The Mentalist - Red Dream

di Teresa Lisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quando le sobrie e usuali scarpe nere del capo della squadra investigativa del CBI, Teresa Lisbon, si posarono all’interno dell’ufficio, le lancette avevano oltrepassato già da un pezzo il numero dieci dell’orologio, posto in bella vista nel muro princi

 

 

 

Ciao a tutti!!!! Mmmm che dire…non sono un asso nelle presentazioni ma visto che questa è la prima storia che pubblico penso che qualche riga sia d’obbligo!!!! J

Sono Teresa e adoro The Mentalist….ho visto tutta la prima serie e non vedo l’ora arrivi anche la seconda.

Sono una fan sfegatata della coppia Jisbon (Jane e Lisbon)…secondo me sono fatti per stare insiemeeeee!!! Quindi in questa mia fan fiction aspettatevi qualche risvolto in proposito!!! Hihihi XD

Avendo già visto tutta la prima serie, nel corso della storia potrei citare qualche spoiler, in particolar modo riguardo la vita privata dei personaggi. Perciò per chi non l’ha ancora vista e non ha intenzione di rovinarsi la sorpresa gli consiglio di leggerla più avanti. (Però ritornate mi raccomando J).

Che altro dire…spero apprezzerete questa mia creazione…per ora pubblico solo il prologo, così se c’è qualcosa che non va potete dirmelo fin da subito e cercherò in tutti i modi di migliorare.^^

Mi auguro di leggere molti commenti…perché, penso lo sappiate meglio di me, sono soprattutto quelli a dare l’inventiva necessaria per continuare la storia!!!!!!

Ok la smetto di stressarvi e vi lascio leggere.

Un bacione

 

T.L

 

 

 

 

Quando le sobrie e usuali scarpe nere del capo della squadra investigativa del CBI, Teresa Lisbon, si posarono all’interno dell’ufficio, le lancette  avevano oltrepassato già da un pezzo il numero dieci dell’orologio, posto in bella vista nel muro principale della sala.

Com’era potuto succedere?  Lei era sempre attenta, precisa; tutto era sempre sotto il suo attento controllo.

Da quando aveva assunto il comando della squadra si era ripromessa che avrebbe sempre dato il buon esempio, anche a costo di infuriarsi con se stessa.

Non a caso, a contendersi il podio delle tre cose che Lisbon non tollerava in una persona vi era proprio l’arroganza e il ritardo, il non rispettare un certo orario, era…era frustrante e irritante.

Non sopportava dover aspettare qualcuno che probabilmente aveva preferito dedicarsi a dell’altro invece di preoccuparsi di venire da lei; che fosse lavoro o vita privata…non faceva differenza.

Per questo se la prendeva con Jane, lui sembrava proprio quel genere di uomo che arrivava tardi agli appuntamenti, non solo lavorativi. Non che conoscesse le sue abitudini al di fuori dell’ufficio, certo…ma…ma di solito una persona trasferiva i propri difetti personali anche nel contesto lavorativo. Lo faceva anche lei dopotutto…

Ad ogni modo, stava di fatto che quella mattina era arrivata lei in ritardo, e la cosa probabilmente era ancor più irritante se a farlo fosse stato qualcun altro.

Con il suo consueto passo deciso, leggermente contrastante con la sua figura minuta, Teresa si avvicinò alle scrivanie poste in fondo alla sala, dove naturalmente i suoi colleghi stavano già lavorando a qualche caso assegnato dal “boss”.

Van Pelt, impegnata a leggere qualcosa sul suo fedele computer portatile, alzò lo sguardo dallo schermo non appena la vide arrivare, porgendole uno dei suoi consueti sguardi comprensivi. Come due donne riuscissero ad essere così diverse alle volte risultava incomprensibile.

“Buongiorno…” disse dolcemente la giovane agente dai capelli rossi, spostando per una frazione di secondo lo sguardo su Wayne Rigsby, la cui mancanza di tatto era decisamente conosciuta all’interno della squadra.

Infatti l’agente non perse tempo, sorridendo divertito nel notare lo sguardo leggermente stravolto del capitano.

“Salve…” disse sarcastico, non osando dire nulla di più, nonostante dentro di lui si fossero già formate una serie di battute ironiche riguardanti il ritardo di Lisbon; ma dopotutto ci teneva fin troppo al suo distintivo e incorrere nella furia del capo non sarebbe stata di certo la cosa più furba da fare.

Dal canto suo, il terzo componente della squadra, l’agente Kimball Cho, non sembrava essere particolarmente interessato all’arrivo di Lisbon, rimanendo del tutto concentrato sulla documentazione sparsa sopra la scrivania. “Buongiorno capo!”

Dopo aver emesso un veloce – Buongiorno -, Teresa si diresse spedita verso il suo ufficio, chiudendo bruscamente la porta alle sue spalle.

Poco prima, mentre stava percorrendo la sala della centrale, la donna dai capelli scuri non riuscì a fare meno di gettare una veloce occhiata sul divano in pelle marrone situato a pochi meri dal suo ufficio. Solitamente lo trovava sempre disteso lì, intento a sonnecchiare o a perdersi in uno dei suoi contorti e inimmaginabili pensieri. Quella mattina, però non c’era traccia di Jane e l’unica parola che si formò nella sua testa a quel pensiero fu “Per fortuna”.

Sicuramente se l’avesse vista arrivare a lavoro con qualche ora di ritardo non si sarebbe di certo fatto sfuggire la possibilità di deriderla, usando quel episodio in futuro per metterla alle strette.

Come avrebbe potuto giudicare i suoi futuri ritardi se anche lei si era dimostrata non esserne da meno??

Bè…ora comunque non aveva più importanza. Lui non c’era, non poteva torturarla con le sue sottili ed azzeccate frecciate da “sensitivo” e, in particolar modo, non l’aveva vista entrare con l’aria di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte .

Già…una notte orribile…

Stancamente si sedette sulla poltrona davanti alla scrivania, coprendosi il viso con le mani bianche come la neve. Era esausta, quella giornata doveva finire alla svelta, altrimenti i suoi nervi non avrebbero retto, ne era certa.

Tenendo una mano sulla fronte, Lisbon posò distrattamente lo sguardo sullo schermo spento del computer davanti a lei, notando nel giro di qualche istante una macchia decisamente ben visibile sul colletto della maglia beige che indossava.

Com’era possibile, si era spanta addosso il caffé la sera prima, come poteva essersi macchiata anche quella…stamattina dalla fretta non aveva nemmeno fatto colazione perciò…

“Maledizione…”  esclamò seccata, interrompendo bruscamente il suo ragionamento.

“Mmmm la stessa maglia del giorno prima…per di più macchiata…di caffé se non sbaglio!”

La voce che improvvisamente fece il suo ingresso nell’ufficio fu riconoscibile in una sola frazione di secondo. In fin dei conti una sola persona poteva avere un tono così solare e, al contempo sicuro di se, già dalle prime ore del mattino. Una voce che sembrava saper tutto su chi aveva davanti e, con ogni probabilità, la sensazione non doveva discostarsi più di tanto dalla realtà.

L’uomo dai biondi capelli ricci se ne stava sul ciglio della porta, con solo la testa all’interno della stanza della donna; come se, in cuor suo, sapesse bene quanto rischiasse la vita in quel momento.

Non capitava tutti i giorni arrivare a lavoro prima della puntualissima Teresa Lisbon; perciò, come farsi sfuggire una simile occasione?! Poterla guardare con un sorriso leggermente soddisfatto e divertito.

Semplice….era impossibile.

“Che c’è Jane..?!” chiese Lisbon, cercando di coprire la macchia sul colletto con il braccio sottile, puntando i suoi indimenticabili occhi vedi sull’atletica figura del consulente della squadra.

“Bè…” iniziò l’uomo entrando nella stanza, mostrando un contenitore in plastica da caffé come biglietto da visita “…ho pensato che un caffé poteva fare al caso tuo! Visto che sono le dieci passate…” aggiunse, posando il bicchiere in plastica davanti a Lisbon, il cui volto faceva chiaramente trasparire la seccatura per quella sua prima “frecciata mattutina”.

“Jane…” iniziò Teresa, avvicinando alla scrivania la sedia scorrevole su cui era seduta.

“Oh tranquilla Lisbon…può capitare a tutti di arrivare tardi a lavoro. Di solito succede se si rientra tardi o se si sta male o…se si ha qualche ospite!” esclamò sottolineando divertito l’ultima parola “…ma nel tuo caso sembra che il letto non sia stato neanche sfiorato!”

“Ah sì? E quale parte del mio corpo te lo sta involontariamente svelando?...sempre ammettendo che tu abbia ragione!” puntualizzò con il suo consueto scetticismo.

“Bè…indossi la maglia del giorno prima…. Probabilmente non hai chiuso occhio per tutta la notte, addormentandoti solo quando eri esausta sulla poltrona di casa tua…abbastanza lontana dalla sveglia da non riuscire a sentirla. Così quando hai aperto gli occhi e ti sei accorta dell’ora ti sei precipitata in ufficio…dimenticandoti di…”

“Ok…” lo interruppe brusca Lisbon, sistemandosi nervosamente i capelli mossi, i quali le cadevano un po’ più giù delle spalle “…che c’è?” 

“Ti ho portato il caffè!” le disse, porgendole uno dei suoi affascinanti sorrisi.

“Jane..”

“Oh ma non l’ho mica fatto io!” la interruppe Patrick sedendosi sul divanetto poco distante dalla porta “…sono andato a prenderlo al Cafè qui vicino…se non sbaglio ti piace particolarmente!”

“….non ho mai detto che mi piace particolarmente…”

“Vero!...ma ogni volta che ci fermiamo a lavorare fino a tardi e Van Pelt lo va a prendere poi sembri molto più…contenta”

Non è affatto vero…non sembro contenta solo perché bevo un caffé acquistato al Bar in strada…” replicò leggermente risentita, più per il tentativo di Jane di continuare a voler leggere il suo comportamento che sulla veridicità dei suoi gusti in fatto di caffé.

Si invece…infatti appena lo assaggi subito dopo ti si fa quella leggera fossetta sulla guancia destra, tra il naso e la bocca…” cominciò a spiegarle, indicando il punto esatto in cui le si creava quella caratteristica del suo sorriso “..che devo dire ti da un tocco di classe!”

Per qualche istante Lisbon non seppe cosa dire, temendo di arrossire com’era già capitato ogni qual volta Patrick estraesse uno di quei suoi commenti fuori luogo.

Non sapeva ancora come ci riuscisse, ma da quando quell’uomo era entrato a far parte del CBI il suo umore era decisamente cambiato e anche la sua reazione a determinati…commenti, se così li si voleva chiamare, era diversa.

–diavolo Lisbon…- pensò nervosamente la mora.

Patrick rimase seduto sul divano, intento ad osservare con i suoi splendidi occhi chiari qualsiasi movimento della donna di fronte a lui, senza sciogliere per un solo istante quel sorriso spontaneo, in grado di affascinare qualunque donna degli Stati Uniti, e non solo.

“Ok…grazie…” disse flebilmente Lisbon, abbassando lo sguardo, per poi afferrare il caffé che Jane gli aveva portato.

“Di niente…” le rispose sicuro e divertito, continuando a guardarla mentre sorseggiava il caffé ancora fumante, soddisfatto nel notare quella fossetta così…così singolare, così caratteristica.

“Lisbon  nel mio ufficio!” tuonò improvvisamente una voce maschile, in direzione della porta dell’ufficio.

Chi poteva essere se non Minelli, il grande capo di Lisbon. Non era un uomo cattivo o troppo pretenzioso, ma il suo umore, la maggior parte delle volte, invadeva gran parte dell’ufficio, influenzando inevitabilmente quello dei suoi sottoposti.

Subito dopo aver convocato Lisbon, Minelli sparì, con la stessa velocità con cui si era presentato, facendo sbattere la porta dell’ufficio, interrompendo così in maniera del tutto definitiva quello strana atmosfera che sembrava essersi creata tra i due colleghi.

Dopotutto era tipico del grande capo entrare in quel modo; il più delle volte per riprendere Lisbon su qualche comportamento tenuto dai suoi componenti della squadra. Un componente in particolare.

Velocemente Teresa si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta del suo ufficio, seguita a ruota da Jane

“Ah…grazie…lo stesso” disse la donna fermandosi nella soglia, porgendo nuovamente il caffé a Jane.

“…te lo tengo da parte…” le rispose l’uomo continuando a sorriderle.

La donna sorrise a sua volta, facendo comparire nuovamente quella lieve ruga d’espressione ai lati della bocca, per poi avviarsi verso l’ufficio del suo capo, ancora leggermente stordita dalla mancanza di sonno. E non solo..

Con l’aria leggermente più allegra rispetto a poco prima, Jane si andò a sedere sul suo amatissimo divano in pelle marrone, posando il caffé sul tavolino in vetro a pochi centimetri da lui.

“Porti il caffé al capo?...si direbbe un comportamento da raccomandati!” esclamò improvvisamente Rigsby, seduto alla sua scrivania.

Alle volte non si capiva se le affermazioni di Wayne fossero semplicemente sarcastiche o con un sottile strato di serietà e irritazione. Non che Rigsby nutrisse un qualche interesse per Lisbon, di quello Jane ne era assolutamente certo visto che ogni piccolo centimetro del suo corpo diceva chiaramente “voglio fare sesso con Van Pelt”. Ma chissà…forse quelle erano congetture fatte da Cho e poi riportate da Rigsby. O forse Rigsby era semplicemente privo di tatto. E la seconda opzione sembrava decisamente più accreditata.

“Volevi che lo portassi anche a te?!” chiese ironico Jane, sdraiandosi completamente sul divano, portando le braccia dietro la testa.

“Sì, non mi dispiacerebbe!”

Comunque il caffé te lo sei riportato indietro…ergo non l’ha accettato!” intervenne Cho, nascondendo un sorriso sornione, avvicinandosi verso il divano su cui era sdraiato il collega.

“Sbagliato Cho!”

“Non credo proprio!” incalzò l’orientale.

“Dieci dollari che quando arriva mi chiede dov’è il suo caffé!” lo esortò a scommettere il biondo.

“Ok ci sto!”

Dal canto suo, la bella Grace, la quale portava rigorosamente i suoi lunghi capelli rossi raccolti in una coda, era intenta a scrivere un resoconto a computer, lanciando regolarmente occhiate leggermente irritate verso i suoi colleghi. Come si poteva scommettere su ogni cosa non riusciva proprio a capirlo.

E poi…Cho e Rigsby non avevano ancora capito che Jane ci azzeccava sempre? Stavano diventando la sua riserva di dollari personale e loro nemmeno se ne erano accorti.

“Io oggi non tirerei troppo la corda con Lisbon se fossi in voi!” esclamò improvvisamente la rossa, staccandosi finalmente dallo schermo davanti a lei.

“Ah sì, e perché?!” le chiese Rigsby, cercando di ignorare i primi chiari segnali di appetito mattutini che provenivano dal suo stomaco.

“Perché è arrivata tardi?!” tentò Cho, posando lo sguardo su Van Pelt.

“Già…mi sa che è la prima volta che la vedo arrivare tardi…che abbia una qualche relazione?!” tentò a sua volta Wayne sorridendo.

“No affatto!” esclamò improvvisamente Jane, quasi senza riuscire a controllare la sua voce. Chissà perché aveva risposto in maniera così…così decisa, per giunta ad una domanda che non lo riguardava affatto. Dopotutto Teresa era una bella donna, e solo un idiota avrebbe potuto affermare il contrario.

Ma stava di fatto che quella mattina non era arrivata tardi per una qualche notte di fuoco; al contrario, doveva essere stata proprio la solitudine a non farla dormire, e la maglia del giorno prima, per giunta macchiata, abbinata a delle profonde occhiaie ne erano una prova schiacciante.

Fin da subito aveva notato i suoi occhi chiari fin troppo lucidi e il volto tirato, e la cosa lo aveva fatto sentire così…così strano. Come se un qualcosa dentro di lui volesse….

Ad ogni modo, la domanda che ronzava sulla mente di Jane era…perché Lisbon aveva trascorso la notte sveglia? Certo non si aspettava che lo avrebbe chiamato per farsi consolare, dopotutto non avevano una simile confidenza. Ma era pur vero che lui le aveva rivelato una parte del suo passato che non aveva mai svelato a nessuno, se non a lei.

Allora perché lei non riusciva a fare altrettanto? Cosa poteva tenere sveglia Teresa tutta la notte, portandola addirittura ad arrivare tardi a lavoro e con un’espressione notevolmente provata? Che fosse successo qualcosa?

“Ah certo…che Lisbon non si vede con nessuno lo hai letto da qualche sua movenza delle sopracciglia, giusto?!” lo derise Rigsby.

“mmm…no le sopracciglia non centrano!”

“Smettetela!” li riprese Grace, con il suo tono fin troppo dolce per apparire serio e autoritario. “…non sto scherzando…oggi non…non è il caso!”

“Ma si può sapere il perché?!” la incalzò Rigsby, lasciando improvvisamente da parte il suo appetito.

“Bè..” iniziò Van Pelt, visibilmente preoccupata “…non so se potrei dirlo ma…”

“Il fatto che tu nutra dei dubbi a riguardo significa che probabilmente non potresti dirlo…ma…arrivati a questo punto tanto vale buttarsi non credi?!” esclamò Jane, rimettendosi a sedere sul divano.

Van Pelt rimase un secondo con lo sguardo fisso sul consulente; perché si divertiva così tanto  a metterla in difficoltà? In fin dei conti doveva capire le paure che nutriva nei confronti di Lisbon…era il loro capo…e se avesse saputo che aveva letto il suo dossier, …avrebbe passato molto più di un brutto quarto d’ora.

 Ad ogni modo Jane aveva ragione; era inutile rimangiarsi tutto.

“Oggi…è l’anniversario della morte…della…madre di Lisbon!” disse, con voce leggermente più bassa rispetto al suo tono consueto.

“Oh…” si limitò a dire Rigsby, spostando lo sguardo da Van Pelt alla sua scrivania, come se quest’ultima potesse suggerirgli la cosa più intelligente e delicata da dire.

Non credo affatto sia per questo!” esclamò improvvisamente Patrick, dopo qualche istante di silenzio, riportando tutta l’attenzione dei tre colleghi su di se.

“Ah no?...mi sembra un motivo più che valido!” rispose irritata Grace.

“Non sto mettendo in dubbio che sia o meno un motivo valido. Ma non credo che…” Patrick stava per terminare la frase, quando vide arrivare Lisbon dall’ufficio di Minelli, e il suo sguardo non sembrava essere molto più steso rispetto a poco prima.

“Abbiamo un nuovo caso!” esclamò Teresa, non appena giunse alle scrivanie dei suoi colleghi.

Per qualche istante tutti rimasero in silenzio, guardando Lisbon con l’espressione di chi sta cercando un qualche strano particolare impercettibile ad occhio nudo.

La donna rimase immobile, leggermente imbarazzata da quegli occhi puntati addosso. Non sopportava che la gente la guardasse in quel modo, soprattutto se a farlo era Jane con quel sorriso dipinto in faccia.

“Si può sapere cosa vi è preso?!

“Scusa capo..

“Scusa capo…”

“Sc…scusa capo….” Concluse Van Pelt, divenendo visibilmente più rossa in viso “….di che caso si tratta?!”

Jane non disse nulla, cercando di captare qualcosa nei movimenti di Lisbon che gli potesse rivelare qualcosa.

Lisbon  non riuscì a trattenere un leggero cipiglio, per poi aprire il dossier del caso appena consegnatogli da Minelli.

“…Si tratta di Susan Long...una donna di 35 anni trovata morta a San Francisco sul ciglio della strada!”

“Long? Non avrà a che fare con il noto studio legale Long & Strass San di Francisco?!” chiese interessato Cho, appoggiandosi al tavolo poco distante dal divano su cui era seduto Patrick.

“Esatto proprio lei… per questo Minelli vuole che ce ne occupiamo noi! La vittima lavorava come avvocato nello studio legale del padre ed era sposata da due anni con il socio, Mitch Strass. Era scomparsa da due giorni senza lasciare traccia, il marito ha chiamato la polizia dopo 24 ore. Van Pelt…tu, Rigsby e Cho andate  allo studio legale per interrogare il padre. Io e te andiamo a vedere il corpo!” concluse decisa Lisbon, spostando l’attenzione su Jane, il quale di scatto si alzò in piedi, entusiasta come al solito.

“Guido io?!” chiese speranzoso.

“Non pensarci nemmeno!” lo liquidò la donna, sorridendogli sarcastica.

Tutti si stavano dirigendo verso l’uscita dell’ufficio, tranne Cho, il cui volto appariva decisamente soddisfatto.

“Credo proprio che tu mi debba dieci dollari?!” affermò, quasi incredulo per aver finalmente vinto una scommessa contro Jane.

 “…Ah…a proposito…” li interruppe Lisbon, uscendo velocemente dal suo ufficio con la giacca nera addosso “..Jane dov’è il mio caffé?!”

 

 

 

 

 

Eccoci arrivati alla fine del prologo…allora che ne pensate??????

COMMENTATEEEEEEE!!!!!!!

A presto…un bacione, la vostra Teresa^^

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Eccomi quiiiiii……ebbene sì sono già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P

Eccomi quiiiiii……ebbene sì sono già ritornata a stressarvi con questa fan fiction :-P

Dai per ora mi fermo qui così vi lascio leggere in santa pace…a dopoooo!!!

BUONA LETTURA!!!^^

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

Il luogo del delitto era già circondato dalla polizia locale e da una decina di turisti la cui eccessiva curiosità li portava a voler fotografare persino il punto in cui la giugulare della vittima era stata recisa in maniera netta e a dir poco brutale. Era vero…alle volte gli esseri umani si dimostravano essere peggio degli animali; almeno loro non fotografavano i loro morti.

Velocemente Lisbon e Jane scesero dalla macchina, dirigendosi con passo deciso verso il luogo in cui era stato gettato quel corpo ormai privo di vita.

Lisbon lanciò una veloce occhiata in direzione di Jane, il quale sembrava aver avuto il suo stesso identico pensiero, arrivando così ad incrociare simultaneamente quegli occhi tanto verdi quanto espressivi. 

“Salve…voi siete?!” chiese un poliziotto dai capelli biondi come il grano, la cui giovane e spaventata espressione dipinta sul volto indicava chiaramente la sua scarsa esperienza sul campo.

“Siamo gli agenti Lisbon e Jane del CBI! E lei è?” si limitò a chiedere Lisbon, tralasciando volutamente il fatto che il suo collega non fosse propriamente un agente della California Bureau of Investigation.

“Sono l’agente Keys” rispose il giovane, cercando di evitare di posare nuovamente lo sguardo sul cadavere a pochi centimetri da lui.

Rigida e irremovibile, come si mostrava ogni qual volta si trovasse sulla scena del crimine, Lisbon puntò il suo sguardo sul giovane di fronte a lei, cercando di ignorare la strana sensazione che quel caso fosse più complicato del previsto. Una donna uccisa e lasciata sul ciglio della strada non doveva essere nulla di così….complicato. Dopotutto poteva benissimo trattarsi di qualche conoscente geloso o di un marito frustrato.

Sicuramente tutta quella negatività era dovuta alla mancanza di sonno, ne era certa.

Mentre a sua volta aspettava un resoconto da parte dell’agente, Jane si ritrovò nuovamente a riflettere sulla donna di fianco a lui, il cui volto serio e corrucciato cercava in tutti i modi di non far trasparire nulla da quegli occhi fin troppo espressivi.

Dopotutto, se ci pensava bene, in più di una occasione aveva intravisto la parte dolce e sensibile del suo carattere; come durante quel caso avvenuto a Santa Marta, dove quella ragazza era stata uccisa dai suoi stessi amici surfisti, e suo padre, il quale aveva perso persino la moglie, stava pian piano cominciando a lasciarsi andare, quasi disinteressandosi dei figli più piccoli. Quel giorno aveva intravisto una profonda sofferenza nello sguardo di Lisbon;  una sofferenza riemersa proprio da quella triste storia, la quale sembrava essere lo specchio della sua vita passata. Un padre che abbandona la propria figlia, obbligandola così a prendere totalmente le redini della famiglia; come se, senza accorgersene, avesse preferito l’alcool ai suoi stessi figli. Lei, così piccola e spaventata, privata di un’infanzia che non sarebbe più tornata indietro.

Già, ma quelle cose Patrick le sapeva già, nonostante Teresa non gliele avesse mai direttamente rivelate, e forse era proprio questo ad irritarlo; il fatto che lei non si fosse mai sentita libera di esporsi con lui. Mai…

“Chi l’ha trovata?!” esclamò la voce decisa di Lisbon, riportando il consulente al suo fianco nel mondo reale. Nonostante fingesse di essere totalmente concentrata a ciò che l’agente stava per dirle, in realtà la giovane detective dai capelli scuri aveva notato l’assenza di Jane e, chissà perché, la cosa la preoccupava leggermente. Chissà che diavolo aveva fatto quel poveretto davanti a lei per catturare l’attenzione di Jane. Probabilmente aveva spostato lo sguardo di lato, chiaro segno che stava mentendo, e probabilmente Jane si stava preparando una delle sue tipiche frasi ad effetto, ovvero una di quelle frasi poco opportune per metterlo alle strette.

“Un barbone, Rufus Caine, girovagava da queste parti verso le sei del mattino….e….l’ha trovata stesa a terra…con gli occhi….

Il poliziotto dai capelli scuri si bloccò, come se improvvisamente le parole che avrebbe dovuto dire gli si fossero bloccate in gola, impedendogli così di parlare. Non c’era che dire, quello non era di certo il mestiere più adatto a lui.

“Aveva gli occhi aperti!” lo aiutò Jane, avvicinandosi al cadavere della vittima, inginocchiandosi accanto a lei.

La donna aveva i lunghi capelli neri del tutto scompigliati, con diverse ciocche incollate al viso pallido per via del sangue, rosso ed essiccato il quale ricopriva visibilmente gran parte del suo corpo. Indossava una camicia raffinata, la quale doveva essere stata di un candido bianco perla, prima di essere totalmente ricoperta di sangue e terriccio.

Era di costituzione minuta, alta si e no un metro e sessanta, massimo sessantatre. Gli occhi chiusi erano leggermente a mandorla, come a voler ricordare le sue inconfondibili origini cinesi.

“Di che colore erano gli occhi?!” chiese Jane, alzandosi nuovamente da terra, riportando la sua attenzione sui vivi presenti in quel momento.

“v…verdi…perché? che importanza ha?”

Senza rispondere a quella domanda, Jane si alzò da terra, scrollandosi distrattamente gli eleganti pantaloni grigi impolverati dall’asfalto su cui si era appena inginocchiato. Al contrario di Lisbon non indossava la giacca abbinata al resto del completo, ma solo la camicia azzurra con sopra un’inconfondibile gilet blu, il quale caratterizzava quasi sempre il suo stile.

“Allora?!” lo esortò Lisbon, concentrando tutta la sua attenzione sul consulente, il quale in più di un occasione aveva dimostrato di saperci fare più della scientifica nello studio dei cadaveri.

“Sto pensando…”

“A…?!”

“….a come fai a tenere quella giacca addosso con questo caldo. Su toglila…chi vuoi che si accorga che ti sei spanta il caffé addosso!” esclamò improvvisamente Jane, lasciando la donna di fronte a lui con uno sguardo a dir poco scioccato. Anche l’agente Keys sembrava essere sul punto di chiedere dove fosse nascosta la telecamera; era inconfondibile la frase che gli si leggeva in faccia: chi diavolo era quel pagliaccio?!

Faticando non poco nel trattenere ciò che avrebbe realmente voluto dire, o peggio ancora fare, Teresa si avvicinò a Jane, cercando invano di mantenere un tono di voce serio e controllato.

Jane….non mi sembra il momento adatto per dire certe cose..sussurrò la donna all’orecchio del biondo, lanciando una veloce occhiata in direzione del poliziotto poco distante da loro.

“…ma lo dico per te…” continuò l’uomo, sussurrandoglielo anch’egli all’orecchio, in modo da riuscire almeno lievemente a nascondere il sorriso che gli si era dipinto sulle labbra.

“Scusate…” cercò di intromettersi il giovane poliziotto, sempre più confuso dalla situazione che si era ritrovato a vivere da un momento all’altro.

“Per l’assassino era importante!” rivelò Patrick improvvisamente, come se lo scambio di opinioni appena avvenuto tra lui e Lisbon non fosse realmente accaduto.

“cosa?!” chiese l’agente, sbigottito

“Il colore degli occhi….Mi ha chiesto lei perché volevo saperlo!”

“in che senso era importante?!

“Nel senso che per l’assassino il colore degli occhi della vittima era importante…” esclamò Patrick, riavvicinandosi al cadavere “..per questo ha fatto in modo che rimanessero aperti e, sempre per lo stesso motivo, ha appiccicato i capelli su tutto il viso, tranne che sugli occhi…come a volerlo nascondere, farlo passare in secondo piano”

“Da quando sei diventato un esperto nel tracciare i profili degli assassini?” lo schernì Lisbon, avvicinandosi a sua volta al cadavere.

“Oh ma io non sto tracciando il profilo dell’assassino… mi sto solo basando su ciò che vedo della vittima!” continuò, soddisfatto.

“Ah sì? Spiegati meglio per noi poveri mortali!”

“Susan era un avvocato di successo, per di più di origini orientali…ragion per cui non avrebbe mai tenuto i capelli sciolti…le avrebbero tolto parte della sua innata classe. Infatti se noti…” disse Jane, inginocchiandosi nuovamente vicino al corpo della vittima “…i capelli hanno una piega…come se fossero rimasti legati per tanto, troppo  tempo…. per giorni, senza mai essere slegati...neanche per una spazzolata. Probabilmente l’assassino li ha sciolti prima di ucciderla…e il codino che ha sul polso credo ne sia una prova…” concluse, indicando il polso sinistro della vittima.

Lentamente Lisbon infilò il guanto in lattice, in modo da non contaminare le prove. Attentamente e con delicatezza, come se temesse di farle del male, Teresa sollevò il codino nero, notando che sotto a questo la pelle non portava nessun segno. Jane aveva ragione, i capelli della vittima erano stati sciolti poco prima di essere stata gettata lì in mezzo alla strada.

Era…impressionante…

Dal canto suo l’agente Keys rimase senza parole. In una decina di minuti quello che fino a poco prima aveva considerato il pagliaccio della situazione aveva dato importanti, se non impensabili, dati riguardanti l’assassino e la vittima di quel caso. Come diavolo c’era riuscito? Chi si sarebbe mai aspettato una simile performance degna di Sherlock Holmes?

“Bene…chiamateci non appena viene fatta l’autopsia!” lo liquidò Lisbon, lanciando una veloce occhiata in direzione di un Jane leggermente soddisfatto, per poi dirigersi con il suo consueto passo spedito verso l’auto nera.

Dopo tutti i casi risolti grazie alla sua particolare attenzione per i dettagli, Teresa non riusciva a fare a meno di credere che gran parte delle sue intuizioni avevano un fondo di verità. Era inutile chiedersi come ci riuscisse e come mai a lei non fosse risaltato agli occhi quel particolare. Dopotutto in molti lo credevano un sensitivo…perciò qualcosa di anormale doveva pur averlo.

“S…sì…certo!” le rispose l’agente qualche istante dopo, seguendo quelle due singolari figure mentre si allontanavano con l’auto dell’agente Lisbon.

“Dove andiamo?!” chiese Jane, mettendo la cintura di sicurezza, anche se con la guida sicura di Lisbon era pressoché inutile.

“Torniamo alla centrale…”

“Ah non andiamo a casa tua?!

“…e perché mai dovremmo andare a casa mia?” chiese la donna, non riuscendo a trattenere quel dolce sorriso che Jane riusciva sempre a strapparle in un modo o nell’altro.

“Vuoi rimanere tutto il giorno con l’odore da caramella al caffé?!

“N..no…”

“Allora andiamo a casa tua così ti cambi…”

“Devo ricordarti che dobbiamo trovare l’assassino di quella povera donna?!

“Certo che no…ma non credo che lei si alzerà da terra per lamentarsi del servizio offerto!” esclamò ironico Patrick, porgendole l’ennesimo dei suoi sorrisi. Chissà se era a conoscenza di quanto fossero affascinanti, in particolar modo quando erano rivolti proprio a lei…il suo capo. Già...quel piccolo dettaglio doveva ripeterselo in più di un’occasione.

Lisbon rimase in silenzio, spostando per un attimo lo sguardo fuori dal finestrino.

Mmmm chissà…forse ha ragione Rigsby!” esclamò improvvisamente Jane, interrompendo il momentaneo silenzio che si era venuto a creare.

“E cioè?...” chiese incuriosita Teresa.

dice che forse hai una relazione…”

“Ah sì?!” gli chiese leggermente stupita da quella…confessione.

Ma di che diavolo parlavano durante le pause? delle sue relazioni sentimentali?

“Sì ma tranquilla gli ho detto che si sbaglia…” le confessò Jane, sapendo bene che con quella risposta il livello di irritazione della donna sarebbe sicuramente aumentato si e no del 60%.

“Ah…perché naturalmente tu sai cosa faccio nella mia vita privata giusto?!

sì perché..

Shh zitto…non voglio nemmeno saperlo!” lo liquidò Teresa, inserendo la prima e avviando l’automobile verso la strada principale, cercando di ignorare lo sguardo solare di Jane che, nel frattempo, sembrava ridere sotto i denti.

 

Nel frattempo Van Pelt, Rigsby e Cho arrivarono allo studio legale Long & Strass San di Francisco, dove ad attenderli c’era il padre e il marito della vittima.

Il luogo si presentava simile a qualsiasi altro studio legale: freddo, moderno e impeccabile in ogni sua parte. Nonostante gran parte del personale fosse sicuramente a conoscenza della tragedia da poco avvenuta, il clima all’interno di quello stabile non sembrava risentirne minimamente.

Che…freddezza…” esclamò la rossa, guardandosi attorno, come alla ricerca di qualche impiegato o avvocato rattristato dalla notizia.

“Chissà…forse non era particolarmente amata!”  affermò Cho, dirigendosi verso l’ufficio del signor Long con la sua classica aria composta e risoluta.

“O forse la diceria che gli avvocati sono dipendenti del diavolo ha un fondo di verità!” si intromise Wayne, riuscendo quasi a far sorridere la dolce Van Pelt.

Una volta preso l’ascensore che li avrebbe portati all’ultimo piano del maestoso grattacielo situato al centro di San Farcisco, l’agente Rigsby non riuscì a fare a meno di lanciare qualche veloce occhiata in direzione di Grace.

Diavolo come faceva ad essere così bella già di prima mattina. A differenza di Lisbon che quella mattina in particolare sembrava aver passato la notte facendo tre volte il giro di Sacramento. Doveva ammettere che se gli avessero chiesto di elencare le differenze tra lei e il capo, probabilmente ci avrebbe impiegato una giornata intera; in fin dei conti in quanto a risvegli Van Pelt vinceva alla stragrande; perfetta in ogni suo dettaglio, come se niente potesse rovinare quel viso così dolce e sensuale.

Per non parlare del carattere; Grace era così…così dolce. Lisbon, invece, sembrava sempre sul punto di estrarre la pistola per mettere tutti in riga. Se il capo diceva “andate a New York” bisognava essere svelti ad alzarsi e prenotare il volo prima che uscisse dal suo ufficio; in particolar modo quando Jane ne combinava una delle sue, come cercare di conquistare la vedova della vittima solo per vincere una scommessa.

Ad ogni modo, stava di fatto che Van Pelt era a dir poco splendida.

- Ahhh maledizione…- si ammonì, schioccando involontariamente la lingua, obbligando i due agenti al suo fianco a voltarsi verso di lui -…un giorno o l’altro mi faccio ipnotizzare da Jane…ho paura sia l’unico modo per riuscire a dirle tutto…-  si disse, spostando lo sguardo verso l’alto come a fingere indifferenza.

Rigsby…tutto bene?!” chiese tutto ad un tratto la rossa, avvicinandosi lievemente al collega, il cui voltò sembrò arrossire vistosamente nel giro di qualche istante.

“S…sì…certo..balbetto, come se, invece di Val Pelt, avesse un lungo coltello puntato alla gola.

Velocemente le porte del lussuoso ascensore si aprirono, permettendo a Wayne di trarre un profondo respiro di sollievo.

Cho, come di consueto, non si scompose minimamente, dirigendosi per primo verso l’ufficio del signor Long.

Non appena varcarono la soglia della stanza, gli agenti notarono lo sguardo perso di un uomo sulla sessantina, il cui sguardo inerme sembrava invadere ogni centimetro di quel vasto ufficio.

Hiro Long se ne stava seduto sul suo comodo ed elegante divano in palle bianco, con lo sguardo fisso sul televisore al plasma davanti a lui. Un televisore purtroppo spento da una decina di ore.

Lentamente i tre agenti avanzarono lungo la stanza, aspettando un qualche cenno di presenza del grande avvocato penalista.

“Signor Long….” Esclamò cauta Van Pelt, avvicinandosi all’uomo qualche passo in più  rispetto ai suoi colleghi.

Per chiunque avesse avuto modo di conoscere la figlia Susan, non avrebbe potuto fare a meno di notare la grande somiglianza che incorreva tra i due: gli stessi zigomi, la stessa bocca, gli stessi occhi tanto espressivi quanto inflessibili.

“Signor Long sono l’agente Van Pelt del CBI e loro sono gli agenti Cho e Rigsby!” si presentò la giovane donna, sperando che almeno questo potesse riportare l’uomo alla realtà. E, in effetti, per una breve frazione di secondo, il padre della vittima, spostò lo sguardo su Van Pelt, infondendogli gran parte del dolore che in quel momento sembrava lo stesse logorando dall’interno.

“Vi prego di scusarlo…” esclamò una voce maschile alle spalle degli agenti, i quali subito si voltarono per capire di chi si trattasse “….non ha…non ha ancora la forza di parlarne!”

“Purtroppo però dovrà farlo!” lo informò Cho, sapendo bene di apparire cinico e insensibile.

In fin dei conti, però, quella era un’indagine di omicidio e se tutti i sospettati avessero cominciato a fingersi talmente straziati da non riuscire a parlare, …il CBI avrebbe presto chiuso battenti e burattini.

Van Pelt sembrò riservare a Kimball una veloce occhiata di disappunto. Loro erano gli agenti incaricati di interrogarli, certo, ma un minimo di umanità non avrebbe sicuramente  guastato.

“Lei deve essere…”

Mitch Strass!” l’anticipò l’uomo sulla quarantina “…il marito di Susan!”

Mitch, un uomo ben curato con una mise tipica di ogni avvocato, appariva un uomo decisamente…normale: occhi scuri, capelli leggermente brizzolati, alto all’incirca un metro e settantacinque e dalla costituzione fisica snella ma tutt’altro che palestrata.

“Signor Strass può portarci nell’ufficio della signora Long?!” chiese Cho, indicando se stesso e l’agente Rigsby.

“C…certo, seguitemi!” rispose il marito, il cui tono di voce appariva decisamente turbato e insicuro, come se i pianti e i singhiozzi smessi solo qualche minuto prima dell’arrivo della polizia stessero per fare la loro ennesima entrata in scena.

Una volta che i tre uomini furono usciti dalla stanza, Van Pelt si sedette sul divano, accanto al padre della vittima. Il volto, segnato dalle rughe, appariva così straziato da rendere quasi impossibile emettere un solo sospiro. Era un uomo distrutto, la cui vita probabilmente non doveva più avere alcun senso.

“Signor Long…” cominciò a parlare Grace, sperando di non turbarlo troppo.

“Era tutto per me…” esclamò improvvisamente, mostrando un tono di voce sicuro, vissuto, quasi saggio; come se l’esperienza di una persona potesse trasparire dalla tonalità della voce.

“…era…..era tutto ciò che avevo!”

“Lo immagino signor Long..

 Lo sa…ho perso mia moglie….due….anni fa, stroncata…da una malattia…” le rivelò, spostando finalmente i suoi occhi segnati dalle lacrime sul volto rattristato dell’agente al suo fianco.

“Mi dispiace signor Long…davvero…le faccio le mie più sentite condoglianze…ma ora è importante che lei ci dica…”

“no…non vi dirò nulla…Ora… voglio solo che la morte venga a prendere anche me! Non…non voglio altro”

“No, non deve affatto dire una cosa del genere…” lo riprese Van Pelt notevolmente coinvolta “…lei…lei deve aiutarci. Deve farlo per sua figlia!”

A quelle parole il viso del signor Long divenne decisamente più tirato, lasciando che le lacrime, fino ad allora trattenute, rigassero libere sul volto ormai segnato dal tempo.

Deve…deve aiutarci a trovare il responsabile della sua morte. Non possiamo permettere che rimanga libero e…impunito!” disse Van Petl, come se desse per scontato che l’uomo al suo fianco facesse parte della rosa degli innocenti.

Se Cho o Lisbon fossero stati presenti in quel momento probabilmente l’avrebbero ripresa per quel suo comportamento così accondiscendente; ma dopotutto non ci voleva di certo una dote come quella di Jane per capire che quell’uomo non aveva ucciso la figlia.

Stancamente, Hiro Long fece un leggero segno di assenso con la testa, cercando in tutti i modi di controllare il costante desiderio di gettarsi da quell’alto grattacielo. Si sarebbe ucciso, ne era certo.

Ma quella donna aveva ragione, prima doveva trovare l’assassino di Susan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati anche alla fine di questo primo capitolo (che in realtà sarebbe il secondo se contiamo anche il prologo XD).

…prima di tutto voglio ringraziare con tutto il cuore evelyn_cla e hikary, due persone dolcissime e gentilissime che con le loro recensioni mi hanno dato l’ispirazione per scrivere questo capitolo (e il prossimo che è già in produzione XD).

GRAZIE GRAZIE GRAZIE…e ancora GRAZIE CON TUTTO IL CUORE!!!!!! Non immaginate quanto mi abbiano fatto piacere le vostre parole. Prometto che mi impegnerò sempre di più…cercando di rimanere il più fedele possibile alla psiche e al comportamento dei personaggi.

hikary grazie mille per la tua recensione mega dettagliata, spero di aver fatto un buon lavoro anche in questo capitolo. E Evelyn…grazie per aver inserito il primo commento ed esserti interessata a questa ff. Vi adorooooooooo!!!!!!

Ok la smetto altrimenti mi commuovo ^^ (e voi mi uccidete!!!).

Cmq in questo capitolo ho dovuto concentrare l’attenzione sul caso, anche perché con il proseguire della storia diventeranno supeeeeer importanti sia le vittime che l’assassino….soprattutto  per il CBI!!!! Eh ehbasta basta altrimenti svelo troppo.

A presto per il prossimo capitolo. Continuate a leggere mi raccomando.

 

Un bacioneeeee

 

T.L.

 

 

 

NB: Come al solito nel precedente capitolo ho dimenticato di inserire i Desclaimer ^^:

Jane, Lisbon e tutti i personaggi di The Mentalist naturalmente non mi appartengono. La mia fan fiction è un semplice omaggio a questa splendida serie!!!!!^^

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


CAPITOLO 2

CAPITOLO 2

 

 

 

Con lo stesso sguardo seccato di quando era scesa dall’auto una decina di minuti prima, Lisbon si diresse verso la macchina del caffé dell’ufficio, sperando di trovarlo già pronto.

Durante tutto il tragitto in macchina da San Francisco a Sacramento, la donna aveva volutamente ridotto all’osso qualsiasi tentativo di dialogo da parte del consulente al suo fianco, il cui sorriso sembrava dirla decisamente lunga.

Dopo quel breve ma intenso scambio di parole in cui era stata tirata in ballo la vita privata di Lisbon, Jane aveva cercato in più modi di intavolare un qualche discorso con la collega, arrivando perfino a tentare la via del “secondo te Minelli russa?”, senza però ottenere grandi risultati da parte sua.

Lisbon era inamovibile, come sempre del resto.

Dal  canto suo, Teresa non poteva farci nulla; il fatto che Jane avesse liquidato così velocemente la possibilità che lei avesse potuto avere una relazione, …la mandava in bestia. Lui poteva permettersi di provarci con le vedove e di baciare le psichiatre e lei…niente? E chi si credeva di essere? Il mister sensitivo dal fascino ultraterreno dell’anno?

“Maledizione…” imprecò a denti, facendo sbattere il contenitore vuoto del caffé. Era tesa e nervosa,  a dirla tutta eccessivamente tesa e nervosa.

Se fossi in te passerei ad un’altra bevanda visto che ti sei appena cambiata…” esclamò Jane, indicando la maglia verde con il collo a V indossata da Lisbon.

Senza rispondere e limitandosi a fulminarlo con una delle sue consuete ed indimenticabili espressioni, Lisbon si diresse velocemente verso la cucina dell’ufficio, dove le probabilità di trovare un po’ di caffeina erano leggermente più alte. L’unico intoppo sarebbe stato quello di trovare un’intera caraffa decaffeinato.

“Sbaglio o noto una leggera atmosfera di risentimento nei miei confronti?!” esclamò Jane, divertito, seguendo Lisbon fino alla cucina.

“No ti sbagli…non ho assolutamente nulla”

Di la verità…sei arrabbiata per quello che ti ho detto prima”

“no, affatto” continuò a negare Teresa, premendo i pulsanti della macchina del caffé quasi a casaccio, come se lo stress di sentirlo ancora parlare di quella storia le impedisse ogni tentativo di concentrazione.

e invece sì…”

Jane…il mondo non gira attorno a te!” esclamò Lisbon, posando finalmente i suoi occhi chiari sul volto del biondo, appoggiando la mano bianca sul davanzale vicino a lei.

“Lo so…”

Quindi non vedo perché dovrei essere arrabbiata. Non ne avrei motivo” chiarì nuovamente Teresa, cercando di apparire il più naturale possibile, dimenticando quasi per un secondo che davanti a lei ci fosse un uomo in grado di notare ogni piccolo dettaglio, ogni sfuggevole particolare all’apparenza completamente inutile.

ok…” disse Jane sorridendo, senza staccare lo sguardo su quella minuta figura dai capelli mossi, intenta a versare il caffè sulla sua tazza bianca “…per questo mi hai lasciato ad aspettare in macchina mentre ti cambiavi?”
”ah….e…che avrei dovuto fare scusa?” gli chiese incuriosita la detective, ritrovandosi suo malgrado a sorridere di fronte a tutta quella schiettezza.

“Invitarmi a bere un bicchiere d’acqua! Avevo appena visto un cadavere sotto il sole cocente…”

Jane…” cominciò  a dire, con un tono di voce freddo e formale “…non credo di doverti ricordare che noi due siamo colleghi…e in questa squadra non si mescola la vita privata con il lavoro…non è professionale!” mentì, notando il mutamento nell’espressione del biondo

Non seppe spiegarsi il reale motivo che l’aveva portata a rispondergli in quel modo; ma stava di fatto che l’espressione improvvisamente seria e sorpresa di Jane le fece bloccare la respirazione per qualche frazione di secondo. Perché il desiderio di poter riavvolgere il nastro di qualche minuto si era improvvisamente impadronito del suo corpo?

Rimasero immobili, entrambi incollati l’uno nello sguardo dell’altro, come se ognuno di loro si aspettasse una qualche azione o parola da parte dell’altro. Persino l’intera stanza sembrava essere caduta in un improvviso silenzio tombale, rendendo l’aria ancora più irrespirabile.

Nessuno dei due abbassò lo sguardo di un solo millimetro, come aspettando che fosse l’altro a dire o fare qualcosa, lasciando così che l’unico segno di vita emanato dai loro corpi fosse il respiro lento e nervoso che faceva muovere il loro petti.

Mentre lo guardava negli occhi, Teresa si ritrovò a pensare ad un modo per rimediare a ciò che aveva appena detto, come se in cuor suo sapesse quanto reputava inutili quelle sciocche parole da regolamento.

La verità, però, era che se anche avesse trovato il modo per scusarsi non avrebbe mai avuto il coraggio di metterlo in pratica, per lo meno non in quel momento.

Ciò che Teresa non aveva preso in considerazione, era il fatto che se anche non rivelasse apertamente i suoi pensieri, bastavano i suoi occhi a fare capire a Patrick quanto si fosse pentita per ciò che aveva appena detto.

Non ci poteva fare niente, lei era come un libro aperto, del tutto trasparente. Quel suo sguardo, che fosse arrabbiato, fiero, scocciato o felice, rimaneva sempre uno sguardo sincero, qualsiasi cosa lei cercasse di nascondere.

Ma allora perché non diceva niente? Perché rimaneva lì ferma a guardarlo, stringendo eccessivamente la tazza che aveva tra le mani?

“Ehm…scusate…” esclamò improvvisamente la voce roca di Rigsby, il quale sembrò comparire di sorpresa alle spalle di Jane, riportandoli entrambi nel mondo reale.

Ecco che era ricapitato. Ogni volta in cui si trovasse a dover assistere ad un simile scenario, Wayne si sentiva a dir poco confuso e intontito; era come se una serie di sensazioni e dubbi lo investissero nella frazione di un solo secondo.

A pensarci bene, era la stessa sensazione che un ragazzino provava quando beccava per la prima volta i propri genitori mentre si baciavano: stupore, confusione, ansia…, certo, come esempio non era dei più azzeccati visto che Jane e Lisbon non si stavano affatto baciando, però…le sensazioni erano più o meno le stesse.

- Già…almeno…credo – si disse tra se e se Rigsby, sempre più confuso ogni istante che passava -...chissà perché l’ho collegato ad un esempio così stupido…-

Jane era strano; dispensava consigli a destra e a manca, ma quando si trovava in certe situazioni con Lisbon lasciava che si creasse quell’atmosfera da film dell’orrore, dove ci si aspetta da un momento all’altro l’arrivo di qualche mostro sanguinario.

Adesso che Rigsby ci pensava bene, spesso Jane e Cho si divertivano a prenderlo in giro per la sua scarsa dose di iniziativa nei confronti di Van Pelt; ma in quelle occasioni lo stesso Patrick non sembrava godere del suo usuale spirito d’intraprendenza.

Per di più, ogni volta in cui si ritrovava a dover interrompere un dialogo “muto” tra Jane e il capo la sensazione che ci fosse qualcosa di strano tra i due si faceva sempre più forte. Non che pensasse ad una possibile relazione tra Jane e Lisbon certo, ma... Ma qualcosa di strano doveva pur esserci.

Dopotutto lui o Cho non si erano mai permessi di sfiorare il viso del capo, cosa che invece Jane aveva fatto quando era rimasto momentaneamente cieco; e anche Lisbon, dal canto suo, non sembrava particolarmente dispiaciuta quando lui gli riservava certi comportamenti. In fin dei conti come dimenticare il viso di Lisbon mentre arrossiva di fronte ad una battuta di Jane?

“…torno…più tardi?!” chiese Rigsby, leggermente scioccato da ciò che i suoi stessi pensieri gli stavano rivelando.

“No!” esclamò subito Lisbon, oltrepassando l’uomo di fronte a lei, per poi uscire dalla cucina, come se in cuor suo non aspettasse altro che l’occasione per andarsene.

Jane rimase per qualche istante fermo nella sua posizione, con la sua classica espressione di quando, durante la risoluzione di un caso, aspettava che la sua mente gli rivelasse il modo migliore per trovare l’assassino. Già…solo che in quel caso non c’era nessun assassino, ma solo due vittime.

 

“Allora, che cosa avete scoperto?”chiese Lisbon una volta raggiunto il team, cercando di apparire il più fredda e distaccata possibile.

“Abbiamo interrogato Mitch Strass e Hiro Long…” esclamò Cho quando Lisbon e Rigsby giunsero alla scrivania di Van Pelt.

E…” li esortò il capo.

“Entrambi hanno un alibi di ferro!” aggiunse l’ultima arrivata nella squadra “dopo la scomparsa di Susan, avvenuta due giorni prima, sia il padre che  il marito della vittima sono stati seguiti ventiquattrore su ventiquattro dalla polizia San Francisco”

“Come mai?” chiese Lisbon, guardando le foto del cadavere della donna attaccate, come d’abitudine, alla parete sinistra dell’entrata.

“Essendo una famiglia decisamente ricca e importante il signor Long temeva si trattasse di un rapimento con richiesta di riscatto…” spiegò Cho “… così si erano attrezzati sia per proteggersi che per localizzare subito i rapitori al primo tentativo di contatto!”

Quindi la polizia è rimasta a casa loro per tutto il tempo?”

“Esatto!”

“In altre parole...siamo punto e a capo!” esclamò Van Pelt, appoggiandosi completamente contro lo schienale della sedia, lasciando che i lunghi capelli, raccolti in una coda, si posassero sulle sue spalle.

Nessuno osò contraddire la constatazione della rossa, forse perché troppo irritante e reale per essere replicata.

Chi poteva aver voluto uccidere quella povera donna, per di più riducendola in quelle condizioni?

Senza una pista su cui cominciare le indagini il lavoro si faceva decisamente difficile; neppure Jane sembrava particolarmente ispirato a condividere una delle sue brillanti intuizioni, anche se, a guardarlo bene,  più che privo di idee sembrava troppo impegnato a sdraiarsi sul divano.

In realtà, nonostante non lo avesse ancora condiviso con il resto della squadra, da quando aveva visto il corpo  di quella donna sul ciglio della strada un’idea in particolare si era impossessata della sua mente, facendolo preoccupare non poco sui possibili risvolti del caso. Non che si trattasse di una rivelazione divina; al contrario, poteva facilmente trattarsi di un buco nell’acqua, ma il fatto che questa intuizione fosse stata la prima a catturarlo, non presagiva nulla di buono.

Ad ogni modo, condividerla in quel momento con il resto della squadra non gli avrebbe conferito molta credibilità. Soprattutto da parte di Lisbon, che sicuramente lo avrebbe liquidato con una frase del tipo “hai visto troppi film d’azione in tv”. Già era scettica di suo, se in più ci si metteva l’acceso confronto di poco fa il risultato sarebbe stato solamente una scarsa comprensione nei suoi confronti.

Chissà se anche in quel caso la rana di carta sarebbe riuscita a fare la sua magia. Probabilmente no visto il modo freddo in cui l’aveva liquidato.

Certo, lo sapeva benissimo che in quel momento a parlare era stata la rabbia, ma era pur vero che ogni qual volta fosse lui a dire o fare qualcosa di sbagliato lei, con il suo modo di fare, lo obbligava a chiedere scusa o a rimediare in qualche modo. Perciò questa volta stava a Lisbon fare qualcosa. 

che ne dite se nel frattempo mettiamo qualcosa sotto i denti prima di rimetterci a lavoro?…” propose Rigsby, nonostante fosse l’unico membro della squadra ad aver mangiato dei nachos lungo la strada.

Nel sentire quella proposta gli sguardi di Van Pelt e Cho sembravano apprezzare particolarmente l’idea del collega. Erano le tre del pomeriggio e il bisogno di cibo si faceva nettamente superiore a tutto il resto.

“Sono d’accordo!” esclamò Jane, inclinando la testa all’indietro per vedere in faccia i colleghi, anche se dal basso verso l’alto; evidentemente l’idea di alzarsi da quel divano non lo sfiorava minimamente.

“Io proporrei tailandese” espresse Rigsby, ricevendo una veloce quanto profonda occhiataccia da parte dell’orientale al suo fianco.

“Con questo caldo mangeresti cibo piccante?!

Che centra…l’importante è che sia buono!” si difese il più robusto tra i due.

“Farai un infarto prima o poi…”

Ok avanti smettetela” si intromise Van Pelt, cercando di calmare le acque tra i due colleghi. Alle volte, la giovane detective si ritrovava a chiedersi se in realtà non avesse sbagliato mestiere visto il clima da asilo che si respirava in quelle occasioni.

Senza guardare direttamente la scena, Jane si immaginò lo sguardo serio e maturo di Grace che, come sempre, cercava di far calare la serenità nell’ambiente lavorativo.

Nonostante Jane, qualche mese prima, le avesse consigliato di bilanciare la giusta dose di bastardaggine con la gentilezza, lei continuava a voler apparire dolce e comprensiva in ogni occasione, nonostante avesse dimostrato più volte di sapersela cavare con le parole.

Già, ma come gli aveva detto una volta “la gentilezza viene ripagata”, e forse quel giorno non aveva avuto tutti i torti.

 

Trascorsi una decina di minuti da quando Rigsby aveva telefonato al fast food poco lontano dalla centrale del CBI, il pranzo della squadra fece finalmente il suo ingresso.

Mentre Cho andava a chiamare il capo per avvertirla che il cibo era arrivato, Van Pelt si apprestò a fare lo stesso con Jane, il quale sembrava essersi addormentato sul divano.

Lentamente Grace si diresse verso la sala delle loro scrivanie, dove per l’appunto si trovava Jane, e non ci volle un occhio esperto come il suo per capire che stava dormendo profondamente.

- Mi chiedo come faccia a dormire in mezzo a tutta questa confusione!- si chiese Grace, appoggiando una mano sulla spalla tonica dell’uomo.

Stava per svegliarlo, immaginando lo scatto con cui avrebbe aperto gli occhi nel momento in cui si fosse accorto di una presenza al suo fianco. Lo faceva spesso, soprattutto quando si trovava in quel dormiveglia in cui cadeva ogni qual volta si sdraiasse sul divano. Chissà che cosa aveva di così speciale da riuscire a conciliargli il sonno.

Già, a pensarci bene Patrick non doveva godere di un sonno facile e tranquillo; al contrario, molto spesso sembrava non riuscire a dormire tranquillamente. Nonostante ciò, però, non pareva risentirne particolarmente, almeno non all’apparenza.

Ma…come ci riusciva? Era questa la domanda che Van Pelt si faceva e rifaceva ogni volta che vedeva il sorriso di Jane. Come riusciva a sorridere in quel modo, a ridere, a scherzare, a respirare sapendo che la moglie e la sua unica figlia erano state brutalmente uccise da un serial killer, il cui unico scopo era quello di dargli una lezione?

Ma forse la risposta era proprio quella: Jhon il Rosso, era lui l’unica cosa che lo teneva realmente in vita. chissà c’era di vero in quel sorriso solare di Jane?

“Ehi Van Pelt hai chiamato Jane?” gli chiese Cho alle sue spalle.

shhhh..” lo intimò Grace, mettendosi il dito davanti alle labbra rosee “…sta dormendo!”

Velocemente la rossa si allontanò dal divano, incitando Kimball a seguirla nella stanza adiacente, apparecchiata da Rigsby, il quale nel frattempo li aspettava, decisamente impaziente e affamato.

E’ meglio lasciarlo dormire…penso di non averlo mai visto così tranquillo e rilassato! In più visto che non c’è Minelli…” disse Grace, sedendosi accanto all’agente Rigsby.

“Chi sta dormendo? Jane?” chiese, cominciando a servirsi.

“Già…”

“…e il capo?” chiese Wayne, addentando una patatina.

“Dorme anche lei…” dichiarò Cho, con il consueto sguardo impassibile.

Ne Van Pelt ne Cho dissero nulla a riguardo, ma il modo in cui Rigsby rischiò di soffocarsi con quel piccolo pezzo di patatina sembrava dirla piuttosto lunga.

Velocemente Grace cominciò a battere la sua mano contro la schiena possente del collega, il cui viso sembrava arrossarsi a vista d’occhio.

“Respira….”

“Agente da novanta chili muore per colpa di una patatina! Farebbe notizia…” lo derise Cho.

“…ah…d…dive..rtente!” 

Una volta che Rigsby si fu calmato, l’agente dai capelli rossi seduta al suo fianco cominciò a guardarlo con uno sguardo incuriosito, allungandogli un bicchiere d’acqua appena versato.

“Grazie…” le disse, bevendo tutto d’un fiato “….stavo per soffocare”

“Già…e si può sapere il perché?!

“Perché cosa?” finse di non capire spostando lo sguardo da Van Pelt a Cho, come a ricercare una qualche forma di appoggio da parte del collega.

In tutta risposta Van Pelt si mise a fissarlo, puntando i suoi occhi decisamente espressivi sul volto marcato dell’ex agente della squadra antipiromani, sapendo bene di metterlo in difficoltà.

E, in effetti, il cuore di Wayne cominciò ad aumentare i battiti, portando la sua pressione sanguigna a livelli leggermente preoccupanti. Come poteva una donna avere un simile effetto su un uomo?

Ahh…” si lamentò Rigsby, facendo cadere sul piatto l’ennesima patatina finita nelle sue mani “..e va bene. È da un po’ che un’idea mi frulla per la testa…”

Che idea?” lo incitò Van Pelt, incuriosita.

…a voi non sembra strano che sia il capo che Jane siano arrivati tardi stamattina?”

Jane arriva sempre in ritardo…” rispose Cho dopo qualche secondo di silenzio.

“Sì ma il capo no”

E questo che centra?” gli chiese Cho, leggermente divertito.

“…su andiamo. Da quando Lisbon arriva tardi a lavoro? Mai successo. E oggi, casualmente, arriva qualche minuto prima di Jane, come a volerci depistare!”

Nel sentir pronunciare quell’ultima parola, Kimball Grace riuscirono a trattenere una sonora risata, obbligando quest’ultima a posare l’hamburger alla cipolla che fino ad allora teneva in mano.

“Oddio Rigsby…ma come ti vengono in mente certe cose?” gli chiese Van Pelt, asciugandosi una lacrima causata dall’eccessiva risata.

Con un’espressione leggermente risentita, Rigsby si costrinse a non lasciarsi condizionare dal volto affascinante della collega al suo fianco, la quale appariva ancora più bella quando si lasciava andare in quel modo, abbandonando per un secondo quell’aria rigida e costruita che si sforzava di tenere quand’era in servizio..

“Non sto scherzando. Poco fa, quando sono entrato nell’ufficio del capo li ho trovati intenti a fissarsi, in silenzio…Io non mi metto a fissare il capo!”

“Il capo no…” lo corresse Cho, lasciando cadere la conclusione di quella profetica frase, che probabilmente avrebbe avuto come soggetto proprio l’unica donna presente in quella stanza.

“In più…” continuò Rigsby, lanciando un’occhiataccia al collega “…stamattina quando ho detto che forse Lisbon aveva una relazione, subito Jane ha detto che non era vero…come se lo sapesse già. E lasciamo stare l’altra decina di esempi che potrei farvi…”

Silenzio.

Nessuno dei due agenti, che solo fino a qualche istante prima sembravano non riuscire a trattenere le risate, non proferì parola, non riuscendo neppure a concentrarsi sul cibo che avevano davanti agli occhi.

Sia Jane che Lisbon erano arrivati in ritardo; entrambi erano crollati sul divano, o meglio su due divani distinti…Jane negava qualsiasi relazione da parte di Lisbon e lei, da parte sua, sembrava particolarmente comprensiva nei suoi riguardi.

ma per favore…non è possibile!” esclamò improvvisamente Cho, rompendo l’insopportabile silenzio che si era venuto a creare.

“già infatti…” lo assecondò Van Pelt, emettendo una risata decisamente forzata.

“La mia era una supposizione….” Concluse Rigsby, l’unico in grado di ritornare ad interessarsi al cheeseburger che aveva davanti.

Gli occhi di Van Pelt, decisamente più confusi rispetto a poco prima, si posarono su Cho, il quale tentava in tutti i modi di concentrarsi sul giornale aperto davanti a lui.

 

 

Dopo una decina di minuti, trascorsi senza proferire parola, i tre agenti finirono di pranzare, cominciando a sistemare ciò che avevano lasciato sopra al tavolo.

“Avete già mangiato?!” esclamò la voce leggermente assonnata di Lisbon, la quale solo ora era entrata nella stanza.

“Ehm….sì…” disse Rigsby.

“Ma ti abbiamo lasciato qualcosa…” aggiunse subito Grace, provando una sottile sensazione di imbarazzo nel trovarsi il capo davanti agli occhi dopo ciò che si erano detti lei Cho e Rigsby.

“Non importa….piuttosto, ha chiamato il coroner, sono pronti i risultati dell’autopsia!”

“Vado io?!” chiese Rigsby impaziente.

“No, tu e Van Pelt andrete allo studio legale e lì vi farete dare tutti i nominativi dei possibili indiziati. Chiunque sia stato mandato in galera o abbia ricevuto una qualsiasi pena grazie ai Long o Strass deve essere passato ai raggi x” esclamò tutto d’un fiato, come se, invece di sognare, avesse trascorso quell’ora a riflettere sul caso.

“Tu Cho andrai alla stazione di polizia di San Francisco. Fatti dare la documentazione riguardante la famiglia Long; chi li ha chiamati, quando sono arrivati a casa, quanto ci sono rimasti…insomma tutto ciò che hanno!” concluse Teresa, sistemandosi il distintivo sulla cintura marrone che circondava i jeans scuri “…Io e Jane andremo a vedere il cadavere….” posando lo sguardo sui presenti, come ad individuare una persona in particolare “…dov’è Jane?”

I tre componenti della squadra non riuscirono a fare a meno di scambiarsi una veloce occhiata d’intesa, occhiata che nel giro di qualche istante fece congelare a tutti gli “indiziati” il sangue nelle vene.

“Io vado!” affermò Cho

Anch’io…”

Velocemente Cho e Rigsby presero le rispettive giacche, allontanandosi dalla stanza in cui si trovavano ad una velocità tale da far insospettire chiunque nel giro di cinque miglia.

Trovatasi improvvisamente sola, Van Pelt posò lo sguardo su  Teresa, la quale appariva decisamente confusa e sbalordita dal comportamento dei due agenti.

“Io…vado….sono con Rigsby…” si giustificò Grace, uscendo a sua volta dalla stanza.

Non riuscendo a trattenere una smorfia con la bocca, Lisbon allungò il braccio verso il centro del tavolo, afferrando una delle patatine contenute nel recipiente di plastica.

Chissà dov’era finito Jane.

 

 

 

 

 

 

Tadaaaaaaaaaaaan!!!!!!!

Finito anche il capitolo 2…allora che ne pensate? Rigsby ho cercato di mantenerlo come nel telefilm…anche se devo ammettere che ho faticato abbastanza. Ho cercato di non farlo apparire troppo bambinone, però si sa…nella squadra è quello più…come dire…. Quello che si lascia andare a battute strane non sempre riuscite, quello innamoratissimo di Van Pelt, quello che mangerebbe una mucca intera durante un appostamento. Rigsby insomma!!! XDXD

Cmq mentre scrivevo ho ripensato a tutte le volte in cui Rigsby ha beccato Lisbon e  Jane in atteggiamenti…strani. Nell’episodio 16 quando Jane le sfiora il viso. (Poveretto Rigsby…resta lì fermo con una faccia stra-confusa!!!ahahaha ), o quando Jane dice a Teresa che ora ha accesso a tutti i suoi pensieri più reconditi (anche lì Rigsby dice a Lisbon che è arrossita).

Dai è sempre lui che li vede no?…. ho pensato che qualche pensierino se lo sarà pur fatto, e infatti…XD

Cmq…anche questa volta voglio fare un ringraziamento speciale a chi mi ha commentato; siete le mie muse…senza di voi non riuscire a scrivere nemmeno una parola. Grazie milleeeeeeeeee!!!!!

Un grazie di cuore a Evelyn che è sempre la prima a lasciare un commento a questa strana ff. E grazie infinite per aver tradotto una ff di The Mentalist in inglese; grazie a te, infatti, abbiamo potuto leggere una dolcissima fan fiction Jisbon (“Chicken noodle soup and sunshine smiles”), sempre molto apprezzate da noi fan della coppia!!!!!^^

Grazie Evelyyyyn!!!!!

Un ringraziamento speciale va a hikary, che lascia sempre dei commenti super dettagliati che fanno un piacere immenso a chi scrive le ff. Visto, ho cercato di seguire il tuo consiglio limitando l’uso dei punti esclamativi…che dici va un po’ meglio?

Cmq permettetevi di darmi tutti i consigli che vi vengono in mente, perché mi aiutano a migliorare…e penso di averne un gran bisogno!

Anch’io hikary preferisco Teresa a Grace (e si era capito immagino XDXD)…anche solo per le smorfie che fa ogni tanto, è una grande!!

Per quanto riguarda gli occhi della vittima…..NO COMMENT!!!!! Scoprirai tutto nelle prossime puntate!!!^^ hihihihi sono malefica!!!

Grazie Valery per la recensioneeeee….ahhh che bello vedere che c’è qualcuno che legge!!!...sono davvero contenta.

Anch’io la penso proprio come te…. simon baker è stupendo….ha un sorriso da mozzare il fiato, degli occhi splendidi, perfetto insomma!!!! Ahhh..basta basta meglio non pensarci *-*

 

che altro dire….grazie per la centesima volta!!!!XD

anche oggi ho finito di tormentarvi con i miei monologhi^^…e
spero di avervi soddisfatto anche con questo capitoletto.

Aspetto con ansia i vostri commenti, sempre apprezzatissimi!!!!!

Grazie di cuoreeeeee….e mi raccomando….

 

W JISBOOON!!!^^

 

T.L.

 

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo ***


CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

 

 

 

Sistemandosi distrattamente la maglietta, di un verde leggermente più scuro rispetto alle iridi dei suoi occhi , Teresa si diresse verso la sala centrale dell’ufficio coordinato da Minelli, sperando di trovare lì Patrick Jane, intento probabilmente a lavorare su una pista totalmente diversa da quella seguita dal resto della squadra.

Non dovettero trascorrere molti istanti in più prima che la minuta donna dai capelli scuri individuasse il consulente della squadra, steso come al solito sul suo inconfondibile divano marrone.  Anche se “suo” non era decisamente l’aggettivo più esatto.

“Jane…forza dobbiamo andare…” esclamò Lisbon, fermandosi alla scrivania di Rigsby, alla ricerca delle chiavi della sua auto, come se avessero potuto realmente trovarsi sulla scrivania di uno dei suoi collaboratori.

- Dove diavolo le ho messe…- pensò, leggermente seccata, dimenticandosi quasi per un secondo di non aver ricevuto nessuna risposta da parte dell’uomo a pochi metri da lei.

Già il fatto di essersi addormentata durante l’orario di lavoro la innervosiva non poco, in fin dei conti lei non era mai stata quel genere di persona; se in più ci si aggiungeva un ritardo dal coroner la giornata sarebbe stata totalmente da dimenticare.

In tanti anni di apprendistato e servizio in piena regola, non aveva mai avuto simili comportamenti; non aveva neppure mai utilizzato una scusa per giustificare una sua possibile mancanza, nemmeno il giorno del Ringraziamento. Naturalmente il modo in cui trascorreva quella festività era un dettaglio del tutto trascurabile. Dopotutto l’ultima volta non aveva potuto accettare l’invito di suo fratello perché stava seguendo un caso importante e non per rimpinzarsi di gelato davanti a vecchi film, come invece le aveva fatto notare Jane.

Già…suo fratello. Chissà se era a conoscenza delle ultime novità avvenute sul fronte, come dire…personale; novità  che, del resto, avevano ben poco di piacevole vista la loro capacità a tenere sveglia persino lei, il capo di una delle migliori squadre del CBI, con irritanti conseguenze dal punto di vista lavorativo.

Ad ogni modo, brutte notizie a parte, questi suoi “intoppi”, se così li si voleva chiamare, non rispecchiavano affatto il suo consueto ideale di comportamento. Non era da lei arrivare tardi al lavoro, indossare la maglietta sporca del giorno prima, addormentarsi sulla scrivania e, per concludere, perdere le chiavi dell’auto. Quelle erano cose che avrebbero potuto fare i suoi colleghi, non lei.

Lei era il capo e il capo non poteva permettersi di sbagliare. Nemmeno una volta. Altrimenti…altrimenti nessuno avrebbe più potuto fare affidamento su di lei.

Ed eccolo lì, uno dei tanti ricordi soffocati nei meandri della sua mente. Uno di quei ricordi che avrebbe volentieri dimenticato, cancellato completamente dalla sua memoria con un solo gesto della mano, ma che ormai faceva inevitabilmente parte del suo essere. 

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non dover rivivere uno di quei momenti, come stava capitando proprio in quel momento…

 

 

“Papà…mi…mi dispiace…non capiterà più…” esclamò un’innocente voce di si e no dieci anni, il cui volto magro, circondato da dei lunghi capelli scuri, appariva eccessivamente maturo e preoccupato per una bambina della sua età.

Lui, così assente e disinteressato, se ne stava seduto sulla poltrona in salotto, intento a bere l’ennesima bottiglia di birra della giornata.

..papà…” lo richiamò la piccola, avvicinandosi di un solo piccolo  passo, con fare incerto e insicuro.

Ancora silenzio e immobilità; un’immobilità interrotta solo dal movimento altalenante della bottiglia verde, che saliva e scendeva a ritmi regolari, indicando chiaramente lo stato semi-vigile dell’uomo.

La bambina, troppo mingherlina per essere del tutto in salute, rimase in silenzio, consapevole del fatto che un errore come il suo avrebbe sicuramente arrecato altri dispiaceri a suo padre, che in quanto a dolori ne conosceva fin troppi.

Aveva sbagliato, aveva sbagliato come solo una sciocca bambina della sua età sapeva fare, e ora chi se ne doveva preoccupare era lui.

Avrebbe bevuto ancora? Avrebbe pianto come ormai faceva da quasi un anno?

Perché sera stata così stupida, perché non aveva fatto attenzione? Lui si era fidato di lei, ed era questo il modo di ripagarlo?

Ripetendosi continuamente quelle domande nella mente, la piccola non emise neppure un fiato, contorcendosi le mani sudate, mentre i profondi occhi spaventati non si spostavano di un solo centimetro dalla poltrona di fronte a lei.

“papà…”

Nessuna risposta, ma solo l’assordante infrangersi della bottiglia di birra, il cui vetro scuro rifletteva gli splendidi occhi chiari della bambina; una bambina dal volto troppo spaventato e tirato per avere solo nove anni.

 

 

Lo sguardo fisso su un foglio davanti a lei e la mente così lontana dal presente da essere quasi inarrivabile.

Da quanto non ripensava a quel giorno, o meglio da quanto non ripensava a lui, a quei giorni così lontani e…tristi.

Già, era da un po’ che non tornava indietro nel tempo, e così avrebbe continuato a fare. Non aveva nessuna intenzione di ricadere nuovamente nel passato; un passato in grado di soffocarla, senza lasciarle un solo alito d’aria fresca.

“Jane…” lo richiamò nuovamente, con un tono leggermente più stanco rispetto a qualche istante prima. Ma ancora niente, il silenzio assoluto.

Non ricevendo ancora alcuna risposta, Teresa alzò velocemente la testa dalla scrivania di Cho, lasciando che alcuni ciuffi mossi dei capelli castani le finissero davanti al volto, conferendole un’espressione più spontanea.

“Ehi Jane, mi hai sentito?!

Immobile. La testa di Jane non sembrava volersi sollevare di un solo centimetro, lasciando che solamente il torace si sollevasse e abbassasse a ritmo cadenzato.

-Ma sta….dormendo…- si disse, leggermente sorpresa.

Lentamente, Lisbon si avvicinò al divano, rimandando a più tardi il ritrovamento delle chiavi.

Da quando avevano cominciato a lavorare insieme, non le era mai capitato di vedere Jane dormire, o meglio di vederlo dormire così profondamente. Ogni volta che si sdraiava da qualche parte non si lasciava mai andare completamente, al contrario sembrava rimanere ogni volta in una sorta di dormiveglia che, in un certo senso, riusciva a tenerlo costantemente legato al mondo esterno.

Era come se non volesse mai lasciarsi andare, mai lasciarsi prendere di sorpresa da nessuno, neppure dal mondo stesso; non dopo l’ultimo scherzo che gli era stato giocato.

Già, ma ora era lì, con gli occhi chiusi, una mano appoggiata al petto e l’altra abbandonata lungo i fianchi, e un’espressione indimenticabile dipinta su quel suo volto a dir poco affascinante.

Quasi senza rendersene conto, Teresa rimase lì, ferma, ad un solo passo da quel divano ormai così impregnato del profumo di Patrick.

Un profumo simile a quello del pino e del muschio, così naturale e spontaneo che solo un uomo dal sorriso solare e contagioso come il suo poteva avere.

Non seppe spiegarsi il motivo, ma posando lo sguardo sui chiari capelli biondi di Jane, Teresa si ritrovò a pensare a ciò che era successo due sere prima, poco prima di staccare dal lavoro. Era seduta davanti alla sua scrivania e, mentre revisionava delle testimonianze di un caso, non riuscì a fare a meno di ascoltare uno strano discorso che il suo team aveva intavolato con Jane. Mentre li sentiva parlare e ridere capì subito che si trattava di una conversazione pilotata dalla singolare mente del consulente, che spesso si divertiva a prendersi gioco del prossimo, in particolar modo dei suoi colleghi. Quella sera, aveva chiesto ad ognuno di loro con quale stagione dell’anno si sarebbero reciprocamente rappresentati. Nonostante avesse teso più volte le orecchie per ascoltare, Teresa non era riuscita a sentire le risposte che avevano dato e, senza una ragione in particolare, aveva deciso di non raggiungerli; forse per paura di essere rappresentata come il freddo inverno. Ma, proprio una decina di minuti dopo, mentre stava per dirigersi verso la porta del suo ufficio, fece la sua comparsa Jane che con il suo sorriso era venuto a salutarla. Prima di uscire l’aveva guardata negli occhi, sorridendo, e spiazzandola in un modo che solamente lui sapeva fare le aveva detto : “…direi…autunno”.

Dopo quella strana esclamazione, Jane era uscito lasciandola lì, con le mani indaffarate a sistemare il colletto della camicia sopra la giacca.

Non aveva saputo rispondergli, sia perché non gliene aveva dato il tempo, sia perché era riuscito, ancora una volta, a lasciarla senza fiato. Chissà perché la identificava come l’autunno. L’autunno le piaceva, era una bella stagione, ne calda ne fredda, temperata al punto giusto. E in più c’erano le fragole e lei impazziva per le fragole.

Ma leggere nei pensieri di Jane era una cosa pressoché impossibile, e questo lo aveva capito a spese sue e, alle volte, dell’intera squadra.

Ed ora se ne stava lì, steso sul divano, del tutto inerme al mondo esterno.

Non sapeva spiegarsi il motivo, ma anche il solo guardarlo in quel modo la faceva sentire così….così…così colpevole. Come se stesse trasgredendo ad una delle infinite regole che un ottimo agente avrebbe dovuto rispettare. Ma, in fin dei conti, lei non stava trasgredendo proprio a nulla; se ne stava solamente in piedi, con gli occhi fissi in un punto preciso della stanza.

Lo stava solo guardando e pensando a quanto quel sorriso e il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli le ricordassero l’estate. Perché, senza bisogno di ripensarci, sarebbe stata quella la risposta che avrebbe dato: l’estate.

Lisbon fece un ulteriore passo avanti, allungando lentamente l’indice della mano destra verso Jane. Nella sala non c’era nessuno, solamente loro due e il suono del traffico proveniente dalle strade di Sacramento.

Gli avrebbe solamente sfiorato la spalla per svegliarlo; o forse la fronte…o magari il volto.

Si avvicinò ancora, con gli occhi chiari visibilmente emozionati, e la mano tremante che ad ogni secondo diminuiva sempre più la distanza dalla pelle rosea del consulente.

Pochi centimetri, pochi attimi e….

Bi bi bibipp bibibip…Bi bi bibipp bibibip

Improvvisamente l’arrivo di un messaggio sul cellulare di Lisbon fece crollare inesorabilmente la situazione. Presa dallo spavento, la mora si allontanò di scatto dal divano, vedendo del tutto vani i suoi tentativi di salvare il cellulare che, presa dall’agitazione, fece cadere ad un paio di metri di distanza.

Merda…” si lasciò sfuggire Lisbon, cercando di recuperare il telefonino finito sotto la scrivania di Van Pelt.

Chi diavolo aveva potuto cercarla in un momento simile? In tanti istanti che formavano un’intera giornata perché proprio ora?

- Rigsby…- lesse mestamente il nome del mittente, non riuscendo a controllare l’irrefrenabile sensazione di sbattere l’agente in una prigione del Nebrasca.

Agevolata dalla sua corporatura sottile, Lisbon uscì velocemente da sotto la scrivania, alzando riluttante lo sguardo. Avrebbe voluto rimanere con gli occhi puntati sul pavimento per il resto della giornata; tutto pur di non incrociare lo sguardo di Jane.

Ciò che vide, infatti, una volta posati gli occhi sul biondo la fece subito pentire di essere anche solo uscita da quella scrivania.

“Ciao…” disse quella voce così assurdamente familiare e divertita.

A quello che sembrava un semplice saluto di cortesia, la saliva della donna, nello scendere lungo l’esofago, sembrò emettere uno strano rumore, come se il deglutire fosse una delle cose più difficili da fare.

“…io…stavo cercando…il cellulare!” cercò di mentire Teresa, sperando con tutto il cuore che il suo sguardo non la tradisse.

“Oh immaginavo fosse per quello…anche se la scena di te inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt penso sarà indimenticabile!” la derise, sempre più divertito.

“Divertente!...su andiamo non è il momento di dormire adesso!”

“Oh ma io mica stavo dormendo!”

“Sì certo…come no!” gli rispose Teresa, porgendogli uno dei suoi sorrisi sarcastici “…stavi solo beatamente riposando gli occhi!”

perché…sei rimasta a guardarmi?” la sfidò, guardandola dritta negli occhi.

“no…affatto!” cercò di difendersi, sorridendo con imbarazzo.

“…ma io ero sveglio…sul serio” continuò Jane, i cui occhi esprimevano totalmente il divertimento prodotto da quella scena irripetibile “…mi sono svegliato appena sei entrata”

“Avanti Jane…non serve che ti giustifichi….ti sei addormentato. È umano farlo. Di certo questo non intaccherà la tua immagine di uomo misterioso! Prometto che non ne farò parola con nessuno!” lo derise, avvicinandosi nuovamente alla scrivania di Cho per proseguire con la ricerca delle chiavi, sperando in cuor suo che anche Jane facesse cadere il discorso.

Ma, ahimé, l’intento di Patrick non era decisamente lo stesso.

Mentre già si pregustava lo sguardo che Lisbon avrebbe avuto dipinto in faccia da lì a qualche minuto, Patrick cominciò a sistemarsi la camicia dentro ai pantaloni, cercando di non far intravedere le pieghe sul gilet, causate dal divano,.

“Ero sveglio…da prima che suonasse il cellulare…”

Ok…” lo accontentò divertita “…ti credo!”

Patrick sorrise, spostando lo sguardo su di lei, aspettando qualche secondo prima di utilizzare il suo consueto asso nella manica.

“…appena sei entrata” cominciò, avvicinandosi di un passo mentre abbottonava le maniche della camicia “…sei andata verso la scrivania di Rigsby per cercare le chiavi della macchina che hai perso…e mi hai detto – Jane forza dobbiamo andare- !” le espose,  muovendo sinuosamente le braccia, come rientrava nel suo stile, aspettando di assistere all’espressione di Lisbon.

Espressione che non tardò ad arrivare visto lo stupore e la vergogna dipinti improvvisamente sul suo voto.

Non c’era che dire, Jane adorava il modo in cui i suoi occhi e la sua bocca si adattavano al suo stato d’animo. Certo, tutti avevamo delle espressioni facciali che ci caratterizzavano, sia nel bene che nel male; ma Lisbon…Lisbon era unica. Ogni suo sentimento ed emozione trasparivano perfettamente da quel volto minuto; sia che fosse arrabbiata, o felice o stupita, lei riusciva sempre a trasmettere i suoi pensieri a chi le stava davanti: storcendo la bocca, alzando le sopracciglia o, ancora, lasciando che quella sua ruga ai lati della bocca si allargasse insieme al suo sorriso.

Tutte quelle espressioni erano semplicemente indimenticabili; così….così da Teresa Lisbon.

Dal canto suo, la detective non sembrava pensarla allo stesso modo.

L’improvviso arrossamento del suo volto sembrava essere un chiaro segnale di ciò che stava desiderando in quel momento: sparire da quella stanza, o meglio sparire dagli Stati Uniti d’America.

Lui era sveglio. Mentre lei lo guardava, mentre si avvicinava, mentre cercava di sfiorargli il volto con le dita, in tutti quei momenti lui era sveglio.

Era così spietatamente, crudelmente, inevitabilmente - …imbarazzante – pensò Teresa mentre, contro la sua stessa forza di volontà, lo guardava dritto negli occhi.

“Io…io non ti stavo guardando!” si giustificò frettolosamente, dimenticando per un momento il motivo per cui si trovava di fronte alla scrivania di Cho.

Patrick si avvicinò di qualche passo alla donna, sapendo bene che anche quel semplice gesto avrebbe aumentato la sua agitazione.

“Lisbon…te l’ho già detto una volta…” esclamò, con tono affascinante “…è il fatto che tu lo neghi che mi intriga” aggiunse, dirigendosi verso l’uscita della sala, sventolando un mezzo di chiavi di una Citroen DS21; auto che non assomigliava nemmeno lontanamente a quella di Lisbon.

“Forza…abbiamo un cadavere che ci aspetta”  disse Jane, con tono quasi teatrale, lasciando alla collega il tempo di accantonare l’ultima imbarazzante scena, per fare posto all’idea di lei dentro la sua amata Citroen grigia.

 

******

 

Subito dopo essersene andata dall’ufficio adibito a “sala mensa”, Van Pelt era corsa verso l’uscita, dimenticando persino di prendere la giacca accuratamente disposta sopra la sedia della sua scrivania.

Se solo Rigsby non si fosse dileguato in quel modo insieme a Cho, ora non starebbe sbattendo contro trequarti dei suoi colleghi del CBI, i quali non tardarono a lanciarle sguardi  di ogni tipo, sia divertiti che innervositi.

“Ehi Rigsby…” urlò la rossa, vedendolo in lontananza mentre estraeva le chiavi dell’auto dalla tasca.

Nel sentire la voce della collega, il cuore dell’agente sembrò mancare di un battito, rendendogli quasi più difficile la respirazione.   

Ogni volta gli capitasse di provare una simile sensazione, l’ex agente anti-piromani non riusciva a fare a meno di chiedersi perché un disgrazia del genere fosse capitata proprio a lui. Perché era arrivato ad innamorarsi proprio di una sua collega di lavoro? Avrebbe potuto accettare l’idea di prendere una sbandata per chiunque, persino per un agente del CBI di un’altra squadra, ma non di lei, non di Grace Van Pelt, una sua diretta collega.

All’inizio, quando ormai aveva capito di amarla da impazzire, aveva cominciato a sperare che nessuno ne venisse a conoscenza, in particolar modo Cho; ma nel giro di si e no un paio di mesi tutto il dipartimento già ne parlava, scherzandoci pure su. Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco se una mattina, incontrando il Procuratore, questi si fosse messo a dispensare consigli su come conquistare una donna.

Ah già, quella parte ce l’aveva già qualcuno: Patrick Jane.

Jane, l’uomo dai mille consigli che riusciva a far innamorare di se tutta la California; già, persino le donne più impensabili.

“Quanta fretta…” gli disse Van Pelt, una volta arrivata a pochi passi da lui.

“Nessuna fretta..si giustificò Rigsby, aprendo lo sportello dell’auto, sorridendo alla donna.

Se gli avesse detto che se l’era data a gambe per il solo fatto di aver visto la faccia di Lisbon, la sua mascolinità ne avrebbe sicuramente risentito.

Una volta che entrambi furono saliti in macchina, Rigsby girò le chiavi nel quadrante, apprestandosi ad uscire dal parcheggio del quartiere generale del CBI.

“Perché quando andiamo da qualche parte guidi sempre tu?!” gli chiese ad un tratto Grace, osservandolo con il suo consueto sguardo dolce, ma al contempo accattivante.

“P…perché…perché sì!” si limitò a dire, non trovando una scusa migliore.

perché sì non è una risposta!”

Anche Lisbon non lascia mai guidare Jane…!”

“Sì ma lei è il capo…”

“E tu sei l’ultima arrivata!”  replicò, porgendole il suo familiare sorriso che, in ogni occasione, riusciva a farla sentire al sicuro.

Perché era questo ciò che Van Pelt provava ogni qual volta si trovasse in compagnia di Rigsby, sicurezza,  riparo. Era l’unico in grado di farla sentire protetta in ogni situazione, come se fosse a casa.

Certo, molte volte Rigsby aveva un modo di fare privo di tatto, non usava mezzi termini e, con alcuni sospettati, avrebbe volentieri usato la mano pesante. Ma lui …lui era Rigsby, e l’amava. L’amava come nessun altro sarebbe mai riuscito a fare, e forse era proprio questo a farla soffrire così tanto.

Erano colleghi, per giunta dello stesso team e il regolamento parlava chiaro a riguardo: nessuna relazione amorosa.

E lei…lei era troppo innamorata del suo lavoro per mollare tutto. Già una volta era stata tradita, aveva già sofferto le pene dell’inferno per qualcuno che non meritava il suo affetto e ora…ora non avrebbe rischiato ancora.

Anche se si trattava di Rigsby, l’uomo che il suo cuore aveva deciso di amare fin dal primo giorno.

“Ehi…stavo scherzando…al ritorno guidi tu…” esclamò improvvisamente Wayne, preoccupato dal quel improvviso silenzio calato tra di loro.

“Come?...” chiese stordita Grace, ridestandosi solo in quel momento dall’improvviso afflusso che aveva dominato i suoi pensieri “…oh…ok…grazie!”aggiunse, sorridendo dolcemente “…ma…credi davvero che ci sia qualcosa tra Lisbon e Jane?!” gli chiese improvvisamente, cambiando argomento.

Mh?...certo! insomma…non ne sono sicuro, ma non sarebbe la prima volta che mi salta un’idea simile!”

“Ah no? E quando ti sarebbe venuta questa illuminazione?” gli chiese ironica, contenta di essere riuscita a rompere nuovamente il ghiaccio tra di loro.

…una volta…” cominciò Rigsby, apprestandosi a raccontare quel famoso pomeriggio in cui aveva visto Jane sfiorare il volto del capo. Ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli di stare zitto; come se in cuor suo già immaginasse la poca credibilità che Van Pelt avrebbe dato a quel suo aneddoto, per lui a dir poco dell’incredibile.

Forse Cho gli avrebbe creduto.

-sì…Cho….come no..- pensò tra se ironico.

“Allora? Che è successo?” lo spronò Grace, curiosa.

“No…niente…lascia stare…”

“…ok!” lo accontentò, divertita “Ad ogni modo…io non credo sia così…”

“Ah no?” esclamò Rigsby, questa volta lui con un tono leggermente incuriosito.

….Jane non ha né il cuore né la mente liberi per…per interessarsi a qualcuno!”

“Lo dipingi quasi come una persona cinica!” la riprese Rigsby, spostando per una frazione di secondo lo sguardo su di lei.

“…non dico sia cinico “ si corresse, spostando a sua volta lo sguardo su Rigsby, nello stesso istante in cui lo fece lui, arrivando così ad incrociare i suoi occhi chiari”…m…ma…è troppo pieno di sete di giustizia per pensare ad altro. L’unica cosa che gli sta a cuore è trovare John il Rosso e vendicare la sua famiglia!”

E penso sia comprensibile!”

“Sì certo…ma la sua è diventata più voglia di vendetta che di reale giustizia. Tutte le volte che una pista ci riconduce a John lui cambia atteggiamento, diventa impetuoso, arrogante e pronto a tutto pur di arrivare a lui…anche a scavalcare Lisbon!”

“Sì ma l’ultima volta ha dimostrato il contrario*…” le fece notare, con un lieve sorriso sulle labbra.

“Già...questo però non cambia le cose!”

“Ehi…non vuoi proprio darmela vinta…!” le disse l’agente dai capelli scuri, leggermente divertito, cercando di alleggerire la conversazione “Certo sarebbe sconvolgente vedere Jane…e….e il capo…forse qualcosa di più di sconvolgente. Ma…”

“No, non c’è nessun ma…” lo interruppe Van Pelt “…non…non tra due colleghi! È…contro le regole...” concluse, sforzandosi di apparire il più sicura e convincente possibile.

Nel sentire quell’ ultima frase, Rigsby non riuscì fare a meno di collegarla con la loro situazione.

Perché anche loro erano due colleghi, come Jane e Lisbon. Anzi, forse la loro situazione era ancora più delicata, vista la voglia di Van Pelt di raggiungere i suoi obbiettivi professionali.

In fin dei conti, Lisbon era già a capo di una squadra e Jane...Jane non sembrava di certo il tipo che si sarebbe fermato davanti ad una piccolezza come un regolamento.

E che dire, lui era Rigsby, un uomo così innamorato da fare qualsiasi cosa pur di rendere felice la persona che amava; anche a sottostare ad uno sciocco regolamento , fingendo di non provare nulla.

“Ehm…” si schiarì la voce Wayne dopo una decina di minuti in cui era calato il silenzio “…intanto…ho scommesso trenta dollari con Cho!” le confessò, riuscendo così a strapparle l’ennesimo sorriso.

Un sorriso che rese ancora più amara l’idea di non poterle stare accanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

* riferimento all’espisodio 1x23

 

 

 

 

Scusate…mi asciugo le lacrimuccie.  T_T …(seeeeee……esagerata XD)

A me Rigsby fa troppa tenerezza; ogni volta che guarda Van Pelt è così…così…così innamorato!!!!!! Povero. Basta ho deciso,  faccio il tifo per lui…nella speranza che Van Petl si dia una svegliata.

Però…adesso che ci penso. Devo avere le idee parecchio confuse. Vabbè Jane e Lisbon sono Jane e Lisbon e rimarranno sempre e comunque i miei preferiti^^. Poi…ho ammesso di provare una simpatia per Cho (mitico Cho con il suo sguardo serio e i suoi interrogatori da film poliziesco XD ), adesso dico che faccio il tifo per Rigsby perché povero è cotto di Van Pelt. Insomma….mi piacciono tutti i personaggi di questo telefilm?! Ahahahahaha XD

Quindi care colleghe qua bisogna prendere in mano la situazione e fare i fan club di Jisbon e RigsPelt!!! XDXD

Ok dopo questo breve sprazzo di follia passiamo alle cose….serie XD!

Prima di tutto voglio dedicare questo capitolo a hikary e evelyn  (ribattezzate ormai le “colleghe”XD) che sono sempre pronte a recensire la mia ff e a darmi preziosi consigli. Siete unicheeeee….non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza tesore!

Infatti è grazie a loro se finalmente abbiamo la sezione di The Mentalist.

A questo proposito…..trrrrrrrrr….rullo di tamburi…….ecco lo spazio dedicato alla pubblicità occulta XD ahah

Se siete passate per questa sezione non potete fare a meno di leggere due fantastiche ff scritte dalle due autrici citate qui sopra: Bloody Red Classes di hijary e Quando tutto cambia... di evelyn. Mi raccomando!!!! XD

 

Bene…ed ora passiamo alle recensioni ^^

 

Evelyn….che dire, parole sante XD Teresa è la più tosta del telefilm. Certo Van Pelt ispira molta dolcezza, ma secondo me è proprio per quel suo modo di fare sicuro che Teresa nasconde una grande fragilità. A parte che anche Grace deve nascondere qualcosa...mmmmm…il mio sesto senso dice di stare allerta!!XD

Grazie mille per l’incoraggiamento….sei troppo gentileeeeee!!!!! E cmq hai visto le foto della seconda serie? Sbaglio o Rigsby è dimagrito?? (guarda te di che cosa mi accorgo…ahahahah)

 

Hikari…mi sa che hai ragione, se vado avanti così Lisbon non mi arriva all’ultimo capitolo…soprattutto dopo quello che le è successo qui XD Povera, forse esagero con lei...hihihihihi!

Cmq laurea in " disturbologia???? ahahahah quando l’ho letto sono morta dal ridere!!! Sono contenta che Rigby abbia riscosso successo…avevo paura di non riuscire a riportarlo bene. Spero di esserci riuscita anche qui!!!^^

Anch’io adoro le espressioni che fa Lisbon…sono troppo….troppo…..belleeeeeee!!!! non c’è niente da fare lei è una grande!!!XD

 

ragazze, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate di questo capitolo….

Qui mi sono soffermata di più sui rapporti tra i personaggi (Lisbon e Jane – Rigsby e Van Pelt), nel prossimo qualche indizio in più sul caso.

Che altro aggiungere, la pubblicità occulta l’ho fatta…quindi…XDXD Un bacioneeeeeeeeeeeee

 

 

A tutti i lettori….alla prossima puntata!!!!!

 

 

A presto….

 

T.L.

 

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo ***


CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

 

 

 

 

Com’era imprevedibile il fato. Un giorno si pensava al futuro, al matrimonio, al comune desiderio di avere un figlio; e il giorno dopo…il nulla.

Probabilmente era proprio questa imprevedibilità a rendere la vita tanto rara e preziosa. E non solo la vita, anche la felicità, sempre così fugace e indispensabile. Con la stessa velocità in cui questa bussava alla propria porta, allo stesso modo il destino la richiamava a se, rendendo tutto più difficile e complicato.

Forse era proprio per questo motivo che qualcuno arrivava al punto di desiderare di non essere mai felice; dopotutto, come si poteva rimpiangere qualcosa che non si era mai posseduto? Era come chiedere ad un orfano che non aveva mai conosciuta sua madre se le mancava come genitore, se le mancava il suo sorriso e la sua presenza, o se semplicemente le mancasse l’idea di lei. Era impossibile provare nostalgia per qualcosa che non si era mai stretto a se. Impossibile, ma estremamente doloroso.

Chissà come la pensava Susan, chissà se era una persona felice. Avrà coltivato anche lei sogni, desideri, ambizioni? Avrà provato rabbia, delusione o rimorso per qualcosa lungo la sua breve vita?

Qualsiasi fosse stata la risposta a tutte quelle domande, a quel punto non aveva nessuna importanza. Non ora, non mentre tre persone in veste lavorativa la osservavano stesa sulla fredda lastra della sala riservata alle autopsie.

Oramai Susan Long non avrebbe più potuto vivere la sua esistenza, non avrebbe più riso di gioia o pianto di dolore; non avrebbe più abbracciato i suoi cari, o esultato per una causa vinta.

Ora, l’ultima cosa che sarebbe stata in grado di fare, era lasciar libero accesso a chi in quel momento scrutava il suo corpo senza vita, attendendo che questi rivelasse essenziali informazioni su chi le aveva precluso qualsiasi possibilità di continuare a sorridere, di continuare ad aggrapparsi a quella tanto desiderata felicità. 

Lentamente Patrick Jane si avvicinò al copro della donna, il quale, supino, appariva decisamente più curato rispetto a quando era stata gettato sul ciglio della strada.

Il sangue, che fino a poco prima macchiava la sua candida pelle orientale, era stato accuratamente lavato, eliminando persino le sue tracce dai lunghi capelli neri, ora pettinati all’indietro per rendere visibile il volto segnato.

Nonostante la cura a cui era stato sottoposto, il cadavere presentava chiari e visibili segni di percosse, nel viso, negli arti, nel ventre; persino nel torace, il quale mostrava la indistinguibile Y presente in quasi tutti i corpi sottoposti all’autopsia.

Le braccia della Y erano incise profondamente nella carne della donna, e si estendevano implacabili dalla parte anteriore di ogni spalla fino all’estremità inferiore dello sterno.

La sua cassa toracica era stata esposta, i suoi organi asportati e, alcuni, svuotati del loro contenuto.  Il tutto per una frazione di tempo che subito dopo avrebbe visto gli stessi organi riposti nel loro luogo originale, come se da lì non si fossero mai spostati.

La dottoressa James, che nel frattempo era rimasta in silenzio, sollevò la cartella della vittima, sistemandosi distrattamente gli occhiali da vista sul naso.

Nonostante la mezza età, il medico legale appariva ancora una bella donna di colore, non molto alta e dagli zigomi leggermente pronunciati. Gli occhi, di un intenso color nocciola, sembravano quasi riflettere tutto ciò che, per anni, erano stati costretti ad osservare: cadaveri decomposti, fragili innocenti senza un alito di vita, ferite rivoltanti. Tutti aspetti ormai superficiali per il suo sguardo vigile e attento.

“Allora…” cominciò la dottoressa, posando per un secondo lo sguardo sulla cartella, per poi tornare a fissare il cadavere steso sul tavolo settorio “Dall’esame esterno del cadavere sono risultate evidenti lacerazioni in gran parte dei tessuti…in particolar modo sulla parte superiore. La camicia è stata strappata in più punti…” spiegò, indicando le braccia della vittima “…entrambi i polsi dell’indumento sono stati lacerati e imbrattati di sangue…e, se osservate il medesimo punto sul corpo della vittima, infatti, noterete le escoriazioni sulla pelle…Probabilmente la vittima è stata ammanettata o tenuta legata con delle catene!” suggerì il medico, lanciando uno sguardo alla donna di fronte a lei.

Mentre ascoltava le parole della dottoressa, Lisbon non sembrava voler staccare per un solo secondo gli occhi dal corpo di Susan; come se cercasse in tutti i modi di captare qualsiasi segnale che quel cadavere potesse in qualche modo inviarle.

Facendo lo stesso, ma con ogni probabilità ottenendo molti più risultati rispetto alla collega, Patrick alternava la sua attenzione tra il cadavere e il medico di fronte a lui. Entrambe le donne, infatti, in qualche modo gli stavano rivelando più di quanto in realtà volessero dire.

Anche Lisbon, a suo modo, gli stava parlando; ma nessuno dei segnali  mandati dal suo corpo sembrava essere particolarmente lusinghieri.

“La gonna nera era completamente imbrattata di terriccio e sangue, ma non presentava nessuna lacerazione. L’assassino non sembra essere stato spinto da ragioni sessuali!”

“Ora i vestiti li ha la scientifica?!” le chiese Patrick, facendo il giro del tavolo.

“Esatto! Verranno studiati ed esaminati singolarmente…appena riceveremo i risultati ve li manderemo subito” gli rispose Meredith James con voce quasi rassicurante “ Ad ogni modo per quanto riguarda le caratteristiche somatiche…”

“Oh sì lo sappiamo…trentacinque anni, di origini orientali…anzi per essere precisi di origini cinesi, da parte di padre. Occhi verdi, ha sofferto di anoressia più o meno all’età di sedici anni. I ca…” mentre si stava apprestando a continuare il suo lungo monologo ricco di impensabili, quanto azzeccate, informazioni riguardanti la vittima, Jane si bloccò, quasi sicuramente a causa della sguardo seccato della dottoressa. Per non parlare di quello del suo capo, le cui sopracciglia ricurve esprimevano più di mille parole.

Alzando le mani in segno di scuse, per nulla sentite, il consulente si allontanò di qualche passo, non resistendo alla tentazione di lanciare un sorriso divertito a Teresa.

“…la prego…lo perdoni” esclamò Lisbon, scusandosi al posto di Jane, come del resto capitava ogni qual volta si trovassero ad indagare su qualche caso. Sia che si trattasse di parenti della vittima, che di figure di spicco della politica, lui doveva sempre risaltare rispetto alla massa, dicendo o facendo la cosa meno opportuna. Come in quel momento.

Fortunatamente la dottoressa James non sembrava il genere di persona che se la prendeva per questi modi di fare poco convenzionali. Anche se la seccatura dipinta sui suoi occhi era decisamente  impossibile da ignorare.

“La vittima…” continuò, dedicando a Jane un solo altro sguardo scocciato “…presenta un tatuaggio dietro l’orecchio, una K” rivelò, spostando leggermente di lato la testa inerme della donna, mostrando così la piccola opera d’arte, quasi invisibile viste le sue dimensioni ridotte.

“sotto le unghie non c’era la presenza di nessun corpo estraneo, terriccio o pelle… al contrario erano fin troppo pulite…”

“L’assassino potrebbe averle pulite prima di liberarsi del corpo” suggerì Lisbon.

“Sì potrebbe essere…o forse la vittima non si è resa conto di ciò che le stava accadendo…potrebbe aver conosciuto l’assassino o, peggio ancora, essersi fidata di lui…” esclamò, risistemando il capo della donna.

“Ad ogni modo…dai fenomeni abiotici è risultato che la donna si trovava in un ambiente piccolo, probabilmente privo di finestre”

“è morta soffocata allora…”

”Difficile dirlo. Le percussioni sul corpo sono molte e tutte ugualmente gravi. Quando abbiamo esposto la cassa toracica, abbiamo visto tre costole fuori posto e una di queste era riuscita a lacerare il polmone destro. Sarebbe deceduta nel giro di qualche ora. Il corpo, inoltre, presenta chiari segni di disidratazione.  Non mangiava da giorni.  In altre parole, sarebbero bastate  si e no un altro paio d'ore perché si verificasse un arresto cardiaco…il qualsiasi modo sarebbe andata…il finale sarebbe stato sempre lo steso-”

“La voleva morta…a tutti i costi” sussurrò Teresa, lanciando un ultimo sguardo alla vittima.

“La ringrazio dottoressa James…” aggiunse la mora, dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale sul volto di Jane sembravano essere passate una decina di teorie diverse “…ci tenga informati!”

“Certo” rispose Meredith, coprendo nuovamente il cadavere con il consueto telo bianco.

Susan non era solamente stata uccisa; era stata torturata e questo il medico legale lo aveva chiaramente lasciato intendere.

La domanda che continuava  rimanere senza risposta era: perché lo aveva fatto? E, soprattutto, perché?

 

 

 

Non appena varcarono la soglia dell’ufficio del CBI, la prima cosa su cui posarono lo sguardo Teresa e Patrick furono i tre membri della squadra, i quali, ciascuno seduto sulla propria postazione, sembravano del tutto presi dal loro lavoro.

“Capo!” esclamò Van Pelt sollevando il volto dallo schermo del suo computer, non appena li vide dirigersi verso di loro.

Una volta raggiunte le scrivanie dei loro colleghi, Lisbon e Jane si fermarono; quest ultimo con aria molto più rilassata rispetto a quella della mora. In fin dei conti succedeva sempre così; quando lei pensava di essere a mille miglia di distanza dalla risoluzione di un caso, lui le porgeva quel suo sorriso soddisfatto, alzando per quanto possibile i livelli della sua impazienza.

“Scoperto qualcosa?!” chiese Cho, con il suo tono di voce profondo e controllato.

“Non proprio…” gli rispose Lisbon, cercando di ignorare lo sguardo di Patrick “…la vittima è morta in seguito a percosse…disidratazione, soffocamento e chissà per quali altri motivi.”

“L’ha torturata..osservò addolorata Van Pelt, come se si trattasse di una conoscente e non di una perfetta sconosciuta, come lo era in realtà.

Chissà perché ogni caso colpiva così profondamente il cuore della bella rossa seduta davanti al computer. Non c’era occasione in cui non dimostrasse indifferenza o freddezza nei confronti di qualcuno; Grace doveva sempre e comunque esternare le sue emozioni, che fossero positive o meno. Già, ma a quanto sembrava, il genere di sentimenti esercitava un ruolo decisamente importante in questo intricato gioco di emozioni.

Difatti, nonostante lo sapesse tutto il quartiere generale del CBI, per non parlare del resto di Sacramento, Grace non sembrava minimamente intenzionata a esternare ciò che provava per il suo collega, Wayne Rigsby. Eppure lui in più di un’occasione le aveva fatto intendere quanto ci teneva a lei.

L’’idea di Van Pelt, però, non sembrava voler cambiare di una virgola, neppure dopo quasi un anno di “sofferenza”, se così la si voleva chiamare.

Nonostante nel lavoro si mostrasse sempre emotiva e indulgente, Grace era una persona molto chiusa, capace di rimanere in silenzio persino con se stessa, come aveva involontariamente fatto notare a Jane, durante la sua improvvisa cecità.

Quel giorno il consulente aveva letto nel cuore e nella mente dei suoi colleghi, più di quanto non facesse già in realtà. Evidentemente la cecità lo aveva davvero reso più speciale di quanto già non fosse.

 “Già…aspetteremo i risultati della scientifica!” la liquidò Lisbon, leggermente innervosita dai continui buchi nell’acqua che non smettevano di presentarsi nello svolgimento di quel caso “…voi avete scoperto qualcosa?” le chiese il capo, rivolgendo la sua attenzione anche al robusto agente al suo fianco.

“Non proprio. Ma oggi non ti è arrivato il messaggio sul cellulare?” le chiese Rigsby, leggermente confuso-

“No!” rispose subito la mora, sentendo le guance arrossarsi in una sola frazione di secondo.

Se non sbagliava quel messaggio lo aveva sentito arrivare, eccome se lo aveva sentito arrivare; ma il leggerlo si era dimostrata un’azione decisamente più complicata, soprattutto in una situazione come quella in cui si era ritrovava lei, dove l’essere inginocchiata sotto la scrivania di Van Pelt era l’aspetto meno imbarazzante.

 “…lo studio legale ci ha consegnato la lista completa dei criminali finiti in carcere grazie ai Long o a Strass, rilevando quelli seguiti principalmente da Susan. Ci sono due nomi, Michael Smith e Jasse  Becker…entrambi finiti in carcere per truffa e rapina a mano armata!” cominciò a spiegare Rigsby, cercando di non dare importanza allo sguardo di Lisbon.

“Perfetto…ora dove sono?” chiese Teresa, dando una veloce occhiata al fascicolo indicato dal suo sottoposto.

“…in carcere…entrambi…” prese la parola Van Pelt, sapendo di non dare affatto delle buone notizie.

Il volto di Lisbon, infatti, non riuscì a trattenersi dall’esprimere tutta la sua disapprovazione. Un intero giorno d’indagini del tutto inutili; né lei, né Cho, Rigsby o Van Pelt...nessuno aveva fatto un solo passo avanti.

Solitamente, dove non riuscivano ad ottenere risultati dai familiari o dal luogo del delitto, ci pensava il cadavere ad indicare una pista; o per lo meno la loro spiccata vena investigativa. E se anche il cadavere dava cilecca, rimaneva sempre..

“Allora che ne pensi?!” chiese improvvisamente la voce di Lisbon, non del tutto entusiasta nel chiedere consiglio al consulente della sua squadra, che sembrava particolarmente impegnato ad aprire una bottiglietta d’acqua, comprata poco prima dal distributore fuori dall’ufficio.

Senza rispondere alla domanda della collega, Jane cominciò a bere, assaporando esageratamente l’acqua naturale a temperatura ambiente. Senza dire una parola e senza rivolgere uno sguardo a Lisbon, Jane richiuse la bottiglia, guardandosi in giro con un’espressione annoiata.

Sul viso di Lisbon, inevitabilmente, si dipinse un’inconfondibile espressione di stupore; una di quelle espressioni che da tempo ormai la distinguevano dal resto della squadra.

“Jane…” lo richiamò, squadrandolo con occhi quasi sospetti.

 “sì?…”

“ti ho fatto una domanda…” gli fece notare, sarcastica, riuscendo a far sorridere perfino Cho, il quale non si era ancora alzato dalla sua scomoda sedia in ferro.

“Oh sì lo so…ti ho sentita..” le rispose, divertito.

E che ne diresti di rispondere?”

“mm…no grazie” esclamò Patrick, sapendo di spiazzare non poco la donna al suo fianco

“No?....” ripeté la donna, questa volta decisamente stupita

 “NO…” continuò, sempre sorridendo con fare spontaneo e affascinante “almeno finché non mi chiederai scusa…”

“scusa…? Scusa per cosa?” finse di non capire Lisbon, cominciando a sentirsi leggermente imbarazzata per la presenza dei suoi colleghi.

In fin dei conti, come poteva mentire a se stessa? Da quando, quella mattina aveva detto a Jane che loro due erano semplici colleghi e che confondere  il lavoro con la vita privata non era professionale, non aveva fatto altro che maledire se stessa e il suo carattere impaziente e,  alle volte, privo del suo stesso controllo. Anche se, a dire il vero, se lui avesse tenuto la bocca chiusa riguardo la sua vita sentimentale tutti quei problemi non ci sarebbero stati.

Perché diavolo a lui non capitavano mai quelle situazioni?

Jane sembrava sapersela cavare in ogni situazione e con ogni persona, di qualunque sesso si trattasse. Anche con lei, che era il suo capo, non dimostrava di avere il benché minimo problema a mentirle, o ingannarla o a farsi perdonare costruendole una semplice rana di carta.

Già…e perché lei avrebbe dovuto perdere la testa per trovare la cosa giusta da dire, o semplicemente per trovare il coraggio di chiedergli scusa, quando lui poteva cavarsela con uno dei suoi tanti trucchetti? Non era corretto.

“Oh lo sai bene per cosa Teresa Lisbon…” continuò Patrick, scaturendo il divertimento di Rigsby.

“Sai…alle volte Jane è quasi impossibile capire i tuoi giochetti mentali…” gli disse, porgendogli una delle sue inconfondibili smorfie “ma ammetto che forse…e dico forse…potrei aver detto qualcosa di…poco carino…” ammise Lisbon, cercando di ignorare i volti di Cho e Rigsby.

“Visto?!...ci si sente meglio se si ammettono le proprie colpe…e se si chiede scusa!” continuò Jane, avvicinandosi di qualche passo a lei, facendo così accelerare non tanto i battiti cardiaci di Lisbon, quanto quelli di Rigsby, le cui idee riguardo i due davanti a lui si facevano sempre più concrete.

“già…mi dispiace“ esclamò Teresa, guardando Patrick dritto negli occhi “…ma io non le so fare le rane di carta!” concluse sarcastica, spiazzando non poco l’uomo di fronte a lei.

Più soddisfatta di quanto non lo era mai stata, il capo della squadra si apprestò a dirigersi nel suo ufficio, lasciando il suo team leggermente…provato.

 “Bene…” esclamò Jane, troppo sincero per nascondere lo stupore, il quale traspariva perfettamente dal sorriso che improvvisamente si era dipinto sulle sue labbra, mentre Lisbon gli dava le spalle.

“Bene!”  dichiarò a sua volta Lisbon.

“Vorrà dire che non ti dirò la mia teoria!”

“Oh ma tu non ce l’hai una teoria…” lo corresse compiaciuta Lisbon, bloccandosi proprio di fronte alla scritta “Teresa Lisbon” incisa a caratteri neri sottili al centro della porta in vetro “…o forse ce l’hai, ma non hai la minima intenzione di condividerla” aggiunse, tornando a posare i suoi occhi chiari sulla figura atletica in piedi al fianco di Rigsby “…io ho una teoria…anzi due: o non ne sei ancora sicuro al cento per cento, o ti manca ancora un piccolo pezzo del puzzle.” Affermò, con voce tranquilla “Jane…ti piace troppo l’idea di arrivare prima di tutti gli altri, il vedere le nostre facce  stupite quando ci accorgiamo che la tua stramba teoria alla fine è quella esatta. È una cosa che ti diverte…anche troppo direi. E il sapere che non hai nulla in grado di confermare la tua improponibile quasi impensabile idea non ti fa sentire soddisfatto. Quindi…” si apprestò a concludere puntando il sottile indice della sua mano destra verso di lui “…anche se ti chiedessi scusa…cosa che per altro no farò…tu non me lo diresti, perché sei troppo egocentrico e testardo per rendermi partecipe!” detto questo gli sorrise compiaciuta, per poi scomparire dietro la porta davanti a lei, senza dargli il tempo di rispondere.

“Wow…” esclamò Rigsby divertito, lacerando l’improvviso silenzio calato sui quattro componenti del team “…adesso mi ricordo perché è lei il capo!” aggiunse ironico, ottenendo l’appoggio di Cho, il quale sembrava persino più soddisfatto del collega.

Dal canto suo Jane non poteva fare altro che sorridere;  era inutile mentire a se stesso: Teresa Lisbon l’aveva spiazzato, e solamente nel giro di qualche secondo.

Mai, come allora, Patrick Jane si era ritrovato a ringraziare il cielo di non aver conferito alla donna le sue stesse capacità mentali. Sarebbe stata una donna crudele e manipolatrice, più di quanto lo fosse lui.

“…ha ragione? Davvero non hai nemmeno una pista?” gli chiese Van Pelt, girando la sedia verso di lui.

“…certo che ce l’ho!”

Ma non vuoi dircela…” esclamò Cho, anticipando la risposta del collega.

e perché non dovrei?”

Perché non l’hai detta al capo…” gli fece notare con innocenza Rigsby.

“Tutti abbiamo sempre una teoria. In una maniera o nell’altra, quando ci si trova davanti ad una situazione inspiegabile, o per lo meno forte dal punto di vista emozionale, il nostro istinto è sempre quello di darci una spiegazione. È stato il padre? Il marito? Un condannato infuriato? Un cliente insoddisfatto?...in un modo o in un altro, la nostra mente crea sempre e comunque un colpevole…anche se spesso ci si sofferma sulla persona sbagliata!”

“Per questo motivo si cerca di indagare evitando di soffermarsi sulle supposizioni!” gli fece notare Van Pelt, composta e matura come sempre.

“già, che fregatura eh?” gli disse divertito.

“ in poche parole, stai dicendo che hai un’idea ma che quasi sicuramente è quella sbagliata?!” gli chiese, leggermente confuso Cho che, nel frattempo, si era alzato dalla sua sedia.

L’unica risposta che però riuscì ad ottenere fu il sorriso solare di Jane che senza dire una parola e gettandosi la giacca dietro la schiena, uscì dall’ufficio, ignorando gli sguardi dei tre detective puntati sulla sua schiena. 

 

 

*******

 

La sera era giunta veloce quasi quanto il mattino, lasciando che una leggera brezza facesse il suo ingresso  tra le strade di Sacramento.

L’aria era decisamente più respirabile e fresca rispetto a qualche ora prima, rendendo quasi necessario indossare una leggera giacca sopra la maglia semi-autunnale. In fin dei conti l’estate era tramontata da un po’ di tempo, e godere di quella freschezza serale era il minimo viste le alte temperature del pomeriggio.

Certo, in California il freddo non era decisamente all’ordine del giorno, anzi; ma almeno una minima differenza rispetto a luglio o agosto era giusto sentirla.

Senza accorgersi del silenzio che da un po’ regnava sovrano negli uffici del CBI, Teresa si sistemò la pistola e il distintivo sulla cinta dei jeans, allungandosi verso la scrivania per spegnere il computer che aveva utilizzato fino a poco prima. Anche se le seccava ammetterlo, lei e la tecnologia non sempre avevano un buon rapporto; non a caso ogni qual volta si trattasse di fare qualche ricerca su internet  assegnava il compito a Grace, la quale sembrava essere nata con il computer tra le braccia.

Dopotutto, ognuno aveva le proprie capacità e tra le sue non rientrava del tutto la predisposizione informatica.

Una volta spenta anche la luce del suo ufficio, la mora uscì dalla stanza, sistemandosi distrattamente le maniche della giacca nera che aveva appena indossato.

Alzato lo sguardo sulle scrivanie di fronte a lei, Teresa ebbe la conferma di ciò che, probabilmente, aveva immaginato poco prima: non c’era nessuno. Tutti erano tornati a casa, chi dalle loro famiglie, chi dalla propria fidanzata o, perché no, dal proprio cane, o qualsiasi fosse l’animale domestico. Che avessero il coraggio di tenere-

Lei non aveva ne famiglia, ne cani o gatti impazienti del suo rientro. Poteva rimanere fuori casa anche tutta la notte che nessuno se ne sarebbe accorto, nemmeno il suo vicino, che forse non sapeva neanche che lei era un poliziotto.

Perfino Minelli, che in quanto a carattere non brillava certo per dolcezza e simpatia, se ne andava sempre prima di lei. Anche Van Pelt, Cho e Rigsby erano usciti da un paio d’ore e lei, invece di seguire il loro esempio, era rimasta chiusa nel suo ufficio, sperando che qualche improvvisa ispirazione le dicesse come risolvere quel caso.

Velocemente si diresse verso il parcheggio del CBI, raggiungendo la sua amata auto nera, la quale quel giorno era stranamente rimasta al suo posto per tutto il pomeriggio. Non era da lei privarsi della guida, soprattutto se come opzione c’era il dover salire sul ferro vecchio di Jane.

-…non ci salirei neanche morta…- si disse, sorridendo, fermandosi davanti lo sportello del guidatore.

Già, ma allora perché quel pomeriggio aveva lasciato guidare Jane? Perché non avevano usato la sua auto?

Senza il bisogno di trovare una risposta quella domanda, Teresa appoggio le mani su entrambe le tasche della giacca, sbarrando istintivamente gli occhi.

“Le chiavi…” disse a voce alta, rivolgendosi più a se stessa che a qualcuno o qualcosa in particolare.

Come aveva potuto dimenticarlo?

Aveva perso le chiavi dopo essersi risvegliata e, dalla fretta, aveva smesso di cercarle, immergendosi completamente su quel caso.

Se solo Jane non si fosse divertito a prenderla in giro, a quell’ora non se ne starebbe lì in piedi davanti alla sua auto,  inesorabilmente chiusa,

“Maledizione!” imprecò nervosa, estraendo il cellulare dalla tasca.

Cos’altro avrebbe potuto fare? Non poteva rimanere lì; era tardi, tutti erano rientrati. E lui…lui non avrebbe potuto lasciarla lì, dopotutto le doveva un favore; e forse più di uno. Ma allora perché era così difficile comporre quel numero?

“Pronto…” disse, con un tono di voce leggermente più basso rispetto al solito “…ho bisogno di un favore…”.

Rimanendo in silenzio un paio di secondi, sulle labbra di Teresa si dipinse un leggero sorriso, dolce e, al contempo, quasi imbarazzato; un sorriso che troppo spesso non riusciva a controllare, soprattutto con lui.

 

 

Ahhhh lo so lo so è passato un sacco di tempo…scusatemi scusatemi scusatemiiiii!!!

Questa settimana sono stata un po’ impegnata e, tra una cosa e l’altra, non ho mai avuto il tempo di aggiornare. In più il capitolo si è dimostrato un po’ difficile, per lo meno rispetto agli altri. Scrivevo e scrivevo, poi mi accorgevo di aver dato troppi indizi…allora tornavo indietro, cancellavo e rifacevo tutto di nuovo. Un macello XDXD

Che dire…una sfida che mi ha tenuta lontana per un po’…ma per vostra sfortuna sono tornata!!! Muhahahaha J

Coooomunque prima di dilungarmi come sempre passo subito ai ringraziamenti per chi ha recensito:

 

evelyn_cla: Grazie per supportarmi sempre e per continuare a leggere e recensire. Sei sempre la prima a commentare e  questo, lo sai, mi fa sempre un enorme piacere. Anche se sei impegnata con la tua ff (che a proposito mi fai venire le crisi cardiache ogni volta XD) sei sempre pronta a recensire la mia….grazieeeeeeeeeeeeee sei mitica!!!!

Teresa la sto strapazzando un po’…ma qui dai mi sono trattenuta!!!! Cmq le sue espressioni mi sa che sono uno dei motivi per cui tifiamo per lei….W LE FACCINE DI LISBON XDXD!

[Dato che ci sono ti volevo dire che ho preso una cosuccia dalla tua firma…XDXD troppo bella la gif di Teresa e Patrick…non ho saputo resistere!!!!]

 

 

Brucy: sono davvero davvero contenta che la mia storia abbia attirato la tua attenzione….non solo per le relazioni tra i pg ma anche per il caso; diciamo che mi sto scervellando non poco per riuscire a farlo sviluppare come voglio, anche se devo ammettere che si sta dimostrando un’impresa molto ardua. Ma ce la farò…promessoXD

 

 

Ginger_and_the_Factory: sono d’accordissimo con teeeeee!!!! Lisbon e Jane devono assolutamente stare insieme. Sono perfetti…lui capisce lei e lei capisce lui. Quindi incrociamo le dita per le prossime serie. E nel frattempo, come dici tu, godiamoci le ffXDXD

 

 

23jo: Grazie mille per la recensione…è sempre una gran soddisfazione vedere che qualcun altro riconosce il tuo lavoro. Cmq sono una ragazza…xDXD

Spero di leggere qualche altra tua recensione (e lo stesso per tutti gli altri utenti^^)

 

Che dire…non immaginate quanto sono felice e soddisfatta nel vedere tutti questi commenti (…si lo so sono 4 ma io sono una che si accontenta XD).

Ogni volta che leggo una recensione mi viene una voglia di scrivere pazzesca…per questo dedico a tutti voi questo capitolo e tutti gli altri già scritti e che scriverò.

Grazie di aver speso un po’ del vostro tempo per leggere questa…creazione chiamiamola così.

Grazie grazie grazie!!^^

Un bacione…a presto

 

Ps: ho modificato eri-aggiornato il capitolo, cercando di correggere gli errori grammaticali che ho fatto (da asina XD)…spero di averli corretti tutti, altrimenti ditemelo; perché purtroppo, leggendolo e rileggendolo le stesse cose un miliardo di volte, molti errori non riesco a vederli (anche i più vistosi) e così li lascio. È come quello studio che hanno fatto in America dove hanno dimostrato che il cervello tende a correggere automaticamente le parole scritte in maniera errata.

(Se se…tutte scuse XD)

Cmq ringrazio Brucy per avermelo fatto notare….grazieeeeee!!!!!! se non me l’avessi detto non me ne sarei accorta!!!!!Baci

 

T.L.

 

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo ***


CAPITOLO 5

CAPITOLO 5

 

 

Da quasi una decina di minuti, il silenzio faceva da padrone all’interno della Citroen grigia, ovviamente guidata da Patrick Jane.

Con ogni probabilità era l’unico in possesso di un’auto così “singolare” in tutta Sacramento, per non dire in più della metà della California. Grigia, sportiva, francese… Insolita, nel vero senso della parola; come del resto lo era lo stesso proprietario.

Non si poteva definire un auto di gran classe, soprattutto visti il colore e i pneumatici consumati dall’asfalto. Solitamente le auto europee erano associate a figure di spicco della città, come politici, medici e avvocati di successo, ma in quel caso si poteva tranquillamente dire che Jane rappresentava la perfetta eccezione alla regola.

Il lieve brusio emesso dal motore sembrava costituire una sorta di sottofondo musicale in quella tesa atmosfera tra i due colleghi di lavoro, i quali non sembravano volersi impegnare poi molto per farla attenuare.

“Non hai niente da dire?” le chiese improvvisamente Jane, la cui voce risultava quasi ovattata dal prolungato silenzio sceso nella macchina.

“No!” si limitò a rispondere Lisbon, intenta ad osservare ciò che scorreva dal finestrino alla sua destra.

In quel momento limitarsi a definire Lisbon semplicemente irritata sarebbe stato un eufemismo in piena regola, soprattutto dopo la comparsa di quella leggera ruga al centro della fronte.

Era stanca e glielo le si leggeva chiaramente in faccia; stanca di dover continuamente scendere a patti con quell’uomo, soprattutto quando il suo unico scopo era quello di fregarla in qualche modo.

-Al diavolo lui e il suo stupido gioco della “caduta”- pensò tra se e se la mora, riesumando dalla memoria il giorno in cui Jane le aveva chiesto di ristabilire la fiducia tra loro attraverso il gioco della caduta, un classico tra i ritiri lavorativi.

Come poteva un essere umano, dotato anche solo delle più scarse capacità mentali, credere che una caduta all’indietro riuscisse a convincere due persone a fidarsi l’una dell’altra?! Era una cosa stupida e insensata.

Già, peccato che fino a qualche mese fa lei rientrava proprio tra quelli che ci credevano.

Questo fino al giorno in cui Patrick Jane aveva cominciato a giocare con le loro menti, naturalmente senza chiedere il minimo permesso.

“Sembri arrabbiata…” continuò Jane, posando per una frazione di secondo lo sguardo su Teresa Lisbon, la cui espressione imbronciata lo faceva quasi divertire.

Non che farla arrabbiare fosse uno spasso certo… non sempre almeno; ma doveva ammettere che vedere quel suo inconfondibile sorriso dipinto sulle labbra era così…così piacevole. Persino Rigsby aveva dimostrato di apprezzarlo in più di qualche occasione, anche se in maniera del tutto inconsapevole, visto che per gran parte della giornata non aveva occhi che per la rossa del team.

“Ti sbagli...” gli rispose Teresa, con un tono di voce per nulla convincente.

Già, Lisbon era carina quando sorrideva, e su questo non vi erano dubbi, ma anche quella ruga nervosa sulla fronte era così…così…

“Anzi no…è vero sono arrabbiata!” esclamò improvvisamente la donna spostando finalmente lo sguardo dal finestrino a Jane, il quale, per una frazione di secondo, si ritrovò a ringraziarla mentalmente per non avergli fatto concludere quello strano pensiero che, improvvisamente, aveva cominciato a gironzolargli nella testa.

“Ah…e perché?” le chiese, non sforzandosi affatto di controllare quel suo sorriso quasi intrigante.

Perché ti diverte”

“Che cosa?!

“Vedermi arrabbiata!”

“…mmm…non sempre…” le rispose ironico, anche se quella sua constatazione rispecchiava fin troppo bene i suoi reali pensieri.

Possibile che anche Lisbon, a modo suo, avesse imparato a leggergli nella mente?

Certo, la cosa non era possibile, almeno non come lo faceva lui; ma, ad ogni modo, sembrava aver imparato a conoscere fin troppo bene gran parte dei suoi atteggiamenti, come aveva chiaramente dimostrato qualche ora prima, davanti agli altri tre componenti della squadra. Aveva descritto una parte del suo carattere in un paio di minuti.

A dir poco ammirevole.

Certo, in realtà Teresa non conosceva affatto il vero Patrick Jane, l’uomo distrutto dalla sete di vendetta, l’arrogante che per anni aveva ingannato il prossimo per un semplice tornaconto economico; il “Jane” spaventato e arrabbiato che, per tutto il tempo in cui era al CBI, teneva accuratamente nascosto in un angolo remoto della sua mente, attento che nessuno lo intravedesse in alcun modo, o per lo meno non senza il suo permesso.

Quello, però, non aveva importanza, non in quel momento.

Lisbon stava imparando a conoscerlo, almeno un po’.

Dopotutto trascorrevano molto tempo insieme, ed era difficile non entrare in confidenza,  cosa che lei,  invece, sembrava voler evitare a tutti i costi.

Lei si era dimostrata pronta a conoscere qualsiasi  lato oscuro o scheletro nell’armadio della vita di Jane, ma guai se lui, a sua volta, cercava di conoscere anche una sola piccola parte del suo passato.

“Non entrarmi nella testa”. Era questo il principale messaggio che i suoi occhi gli inviavano ogni qual volta cercasse di capirla, di conoscerla in qualche modo.

Purtroppo, però, con Patrick era pressoché impossibile riuscire a nascondere i propri segreti, o per lo meno non tutti.

Troppe volte il sub-conscio esternava atteggiamenti e pensieri che, stupidamente, si credono rinchiusi nella propria mente. Com’era accaduto quella stessa mattina.

Lisbon, infatti,  non si era irritata per una sciocchezza come la richiesta di Jane di  vedere la casa, non era di certo una bambina. Ma il fatto che il biondo avesse letto un suo comportamento, o semplicemente tradotto un suo gesto, per scoprire qualcosa che lei aveva volutamente nascosto, …la mandava decisamente in bestia. E questo lui lo sapeva benissimo. Dopotutto non era la prima volta che Lisbon si arrabbiava per quel suo modo di fare enigmatico e insolito.

Restava, però, il fatto che lei conosceva molte cose del suo passato, come  il suo reale odio nei confronti di John il Ross e la poca importanza che dava alla sua stessa vita.

Teresa conosceva solo ciò che lui stesso le aveva detto, certo, o quanto c’era scritto nel suo dossier; dossier che, con ogni probabilità, ogni membro della squadra aveva recuperato in qualche modo.

E Jane, dal canto suo,  conosceva soltanto la Lisbon che la mente e il linguaggio involontario di quest’ultima gli rivelavano, mai quella descritta dal suo cuore.

Chissà, forse in realtà entrambi avevano lo stesso problema; la stessa paura di farsi conoscere per ciò che erano in realtà.

“Lo vedi…ti dico che sono arrabbiata e tu te ne stai zitto…ad ascoltare quello che la tua mente deviata ha da dire!”

“credi che la mia sia una mente deviata?” lechiese divertito.

“Tutti abbiamo la mente deviata…solo che la tua lo è più del normale!”

Lisbon…è inutile che ti arrabbi con me perché non trovi le chiavi…” le rivelò l’uomo, lanciandole l’ennesimo sorriso.

“Sì invece!” continuò, con tono a dir poco convinto Teresa “...quando Van Pelt ha nascosto le chiavi tu le hai ritrovate nel giro di cinque minuti. E adesso che sono io ad averle perse non mi aiuti”

“Teresa Lisbon…sei gelosa di Van Pelt?” le chiese divertito, sapendo bene il genere di reazione che avrebbe provocato quella domanda.

“Cosa?!” chiese esterrefatta, confermando le previsioni di Jane.

non ci sarebbe nulla di male…”

“Ah no?” esclamò la donna, ritrovandosi, suo malgrado, a sorridere.

“no! dopotutto sono un uomo affascinante…e tu…tu sei il capo, con tutti i doveri che ne comporta” disse ironico, lanciandole una veloce occhiata, per poi tornare a guardare la strada.

Questa volta, però, Lisbon non rispose, limitandosi a voltarsi nuovamente verso il finestrino, con un insolito sorriso dipinto sulle labbra sottili.

Quando, poco prima, si era accorta di non avere ancora ritrovato le chiavi della macchina, il primo nome a cui aveva pensato era stato proprio quello di Jane che, nel giro di qualche minuto, si era presentato nel parcheggio del CBI, con quel catorcio che lui si ostinava a voler chiamare “auto”.

La cosa che, però, continuava a chiedersi era: perché proprio lui? Perché non aveva chiamato Rigsby o Cho; perché non aveva chiamato suo fratello Lucas che, con ogni probabilità, avrebbe colto al volo l’opportunità di passare un po’ di tempo con lei.

Certo, la lista delle persone che avrebbe potuto chiamare erano poche, per non dire scarse, ma Jane non era di certo l’unico. Eppure…

“Sei preoccupata…” affermò Jane, assumendo improvvisamente un tono di voce più serio, come se lo scambio di parole di pochi istanti prima non si fosse mai verificato

“certo che sono preoccupata…non abbiamo scoperto nulla da stamattina..non è molto rassicurante!” si giustificò Lisbon, tornando a guardare l’uomo al suo fianco.

“Il caso non centra. È da stamattina che sei preoccupata…o meglio da ieri sera, verso l’ora di cena.

“Ti sbagli…”

“Fammi indovinare…” disse, anche se sapeva che le probabilità di azzeccarci erano decisamente alte “…hai scoperto qualcosa di poco piacevole, qualcosa che è riuscito a tenerti sveglia tutta la notte!”

“Ti ho detto che non è così…” continuò a negare Teresa, più nervosa e tesa rispetto a poco prima; tanto da non accorgersi nemmeno di non sentire più il rumoroso suono del motore dell’auto, la quale si era fermata a pochi metri da una palazzina a nord di Sacramento.

 “Sei arrivata tardi…cosa che non fai mai, neanche dopo aver lavorato tutta fino a  tardi…”
“Capita anche ai migliori…”

“già….Ma…”

“Smettila Jane…” sussurrò Lisbon, senza mai guardare Patrick direttamente negli occhi, come se il solo farlo potesse farla scoppiare da un momento all’altro.

“…hai pianto?!” suggerì, con un chiaro obiettivo nella mente.

“Ti ho detto di smetterla!” esclamò Teresa, a voce più alta rispetto al sussurro di poco prima.

La donna rimase immobile, quasi pentita.

Per un secondo aveva rischiato di perdere il controllo, ma anche questa volta non lo aveva fatto, anche questa volta era riuscita a trattenersi.

Perché era questa una delle principali caratteristiche del suo carattere. Lei riusciva a mantenere sempre l’ equilibrio, riusciva sempre a fare attenzione a tutto ciò che le veniva detto o fatto; in particolar modo riusciva a fare in modo che nessuno dei giochetti di Jean andasse contro la legge.

Lei sapeva fare tutte queste cose, senza mai crollare un solo attimo, neanche quando davanti le si presentava un caso così simile a quella che era la sua vita passata.

Un piccolo cedimento, certo, uno scalino di una gradinata non visto, una leggera caduta, una strigliata a Van Pelt e al suo essere sempre dolce e comprensiva, quasi invadente. Quello non era nulla, nulla in confronto al suo auto-controllo.

La cosa importante, però, era non ricordare, nemmeno per un attimo.

– non pensare al passato-, ecco la regola principale; mai, neppure quando sembrava quasi sentirne il bisogno. Perché solo il passato era in grado di far crollare la sua corazza, l’unico in grado di tagliare il sottile filo della sua anima che teneva in piedi l’equilibrio che così spesso l’aveva caratterizzava.

Non rivangare, in nessun modo.

E quello che stava facendo Jane, in quel momento, era proprio riportarla indietro, farle ricordare ciò che voleva dimenticare.

Non era bastata la telefonata di ieri a rendere le cose più complicate del dovuto?  Evidentemente no.

“scusami…divento inopportuno quando ho appetito” affermò Jane, sapendo di essersi scusato nel peggiore dei modi, come del resto accadeva quasi sempre.

“No ti sbagli…sei sempre inopportuno!” lo congedò Lisbon, fredda come lo era ogni qual volta qualcuno cercasse di leggerle dentro “…a domani Jane!”.

Scese velocemente dalla macchina, senza degnare di uno sguardo l’uomo dai capelli ricci e biondi, il quale, però, non sembrava altrettanto incline a lasciare così in sospeso la loro “conversazione”, se così la si voleva chiamare.

“non puoi fare sempre così Lisbon!”

“Così come?!” gli chiese, senza arrestare la sua maratona verso il portone della sua palazzina.

“Così…” le disse Jane, sorpassandola facilmente e fermandosi davanti a lei, lanciandole uno dei suoi sereni sorrisi, in grado di affascinare persino la più cinica delle zitelle “…puoi fidarti di me…” aggiunse, serio, guardandola direttamente negli occhi.

“Certo lo so…dopo il giochino della caduta mi fido ciecamente”

“così mi offendi” affermò, leggermente ferito da quel suo modo di fare così freddo e distaccato, persino con lui, che avrebbe fatto di tutto pur di aiutarla.

“no tu mi offendi! Mi offendi quando cerchi di entrarmi nella testa senza chiedermi se per me va bene, quando cerchi di leggere il mio comportamento per scoprire se ti ho mentito in qualche modo…”

cosa che fai spesso…”

“Sì perché non voglio che tu…”

“Che io?...

“non voglio..

“non vuoi che scopra qualcosa di te?” esclamò, più come constatazione che suggerimento.

“Esatto” affermò più distaccata di quanto in realtà non volesse essere “…come fai tu del resto!”

“Io? Non credo visto che conosci molte più cose tu di me di quante in realtà ne conosca io del tuo passato”

“è vero..ma solo perché le circostanze ti hanno costretto. Tutto quello che mi hai confessato l’ho hai fatto per un tornaconto, se non addirittura perché obbligato….” Gli disse, guardandolo dal suo esile metro e sessantacinque.

Questa volta Jane non rispose, limitandosi a fissarla negli occhi, come se cercasse un qualche briciolo di rimorso per quello che gli stava dicendo.

“…come la storia del tuo psichiatra, giusto?!” gli ricordò Teresa, più soddisfatta rispetto a poco prima “….mi hai detto chi era solo perché altrimenti non ti avrei aiutato. O sbaglio Jane?” gli chiese, quasi a volerlo sfidare, in quel confronto a viso aperto.

“Già…hai ragione” le disse, spiazzandola come pochi al mondo riuscivano a fare “Allora non c’è da temere Lisbon” aggiunse, fingendo un sorriso “siamo degli ottimi colleghi di lavoro!”

Rimase a guardarla per un secondo, un secondo che sembrò durare un eternità, provando quasi una sorta di nostalgia all’assenza di quel suo sorriso così singolare e sincero.

Senza dire una parola, ma limitandosi, come poco prima, a sorriderle,  la oltrepassò, leggermente deluso da quel scambio di parole così duro e distaccato.

Con la sua consueta camminata sicura ed elegante, quasi quanto il suo completo grigio, Jane si apprestò a raggiungere la sua auto, quando improvvisamente il cellulare di Lisbon squillò, attirando l’attenzione di entrambi i presenti.

Lisabon…” rispose la donna, fissando un punto causale alla sua destra.

Silenzio, un immenso e interminabile silenzio, interrotto solo da lievi assensi emessi dalla donna dai capelli scuri

“…sì capo…sono con Jane” aggiunse, partecipando finalmente a quella telefona con protagonista il capo del CBI, Virgil Minelli..ci rechiamo subito lì!” disse, spostando il suo sguardo sul diretto interessato, il quale sembrava averle letto nel pensiero, arrestando la sua marcia verso l’auto prima ancora che la donna parlasse.

Dopo aver riattaccato il telefono, Lisbon lo rimise nel taschino destro della sua giacca scura, guardando Jane con un’espressione più seria e professionale rispetto a poco prima.

“Hanno trovato un altro corpo…in un parco, a dieci kilometri di qui!” lo informò, avvicinandosi di qualche passo.

Jane sorrise, indicandole con il braccio destro la sua affidabile auto grigia, come se il loro dialogo di poco prima non avesse assolutamente intaccato il loro rapporto, professionale o personale che fosse.

“Prego…” disse soddisfatto, seguendo il passo sicuro e controllato di Teresa.

 

******

 

 

Il luogo del crimine sembrava incredibilmente simile a quello visto la mattina stessa. Strada affollata da un continuo via vai di automobili, la cui fretta traspariva chiaramente dalla velocità e dal disinteresse con cui oltrepassavano il corpo senza vita;  un corpo di donna riverso a terra, con gli abiti completamente imbrattati di sangue, per non parlare del volto, tumefatto più dai lividi che dagli agenti atmosferici che fino ad allora lo avevano colpito; e il poliziotto, lo stesso giovane agente che ore prima aveva presentato la prima vittima agli agenti del CBI che, in quel momento, si apprestavano a raggiungere il cadavere a pochi metri da dove avevano parcheggiato l’auto.

“Chi si rivede” esclamò Jane, vedendo l’agente Keys con lo stresso sguardo di chi si sentiva incredibilmente fuori luogo.

“Oh salve…lei è l’agente Jane giusto?” chiese, avvicinandosi a sua volta ai due.

“No , ui è un consulente...”  precisò Lisbon, con il suo consueto tono professionale.

Com’era imprevedibile l’umore; la mattina Teresa aveva facilmente omesso quell’importante particolare riguardante il ruolo professionale di Jane, come se, in qualche modo, avesse voluto rendere più rilevante l’uomo al suo fianco che, con tanta premura, le aveva portato il caffè in ufficio. Ora, invece, dopo una “litigata”, se così la si voleva chiamare, era ritornato a vestire i panni del semplice consulente.

Anche il giovane agente davanti a loro sembrava aver colto quel semplice quanto considerevole dettaglio.

Una volta che Lisbon si fu allontanata per avvicinarsi al corpo, Jane si avvicinò al poliziotto in divisa, con un fare decisamente troppo teatrale per essere preso sul serio da chi lo conosceva davvero.

“…l’ho fatta arrabbiare…ed ora…Da agente a semplice consulente!” disse, per poi raggiungere Lisbon, lasciando l’uomo al suo fianco con un indecifrabile espressione dipinta sul volto.

“Chi è?” chiese Lisbon, osservando la donna seduta ai piedi di un albero, come se in realtà stesse tranquillamente attendendo qualcuno o qualcosa.

Le braccia, completamente ricoperte da tagli e contusioni, cadevano inermi sul ventre della vittima, la quale sembrava trovarsi in quella determinata posizione per un obiettivo ben preciso dell’assassino, un obiettivo ancora sconosciuto a chi osservava in quel momento la scena del crimine.

Maria Ivarez, ventidue anni…” rispose una voce di donna alle loro spalle “…dalla patente risulta che viveva nel Cansas. Abbiamo già contattato i genitori…” aggiunse il poliziotto della zona, una donna di si e no una quarantina d’anni, sulla cui targhetta risplendeva il nome “Morgan Coolman”.

“Questa volta chi l’ha trovata?” chiese Lisbon, mentre il consulente della sua squadra osservava più da vicino la vittima.

“Io” rispose l’agente Keys, con un tono decisamente meno esperto rispetto la donna dai capelli biondi al suo fianco “….stavo per finire il mio turno quando me ne sono accorto. Mi è sembrato insolito…perché mi era già sembrato di intravederla poco dopo aver lasciato il luogo della prima

vittima!”

“Sembra lo stesso modus operandi…” osservò Teresa, inginocchiandosi accanto a Jane, proprio di fronte alla giovane dagli occhi verdi come lo smeraldo.

Aveva la pelle scura, tipica delle sue origini spagnole. Anche i capelli, lunghi e scuri quasi quanto quelli della prima vittima, rispecchiavano perfettamente i tratti somatici della sua cultura ispanica; mossi e indomabili, le cadevano lungo le spalle smilze, arrivando quasi a sfiorare le dita pallide e marmoree, incrociate le une alle altre, quasi fossero in preghiera.

Sembrava aver assunto una tipica posizione di attesa. Come se attendesse, paziente, la morte in persona che, puntuale, era giunta a portarla via con se.

L’unica cosa in grado di contrastare con quella perfetta e così reale ricostruzione, così vicina all’essere un soggetto di un dipinto, era lo sguardo; uno sguardo troppo spaventato e triste per appartenere a qualcuno di così paziente e inerme.

Anche i polsi, così sottili e delicati, portavano gli evidenti segni dei lividi, dovuti sicuramente a qualcosa di duro e indistruttibile, qualcosa in grado di renderle impossibile qualsiasi movimento, qualsiasi via di fuga.

Era morta nel terrore e nella paura, proprio come Susan Long.

“….forse si tratta di un serial killer…” propose l’agente Keys, rimasto in silenzio per tutto il tempo.

“Non corriamo troppo…” lo riprese Lisbon, rialzandosi da terra “…aspettiamo gli esiti della scientifica.

“Voi siete del CBI giusto?!”

“Esatto. Ci terremo in contatto.”

Dopo aver scambiato qualche sguardo con la donna dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, Lisbon si riavvicinò al cadavere, vicino al quale si trovava ancora Jane, il cui sguardo appariva decisamente interessato.

“Andiamo…?”

“Guarda gli occhi della donna…”

“li vedo..gli fece notare ovvia, incrociando le braccia davanti al petto.

“sono aperti…”

“forse sta ad indicare qualcosa che le vittime devono vedere…anche dopo  la morte” suggerì Lisbon, osservando lo stesso punto indicato da Jane.

“già…O qualcosa che noi dobbiamo vedere. Vuole che facciamo attenzione ai particolari…ci tiene alla scena del crimine, al modo in cui NOI troviamo i corpi. Gli serve un contesto eclatante, come la strada, o un contesto scenografico, come la rappresentazione di una giovane ragazza ai piedi di un albero…priva di vita…da più di un giorno “ le spiegò, guardando Teresa direttamente negli occhi “Entrambe le vittime hanno i capelli scuri; entrambe gli occhi verdi…”

..entrambe sono di origini straniere…” continuò Lisbon, in perfetta sintonia con il ragionamento di Patrick.

“…è un serial killer!”

 

 

 

 

Rieccomi qui con il capitolo numero cinque!!!!!

Lo so..avrei voluto anch’io far chiarire subito Lisbon e Jane ma…sono maleficaaaaa!!!! Muhahahahah (c’ho preso gusto con tutte queste risate malefiche XD)

Cmq allora prima preciso alcune cose…Mi sono permessa di dare un nome ad uno dei fratelli di Lisbon perché, purtroppo, per ora non si sa ancora niente sul loro conto…tranne che sono 3. Lucas mi è sembrato un nome abbastanza simile a Teresa, ma se avete qualche consiglio da dare in merito fate pure…sapete che qui sono sempre bene accetti. ^^

A questo proposito mi collego alle recensioni ringraziando Brucy per avermi fatto notare gli errori grammaticali che, dalla fretta, non ho visto. Grazie milleeee…avrei fatto una figuraccia da panico se non me lo avessi detto. Ho riletto tre volte questo capitolo prima di postare, ma…visto che qualche errore mi sarà sicuramente sfuggito, mi scuso fin da subito :P

Cmq  sono d’accordissimo con te Brucy, anch’io credo che il tenere sulle spine sia un tentativo di Jane per dare un senso alla sua vita, una vita completamente comandata da John.

grazie mille Brucy…spero davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ho fatto il possibile per non deluderti!!!!^^

 

23jo hai proprio ragione…la classe non è acqua e la nostra Lisbon ne ha da vendere. Anche se in questo capitolo ho fatto in modo di renderla molto più combattuta del solito…spero di esserci riuscita ^///^

 

E passiamo alla mia dolcissima collega….evelyyyyn, che con la sua ff sta seriamente cercando di uccidermi XD (COMEEE???? Hai cinque capitoli pronti e mi fai soffrire così??? Adesso vado subito a leggere e commentare quello che hai pubblicato, vediamo se il mio povero cuore ne risentirà ancora XDXD).

Cooooomunque…come tardi torto, anch’io adoro Teresa, è una grande sia nel modo di fare che per il suo carattere. E nei nuovi episodi non si può fare a meno che tifare per lei….Sì …qua siamo tutti PRO-LISBON!!!! J

 

 

Infine, ma non di certo in ordine di importanza XD, grazie di cuore a Valery_Ivanov che continua a seguire la mia ff.

Come mi hai fatto notare tu e tutti gli altri, sono davvero davvero daavvero contenta di riuscire a mantenere i personaggi OOC, è una delle cose a cui faccio più attenzione di tutte, perché naturalmente un telefilm si ama in particolar modo per il carattere dei personaggi, perciò anche le ff devono cercare di mantenere il loro carattere originale. Maaimè…è una delle cose più difficili di tutte. Infatti anche in questo capitolo ho rischiato di andare fuori OOC, ma spero di essere riuscita a salvarmi in extremis XD

 

Che dire…anche questa volta mi avete resa stra felice con i vostri commenti….vi ringrazio di cuore, siete la mia fonte di ispirazioneeeeeeee.

Un bacione carissimi lettori…..al prossimo capitolo ^^

 

Ps: per qualsiasi cosa, chiarimento o altro, non esitate a contattarmi….per me è un piacere!!!!

 

 

T.L.

 

 

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