La vita fugge, e non s’arresta un’ora

di aelfgifu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La vita fugge, e non s’arresta un’ora ***
Capitolo 2: *** All shall be well ***
Capitolo 3: *** Lo zoticone ***
Capitolo 4: *** Un ragazzino e un cane ***
Capitolo 5: *** Preparativi & diamanti ***
Capitolo 6: *** Gli invitati speciali ***
Capitolo 7: *** L’incontro al vertice ***
Capitolo 8: *** Mihi vindicta; ego retribuam ***
Capitolo 9: *** Caro Hans ***



Capitolo 1
*** La vita fugge, e non s’arresta un’ora ***


La vita fugge, e non s’arresta un’ora
 
Valerie arrivò a Hambleton con un trasportino per gatti. Mentre si avviava sul vialetto che portava a casa, le era corso incontro Sam, il Border collie di casa, che si era messo a girare freneticamente intorno al trasportino, scodinzolando e annusando. 
“Ok, giovanotto” gli disse Valerie “ho qui due nuovi componenti della famiglia: vedi di essere un bravo fratello maggiore” e prosegui col cane alle calcagna. Entrò in casa, e trovò sua madre proprio sull’ingresso. 
“Mamma! Mi tendi gli agguati?” 
Sua madre la guardò di sotto in su: 
“Chi c’è lì dentro?” 
Valerie non rispose e proseguì verso la cucina. Posò il trasportino, mise un ginocchio a terra aprendo la porticina e dall’interno balenarono i lampi di due paia di piccoli occhi. Si sentì una specie di rimestio all’interno. 
“Forza, voi due” esclamò Valerie “venite fuori!” E nel frattempo dava una leggera pacca al cane, che l’aveva seguita e ora era fermo accanto a lei, guardando il trasportino con curiosità. Anche Maud Douglas era entrata in cucina e si era fermata dietro la figlia, le braccia incrociate. Dopo qualche minuto di tramestio, aveva fatto capolino la piccola testa arancione di Poes. “Avanti, fifone, esci” lo esortò Valerie “Sam non ti fa niente!” 
Poes, leale alla sua indole avventurosa, avanzò fuori dal trasportino e si fermò davanti a Valerie, ma con un occhio su Sam che cercava di avvicinarsi per fiutarlo. “Ti presento Sam. Non spaventarti, vuole solo conoscerti”. 
Sam si avvicinò. Immediatamente Poes inarcò la schiena, rizzò il pelo, abbassò le orecchie e soffiò. Se non fosse stato così minuscolo sarebbe stato davvero minaccioso. Alla signora Douglas scappò una risata soffocata. Valerie accarezzò il gattino, cercando di calmarlo, e mentre lo teneva fermo Sam poté terminare la sua ricognizione. Guardò il micino dall’alto in basso (a Valerie parve che stesse ridendo), si strinse affettuosamente alla sua grande amica umana e poi si allontanò. Solo allora venne fuori anche Kat. 
“Bel fratello sei, esci solo quando il pericolo è passato!” 
“Hanno bisogno di fare merenda?” domandò la signora Douglas. 
“Non dovrebbero avere fame, ma un po’ di latte a mo’ di benvenuto li metterebbe a loro agio”. 
 
*** 
 
Riattata la vecchia casetta del defunto Tabby accanto alla rimessa degli attrezzi, con aggiunta di comfort quali vecchi cuscini e ciotole per acqua e cibo, Valerie rimase a sorvegliare i due micini che facevano esperienza del nuovo ambiente, e si rese conto con grande soddisfazione che erano proprio come aveva sospettato lei - vivaci e pronti a esplorare il mondo, anche il tranquillo Kat. Quella sera a cena i suoi genitori le chiesero notizie della sua vita nella “grande città” (come definivano, non senza un po’ di campagnolo disprezzo, Manchester). Valerie esitò un momento prima di annunciare: “Ehm… esco con un ragazzo”. 
Sua madre e suo padre la guardarono e chiesero all’unisono: “E chi è? È una cosa seria?” 
Valerie alzò le spalle. “Se non pensassi che è una cosa seria, non ve ne avrei parlato…” 
“E chi è, che cosa fa?” chiese subito suo padre, pratico. 
“Ehm… credo che tu lo conosca già, pa’ “. 
Il signor Douglas aggrottò le sopracciglia. 
“Sì, voglio dire, è… è una persona… famosa”. 
“Non mi dire che è Charles Windham?” 
Charles Windham era stato suo compagno di scuola alle superiori, nonché sua cotta quinquennale non corrisposta; si era dato alla politica giovanissimo e ora era nel consiglio del Wyre Borough, cosa che agli occhi dei genitori di Valerie lo rendeva una “persona famosa”. 
“Papà, Charles Windham non mi guardava quando avevo diciassette anni e non mi guarda neanche adesso” ridacchiò Valerie. “E fa male” la rimbeccò subito suo padre. 
I suoi, e specialmente suo padre, da più di dieci anni nutrivano il sospetto che il  signor Windham, da ragazzo, fosse stato troppo timido per dichiararsi a Val; e aspettavano che lo facesse ora, visto che era diventato una “persona famosa” e Val era uscita con una delle medie più alte della storia dalla scuola di medicina veterinaria di Edimburgo.
“Comunque no, non è lui” confermò Valerie “è un po’ più… famoso”. 
“E dove avresti incontrato uno famoso? Tu non esci, non fai vita sociale, casa e lavoro e lavoro e casa” obiettò sua madre. 
“L’ho conosciuto dal dottore” spiegò Valerie. “Stavamo aspettando tutti e due di fare una visita dal professor Robbins”.
“E quindi si può sapere chi è?” 
“Sì, pa’, è Brian Cruyfford dello United”. 
Il signor Douglas mise su un’aria sospettosa. 
“Il calciatore?” 
“Sì, pa’”. 
“Uhmmmm!” disse il signor Douglas. Tacquero tutti per un minuto buono; Valerie, per dissipare l’imbarazzo, si concentrò sul purè di patate. Ne prendeva grossi bocconi e masticava ostentatamente. 
“OK” infine fu sua madre a parlare “a parte che normalmente questi calciatori frequentano tutt’altro tipo di ragazze…” Il signor Douglas diede una gomitata alla moglie. 
“Dai, Roger, hai capito cosa voglio dire!” rispose lei. “Quella è gente che frequenta queste… tipe qui, donne di spettacolo, top model, Valerie non appartiene certo alla categoria!” 
“Tranquilla, mamma, non mi offendo” rise Valerie “io infatti sono una ragazza normale!” 
“Tu non sei affatto una ragazza normale” replicò suo padre. 
“Perché, ho le corna?” 
“Hai capito cosa voglio dire, Val…” 
“Sì, papà, certo che ho capito”. 
“Ma è affidabile questo Cruyfford?” 
“Pensiamo di sposarci alla fine della stagione”.  
Per i suoi genitori fu troppo; si guardarono con l’aria di non aver capito nulla, poi guardarono la figlia. 
“È meglio che ne riparliamo domani, Val. Per stasera abbiamo abbastanza novità da digerire” sentenziò sua madre.  
 
***
 
Quando lo raccontò a Brian al telefono, lui sembrava incredulo. 
“Ma nemmeno fossi il duca di Cambridge!” andava ripetendo. 
Valerie pensava: fino a un’ora fa i miei erano convinti che anche un consigliere provinciale fosse al disopra delle mie forze, figurati che effetto deve avergli fatto il tuo nome… e poi tutto questo rivolgimento nel giro di pochi mesi, quando non ho mai portato un ragazzo a casa da quando Tom Walker veniva da me a ripassare matematica, quindici anni fa! 
“Comunque ne riparleremo domattina a colazione”. Valerie andò a dormire, ma passò un bel po’ prima che riuscisse a prendere sonno. 
 
***
 
Quella sera neanche Hans van Veldeke riusciva a prendere sonno. Un paio d’ore prima, al telefono, Brian gli aveva rivelato che intendeva sposare la dolce veterinaria del Lancashire. Per non dare fastidio a Ria girandosi e rigirandosi nel letto, si alzò pian piano e andò in soggiorno. Sedette nella poltrona davanti alla tv, ma non accese l’apparecchio: rimase a meditare fissando il buio. Come sempre, quando in qualche modo c’era Valerie di mezzo, lo assaliva una strana emozione. No, non era gelosia nei confronti di Brian, anzi era felice che si fosse innamorato di quella ragazza così fuori dal comune. Dieci anni prima aveva avuto un’esplosione di desiderio improvvisa e furiosa nei confronti di quella che al tempo era stata una ragazzina di vent’anni; era riuscito a resistere solo convincendosi del fatto che si trattava di una reazione al conflitto con Ria. Ora però vedeva le cose diversamente: non aveva desiderato quella ragazza perché frustrato dai litigi e dalla lontananza di sua moglie, ma perché Valerie gli aveva suscitato un’invincibile nostalgia, la nostalgia che ci prende quando incontriamo qualcuno di buono e di pulito e noi ci rendiamo conto che abbiamo già fatto delle scelte, che non possiamo tornare indietro, il tempo non è più a nostro favore e insieme al tempo abbiamo perso anche la possibilità di realizzare molti sogni. Insomma, Valerie lo confrontava col tempo e gli chiedeva conto di quel che ne aveva fatto. “Non mi pare di averlo sprecato” disse Hans a mezza voce “non mi pare di aver fatto scelte sbagliate. Non mi pare di avere rimpianti da alimentare”. E allora perché quella malinconia? Forse perché a luglio Johan e Jacob avrebbero compiuto dodici anni? Perché il tempo corre e noi fatichiamo a stargli dietro, e arriviamo al traguardo prima ancora di rendercene conto? Valerie lo stava mettendo di fronte alla sua morte? 
Un rumore di piedi scalzi che attraversavano il corridoio lo riscosse. Si alzò per andare a controllare, e vide Jacob che quatto quatto, al buio, entrava in cucina, apriva il frigorifero e tirava fuori quello che rimaneva del cheesecake di Faith, che avevano mangiato per merenda. Nascosto nell’ombra, Hans vide suo figlio che posava il dolce sul tavolo, prendeva un coltello, si tagliava una grossa fetta e: 
“Jacob” disse, materializzandosi sulla porta della cucina. Jacob fece un salto e per poco non lasciò cadere la fetta di cheesecake. 
“Non hai mangiato abbastanza a cena?” lo rimproverò suo padre. 
“No” rispose Jacob con la sua solita faccia di bronzo.
“Allora tagliane un’altra fetta e siediti a mangiare con me”. 
 

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Capitolo 2
*** All shall be well ***


All shall be well
 
Il mattino seguente, quando Val scende a fare colazione, sua madre l’aspetta seduta al tavolo della cucina, le mani chiuse a pugno contro le tempie come se avesse passato molto tempo a riflettere tormentosamente. 
“Giorno” saluta Valerie. 
“Lui sa della tua malattia?” esordisce sua madre senza tanti complimenti. 
Valerie si ferma davanti al tavolo. Posa le mani sulla spalliera di una sedia: 
“Sì, ma’. Sa tutto”. 
“E?…” 
“Se sono fortunata, con un po’ di attenzione potrò avere una vita abbastanza normale… potrò anche avere figli”. 
“E a lui sta bene così?”
“Mamma, è stato lui a proporre di sposarci”. 
“Non avrà qualche scheletro nell’armadio questo Cruyfford? Proporre il matrimonio a una ragazza… malata, che conosce solo da qualche mese… mi sembra sospetto”. 
Come obbedendo a un comando, gli occhi di Valerie si riempiono di lacrime. È questione di un secondo. Non arrabbiarti con lei, pensa, è spaventata, è preoccupata e non si dà pensiero se con le sue parole mi ferisce.
“Che tipo di scheletro?”
“Magari è gay e non vuole farlo sapere, o è impotente…” 
“Mamma, mio Dio, ma che c’entra?” 
“Magari è solo alla ricerca di un matrimonio di facciata…”
“Ma’, come fai a dire una cosa del genere? Ma veramente credi che io sia un tale scarto umano che posso interessare, ovviamente per i motivi sbagliati, solo a uno che deve nascondere qualcosa?” 
Sua madre la fissa e non risponde. 
“Mi è passata la fame” dice Valerie, e fa per uscire. Deve dare la pappa a Kat e Poes. 
“Valerie” la chiama sua madre. “Puoi rimanere un momento, per favore?” 
Val si ferma. 
“Io sto facendo solo l’avvocato del diavolo” si scusa la signora Douglas. “Queste sono decisioni importanti… e tu sei così… così…” 
“Così come?” 
Per tutta risposta, la signora Douglas scoppia desolatamente a piangere. Valerie è presa da un dolore fortissimo; subito fa il giro del tavolo e va a consolare sua madre. Le accarezza la testa e la schiena, ripetutamente, come fa quando deve calmare un cucciolo. 
“Su, su…” 
Ma la signora Douglas non sembra voler smettere. Valerie si siede accanto a lei, le prende una mano. “Mamma…” ride “lo so che queste sono cose private, ma da quel lato va tutto bene… mica avrai pensato che prendo un uomo a scatola chiusa?” L’argomento sembra decisivo: la signora Douglas smette di piangere, si asciuga le lacrime col dorso della mano e guarda la figlia con un sorriso incerto. 
“È bravo a letto?” chiede. Valerie ridacchia, imbarazzata. 
“Se la cava abbastanza bene… vorrebbe dei bambini”. 
“Scusa, Val, queste non sono domande che una mamma dovrebbe fare a sua figlia…” 
“Ma no, mamma, figurati”.
“È che… è che tu sai la storia del mio primo matrimonio, vero?” 
“Certo, mamma”. 
“Ecco, e siccome ci sono passata io…” 
“Lo immaginavo, mamma”.
“E poi… tu non immagini quanto abbiamo sofferto per te io e papà!” 
“Ma dici per l’artrite? Mamma, facendo attenzione potrò avere una vita quasi normale… guarda le cose dal lato positivo”. 
“No, tesoro, non è quello… è che ti abbiamo visto sempre così sola. Quando andavi a scuola  speravamo in quel cretino di Tommy Walker, invece lui si limitava a farsi aiutare con i compiti, non ti ha mai portato neanche un fiore. E quel presuntuoso di Windham? Chissà chi credeva di essere! I tuoi coetanei avevano le loro comitive, uscivano la sera, facevano le vacanze insieme, e nessuno ti invitava mai al cinema o a prendere un gelato…” 
“Oh, mamma! È normale. A quell’età le ragazzine studiose non piacciono a nessuno!” 
“Sì, ma perché dovevano farti sentire come se non valessi niente, mentre tu eri meglio di tutti loro messi insieme?” La signora Douglas ricomincia a piangere. “Sai che io e il papà avevamo pensato di vendere tutto e di trasferirci in un posto più grande, in modo che potessi incontrare persone più aperte e non dovessi più sopportare questi quattro maleducati?”
“Allora meno male che non lo avete fatto, la fattoria è il posto più bello del mondo”.  
Valerie tira fuori il cellulare dalla tasca della felpa e lo mette sotto il naso di sua madre. 
“Ecco, guarda, questo è Brian”. 
La mamma guarda e ride. “È bello!…” 
“Sì, non è male”. 
 
*** 
 
Mentre scende a dar da mangiare a Kat e Poes che la accolgono correndo verso di lei con le codine diritte, Valerie ricorda quello che le aveva detto sua madre quando aveva quattordici anni: “Val, agli uomini fondamentalmente non gliene importa nulla delle donne, ma meglio un ragazzo che ti salta addosso di uno che ti rintrona di chiacchiere e poi non combina nulla!” 
Così lei era cresciuta col complesso di inferiorità perché nessuno le saltava mai addosso. Aveva saputo la verità qualche anno più tardi; sua madre si era sposata una prima volta quando era molto giovane, aveva diciannove anni, con un ragazzo piuttosto benestante di Richmond. Dopo neanche un anno era tornata a casa piangendo: suo marito la trascurava, non l’aveva mai toccata neanche con un dito, come se gli facesse ribrezzo. In compenso passava diverse sere alla settimana in “certi locali” di York. Una mattina era stato riportato a casa, in uno stato pietoso, da un ragazzo che non appena Maud gli aveva aperto la porta di casa si era presentato dicendo: “Tu sei Maud? Io sono Kingsley, il fidanzato di Jason”. 
Jason aveva raccontato nel suo giro che Maud era la sua sorellina minore. Un’ora dopo Maud era già in auto alla volta del Lancashire, tutte le sue cose buttate alla rinfusa in una valigia. Era rimasta così traumatizzata dalle bugie del suo primo marito - e anche dall’ilarità crudele che la sua vicenda aveva suscitato al villaggio - che per dieci anni aveva mandato al diavolo chiunque fosse stato così coraggioso da chiederle di uscire. Poi, un giorno, aveva preso una terribile storta durante una passeggiata, e Roger Douglas, che si trovava a passare, l’aveva soccorsa, tranquillo, silenzioso, sicuro di sé. Maud era sempre stata attentissima a qualunque sgarbo o mancanza di rispetto venisse fatta alla figlia, se la prendeva col ragazzino che non aveva ricambiato la cotta della dodicenne Valerie e con l’amichetta che non l’aveva invitata alla sua festa di compleanno come se avessero insultato lei personalmente. Ma Valerie, per fortuna, era venuta su come suo padre, tranquilla, gentile, decisa, paziente, risoluta, silenziosa e sicura del fatto suo.
 
 

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Capitolo 3
*** Lo zoticone ***


Lo zoticone
 
Due giorni dopo essere stata al comune per le pubblicazioni di matrimonio, Valerie incontra Charles Windham davanti al supermercato. Gli fa un cenno, nella speranza che lui passi oltre; e invece per la prima volta in vita sua Charlie Windham decide di fermarsi al saluto di Val Douglas. Valerie spera che sarà questione di un minuto, uno scambio di convenevoli di circostanza, e si prepara sfoderando il suo sorriso più gentile. Invece Windham arriva dritto al punto: 
“È vero che ti sposi?” 
“Come?” chiede Valerie. Le pubblicazioni non sono ancora esposte, come fa Windham a sapere che si sposa? Ah no, pensa Val; l’impiegata con cui ha parlato è sua zia Jean. Probabilmente la zia non sarà riuscita a tenere la bocca chiusa; dodici anni prima la cotta di Val per Charles Windham aveva fatto ridere tutto il paese. Già, ridere, ricorda Valerie: ma perché? Lei non aveva mai compiuto nessun gesto né avventato né ridicolo. Non gli era mai saltata addosso, non gli aveva mai chiesto di uscire, non lo aveva mai fatto vergognare di qualcosa. Eppure quel batticuore che provava di fronte a Charlie era oggetto di grasse risate tra la gente di Hambleton. Le pareva anzi di ricordare che zio Frank lo avesse sentito mentre lo raccontava in giro, avendo cura di chiosare con le ultime parole famose: “I casi umani capitano tutti a me!”. Ma chissà perché si era comportato così?
“Ah, sì”. 
“E chi è il fortunato? Un agricoltore?” 
A Valerie viene da ridere. Davvero mi sono presa una sbandata per quest’essere così sciocco e meschino? si domanda. 
“No, no” risponde, con aria angelica “è un ragazzo di città, l’ho conosciuto a Manchester”. 
Windham alza un sopracciglio:
“Manchester?” 
“Già, Manchester, io lavoro a Manchester”.
Dio mio com’è brutto, con quel viso cavallino. E gli si stanno già diradando i capelli in testa! Valerie cerca di ricordare com’era Charlie dodici anni fa: non molto diverso da oggi, allora aveva ancora tutti i capelli e un faccino più tondo. Allora lo trovavo bello, riflette. Ma il carattere? Le sembra, vagamente, di ricordare che Windham era una specie di leader a scuola, piaceva a tutti, e in realtà era anche un tipo molto socievole e di mondo, solo con lei si era sempre mostrato molto villano, chissà perché? Forse perché percepiva la debolezza di Val nei suoi confronti? 
“E che fa il tuo futuro sposo?” 
Che te ne importa? pensa Valerie. Ma decide di dargli corda. 
“È nell’industria dell’intrattenimento” butta là. Definizione indefettibile! 
“Cioè fa il clown?” 
“No”. A questo punto Valerie ne ha abbastanza e passa al contrattacco: “Senti un po’, Charlie, ti rendi conto che non ci vediamo da circa otto anni e ancora adesso la prima cosa che fai quando mi parli è cercare di insultarmi? Tua zia non ti ha detto il nome del mio futuro marito?” 
“Non se ne ricordava, ha detto che suona straniero. Sposi un immigrato?” 
“Non è un immigrato. È olandese, di Amsterdam, e lavora a Manchester” replica Valerie. La maleducazione di Windham è così esagerata che ora ci si sta perfino divertendo, ma non gli rivelerà il nome di Brian neanche morta. Conoscendo Windham, crederebbe che lei stia mentendo. Che lo scopra da sé. Dagli corda e si impiccherà da solo! 
“E tu?” 
“Io cosa?” 
“Tu non ce l’hai una ragazza, una moglie? Un politico importante come te dovrebbe essere una preda molto ambita!” 
Windham fa una smorfia. “Mi prendi in giro?” 
“Esatto, ti prendo in giro. Se sei tanto curioso vatti a leggere le pubblicazioni quando usciranno. Au revoir, Charlie!” 
 
*** 
 
Il giorno dopo Val dà una mano a suo padre e al loro aiutante Bill Valentine nella mungitura. 
“Sai, principessa” le fa suo padre mentre portano fuori i secchi col latte. “In paese circolano storie sul tuo futuro sposo”. 
“Davvero, pa’?” 
“Ho incontrato la signora Higgins che mi ha chiesto se era vero che sposavi un rifugiato”. 
“Un rifugiato? E tu? Che hai risposto?” 
“Che mi risulta che il mio futuro genero sia olandese”. 
“Ma a chi sarà venuto in mente che sposo un rifugiato?” 
“Sai come sono le chiacchiere di paese”. 
“Sì, sono come il gioco del telefono”. 
Versano il latte nelle capaci taniche di zinco. 
“Papà?” 
“Sì, tesoro”. 
“Ieri ho incontrato Charlie Windham che mi ha fatto un mucchio di domande ed è stato maleducato anche più del solito. Tu ti spieghi come faceva a piacermi quello zoticone quando andavo a scuola?” 
Roger Douglas svuota il secchio e lo posa a terra. Poi guarda la sua principessa: 
“Be’, Val, era un tipo estroverso con una bella parlantina, la gente era convinta che fosse un grand’uomo. Anche i vostri insegnanti ne erano convinti. Forse ti eri lasciata suggestionare da questo”. 
Valerie socchiude gli occhi. “Non ricordo molto bene, ma mi pare che si comportasse da maleducato anche allora. Mi piacerebbe capire perché”. 
“Lo rendevi furioso. Il fatto stesso che gli fossi affezionata lo rendeva furioso. Non è mai stato capace di confessare a sé stesso che anche tu gli piacevi“.
“Io? Ma va’!” 
“Eh! Credi al tuo papà… Charlie non è un cattivo ragazzo, ma tu tiravi fuori il peggio di lui e a quanto pare succede anche ora”.
“Il clown, il rifugiato…” ricapitola Valerie. “Che imbecille!” 
“Hai sempre avuto il dono di far uscire dai gangheri la gente che ha qualche problema irrisolto qui” ride il signor Douglas picchiettando sulla tempia con l’indice della mano destra. “Anche da piccola.  La tua maestra delle elementari diceva che eri saccente e presuntuosa. Io e tua madre non ce ne facevamo capaci, perché eri una bambina gentile e tranquilla, anche troppo tranquilla, non sei mai stata tipo da ‘io, io, io’…” Il signor Douglas sospira. “Il fatto è che in giro c’è moltissima gente con problemi irrisolti. Tu che ne dici, Bill?” 
Bill, che fino a quel momento ha seguito la conversazione senza intervenire, si aggiusta il cappello sulla testa. 
“Con tutto il rispetto, Val, il giovane Windham è sempre stato un fanfarone. Anche al Wyre Council pare faccia solo un mucchio di chiacchiere e basta”.

***

Nota di Ælfgifu. Nel capitolo si affronta, in modo anche spiritoso e un po' esagerato, il tema del bullismo. Meno male che la nostra Valerie è sempre stata tanto tranquilla e convinta del fatto suo da non dare peso alla villania di Charlie Windham... e vediamo come anche la nostra protagonista abbia un rapporto molto più sereno col padre che con la madre!
(La figura di Charlie Windham è ispirata pari pari a un mio compagno di scuola delle medie, un tipo “sei solo chiacchiere e distintivo” - come direbbe Al Capone / Robert De Niro - che però tutti consideravano una specie di Superman perché era un estroverso con una bella parlantina. Ça va sans dire, costui era molto villano nei miei confronti e molti gli davano anche corda in questo suo modo di fare. E ça va sans dire, rispetto a quello che ho costruito io, ha concluso abbastanza poco nella vita: proprio come Charlie Windham rispetto a Valerie… della serie “ride bene chi ride ultimo”)

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Capitolo 4
*** Un ragazzino e un cane ***


Un ragazzino e un cane
 
iLa famiglia Veldeke, in seduta plenaria (compresa Faith), ha deciso che è arrivata l’ora di prendere un cane. Hans trova l’idea ottima perché avere un animale per casa renderà sicuramente i gemelli più responsabili e attenti verso le altre creature viventi (il retropensiero è: diventeranno più calmi, matureranno e faranno dannare meno mamma e papà). Ria Veldeke e Faith pensano che avere un cane   da portare a passeggio le spronerà a fare un po’ più di movimento. I gemelli hanno sparato le proposte più assurde: Johan voleva un San Bernardo; la mamma gli ha fatto notare che, anche se i San Bernardo hanno un’indole dolcissima, sono bestioni che pesano tre volte lui e suo fratello. “Ti butterebbe a terra con una zampata”. Jacob invece voleva adottare Thor, il pitbull che hanno salvato al centro di Val Douglas. “Quello ti divora solo aprendo la bocca”, ha commentato il padre. Anche Valerie ha fatto sapere che non è consigliabile per loro adottare Thor; è un animale che ha bisogno di un monitoraggio costante, dopo quello che ha passato. Ha specificato anche che, avendo i Veldeke un grande giardino e vivendo in un quartiere ricco di verde, il cane più adatto sarebbe un animale di taglia media, socievole, affettuoso e orientato alla vita in famiglia ma eventualmente anche pronto all’aiuto e alla difesa.
La famiglia Veldeke si è messa d’accordo con la dottoressa Douglas per fare una visita al centro e vedere i cani disponibili per l’adozione, e un martedì mattina si presentano tutti; i gemelli hanno l’aria allegra ed emozionata. Val va loro incontro, nei suoi abiti da lavoro, si vergogna davanti alla signora Veldeke, sempre perfettamente elegante, stringe la mano ridendo a Hans, che invece ha seguito le istruzioni alla lettera, è in tenuta campagnola - jeans, felpa e scarponcini - e sembra un ragazzo di vent’anni. Prima di iniziare il giro, la dottoressa Douglas si rivolge direttamente a Johan e Jacob. 
“Ragazzi, mi sapete dire che cosa differenzia me e voi da un cane?” 
I gemelli sono colti di sorpresa: non si aspettavano una specie di interrogazione… Johan azzarda: “Un cane non parla”. 
“Okay. E poi?” 
I gemelli si guardano. 
“Poi vanno su quattro zampe” diceJacob.  
“Un cane è molto più peloso di un essere umano” rilancia Johan. 
“Noi non abbiamo la coda” sghignazza Jacob.
Valerie assume un tono preciso e professionale: “Bravissimi. A parte le ovvie differenze anatomiche - ma pare che i nostri antenati una coda ce l’avessero -, tecnicamente parlando, i cani non hanno un sistema di comunicazione verbale complesso come noi. Però hanno la voce e la sanno usare. Un cane abbaia, guaisce, mugola, ringhia, uggiola… e ognuno di questi versi ha un significato diverso” spiega Valerie. “Inoltre, i cani hanno un sistema di comunicazione non verbale che bisogna conoscere. Per esempio, che vuol dire quando scodinzola?” 
“Vuol dire che è felice di vederti!” salta subito su Jacob. 
“Bravo; e quando spinge col muso contro la tua mano?” 
I due ragazzi tacciono; Val vede con la coda dell’occhio che il papà sorride a un angolo della bocca, come se conoscesse la risposta e si costringesse a non dirla. “Vuole attirare la tua attenzione. A volte lo fanno quando conoscono qualcuno”. 
“Quando conoscono qualcuno gli saltellano anche intorno” aggiunge Johan. 
“Esatto, è perché devono familiarizzarsi con un odore estraneo. I cani hanno un olfatto e un udito molto più sviluppati dei nostri, è per quello che notano anche i rumori più leggeri e non sopportano scoppi ed esplosioni. Oppure sono usati per individuare cose e persone partendo dal loro odore: avete mai visto i cani poliziotto che vengono impiegati per cercare esplosivi o droga? Hanno anche una vista tale che vedono le cose a velocità rallentata rispetto a noi. È per quello che sono così bravi ad afferrare al volo un frisbee o un bastoncino, lo vedono arrivare al rallentatore”.
“Allora i cani hanno i superpoteri?” ride Jacob. 
Valerie ride anche lei. “Possiamo dire così” conferma. “Ma hanno anche due svantaggi rispetto a noi, cioè non comunicano in maniera raffinata come noi e non hanno le mani. Non hanno il pollice opponibile; hanno invece le zampe anteriori” mostra la mano destra ai gemelli e fa vedere loro i movimenti del pollice. “Così non possono fare le cose che facciamo noi, per esempio afferrare gli oggetti. Loro usano le zampe anteriori e i denti per fermarli e afferrarli, ma è un sistema primitivo e meno efficace rispetto alla presa della mano”. 
“Cioè se i cani sapessero parlare e avessero le mani ci saremmo noi in gabbia o al guinzaglio?” la interroga Jacob. 
“È possibile” risponde Valerie con aria seria “salvo il fatto che i cani sono creature migliori di noi e dubito che si divertirebbero a tenerci in cattività o a bastonarci”. Valerie fa una pausa. “Questo per dire che un cane è come un amico, un coinquilino, un fratello minore un po’ particolare; ha bisogno che lo rispettiamo, gli vogliamo bene e ci prendiamo cura di lui. E tanto più perché non sa parlare come sappiamo noi e non ha le mani. Tutto chiaro?”
“Possiamo vedere Thor?” chiede Jacob. 
“Va bene, vi porto a conoscerlo prima di iniziare il giro” acconsente Valerie “però ricordate di essere molto cauti, perché Thor ha subito maltrattamenti e può bastare una minima cosa per fargli cambiare umore”. 
Si avviano tutti in fila indiana verso lo stallo di Thor, Valerie in testa, i gemelli subito dopo, la mamma e Faith subito dopo e papà a chiudere la fila, alla retroguardia, come fa sempre chi deve occuparsi della difesa del suo branco. Una volta arrivati, Valerie apre la porticina, e un grosso pitbull si slancia con un salto verso di lei; ma non appena nota la presenza di un gruppo di estranei, tutto il suo entusiasmo sparisce, ricade sulle zampe, si guarda intorno, si stringe a Valerie. Valerie gli accarezza la testa una, due, tre volte, per rassicurarlo. 
“Coraggio, giovanotto” gli dice, parlandogli affettuosamente “sta’ tranquillo: sono amici”. Thor guarda perplesso la sua salvatrice, poi avanza di qualche passo, individua i gemelli, incomincia a fiutare rumorosamente. Johan e Jacob si ghiacciano. 
“Guardate che lui sente la vostra paura” fa Valerie. “Siate rilassati”.
A quelle parole Jacob si riscuote, fa un passo avanti e offre la mano destra col palmo all’insù al cane. Thor fiuta freneticamente per un po’, poi passa a Johan, che fa lo stesso gesto del fratello. In capo a un minuto, i gemelli e Thor sono diventati amici. 
“Non possiamo proprio prenderlo?” supplica Jacob. 
Hans alza lo sguardo verso Valerie. 
“Mi dispiace” risponde lei “È meglio di no. Basterebbe un tono di voce, un gesto della mano per risvegliare la sua aggressività, e allora sarebbero guai. Lui è stato cresciuto a botte e torture per addestrarlo a uccidere altri cani nei combattimenti clandestini, se attacca una persona, è tanto più se lo fa inaspettatamente, potrebbero esserci conseguenze serie”. 
“Oh mio Dio” geme la signora Veldeke. 
E a questo punto Jacob compie qualcosa di incredibile: posa un ginocchio a terra, mette le braccia al collo di Thor e scoppia a piangere. La cosa più stupefacente, però, è che Thor rimane buono e calmo nell‘abbraccio del giovane Veldeke. 
 
*** 
 
Riescono a fatica a staccare Jacob dal cane; Valerie fa rientrare Thor nel suo stallo e dice: “Ci scusate un momento? Torniamo tra cinque minuti” e posando una mano sulla spalla dell’ancora singhiozzante Jacob lo conduce nel suo ufficetto. In corridoio bussa alla porta di Rupert e gli chiede se intanto può iniziare lui a far vedere i cani ai signori Veldeke. Rupert scatta come una molla e si precipita fuori, mentre Val e Jacob entrano nella stanzetta ingombra di carte, Val offre una sedia al ragazzino, gli porge un fazzolettino di carta e tira fuori una Coca-Cola Zero dal piccolo frigo portatile sistemato dietro la sua scrivania. 
“Tieni, Jacob, bevi” gli sorride. E mentre Jacob afferra la bottiglietta di plastica con entrambe le mani, è tentata di fargli una carezza sulla testa, proprio come a un cucciolo. Ma è un cucciolo, pensa Valerie. “Ti senti meglio?” 
Jacob, che ha aperto la bottiglietta e buttato giù un sorso, non per sete ma per calmarsi, annuisce. 
“Che cosa ti è successo?” gli domanda Valerie, anche se sa perfettamente che gli è successo, ma vuole che Jacob lo dica con parole sue, lo chiarisca a sé stesso. 
“Hai pianto per Thor?” “Non è giusto che gli abbiano fatto del male solo perché non parla e non ha le mani” sbotta Jacob; grossi lacrimoni gli riaffiorano sulle ciglia. 
“Non è giusto, no”. 
“Perché le persone si divertono a fare del male?” incalza Jacob. 
“Non lo so” risponde Val. "“Non tutte si divertono a fare del male. Tu, per esempio… hai sentito dentro di te quello che ha sentito Thor. Sai che vuol dire?” 
Jacob scuote la testa. 
“Che tu non ami fare del male”. 
“Hai curato tu Thor?” fa Jacob, cambiando discorso. 
“Sì, siamo stati io e Rupert”. 
Jacob abbassa la testa e beve in silenzio. Respira forte, come tutti i bambini dopo una crisi di pianto. Val gli batte amichevolmente una mano sulla spalla.
“Quando stai di nuovo bene, dimmelo, così torniamo dagli altri”. 
“Val…” 
“Sì?” 
“Bisogna studiare tanto per diventare veterinari?” 
Val ridacchia, perché ha capito dove vuole andare a parare il giovane Veldeke. Sa già da Hans che il ragazzino non va molto d’accordo con la scuola. 
“Eh, sì. Bisogna studiare parecchio. Ma se ami gli animali, lo studio non ti pesa”.  
 
***  
 
Quando ritornano dagli altri, Johan, Hans, Ria e Faith stanno giocando con un cucciolo di golden retriever. Jacob corre ad abbracciare la mamma, poi si stringe forte a suo padre.
"Tutto bene, ora, giovanotto?” chiede Hans. 
“Sì, papà, tutto bene”.
Valerie rimane in piedi accanto a Rupert, un sorrisino misterioso all’angolo delle labbra. “Vogliamo prendere lui?” squittisce Ria con aria sognante. Il piccolo golden retriever dal pelo dorato e le lunghe orecchie pare averla già conquistata.  Johan ride entusiasta. “Non è un lui, è una lei” rivela Valerie. 
“Ommioddio” esclama la signora Veldeke “allora bisognerà sterilizzarlo? Pardon, sterilizzarla?”
“Non è detto. Basterebbe anche solo tenerla isolata durante i periodi del calore. Voi avrete sicuramente un posto riparato dove tenerla”. 
“Penso che potremmo costruire un piccolo box proprio per lei in giardino” interviene Hans. 
Nel frattempo anche Jacob ha fatto amicizia con la cagnolina e insieme al fratello si diverte a darle delle crocchette dalla busta che Rupert ha passato loro.
“Mi raccomando non dategliene molte” dice loro Valerie. “Ha già, per così dire, fatto colazione”.
“Ha un nome?” chiede Faith.
“No. Normalmente non diamo nomi agli animali adottabili. Ci penserà la loro famiglia”.
“E chi è che ha dato il nome a Thor?”
“Sono stata io, dietro richiesta di Rupert e i ragazzi” spiega Valerie. “Ma lui è un caso a parte”.
"Be’, pare che l’idea di prendere un cane si sia rivelata un’ottima cosa” commenta Ria. 
“Già!” fa Val.
“E grazie per averci rivelato il cuore di nostro figlio” mormora a voce bassissima l’allenatore dello United, tanto che nessuno riesce a sentirlo tranne Valerie. 
 

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Capitolo 5
*** Preparativi & diamanti ***


Preparativi & diamanti
 
“Hai già calcolato quante persone inviterai?” 
“Be’, a occhio e croce un duecento persone. Lo United, i ragazzi della nazionale, il mister e famiglia, i ragazzi dell’Ajax, i miei amici di Molenwijk, nonni, zii, cugini e parenti vari…” 
“Dal lato Douglas saremo forse una ventina” ridacchia Valerie. “I miei nonni, zio Frank, zia Edna, mio cugino Henry con la moglie e il bimbo, e Jackie e Frances con i rispettivi fidanzati. Bill Valentine, l’aiutante di papà, con la sua famiglia. Poi Rupert e i ragazzi del centro. E il reverendo Jenkins e signora, naturalmente. E credo basti così”. 
“Amici tuoi di Hambleton o Edimburgo?”
“Non ho amicizie strette a Hambleton o Edimburgo”. 
Brian tace. Di fronte alla semplicità con cui Valerie parla di cose sgradevoli, a volte preferisce tacere. 
“È già tanto avere una ventina di persone da invitare a un matrimonio” dice Valerie, come leggendogli nel pensiero. 
“Dobbiamo fare una lista precisa per Sheryl” dice lui. Sheryl, la wedding planner: una ragazzina di venticinque anni alta come un Puffo e sempre in movimento come una trottola che gira su sé stessa. Ogni volta che la sente al telefono o la vede in videochiamata, a Valerie scappa da ridere. “Ovviamente” puntualizza Valerie “i miei invitati sono a carico mio”. 
“E dai, Val…”
“E dai cosa?” 
“E dai che una somma che per te è una spesa, per me è una sciocchezza”. 
“Eh no, Brian Cruyfford, con queste premesse un matrimonio non inizia neanche!” 
Brian alza gli occhi al cielo, ostentatamente. 
“Mica ti avrei fatto così cocciuta, con quell’aria dolce e fragilina!…” 
Valerie gli ride dietro. E gli posa una mano sull’avambraccio: 
“Lo sai, vero, che è una questione di autostima? Non posso farmi schiacciare dal marito calciatore e miliardario…” 
Brian le stringe forte la mano. 
“E quindi” comincia a enumerare Valerie “abbiamo il giorno, abbiamo la chiesa, abbiamo il reverendo, grazie a Sheryl abbiamo già un paio di opzioni su dove si farà il rinfresco, abbiamo quasi fatto la lista completa degli invitati, che cosa manca?” 
“I nostri vestiti”. 
Si guardano con aria da cospiratori. 
“Ma dobbiamo per forza metterci in ghingheri?” 
“Oddio… spero di no?”
“Noi siamo due tipi alla mano” ride Valerie “mi ci vedi col velo e lo strascico?”
“Se ci metti anche lo strascico ti tirerà giù a terra, pesi venti chili” sghignazza Brian. 
“Cosa sfotti?” 
“Ahah, Val Douglas, scherzavo…” 
“Chiederò a Sheryl, certamente potremo fare una cerimonia un po’ più informale. Le dirò che vestito ho in mente e ci penserà lei a trovarmelo. Che altro manca?”
“La lista dei regali”. 
“Una donazione di diecimila sterline per il centro può andare bene?” spara Valerie. 
Sul viso di Brian sboccia quel suo sorriso irresistibile, un po’ fanciullesco e un po’ spaccone. “Okay”. Poi riflette. “Ma perché solo diecimila? Fai centomila”. 
“Centomila?!?”
“Mi pare il minimo”. Già, pensa Val, lui e i suoi amici sono abituati a ragionare in termini di cifre che noi comuni mortali spalmiamo sull’arco di anni, anzi di decenni. Cosa vuoi che sia una donazione di un migliaio di sterline per un suo collega?
All’improvviso Brian si batte la fronte col palmo della mano.
“Mi sono scordato l’anello di fidanzamento!” 
Valerie aggrotta le sopracciglia. 
“Sul serio?” 
“Sì, abbiamo bypassato quella cosa là, come si chiama, la proposta di matrimonio…” 
“Ma quale, quella cosa buffa in cui lui si mette in ginocchio e le porge una scatolina con l’anello e le 
chiede con aria solenne: “Cara - tesoro - amore - stellina - principessina - vuoi sposarmi?”” 
“Eh, quella”. 
“Ah, dici che l’abbiamo bypassata?” 
“Mi pare…”
“Sì, veramente dopo la festa per la Champions mentre tornavamo a casa mi hai detto, “Sai Val, sarebbe bello se ci sposassimo”! Non vale come proposta di matrimonio?”
“Ma non mi sono inginocchiato”. 
“Per forza, stavi guidando!” 
“E non ti ho preso neanche l’anello”. 
“Ma non ce n’è bisogno, a chi interessano ormai queste smancerie?” 
“Le smancerie non ci interessano, ma un bell’anello, che ne dici?” 
“Io non porto anelli…” 
Brian sbuffa. 
“È un simbolo, Val… un dono”. Lui sospetta che Valerie non sia troppo abituata a ricevere doni e quando le si prospetta l’idea di un regalo costoso è sempre sulle spine.
“E io che ti regalo, che hai già tutto?” 
“Ma boh!”
 
*** 
 
La settimana dopo, sui giornali di gossip fa mostra di sé il magnifico anello che “Brian Cruyfford, capitano dei Paesi Bassi e recentissimo vincitore della Champions League con il Manchester United, ha scelto per la sua futura moglie presso la gioielleria Meents & Bakker di Amsterdam: in oro bianco, con otto diamanti a taglio baguette per un peso totale di circa 0,27 carati e un diamante taglio brillante del peso totale di circa 0,83 carati. Purtroppo il gioiello ha un prezzo accessibile a pochi tra i comuni mortali: circa seimila euro! Consoliamoci contemplando la foto di questa splendida opera d’arte e facciamo le nostre congratulazioni a Brian Cruyfford e alla futura signora Cruyfford, la dottoressa Valerie Douglas di Manchester”. 
“Col cavolo  Manchester, io sono di Hambleton” chiosa Valerie quando Frances le invia lo screenshot dell’articolo, che continua informando che Brian “è volato appositamente nei Paesi Bassi per comprare l’anello per la sua fidanzata inglese”. 
 
*** 
 
Quando finalmente lui le mette quell’anello sfolgorante al dito, Valerie contempla il contrasto tra il gioiello e le sue mani da lavoratrice, e non può fare a meno di esclamare: “Un gioiello del genere per queste mani!” Mani che non conoscono bagni emollienti né la lima dell’estetista, unghie che non hanno mai portato smalto, tenute corte per lavorare, per non far male agli animali…
“È il diamante a dare valore a te o sei tu che dai valore al diamante? E poi che ti frega, mica devi portarlo per forza, te lo puoi sempre mettere in cassaforte!”
“Io non ho casseforti... Ma poi chi è che è andato a raccontare la storia dell’anello ai giornali?” 
“Il gioielliere, col mio permesso. Sai la pubblicità!” 
Valerie gli salta al collo e gli stampa un bacio sulla guancia. E ride. E lui è felice. E nel bel mezzo della felicità, formula un pensiero a dir poco terribile: lo sai che “diamante” vuol dire “indomabile”? Mentre tiene abbracciata la sua futura moglie, questa specie di buffo folletto che si è affacciata nella sua vita non con un cappello verde a punta, no, ma con mezzi guanti di lana spessa e un libro, nella sala d’aspetto di un rinomato reumatologo, Brian riflette che da quando c’è Valerie lui non pensa più alla morte come prima: prima ne era ossessionato, voleva a tutti i costi batterla sul tempo; ora ci pensa con serenità, come all’altro lato della vita. Forse solo la certezza di essere amati mette al riparo dal terrore della morte, pensa. 
“Però questa cosa dei giornali incomincia a inquietarmi un po’…” fa Valerie, baciandolo ancora. “Lascia perdere, se non cerchiamo attenzioni ci lasceranno in pace”. 
“Se lo dici tu… Brian?” 
“Sì?”
“Dobbiamo aggiungere ancora qualcuno alla lista degli invitati”. 
“E chi?” 
“Pensaci un momento…” 
 
*** 
 
Nota di Ælfgifu. Oh, anche se personalmente sono  assolutamente contraria alle romanticherie, Valerie merita senz’altro un bell’anello con diamanti! L’anello che descriva nel capitolo fa veramente parte dell’offerta della gioielleria Meents & Bakker di Amsterdam e costa veramente quasi 6000 euro, che ovviamente per Mr Cruyfford sono noccioline… 
 

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Capitolo 6
*** Gli invitati speciali ***


Gli invitati speciali
 

Nella lista degli invitati alle nozze Cruyfford-Douglas, solo tre persone compaiono come amici di entrambi gli sposi: il professor Richard Robbins-Stickley, reumatologo di fama mondiale, e Karl-Heinz Schneider e la sua compagna (ovvero “Julia Gutenbrunner e il suo compagno” - puntualizzazione di Brian Cruyfford). 

Val ha portato l’invito al professor Robbins in occasione della sua ultima visita di controllo, e glielo ha porto quasi con aria di scusa. 

“Sa, professore, io e Brian ci siamo conosciuti proprio qui, nella sua sala d’aspetto” gli ha spiegato Valerie “ci è sembrato giusto invitarla”. 

Il professor Robbins-Stickley ha rigirato tra le mani il cartoncino patinato e ha fatto due più due: “Ecco perché Cruyfford mi aveva chiesto lumi sull’artrite reumatoide e sulla possibilità di avere figli per una donna che ne soffre”. Al pensiero si è commosso. Chi avrebbe mai detto che il giovane campione olandese dal carattere precipitoso e dall’aria strafottente potesse essere così premuroso e sintonizzato sulle difficoltà di una persona amata? Anzi, chi penserebbe mai che un tipo simile possa innamorarsi di una ragazza così fragile e stramba? Fa proprio il paio con la dottoressa Douglas, un tipo talmente sensibile che una foglia che si stacca dal ramo e plana lentamente a terra la fa piangere.
 

*** 
 

Gli altri due inviti sono stati spediti per posta aerea a Monaco di Baviera. Nell’invito a Julia Valerie ha aggiunto un biglietto, anzi una letterina: “Cara Prof.ssa Gutenbrunner” ha scritto Valerie “non abbiamo il piacere di conoscerci, non direttamente, ma le vorrei raccontare una storia curiosa. Io e il mio futuro marito ci siamo conosciuti nella sala d’aspetto di uno studio medico. Lui era molto nervoso perché aveva un problema di cui non si riusciva a capire la causa, io stavo aspettando il mio turno e leggevo “Summer portrait of Swedish young man”. Lui a un certo punto mi ha chiesto se il libro era interessante. Sì, ho risposto. Lui mi ha detto che ne aveva già sentito parlare, ma che non sapeva che fosse stato tradotto in inglese. A quel punto l’infermiera mi ha chiamato, ma prima di entrare nello studio del dottore ho lasciato il libro a quel ragazzo, con la promessa che me lo avrebbe restituito non appena avesse finito di leggerlo. E ci ha messo un po’ a finirlo 😂 dice che non è un gran lettore. In compenso, al nostro terzo appuntamento, mi ha confessato che aveva attaccato bottone parlando del libro non perché conoscesse il libro, ma perché conosceva l’autrice. E poi mi ha spiegato che ero bella come lei. Be’, io non sono molto carina, e da quello che vedo nelle foto nemmeno lei è un’attrice di Hollywood; ma penso di aver capito cosa intendesse Brian. Esiste una bellezza trascendente che nei suoi racconti viene fuori come un fiume in piena, e mi commuove il fatto che Brian l’abbia ritrovata anche in me. Lui ha molta considerazione di Mr Schneider, ovviamente come collega e avversario, ma ritiene che lei personalmente gli abbia restituito la facoltà di vedere il mondo dalla giusta prospettiva. Quanto a me, i personaggi dei suoi racconti mi sono stati e mi sono vicini come cari amici e compagni di avventura. La saluto affettuosamente, Valerie Douglas”. 

Julia apre l’invito, poi apre la letterina, davanti allo specchio dell’ingresso.  Dopo che ha terminato di leggere alza la testa, guarda la sua faccia riflessa nello specchio; le fa una linguaccia e, scandendo bene le parole, dice: “Hai visto? Alla fine avevi ragione tu”. E mentre parla così a sé stessa, scoppia a piangere a dirotto. 

 

*** 

 

A dispetto di tutte le umiliazioni che ha sopportato, le prese in giro, le discriminazioni, i bastoni tra le ruote, a dispetto di tutti quelli che volevano cancellarla, come se non esistesse: Julia ha gridato più forte di loro; HA SEMPRE AVUTO RAGIONE.  E non è facile avere ragione, e rimanere convinti di avere ragione, quando tutti ti ripetono che non sei nessuno e non vali niente, che copi i compiti e sei un’impostora, che sei brutta e sgradevole e puzzi, solo perché sei una ragazzina intelligente e timida, tuo padre è un panettiere e tua madre un’immigrata dal Sud Italia. Quanto è difficile procedere controvento, sempre controvento. Si ritrova addosso tanta stanchezza, tanta amarezza, come se anziché trentotto anni ne avesse vissuti il doppio. Levin, Karl, quel pazzo di Cruyfford, la sua ragazza, possono mai sospettare che tutta la sua capacità di comprensione non è altro che il frutto di questo dolore? E che lei ancor oggi scambierebbe quello che è e che sa con la stolida inconsapevolezza di chi nuota seguendo la corrente? E che il prezzo che ha pagato, nessuno al mondo, nessuno, lo dovrebbe mai pagare? La sua rabbia le è servita come combustibile per tenerla in vita, affermare il suo talento, crescere due bambini, difendere chi ama: ma quanto avrebbe preferito non sapere che cosa significa essere arrabbiati dalla mattina alla sera, dover provare rabbia per poter sopravvivere. E non poterne parlare con nessuno, perché nessuno ha fatto la sua esperienza, perlomeno non con la stessa intensità; o non ne hanno mai preso coscienza. 

L’avere vinto, alla fine, le ha restituito qualcosa? Entra in soggiorno e trova Robby seduto al tavolo rotondo, nel punto più luminoso della stanza, con un libro e un quaderno aperti. E dalla cucina arriva la voce gioiosa di Vi-Vi che sta preparando la merenda insieme alla baby sitter.

 

 

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Capitolo 7
*** L’incontro al vertice ***


L’incontro al vertice

 

E il primo giorno delle vacanze il futuro genero si presenta dai Douglas. Sono le sei del pomeriggio quando una magnifica Suzuki Hayabusa risale rombando il sentiero di terra battuta che dalla statale porta alla fattoria e si ferma proprio in mezzo all’aia. Escono tutti, Val e sua madre sbucano dalla porta di casa, suo padre e Bill Valentine dalla rimessa. E tutti possono vedere il giovane centauro che spegne il motore, posa un piede a terra, fa scattare il cavalletto, si gira verso di loro e metodicamente si slaccia i guanti - mano destra, mano sinistra -, li ripone nella capace tasca del giubbotto, poi si sfila il casco, e da sotto la protezione di metallo e plastica emergono una cascata di riccioli d’oro bruno e un sorriso contagioso. Brian scende dalla moto, il casco sottobraccio, si guarda intorno. 

“Een echte boerderij!” dice a mezza voce tra sé e sé, allegro. 

“Mamma, papà, Bill” annuncia Valerie “lui è Brian”. E corre ad abbracciarlo. 

Come se fossero stati chiamati anche loro, accorrono sull’aia Sam, ansimante, con la lingua penzoloni, e i due gattini che gli stanno attaccati alla coda.  

 

*** 

 

A tavola l’atmosfera si riscalda poco a poco. Brian tiene viva la conversazione, con la sua parlantina sciolta ed estroversa; e sorprendentemente chi lo sostiene non sono né Valerie né i suoi genitori, ma Bill, con cui pare andare d’accordissimo, forse perché, oltre ad avere pochi anni più di Brian, Bill è anche appassionato di calcio e motori. Valerie dice una parola ogni tanto e porta in giro un sorrisino enigmatico. I signori Douglas studiano l’ospite con discrezione, ma molto attentamente.  

Che accento strano ha questo ragazzo, pensa Maud. Eppure, mentre lo ascolta raccontare un aneddoto buffo su una trasferta in Italia, non può fare a meno di sorridere sotto i baffi. È simpatico, pensa. È un ragazzo così estroverso e sicuro di sé. Proprio quello di cui ha bisogno la mia bambina. Non le viene in mente che anche Valerie, in fondo, è una ragazza estroversa, subito pronta a fare amicizia e ad attaccare bottone con persone e animali, e la solitudine in cui l’ha sempre vista immersa non era colpa sua, ma dei pregiudizi altrui. 

Roger, che è sempre stato il più timido della famiglia, lo fissa con stupore e si domanda se è vero, come si legge sui giornali, che il ragazzo seduto di fronte a lui guadagna veramente venti milioni di sterline all’anno. Negli ultimi giorni, tutte le volte che è andato in paese, qualcuno lo ha fermato per chiedergli se “è vera la storia di Valerie e Cruyfford dello United”. Lui, che è sempre stato un uomo gentile ed educato, risponde invariabilmente: “Non vedo perché no”. Ora cominceranno a chiedergli com’è il suo futuro genero? Che cosa risponderà? Mi è simpatico; è un ragazzo sicuro di sé. Gli piace il modo in cui ha abbracciato Valerie, il modo in cui si è presentato, il suo sorriso, il modo di tenere la testa alta e gli occhi puntati sull’interlocutore; la sua stretta di mano forte e decisa. Come ha salutato i due gattini di Val, che aveva conosciuto a Manchester e che gli si sono avvicinati fiutandolo come un vecchio amico. Le carezze che ha riservato al vecchio Sam. (A casa Douglas vige un dogma: un uomo si riconosce da come tratta gli animali.)

Il giovane olandese ha portato una decina di bottiglie di champagne, sistemate in un piccolo frigo portatile riposto nel bauletto della moto. 

“Ami il rischio” gli ha detto Bill sghignazzando. Poi, quando hanno tolto le bottiglie dal frigo portatile e lui si è trovato tra le mani un Veuve Clicquot d’annata, si è detto: “Che personaggio!”

Brian, impegnato com’è a tenere banco, studia anche lui sia i futuri suoceri che Bill. Quello che lo rallegra è che principalmente lo stanno scansionando per capire se sia un bravo ragazzo, un ragazzo adatto a Valerie; non gli hanno fatto neanche una domanda sul suo lavoro. Neanche Bill, con cui hanno rievocato la finale di Champions League dai rispettivi punti di vista. Non sono interessati ai suoi soldi e alla sua vita da celebrità. E poi c’è Valerie, che stasera non parla molto, ma osserva più del solito. 

 

*** 

 

Dopo cena, con la scusa della sigaretta, gli uomini di casa escono e si portano dietro Brian. Si siedono sulla panca sotto il grande ontano, la cui chioma oscilla nel venticello serale di inizio estate. “Ora ti farà un discorso sulla sua adorata bambina, sul fatto che se non la renderai felice sei un uomo morto…” scherza Bill. Invece Mr Douglas per un po’ tace e fuma in silenzio. È solo dopo qualche minuto che, schiarendosi la voce, si rivolge a Brian: “Vuoi davvero bene a Val?” 

A quella domanda Brian si sente intimidito: “Sì, signore”. 

“Ti ha detto che ha un serio problema di salute?” Bill risucchia l’aria rumorosamente tra i denti.

“Sì, sono informato”.

Mr Douglas tace per qualche secondo, poi mormora: “Beh…” 

“Val potrà vivere normalmente, con le dovute attenzioni” replica Brian “potremo anche avere dei figli”. 

Roger Douglas finisce la sua sigaretta e si alza. 

“Io rientro, l’aria notturna non mi fa bene” dice “voi rimanete pure…” 

E si allontana a passi lunghi e incerti. 

“Il vecchio è fatto così, non è di molte parole” commenta Bill “ha sempre avuto una gran paura per Valerie”. 

“Paura? Perché? Mi sembra che Val se la cavi benissimo da sola…” 

“A volte te la cavi perché te la devi cavare, non per altro”. 

“Avevano paura che incontrasse l’uomo sbagliato?” 

“Quale genitore non ha questa paura?” Bill si guarda le scarpe. “Val è così… trasparente. E loro, loro… hanno sempre avuto il cruccio di non riuscire a difenderla”. 

“E tu?” 

“Anch’io. E anch’io mi sono sempre sentito come lo zoticone di campagna che non sa proteggere una persona cara”. 

Bill guarda il giovane olandese con intenzione. “Ti andrebbe di fare una capatina al pub del paese? Sempre che tu possa. Giusto per un bicchierino”. “Perché no?” 

“Non dovremmo trovare molta gente, non ti daranno fastidio”. 

Bill si alza e chiama a gran voce verso la casa: 

“Val! Ehi, Val!” 

Valerie esce quasi subito. “Metti la giacca, portiamo Brian all’Old Duck”. “Veramente?” 

“Sì, facciamo giusto un giretto”. 

“Arrivo” Valerie sparisce dentro casa e ritorna dopo qualche minuto.

“Prendiamo il mio macinino!” esclama Bill, indicando il suo pick up parcheggiato vicino alla rimessa. “Non ti dispiace se usiamo un mezzo tanto plebeo?” 

“Anch’io sono plebeo” risponde Brian posando un braccio sulla spalla di Valerie. 

“Ho detto a mamma e papà chr non faremo tardi, giusto una mezz’oretta per far vedere l’Old Duck a Brian”. 

“Figurati, mezz’ora basta e avanza!” 

Dalla finestra illuminata Mr Douglas vede i tre salire sul furgoncino ridendo, e ridacchia anche lui sotto i baffi. 

“Perché ridi?” gli chiede la moglie. 

“Quel gran figlio di buona donna” risponde Roger. 

“A chi ti riferisci?” 

“A quel figlio di buona donna di Bill”. 

“Che ha fatto Bill?” “Charlie Windham tiene un discorso elettorale all’Old Duck, esattamente alle nove”. 

Maud guarda il grande orologio a muro appeso alla parete del soggiorno. Sono le nove meno cinque. “Bill è un essere spregevole” sospira, ma il tono della sua voce smentisce le sue parole.

“Chissà le risate che si farà”. 

“Se Valerie non gliele suona prima”.

 

 

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Capitolo 8
*** Mihi vindicta; ego retribuam ***


Mihi vindicta; ego retribuam

[Continua dal capitolo precedente]

 

Un’ora più tardi - sono passate le dieci da qualche minuto - Maud e Roger sentono il motore  del furgone di Bill che arranca rombando su per il vialetto, fino a fermarsi davanti casa. Sentono le portiere che sbattono, voci allegre che si ringraziano e si augurano la buonanotte. Poi il pick-up riparte. Maud tende l’orecchio, mentre Roger solleva gli occhi dal giornale, curioso. 

E li sentono ridere, allegri. Riconoscono la risata gutturale di Brian, quella argentina della loro “bambina”, mescolate insieme: ridono come due grandi amici a cui sia capitato un fatto buffissimo. 

I signori Douglas si guardano, e in quel momento i due promessi sposi entrano in cucina, Brian cinge la spalla di Valerie con un braccio, Val tiene il suo braccio esile attorno alla possente vita dell’olandese. E ridono ancora a gola spiegata. 

“Vi siete divertiti al pub” dice Maud: la sua non è una domanda, è una constatazione. 

“Ma avete bevuto?” chiede Roger. 

“No, macché, abbiamo preso solo un’aranciata” spiega Valerie. 

“E come mai allora siete così allegri?” 

“Brian ha contribuito alla campagna elettorale di Charlie Windham”. 

 

*** 

 

Quella notte Roger Douglas dorme tranquillamente e profondamente per la prima volta dopo tanto tempo. Brian gli è stato subito simpatico, ma quando lo ha sentito ridere insieme a Val si è convinto definitivamente. Se due ridono insieme, e ridono per le stesse cose, è segno che hanno una connessione profonda. Che si vogliono bene. Quindi, fatte salve tutte le sorprese che possono succedere nella vita, Roger ora sa che sta affidando la sua amata bambina a un uomo che le vuol bene, e può dormire sonni tranquilli. 

 

*** 

 

L’indomani la notizia è sul quotidiano locale, online e in terza pagina nell’edizione cartacea: “Discorso con sorpresa”. Fotografia al centro: Charles Windham, con un’espressione vagamente smarrita sulla faccia, e un Brian Cruyfford che spara verso il fotografo il suo sorriso splendente. “Sorpresa per Charles Windham, candidato alle prossime elezioni del Wyre Council per Hambleton. In occasione di un discorso elettorale programmato ieri sera presso l’Old Duck di Hambleton. Mentre Mr Windham parlava al suo uditorio, ha fatto la sua comparsa al pub, insieme ad alcuni amici, il centravanti del Manchester United Brian Cruyfford, fresco vincitore della Champions League. L’apparizione del calciatore olandese ha rischiato di far saltare il discorso, ma una volta appurata la situazione Mr Cruyfford ha pregato i presenti di non interrompere l’evento, ha atteso la fine del discorso per firmare autografi e fare foto, e infine ha fatto un sentito in bocca al lupo a Mr Windham per le prossime consultazioni elettorali”. 

Roger legge l’articolo ad alta voce a sua moglie e commenta: “Alla fine Bill gli ha fatto un favore, a quel cretino…” 

Maud gira il viso per non farsi vedere e sorride di un sorriso un po’ triste, un sorriso che vuole starsene per conto suo. Ma il quieto riflettere dei signori Douglas sul passato e sul presente  non dura a lungo, perché dopo cinque minuti arrivano in cucina i promessi sposi, pc e due o tre cartelle piene di scartoffie sottobraccio, per discutere con loro della cerimonia di nozze. Meno male, pensa Maud, che hanno assunto una wedding planner.

 

 

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Capitolo 9
*** Caro Hans ***


Caro Hans

 

I Veldeke hanno adottato la cucciola di golden retriever con cui avevano fatto amicizia il giorno dell’escursione al centro di recupero degli animali randagi e maltrattati, ma Jacob ha insistito per tornare a trovare Thor qualche volta. La signora Veldeke e Faith, a cui la storia del pitbull ha ispirato principalmente orrore, hanno scaricato l’impegno sull’uomo di casa, cioè il papà, il quale ha da fare fin sopra i capelli ma per amore del suo bambino cercherà di trovare un’oretta ogni tanto per andare a trovare il pitbull da Valerie. Anche perché, gli ha detto Val, dall’empatia che Jacob ha maturato nei confronti del cane possono scaturire effetti assai positivi, come lo sviluppo di interessi duraturi, un maggiore equilibrio emotivo e anche più voglia di studiare. E infatti la piccola peste ha incominciato a interessarsi di etologia canina, addirittura ha chiesto alla mamma di comprargli dei libri e dei videodocumentari sull’argomento; Ria ha avuto una lunga conversazione telefonica con Val, in cui la veterinaria le ha consigliato tutto il materiale adatto a un ragazzino dell’età di Jacob.

“Valerie Douglas è una benedizione del cielo” ha confidato al marito una sera, dopo cena.

Lui l’ha guardata sorpreso per un momento, poi si è ricordato: Ria non sa - non l’ha mai saputo - che la ragazza incontrata sul traghetto dieci anni prima, quella che aveva messo a dura prova la volontà di Hans, era Valerie. 

“Già” ha risposto, con aria fintamente distratta.  

 

*** 

 

E così Jacob e il papà vanno a trovare Thor, e mentre Jacob corre avanti, accompagnato da Rupert, il papà e Valerie vengono avanti a passo rilassato, chiacchierando. Parlano di Jacob, di Johan, della piccola Parel che si sta abituando alla vita in famiglia ma ha l’abitudine di addentare qualunque cosa (dalla gamba del tavolo alle caviglie di Faith e della mamma), come qualunque cagnolino che si rispetti, di Brian che finalmente è sereno, del matrimonio imminente. “Meno male che c’è la wedding planner” ride Valerie “io da sola avrei fatto un disastro”. 

Hans tace per qualche momento, poi dice, lo sguardo fisso davanti a lui, e a voce bassa in modo che solo Valerie lo possa sentire: “Lo sai che quella sera sul traghetto mi sono preso una sbandata istantanea per te?” 

Valerie si ferma; anche lui si ferma, si guardano.
“Davvero?” 

“Sì. Ho dovuto trattenermi per non dare seguito a quello che provavo”. 

“Wow!” fa Valerie. 

“È vero che in quel momento ero in crisi con mia moglie, ma…” spiega lui  “non è solo per questo”. A questo punto le dovrebbe dire che è una ragazza meravigliosa, lo era anche dieci anni fa, ma non trova le parole. Allora glielo dice in altro modo. “Guardati. Guarda cosa sei riuscita a tirare fuori da Jacob. Come hai ridato la gioia di vivere a Brian…”

“Wow!” esclama di nuovo Valerie. 

“Sai dire solo “wow”?”

Valerie ride.

“Wow,  be’… devo ammettere che questa è una grossa iniezione di autostima, anche se con dieci anni di ritardo!” 

Hans fa una smorfia che vuol essere un sorriso. Si guardano ancora, poi riprendono a camminare.

“È stato uno shock” ammette il mister “lì ho avuto davvero paura”. 

“Paura per che cosa?”

“Paura che avrei potuto buttare all’aria il mio matrimonio, perdere i miei figli…” 

“Addirittura!” 

“Eh sì”. 

“Ma hai tenuto duro”. 

“Quel giorno ho messo Ria davanti a una scelta. Gliel’ho detto, che avevo incontrato una ragazza, e che se non mi fosse stata accanto tanto valeva… si è spaventata moltissimo anche lei e ha deciso di trasferirsi nel Regno Unito con i bambini”. 

Valerie strizza gli occhi come se ci fosse troppo sole. 

“Be’, mister, se quella sera, o la mattina dopo, tu ci avessi provato, probabilmente ci sarei stata. Il fascinoso difensore del Newcastle: eri talmente bello! Meno male che non è successo niente. Ma…” 

Ormai sono vicini allo stallo di Thor; Valerie rallenta il passo per guadagnare un po’ di tempo.

“Anche a me ha fatto bene incontrarti, sai?”

Si stringe nelle spalle.

“A diciotto anni ero innamorata di un mio compagno di scuola. Non glielo avevo detto, non gli avevo mai fatto neanche un’avance, ma forse era evidente, forse glielo avevano riferito, non ricordo nemmeno se mi ero confidata con qualcuno, non so, io sono una specie di libro aperto per queste cose. Questo tipo incominciò a fare proclami, a scuola e fuori, e perfino sui social, lamentandosi teatralmente di essere vittima delle attenzioni indesiderate da parte di un caso umano, di una povera mentecatta, che ero io. Insomma, mi ha ridicolizzato davanti a tutta Hambleton, non so perché. La gente mi incontrava e rideva. Per fortuna era l’ultimo anno, ho finito la scuola e sono andata subito a studiare a Edimburgo, ma mi sentivo così umiliata che per due anni ho pensato solo a studiare, non mi interessava fare amicizia con nessuno; erano tutti un pericolo potenziale. Mi comportavo come Thor, che all’inizio, se ti avvicinavi per fargli una carezza, scopriva i denti e ringhiava. I miei genitori addirittura mi esortavano a non tornare a casa durante le vacanze, per non dover incontrare la gente del paese e rivivere quel brutto periodo. Poi quella sera sul traghetto, quando mi hai offerto il tuo aiuto così, spontaneamente, mi hai sorretta, mi hai tranquillizzata e mi hai preso la camomilla, e sei stato tanto premuroso anche il mattino dopo… ecco, ho capito che non tutti erano Charlie Windham, che esistevano uomini gentili e ammodo, e poteva anche valere la pena rischiare di affezionarsi alle persone”. 

Si fermano a guardare Jacob che gioca con Thor, sotto l’occhio vigile di Rupert. 

“È un ragazzino in gamba” dice Valerie. “Puoi essere fiero di lui”. 

Ricorderà sempre come Hans le aveva  accarezzato la schiena, a lungo e dolcemente, per calmarla dal panico e dalla nausea, e le aveva tenuto la mano per farle sentire la sua vicinanza. Allora non faccio schifo, come andava proclamando Charlie, aveva pensato.

Jacob è proprio figlio di suo padre. 

 

 

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