.

Anche Neil, però, non sembrava convinto: “Ma signore, molti civili non hanno ancora lasciato le loro case, qui vi sono anche le famiglie dei soldati.”

“Non importa: ci penserà la provvidenza divina a salvare le anime pie; quanto agli altri, beh, le vie del signore sono infinite…”

Neil lo fissava incredulo del cinismo e strumentali amo del divino nelle parole del generale. Questi lo notó: 

“Che c’è, non avrete mica paura per la vostra anima? Siete dalla parte della vera fede e dell’imperatore mandato in terra dal Signore.”

Neil si riprese dalla sua trans. Si rivolse ai suoi uomini con sguardo truce: “appiccare l’incendio…”

“NOO! FERMI, VI SCONGIURO!” Pregava pietosamente Lord Hans.

Wallenstein estrasse la sua spada e gli si avvicinò. Lord Hans comprese e si ammutolì. La pace si intravide nei suoi occhi mentre la lama di Wallenstein gli trafiggeva il cuore.

“L’unica cosa che posso dirvi, è che ammiro la vostra follia, Lord Hans.”

“Siamo tutti dannati oggi, ma lei, Wallenstein, lei è un uomo morto che cammina…”

Il generalissimo ebbe un fremito mentre udì la roca voce morente del Signore di Lützen. Queste parole lo avrebbero tormentato per molto tempo. Prima che fosse calato il sole, avrebbe capito il perché.

Un assaggio di questo lo ebbero già Nancy e Johnathan mentre correvano per le strade affollate da soldati e cittadini, verso la fattoria di Joyce.

Nancy notò strani uno buco rosso aprirsi in un muro di un edificio di un vicolo. Avvicinandosi circospetta, vide una zampa artigliata arrampicarvisi fuori all’improvviso. Ritrattasi per la sorpresa, cadde di spalle su Johnathan.

“Cosa è successo?!”

“Il muro….c’è un demogorgone!”

La terribile faccia da fiore del mostro fece capolino oltre la coltre d’oscurità del vicolo, mentre i due sollevavano i fucili verso l’essere: la guerra era arrivata a Lützen su entrambi i fronti…e l’essere seduto al trono del palazzo nell’oscurità del sottosopra rideva di gusto.

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Capitolo 13
*** Il giorno in cui Lützen si tinse di sangue ***


Capitolo 13: il giorno in cui Lützen si tinse di sangue

 

I ragazzi guardavano inorriditi e increduli la loro cittadina bruciare, dall’alto della collina del mulino.

“Bastardi, perché?!” Urlò Mike.

“M-mamma, papà!” Singhiozzava Dustin “Devo andare, devo andare da loro!”

Fece per correre giù dalla collina, ma Lucas lo prese da un braccio.

“Che fai, lasciami!”

“Dustin, siamo tutti nella stessa barca: anche le nostre famiglie sono laggiù.”

“E allora, perché non venite anche voi?!”

“Perché il piano è salvare Will: nessuno oltre a noi giungerà in suo soccorso” gli disse Mike.

“Mi papa, estará cercando nos otros laggiù.” Disse Undi.

“Esatto, e sono sicura che Neil, il mio patrigno, in quanto attendente da campo, starà facendo del suo meglio per evacuare gli abitanti: sarà un ubriacone scorbutico, ma è un buon cristiano, non come quel pallone gonfiato di Wallenstein”. Aggiunse Max.

Dustin sembró calmarsi “Spero con tutto me stesso che abbiate ragione”.

Max aveva previsto correttamente solo per metà la reazione del patrigno agli infami ordini di Wallenstein. Neil infatti vagava perso per le stradine in fiamme di Lützen, come un bambino che ha perso la mamma, tra la gente che scappava a destra e sinistra.

Una voce lo riscosse dalla sua tranche: “Neil, cos’è successo?!” Susan le era corso incontro, ridestandolo scuotendolo dalle spalle.

“Io, oh Dio! Ti giuro, tesoro, che me lo hanno ordinato, ma io non lo volevo!”

“Non volevo cosa?”

“Dare fuoco a Lützen!”

“COSA?!”

“Dio non mi perdonerà mai, Il demonio si prenderà la mia anima per questo…”

Susan lo strinse tra le sue braccia “Non dire scempiaggini ora: il perdono c’è per tutti. Sono qui con te…”

“Esatto, padre” I due si voltarono e video Billy, col suo sinistro sorriso che aveva sempre da quando era stato attaccato dal verme demoniaco, seguito a sorpresa da Don Brennero e dai suoi uomini.

“La redenzione c’è per tutti, e io sono qui per guidarvi tutti verso essa: la verità.”

“Tu non sei mio figlio!” Gli urlò contro Neil “sei un demonio, e io lo libererò!” Neil estrasse la sua spada, preso in una furia cieca.

“Neil, fermo: é tuo figlio!” Lo implorava Susan, strattonandolo dalle braccia. 

Don Brennero si fece avanti, parandosi tra padre e figlio.

“Senior Hargrove, me ascolti, la supplico: l’entità che ha posseduto suo figlio non è ciò che pensa. Sono fieramente convinto che a questo mondo está qualcosa de più di angeli e demoni, e lui ci mostrerà la verità, una verità che ce porterà oltre le stupide guerre tra cattolici e protestanti!”

“Tu, lurido mago nero” lo minacciava con sguardo canino il padre di Billy “voi siete la causa di tutto questo”

“Susan, padre, volete sapere dov’è Maxine?” Gli chiese Billy, attirando la loro attenzione. “E voi, Don Brennero, volete sapere che fine abbia fatto vostra figlia Undé?”

Tutti si voltarono, sorpresi e ammutoliti verso di lui.

“Bene, allora seguitemi: e avrete tutte le risposte che cercate.”

Hopper marciava accanto a Leslie nella formazione di fanteria diretta verso le linee nemiche.

La terra tremava per i colpi d’artiglieria che si schiantavano al suolo a svariati metri di distanza di fronte a lui. Reggeva lo spadone tra le mani per nascondere il nervosismo che trapelava da quel debole tremore alle mani, ma anche per ricordarsi qua l’era il suo obbiettivo: difendere Lord Hans, Lützen stessa e ritrovare il piccolo Will Bayern.

Se fossero riusciti a sfondare le linee nemiche, sarebbe potuto entrare nella cittadina, mettere al sicuro Joyce e Lord Hans, ma soprattutto Joyce, dai demogorgone attirati dalla battaglia nella speranza che i ragazzi nel frattempo riuscissero a trovare e salvare il povero Will dalla dimensione di Lützen a “sottosopra”.

Non era tempo però di concentrarsi su questo: per salvare tutti doveva prima arrivarci dentro la città, e sconfiggere gli imperiali.

La formazione precedeva con i moschettieri (armati di fucile), che marciavano davanti ai picchieri che tenevano alzate le picche formando un bosco di pali pungenti, svettanti affianco agli stendardi araldici, tenuti su dagli ufficiali, tra cui c’era John, il giovane cuginetto di Leslie che l’aveva seguito nelle sue avventure dalla Scozia.

I tamburini davano l’indicazione di marcia tramite il battito delle bacchette. Ognuno era disposto ogni cento metri della lunga formazione, perché in assenza di dispositivi come le radio, era impossibile sentire da ogni punto della formazione gli ordini urlati dagli ufficiali. 

Questa marea umana dava il coraggio di sfidare la morte a ognuno dei suoi singoli componenti. D’altronde, metà di questi uomini non erano povere vittime della guerra, ma mercenari arruolati volontariamente per trovare fortuna, ricchezze e gloria in essa.

I due schieramenti di uomini si incontrarono e fermarono la loro avanzata a trenta metri uno dall’altro, poco più avanti del muretto dietro cui iniziava Lützen.

Al comando di Leslie: “posizione d’attacco!” i moschettieri di entrambi gli eserciti si misero in posizione di fuoco e scatenarono un’ondata di fumo e pallottole sui rispettivi nemici. PFIUUM fú l’ultimo suono che udirono decine di uomini prima di cadere a terra, pieni di piombo.

Hopper tenne ancora più stretto lo spadone tra le mani, in quei fatidici secondi.

I moschettieri si ritirarono nelle retrovie per ricaricare, mentre i portantini portavano via i feriti. 

“Abbassar, arm!” I picchieri abbassarono le lunghe file di picche, puntandole contro gli avversari, mentre con un piede sull’asta  le tenevano salde al terreno.

“Attacco!” I picchieri misero avanti il piede destro, per poi spingere avanti con entrambe le braccia la picca.

Un terribile scambio di punte accumunate fece schizzare fiotti di sangue e risuonare grida da entrambi i lati. Hopper, come tutti gli ufficiali, parava i colpi di picca menando fendenti di spadone. 

“Hop, giù!” Gli urlò Leslie. 

I due si accucciarono e incominciano ad avanzare strisciando al suolo insieme agli altri schermagliatori sotto la battaglia di picche che avveniva sopra le loro teste. 

Un soldato armato di accetta arrancava verso di lui con fare minaccioso. “Signore, fa che mi ricordi ancora come si faccia” sussurrò tra sé e sé Hopper, prima di infilzare al collo il tizio.

Intanto, lo scontro era degenerato in quello che veniva definito “amalgama di legni”: i due schieramenti si erano mischiati in un caos di uomini e armi, dove le aste di legno si intersecavano in una ragnatela di morte, mentre i soldati si scontravano in quella che pareva più una rissa su scala colossale: c’era chi cercava di farsi spazio per colpire con la sua picca, fucilieri qui e lì che ricaricavano per sparare in fretta, o perdevano direttamente la pazienza e menavano i nemici col calcio del fucile. Il fumo dell’incendio della cittadina rendeva il tutto ancora più simile a un inferno in terra. 

Hopper alzò la testa dal suolo e intravide qualcosa che si dimenava nel fumo, uomini che volavano in aria e spruzzi di sangue. La figura mostruosa tirò una zampata alla coltre facendola diradare: un demogorgone stava facendo a pezzi uno a uno una decina di soldati imperiali.

L’essere però aveva finalmente aperto un varco nella formazione nemica.

“Hop, ora!” Gli urlò Leslie. Hopper gli fece un cenno d’assenso con la testa a si lanciò a capofitto nel varco. Era quasi al muretto, quando il demonio gli si paró davanti, zampe alzate per attaccarlo.

Hopper sarebbe morto, colto di sorpresa, se un alabarda non avesse uncinato il collo del demogorgone, decapitandolo.

Hopper si schiarí la vista offuscata dalla cenere nell’aria e si ritrovò davanti Raimondo, sorpreso anche più di lui.

“Hopper, voi…eravate voi protestanti?!”

“Ascolta, ragazzo mio, so come salvare Lützen: fidati di me!”

Raimondo si fermò a pensare per qualche momento. Probabilmente accettò l’assurdità della giornata, quando si mise di lato e mostrò la via a Hopper con la mano.

“Hai fatto la cosa giusta, Raimondo.” 

Hopper saltó con un balzo oltre il muro.

“Che cosa vedi, Mike?” Chiese Lucas all’amico col cannocchiale.

“Stanno riuscendo a sfondare! Gli imperiali cercano di resistere ma Hopper e gli svedesi sono quasi oltre il muro a lato delle case.

“Vai così! Prendeteli a calci in culo!” Tifava Max agitando le braccia al cielo come un’avventore ubriaco di una taverna che assiste a una rissa.

Undi la osservava, rossa in viso per l’imbarazzo. L’atteggiamento dell’amica, d’altronde, era radicalmente diverso da quello a cui era stata educata in quanto contessina: “Max, e sto no é un comportamento da signorina!”

“E chi se ne frega: se ti hanno rasata quasi a zero, hai il permesso anche tu di non comportarti come se fossi sempre a stare prendere il té. La battaglia del secolo è in corso!”

“Lo vedi? Intendo, Hopper.” Chiese Dustin alla direzione di Mike.

“C’è troppo caos per distinguerlo chiaramente, ma era lì al centro dello schieramento l’ultima volta che l’ho visto.”

“Ragassi” Undi attirò l’attenzione degli amici, dietro di loro. “Esta apriendo!”

La ragazzina spagnola indicava loro un buco sul muro del mulino, con della luce rossa proveniente dall’interno: la via per salvare Will era aperta.

I ragazzi non avevano però notato, e non gliene se può fare una colpa considerando  che non erano militari e quanto grande fosse la battaglia, cosa stava avvenendo al centro e sul lato est.

Le divisioni di fanteria svedesi al centro erano i migliori dell’armata svedese. Gustavo Adolfo aveva ordinato loro di attaccare in quel punto per rompere in due l’esercito imperiale e magari catturare Wallenstein che era poco piu dietro sull’altra collina dei mulini. 

Gli svedesi erano avanzati per quasi un chilometro in campo aperto, prendendosi contro una costante pioggia di proiettili e palle di cannone. Wallenstein aveva capito che era meglio stare sulla difensiva contro la guardia reale svedese, e voleva quindi ridurla ai minimi termini prima dello scontro all’arma bianca.

Mai si sarebbe aspettato di vedere però questi veterani mantenere la formazione, spavaldi contro tutto quello che gli stava piovendo contro, arrivare alle linee nemiche, sbaragliare il primo scaglione e arrivare fino al secondo, quasi a portata di mano del generalissimo che iniziava ad avere paura ma rifiutava di lasciare il campo di battaglia come gli suggerivano gli attendenti da campo.

Sapeva che la sua tattica stava funzionando: saranno anche arrivati fin lì, ma ora la crème de la crème dell’esercito di Gustavo Adolfo era stata fatta a pezzi.

Il re svedese osservava con attenzione la situazione con un cannocchiale in sella al suo cavallo. 

“Signore, guardate lá!” Un attendente gli indicó il fondo della valle ad est, dietro le linee nemiche, dove per lo sconcerto di tutti, apparve uno stendardo raffigurante una regina nera a cavalcioni sulle spalle di un cavaliere con uno scudo dipinto di torri bianche su sfondo blu: Pappenheim era arrivato, avevano perso anche la superiorità numerica.

Gustavo Adolfo non sembrava però scoraggiarsi. Abbassó il cannocchiale e lanciò un’occhiataccia decisa in direzione del quartier generale nemico.

“Wallenstein, vecchia volpe, non me la farai questa volta!” Si voltò verso i suoi cavalieri della guardia reale svedese.

“Signori, in sella: attacco frontale!”

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Capitolo 14
*** Una morte e una resurrezione che cambiarono la storia ***


Capitolo 14: Una morte e una resurrezione che cambiarono la storia

 

“Ma Sire, é un suicidio!” I cavalieri intorno a Gustavo Adolfo erano perplessi, presi alla sprovvista dalla decisione del loro re. “Cosa sono queste facce?! Cos’è?! Mi avete seguito fin qui per ritirarvi con la coda tra le gambe alla prima sfida?”

I cavalieri risposero con un deciso cenno d’assenso a quel guanto di sfida: la guardia reale svedese non si sarebbe tirata indietro nel combattere per Gustavo Adolfo, neanche in una battaglia del genere.

Il Re montò a cavallo. 

“No, non me ne andrò fino a quando non avrò le teste di Wallenstein e Poppemheim”.

Il suddetto arrancava sbracciando, tra la folla dei suoi soldati giunti da poco sul campo di battaglia, per cercare di arrivare all’accampamento del generalissimo.

“Toglietevi di mezzo, Wallenstein, WALLENSTEIN! É UNA TRAPPOLA, IL DEMONIO É QUI!”

Per sua sfortuna, e di molti soldati sotto il suo comando, non raggiunse mai il comando generale d’armata. 

“Ma cos’è? una macchia nera?” Si chiese un attimo prima che una palla di cannone svedese gli facesse volare via la testa.

“Sono senza comandante ora, Sire!” Disse a Wallenstein, il terzo generale in comando svedese (ridete pure): Dodo zu Innhausen und Knyphausen, che al contrario dell’omonimo uccello delle Americhe, aveva uno spiccato senso per la sopravvivenza in situazioni potenzialmente fatali e sapeva quand’era il momento di intervenire.

“Vedete, uomini di poca fede? Dio é dalla nostra parte!” Poi, si rivolse nuovamente al suo vice. “Dodo, lascio a te il comando, mantieni unito l’esercito: QUALSIASI COSA ACCADA.” 

“Contate su di me, Sire.”

I cavalieri iniziarono ad allinearsi dietro il loro re per la carica frontale, mentre gli imperiali sul fianco destro del campo di battaglia, faticavano a decidere sul da farsi, sconvolti dalla morte di Poppenheim.

Undi stava conducendo i ragazzi nel Sottosopra, facendo strada per difenderli coi suoi poteri in caso qualche demogorgone si fosse fatto vivo. Eppure, la dimensione oscura pareva vuota e placida, con solo i sempriterni fulmini rossi in cielo a disturbare il silenzio che aleggiava nell’aria.

“Lo siento…Will está vicino.”

“Dov’é esattamente?” Le chiese Mike.

“Casa sua…o almeno esta versión.”

Mike strinse i pugni per esorcizzare l’ansia che lo attanagliava: era già terrificante aver dovuto mettere piede in questo posto, ma non sapeva come avrebbe reagito se avessero trovato Will…beh, non poteva neanche pensare a quell’eventualità.

“Non trovate che ci sia qualcosa di strano?” Chiese Dustin.

“Di cosa parli?” Gli chiese Lucas.

“Beh, Nancy, Johnathan e Raimondo ci hanno parlato di ronde di demogorgoni pattugliare questo posto, ma non c’è anima viva ora.”

“Magari, sono stati attirati fuori dalla battaglia: vuol dire che il piano di Hopper sta funzionando.” Disse Mike.

“Ma, non ne é rimasto neanche uno di guardia: non vi sembra sospetto?” Dustin appariva più ansioso del solito.

“Nessuno ha mai detto che siano intelligenti.” Puntualizzó Lucas.

“Non so…c’è qualcosa che non va…” 

“Oh finiscila un po’, Dustin.” Gli disse Max “Per una buona volta che le cose vanno per il verso giusto, devi mettertici tu a fare il guastafeste?”

Dustin rimase in silenzio, ma Undi notó la sua preoccupazione e anche se non lo disse agli altri, anche perché non sapeva propriamente spiegarlo a parole, anche lei sentiva che ci fosse qualcosa che non quadrava in tutto questo. E poi, chi era, e cosa c’entrava il ragazzo che aveva visto nella sua visione quando Billy aveva parlato con la sua voce? Hen…Henr…Cr…come si chiamava? 

Un sospetto simile lo ebbe Hopper trovó Joyce, piangente sul cadavere di Lord Hans. 

“Joyce, cos’é successo?” Gli chiese, chinandosi presso lei.

“Oh Hop, lo hanno ucciso: Wallenstein stesso ha ucciso Lord Hans con una pugnalata al cuore, e poi ha ordinato di dare fuoco a Lützen! La gente sta perdendo tutto, era questo il vostro piano?”

Hopper si guardò intorno, smarrito, facendosi la stessa domanda.

Nancy e Johnathan ora arretravano di fronte al demogorgone che stava uscendo dal vicolo, assetato di sangue.

“Johnathan!” Nancy ridestó dalla paralisi dello shock il fidanzato, che puntó di fretta il moschetto contro il Demogorgone. Questo fu peró più veloce e ruppe con un morso della sua testa da fiore la bocca da fuoco. L’arma cadde dalle mani tremanti del ragazzo, che sfoderó dalla cintola una falce da mietitura, ma il mostro lo disarmó nuovamente, ferendogli una mano con una zampata.

Ne lui ne Nancy riuscivano a reagire, perché se giorni prima erano riusciti a combattere i demogorgoni nella foga di salvare i loro fratelli minori, ora la visione della cittadina in fiamme e del mostro che li aveva presi alla sprovvista uscendo direttamente dall’oscurità del vicolo, li stava paralizzando.

Johnathan abbracció Namcy:

“Nancy, ti amo. In un’altra vita, ti avrei reso una principessa.”

“Lo hai giá fatto”.

La ragazza lo bació, colmando la paura delle lacrime che bagnavano i loro volti con il loro amore, mentre il Demogorgone alzava le sue grinfie, avanzando per mietere le loro vite.

I ragazzi giunsero alla casetta dei Bayern, avvolta da viticci organici, come tutti gli edifici della Lützen del Sottosopra.

Corsero dentro la stanza principale (che spartana com’era essendo di una famiglia di contadini del seicento, non la si poteva definire un vero salotto), dove con loro orrore, trovarono il povero Will imprigionato a un muro da una sostanza polposa rossa, con uno di quei viticci infilato nella bocca. I suoi occhi erano bianchi e spenti e il naso non dava segno di respiro.

“ODDIO, WILL!” Mike corse prima degli altri verso l’amico, togliendo l’appendice organica dalla bocca e liberandolo, scavando con le mani nella polpa.

“Mike, esperar! Puede es pericolosso!” Gli disse Undi, ma lui non le dava retta, così tutti corsero intorno a Mike che ora scuoteva Will dalle spalle, a terra, in lacrime. 

Lucas e Dustin notarono subito che era “smunto”, come se quel viticcio gli avesse risucchiato i fluidi corporei, e questo li fece  silenziosamente sprofondare nella disperazione. Non se la sentivano di dire cosa stesse passando nella loro testa a Mike, perché speravano anche loro che non fosse vero. Quindi, si limitarono a scambiarsi a vicenda un’occhiata di sincera rassegnazione, come per vedere se entrambi stessero pensando la stessa cosa.

Per Max, questa fu la prima volta che vide Will, visto che era scomparso il giorno prima che incontrasse i ragazzi. Dato che gli avevano detto che era un apprendista pittore, se l’era sempre immaginato vestito elegante come uno di quei famosi pittori italiani o fiamminghi che si vedono ritratti nelle stampe, o che occasionalmente seguono i re e i generali nel corso delle loro campagne per prendere appunti dal vero sulle battaglie in vista dei loro futuri dipinti a riguardo. Un giorno, ne vide uno, un certo Domenico Pugliari da Vaglia, in Toscana, che andava dietro Wallenstein nell’accampamento. Neil le disse che era stato assunto dal Generalissimo per fare degli affreschi anche a tema guerresco, nella sua villa di famiglia: problemi da ricchi. Max si ricordava di aver pensato che fosse l’uomo più elegante che avesse visto in vita sua, più di Wallenstein e tutti gli ufficiali dell’armata imperiale messi assieme. Quando lo vide, non si immaginava neanche che potesse esistere al mondo un uomo così elegante e raffinato. Ma ora, Will le appariva vestito con abiti modesti, sporchi e rovinati (più per la sua permanenza nel Sottisopra che per le sue condizioni economiche a Lützen), esile e bianco come un cadavere. Un cadavere, che fino a qualche giorno prima era un ragazzino felice con sogni molto più alti e nobili di lei, la cui massima aspirazione era stata, fin prima di incontrare i ragazzi e Lucas, fare bottino e derubare insieme alla sua famiglia mal assortita. Una lacrima le scese sulla guancia sinistra. 

“Will, WILL! Non morire ti prego, tu sei meglio di me, di tutti noi: non passerai il resto dei tuoi giorni ad accontentare i tuoi genitori che pensano solo al denaro o a sopravvivere: tu hai già superato le più rosee aspettative di tua madre e tuo fratello, sei un pittore, Will! E diventerai il più grande artista della Germania, anzi, dell’Europa! Renderai tutti gli abitanti di quel buco dimenticato da Dio che é Lützen, orgogliosi di affermare di essere nati lí! Quindi rialzati, perché ti meriti di vivere e questo NON É GIUSTO!”

Poi, rivolse i suoi occhi al cielo: “Oh, Signore! Hai resuscitato tuo figlio Gesú, riporta in vita Will: anche lui é figlio tuo!”

Gli occhi di Undi si illuminarono: le parole di Mike le avevano dato un’idea.

Undí gli si fece accanto. “Alejarse, spostati: jo puede salvarlo.” Mike si volse a lei, colmo all’improvviso da una scintilla di fugace speranza.

“Dici sul serio?”

Undi si accucció vicino Will, e gli pose una mano all’altezza del cuore. 

“Credo…de poter rianimar su corazon…o almeno ci proveró.”

Undi chiuse gli occhi e iniziò a respirare a cadenza regolare seguendo un ritmo andante. 

Lo aveva fatto una volta sola in passato, quando aveva rianimato al castello José, un maniscalco al servizio di papa, che era caduto da un’impalcatura. 

Suo padre le aveva spiegato che il cuore umano, come tutti gli organi, é una macchina perfetta, che non poteva essere curata con la violenza, ma seguiva nel suo battito un ritmo simile alla musica: se fosse stato troppo lento si sarebbe fermato, troppo veloce e sarebbe scoppiato: doveva inventare col suo potere un ritmo unico per il cuore di Will.

“Un…dos…trés…un…dos…trés…” sentiva i ventricoli iniziare a muoversi ma non doveva né smuoverli troppo velocemente o cessare il ritmo o Will sarebbe morto.

BOM!

Il petto di Will fece un sobbalzo, il ragazzino si alzò di scatto con la schiena, mettendosi a sedere nel respiro più forte della sua vita: “Uuuuuh!”

“WILL!” Mike lo abbració con tutta la sua forza, seguito da tutti gli altri. 

“Credevamo fossi morto!” Disse Dustin

“Non ci crederesti neanche se ti dicessimo cosa abbiamo fatto per salvarti!” Aggiunse Dustin.

“Will, está Bien?” Gli chiese Undé.

“Ehi ehi, piano, mi state soffocando: non mi sono mai sentito cosí debole in vita mia…”

I ragazzi gli lasciarono un po’ d’aria. Max si fece avanti, asciugandosi le lacrime.

“Potresti prendere spunto da quest’esperienza per un dipinto, ahah.”

“Ehm, scusa ma, tu chi saresti?”

“Oh già” la ragazzina gli porse una mano “Max Mayfield, sono nuova a Lützen.” Will gliela strinse con piacere e fare cortese, per quanto potesse, indebolito com’era.

“A proposito di Lützen, meglio svignarmela da qui: non ti immagini neanche che casino sta succedendo lá fuori!” Disse Mike a Will.

“Perché? Cosa succede, Mamma e Johnathan stanno bene?”

“Si, ma è in corso una battaglia tra l’esercito imperiale e quello svedese.” Disse Dustin.

“COSA?!”

“Piano, piano, fatti portare fuori da noi, non ti reggi in piedi.” Gli disse Lucas.

Mike e Undé presero Will dalle braccia mettendole sulle loro spalle, e si incamminarono verso l’uscita.

Mentre camminavano, la contessina spagnola percepí di muovo quella presenza provenire dal castello sulla collina, e sentí come se due occhi la stessero seguendo. Queste le fece venire ancora più voglia di uscire da lí.

Gustavo Adolfo e il suo schieramento di cavalieri erano pronti: cinque lunghe file di un paio di migliaia di uomini a cavallo, pronti a caricare il nemico con tutta la potenza cavalleresca svedese.

Il re estrasse la spada.

“Seguitemi, oggi dimostreremo a Ferdinando D’Asburgo e al suo cane di Wallenstein che cosa succede a chi calpesta i diritti dei protestanti! Per la gloria dei leoni del nord, URRÁ!”

“URRAAAAAH!” Un potente coro di voci di propagó dall’esercito svedese verso gli imperiali giú dalla collina, facendoli tremare mentre puntavano le picche per prepararsi all’attacco nemico.

La cavalleria croata che combatteva sotto il vessillo cattolico si stava ricomponendo dopo il fallito assalto contro gli svedesi che l’aveva indebolita mezz’ora prima: si erano scagliati contro i picchieri che avevano tenuto la linea, e appena si erano voltati per preparare un’altra carica, i fucilieri protestanti erano sbucati fuori dalle loro file alleate, rilasciando una salva di fuoco che aveva fatto crollare non pochi cavalieri r impedendogli di attaccare di nuovo.

Eppure, i croati rimanevano una grande minaccia per gli svedesi, rimaneva da vedere quanta efficace sarebbe stata la loro di carica. 

Gustavo Adolfo non aveva ordinato la carica come estrema mossa per cercare di vincere la battaglia, ma faceva parte del suo piano: se fossero riusciti a sbaragliare il fianco destro nemico e a metterlo in fuga, sarebbero potuti virare subito a sinistra sfruttando l’energia della corsa  e chiudere in una micidiale tenaglia il centro imperiale, magari catturando, o uccidendo Wallenstein stesso. L’improvvisa e fortuita morte di Pappenheim gli faceva credere sinceramente che Dio fosse dalla loro parte quel giorno, come era avvenuto in quello in cui Hopper gli si presentò con l’occasione di questa battaglia: una serie di eventi collegati tra loro nelle infinite vie del Signore. Poco poteva immaginarci, che a organizzare il tutto era stata un’entità ben più maligna, in cui lui, Poppenheim, Wallenstein, Hopper e Lord Hans erano solo pedine su uno scacchiere dove la partita era iniziata migliaia di anni prima quando un angelo si era innamorato di un’ umana…

I cavalieri piombarono giú dalla collina, investendo in pieno l’esercito imperiale. La linea non reggette e presto tra la fanteria fu il fuggi fuggi. I cavalieri croati cercarono di contrattaccare con lo spazio di rincorsa di cui disponevano e lo scontro tra cavalieri divenne ben presto un caos di uomini che cadevano di sella, combattevano duelli di spada a cavallo o sparavano con le pistole contro i nemici che gli passavano vicini. Ogni tanto si intravedeva la lugubre figura di un cavaliere decapitato ancora in sella sul suo cavallo imbizzarrito che correva di quá e di lá per il campo di battaglia, richiamando al ben noto Cavaliere dell’Apocalisse. 

Il piano di Gustavo Adolfo stava però funzionando: gli imperiali non riuscivano a difendersi veramente dai suoi uomini ed erano costretti a indietreggiare: la loro era una difesa disperata, senza organizzazione. Dovevano insistere ancora un po’, ancora un po’ e la vittoria sarebbe stat-ma che diamine?!

Nel caos della battaglia, un Demogorgone sbucò dal terreno, tranciando in due cavallo e cavaliere svedesi poco vicino al loro re. Il mostro si scagliò in una sanguinaria frenesia contro chiunque gli capitasse sotto artiglio, facendo fuggire tutti quelli che lo videro.

Ma non Gustavo Adolfo.

“Vieni a me, demonio!”

Rimasto solo, si lanció contro il Demogorgone con la sua spada, la bestia sollevò i suoi artigli, ma con un fendente il Re svedese gli tranció via la testa da fiore, sporca di sangue umano. 

Purtroppo, Gustavo Adolfo non aveva notato il corazziere imperiale che, sfruttando l’occasione, gli stava puntando una pistola dietro la schiena da qualche metro dietro di lui. 

Il proiettile trapassó la corazza, facendolo barcollare da cavallo. Adolfo si lanciò contro il nemico, menando fendenti in aria, ma ben presto venne circondato da altri tre cavalieri imperiali, tutti e tre impugnanti le loro pistole. 

Il primo lo mancó per poco alla testa, facendogli un buco nel cappello da cui il proiettile voló via un’aria, il secondo lo ferí a un braccio, ma Gustavo Adolfo tenne la stretta sulla spada: nessuno lo avrebbe mai disarmato nella battaglia più importante della sua vita. Il terzo lo colpí di nuovo nella ferita aperta alla schiena, paralizzandolo e facendolo stramazzare al suolo.

Infine, le armi da fuoco avevano battuto la nobile spada.

Il suo cavallo fuggí via come avevano fatto tutti intorno a lui, mentre i quattro gli si raccoglievano intorno puntandogli contro le loro pistole di scorta.

“Chi siete?” Gli chiese uno di questi. Lui attinse a tutto il fiato che gli rimaneva in corpo per rispondergli.

“Io ero…Gustavo Adolfo, Re di Svezia.”

E cosí, l’uomo gli diede il colpo di grazia alla tempia, uccidendo il Leone del Nord.

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Capitolo 15
*** La fine dei giochi ***


Capitolo 15: La Fine dei Giochi

 

Joyce era stretta a Hopper, piangendo sulla sua spalla.

“Oh Hop, com’è potuto succedere tutto questo? Vorrei solo indietro Will, il mio bambino…”

“I ragazzi lo avranno già trovato, dobbiamo solo-“

Hopper si interruppe udendo uno sferragliare di armi provenire poco distante da loro. Per sorpresa dell’uomo e della donna, Raimondo e Leslie si stavano sfidando in un duello tra le vie di Lützen, probabilmente iniziato un centinaio di metri più avanti, ma i due erano così presi dallo scontro da non essersi resi conto di essere arretrati fin dentro il paese. 

Il giovane condottiero emiliano menava fendenti con la sua alabarda, mentre l’highlander rispondeva parandoli con la sua claymore e, quando intravedeva uno spiraglio nella difesa dell’avversario, tentava un affondo. La bravura dei due garantiva però una sostanziale parità. Lo spettacolo del loro scontro, nei movimenti, le parate e i contrattacchi, era però uno spettacolo per gli occhi.

“Fermatevi, idioti!” Sbottó indignata, Joyce alla loro direzione. 

I due si interruppero e rimasero basiti quando si resero conto di essere stati sgridati da una signora.

“Non capite che il vostro scontro non ha senso? Questa intera guerra è una gigantesca, inutile baggianata!”

“Ma-“ provó a interromperla, Leslie.

“Siamo cristiani, tutti quanti noi: chisse ne frega se siamo cattolici o protestanti!”

“Signora, io in realtà sarei pure cattolico” la interruppe Leslie “combatto per gli svedesi perché sono un mercenario”.

“Non è questo il punto, dannazione!” Gli urló in faccia Joyce, spaventando il gran soldato come un gattino “il demonio si sta approfittando delle nostre divisioni per mietere vittime, qui a Lützen, lo avete visto coi vostri stessi occhi!”

I due sembravano toccati dalle parole di lei.

“Mio figlio è in pericolo: se voi vi considerate cavalieri, veri discendenti di Re Artú, allora aiutatemi a riportarlo a casa sano e salvo!”

“Staranno portando il bambino sulla collina, fuori dal buco infernale, ci serve qualcuno che uccida i demoni che girano per Lützen, che difenda i cittadini! Gli imperiali badano solo a far la guerra.” Aggiunse Hopper.

Raimondo e Leslie si guardarono. L’italiano porse una mano allo scozzese: “In nome di Dio?” 

L’altro gliela strinse: “In nome di Dio. Ma solo fino alla prossima battaglia: sai, non mi hanno ancora pagato lo stipendio.” 

Raimondo sorrise: “Quindi anche gli svedesi sono di braccino corto, eh?”

Tutti udirono un grido di paura provenire da una stradina laterale: era quello di Nancy!

I quattro accorsero lí e videro lei e Johnathan tremanti di fronte a un demogorgone che si stava avvicinando a loro con fare minaccioso. 

Hopper, Raimondo e Leslie gli si fiondarono contro. L’italiano lo arcionó alla testa con l’alabarda, lo scozzese gli taglió i piedi con la claymore e il tedesco affondó nel suo cuore con la Zweihander di Lord Hans. Il mostro venne fatto letteralmente a pezzi dalla furia combattiva dei tre guerrieri. 

Johnathan corse da sua madre: “Mamma, state bene?”

“Ma di cosa ti preoccupi per me, quando stavi per farti sbranare da quel mostro?!”

“Beh…”

“Te l’avevo detto che si può sparare solo se non ti tremano le mani.” Lo ammoní bonariamente, Raimondo.

“Mi sa che sono più adatto al forcone che al moschetto.” 

“Dove sono mio fratello e gli altri ragazzi?” 

“Sono andati a prendere Will dal buco sulla collina insieme alla contessina spagnola, venite, dob-“  Hopper si interruppe, sentendo un suono di trombe: era un ordine di ritirata! Assieme a queste, si udivano anche delle grida in lontananza.

“Il Re é morto! Ritornare alle posizioni di partenza!”

Tutti rimasero sbigottiti, Hopper e Leslie piú degli altri.

“Gustavo Adolfo…é morto?” Mormorò Hopper, spaventato dalle stesse parole che gli uscivano dalla bocca.

“No, no…questo è un disastro, non ora…” Leslie non era scosso soltanto per motivi strategico-militari, ma soprattutto perché aveva instaurato una sincera amicizia col Re svedese: per lui era stato come un mentore, e avrebbe usato quello che imparò sotto il suo servizio combattendo contro le forze reali di Carlo Stuart nella Guerra civile inglese.

“State dicendo che ve ne andate?!” Chiese Nancy.

“ORA?!” Aggiunse Joyce.

“Trovo difficile che gli altri generali svedesi e il re sassone vogliano continuare la battaglia.

Johnathan si rivolse a Raimondo con fare supplichevole. “Allora dovrai convincere tu Wallenstein a non inseguirli, o la gente qui sarà in totale mercé ai demoni. Per non parlare poi di quel Don Brennero, se trovasse mio fratello in compagnia di sua figlia, lo rapirebbe per fargli chissà quali esperimenti!”

“É impossibile” gli rispose Raimondo “Quel pallone gonfiato pensa solo alla sua carriera militare, si starà fregando le mani all’idea di una promozione e di come leccherà i piedi dell’imperatore raccontandogli della sua grande vittoria”.

Hopper prese così Leslie dalle spalle, fissandolo con occhi disperati nei suoi “Allora siete voi la nostra unica speranza: tornate al quartier generale protestante e fate di tutto per convincerli a continuare la battaglia, almeno fino a quando Will non sarà salvo e al sicuro.”

Leslie ricambió lo sguardo con decisione e fiducia. “Vi giuro che farò di tutto per farla pagare a quei bastardi.” 

I due si scambiarono una stretta di mano. Leslie si volse un’ultima volta verso Raimondo prima di correre via. “Non siete male come duellante, chissà, magari un giorno ci rivedremo per vedere chi è il migliore”.

“Vi darò molto volentieri l’onore della rivincita” gli rispose il giovane con un sorriso.

I ragazzi uscirono finalmente alla luce del sole dal buco del Sottosopra nel mulino. Ma ad aspettarli non c’era la calorosa accoglienza di Joyce, Hopper, Nancy e Johnathan, ma un’amara sorpresa: Don Brennero coi suoi uomini assieme a Susan e Neil con in mezzo a loro poco di meno che Billy stesso che fissava i ragazzi con uno dei suoi ghigni inquietanti, erano lí, tutti quanti ad aspettarli all’entrata, sorpresi tutti (tranne Billy ovviamente), anche loro.

“Ciao Maxine, grazie di avermi portato Will” disse il posseduto alla sorellastra. Lei rimase ferma a guardarlo dallo shock con occhi tremanti. 

“Billy, come hai? Che ci fai qui?”

“Oh cazzo…” mormorò tra sé e sé Dustin facendosi il segno della croce.

Il cadavere di Gustavo Adolfo era attorniato dai suoi soldati e generali. 

Pianti virili si sentivano dentro d fuori la tenda, dove una folla di era accalcata per vedere il corpo inerme del Leone del Nord, venire portato dentro e posato sul tavolo tattico.

Bernardo di Sassonia era quello più colpito di tutti, perché mentre gli svedesi avrebbero potuto anche tornare a casa loro col benestare degli imperiali, il suo reame sarebbe stato la vittima sacrificale della pace.

“Devo andare, devo portare i miei uomini a  Eisenach per organizzare la difesa del ducato.

“Nessuno andrà da nessuna parte!” Tutti si volsero all’entrata, dove Leslie entrò petto in fuori per dimostrare che al contrario di loro, lui non aveva paura.

“La battaglia non è ancora persa!”

“Ma che dite? Il Re é morto!” Lo ammoní Bernardo, puntando con le mani al cadavere come se Leslie non l’avesse visto.

“E quindi? Un esercito é il suo generale o la somma dei suoi soldati?”

“Non temete, avrete comunque il vostro pagamento” gli disse Dodo con fare ironico, sottolineando quale pensasse fosse il motivo di tanto ardore militare.

“Cosí mi offendete, Dodo” gli rispose lo scozzese per le righe “Gustavo Adolfo era un mio caro amico, e proprio per questo non posso accettare di lasciarla vinta così a quel porco di Wallenstein! Cosa direbbe ora il vostro Re se vi vedesse piagnucolare sul suo corpo come delle femminucce?! Non volete fare vedere al nemico chi è l’esercito che Gustavo Adolfo ha guidato alla vittoria da due anni a questa parte?! Non volete rendere onore al suo nome un’ultima volta e far in modo che la sua morte non sia stata vana?!”

Tutti nella sala si guardarono in cerca di un cenno d’intesa.

Wallenstein intanto gongolava asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto: era arrivato tanto così vicino al credere di aver perso la battaglia, quando la provvidenza divina, o così riteneva, lo aveva salvato.

“Santi numi, Dio é con noi! DIO É CON NOI!”

Un’attendente irruppé nella tenda di fretta, rosso in volto dalla fatica della corsa e terrorizzato.

“Signore, gli svedesi sono in formazione”.

“Di ritirata! Ci lasciano il campo libero!” Concluse per lui la frase il Gonzaga.

“No, avete frainteso” lo interruppé il giovane soldato “Stanno attaccando di nuovo, e sembrano furiosi!”

Il silenzio cadde nella tenda.

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