CORVODORO

di LadiEStrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** GRACE CORVODORO GREENHILL ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II: UNA BUONA, IGNOTA RAGIONE ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III: ORIENTAMENTO ***



Capitolo 1
*** GRACE CORVODORO GREENHILL ***


CAPITOLO I: CORVO D'ORO
 
«Grace Greenhill!»
La voce chiara della professoressa Windbreath raggiunse ogni angolo dell’affollata sala nella quale regnava il silenzio assoluto.
Gli echi di un gioioso applauso riecheggiavano ancora nell’aria, dopo che uno studente era stato assegnato alla casa di Serpeverde. Grace aveva le mani sudate e sentiva le gambe tremarle. Se avesse perso altri secondi preziosi avrebbe attirato ancor di più l’attenzione quindi si alzò, lisciandosi la gonna e si diresse al palco, pregando con tutte le proprie forze di non inciampare. Poteva percepire lo sguardo di tutti i presenti su di sé e sentiva gli occhi farsi lucidi per le lacrime di imbarazzo che sempre la accompagnavano ogni qual volta si trovava ad attirare l’attenzione indesiderata degli sconosciuti. Aveva la netta percezione del proprio incedere rigido e nella sua mente la distanza tra lei e il palco andava progressivamente aumentando, nonostante stesse camminando (si sperava a velocità normale) verso di esso.
Istintivamente sapeva che era solo un proforma. La madre aveva speso un po’ di tempo con lei prima della partenza per Hogwarts, cercando di rassicurarla e aiutarla a vincere la sua innata timidezza.
I tre fratelli maggiori di Grace erano quanto di più socievole ed estroverso esistesse tra la gioventù magica. Tre fenomeni del Quidditch, tre ottimi studenti, uno dei quali prefetto, da ormai cinque anni calcavano i corridoi della prestigiosa scuola infrangendo cuori con il loro sorriso sornione, i capelli biondi e gli incredibili occhi screziati d’oro che appartenevano alla loro famiglia da generazioni. Grace, di contro, era l’antitesi. Lunghi capelli nero corvino, una corporatura esile, una timidezza ai limiti dell’invalidante. Unico segno della sua appartenenza ai Greenhill i suoi magnetici occhi dorati.
Si chiese cosa pensassero gli altri studenti di lei, vedendola così diversa da chi l’aveva preceduta.
Miracolosamente, raggiunse la sedia senza rovinare a terra come aveva temuto. Prese posto e attese, immobile, puntando lo sguardo verso le grandi porte chiuse in fondo alla sala, per evitare di incrociare gli occhi di chiunque.
La professoressa Windbreath depose delicatamente il Cappello Parlante sulla sua testa. Era incredibilmente pesante, rispetto a come l’aveva immaginato. Non sapeva cosa aspettarsi. Cercò di svuotare la mente. La sua famiglia, da innumerevoli generazioni, era stata assegnata a Grifondoro. Le voci erano arrivate a ipotizzare che fossero in qualche modo diretti discendenti del fondatore della Casa stessa. “E’ solo un proforma” pensò nuovamente.

«Tu dici?» una voce interloquì nella sua mente.

Grace sussultò spalancando gli occhi. Era stato il Cappello a parlare?
Poteva sentire che tutti stavano trattenendo il respiro. Perché ci metteva tanto? Aveva impiegato così tanto tempo anche per gli altri studenti? Le sembrava stesse passando un’eternità.
Infine, il Cappello Parlante parlò:

«Corvonero!» esclamò con la sua inconfondibile voce.
 
La sala rimase in un silenzio attonito. Grace adesso non poteva esimersi dal guardare l’espressione degli studenti davanti a lei. Molti sembravano confusi, qualcuno era accigliato. Cercò disperatamente i fratelli, sapendo che si trovavano da qualche parte, sotto lo stendardo rosso dorato di Grifondoro. La stavano guardando?
«Sei stata assegnata, tesoro. Raggiungi la tua Casa» la voce gentile della Professoressa Winbreath la raggiunse, mentre le sfilava il cappello dalla testa.
Come in tranche, Grace si alzò, cercando con lo sguardo lo stendardo con i colori del blu e del bronzo.
Mentre scendeva dal palco, la professoressa Windbreath si schiarì la voce
«Grace Greenhill è stata assegnata alla Casa di Corvonero» ribadì con aria significativa.
Grace sentì qualcuno applaudire. Il Prefetto di Corvonero era in piedi, e le sorrideva. Quasi immediatamente, tutti gli studenti della Casa si alzarono e iniziarono ad applaudire anche loro. Qualcuno azzardò una serie di fischi. Grace sentì alcune voci congratularsi con lei, mentre passava accanto ai lunghi tavoli che ospitavano le matricole in attesa di assegnazione. Quando fu di fronte al Prefetto, lui le tese la mano.
«Benvenuta, Grace Greenhill. Io sono Roland Halcyion, il Prefetto di Corvonero, anche se so che l’hai capito» sorrise nuovamente e una fossetta comparve sulla guancia destra.
Grace annuì in silenzio. Gli occhi caldi di lui l’avevano catturata e in qualche modo le avevano trasmesso la tranquillità necessaria a calmare il furioso battito del suo cuore. Rispose coraggiosamente al sorriso e lui si fece da parte indicandole quello che poco prima era stato il suo posto, tra due studenti più grandi, forse suoi coetanei: una ragazza mora con spettacolari occhi azzurri e un giovane allampanato dai capelli rossi con gli occhiali. Lei sorrise, facendole posto, lui si limitò a sistemarsi meglio gli occhiali sul naso.

«Piacere di conoscerti, Grace, io sono Serena Blackshell. Sesto anno» bisbigliò lei.

«Piacere mio…Serena» la voce di Grace un sussurro quasi inudibile

«Spero che saremo buone amiche. Dopo ti mostrerò il dormitorio»

«Ssh!» sibilò il ragazzo con gli occhiali, accigliandosi.

«E’ Timothy Wiseace, anche se io preferisco chiamarlo Timothy Wiseacre» Serena le parlò quasi nell’orecchio ma Grace colse lo sguardo accigliato e scontento del ragazzo e non rispose.
 
Nonostante l’amichevole accoglienza, Grace sentiva un peso enorme nel cuore. Non riusciva a concentrarsi sul resto della cerimonia di smistamento e pensava solo a quanto sarebbero stati delusi i suoi famigliari per la piega presa dagli eventi. Che avrebbe detto sua madre? Era stata colpa della sua timidezza? Forse non era abbastanza coraggiosa per essere degna di Grifondoro? Sentì nuovamente le lacrime riempirle gli occhi e continuò a fissare il pavimento senza neanche vederlo.
 
Quando infine la cerimonia finì, dopo che la professoressa Windbreath e il preside Darknight ebbero terminato i loro discorsi di benvenuto, la compagnia si sciolse e i Prefetti guidarono le matricole verso il dormitorio. Grace memorizzò il percorso, usando il suo innato senso dell’orientamento. Di quello, almeno, poteva essere certa: non si sarebbe mai persa, per quanto le scale cambiassero sotto i loro piedi, Grace avrebbe trovato la direzione a occhi chiusi, uno dei grandi talenti che la dodicenne nascondeva, messa in ombra dall’esuberanza dei fratelli.
La Dama Grigia la accolse con espressione imperscrutabile, e Grace ricambiò lo sguardo con un accenno di timore.

«Non preoccuparti. E’ nel suo stile mettere in soggezione le matricole. Vedrai che tra qualche mese la smetterà»
Serena aveva colto lo scambio e la rassicurò mentre l’accompagnava al dormitorio delle ragazze. Le matricole condividevano una stanza e gli elfi domestici avevano già provveduto a lasciare la sua valigia sul letto. Le sue cose sarebbero andate nella cassapanca ai piedi dello stesso, mentre libri e altri oggetti per la scuola, su una mensola sopra la testiera.
Grace notò che il suo letto era in fondo alla stanza, il più distante dalle finestre e dalla porta. Le altre matricole erano arrivate prima e avevano probabilmente scelto le sistemazioni migliori. Grace era grata di trovarsi lontana da tutte. Le ragazze stavano chiacchierando animatamente, mentre disfacevano i bagagli. L’eccitazione per quella bellissima avventura era palpabile. Grace immaginava che sarebbe stato così anche per lei, se si fosse trovata dove si supponeva dovesse essere, e cioè nel dormitorio di Grifondoro. Una delle giovani matricole la guardò e le sorrise:

«Qualcuno ti aspetta» indicò il letto di Grace.
La ragazza vide il gatto nero stiracchiarsi annoiato mentre si voltava a guardarla agitando la coda. Il famiglio di suo fratello Lucas si trovava sul suo letto!
Non appena fu certo di aver catturato la sua attenzione, il felino scese dal letto, le si avvicinò strusciandosi sulla gamba e proseguì fino alla porta del dormitorio, fermandosi a guardarla sulla soglia.
Grace lo seguì e fu condotta nel corridoio fuori dalla Casa, dove Lucas la aspettava appoggiato al muro, a braccia conserte. L’ingresso nella Casa di Corvonero gli era precluso dalla Dama Grigia, a meno che non fosse stato in grado di risolvere l’indovinello. Non ci aveva neanche provato. I famigli potevano andare ovunque, purché non fossero animati da cattive intenzioni, quindi non c’era motivo di sforzare la mente.

«Come stai?» le chiese appena la vide

«Oh, sono…A posto. Sono tutti molto gentili con me»
Lucas la scrutò per un lungo momento.

«Grace io…Mi dispiace. Davvero. Ma Roland è un buon amico di Peter e sono sicuro che ti proteggerà come farebbe lui…Noi»

«Dove sono Peter e Remi?» Grace si guardò intorno in cerca degli altri due fratelli.

«Oh, ehm…Peter sta inseguendo Remi che sta correndo a protestare dal Preside. Ma, ehm, sono sicuro che riuscirà ad acchiapparlo in tempo» si grattò dubbioso la guancia.
Grace spalancò gli occhi.

«Cosa? Sta andando a protestare?» quasi urlò.

«Ssh!» Lucas si mise l’indice davanti alla bocca, guardandosi attorno ansiosamente. «Non preoccuparti. Remi è una testa calda ma non è folle abbastanza da fare qualcosa di COSì stupido come far arrabbiare Darknight…Credo».
Grace sospirò rumorosamente.

«Mi dispiace…Così tanto». Ancora una volta le lacrime affiorarono prepotentemente. Lucas la fissò inorridito.

«Oh, no, non piangere, piccola! Davvero, non è colpa tua. Il Cappello Parlante deve aver deciso di fare…Uno scherzo. Ecco, sì, uno scherzo alla nostra famiglia. Ahahah, divertente, vero?» la risata nervosa era accompagnata da una smorfia che nelle intenzioni doveva essere un sorriso. Grace si sentì morire. Uno scherzo alla loro famiglia? Non era colpa sua? Anche se si sentiva in colpa per come erano andate le cose, Grace non pensava si trattasse di un errore, o uno scherzo. Pensandoci bene, aveva ragionato che probabilmente il Cappello Parlante non l’aveva ritenuta abbastanza coraggiosa per stare in Grifondoro. La verità era che avrebbe dovuto impegnarsi di più. Abbassò la testa. Lucas le mise le mani sulle spalle.

«Grace, adesso devo andare. Ero venuto solo a vedere come te la cavavi. Non preoccuparti per mamma e papà. Peter ha detto che gli scriverà subito (dopo aver chiuso Remi da qualche parte per il suo bene). Noi ci vediamo domattina a colazione, ok? Dormi bene e non pensarci. Andrà bene, Grace. Ehi, sei una Corvonero! Chi l’avrebbe detto che eri così intelligente!» il sorriso stavolta raggiunse gli occhi. Con un ultimo bacio sulla fronte della sorella si voltò e se ne andò a passo spedito, seguito a ruota dal famiglio.
 
Grace rientrò nel dormitorio. La Dama Grigia aveva ascoltato in silenzio lo scambio tra i due e si era fatta da parte senza sottoporla a nessun indovinello. Evidentemente, aveva ritenuto che la ragazza fosse già abbastanza stressata, senza dover aggiungere altre sfide alla sua testa piena di pensieri.
Nella sala comune della Casa, un fuocherello scoppiettava nel caminetto.

«Oh, eccola!» una voce femminile e squillante riempì l’aria. Grace si voltò verso il punto da cui proveniva, intercettando gli occhi smeraldo di una giovane dai lunghi boccoli biondi e setosi. Accanto a lei, un ragazzo dall’aria annoiata, la fissava senza particolare interesse.
«La nostra piccola infiltrata!». La ragazza si alzò e andò verso di lei, fermandosi a un palmo dal naso. Istintivamente, Grace fece un passo indietro. «Come dovremmo chiamarti? Griforvo? Cordoro?» ridacchiò a quella che evidentemente riteneva una battuta divertente e che a Grace parve piuttosto stupida. “Pensavo che i Corvonero fossero i più intelligenti”. Si morse la lingua per non pronunciare quelle parole così scortesi. La ragazza la guardava soddisfatta. «Allora, Grace Griforvo, il gatto ti ha mangiato la lingua?» incalzò. Grace si rese conto che le diverse altre persone presenti nella sala erano tutte in attesa di una sua risposta. La ragazza davanti a lei sembrava perfettamente a suo agio al centro dell’attenzione, mentre Grace avrebbe voluto coprirsi sotto il Mantello dell’Invisibilità e rimanerci per sempre.

«Corvodoro» una voce maschile spezzò il silenzio. Il ragazzo che l’aveva guardata con aria annoiata si alzò, avvicinandosi e si parò davanti a lei, costringendo la sua aguzzina a scostarsi di lato. Era più alto di Grace di almeno otto centimetri e studiava il suo viso con sguardo attento. La ragazzina trattenne il fiato, sotto l’esame di quegli occhi di un azzurro intensissimo. Non ne aveva mai visti di così belli. Erano in perfetto contrasto con l’incarnato pallido e i capelli neri. Infine, lui annuì, come se l’analisi avesse dato buon esito. «Hai i capelli neri come un corvo. E gli occhi dorati. Sei di Corvonero ma tutta la tua famiglia è Grifondoro. Quindi Corvodoro è perfetto» sentenziò. La sua voce era profonda. Doveva avere almeno sedici anni ed era già un giovane uomo. Grace non riuscì a non arrossire. La ragazza che l’aveva provocata sbuffò sonoramente. «Avrei detto Corvomuto, a questo punto» borbottò, tornando a sedersi sul divanetto che aveva occupato con il giovane che ancora fissava Grace. Lui si morse il labbro, come se avesse voluto dirle ancora qualcosa, quindi si strinse nelle spalle e si voltò, le mani in tasca, per tornare anche lui a sedersi sul divanetto. Il mormorio di voci riempì nuovamente la saletta comune. Grace ne approfittò per guadagnare la porta del dormitorio. Sentiva su di sé gli occhi astiosi della ragazza e, per qualche motivo, anche quelli di lui. Il suo cuore perse un battito.
 
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II: UNA BUONA, IGNOTA RAGIONE ***


Grace pensava che non sarebbe mai più riuscita a dormire, invece impiegò un solo istante per piombare in un sonno costellato di sogni incomprensibili, alcuni dei quali angoscianti. Correva lungo un corridoio buio con porte chiuse su entrambi i lati. Scappava da qualcosa che sapeva inseguirla anche se non sapeva esattamente cosa fosse e non aveva il coraggio di voltarsi a guardare. Sapeva solo che se lui l’avesse vista, per lei sarebbe stata la fine. Provava le maniglie delle porte, cercando disperatamente una che si aprisse e le offrisse protezione all’interno di una stanza. Ma il corridoio procedeva dritto all’infinito e non c’erano angoli dietro i quali nascondersi. Se la Cosa che la inseguiva avesse impegnato quel corridoio lei non avrebbe potuto nascondersi da nessuna parte. Sentì una voce maschile farsi strada nella sua testa. “Corvodoro!”.
Si svegliò, madida di sudore. Si guardò intorno, aspettandosi quasi di vedere il proprietario di quella voce nella stanza. Era stata assolutamente certa che fosse stata quella voce a svegliarla, che appartenesse al mondo reale. Ma nella stanza regnava il silenzio, interrotto solo dal respiro tranquillo e sommesso delle compagne addormentate. Dalla finestra entrava una leggera luce, segno dell’approssimarsi dell’alba. In silenzio, Grace si alzò, infilandosi il mantello della divisa sopra la camicia da notte. Camminò a piedi nudi sul pavimento freddo e lasciò il dormitorio, scendendo nella saletta comune. Il caminetto era sempre lì, allegro e scoppiettante. La magia faceva sì che il suo fuoco fosse inestinguibile ma al tempo stesso regolava la temperatura della stanza, che in quel momento era tiepida. Fissò il divanetto dal quale la coppia di studenti l’aveva fissata la sera prima e prese posto il più lontano possibile, raccogliendosi le ginocchia al petto con le braccia. Il sogno era ancora vivido nella sua testa e così la sensazione angosciante. Si chiese a che ora sarebbe stato opportuno uscire dal dormitorio. Era presente un coprifuoco? Ricordava vagamente di aver sentito Roland dire qualcosa in merito. Ma fino a che ora? Poteva chiedere alla Dama Grigia? Lei l’avrebbe saputo? Voleva disperatamente parlare con qualcuno. Raggiunse la porta della Casa e la chiamò con un bisbiglio.
«Dama Grigia?»
La porta di aprì sul corridoio buio. Grace rimase ferma un attimo, quindi uscì, sentendo l’aria fredda del corridoio accarezzarle le gambe e i piedi nudi. La porta si richiuse dietro di lei.
“Oh, perfetto. Non volevo che mi chiudesse fuori. Volevo solo parlare un po’”. Grace sospirò di frustrazione. Scalza, in camicia da notte, stretta nel mantello nero, rabbrividì guardando in entrambe le direzioni. I quadri alle pareti erano quasi tutti vuoti, i loro ospiti probabilmente addormentati dove lei non poteva vederli.
«Che succede, ragazza? Non riesci a dormire?».
La voce la fece sobbalzare. Si voltò di scatto. Il fantasma della Dama Grigia aleggiava sul soffitto sopra la porta chiusa della Casa di Corvonero.

«Oh, io…Sì, signora» abbassò la testa.

«Sembri molto poco sicura di te per appartenere a questa Casa» sentenziò il fantasma. A quelle parole, Grace sussultò come se fosse stata colpita. «Dovrai fare del tuo meglio per dimostrare di essertelo meritato» concluse la Dama.

«Io…Non so perché il Cappello mi abbia mandato qui, ma se l’ha fatto deve esserci una ragione» lo disse tutto d’un fiato, dando voce a quello che una parte di lei aveva pensato fin dal giorno prima. La Dama Grigia assentì con un cenno del capo.

«Solo perché tutta la mia famiglia è appartenuta alla Casa di Grifondoro non vuol dire che io non possa stare da un’altra parte» concluse, stringendo i pugni lungo i fianchi.

«Tutta la tua famiglia?» la Dama scivolò di fronte a lei e la guardò intensamente. «E’ questo che ti hanno detto?». Grace la fissò a sua volta.

«Il guardiano sta per raggiungere questo corridoio e se ti trova qui fuori sarai nei guai. Farai meglio a rientrare ma prima dimmi, Grace Greenhill, che monete useresti per pagare la Morte?»

Grace guardò un istante la Dama quindi rispose, alzando le spalle «Falci».
La Dama si scostò e la lasciò entrare.
 
Nonostante avessero scambiato solo una manciata di parole, la conversazione con la Dama Grigia ebbe il potere di calmarla e, quando tornò sotto le coperte, riuscì a dormire un breve sonno ristoratore, prima che il suono della sveglia risuonasse per tutto il dormitorio. Le compagne di stanza si tirarono a sedere, assonnate. Grace si stupì di sentirsi calma e riposata. Per la prima volta, da oltre ventiquattro ore, sentiva che le cose potevano ANCORA andare bene. Non era detto che sarebbe stato tutto per forza un disastro.
 
Serena andò a chiamare le matricole e le condusse nella sala comune, dove indicò loro il lungo tavolo dei Corvonero. Le pietanze erano già servite, e un profumo di dolci appena sfornati riempiva l’aria nella sala, alternandosi allo stuzzicante aroma del bacon croccante. Grace vide che Roland aveva accompagnato i ragazzi del primo anno. In totale, tra ragazzi e ragazze, non erano più di diciassette persone, il che era incredibile, considerato che i nuovi studenti erano complessivamente quasi un centinaio. Serena sembrò intuire ancora una volta i pensieri di Grace.

«Corvonero è la Casa più difficilmente accessibile» spiegò. «Non sono molti a padroneggiare ai massimi livelli TUTTE le materie della scuola di Magia». Sorrise di incoraggiamento.
Grace respirò rumorosamente. Tutte? Tutte le materie? Guardò nuovamente il tavolo. Accanto al loro, i ragazzi più anziani chiacchieravano a voce bassa. Vide seduta di spalle una ragazza con una ormai nota massa di boccoli biondi, accanto a un ragazzo piuttosto alto, i cui capelli neri sembravano scompigliati ad arte. Si costrinse a voltarsi e prese posto tra due compagne di stanza.
Dopo le dovute presentazioni con le altre matricole, Grace si rese conto che quasi nessuno dei suoi coetanei sembrava al corrente delle sue vicissitudini. Il fatto che apparentemente fosse stata assegnata alla Casa SBAGLIATA non era all’ordine del giorno nei loro discorsi, come si sarebbe aspettata. Inaspettatamente, un ragazzino che sembrava avere la loro età si alzò dal tavolo accanto e venne a sedersi con loro.

«Sono Colin McGranith, piacere di conoscervi».

«Oh! Sei parente di QUELLA McGranith?» chiese la ragazza seduta accanto a Grace, che sapeva chiamarsi Clarissa Silverbell “Clari per gli amici”.

«Pare di sì» disse con un’alzata di spalle. Quindi fissò Grace. 

«Tu sei Corvodoro, giusto?» chiese circospetto.

Grace, che stava sorseggiando il tè caldo, soffocò e iniziò a tossire. Ci mise qualche minuto a riprendersi quindi gracchiò.

«Io sono Grace GREENHILL» marcò l’accento sul cognome. Lui annuì.

«Capisco» disse con uno sguardo risoluto, come se avesse appena preso una decisione. «Piacere di conoscerti, Grace» concluse.
Clari aveva seguito lo scambio con sguardo confuso. Immediatamente chiese che volesse dire Corvodoro e Grace fu sorpresa e sollevata nel sentire Colin che archiviava la questione come “uno stupido soprannome senza importanza”.
 
Poco prima di iniziare le lezioni, uno stormo di gufi attraverso la sala, lasciando cadere una pioggia di lettere sui tavoli. Due di queste, giunsero proprio a Grace.
La prima era ovviamente dei genitori. Era una lettera carica di affetto misto a preoccupazione che contava un deprimente numero di “nonostante”, “anche se”, “per quanto” e tutta una serie di avverbi che rimarcavano quanto fosse spiacevole la situazione nella quale si era trovata. Concludevano incoraggiandola a fare del suo meglio e a non preoccuparsi di niente.
Quella inaspettata fu la seconda lettera. Grace la aprì con un misto di curiosità e perplessità. Dentro c’era un biglietto con un’unica frase:
 
Sapevo che ce l’avresti fatta
A.
 
Cercò di fare mente locale. Chi poteva essere A? E cosa voleva dire quello che aveva scritto? Sembrava quasi che lei avesse superato un difficile esame, quando invece era evidente che l’aveva miseramente FALLITO.
Clari sbirciò il biglietto. «Chi è A?» chiese ad alta voce, attirando l’attenzione di Colin.

«Non lo so. Non mi viene in mente nessuno».
Gli amici si scambiarono uno sguardo. Peter si avvicinò a loro.

«Ragazzi, dovete andare nelle vostre classi per le lezioni. Ecco il vostro piano orario. Grace, tu invece sei attesa dal Preside».
 
I tre lo fissarono attoniti. Grace non trattenne un brivido.
 
Quando giunse davanti alla porta di legno lucido dell’ufficio del Preside si trovò a guardare dall’alto in basso un severo batacchio, che la fissava accigliato.

«Ecco, io sono…» cominciò.

«So chi sei» la interruppe quello. «Sei attesa» dichiarò.
 
La porta si aprì e Grace entrò in una stanza di forma ottagonale, non particolarmente grande, piena di oggetti accatastati ovunque, con pile di libri appoggiate nelle librerie, sulla scrivania, perfino sulla poltroncina di fronte a quest’ultima. Da una parte, in un angolo, quello che riconobbe essere il Pensatoio di Silente.
Sembrava che il Preside non fosse presente. Finché non parlò.

«Scansa quei libri e siediti, Grace Greenhill»
Grace sobbalzò letteralmente, guardandosi attorno. Scorse un movimento con la coda dell’occhio e lo individuò, accovacciato dietro una pila di libri, intendo a frugare in un armadietto in cerca di qualcosa. Grace prese la pila di libri tra le mani e si guardò intorno in cerca di un posto dove appoggiarli.

«Oh, non disturbarti» il Preside le parlava senza minimamente guardarla. «Posali pure a terra. Ci sono abituati».

Finalmente decise di alzarsi e di raggiungerla, accomodandosi sulla sedia dall’alto schienale posta dietro la scrivania. Grace aveva posato con la massima delicatezza i libri a terra, mormorando scuse mentali all’indirizzo di quelli che le sembravano preziosi e antichi volumi, e ora sedeva composta e guardava l’uomo davanti a sé. Il preside Severus Darknight era il più giovane dell’intera storia della Scuola di Hogwarts. Grace sapeva che aveva solo trentacinque anni, era un genio delle arti magiche ed era stato un Auror di capacità e intuito ragguardevoli. Non a caso, proveniva dalla Casa di Corvonero. E, ultimo ma non meno importante, era un uomo incredibilmente affascinate, anche ai suoi occhi di ragazzina. Si rese conto di averlo fissato a bocca aperta e arrossì abbassando lo sguardo. Lui si era benevolmente sottoposto a quello scrutinio, terminato il quale, ritenne di poter iniziare la discussione.

«Ti ho chiamata perché voglio discutere con te la tua assegnazione alla Casa di Corvonero» esordì «Anche tu sei convinta che il Cappello abbia commesso un errore o, per citare le parole del Signor Remi Greenhill, “sia impazzito completamente”?».
Grace sbiancò. Peter non era riuscito a fermare in tempo il fratello! Deglutì a vuoto, incapace di proferire verbo.

«Tranquilla, esprimi pure la tua opinione in merito. Tuo fratello è ancora vivo e vegeto, attualmente impegnato in un’attività di grande prestigio quale quella di scrivere dieci volte la storia del Cappello Parlante. E’ un tomo di sole settecento pagine. Sono fiducioso che riuscirà a finire entro la fine del semestre» sorrise.
Grace si chiese come potesse pensare di sentirla esprimersi in totale onestà con una simile minaccia a gravarle sulla testa.

«Non credo che il Cappello Parlante possa sbagliare» disse con un sospiro. «Sono io ad aver sbagliato, probabilmente». Guardò il pavimento di fronte a lei.

«Grace, guardami negli occhi». Il tono dolce col quale si era rivolto a lei la fece arrossire. Alzò lo sguardo verso di lui e incontrò due occhi neri pieni di un sentimento simile alla simpatia. «Non hai sbagliato niente. E neppure il Cappello Parlante ha sbagliato. Sei esattamente dove dovresti essere. Era importante che lo sapessi, prima di iniziare il tuo percorso qui».
Grace non poté nascondere un filo di scetticismo, anche se annuì. Il Preside si alzò portandosi di fronte la finestra e guardando fuori in basso, le mani giunte dietro la schiena.

«Sai, c’è stato un tempo in cui i docenti si sono chiesti se veramente il Cappello Parlante avesse sbagliato a smistare una persona».
Grace lo guardò, incuriosita.

«Era una strega brillante. Inizialmente non l’avevano capito, avevano dato per scontato che la Casa scelta fosse la giusta per lei ma poi…Lei ha superato in bravura tutti i Corvonero presenti in quel momento, inclusi i più anziani e i prefetti».

Si voltò nuovamente a guardarla. «Ad essere onesto, ero davvero invidioso di lei. Soprattutto quando è iniziata la guerra e lei ha usato tutte le sue nozioni per vincerla. Ha contribuito enormemente al successo. Si può dire in tutta onestà che è stata decisiva. Sai di chi sto parlando, vero?»
Grace rifletté un momento. Quindi annuì.

«Non le ho mai rivolto la parola» ammise lui, con tono vagamente rammaricato. «Solo adesso, dopo quasi vent’anni, ho trovato i verbali di alcuni incontri che si tennero qui, in questo studio che, per la cronaca, non era quello del Preside. E’ semplicemente quello che ho scelto per non avere sulle spalle il peso delle imponenti figure che mi hanno preceduto. In ogni caso, tornando a noi, gli insegnanti si sono interrogati del perché lei non fosse dove si presumeva dovesse essere, e cioè in Corvonero finché, l’allora Preside, che sicuramente avrai sentito nominare, disse una frase che ora ti ripeterò e che spero porti con te per tutta la tua vita qui dentro: “C’è un motivo per tutto”. Grace Greenhill, c’è un ottimo motivo se non sei stata smistata nella Casa di Grifondoro così come c’è stato un ottimo motivo per cui Hermione Granger non è stata mandata tra i Corvonero. Nelle memorie di Harry Potter e nelle Cronache della guerra potrai trovare l’elenco esaustivo di tutte le volte che gli ha salvato la vita. Cosa che non sarebbe stata possibile, se non avesse fatto amicizia con lui e se non si fossero fidati l’uno dell’altra. Capisci cosa voglio dire, vero?»
Grace annuì, ipnotizzata dalle parole di Darknight e dalle implicazioni  che stava ipotizzando.
Il preside si portò di fronte a lei e si accovacciò a guardarla negli occhi. Grace ne sentiva il profumo di menta, muschio e forse qualche altro ingrediente speziato che non riusciva a riconoscere. Era un profumo molto buono e le stava sconvolgendo i sensi.

«Sei destinata a qualcosa, Grace Greenhill, qualcosa che al momento è imprevedibile. Tutto ciò che devi sapere è che il tuo posto è lì dove sei adesso. Non devi MAI dubitare di te stessa. Questo è fondamentale. Per qualunque impresa tu sia destinata a compiere non dovrai MAI, mai dubitare di te. Pensi di poterlo fare?». Ancora una volta aveva usato un tono caldo e gentile.
La ragazzina sentiva il volto scottare e sapeva che probabilmente non sarebbe riuscita a far uscire la voce. Si limitò ad annuire.
Il preside sorrise, rialzandosi.

«Bene. Puoi andare. La tua lezione di Incantesimi sta per cominciare».
 
Grace camminava come in sogno. I corridoi si snodavano davanti a lei e più volte le scale tentarono di mandarla fuori strada, inutilmente. Conosceva a memoria la mappa della scuola ben prima di entrarvi. A essere precisi, Grace aveva già studiato la maggior parte dei libri del primo anno e del secondo, sottraendoli abilmente ai fratelli, nella casa che condividevano durante le estati, quando i tre non erano a Hogwards. Per tutta l’estate, Grace leggeva, abbeverandosi alla fonte della conoscenza come fosse la più dolce delle burrobirre e inebriandosi di tutte le emozioni che quei libri le trasmettevano. Durante i lunghi e solitari inverni, che passava con i genitori in mezzo ai Babbani, leggeva tutto ciò che le capitava sotto mano, ed era così che aveva letto le Cronache della Guerra e tutte le pubblicazioni di quegli anni. Aveva fatto ricerche su ogni cosa perché solo la conoscenza le dava l’impressione di avere il controllo su di sé e sul mondo esterno. E, per contrappasso, tutto ciò che non poteva conoscere, come ad esempio l’animo umano, i sentimenti e i pensieri degli altri, la paralizzavano e la rendevano timida e insicura.
Raggiunse l’aula di Incantesimi e vide che la porta era già chiusa. Era in ritardo. Impallidì. Quando avesse aperto la porta, il rumore avrebbe attirato l’attenzione dei presenti. Tutti si sarebbero voltati verso di lei. L’insegnante si sarebbe arrabbiato? Le avrebbe chiesto spiegazioni? E lei? Doveva dirle che era stata chiamata dal Preside? Se l’avesse fatto, la voce si sarebbe sparsa per tutta la scuola. Avrebbero fatto mille ipotesi e magari sarebbe anche venuto fuori che Remi aveva fatto una scenata. Le fastidiose lacrime le salirono agli occhi. Forse avrebbe dovuto semplicemente saltare la lezione. Sarebbe stato peggio che arrivare in ritardo? Avrebbe attirato ancor più l’attenzione?

«Intendi stare qui ferma per molto tempo?» la voce maschile la raggiunse, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Sobbalzò e si girò, trovandosi davanti i due occhi intensi del ragazzo che il giorno prima l’aveva ribattezzata Corvodoro. Il rossore le salì al viso e si odiò per quello. Doveva dirgli qualcosa ma non sapeva cosa dire né come dirlo. Perché era lì, innanzitutto? Era del quarto, forse quinto anno, quindi era escluso che quella fosse la sua aula. Lui non le diede il tempo di reagire. Allungò il braccio oltre lei e spalancò la porta dell’aula.

«Professoressa Windbreath, le ho portato Greenhill. Ha avuto un contrattempo» disse a voce alta.
Tutti si voltarono a guardare verso la porta e Grace sentì i loro sguardi ma solo per un attimo. Sembravano molto più interessati al ragazzo più grande che sostava al suo fianco. Lui le mise una mano sulla spalla e si chinò accostando il viso all’orecchio.

«Comunque, io sono Lantis» bisbigliò, prima di spingerla delicatamente ma fermamente dentro l’aula e richiudere la porta tra loro.
La professoressa prese la parola.

«Trova posto Greenhill, abbiamo appena cominciato. A me gli occhi, signori. Come vi ho già anticipato, il nostro corso prenderà in esame all’inizio una serie di incantesimi che serviranno a rendervi pratici sui movimenti e la forza da usare con le vostre bacchette e al tempo stesso sulla giusta inflessione da dare alla voce…».

Le parole della professoressa avevano catturato l’attenzione di tutti e Grace scivolò inosservata in un banco quasi in ultima fila.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III: ORIENTAMENTO ***


Dopo una manciata di giorni, Grace constatò che nessuno o quasi era interessato a lei, e che la sua “diversa” assegnazione, come aveva iniziato a considerarla, era una preoccupazione esclusiva dei suoi fratelli, mentre la maggior parte degli altri studenti era troppo presa dai mille impegni seguiti all’inizio di un nuovo anno scolastico. Le matricole tribolavano nel cercare di orientarsi, di capire le lezioni, di risolvere i problemi affidatigli e familiarizzare con l’imponente struttura della scuola e con le sue mille peculiarità. Gli studenti dell’ultimo anno erano praticamente miraggi, ombre che si aggiravano nei corridoi, sempre di fretta e sempre accigliati, preoccupati com’erano degli esami che li attendevano alla fine di quel semestre. Tutti gli altri erano presi dalle iniziative extrascolastiche, dall’imminente inizio del torneo di Quiddich o dalle lezioni divenute improvvisamente più complicate rispetto agli anni precedenti. Nell’immensa, immota Hogwards, le vite dei giovani e degli adolescenti scorrevano rapide come un fiume in piena, mentre i loro corpi e le loro menti crescevano a ritmi serrati e li mettevano davanti a nuove sfide.

Grace aveva iniziato a girare sempre in compagnia di Colin e Clari, con i quali condivideva la maggior parte delle lezioni e si ritrovava in biblioteca o in sala comune per studiare.
Il prodigioso livello di apprendimento di Grace era stato notato dagli studenti delle altre Case che condividevano le aule durante le stesse lezioni e, al termine del primo mese, fu esplicitato dalla sempre schietta Clari.

«Mi spieghi perché sembra che tu venga dal futuro?» le chiese a bruciapelo mentre Grace le correggeva una formula per la creazione di una pozione piuttosto complessa. Colin sollevò gli occhi dal libro e li fissò su Grace, interessato. Chiamata in causa, quest’ultima sentì l’onnipresente rossore farsi strada sulle guance, ma si sforzò di usare un tono casuale nel rispondere.

«Ecco, io…Potrei aver letto qualcosa in questi anni…Sai, per noia. Mamma e papà lavorano entrambi e io resto sempre a casa da sola…D’estate si concentrano sui miei fratelli quindi ho avuto il tempo di…mmh…spendere qualche pomeriggio sui libri…»

«Cioè, mi stai dicendo che hai GIA’ studiato queste cose?» insistette Clari.
Grace fissò il libro aperto davanti a sé annuendo. Sapeva che l’amica l'avrebbe considerata “strana”. Le dispiaceva più di quanto volesse ammettere. Inaspettatamente, Clari scoppiò a ridere.

«E’ incredibile! Quindi, quel giorno, a Incantesimi, hai finto di non riuscire a sollevare la piuma?» chiese allegramente.
Grace sollevò uno sguardo serio su di lei.

«No, Clari. Non ho finto. Proprio per niente».

Quell’episodio spiacevole risaliva alla seconda lezione con la professoressa Windbreath, quando avevano studiato uno dei primi incantesimi che si è soliti apprendere. Quando era stato il turno di Grace, molti si erano voltati a guardarla. Per quanto distratti da altre questioni, durante le lezioni i compagni di classe si fermavano spesso a valutare come se la cavasse la ragazza che non-era-stata-assegnata-a-Grifondoro e il soprannome “Corvodoro” le si era inevitabilmente appiccicato addosso. Tutti erano curiosi di vedere se il Cappello Parlante avesse veramente giudicato male Grace e la prova sarebbe stata un suo eventuale fallimento nello studio. Grace sentiva la pressione e gli sguardi addosso a sé e, come aveva temuto, fallì miseramente la sua prima prova. La sua mano si mosse in modo troppo rigido, la sua voce uscì troppo flebile e la piuma rimase perfettamente immobile. Grace non osò sollevare gli occhi sulla professoressa che si trovava accanto al suo banco e l’aveva invitata a provare l’incantesimo.

«Grace, concentrati solo sull’incantesimo. Fingi di essere sola nella stanza con la piuma» la professoressa parlò con voce calma ma udibile al sopra dei sussurri e delle risatine che si erano sollevati subito dopo la deludente performance della ragazza.
Grace chiuse gli occhi per un momento. Improvvisamente, nella sua mente fu un’estate assolata. Lei era nel solaio, dove era solita trascorrere in solitudine i lunghi pomeriggi, e ruotava il polso mentre con leggerezza accompagnava la piuma invisibile con un movimento del mestolo preso dalla cucina, che rivestiva in quel momento il prestigioso ruolo di bacchetta. Aveva letto e ripetuto quelle parole. Aveva letto le spiegazioni sulla pronuncia, l’inflessione, l’ampiezza delle vocali. Aprì gli occhi.

«Vingardium Leviosa» disse con voce chiara e un’inflessione quasi musicale. Accompagnò il gesto elegante della bacchetta alle parole e la piuma iniziò a volare, verso l’alto, ondeggiando, come se stesse cadendo verso l’alto. Grace sorrise e la fece volteggiare in più direzioni, mentre un sommesso “oooh” accompagnava la sua impresa.

«Proprio così» commentò l’insegnante, passando oltre.
 
Colin era un ragazzo alquanto silenzioso. Durante la loro prima colazione, si era inizialmente seduto accanto al fratello più grande, il quale l’aveva spedito dopo pochi minuti al tavolo delle matricole, affinché familiarizzasse. Non prima però che potesse udire le malevole parole di Priscilla Diamond, alias la bionda con i boccoli, che aveva commentato la presenza di una persona che avrebbe potuto facilmente gettare discredito sull’intera Casa, visto che proveniva da un ambiente totalmente “inadeguato” al livello intellettivo richiesto ai membri di Corvonero. Il fratello di Colin sembrava ignaro di chi fosse l’oggetto della discussione così lei l’aveva informato della presenza di Grace, apostrofandola con uno dei soprannomi che aveva tentato di affibbiarle, ma Lantis l’aveva corretta con un sibilo infastidito “Corvodoro”. A quel punto, Colin era stato costretto ad abbandonare il tavolo ed era andato direttamente a fare conoscenza con l’oggetto dei pettegolezzi. A distanza di qualche settimana, aveva deciso che Grace era una ragazza a posto, e che era decisamente nella Casa giusta. 
 
A metà ottobre, dopo il termine delle lezioni, Grace, Colin e Clari si ritrovarono a camminare sotto il portico, diretti alla biblioteca per fare qualche ricerca richiesta dall’insegnante di Erboristeria. Clari si stava lamentando della difficoltà delle lezioni di Pozioni, che sembrava essere la sua bestia nera. Colin, come sempre, incedeva in silenzio ascoltando pazientemente le argomentazioni dell’amica. Grace sollevò gli occhi e vide Remi camminare insieme con un gruppetto di coetanei con sciarpe di diversi colori. Tra di loro intravide Lantis e sentì un leggero colpo al cuore. Cercò di distrarsi concentrandosi su Clari che stava minuziosamente spiegando i passaggi che aveva fatto per creare la posizione Polisucco per dimostrare che era assolutamente IMPOSSIBILE che avesse sbagliato qualcosa e dunque inspiegabile che si fosse improvvisamente solidificata emanando un terrificante olezzo che aveva costretto il docente a correre e spalancare le finestre.

«Grace!» una voce nota la chiamò costringendola ad alzare lo sguardo. Remi incedeva a passo spedito verso di lei, seguito a ruota dai suoi compari. Grace incontrò gli occhi di Lantis fissi nei suoi e non riuscì a evitare che il calore le raggiungesse il viso. Si rivolse al fratello.

«Remi, per cortesia, puoi evitare di urlare il mio nome?» chiese con un tono di voce basso e rassegnato.

«Ho provato a sbracciarmi ma non mi stavi guardando» si giustificò quello. Si rivolse a Colin e Clari. «Voi siete amici di Grace? Ottimo, sono proprio contento di conoscervi! Grace, stavo giusto dicendo a Lantis che sei una perfetta Cercatrice! Perché non fai richiesta alla Professoressa Windbreath? E’ il Capo di Corvonero, potrebbe farti avere il permesso speciale e potresti fare da riserva. Ma che hai? Stai male?»

Una serie di emozioni avevano attraversato la mente della ragazza, lasciandola stordita. Remi aveva parlato con Lantis di lei. La cosa l’aveva esaltata e al tempo stesso terrorizzata. Poi Remi aveva specificato COSA gli aveva detto e allora l’esaltazione aveva lasciato spazio al solo terrore. Infine, il fratello aveva prospettato la più orribile delle possibilità, ovvero che la ragazza avrebbe potuto trovarsi davanti all’intera scuola, a giocare a un gioco estremamente competitivo nel difficile e unico ruolo di cercatrice. E aveva anche il barbaro coraggio di chiederle se stesse male?

«Remi, tu…» iniziò con un filo di voce.

«Cercatrice???» strillò Clari, facendola sobbalzare. «Oh mio Dio, Grace! C’è qualcosa che NON sai fare? E’ meraviglioso! Ma come hai imparato?»

A quel punto, Remi si lanciò in una dettagliata spiegazione di come la piccola Grace, a cavallo della scopa insieme al papà, avesse iniziato a dare la caccia ai boccini già in tenera età e di come avesse poi preso parte agli allenamenti dei fratelli durante le varie estati. Grace sentiva la bocca secca e non pensava che sarebbe mai più riuscita a fermare il fratello né a sollevare gli occhi su Lantis. Colin la guardava pensieroso, quindi decise di intervenire.

«Remi, credo che Corvonero abbia già un cercatore eccezionale. Ti sta proprio accanto» commentò con noncuranza. Grace spostò lo sguardo da Colin al fratello e vicino a lui c’era Lantis, che la guardava imperscrutabile.

«Ma certo! Scherzavo, ovviamente. La mia sorellina è troppo preziosa per me per rischiare di farle fare male! Ma, se Lantis si stufasse di giocare, beh…» Remi fece l’occhiolino a Grace, che lo ricambiò con uno sguardo omicida. Gli altri ragazzi del gruppo iniziavano a spazientirsi per la sosta prolungata. Remi spiegò che stavano andando ad allenarsi e chiese se volessero andare a guardarli. Ancora una volta, Colin parlò per tutti.

«Stiamo andando in biblioteca. Abbiamo molti compiti» si giustificò. Grace annuì fermamente e così una delusa Clari, che avrebbe volentieri seguito gli allenamenti di Quiddich invece di passare le successive tre ore a cercare informazioni su piante e radici delle quali non le importava affatto.
 
Grace si era resa conto di quanto la presenza di Lantis o anche il solo pensiero di lui fosse sufficiente a calamitare la sua attenzione. A volte desiderava evitarlo a ogni costo, altre volte non riusciva a sopprimere la necessità di guardarlo e, in entrambi i casi, per lei era fondamentale sapere o presumere sempre dove egli fosse. Uno dei principali problemi era che, nella maggior parte dei casi, Priscilla satellitava attorno all’oggetto dei pensieri di Grace, rendendo pericoloso anche solo incrociare il loro cammino. Grace sentiva un senso di malessere tutte le volte che la ragazza le rivolgeva la parola e aveva l’impressione che, ogni qualvolta si accorgeva della sua presenza, sentisse la necessità di dire una cattiveria, a lei direttamente o a quanti potessero ascoltarla, e quasi sempre Lantis era parte del suo uditorio. Quella sensazione di disagio non l’abbandonava mai, neanche in presenza di Colin e Clari o dei suoi fratelli. Sapeva che avrebbe dovuto cercare di superare la cosa, ma il risultato era che temeva il momento nel quale fosse apparsa davanti a Priscilla, il che la rendeva circospetta nell’entrare nella sede della Casa o anche nella sala comune.
Era una grande fortuna che Priscilla e Lantis fossero al terzo anno (e non al quarto, come aveva immaginato Grace) dal momento che le loro aule non erano neppure sullo stesso piano di quelle di Grace. Il che, a dire il vero, rendeva misteriosa e inspiegabile la presenza del ragazzo davanti all’aula di Grace, il primo giorno.
 
La prima domenica di Novembre lo scontro tra Serpeverde e Tassorosso inaugurò il Torneo di Quiddich di quell’anno. L’eccitazione era palpabile. Grace non riusciva a smettere di sorridere, mentre sedeva sugli spalti tra Colin e Clari. Aveva salutato con un abbraccio i fratelli, prima che  prendessero posto nella tifoseria di Grifondoro. Poco prima dell’inizio, Clari tirò fuori dalle tasche una manciata di Cioccorane da dividersi tra di loro. Era una giornata bellissima, soleggiata e per niente fredda. Grace sospirò, sentendosi in pace con l’universo. Le storie epiche raccontate dal padre o dai fratelli le riempivano la mente. Finalmente avrebbe assistito a una partita intera di Quiddich.

«Oh, Corvodoro ha deciso di onorarci della sua presenza?» la voce di Priscilla dietro di loro fu perfettamente udibile e molti si voltarono, inclusi Clari e Colin. L’affermazione della ragazza non aveva alcun senso, dato che Grace aveva sempre partecipato alle attività della Casa, ma era chiaro che Priscilla avesse solo bisogno di una qualsiasi scusa per provocarla. Grace finse di non aver sentito. Ma poi un’altra voce interloquì e sentì un brivido lungo la schiena.

«Prisci sembri un video in loop. Non pensi che potresti trovare un altro argomento, a questo punto?» Lantis era intervenuto, con tono annoiato. Era seduto accanto a Priscilla, ovviamente. A Grace venne in mente che potessero essere una coppia. Sentì stringersi il cuore. Priscilla borbottò qualcosa che non sentì. Il Preside si portò al centro del campo e, puntandosi la bacchetta alla gola, la usò per amplificare la propria voce. Mentre rivolgeva il suo benvenuto agli studenti e introduceva il nuovo torneo di Quiddich, Grace si trovò a studiare nuovamente la sua persona. Più di qualcuno sospirò guardandolo. Grace ricordò gli occhi di lui fissi nei suoi, la sua vicinanza, l’impressione di aver intravisto nel suo sguardo… Simpatia? Affetto?

«Terra chiama Grace» Clari rideva, guardandola. «Cos’è, sei anche tu sotto l’incantesimo del Magnifico Severus?» le chiese scherzosa. Colin grugnì  qualcosa. Grace arrossì fino alla radice dei capelli. «Oh! Ma dai! Stavo scherzando! Ma tu, davvero…? Oh mio Dio, Grace, è vecchio!»

«Ti dispiacerebbe abbassare la voce? Io non…»

«Potreste conservare le confessioni per quando tornerete nel pollaio?» la voce di Lantis la colpì come uno schiaffo. Si voltò a guardarlo, ma lui fissava il Preside al centro dello stadio e sembrava parecchio infastidito. Grace non ebbe il coraggio di replicare. Sentì Clari borbottare «Certo che quei due fanno una bellissima coppia!»
 
Con l’inizio della partita, Grace si concentrò sul gioco e fu totalmente assorbita dallo spettacolo che vedeva. I Serpeverde sembravano di un’altra categoria ma Tassorosso difendeva strenuamente, anche se con fatica, riuscendo a mantenere il punteggio su un dignitoso 30 a 20 per Serpeverde ma, dopo oltre venti minuti di strenua difesa, non riuscivano in alcun modo a oltrepassare la metà campo senza che i Bolidi indirizzati dai battitori di Serpeverde li colpissero. A un tratto, uno dei cacciatori di Tassorosso prese un bolide in pieno stomaco e cadde rovinosamente al suolo con la scopa. Grace e gli altri urlarono. Il ragazzo venne accompagnato fuori da alcuni studenti più grandi assistiti da un professore. La partita riprese. Tassorosso aveva un cacciatore in meno. Ben presto Serpeverde dilagò e neppure il fatto che il Cercatore di Tassorosso avesse infine preso il boccino riuscì a cambiare le sorti della partita: 250 a 170 fu il risultato finale. La squadra di Serpeverde fece un giro dello stadio per celebrare la vittoria e così Grace vide il cacciatore che aveva marcato più punti, Ruben Almasy, indiscusso campione di Serpeverde e nemico giurato di suo fratello Lucas. Ruben aveva dei capelli biondissimi, quasi bianchi e occhi di un azzurro chiarissimo. Il suo viso era quasi sempre atteggiato a un sorriso crudele e a Grace sembrò che rallentasse proprio in prossimità della tribuna di Grifondoro e accennasse a un beffardo inchino. Remi gli aveva raccontato che lui e Lucas si odiavano fin da quando erano matricole e il fatto di essere entrambi cacciatori aveva solo peggiorato le cose. Almasy giocava col chiaro intento di far del male a Lucas e ai fratelli (Remi giocava come cacciatore e Peter era stato portiere fino all’anno precedente ma aveva deciso di ritirarsi per prepararsi agli esami di M.A.G.O.). Remi era noto per essere la testa calda della famiglia ma, stranamente, nella questione tra Ruben e Lucas non si era mai messo in mezzo. Era come se avesse deciso che il fratello dovesse venire a patti da solo col suo nemico. La cosa aveva lasciato perplessa Grace ma, adesso che aveva visto chi era Ruben Almasy, pensava di aver capito la scelta di Remi: finché era una questione tra lui e Lucas le cose potevano rimanere su un piano di competizione. Se Remi o chiunque altro della famiglia di Lucas si fosse messo in mezzo, la situazione avrebbe potuto travalicare i confini della correttezza. Quando era passato davanti a loro, Grace aveva avuto un brivido e aveva visto in quel viso una determinazione mista a sprezzo per gli altri. Non c'era dubbio che Ruben fosse un tipo pericoloso. La partita di Grifondoro contro Serpeverde non sarebbe stata un bello spettacolo per lei.
 
Lo studio assorbì completamente le giornate delle tre matricole, considerato che il sole tramontava sempre prima e la temperatura era gradatamente scesa fino a diventare rigida. I fratelli di Grace e così anche Lantis, l’insopportabile Priscilla, Timothy, Serena e Roland, per citare quelli che conosceva, insieme a quasi tutti gli studenti dal terzo anno in su, avevano iniziato a frequentare il villaggio di Hogsmeade nei fine settimana quindi Grace, Colin e Clari ne approfittavano per esplorare l’immenso castello di Hogwarts. Grazie al senso dell’orientamento di Grace, i tre riuscivano ad arrivare ovunque volessero senza perdersi, mentre Colin si era rivelato incredibilmente competente per tutto ciò che concerneva la scuola e non poteva trovarsi su nessun libro. Il fratello era al quarto anno e lui era cresciuto ascoltando le storie e le leggende che questi gli raccontava quando tornava a casa. Colin aveva ammesso che molte di quelle storie erano campate in aria, ma su alcune cose il fratello gli aveva detto la verità. Avvalendosi di quei racconti, il ragazzo guidava le altre due in esplorazioni di ore intere. L’apporto di Clari era senza dubbio la socialità. Lì dove Grace e Colin erano introversi e silenziosi, lei era ciarliera ed estroversa. Aveva un’ottima memoria per i nomi e la sua allegria e socievolezza le avevano fatto stringere amicizia con una grande quantità di quadri, fantasmi e famigli e aveva stanato anche qualche timido Elfo domestico che si era rassegnato a essere chiamato in causa all’occorrenza e a fornire informazioni di ogni sorta.
Grace coltivava un sogno: voleva entrare nella Stanza delle Necessità. Sapeva che esisteva perché, negli anni della guerra, gli studenti si erano allenati lì all’insaputa di tutti, per prepararsi a combattere i Mangiamorte. Ed era esattamente quello che Grace desiderava, più di ogni altra cosa: un posto in cui liberare la sua magia, e poter praticare tutti gli incantesimi che voleva, senza che questo comportasse rischi per qualcuno. Nonostante questa sua segreta ambizione, però, la Stanza sembrava non ritenere necessario palesarsi, e lei e aveva iniziato a tornare al dormitorio sempre più frustrata e abbattuta.
Un sabato pomeriggio, sul presto, entrò nella saletta comune di Corvonero, seguita da Clari che, come sempre ottimista, le garantiva che quel giorno, senza alcun dubbio, avrebbero trovato quello che cercavano. Grace scorse Lantis seduto al suo solito posto, il viso immerso in un libro, e si gelò sul posto.

«Cosa…» Clari seguì lo sguardo di Grace e tacque.
All’improvviso, Lantis sembrò conscio di avere degli sguardi su di sé e staccò gli occhi dal libro, trovando il viso di Grace. Lei si sforzò di apparire naturale e accennò a un saluto col capo. Quindi, si guardò intorno, in cerca dell’odiosa nemesi.

«Priscilla è andata a Hogsmeade, se te lo stai chiedendo» interloquì lui, tranquillamente.

«E tu come mai non sei andato?» riuscì a mantenere il tono calmo e quasi casuale mentre sentiva il cuore che aumentava i battiti per il semplice, stupido motivo che lui stava parlando con lei.

«Non mi sento in forma» si strinse nelle spalle.

«Niente di grave, spero! Domani c’è la partita!» intervenne Clari con ostentata preoccupazione. Lantis rispose con una smorfia, aggrottando le sopracciglia. Chiaramente non era il fan numero uno di Clarissa.

«Sono solo un po’ stanco e preferisco riposare» disse, ripiombando nella lettura.

La conversazione era finita, ma Grace si sentiva intrappolata senza saper bene cosa fare. Solitamente, lei e gli altri si riunivano lì per pianificare il percorso da fare e quali corridoi esplorare ma, con Lantis presente, non era il caso di mettersi a confabulare. Cosa avrebbe pensato di lei? Che era infantile? Colin uscì dal dormitorio in quel momento.

«Oh, siete qui. Allora? Da dove cominciamo, oggi?» non si era accorto della presenza di Lantis.

«Oh, potremmo andare al quarto piano dell’ala nord, che ne dite? Ci siamo stati solo di sfuggita e…mpfh» Grace rifilò una gomitata a Clari costringendola a interrompere il discorso. Nel momento in cui si volse a indicargli Lantis si accorse che lui aveva tirato su la testa dal libro e la stava guardando.
«Cosa avete intenzione di fare?» chiese con una punta di sospetto nella voce.
Colin si portò al centro della stanza, accanto alle due ragazze.
«Andiamo in esplorazione» disse con la massima naturalezza «Perché, vuoi venire?» la domanda voleva ovviamente essere provocatoria. Inaspettatamente, Lantis chiuse con un colpo della mano il libro, alzandosi.
«Ma sì, perché no?»
Grace rimase a bocca aperta

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