Plenilunio d'inverno

di Bombay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Plenilunio d'inverno ***
Capitolo 2: *** Aquile, amori ed anatemi ***
Capitolo 3: *** Abbraccio ***
Capitolo 4: *** Il Clan delle Volpi ***



Capitolo 1
*** Plenilunio d'inverno ***


Challenge: “La ruota dell’anno - Yule” indetto sul gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”

Prompt: Domani è lontano se mi ami ora (Baustelle)

 

Genere: fantasy, romantico, drammatico

Tipo: one shot

Personaggi: Keiji Akaashi, Kotaro Bokuto

Coppia: yaoi

Rating: PG-13, giallo

Avvertimenti: AU, angst, fluff, lime

PoV: terza persona

Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Haruichi Furudate. I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Note: Yule era la festa del solstizio d'inverno, viene celebrata intorno al 21 dicembre.

 

Plenilunio d’inverno

 

La punta della penna d’oca correva veloce sulla pergamena sottostante, una calligrafia pulita precisa, dai caratteri spigolosi e fermi.

La luce nella stanza stava cambiando, le ombre della sera si stavano allungando, presto il giovane uomo seduto alla scrivania avrebbe dovuto accendere delle candele per poter proseguire nella scrittura e nella lettura dei tomi che aveva aperti sul ripiano.

Socchiuse gli occhi posando la penna, sigillando con cura la boccetta d’inchiostro, riponendo pergamene e testi, per quel giorno non li avrebbe più toccati, si accostò alla finestra e l’aprì ignorando il gelo che si fece strada nella stanza, facendo tremolare le fiamme nel camino.

Il cielo si stava tingendo di viola, mancavano ancora pochi momenti e l’oscurità avrebbe avvolto tutto. La luna che sarebbe sorta di lì a poco, era piena e avrebbe rischiarato la lunga notte con i suoi raggi d’argento, riflessi dalla spessa e immacolata coltre di neve.

Era la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno, dove le ore di tenebra erano di più di quelle di luce, più tempo concesso loro… manciate di minuti rubati.

Il giovane rimase qualche momento alla finestra, in lontananza il bubolare di un gufo, gli fece stringere il cuore, si fece indietro andando a mettere nel camino altra legna da ardere, la stanza diventava sempre più buia eccezion fatta per il colore rossastro delle fiamme.

Un gufo reale si posò sul davanzale, le grandi ali spiegate per un momento, occupavano tutto lo spazio della finestra, quindi lentamente le ripiegò sul grande corpo dalle piume arruffate e gonfie per il freddo, ruotò la testa puntando i suoi occhi gialli dalla grande pupilla nera, in quelli azzurri del mago dall’altra parte della stanza.

Il crepuscolo cedette finalmente il passo alla notte, il gufo lanciò un fischiò aprendo nuovamente le grandi ali e saltando dentro la stanza sul pavimento ricoperto da uno spesso tappeto.

In una battito di ciglia la magia avvenne, al posto del regale gufo c’era un uomo inginocchiato a terra, nudo, dal corpo possente e la pelle chiara, la spalle larghe, il collo forte, il giovane viso dalla fronte corrucciata, gli occhi color dell’ambra che fissavano il giovane che si stava avvicinando, piegò la testa scrutandolo attentamente alzandosi in piedi, in tutta la sua considerevole altezza, scrollando le spalle e la testa e delle piume brune planarono lievi sul tappeto.

Con cautela l’altro uomo gli si avvicinò e gli drappeggiò sulle spalle un mantello di lana pesante.

“Kou… mi riconosci?” mormorò titubante mentre l’altro ancora lo scrutava in silenzio, i suoi occhi e la sua espressione si distesero, prese il viso del mago tra le mani e gli baciò le labbra dolcemente.

“Non ti dimenticherò mai Keiji” gli sussurrò sulla bocca, baciandolo ancora.

Il mago si fece indietro andando a chiudere le ante della finestra, sbarrarle per bene, chiudendo fuori il freddo e il buio, quando si voltò vide Kotaro vicino alla sua scrivania che accarezzava con le punte delle dita le sue pergamene.

“Hai scoperto qualcosa di utile in questo mese?” lo interrogò, carezzando le lettere scure, non comprendeva la magia, gli aveva sempre fatto paura, lui era un soldato, combatteva corpo a corpo con un nemico che poteva vedere, con cui poteva incrociare la spada.

La magia era pericolosa, subdola, invisibile e poteva colpirti quando meno te lo aspettavi, come era successo a lui… a loro.

Il più giovane scosse la testa mestamente “No mi dispiace… sembra che questo incantesimo sia pressoché sconosciuto o forse i suoi segreti sono ben custoditi dal Clan delle Aquile” rispose stringendosi nelle spalle affranto.

Kotaro lo avvolse in abbraccio posandogli il mento sulla testa “Tu e il tuo amico… come si chiama?”

Keiji lo guardò con il cuore che tremava… “Kenma…” disse in un soffio.

“Siete i migliori apprendisti della Torre e troverete sicuramente il modo di spezzare questo oscuro incantesimo”

Il mago trattenne il fiato per un lungo momento, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo “Non sono più un apprendista” iniziò vedendo la confusione e lo sconforto negli occhi dell’altro.

“Sono un mago di Primo Livello”

“Oh” borbottò imbarazzato, grattandosi la nuca “Scusa… non lo ricordavo…” bofonchiò mordicchiandosi il labbro inferiore. “Da quanto?”

“Un anno abbondante…” rispose con voce strozzata “Abbiamo anche festeggiato… Tu… io… Kenma e Tetsuro” aggiunse stringendo i pungi tanto forte da fare sbiancare le nocche.

La maledizione che aveva colpito i loro compagni trasformandoli in animali, portava via loro, ad ogni trasformazione pezzi di vita passata, di ricordi, riducendoli sempre meno umani e sempre più animali, se non fosse riuscito a spezzare quella maledizione, un giorno Kotaro si sarebbe dimenticato di lui e del loro legame, del loro amore.

“A proposito di Tetsuro dov’è quel gattaccio nero?” domandò girando su se stesso, cercando di smorzare la tensione cominciando a chiamarlo per la stanza, come si fa con i gatti, anche se sapeva bene che aveva ripreso anch’egli la sua forma umana.

Il mago scosse la testa, il siparietto dell’altro non lo fece nemmeno sorridere, si trovarono nuovamente uno difronte l’altro.

Kotaro prese ancora il viso di Keiji tra le mani, catturando gli occhi dell’altro con i suoi magnetici occhi gialli, da predatore, era stata la prima cosa di Kotaro a cambiare.

“Non mi dimenticherò mai di te, Keiji, mai”

“Non fare promesse che non puoi mantenere, l’unica cosa che sappiamo di questo sortilegio è che torni umano una volta al mese, quando la luna è piena, e che divora i tuoi ricordi come prezzo… e quando anche l’ultima memoria svanirà per sempre, rimarrai un gufo per il resto dei tuoi giorni” disse quasi gridando, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime, aveva impiegato mesi a trovare quelle informazione e quando lo aveva fatto gli era sembrato di impazzire a quelle terribili sentenze.

L’uomo lo trasse a sé, cercando di confortarlo, ma era difficile, sapeva bene a quale destino andasse incontro, ma non poteva cedere alla disperazione, o lo avrebbe fatto anche Keiji e lui non voleva vedere il proprio compagno perdersi nello sconforto, o perdere il senno.

“Anche se la mia mente ti dimenticherà, il mio cuore non lo farà mai, ti amo Keiji e nessun maleficio mi potrà mai portare via questo…”

Un bussare rapido e conciso li fece sussultare.

“Avanti” gridò Keiji e pochi istanti dopo un giovane entrò recando un grande vassoio e congedandosi immediatamente.

Kotaro si leccò le labbra sedendosi sul letto mentre Keiji toglieva il panno che copriva un vassoio ricolmo di prelibatezze.

Kotaro si avventò sul cibo, prendendo dai piatti a piene mani.

“Non serve che ti ingozzi Kou, è tutto tuo…” tentò di placarlo, ma l’altro lo ignorò ingurgitando una pietanza dopo l’altra.

“Lo so, ma dopo aver mangiato topolini e bisce, questi piatti sono squisiti” gli disse portandosi alle labbra un piatto di zuppa dall’odore meraviglioso. Keiji arricciò il naso a quelle parole e sospirò tristemente.

“Tu non mangi?” chiese a bocca piena vedendo il mago scuotere la testa.

“Non ho fame…” mormorò restando in silenzio mentre l’uomo consumava, l’abbondante e meritato pasto.

 

Il mago portò il vassoio fuori dalla porta e la rischiuse poggiandosi ad essa con il proprio corpo, osservano Kotaro stendersi sul letto e massaggiarsi la pancia soddisfatto per il lauto pasto.

I lembi del mantello si erano scostati, rivelando il suo corpo maestoso mentre si metta seduto e porgeva la mano al compagno invitandolo a raggiungerlo, sul grande letto.

“Vorrei che domani non arrivasse mai” confidò al suo orecchio, baciandogli la mascella liscia e poi le labbra, la bocca dell’uomo sapeva di cannella a causa della torta che aveva appena finito di mangiare.

Keiji si perse in quel bacio, giocando con la lingua dell’altro che scavava impertinente nella sua bocca, anche lui lo avrebbe voluto però rispose: “Domani è lontano se mi ami ora”

Kotaro, con una scrollata di spalle, si liberò del mantello e sorrise spingendo il più giovane sul materasso di piume, sciogliendo la cintura ricamata che cingeva i fianchi snelli del mago e che ne dimostrava il suo rango e la sua carica.

Gli aprì la tunica di velluto blu, e gli sfilò dal capo la camicia di lino bianco, quindi, facendogli sollevare i fianchi gli sfilò le brache e ammirò il suo corpo nudo e bianco, illuminato dai riflessi del fuoco che ardeva alto nel camino.

“Sei più magro dell’ultima volta che ti ho veduto…”  disse con una punta di rimprovero, mentre il mago rotolava fino al baule accanto al letto e prendeva un barattolo e lo porgeva all’altro.

“Sto bene…” disse solo, non voleva parlare dei suoi crucci e dei suoi tormenti, non quella notte.

Kotaro aprì il vasetto e le sue narici sensibili furono invase dal profumo della calendula e rosa canina, un unguento che preparava Keiji, per loro, per rendere più piacevole la loro unione, Kotaro associava quell’odore, quella particolare fragranza al fare l’amore con il suo Keiji, un ricordo olfattivo.

Posò la bocca sulla sua pelle sudata e salata, imprimendosi nelle papille gustative il suo sapore unico, mentre sondava con le mani il corpo bianco del mago, scatenando in lui mille brividi, saggiando la sua pelle, un palmo alla volta, il colore, la morbidezza, una memoria tattile, che sperava fosse indelebile.

Non poteva mai scordarsi dei gemiti che le sue spinte, lente e profonde in quel corpo, facevano emettere ad entrambi, e le parole sussurrate labbra contro labbra, spezzate, dagli ansiti e dai lamenti, occhi negli occhi per tutto il tempo. La voce del suo Keiji che chiamava il suo nome come in una preghiera, il suo fine udito lo avrebbe riconosciuto tra mille e per sempre ne era certo.

Non poteva smarrire la sensazione del piacere raggiungeva il suo culmine e che sgorgava dai loro corpi uniti, lo sperma che gli bagnava l’addome, e il suo che riempiva il corpo del compagno.

Nessuno gli avrebbe portato via quei ricordi, nessuno, non lo avrebbe permesso, avrebbe lottato in ogni modo.

Stretti l’un l’altro sotto le pesanti pellicce, attendendo che i loro respiri si quietassero, che i loro cuori smettessero di ruggire nelle loro orecchie.

“Dormi qualche ora Keiji, sarò qui… questa è la notte più lunga dell’anno” tentò baciandogli la fronte, vedendo gli occhi dell’altro faticare per restare aperti, ma il giovane scosse la testa.

“No… ci è concessa una notte al mese… non voglio perdere nemmeno un momento di te…” rispose spingendolo schiena sul materasso e salendogli cavalcioni.

Voleva unirsi a lui tutta la notte, e non importava se il corpo gli faceva male, se si spingeva al limite e la stanchezza tentava di ghermirlo essere unito a Kotaro era una consolazione nei giorni che li avrebbero separati ancora.

La luce delle fiamme proiettava le loro ombre avvinghiate, ancora e ancora.

***

“Che si dice dal resto del regno?” domandò Kotaro scendendo dal letto per gettare nel camino un altro paio di ciocchi di legna, visto che le fiamme languivano.

Il mago attese che l’altro uomo tornasse sotto le coltri e gli si accomodò contro pensieroso.

“Tutto è invariato…” mormorò tristemente.

“Sono stato al Castello e nulla è mutato da quella terribile notte” mormorò chiudendo gli occhi sentendo anche Kotaro sospirare pesantemente.

 

Erano passati tre anni da quella notte, che era iniziata come una festa ed era finita in tragedia, ma avrebbero dovuto aspettarselo, il Principe era sempre stato una persona frivola e capricciosa, incline a soddisfare sé stesso più che preoccuparsi degli altri e delle conseguenze delle sue azioni.

Tutti erano stati invitati a quella cerimonia dove il re aveva intenzione di annunciare a quale Clan si sarebbe unito il proprio secondo genito, come da tradizione, raggiunta la maggiore età.

Nella sala grande aveva annunciato che Tooru avrebbe abbandonato il Castello e si sarebbe unito al Clan delle Aquile e se in un primo momento sembrava che il giovane non avesse nulla da obbiettare, in un secondo momento si era scontrato direttamente con l’unico figlio del capo Clan delle Aquile: Wakatoshi.

Circolavano voci che, l’Aquila Bianca, come lo avevano soprannominato, avesse un debole per il nobile e viziato principe, alcuni arditi insinuavano anche che ne fosse innamorato, e che avesse sempre espresso il suo desiderio che il giovane facesse parte del suo Clan.

Da lì ne erano scaturite parole pesantissime da ambo le parti a nulla erano valsi gli sforzi di fare ragionare le due fazioni, nemmeno i tentativi di Hajime, il capitano delle guardie, nonché amico d’infanzia e fidato consigliere del principe.

Tooru giurò che preferiva andare dall’altra parte del mondo, piuttosto che entrare in quel Clan, di sottomettersi a Wakatoshi sosteneva che l’orgoglio e l’amor proprio glielo impedivano.

Keiji si trovava in quella stanza con Kotaro perché quest’ultimo era amico e compagno d’armi di Hajime, mentre Tetsuro e Kenma erano lì perché amici di Kotaro anche se del Clan dei Gatti e dei Gufi, non vedevano di buon occhio le Aquile.

Keiji non ricordava cosa avesse fatto scattare la scintilla, del perché poi in quella diatriba tra figli di capi clan, si fosse intromesso un mago; non comprendeva nemmeno come all’epoca Satori, un apprendista come lui, potesse conoscere e padroneggiare un potere tanto grande.

Padroneggiare forse no, perché coinvolse tutti i presenti, trasformando inspiegabilmente alcuni di loro negli animali dei propri Clan.

“A Tooru è toccata la sorte peggiore, a mio dire” mormorò Kotaro spezzando i pensieri di Keiji che si strinse nelle spalle.

Il sortilegio di Satori aveva colpito il principe per primo, trasformandolo al centro della grande sala un rigoglioso albero.

Ricordava la voce imperiosa e arrabbiata di Wakatoshi che intimava al giovane mago di smetterla e di porre rimedio a quello che aveva fatto, ma Satori si era limitato a scoppiare in una fragorosa e folle risata, che aveva agghiacciato tutti.

“Già” bisbigliò chiudendo gli occhi.

Keiji era ritornato alla Torre di Magia sotto shock, con Kotaro appollaiato su una spalla nella sua forma di gufo; l’unica cosa che aveva potuto fare era stato rifugiarsi in biblioteca per saperne di più, chiedendo a tutti i suoi maestri ed avevano trovato ben poche informazioni a riguardo. Qualche settimana dopo, al sorgere della luna piena però Kotaro e Tetsuro, che era stato trasformato in un gatto nero, avevano riacquistato la loro forma umana, ma al levarsi del sole, tornavano ad essere un rapace ed un felino.

Ogni mese la magia si ripeteva e Keiji e Kenma si erano accorti e i due uomini non ricordavano, fatti o persone o luoghi… la loro memoria stava svanendo, senza uno schema preciso.

Kotaro aveva chiesto a Keiji di condividere le informazioni con gli altri Clan e così avevano scoperto che il Principe non aveva mai ripreso la sua vera forma, mai nemmeno una volta.

Satori era stato rinchiuso nelle segrete del Castello, ma a quando dicevano le guardie era impazzito del tutto e non collaborava in nessun modo.

Ogni mese al sorgere della luna piena Wakatoshi visitava Tooru e restava con lui tutta la notte, ma il principe nella sua forma vegetale non lo sentiva e non lo vedeva.

Hajime, invece, vegliava sul Tooru ogni giorno, silente e devoto.

 

La mano grande di Kotaro aveva ripreso a sforargli il corpo e trascinarlo nuovamente al presente.

“Nella disgrazia almeno noi abbiamo questo” gli disse, mentre la sua mano scendeva inesorabile verso il basso e Keiji annuiva inarcandosi, permettendogli di farlo ancora suo. Kotaro lo amò lentamente prolungando il più a lungo possibile quell’amplesso, facendolo sdilinquire in gemiti e suppliche, ma quando il mago raggiunse l’orgasmo per la terza volta in quella notte, i suoi occhi si riempirono di lacrime e i singhiozzi gli sconquassarono il petto e a nulla valsero le parole, i baci e le carezze del suo uomo per consolarlo.

***

Il giovane mago aprì gli occhi, si mosse a disagio, si era infine addormentato, allungò la mano e il lato del letto era vuoto e freddo. Si mise a sedere le fiamme languivano nel camino colmo di cenere.

Un alito di vento gelido gli fece voltare il capo, Kotaro era ancora lì, l’alba non era ancora sorta, ma non mancava molto lo sapevano entrambi.

L’uomo aveva aperto la finestra e le imposte e se ne stava lì, in piedi, nella sua gloriosa nudità a sfidare il gelo.

“Kou…” mormorò Keiji scivolando fuori dal letto, percorse il breve tratto che lo divideva dall’altro, pressando il suo corpo nudo sulla schiena cesellata dell’altro, anche per quella notte il loro tempo si era esaurito, ed iniziava una altro lungo e solitario mese di ricerche.

Kotaro si volse nell’abbraccio e afferrò la vestaglia di broccato e pelliccia abbandonata sul baule e avvolse il corpo del compagno “Vestiti o prenderai freddo…” mormorò teneramente, facendogli indossare l’indumento e baciandogli ancora le labbra, mentre alle sue spalle l’aurora faceva capolino e, nell’abbacinate luce bianca Kotaro scompariva e al suo posto si trovava un maestoso gufo, dal piumaggio bianco e marrone.

L’animale piegò la testa e fissò l’uomo davanti a sé che gli sorrideva tra le lacrime.

“Troverò una soluzione, amore mio, te lo prometto” giurò una volta di più, mentre il rapace balzava sul davanzale, ruotava la testa ancora una volta verso di lui e poi spiccò il volo, verso la foresta imbiancata e gelida.

 

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Note dell’Autrice.

Le AU non sono proprio il mio forte, ma ogni tanto provo a cimentarmi anche in questo genere. Questa storia mi frulla in testa da un bel po’ di tempo e finalmente l’ho scritta. Doveva essere uno one shot, ma scrivendo mi sono resa conto di aver messo su tanta carne al fuoco, quindi è probabile che scriverò altro in questo universo alternativo fantasy.

Grazie a chi è arrivato fino a qui e ha voglia di dire la sua.

Un ringraziamento dovuto e speciale a Musa, lei a perché!

A presto.

Un Kiss

Bombay

 

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Capitolo 2
*** Aquile, amori ed anatemi ***


Aquile, amori ed anatemi

Challenge: “La ruota dell’anno - Imbolc” organizzata dal gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”

Prompt: “Vivere come volare, ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere” (Brunori Sas)

 

Genere: fantasy, romantico, drammatico

Tipo: one shot

Personaggi: Tooru Oikawa, Hajime Iwaizumi

Coppia: yaoi

Rating: PG-13, giallo

Avvertimenti: AU, angst, lime

PoV: terza persona

Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Haruichi Furudate. I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Aquile, amori ed anatemi

 

Il fuoco nel camino crepitava allegramente, illuminando con la sua luce rossastra, la stanza dove una grande letto a baldacchino la faceva da padrone.

“Te ne vai di già?” mormorò la calda voce del giovane principe, steso a pancia in giù sul morbido materasso di piume, il lenzuolo gli copriva i lombi, mentre sulla sua schiena candida e muscolosa, spiccavano i segni rossi lasciati dalle dita e dai denti del suo focoso amante.

“La campana ha battuto il cambio della guardia…” rispose il giovane capitano infilandosi le brache armeggiando con solerte efficienza sui lacci che le chiudevano.

Il principe sospirò stiracchiandosi come un gatto, il corpo ancora dolorante per l’amplesso appena consumato eppure quella notte avrebbe voluto che non finisse mai, perché il giorno seguente tutto sarebbe cambiato, la sua vita sarebbe stata stravolta, anche se aveva fatto di tutto per impedirlo.

“A te va davvero bene così, Hajime?” domandò mettendosi a sedere, il lenzuolo scivolò con un fruscio sulla sua pelle chiara, il soldato strinse con forza le fettucce della camicia, sapeva bene a cosa si stesse riferendo.

“No, non mi sta bene, ma non posso mettermi contro il re, tuo padre, e le sue scelte. Non puoi tu, figurarsi io”

“Rapiscimi e portami lontano” propose alzandosi in piedi andando verso la finestra e spalancandola, l’aria fredda entrò nella camera, facendo rabbrividire il soldato. 

“Dicono ci sia una terra oltre i mare, dove potremmo vivere senza preoccuparci di quello che vuole la gente, il Clan, mio padre…”

“Non andremmo da nessuna parte, ci riprenderebbe ovunque noi ci nascondessimo, ci metterebbero alle costole i Segugi. Saremmo entrambi traditori e partiremmo le pene dell’inferno e non voglio questo destino per te” 

Il principe posò le mani sul davanzale, il gelo gli attanagliava la carne nuda, ma non gli importava, se si fosse ammalato avrebbe potuto guadagnare qualche altro giorno.

“Qualunque destino sarebbe migliore di quello a cui sto andando incontro…” sussurrò stringendo i pugni.

“Tooru…”

“Non voglio andare al Clan delle Aquile, non voglio essere il consorte di Wakatoshi, permettere al suo mago rosso di appormi il Sigillo sul ventre e mettere al mondo i suoi eredi” sibilò furente guardando la luna, che il giorno seguente sarebbe stata piena.

“Preferirei pugnalarmi il grembo piuttosto…” sentenziò.

“Tooru”

Il soldato lo aveva avvolto in una veste da camera foderata di pelliccia morbida, stringendolo tra le braccia, baciandogli la base del collo.

“Nemmeno per me saperti lontano e con un altro sarà facile, ma sei il figlio del re, il tuo destino è questo dal giorno in cui sei nato” cominciò facendolo voltare verso di sé “Quello che abbiamo vissuto fino ad ora è stato un dono…” proferì baciandogli le labbra dolcemente, sarebbe stato davvero difficile separarsi dal suo unico amore, ma le leggi parlavano chiaro.

Il secondo genito della casata del Castello, al compimento della maggiore età, doveva essere destinato ad un altro Clan ed unirsi con il Sacro Vincolo al primo genito di quel Clan, maschio o femmina che fosse, vecchio o giovane.

Wakatoshi aveva la stessa età di Tooru, forte e aitante, dalle poche volte in cui lo aveva visto, Hajime si era subito accorto dell’interesse dell’Aquila Bianca nei confronti del suo principe, che al giovane piacesse o meno, poteva ritenersi fortunato.

“Non posso farcela senza di te Hajime, non posso…” mormorò ridestandolo dai suoi pensieri.

“Sei più forte di quello che tutti credono, sei orgoglioso e testardo, tirerai fuori il meglio da questa situazione”

“Vorrei essere un uccello e volare lontano e non tornare mai più” bisbigliò con lo sguardo lontano.

Vivere è come volare, ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere” tentò di rasserenarlo Hajime, ma Tooru scosse la testa “La mia vita pesa come un macigno e mi ancora a terra, anzi mi fa sprofondare sempre di più”

Hajime lo ricondusse al letto “Resta ancora con me” lo pregò scrollandosi di dosso la veste da camera, quando il soldato lo spinse a sdraiarsi.

“Non posso il mio turno di guardia è iniziato già da un po’, non posso assentarmi, desteremo sospetti e l’ira di tuo padre sarebbe tremenda se sapesse di noi”

La risata secca e priva di allegria riempì la stanza “Come può credere che sarei rimasto vergine fino alla maggiore età” gli sussurrò sulle labbra trascinandolo sopra di sé.

“È la nostra ultima notte Hajime facciamo che sia indimenticabile…” lo supplicò gli occhi lucidi dalle lacrime trattenute a stento.

“Tooru…”

Il giovane non era mai riuscito a dire di no al suo principe fin da quando erano bambini e giocavano insieme e poi crescendo, quando i loro ruoli si erano definiti era stato ancora più difficile.

“Ti prego” 

Un bisbiglio nell’orecchio, il fiato caldo che lo accarezzava, il corpo nudo contro il suo, le agili dita del principe che gli aprivano la camicia e la spingevano oltre le sue spalle possenti.

“Ovunque tu sarai io ti amerò sempre…” promise sdraiandosi sopra al giovane.

 

***

Quando il capitano delle guardie aveva lasciato la sua stanza da letto, Tooru non era riuscito a chiudere occhio, continuava a rimuginare su quello che sarebbe successo il giorno seguente.

Detestava quella situazione, la odiava con tutto sé stesso, suo padre non vedeva l’ora di liberarsi di lui lo sapeva bene; le redini del Castello le avrebbe cedute a sua sorella che aveva già un erede, non c’era posto per lui, non c’era mai stato, non in quel Clan, non in quella famiglia.

L’unico che si preoccupava davvero per lui era Hajime, nonostante Tooru fosse il figlio del re, il soldato non lo aveva mai trattato come tale, anzi erano più le volte che lo insultava e lo sbeffeggiava, ma quando aveva bisogno di lui c’era sempre e ogni giorno di più erano diventati prima amici, poi l’amicizia si era trasformata in affetto profondo e poi in amore. Un rapporto così simbiotico che Tooru si sentiva male al solo pensiero di doverlo recidere, per mere questioni politiche.

***

Il principe osservava dalla finestra le persone arrivare per quella maledetta cerimonia, a praticamente pochissime di quegli individui importava davvero erano solo lì, perché suo padre era il re, molti erano spinti dalla curiosità di vedere che cosa avrebbe combinato il suo secondo genito.

Un gruppo di soldati stava chiacchierando nel cortile e Tooru sorrise nello scorgere Hajime insieme ai suoi inseparabili amici, Kotaro e Tobio rispettivamente del Clan dei Gufi e dei Corvi, non potevano essere più diversi il primo chiassoso e buontempone, l’altro taciturno e serio.

Aguzzò la vista nello scorgere arrivare anche i Gatti, dal loro insolente e sornione primogenito Tetsuro, che trascinava letteralmente dalla collottola un apprendista mago, che dall’aria annoiata non ne voleva sapere di essere lì, e come dargli torto dopo tutto. A chiudere era arrivato un altro giovane apprendista, che se non ricordava male era un Gufo. Si approssimarono tutti al gruppo di soldati, parlando e ridendo solo Hajime era cupo in viso.

Pochi istanti dopo arrivarono anche i rappresentanti del Clan delle Aquile, Wakatoshi camminava solenne, il volto serio e squadrato, privo di espressione, chissà che gli passava per la testa, si chiese Tooru una volta di più, ma da quel poco che lo conosceva, sicuramente aveva preso tutta quella faccenda come un dovere e nulla di più.

Il giovane era tallonato da un mago, che agitò la mano in direzione degli altri apprendisti poco distanti, ma a quanto pareva non doveva essere nelle loro grazie perché si limitarono a fargli un piccolo cenno con il capo.

Un bussare deciso lo fece trasalire e pochi istanti dopo sua sorella entrò nella stanza “Sei pronto?”

“No, ma a te che importa?” domandò fissandola torvo.

“Devi smetterla di opporti al tuo destino, Tooru, soffrirai e basta se continui così” seguendo lo sguardo del fratello.

“Lui non è al tuo livello”

“Sta zitta, Hajime è quello che di meglio mi è capitato nella vita” sibilò “Ora vattene, scenderò tra un minuto”

Quando la donna lo lasciò solo il principe aprì un baule, ne estrasse uno stiletto e lo nascose sotto i vestiti.

***

Il tempo si trascinava lento, mentre la sala del trono si riempiva e ad uno ad uno venivano presentati i Clan, elencandone le caratteristiche principali.

Tooru teneva lo sguardo fisso davanti a sé, cercando di restare imassibile a quella inutile farsa era già stato tutto deciso mesi prima, che la facessero finita e basta.

Wakatoshi fu l’ultimo e Tooru si sentì scrutato dai suoi occhi verdi, detestava quella sensazione, essere trattato alla stregua di merce da scambio, peggio di una mucca.

“Sono lieto di annunciare, che mio figlio Tooru si unirà al Clan delle Aquile” proferì suo padre a gran voce voltandosi verso di lui che doveva accettare formalmente; si alzò in piedi, tutti i presenti attendevano le sue parole.

“Mi unirò al Clan delle Aquile” iniziò fissando Wakatoshi negli occhi “Ma a una condizione” aggiunse, un brusio perplesso si levò dagli astanti, Tooru poteva sentire lo sguardo furente di suo padre bruciare quasi la sua pelle, si volse a sfidare il genitore “Hajime verrà con me” disse risoluto, un clamore si alzò dalla sala. Il re sollevò la mano mettendo tutti a tacere fissando il figlio che proseguì: “Ho bisogno di qualcuno che mi protegga dagli intrighi e di cui possa fidarmi ciecamente, e il capitano è l’unico in cui metterei nelle sua mani la mia vita” argomentò spostando lo sguardo castano sul capitano che lo fissava a bocca aperta, per poi tornare a guardare il padre.

“E sia” acconsentì a denti stretti il re con un cenno del capo, mentre anche il capo Clan delle Aquile annuiva battendo un colpo sulle spalle possenti del figlio.

“Capitano!” lo chiamò il re riscuotendo il giovane dalla sua sorpresa.

“Seguirai e proteggerai mio figlio a costo della tua vita, in qualunque luogo lui vada” ordinò solenne.

“Lo seguirò e lo proteggerò!” giurò solennemente inginocchiandosi al cospetto di padre e figlio, con il cuore in tumulto, non poteva credere a quella svolta, Tooru non gliene aveva parlato.

***

“A te sta davvero bene così, Waka?” domandò un giovane dai capelli rossi al fianco della Aquila Bianca che seguiva ogni singolo movimento del principe che in quel momento stava conversando con due Gufi… sorrideva, ma era solo una smorfia di convenienza il sorriso non giungeva agli occhi. Chiunque in quella sala con un po’ di sale in zucca si rendeva conto che Tooru non era felice e la stessa infelicità si leggeva negli occhi del capitano delle guardie. 

Satori schioccò la lingua, giocherellando con il fondo della cintura, sogghignando divertito.

“Ohhh il principe Tooru si porta dietro il suo fedele cagnolino e scaldaletto…” cantilenò con un sorriso sghembo, ma Wakatoshi al suo fianco non reagì in alcun modo.

“È sfacciato e arrogante fino in fondo, cosa farai quando lo troverai nel suo letto, e questo accadrà molto spesso…”

“Me ne occuperò se accadrà” rispose serafico seguendo con lo sguardo i movimenti di Tooru che conversano amabilmente con tutti.

“E cosa farai, lo passerai a fil di spada?” domandò leccandosi le labbra. “Gli taglierai la gola, davanti al principe, ne avresti tutto il diritto…”

“Sta zitto, Satori. Non immischiarti in fatti che non ti riguardano”

Il giovane mago sibilò il proprio disappunto quando c’era di mezzo il principe del Castello, Wakatoshi non ragionava lucidamente.

Da quando si erano incontrati anni prima, Wakatoshi era stato stregato, ammaliato da quel ragazzo dai grandi occhi castani e dal sorriso seducente. Quando aveva saputo che il giovane doveva scegliere in quale Clan andare, Wakatoshi aveva chiesto esplicitamente al padre di candidare il loro Clan e che avrebbe desiderato avere il giovane al suo fianco per i giorni a venire.

Satori ci era rimasto di sasso, non credeva che il suo signore si potesse invaghire di ragazzino arrogante e saccente.

Aveva sempre sperato che la maestosa Aquila Bianca lo avrebbe notato, si era fatto in quattro alla scuola di magia, era tra i migliori, anche se c’era quel maledetto Gufo che era sempre un passo avanti a lui. Aveva tentato in tutti i modi di attirare l’attenzione di Wakatoshi, ma aveva fallito miseramente. E ora il principe sarebbe entrato anche nel suo letto… questo non poteva permetterlo.

***

Il banchetto stava procedendo per il meglio nella grande sala allestita a festa, Tooru lasciò la sala seguito a ruota da Hajime.

“Cosa ti è saltato in mente, Tooru?” domandò quando furono soli nella grande sala.

“Ci ho pensato tutta la notte… non sopravvivrei un giorno da solo in quel posto, li hai visti come mi guardano?” mormorò “Mi dispiace, avrei dovuto parlartene, ma…”

Hajime lo strinse a sé, Tooru stava tremando, non doveva essere stato facile sfidare il padre in quel modo e l’esito era davvero incerto.

“Devi tornare di là” gli disse ma Tooru cercò la sua bocca, ne aveva davvero bisogno.

“Ma guarda un po’ che cosa abbiamo qui…” la voce di Satori riecheggiò sulle pareti facendo sobbalzare i due giovani.

Pochi istanti dopo altre persone arrivarono nella sala attirati dalla voce del mago.

Wakatoshi scoccò una occhiata ai due giovani, la mano di Hajime stringeva nelle sua quella di Tooru.

L’Aquila Bianca in due passi raggiunse il principe e lo afferrò per un braccio trascinandolo lontano, Tooru trattenne il fiato, la stretta era ferrea e gli stava facendo male, ma erano i suoi occhi arrabbiati a spaventare davvero il giovane.

“Non mi toccare!” la voce di Tooru aveva sovrastato il brusio della stanza, un piccolo gruppo di persone si erano allontanate dalla sala grande.

“Qualunque cosa ci sia tra voi, finisce questa notte” sibilò ad un palmo dal viso di Tooru che si divincolò dalla sua stretta.

“Verrà con noi, ma se lo trovo nel tuo letto giuro che lo uccido” gli promise.

Wakatoshi fissava Tooru, uno difronte l’altro, era la prima volta che vedeva l’altro ragazzo infervorarsi per qualcosa.

“D’ora in avanti sarai…”

“Non sono di tua proprietà, hai capito?” urlò furente Tooru, stringendo i pugni tanto forte da fare sbiancare le nocche.

“Come siamo capricciosi…” lo schernì Satori affiancando Wakatoshi “Posso metterlo a tacere per un po’ se vuoi?” propose muovendo la mano e la punta delle sue dita presero a brillare.

“È la notte perfetta per apporre un Sigillo…” proseguì, ma Wakatoshi sollevò la mano mettendolo a tacere.

Il suo viso si rilassò, la sua espressione tornò quieta e impassibile e con voce monocorde proferì: “Benvenuto nel Clan delle Aquile, principe Tooru, aspetterò che sia tu a farti avanti…”

Tooru spalancò gli occhi “Non accadrà mai! Mai!” gridò e rimase sorpreso nel vedere il piccolo sorriso che piegò le labbra dell’altro giovane, che con due passi lo raggiunse e gli prese in mento tra le mani fissandolo negli occhi.

“Accadrà prima o poi…” sentenziò, mentre Tooru chiudeva gli occhi e le lacrime scivolarono sulle sue guance.

“Mai” rispose e fu questione di un attimo e il baluginio di una lama spuntò da sotto la sontuosa veste del principe, ma prima che l’arma incidesse la pelle dell’Aquila. Un incantesimo si librò nell’aria, parole antiche dimenticate da molti, difficili per un apprendista mago.

“Satori, smettila!” intimò Wakatoshi, riconoscendo l’antica lingua della sua gente, ma da quel poco che sapeva della magia, quando un incantesimo era stato pronunciato, interromperlo sarebbe stato più disastroso del sortilegio stesso, ma a quanto pareva queste semplici nozioni non erano note a tutte.

Colto dal panico nel vedere il suo principe in difficoltà Hajime si avventò sul mago, che ancora salmodiava una misteriosa cantilena.

Spingendolo il mago a terra con il pugnale alla gola, osservando la luce avvolgere il principe che sembrava paralizzato, la bocca spalancata in un gridò muto.

Una luce immensa e potentissima avvolse tutta la sala, accecando e stordendo tutti.

***

Hajime sbatté le palpebre confuso, mille piccole luci gli danzavano davanti agli occhi, la prima cosa che sentì fu la folle risata del mago, che seduto sul pavimento indicava un rigoglioso albero al centro della sala.

Il capitano richiamò al suo fianco i suoi compagni ma al suo ordine si accostò a lui solo Tobio.

“Dov’è Kotaro?” domandò al più giovane che scosse la testa confuso “Non lo so, c’era solo un mucchio di abiti e la sua armatura al mio fianco”

“Che cosa hai fatto, bastardo?” urlò afferrando il mago per la veste ricamata, ma questi lo fissava con astio e un sogghigno.

“Dov’è Wakatoshi?” domandò scrollandolo solo allora l’espressione del mago mutò guardandosi intorno con affanno, vedendo gli abiti dell’Aquila Bianca a terra, spalancò gli occhi prendendosi la testa tra le mani “No… no… no…” cantilenò raggiungendo gli abiti ed afferrando la veste porpora, oscillando avanti ed indietro.

Con il cuore in gola Hajime lanciò uno sguardo alla sala vide, in ginocchio sul pavimento, Keiji, il compagno di Kotaro, a passò svelto gli si avvicinò.

“Conosci questo incantesimo?”

Ma il giovane scosse la testa.

“Dov’è Tooru?” bisbigliò anche se aveva un terribile dubbio, trasalì nel sentire qualcosa sfiorargli la gamba, un bellissimo gatto dal lucido manto nero gli si stava strusciando addosso.

“Li ha trasformati in animali”

Hajime si voltò nella direzione della voce, mentre il gatto saltò in grembo al ragazzino seduto a terra, che prese ad accarezzargli la testa.

“Cosa?” mormorò Hajime, mentre un gufo planava accanto a Keiji che lo fissava incredulo.

“Puoi invertire l’incantesimo?” domandò con apprensione.

Il mago scosse la testa “Non so nemmeno di che sortilegio si tratta, ma…” mormorò Keiji guardando in direzione di Satori che stringeva la veste di Wakatoshi, sul suo viso un’espressione del tutto assente.

“Arrestate, Satori, apprendista mago del Clan delle Aquile” gridò ed in quel momento il re fece il suo ingresso nella sala tutti ammutolirono e il capitano delle guardie spiegò a sommi capi quello che era accaduto.

Lentamente ad uno ad uno tutti lasciarono la sala, rimasto solo Hajime si approssimò all’albero, posò la mano sulla corteccia ruvida, era calda al tatto.

“Tooru…” bisbigliò posando la fronte sul tronco “Tooru” ripeté mentre calde lacrime presero a bagnarli il viso.

“Troverò una soluzione, te lo giuro” bisbigliò posando le labbra sul legno profumato.

Un fruscio tra le fronde lo fece sobbalzare che Tooru potesse comunque sentire la sua voce, che comprendesse le sue parole?

Nuovamente il fruscio delle fronde, la sala era deserta e le prime luci dell’alba facevano capolino dalle finestre.

Hajime aguzzò la vista tra i folti rami rigogliosi di foglie vide qualcosa… sospirò pesantemente scuotendo la testa, intravedendo una rapace dal piumaggio candido, dal cipiglio fiero e torvo.

Con un poderoso colpo di zampe il predatore spiccò il volo, e planò sulla spalla del capitano piantandogli gli artigli nella carne. Lanciò un fischiò acuto e dolente aprendo le grandi ali candide.

Hajime chinò il capo in avanti… l’anatema di Satori aveva fatto un disastro e a quanto sembrava nessuno sapeva come rimediare, non nell’immediato futuro, nonostante tutti i loro sforzi quella notte aveva comunque perso Tooru.

L’aquila spiccò nuovamente il volo girando un paio di volte all’interno della grande sala, per poi uscire nell’abbacinante alba.

 

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Note dell’autrice

Ecco un secondo capitolo che non doveva esistere, ma tant’è.

Si prosegue con questa AU fantasy

Grazie a chi è giunto fino a qui e un ringraziamento a Musa che mi da una mano quando sono colta da i mille dubbi!

Alla prossima

Un Kiss

Bombay

 

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Capitolo 3
*** Abbraccio ***


Abbraccio

Challenge: “La ruota dell’anno - Ostara” organizzata dal gruppo Facebook “L’angolo di madama Rosmerta”

Prompt: “Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo” (Emily Dickynson)

 

Genere: fantasy

Tipo: one shot

Personaggi: Keiji Akaashi, Kenma Kozume

Coppia: yaoi

Rating: PG, verde

Avvertimenti: AU, angst

PoV: terza persona

Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Haruichi Furudate. I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Abbraccio

 

Un tocco leggero sulla sua spalla, lo fece ridestare dal torpore nella quale era caduto, sollevò la testa sbattendo le palpebre un paio di volte per schiarirsi la vista e mettere a fuoco il volto sorridente di un mago di secondo grado.

“È molto tardi Keiji” lo rimproverò bonariamente Koushi che teneva in mano una lanterna.

“Chiedo scusa” rispose alzandosi, aveva spalle e collo indolenzite per la posizione, le dita sporche di inchiostro, radunò in fretta e furia le pergamene e i libri sparsi per il tavolo della biblioteca.

L’altro mago lo fissava pensieroso, osservando i fogli, sapeva quali ricerche stesse facendo il più giovane e anche che fino a quel momento non aveva fatto grandi progressi.

“Ho sentito dire che il principe non riassume la sua forma umana con la luna piena” mormorò per spezzare quel pesante silenzio, raccogliendo da terra una pergamena caduta al giovane.

“Lo so… ma temo che più passa il tempo, più anche i nostri amici finiranno per restare nella loro forma animale per sempre…” rispose tristemente; ogni mese che passava era sempre più difficile. Stranamente però Daichi che serviva presso il corpo di guardia del re, non era stato coinvolto da quell’incantesimo, nonostante fosse il figlio del capo clan dei Corvi.

Koushi si avvicinò ad uno degli innumerevoli scaffali, con un dito sfiorò il dorso di vari libri fino a quando non trovò quello che cercava e lo porse a Keiji, che lo fissava con un sopracciglio alzato, conosceva quel testo, ma erano solo leggende, non lo aveva preso minimamente in considerazione.

“Sai nel Clan dei Corvi viene raccontata una storia: una volta, tantissimo tempo fa, eravamo tutti animali e che poi grazie alla magia abbiamo preso sembianze umane”

“È solo un racconto per far addormentare i bambini…” mormorò prendendo ugualmente il libro.

“Forse, ma magari c’è un fondo di verità, io non lo escluderei” rispose continuando a sorridere.

Il più giovane annuì e, seguito dal Corvo, lasciò la biblioteca.

 

Anche se era molto tardi Keiji non aveva voglia di dormire, gli sembrava di perdere tempo e che ogni momento che passava lo allontanava sempre di più da Kotaro.

Aprì il testo che gli aveva dato l’altro mago e sospirò, conosceva anche lui quella storia, sua madre gliela raccontava spesso quando era bambino.

Sfogliò distrattamente le pagine, scritte fitte fitte e con dei meravigliosi disegni, ma di quella leggenda restavano solamente la suddivisione dei Clan e l’animale che era diventato il simbolo araldico di ogni fazione.

Appuntò lo sguardo su una illustrazione e lesse le note a margine a bocca aperta, erano degli appunti scritti da qualcuno, non poteva credere a quello che stava leggendo, ma qualcosa si strusciò contro la sua gamba facendolo trasalire, rendendosi conto pochi istanti dopo che era solo Tetsuro.

Il gatto nero sembrava agitato, continuava a miagolare e strusciarsi sulle sue caviglie.

“Che c’è?” domandò prendendolo in braccio accarezzandogli la testa e facendo i grattini sotto al suo muso, ma l’animale si divincolò fino a quando il mago fu costretto a lasciarlo andare.

Lo osservò avvicinarsi alla porta e grattare con vigore il legno scuro, Keiji aprì il battente e il gatto scivolò fuori aspettando fermo immobile al centro del corridoio, il mago lo seguì fino alla porta di Kenma.

Il giovane entrò e si avvicinò al letto, mentre il felino lo anticipava e miagolava senza sosta.

Il fuoco nel camino si era spento, la stanza era gelida.

Keiji buttò dei ciocchi nel focolare e con una parola accese il fuoco che prese a crepitare e riscaldare l'ambiente.

Kenma dormiva raggomitolato sul letto e Tetsuro lo raggiunse leccandogli la mano abbandonata sul cuscino accanto al viso. A Keiji si strinse il cuore Kenma era un ragazzino taciturno e schivo, intelligente e arguto fuori misura, ma non socializzava con gli altri apprendisti e da quando Tetsuro era stato trasformato in gatto ancora meno, si era chiuso ancora di più in se stesso, passava ore sui libri e giocava incessantemente con un gioco di logica, dove bisognava far passare un anello, in altri anelli, apparentemente non era fattibile, ma in una determinata sequenza si riusciva a sfilare il cerchio principale dagli altri.

Nonostante lo avesse fatto una infinità di volte, lo ricominciava da capo in continuazione e Keiji sapeva fin troppo bene perché, quel gioco glielo aveva regalato Tetsuro.

Il ragazzino socchiuse gli occhi, mentre il gatto nero gli si raggomitolava addosso e Kenma prendeva ad accarezzargli il pelo lucido.

“Mi manca tanto” mormorò stringendosi nelle spalle e a quelle parole la bestiola sollevò il muso e gli leccò la guancia.

Keiji abbassò lo sguardo lo comprendeva benissimo, nella sua forma animale Tetsuro gironzolava sempre per la torre, ogni notte si acciambellava accanto all’amico e compagno di studi.

A differenza sua, Kotaro viveva nella foresta poco distante, raramente si avvicinava alla torre, Keiji doveva accontentarsi del bubolare lontano del gufo ed attendere la luna piena per poter trascorrere qualche ora con lui.

“Lo so…” mormorò sedendosi sul bordo del letto “Che cosa faccio se…”

Ma Keiji lo zittì con un’occhiata “Troveremo una soluzione…”

Kenma lo fissò con occhi liquidi e grandi… “Keiji…” bisbigliò abbassando lo sguardo “Puoi restare qui… per un po’…”

Il giovane annuì stendendosi al suo fianco.

“Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo” gli disse, sapeva quanto Kenma fosse restio a farsi toccare ed abbracciare, ma era chiaro che in quel momento ne aveva un disperato bisogno.

“Abbracciami” bisbigliò e Keiji lo accontentò, cingendogli la vita con un braccio e facendolo poggiare contro il proprio petto.

Tetsuro li fissava con i suoi magnetici occhi gialli e sbadigliò soddisfatto, iniziando a fare le fusa, sotto le costanti carezze di Kenma che andarono ad affievolirsi ogni momento che passava.

Keiji si era ripromesso di alzarsi appena l’altro si fosse addormentato, ma la stanchezza lo sopraffece e cadde in un sonno profondo e sognò di essere stretto in un caldo e confortante abbraccio del suo Kotaro.

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Capitolo 4
*** Il Clan delle Volpi ***


Challenge: “La ruota dell’anno - Beltane organizzata dal gruppo Facebook “L’angolo di madama Rosmerta”

Prompt: “Ti ricordi di me?/Abbiamo fatto scintille/Io mi ricordo, lo sai/Pensavo fosse amore/e invece erano guai” - (Gazzelle)

 

Genere: fantasy, romantic, erotico

Tipo: one shot

Personaggi: Keiji Akaashi, Kotaro Bokuto,

Coppia: yaoi

Pairing: BokutoXAkaashi

Rating: NC-17, rosso

Avvertimenti: AU, lemon, angst

PoV: terza persona

Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Haruichi Furudate. I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Il Clan delle Volpi

 

Si era allontanato dai festeggiamenti… non riusciva proprio a vedere tutte quelle persone felici, molte delle quali si appartavano per fare l’amore… quella notte sarebbero nate unioni, sarebbero stati apposti sigilli e tra nove mesi sarebbero nati i frutti di quei legami, di quei vincoli, di quegli amori.

Se chiudeva gli occhi poteva sentire il respiro caldo contro il suo orecchio… Kotaro che ansimava mentre lo possedeva durante una di quelle feste, tanti anni prima, erano ancora adolescenti all’epoca e gli chiedeva se un giorno avesse voluto il suo sigillo… avere un erede con lui…

“Lo voglio…” si trovò a mormorare oggi come allora sugellando quella promessa con un bacio, mentre in quel momento si posava le mani sul ventre, ma finché il giovane soldato restava prigioniero del sortilegio quella promessa non si sarebbe mai avverata.

Prese a camminare a passo svelto nella foresta, tentando di fuggire dai ricordi, dalle speranze e dalla sofferenza che provava ogni giorno di più.

Il bubolare di un gufo gli fece comprendere che Kotaro lo stava seguendo, ma questo non lo faceva sentire meglio, anzi la luna piena era stata solo una settimana prima e Keiji portava sul corpo i segni di quello che era accaduto.

 

Il sole era tramontato lasciando spazio alla luna che riluceva alta nel cielo, Keiji aveva aperto la finestra, l’aria era ancora fresca, ma non più pungente la primavera stava prendendo il posto dell’inverno, Quella notte di Kotaro nessuna traccia, non si era appalesato sul davanzale al quale il giovane mago si sporse per guardare verso il basso, ma del gufo trasformato in uomo non vi era segno.

Afferrò il mantello ed uscì dalla stanza recandosi prima in quella di Kenma trovandolo seduto sul letto insieme a Tetsuro che aveva abbandonato la forma felina.

 

Con il cuore in gola lasciò la torre di magia, addentrandosi nella foresta, ma Kotaro poteva essere ovunque.

Con un semplice incantesimo creò una piccola luce che fluttuava leggera sopra la sua testa rischiarando l’oscurità intorno a lui.

Mormorò a bassa voce un altro incantamento usando una piuma che aveva conservato, una scia di luce lo condusse verso la persona che stava cercando, nel folto della foresta, dove nemmeno i raggi della luna rischiaravano la notte.

“Kotaro…” lo chiamò e l’uomo si volse mentre al mago mancò il fiato nei polmoni.

Il giovane lo fissava con i suoi occhi gialli dalle immense pupille nere, piegò la testa avvicinandosi di un passo, snudando i denti.

“Kotaro…” ripeté incerto facendo un passo indietro, non c’era nulla di umano in quello sguardo rapace, mentre gli si avvicinava.

“Kotaro sono io… Keiji” bisbigliò indietreggiando ancora, il corpo nudo e possente dell’uomo riluceva sotto la luce magica prodotta dal mago, delle piume scure erano rimaste sulle sue spalle e sulle sue braccia, mentre bloccava il più giovane tra sé ed un albero.

“Kotaro… ti ricordi di me?” ansimò mentre sentiva gli occhi pizzicare e il soldato avvicinava il viso al suo collo… ed inspirava forte il suo odore…

“Abbiamo fatto scintille” ansimò sentendo la lingua del giovane sulla sua pelle prima, i suoi denti poi, in un morso doloroso che fece gridare il mago, posando le mani sulle spalle nude dell’uomo, ma Kotaro era sempre stato più forte di lui anche prima di quel maledetto incantesimo.

“Io mi ricordo lo sai…” sussurrò ignorando il dolore e il sangue che colava ad imbrattargli la tunica “Mi ricordo ogni singola cosa…” aggiunse avvertendo le mani di Kotaro slacciargli la cintura insinuarsi sotto le sue vesti.

“Pensavo fosse amore…” proseguì incapace di opporsi, mentre calde lacrime presero a scivolargli sulle guance pallide, ma a Kotaro non importava doveva soddisfare il suo desiderio animale che lo spingeva verso di lui, poteva sentire quanto fosse eccitato; il gufo era a caccia ed aveva trovato la sua preda.

“E invece erano guai” gemette… lasciandosi voltare poggiando la fronte sulla corteccia scura dell’albero, aggrappandosi al legno con le unghie per sostenersi ai poderosi e dolorosi assalti del compagno.

Continuava a ripetersi che Kotaro non era in sé, che non si ricordava di lui, questa consapevolezza gli fece molto più male delle spinte nel suo corpo.

Avvertiva il respiro roco e pesante, i grugniti animaleschi, i morsi sul collo, le unghie piantate nei fianchi, sperava ardentemente che con quell’amplesso si ricordasse di lui.

Perché era amore, quello che provavano l’un per l’altro quando timidi ed impacciati si erano dichiarati e da quel giorno nulla era cambiato, perché quando i gufi trovano un compagno è per sempre, fino alla notte del sortilegio.

Eppure, Kotaro tornava sempre da lui, ogni mese… ma quella notte si era smarrito, ma il suo corpo lo guidava verso di lui nel modo più ancestrale e selvaggio.

L’uomo gli si piantò dentro un’ultima volta, spingendolo contro il tronco dell’albero tremando violentemente mentre si riversava nel corpo del mago.

“Kotaro…” lo chiamò ancora, ma era inutile… era successo quello che temeva di più… dell’uomo che amava era rimasto solo un simulacro vuoto.

Il respiro pesante del soldato gli risuonava nell’orecchio, avvertiva il calore del suo petto contro la schiena attraverso i vestiti, le sue mani gli artigliavano ancora i fianchi, mentre il suo sesso si ammorbidiva e scivolava fuori.

“K-Keiji?”

Il mago spalancò gli occhi sentendo il proprio nome, forse c’era ancora speranza, ignorando il dolore si volse, guardandolo negli occhi che lo fissavano preoccupato e dolente.

“Mi riconosci?” domandò titubante vedendolo annuire lentamente anche se era confuso, mentre con la punta delle dita sfiorava il morso alla base del collo del giovane rendendosi conto di quello che aveva appena fatto.

“Ti ho fatto del male…” bisbigliò e nonostante Keiji scosse con forza la testa, tutto di lui urlava il contrario.

“Non riuscivo a fermarmi… sentivo il tuo odore, il tuo calore, il battito frenetico del tuo cuore, un richiamo irresistibile” mormorò posandogli una mano sul petto.

“Volevo solo unirmi a te, possederti, farti mio e… l’ho fatto…” sussurrò mentre una lacrima scendeva sul suo viso.

“Perché non mi hai fermato?” lo interrogò disperato afferrandolo per le spalle e lo vide trasalire; il mago conosceva molti incantesimi, difensivi ed offensivi avrebbe potuto ucciderlo con uno schiocco di dita invece…

“Abbracciami” sussurrò il più giovane e l’altro lo avvolse nelle sue forti braccia e piansero insieme.

 

 

Perso nei propri pensieri non si era accorto di avere fatto tanta strada, la foresta si era fatta più fitta il richiamo del gufo sopra la sua testa, aveva sicuramente visto qualcosa che i suoi occhi umani non vedevano.

Il mago avvertì un fruscio e pochi istanti dopo qualcosa gli passò accanto, sembrava un furetto, ma scomparve nella vegetazione, pochi istanti dopo una volpe saltò fuori da una siepe e si fermò a fissarlo per un lungo momento, muovendo le orecchie mettendosi in ascolto.

Keiji sollevò il viso al fischio che emise il gufo e lo vide scendere in fretta, doveva aver puntato una preda, nello stesso momento avvertì una imprecazione e nel luogo dove pochi istanti prima c’era una volpe, si trovava un ragazzo, che imbracciava un arco.

“Fermo!” urlò il mago quando si rese conto che il nuovo venuto voleva tirare contro al suo gufo. Lo spinse di lato facendogli mancare il colpo di molto poco, facendo spaventare il volatile e facendolo volare via stridendo.

“Ehi” protestò il ragazzo divincolandosi fissandolo perplesso.

“Non toccare quel gufo” intimò Keiji mormorando un incantesimo, ma qualcosa lo colpì alla base della nuca, prima di perdere i sensi vide un altro giovane identico al primo.

 

La testa gli pulsava impietosa, sbatté le palpebre un paio di volte cercando di mettere a fuoco quello che aveva intorno, delle voci gli giungevano ovattate.

Un viso entrò nel suo capo viso, i riccioli neri gli ricadevano ai lati del volto dalla carnagione chiara, due occhi neri e profondi, sulla fronte due piccoli nei.

“Per fortuna non lo hai ammazzato, Atsumu…” lo rimproverò con voce dura, mentre Keiji seguiva lo sguardo dell’altro.

“Il suo famiglio stava quasi per mangiarti”

“Doveva prima prendermi… e sai per esperienza che non è facile…” sogghignò “Comunque si sta riprendendo… per fortuna”

Keiji si mise a sedere massaggiandosi la nuca trovandosi difronte a tre giovani che lo fissavano…

“Dov’è Kotaro?” chiese allarmato guardandosi intorno, erano nello stesso punto dove aveva impedito ad uno dei due… sbatté le palpebre confuso… i due giovani si assomigliavano in maniera spaventosa, solo i loro occhi era diversi, uno li aveva grigi e l’altro color del miele.

“Il tuo famiglio è volato via…”

“Non è un famiglio…” mormorò, chi erano quegli individui? Perché si trovavano nel folto della foresta?

“A no? Comunque, scusami, non volevo colpirti, ma quando ho visto che ti sei mosso verso mio fratello, ho reagito”

“Già, senza riflettere a quanto pare…” aggiunse l’altro.

“E quando mai pensa…”

“Ehi Omi guarda che sono qui… la prossima volta…”

“Non ci siamo presentati loro sono Atsumu e Osamu, io mi chiamo Kiyoomi”

“Keiji…”

Un fruscio li fece voltare tutti e una volpe saltò sul sentiero.

“Scusa Rintaro abbiamo avuto un contrattempo…”

Keiji rimase a bocca aperta quando in un battito di ciglia la volpe si trasformò in un altro giovane uomo avvolto in vesti cremisi.

“Come hai fatto?” sussurrò il mago osservandolo mentre si stringeva nel mantello, l’aria della notte si era fatta pungente.

“Dalle tue vesti sei un mago della Torre, non vi insegnano a trasmutare?” domandò con fare annoiato.

“Fate parte del Clan delle Volpi…” bisbigliò incredulo… non poteva crederci, il manoscritto che gli aveva dato Koushi narrava che pochi clan avevano mantenuto la capacità di trasmutare a proprio piacimento uno di questi era quello delle Volpi, ma era una comunità nomade si spostava in continuazione, molti credevano che non esistessero nemmeno più, che fossero rimasti per sempre nella loro forma animale.

“Andiamo o il nobile Shinsuke si adirerà se non torniamo al campo…” mormorò Osamu tendendo la mano all’ultimo arrivato.

“Ohhh non questa notte… sarà impegnato anche lui… lo sapete… ho sentito che Ojiro vorrebbe apporre il sigillo” sogghignò Atsumu tuffando una mano nei ricci di Omi che lo fulminò con lo sguardo.

“Lo sai che è arrabbiato perché hai portato una donnola con te…” ribatté Osamu con le mani sui fianchi.

“Certo, certo…”

“Posso venire con voi” domandò Keiji mentre gli occhi di tutti si posarono su di lui.

“Vorrei parlare con il vostro capo clan…”

“Non so se sia la notte adatta” borbottò Osamu… “Sai, come dire… la festa del raccolto… e…”

“Lo so, ma non so per quanto rimarrete in questa zona ed io ho bisogno di parlare con lui. Il tempo a mia disposizione è sempre più breve”

 

***

Tutto si era aspettato Keiji, tranne di trovare a capo di quel clan un uomo così giovane, o almeno apparentemente

Shinsuke lo aveva fissato per un lungo momento per poi spostare lo sguardo sui membri del suo clan.

I due gemelli e Rintaro erano intimiditi davanti a lui e gli si rivolgevano con riverenza, tutta la spavalderia che avevano dimostrato con lui era scomparsa.

Accanto al capo, in piedi al suo fianco vi era un altro uomo, alto e possente, dalla pelle scura in netto contrasto con quella color latte dell’altro.

“Vi allontanate dall’accampamento e ritornate con due gufi…” li rimproverò con voce bassa e controllata, ma che vibrava di autorità, senza distogliere i suoi occhi chiari dal viso di Keiji.

“Sparite… andate a godervi questa notte… Atsumu” richiamò quando stavano per andarsene e il giovane si strinse nelle spalle voltandosi lentamente “La donnola… dovresti mangiarla… non andarci a letto”

Il giovane avvampò fino alla punta dei capelli ed annuì, mentre Shinsuke lo congedava con un gesto della mano.

 

Spostò la propria attenzione nuovamente su Keiji e indicò al mago una stuoia “Siedi giovane mago, sei mio ospite questa notte…” lo invitò.

L’altro si sedette ed attese, quell’uomo emanava un’aura mistica e misteriosa.

“Non c’è nessun altro oltre a me…” iniziò ma la Volpe sollevò la mano.

“Questo non è vero, un gufo sta sorvolando questa zona da molto è inquieto e non è a caccia…”

“Kotaro…”  sussurrò e, dopo pochi istanti, come se lo avesse evocato, il gufo reale planò tenendo le grandi ali aperte per un momento, per poi ripiegarle sul corpo.

Gli occhi di Shinsuke si assottigliarono scrutando l’animale, l’uomo al suo fianco trattenne il fiato e si volse verso il capo.

“Un maleficio è stato lanciato su quell’uomo” disse solenne e Keiji annuì.

“Voi potete mutare a vostro piacimento… come fate, che incantesimo usate…”

“Tutti noi dai tempi antichi possiamo mutare naturalmente la nostra forma, c’è chi nei secoli ha scelto una piuttosto che l’altra e chi come noi mantiene le entrambe…” spiegò prendendo da un cesto qualcosa che lanciò a Kotaro e solo quando il rapace lo ebbe nel becco Keiji si accorse che era un topolino.

“Sì, conosco la leggenda”

“Non è una leggenda” lo arrestò Ojiro con un sorriso benevolo.

“Raccontaci la tua storia” lo invitò versandogli del vino in un bicchiere, Keiji ne bevve un lungo sorso era dolce e tiepido, sentì subito la testa leggera e senza esitazione alcuna prese a parlare.

Quando la sua voce si estinse, i due uomini annuirono appena, mentre il mago accarezzava piano la testa del gufo, che era stranamente quieto.

 

“Ogni maledizione può essere spezzata” asserì Shinsuke e per la prima volta in quegli anni, Keiji sentì agitarsi in lui, un barlume di speranza

“Ma c’è sempre un prezzo da pagare” aggiunse Ojiro in tono greve.

“Sono disposto a versare qualunque tributo, devo riportare Kotaro alla sua forma umana… prima che perda i suoi ricordi del tutto e che la parte animale prenda il sopravvento…” mormorò stringendosi nelle spalle ricordando cosa era accaduto solo poche notti prima.

“Sono parole ardite giovane mago… non sai nemmeno cosa potresti perdere nel tentativo…”

“Non ha importanza… qualunque cosa per riportarlo da me…”

Shinsuke si alzò gli sollevò il viso con due dita e osservò gli occhi pieni di lacrime.

“Il tuo cuore è colmo di amore per lui…” mormorò e Keiji annuì chiudendo gli occhi le lacrime rotolarono sulle sue guance.

“In una notte come questa ci siamo scambiati una promessa… un giorno ci saremmo legati ed io…” confessò non riuscendo a completare la frase, ma i due uomini compresero.

“Resteremo in questo luogo per un po’… torna tra due giorni… e ti insegnerò quello che posso, ma a una condizione… non rivelerai a nessuno la nostra presenza e farai in modo che tutti quelli colpiti dal maleficio vengano liberati” propose tendendogli la mano.

Keiji la prese e la strinse “Lo prometto…” giurò sentendo dopo tanto tempo un calore nel petto.

Kotaro allargò le ali flette le zampe e si alzò in volo con uno stridore Keiji lo guardò e quando abbasso nuovamente lo sguardo si trovò in una radura, circondato solo dalla vegetazione e dal buio della notte.

Era stato solo un sogno? Si tastò la nuca aveva ancora il bernoccolo dato dal colpo di quel giovane, creò una luce e vide sul dorso della propria mano il disegno della testa di una volpe stilizzata.

Era successo davvero, era reale, come reale era la possibilità di spezzare il maleficio, avrebbe voluto correre alla torre e dirlo a Kenma, risollevarlo dal suo stato di depressione, ma aveva fatto una promessa ed aveva la netta sensazione che se l’avesse infranta tutti i suoi sforzi sarebbero stati vanificati per sempre.

 

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