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Quando le sobrie e usuali scarpe nere del capo della squadra
investigativa del CBI, Teresa Lisbon, si posarono all’interno dell’ufficio, le
lancette avevano oltrepassato già da un pezzo il numero dieci dell’orologio,
posto in bella vista nel muro princi
Ciao a tutti!!!! Mmmm che dire…non sono un asso nelle presentazioni ma
visto che questa è la prima storia che pubblico penso
che qualche riga sia d’obbligo!!!! J
Sono Teresa e adoro The Mentalist….ho visto tutta la prima serie e non vedo l’ora
arrivi anche la seconda.
Sono una fan sfegatata
della coppia Jisbon (Jane e Lisbon)…secondo me sono fatti per stare insiemeeeee!!!
Quindi in questa mia fan fiction aspettatevi qualche risvolto in proposito!!! Hihihi XD
Avendo già visto tutta
la prima serie, nel corso della storia potrei citare qualche spoiler, in
particolar modo riguardo la vita privata dei
personaggi. Perciò per chi non l’ha ancora vista e non ha intenzione di
rovinarsi la sorpresa gli consiglio di leggerla più
avanti.(Però
ritornate mi raccomando J).
Che altro dire…spero apprezzerete questa mia creazione…per ora pubblico
solo il prologo, così se c’è qualcosa che non va potete dirmelo fin da subito e
cercherò in tutti i modi di migliorare.^^
Mi auguro di leggere molti
commenti…perché, penso lo sappiate meglio di me, sono soprattutto quelli a dare
l’inventiva necessaria per continuare la storia!!!!!!
Ok la smetto di stressarvi
e vi lascio leggere.
Un bacione
T.L
Quando le sobrie
e usuali scarpe nere del capo della squadra investigativa del CBI, Teresa
Lisbon, si posarono all’interno dell’ufficio, le
lancetteavevano oltrepassato già da un
pezzo il numero dieci dell’orologio, posto in bella vista nel muro principale
della sala.
Com’era potuto
succedere? Lei era sempre attenta,
precisa; tutto era sempre sotto il suo attento controllo.
Da quando aveva
assunto il comando della squadra si era ripromessa che
avrebbe sempre dato il buon esempio, anche a costo di infuriarsi con se stessa.
Non a caso, a
contendersi il podio delle tre cose che Lisbon non tollerava
in una persona vi era proprio l’arroganza e il ritardo, il non rispettare un
certo orario, era…era frustrante e irritante.
Non sopportava
dover aspettare qualcuno che probabilmente aveva preferito dedicarsi a
dell’altro invece di preoccuparsi di venire da lei;
che fosse lavoro o vita privata…non faceva differenza.
Per questo se la
prendeva con Jane, lui sembrava proprio quel genere di uomo
che arrivava tardi agli appuntamenti, non solo lavorativi. Non che conoscesse le sue abitudini al di fuori dell’ufficio,
certo…ma…ma di solito una persona trasferiva i propri difetti personali anche
nel contesto lavorativo. Lo faceva anche lei dopotutto…
Ad ogni modo,
stava di fatto che quella mattina era arrivata lei in ritardo, e la cosa
probabilmente era ancor più irritante se a farlo fosse stato qualcun altro.
Con il suo
consueto passo deciso, leggermente contrastante con la sua figura minuta,
Teresa si avvicinò alle scrivanie poste in fondo alla sala, dove naturalmente i
suoi colleghi stavano già lavorando a qualche caso assegnato dal “boss”.
Van Pelt,
impegnata a leggere qualcosa sul suo fedele computer portatile, alzò lo sguardo
dallo schermo non appena la vide arrivare, porgendole uno dei suoi consueti
sguardi comprensivi. Come due donne riuscissero ad
essere così diverse alle volte risultava incomprensibile.
“Buongiorno…”
disse dolcemente la giovane agente dai capelli rossi, spostando per una
frazione di secondo lo sguardo su Wayne Rigsby, la cui mancanza di tatto era
decisamente conosciuta all’interno della squadra.
Infatti l’agente non
perse tempo, sorridendo divertito nel notare lo sguardo leggermente stravolto
del capitano.
“Salve…” disse sarcastico, non osando dire nulla
di più, nonostante dentro di lui si fossero già formate una serie di battute
ironiche riguardanti il ritardo di Lisbon; ma dopotutto ci teneva fin troppo al
suo distintivo e incorrere nella furia del capo non sarebbe stata di certo la
cosa più furba da fare.
Dal canto suo, il terzo componente della
squadra, l’agente Kimball Cho, non sembrava essere particolarmente interessato all’arrivo
di Lisbon, rimanendo del tutto concentrato sulla documentazione sparsa sopra la
scrivania. “Buongiorno capo!”
Dopo aver emesso un veloce – Buongiorno -, Teresa si diresse spedita
verso il suo ufficio, chiudendo bruscamente la porta alle sue spalle.
Poco prima, mentre stava
percorrendo la sala della centrale, la donna dai capelli scuri non riuscì a
fare meno di gettare una veloce occhiata sul divano in pelle marrone situato a
pochi meri dal suo ufficio. Solitamente lo trovava sempre disteso lì, intento a
sonnecchiare o a perdersi in uno dei suoi contorti e inimmaginabili pensieri.
Quella mattina, però non c’era traccia di Jane e l’unica parola che si formò
nella sua testa a quel pensiero fu “Per fortuna”.
Sicuramente se l’avesse vista arrivare a lavoro con qualche ora di
ritardo non si sarebbe di certo fatto sfuggire la
possibilità di deriderla, usando quel episodio in futuro per metterla alle
strette.
Come avrebbe potuto giudicare i suoi futuri ritardi se anche lei si era dimostrata non esserne da meno??
Bè…ora comunque non aveva più importanza. Lui
non c’era, non poteva torturarla con le sue sottili ed azzeccate frecciate da
“sensitivo” e, in particolar modo, non l’aveva vista entrare con l’aria di chi
non aveva chiuso occhio per tutta la notte .
Già…una notte orribile…
Stancamente si sedette sulla poltrona davanti alla scrivania, coprendosi
il viso con le mani bianche come la neve. Era esausta,
quella giornata doveva finire alla svelta, altrimenti i suoi nervi non
avrebbero retto, ne era certa.
Tenendo una mano sulla fronte, Lisbon posò distrattamente lo sguardo
sullo schermo spento del computer davanti a lei, notando nel giro di qualche
istante una macchia decisamente ben visibile sul
colletto della maglia beige che indossava.
Com’era possibile, si era spanta addosso il caffé
la sera prima, come poteva essersi macchiata anche quella…stamattina dalla
fretta non aveva nemmeno fatto colazione perciò…
“Maledizione…”esclamò
seccata, interrompendo bruscamente il suo ragionamento.
“Mmmm la stessa maglia del giorno prima…per di più macchiata…di caffé se
non sbaglio!”
La voce che improvvisamente fece il suo ingresso nell’ufficio
fu riconoscibile in una sola frazione di secondo. In fin dei conti una sola
persona poteva avere un tono così solare e, al contempo sicuro di se, già dalle
prime ore del mattino. Una voce che sembrava saper tutto su chi aveva davanti
e, con ogni probabilità, la sensazione non doveva discostarsi più di tanto
dalla realtà.
L’uomo dai biondi capelli ricci se ne stava sul ciglio della porta, con
solo la testa all’interno della stanza della donna; come se, in cuor suo, sapesse bene quanto rischiasse la vita in quel momento.
Non capitava tutti i giorni arrivare a lavoro prima
della puntualissima Teresa Lisbon; perciò, come farsi sfuggire una simile
occasione?! Poterla guardare con un sorriso leggermente soddisfatto e
divertito.
Semplice….era impossibile.
“Che c’è Jane..?!” chiese Lisbon, cercando di
coprire la macchia sul colletto con il braccio sottile, puntando i suoi
indimenticabili occhi vedi sull’atletica figura del consulente della squadra.
“Bè…” iniziò l’uomo entrando nella stanza, mostrando un contenitore in plastica da caffé come biglietto da visita “…ho pensato
che un caffé poteva fare al caso tuo! Visto che sono le dieci passate…”
aggiunse, posando il bicchiere in plastica davanti a
Lisbon, il cui volto faceva chiaramente trasparire la seccatura per quella sua
prima “frecciata mattutina”.
“Jane…” iniziò Teresa, avvicinando alla scrivania la sedia scorrevole su
cui era seduta.
“Oh tranquilla Lisbon…può capitare a tutti di arrivare tardi a lavoro. Di
solito succede se si rientra tardi o se si sta male o…se si ha qualche ospite!”
esclamò sottolineando divertito l’ultima parola “…ma
nel tuo caso sembra che il letto non sia stato neanche sfiorato!”
“Ah sì? E quale parte del mio corpo te lo sta
involontariamente svelando?...sempre ammettendo che tu abbia ragione!”
puntualizzò con il suo consueto scetticismo.
“Bè…indossi la maglia del giorno prima…. Probabilmente non hai chiuso
occhio per tutta la notte, addormentandoti solo quando
eri esausta sulla poltrona di casa tua…abbastanza lontana dalla sveglia da non
riuscire a sentirla. Così quando hai aperto gli occhi e ti sei accorta dell’ora ti sei precipitata in ufficio…dimenticandoti di…”
“Ok…” lo interruppe brusca Lisbon, sistemandosi nervosamente i capelli
mossi, i quali le cadevano un po’ più giù delle spalle “…che c’è?”
“Ti ho portato il caffè!” le disse, porgendole
uno dei suoi affascinanti sorrisi.
“Jane..”
“Oh ma non l’ho mica fatto io!” la interruppe Patrick sedendosi sul
divanetto poco distante dalla porta “…sono andato a prenderlo al Cafè qui
vicino…se non sbaglio ti piace particolarmente!”
“….non ho mai detto che mi piace
particolarmente…”
“Vero!...ma ogni volta che ci fermiamo a
lavorare fino a tardi e Van Pelt lo va a prendere poi sembri molto
più…contenta”
“Non è affatto vero…non sembro contenta solo
perché bevo un caffé acquistato al Bar in strada…” replicò leggermente
risentita, più per il tentativo di Jane di continuare a voler leggere il suo
comportamento che sulla veridicità dei suoi gusti in fatto di caffé.
“Si invece…infatti appena lo assaggi subito dopo
ti si fa quella leggera fossetta sulla guancia destra, tra il naso e la bocca…”
cominciò a spiegarle, indicando il punto esatto in cui le si creava quella
caratteristica del suo sorriso “..che devo dire ti da un tocco di classe!”
Per qualche istante Lisbon non seppe cosa dire, temendo di arrossire com’era già capitato ogni qual volta Patrick estraesse uno di
quei suoi commenti fuori luogo.
Non sapeva ancora come ci riuscisse, ma da quando quell’uomo
era entrato a far parte del CBI il suo umore era decisamente
cambiato e anche la sua reazione a determinati…commenti, se così li si voleva
chiamare, era diversa.
–diavolo Lisbon…- pensò nervosamente la mora.
Patrick rimase seduto sul divano, intento ad osservare con i suoi
splendidi occhi chiari qualsiasi movimento della donna di fronte a lui, senza
sciogliere per un solo istante quel sorriso spontaneo, in grado di affascinare
qualunque donna degli Stati Uniti, e non solo.
“Ok…grazie…” disse flebilmente Lisbon, abbassando lo sguardo, per poi
afferrare il caffé che Jane gli aveva portato.
“Di niente…” le rispose sicuro e divertito, continuando a guardarla
mentre sorseggiava il caffé ancora fumante, soddisfatto nel notare quella
fossetta così…così singolare, così caratteristica.
“Lisbonnel
mio ufficio!” tuonò improvvisamente una voce maschile, in direzione della porta
dell’ufficio.
Chi poteva essere se non Minelli, il grande capo
di Lisbon. Non era un uomo cattivo o troppo pretenzioso, ma il suo umore, la
maggior parte delle volte, invadeva gran parte
dell’ufficio, influenzando inevitabilmente quello dei suoi sottoposti.
Subito dopo aver convocato Lisbon, Minelli sparì, con la stessa velocità
con cui si era presentato, facendo sbattere la porta dell’ufficio,
interrompendo così in maniera del tutto definitiva quello
strana atmosfera che sembrava essersi creata tra i due colleghi.
Dopotutto era tipico del grande capo entrare in
quel modo; il più delle volte per riprendere Lisbon su qualche comportamento
tenuto dai suoi componenti della squadra. Un componente
in particolare.
Velocemente Teresa si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta del
suo ufficio, seguita a ruota da Jane
“Ah…grazie…lo stesso” disse la donna fermandosi nella soglia, porgendo
nuovamente il caffé a Jane.
“…te lo tengo da parte…” le rispose l’uomo continuando a sorriderle.
La donna sorrise a sua volta, facendo comparire
nuovamente quella lieve ruga d’espressione ai lati della bocca, per poi
avviarsi verso l’ufficio del suo capo, ancora
leggermente stordita dalla mancanza di sonno. E non solo..
Con l’aria leggermente più allegra rispetto a poco prima, Jane si andò a
sedere sul suo amatissimo divano in pelle marrone,
posando il caffé sul tavolino in vetro a pochi centimetri da lui.
“Porti il caffé al capo?...si direbbe un
comportamento da raccomandati!” esclamò improvvisamente Rigsby, seduto alla sua
scrivania.
Alle volte non si capiva se le affermazioni di Wayne fossero
semplicemente sarcastiche o con un sottile strato di serietà e irritazione. Non
che Rigsby nutrisse un qualche interesse per Lisbon, di quello Jane ne era assolutamente certo visto che ogni piccolo centimetro
del suo corpo diceva chiaramente “voglio fare sesso con Van Pelt”. Ma chissà…forse quelle erano congetture fatte da Cho e poi
riportate da Rigsby. O forse Rigsby era semplicemente
privo di tatto. E la seconda opzione sembrava
decisamente più accreditata.
“Volevi che lo portassi anche a te?!” chiese
ironico Jane, sdraiandosi completamente sul divano, portando le braccia dietro
la testa.
“Sì, non mi dispiacerebbe!”
“Comunque il caffé te lo sei riportato
indietro…ergo non l’ha accettato!” intervenne Cho, nascondendo un sorriso
sornione, avvicinandosi verso il divano su cui era sdraiato il collega.
“Sbagliato Cho!”
“Non credo proprio!” incalzò l’orientale.
“Dieci dollari che quando arriva mi chiede dov’è il suo caffé!” lo esortò
a scommettere il biondo.
“Ok ci sto!”
Dal canto suo, la bella Grace, la quale portava rigorosamente i suoi
lunghi capelli rossi raccolti in una coda, era intenta a scrivere un resoconto
a computer, lanciando regolarmente occhiate leggermente irritate verso i suoi
colleghi. Come si poteva scommettere su ogni cosa non
riusciva proprio a capirlo.
E poi…Cho e
Rigsby non avevano ancora capito che Jane ci azzeccava sempre? Stavano
diventando la sua riserva di dollari personale e loro nemmeno se ne erano accorti.
“Io oggi non tirerei troppo la corda con Lisbon se fossi in voi!” esclamò
improvvisamente la rossa, staccandosi finalmente dallo schermo davanti a lei.
“Ah sì, e perché?!” le chiese Rigsby, cercando
di ignorare i primi chiari segnali di appetito mattutini che provenivano dal
suo stomaco.
“Perché è arrivata tardi?!” tentò Cho, posando
lo sguardo su Van Pelt.
“Già…mi sa che è la prima volta che la vedo arrivare tardi…che abbia una
qualche relazione?!” tentò a sua volta Wayne
sorridendo.
“No affatto!” esclamò improvvisamente Jane, quasi senza riuscire a
controllare la sua voce. Chissà perché aveva risposto in maniera così…così
decisa, per giunta ad una domanda che non lo riguardava
affatto. Dopotutto Teresa era una bella donna, e solo un idiota avrebbe potuto affermare il contrario.
Ma stava di fatto che quella mattina non era arrivata tardi per una
qualche notte di fuoco; al contrario, doveva essere stata proprio la solitudine
a non farla dormire, e la maglia del giorno prima, per giunta macchiata, abbinata
a delle profonde occhiaie ne erano una prova
schiacciante.
Fin da subito aveva notato i suoi occhi chiari fin troppo lucidi e il
volto tirato, e la cosa lo aveva fatto sentire così…così strano. Come se un qualcosa dentro di lui volesse….
Ad ogni modo, la domanda che ronzava sulla mente di Jane
era…perché Lisbon aveva trascorso la notte sveglia? Certo non si aspettava che
lo avrebbe chiamato per farsi consolare, dopotutto non avevano una simile confidenza.
Ma era pur vero che lui le aveva rivelato una parte
del suo passato che non aveva mai svelato a nessuno, se non a lei.
Allora perché lei non riusciva a fare altrettanto? Cosa
poteva tenere sveglia Teresa tutta la notte, portandola addirittura ad arrivare
tardi a lavoro e con un’espressione notevolmente provata? Che
fosse successo qualcosa?
“Ah certo…che Lisbon non si vede con nessuno lo hai letto da qualche sua
movenza delle sopracciglia, giusto?!” lo derise
Rigsby.
“mmm…no le sopracciglia non centrano!”
“Smettetela!” li riprese Grace, con il suo tono fin troppo dolce per apparire serio e autoritario. “…non sto
scherzando…oggi non…non è il caso!”
“Ma si può sapere il perché?!” la incalzò
Rigsby, lasciando improvvisamente da parte il suo appetito.
“Bè..” iniziò Van Pelt, visibilmente preoccupata “…non so se potrei dirlo
ma…”
“Il fatto che tu nutra dei dubbi a riguardo significa che probabilmente non
potresti dirlo…ma…arrivati a questo punto tanto vale
buttarsi non credi?!” esclamò Jane, rimettendosi a sedere sul divano.
Van Pelt rimase un secondo con lo sguardo fisso sul consulente; perché si
divertiva così tantoa metterla in difficoltà? In fin dei conti doveva capire le paure che nutriva nei confronti di
Lisbon…era il loro capo…e se avesse saputo che aveva letto il suo dossier, bè…avrebbe passato molto più di un brutto quarto d’ora.
Ad ogni modo Jane aveva ragione;
era inutile rimangiarsi tutto.
“Oggi…è l’anniversario della morte…della…madre di Lisbon!” disse, con
voce leggermente più bassa rispetto al suo tono consueto.
“Oh…” si limitò a dire Rigsby, spostando lo sguardo da Van Pelt alla sua
scrivania, come se quest’ultima potesse suggerirgli la cosa più intelligente e
delicata da dire.
“Non credo affatto sia per questo!” esclamò
improvvisamente Patrick, dopo qualche istante di silenzio, riportando tutta
l’attenzione dei tre colleghi su di se.
“Ah no?...mi sembra un motivo più che valido!”
rispose irritata Grace.
“Non sto mettendo in dubbio che sia o meno un
motivo valido. Ma non credo che…” Patrick stava per
terminare la frase, quando vide arrivare Lisbon dall’ufficio di Minelli, e il
suo sguardo non sembrava essere molto più steso rispetto a poco prima.
“Abbiamo un nuovo caso!” esclamò Teresa, non appena giunse alle scrivanie
dei suoi colleghi.
Per qualche istante tutti rimasero in silenzio, guardando Lisbon con
l’espressione di chi sta cercando un qualche strano
particolare impercettibile ad occhio nudo.
La donna rimase immobile, leggermente imbarazzata da quegli occhi puntati
addosso. Non sopportava che la gente la guardasse in
quel modo, soprattutto se a farlo era Jane con quel sorriso dipinto in faccia.
“Si può sapere cosa vi è preso?!”
“Scusa capo..”
“Scusa capo…”
“Sc…scusa capo….” Concluse Van Pelt, divenendo visibilmente più rossa in
viso “….di che caso si tratta?!”
Jane non disse nulla, cercando di captare qualcosa nei movimenti di
Lisbon che gli potesse rivelare qualcosa.
Lisbonnon
riuscì a trattenere un leggero cipiglio, per poi aprire il dossier del caso
appena consegnatogli da Minelli.
“…Si tratta di Susan Long...una donna di 35 anni
trovata morta a San Francisco sul ciglio della strada!”
“Long? Non avrà a che fare con il noto studio legale Long & Strass
San di Francisco?!” chiese interessato Cho,
appoggiandosi al tavolo poco distante dal divano su cui era seduto Patrick.
“Esatto proprio lei… per questo Minelli vuole che ce ne
occupiamo noi! La vittima lavorava come avvocato nello studio legale del
padre ed era sposata da due anni con il socio, Mitch
Strass. Era scomparsa da due giorni senza lasciare traccia,
il marito ha chiamato la polizia dopo 24 ore. Van Pelt…tu, Rigsby e Cho
andateallo
studio legale per interrogare il padre. Io e te andiamo
a vedere il corpo!” concluse decisa Lisbon, spostando l’attenzione su Jane, il
quale di scatto si alzò in piedi, entusiasta come al solito.
“Guido io?!” chiese speranzoso.
“Non pensarci nemmeno!” lo liquidò la donna, sorridendogli sarcastica.
Tutti si stavano dirigendo verso l’uscita dell’ufficio, tranne Cho, il
cui volto appariva decisamente soddisfatto.
“Credo proprio che tu mi debba dieci dollari?!”
affermò, quasi incredulo per aver finalmente vinto una scommessa contro Jane.
“…Ah…a proposito…” li interruppe
Lisbon, uscendo velocemente dal suo ufficio con la giacca nera addosso “..Jane dov’è il mio caffé?!”
Eccoci
arrivati alla fine del prologo…allora che ne pensate??????
Eccomi quiiiiii……ebbene sì sono già ritornata a stressarvi con questa
fan fiction :-P
Eccomi
quiiiiii……ebbene sì sono
già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P
Dai
per ora mi fermo qui così vi lascio leggere in santa pace…a dopoooo!!!
BUONA
LETTURA!!!^^
CAPITOLO 1
Il luogo del delitto era già circondato dalla polizia locale e da una
decina di turisti la cui eccessiva curiosità li portava a voler fotografare
persino il punto in cui la giugulare della vittima era stata recisa in maniera netta
e a dir poco brutale. Era vero…alle volte gli esseri umani si dimostravano
essere peggio degli animali; almeno loro non fotografavano i loro morti.
Velocemente Lisbon e Jane
scesero dalla macchina, dirigendosi con passo deciso verso il luogo in cui era
stato gettato quel corpo ormai privo di vita.
Lisbon lanciò una
veloce occhiata in direzione di Jane, il quale
sembrava aver avuto il suo stesso identico pensiero, arrivando così ad
incrociare simultaneamente quegli occhi tanto verdi quanto espressivi.
“Salve…voi siete?!” chiese un poliziotto dai
capelli biondi come il grano, la cui giovane e spaventata espressione dipinta
sul volto indicava chiaramente la sua scarsa esperienza sul campo.
“Siamo gli agenti Lisbon e Jane
del CBI! E lei è?” si limitò a chiedere Lisbon,
tralasciando volutamente il fatto che il suo collega non fosse propriamente un
agente della California Bureau of Investigation.
“Sono l’agente Keys” rispose il giovane, cercando di evitare di posare nuovamente
lo sguardo sul cadavere a pochi centimetri da lui.
Rigida e irremovibile, come si mostrava ogni qual
volta si trovasse sulla scena del crimine, Lisbon
puntò il suo sguardo sul giovane di fronte a lei, cercando di ignorare la
strana sensazione che quel caso fosse più complicato del previsto. Una donna
uccisa e lasciata sul ciglio della strada non doveva essere
nulla di così….complicato. Dopotutto poteva benissimo trattarsi di
qualche conoscente geloso o di un marito frustrato.
Sicuramente tutta quella negatività era dovuta
alla mancanza di sonno, ne era certa.
Mentre a sua volta aspettava un resoconto da parte dell’agente, Jane si ritrovò nuovamente a riflettere sulla donna di
fianco a lui, il cui volto serio e corrucciato cercava
in tutti i modi di non far trasparire nulla da quegli occhi fin troppo
espressivi.
Dopotutto, se ci pensava bene, in più di una occasione
aveva intravisto la parte dolce e sensibile del suo carattere; come durante
quel caso avvenuto a Santa Marta, dove quella ragazza era stata uccisa dai suoi
stessi amici surfisti, e suo padre, il quale aveva perso persino la moglie,
stava pian piano cominciando a lasciarsi andare, quasi disinteressandosi dei
figli più piccoli. Quel giorno aveva intravisto una profonda sofferenza nello
sguardo di Lisbon;una sofferenza riemersa proprio da
quella triste storia, la quale sembrava essere lo specchio della sua vita
passata. Un padre che abbandona la propria figlia, obbligandola così a prendere
totalmente le redini della famiglia; come se, senza accorgersene, avesse
preferito l’alcool ai suoi stessi figli. Lei, così piccola e
spaventata, privata di un’infanzia che non sarebbe più tornata indietro.
Già, ma quelle cose Patrick le sapeva già, nonostante Teresa non gliele avesse mai
direttamente rivelate, e forse era proprio questo ad irritarlo; il fatto che
lei non si fosse mai sentita libera di esporsi con lui. Mai…
“Chi l’ha trovata?!” esclamò la voce decisa di Lisbon, riportando il consulente al suo fianco nel mondo reale.
Nonostante fingesse di essere totalmente concentrata a
ciò che l’agente stava per dirle, in realtà la giovane detective dai capelli
scuri aveva notato l’assenza di Jane e, chissà
perché, la cosa la preoccupava leggermente. Chissà che
diavolo aveva fatto quel poveretto davanti a lei per catturare l’attenzione di Jane. Probabilmente aveva spostato lo sguardo di
lato, chiaro segno che stava mentendo, e probabilmente Jane
si stava preparando una delle sue tipiche frasi ad effetto, ovvero
una di quelle frasi poco opportune per metterlo alle strette.
“Un barbone, RufusCaine,
girovagava da queste parti verso le sei del mattino….e….l’ha trovata stesa a
terra…con gli occhi….”
Il poliziotto dai capelli scuri si bloccò, come se improvvisamente le
parole che avrebbe dovuto dire gli si fossero bloccate
in gola, impedendogli così di parlare. Non c’era che dire, quello non era di
certo il mestiere più adatto a lui.
“Aveva gli occhi aperti!” lo aiutò Jane,
avvicinandosi al cadavere della vittima, inginocchiandosi accanto a lei.
La donna aveva i lunghi capelli neri del tutto scompigliati, con diverse
ciocche incollate al viso pallido per via del sangue, rosso ed essiccato il
quale ricopriva visibilmente gran parte del suo corpo. Indossava una camicia
raffinata, la quale doveva essere stata di un candido bianco perla,
prima di essere totalmente ricoperta di sangue e terriccio.
Era di costituzione minuta, alta si e no un
metro e sessanta, massimo sessantatre. Gli occhi chiusi erano leggermente a
mandorla, come a voler ricordare le sue inconfondibili origini cinesi.
“Di che colore erano gli occhi?!” chiese Jane, alzandosi nuovamente da terra, riportando la sua
attenzione sui vivi presenti in quel momento.
“v…verdi…perché? che importanza ha?”
Senza rispondere a quella domanda, Jane si alzò da terra, scrollandosi distrattamente gli
eleganti pantaloni grigi impolverati dall’asfalto su cui si era appena
inginocchiato. Al contrario di Lisbon non indossava la giacca abbinata al resto del
completo, ma solo la camicia azzurra con sopra un’inconfondibile
gilet blu, il quale caratterizzava quasi sempre il suo stile.
“Allora?!” lo esortò Lisbon,
concentrando tutta la sua attenzione sul consulente, il quale in più di un
occasione aveva dimostrato di saperci fare più della scientifica nello studio
dei cadaveri.
“Sto pensando…”
“A…?!”
“….a come fai a tenere quella giacca addosso con questo caldo. Su
toglila…chi vuoi che si accorga che ti sei spanta il caffé
addosso!” esclamò improvvisamente Jane, lasciando la
donna di fronte a lui con uno sguardo a dir poco scioccato. Anche l’agente Keys sembrava essere sul punto di chiedere dove fosse
nascosta la telecamera; era inconfondibile la frase che gli si leggeva in
faccia: chi diavolo era quel pagliaccio?!
Faticando non poco nel trattenere ciò che avrebbe realmente voluto dire,
o peggio ancora fare, Teresa si avvicinò a Jane,
cercando invano di mantenere un tono di voce serio e
controllato.
“Jane….non mi sembra il momento adatto per dire
certe cose..” sussurrò la
donna all’orecchio del biondo, lanciando una veloce occhiata in direzione del
poliziotto poco distante da loro.
“…ma lo dico per te…” continuò l’uomo,
sussurrandoglielo anch’egli all’orecchio, in modo da riuscire almeno lievemente
a nascondere il sorriso che gli si era dipinto sulle labbra.
“Scusate…” cercò di intromettersi il giovane poliziotto, sempre più
confuso dalla situazione che si era ritrovato a vivere da un momento all’altro.
“Per l’assassino era importante!” rivelò Patrick
improvvisamente, come se lo scambio di opinioni appena
avvenuto tra lui e Lisbon non fosse realmente
accaduto.
“cosa?!” chiese l’agente, sbigottito
“Il colore degli occhi….Mi ha chiesto lei perché volevo saperlo!”
“in che senso era importante?!”
“Nel senso che per l’assassino il colore degli occhi della vittima era
importante…” esclamò Patrick, riavvicinandosi al
cadavere “..per questo ha fatto in modo che
rimanessero aperti e, sempre per lo stesso motivo, ha appiccicato i capelli su
tutto il viso, tranne che sugli occhi…come a volerlo nascondere, farlo passare
in secondo piano”
“Da quando sei diventato un esperto nel tracciare i profili degli
assassini?” lo schernì Lisbon, avvicinandosi a sua
volta al cadavere.
“Oh ma io non sto tracciando il profilo dell’assassino… mi sto solo basando
su ciò che vedo della vittima!” continuò, soddisfatto.
“Ah sì? Spiegati meglio per noi poveri mortali!”
“Susan era un avvocato di successo, per di più di origini
orientali…ragion per cui non avrebbe mai tenuto i capelli sciolti…le avrebbero
tolto parte della sua innata classe. Infatti se noti…”
disse Jane, inginocchiandosi nuovamente vicino al
corpo della vittima “…i capelli hanno una piega…come se fossero rimasti legati
per tanto, troppo tempo…. per giorni, senza mai essere slegati...neanche per una
spazzolata. Probabilmente l’assassino li ha sciolti prima di ucciderla…e il
codino che ha sul polso credo ne sia una prova…”
concluse, indicando il polso sinistro della vittima.
Lentamente Lisbon infilò il guanto in lattice,
in modo da non contaminare le prove. Attentamente e con
delicatezza, come se temesse di farle del male, Teresa sollevò il codino nero,
notando che sotto a questo la pelle non portava nessun segno. Janeaveva ragione, i capelli della vittima
erano stati sciolti poco prima di essere stata gettata lì in mezzo alla
strada.
Era…impressionante…
Dal canto suo l’agente Keys rimase senza parole.
In una decina di minuti quello che fino a poco prima aveva considerato il
pagliaccio della situazione aveva dato importanti, se
non impensabili, dati riguardanti l’assassino e la vittima di quel caso. Come
diavolo c’era riuscito? Chi si sarebbe mai aspettato una simile performance
degna di SherlockHolmes?
“Bene…chiamateci non appena viene fatta
l’autopsia!” lo liquidò Lisbon, lanciando una veloce
occhiata in direzione di un Jane leggermente
soddisfatto, per poi dirigersi con il suo consueto passo spedito verso l’auto
nera.
Dopo tutti i casi risolti grazie alla sua particolare attenzione per i
dettagli, Teresa non riusciva a fare a meno di credere che gran parte delle sue
intuizioni avevano un fondo di verità. Era inutile
chiedersi come ci riuscisse e come mai a lei non fosse risaltato agli occhi
quel particolare. Dopotutto in molti lo credevano un sensitivo…perciò qualcosa di anormale doveva pur averlo.
“S…sì…certo!” le rispose l’agente qualche istante dopo, seguendo quelle
due singolari figure mentre si allontanavano con
l’auto dell’agente Lisbon.
“Dove andiamo?!” chiese Jane,
mettendo la cintura di sicurezza, anche se con la guida sicura di Lisbon era pressoché inutile.
“Torniamo alla centrale…”
“Ah non andiamo a casa tua?!”
“…e perché mai dovremmo andare a casa mia?”
chiese la donna, non riuscendo a trattenere quel dolce sorriso che Jane riusciva sempre a strapparle in un modo o nell’altro.
“Vuoi rimanere tutto il giorno con l’odore da caramella al caffé?!”
“N..no…”
“Allora andiamo a casa tua così ti cambi…”
“Devo ricordarti che dobbiamo trovare l’assassino di quella povera donna?!”
“Certo che no…ma non credo che lei si alzerà da terra per lamentarsi del
servizio offerto!” esclamò ironico Patrick,
porgendole l’ennesimo dei suoi sorrisi. Chissà se era a conoscenza di quanto
fossero affascinanti, in particolar modo quando erano
rivolti proprio a lei…il suo capo. Già...quel piccolo dettaglio doveva
ripeterselo in più di un’occasione.
Lisbon rimase in
silenzio, spostando per un attimo lo sguardo fuori dal
finestrino.
“Mmmm chissà…forse ha ragione Rigsby!” esclamò improvvisamente Jane,
interrompendo il momentaneo silenzio che si era venuto a creare.
“E cioè?...” chiese
incuriosita Teresa.
“bè…dice che forse hai
una relazione…”
“Ah sì?!” gli chiese leggermente stupita da
quella…confessione.
Ma di che diavolo
parlavano durante le pause? delle sue relazioni
sentimentali?
“Sì ma tranquilla gli ho detto che si sbaglia…”
le confessò Jane, sapendo bene che con quella risposta
il livello di irritazione della donna sarebbe sicuramente aumentato si e no del
60%.
“Ah…perché naturalmente tu sai cosa faccio nella mia vita privata giusto?!”
“Bè sì perché..”
“Shh zitto…non voglio nemmeno saperlo!” lo
liquidò Teresa, inserendo la prima e avviando l’automobile verso la strada
principale, cercando di ignorare lo sguardo solare di Jane
che, nel frattempo, sembrava ridere sotto i denti.
Nel frattempo VanPelt,
Rigsby e Cho arrivarono
allo studio legale Long & Strass San di Francisco,
dove ad attenderli c’era il padre e il marito della vittima.
Il luogo si presentava simile a qualsiasi altro studio legale: freddo,
moderno e impeccabile in ogni sua parte. Nonostante
gran parte del personale fosse sicuramente a conoscenza della tragedia da poco
avvenuta, il clima all’interno di quello stabile non sembrava risentirne
minimamente.
“Che…freddezza…” esclamò la rossa, guardandosi
attorno, come alla ricerca di qualche impiegato o avvocato rattristato dalla
notizia.
“Chissà…forse non era particolarmente amata!”affermò Cho,
dirigendosi verso l’ufficio del signor Long con la sua classica aria composta e
risoluta.
“O forse la diceria che gli avvocati sono dipendenti del diavolo ha un
fondo di verità!” si intromise Wayne,
riuscendo quasi a far sorridere la dolce VanPelt.
Una volta preso
l’ascensore che li avrebbe portati all’ultimo piano del maestoso grattacielo
situato al centro di San Farcisco, l’agente Rigsby
non riuscì a fare a meno di lanciare qualche veloce occhiata in direzione di Grace.
Diavolo come faceva ad essere così bella già di
prima mattina. A differenza
di Lisbon che quella mattina in particolare sembrava
aver passato la notte facendo tre volte il giro di Sacramento. Doveva
ammettere che se gli avessero chiesto di elencare le differenze tra lei e il
capo, probabilmente ci avrebbe impiegato una giornata intera; in fin dei conti in
quanto a risvegli VanPeltvinceva alla stragrande; perfetta in ogni suo dettaglio,
come se niente potesse rovinare quel viso così dolce e sensuale.
Per non parlare del carattere; Grace era
così…così dolce. Lisbon, invece, sembrava sempre sul
punto di estrarre la pistola per mettere tutti in riga. Se il capo diceva
“andate a New York” bisognava essere svelti ad alzarsi e prenotare il volo prima che uscisse dal suo ufficio; in particolar
modo quando Jane ne combinava una delle sue, come
cercare di conquistare la vedova della vittima solo per vincere una scommessa.
Ad ogni modo, stava di fatto che VanPelt era a dir poco splendida.
- Ahhh maledizione…- si ammonì, schioccando
involontariamente la lingua, obbligando i due agenti al suo fianco a voltarsi
verso di lui -…un giorno o l’altro mi faccio
ipnotizzare da Jane…ho paura sia l’unico modo per
riuscire a dirle tutto…- si disse,
spostando lo sguardo verso l’alto come a fingere indifferenza.
“Rigsby…tutto bene?!”
chiese tutto ad un tratto la rossa, avvicinandosi lievemente al collega, il cui
voltò sembrò arrossire vistosamente nel giro di qualche istante.
“S…sì…certo..” balbetto,
come se, invece di Val Pelt, avesse un lungo coltello
puntato alla gola.
Velocemente le porte del lussuoso ascensore si aprirono, permettendo a Wayne di trarre un profondo respiro di sollievo.
Cho, come di
consueto, non si scompose minimamente, dirigendosi per primo verso l’ufficio
del signor Long.
Non appena varcarono la soglia della stanza, gli agenti notarono lo
sguardo perso di un uomo sulla sessantina, il cui sguardo inerme sembrava
invadere ogni centimetro di quel vasto ufficio.
HiroLong se ne stava seduto sul suo comodo ed elegante divano in
palle bianco, con lo sguardo fisso sul televisore al plasma davanti a lui. Un
televisore purtroppo spento da una decina di ore.
Lentamente i tre agenti avanzarono lungo la stanza, aspettando un qualche
cenno di presenza del grande avvocato penalista.
“Signor Long….” Esclamò cauta VanPelt, avvicinandosi all’uomo qualche
passo in piùrispetto
ai suoi colleghi.
Per chiunque avesse avuto modo di conoscere la figlia Susan, non avrebbe
potuto fare a meno di notare la grande somiglianza che
incorreva tra i due: gli stessi zigomi, la stessa bocca, gli stessi occhi tanto
espressivi quanto inflessibili.
“Signor Long sono l’agente VanPelt del CBI e loro sono gli agenti Cho e Rigsby!” si presentò la
giovane donna, sperando che almeno questo potesse riportare l’uomo alla realtà.
E, in effetti, per una breve frazione di secondo, il
padre della vittima, spostò lo sguardo su VanPelt, infondendogli gran parte del dolore che in quel
momento sembrava lo stesse logorando dall’interno.
“Vi prego di scusarlo…” esclamò una voce maschile alle spalle degli
agenti, i quali subito si voltarono per capire di chi si trattasse “….non ha…non ha ancora la forza di parlarne!”
“Purtroppo però dovrà farlo!” lo informò Cho,
sapendo bene di apparire cinico e insensibile.
In fin dei conti, però, quella era un’indagine di omicidio
e se tutti i sospettati avessero cominciato a fingersi talmente straziati da
non riuscire a parlare, bè…il CBI avrebbe presto
chiuso battenti e burattini.
VanPelt sembrò riservare a Kimball
una veloce occhiata di disappunto. Loro erano gli agenti incaricati di
interrogarli, certo, ma un minimo di umanità non avrebbe
sicuramente guastato.
“Lei deve essere…”
“Mitch Strass!” l’anticipò l’uomo sulla
quarantina “…il marito di Susan!”
Mitch, un uomo ben
curato con una mise tipica di ogni avvocato, appariva
un uomo decisamente…normale: occhi scuri, capelli leggermente brizzolati, alto
all’incirca un metro e settantacinque e dalla costituzione fisica snella ma tutt’altro che palestrata.
“Signor Strass può portarci nell’ufficio della signora Long?!” chiese Cho, indicando se
stesso e l’agente Rigsby.
“C…certo, seguitemi!” rispose il marito, il cui tono di voce appariva decisamente turbato e insicuro, come se i pianti e i
singhiozzi smessi solo qualche minuto prima dell’arrivo della polizia stessero
per fare la loro ennesima entrata in scena.
Una volta che i tre uomini furono usciti dalla stanza, VanPelt si sedette sul divano,
accanto al padre della vittima. Il volto, segnato dalle rughe, appariva così
straziato da rendere quasi impossibile emettere un solo sospiro. Era un uomo
distrutto, la cui vita probabilmente non doveva più avere alcun senso.
“Signor Long…” cominciò a parlare Grace, sperando di non turbarlo troppo.
“Era tutto per me…” esclamò improvvisamente, mostrando un tono di voce
sicuro, vissuto, quasi saggio; come se l’esperienza di una persona potesse
trasparire dalla tonalità della voce.
“…era…..era tutto ciò che avevo!”
“Lo immagino signor Long..”
Lo sa…ho
perso mia moglie….due….anni fa, stroncata…da una malattia…” le rivelò,
spostando finalmente i suoi occhi segnati dalle lacrime sul volto rattristato
dell’agente al suo fianco.
“Mi dispiace signor Long…davvero…le faccio le
mie più sentite condoglianze…ma ora è importante che lei ci dica…”
“no…non vi dirò nulla…Ora… voglio solo che la
morte venga a prendere anche me! Non…non voglio altro”
“No, non deve affatto dire una cosa del genere…”
lo riprese VanPelt
notevolmente coinvolta “…lei…lei deve aiutarci. Deve farlo per sua figlia!”
A quelle parole il viso del signor Long divenne decisamente
più tirato, lasciando che le lacrime, fino ad allora trattenute, rigassero
libere sul volto ormai segnato dal tempo.
“Deve…deve aiutarci a trovare il responsabile
della sua morte. Non possiamo permettere che rimanga libero e…impunito!” disse VanPetl, come se desse per
scontato che l’uomo al suo fianco facesse parte della rosa degli innocenti.
Se Cho o Lisbon
fossero stati presenti in quel momento probabilmente
l’avrebbero ripresa per quel suo comportamento così accondiscendente; ma
dopotutto non ci voleva di certo una dote come quella di Jane
per capire che quell’uomo non aveva ucciso la figlia.
Stancamente, Hiro Long fece un leggero segno di assenso con la testa, cercando in tutti i modi di
controllare il costante desiderio di gettarsi da quell’alto
grattacielo. Si sarebbe ucciso, ne era certo.
Ma quella donna
aveva ragione, prima doveva trovare l’assassino di Susan.
Edeccoci arrivati anche alla fine di questo primo
capitolo (che in realtà sarebbe il secondo se contiamo anche il prologo XD).
Bè…prima di tutto voglio
ringraziare con tutto il cuore evelyn_cla e hikary, due persone dolcissime e gentilissime
che con le loro recensioni mi hanno dato l’ispirazione per scrivere questo
capitolo (e il prossimo che è già in produzione XD).
GRAZIE GRAZIEGRAZIE…e
ancora GRAZIE CON TUTTO IL CUORE!!!!!! Non immaginate quanto mi abbiano fatto
piacere le vostre parole. Prometto che mi impegnerò
sempre di più…cercando di rimanere il più fedele possibile alla psiche e al
comportamento dei personaggi.
hikary
grazie mille per la tua recensione mega
dettagliata, spero di aver fatto un buon lavoro anche in questo capitolo. EEvelyn…grazie per aver inserito il primo commento ed
esserti interessata a questa ff. Vi adorooooooooo!!!!!!
Ok la smetto altrimenti mi
commuovo ^^ (e voi mi uccidete!!!).
Cmq in questo capitolo ho
dovuto concentrare l’attenzione sul caso, anche perché con il proseguire della
storia diventeranno supeeeeer
importanti sia le vittime che
l’assassino….soprattuttoper il CBI!!!! Eh eh…basta basta altrimenti svelo
troppo.
A presto per il prossimo capitolo. Continuate a leggere mi raccomando.
Un bacioneeeee
T.L.
NB: Come al solito nel precedente capitolo ho dimenticato di
inserire i Desclaimer ^^:
Jane, Lisbon
e tutti i personaggi di The Mentalist
naturalmente non mi appartengono. La mia fan fiction è un semplice omaggio a
questa splendida serie!!!!!^^
Con lo stesso sguardo seccato di quando era scesa dall’auto una decina di
minuti prima, Lisbon si diresse verso la macchina del
caffé dell’ufficio, sperando di trovarlo già pronto.
Durante tutto il tragitto in macchina da San Francisco a Sacramento, la
donna aveva volutamente ridotto all’osso qualsiasi tentativo di dialogo da
parte del consulente al suo fianco, il cui sorriso sembrava dirla decisamente lunga.
Dopo quel breve ma intenso scambio di parole in
cui era stata tirata in ballo la vita privata di Lisbon,
Jane aveva cercato in più modi di intavolare un
qualche discorso con la collega, arrivando perfino a tentare la via del “secondo
te Minelli russa?”, senza però ottenere grandi
risultati da parte sua.
Lisbon era
inamovibile, come sempre del resto.
Dalcanto
suo, Teresa non poteva farci nulla; il fatto che Jane
avesse liquidato così velocemente la possibilità che lei avesse potuto avere
una relazione, bè…la mandava in bestia. Lui poteva
permettersi di provarci con le vedove e di baciare le psichiatre e lei…niente? E chi si credeva di essere? Il mister
sensitivo dal fascino ultraterreno dell’anno?
“Maledizione…” imprecò a denti, facendo sbattere il contenitore vuoto del
caffé. Era tesa e nervosa,a dirla tutta eccessivamente tesa e nervosa.
“Se fossi in te passerei ad un’altra bevanda
visto che ti sei appena cambiata…” esclamò Jane, indicando
la maglia verde con il collo a V indossata da Lisbon.
Senza rispondere e limitandosi a fulminarlo con una
delle sue consuete ed indimenticabili espressioni, Lisbon
si diresse velocemente verso la cucina dell’ufficio, dove le probabilità di
trovare un po’ di caffeina erano leggermente più alte. L’unico intoppo sarebbe stato quello di trovare un’intera
caraffa decaffeinato.
“Sbaglio o noto una leggera atmosfera di risentimento nei miei confronti?!” esclamò Jane, divertito, seguendo
Lisbon fino alla cucina.
“No ti sbagli…non ho assolutamente nulla”
“Di la verità…sei arrabbiata per quello che ti
ho detto prima”
“no, affatto” continuò a negare Teresa, premendo i pulsanti della
macchina del caffé quasi a casaccio, come se lo stress di sentirlo ancora parlare
di quella storia le impedisse ogni tentativo di concentrazione.
“ e invece sì…”
“Jane…il mondo non gira attorno a te!” esclamò Lisbon, posando finalmente i suoi occhi chiari sul volto
del biondo, appoggiando la mano bianca sul davanzale vicino a lei.
“Lo so…”
“Quindi non vedo perché dovrei essere arrabbiata.
Non ne avrei motivo” chiarì nuovamente Teresa,
cercando di apparire il più naturale possibile, dimenticando quasi per un
secondo che davanti a lei ci fosse un uomo in grado di notare ogni
piccolo dettaglio, ogni sfuggevole particolare all’apparenza completamente
inutile.
“ok…” disse Jane
sorridendo, senza staccare lo sguardo su quella minuta figura dai capelli
mossi, intenta a versare il caffè sulla sua tazza
bianca “…per questo mi hai lasciato ad aspettare in macchina
mentre ti cambiavi?”
”ah….e…che avrei dovuto fare scusa?” gli chiese incuriosita la detective,
ritrovandosi suo malgrado a sorridere di fronte a tutta quella schiettezza.
“Invitarmi a bere un bicchiere d’acqua! Avevo appena visto un cadavere
sotto il sole cocente…”
“Jane…” cominciòa dire, con un tono di voce freddo e
formale “…non credo di doverti ricordare che noi due siamo colleghi…e in questa
squadra non si mescola la vita privata con il lavoro…non è professionale!” mentì,
notando il mutamento nell’espressione del biondo
Non seppe spiegarsi il reale motivo che l’aveva portata a rispondergli in
quel modo; ma stava di fatto che l’espressione improvvisamente seria e sorpresa
di Jane le fece bloccare la
respirazione per qualche frazione di secondo. Perché
il desiderio di poter riavvolgere il nastro di qualche minuto si era
improvvisamente impadronito del suo corpo?
Rimasero immobili, entrambi incollati l’uno nello sguardo dell’altro,
come se ognuno di loro si aspettasse una qualche azione o parola da parte
dell’altro. Persino l’intera stanza sembrava essere caduta in un improvviso
silenzio tombale, rendendo l’aria ancora più irrespirabile.
Nessuno dei due abbassò lo sguardo di un solo millimetro, come aspettando
che fosse l’altro a dire o fare qualcosa, lasciando così che l’unico segno di
vita emanato dai loro corpi fosse il respiro lento e nervoso che faceva muovere
il loro petti.
Mentre lo guardava
negli occhi, Teresa si ritrovò a pensare ad un modo per rimediare a ciò che
aveva appena detto, come se in cuor suo sapesse quanto reputava inutili quelle
sciocche parole da regolamento.
La verità, però, era che se anche avesse trovato il modo per scusarsi non
avrebbe mai avuto il coraggio di metterlo in pratica, per lo meno non in quel
momento.
Ciò che Teresa non aveva preso in considerazione, era
il fatto che se anche non rivelasse apertamente i suoi pensieri,
bastavano i suoi occhi a fare capire a Patrick quanto
si fosse pentita per ciò che aveva appena detto.
Non ci poteva fare niente, lei era come un libro
aperto, del tutto trasparente. Quel suo sguardo, che fosse
arrabbiato, fiero, scocciato o felice, rimaneva sempre uno sguardo sincero,
qualsiasi cosa lei cercasse di nascondere.
Ma allora perché
non diceva niente? Perché rimaneva lì ferma a
guardarlo, stringendo eccessivamente la tazza che aveva tra le mani?
“Ehm…scusate…” esclamò improvvisamente la voce roca di Rigsby, il quale sembrò comparire di sorpresa alle spalle
di Jane, riportandoli entrambi nel mondo reale.
Ecco che era ricapitato. Ogni volta in cui si trovasse a dover
assistere ad un simile scenario, Wayne si sentiva a
dir poco confuso e intontito; era come se una serie di sensazioni e dubbi lo investissero
nella frazione di un solo secondo.
A pensarci bene, era la stessa sensazione che un ragazzino provava quando beccava per la prima volta i propri genitori mentre
si baciavano: stupore, confusione, ansia…Bè, certo,
come esempio non era dei più azzeccati visto che Jane
e Lisbon non si stavano affatto baciando, però…le
sensazioni erano più o meno le stesse.
- Già…almeno…credo – si disse tra se e se Rigsby,
sempre più confuso ogni istante che passava -...chissà perché l’ho collegato ad
un esempio così stupido…-
Jane era strano;
dispensava consigli a destra e a manca, ma quando si trovava in certe
situazioni con Lisbon lasciava che si creasse quell’atmosfera da film dell’orrore, dove ci si aspetta da
un momento all’altro l’arrivo di qualche mostro sanguinario.
Adesso che Rigsby ci pensava bene, spesso Jane e Cho si divertivano a prenderlo
in giro per la sua scarsa dose di iniziativa nei
confronti di VanPelt; ma in
quelle occasioni lo stesso Patrick non sembrava
godere del suo usuale spirito d’intraprendenza.
Per di più, ogni volta in cui si ritrovava a dover interrompere un
dialogo “muto” tra Jane e il capo
la sensazione che ci fosse qualcosa di strano tra i due si faceva sempre
più forte. Non che pensasse ad una possibile relazione
tra Jane e Lisbon certo,
ma... Ma qualcosa di strano doveva pur esserci.
Dopotutto lui o Cho non si erano mai permessi di
sfiorare il viso del capo, cosa che invece Jane aveva
fatto quando era rimasto momentaneamente cieco; e
anche Lisbon, dal canto suo, non sembrava
particolarmente dispiaciuta quando lui gli riservava certi comportamenti. In
fin dei conti come dimenticare il viso di Lisbon
mentre arrossiva di fronte ad una battuta di Jane?
“…torno…più tardi?!” chiese Rigsby,
leggermente scioccato da ciò che i suoi stessi pensieri gli stavano rivelando.
“No!” esclamò subito Lisbon, oltrepassando
l’uomo di fronte a lei, per poi uscire dalla cucina, come se in cuor suo non
aspettasse altro che l’occasione per andarsene.
Jane rimase per
qualche istante fermo nella sua posizione, con la sua classica espressione di quando, durante la risoluzione di un caso, aspettava che
la sua mente gli rivelasse il modo migliore per trovare l’assassino. Già…solo
che in quel caso non c’era nessun assassino, ma solo due vittime.
“Allora, che cosa avete scoperto?”chiese Lisbon una volta raggiunto il team, cercando di
apparire il più fredda e distaccata possibile.
“Abbiamo interrogato Mitch Strass e HiroLong…” esclamò Cho quando Lisbon e Rigsby giunsero alla scrivania di VanPelt.
“E…” li esortò il capo.
“Entrambi hanno un alibi di ferro!” aggiunse l’ultima arrivata nella
squadra “dopo la scomparsa di Susan, avvenuta due giorni prima, sia il padre cheil marito della
vittima sono stati seguiti ventiquattrore su ventiquattro dalla polizia San Francisco”
“Come mai?” chiese Lisbon,
guardando le foto del cadavere della donna attaccate, come d’abitudine,
alla parete sinistra dell’entrata.
“Essendo una famiglia decisamente ricca e
importante il signor Long temeva si trattasse di un rapimento con richiesta di
riscatto…” spiegò Cho “… così si erano attrezzati sia
per proteggersi che per localizzare subito i rapitori al primo tentativo di
contatto!”
“Quindi la polizia è rimasta a casa loro per
tutto il tempo?”
“Esatto!”
“In altre parole...siamo punto e a capo!”
esclamò VanPelt,
appoggiandosi completamente contro lo schienale della sedia, lasciando che i
lunghi capelli, raccolti in una coda, si posassero sulle sue spalle.
Nessuno osò contraddire la constatazione della rossa, forse perché troppo
irritante e reale per essere replicata.
Chi poteva aver voluto uccidere quella povera donna, per di più
riducendola in quelle condizioni?
Senza una pista su cui cominciare le indagini il lavoro si faceva decisamente difficile; neppure Jane
sembrava particolarmente ispirato a condividere una delle sue brillanti
intuizioni, anche se, a guardarlo bene,più che privo di idee sembrava troppo impegnato a sdraiarsi sul divano.
In realtà, nonostante non lo avesse ancora condiviso con il resto della
squadra, da quando aveva visto il corpo di quella donna sul ciglio della strada un’idea
in particolare si era impossessata della sua mente, facendolo preoccupare non
poco sui possibili risvolti del caso. Non che si trattasse di una rivelazione
divina; al contrario, poteva facilmente trattarsi di un buco nell’acqua, ma il
fatto che questa intuizione fosse stata la prima a
catturarlo, bè non presagiva nulla di buono.
Ad ogni modo, condividerla in quel momento con il resto della squadra non
gli avrebbe conferito molta credibilità. Soprattutto
da parte di Lisbon, che sicuramente lo avrebbe
liquidato con una frase del tipo “hai visto troppi film d’azione in tv”. Già
era scettica di suo, se in più ci si metteva l’acceso confronto di poco fa il risultato sarebbe stato solamente una scarsa
comprensione nei suoi confronti.
Chissà se anche in quel caso la rana di carta
sarebbe riuscita a fare la sua magia. Probabilmente
no visto il modo freddo in cui l’aveva liquidato.
Certo, lo sapeva benissimo che in quel momento a parlare era stata la
rabbia, ma era pur vero che ogni qual volta fosse lui a dire o fare qualcosa di
sbagliato lei, con il suo modo di fare, lo obbligava a chiedere scusa o a
rimediare in qualche modo. Perciò questa volta stava aLisbon fare qualcosa.
“Bè che ne dite se nel frattempo mettiamo
qualcosa sotto i denti prima di rimetterci a lavoro?…” propose Rigsby, nonostante fosse l’unico membro della squadra ad
aver mangiato dei nachos lungo la strada.
Nel sentire quella proposta gli sguardi di VanPelt e Cho sembravano apprezzare
particolarmente l’idea del collega. Erano le tre del pomeriggio e il bisogno di
cibo si faceva nettamente superiore a tutto il resto.
“Sono d’accordo!” esclamò Jane, inclinando la
testa all’indietro per vedere in faccia i colleghi, anche se dal basso verso
l’alto; evidentemente l’idea di alzarsi da quel divano non lo sfiorava
minimamente.
“Io proporrei tailandese” espresse Rigsby,
ricevendo una veloce quanto profonda occhiataccia da parte dell’orientale al
suo fianco.
“Con questo caldo mangeresti cibo piccante?!”
“Che centra…l’importante è che sia buono!” si
difese il più robusto tra i due.
“Farai un infarto prima o poi…”
“Ok avanti smettetela” si intromise
VanPelt, cercando di
calmare le acque tra i due colleghi. Alle volte, la giovane detective si
ritrovava a chiedersi se in realtà non avesse sbagliato mestiere visto il clima
da asilo che si respirava in quelle occasioni.
Senza guardare direttamente la scena, Janesi immaginò lo sguardo serio e maturo di Grace
che, come sempre, cercava di far calare la serenità nell’ambiente lavorativo.
NonostanteJane, qualche mese prima, le avesse consigliato di
bilanciare la giusta dose di bastardaggine con la
gentilezza, lei continuava a voler apparire dolce e comprensiva in ogni
occasione, nonostante avesse dimostrato più volte di sapersela cavare con le
parole.
Già, ma come gli aveva detto una volta “la gentilezza viene
ripagata”, e forse quel giorno non aveva avuto tutti i torti.
Trascorsi una decina di minuti da quandoRigsby aveva telefonato al fast food poco lontano dalla
centrale del CBI, il pranzo della squadra fece finalmente il suo ingresso.
MentreCho andava a chiamare il capo per avvertirla che il cibo
era arrivato, VanPelt si
apprestò a fare lo stesso con Jane, il quale sembrava
essersi addormentato sul divano.
Lentamente Grace si diresse verso la sala delle
loro scrivanie, dove per l’appunto si trovava Jane, e
non ci volle un occhio esperto come il suo per capire che stava dormendo
profondamente.
- Mi chiedo come faccia a dormire in mezzo a tutta questa confusione!- si
chiese Grace, appoggiando una mano sulla spalla
tonica dell’uomo.
Stava per svegliarlo, immaginando lo scatto con cui avrebbe aperto gli
occhi nel momento in cui si fosse accorto di una presenza al suo fianco. Lo
faceva spesso, soprattutto quando si trovava in quel
dormiveglia in cui cadeva ogni qual volta si sdraiasse sul divano. Chissà che
cosa aveva di così speciale da riuscire a conciliargli il sonno.
Già, a pensarci bene Patrick non doveva godere di un sonno facile e tranquillo; al contrario, molto
spesso sembrava non riuscire a dormire tranquillamente. Nonostante
ciò, però, non pareva risentirne particolarmente, almeno non all’apparenza.
Ma…come ci riusciva?
Era questa la domanda che VanPelt
si faceva e rifaceva ogni volta che vedeva il sorriso di Jane.
Come riusciva a sorridere in quel modo, a ridere, a scherzare, a respirare
sapendo che la moglie e la sua unica figlia erano state brutalmente uccise da
un serial killer, il cui unico scopo era quello di
dargli una lezione?
Ma forse la risposta era proprio quella: Jhon il Rosso, era lui l’unica cosa che lo teneva realmente
in vita. chissà c’era di vero in quel sorriso solare
di Jane?
“Ehi VanPelt hai
chiamato Jane?” gli chiese Cho
alle sue spalle.
“shhhh..” lo intimò Grace, mettendosi il dito davanti alle labbra rosee “…sta
dormendo!”
Velocemente la rossa si allontanò dal divano, incitando Kimball a seguirla nella stanza adiacente, apparecchiata da
Rigsby, il quale nel frattempo li aspettava, decisamente impaziente e affamato.
“E’ meglio lasciarlo dormire…penso di non averlo
mai visto così tranquillo e rilassato! In più visto che non c’èMinelli…” disse Grace, sedendosi accanto all’agente Rigsby.
“Chi sta dormendo? Jane?” chiese, cominciando a
servirsi.
“Già…”
“…e il capo?” chiese Wayne,
addentando una patatina.
“Dorme anche lei…” dichiarò Cho, con il
consueto sguardo impassibile.
NeVanPelt ne Cho
dissero nulla a riguardo, ma il modo in cui Rigsby
rischiò di soffocarsi con quel piccolo pezzo di patatina sembrava dirla
piuttosto lunga.
Velocemente Grace cominciò a battere la sua
mano contro la schiena possente del collega, il cui viso sembrava arrossarsi a
vista d’occhio.
“Respira….”
“Agente da novanta chili muore per colpa di una patatina! Farebbe
notizia…” lo derise Cho.
“…ah…d…dive..rtente!”
Una volta che Rigsby si fu calmato, l’agente
dai capelli rossi seduta al suo fianco cominciò a guardarlo con uno sguardo
incuriosito, allungandogli un bicchiere d’acqua appena versato.
“Grazie…” le disse, bevendo tutto d’un fiato “….stavo per soffocare”
“Già…e si può sapere il perché?!”
“Perché cosa?” finse di non capire spostando lo sguardo da VanPelt a Cho,
come a ricercare una qualche forma di appoggio da
parte del collega.
In tutta risposta VanPelt
si mise a fissarlo, puntando i suoi occhi decisamente
espressivi sul volto marcato dell’ex agente della squadra antipiromani, sapendo
bene di metterlo in difficoltà.
E, in effetti,
il cuore di Wayne cominciò ad aumentare i battiti,
portando la sua pressione sanguigna a livelli leggermente preoccupanti. Come
poteva una donna avere un simile effetto su un uomo?
“Ahh…” si lamentò Rigsby,
facendo cadere sul piatto l’ennesima patatina finita nelle sue mani “..e va bene. È da un po’ che un’idea mi frulla per la
testa…”
“Che idea?” lo incitò VanPelt, incuriosita.
“Bè…a voi non sembra strano che sia il capo che
Janesiano arrivati tardi stamattina?”
“Jane arriva sempre in ritardo…” rispose Cho dopo qualche secondo di silenzio.
“Sì ma il capo no”
“E questo che centra?” gli chiese Cho, leggermente divertito.
“…su andiamo. Da quando Lisbon arriva tardi a
lavoro? Mai successo. E oggi, casualmente, arriva qualche
minuto prima di Jane, come a volerci
depistare!”
Nel sentir pronunciare quell’ultima parola, nèKimballnèGrace riuscirono a trattenere una sonora risata,
obbligando quest’ultima a posare l’hamburger alla
cipolla che fino ad allora teneva in mano.
“Oddio Rigsby…ma come ti vengono in mente certe
cose?” gli chiese VanPelt,
asciugandosi una lacrima causata dall’eccessiva risata.
Con un’espressione leggermente risentita, Rigsby
si costrinse a non lasciarsi condizionare dal volto affascinante della collega
al suo fianco, la quale appariva ancora più bella quando
si lasciava andare in quel modo, abbandonando per un secondo quell’aria rigida e costruita che si sforzava di tenere
quand’era in servizio..
“Non sto scherzando. Poco fa, quando sono entrato nell’ufficio del capo
li ho trovati intenti a fissarsi, in silenzio…Io non mi metto a fissare il
capo!”
“Il capo no…” lo corresseCho,
lasciando cadere la conclusione di quella profetica frase, che probabilmente
avrebbe avuto come soggetto proprio l’unica donna presente in quella stanza.
“In più…” continuò Rigsby, lanciando
un’occhiataccia al collega “…stamattina quando ho
detto che forse Lisbon aveva una relazione, subito Jane ha detto che non era vero…come se lo sapesse già. E
lasciamo stare l’altra decina di esempi che potrei
farvi…”
Silenzio.
Nessuno dei due agenti, che solo fino a qualche istante
prima sembravano non riuscire a trattenere le risate, non proferì
parola, non riuscendo neppure a concentrarsi sul cibo che avevano davanti agli
occhi.
Sia Jane che Lisbonerano arrivati in ritardo; entrambi erano crollati sul
divano, o meglio su due divani distinti…Jane negava
qualsiasi relazione da parte di Lisbon e lei, da
parte sua, sembrava particolarmente comprensiva nei suoi riguardi.
“ma per favore…non è possibile!” esclamò
improvvisamente Cho, rompendo l’insopportabile
silenzio che si era venuto a creare.
“già infatti…” lo assecondò VanPelt, emettendo una risata decisamente forzata.
“La mia era una supposizione….” Concluse Rigsby, l’unico in grado di ritornare ad interessarsi al cheeseburger che aveva davanti.
Gli occhi di VanPelt,
decisamente più confusi rispetto a poco prima, si
posarono su Cho, il quale tentava in tutti i modi di
concentrarsi sul giornale aperto davanti a lui.
Dopo una decina di minuti, trascorsi senza proferire parola, i tre agenti
finirono di pranzare, cominciando a sistemare ciò che avevano lasciato sopra al
tavolo.
“Avete già mangiato?!” esclamò la voce
leggermente assonnata di Lisbon, la quale solo ora
era entrata nella stanza.
“Ehm….sì…” disse Rigsby.
“Ma ti abbiamo lasciato qualcosa…” aggiunse subito Grace,
provando una sottile sensazione di imbarazzo nel
trovarsi il capo davanti agli occhi dopo ciò che si erano detti lei Cho e Rigsby.
“Non importa….piuttosto, ha chiamato il coroner,
sono pronti i risultati dell’autopsia!”
“Vado io?!” chiese Rigsby
impaziente.
“No, tu e VanPeltandrete allo studio legale e lì vi farete dare tutti i
nominativi dei possibili indiziati. Chiunque sia stato mandato in galera o
abbia ricevuto una qualsiasi pena grazie ai Long o
Strass deve essere passato ai raggi x” esclamò tutto d’un fiato, come se,
invece di sognare, avesse trascorso quell’ora a
riflettere sul caso.
“Tu Cho andrai alla stazione di polizia di San
Francisco. Fatti dare la documentazione riguardante la famiglia Long; chi li ha
chiamati, quando sono arrivati a casa, quanto ci sono rimasti…insomma tutto ciò
che hanno!” concluse Teresa, sistemandosi il distintivo sulla cintura marrone
che circondava i jeans scuri “…Io e Jane andremo a vedere il cadavere….” posando
lo sguardo sui presenti, come ad individuare una persona in particolare “…dov’è
Jane?”
I tre componenti della squadra non riuscirono a fare
a meno di scambiarsi una veloce occhiata d’intesa, occhiata che nel giro di qualche
istante fece congelare a tutti gli “indiziati” il sangue nelle vene.
“Io vado!” affermò Cho
“Anch’io…”
Velocemente Cho e Rigsby
presero le rispettive giacche, allontanandosi dalla stanza in cui si trovavano
ad una velocità tale da far insospettire chiunque nel giro di cinque miglia.
Trovatasi improvvisamente sola, VanPelt posò lo sguardo suTeresa, la quale appariva decisamente
confusa e sbalordita dal comportamento dei due agenti.
“Io…vado….sono con Rigsby…”
si giustificòGrace, uscendo a sua volta dalla
stanza.
Non riuscendo a trattenere una smorfia con la bocca, Lisbon
allungò il braccio verso il centro del tavolo, afferrando una delle patatine
contenute nel recipiente di plastica.
Chissà dov’era finito Jane.
Tadaaaaaaaaaaaan!!!!!!!
Finito anche il capitolo 2…allora che ne
pensate? Rigsby ho cercato di mantenerlo come nel
telefilm…anche se devo ammettere che ho faticato abbastanza. Ho cercato di non
farlo apparire troppo bambinone, però si sa…nella squadra è quello più…come
dire…. Quello che si lascia andare a battute strane non
sempre riuscite, quello innamoratissimo di VanPelt, quello che mangerebbe una mucca intera durante un
appostamento. Rigsby insomma!!!
XDXD
Cmq mentre scrivevo ho
ripensato a tutte le volte in cui Rigsby ha beccato Lisbon eJane in atteggiamenti…strani. Nell’episodio 16 quando Jane le sfiora il
viso. (PoverettoRigsby…resta
lì fermo con una faccia stra-confusa!!!ahahaha ), o
quando Jane dice a Teresa che ora ha accesso a tutti
i suoi pensieri più reconditi (anche lì Rigsby dice a
Lisbon che è arrossita).
Dai è sempre lui che li vede no?…. ho pensato che qualche pensierino se lo sarà pur fatto, e
infatti…XD
Cmq…anche questa volta
voglio fare un ringraziamento speciale a chi mi ha commentato; siete le mie
muse…senza di voi non riuscire a scrivere nemmeno una parola. Grazie milleeeeeeeeee!!!!!
Un grazie di cuore aEvelyn che è sempre la prima a lasciare un commento
a questa strana ff. E grazie infinite per aver tradotto una ff
di The Mentalist in inglese; grazie a te, infatti, abbiamo
potuto leggere una dolcissima fan fiction Jisbon (“Chickennoodlesoup
and sunshinesmiles”),
sempre molto apprezzate da noi fan della coppia!!!!!^^
Grazie Evelyyyyn!!!!!
Un ringraziamento speciale va a hikary, che lascia sempre dei commenti super
dettagliati che fanno un piacere immenso a chi scrive le ff. Visto, ho cercato
di seguire il tuo consiglio limitando l’uso dei punti esclamativi…che dici va
un po’ meglio?
Cmq permettetevi di darmi
tutti i consigli che vi vengono in mente, perché mi aiutano a migliorare…e
penso di averne un gran bisogno!
Anch’io hikary preferisco
Teresa a Grace (e si era capito immagino XDXD)…anche
solo per le smorfie che fa ogni tanto, è una grande!!
Per quanto riguarda gli occhi della vittima…..NO COMMENT!!!!! Scoprirai tutto nelle prossime puntate!!!^^ hihihihi sono malefica!!!
Grazie Valery per la recensioneeeee….ahhh che bello
vedere che c’è qualcuno che legge!!!...sono davvero
contenta.
Anch’io la penso proprio
come te….simonbaker
è stupendo….ha un sorriso da mozzare il fiato, degli
occhi splendidi, perfetto insomma!!!! Ahhh..basta basta meglio non pensarci
*-*
Bè che altro dire….grazie
per la centesima volta!!!!XD
…anche oggi ho finito
di tormentarvi con i miei monologhi^^…e
spero di avervi soddisfatto anche con questo capitoletto.
Aspetto con ansia i vostri commenti, sempre apprezzatissimi!!!!!
Sistemandosi distrattamente la maglietta, di un verde leggermente più
scuro rispetto alle iridi dei suoi occhi , Teresa si
diresse verso la sala centrale dell’ufficio coordinato da Minelli,
sperando di trovare lì Patrick Jane, intento probabilmente a lavorare su una
pista totalmente diversa da quella seguita dal resto della squadra.
Non dovettero trascorrere molti istanti in più prima che la minuta donna
dai capelli scuri individuasse il consulente della squadra, steso come al solito sul suo inconfondibile divano marrone. Anche se “suo” non era decisamente
l’aggettivo più esatto.
“Jane…forza dobbiamo andare…” esclamò Lisbon, fermandosi alla scrivania
di Rigsby, alla ricerca delle chiavi della sua auto, come se avessero potuto
realmente trovarsi sulla scrivania di uno dei suoi collaboratori.
- Dove diavolo le ho messe…- pensò, leggermente seccata,
dimenticandosi quasi per un secondo di non aver ricevuto nessuna risposta da
parte dell’uomo a pochi metri da lei.
Già il fatto di essersi addormentata durante l’orario di lavoro la
innervosiva non poco, in fin dei conti lei non era mai stata
quel genere di persona; se in più ci si aggiungeva un ritardo dal coroner la giornata sarebbe stata totalmente da
dimenticare.
In tanti anni di apprendistato e servizio in
piena regola, non aveva mai avuto simili comportamenti; non aveva neppure mai utilizzato
una scusa per giustificare una sua possibile mancanza, nemmeno il giorno del
Ringraziamento. Naturalmente il modo in cui trascorreva quella festività era un
dettaglio del tutto trascurabile. Dopotutto l’ultima volta non aveva potuto
accettare l’invito di suo fratello perché stava seguendo un caso importante e
non per rimpinzarsi di gelato davanti a vecchi film, come invece le aveva fatto notare Jane.
Già…suo fratello. Chissà se era a conoscenza delle ultime novità avvenute
sul fronte, come dire…personale; novitàche, del resto, avevano ben poco di
piacevole vista la loro capacità a tenere sveglia persino lei, il capo di una
delle migliori squadre del CBI, con irritanti conseguenze dal punto di vista
lavorativo.
Ad ogni modo, brutte notizie a parte, questi suoi “intoppi”, se così li si voleva chiamare, non rispecchiavano affatto il suo
consueto ideale di comportamento. Non era da lei arrivare tardi al lavoro, indossare
la maglietta sporca del giorno prima, addormentarsi sulla scrivania e, per concludere, perdere le chiavi dell’auto. Quelle erano cose
che avrebbero potuto fare i suoi colleghi, non lei.
Lei era il capo e il capo non poteva permettersi
di sbagliare. Nemmeno una volta. Altrimenti…altrimenti nessuno avrebbe più
potuto fare affidamento su di lei.
Ed eccolo lì, uno dei tanti ricordi soffocati nei
meandri della sua mente. Uno di
quei ricordi che avrebbe volentieri dimenticato, cancellato completamente dalla
sua memoria con un solo gesto della mano, ma che ormai faceva inevitabilmente
parte del suo essere.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover rivivere uno di quei
momenti, come stava capitando proprio in quel momento…
“Papà…mi…mi dispiace…non
capiterà più…” esclamò un’innocente voce di si e no
dieci anni, il cui volto magro, circondato da dei lunghi capelli scuri,
appariva eccessivamente maturo e preoccupato per una bambina della sua età.
Lui, così assente e
disinteressato, se ne stava seduto sulla poltrona in salotto, intento a bere
l’ennesima bottiglia di birra della giornata.
“..papà…”
lo richiamò la piccola, avvicinandosi di un solo piccolo passo, con fare incerto e insicuro.
Ancora silenzio e
immobilità; un’immobilità interrotta solo dal movimento altalenante della
bottiglia verde, che saliva e scendeva a ritmi regolari, indicando chiaramente lo stato semi-vigile dell’uomo.
La bambina, troppo
mingherlina per essere del tutto in salute, rimase in
silenzio, consapevole del fatto che un errore come il suo avrebbe sicuramente
arrecato altri dispiaceri a suo padre, che in quanto a dolori ne conosceva fin
troppi.
Aveva sbagliato, aveva sbagliato come solo una sciocca bambina della sua età sapeva
fare, e ora chi se ne doveva preoccupare era lui.
Avrebbe bevuto ancora?
Avrebbe pianto come ormai faceva da quasi un anno?
Perché sera stata così stupida,
perché non aveva fatto attenzione? Lui si era fidato di lei, ed era questo il
modo di ripagarlo?
Ripetendosi continuamente
quelle domande nella mente, la piccola non emise neppure un fiato, contorcendosi
le mani sudate, mentre i profondi occhi spaventati non si spostavano di un solo
centimetro dalla poltrona di fronte a lei.
“papà…”
Nessuna risposta, ma solo
l’assordante infrangersi della bottiglia di birra, il cui vetro scuro
rifletteva gli splendidi occhi chiari della bambina; una bambina
dal volto troppo spaventato e tirato per avere solo nove anni.
Lo sguardo fisso su un foglio davanti a lei e la
mente così lontana dal presente da essere quasi inarrivabile.
Da quanto non ripensava a quel giorno, o meglio da
quanto non ripensava a lui, a quei giorni così lontani e…tristi.
Già, era da un po’ che non tornava indietro nel tempo, e così avrebbe continuato a fare. Non aveva nessuna
intenzione di ricadere nuovamente nel passato; un passato in grado di
soffocarla, senza lasciarle un solo alito d’aria fresca.
“Jane…” lo richiamò nuovamente, con un tono leggermente più stanco rispetto a qualche istante prima. Ma
ancora niente, il silenzio assoluto.
Non ricevendo ancora alcuna risposta, Teresa alzò velocemente la testa
dalla scrivania di Cho, lasciando che alcuni ciuffi mossi dei capelli castani
le finissero davanti al volto, conferendole un’espressione più spontanea.
“Ehi Jane, mi hai sentito?!”
Immobile. La testa di Jane non sembrava volersi sollevare di un solo
centimetro, lasciando che solamente il torace si sollevasse e abbassasse a
ritmo cadenzato.
-Ma
sta….dormendo…- si disse, leggermente sorpresa.
Lentamente, Lisbon si avvicinò al divano, rimandando a più tardi il
ritrovamento delle chiavi.
Da quando avevano cominciato a lavorare insieme, non le era mai capitato
di vedere Jane dormire, o meglio di vederlo dormire così
profondamente. Ogni volta che si sdraiava da qualche parte non
si lasciava mai andare completamente, al contrario sembrava rimanere ogni volta
in una sorta di dormiveglia che, in un certo senso, riusciva a tenerlo costantemente
legato al mondo esterno.
Era come se non volesse mai lasciarsi andare, mai lasciarsi
prendere di sorpresa da nessuno, neppure dal mondo stesso; non dopo l’ultimo
scherzo che gli era stato giocato.
Già, ma ora era lì, con gli occhi chiusi, una mano appoggiata al petto e
l’altra abbandonata lungo i fianchi, e un’espressione indimenticabile dipinta
su quel suo volto a dir poco affascinante.
Quasi senza rendersene conto, Teresa rimase lì, ferma, ad un solo passo
da quel divano ormai così impregnato del profumo di Patrick.
Un profumo simile a quello del pino e del muschio, così naturale e
spontaneo che solo un uomo dal sorriso solare e contagioso come il suo poteva avere.
Non seppe spiegarsi il motivo, ma posando lo sguardo sui chiari capelli
biondi di Jane, Teresa si ritrovò a pensare a ciò che era successo due sere
prima, poco prima di staccare dal lavoro. Era seduta davanti alla sua scrivania
e, mentre revisionava delle testimonianze di un caso,
non riuscì a fare a meno di ascoltare uno strano discorso che il suo team aveva
intavolato con Jane. Mentre li sentiva parlare e ridere capì
subito che si trattava di una conversazione pilotata dalla singolare mente del
consulente, che spesso si divertiva a prendersi gioco del prossimo, in
particolar modo dei suoi colleghi. Quella sera, aveva chiesto ad ognuno
di loro con quale stagione dell’anno si sarebbero reciprocamente rappresentati.
Nonostante avesse teso più volte le orecchie per
ascoltare, Teresa non era riuscita a sentire le risposte che avevano dato e,
senza una ragione in particolare, aveva deciso di non raggiungerli; forse per
paura di essere rappresentata come il freddo inverno. Ma, proprio una decina di
minuti dopo, mentre stava per dirigersi verso la porta del suo ufficio, fece la
sua comparsa Jane che con il suo sorriso era venuto a
salutarla. Prima di uscire l’aveva guardata negli occhi, sorridendo, e
spiazzandola in un modo che solamente lui sapeva fare le aveva detto :“…direi…autunno”.
Dopo quella strana esclamazione, Jane era uscito lasciandola lì, con le
mani indaffarate a sistemare il colletto della camicia sopra la giacca.
Non aveva saputo rispondergli, sia perché non gliene aveva dato il tempo,
sia perché era riuscito, ancora una volta, a lasciarla senza fiato. Chissà perché la identificava come l’autunno. L’autunno le
piaceva, era una bella stagione, ne calda ne fredda,
temperata al punto giusto. E in più c’erano le fragole
e lei impazziva per le fragole.
Ma leggere nei
pensieri di Jane era una cosa pressoché impossibile, e questo lo aveva capito a
spese sue e, alle volte, dell’intera squadra.
Ed ora se ne
stava lì, steso sul divano, del tutto inerme al mondo esterno.
Non sapeva spiegarsi il motivo, ma anche il solo guardarlo in quel modo
la faceva sentire così….così…così colpevole. Come se stesse
trasgredendo ad una delle infinite regole che un ottimo agente avrebbe dovuto
rispettare. Ma, in fin dei conti, lei non stava
trasgredendo proprio a nulla; se ne stava solamente in piedi, con gli occhi
fissi in un punto preciso della stanza.
Lo stava solo guardando e pensando a quanto quel sorriso e il colore dei
suoi occhi e dei suoi capelli le ricordassero
l’estate. Perché, senza bisogno di ripensarci, sarebbe
stata quella la risposta che avrebbe dato: l’estate.
Lisbon fece un ulteriore passo avanti,
allungando lentamente l’indice della mano destra verso Jane. Nella sala non
c’era nessuno, solamente loro due e il suono del traffico proveniente dalle
strade di Sacramento.
Gli avrebbe solamente sfiorato la spalla per svegliarlo; o forse la
fronte…o magari il volto.
Si avvicinò ancora, con gli occhi chiari visibilmente emozionati, e la
mano tremante che ad ogni secondo diminuiva sempre più la distanza dalla pelle
rosea del consulente.
Pochi centimetri, pochi attimi e….
Bi bibibippbibibip…Bi bibibippbibibip
Improvvisamente l’arrivo di un messaggio sul cellulare di Lisbon fece
crollare inesorabilmente la situazione. Presa dallo spavento, la mora si
allontanò di scatto dal divano, vedendo del tutto vani
i suoi tentativi di salvare il cellulare che, presa dall’agitazione, fece
cadere ad un paio di metri di distanza.
“Merda…” si lasciò sfuggire Lisbon, cercando di
recuperare il telefonino finito sotto la scrivania di Van Pelt.
Chi diavolo aveva potuto cercarla in un momento simile? In tanti istanti
che formavano un’intera giornata perché proprio ora?
- Rigsby…- lesse mestamente il nome del mittente, non riuscendo a
controllare l’irrefrenabile sensazione di sbattere l’agente in una prigione del
Nebrasca.
Agevolata dalla sua corporatura sottile, Lisbon uscì velocemente da sotto
la scrivania, alzando riluttante lo sguardo. Avrebbe voluto
rimanere con gli occhi puntati sul pavimento per il resto della giornata; tutto
pur di non incrociare lo sguardo di Jane.
Ciò che vide, infatti, una volta posati gli occhi sul biondo la fece
subito pentire di essere anche solo uscita da quella
scrivania.
“Ciao…” disse quella voce così assurdamente familiare e divertita.
A quello che sembrava un semplice saluto di cortesia, la saliva della
donna, nello scendere lungo l’esofago, sembrò emettere uno strano rumore, come
se il deglutire fosse una delle cose più difficili da fare.
“…io…stavo cercando…il cellulare!” cercò di
mentire Teresa, sperando con tutto il cuore che il suo sguardo non la tradisse.
“Oh immaginavo fosse per quello…anche se la
scena di te inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt penso sarà
indimenticabile!” la derise, sempre più divertito.
“Divertente!...su andiamo non è il momento di
dormire adesso!”
“Oh ma io mica stavo dormendo!”
“Sì certo…come no!” gli rispose Teresa, porgendogli uno dei suoi sorrisi
sarcastici “…stavi solo beatamente riposando gli
occhi!”
“perché…sei rimasta a guardarmi?” la sfidò,
guardandola dritta negli occhi.
“no…affatto!” cercò di difendersi, sorridendo con imbarazzo.
“…ma io ero sveglio…sul serio” continuò Jane, i cui occhi esprimevano
totalmente il divertimento prodotto da quella scena irripetibile
“…mi sono svegliato appena sei entrata”
“Avanti Jane…non serve che ti giustifichi….ti sei addormentato. È umano
farlo. Di certo questo non intaccherà la tua immagine di uomo
misterioso! Prometto che non ne farò parola con nessuno!” lo
derise, avvicinandosi nuovamente alla scrivania di Cho per proseguire con la
ricerca delle chiavi, sperando in cuor suo che anche Jane facesse cadere il
discorso.
Ma, ahimé, l’intento di Patrick non era decisamente
lo stesso.
Mentre già si pregustava lo sguardo che Lisbon avrebbe avuto dipinto in
faccia da lì a qualche minuto, Patrick cominciò a sistemarsi la camicia dentro ai pantaloni, cercando di non far intravedere le pieghe sul
gilet, causate dal divano,.
“Ero sveglio…da prima che suonasse il
cellulare…”
“Ok…” lo accontentò divertita
“…ti credo!”
Patrick sorrise, spostando lo sguardo su di lei, aspettando qualche secondo prima di utilizzare il suo consueto asso nella
manica.
“…appena sei entrata” cominciò, avvicinandosi di un passo
mentre abbottonava le maniche della camicia “…sei andata verso la
scrivania di Rigsby per cercare le chiavi della macchina che hai perso…e mi hai
detto – Jane forza dobbiamo andare-
!” le espose,muovendo sinuosamente le
braccia, come rientrava nel suo stile, aspettando di assistere all’espressione
di Lisbon.
Espressione che non tardò ad arrivare visto lo stupore e la vergogna
dipinti improvvisamente sul suo voto.
Non c’era che dire, Jane adorava il modo in cui i suoi occhi e la sua bocca si adattavano al suo stato d’animo. Certo, tutti avevamo delle espressioni facciali che ci caratterizzavano, sia
nel bene che nel male; ma Lisbon…Lisbon era unica. Ogni suo sentimento ed
emozione trasparivano perfettamente da quel volto minuto; sia che fosse arrabbiata, o felice o stupita, lei riusciva
sempre a trasmettere i suoi pensieri a chi le stava davanti: storcendo la
bocca, alzando le sopracciglia o, ancora, lasciando che quella sua ruga ai lati
della bocca si allargasse insieme al suo sorriso.
Tutte quelle espressioni erano semplicemente indimenticabili; così….così
da Teresa Lisbon.
Dal canto suo, la detective non sembrava pensarla allo stesso modo.
L’improvviso arrossamento del suo volto sembrava essere un chiaro segnale
di ciò che stava desiderando in quel momento: sparire da quella
stanza, o meglio sparire dagli Stati Uniti d’America.
Lui era sveglio. Mentre lei lo guardava, mentre
si avvicinava, mentre cercava di sfiorargli il volto con le dita, in tutti quei
momenti lui era sveglio.
Era così spietatamente, crudelmente, inevitabilmente - …imbarazzante –
pensò Teresa mentre, contro la sua stessa forza di
volontà, lo guardava dritto negli occhi.
“Io…io non ti stavo guardando!” si giustificò frettolosamente,
dimenticando per un momento il motivo per cui si
trovava di fronte alla scrivania di Cho.
Patrick si avvicinò di qualche passo alla donna, sapendo bene che anche
quel semplice gesto avrebbe aumentato la sua agitazione.
“Lisbon…te l’ho già detto una volta…” esclamò, con tono affascinante “…è il fatto che tu lo neghi che mi intriga” aggiunse,
dirigendosi verso l’uscita della sala, sventolando un mezzo di chiavi di una Citroen DS21; auto che non assomigliava nemmeno
lontanamente a quella di Lisbon.
“Forza…abbiamo un cadavere che ci aspetta”disse Jane, con tono quasi teatrale,
lasciando alla collega il tempo di accantonare l’ultima imbarazzante scena, per
fare posto all’idea di lei dentro la sua amata Citroen
grigia.
******
Subito dopo essersene andata dall’ufficio adibito a “sala mensa”, Van
Pelt era corsa verso l’uscita, dimenticando persino di prendere la giacca accuratamente
disposta sopra la sedia della sua scrivania.
Se solo Rigsby non si fosse dileguato in quel modo insieme a Cho, ora non
starebbe sbattendo contro trequarti dei suoi colleghi del CBI, i quali non
tardarono a lanciarle sguardidi ogni tipo, sia divertiti che innervositi.
“Ehi Rigsby…” urlò la rossa, vedendolo in lontananza
mentre estraeva le chiavi dell’auto dalla tasca.
Nel sentire la voce della collega, il cuore dell’agente sembrò mancare di
un battito, rendendogli quasi più difficile la respirazione.
Ogni volta gli capitasse di provare una simile sensazione, l’ex agente
anti-piromani non riusciva a fare a meno di chiedersi perché un
disgrazia del genere fosse capitata proprio a lui. Perché
era arrivato ad innamorarsi proprio di una sua collega di lavoro? Avrebbe
potuto accettare l’idea di prendere una sbandata per chiunque, persino per un
agente del CBI di un’altra squadra, ma non di lei, non
di Grace Van Pelt, una sua diretta collega.
All’inizio, quando ormai aveva capito di amarla da impazzire, aveva
cominciato a sperare che nessuno ne venisse a conoscenza,
in particolar modo Cho; ma nel giro di si e no un paio di mesi tutto il
dipartimento già ne parlava, scherzandoci pure su. Non ci avrebbe messo la mano
sul fuoco se una mattina, incontrando il Procuratore, questi si fosse messo a dispensare consigli su come conquistare una
donna.
Ah già, quella parte ce l’aveva già qualcuno:
Patrick Jane.
Jane, l’uomo dai mille consigli che riusciva a far innamorare di se tutta la
California; già, persino le donne più impensabili.
“Quanta fretta…” gli disse Van Pelt, una volta arrivata a pochi passi da
lui.
“Nessuna fretta..” si
giustificò Rigsby, aprendo lo sportello dell’auto, sorridendo alla donna.
Se gli avesse detto che se l’era data a gambe
per il solo fatto di aver visto la faccia di Lisbon, la sua mascolinità ne
avrebbe sicuramente risentito.
Una volta che entrambi furono saliti in
macchina, Rigsby girò le chiavi nel quadrante, apprestandosi ad uscire dal
parcheggio del quartiere generale del CBI.
“Perché quando andiamo da qualche parte guidi sempre tu?!”
gli chiese ad un tratto Grace, osservandolo con il suo consueto sguardo dolce,
ma al contempo accattivante.
“P…perché…perché sì!” si limitò a dire, non trovando una scusa migliore.
“perché sì non è una risposta!”
“Anche Lisbon non lascia mai guidare Jane…!”
“Sì ma lei è il capo…”
“E tu sei l’ultima arrivata!”replicò, porgendole il suo familiare
sorriso che, in ogni occasione, riusciva a farla sentire al sicuro.
Perché era questo ciò che Van Pelt provava ogni qual volta si trovasse in
compagnia di Rigsby, sicurezza,riparo. Era l’unico in grado di farla
sentire protetta in ogni situazione, come se fosse a casa.
Certo, molte volte Rigsby aveva un modo di fare privo di tatto, non usava mezzi termini e,
con alcuni sospettati, avrebbe volentieri usato la mano pesante. Ma lui …lui era Rigsby, e l’amava. L’amava come nessun altro
sarebbe mai riuscito a fare, e forse era proprio questo a farla soffrire così tanto.
Erano colleghi, per giunta dello stesso team e
il regolamento parlava chiaro a riguardo: nessuna relazione amorosa.
E lei…lei era
troppo innamorata del suo lavoro per mollare tutto. Già una volta era stata
tradita, aveva già sofferto le pene dell’inferno per qualcuno che non meritava
il suo affetto e ora…ora non avrebbe rischiato ancora.
Anche se si trattava
di Rigsby, l’uomo che il suo cuore aveva deciso di amare fin dal primo giorno.
“Ehi…stavo scherzando…al ritorno guidi tu…” esclamò improvvisamente Wayne, preoccupato dal quel improvviso
silenzio calato tra di loro.
“Come?...” chiese
stordita Grace, ridestandosi solo in quel momento dall’improvviso afflusso che
aveva dominato i suoi pensieri “…oh…ok…grazie!”aggiunse,
sorridendo dolcemente “…ma…credi davvero che ci sia qualcosa tra Lisbon e Jane?!”
gli chiese improvvisamente, cambiando argomento.
“Mh?...certo! insomma…non ne sono sicuro, ma non sarebbe la prima volta
che mi salta un’idea simile!”
“Ah no? E quando ti sarebbe venuta questa
illuminazione?” gli chiese ironica, contenta di essere riuscita a rompere
nuovamente il ghiaccio tra di loro.
“Bè…una volta…” cominciò Rigsby, apprestandosi
a raccontare quel famoso pomeriggio in cui aveva visto Jane sfiorare il volto
del capo. Ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli di stare zitto; come
se in cuor suo già immaginasse la poca credibilità che
Van Pelt avrebbe dato a quel suo aneddoto, per lui a dir poco dell’incredibile.
Forse Cho gli avrebbe creduto.
-sì…Cho….come no..- pensò tra se ironico.
“Allora? Che è successo?” lo spronò Grace, curiosa.
“No…niente…lascia stare…”
“…ok!” lo accontentò,
divertita “Ad ogni modo…io non credo sia così…”
“Ah no?” esclamò Rigsby, questa volta lui con un
tono leggermente incuriosito.
“Bè….Jane non ha né il cuore né la mente liberi
per…per interessarsi a qualcuno!”
“Lo dipingi quasi come una persona cinica!” la riprese Rigsby, spostando
per una frazione di secondo lo sguardo su di lei.
“…non dico sia cinico “ si corresse, spostando a sua volta lo sguardo su
Rigsby, nello stesso istante in cui lo fece lui, arrivando così ad incrociare i
suoi occhi chiari”…m…ma…è troppo pieno di sete di
giustizia per pensare ad altro. L’unica cosa che gli sta a
cuore è trovare John il Rosso e vendicare la sua
famiglia!”
“E penso sia comprensibile!”
“Sì certo…ma la sua è diventata più voglia di vendetta che di reale
giustizia. Tutte le volte che una pista ci riconduce a John
lui cambia atteggiamento, diventa impetuoso, arrogante e pronto a tutto pur di
arrivare a lui…anche a scavalcare Lisbon!”
“Sì ma l’ultima volta ha dimostrato il contrario*…” le fece
notare, con un lieve sorriso sulle labbra.
“Già...questo però non cambia le cose!”
“Ehi…non vuoi proprio darmela vinta…!” le disse l’agente
dai capelli scuri, leggermente divertito, cercando di alleggerire la
conversazione “Certo sarebbe sconvolgente vedere Jane…e….e il capo…forse
qualcosa di più di sconvolgente. Ma…”
“No, non c’è nessun ma…” lo interruppe Van Pelt “…non…non
tra due colleghi! È…contro le regole...” concluse,
sforzandosi di apparire il più sicura e convincente possibile.
Nel sentire quell’ultima frase, Rigsby non riuscì fare a meno di collegarla
con la loro situazione.
Perché anche loro erano due colleghi, come Jane e
Lisbon. Anzi, forse la loro situazione era ancora
più delicata, vista la voglia di Van Pelt di raggiungere i suoi obbiettivi
professionali.
In fin dei conti, Lisbon era già a capo di una squadra e Jane...Jane non sembrava di certo il tipo che si sarebbe fermato
davanti ad una piccolezza come un regolamento.
E che dire, lui era Rigsby, un uomo così innamorato da fare qualsiasi
cosa pur di rendere felice la persona che amava; anche a sottostare ad uno
sciocco regolamento , fingendo di non provare nulla.
“Ehm…” si schiarì la voce Wayne dopo una decina
di minuti in cui era calato il silenzio “…intanto…ho scommesso trenta dollari
con Cho!” le confessò, riuscendo così a strapparle l’ennesimo sorriso.
Un sorriso che rese ancora più amara l’idea di non poterle stare accanto.
* riferimento all’espisodio 1x23
Scusate…mi asciugo le lacrimuccie.T_T …(seeeeee……esagerata XD)
A me Rigsby fa troppa
tenerezza; ogni volta che guarda Van Pelt è così…così…così innamorato!!!!!! Povero. Basta ho deciso, faccio il tifo per lui…nella speranza che Van
Petl si dia una svegliata.
Però…adesso che ci penso. Devo avere le idee
parecchio confuse. Vabbè Jane e Lisbon sono Jane e
Lisbon e rimarranno sempre e comunque i miei
preferiti^^. Poi…ho ammesso di provare una simpatia per Cho (mitico Cho con il
suo sguardo serio e i suoi interrogatori da film poliziesco XD ), adesso dico che faccio il tifo per Rigsby perché povero è cotto di
Van Pelt. Insomma….mi piacciono tutti i personaggi di questo telefilm?!Ahahahahaha XD
Quindi care colleghe
qua bisogna prendere in mano la situazione e fare i fan club di Jisbon e RigsPelt!!! XDXD
Ok dopo questo breve
sprazzo di follia passiamo alle cose….serie XD!
Prima di tutto voglio dedicare questo capitolo
a hikaryeevelyn(ribattezzate
ormai le “colleghe”XD) che sono sempre pronte a recensire la mia ff e a darmi preziosi consigli. Siete unicheeeee….non
riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza tesore!
Infatti è grazie a loro se finalmente
abbiamo la sezione di The Mentalist.
A questo proposito…..trrrrrrrrr….rullo di tamburi…….ecco lo spazio dedicato alla pubblicità occulta XD ahah
Se siete passate per questa sezione
non potete fare a meno di leggere due fantastiche ff
scritte dalle due autrici citate qui sopra: BloodyRedClasses
di hijary e Quando tutto cambia... di evelyn. Mi
raccomando!!!! XD
Bene…ed ora passiamo
alle recensioni ^^
Evelyn….che dire, parole sante XD Teresa è la più tosta del telefilm. Certo Van Pelt ispira molta dolcezza, ma secondo me è proprio per quel suo modo di fare
sicuro che Teresa nasconde una grande fragilità. A parte che anche Grace deve
nascondere qualcosa...mmmmm…il mio sesto
senso dice di stare allerta!!XD
Grazie mille per l’incoraggiamento….sei troppo gentileeeeee!!!!!Ecmq hai visto le foto della
seconda serie? Sbaglio o Rigsby è dimagrito??(guarda te di che cosa mi accorgo…ahahahah)
Hikari…mi sa che hai ragione, se vado avanti così
Lisbon non mi arriva all’ultimo capitolo…soprattutto dopo quello
che le è successo qui XD Povera, forse esagero con lei...hihihihihi!
Cmq… laurea in " disturbologia”????ahahahah
quando l’ho letto sono morta dal ridere!!! Sono contenta che Rigby abbia riscosso successo…avevo paura di non riuscire a
riportarlo bene. Spero di esserci riuscita anche qui!!!^^
Anch’io adoro le espressioni che fa Lisbon…sono troppo….troppo…..belleeeeeee!!!!
non c’è niente da fare lei è una grande!!!XD
Bè ragazze,
non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di questo
capitolo….
Qui mi sono soffermata di più sui
rapporti tra i personaggi (Lisbon e Jane – Rigsby e Van Pelt), nel prossimo
qualche indizio in più sul caso.
Che altro aggiungere, la pubblicità
occulta l’ho fatta…quindi…XDXD Un bacioneeeeeeeeeeeee
Com’era imprevedibile il
fato. Un giorno si pensava al futuro, al matrimonio, al comune desiderio di
avere un figlio; e il giorno dopo…il nulla.
Probabilmente era proprio questa imprevedibilità a rendere la vita tanto rara e
preziosa. E non solo la vita, anche la felicità, sempre così
fugace e indispensabile. Con la stessa velocità in cui questa bussava
alla propria porta, allo stesso modo il destino la richiamava a se, rendendo
tutto più difficile e complicato.
Forse era proprio per questo
motivo che qualcuno arrivava al punto di desiderare di non essere mai felice;
dopotutto, come si poteva rimpiangere qualcosa che non si era mai posseduto?
Era come chiedere ad un orfano che non aveva mai conosciuta
sua madre se le mancava come genitore, se le mancava il suo sorriso e la sua
presenza, o se semplicemente le mancasse l’idea di lei. Era impossibile provare
nostalgia per qualcosa che non si era mai stretto a se. Impossibile, ma estremamente doloroso.
Chissà
come la pensava Susan, chissà se era una persona felice. Avrà coltivato anche lei sogni,
desideri, ambizioni? Avrà provato rabbia, delusione o rimorso per qualcosa
lungo la sua breve vita?
Qualsiasi fosse
stata la risposta a tutte quelle domande, a quel punto non aveva nessuna
importanza. Non ora, non mentre tre persone in veste
lavorativa la osservavano stesa sulla fredda lastra della sala riservata alle
autopsie.
Oramai Susan Long non avrebbe più potuto vivere la sua esistenza, non
avrebbe più riso di gioia o pianto di dolore; non avrebbe più abbracciato i
suoi cari, o esultato per una causa vinta.
Ora, l’ultima cosa che
sarebbe stata in grado di fare, era lasciar libero accesso a chi in quel
momento scrutava il suo corpo senza vita, attendendo che questi rivelasse
essenziali informazioni su chi le aveva precluso
qualsiasi possibilità di continuare a sorridere, di continuare ad aggrapparsi a
quella tanto desiderata felicità.
Lentamente Patrick Jane si
avvicinò al copro della donna, il quale, supino,
appariva decisamente più curato rispetto a quando era stata gettato sul ciglio
della strada.
Il sangue, che fino a poco
prima macchiava la sua candida pelle orientale, era stato accuratamente lavato,
eliminando persino le sue tracce dai lunghi capelli neri, ora pettinati all’indietro
per rendere visibile il volto segnato.
Nonostante la cura a cui era
stato sottoposto, il cadavere presentava chiari e
visibili segni di percosse, nel viso, negli arti, nel ventre; persino nel
torace, il quale mostrava la indistinguibile Y presente in quasi tutti i corpi
sottoposti all’autopsia.
Le braccia della Y erano
incise profondamente nella carne della donna, e si estendevano implacabili
dalla parte anteriore di ogni spalla fino
all’estremità inferiore dello sterno.
La sua cassa toracica era
stata esposta, i suoi organi asportati e, alcuni, svuotati del loro
contenuto. Il tutto per una frazione di tempo che subito dopo avrebbe
visto gli stessi organi riposti nel loro luogo originale, come se da lì non si
fossero mai spostati.
La dottoressa James, che nel
frattempo era rimasta in silenzio, sollevò la cartella della vittima,
sistemandosi distrattamente gli occhiali da vista sul naso.
Nonostante la mezza età, il medico legale appariva ancora una bella donna
di colore, non molto alta e dagli zigomi leggermente pronunciati. Gli occhi, di
un intenso color nocciola, sembravano quasi riflettere tutto ciò che, per anni,
erano stati costretti ad osservare: cadaveri
decomposti, fragili innocenti senza un alito di vita, ferite rivoltanti. Tutti
aspetti ormai superficiali per il suo sguardo vigile e attento.
“Allora…” cominciò
la dottoressa, posando per un secondo lo sguardo sulla cartella, per poi
tornare a fissare il cadavere steso sul tavolo
settorio “Dall’esame esterno del cadavere sono
risultate evidenti lacerazioni in gran parte dei tessuti…in particolar modo
sulla parte superiore. La camicia è stata strappata in più punti…” spiegò,
indicando le braccia della vittima “…entrambi i polsi dell’indumento sono stati
lacerati e imbrattati di sangue…e, se osservate il medesimo punto sul corpo
della vittima, infatti, noterete le escoriazioni sulla
pelle…Probabilmente la vittima è stata ammanettata o tenuta legata con delle
catene!” suggerì il medico, lanciando uno sguardo alla donna di fronte a lei.
Mentre ascoltava le parole della dottoressa, Lisbon non sembrava voler
staccare per un solo secondo gli occhi dal corpo di Susan; come se cercasse in
tutti i modi di captare qualsiasi segnale che quel cadavere potesse in qualche
modo inviarle.
Facendo lo stesso, ma con
ogni probabilità ottenendo molti più risultati rispetto alla collega, Patrick
alternava la sua attenzione tra il cadavere e il medico di fronte a lui.
Entrambe le donne, infatti, in qualche modo gli stavano rivelando più di quanto
in realtà volessero dire.
Anche Lisbon, a suo modo, gli stava parlando; ma nessuno dei
segnali mandati dal suo corpo sembrava essere particolarmente
lusinghieri.
“La gonna nera era
completamente imbrattata di terriccio e sangue, ma non presentava nessuna
lacerazione. L’assassino non sembra essere stato spinto da ragioni sessuali!”
“Ora i vestiti li ha la
scientifica?!” le chiese Patrick, facendo il giro del
tavolo.
“Esatto! Verranno
studiati ed esaminati singolarmente…appena riceveremo i risultati ve li
manderemo subito” gli rispose Meredith James con voce quasi rassicurante “ Ad
ogni modo per quanto riguarda le caratteristiche somatiche…”
“Oh sì lo
sappiamo…trentacinque anni, di origini orientali…anzi
per essere precisi di origini cinesi, da parte di padre. Occhi verdi, ha
sofferto di anoressia più o meno all’età di sedici
anni. I ca…” mentre si stava apprestando a continuare
il suo lungo monologo ricco di impensabili, quanto
azzeccate, informazioni riguardanti la vittima, Jane si bloccò, quasi sicuramente
a causa della sguardo seccato della dottoressa. Per non parlare di quello del
suo capo, le cui sopracciglia ricurve esprimevano più di mille parole.
Alzando le mani in segno di
scuse, per nulla sentite, il consulente si allontanò di qualche passo, non resistendo
alla tentazione di lanciare un sorriso divertito a Teresa.
“…la prego…lo perdoni”
esclamò Lisbon, scusandosi al posto di Jane, come del resto capitava ogni qual
volta si trovassero ad indagare su qualche caso. Sia che si trattasse
di parenti della vittima, che di figure di spicco della politica, lui doveva
sempre risaltare rispetto alla massa, dicendo o facendo la cosa meno opportuna.
Come in quel momento.
Fortunatamente la dottoressa
James non sembrava il genere di persona che se la prendeva per questi modi di
fare poco convenzionali. Anche se la seccatura dipinta sui suoi occhi era decisamente impossibile da ignorare.
“La vittima…” continuò, dedicando a Jane un solo altro sguardo scocciato
“…presenta un tatuaggio dietro l’orecchio, una K” rivelò, spostando
leggermente di lato la testa inerme della donna, mostrando così la piccola
opera d’arte, quasi invisibile viste le sue dimensioni ridotte.
“sotto le unghie non c’era
la presenza di nessun corpo estraneo, terriccio o pelle… al contrario erano fin troppo pulite…”
“L’assassino potrebbe averle
pulite prima di liberarsi del corpo” suggerì Lisbon.
“Sì potrebbe essere…o forse
la vittima non si è resa conto di ciò che le stava accadendo…potrebbe aver
conosciuto l’assassino o, peggio ancora, essersi fidata di lui…” esclamò,
risistemando il capo della donna.
“Ad ogni modo…dai fenomeni
abiotici è risultato che la donna si trovava in un
ambiente piccolo, probabilmente privo di finestre”
“è morta soffocata allora…”
”Difficile dirlo. Le
percussioni sul corpo sono molte e tutte ugualmente gravi. Quando
abbiamo esposto la cassa toracica, abbiamo visto tre costole fuori posto e una
di queste era riuscita a lacerare il polmone destro. Sarebbe deceduta nel giro
di qualche ora. Il corpo, inoltre, presenta chiari segni di
disidratazione. Non mangiava da giorni. In altre parole, sarebbero
bastate si e no un altro paio d'ore perché si
verificasse un arresto cardiaco…il qualsiasi modo sarebbe andata…il finale
sarebbe stato sempre lo steso-”
“La voleva morta…a tutti i
costi” sussurrò Teresa, lanciando un ultimo sguardo alla vittima.
“La ringrazio dottoressa
James…” aggiunse la mora, dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale
sul volto di Jane sembravano essere passate una decina
di teorie diverse “…ci tenga informati!”
“Certo” rispose Meredith,
coprendo nuovamente il cadavere con il consueto telo bianco.
Susan non era solamente
stata uccisa; era stata torturata e questo il medico legale lo aveva
chiaramente lasciato intendere.
La domanda che
continuava rimanere senza risposta era: perché lo aveva fatto? E, soprattutto, perché?
Non appena varcarono la
soglia dell’ufficio del CBI, la prima cosa su cui posarono
lo sguardo Teresa e Patrick furono i tre membri della squadra, i quali,
ciascuno seduto sulla propria postazione, sembravano del tutto presi dal loro
lavoro.
“Capo!” esclamò Van Pelt
sollevando il volto dallo schermo del suo computer, non appena li vide dirigersi
verso di loro.
Una volta raggiunte le
scrivanie dei loro colleghi, Lisbon e Jane si fermarono; quest
ultimo con aria molto più rilassata rispetto a quella
della mora. In fin dei conti succedeva sempre così;
quando lei pensava di essere a mille miglia di distanza dalla risoluzione di un
caso, lui le porgeva quel suo sorriso soddisfatto, alzando per quanto possibile
i livelli della sua impazienza.
“Scoperto qualcosa?!” chiese Cho, con il suo tono di voce profondo e
controllato.
“Non proprio…” gli rispose
Lisbon, cercando di ignorare lo sguardo di Patrick “…la vittima è morta in
seguito a percosse…disidratazione, soffocamento e
chissà per quali altri motivi.”
“L’ha torturata..” osservò addolorata Van Pelt,
come se si trattasse di una conoscente e non di una perfetta sconosciuta, come
lo era in realtà.
Chissà
perché ogni caso colpiva così profondamente il cuore della bella rossa seduta
davanti al computer. Non c’era occasione in cui
non dimostrasse indifferenza o freddezza nei confronti
di qualcuno; Grace doveva sempre e comunque esternare le sue emozioni, che
fossero positive o meno. Già, ma a quanto sembrava, il genere di sentimenti esercitava un ruolo decisamente importante in
questo intricato gioco di emozioni.
Difatti, nonostante lo
sapesse tutto il quartiere generale del CBI, per non parlare
del resto di Sacramento, Grace non sembrava minimamente intenzionata a
esternare ciò che provava per il suo collega, Wayne Rigsby. Eppure lui in più
di un’occasione le aveva fatto intendere quanto ci
teneva a lei.
L’’idea di Van Pelt, però,
non sembrava voler cambiare di una virgola, neppure dopo quasi un anno di
“sofferenza”, se così la si voleva chiamare.
Nonostante
nel lavoro si mostrasse sempre emotiva e indulgente, Grace
era una persona molto chiusa, capace di rimanere in silenzio persino con se
stessa, come aveva involontariamente fatto notare a Jane, durante la sua
improvvisa cecità.
Quel giorno il consulente
aveva letto nel cuore e nella mente dei suoi colleghi, più di quanto non
facesse già in realtà. Evidentemente la cecità lo aveva davvero reso più
speciale di quanto già non fosse.
“Già…aspetteremo i
risultati della scientifica!” la liquidò Lisbon, leggermente innervosita dai
continui buchi nell’acqua che non smettevano di presentarsi nello svolgimento
di quel caso “…voi avete scoperto qualcosa?” le chiese il capo, rivolgendo la
sua attenzione anche al robusto agente al suo fianco.
“Non proprio. Ma oggi non ti
è arrivato il messaggio sul cellulare?” le chiese Rigsby, leggermente confuso-
“No!” rispose subito la
mora, sentendo le guance arrossarsi in una sola frazione di secondo.
Se non sbagliava quel messaggio lo aveva sentito arrivare, eccome se lo aveva
sentito arrivare; ma il leggerlo si era dimostrata un’azione decisamente più
complicata, soprattutto in una situazione come quella in cui si era ritrovava
lei, dove l’essere inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt era l’aspetto
meno imbarazzante.
“…lo studio legale ci
ha consegnato la lista completa dei criminali finiti in carcere grazie ai Long
o a Strass, rilevando quelli seguiti principalmente da
Susan. Ci sono due nomi, Michael Smith e Jasse Becker…entrambi finiti in
carcere per truffa e rapina a mano armata!” cominciò a
spiegare Rigsby, cercando di non dare importanza allo sguardo di Lisbon.
“Perfetto…ora dove sono?”
chiese Teresa, dando una veloce occhiata al fascicolo indicato dal suo
sottoposto.
“…in carcere…entrambi…”
prese la parola Van Pelt, sapendo di non dare affatto
delle buone notizie.
Il volto di Lisbon, infatti,
non riuscì a trattenersi dall’esprimere tutta la sua
disapprovazione. Un intero giorno d’indagini del tutto inutili; né lei, né Cho,
Rigsby o Van Pelt...nessuno aveva fatto un solo passo avanti.
Solitamente, dove non
riuscivano ad ottenere risultati dai familiari o dal luogo del delitto, ci
pensava il cadavere ad indicare una pista; o per lo meno la loro spiccata vena
investigativa. E se anche il cadavere dava cilecca, rimaneva sempre..
“Allora che ne pensi?!” chiese improvvisamente la voce di Lisbon, non del tutto
entusiasta nel chiedere consiglio al consulente della sua squadra, che sembrava
particolarmente impegnato ad aprire una bottiglietta d’acqua, comprata poco
prima dal distributore fuori dall’ufficio.
Senza rispondere alla
domanda della collega, Jane cominciò a bere, assaporando esageratamente l’acqua
naturale a temperatura ambiente. Senza dire una parola e
senza rivolgere uno sguardo a Lisbon, Jane richiuse la bottiglia,
guardandosi in giro con un’espressione annoiata.
Sul viso di Lisbon,
inevitabilmente, si dipinse un’inconfondibile espressione di stupore; una di
quelle espressioni che da tempo ormai la distinguevano
dal resto della squadra.
“Jane…” lo richiamò,
squadrandolo con occhi quasi sospetti.
“sì?…”
“ti ho fatto una domanda…”
gli fece notare, sarcastica, riuscendo a far sorridere perfino Cho, il quale
non si era ancora alzato dalla sua scomoda sedia in
ferro.
“Oh sì lo so…ti ho sentita..” le rispose, divertito.
“E
che ne diresti di rispondere?”
“mm…no grazie” esclamò
Patrick, sapendo di spiazzare non poco la donna al suo fianco
“No?....”
ripeté la donna, questa volta decisamente stupita
“NO…” continuò, sempre
sorridendo con fare spontaneo e affascinante “almeno finché non mi chiederai scusa…”
“scusa…? Scusa
per cosa?” finse di non capire Lisbon, cominciando a sentirsi
leggermente imbarazzata per la presenza dei suoi colleghi.
In fin dei conti, come
poteva mentire a se stessa? Da quando, quella mattina aveva detto a Jane che
loro due erano semplici colleghi e che confondere il lavoro con la vita
privata non era professionale, non aveva fatto altro che maledire se stessa e
il suo carattere impaziente e, alle volte, privo
del suo stesso controllo. Anche se, a dire il vero, se lui avesse tenuto la
bocca chiusa riguardo la sua vita sentimentale tutti
quei problemi non ci sarebbero stati.
Perché diavolo a lui non capitavano mai quelle situazioni?
Jane sembrava
sapersela cavare in ogni situazione e con ogni persona, di qualunque sesso si
trattasse. Anche con lei, che era il suo capo,
non dimostrava di avere il benché minimo problema a mentirle, o ingannarla o a
farsi perdonare costruendole una semplice rana di carta.
Già…e perché lei avrebbe
dovuto perdere la testa per trovare la cosa giusta da dire, o semplicemente per
trovare il coraggio di chiedergli scusa, quando lui poteva cavarsela con
uno dei suoi tanti trucchetti? Non era corretto.
“Oh lo sai bene per cosa
Teresa Lisbon…” continuò Patrick, scaturendo il divertimento di Rigsby.
“Sai…alle volte Jane è quasi
impossibile capire i tuoi giochetti mentali…” gli disse, porgendogli una delle
sue inconfondibili smorfie “ma ammetto che forse…e
dico forse…potrei aver detto qualcosa di…poco carino…” ammise Lisbon,
cercando di ignorare i volti di Cho e Rigsby.
“Visto?!...ci
si sente meglio se si ammettono le proprie colpe…e se si chiede scusa!”
continuò Jane, avvicinandosi di qualche passo a lei, facendo così accelerare
non tanto i battiti cardiaci di Lisbon, quanto quelli di Rigsby, le cui idee
riguardo i due davanti a lui si facevano sempre più concrete.
“già…mi dispiace“ esclamò
Teresa, guardando Patrick dritto negli occhi “…ma io
non le so fare le rane di carta!” concluse sarcastica, spiazzando non poco
l’uomo di fronte a lei.
Più soddisfatta di quanto
non lo era mai stata, il capo della squadra si
apprestò a dirigersi nel suo ufficio, lasciando il suo team
leggermente…provato.
“Bene…” esclamò Jane,
troppo sincero per nascondere lo stupore, il quale
traspariva perfettamente dal sorriso che improvvisamente si era dipinto sulle
sue labbra, mentre Lisbon gli dava le spalle.
“Bene!” dichiarò a sua
volta Lisbon.
“Vorrà dire
che non ti dirò la mia teoria!”
“Oh ma tu non ce l’hai una teoria…” lo corresse compiaciuta Lisbon,
bloccandosi proprio di fronte alla scritta “Teresa Lisbon” incisa a caratteri
neri sottili al centro della porta in vetro “…o forse ce l’hai, ma non hai la
minima intenzione di condividerla” aggiunse, tornando a posare i suoi occhi
chiari sulla figura atletica in piedi al fianco di Rigsby “…io ho una teoria…anzi
due: o non ne sei ancora sicuro al cento per cento, o ti manca ancora un
piccolo pezzo del puzzle.” Affermò, con voce tranquilla “Jane…ti piace troppo
l’idea di arrivare prima di tutti gli altri, il vedere le nostre facce stupite quando ci accorgiamo che la tua stramba teoria alla
fine è quella esatta. È una cosa che ti diverte…anche troppo direi. E il sapere
che non hai nulla in grado di confermare la tua
improponibile quasi impensabile idea non ti fa sentire soddisfatto. Quindi…” si
apprestò a concludere puntando il sottile indice della
sua mano destra verso di lui “…anche se ti chiedessi scusa…cosa che per altro
no farò…tu non me lo diresti, perché sei troppo egocentrico e testardo per
rendermi partecipe!” detto questo gli sorrise compiaciuta, per poi scomparire
dietro la porta davanti a lei, senza dargli il tempo di rispondere.
“Wow…” esclamò Rigsby
divertito, lacerando l’improvviso silenzio calato sui quattro componenti del team “…adesso mi ricordo perché è lei il
capo!” aggiunse ironico, ottenendo l’appoggio di Cho, il quale sembrava persino
più soddisfatto del collega.
Dal canto suo Jane non
poteva fare altro che sorridere; era inutile mentire a se stesso: Teresa
Lisbon l’aveva spiazzato, e solamente nel giro di qualche secondo.
Mai, come allora, Patrick
Jane si era ritrovato a ringraziare il cielo di non aver conferito alla donna
le sue stesse capacità mentali. Sarebbe stata una donna crudele e
manipolatrice, più di quanto lo fosse lui.
“…ha ragione? Davvero non hai nemmeno una pista?” gli chiese Van Pelt, girando la
sedia verso di lui.
“…certo che ce l’ho!”
“Ma
non vuoi dircela…” esclamò Cho, anticipando la risposta del collega.
“e
perché non dovrei?”
“Perché
non l’hai detta al capo…” gli fece notare con innocenza Rigsby.
“Tutti abbiamo
sempre una teoria. In una maniera o nell’altra, quando ci si trova davanti ad
una situazione inspiegabile, o per lo meno forte dal punto di vista emozionale,
il nostro istinto è sempre quello di darci una spiegazione. È stato il padre?
Il marito? Un condannato infuriato? Un cliente insoddisfatto?...in
un modo o in un altro, la nostra mente crea sempre e comunque un
colpevole…anche se spesso ci si sofferma sulla persona sbagliata!”
“Per questo motivo si cerca
di indagare evitando di soffermarsi sulle supposizioni!” gli fece notare Van
Pelt, composta e matura come sempre.
“già, che fregatura eh?” gli
disse divertito.
“ in poche parole, stai dicendo che hai un’idea ma che quasi sicuramente è quella
sbagliata?!” gli chiese, leggermente confuso Cho che, nel frattempo, si era
alzato dalla sua sedia.
L’unica risposta che però
riuscì ad ottenere fu il sorriso solare di Jane che senza dire una parola e
gettandosi la giacca dietro la schiena, uscì dall’ufficio, ignorando gli
sguardi dei tre detective puntati sulla sua schiena.
*******
La sera era giunta veloce
quasi quanto il mattino, lasciando che una leggera brezza facesse il suo
ingresso tra le strade di Sacramento.
L’aria era decisamente più respirabile e fresca rispetto a qualche ora
prima, rendendo quasi necessario indossare una leggera giacca sopra la maglia
semi-autunnale. In fin dei conti l’estate era
tramontata da un po’ di tempo, e godere di quella freschezza serale era il
minimo viste le alte temperature del pomeriggio.
Certo, in California il
freddo non era decisamente all’ordine del giorno,
anzi; ma almeno una minima differenza rispetto a luglio o agosto era giusto
sentirla.
Senza accorgersi del
silenzio che da un po’ regnava sovrano negli uffici del CBI, Teresa si sistemò
la pistola e il distintivo sulla cinta dei jeans,
allungandosi verso la scrivania per spegnere il computer che aveva utilizzato
fino a poco prima. Anche se le seccava ammetterlo, lei
e la tecnologia non sempre avevano un buon rapporto; non a caso ogni qual volta
si trattasse di fare qualche ricerca su internet assegnava il compito a
Grace, la quale sembrava essere nata con il computer tra le braccia.
Dopotutto, ognuno aveva le
proprie capacità e tra le sue non rientrava del tutto la
predisposizione informatica.
Una volta
spenta anche la luce del suo ufficio, la mora uscì dalla stanza, sistemandosi
distrattamente le maniche della giacca nera che aveva appena indossato.
Alzato lo sguardo sulle
scrivanie di fronte a lei, Teresa ebbe la conferma di ciò che, probabilmente,
aveva immaginato poco prima: non c’era nessuno. Tutti erano tornati a casa, chi
dalle loro famiglie, chi dalla propria fidanzata o, perché no, dal proprio cane, o qualsiasi fosse l’animale domestico. Che avessero il coraggio di tenere-
Lei non aveva ne famiglia, ne cani o gatti impazienti del suo rientro.
Poteva rimanere fuori casa anche tutta la notte che nessuno se ne sarebbe
accorto, nemmeno il suo vicino, che forse non sapeva neanche che lei era un
poliziotto.
Perfino Minelli,
che in quanto a carattere non brillava certo per dolcezza e simpatia, se ne andava sempre prima di lei. Anche Van Pelt, Cho e Rigsby
erano usciti da un paio d’ore e lei, invece di seguire il loro esempio, era
rimasta chiusa nel suo ufficio, sperando che qualche improvvisa ispirazione le dicesse come risolvere quel caso.
Velocemente si diresse verso
il parcheggio del CBI, raggiungendo la sua amata auto nera, la quale quel
giorno era stranamente rimasta al suo posto per tutto il pomeriggio. Non era da
lei privarsi della guida, soprattutto se come opzione
c’era il dover salire sul ferro vecchio di Jane.
-…non ci salirei neanche
morta…- si disse, sorridendo, fermandosi davanti lo sportello del guidatore.
Già, ma allora perché quel
pomeriggio aveva lasciato guidare Jane? Perché non
avevano usato la sua auto?
Senza il bisogno di trovare
una risposta quella domanda, Teresa appoggio le mani
su entrambe le tasche della giacca, sbarrando istintivamente gli occhi.
“Le chiavi…” disse a voce
alta, rivolgendosi più a se stessa che a qualcuno o qualcosa in particolare.
Come aveva potuto
dimenticarlo?
Aveva perso le chiavi dopo
essersi risvegliata e, dalla fretta, aveva smesso di cercarle, immergendosi
completamente su quel caso.
Se solo Jane non si fosse
divertito a prenderla in giro, a quell’ora non se ne
starebbe lì in piedi davanti alla sua auto,
inesorabilmente chiusa,
“Maledizione!”
imprecò nervosa, estraendo il cellulare dalla tasca.
Cos’altro avrebbe potuto fare? Non poteva rimanere
lì; era tardi, tutti erano rientrati. E lui…lui non
avrebbe potuto lasciarla lì, dopotutto le doveva un favore; e forse più di uno.
Ma allora perché era così difficile comporre quel
numero?
“Pronto…”
disse, con un tono di voce leggermente più basso rispetto al solito “…ho bisogno di un favore…”.
Rimanendo
in silenzio un paio di secondi, sulle labbra di Teresa si dipinse un leggero
sorriso, dolce e, al contempo, quasi imbarazzato; un sorriso che troppo spesso
non riusciva a controllare, soprattutto con lui.
Ahhhh lo so lo so è passato un
sacco di tempo…scusatemi scusatemiscusatemiiiii!!!
Questa
settimana sono stata un po’
impegnata e, tra una cosa e l’altra, non ho mai avuto il tempo di aggiornare.
In più il capitolo si è dimostrato un po’ difficile, per lo meno rispetto agli altri. Scrivevo e scrivevo, poi mi accorgevo di aver
dato troppi indizi…allora tornavo indietro, cancellavo e rifacevo tutto di
nuovo. Un macello XDXD
Che
dire…una sfida che mi ha tenuta lontana per un po’…ma per vostra sfortuna sono tornata!!! MuhahahahaJ
Coooomunque prima di dilungarmi come
sempre passo subito ai ringraziamenti per chi ha recensito:
evelyn_cla:
Grazie per supportarmi sempre e per
continuare a leggere e recensire. Sei sempre la prima a commentare equesto,
lo sai, mi fa sempre un enorme piacere. Anche se sei impegnata con la tua ff (che a proposito mi fai venire
le crisi cardiache ogni volta
XD) sei sempre pronta a recensire la mia….grazieeeeeeeeeeeeee sei mitica!!!!
Teresa la sto strapazzando un po’…ma
qui dai mi sono trattenuta!!!! Cmq
le sue espressioni mi sa che sono uno dei motivi per cui tifiamo per lei….W LE FACCINE DI LISBON XDXD!
[Dato che ci sono ti volevo dire che ho preso
una cosuccia dalla tua firma…XDXD troppo bella la gif di Teresa e Patrick…non
ho saputo resistere!!!!]
Brucy: sono
davvero davvero contenta che la mia storia abbia
attirato la tua attenzione….non
solo per le relazioni tra i pg
ma anche per il caso; diciamo che mi sto scervellando non poco per riuscire a
farlo sviluppare come voglio, anche se devo ammettere che si sta dimostrando
un’impresa molto ardua. Ma ce
la farò…promessoXD
Ginger_and_the_Factory:sonod’accordissimo
con teeeeee!!!!Lisbon e Jane
devono assolutamente stare insieme. Sono perfetti…lui capisce lei e lei capisce lui. Quindi incrociamo le dita per le prossime serie. E
nel frattempo, come dici tu, godiamoci le ff…XDXD
23jo: Grazie
mille per la recensione…è sempre una gran soddisfazione vedere che qualcun
altro riconosce il tuo lavoro. Cmq
sono una ragazza…xDXD
Spero di leggere qualche altra tua
recensione (e lo stesso per tutti gli altri utenti^^)
Che dire…non immaginate quanto sono
felice e soddisfatta nel vedere tutti questi commenti (…si lo so sono 4 ma io sono una che si accontenta XD).
Ogni volta che leggo una recensione mi
viene una voglia di scrivere pazzesca…per questo dedico a tutti voi questo capitolo e tutti gli altri
già scritti e che scriverò.
Grazie di aver speso un po’ del vostro
tempo per leggere questa…creazione chiamiamola così.
Grazie graziegrazie!!^^
Un bacione…a presto
Ps:
ho modificato eri-aggiornato il capitolo, cercando di correggere gli errori
grammaticali che ho fatto (da asina XD)…spero di averli corretti tutti,
altrimenti ditemelo; perché purtroppo, leggendolo e rileggendolo le stesse cose
un miliardo di volte, molti errori non riesco a
vederli (anche i più vistosi) e così li lascio. È come quello studio che hanno
fatto in America dove hanno dimostrato che il cervello tende a correggere
automaticamente le parole scritte in maniera errata.
(Se
se…tutte scuse XD)
Cmq
ringrazio Brucy per avermelo fatto notare….grazieeeeee!!!!!! se non me l’avessi
detto non me ne sarei accorta!!!!!Baci
Da quasi una decina di minuti, il silenzio faceva da padrone
all’interno della Citroen grigia, ovviamente guidata
da PatrickJane.
Con ogni probabilità era l’unico in possesso di un’auto così
“singolare” in tutta Sacramento, per non dire in più della metà della California. Grigia, sportiva,
francese… Insolita, nel vero senso della parola; come del resto lo era lo
stesso proprietario.
Non si poteva definire un auto di gran
classe, soprattutto visti il colore e i pneumatici consumati dall’asfalto.
Solitamente le auto europee erano associate a figure di spicco della città,
come politici, medici e avvocati di successo, ma in quel caso si poteva
tranquillamente dire che Jane
rappresentava la perfetta eccezione alla regola.
Il lieve brusio emesso dal motore sembrava costituire una sorta di
sottofondo musicale in quella tesa atmosfera tra i due colleghi di lavoro, i
quali non sembravano volersi impegnare poi molto per farla attenuare.
“Non hai niente da dire?” le chiese improvvisamente Jane, la cui voce risultava quasi
ovattata dal prolungato silenzio sceso nella macchina.
“No!” si limitò a rispondere Lisbon, intenta
ad osservare ciò che scorreva dal finestrino alla sua destra.
In quel momento limitarsi a definire Lisbon
semplicemente irritata sarebbe stato un eufemismo in piena regola, soprattutto
dopo la comparsa di quella leggera ruga al centro della fronte.
Era stanca e glielo le si leggeva chiaramente
in faccia; stanca di dover continuamente scendere a patti con quell’uomo, soprattutto quando il suo unico scopo era
quello di fregarla in qualche modo.
-Al diavolo lui e il suo stupido gioco della “caduta”- pensò tra se e se la mora, riesumando dalla memoria il
giorno in cui Jane le aveva chiesto di ristabilire la
fiducia tra loro attraverso il gioco della caduta, un classico tra i ritiri
lavorativi.
Come poteva un essere umano, dotato anche solo delle più scarse
capacità mentali, credere che una caduta all’indietro riuscisse a convincere
due persone a fidarsi l’una dell’altra?! Era una cosa
stupida e insensata.
Già, peccato che fino a qualche mese fa lei
rientrava proprio tra quelli che ci credevano.
Questo fino al giorno in cui PatrickJane aveva cominciato a
giocare con le loro menti, naturalmente senza chiedere il minimo permesso.
“Sembri arrabbiata…” continuò Jane, posando
per una frazione di secondo lo sguardo su Teresa Lisbon,
la cui espressione imbronciata lo faceva quasi divertire.
Non che farla arrabbiare fosse uno spasso certo…
non sempre almeno; ma doveva ammettere che vedere quel suo inconfondibile
sorriso dipinto sulle labbra era così…così piacevole. Persino Rigsby aveva dimostrato di
apprezzarlo in più di qualche occasione, anche se in maniera del tutto
inconsapevole, visto che per gran parte della giornata non aveva occhi che per
la rossa del team.
“Ti sbagli...” gli rispose Teresa, con un
tono di voce per nulla convincente.
Già, Lisbon era carina
quando sorrideva, e su questo non vi erano dubbi, ma anche quella ruga
nervosa sulla fronte era così…così…
“Anzi no…è vero sono arrabbiata!” esclamò improvvisamente la donna
spostando finalmente lo sguardo dal finestrino a Jane,
il quale, per una frazione di secondo, si ritrovò a ringraziarla mentalmente
per non avergli fatto concludere quello strano
pensiero che, improvvisamente, aveva cominciato a gironzolargli nella testa.
“Ah…e perché?” le chiese, non sforzandosi affatto
di controllare quel suo sorriso quasi intrigante.
“Perché ti diverte”
“Che cosa?!”
“Vedermi arrabbiata!”
“…mmm…non sempre…” le rispose ironico, anche
se quella sua constatazione rispecchiava fin troppo bene i suoi reali pensieri.
Possibile che anche Lisbon, a modo suo,
avesse imparato a leggergli nella mente?
Certo, la cosa non era possibile, almeno non come lo faceva lui; ma,
ad ogni modo, sembrava aver imparato a conoscere fin troppo bene gran parte dei
suoi atteggiamenti, come aveva chiaramente dimostrato qualche ora prima,
davanti agli altri tre componenti della squadra. Aveva
descritto una parte del suo carattere in un paio di minuti.
A dir poco ammirevole.
Certo, in realtà Teresa non conosceva affatto
il vero PatrickJane,
l’uomo distrutto dalla sete di vendetta, l’arrogante che per anni aveva
ingannato il prossimo per un semplice tornaconto economico; il “Jane” spaventato e arrabbiato che, per tutto il tempo in
cui era al CBI, teneva accuratamente nascosto in un angolo remoto della sua
mente, attento che nessuno lo intravedesse in alcun modo, o per lo meno non
senza il suo permesso.
Quello, però, non aveva importanza, non in quel momento.
Lisbon stava
imparando a conoscerlo, almeno un po’.
Dopotutto trascorrevano molto tempo insieme, ed era difficile non
entrare in confidenza,cosa che lei,invece,
sembrava voler evitare a tutti i costi.
Lei si era dimostrata pronta a conoscere qualsiasilato oscuro o scheletro nell’armadio
della vita di Jane, ma guai se lui, a sua volta,
cercava di conoscere anche una sola piccola parte del suo passato.
“Non entrarmi nella testa”. Era questo il principale messaggio che i
suoi occhi gli inviavano ogni qual volta cercasse di capirla, di conoscerla in
qualche modo.
Purtroppo, però, con Patrick era pressoché
impossibile riuscire a nascondere i propri segreti, o per lo meno non tutti.
Troppe volte il sub-conscio esternava atteggiamenti e pensieri che,
stupidamente, si credono rinchiusi nella propria
mente. Com’era accaduto quella stessa mattina.
Lisbon, infatti,non si era irritata
per una sciocchezza come la richiesta di Jane divedere la casa, non era di certo una bambina.
Ma il fatto che il biondo avesse letto un suo comportamento, o semplicemente
tradotto un suo gesto, per scoprire qualcosa che lei aveva volutamente
nascosto, bè…la mandava decisamente
in bestia. E questo lui lo sapeva benissimo. Dopotutto
non era la prima volta che Lisbon si arrabbiava per
quel suo modo di fare enigmatico e insolito.
Restava, però, il fatto che lei conosceva molte cose del suo passato,
comeil suo
reale odio nei confronti di John il Ross e la poca importanza che dava alla sua stessa vita.
Teresa conosceva solo ciò che lui stesso le aveva detto,
certo, o quanto c’era scritto nel suo dossier; dossier che, con ogni
probabilità, ogni membro della squadra aveva recuperato in qualche modo.
E Jane, dal canto suo,conosceva soltanto la Lisbon
che la mente e il linguaggio involontario di quest’ultima
gli rivelavano, mai quella descritta dal suo cuore.
Chissà, forse in realtà entrambi avevano lo
stesso problema; la stessa paura di farsi conoscere per ciò che erano in
realtà.
“Lo vedi…ti dico che sono arrabbiata e tu te
ne stai zitto…ad ascoltare quello che la tua mente deviata ha da dire!”
“credi che la mia sia una mente deviata?” lechiese
divertito.
“Tutti abbiamo la mente deviata…solo che la
tua lo è più del normale!”
“Lisbon…è inutile che ti arrabbi con me
perché non trovi le chiavi…” le rivelò l’uomo, lanciandole l’ennesimo sorriso.
“Sì invece!” continuò, con tono a dir poco convinto
Teresa “...quando VanPelt
ha nascosto le chiavi tu le hai ritrovate nel giro di cinque minuti. E adesso
che sono io ad averle perse non mi aiuti”
“Teresa Lisbon…sei gelosa di VanPelt?” le
chiese divertito, sapendo bene il genere di reazione che avrebbe
provocato quella domanda.
“Cosa?!” chiese esterrefatta, confermando le
previsioni di Jane.
“bè non ci sarebbe nulla di male…”
“Ah no?” esclamò la donna, ritrovandosi, suo malgrado, a sorridere.
“no! dopotutto sono un uomo affascinante…e
tu…tu sei il capo, con tutti i doveri che ne comporta” disse ironico,
lanciandole una veloce occhiata, per poi tornare a guardare la strada.
Questa volta, però, Lisbon non rispose,
limitandosi a voltarsi nuovamente verso il finestrino, con un insolito sorriso
dipinto sulle labbra sottili.
Quando, poco
prima, si era accorta di non avere ancora ritrovato le chiavi della macchina,
il primo nome a cui aveva pensato era stato proprio quello di Jane che, nel giro di qualche minuto, si era presentato nel
parcheggio del CBI, con quel catorcio che lui si ostinava a voler chiamare
“auto”.
La cosa che, però, continuava a chiedersi era: perché proprio lui? Perché non aveva chiamato Rigsby o Cho; perché non aveva chiamato suo fratello Lucas che, con ogni probabilità, avrebbe colto al volo
l’opportunità di passare un po’ di tempo con lei.
Certo, la lista delle persone che avrebbe potuto chiamare erano poche, per non dire
scarse, ma Jane non era di certo l’unico. Eppure…
“Sei preoccupata…” affermò Jane, assumendo
improvvisamente un tono di voce più serio, come se lo scambio di parole di
pochi istanti prima non si fosse mai verificato
“certo che sono preoccupata…non abbiamo scoperto nulla da stamattina..non è
molto rassicurante!” si giustificò Lisbon, tornando a
guardare l’uomo al suo fianco.
“Il caso non centra. È da stamattina che sei preoccupata…o meglio da
ieri sera, verso l’ora di cena.”
“Ti sbagli…”
“Fammi indovinare…” disse, anche se sapeva che le probabilità di
azzeccarci erano decisamente alte “…hai scoperto
qualcosa di poco piacevole, qualcosa che è riuscito a tenerti sveglia tutta la
notte!”
“Ti ho detto che non è così…” continuò a
negare Teresa, più nervosa e tesa rispetto a poco prima; tanto da non accorgersi
nemmeno di non sentire più il rumoroso suono del motore dell’auto, la quale si
era fermata a pochi metri da una palazzina a nord di Sacramento.
“Sei arrivata tardi…cosa che
non fai mai, neanche dopo aver lavorato tutta fino atardi…”
“Capita anche ai migliori…”
“già….Ma…”
“Smettila Jane…” sussurrò Lisbon, senza mai guardare Patrick
direttamente negli occhi, come se il solo farlo potesse farla scoppiare da un
momento all’altro.
“…hai pianto?!” suggerì, con un chiaro
obiettivo nella mente.
“Ti ho detto di smetterla!” esclamò Teresa, a voce più alta rispetto
al sussurro di poco prima.
La donna rimase immobile, quasi pentita.
Per un secondo aveva rischiato di perdere il controllo, ma anche
questa volta non lo aveva fatto, anche questa volta era riuscita a trattenersi.
Perché era questa una delle principali
caratteristiche del suo carattere. Lei riusciva a mantenere sempre l’ equilibrio, riusciva sempre a fare attenzione a tutto ciò
che le veniva detto o fatto; in particolar modo riusciva a fare in modo che
nessuno dei giochetti di Jean andasse contro la
legge.
Lei sapeva fare tutte queste cose, senza mai crollare un solo attimo, neanche quando davanti le si presentava un caso così simile
a quella che era la sua vita passata.
Un piccolo cedimento, certo, uno scalino di una
gradinata non visto, una leggera caduta, una strigliata a VanPelt e al suo essere sempre dolce e comprensiva, quasi invadente. Quello non era nulla, nulla in
confronto al suo auto-controllo.
La cosa importante, però, era non ricordare, nemmeno per un attimo.
– non pensare al passato-, ecco la regola
principale; mai, neppure quando sembrava quasi sentirne il bisogno. Perché solo il passato era in grado di far crollare la sua corazza, l’unico in grado di tagliare il sottile filo
della sua anima che teneva in piedi l’equilibrio che così spesso l’aveva
caratterizzava.
Non rivangare, in nessun modo.
E quello che
stava facendo Jane, in quel momento, era proprio
riportarla indietro, farle ricordare ciò che voleva dimenticare.
Non era bastata la telefonata di ieri a rendere le cose più complicate del dovuto?Evidentemente no.
“scusami…divento inopportuno quando ho
appetito” affermò Jane, sapendo di essersi scusato
nel peggiore dei modi, come del resto accadeva quasi sempre.
“No ti sbagli…sei sempre inopportuno!” lo congedò Lisbon,
fredda come lo era ogni qual volta qualcuno cercasse
di leggerle dentro “…a domani Jane!”.
Scese velocemente dalla macchina, senza degnare di uno sguardo l’uomo
dai capelli ricci e biondi, il quale, però, non sembrava altrettanto incline a
lasciare così in sospeso la loro “conversazione”, se così la
si voleva chiamare.
“non puoi fare sempre così Lisbon!”
“Così come?!” gli chiese, senza arrestare la
sua maratona verso il portone della sua palazzina.
“Così…” le disse Jane,
sorpassandola facilmente e fermandosi davanti a lei, lanciandole uno dei suoi
sereni sorrisi, in grado di affascinare persino la più cinica delle zitelle
“…puoi fidarti di me…” aggiunse, serio, guardandola direttamente negli
occhi.
“Certo lo so…dopo il giochino della caduta mi fido ciecamente”
“così mi offendi” affermò,
leggermente ferito da quel suo modo di fare così freddo e distaccato, persino
con lui, che avrebbe fatto di tutto pur di aiutarla.
“no tu mi offendi! Mi offendi quando cerchi di entrarmi nella testa senza
chiedermi se per me va bene, quando cerchi di leggere il mio comportamento per
scoprire se ti ho mentito in qualche modo…”
“cosa
che fai spesso…”
“Sì perché non voglio che
tu…”
“Che io?...
“non voglio..”
“non vuoi che scopra qualcosa
di te?” esclamò, più come constatazione che suggerimento.
“Esatto” affermò più
distaccata di quanto in realtà non volesse essere
“…come fai tu del resto!”
“Io? Non credo visto che
conosci molte più cose tu di me di quante in realtà ne conosca io del tuo
passato”
“è vero..ma solo perché le
circostanze ti hanno costretto. Tutto quello che mi hai confessato l’ho hai fatto per un tornaconto, se non addirittura perché
obbligato….” Gli disse, guardandolo dal suo esile metro e
sessantacinque.
Questa volta Jane non rispose, limitandosi a fissarla negli occhi, come
se cercasse un qualche briciolo di rimorso per quello che gli stava dicendo.
“…come la storia del tuo
psichiatra, giusto?!” gli ricordò Teresa, più
soddisfatta rispetto a poco prima “….mi hai detto chi
era solo perché altrimenti non ti avrei aiutato. O
sbaglio Jane?” gli chiese, quasi a volerlo sfidare,
in quel confronto a viso aperto.
“Già…hai ragione” le disse,
spiazzandola come pochi al mondo riuscivano a fare
“Allora non c’è da temere Lisbon” aggiunse, fingendo
un sorriso “siamo degli ottimi colleghi di lavoro!”
Rimase a guardarla per un
secondo, un secondo che sembrò durare un eternità,
provando quasi una sorta di nostalgia all’assenza di quel suo sorriso così
singolare e sincero.
Senza dire una parola, ma
limitandosi, come poco prima, a sorriderle,la oltrepassò, leggermente deluso da
quel scambio di parole così duro e distaccato.
Con la sua consueta camminata
sicura ed elegante, quasi quanto il suo completo grigio, Jane
si apprestò a raggiungere la sua auto, quando improvvisamente il cellulare di Lisbon squillò, attirando l’attenzione di
entrambi i presenti.
“Lisabon…”
rispose la donna, fissando un punto causale alla sua destra.
Silenzio, un immenso e
interminabile silenzio, interrotto solo da lievi assensi emessi dalla donna dai
capelli scuri
“…sì capo…sono con Jane” aggiunse, partecipando finalmente a quella telefona
con protagonista il capo del CBI, VirgilMinelli “..ci rechiamo subito lì!”
disse, spostando il suo sguardo sul diretto interessato, il quale sembrava
averle letto nel pensiero, arrestando la sua marcia verso l’auto prima ancora
che la donna parlasse.
Dopo aver riattaccato il
telefono, Lisbon lo rimise nel taschino destro della
sua giacca scura, guardando Jane con un’espressione
più seria e professionale rispetto a poco prima.
“Hanno trovato un altro
corpo…in un parco, a dieci kilometri di qui!” lo
informò, avvicinandosi di qualche passo.
Jane
sorrise, indicandole con il braccio destro la sua affidabile auto grigia, come
se il loro dialogo di poco prima non avesse assolutamente intaccato il loro
rapporto, professionale o personale che fosse.
“Prego…” disse soddisfatto,
seguendo il passo sicuro e controllato di Teresa.
******
Il luogo del crimine sembrava
incredibilmente simile a quello visto la mattina
stessa. Strada affollata da un continuo via vai di
automobili, la cui fretta traspariva chiaramente dalla velocità e dal
disinteresse con cui oltrepassavano il corpo senza vita;un corpo di donna riverso a terra, con gli
abiti completamente imbrattati di sangue, per non parlare del volto, tumefatto
più dai lividi che dagli agenti atmosferici che fino ad allora lo avevano
colpito; e il poliziotto, lo stesso giovane agente che ore prima aveva
presentato la prima vittima agli agenti del CBI che, in quel momento, si
apprestavano a raggiungere il cadavere a pochi metri da dove avevano
parcheggiato l’auto.
“Chi si rivede” esclamò Jane, vedendo l’agente Keys con lo stresso
sguardo di chi si sentiva incredibilmente fuori luogo.
“Oh salve…lei è l’agente Jane
giusto?” chiese, avvicinandosi a sua volta ai due.
“No ,ui
è un consulente...”precisòLisbon, con il suo consueto tono professionale.
Com’era imprevedibile l’umore; la mattina Teresa aveva
facilmente omesso quell’importante particolare
riguardante il ruolo professionale di Jane, come se,
in qualche modo, avesse voluto rendere più rilevante l’uomo al suo fianco che,
con tanta premura, le aveva portato il caffè in ufficio. Ora, invece, dopo una “litigata”, se così
la si voleva chiamare, era ritornato a vestire i panni
del semplice consulente.
Anche il giovane agente davanti a loro
sembrava aver colto quel semplice quanto considerevole dettaglio.
Una volta che Lisbon si fu
allontanata per avvicinarsi al corpo, Jane si
avvicinò al poliziotto in divisa, con un fare decisamente
troppo teatrale per essere preso sul serio da chi lo conosceva davvero.
“…l’ho fatta arrabbiare…ed ora…Da agente a semplice
consulente!” disse, per poi raggiungereLisbon, lasciando l’uomo al suo fianco con un indecifrabile
espressione dipinta sul volto.
“Chi è?” chiese Lisbon,
osservando la donna seduta ai piedi di un albero, come se in realtà stesse
tranquillamente attendendo qualcuno o qualcosa.
Le braccia, completamente ricoperte da tagli e contusioni,
cadevano inermi sul ventre della vittima, la quale sembrava trovarsi in quella
determinata posizione per un obiettivo ben preciso dell’assassino, un obiettivo ancora sconosciuto a chi osservava in quel momento
la scena del crimine.
“MariaIvarez,
ventidue anni…” rispose una voce di donna alle loro spalle “…dalla patente risulta che viveva nel Cansas.
Abbiamo già contattato i genitori…” aggiunse il poliziotto della zona, una
donna di si e no una quarantina d’anni, sulla cui
targhetta risplendeva il nome “MorganCoolman”.
“Questa volta chi l’ha
trovata?” chiese Lisbon, mentre il consulente della
sua squadra osservava più da vicino la vittima.
“Io” rispose l’agente Keys, con un tono decisamente meno
esperto rispetto la donna dai capelli biondi al suo fianco “….stavo per finire il mio turno quando me ne sono accorto. Mi
è sembrato insolito…perché mi era già sembrato di
intravederla poco dopo aver lasciato il luogo della prima
vittima!”
“Sembra lo stesso modusoperandi…” osservò Teresa,
inginocchiandosi accanto a Jane, proprio di fronte alla
giovane dagli occhi verdi come lo smeraldo.
Aveva la pelle scura, tipica
delle sue origini spagnole. Anche i capelli, lunghi e
scuri quasi quanto quelli della prima vittima, rispecchiavano perfettamente i
tratti somatici della sua cultura ispanica; mossi e indomabili, le cadevano
lungo le spalle smilze, arrivando quasi a sfiorare le dita pallide e marmoree,
incrociate le une alle altre, quasi fossero in preghiera.
Sembrava aver assunto una
tipica posizione di attesa. Come se
attendesse, paziente, la morte in persona che, puntuale, era giunta a portarla
via con se.
L’unica cosa in grado di
contrastare con quella perfetta e così reale ricostruzione, così vicina
all’essere un soggetto di un dipinto, era lo sguardo; uno sguardo
troppo spaventato e triste per appartenere a qualcuno di così paziente e
inerme.
Anche i
polsi, così sottili e delicati, portavano gli evidenti segni dei lividi, dovuti
sicuramente a qualcosa di duro e indistruttibile, qualcosa in grado di renderle
impossibile qualsiasi movimento, qualsiasi via di fuga.
Era morta nel terrore e nella
paura, proprio come Susan Long.
“….forse si tratta di un serial killer…” propose l’agente Keys, rimasto in silenzio per tutto il tempo.
“Non corriamo troppo…” lo riprese Lisbon, rialzandosi da terra
“…aspettiamo gli esiti della scientifica.
“Voi siete
del CBI giusto?!”
“Esatto. Ci terremo in
contatto.”
Dopo aver scambiato qualche
sguardo con la donna dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, Lisbon si riavvicinò al cadavere, vicino al quale si trovava
ancora Jane, il cui sguardo appariva decisamente interessato.
“Andiamo…?”
“Guarda gli occhi della
donna…”
“li vedo..”
gli fece notare ovvia, incrociando le braccia davanti
al petto.
“sono aperti…”
“forse sta ad indicare
qualcosa che le vittime devono vedere…anche dopola morte” suggerì Lisbon,
osservando lo stesso punto indicato da Jane.
“già…O qualcosa che noi
dobbiamo vedere. Vuole che facciamo attenzione ai
particolari…ci tiene alla scena del crimine, al modo in cui NOI troviamo i
corpi. Gli serve un contesto eclatante, come la
strada, o un contesto scenografico, come la rappresentazione di una giovane
ragazza ai piedi di un albero…priva di vita…da più di un giorno “ le spiegò,
guardando Teresa direttamente negli occhi “Entrambe le vittime hanno i capelli
scuri; entrambe gli occhi verdi…”
“..entrambe
sono di origini straniere…” continuò Lisbon, in
perfetta sintonia con il ragionamento di Patrick.
“…è un serial
killer!”
Rieccomi qui con il capitolo numero
cinque!!!!!
Lo so..avrei
voluto anch’io far chiarire subito Lisbon e Jane ma…sono maleficaaaaa!!!! Muhahahahah (c’ho preso gusto con
tutte queste risate malefiche XD)
Cmq allora prima preciso alcune cose…Mi sono
permessa di dare un nome ad uno dei fratelli di Lisbon perché, purtroppo, per ora non si sa ancora niente
sul loro conto…tranne che sono 3. Lucas mi è sembrato
un nome abbastanza simile a Teresa, ma se avete qualche consiglio da dare in
merito fate pure…sapete che qui sono sempre bene accetti. ^^
A questo
proposito mi collego alle recensioni ringraziando Brucy per avermi fatto
notare gli errori grammaticali che, dalla fretta, non ho
visto. Grazie milleeee…avrei fatto una figuraccia da
panico se non me lo avessi detto. Ho riletto tre volte questo capitolo prima di
postare, ma…visto che qualche errore mi sarà sicuramente sfuggito, mi scuso fin
da subito :P
Cmqsono d’accordissimo con te Brucy,
anch’io credo che il tenere sulle spine sia un tentativo di Jane
per dare un senso alla sua vita, una vita completamente comandata da John.
Bè grazie mille Brucy…spero
davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ho fatto il possibile per
non deluderti!!!!^^
23jo hai
proprio ragione…la classe non è acqua e la nostra Lisbon
ne ha da vendere. Anche se in questo capitolo ho fatto in modo di renderla molto
più combattuta del solito…spero di esserci riuscita ^///^
E passiamo alla
mia dolcissima collega….evelyyyyn,
che con la sua ff sta seriamente cercando di
uccidermi XD (COMEEE???? Hai cinque capitoli pronti e
mi fai soffrire così??? Adesso vado subito a leggere e
commentare quello che hai pubblicato, vediamo se il mio povero cuore ne
risentirà ancora XDXD).
Cooooomunque…come tardi torto, anch’io
adoro Teresa, è una grande sia nel modo di fare che
per il suo carattere. E nei nuovi episodi non si può fare a
meno che tifare per lei….Sì sì…qua siamo tutti
PRO-LISBON!!!!J
Infine, ma non
di certo in ordine di importanza XD, grazie di cuore a
Valery_Ivanovche continua a seguire la mia ff.
Come mi hai fatto
notare tu e tutti gli altri, sono davvero davverodaavvero contenta di riuscire a mantenere i
personaggi OOC, è una delle cose a cui faccio più attenzione di tutte, perché
naturalmente un telefilm si ama in particolar modo per il carattere dei
personaggi, perciò anche le ff devono cercare di
mantenere il loro carattere originale. Ma…aimè…è una delle cose più difficili di tutte. Infatti anche in questo capitolo ho rischiato di andare
fuori OOC, ma spero di essere riuscita a salvarmi in extremis XD
Che dire…anche questa volta mi avete resa stra felice con i vostri commenti….vi
ringrazio di cuore, siete la mia fonte di ispirazioneeeeeeee.
Un bacione carissimi lettori…..al
prossimo capitolo ^^
Ps: per qualsiasi cosa, chiarimento o altro, non esitate
a contattarmi….per me è un piacere!!!!