Plenilunio d'inverno di Bombay (/viewuser.php?uid=156)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Plenilunio d'inverno ***
Capitolo 2: *** Aquile, amori ed anatemi ***
Capitolo 3: *** Abbraccio ***
Capitolo 4: *** Il Clan delle Volpi ***
Capitolo 1 *** Plenilunio d'inverno ***
Challenge: “La ruota dell’anno - Yule”
indetto sul gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”
Prompt: Domani è lontano se mi ami ora
(Baustelle)
Genere: fantasy, romantico,
drammatico
Tipo: one shot
Personaggi: Keiji Akaashi, Kotaro
Bokuto
Coppia: yaoi
Rating: PG-13, giallo
Avvertimenti: AU, angst, fluff, lime
PoV: terza persona
Disclaimers: i personaggi non sono
miei, ma di Haruichi Furudate.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.
Note: Yule era la festa del solstizio
d'inverno, viene celebrata intorno al 21 dicembre.
Plenilunio d’inverno
La punta della penna d’oca correva veloce sulla
pergamena sottostante, una calligrafia pulita precisa, dai caratteri spigolosi
e fermi.
La luce nella stanza stava cambiando, le ombre
della sera si stavano allungando, presto il giovane uomo seduto alla scrivania
avrebbe dovuto accendere delle candele per poter proseguire nella scrittura e
nella lettura dei tomi che aveva aperti sul ripiano.
Socchiuse gli occhi posando la penna, sigillando
con cura la boccetta d’inchiostro, riponendo pergamene e testi, per quel giorno
non li avrebbe più toccati, si accostò alla finestra e l’aprì ignorando il gelo
che si fece strada nella stanza, facendo tremolare le fiamme nel camino.
Il cielo si stava tingendo di viola, mancavano
ancora pochi momenti e l’oscurità avrebbe avvolto tutto. La luna che sarebbe
sorta di lì a poco, era piena e avrebbe rischiarato la lunga notte con i suoi
raggi d’argento, riflessi dalla spessa e immacolata coltre di neve.
Era la notte più lunga dell’anno, il solstizio
d’inverno, dove le ore di tenebra erano di più di quelle di luce, più tempo
concesso loro… manciate di minuti rubati.
Il giovane rimase qualche momento alla
finestra, in lontananza il bubolare di un gufo, gli fece stringere il cuore, si
fece indietro andando a mettere nel camino altra legna da ardere, la stanza
diventava sempre più buia eccezion fatta per il colore rossastro delle fiamme.
Un gufo reale si posò sul davanzale, le
grandi ali spiegate per un momento, occupavano tutto lo spazio della finestra,
quindi lentamente le ripiegò sul grande corpo dalle piume arruffate e gonfie
per il freddo, ruotò la testa puntando i suoi occhi gialli dalla grande pupilla
nera, in quelli azzurri del mago dall’altra parte della stanza.
Il crepuscolo cedette finalmente il passo
alla notte, il gufo lanciò un fischiò aprendo nuovamente le grandi ali e saltando
dentro la stanza sul pavimento ricoperto da uno spesso tappeto.
In una battito di ciglia la magia avvenne, al
posto del regale gufo c’era un uomo inginocchiato a terra, nudo, dal corpo possente
e la pelle chiara, la spalle larghe, il collo forte, il giovane viso dalla fronte
corrucciata, gli occhi color dell’ambra che fissavano il giovane che si stava
avvicinando, piegò la testa scrutandolo attentamente alzandosi in piedi, in
tutta la sua considerevole altezza, scrollando le spalle e la testa e delle piume
brune planarono lievi sul tappeto.
Con cautela l’altro uomo gli si avvicinò e
gli drappeggiò sulle spalle un mantello di lana pesante.
“Kou… mi riconosci?” mormorò titubante mentre
l’altro ancora lo scrutava in silenzio, i suoi occhi e la sua espressione si
distesero, prese il viso del mago tra le mani e gli baciò le labbra dolcemente.
“Non ti dimenticherò mai Keiji” gli sussurrò
sulla bocca, baciandolo ancora.
Il mago si fece indietro andando a chiudere
le ante della finestra, sbarrarle per bene, chiudendo fuori il freddo e il buio,
quando si voltò vide Kotaro vicino alla sua scrivania che accarezzava con le
punte delle dita le sue pergamene.
“Hai scoperto qualcosa di utile in questo
mese?” lo interrogò, carezzando le lettere scure, non comprendeva la magia, gli
aveva sempre fatto paura, lui era un soldato, combatteva corpo a corpo con un
nemico che poteva vedere, con cui poteva incrociare la spada.
La magia era pericolosa, subdola, invisibile
e poteva colpirti quando meno te lo aspettavi, come era successo a lui… a loro.
Il più giovane scosse la testa mestamente “No
mi dispiace… sembra che questo incantesimo sia pressoché sconosciuto o forse i
suoi segreti sono ben custoditi dal Clan delle Aquile” rispose stringendosi
nelle spalle affranto.
Kotaro lo avvolse in abbraccio posandogli il
mento sulla testa “Tu e il tuo amico… come si chiama?”
Keiji lo guardò con il cuore che tremava… “Kenma…”
disse in un soffio.
“Siete i migliori apprendisti della Torre e
troverete sicuramente il modo di spezzare questo oscuro incantesimo”
Il mago trattenne il fiato per un lungo
momento, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo “Non sono più un apprendista”
iniziò vedendo la confusione e lo sconforto negli occhi dell’altro.
“Sono un mago di Primo Livello”
“Oh” borbottò imbarazzato, grattandosi la nuca
“Scusa… non lo ricordavo…” bofonchiò mordicchiandosi il labbro inferiore. “Da
quanto?”
“Un anno abbondante…” rispose con voce
strozzata “Abbiamo anche festeggiato… Tu… io… Kenma e Tetsuro” aggiunse stringendo
i pungi tanto forte da fare sbiancare le nocche.
La maledizione che aveva colpito i loro compagni
trasformandoli in animali, portava via loro, ad ogni trasformazione pezzi di
vita passata, di ricordi, riducendoli sempre meno umani e sempre più animali,
se non fosse riuscito a spezzare quella maledizione, un giorno Kotaro si
sarebbe dimenticato di lui e del loro legame, del loro amore.
“A proposito di Tetsuro dov’è quel gattaccio
nero?” domandò girando su se stesso, cercando di smorzare la tensione cominciando
a chiamarlo per la stanza, come si fa con i gatti, anche se sapeva bene che
aveva ripreso anch’egli la sua forma umana.
Il mago scosse la testa, il siparietto dell’altro
non lo fece nemmeno sorridere, si trovarono nuovamente uno difronte l’altro.
Kotaro prese ancora il viso di Keiji tra le
mani, catturando gli occhi dell’altro con i suoi magnetici occhi gialli, da
predatore, era stata la prima cosa di Kotaro a cambiare.
“Non mi dimenticherò mai di te, Keiji, mai”
“Non fare promesse che non puoi mantenere, l’unica
cosa che sappiamo di questo sortilegio è che torni umano una volta al mese,
quando la luna è piena, e che divora i tuoi ricordi come prezzo… e quando anche
l’ultima memoria svanirà per sempre, rimarrai un gufo per il resto dei tuoi
giorni” disse quasi gridando, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime,
aveva impiegato mesi a trovare quelle informazione e quando lo aveva fatto gli
era sembrato di impazzire a quelle terribili sentenze.
L’uomo lo trasse a sé, cercando di confortarlo,
ma era difficile, sapeva bene a quale destino andasse incontro, ma non poteva
cedere alla disperazione, o lo avrebbe fatto anche Keiji e lui non voleva
vedere il proprio compagno perdersi nello sconforto, o perdere il senno.
“Anche se la mia mente ti dimenticherà, il
mio cuore non lo farà mai, ti amo Keiji e nessun maleficio mi potrà mai portare
via questo…”
Un bussare rapido e conciso li fece sussultare.
“Avanti” gridò Keiji e pochi istanti dopo un
giovane entrò recando un grande vassoio e congedandosi immediatamente.
Kotaro si leccò le labbra sedendosi sul letto
mentre Keiji toglieva il panno che copriva un vassoio ricolmo di prelibatezze.
Kotaro si avventò sul cibo, prendendo dai
piatti a piene mani.
“Non serve che ti ingozzi Kou, è tutto tuo…”
tentò di placarlo, ma l’altro lo ignorò ingurgitando una pietanza dopo l’altra.
“Lo so, ma dopo aver mangiato topolini e bisce,
questi piatti sono squisiti” gli disse portandosi alle labbra un piatto di
zuppa dall’odore meraviglioso. Keiji arricciò il naso a quelle parole e sospirò
tristemente.
“Tu non mangi?” chiese a bocca piena vedendo
il mago scuotere la testa.
“Non ho fame…” mormorò restando in silenzio
mentre l’uomo consumava, l’abbondante e meritato pasto.
Il mago portò il vassoio fuori dalla porta e
la rischiuse poggiandosi ad essa con il proprio corpo, osservano Kotaro stendersi
sul letto e massaggiarsi la pancia soddisfatto per il lauto pasto.
I lembi del mantello si erano scostati,
rivelando il suo corpo maestoso mentre si metta seduto e porgeva la mano al compagno
invitandolo a raggiungerlo, sul grande letto.
“Vorrei che domani non arrivasse mai” confidò
al suo orecchio, baciandogli la mascella liscia e poi le labbra, la bocca dell’uomo
sapeva di cannella a causa della torta che aveva appena finito di mangiare.
Keiji si perse in quel bacio, giocando con la
lingua dell’altro che scavava impertinente nella sua bocca, anche lui lo
avrebbe voluto però rispose: “Domani è lontano se mi ami ora”
Kotaro, con una scrollata di spalle, si
liberò del mantello e sorrise spingendo il più giovane sul materasso di piume,
sciogliendo la cintura ricamata che cingeva i fianchi snelli del mago e che ne
dimostrava il suo rango e la sua carica.
Gli aprì la tunica di velluto blu, e gli sfilò
dal capo la camicia di lino bianco, quindi, facendogli sollevare i fianchi gli
sfilò le brache e ammirò il suo corpo nudo e bianco, illuminato dai riflessi
del fuoco che ardeva alto nel camino.
“Sei più magro dell’ultima volta che ti ho
veduto…” disse con una punta di rimprovero, mentre il mago rotolava fino al
baule accanto al letto e prendeva un barattolo e lo porgeva all’altro.
“Sto bene…” disse solo, non voleva parlare
dei suoi crucci e dei suoi tormenti, non quella notte.
Kotaro aprì il vasetto e le sue narici
sensibili furono invase dal profumo della calendula e rosa canina, un unguento
che preparava Keiji, per loro, per rendere più piacevole la loro unione, Kotaro
associava quell’odore, quella particolare fragranza al fare l’amore con il suo
Keiji, un ricordo olfattivo.
Posò la bocca sulla sua pelle sudata e
salata, imprimendosi nelle papille gustative il suo sapore unico, mentre
sondava con le mani il corpo bianco del mago, scatenando in lui mille brividi, saggiando
la sua pelle, un palmo alla volta, il colore, la morbidezza, una memoria tattile,
che sperava fosse indelebile.
Non poteva mai scordarsi dei gemiti che le
sue spinte, lente e profonde in quel corpo, facevano emettere ad entrambi, e le
parole sussurrate labbra contro labbra, spezzate, dagli ansiti e dai lamenti,
occhi negli occhi per tutto il tempo. La voce del suo Keiji che chiamava il suo
nome come in una preghiera, il suo fine udito lo avrebbe riconosciuto tra mille
e per sempre ne era certo.
Non poteva smarrire la sensazione del piacere
raggiungeva il suo culmine e che sgorgava dai loro corpi uniti, lo sperma che
gli bagnava l’addome, e il suo che riempiva il corpo del compagno.
Nessuno gli avrebbe portato via quei ricordi,
nessuno, non lo avrebbe permesso, avrebbe lottato in ogni modo.
Stretti l’un l’altro sotto le pesanti pellicce,
attendendo che i loro respiri si quietassero, che i loro cuori smettessero di
ruggire nelle loro orecchie.
“Dormi qualche ora Keiji, sarò qui… questa è
la notte più lunga dell’anno” tentò baciandogli la fronte, vedendo gli occhi
dell’altro faticare per restare aperti, ma il giovane scosse la testa.
“No… ci è concessa una notte al mese… non
voglio perdere nemmeno un momento di te…” rispose spingendolo schiena sul
materasso e salendogli cavalcioni.
Voleva unirsi a lui tutta la notte, e non importava
se il corpo gli faceva male, se si spingeva al limite e la stanchezza tentava
di ghermirlo essere unito a Kotaro era una consolazione nei giorni che li
avrebbero separati ancora.
La luce delle fiamme proiettava le loro ombre
avvinghiate, ancora e ancora.
***
“Che si dice dal resto del regno?” domandò Kotaro
scendendo dal letto per gettare nel camino un altro paio di ciocchi di legna,
visto che le fiamme languivano.
Il mago attese che l’altro uomo tornasse
sotto le coltri e gli si accomodò contro pensieroso.
“Tutto è invariato…” mormorò tristemente.
“Sono stato al Castello e nulla è mutato da quella
terribile notte” mormorò chiudendo gli occhi sentendo anche Kotaro sospirare
pesantemente.
Erano passati tre anni da quella notte, che
era iniziata come una festa ed era finita in tragedia, ma avrebbero dovuto
aspettarselo, il Principe era sempre stato una persona frivola e capricciosa,
incline a soddisfare sé stesso più che preoccuparsi degli altri e delle conseguenze
delle sue azioni.
Tutti erano stati invitati a quella cerimonia
dove il re aveva intenzione di annunciare a quale Clan si sarebbe unito il
proprio secondo genito, come da tradizione, raggiunta la maggiore età.
Nella sala grande aveva annunciato che Tooru
avrebbe abbandonato il Castello e si sarebbe unito al Clan delle Aquile e se in
un primo momento sembrava che il giovane non avesse nulla da obbiettare, in un
secondo momento si era scontrato direttamente con l’unico figlio del capo Clan
delle Aquile: Wakatoshi.
Circolavano voci che, l’Aquila Bianca, come
lo avevano soprannominato, avesse un debole per il nobile e viziato principe,
alcuni arditi insinuavano anche che ne fosse innamorato, e che avesse sempre
espresso il suo desiderio che il giovane facesse parte del suo Clan.
Da lì ne erano scaturite parole pesantissime
da ambo le parti a nulla erano valsi gli sforzi di fare ragionare le due
fazioni, nemmeno i tentativi di Hajime, il capitano delle guardie, nonché amico
d’infanzia e fidato consigliere del principe.
Tooru giurò che preferiva andare dall’altra
parte del mondo, piuttosto che entrare in quel Clan, di sottomettersi a
Wakatoshi sosteneva che l’orgoglio e l’amor proprio glielo impedivano.
Keiji si trovava in quella stanza con Kotaro perché
quest’ultimo era amico e compagno d’armi di Hajime, mentre Tetsuro e Kenma erano
lì perché amici di Kotaro anche se del Clan dei Gatti e dei Gufi, non vedevano
di buon occhio le Aquile.
Keiji non ricordava cosa avesse fatto
scattare la scintilla, del perché poi in quella diatriba tra figli di capi
clan, si fosse intromesso un mago; non comprendeva nemmeno come all’epoca Satori,
un apprendista come lui, potesse conoscere e padroneggiare un potere tanto
grande.
Padroneggiare forse no, perché coinvolse
tutti i presenti, trasformando inspiegabilmente alcuni di loro negli animali dei
propri Clan.
“A Tooru è toccata la sorte peggiore, a mio
dire” mormorò Kotaro spezzando i pensieri di Keiji che si strinse nelle spalle.
Il sortilegio di Satori aveva colpito il
principe per primo, trasformandolo al centro della grande sala un rigoglioso
albero.
Ricordava la voce imperiosa e arrabbiata di
Wakatoshi che intimava al giovane mago di smetterla e di porre rimedio a quello
che aveva fatto, ma Satori si era limitato a scoppiare in una fragorosa e folle
risata, che aveva agghiacciato tutti.
“Già” bisbigliò chiudendo gli occhi.
Keiji era ritornato alla Torre di Magia sotto
shock, con Kotaro appollaiato su una spalla nella sua forma di gufo; l’unica
cosa che aveva potuto fare era stato rifugiarsi in biblioteca per saperne di
più, chiedendo a tutti i suoi maestri ed avevano trovato ben poche informazioni
a riguardo. Qualche settimana dopo, al sorgere della luna piena però Kotaro e
Tetsuro, che era stato trasformato in un gatto nero, avevano riacquistato la
loro forma umana, ma al levarsi del sole, tornavano ad essere un rapace ed un felino.
Ogni mese la magia si ripeteva e Keiji e
Kenma si erano accorti e i due uomini non ricordavano, fatti o persone o luoghi…
la loro memoria stava svanendo, senza uno schema preciso.
Kotaro aveva chiesto a Keiji di condividere le
informazioni con gli altri Clan e così avevano scoperto che il Principe non
aveva mai ripreso la sua vera forma, mai nemmeno una volta.
Satori era stato rinchiuso nelle segrete del Castello,
ma a quando dicevano le guardie era impazzito del tutto e non collaborava in
nessun modo.
Ogni mese al sorgere della luna piena
Wakatoshi visitava Tooru e restava con lui tutta la notte, ma il principe nella
sua forma vegetale non lo sentiva e non lo vedeva.
Hajime, invece, vegliava sul Tooru ogni
giorno, silente e devoto.
La mano grande di Kotaro aveva ripreso a
sforargli il corpo e trascinarlo nuovamente al presente.
“Nella disgrazia almeno noi abbiamo questo”
gli disse, mentre la sua mano scendeva inesorabile verso il basso e Keiji
annuiva inarcandosi, permettendogli di farlo ancora suo. Kotaro lo amò
lentamente prolungando il più a lungo possibile quell’amplesso, facendolo
sdilinquire in gemiti e suppliche, ma quando il mago raggiunse l’orgasmo per la
terza volta in quella notte, i suoi occhi si riempirono di lacrime e i singhiozzi
gli sconquassarono il petto e a nulla valsero le parole, i baci e le carezze
del suo uomo per consolarlo.
***
Il giovane mago aprì gli occhi, si mosse a
disagio, si era infine addormentato, allungò la mano e il lato del letto era
vuoto e freddo. Si mise a sedere le fiamme languivano nel camino colmo di
cenere.
Un alito di vento gelido gli fece voltare il
capo, Kotaro era ancora lì, l’alba non era ancora sorta, ma non mancava molto
lo sapevano entrambi.
L’uomo aveva aperto la finestra e le imposte
e se ne stava lì, in piedi, nella sua gloriosa nudità a sfidare il gelo.
“Kou…” mormorò Keiji scivolando fuori dal
letto, percorse il breve tratto che lo divideva dall’altro, pressando il suo corpo
nudo sulla schiena cesellata dell’altro, anche per quella notte il loro tempo si
era esaurito, ed iniziava una altro lungo e solitario mese di ricerche.
Kotaro si volse nell’abbraccio e afferrò la
vestaglia di broccato e pelliccia abbandonata sul baule e avvolse il corpo del
compagno “Vestiti o prenderai freddo…” mormorò teneramente, facendogli
indossare l’indumento e baciandogli ancora le labbra, mentre alle sue spalle l’aurora
faceva capolino e, nell’abbacinate luce bianca Kotaro scompariva e al suo posto
si trovava un maestoso gufo, dal piumaggio bianco e marrone.
L’animale piegò la testa e fissò l’uomo davanti
a sé che gli sorrideva tra le lacrime.
“Troverò una soluzione, amore mio, te lo
prometto” giurò una volta di più, mentre il rapace balzava sul davanzale,
ruotava la testa ancora una volta verso di lui e poi spiccò il volo, verso la
foresta imbiancata e gelida.
---
Note dell’Autrice.
Le AU non sono proprio il mio forte, ma
ogni tanto provo a cimentarmi anche in questo genere. Questa storia mi frulla
in testa da un bel po’ di tempo e finalmente l’ho scritta. Doveva essere uno
one shot, ma scrivendo mi sono resa conto di aver messo su tanta carne al
fuoco, quindi è probabile che scriverò altro in questo universo alternativo
fantasy.
Grazie a chi è arrivato fino a qui e ha
voglia di dire la sua.
Un ringraziamento dovuto e speciale a
Musa, lei a perché!
A presto.
Un Kiss
Bombay
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Capitolo 2 *** Aquile, amori ed anatemi ***
Aquile, amori ed anatemi
Challenge: “La ruota
dell’anno - Imbolc” organizzata dal gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”
Prompt: “Vivere come volare, ci si può
riuscire soltanto poggiando su cose leggere” (Brunori Sas)
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Tipo: one shot
Personaggi: Tooru Oikawa, Hajime
Iwaizumi
Coppia: yaoi
Rating: PG-13, giallo
Avvertimenti: AU, angst, lime
PoV: terza persona
Disclaimers: i personaggi non sono
miei, ma di Haruichi Furudate.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.
Aquile, amori ed
anatemi
Il fuoco nel camino crepitava allegramente,
illuminando con la sua luce rossastra, la stanza dove una grande letto a
baldacchino la faceva da padrone.
“Te ne vai di già?” mormorò la calda voce del
giovane principe, steso a pancia in giù sul morbido materasso di piume, il lenzuolo
gli copriva i lombi, mentre sulla sua schiena candida e muscolosa, spiccavano i
segni rossi lasciati dalle dita e dai denti del suo focoso amante.
“La campana ha battuto il cambio della
guardia…” rispose il giovane capitano infilandosi le brache armeggiando con solerte
efficienza sui lacci che le chiudevano.
Il principe sospirò stiracchiandosi come un
gatto, il corpo ancora dolorante per l’amplesso appena consumato eppure quella
notte avrebbe voluto che non finisse mai, perché il giorno seguente tutto
sarebbe cambiato, la sua vita sarebbe stata stravolta, anche se aveva fatto di
tutto per impedirlo.
“A te va davvero bene così, Hajime?” domandò
mettendosi a sedere, il lenzuolo scivolò con un fruscio sulla sua pelle chiara,
il soldato strinse con forza le fettucce della camicia, sapeva bene a cosa si
stesse riferendo.
“No, non mi sta bene, ma non posso mettermi
contro il re, tuo padre, e le sue scelte. Non puoi tu, figurarsi io”
“Rapiscimi e portami lontano” propose alzandosi
in piedi andando verso la finestra e spalancandola, l’aria fredda entrò nella
camera, facendo rabbrividire il soldato.
“Dicono ci sia una terra oltre i mare, dove
potremmo vivere senza preoccuparci di quello che vuole la gente, il Clan, mio
padre…”
“Non andremmo da nessuna parte, ci
riprenderebbe ovunque noi ci nascondessimo, ci metterebbero alle costole i Segugi.
Saremmo entrambi traditori e partiremmo le pene dell’inferno e non voglio
questo destino per te”
Il principe posò le mani sul davanzale, il
gelo gli attanagliava la carne nuda, ma non gli importava, se si fosse ammalato
avrebbe potuto guadagnare qualche altro giorno.
“Qualunque destino sarebbe migliore di quello
a cui sto andando incontro…” sussurrò stringendo i pugni.
“Tooru…”
“Non voglio andare al Clan delle Aquile, non
voglio essere il consorte di Wakatoshi, permettere al suo mago rosso di appormi
il Sigillo sul ventre e mettere al mondo i suoi eredi” sibilò furente guardando
la luna, che il giorno seguente sarebbe stata piena.
“Preferirei pugnalarmi il grembo piuttosto…”
sentenziò.
“Tooru”
Il soldato lo aveva avvolto in una veste da
camera foderata di pelliccia morbida, stringendolo tra le braccia, baciandogli
la base del collo.
“Nemmeno per me saperti lontano e con un altro
sarà facile, ma sei il figlio del re, il tuo destino è questo dal giorno in cui
sei nato” cominciò facendolo voltare verso di sé “Quello che abbiamo vissuto
fino ad ora è stato un dono…” proferì baciandogli le labbra dolcemente, sarebbe
stato davvero difficile separarsi dal suo unico amore, ma le leggi parlavano
chiaro.
Il secondo genito della casata del Castello,
al compimento della maggiore età, doveva essere destinato ad un altro Clan ed
unirsi con il Sacro Vincolo al primo genito di quel Clan, maschio o femmina che
fosse, vecchio o giovane.
Wakatoshi aveva la stessa età di Tooru, forte
e aitante, dalle poche volte in cui lo aveva visto, Hajime si era subito
accorto dell’interesse dell’Aquila Bianca nei confronti del suo principe, che al
giovane piacesse o meno, poteva ritenersi fortunato.
“Non posso farcela senza di te Hajime, non
posso…” mormorò ridestandolo dai suoi pensieri.
“Sei più forte di quello che tutti credono,
sei orgoglioso e testardo, tirerai fuori il meglio da questa situazione”
“Vorrei essere un uccello e volare lontano e
non tornare mai più” bisbigliò con lo sguardo lontano.
“Vivere è come volare, ci si può riuscire
soltanto poggiando su cose leggere” tentò di rasserenarlo Hajime, ma Tooru
scosse la testa “La mia vita pesa come un macigno e mi ancora a terra, anzi mi
fa sprofondare sempre di più”
Hajime lo ricondusse al letto “Resta ancora con me”
lo pregò scrollandosi di dosso la veste da camera, quando il soldato lo spinse
a sdraiarsi.
“Non posso il mio turno di guardia è iniziato
già da un po’, non posso assentarmi, desteremo sospetti e l’ira di tuo padre
sarebbe tremenda se sapesse di noi”
La risata secca e priva di allegria riempì la
stanza “Come può credere che sarei rimasto vergine fino alla maggiore età” gli
sussurrò sulle labbra trascinandolo sopra di sé.
“È la nostra ultima notte Hajime facciamo che
sia indimenticabile…” lo supplicò gli occhi lucidi dalle lacrime trattenute a
stento.
“Tooru…”
Il giovane non era mai riuscito a dire di no
al suo principe fin da quando erano bambini e giocavano insieme e poi crescendo,
quando i loro ruoli si erano definiti era stato ancora più difficile.
“Ti prego”
Un bisbiglio nell’orecchio, il fiato caldo
che lo accarezzava, il corpo nudo contro il suo, le agili dita del principe che
gli aprivano la camicia e la spingevano oltre le sue spalle possenti.
“Ovunque tu sarai io ti amerò sempre…”
promise sdraiandosi sopra al giovane.
***
Quando il capitano delle guardie aveva
lasciato la sua stanza da letto, Tooru non era riuscito a chiudere occhio, continuava
a rimuginare su quello che sarebbe successo il giorno seguente.
Detestava quella situazione, la odiava con
tutto sé stesso, suo padre non vedeva l’ora di liberarsi di lui lo sapeva bene;
le redini del Castello le avrebbe cedute a sua sorella che aveva già un erede,
non c’era posto per lui, non c’era mai stato, non in quel Clan, non in quella famiglia.
L’unico che si preoccupava davvero per lui
era Hajime, nonostante Tooru fosse il figlio del re, il soldato non lo aveva
mai trattato come tale, anzi erano più le volte che lo insultava e lo
sbeffeggiava, ma quando aveva bisogno di lui c’era sempre e ogni giorno di più erano
diventati prima amici, poi l’amicizia si era trasformata in affetto profondo e
poi in amore. Un rapporto così simbiotico che Tooru si sentiva male al solo
pensiero di doverlo recidere, per mere questioni politiche.
***
Il principe osservava dalla finestra le
persone arrivare per quella maledetta cerimonia, a praticamente pochissime di quegli
individui importava davvero erano solo lì, perché suo padre era il re, molti
erano spinti dalla curiosità di vedere che cosa avrebbe combinato il suo secondo
genito.
Un gruppo di soldati stava chiacchierando nel
cortile e Tooru sorrise nello scorgere Hajime insieme ai suoi inseparabili amici,
Kotaro e Tobio rispettivamente del Clan dei Gufi e dei Corvi, non potevano
essere più diversi il primo chiassoso e buontempone, l’altro taciturno e serio.
Aguzzò la vista nello scorgere arrivare anche
i Gatti, dal loro insolente e sornione primogenito Tetsuro, che trascinava
letteralmente dalla collottola un apprendista mago, che dall’aria annoiata non
ne voleva sapere di essere lì, e come dargli torto dopo tutto. A chiudere era
arrivato un altro giovane apprendista, che se non ricordava male era un Gufo.
Si approssimarono tutti al gruppo di soldati, parlando e ridendo solo Hajime
era cupo in viso.
Pochi istanti dopo arrivarono anche i rappresentanti
del Clan delle Aquile, Wakatoshi camminava solenne, il volto serio e squadrato,
privo di espressione, chissà che gli passava per la testa, si chiese Tooru una
volta di più, ma da quel poco che lo conosceva, sicuramente aveva preso tutta
quella faccenda come un dovere e nulla di più.
Il giovane era tallonato da un mago, che
agitò la mano in direzione degli altri apprendisti poco distanti, ma a quanto
pareva non doveva essere nelle loro grazie perché si limitarono a fargli un piccolo
cenno con il capo.
Un bussare deciso lo fece trasalire e pochi
istanti dopo sua sorella entrò nella stanza “Sei pronto?”
“No, ma a te che importa?” domandò fissandola
torvo.
“Devi smetterla di opporti al tuo destino,
Tooru, soffrirai e basta se continui così” seguendo lo sguardo del fratello.
“Lui non è al tuo livello”
“Sta zitta, Hajime è quello che di meglio mi
è capitato nella vita” sibilò “Ora vattene, scenderò tra un minuto”
Quando la donna lo lasciò solo il principe aprì
un baule, ne estrasse uno stiletto e lo nascose sotto i vestiti.
***
Il tempo si trascinava lento, mentre la sala
del trono si riempiva e ad uno ad uno venivano presentati i Clan, elencandone
le caratteristiche principali.
Tooru teneva lo sguardo fisso davanti a sé,
cercando di restare imassibile a quella inutile farsa era già stato tutto
deciso mesi prima, che la facessero finita e basta.
Wakatoshi fu l’ultimo e Tooru si sentì scrutato
dai suoi occhi verdi, detestava quella sensazione, essere trattato alla stregua
di merce da scambio, peggio di una mucca.
“Sono lieto di annunciare, che mio figlio Tooru
si unirà al Clan delle Aquile” proferì suo padre a gran voce voltandosi verso
di lui che doveva accettare formalmente; si alzò in piedi, tutti i presenti
attendevano le sue parole.
“Mi unirò al Clan delle Aquile” iniziò
fissando Wakatoshi negli occhi “Ma a una condizione” aggiunse, un brusio perplesso
si levò dagli astanti, Tooru poteva sentire lo sguardo furente di suo padre
bruciare quasi la sua pelle, si volse a sfidare il genitore “Hajime verrà con
me” disse risoluto, un clamore si alzò dalla sala. Il re sollevò la mano
mettendo tutti a tacere fissando il figlio che proseguì: “Ho bisogno di
qualcuno che mi protegga dagli intrighi e di cui possa fidarmi ciecamente, e il
capitano è l’unico in cui metterei nelle sua mani la mia vita” argomentò spostando
lo sguardo castano sul capitano che lo fissava a bocca aperta, per poi tornare
a guardare il padre.
“E sia” acconsentì a denti stretti il re con un
cenno del capo, mentre anche il capo Clan delle Aquile annuiva battendo un
colpo sulle spalle possenti del figlio.
“Capitano!” lo chiamò il re riscuotendo il
giovane dalla sua sorpresa.
“Seguirai e proteggerai mio figlio a costo
della tua vita, in qualunque luogo lui vada” ordinò solenne.
“Lo seguirò e lo proteggerò!” giurò
solennemente inginocchiandosi al cospetto di padre e figlio, con il cuore in
tumulto, non poteva credere a quella svolta, Tooru non gliene aveva parlato.
***
“A te sta davvero bene così, Waka?” domandò
un giovane dai capelli rossi al fianco della Aquila Bianca che seguiva ogni
singolo movimento del principe che in quel momento stava conversando con due Gufi…
sorrideva, ma era solo una smorfia di convenienza il sorriso non giungeva agli
occhi. Chiunque in quella sala con un po’ di sale in zucca si rendeva conto che
Tooru non era felice e la stessa infelicità si leggeva negli occhi del capitano
delle guardie.
Satori schioccò la lingua, giocherellando con
il fondo della cintura, sogghignando divertito.
“Ohhh il principe Tooru si porta dietro il
suo fedele cagnolino e scaldaletto…” cantilenò con un sorriso sghembo, ma Wakatoshi
al suo fianco non reagì in alcun modo.
“È sfacciato e arrogante fino in fondo, cosa
farai quando lo troverai nel suo letto, e questo accadrà molto spesso…”
“Me ne occuperò se accadrà” rispose serafico
seguendo con lo sguardo i movimenti di Tooru che conversano amabilmente con tutti.
“E cosa farai, lo passerai a fil di spada?”
domandò leccandosi le labbra. “Gli taglierai la gola, davanti al principe, ne
avresti tutto il diritto…”
“Sta zitto, Satori. Non immischiarti in fatti
che non ti riguardano”
Il giovane mago sibilò il proprio disappunto
quando c’era di mezzo il principe del Castello, Wakatoshi non ragionava
lucidamente.
Da quando si erano incontrati anni prima, Wakatoshi
era stato stregato, ammaliato da quel ragazzo dai grandi occhi castani e dal sorriso
seducente. Quando aveva saputo che il giovane doveva scegliere in quale Clan andare,
Wakatoshi aveva chiesto esplicitamente al padre di candidare il loro Clan e che
avrebbe desiderato avere il giovane al suo fianco per i giorni a venire.
Satori ci era rimasto di sasso, non credeva che
il suo signore si potesse invaghire di ragazzino arrogante e saccente.
Aveva sempre sperato che la maestosa Aquila
Bianca lo avrebbe notato, si era fatto in quattro alla scuola di magia, era tra
i migliori, anche se c’era quel maledetto Gufo che era sempre un passo avanti a
lui. Aveva tentato in tutti i modi di attirare l’attenzione di Wakatoshi, ma
aveva fallito miseramente. E ora il principe sarebbe entrato anche nel suo
letto… questo non poteva permetterlo.
***
Il banchetto stava procedendo per il meglio
nella grande sala allestita a festa, Tooru lasciò la sala seguito a ruota da
Hajime.
“Cosa ti è saltato in mente, Tooru?” domandò
quando furono soli nella grande sala.
“Ci ho pensato tutta la notte… non
sopravvivrei un giorno da solo in quel posto, li hai visti come mi guardano?”
mormorò “Mi dispiace, avrei dovuto parlartene, ma…”
Hajime lo strinse a sé, Tooru stava tremando,
non doveva essere stato facile sfidare il padre in quel modo e l’esito era
davvero incerto.
“Devi tornare di là” gli disse ma Tooru cercò
la sua bocca, ne aveva davvero bisogno.
“Ma guarda un po’ che cosa abbiamo qui…” la
voce di Satori riecheggiò sulle pareti facendo sobbalzare i due giovani.
Pochi istanti dopo altre persone arrivarono
nella sala attirati dalla voce del mago.
Wakatoshi scoccò una occhiata ai due giovani,
la mano di Hajime stringeva nelle sua quella di Tooru.
L’Aquila Bianca in due passi raggiunse il
principe e lo afferrò per un braccio trascinandolo lontano, Tooru trattenne il
fiato, la stretta era ferrea e gli stava facendo male, ma erano i suoi occhi
arrabbiati a spaventare davvero il giovane.
“Non mi toccare!” la voce di Tooru aveva
sovrastato il brusio della stanza, un piccolo gruppo di persone si erano allontanate
dalla sala grande.
“Qualunque cosa ci sia tra voi, finisce
questa notte” sibilò ad un palmo dal viso di Tooru che si divincolò dalla sua
stretta.
“Verrà con noi, ma se lo trovo nel tuo letto giuro
che lo uccido” gli promise.
Wakatoshi fissava Tooru, uno difronte l’altro,
era la prima volta che vedeva l’altro ragazzo infervorarsi per qualcosa.
“D’ora in avanti sarai…”
“Non sono di tua proprietà, hai capito?” urlò
furente Tooru, stringendo i pugni tanto forte da fare sbiancare le nocche.
“Come siamo capricciosi…” lo schernì Satori
affiancando Wakatoshi “Posso metterlo a tacere per un po’ se vuoi?” propose muovendo
la mano e la punta delle sue dita presero a brillare.
“È la notte perfetta per apporre un Sigillo…”
proseguì, ma Wakatoshi sollevò la mano mettendolo a tacere.
Il suo viso si rilassò, la sua espressione
tornò quieta e impassibile e con voce monocorde proferì: “Benvenuto nel Clan
delle Aquile, principe Tooru, aspetterò che sia tu a farti avanti…”
Tooru spalancò gli occhi “Non accadrà mai!
Mai!” gridò e rimase sorpreso nel vedere il piccolo sorriso che piegò le labbra
dell’altro giovane, che con due passi lo raggiunse e gli prese in mento tra le
mani fissandolo negli occhi.
“Accadrà prima o poi…” sentenziò, mentre Tooru
chiudeva gli occhi e le lacrime scivolarono sulle sue guance.
“Mai” rispose e fu questione di un attimo e
il baluginio di una lama spuntò da sotto la sontuosa veste del principe, ma
prima che l’arma incidesse la pelle dell’Aquila. Un incantesimo si librò nell’aria,
parole antiche dimenticate da molti, difficili per un apprendista mago.
“Satori, smettila!” intimò Wakatoshi,
riconoscendo l’antica lingua della sua gente, ma da quel poco che sapeva della
magia, quando un incantesimo era stato pronunciato, interromperlo sarebbe stato
più disastroso del sortilegio stesso, ma a quanto pareva queste semplici
nozioni non erano note a tutte.
Colto dal panico nel vedere il suo principe
in difficoltà Hajime si avventò sul mago, che ancora salmodiava una misteriosa
cantilena.
Spingendolo il mago a terra con il pugnale
alla gola, osservando la luce avvolgere il principe che sembrava paralizzato,
la bocca spalancata in un gridò muto.
Una luce immensa e potentissima avvolse tutta
la sala, accecando e stordendo tutti.
***
Hajime sbatté le palpebre confuso, mille
piccole luci gli danzavano davanti agli occhi, la prima cosa che sentì fu la folle
risata del mago, che seduto sul pavimento indicava un rigoglioso albero al
centro della sala.
Il capitano richiamò al suo fianco i suoi compagni
ma al suo ordine si accostò a lui solo Tobio.
“Dov’è Kotaro?” domandò al più giovane che
scosse la testa confuso “Non lo so, c’era solo un mucchio di abiti e la sua armatura
al mio fianco”
“Che cosa hai fatto, bastardo?” urlò afferrando
il mago per la veste ricamata, ma questi lo fissava con astio e un sogghigno.
“Dov’è Wakatoshi?” domandò scrollandolo solo
allora l’espressione del mago mutò guardandosi intorno con affanno, vedendo gli
abiti dell’Aquila Bianca a terra, spalancò gli occhi prendendosi la testa tra
le mani “No… no… no…” cantilenò raggiungendo gli abiti ed afferrando la veste
porpora, oscillando avanti ed indietro.
Con il cuore in gola Hajime lanciò uno sguardo
alla sala vide, in ginocchio sul pavimento, Keiji, il compagno di Kotaro, a
passò svelto gli si avvicinò.
“Conosci questo incantesimo?”
Ma il giovane scosse la testa.
“Dov’è Tooru?” bisbigliò anche se aveva un
terribile dubbio, trasalì nel sentire qualcosa sfiorargli la gamba, un
bellissimo gatto dal lucido manto nero gli si stava strusciando addosso.
“Li ha trasformati in animali”
Hajime si voltò nella direzione della voce, mentre
il gatto saltò in grembo al ragazzino seduto a terra, che prese ad accarezzargli
la testa.
“Cosa?” mormorò Hajime, mentre un gufo planava
accanto a Keiji che lo fissava incredulo.
“Puoi invertire l’incantesimo?” domandò con
apprensione.
Il mago scosse la testa “Non so nemmeno di
che sortilegio si tratta, ma…” mormorò Keiji guardando in direzione di Satori
che stringeva la veste di Wakatoshi, sul suo viso un’espressione del tutto
assente.
“Arrestate, Satori, apprendista mago del Clan
delle Aquile” gridò ed in quel momento il re fece il suo ingresso nella sala
tutti ammutolirono e il capitano delle guardie spiegò a sommi capi quello che
era accaduto.
Lentamente ad uno ad uno tutti lasciarono la
sala, rimasto solo Hajime si approssimò all’albero, posò la mano sulla
corteccia ruvida, era calda al tatto.
“Tooru…” bisbigliò posando la fronte sul
tronco “Tooru” ripeté mentre calde lacrime presero a bagnarli il viso.
“Troverò una soluzione, te lo giuro” bisbigliò
posando le labbra sul legno profumato.
Un fruscio tra le fronde lo fece sobbalzare
che Tooru potesse comunque sentire la sua voce, che comprendesse le sue parole?
Nuovamente il fruscio delle fronde, la sala
era deserta e le prime luci dell’alba facevano capolino dalle finestre.
Hajime aguzzò la vista tra i folti rami
rigogliosi di foglie vide qualcosa… sospirò pesantemente scuotendo la testa,
intravedendo una rapace dal piumaggio candido, dal cipiglio fiero e torvo.
Con un poderoso colpo di zampe il predatore
spiccò il volo, e planò sulla spalla del capitano piantandogli gli artigli
nella carne. Lanciò un fischiò acuto e dolente aprendo le grandi ali candide.
Hajime chinò il capo in avanti… l’anatema di
Satori aveva fatto un disastro e a quanto sembrava nessuno sapeva come
rimediare, non nell’immediato futuro, nonostante tutti i loro sforzi quella notte
aveva comunque perso Tooru.
L’aquila spiccò nuovamente il volo girando un
paio di volte all’interno della grande sala, per poi uscire nell’abbacinante
alba.
---
Note dell’autrice
Ecco un secondo capitolo che non doveva
esistere, ma tant’è.
Si prosegue con questa AU fantasy
Grazie a chi è giunto fino a qui e un
ringraziamento a Musa che mi da una mano quando sono colta da i mille dubbi!
Alla prossima
Un Kiss
Bombay
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Capitolo 3 *** Abbraccio ***
Abbraccio
Challenge: “La ruota
dell’anno - Ostara” organizzata dal gruppo Facebook “L’angolo di madama Rosmerta”
Prompt: “Quando sentiamo il bisogno di
un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo” (Emily Dickynson)
Genere: fantasy
Tipo: one shot
Personaggi: Keiji Akaashi, Kenma Kozume
Coppia: yaoi
Rating: PG, verde
Avvertimenti: AU, angst
PoV: terza persona
Disclaimers: i personaggi non sono
miei, ma di Haruichi Furudate.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.
Abbraccio
Un tocco leggero sulla sua spalla, lo fece
ridestare dal torpore nella quale era caduto, sollevò la testa sbattendo le
palpebre un paio di volte per schiarirsi la vista e mettere a fuoco il volto
sorridente di un mago di secondo grado.
“È molto tardi Keiji” lo rimproverò bonariamente
Koushi che teneva in mano una lanterna.
“Chiedo scusa” rispose alzandosi, aveva
spalle e collo indolenzite per la posizione, le dita sporche di inchiostro,
radunò in fretta e furia le pergamene e i libri sparsi per il tavolo della
biblioteca.
L’altro mago lo fissava pensieroso,
osservando i fogli, sapeva quali ricerche stesse facendo il più giovane e anche
che fino a quel momento non aveva fatto grandi progressi.
“Ho sentito dire che il principe non riassume
la sua forma umana con la luna piena” mormorò per spezzare quel pesante
silenzio, raccogliendo da terra una pergamena caduta al giovane.
“Lo so… ma temo che più passa il tempo, più
anche i nostri amici finiranno per restare nella loro forma animale per sempre…”
rispose tristemente; ogni mese che passava era sempre più difficile.
Stranamente però Daichi che serviva presso il corpo di guardia del re, non era
stato coinvolto da quell’incantesimo, nonostante fosse il figlio del capo clan
dei Corvi.
Koushi si avvicinò ad uno degli innumerevoli
scaffali, con un dito sfiorò il dorso di vari libri fino a quando non trovò
quello che cercava e lo porse a Keiji, che lo fissava con un sopracciglio
alzato, conosceva quel testo, ma erano solo leggende, non lo aveva preso minimamente
in considerazione.
“Sai nel Clan dei Corvi viene raccontata una
storia: una volta, tantissimo tempo fa, eravamo tutti animali e che poi grazie
alla magia abbiamo preso sembianze umane”
“È solo un racconto per far addormentare i
bambini…” mormorò prendendo ugualmente il libro.
“Forse, ma magari c’è un fondo di verità, io
non lo escluderei” rispose continuando a sorridere.
Il più giovane annuì e, seguito dal Corvo,
lasciò la biblioteca.
Anche se era molto tardi Keiji non aveva voglia
di dormire, gli sembrava di perdere tempo e che ogni momento che passava lo
allontanava sempre di più da Kotaro.
Aprì il testo che gli aveva dato l’altro mago
e sospirò, conosceva anche lui quella storia, sua madre gliela raccontava
spesso quando era bambino.
Sfogliò distrattamente le pagine, scritte
fitte fitte e con dei meravigliosi disegni, ma di quella leggenda restavano
solamente la suddivisione dei Clan e l’animale che era diventato il simbolo
araldico di ogni fazione.
Appuntò lo sguardo su una illustrazione e
lesse le note a margine a bocca aperta, erano degli appunti scritti da
qualcuno, non poteva credere a quello che stava leggendo, ma qualcosa si strusciò
contro la sua gamba facendolo trasalire, rendendosi conto pochi istanti dopo
che era solo Tetsuro.
Il gatto nero sembrava agitato, continuava a
miagolare e strusciarsi sulle sue caviglie.
“Che c’è?” domandò prendendolo in braccio
accarezzandogli la testa e facendo i grattini sotto al suo muso, ma l’animale
si divincolò fino a quando il mago fu costretto a lasciarlo andare.
Lo osservò avvicinarsi alla porta e grattare
con vigore il legno scuro, Keiji aprì il battente e il gatto scivolò fuori aspettando
fermo immobile al centro del corridoio, il mago lo seguì fino alla porta di
Kenma.
Il giovane entrò e si avvicinò al letto,
mentre il felino lo anticipava e miagolava senza sosta.
Il fuoco nel camino si era spento, la stanza
era gelida.
Keiji buttò dei ciocchi nel focolare e con una
parola accese il fuoco che prese a crepitare e riscaldare l'ambiente.
Kenma dormiva raggomitolato sul letto e Tetsuro
lo raggiunse leccandogli la mano abbandonata sul cuscino accanto al viso. A Keiji
si strinse il cuore Kenma era un ragazzino taciturno e schivo, intelligente e
arguto fuori misura, ma non socializzava con gli altri apprendisti e da quando Tetsuro
era stato trasformato in gatto ancora meno, si era chiuso ancora di più in se
stesso, passava ore sui libri e giocava incessantemente con un gioco di logica,
dove bisognava far passare un anello, in altri anelli, apparentemente non era
fattibile, ma in una determinata sequenza si riusciva a sfilare il cerchio principale
dagli altri.
Nonostante lo avesse fatto una infinità di
volte, lo ricominciava da capo in continuazione e Keiji sapeva fin troppo bene perché,
quel gioco glielo aveva regalato Tetsuro.
Il ragazzino socchiuse gli occhi, mentre il gatto
nero gli si raggomitolava addosso e Kenma prendeva ad accarezzargli il pelo
lucido.
“Mi manca tanto” mormorò stringendosi nelle
spalle e a quelle parole la bestiola sollevò il muso e gli leccò la guancia.
Keiji abbassò lo sguardo lo comprendeva
benissimo, nella sua forma animale Tetsuro gironzolava sempre per la torre,
ogni notte si acciambellava accanto all’amico e compagno di studi.
A differenza sua, Kotaro viveva nella foresta
poco distante, raramente si avvicinava alla torre, Keiji doveva accontentarsi
del bubolare lontano del gufo ed attendere la luna piena per poter trascorrere
qualche ora con lui.
“Lo so…” mormorò sedendosi sul bordo del
letto “Che cosa faccio se…”
Ma Keiji lo zittì con un’occhiata “Troveremo
una soluzione…”
Kenma lo fissò con occhi liquidi e grandi… “Keiji…”
bisbigliò abbassando lo sguardo “Puoi restare qui… per un po’…”
Il giovane annuì stendendosi al suo fianco.
“Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio,
dobbiamo correre il rischio di chiederlo” gli disse, sapeva quanto Kenma fosse restio
a farsi toccare ed abbracciare, ma era chiaro che in quel momento ne aveva un
disperato bisogno.
“Abbracciami” bisbigliò e Keiji lo
accontentò, cingendogli la vita con un braccio e facendolo poggiare contro il
proprio petto.
Tetsuro li fissava con i suoi magnetici occhi
gialli e sbadigliò soddisfatto, iniziando a fare le fusa, sotto le costanti carezze
di Kenma che andarono ad affievolirsi ogni momento che passava.
Keiji si era ripromesso di alzarsi appena l’altro
si fosse addormentato, ma la stanchezza lo sopraffece e cadde in un sonno profondo
e sognò di essere stretto in un caldo e confortante abbraccio del suo Kotaro.
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Capitolo 4 *** Il Clan delle Volpi ***
Challenge: “La ruota
dell’anno - Beltane organizzata dal gruppo Facebook “L’angolo di madama Rosmerta”
Prompt: “Ti ricordi di me?/Abbiamo fatto
scintille/Io mi ricordo, lo sai/Pensavo fosse amore/e invece erano guai” - (Gazzelle)
Genere: fantasy, romantic, erotico
Tipo: one shot
Personaggi: Keiji Akaashi, Kotaro Bokuto,
Coppia: yaoi
Pairing: BokutoXAkaashi
Rating: NC-17, rosso
Avvertimenti: AU, lemon,
angst
PoV: terza persona
Disclaimers: i personaggi non sono
miei, ma di Haruichi Furudate.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.
Il Clan delle Volpi
Si era allontanato dai festeggiamenti… non
riusciva proprio a vedere tutte quelle persone felici, molte delle quali si appartavano
per fare l’amore… quella notte sarebbero nate unioni, sarebbero stati apposti
sigilli e tra nove mesi sarebbero nati i frutti di quei legami, di quei vincoli,
di quegli amori.
Se chiudeva gli occhi poteva sentire il
respiro caldo contro il suo orecchio… Kotaro che ansimava mentre lo possedeva durante
una di quelle feste, tanti anni prima, erano ancora adolescenti all’epoca e gli
chiedeva se un giorno avesse voluto il suo sigillo… avere un erede con lui…
“Lo voglio…” si trovò a mormorare oggi come
allora sugellando quella promessa con un bacio, mentre in quel momento si
posava le mani sul ventre, ma finché il giovane soldato restava prigioniero del
sortilegio quella promessa non si sarebbe mai avverata.
Prese a camminare a passo svelto nella foresta,
tentando di fuggire dai ricordi, dalle speranze e dalla sofferenza che provava
ogni giorno di più.
Il bubolare di un gufo gli fece comprendere
che Kotaro lo stava seguendo, ma questo non lo faceva sentire meglio, anzi la
luna piena era stata solo una settimana prima e Keiji portava sul corpo i segni
di quello che era accaduto.
Il sole era tramontato lasciando spazio
alla luna che riluceva alta nel cielo, Keiji aveva aperto la finestra, l’aria
era ancora fresca, ma non più pungente la primavera stava prendendo il posto
dell’inverno, Quella notte di Kotaro nessuna traccia, non si era appalesato sul
davanzale al quale il giovane mago si sporse per guardare verso il basso, ma
del gufo trasformato in uomo non vi era segno.
Afferrò il mantello ed uscì dalla
stanza recandosi prima in quella di Kenma trovandolo seduto sul letto insieme a
Tetsuro che aveva abbandonato la forma felina.
Con il cuore in gola lasciò la torre
di magia, addentrandosi nella foresta, ma Kotaro poteva essere ovunque.
Con un semplice incantesimo creò una
piccola luce che fluttuava leggera sopra la sua testa rischiarando l’oscurità
intorno a lui.
Mormorò a bassa voce un altro
incantamento usando una piuma che aveva conservato, una scia di luce lo
condusse verso la persona che stava cercando, nel folto della foresta, dove
nemmeno i raggi della luna rischiaravano la notte.
“Kotaro…” lo chiamò e l’uomo si volse
mentre al mago mancò il fiato nei polmoni.
Il giovane lo fissava con i suoi occhi
gialli dalle immense pupille nere, piegò la testa avvicinandosi di un passo, snudando
i denti.
“Kotaro…” ripeté incerto facendo un
passo indietro, non c’era nulla di umano in quello sguardo rapace, mentre gli
si avvicinava.
“Kotaro sono io… Keiji” bisbigliò indietreggiando
ancora, il corpo nudo e possente dell’uomo riluceva sotto la luce magica
prodotta dal mago, delle piume scure erano rimaste sulle sue spalle e sulle sue
braccia, mentre bloccava il più giovane tra sé ed un albero.
“Kotaro… ti ricordi di me?” ansimò
mentre sentiva gli occhi pizzicare e il soldato avvicinava il viso al suo collo…
ed inspirava forte il suo odore…
“Abbiamo fatto scintille” ansimò
sentendo la lingua del giovane sulla sua pelle prima, i suoi denti poi, in un
morso doloroso che fece gridare il mago, posando le mani sulle spalle nude dell’uomo,
ma Kotaro era sempre stato più forte di lui anche prima di quel maledetto
incantesimo.
“Io mi ricordo lo sai…” sussurrò ignorando
il dolore e il sangue che colava ad imbrattargli la tunica “Mi ricordo ogni
singola cosa…” aggiunse avvertendo le mani di Kotaro slacciargli la cintura insinuarsi
sotto le sue vesti.
“Pensavo fosse amore…” proseguì incapace
di opporsi, mentre calde lacrime presero a scivolargli sulle guance pallide, ma
a Kotaro non importava doveva soddisfare il suo desiderio animale che lo
spingeva verso di lui, poteva sentire quanto fosse eccitato; il gufo era a
caccia ed aveva trovato la sua preda.
“E invece erano guai” gemette… lasciandosi
voltare poggiando la fronte sulla corteccia scura dell’albero, aggrappandosi al
legno con le unghie per sostenersi ai poderosi e dolorosi assalti del compagno.
Continuava a ripetersi che Kotaro non
era in sé, che non si ricordava di lui, questa consapevolezza gli fece molto
più male delle spinte nel suo corpo.
Avvertiva il respiro roco e pesante, i
grugniti animaleschi, i morsi sul collo, le unghie piantate nei fianchi, sperava
ardentemente che con quell’amplesso si ricordasse di lui.
Perché era amore, quello che provavano
l’un per l’altro quando timidi ed impacciati si erano dichiarati e da quel
giorno nulla era cambiato, perché quando i gufi trovano un compagno è per
sempre, fino alla notte del sortilegio.
Eppure, Kotaro tornava sempre da lui,
ogni mese… ma quella notte si era smarrito, ma il suo corpo lo guidava verso di
lui nel modo più ancestrale e selvaggio.
L’uomo gli si piantò dentro un’ultima
volta, spingendolo contro il tronco dell’albero tremando violentemente mentre
si riversava nel corpo del mago.
“Kotaro…” lo chiamò ancora, ma era
inutile… era successo quello che temeva di più… dell’uomo che amava era rimasto
solo un simulacro vuoto.
Il respiro pesante del soldato gli risuonava
nell’orecchio, avvertiva il calore del suo petto contro la schiena attraverso i
vestiti, le sue mani gli artigliavano ancora i fianchi, mentre il suo sesso si
ammorbidiva e scivolava fuori.
“K-Keiji?”
Il mago spalancò gli occhi sentendo il
proprio nome, forse c’era ancora speranza, ignorando il dolore si volse,
guardandolo negli occhi che lo fissavano preoccupato e dolente.
“Mi riconosci?” domandò titubante
vedendolo annuire lentamente anche se era confuso, mentre con la punta delle
dita sfiorava il morso alla base del collo del giovane rendendosi conto di quello
che aveva appena fatto.
“Ti ho fatto del male…” bisbigliò e
nonostante Keiji scosse con forza la testa, tutto di lui urlava il contrario.
“Non riuscivo a fermarmi… sentivo il
tuo odore, il tuo calore, il battito frenetico del tuo cuore, un richiamo irresistibile”
mormorò posandogli una mano sul petto.
“Volevo solo unirmi a te, possederti,
farti mio e… l’ho fatto…” sussurrò mentre una lacrima scendeva sul suo viso.
“Perché non mi hai fermato?” lo interrogò
disperato afferrandolo per le spalle e lo vide trasalire; il mago conosceva
molti incantesimi, difensivi ed offensivi avrebbe potuto ucciderlo con uno
schiocco di dita invece…
“Abbracciami” sussurrò il più giovane
e l’altro lo avvolse nelle sue forti braccia e piansero insieme.
Perso nei propri pensieri non si era accorto
di avere fatto tanta strada, la foresta si era fatta più fitta il richiamo del
gufo sopra la sua testa, aveva sicuramente visto qualcosa che i suoi occhi
umani non vedevano.
Il mago avvertì un fruscio e pochi istanti
dopo qualcosa gli passò accanto, sembrava un furetto, ma scomparve nella vegetazione,
pochi istanti dopo una volpe saltò fuori da una siepe e si fermò a fissarlo per
un lungo momento, muovendo le orecchie mettendosi in ascolto.
Keiji sollevò il viso al fischio che emise il
gufo e lo vide scendere in fretta, doveva aver puntato una preda, nello stesso
momento avvertì una imprecazione e nel luogo dove pochi istanti prima c’era una
volpe, si trovava un ragazzo, che imbracciava un arco.
“Fermo!” urlò il mago quando si rese conto
che il nuovo venuto voleva tirare contro al suo gufo. Lo spinse di lato
facendogli mancare il colpo di molto poco, facendo spaventare il volatile e
facendolo volare via stridendo.
“Ehi” protestò il ragazzo divincolandosi
fissandolo perplesso.
“Non toccare quel gufo” intimò Keiji
mormorando un incantesimo, ma qualcosa lo colpì alla base della nuca, prima di
perdere i sensi vide un altro giovane identico al primo.
La testa gli pulsava impietosa, sbatté le
palpebre un paio di volte cercando di mettere a fuoco quello che aveva intorno,
delle voci gli giungevano ovattate.
Un viso entrò nel suo capo viso, i riccioli
neri gli ricadevano ai lati del volto dalla carnagione chiara, due occhi neri e
profondi, sulla fronte due piccoli nei.
“Per fortuna non lo hai ammazzato, Atsumu…”
lo rimproverò con voce dura, mentre Keiji seguiva lo sguardo dell’altro.
“Il suo famiglio stava quasi per mangiarti”
“Doveva prima prendermi… e sai per esperienza
che non è facile…” sogghignò “Comunque si sta riprendendo… per fortuna”
Keiji si mise a sedere massaggiandosi la nuca
trovandosi difronte a tre giovani che lo fissavano…
“Dov’è Kotaro?” chiese allarmato guardandosi
intorno, erano nello stesso punto dove aveva impedito ad uno dei due… sbatté le
palpebre confuso… i due giovani si assomigliavano in maniera spaventosa, solo i
loro occhi era diversi, uno li aveva grigi e l’altro color del miele.
“Il tuo famiglio è volato via…”
“Non è un famiglio…” mormorò, chi erano quegli
individui? Perché si trovavano nel folto della foresta?
“A no? Comunque, scusami, non volevo colpirti,
ma quando ho visto che ti sei mosso verso mio fratello, ho reagito”
“Già, senza riflettere a quanto pare…”
aggiunse l’altro.
“E quando mai pensa…”
“Ehi Omi guarda che sono qui… la prossima
volta…”
“Non ci siamo presentati loro sono Atsumu e Osamu,
io mi chiamo Kiyoomi”
“Keiji…”
Un fruscio li fece voltare tutti e una volpe
saltò sul sentiero.
“Scusa Rintaro abbiamo avuto un contrattempo…”
Keiji rimase a bocca aperta quando in un battito
di ciglia la volpe si trasformò in un altro giovane uomo avvolto in vesti
cremisi.
“Come hai fatto?” sussurrò il mago osservandolo
mentre si stringeva nel mantello, l’aria della notte si era fatta pungente.
“Dalle tue vesti sei un mago della Torre, non
vi insegnano a trasmutare?” domandò con fare annoiato.
“Fate parte del Clan delle Volpi…” bisbigliò
incredulo… non poteva crederci, il manoscritto che gli aveva dato Koushi
narrava che pochi clan avevano mantenuto la capacità di trasmutare a proprio
piacimento uno di questi era quello delle Volpi, ma era una comunità nomade si
spostava in continuazione, molti credevano che non esistessero nemmeno più, che
fossero rimasti per sempre nella loro forma animale.
“Andiamo o il nobile Shinsuke si adirerà se
non torniamo al campo…” mormorò Osamu tendendo la mano all’ultimo arrivato.
“Ohhh non questa notte… sarà impegnato anche
lui… lo sapete… ho sentito che Ojiro vorrebbe apporre il sigillo” sogghignò
Atsumu tuffando una mano nei ricci di Omi che lo fulminò con lo sguardo.
“Lo sai che è arrabbiato perché hai portato
una donnola con te…” ribatté Osamu con le mani sui fianchi.
“Certo, certo…”
“Posso venire con voi” domandò Keiji mentre
gli occhi di tutti si posarono su di lui.
“Vorrei parlare con il vostro capo clan…”
“Non so se sia la notte adatta” borbottò Osamu…
“Sai, come dire… la festa del raccolto… e…”
“Lo so, ma non so per quanto rimarrete in
questa zona ed io ho bisogno di parlare con lui. Il tempo a mia disposizione è
sempre più breve”
***
Tutto si era aspettato Keiji, tranne di
trovare a capo di quel clan un uomo così giovane, o almeno apparentemente
Shinsuke lo aveva fissato per un lungo
momento per poi spostare lo sguardo sui membri del suo clan.
I due gemelli e Rintaro erano intimiditi davanti
a lui e gli si rivolgevano con riverenza, tutta la spavalderia che avevano dimostrato
con lui era scomparsa.
Accanto al capo, in piedi al suo fianco vi
era un altro uomo, alto e possente, dalla pelle scura in netto contrasto con
quella color latte dell’altro.
“Vi allontanate dall’accampamento e ritornate
con due gufi…” li rimproverò con voce bassa e controllata, ma che vibrava di
autorità, senza distogliere i suoi occhi chiari dal viso di Keiji.
“Sparite… andate a godervi questa notte… Atsumu”
richiamò quando stavano per andarsene e il giovane si strinse nelle spalle
voltandosi lentamente “La donnola… dovresti mangiarla… non andarci a letto”
Il giovane avvampò fino alla punta dei
capelli ed annuì, mentre Shinsuke lo congedava con un gesto della mano.
Spostò la propria attenzione nuovamente su Keiji
e indicò al mago una stuoia “Siedi giovane mago, sei mio ospite questa notte…”
lo invitò.
L’altro si sedette ed attese, quell’uomo
emanava un’aura mistica e misteriosa.
“Non c’è nessun altro oltre a me…” iniziò ma
la Volpe sollevò la mano.
“Questo non è vero, un gufo sta sorvolando
questa zona da molto è inquieto e non è a caccia…”
“Kotaro…” sussurrò e, dopo pochi istanti,
come se lo avesse evocato, il gufo reale planò tenendo le grandi ali aperte per
un momento, per poi ripiegarle sul corpo.
Gli occhi di Shinsuke si assottigliarono
scrutando l’animale, l’uomo al suo fianco trattenne il fiato e si volse verso
il capo.
“Un maleficio è stato lanciato su quell’uomo”
disse solenne e Keiji annuì.
“Voi potete mutare a vostro piacimento… come
fate, che incantesimo usate…”
“Tutti noi dai tempi antichi possiamo mutare
naturalmente la nostra forma, c’è chi nei secoli ha scelto una piuttosto che l’altra
e chi come noi mantiene le entrambe…” spiegò prendendo da un cesto qualcosa che
lanciò a Kotaro e solo quando il rapace lo ebbe nel becco Keiji si accorse che
era un topolino.
“Sì, conosco la leggenda”
“Non è una leggenda” lo arrestò Ojiro con un
sorriso benevolo.
“Raccontaci la tua storia” lo invitò versandogli
del vino in un bicchiere, Keiji ne bevve un lungo sorso era dolce e tiepido,
sentì subito la testa leggera e senza esitazione alcuna prese a parlare.
Quando la sua voce si estinse, i due uomini annuirono
appena, mentre il mago accarezzava piano la testa del gufo, che era stranamente
quieto.
“Ogni maledizione può essere spezzata” asserì
Shinsuke e per la prima volta in quegli anni, Keiji sentì agitarsi in lui, un
barlume di speranza
“Ma c’è sempre un prezzo da pagare” aggiunse
Ojiro in tono greve.
“Sono disposto a versare qualunque tributo,
devo riportare Kotaro alla sua forma umana… prima che perda i suoi ricordi del
tutto e che la parte animale prenda il sopravvento…” mormorò stringendosi nelle
spalle ricordando cosa era accaduto solo poche notti prima.
“Sono parole ardite giovane mago… non sai
nemmeno cosa potresti perdere nel tentativo…”
“Non ha importanza… qualunque cosa per riportarlo
da me…”
Shinsuke si alzò gli sollevò il viso con due
dita e osservò gli occhi pieni di lacrime.
“Il tuo cuore è colmo di amore per lui…”
mormorò e Keiji annuì chiudendo gli occhi le lacrime rotolarono sulle sue
guance.
“In una notte come questa ci siamo scambiati
una promessa… un giorno ci saremmo legati ed io…” confessò non riuscendo a
completare la frase, ma i due uomini compresero.
“Resteremo in questo luogo per un po’… torna tra
due giorni… e ti insegnerò quello che posso, ma a una condizione… non rivelerai
a nessuno la nostra presenza e farai in modo che tutti quelli colpiti dal
maleficio vengano liberati” propose tendendogli la mano.
Keiji la prese e la strinse “Lo prometto…”
giurò sentendo dopo tanto tempo un calore nel petto.
Kotaro allargò le ali flette le zampe e si
alzò in volo con uno stridore Keiji lo guardò e quando abbasso nuovamente lo
sguardo si trovò in una radura, circondato solo dalla vegetazione e dal buio
della notte.
Era stato solo un sogno? Si tastò la nuca
aveva ancora il bernoccolo dato dal colpo di quel giovane, creò una luce e vide
sul dorso della propria mano il disegno della testa di una volpe stilizzata.
Era successo davvero, era reale, come reale
era la possibilità di spezzare il maleficio, avrebbe voluto correre alla torre
e dirlo a Kenma, risollevarlo dal suo stato di depressione, ma aveva fatto una
promessa ed aveva la netta sensazione che se l’avesse infranta tutti i suoi
sforzi sarebbero stati vanificati per sempre.
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