Angel of Darkness

di KushinaKurosaki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un cielo senza stelle ***
Capitolo 2: *** Il problema...sono io... ***
Capitolo 3: *** Al sicuro ***
Capitolo 4: *** Apnea ***
Capitolo 5: *** Colpa ***
Capitolo 6: *** Vuoto ***
Capitolo 7: *** Scuse ***
Capitolo 8: *** La verità sul passato di Shiho ***
Capitolo 9: *** La solitudine più nera - Shiho ***
Capitolo 10: *** Il vero inferno - Sherry ***
Capitolo 11: *** Rinascita ***
Capitolo 12: *** Grazie Rei ***
Capitolo 13: *** Appuntamento ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un cielo senza stelle ***


 
 
 « Ai perché non sei andata con Shinichi e gli altri? » chiese leggermente preoccupato il dottore mentre la ragazza dai capelli ramati si voltò ad osservare l’uomo anziano che, nell’arco di quell’anno, era diventato per lei una figura di riferimento. « Non deve preoccuparsi, ho rifiutato l’invito perchè avevo un impegno… con quello là. »  affermò la ragazzina mentre l’uomo fece un sorriso divertito e scosse il capo. « A-Shiho, scusami non mi sono ancora abituato, quello là non è un modo carino per chiamare Akai-san. » La ragazza cercò di restare impassibile ma, nel momento in cui il suo vero nome uscì dalle labbra del dottore, il suo cuore aveva smesso di battere. C’era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato e non capiva cosa fosse. Ogni volta che qualcuno pronunciava quel maledetto nome, ogni volta che si presentava a qualcuno con il suo vero nome sentiva una parte di lei che voleva fuggire il più lontano possibile. Shiho era il nome che sua madre gli aveva dato alla nascita, lo aveva scelto per lei con chissà quale astruso significato ma quel nome non gli apparteneva. « Lo terrò a mente.  »  esclamò andando nella sua stanza. Avvertiva chiaramente e costantemente la fastidiosa sensazione di essere fuori posto e nessuno riusciva a comprenderlo. Era passata una settimana dalla vittoria sull’organizzazione, ma lei non aveva vinto nulla anzi aveva perso l’unica cosa che aveva avuto: Akemi, la sua famiglia. 
 
 
In realtà avrebbe voluto tanto stare stesa sul letto, al sicuro fra le pareti della camera di Ai. Quel luogo le ricordava il periodo in cui era stata felice, ma l’ aveva detto lei che giocando con il tempo l’uomo aveva in serbo un destino peggiore. Con quale vantaggio sarebbe dovuta restare bambina? Vivere una vita fatta di menzogne, Ai era lo squarcio di una transizione che a Shiho non era stata concessa. Aveva avuto la possibilità di avere un'infanzia ma aveva continuato a guardare il mondo con gli occhi di una ragazza senza speranza incapace di vedere i colori, per lei esisteva solo il bianco e il nero. Era stato bello però poter godere di un po’ di spensieratezza, grazie ad Ayumi, Genta e Mitsuhiko aveva capito quanto potesse essere bella l’età dell’innocenza. Forse era egoista, ma alle volte sperava di poter dimenticare tutto o anche di svegliarsi da quell’incubo senza fine in cui si era trasformata la sua vita.
 
Aveva preferito Akai al centro commerciale con Ran e le altre. Il suo problema non era neanche la fidanzata di Shinichi dato che lei sapeva di Conan e Ai ma le occhiatacce che la bionda le inviava. Aveva declinato l’invito euforico di Masumi e poi quello più insistente per Shinichi, per farlo aveva detto di voler parlare con l’uomo che era arrivato alle sue spalle con l’ennesimo stufato mezzo crudo.
 
 
Varcare la porta di casa era la parte più difficile. L’organizzazione continuava ad essere una presenza costante ed opprimente nella sua vita, il suo sesto senso la avvisava ad ogni minima possibilità di pericolo che le si presentava dinanzi. Prima, quando rispondeva ancora al nome di Sherry, era tutto più facile. Si atteneva agli ordini, restava chiusa in quelle quattro mura nella speranza che nessuno la interrompesse e tornava a casa. L’unica cosa che odiava era dover attraversare il corridoio, lì il suo sesto senso impazziva soprattutto se lui era nei paraggi. Si morse un labbro consapevole di non poter restare tutto il giorno al riparo di un suo simile. Perché Shiho era questo.
 
Una misera ed inutile ombra. Poteva elencare i passatempi di Sherry dai libri complessi, alle lezioni di autodifesa ricevute dalla persona più minacciosa per la sua stessa esistenza, le passioni di Ai che variavano dal guardare gattini sui reel di instagram all’urlare per ogni goal messo a segno da Ryunusuke Higo dei Big Osaka.
 
Shiho….Shiho era entrambe? Era sicuramente un' qualcosa che neanche la luce del sole poteva ben definire ed in questo momento era terrorizzata. Più che una diciottenne sembrava una bambina di due anni spaventata dal mondo intero. Sospirò bussando al campanello, aspettando che l’uomo dai capelli rosa venisse ad aprirle la porta. Non sapeva molto di ciò che la vita le avrebbe riservato, non sapeva quanto di Ai, ma soprattutto di Sherry, ci fosse in Shiho ma l’ardente desiderio di spiegazioni accomunava le tre maschere. Le motivazioni erano diverse certo, ma conducevano alla stessa risposta. 
 
 
Sherry aveva perso la sua luce, 
Shiho aveva perso un pezzo di  se, 
Ai voleva comprenderne il motivo.
 
Ancora si stupiva di come la ragione della sé bambina avesse prevalso sull’intento  omicida e sui pianti disperati. Quelle due, così opposte, erano nella sua mente e le sentiva litigare, lei si muoveva in base a chi vinceva quello scontro. Per una volta, poteva dire di essere la marionetta di sé stessa e questo la inquietava maledettamente.
 
« Credevo non venissi più. » ammise rassegnato l’uomo che aveva tolto la maschera. Era strano non ritrovarlo davanti a sé con gli occhiali e i capelli rosa, adesso vedeva chiaramente l'uomo che un tempo era stato Rye. La pelle olivastra evidenziava i suoi smeraldi inquisitori, i capelli un tempo lunghi erano molto corti ma il sorriso mesto sul suo volto la diceva lunga. Quel confronto sarebbe stato difficile per entrambi, ma come le aveva fatto notare anche Sera se il fratellone voleva così tanto parlarle forse avrebbe dovuto almeno provare ad ascoltare.
 
Era stato molto buffo il modo in cui avevano scoperto il loro grado di parentela, le pressioni che Masumi esercitava sull’Aptx le avevano fatto comprendere che lei sapesse qualcosa sull'organizzazione. Era stata l’abilità di Sherry, la sua capacità di mettere all’angolo le persone, a farle incontrare sua zia e lei l’aveva riconosciuta.
 
 
 “Sei la figlia di Elena? Le somigli tanto.”
 
 
Lei tuttavia aveva solo annuito, quella donna conosceva sua madre e ciò l'aveva congelata.
 
Akemi non le aveva mai detto di avere una zia, questo perché l'organizzazione che aveva ingannato i loro genitori le aveva divise, prima da lei, poi dai loro stessi genitori e infine avevano inviato il prodigio nella migliore scuola americana. Avevano distrutto la sua famiglia e il suo cognome portava con sé la scia di sangue che faceva di lei, l'unica superstite.

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Capitolo 2
*** Il problema...sono io... ***


Seduta sul comodo divano in pelle restò a guardare l’uomo perso nei suoi pensieri. Stava sicuramente ripassando il discorso che si era preparato per evitare di pronunciare le parole sbagliate in sua presenza. Un po’ lo comprendeva, dato che la questione era delicata ma quell’attesa agitava il suo animo.  « Io… ho bisogno… di sapere una cosa. » lo interruppe mordendosi un labbro. Da quella risposta avrebbe compreso se poteva reggere o meno quel confronto. 
 
« Mia sorella…tu…tu l’amavi sul serio? » L’aveva vista perdere il sorriso a causa sua, l’aveva vista piangere per ore senza poter far nulla perché non sapeva come ci si comportava in quei casi. Voleva sapere se anche lui aveva provato quel sentimento struggente, perché in quel caso la felicità che le aveva visto in volto non era frutto di una mera illusione, com’era accaduto a lei.
 
 
« Si, ci misi poco ad innamorarmi di lei. »
 
 
Quel tono che all'apparenza sembrava atono, celava una sofferenza che Shiho colse, abbassò lo sguardo ai suoi piedi non voleva piangere, non di nuovo di fronte ad un uomo.
« Akemi, era fatta così. Allegra e solare, nessuno poteva arrivare ad odiarla. » ammise lei  per poi alzare lo sguardo su di lui.  « Si esatto, e mi dispiace che sia morta a causa mia. » Shiho strinse i pugni abbassando lo sguardo e lasciando che l'uomo continuasse il suo racconto. Sobbalzò, lo sapeva però. Rye non aveva scelto Akemi a caso per infiltrarsi nell’organizzazione. Era stata scelta perché era sua sorella. Ne era consapevole da tempo ma sentirselo dire era tutt'altra storia. Accusò quel colpo, cercando di non fare gesti avventati. La voglia di fuggire era tanta.
 
 
« Fu in quell'occasione che scoprii la sua morte. Non ho potuto proteggerla, non ho potuto fare nulla se non restare a guardare quel giornale. Mi dispiace Shiho.» ammise l’uomo dagli occhi smeraldini mentre restò ad osservare la ragazza. Aveva avuto il capo chino per tutta la durata del racconto, non riusciva a vedere la sua espressione ma i pugni serrati e le nocche bianche gli fecero intuire che fosse arrabbiata. Aveva ragione ad esserlo. Lui aveva sfruttato Akemi e, anche se innamorarsi non era mai stato nei suoi piani, lei aveva pagato il prezzo più alto. Era colpa sua. Odiava ammetterlo ma il biondino aveva ragione nel dire che l’FBI non guardava in faccia a nessuno pur di mettere gli artigli sulla sua preda.  « Devo andare. » esclamò di colpo la ramata uscendo a passi svelti dalla casa. Akai sospirò, seguirla non avrebbe portato a nulla di producente. Aveva bisogno di tempo per metabolizzare le informazioni, ma sapeva che non lo avrebbe mai perdonato e alla fine andava bene così. Aveva immaginato mille scenari diversi e quello in tutta onestà era il migliore possibile. Il campanello suonò, probabilmente era il dottore che voleva notizie sul come fosse andata. Si ritrovò sorpreso dal volto della sua collega, non si aspettava quella visita, anche perché Jodie, accompagnata a Camel voleva dire lavoro. 
 
 
 
 
La ragazza ramata sospirò cercando di scaldarsi le mani. Il freddo pungente di metà Novembre le stava entrando fin nelle ossa. Alla fine aveva optato di andare al parco. Se fosse rincasata in lacrime avrebbe fatto preoccupare il dottore ed era l’ultima cosa che voleva. Lì invece nessuno l’avrebbe calcolata, né tantomeno avrebbero potuto riconoscerla. Fortunatamente il maglione viola che aveva addosso era munito di cappuccio, in quel modo era al sicuro.
I membri dell’organizzazione si trovavano in carcere, chi era sfuggito all'arresto era finito in una bara eppure la sgradevole sensazione di avere una pistola costantemente puntata alla tempia era ancora lì. Non credeva che sarebbe stata così sconvolta da quella conversazione. Se n'era andata senza degnarlo di uno sguardo, era stata più scortese del dovuto nei suoi confronti.
Sapere che anche lui soffriva per Akemi…conoscere i suoi veri sentimenti per sua sorella gli aveva reso più facile accettare le lacrime che lei aveva versato, perché anche lui doveva aver sofferto. Non credeva avesse pianto ma dalla voce con cui gli si era rivolto, era chiaro che parlare di lei non lo lasciava indifferente. 
 
 
« Hello darling! » quella voce la fece spaventare, le servì qualche minuto per mettere a fuoco la persona che, nel silenzio più totale, le si era avvicinata. Forse avrebbe dovuto rivalutare il concetto di irriconoscibile. « Agente Jodie, come mai da queste parti? » le chiese cercando di darsi un contegno. « Sto tornando a casa, però sai una ragazza da sola che tenta di nascondersi con un cappuccio accovacciata sotto una quercia non può non attirare l’attenzione. » esclamò sorridendo allegra per poi prendere posto accanto a lei. « Come mai quel muso lungo? Non dovresti essere felice? D’altronde abbiamo vinto, no? » domandò un po’ incerta. Si erano parlate solo una volta ed era stato quando Vermouth aveva tentato di ucciderla nel party di Halloween fuori stagione. « Abbiamo vinto? » ripeté lei non convinta della sua esclamazione, cosa che la ragazza dagli occhi glaciali colse immediatamente. «Si sbaglia agente Jodie. Io non ho vinto proprio nulla anzi ci ho solo rimesso. » ammise nascondendo la testa fra le gambe. L’americana stette in silenzio aspettando che lei continuasse a parlare, effettivamente neanche lei aveva vinto.
 
« Adesso puoi avere una vita normale, no?» chiese ancora comprendendo che non avrebbe parlato se lei non gli avesse cavato le parole di bocca. « Normale? Cosa c’è di normale? È ormai una settimana che provo a varcare la porta di casa, perdo mezz’ora ogni volta che devo uscire. Quella stramaledetta sensazione di essere costantemente in pericolo mi schiaccia il petto, anche adesso continuo ad aver paura di loro sebbene io sappia che non possono farmi nulla. Non riesco neanche a pronunciare il mio nome che mi si mozza il fiato, come se qualcuno potesse uccidermi da un momento all’altro, e ciò che è peggio è che questo nome non mi appartiene. » Si sorprese e non poco nel sentire quelle parole spezzate dal suo pianto disperato. Non immaginava che quella ragazza potesse essere così disperata ma effettivamente in tutto ciò che le aveva detto non c'era la benché minima traccia della normalità. « Io ti comprendo più di quanto tu possa immaginare.» affermò la statunitense posando una mano sulla sua spalla. Le sembrava di parlare a sé stessa, forse erano più simili di ciò che credeva. « Anche io ho dovuto imparare ad apprezzare un nome che non mi apparteneva. Quando avevo nove anni, Vermouth uccise mio padre e da allora la mia vita fu completamente stravolta. Diventai Susan Darwins, non riuscivo proprio a pronunciare quel nome che non mi apparteneva  e la sensazione di non poter fidarmi di chi mi circondava la ricordo ancora. Era stato un periodo orribile ed ero sola, ma nonostante ciò avevo trovato qualcosa che mi aveva spronato ad andare avanti. Volevo che chi avesse fatto del male a mio padre venisse punito. » spiegò la giovane agente mentre Shiho sorrise leggermente. Non immaginava che quella donna potesse comprenderla, né tantomeno che lei le avrebbe confidato ciò che non aveva avuto il coraggio di dire neanche al dottore.
« Ma non è solo questo vero, Shiho? » le era venuto spontaneo chiamarla per nome tuttavia la ramata non aveva fatto neanche una piega. « Come fai a dirlo? » chiese guardinga mentre il sospetto che Akai l’avesse mandata da lei si fece largo nella sua mente ma dovette scacciarlo immediatamente. Seppur fosse stato lui a mandarla da lei, e Akai non sapeva la sua attuale posizione, per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Che fosse preoccupato?
 
« Sono andata da Shuichi, avevamo del lavoro da ultimare ma era strano. Hai presente quando qualcosa ti lascia perplesso?» cercò di spiegare mentre la ramata ci pensò su. « Del tipo è andata bene, ma poteva andare meglio? Allora credo di si.» affermò la ragazza asciugandosi una lacrima.
« Esatto poi quando ti ho vista qui ho pensato fosse collegato a lui e quindi… » ammise mordendosi un labbro non sapendo cosa dirle. « Devi tenere molto a lui, Akai è impassibile quindi… » dichiarò lei con un sorriso mentre iniziò a comprendere la situazione fra la donna e il collega. Era brava a notare i piccoli dettagli, Akemi glielo ripeteva spesso…già Akemi.
« Comunque non è con lui che ho un problema. È vero abbiamo parlato, lui mi ha spiegato tutto e poi…sono scappata. » esclamò guardando la punta delle sue scarpe.
« Non comprendo allora… » sibilò confusa mentre Shiho sospirò mordendosi un labbro.
« Il problema sono io… Akai può dire quello che vuole ma Akemi non l'ha uccisa lui.» Quell'affermazione la sorprese, non riusciva a comprendere il nesso logico fra lei e la morte della sorella. « Akemi è morta a causa mia, e questa cosa nessuno potrà mai cambiarla. »
 
« Gin non l’ha uccisa… » iniziò lei ma Shiho la bloccò prima che finisse di parlare. 
« Akemi voleva portarmi fuori da quell'incubo, Akai si è avvicinato a mia sorella per raggiungere me. Che differenza fa? È morta comunque a causa mia. » dichiarò lei mentre Jodie non seppe come rispondere.
 

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Capitolo 3
*** Al sicuro ***


La notifica del cellulare la fece sospirare. Non riusciva a immaginare chi fosse, eppure non aveva molti contatti. Era Jodie. “Sto venendo a prenderti, preparati che usciamo. Non accetto un no come risposta.” L'aveva appena obbligata ad uscire di casa eppure sapeva bene che non amava farlo. “Non me la sento, per favore” le scrisse velocemente mentre un semplice “Vestiti” le giunse in risposta. Non le avrebbe fatto cambiare idea e lo sapeva. Aprì l'armadio cercando con lo sguardo un indumento abbastanza coprente, non voleva uscire ma doveva. Prese la lunga maglia larga di lana nera e il jeans ed iniziò rapidamente a cambiarsi, agguantò la felpa che indossò subito e aggiunse la sciarpa verde e il berretto. Era pronta. 

Jodie sospirò notando che la ramata era ferma sull'uscio, scese dell'auto andandole incontro e le tese una mano sorridendo. All'abito avrebbe potuto pensare poi con calma, per il momento Shiho doveva uscire ed era questo l'importante. Doveva prima farle prendere confidenza col mondo, poi con il suo corpo. Proprio per aiutarla con quell'obiettivo aveva deciso di portarla al Poirot, aveva visto una locandina in giro sulla serata disco e aveva pensato fosse un ottima occasione. Il viaggio in auto fu silenzioso, lei intavolava discorsi e la ramata rispondeva a monosillabi ma non macava mai di chiamarla Shiho, doveva abituarsi al suo nome. 

Si sentiva a disagio. Molto a disagio. Comprendeva ciò che stava facendo la sua amica, ma non lo approvava. Avrebbe voluto restare sul letto, guardare i reel nella più completa solitudine. E invece doveva uscire. Come se ne avesse voglia. Finchè non avrebbe perso di vista Jodie sarebbe stata al sicuro, si sapeva difendere abilmente ma non sapeva come avrebbe reagito al pericolo in quella situazione. Scese dall’auto facendo quasi una faccia schifata nel notare il trambusto e le ombre che si agitavano all’interno del locale. « Dobbiamo proprio entrare? » chiese la ramata guardando la donna bionda. 
« Prenditi tutto il tempo che vuoi, stiamo un po’ e andiamo via. » le spiegò comprensivamente, sembrava una madre amorevole con la sua bambina. Restaron un buon quarto d’ora là davanti ma aveva apprezzato che Jodie non le avesse messo fretta. Non appena entro nel locale dovette faticare per respirare fra la massa di gente accalcata, c’erano troppe persone in troppo poco spazio. Strinse saldamente la mano della sua amica, aveva bisogno di sapere che fosse lì con lei.

Jodie ricambiò la stretta di mano, era evidente che lei si trovasse in una situzione scomoda ed un po’ si sentiva in colpa ma doveva farlo. Se adesso avesse lasciato Shiho in camera non avrebbe potuto godersi la normalità, non sarebbe mai diventata normale. « Stai bene? » le chiese facendosi largo fra la calca di gente affollata. « Si credo, grazie per l’interessamento » affermò la ramata quasi rassegnata al suo destino.
«Vuol dire che ti stai abituan… »si voltò a cercare la ramata con lo sguardo. Lei le aveva lasciato la mano, e per trovarla in mezzo a quel caos ce ne sarebbe voluto.

Amuro sospirò, il locale era pieno ma lui e Azusa riuscivano a cavarsela abbastanza bene. Il suo sguardo fu catturato da una chioma ramata che si faceva largo fra la calca. Non era possibile fosse lei, Shiho d’altronde non era una ragazza che amava le feste  tuttavia era meglio essere sicuro. Inoltre sperava di riuscire a parlarle, dato che non era più riuscito ad avvicinarsi a lei.

Una mano gelida le strinse il polso facendole mancare il fiato. Shiho riuscì a liberarsi dalla stretta ma si ritrovò bloccata in un piccolo angolo della sala, aveva la pelle d’oca. Il ragazzo non demorse e la seguì bloccandola al muro. Shiho sgranò gli occhi quando due smeraldi le si pararono davanti, decisamente non si aspettava di trovarsi davanti due occhi così simili ai suoi. Era completamente paralizzata, cosa doveva fare? Il suo sesto senso era impazzito non appena, all’uomo che le stava dinanzi, la sua mente l’avesse collegato al biondo assassino. Fra tutte le brutte esperienze che aveva di situazioni analoghe, perché  in molti ci avevano provato, la sua mente aveva collegato la peggiore possibile.

« Beviamo qualcosa? »

Cercò di arretrare nella speranza che il muro la inghiottisse pregando che qualcuno la togliesse da quella situazione. « Volentieri certo. » rispose infastidita la calda voce maschile che Shiho aveva immediatamente riconosciuto.« Non l’ho chiesto a te. » borbottò guardando male il cameriere che gli lanciò uno sguardo assassino. Il ragazzo castano tremò, quello sguardo era inquietante. Sospirò alzando gli occhi. « Scusa fra, potevi dirmelo che era la tua ragazza.» Borbottò lasciando i due da soli. « Stai bene Shiho? » chiese il giovane agente preoccupato mentre la ragazza cercava di calmarsi. « Usciamo? Una boccata d’aria ti farà solo bene. » affermò preoccupato.

« Si, è con il suo fidanzato lì in fondo. » esclamò seccato il ricciolino mentre la giovane agente perse un battito. Fidanzato?
Era  colpa sua, non avrebbe dovuto perderla di vista neanche per un secondo. Stavano ballando sulla pista, poi ad un certo punto l’aveva vista scomparire. Era con quell’agente del PSB, non gli piaceva ma almeno con lui Shiho era al sicuro. Sospirò sollevata nella speranza che la lasciassero passare, fortunatamente era gracile.

« Grazie per prima. » esclamò la ragazza mentre i brividi le attraversarono la spina dorsale. «Potevi divorarlo, non avevi bisogno di me. » affermò lui sedendosi accanto a lei.
« Lo so ma…comunque grazie. » affermò guardandolo negli occhi per sforzarsi di sorridere ma a Rei non sfuggì la tristezza che in quel momento attraversava i suoi occhi.
« Di nulla, non potevo certo lasciarlo lì a importunare una cinica come te. » l’occhiataccia che lui ricevette in risposta lo fece sorridere, era scossa ma stava bene.

« Shiho! » la voce preoccupata della donna bionda fece sorridere il cameriere che le scompigliò i capelli tornando a lavorare e salutando con un cenno della mano quell’agente del FBI. Non pensava che Shiho avrebbe stretto amicizia con loro. « Jodie »
« Cos’è successo? » chiese la bionda incuriosita ma al contempo preoccupata.
« Te lo spiego in auto, mi accompagni a casa?» Jodie non se lo fece ripetere, la luce che aveva visto nei suoi occhi mentre ballavano si era spenta. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma prima di tornare in America l’avrebbe trasformata in una ragazza normale.

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Capitolo 4
*** Apnea ***


Era la sensazione più brutta, ma per lei era normale stare alzata fino al mattino. Aveva sempre cercato delle scuse per fuggire dalla realtà, da quella terrificante sensazione di apnea, resa possibile dal semplice contatto con lui. Quante notti insonni con e per lui?

Avrebbe voluto che la sua vita fosse un libro e strappare una ad una quel maledetto capitolo della sua vita, ma non era possibile. Il suo cadavere giaceva sotto terra, eppure nella sua mente lui era vivo, la aspettava al confine oltre il manto di luce per portarla con sé. Bevve l’ennesimo caffè della nottata nel cercare di darsi una calmata, e porre fine  al tremore del suo corpo. Fu invano.

 

Le sue iridi erano ancora impresse a fuoco nella memoria, i segni del suo passaggio erano evidenti sul suo corpo, occultati dai panni lunghi e poco attillati. Era orribile non riconoscersi, il timore che potesse essere giudicata, la portava a tacere. Neanche con Jodie era stata totalmente sincera, nessuno poteva comprendere la sua disperazione. Akemi non si era mai accorta di nulla, non che gliene facesse una colpa dato che si potevano vedere solo un'ora a settimana. Lei stava ben attenta a rivelare ogni piccolo indizio della sua situazione. La solitudine porta a compiere gesti avventati di cui poi ci pentiamo. E chi meglio di lei poteva saperlo?

 

Rei sospirò accarezzando il bianco e lucente pelo del piccolo Haro. Era venuto ad accoglierlo all’ingresso nonostante la tarda ora, e dopo essersi fatto una doccia si era seduto sul divano con la mente concentrata su quanto avvenuto nel locale. Shiho era letteralmente terrorizzata, si era ammutolita e al suo cinica era seguita solo un’occhiataccia. Il respiro affannoso, il pallido volto e il leggero tremore del suo corpo non erano reazioni dovute all’essere stata importunata…doveva esserci un altro motivo.  

 

Tic tac, tic tac

 

Quel rumore stava diventando insostenibile, lacerava il silenzio tombale in cui era assorta facendola perdere tra pensieri sparsi. Non riusciva a far altro che domandarsi il perché Shiho fosse rimasta in silenzio a quella domanda.

 

Cosa esattamente ti ha spaventato in quella situazione? 

 

Non era strano avere paura e non saper come rispondere. Era strano sapere perfettamente la risposta e restare in silenzio come se lei avesse potuto usare quell’informazione contro la ramata. Forse era normale, doveva aspettarselo da una persona che aveva perso fiducia nel mondo. Come biasimarla?

Del mondo aveva visto solo il lato peggiore, quello positivo lo stava scoprendo ora ed era questo fondamentalmente il problema.

Shiho non era più in grado di credere all’arcobaleno, sapeva perfettamente che era un fenomeno ottico dovuto ai raggi del sole che attraversava la pioggia, ma in esso vedeva la magia con gli occhi genuini e innocenti che avevano caratterizzato l’infanzia che le era stata strappata. Era adulta ma, sebbene fosse a conoscenza del lato oscuro che albergava in ogni persona, riusciva a sognare. I sogni, che cosa strana…nonostante la morte di suo padre c’erano delle volte in cui si vedeva felice ed altre in cui disperatamente doveva aggrapparsi alla luce che James aveva portato nella sua vita. Nessuno gli aveva chiesto di prendersi cura di lei ma lui l’ aveva fatto, e ora lei si sarebbe presa cura di Shiho continuando la catena d'amore partita dal suo patrigno. Chissà se stava facendo un bel sogno? Dopo gli eventi di quella sera ne aveva proprio bisogno.

 

Era forse strano per uno come lui restare a guardare le stelle? In quella notte in cui la luce lunare giungeva flebile sulla terra le stelle erano più belle. Nella sua mente aveva ricollegato il perlaceo candore al volto di sua cugina, forse perché come la luna ella era stata soffocata dall’oscurità. Quel detective alle volte proprio non lo comprendeva, aveva la fortuna di aver l’amata al suo fianco e si perdeva gli eventi più importanti. Scosse il capo, non erano fatti suoi se lui preferiva fare il detective alla sua fidanzata. Fu allora che la  notò. Era la Stella Polare, la guida dei marinai era stupenda, le ricordava il sorriso della ragazzina che aveva visto rare volte. In realtà avrebbe tanto voluto capire cosa bloccasse la ramata ma non era fattibile, lei non gli avrebbe mai permesso di intromettersi così tanto nella sua vita. 

Non ancora almeno.  

 

Il dottor Agasa sospirò coprendo la ragazza ramata, addormentata sul divano, con  il piumoncino. Evidentemente aveva passato un’altra notte in bianco per poi crollare sul divano. Non sapeva più come fare con lei ormai credeva che, smesso di lavorare sull’APTX, avrebbe iniziato a dormire come si deve ma evidentemente non era così. Avrebbe dovuto prendersi cura di sé come accudiva lui. Era straziante non vedere più il sorriso luminoso di Ai, ricordava l'eccitazione e l'euforia  di quando lei gli raccontò la visita didattica alla fattoria. In realtà non era nulla di speciale per Shinichi ma per lei era diverso. Lei solo sapeva quanto aveva sofferto, solo lei sapeva cosa e quanto aveva perso, lui poteva soltanto immaginare.

E nel farlo il suo cuore si stringeva in una morsa dolorosa, non riusciva a guardare la sua bambina. Sicuramente stava scomoda ma se l’avesse svegliata non avrebbe più voluto saperne di dormire. Capitava spesso che addormentandosi si svegliava urlando,e quando lui andava da lei la trovava rannicchiata in un fiume di lacrime. 

 

Sonoko si voltò a guardare Ran come se avesse detto la cosa più brutta di questo mondo. « Stai scherzando? » sbottò lei mentre Sera abbracciò la corvina. Sapeva che non vedevano di buon occhio la relazione tra Shinichi e sua cugina ma che fosse Ran a invitarla…era inaspettato. Sicuramente non sarebbe venuta ma apprezzava il pensiero di voler coinvolgere la ramata. « No Sonoko, non scherzo anzi…Shiho non è ciò che credi.

E no, tra Shiho e Shinichi non c’è nulla.» affermò Ran cercando di trucidare la ragazza e di farle smettere di riprendere quella storia.



 

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Capitolo 5
*** Colpa ***


Shiho sospirò guardando Ran, era venuta personalmente a casa del dottore per chiederle se le andasse di andare al Tropical Land…e non aveva saputo dir di no. Quel luogo per lei aveva avuto ricordi gioiosi ma adesso erano diventati molto dolorosi. Non avrebbe dovuto accettare ma ormai era tardi. Masumi l’aveva presa sottobraccio, anche sua cugina si era resa conto della sua situazione e tentava in tutti i modi di aiutarla ma non aveva la fermezza di Jodie. « Shi-chan stai bene? » chiese leggermente intimidita da una sua possibile risposta. « Si grazie. » 
« Non ti lascio, con me sei al sicuro. » esclamò allegra lei. Il giorno in cui aveva scoperto che la ragazzina era sua cugina aveva saltellato contenta in tutta casa. Finalmente non sarebbe stata più sola, sua cugina era una ventata d’aria fresca nella sua vita. Le dispiaceva non poter uscire con lei ma comprendeva il suo disagio, passare la maggior parte degli anni in isolamento per poi ritrovarsi catapultata in un mondo ostile e sconosciuto. 
« Grazie mille Sumi-chan »

 

« Ran lo sai che a me non piace. » borbottò Sonoko senza curarsi di abbassare la voce.  « Devi solo conoscerla meglio » spiegò Ran roteando gli occhi al cielo. Non riusciva a comprendere perché Sonoko si comportasse così, però le dava tremendamente fastidio. E se fosse stata trattata così da Shiho? Non credeva che l’amica avrebbe potuto reggere, inoltre la ragazza aveva conosciuto solo dolore  e quale luogo migliore di un parco divertimenti? « Ran apri gli occhi! » Shiho abbassò lo sguardo cercando di ignorare le due ragazze che litigavano e non era la prima volta che capitava. « Sonoko devi aprirli tu gli occhi! Smettila! Sul serio… » 

 

« Ho sbagliato ad accettare l’invito vero?  » bisbigliò senza farsi sentire verso la cugina riportandola con i piedi per terra. Lei non rispose, semplicemente si morse la lingua insicura su cosa dirgli. Shiho sorrise tristemente guardando le due intente a discutere ancora. « Scusami non credevo di crearti ancora problemi Akemi » Shiho sgranò gli occhi correndo via da lì, lasciando perplesse le tre ragazze mentre Masumi le corse dietro. « Akemi? » chiese curiosa la ragazza dai capelli a caschetto castano.

 

Come era potuto accadere? Come aveva potuto pronunciare il nome di sua sorella riferito ad un altra? Era stato un singolo  istante, e l’immagine di Ran si era accavallata a quella di Akemi. Forse il luogo, forse complici anche il carattere e la somiglianza…ma...ma…che inconsciamente stesse provando a far si che Ran prendesse il suo posto? Serrò le mani sul lavabo guardandosi allo specchio, nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto.

 

Era indecisa. Doveva entrare? Probabilmente Shiho aveva bisogno di restare sola. Di Akemi sapeva solo le vicende che avevano portato  alla fuga di Shiho e che, tanto per cambiare, suo fratello era coinvolto. In realtà non sapeva perché l’avesse chiamata con il nome di sua sorella ma probabilmente era dovuto a ciò che avvertiva anche lei. Ran era travolgente, ispirava sicurezza e fiducia e forse era questo ad averla tratta in inganno. « Shiho? » alla fine optò di entrare in bagno, la maglia larga celeste aveva delle piccole gocce sulla maglia. L’abbracciò, sapeva che lei non amava quei gesti affettuosi ma alle volte preferiva usarli alle parole. Ricordava le volte in cui era uscita con Akemi e la sua migliore amica, lei aveva da sempre tentato di dividerle e non c’era mai riuscita.

 

Se dovesse accadere qualcosa ad Akemi per me l’unica responsabile sarai tu! 

 

Quelle parole così veritiere le sembravano una maledizione, uno di quei mostri che guardava con i bambini che da Kamen Yaiba  erano passati a fan di Gege Akutami col suo Jujutsu Kaisen. Alle volte si era chiesta se lei non fosse altro che la maledizione della sua famiglia. Se lei non fosse nata, i suoi genitori  non avrebbero mai accettato di entrare nell’organizzazione e Akemi sarebbe viva. L’aveva rivista poi accanto alla tomba di sua sorella, era deceduta qualche mese dopo la morte di Akemi e le era dispiaciuto. Non era alla fin dei conti una cattiva persona, era la sorella che lei avrebbe dovuto avere al suo posto. Shiho era destinata ad annegare.

E questo la ramata lo sapeva bene, sarebbe annegata tra i sensi di colpa per le sue azioni, non aveva mai voluto uccidere…e lo aveva fatto. Non si era mai opposta a nulla per proteggere Akemi, e ora…ora…rendersi conto che non aveva mai potuto proteggere nessuno, la faceva sentire peggio. « Ti riporto a casa » affermò Masumi guardandola. Da quando era entrata aveva smesso di piangere e ciò dubitava fosse un bene. Sapeva a cosa stava pensando, l’anniversario della morte di sua sorella sarebbe stato domani e Shiho, stando a quanto detto da suo fratello, si sentiva in colpa ma nessuno in famiglia la odiava. Nessuno la biasimava per ciò che aveva fatto, lei stessa per quanto stesse andando contro i suoi principi morali, al suo posto non avrebbe esitato ad obbedire. Per proteggere chi amava non si sarebbe lasciata spaventare dalla morte di persone che non conosceva. Era quello ciò che Shiho aveva fatto ma ignorava che la ragazza, le vittime uccise dai suoi farmaci, le conosceva a memoria, così come conosceva i loro volti che nei suoi incubi tornavano prepotenti. Neanche la sua vita sarebbe bastata ad espiare le sue colpe, e questo lo sapeva bene anche Sherry il lato di lei più inumano.  

 

Il dottor Agasa sospirò ringraziando Masumi, non sapeva più cosa fare. La sera che era uscita con Jodie non aveva chiuso occhio, oggi era tornata a casa in lacrime e parlare per la ramata non era mai stata una valida opzione. Non aveva avvisato ma sperava che lui fosse in casa, aveva bisogno di un consiglio e preferiva suo fratello a sua madre.

« Masumi? » chiese lui sorpreso invitandola ad entrare e la ragazza si imbarazzò nel notare che con lui ci fosse una donna bionda. Era la sua fidanzata? No forse una collega o entrambe. « Vieni con me.» lo trascinò altrove sotto lo sguardo incuriosito della bionda che restò in disparte nonostante la curiosità stesse crescendo.

 

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Capitolo 6
*** Vuoto ***


« Ran chi è questa Akemi?» chiese curiosa Sonoko un po’ infastidita dal fatto di essere esclusa dal gruppetto. « La sorella maggiore di Shiho…» Sonoko a quell’affermazione fece una faccia perplessa. « Shiho è simile a te Sonoko…più di quanto tu possa pensare… » ammise Ran stringendosi nelle spalle, il suo fidanzato le aveva chiesto di non farne parola con nessuno e lei doveva mantenere quella promessa ad ogni costo. « Sei cambiata Sonoko, possibile che tu non riesca a leggere ciò che un tempo c’era nei tuoi stessi occhi? » affermò Ran per poi scendere e lasciarla lì, a riflettere sulle sue parole. Cosa voleva dire?Cosa doveva notare? Il modo in cui restava a guardare Shinichi o il loro saldo legame? Perché Ran non capiva che lo stava facendo per lei? « Simili? Ma hai visto come si guarda intorno?! » esclamò lei. Il suo atteggiamento sempre guardingo la inquietava mettendole ansia.  Eppure eccola lì, stesa sul letto della sua camera a rimuginare su ciò che la sua amica d'infanzia le aveva detto ieri. 

Simile a me? Cosa ne poteva sapere Ran dei suoi occhi? Della costante paura di perdere chi si ha intorno? Niente! Ecco cosa ne poteva sapere! Era facile parlare sulle spalle della gente senza saperne nulla. Quella ragazzina aveva anche il dottor Agasa che sarebbe restato sempre al suo fianco, non sapeva il significato della parola solitudine…o forse non era così? Sapeva che era tornata in Giappone per stare accanto al dottore e che Shinichi l’avesse incontrata in Inghilterra. Era ironico, come cercando di riflettere sulle parole di Ran si era accorta di aver sbagliato. Non la conosceva e in quelle volte che si erano viste, le aveva reso la vita difficile, forse avrebbe dovuto scusarsi. 


Akai sospirò guardando l’abitazione del dottor Agasa, in attesa della ragazza ramata. Era stato inaspettato, ma ieri sera lei lo aveva chiamato chiedendogli se in mattinata dovesse lavorare. Incuriosito, dato che Masumi gli aveva riferito quanto accaduto al parco divertimenti, chiese il motivo di tale domanda, l’aveva sentita ridacchiare nervosa.

 

Domani è quel giorno, speravo di poterci andare insieme ma se vuoi andarci da solo…

 

Certo che sarebbe andato insieme a lei, ad Akemi la loro vicinanza non avrebbe potuto far altro che piacere. « Akai-san? » chiese la ragazza cercando il suo sguardo mentre lui sorrise tristemente nel vederla ben incappucciata. « Principessa, loro non possono più farti del male. » Ieri Jodie era venuta a parlargli di Shiho, non gli aveva chiesto i dettagli di ciò che si erano detti in confidenza, ma le aveva spiegato la sua paura nell’uscire di casa. Si era sorpreso del fatto che avessero legato subito ma era Jodie, era impossibile che lei non riuscisse a instaurare un rapporto con qualcuno. « Lo so… » non era bravo in quel tipo di cose, tuttavia decise di passare il braccio sulle sue spalle e stringerla a sé. La giovane lo guardò incredula e lui si avvicinò maggiormente al suo viso. « Ti proteggo io, Principessa. » dichiarò lui con un tono così calmo e tranquillo che le scaldò il petto. « Grazie » pronunciò esitante mentre il ragazzo sorrise. « Shiho,  per qualsiasi cosa io sono qui, la mia porta è sempre aperta a te. »  Avrebbe fatto sì che il vuoto lasciato dalla sua morte riuscisse in qualche modo ad arginarsi, Shiho poteva dire tutto ciò che voleva ma se non avesse usato Akemi, lei non sarebbe morta.

 

Shiho si chinò posando il mazzo di Peonie sulla lapide spoglia accanto a quella di Akemi, inarcò un sopracciglio leggendo il nome scritto a caratteri cubitali dorati. Naoko Ushijima, di anni 27. « Era la migliore amica di Akemi, sono stata sorpresa anch’io di vederla sepolta accanto a lei. » spiegò guardando l'uomo che restava muto ma dall'espressione era chiara la domanda.  « Akemi non mi ha mai parlato di lei. » « Avevano litigato, il loro rapporto si era incrinato. Immagino che Naoko le avrà sicuramente detto che si sbagliava. » « Perché avevano litigato?  » chiese curiosamente, era normale lo fosse d’altronde sua sorella odiava i litigi.  « Non me lo ricordo, sono passati due anni ormai. »  Invece lo ricordava perfettamente. Naoko aveva avvisato Akemi che sua sorella l’avrebbe condannata a morte e lei non l'aveva ascoltata. La sua sorellona aveva preso le sue difese ed avevano litigato, non era riuscita a convincere Akemi a riallacciare i rapporti con lei… 

 

Il pomeriggio trascorse tranquillo fin quando qualcuno bussò alla porta della casa del dottor Agasa. Shiho si ritrovò ad assottigliare lo sguardo dinanzi alla ragazza castana, non si aspettava di vedere lei. « Buongiorno  Suzuki-san, entra. » esclamò la ramata facendo entrare l’amica in casa, anche se non sapeva se definirla così. « Che intenzioni hai con Shinichi? » chiese mentre Shiho rise fra il nervosismo e il divertito. Oggi non era nelle migliori delle condizioni per affrontare i suoi commenti. « Cosa vuoi che faccia ? Shinichi non è un oggetto, può decidere da solo. » esclamò tentando di restare calma ma era difficile. Tante emozioni in quei giorni l’avevano scossa, e la giornata era lunga.

« Non prendermi in giro, io non sono Ran. Ho visto come lo guardi sai? » esclamò alzando il tono lei e la ramata serrò i pugni. « Come vuoi che lo guardi? Tu non sei nessuno per giudicare, tu non sai nulla di cosa io e Kudo, abbiamo dovuto passare! » si alterò lei iniziando ad alzare il tono. Non ne poteva più! Era stanca!? Perché?! Perché non la lasciava in pace? « E COSA DOVREBBE DIRE RAN? COSA NE SAI DI QUANTO LEI ABBIA SOFFERTO EH? » rispose a tono mentre Shiho non riuscì a controllarsi. « Voi non potete neanche immaginare cosa significa perdere chi si ama ed io non permetterò a voi di portare via l’uomo che mi ha salvato la vita. Senza di lui io non sarei qui! » sbottò Shiho ormai al limite della sopportazione. Era veramente stufa di quella situazione, non ne poteva più. Non ne aveva passate abbastanza? Evidentemente no.

Adesso volevano toglierle anche l’unica luce?

 

 


 

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Capitolo 7
*** Scuse ***


« Jodie io… » iniziò Akai guardando la donna bionda seduta sul divano in pelle nel piccolo studio di Villa Kudo. « Non devi scusarti né tantomeno giustificarti. » esclamò la donna assumendo un colorito più roseo. In quei giorni si erano avvicinati tanto, dato che oltre al loro lavoro dovevano svolgere anche quello di Camel, rimasto ferito e ancora in convalescenza. Se Masumi fosse arrivata un po' più tardi, avrebbero già chiarito la questione. Erano stati sul punto di baciarsi…e lui si era tirato indietro. Lo comprendeva ma non poteva far a meno di soffrire. « È che…»
Il telefono di Akai squillò interrompendolo, il sopracciglio inarcato le fece comprendere immediatamente che non si aspettava quella interruzione. « Dottore? » Scattò in piedi come una molla, se il dottore lo stava chiamando doveva essere capitato qualcosa a Shiho. « Arriviamo. »
 
 
« Shinichi? » la voce di Ran lo fece letteralmente sobbalzare dalla sedia. « Oh, era ora!» sbottò inacidita Sonoko mentre Masumi rise divertita.
« A chi stai pensando? » chiese curiosamente la sua fidanzata mentre il ragazzo sospirò. « Akai-san non ti ha detto nulla? » chiese a Masumi mentre lei scosse semplicemente il capo. « Shiho stanotte ha avuto un crollo emotivo, il dottore l’ha trovata in un pessimo stato…ed è colpa mia.» sospirò Shinichi passandosi le mani sul viso. « Non è vero. » ribbatté subito Masumi mentre il giovane detective dell'est scosse il capo. « Se non avessi lasciato morire Akemi...» fu Ran stavolta ad interromperlo prima che potesse continuare. «Shiho sa che non è colpa tua.» Shinichi la guardò per qualche istante. « Devi comprenderla sua sorella era tutto ciò che aveva, è normale sia crollata. In verità mi aspettavo accadesse prima. » affermò Sera con un sorriso triste nel cercare di consolare il ragazzo.
« Si è strappata persino i capelli » Shinichi non era mai stato così abbattuto, vedere Shiho in quelle condizioni perché lui non era riuscito a salvare sua sorella doveva essere molto frustrante. « Neanche quando mi ha accusato di non averla salvata aveva reagito così. » Quelle parole pronunciate da Shinichi le fecero aprire gli occhi, era colpa sua. Non immaginava che Shinichi avesse lasciato morire sua sorella, né che dopo che lei l’avesse cacciata di casa,  si sarebbe ridotta in quella maniera. « Fino ad ora non era mai stata sulla sua tomba, no? Forse vedere la lapide l’ha aiutata a realizzarlo. » ipotizzò la castana mentre Sera la guardò. « In quest’anno lei ha ingoiato il rospo, so che una volta ha rischiato di farvi uccidere… probabilmente si è tenuta tutto dentro ed è esplosa. » confessò Masumi ricordava bene la sera in cui l’aveva trovata ad ascoltare la segreteria telefonica di sua sorsorell

 
Non potete neanche immaginare
cosa significhi perdere chi si ama.
 
 
Lei lo sapeva. Lo sapeva bene. Prima di incontrare Ran, prima di trasferirsi in una scuola pubblica, lei frequentava la Scuola Mugen, l’accademia prestigiosa dalle uniformi alla moda. Lì aveva iniziato a comprendere che le persone le si avvicinavano per il suo cognome e che non erano interessate a lei. Una volta fu presa di mira da un bullo che voleva solo derubarla, fu amara la sorpresa nel sapere che Naeko e Yoko erano d'accordo con lui. Da allora prima di incontrare Ran era rimasta sola, non sapeva di chi fidarsi o meno ed ancora oggi temeva di perdere i suoi preziosi amici. Quella solitudine schiacciante, quel peso sul petto e il ticchettio dell'orologio a farle compagnia…quelle sensazioni…non voleva più provarle. Mai più. « Perché mai avrebbe dovuto esplodere ieri? » chiese curiosa Ran. « Venerdì 20 Novembre 2023 alle 15 del pomeriggio Miyano Akemi morì fra le mie braccia.» ammise il detective mentre Sonoko sgranò gli occhi. Aveva scelto il giorno peggiore per discutere con lei.
 
 
« Sicura che stia bene? » chiese l’uomo anziano mentre la donna bionda sospirò. « Non vuole saperne di parlare. » ammise la giovane americana mentre Akai si passò una mano fra i capelli. Akemi avrebbe sicuramente saputo cosa fare, lei lo sapeva sempre. « Che cosa facciamo? » chiese preoccupata la donna mentre Akai sospirò.
« Lasciamola sola per ora » esclamò lui mentre il dottore abbassò lo sguardo. La rivedeva ancora in quel pietoso stato. Inginocchiata sul tappeto con alcune ciocche di capelli strette fra i suoi pugni e le lacrime, il corpo violentemente scosso dai singulti.  Era in uno stato straziante, non gli aveva permesso neanche di avvicinarsi. Continuava ad urlare di lasciarla in pace, di andare via.  Aveva dovuto ricorrere ad un ago soporifero. Era stata l’unica scelta possibile, dopodiché l’aveva stesa nel letto chiamando l’agente Akai. Da poco si era svegliata, a turno erano entrati nella sua stanza. Era semiseduta sul letto a braccia incrociate e lo sguardo perso nel vuoto. Li aveva ascoltati, ma li ignorava. Era entrata in trance, si era isolata dal mondo. Lo sapeva perché era già successo. Dopo l’esperienza con Pisco, ci aveva messo un po’ a riprendersi, e aveva anche già tentato il suicidio un paio di volte. 
 
 
Non potevano comprendere il suo dolore.
Erano preoccupati per lei, ultimamente riusciva a fare solo quello oltre a rendere infelici e a causare disgrazie a chi le stava intorno. Il suo corpo lo sentiva bruciare, forse a farlo erano le cicatrici che il suo passato le aveva lasciato o forse era il suo cuore che, lacerato com’era, aveva fatto sì che la mente si concentrasse altrove. Un turbine di emozioni l’aveva travolta, alla fine era annegata in quel furioso fiume in piena. E ora non aveva nulla. Intorno a sé si vedeva circondata dalle tenebre più profonde. Il suo cuore era vuoto, non una sola parola riusciva a scuoterla, neanche gli abbracci di Jodie o del dottore. Non aveva più forze. Ora si che aveva perso tutto, persino la speranza. No, forse era il caso di dire che quella era una mera illusione…in realtà lei la speranza non l’aveva mai avuta.  Sentì il rumore della porta ma resto comunque fissa sulla nera coperta.
 
Nera come lei, come la sua anima corrotta.
 
Non avvertiva nulla, era congelata…forse era meglio usare la parola alienata. Quella realtà non le apparteneva, era estranea ad essa. « Shiho » Qualcuno aveva pronunciato il suo nome ma non comprendeva chi fosse. Forse Shinichi? L’avevano chiamato nella speranza che reagisse? Lasciò perdere. Non era importante chi fosse, quella voce ovattata non avrebbe cambiato nulla. « Mi dispiace…è solo colpa mia» Nessun effetto. La ragazza continuava a non battere ciglio e ciò fece sprofondare il suo cuore nella disperazione. Cosa aveva fatto? Come poteva rimediare?
« Non voglio portarti via nessuno credimi. » La voce le giunse nitida, non capiva chi fosse ma non poteva fidarsi. Quelle erano parole vuote e inutili, già in passato le erano state rivolte. Ora non aveva più nulla da perdere ma aggrapparsi a quella illusione l'avrebbe fatta stare solo peggio. Le sue labbra si mossero, la frase uscì spontanea non aveva neanche fatto caso alle parole che la componevano. Voleva lasciarsi andare e scivolare nel freddo che la avvolgeva, ormai il calore non era più parte di lei…una strana sensazione la richiamò dal baratro in cui stava precipitando. Era qualcosa di umido ad essersi appoggiato sulla sua pelle. Umido e…caldo. Riuscì chiaramente a percepire due braccia stringersi attorno a lei, ma non erano sue. Erano calde, non era il suo solito e gelido abbraccio. Non c'era il classico profumo di fumo attorno a quella figura. Tremolante iniziò ad alzare le mani nel tentativo di stringere a sé quella fonte di calore. « Mi dispiace Shiho credimi..io…» iniziò la voce tremolante rotta dal pianto. La ramata si sorprese quando riconobbe la proprietaria della voce. « Tranquilla… » affermò lei con un piccolo sorriso, non si aspettava certo di vederla così.  « Io…» « Sonoko, tranquilla. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** La verità sul passato di Shiho ***


Guardò la mano che la ragazza castana le tendeva, sorrise leggermente afferrandola per poi alzarsi. « Comunque non è colpa tua. » ammise la ragazza mentre Sonoko la guardò. « Non serve che tu mi menta, mi dispiace aver parlato in quel modo. Spero di poter avere una seconda occasione…» iniziò lei mentre la ragazza ramata sobbalzò.
«Non sto mentendo e il fatto che tu sia qui mi fa comprendere che sei veramente dispiaciuta. » Non si era fidata delle sue parole ma di quelle lacrime che le avevano bagnato il viso. Avrebbe potuto darle una seconda possibilità senza alcun problema dato che l’aveva tolta da quel limbo in cui lui l’aveva spedita. Sonoko varcò la porta ritrovandosi addosso gli sguardi curiosi dei tre adulti, dietro di lei apparve per la gioia dei presenti la ramata che si scusò per averli fatti preoccupare in quel modo.

Amuro sospirò, non vedeva Shiho da quando l’aveva “salvata” da quel ragazzo. Non riusciva a non pensare a lei, era il suo pensiero fisso. Forse sarebbe dovuto passare da casa sua? La campanella del locale attirò la sua attenzione sorprendendolo decisamente. Al seguito del gruppetto composto da Ran, Sonoko e Sera vi era anche la ramata e stavolta era senza cappello, continuava di tanto in tanto a guardarsi intorno. « Cosa vi posso portare ragazze? » chiese l'uomo avvicinandosi alle tre ragazze. « Un caffè macchiato, due cappuccini e un caffè amaro. » elencò Masumi mentre il ragazzo sorrise tornando dietro al bancone. « Domani andiamo in piscina? Tu vieni con noi?  » chiese Ran guardandola con gli occhi da cucciola mentre Shiho si morse un labbro.
« Dai Shi-chan. » la implorò Masumi mentre la ragazza pregò per trovare una scusa decente.  « Mi dispiace ma ho un impegno.» ammise sperando di non ricevere domande. « Cosa devi fare? » chiese curiosamente Sonoko mentre Amuro posò sul tavolo le loro ordinazioni e la ragazza ci pensò su qualche minuto. « Devo aiutare il dottore. » inventò su due piedi mentre le ragazze sospirarono. « Ma il dottore non va da quell’amico? Ayanocosaru, deve riparare l’allarme credo.»
Maledetto Shinichi, ma farsi i fatti suoi?
« Io non amo i luoghi affollati, non sono molto a mio agio purtroppo. » decise di ammettere nella speranza che non insistessero ma gli occhi di Ran si erano intristiti. « Farò una telefonata, mio cugino possiede una piscina, non sarà affollata. »
« Allora sono dei vostri. » Si era messa all’angolo da sola, fantastico, agli occhi di Ran non sapeva dir di no.  Sperava solo di riuscire a evitare il contatto con l’acqua. Spiegare le cicatrici che aveva era abbastanza complesso, soprattutto perché in quel caso doveva mettere Sonoko al corrente di tutto.

Il giorno successivo alle otto precise le ragazze si trovarono tutte dinanzi alla casa del dottor Agasa per aspettare Shiho. La ragazza ramata uscì con uno zainetto nero sulle spalle e le salutò allegramente. Era ancora un po’ a disagio ad uscire di casa ma essere riuscita a togliersi il cappuccio era un traguardo. Le ragazze iniziarono allegramente a camminare per strada, parlottando allegramente di fidanzati e cose futili. « Sono felice che tu stia acquistando sicurezza. » ammise Masumi guardandola allegra mentre la ramata sorrise. « E io sono contenta di averti al mio fianco. » ammise la ragazza scompigliando i suoi capelli castani.

Quella sicurezza l’aveva assunta grazie ad Akai, e non se lo aspettava. Gli aveva messo il cappello in testa ed erano tornati a casa mano nella mano, però lui non aveva fatto alcuna battuta anzi aveva fatto anche molte pause. 
« È gigantesca!» esclamò entusiasta Sera guardando le grandi vasche. « Non vedo l’ora di tuffarmi!  » esclamò Ran, quasi come se l’entusiasmo di Masumi l'avesse travolta.
Shiho si sedette su un lettino guardando le altre restare in bikini. Lei e Sera avevano optato per il costume da bagno intero, anche se sperava di non toccare acqua.  « Sonoko, Shiho perché non vi tuffate? » urlò la ragazza castana sbracciandosi, avevano aspettato circa venti minuti ma le due ancora non ne volevano sapere. « Ran prendiamole di peso.» suggerì allegra Sera uscendo dalla piscina. Ran sorrise immaginando la faccia contrariata di Sonoko, tanto la forza a loro non mancava certo. Shiho sgranò gli occhi non appena realizzò l’intenzione della cugina sotto le risate della castana. « No, dai ti prego! Mettimi giù Masumi! » iniziò a protestare inutilmente la ramata mentre anche Ran la imitò portando anche Sonoko a bordo piscina. Le due ragazze le lasciarono cadere in acqua, ma Shiho si aggrappò alla cugina trascinandola nella caduta. Ran inarcò un sopracciglio mentre attorno alla ramata iniziò ad espandersi una strana macchia rosea. Era inutile, ormai il danno era stato fatto. Prese un respiro profondo immergendosi completamente nella piscina.

L’acqua l’aveva sempre amata, così limpida e chiara. Ogni volta che si immergeva il mondo perdeva consistenza, pensieri e preoccupazioni svanivano eppure quel luogo inesorabilmente portava a lui. I ricordi erano la cosa più preziosa, ma allo stesso tempo più crudele che poteva conservare. Portò le mani a bordo piscina tornando dalle altre ragazze che osservavano incredule il suo corpo lasciato in trasparenza dall’acqua. Ran le porse una mano, lei la accettò volentieri sebbene la infastidisse, e non poco, il loro sguardo. Da un lato non voleva che accadesse, dall’altro invece sentiva di essersi tolta un enorme macigno. Masumi abbassò lo sguardo, sapeva che Shiho non avesse avuto vita facile in quel covo di corvi ma quelle cicatrici... « Scusami Shiho io… » Avrebbe dovuto darle retta, se lo avesse fatto ora non sarebbero in quella situazione. « Questo è il motivo per cui non amo uscire se non sono ben coperta. » spiegò semplicemente avviandosi verso il lettino. « Avete intenzione di restare lì? » chiese semplicemente per poi far loro cenno di avvicinarsi. Avevano visto le cicatrici, era inutile tentare di mentire o anche solo di sviare la questione. Poteva anche dir loro che non se la sentiva di parlarne, ma se avesse continuato a tacere avrebbe finito per crollare ancora com’era già capitato varie volte. Anche perché in realtà il dottore l’aveva vista in quelle condizioni perché aveva dimenticato i progetti e gli servivano ma sarebbe dovuto restare fuori da Mercoledì a Domenica e rincasare sul tardi quella stessa sera. «Credo sia il caso di darvi qualche spiegazione. » ammise la ramata « Se non… » « Tranquilla Ran, non avrei voluto che qualcuno lo scoprisse ma, conoscendomi so che se non ve ne parlo ora non lo farò più e…voglio togliermi questo peso. Queste cicatrici…me le procurò il mio fidanzato. » sospirò guardandole in viso.

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Capitolo 9
*** La solitudine più nera - Shiho ***


Undici Anni Prima 
 
In Giappone, Tokyo 
 
 
Era passato qualche giorno da quando la vita delle due sorelle Miyano era stata stravolta dalla morte dei loro genitori. Akemi era solo una ragazza di quasi quattordici anni e la piccola Shiho ne aveva solo otto, per loro era stata dura. La bambina, una volta compreso dalle parole di Akemi che i loro genitori non sarebbero più tornati, aveva pianto ogni singolo liquido che aveva in corpo e la sua sorellona aveva dovuto consolarla. Aveva smesso dopo che aveva visto Akemi piangere, e da quel momento aveva detto a sé stessa che non avrebbe più pianto in sua presenza. Era entrata lentamente nella camera con in braccio il suo orsetto di peluche. « Posso dormire con te? » aveva chiesto con voce timida, ignara che quella notte per loro sarebbe stata l’ultima. La mattina successiva infatti erano state svegliate dal campanello, Akemi preoccupata le aveva detto di non uscire dalla stanza e lei aveva obbedito.
 
 
« NO! NON POTETE FARLO! » Aveva sentito urlare dalla voce di sua sorella. Fare cosa? Cosa sua sorella non voleva facessero? Si morse un labbro, era curiosa ma temeva di mettere nei guai Akemi. « SHIHO RESTA CON ME! » Volevano portarla via? Per andare dove? Dai suoi genitori? Allora perché Akemi non poteva venire con lei? Akemi rientrò in camera con una faccia pallida.
 
« Non vado da nessuna parte senza di te. » confessò ingenuamente la bambina mentre la ragazza cadde in ginocchio abbracciandola.
 
« Invece devi Shiho, andrai in America. Ti faranno studiare tanto, a te piace no?  » iniziò la giovane cercando di convincere la ramata.
 
Se Shiho non fosse andata in America, se egoisticamente si fosse opposta avrebbero ucciso la sua sorellina e non poteva permetterlo. « Voglio restare con te. »
 
«Se andrai in America ti faranno vedere mamma e papà, ti raggiungerò anch’io appena potrò.» Il cuore le si strinse in una morsa dolorosa nel vedere la speranza negli occhi della sua piccola sorellina. « Mi faranno vedere mamma e papà? Sul serio?  » chiese speranzosa mentre Akemi le scompigliò i capelli. « Esegui tutto ciò che ti dicono, lasciali fare e non porre domande e ti manderanno da loro, ci stanno aspettando.» ammise la ragazza castana mentre un uomo in smoking nero.  Era rimasta lì, a guardare Shiho allontanarsi mano nella mano con quegli uomini. Non appena sentì la porta chiudersi, il pianto disperato di Akemi riempì ogni angolo della casa. Era rimasta sola.
 
 
Shiho guardò dal finestrino dell'aereo la città di Tokyo. L’avevano costretta a partire quella mattina stessa, Akemi aveva nominato i suoi genitori perciò doveva esserci in ballo qualcosa di grande. Ma cosa avrebbe dovuto fare? Akemi poteva essere in pericolo se lei non faceva come le veniva ordinato, e non poteva rischiare di metterla in pericolo. 
 
In America non c’era un singolo giorno in cui non usciva dal college piangendo, lei era straniera e per quello aveva iniziato ad essere presa di mira. Non aveva nessuno con cui parlare e ad Akemi non poteva certo parlare di come si sentisse o degli scherzi che le facevano.  L’ultima volta le avevano messo gli scarafaggi nell’armadietto e rubato la merenda. Tornava a casa e mangiava un panino…oppure quando c’era quell'uomo tanto gentile potevano parlare…voleva lui. Dov’ era finito Mike? Erano due gli  uomini che si alternavano ma poteva uscire a fare compere solo con Mike, era imbarazzante portarlo nei negozi di intimo ma almeno lui la aspettava fuori. Akemi poteva sentirla una sola volta al giorno, a farle compagnia vi erano solo gli esercizi di chimica, matematica e biologia. Le giornate erano lunghe e monotone, non sapeva come occupare il suo tempo. Erano tutti spaventati dal suo essere brava, i capelli ramati spesso e volentieri le venivano tirati. Era la parte di sé che più odiava, ma Mike le accarezzava la testa ripetendole che amava i suoi capelli.  Dovette sopportare la nostalgia di casa, la mancanza dei suoi genitori sempre più schiacciante e quella di Akemi facendo fronte ai bulli e alle pressioni di quegli uomini.
Il giorno del diploma aveva pianto di gioia.Dopo quattro lunghi anni la ragazza sarebbe potuta tornare a casa da sua sorella, le mancava tanto e avrebbe passato del tempo con lei,  almeno così credeva. 
 
 
 
« Shiho noi… » esclamò Ran abbracciandola mentre la ragazza sorrise. Di quel periodo i ricordi erano sfocati e ripescarli dalla mente era difficile. Erano i pochi flebili ma dolorosi ricordi che possedeva Shiho.  « Al mio rientro in Giappone mi consegnarono il nome in codice di Sherry, ma non potevo neanche lontanamente immaginare la piega che, di lì a qualche mese, avrebbe preso la mia vita. » borbottò la ramata alzando gli occhi al cielo.
 
« È stato allora che lo hai conosciuto? » azzardò Masumi mentre le altre due trattennero il fiato. « Si, fu in quel periodo che ci incontrammo per la prima volta. All’inizio ero terrorizzata, Mike mi aveva intimato di stargli alla larga e rimpiango di non avergli dato retta. » spiegò lei mentre Sonoko si morse il labbro. « Questo Mike…di lui cosa ne è stato? » provò a chiedere, sembrava che lui ci tenesse a lei, forse l’aveva presa in simpatia dato che era una bambina.
 
« Fu assassinato da Vermouth. »
 
« Quell’attrice da cui ti salvai? » ricordò Ran mentre Shiho annuì. « Chris Vineyard in realtà non è mai esistita, a lei fu somministrato dal boss stesso un farmaco creato dai miei genitori che la ringiovanì, Rotten apple, era il soprannome che l’FBI le diede. Ciò scatenò in lei un profondo odio per i Miyano, quando scoprì che Mike era mio zio, il fratello maggiore delle nostre madri,  lo uccise.» esclamò guardando Sera, lei infatti si era rabbuiata comprendendo di chi stessero parlando. Era stata la foto di famiglia che sua zia aveva in salotto a farle scoprire il loro legame, nonostante la somiglianza lui aveva sempre taciuto quell’informazione. Anche se sapeva chi fosse sua madre, forse perché temeva la furia di Vermouth.
 
 
 

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Capitolo 10
*** Il vero inferno - Sherry ***


Non riusciva a comprendere quanto tempo fosse passato dal suo arrivo in quel maledetto laboratorio. Era costretta a creare veleni, altrimenti sua sorella avrebbe pagato le conseguenze delle sue azioni. Non poteva uscire dalla base e non le era permesso contattare sua sorella finché non avrebbe avuto dei progressi rilevanti. Di rilevante c’era solo l’orologio con il quale aveva sfogato la rabbia e la frustrazione. Vermouth veniva ogni giorno puntuale come sempre a umiliarla, tirando in ballo i suoi genitori e lei poteva solo incassare. La preferita del boss era intoccabile. Quel giorno tuttavia all’apertura della porta blindata susseguirono dei passi pesanti e non erano di quella donna. « Sherry, lo sciopero della fame non ti farà uscire di qua! » la voce maschile era profonda ma completamente priva di emozioni. Si voltò  sorpresa per poi ritrovarsi senza fiato. Era  un uomo stupendo ma allo stesso tempo spaventoso. Quegli occhi verdi erano intensi e magnetici al punto tale da perdersi nelle loro profondità. « Tu non sei Vermouth.» constatò lei cercando di ricavargli qualche informazione. « Mi pare evidente ragazzina. Il mio nome è Gin, ed è un piacere  conoscere il diamante più bello.  » rise divertito consegnandole il vassoio.

Da come Vermouth ne aveva parlato era entrato in quel laboratorio per vedere chi fosse la persona in grado di innervosire la bionda. Non si aspettava certo una ragazzina anche perché era la più giovane ma pensava ad una sua coetanea. Non che il distacco fosse tanto però il fatto che riuscisse a reggere il suo sguardo inquisitorio lo elettrizzava.
« Sherry, da adesso sono io il tuo punto di riferimento. Vermouth è partita. » affermò lui notando il suo sguardo curioso.  Sospirò poggiando il vassoio sul tavolo e si diresse verso la porta, la ramata non aveva battuto ciglio. Era decisamente sfrontata per la sua età,  era da tanto che qualcuno non lo sfidava in quel modo…e vederlo fare ad una tredicenne…lo aveva sorpreso.

Si accorse di aver trattenuto il respiro solo quando l’assassino biondo richiuse la porta alle sue spalle. Su di lui molte voci circolavano, eppure con lei era stato gentile. Forse erano dicerie infondate, però nonostante l’aura spaventosa le aveva portato…la cena o forse era il pranzo? Si sedette a mangiare quella brodaglia strana, il cui gusto orribile faceva seriamente discutere sull’idoneità del personale in cucina. Sospirò, avrebbe fatto meglio ad abituarsi a lui dato che lo avrebbe rivisto ogni giorno.
Era passata una settimana, a giudicare dalle visite ricevute da parte di Gin, ormai riusciva a comportarsi tranquillamente con lui. Probabilmente si era lasciata condizionare dagli avvisi che Mike in America e altri scienziati le avevano dato. « Sei venuto anche oggi? » chiese divertita la ramata mentre il biondo sospirò sommessamente. « Dovresti guardare l’orologio. La cena è stata tre ore fa.» pronunciò con la sua solita calma. « Non lo sopporto quel suono. E quella cosa lì non si può chiamare cena, è disgustosa. »
«Ti sbagli Sherry. » «Allora puoi mangiarla. »

L’uomo roteò gli occhi al cielo, quella mocciosa stava sfidando la sua pazienza! Se le capitava qualcosa però le rogne sarebbero toccate a lui. « Posa il camice.Ti porto a cena fuori. » La ragazza sgranò gli occhi. L’avrebbe fatta uscire? « Guarda che se resti ferma ancora un po’ vado a cenare da solo. »  la voce dell’uomo la riscosse dai suoi pensieri. « Mi stai invitando ad un appuntamento?  » chiese perplessa la ragazza. « Non è evidente? » chiese lui seccato. Jake odiava gli adolescenti, soprattutto se erano insolenti ma lei era diversa. La sua insolenza e il suo caratterino le piacevano, le altre scienziate solitamente chinavano il capo ma lei no.  Da quel momento le giornate di Sherry divennero meno noiose, anzi alle volte Gin richiedeva il suo aiuto nelle missioni e lei accettava volentieri. 

Nel raccontare l’inizio della loro storia d’amore una smorfia di ripugno si delineò sul viso della ramata e ciò alla cugina non sfuggì il fatto che non fosse rivolto all’uomo di cui stava parlando. Ricordava la conversazione avuta con il suo fratellone, quando aveva chiesto delle spiegazioni sul perché avesse ucciso a sangue freddo quell’uomo biondo. Era stato in quel momento che Akai ne aveva indicato il cadavere e le aveva detto che era stato lui a strappare Akemi da quel mondo e che per quel motivo Gin meritava una fine peggiore dell’inferno. Ed era lui l’uomo di cui Shiho stava parlando. Per quello era fermamente convinta che la morte di Akemi fosse opera sua, lei aveva amato il suo assassino…e prima che Akemi morisse avevano litigato sempre per lui.  Guardò Shiho, non riusciva a comprendere dove trovasse la forza di mettersi a nudo dinanzi a loro. Lei non sarebbe riuscita a farlo, avrebbe preferito morire piuttosto che ammettere di essere andata a letto con l’assassino di sua sorella.  Certo, nessuno a quei tempi poteva sapere che lui le avrebbe tolto ciò che aveva di più prezioso ma…la rabbia che Shiho stava provando verso sé stessa le stava salendo alla testa e come lei anche Ran e Sonoko erano arrabbiate.  Lui l’aveva illusa strappandole via quell'innocente e pura visione che una ragazza dovrebbe avere a quell'età… e si era imposto su di lei, trasformandola  in una marionetta ben sapendo che lei non avrebbe mai potuto allontanarsi da lui perché aveva paura di restare da sola.

 Vivere in quel modo…no…quella non era vita! Sentì le unghie conficcarsi nei palmi delle sue mani, avrebbe tanto voluto avere quel farabutto fra le mani per prenderlo a calci. E non solo lui, più Shiho andava avanti e più sentiva le lacrime salirgli agli occhi. Ora comprendeva perché fosse così legata a Shinichi, lui era l’unico ad averla protetta senza un doppio fine, era l’unico che era stato in grado di restituirle in parte l’affetto provato da sua sorella.

Simili? Lei e Shiho erano simili? Sul serio Ran, lei comprendeva la paura di restare da sola ma diavolo…quella situazione era umanamente insostenibile. Avere la consapevolezza di una pistola puntata alla testa di chi si ama, e che da ogni piccolo gesto sarebbe dipesa la vita di qualcun altro… lei non sarebbe riuscita a sostenere quel peso, molti rospi che Shiho aveva dovuto ingoiare erano tremendi.

 Quando aveva capito con chi avesse veramente deciso di fidarsi era troppo tardi. Le minacce rivolte ad Akemi l’avevano spinta a tenere quel segreto, a lasciargli fare di lei ciò che più desiderava. Aveva preso tutto, dalla sua ingenua visione del mondo alla sua dignità. Mentre raccontava di come, scoperta la verità, sua sorella aveva iniziato a tentar di allontanarla da quell’ambiente, le lacrime scorrevano rapidamente sul suo viso. I ricordi legati alla sua settimana di isolamento in quella camera a gas erano più vividi che mai, ancora adesso se chiudeva gli occhi avvertiva il tocco gelido sulla sua pelle. Si era ritrovata intrappolata con lui senza alcuna via di fuga, per una settimana aveva sofferto le sue violenze sessuali, psicologiche e fisiche…anche perché nessuno oltre Gin metteva piede là dentro. Ricordava il giorno in cui quella porta non l’aveva aperta Jake, ma il suo compare. Le si era avvicinato togliendosi gli occhiali da sole, era stata  la prima e l’unica volta che quel Noc si era rivelato come tale.  “Sarà Gin a toglierti anche la vita quando si sarà stufato di te.” Dopodiché era dovuto andar via sotto il vigile controllo di Pisco, si sapeva che lui avesse un buon cuore rispetto a Gin. 

« Shiho… » Sera l’aveva abbracciata stretta e a lei si erano unite anche le altre. « Quel giorno decisi di farla finita, non avrei più permesso che lui facesse i suoi comodi con me e presi l’APTX, il farmaco da me creato. Io speravo di morire ma qualcuno aveva deciso che ero indegna anche della morte. Diventai una bambina, vagando alla ricerca dell’altra persona che come me era tornata bambina. » esclamò la ragazza asciugandosi le lacrime. «La storia di Ai Haibara la conoscete, no? Ma per me ha significato veramente tanto.»







 

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Capitolo 11
*** Rinascita ***


Non è stato facile all’inizio, temeva e non poco per coloro che le stavano intorno in particolar modo il dottore che l’aveva accolta in casa come una figlia. Le giornate passavano in fretta fra l’allegria del vivace gruppo di bambini con cui ancora giocava e le ore insonni sull'antidoto. Era libera di essere sé stessa, decideva lei cosa e quando ed era una sensazione…bella ma molto strana. Tuttavia l’organizzazione l’aveva cresciuta, era normale che il suo pensiero fosse lì. Era stato come un cane da guardia il suo sesto senso, le aveva salvato la vita varie volte e non solo. In quel periodo aveva conosciuto ognuna di loro e soprattutto parte di sé, si sentiva una bambina quando scopriva talenti che non sapeva di avere o cose che gli piacevano.  Ai, al contrario di Sherry,  vedeva il mondo in bianco e nero mentre Shiho ne coglieva ogni piccola sfumatura. Quei bambini non avevano cambiato solo la sua vita ma anche quella di altre persone come per esempio il dottore ma il vero miracolo lo avevano fatto con lei: Curacao. Chissà se prima di perdere la vita aveva trovato il suo colore…Erano stati quei bambini a farla cambiare, le avevano dato un’opportunità. Avevano sciolto i cuori di non una, ma due assassine, con la loro innocenza. Alle volte si chiedeva se in quel caso ci fosse stata un'alternativa per evitare la sua morte.  Era risaputa la fine dei traditori, eppure non poteva far a meno che chiedersi per quale motivo lei fosse ancora viva. La risposta lo sapeva, quel privilegio glielo aveva dato Gin il giorno in cui l’aveva catturata. La spilla dei giovani detective aveva condotto l’FBI da loro e Akai lo aveva ucciso prima che la spedisse all’altro mondo, dopo una settimana di soprusi.  Poi aveva dovuto dire addio ad Ai, affrontare il suo passato e ricominciare da capo, per l’ultima volta.  

 

Rei sospirò cercando di concentrarsi, sebbene lei non gli avesse fatto alcuna richiesta, lui aveva pregato i suoi superiori di rilasciare la carta per la ramata. Lei ne aveva passate tante, vanificare le sue doti e la preparazione impeccabile era un vero peccato. Era una sua scelta se andare all’università o meno ma…quella carta sarebbe stata equiparabile a una laurea in medicina, chimica, farmacologia e biologia. Fortunatamente la scuola privata in cui era andata aveva confermato la sua preparazione e ciò aveva fatto sì che le venisse convalidato quel titolo di studio. Estrasse il cellulare, aveva chiesto il numero di Shiho a Shuichi con il quale aveva avuto modo di chiarirsi, e la chiamò.

 

« Amuro- kun? » chiese Sera incuriosita guardando sua cugina con fare sorpreso. « Sera-san scusami credevo fosse il numero di Miyano-san. » borbottò imbarazzato il ragazzo, se beccava quell’agente dell’FBI lo strozzava. Aveva fatto un giro a casa del dottore ma il ragazzino gli aveva detto che attualmente in casa non c’era nessuno. « Si, è il suo cellulare, te la passo. »  « Non serve, volevo sapere se poteva passare al Poirot verso le 16. » borbottò il ragazzo mentre Kazami gli si avvicinò con in mano un fascicolo.

 

« Shu…Shu! » lo richiamò esasperata la donna dai capelli biondi. Era da quella mattina che non le prestava attenzione e la cosa iniziava a darle fastidio. « Shu che cosa ti preoccupa? » chiese esasperata mentre l’uomo sospirò « Quel tizio…il biondino… ma si Bourbon…» esclamò notando la faccia confusa della donna. « Si sta avvicinando troppo a Shiho…» Jodie inarcò un sopracciglio, comprendeva la sua preoccupazione ma lei aveva la testa sulle spalle ed era consapevole delle sue scelte. « Shiho è adulta.  » « Lo so ma non voglio che soffra» ammise lui mentre la bionda la abbracciò sorridendo. « Effettivamente è proprio da te questo, dato che non sei nelle condizioni di lavorare forse è meglio che vada» Voleva restare al suo fianco ma aveva paura che potessero arrivare nuovamente a baciarsi…e non avrebbe retto se lui di fosse nuovamente tirato indietro. « Resta » quella richiesta la sorprese e non poco, non era da lui cercare compagnia. 

 

Shiho sospirò notando che la porta del locale era ancora chiusa.  Guardo le tre ragazze che erano a disagio e roteò gli occhi al cielo, non c’era stato alcun verso di convincerle che il damerino non l’avrebbe certo invitata a prendersi un caffè mentre era di turno, se  avesse voluto darle appuntamento. « Buongiorno ragazze, scusate il ritardo.» esclamò la voce squillante di Amuro che contento aveva aperto il locale. L’occhiataccia di Shiho gli fece ingoiare tutta l’allegria con la quale aveva aperto, forse non l’aveva presa nel suo giorno migliore. « Mi fa piacere che tu  non abbia paura di stare in pubblico dopo quella sera.» ammise lui osservando che effettivamente non aveva il cappuccio e non vestiva il solito felpone. « Grazie ancora per quella volta. Ma…come hai fatto ad avere il mio numero? » lo guardò mentre il biondino alzò gli  occhi al cielo. « Che diffidenza guarda che me l’ha dato il tuo stalker. » ironizzò lui mentre il colorito di Shiho si incupì, dopo gli  avrebbe fatto una bella ramanzina. Indispettita la ragazza andò a sedersi con le altre lasciando il povero Rei imbambolato. Certo che aveva un bel caratterino, e doveva ammetterlo, amava punzecchiarla. Sospirando andò dietro al bancone, non era programmata l’assenza di Azusa quindi doveva fare tutto lui e la mattinata l’aveva passata a chiedere favori.  La giornata perfetta, decisamente. Shiho si alzò dal suo posto mentre le ragazze iniziarono a esultare mentalmente, contente di averla convinta ad avvicinarsi al cameriere. Forse Amuro ignorava cosa lei avesse passato ma era un bravo ragazzo e sicuramente meritava un’opportunità.

 

« Di cosa volevi parlarmi ? » Amuro inclinò il viso da un lato, non se l’aspettava così schietta. « Hai deciso cosa fare?  » chiese semplicemente invitandola a sedersi al bancone. « Cosa intendi? » chiese confusa la ramata non capendo a cosa si riferisse. «Conoscendoti, so che hai iniziato a cercare un lavoro. » spiegò Rei mentre la ragazza sorrise, era stata una delle prime cose che  aveva fatto ed  effettivamente  era riuscita ad ottenere un semplice lavoro da dogsitter, un’ora il sabato mattina. Non era molto ma sempre meglio di niente… « Sì ma non ho idee. » affermò la ramata scuotendo le spalle. « Tu ami la chimica, no?» 
« Non metterò più piede in un laboratorio… e poi dove vado senza una carta? Non mi assumeranno mai a fiducia.» affermò la ragazza mentre il cameriere sorrise.

« Usa le tue conoscenze, fai ciò che ti piace.» affermò lui dandole una cartellina con sopra un piccolo bigliettino. La ramata provò a leggerlo e l’uomo la bloccò spiegando che non era il luogo indicato. Non c’era scritto granchè sul foglio ma voleva evitare che qualcuno potesse fraintendere. « Ti lascio le ordinazioni? » chiese mentre il biondo annuì finendo di farcire sotto l’occhio attento di Shiho due sandwich che mise in vetrina. Prese la penna e iniziò a scribacchiare sul blocchetto per poi tornare al posto un po’ spaesata. Non aveva idea di cosa ci fosse in quella cartella ma lui le aveva fatto intendere che potesse servirle. Lo avrebbe ringraziato più tardi, anche perché il locale si stava affollando. «  Di cosa avete parlato? » chiese curiosa Sonoko mentre Ran le diede una gomitata. « Nulla di chè in realtà. »
« Ecco a voi ragazze! » era stato semplice, tranne Shiho le altre avevano preso la loro consumazione abituale mentre la ramata oltre al cappuccino aveva puntato una fetta di torta al cioccolato. Sospirò, anche se Goro non aveva più tutto quel prestigio quel locale era sempre strapieno. Guardò l’orologio. 
Sarebbe stata una lunga giornata

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Capitolo 12
*** Grazie Rei ***


Shiho si rigirò fra le mani il piccolo bigliettino che Rei le aveva lasciato, la calligrafia bella e ordinata rendevano facile la lettura ma nonostante quello l’aveva riletto quattro volte. Ad ogni volta il suo sorriso si illuminava maggiormente, anche perché non se lo aspettava. Lui l’aveva compresa e, senza che lei chiedesse nulla, le aveva dato tutto.

Cara Shiho, 
So bene quanto dura possa essere ricominciare da zero, tuttavia permettimi di darti una piccola spinta. Spero possa tornarti utile ma ora sta a te decidere come usarlo.

Inizialmente non aveva capito di che cosa stesse parlando ma nella cartella vi era la laurea rilasciata dalla Neighbour Rotterdam University! Credeva che l'organizzazione l’avesse bruciata nell’incendio in cui avevano fatto sparire le sue tracce. Era in parte incuriosita, voleva sapere come l’avesse ottenuta  ma evidentemente era un vantaggio della pubblica sicurezza. Sospirò riponendo tutto in un cassetto, quella carta era il suo lascia passare ma doveva decidere lei se usarla o meno e cosa fare.  Il campanello suonò e lei corse ad aprire salutando i tre giovani detective che di tanto in tanto, ogni giorno in realtà, venivano a giocare a casa del dottore. « Ragazzi dai, forza vi ho preso anche la merenda!» esclamò mentre Genta si fiondò contento in casa sotto le risate allegre di Ayumi e Mitsuhiko. «Ai- chan oggi sei più allegra! » bisbigliò timido Mitsuhiko per poi seguire Ayumi. Era stata una vera sorpresa scoprire che lui l’aveva riconosciuta, nel primo momento in cui l’aveva vista sotto le sembianze di Shiho l’aveva ringraziata chiamandola con il suo pseudonimo e mantenendo quel piccolo segreto fra loro.

« Shiho-neechan? » la richiamò Ayumi addentando un pezzo di torta al limone, la ragazza si limitò ad osservarla. « Oggi la maestra Kobayashi ci ha assegnato un compito molto difficile. Tu ci aiuteresti a capirlo? » chiese la piccola mentre Genta sbiancò, ecco cosa aveva dimenticato a casa!  Mitsuhiko porse a Shiho il quaderno di giapponese e la ragazza li guardò allibita. « Sembra un indovinello del dottor Agasa ma in realtà vi chiede di descrivere il vostro sogno. » esclamò divertita mentre Genta sorrise. « Il mio sogno è mangiare la polpetta più grande del mondo, magari poi passo alle anguille e poi… » « Il solito. » ammise Shiho divertita dal suo pensar sempre a mangiare.
« Io vorrei diventare insegnante  » la sorprese Ayumi, effettivamente era gentile e disponibile e con Genta e Conan aveva avuto molta pazienza. « Io non lo so, forse in polizia. Mi piace aiutare qualcuno risolvendo misteri.  » affermò rosso il ragazzo mentre Genta annuì energico. « Quella bambina era così allegra quando le hai ridato il pupazzo! Io invece porteró avanti il negozio dei miei genitori!» esclamò allegro il bambino mentre Shiho sorrise finalmente conscia di cosa fare.  « Torno subito, voi iniziate tranquillamente a giocare. » affermò Shiho per poi allontanarsi.

Chissà che cosa stava facendo? Di tanto intanto guardava il cellulare ma il silenzio da parte sua gli metteva ansia. Forse non aveva ancora avuto modo di aprire la cartella che le aveva dato oppure era successo qualche imprevisto. Sbuffò all’ennesimo richiamo di Azusa, nel tentare di corrergli dietro. Non bastava la corsa che quel delinquente gli aveva fatto fare quella mattina? Fra un sospirò e l’altro finalmente il ragazzo poté tornare a casa anche se non era più in grado di reggersi all’impiedi. Mandò un messaggio a Kazami, domani non si sarebbe alzato dal letto. Haro iniziò subito a fargli le feste, era normale d’altronde era rimasto solo una giornata intera, un po’ gli dispiaceva ma non poteva fare altrimenti.

Il cellulare di Shiho squillò e lei assottigliò lo sguardo. « Kudo se non hai un buon motivo io- » esclamò con la voce minacciosa mentre al detective si rizzarono i capelli.  Shiho acida era un problema,  Shiho ironica era fastidiosa… Shiho arrabbiata era una certezza di morte. « Ho bisogno di un favore importante. Mi  accompagneresti al centro commerciale? » chiese il detective mentre Shiho sospirò era meglio che iniziasse a pensare ad una buona scusa. La ragazza avvisò il dottore e prese le chiavi del maggiolone, dopo sarebbe dovuta andare a provare per il nuovo lavoro ed era un po’ in ansia. I due ragazzi entrarono in auto e prima che Shiho accendesse il motore guardò il detective  con fare sospetto. 
«Ci ho pensato attentamente e voglio chiedere a Ran di sposarmi. » « Tre parole Kudo. Tu. Non. Stai Bene.» sbottò Shiho guardandola esterrefatta. « Miyano quelle sono quattro parole e ci ho pensato bene. Non voglio più perderla, certo l’età non è avanzata ma ehi…voglio farle capire che a lei tengo. E che sono serio.» spiegò Shinichi mentre la ragazza lo guardò con un sorriso. « Io…dell’amore non so molto Kudo, ma Ran non ha bisogno di una proposta, vuole semplicemente che quando vi vedete tu non corra appresso ai cadaveri. » spiegò la ragazza mentre il corvino ridacchiò. Chissà se anche lui avrebbe fatto così? Era l' indole malsana dei detective no?

Chissà se Shiho aveva più preso una decisione. Era seriamente tentato di chiamarla, ma aveva paura di metterle ansia e pressione. Guardò l'orologio, era ormai sera e si era da poco svegliato, aveva dormito più di dodici ore ed ora aveva un mal di testa allucinante. Inarcò un sopracciglio, cosa voleva Kazami a quell'ora? Guardò il messaggio e sbiancò.

" I guai sono appena iniziati, la cara
Ariadne ha trovato una ragazza fissata come lei!"

Era un'ottima notizia quella, almeno si sarebbe risparmiato le ramanzine della megera sul fatto che sprecasse il suo tempo. Aveva quarant'anni ma ne dimostrava molti di meno, ma restava un'incognita pericolosa. 

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Capitolo 13
*** Appuntamento ***


Shiho sorrise guardando i cupcake che aveva preparato grazie al prezioso aiuto di Ayumi, ora dovevano solo farcirli. « A forma di cuore con panna e smarties! » esclamò euforica la bambina di otto anni mentre Shiho sorrise intenerita. « Va bene!» affermò lei iniziando a sistemare la panna sulla cima. « Shiho…io credo che tu piaccia a Mitsuhiko…» sibilò Ayumi mentre lei si morse una guancia. Quella situazione era troppo simile a quando con il dottore aveva visitato quel vecchio castello e lei gli aveva chiesto se le piaceva Conan. « Ah sì? Io credo che gli piaccia tu.» Aveva visto lo sguardo del ragazzino lentigginoso ed era molto simile a quello con cui Conan guardava Ran. « A te invece piace qualcuno? » chiese ingenuamente mentre Shiho arrossì. « Shiho-neechan, stai bene? Sei tutta rossa!» esclamò la bambina mentre Shiho la tranquillizzò. « Si, diciamo di si. » era stato un lampo ma quando Ayumi le aveva posto la domanda il viso di quel damerino gli era venuto immediatamente in mente e non sapeva se era un bene o un male. 

Dopo sarebbe passata al Poirot per ringraziarlo. Era merito suo se aveva trovato un buon lavoro. E non vedeva l’ora di sapere la faccia che avrebbe fatto nel vederla.

 

Amuro alzò lo sguardo guardando la persona che era appena entrata. « Buongiorno, il locale sta chiudendo. » affermò il ragazzo restando sorpreso dal fatto che la ramata fosse sola. « Lo so, ho scelto l’orario in cui ero certa stessi pulendo. » affermò la ramata sorridendo e avvicinandosi al ragazzo biondo.

« Come mai? » Si stava comportando in modo strano. Era misteriosa e aveva l’aria un po’ imbarazzata, finì di riporre i bicchieri e si voltò verso di lei. Sul bancone vi era uno scatolo adornato da un nastrino blu.

« È per te, spero ti piaccia.  »  ammise la giovane ragazza spingendolo verso la giovane. L’uomo incuriosito aprì il regalo ritrovandosi sorpreso dai tre muffin decorati con un topper rosso con cui è stata disegnata la forma di un cuore. Non era riuscita a metterli da parte e a salvarli dalle grinfie di Ayumi. « Grazie a cosa devo questa tua gentilezza? » chiese lui curiosamente.

« Per ringraziarti, mi è stato molto utile il tuo aiuto. » ammise la giovane sorridendogli gentilmente. « Dopo hai qualche impegno? » chiese Rei guardando l’orologio, aveva chiesto a Kazami di  portare Haro dal toelettatore perché lui sarebbe andato a prenderlo verso le sei e mancavano due ore. Tornare a casa non gli conveniva, perciò doveva occupare il suo tempo in qualche modo e gli avrebbe fatto piacere conoscere meglio quella ragazza.  Shiho inarcò un sopracciglio, non capendo il motivo di quella domanda. « Ti va di uscire con me? » Quella proposta la fece sobbalzare, non si aspettava una simile proposta da lui. «Se sei occupata…» iniziò lui non riuscendo a nascondere la delusione e la preoccupazione di essere stato inopportuno. « Accetto volentieri. » affermò la ragazza mentre il ragazzo sorrise allegro togliendosi il grembiule.

 

Si passò una mano fra i capelli, quella notte non aveva chiuso occhio. Era da qualche giorno che nei suoi incubi vedeva il volto di Akemi stesa in terra che pian piano mutava e si trovava a stringere non più la cugina ma il corpo senza vita della sua collega. Forse era un segnale, il suo inconscio stava cercando di dirgli qualcosa. Non ne aveva parlato con Shiho, temeva di farle un torto a non dirgli la verità e allo stesso tempo temeva la sua reazione. Ma era chiaramente ancora innamorato di lei, e questo non poteva negarlo. Che cosa avrebbe dovuto fare? Era chiaro che anche Jodie provasse dei sentimenti nei suoi confronti ma non voleva deluderla e ne voleva ferirla.

 

« Chi ti scrive? » chiese curiosamente il ragazzo dai capelli biondi allungandosi verso la giovane ramata che restava a rimirare il corso del fiume. « Mi dispiace ma non sono fatti tuoi. » esclamò per poi sorridergli e riporre il cellulare. Rise divertita non appena lo guardò in viso, cosa che indispettì e non poco il poliziotto. « Sei sporco di panna! » esclamò la ragazza portando la mano alla sua guancia e con il pollice pulire l’estremità destra della bocca facendo imbarazzare il ragazzo. « Assomigli così tanto a tua madre. » ammise lui mentre Shiho si bloccò. Ricordava che lui ne avesse fatto menzione sul Mistery Train ma lei aveva solo qualche ricordo sbiadito. « Tu…la conoscevi? »  il ragazzo passò il braccio attorno alla sua vita e la attirò vicino a sé. Shiho non protestò ma appoggiò la testa sulla sua spalla e le gambe semidistese sul prato verde. Ad un occhio esterno sarebbero sicuramente sembrati due fidanzati, ma in quel momento lui aveva catturato la sua attenzione. « Io e Akemi ci siamo conosciuti al parco.  » iniziò lui mentre chiuse gli occhi.

 

Ricordava bene quel giorno, il suo amato nonno aveva deciso di cedere alle suppliche e di restare un altro po’ a giocare. « L’altalena è nostra! » esclamò un ragazzo robusto, probabilmente qualche anno più grande che già da un po’ di tempo recava noie alla piccola Miyano. « È di tutti! » le urlò piccata la bambina attirando la sua attenzione. Lui a quel punto si mise fra loro ma dopo che gli fu rivolta la parola “mezzosangue” iniziò con loro una rissa.

 

« Eri uno scapestrato! Non ti immaginavo così impulsivo Furuya-san!  » sussurrò la ragazza con timore. Non riusciva mai a comprendere come chiamarlo quando erano da soli, era sì capitato poche volte ma…

« Scapestrato eh? Elena mi disse anche questo, entrai nell’organizzazione per cercare lei, sai? » Era stata sua madre a permettere il loro incontro in tutti i sensi. Quella consapevolezza la avvolse delicata in un tenero abbraccio. « Tuo padre invece era identico al dottore,  pessimo senso dell’umorismo, indovinelli pessimi e…un cuore d’oro.  Su di lui non so dirti molto. » ammise un po’ dispiaciuto mentre Shiho incastonò i gelidi occhi nei suoi.

« Grazie, non sai quanto mi faccia piacere ascoltare queste tue parole. Ad Akemi non ho mai chiesto nulla, era una ferita che non volevo aprire. »

 

 









 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Era così strano sapere che vi era qualcuno che poteva andare perfettamente d’amore e d’accordo con Ariadne. Per i corridoi si vociferava di un prodigio, una donna fatale che di umano non aveva nulla. Questo era dovuto al comportamento della dottoressa Svetlin, quella donna era qualcosa di assurdo. Un caratteraccio simile al suo era duro da sopportare, si chiedeva ancora come il povero marito la sopportava. Alzarsi dal letto e, non sapere se, dandole  un semplice “Buongiorno”  poteva incorrere nelle sue ire. Ed era per quel motivo che Kazami lo aveva supplicato di andare  a ritirare i risultati. Lento bussò alla porta del laboratorio bianco.

« Era ora! Sei in ritardo Furuya!» sbottò la donna dai capelli corvini posando il gelido sguardo glaciale su di sé.  « Perché somigli sempre di più a lei? » Gli sfuggì ma la dottoressa non ebbe il tempo di rispondere che una mano gelida gli strinse la spalla e l’intento omicida lo fece tremare. «Furuya-san, per caso, con lei intendi me?»

«MIYANO!» sbottò sorpreso arretrando leggermente. Ora era decisamente finito, ed era una brutta situazione. « Voi due vi conoscete?  » « Si… » esclamò la ramata con un sorriso talmente luminoso che fece sogghignare Ariadne. Ora avrebbe dovuto fronteggiare lei, sperava solo che non iniziasse a circolare la voce di essere fidanzato con lei. L’avrebbe ucciso.

 

Shiho sospirò, avrebbe dovuto fargli una foto.
Era sbiancato talmente tanto nel vederla che era indietreggiato, però non si era arrabbiata.
Anzi il loro carattere era simile e forse era per quel motivo che si erano trovate in sintonia, a lei del suo passato non aveva dovuto dire molto dato che era stata comunque sschedata Per lei era stato difficile, sapeva che l’avrebbero chiamata assassina o comunque avrebbero fatto riferimenti a quei tempi ma voleva fare quel mestiere. Per una volta le sue conoscenze sarebbero servite a qualcuno e no, non aveva scelto quel lavoro per ripulire il sangue che aveva versato.

 

Da allora più il tempo passava e più lei e Rei iniziarono a diventare intimi, ma ciò che l’uomo biondo mai avrebbe pensato potesse accadere era accaduto. Shiho aveva confermato le voci ed ora tutta la centrale di polizia sapeva del loro fidanzamento. Erano susseguiti poi giorni molto impegnativi, forse anche troppo e loro non avevano avuto occasione di vedersi fino ad oggi. 

« Sai Rei, non avrei mai pensato di ritrovare la felicità…non con te»ammise lei mentre il ragazzo la  guardò. I suoi occhi tuttavia erano fissi alla volta celeste, un po’ comprendeva dato che quello spettacolo a Tokyo non era fattibile.  « Come mai? » Non sapeva se essere felice o meno, Shiho gli aveva confessato di aver trovato la felicità accanto a lui. « Perché non volevo innamorarmi. Sono passati tre giorni dalla tua proposta, ho dovuto faticare e non poco per accantonare lui. Ma sai, sono felice di essermi innamorata di te. Mi ha ridato la forza di credere nell’amore. Grazie Rei. »spiegò lei con un sorriso voltandosi verso di lui. Il ragazzo sorrise per poi unire le loro labbra in un bacio.Non era solo lei a dover ringraziare.Era merito suo se aveva trovato la forza di ricominciare, era merito suo se tornava a casa con un sorriso e amava quando irrompeva in casa sua per guardare le partite dei Big Osaka. Prima invece era solo, poi Haro gli aveva stravolto la vita, ritornare a casa con lui che lo aspettava era stupendo.  Poi a lui si era aggiunto il sorriso della ramata che lo attendeva coccolando Haro. Chi l’avrebbe mai detto che amasse così tanto i cani? Ritornò a guardare le stelle, voleva che quel momento non finisse mai.








 

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