He lives in my neighborhood di Ily18 (/viewuser.php?uid=19279)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** He lives in my neighborhood ***
Capitolo 2: *** Cambio di programma ***
Capitolo 3: *** Conoscendoci meglio ***
Capitolo 4: *** Il mattino seguente ***
Capitolo 5: *** Pomeriggio ***
Capitolo 6: *** sera ***
Capitolo 7: *** Rimpianti? No grazie! ***
Capitolo 8: *** Accettalo, Sara ***
Capitolo 9: *** Ricordi ***
Capitolo 10: *** Dirglielo, o non dirglielo, questo è il problema ***
Capitolo 11: *** Bella addormentata ***
Capitolo 12: *** Paure ***
Capitolo 13: *** Boccone amaro ***
Capitolo 14: *** Niente più sfumature ***
Capitolo 15: *** Messaggi ***
Capitolo 16: *** Cambiamento ***
Capitolo 17: *** Consigli ***
Capitolo 18: *** Toc-Toc ***
Capitolo 19: *** Prova a prenderlo ***
Capitolo 20: *** Epilogo - I live in his neighborhood ***
Capitolo 1 *** He lives in my neighborhood ***
A/N: Bene, vi
volevo far capire un po' come questa storia è nata. Mentre
guardavo una puntata della prima serie di Prison Break in Inglese, ho
notato come una frase sia stata malamente tradotta in Italiano.
Vi spiego meglio, mentre
Sara fà delle ricerche su Michael, viene beccata
dall'infermiera Kate che le dà della pedinatrice.
Lei per scusarsi dice che
non si capacita del fatto che uno come Michael, che vive nel suo stesso
quartiere, possa essere finito in un carcere come Fox River.
Questa storia era nata come One-shot, ma convinta da un'amica mi
è venuta voglia di continuarla; comunque sia, non ho ancora
nuovi capitoli pronti, per ora. Cercherò di aggiornare
appena possibile, oppure di lasciarla come One-shot.
E questa era la storia della fiction che state per leggere. Basta farfugliare, buona lettura!
Era uno degli Aprili più caldi degli ultimi anni, quando
Sara decise che era ora di cambiare aria, di cercarsi un nuovo
appartamento in una zona un po’ più rispettabile
nel centro di Chicago.
Tutta la sua vita era ben impacchettata in un paio di scatoloni ben
chiusi nel cofano della sua macchina che si era appena fermata di
fronte a quella che ormai era la sua nuova casa.
Si soffermò a guardarla dal finestrino della sua auto. Era
una modesta casa color crema, costruita su due piani e con una grande
porta in legno dipinta con un colore chiaro che Sara non seppe definire.
“Abbastanza
anonima” pensò la prima volta che la
vide. Fu proprio per quell’impressione che ricevette, che
decise di prenderla.
“Essere la
figlia del governatore fa avere spesso gli occhi della gente addosso,
è ora di un po’ di anonimato”
pensò scendendo finalmente dalla sua auto. Si
fermò ancora una volta a guardare la casa, poi si diresse
verso il portabagagli. Lo aprì e poggiò a terra
una delle tre scatole.
“Ha scelto
davvero un brutto periodo per fare questi lavori pesanti”
disse una voce maschile alle sue spalle che la fece girare di scatto.
Sara vide di fronte a sé un ragazzo coi capelli molto corti
che indossava un abito beige, che sembrava molto costoso, e,
soprattutto, che aveva gli occhi azzurri più belli che
avesse mai visto.
“Sa
com’è…cogli l’attimo!
–disse imbarazzata cercando di suonare il più
naturale possibile– era
ora di agire, ho rimandato anche troppo!”.
“Beh, lasci
che le dia una mano con questi scatoloni, - il ragazzo
prese in mano le due scatole che sembravano più pesanti- anche se vedo che viaggia
abbastanza leggera, si ferma qui per poco?”
disse notando le poche scatole che Sara si portava dietro.
“No, a dire il
vero mi stò trasferendo qui definitivamente…spero!
–rise nervosa- ma
sul serio, non si preoccupi per queste –indicò
le scatole che il ragazzo teneva in mano- sono poche e abbastanza leggere
e poi lei è vestito così…bene
–scosse la testa quasi divertita nel vedere quanto bene fosse
riduttivo- non vorrei
sentirmi in colpa se si rovinasse l’abito”.
“La signora
alla tintoria ne sarebbe entusiasta… -disse il
ragazzo prontamente facendo ridere Sara di gusto– e mi darebbe una scusa in
più per tornare a casa a cambiarmi
–le sorrise- allora,
dove gliele porto?” chiese.
“Oh,
-Sara scosse la testa quasi sorpresa dalla domanda del ragazzo- a dire il vero è la
casa qui di fronte” disse mentre saliva i pochi
gradini di fronte alla porta.
“Sul serio?
–chiese il ragazzo divertito- allora è lei la
famosa vicina di casa di cui si parlava tanto in giro! Beh, io vivo
nella casa di fianco a lei –indicò la
casa a sinistra di quella di Sara- si
senta pure libera di venire a chiedermi del sale quando vuole”
disse camminandole dietro.
Entrambi risero divertiti, per questa strana coincidenza, mentre
entravano in casa di Sara e poggiavano le scatole nel salotto.
“Non per
sembrarle inopportuno, ma se non vuole essere conosciuta nel quartiere
come l’ultima arrivata, farebbe meglio a dirmi almeno il suo
nome… forse non lo sa, ma sono tra gli abitanti
più potenti qui…” disse
fintamente intimidatorio facendo uno sguardo serio che voleva sembrare
minaccioso.
“Ah beh, in
tal caso non mi oppongo! -Sara sorrise divertita- Sono Sara e lei è il
primo ad usare una scusa così bizzarra per chiedermi come mi
chiamo” disse divertita mentre gli porgeva la
mano.
“Beh Sara,
spero che per bizzarro intenda in modo simpatico.
–disse stringendole la mano- Quindi lei è
Sara… una donna senza cognome…misteriosa, mi
piace. –disse divertito- Beh, piacere, io sono Michael
Scofield”
“Tancredi”
disse Sara lasciando andare controvoglia la mano di Michael.
“Scusi?”
chiese Michael confuso
“Tancredi,
Sara Tancredi…e ti prego, diamoci del tu perché
nel giro di dieci minuti in cui ci siamo dato del lei, mi sono sentita
abbastanza avanti con gli anni” disse divertita,
mentre Michael annuiva divertito a quella sua richiesta.
Dov’era finito il suo piano di rimanere anonima per un
po’? Dopotutto era quello che l’aveva spinta a
trasferirsi lì dove non conosceva nessuno e, soprattutto,
nessuno conosceva lei. Certo far sapere a quel ragazzo, per lo
più suo vicino di casa, che aveva a che fare col governatore
non era stata una buona mossa, anche perché, ne era sicura,
ora l’avrebbe riempita di domande.
“Tancredi?
–chiese Michael con un’espressione curiosa- ti dispiace se ti faccio una
domanda?”
“No…”
mentì Sara. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato, ma
dopotutto lui non aveva colpa per essere un po’ curioso,
l’unica da incolpare era lei e la sua maledetta bocca.
“Il tuo
cognome… -disse Michael lentamente guardandola
fissa negli occhi- per
caso ha a che fare con l’Italia?”
“Ehm…
-Sara lo guardò con uno sguardo che andava dal confuso allo
spiazzato- credo di
si…” disse infine scuotendo la testa,
mentre un sorriso prendeva posto sul suo viso.
“Cosa ti fa
sorridere in quel modo?” le chiese curioso.
“Uhm, niente
–fece finta di sistemare qualcosa su un mobile di modo che
lui non potesse vedere che ancora sorrideva per la piacevole sorpresa
di quella domanda che non si aspettava- è solo che nessuno mi
aveva mai chiesto una cosa del genere sul mio cognome…
-si girò finalmente a guardarlo in faccia- a dire il vero, credo tu sia il
primo!” disse scuotendo la testa ancora una
volta, divertita.
Sara lo sentiva, quel ragazzo aveva qualcosa di strano rispetto a tutti
gli altri che erano entrati e, rapidamente, usciti dalla sua vita senza
lasciare altro che tristezza e solitudine. Con Michael era diverso, si
conoscevano da soli dieci minuti, ma lei già si sentiva bene
ad averlo intorno. Si disse che era stupido sentirsi così
per qualcuno che non conosceva, ma era più forte di lei.
“Sarà
che sono uno a cui piace distinguersi dalla massa.
–le sorrise gentilmente- Posso
chiederti cosa ti ha spinto a trasferirti qui?”
le chiese delicatamente.
“Volevo
cambiare aria, stare in un posto un po’ tranquillo”
disse mettendosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
“Beh, direi
che hai fatto la scelta giusta, a meno che lo sferruzzare delle anziane
del quartiere non sia troppo rumoroso o stressante per
te…” disse Michael con
un’aria seria che fece sorridere Sara.
“Beh,
sarò costretta a farci l’abitudine!
–gli rispose ancora divertita dalla sua battuta- E invece cosa ci fa un ragazzo
come te in un quartiere del genere?” chiese
curiosa.
“Ho sempre
vissuto qui con mia madre e mio fratello.
–infilò le mani nelle tasche dei pantaloni- Da quando lui si è
sposato e nostra madre è… -si prese
un momento e prima di continuare prese un respiro profondo- …morta io sono
rimasto qui… -la guardò negli
occhi- anche
perché mia madre non mi perdonerebbe mai se vendessi la
casa!” aggiunse con un sorriso.
“Mi
dispiace…” fu l’unica cosa
che Sara riuscì a dire nel vedere lo sguardo ferito di
Michael mentre parlava della madre. Gli mise una mano sul braccio per
fargli capire che quel “mi
dispiace” era veramente sentito e non una
semplice frase di circostanza.
Michael la guardò ancora una volta negli occhi e le sorrise
dolcemente.
Sara si ritrovò a sorridere imbarazzata nel sentirsi
nuovamente i suoi occhi addosso e fu costretta a distogliere lo sguardo
e fissare un punto non definito delle sue scarpe, tutto per paura che
quegli occhi scavassero troppo a fondo e capissero quanto si sentiva
bene in quel momento. Sola con Michael.
“Le farfalle
nello stomaco? –si chiese Sara- questa sì che
è bella! Non lo conosco nemmeno e già mi fa
sentire così! E solo guardandomi!! Andiamo Sara, prendi un
respiro profondo…” si disse cercando
di calmarsi.
“Cosa ne dici
se ti offro qualcosa da bere a casa mia? –le
chiese poggiando la sua mano su quella che Sara teneva ancora sul suo
braccio- E prima che tu
risponda no, –aggiunse senza aspettare che Sara
rispondesse- lascia che
ti ricordi che sei appena arrivata e il tuo frigo è
desolatamente vuoto”
“Grazie per
avermelo fatto notare! –sorrise divertita
scuotendo la testa - beh,
non vorrei disturbare...” disse impacciata.
"Insisto"
le disse con un bellissimo e dolcissimo sorriso che costrinse Sara
a cedere al suo invito.
"D'accordo
-sorrise divertita- accetto
volentieri anche perché non mi lasci molta
scelta…” aggiunse fingendo che questa
costrizione non le facesse piacere.
I due uscirono da casa di Sara per entrare subito in quella di Michael.
“Fai pure come
se fossi a casa tua” si sentì dire
Sara mentre Michael la faceva entrare in casa prima di lui poggiandole
gentilmente una mano sulla schiena.
Sara fu sorpresa di vedere come anche un ragazzo potesse vivere in un
appartamento in ordine. Tutti i ragazzi che aveva conosciuto tenevano
sempre qualche mutanda sparsa in giro per la casa o buste di patatine
vuote sul divano. Ma non Michael. Lui era diverso, ormai
l’avrebbe dovuto capire.
Lì era tutto perfetto, non una cosa in disordine, i colori
dei mobili si accompagnavano perfettamente a quelli delle pareti, tutti
i suoi CD erano in perfetto ordine sul ripiano di un mobiletto,
così come i DVD nel ripiano più basso.
“Cosa ti posso
offrire?” –le chiese Michael
distogliendola dai suoi pensieri- Coca,
un succo, birra…?”
“Birra? -sorrise
divertita- Michael, non
pensavo fossi il tipo che fà entrare una ragazze in casa sua
per farla ubriacare! -disse divertita, mentre Michael si
affacciò alla porta della cucina per sorriderle
divertito- Una
Coca va benissimo, grazie” aggiunse con
un sorriso, prima che lui prendesse dal frigo quello che lei
gli aveva chiesto.
“Ecco.
–le porse la lattina- che dici
se ti faccio fare un tour della casa?” le chiese
gentilmente. Sara annuì.
“Bene,
seguimi… –le disse facendo di nuovo
uno di quei suoi bellissimi sorrisi che a Sara piacevano sempre di
più- questa
è la cucina, –lui e Sara entrarono
velocemente nella cucina che risultava la più piccola delle
stanze- questo
è il bagno, –guardarono da fuori il
bagno che rispetto alle altre stanze, aveva le pareti e il pavimento
celesti- questa
è quella che ormai è stata ribattezzata
‘la camera degli ospiti’
–indicò l’unica stanza, che Sara
notò, aveva la porta chiusa.
“Forse Michael
non ha spesso degli ospiti in casa”
pensò Sara.
“Questo
è il mio studio, -entrarono in una stanza molto
più seria rispetto alle altre, con una grande scrivania
piena di fogli enormi e degli scaffali pieni di libri che incuriosirono
Sara- e…beh,
questa è la mia stanza…
-indicò un po’ imbarazzato la sua stanza che aveva
un grande letto a due piazze nel mezzo, un tavolo vicino alla finestra
con un portatile sopra e un grande armadio- e da qui si ritorna al
salone” disse Michael concludendo il tour.
“Penso che il
mio appartamento non sarà mai perfetto come il tuo”
disse Sara sorseggiando un po’ della sua Coca.
“Datti un
po’ di tempo, dopotutto sei appena arrivata.
–le fece segno di accomodarsi sul divano- E se ti servisse aiuto di ogni
tipo, basta che bussi alla mia porta” le disse
sorridendole gentilmente.
“Grazie
Michael” rispose Sara annuendo e sorridendo
timidamente. Era una sua sensazione, oppure quello che sentiva era un
senso di protezione? Il solo fatto di sentirgli dire che per lei ci
sarebbe stato, l’aveva fatta sentire protetta, quasi al
sicuro. Era una sensazione quasi sconosciuta per lei, dato che in tutti
questi anni l’unica persona sulla quale avesse mai potuto
contare era stata sé stessa.
“Ti dispiace
se ti lascio sola giusto il tempo di cambiarmi velocemente?”
le chiese quasi controvoglia. Era strano, ma stava bene lì
con lei a parlare del più e del meno. Finalmente aveva
qualcuno della sua età con cui discutere di cose diverse da
nipoti che non chiamano mai, punti croce e mezze stagioni che non
esistono più. Non che le vecchiette del posto non lo
trattassero bene, anzi era come un nipote acquisito per loro, ma con
Sara…non sapeva spiegarselo, e forse una spiegazione logica
non esisteva, ma si sentiva bene con lei…
“Tranquillo,
ti aspetto qui” le disse quasi rassicurandolo
che di lì non si sarebbe mossa.
Michael le sorrise e, dopo aver preso un altro sorso dalla sua lattina,
entrò in camera sua.
“Non mi hai
ancora detto cosa fai per vivere” chiese
improvvisamente Michael mentre era ancora in camera sua a cambiarsi.
“Oh,
-Sara sorrise sorpresa di quanto poco tempo resistettero in silenzio- sono un medico al Chicago
Medical Center”
“Un medico uh?
–disse sorpreso- una
volta sono stato ricoverato lì da bambino”
“Beh, mi
dispiace per te, ma in quel periodo ero bambina pure io, per cui il tuo
tentativo di darmi della vecchia ha fatto cilecca!
–sorrise divertita sentendo Michael che rideva a sua volta da
camera sua- Tu invece
di che ti occupi?” chiese curiosa
“Sono un
ingegnere edile, mi occupo di curare nei minimi dettagli le planimetrie
degli edifici”
“Ecco
cos’erano tutti quei fogli giganteschi nel tuo
studio” disse mentre si alzava dal divano
perché incuriosita da delle foto che Michael aveva su un
mobile.
“Già,
mi hanno appena affidato un nuovo incarico…
-disse uscendo da camera e raggiungendola in salone mentre, con addosso
dei jeans scoloriti e delle Converse nere ai piedi, finiva di infilarsi
una polo nera su una felpa bianca a maniche lunghe- quella è mia
madre” aggiunse notando la foto che Sara aveva
preso in mano
“Era davvero
bellissima” disse Sara con un leggero tono di
tristezza nella voce, mentre rimetteva la foto al suo posto.
“Beh, con un
figlio come me pensavo che questo dubbio non esistesse
nemmeno…” disse Michael facendo
l’offeso.
“Ah si?
–arrossì per la battuta di Michael- Mi devo ricordare di dire in
giro che il tuo pregio migliore è la modestia”
aggiunse ridendo seguita da Michael.
“Questi invece
sono mio fratello Lincoln, sua moglie Veronica e loro figlio
LJ” indicò un’altra foto.
“Sembrano
proprio una bella famiglia” disse, mentre
finalmente distoglieva per un momento lo sguardo dalle foto e lo posava
su Michael. Non riusciva a credere che una persona potesse risultare
così bella con solo dei vecchi jeans scoloriti ed una
normalissima maglietta addosso.
“Già,
sono contento per entrambi. –sorrise- Voglio dire, sono perfetti
l’uno per l’altro e non ti nascondo che qualche
volta li invidio… –aggiunse con un
tono di amarezza nella voce- si
conoscono da quando erano bambini ed è stata solo questione
di tempo prima che capissero che insieme erano perfetti. Invece per me
trovare qualcuno con cui stare bene si è rivelata
un’impresa impossibile” disse un
po’ triste. “Per
lo meno finora…” avrebbe voluto
aggiungere, ma si trattenne per non sembrare una di quelle persone che
solo dopo aver parlato cinque minuti con una ragazza già
pensano sarà quella giusta. Lui non era un tipo del
genere…ma allora perché si sentiva
così…strano? Forse era un effetto del profumo di
albicocca che sentiva sui capelli di Sara? O forse era il buon profumo
della sua pelle? Scosse la testa quasi divertito da tutti quei
particolari che, di sicuro, una persona normale non avrebbe notato.
“Ti capisco,
-Sara si girò per guardarlo negli occhi- ma sono convinta che, prima o
poi, tutti sono destinati a trovare la persona giusta”
disse forse più convincendo sé stessa.
“Sai, sono
sicuro che a mia madre saresti piaciuta,
–sorrise divertito scuotendo leggermente la testa- adorava le persone che non si
danno per vinte. A me e a mio fratello ripeteva sempre di avere
fede” disse malinconico riguardando per un
istante la foto della madre.
I due rimasero un po’ in silenzio. Era la prima volta da
quando si erano incontrati.
“Così
anche voi ingegneri avete il permesso di andare a lavoro vestiti in
modo normale e non sempre con quegli elegantissimi abiti?”
chiese Sara rompendo il silenzio che si era creato.
“No,
-sorrise Michael divertito da quella strana domanda che nessuno gli
aveva mai fatto- per
oggi col lavoro ho finito, a dire il vero ho promesso a Lincoln e
Veronica che sarei andato a pranzo da loro.”
“Oh, e io ti
sto facendo fare tardi, vero? –disse veramente
dispiaciuta- Mi
dispiace così tanto!” disse andando
verso il divano dove aveva appoggiato la sua borsetta.
“No, no
tranquilla! –la rassicurò- sono in largo anticipo”
disse guardando l’orologio. In realtà sarebbe
dovuto essere lì già da dieci minuti, ma non gli
importava. “Lincoln
capirà” pensò.
“Beh, grazie
di tutto…le scatole, la Coca, il giro turistico”
gli disse sorridendo.
“Figurati,
grazie a te per la compagnia! –le sorrise e si
prese un po’ di tempo prima di andare avanti- Senti… non
è che ti va di venire? –le chiese
quasi maledicendosi per questo slancio di confidenza che, ne era
sicuro, l’avrebbe messa in imbarazzo- Dopotutto non penso abbia niente
di pronto per pranzo…” aggiunse
evitando di guardarla negli occhi mentre cercava le chiavi della
macchina e stando attento a farle pensare che l’aveva
invitata a pranzo perché altrimenti sarebbe stata a digiuno
e non perché moriva dalla voglia di stare ancora un
po’ con lei.
“Grazie, ma
non c'è bisogno che ti preoccupi,
–sorrise dolcemente colpita da quell’invito che, di
certo, non si aspettava- sono
già d’accordo con un’amica per mangiare
in un locale” gli disse porgendogli le chiavi
che Michael stava cercando disperatamente.
“Grazie
–sorrise piacevolmente sorpreso per questo gesto che faceva
sembrare che i due si conoscessero da tanto tempo- però non puoi
lasciarmi con la coscienza sporca, -entrambi uscirono da
casa di Michael- permettimi
di offrirti almeno la cena e, ancora una volta, uso la scusa del frigo
che è desolatamente vuoto” le disse
mettendosi di fronte dopo averla raggiunta di fronte alla staccionata
che divideva i giardinetti delle loro case.
“Muoio dalla
voglia di mangiare della pizza” gli disse senza
pensarci su.
“Perfetto,
-sorrise- e questa
volta hai accettato subito!” aggiunse
compiaciuto.
“Beh, hai
delle motivazioni inattaccabili…”
disse Sara divertita
“E’
il vantaggio di avere un avvocato come cognata…
–sorrise- quindi
pizza e film a casa mia, diciamo, verso le nove?”
le chiese mentre le porgeva la mano per salutarla.
“Perfetto,
però il film lo porto io!” disse
prontamente Sara stringendo la mano di Michael.
“Suona come
una minaccia… -disse scherzando- ma correrò il
rischio” aggiunse quasi malizioso.
Quell’ultimo sguardo malizioso non era sfuggito a Sara, che
seguiva con lo sguardo Michael mentre si dirigeva verso la sua macchina.
“Grazie per
non aver fatto nessun commento su mio padre” gli
disse poco prima che lui aprisse la portiera della macchina.
“Non
è mia abitudine giudicare le persone da quello che i loro
genitori fanno o non fanno…” le
rispose accennando un sorriso poco prima di salire in macchina.
Poco prima di partire rivolse un ultimo sguardo a Sara e la
salutò nuovamente con un cenno della mano e poi
partì.
Sara si ritrovò a seguire, con lo sguardo, la macchina di
Michael finché questa non svoltò
l’angolo.
Scosse la testa divertita mentre si copriva gli occhi con entrambi le
mani.
“Intelligente,
gentile, educato e…stupendo! Direi che trasferirsi qui
potrebbe rivelarsi molto più interessante di quanto
pensassi…” si disse mentre rientrava
in casa, seguita da quella sensazione che, aveva già provato
ma mai in quel modo esagerato, di avere mille farfalle nello stomaco al
solo pensiero di poterlo rivedere.
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Capitolo 2 *** Cambio di programma ***
A/N:
Aggiornamento arrivato
prima del previsto! Prima di tutto grazie mille a Cristie per il
commento :) Per quanto riguarda le domande che mi hai fatto, non ho mai
pensato di scrivere la storia solo sotto il punto di vista di Sara, per
cui più avanti potrebbero esserci dei capitoli visti dal
punto di vista di Michael (anche se a dire il vero il mio intento era
quello di tenere la storia distaccata rispetto ai punti di vista dei
personaggi, ma sembra che io non ci sia riuscita!). Grazie per i
complimenti, spero tanto questo secondo capitolo sia all'altezza delle
tue aspettative!
Sara aveva passato le ultime due ore a buttare all’aria tutta
la roba presente nelle poche scatole che si era portata dietro. In meno
di mezz’ora sarebbe dovuta andare da Michael, per quello che
Sara si sforzava di non vedere come un appuntamento. Li aspettava una
tipica serata “pizza & film”. Aveva chiesto
qualche consiglio alla sua migliore amica, Katie, su quale film fosse
più adatto da guardare con un ragazzo.
“Prendi un
film sparatutto con qualche ragazza seminuda, vedrai che
gradirà! Dopotutto è un uomo come tanti”
fu il consiglio di Katie.
Sara scosse la testa divertita nel ripensare a quelle parole. Non
poteva dire di conoscere Michael, ma ne era sicura, lui non era uno
come tanti.
Rimase per qualche secondo a fissare le custodie dei film che aveva
affittato, “White Chicks” un film comico,
“Kill Bill vol.1” uno d’azione e
“Elizabethtown” uno romantico. Di certo Michael non
poteva accusarla di non avergli offerto un’ampia scelta sui
film da guardare!
Tornò a concentrarsi su tutta la roba sparsa sul suo letto.
Alla fine optò per un paio di comodi jeans e una maglietta
color carta da zucchero a maniche corte.
Lanciò nuovamente uno sguardo alle lancette
dell’orologio e si cambiò.
Qualche secondo più tardi sentì il campanello
suonare.
“Un
momento!” disse, mentre finiva di infilarsi e
allacciarsi i jeans.
Raggiunta la porta, senza guardare chi fosse e farfugliando delle scuse
per averci impiegato troppo, aprì.
“Per quanto
questo quartiere sia tranquillo, ti consiglio sempre di dare
un’occhiata dallo spioncino. –le disse
Michael, prendendola in giro nel modo più carino che Sara
potesse ricordare- Sai,
molti lo sottovalutano ma è una grande invenzione!”
continuò sorridendole.
“Già…
-rispose a metà dall’essere divertita per quella
sua battuta e imbarazzata per la figura che aveva appena fatto- Cambiando discorso, pensavo
dovessimo vederci da te tra… -diede
un’occhiata al suo orologio- dieci minuti”
gli fece notare confusa.
“Già,
sono venuto per parlarti di questo… -disse
cercando di evitare il suo sguardo- credo dovremmo annullare la
nostra serata…” continuò
con un tono di scuse che non passò inosservato a Sara.
Michael si sentiva gli occhi di Sara addosso e, apparentemente, lo
sguardo della ragazza sembrava nascondere molto più di
quello che Michael riuscì ad intuire.
Sara ne era convinta, nonostante i suoi sforzi, Michael aveva capito
quanto c’era rimasta male da quello che suonava come un
rifiuto.
“E tu che
credevi fosse diverso! –le disse una vocina
nella testa- E’
esattamente come tutti gli altri…
–insistette la vocina- …
a meno che…”
“Va tutto
bene?” riuscì finalmente a
chiedergli. Con quella domanda aveva deciso di aggrapparsi
all’unica speranza che, in quei pochi secondi, era riuscita a
scacciare tutti i brutti pensieri su Michael che avevano iniziato a
farsi spazio nella sua mente. Lui era diverso, Sara ne era certa, e di
sicuro c’era una valida ragione che lo aveva costretto ad
annullare la loro serata.
“Si”
rispose lui abbozzando un sorriso e sorpreso da questa domanda.
“Bene,
-si disse Sara- rassegnati,
sei stata appena scaricata!”
“Ok,
-disse suonando fredda- allora
ci vediamo in giro…” disse abbozzando
un falso sorriso ed evitando di guardarlo in faccia.
Sara fece per chiudere la porta, ma Michael alzò prontamente
la mano per bloccarla.
Lo guardò confuso, mentre sul viso di Michael era spuntato
un sorriso quasi compiaciuto.
“Credo tu
abbia frainteso quello che ho detto. –disse
costringendola a riaprire la porta e salendo su uno dei tre gradini
presenti di fronte alla porta di Sara- Dobbiamo annullare la nostra
serata ‘pizza & film’ perché
penso che una giornata come questa passata in casa, sarebbe
sprecata”
“Ti sto
ascoltando…” disse curiosa di sapere
cosa passava nella testa di Michael.
“Ok…
-disse divertito dal sentirla così interessata da quello che
le stava per dire- Ho
sentito dire che in città è arrivato un nuovo
luna park… -cercò gli occhi di Sara
per vedere la sua reazione e notò un sorriso curioso
spuntare sulle sue labbra- Potrebbe
interessarti? -chiese infine, ma prima che la ragazza
potesse rispondere aggiunse- E
se hai intenzione di dirmi no, sono disposto a promettere che ti
comprerò uno zucchero filato gigante!”
aggiunse ridendo.
Sara sorrise divertita per quel suo modo originale di invitarla ad
uscire. “Sapevo
che era diverso!” pensò.
“Zucchero
filato gigante eh? Come posso dire di no!
–sorrise- Dammi
cinque minuti per cambiarmi” disse, mentre
rientrava in casa.
“Non ce
n’è bisogno, sei perfetta”
disse Michael senza pensarci, mentre metteva una mano sul braccio di
Sara per bloccarla.
Michael non aveva realizzato cosa aveva appena fatto, finché
non notò uno sguardo sorpreso sul viso di Sara e le sue
guance leggermente rosate dall’imbarazzo. Che non fosse
abituata a ricevere complimenti? “Impossibile!”
pensò Michael.
“…
Perfetta per andare ad un Luna Park” si corresse
lasciando andare il braccio di Sara, che aveva un dolcissimo sorriso
imbarazzato che faceva capolino sulle sue labbra.
Sara continuava a stare lì a fissarlo divertita, mentre le
farfalle che tanto aveva cercato di tenere imprigionate se ne andavano
a spasso per il suo stomaco. Aveva appena immaginato tutto, oppure
Michael le aveva appena fatto un complimento? Il suo lato egocentrico
la costrinse a pensarla così e doveva ammettere che la
sensazione che provava era stupenda. Non che non fosse abituata a
riceverne, ma detto da Michael suonava quasi… naturale!
“Ok…
-disse imbarazzata cercando di pensare a qualcosa di sensato da dire- Allora entro a prendere la
borsetta e torno subito” aggiunse guardando la
mano di Michael che stava ancora sul suo braccio.
“Ok, questo te
lo concedo” sorrise lasciandola andare.
Sara gli aveva appena dato le spalle per entrare in casa, quando disse “Oh, per la cronaca,
anche tu sei perfetto… Per andare al Luna Park, ovviamente.
–aggiunse, girandosi il tanto giusto per incrociare il suo
sguardo ed entrando in casa.
Questo non era da lei, pensò con un sorriso mentre cercava
la sua borsetta, non era la tipa che si metteva a flirtare con un
ragazzo conosciuto qualche ora prima.
Prese in mano le chiavi e, giocherellandoci, uscì di casa
con quel sorriso che non riusciva a scacciare dal suo viso.
“Il luna park
è qui vicino, -le disse Michael- ti va se facciamo due
passi?”
“Certo”
le rispose camminandogli a fianco.
“Bene.
–le sorrise mentre s’incamminavano- Allora,
com’è andato il pranzo con la tua amica?”
le chiese curioso.
“Bene, un
pranzo come tanti. Invece tu che mi dici del tuo pranzo in
famiglia?” gli chiese a sua volta.
“Alla grande a
dire il vero! –girò leggermente il
viso per poterla guardare negli occhi- A quanto pare sarò
zio per la seconda volta” aggiunse con un
sorriso imbarazzato.
“E’
stupendo, Michael!” disse Sara contenta per lui.
Michael poteva giurarci, non aveva mai sentito qualcuno, a parte
Lincoln, così felice per lui.
“Già,
mio fratello mi ha fatto avere la notizia in un modo tutto
suo… -disse sorridendo prima di schiarirsi la
voce e imitare quella grossa di Lincoln- Mike, dato che tu non ti dai da
fare, il compito di mandare avanti la dinastia tocca tutto a
me!”
“Però,
tuo fratello sì che ha tatto!” gli
fece notare Sara divertita da quell’imitazione.
“Già,
lo penso anch’io! –disse Michael
ridendo a sua volta- Sarà
meglio per lui che non sia una femminuccia!”
disse con tono serio.
“Ci odi
così tanto?” gli chiese Sara, con la
stessa espressione di un cucciolo che era appena stato sgridato.
Michael la guardò, sorpreso di come un’espressione
così infantile la rendesse così stupendamente
dolce.
“No!
–si sforzò di distogliere lo sguardo dai suoi
occhioni- E' solo che
lui abbiamo un patto” disse con un sorriso
malinconico.
“Ah si? Che
patto?” chiese Sara curiosa.
Michael la guardò imbarazzato, indeciso se aprirsi con
quella ragazza che aveva conosciuto qualche ora prima, ma che gli
sembrava conoscere da una vita. Prese un respiro profondo.
“Chi di noi
due avesse avuto per primo una figlia, l’avrebbe potuta
chiamare come nostra madre. –incrociò
i suoi occhi malinconici con quelli curiosi di Sara e aggiunse con un
sospiro- Christina
Rose…”
Sara si ritrovò a guardarlo con aria sognante, prima
imbarazzata per avergli portato alla mente dei ricordi tristi su sua
madre, poi commossa da quello che aveva appena sentito e dal fatto che
Michael aveva deciso di aprirsi in quel modo con lei.
Non pensava che Michael potesse essere così adorabilmente
egoista, da preferire un altro nipotino maschio piuttosto che sentire
il nome di sua madre su una bimba che non era sua figlia.
“Penso che
questa sia la cosa più dolce che io abbia mai sentito!
-gli disse appoggiando delicatamente la sua mano sul braccio destro di
Michael- E penso che se
avrai fede come ti diceva tua mamma, tuo fratello avrà
un’intera squadra di football finché tu non avrai
la tua Christina Rose!” aggiunse sorridendo.
Michael si ritrovò imbambolato a sorridere, perso nella
forma che gli occhi di Sara prendevano quando sorrideva, nel suono
della sua genuina risata e nel perfetto sorriso che era sempre presente
sulle sue labbra. Quel sorriso lo faceva impazzire e si
ritrovò a sperare che la sua Christina avesse un sorriso
bello quanto quello di Sara.
“Se lei fosse
la madre dei tuoi figli, questo non sarebbe
impossibile…” gli disse una vocina
nella sua mente che cercò di scacciare il più in
fretta possibile, quasi impaurito che Sara la potesse sentire e
scappasse via terrorizzata.
“Michael, sei
tra noi?” gli chiese Sara divertita, mentre gli
schioccava le dita di fronte agli occhi.
“Si,
scusa” disse divertito da quella situazione.
Era da molto che non gli capitava di incantarsi di fronte ad una
ragazza. A dire il vero, forse questa era la prima volta che gli
succedeva. Con Sara era tutto diverso da come se lo ricordava. Mani che
sudavano al solo pensare di starle vicino, una strana sensazione di
vuoto nello stomaco al solo pronunciare il suo nome, battiti cardiaci
aumentati improvvisamente al solo sfiorare la sua pelle di porcellana,
mente leggera e libera di fantasticare a come sarebbe grandioso
spendere il resto della sua vita accanto a lei e brividi lungo la
schiena al solo sentire il suo nome, Michael, pronunciato da lei. Per
non parlare di quanto gli piaceva parlare con lei. Mai un momento
imbarazzante tra loro, mai una battuta fuori luogo; e se
c’era un momento di silenzio tra loro, non era casuale o
imbarazzante, era giusto che fosse così.
“Tutto troppo
perfetto per essere vero, –gli disse la vocina
della sua parte realista- avrà
già qualcuno al suo fianco”
“Sai,
-disse Sara costringendolo a smettere di pensare ad altro per
ascoltarla- io non ho
la minima idea di come chiamerò i miei figli.
Sarà stupido, -continuò abbassando
lo sguardo, imbarazzata da quello che stava per dire- ma credo che prima di scegliere
un nome, debba vedere tuo figlio in faccia…”
“Non
è stupido” disse Michael
interrompendola e sorridendole dolcemente.
Sara lo guardò in faccia e sorrise a sua volta prima di
continuare.
“…
Ma per un caso come il tuo, farei un’eccezione,
perché la tua motivazione è la più
dolce e tenera che abbia mai sentito”
finì la frase di prima, mentre abbassava nuovamente lo
sguardo perché imbarazzata dagli ipnotizzanti occhioni
sorpresi di Michael.
“Beh,
grazie!” disse Michael toccato da quelle sue
parole, mentre le poggiava gentilmente una mano sulla schiena.
“Christina
Rose Scofield –disse Sara alzando
improvvisamente lo sguardo e corrugando la fronte- sai che non suona niente
male?” gli fece notare con una buffa espressione
in viso, mentre annuiva leggermente.
“Di certo
è meglio di Christina Rose Burrows!”
sorrise Michael.
Notò che Sara non sorrise con lui e le spiegò
cosa lo divertiva tanto.
“Io e mio
fratello abbiamo cognomi diversi. –le
spiegò- Io
ho quello di mia madre, lui quello di mio padre”
disse notando, come l’espressione confusa sul viso di Sara
lasciava spazio ad una divertita.
“Michael
Burrows… -ripeté più
volte, mentre lentamente portava i suoi occhi ad incrociare quelli di
Michael- Non suona per
niente bene!” disse scuotendo la testa, mentre
una buffa espressione contrariata appariva sul suo viso.
“Già,
lo penso anch’io! Fortuna ho preso il cognome di mia
madre!” disse sollevato, passandosi una mano
sulla fronte.
Questo gesto fece ridere Sara. Di nuovo.
Michael non era il tipo di persona che si definisce divertente; certo,
anche lui faceva delle battute, ma in pochi sembravano capirle.
Invece lei… Beh, lei era Sara.
Michael pensò fosse inutile continuare a fare paragoni tra
lei e tutte le altre persone che precedentemente erano apparse nella
sua vita. Per quanto potesse suonare scontato e sdolcinato, Michael
doveva ammettere che Sara era diversa.
Mentre Sara continuava a ridere, divertita da quel semplice gesto di
Michael, lui notò che avevano raggiunto il luna park.
“Incredibile
come vola il tempo, quando hai vicino una persona che ti fa stare
bene” pensò divertito, continuando a
sentire quella risata che gli riempiva dolcemente le orecchie.
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Capitolo 3 *** Conoscendoci meglio ***
“Così,
questo è il luna park di cui mi hai parlato?”
chiese Sara, divertita nell’indicare le poche giostre che si
trovavano a pochi passi da loro.
“Penso di
sì… a dire il vero mi ero immaginato qualcosa di
meglio” disse Michael sorridendo, mentre si
passava una mano sui corti capelli.
Di fronte a Michael e Sara c’era una pista per le macchinine
dell’autoscontro, una giostra semi-deserta che girava
stancamente in tondo, un bancone del tiro a bersaglio dove potevi
vincere qualche pupazzo e un signore che vendeva pop-corn e zucchero
filato.
“Beh, che ne
dici di quello zucchero filato che ti avevo promesso?”
le chiese Michael indicando il signore che lo vendeva.
“Dolci prima
di cena?” chiese Sara fintamente scandalizzata
da quella proposta.
“Tranquilla,
sarà il nostro piccolo segreto” disse
Michael portando l’indice destro sulle labbra e porgendo il
palmo della mano sinistra a Sara.
Sara sorrise divertita e, prendendo la mano di Michael, si diressero
verso la piccola bancarella.
“Due medi di
zucchero filato” disse Michael gentilmente.
Mentre il signore si dava da fare per esaudire i due clienti, le mani
di Michael e Sara erano ancora l’una nell’altra e a
nessuno dei due la cosa sembrava dare fastidio. Anzi, sembrava una cosa
così… normale!
Quando il signore li porse quello che avevano ordinato, furono
costretti a lasciarsi andare.
“Ok, ti ha
preso per mano, ti ha comprato lo zucchero filato, ti ha portato al
luna park… forse gli piaci?” si
ritrovò a pensare Sara, mentre guardava Michael pagare.
Sorrise, mentre prendeva un po’ del suo zucchero filato e se
lo portava alla bocca.
Lentamente fecero un giro del luna park e notarono che, oltre le poche
cose che avevano visto, non c’era veramente
nient’altro; quindi decisero di sedersi su una delle tante
panchine vuote, mentre entrambi finivano di mangiare.
“Sai, da
piccola non sono mai stata ad un luna park“
disse Sara prendendo un batuffolo del suo zucchero filato.
“Nemmeno ad
uno squallido come questo?” le chiese Michael
divertito.
Sara lo guardò per un momento e sorrise. Poteva capire
quanto Michael era deluso e imbarazzato da quello che pensava fosse un
luna park serio e che invece si era rivelato essere un…
bidone.
Ma a lei, che ad un luna park non c’era mai stata, questo
posto un po’ piaceva.
“No
–disse finalmente rispondendo alla sua domanda- mia madre è morta
quando ero ancora piccola e mio padre è sempre stato troppo
impegnato con le sue campagne politiche per… preoccuparsi di
me” aggiunse con un tono triste e un finto
sorriso sulle labbra che non sfuggì a Michael.
Si maledì per averle fatto tornare alla memoria dei ricordi
tristi come quelli; loro due erano lì per divertirsi, non
per piangersi addosso.
“Quindi non
sei mai salita su una giostra?” le chiese
dolcemente, mentre, girandosi a guardarla, cercava di assumere
un’espressione scioccata.
“No.
–rispose divertita nel vedere Michael con gli occhi sgranati
verso di lei- Infatti
la prima cosa che mi son ripromessa di fare quando avrò dei
figli, è quella di portarli alle giostre almeno una
volta” continuò ridendo, mentre
finiva il suo zucchero filato.
“Beh,
-disse Michael avvicinandosi un po’ di più a lei e
assumendo quell’espressione maliziosa che Sara stava
imparando a conoscere-
non pensi che un genitore dovrebbe sapere a cosa vanno incontro i
propri figli?” le chiese accennando un sorriso.
“Michael,
dimmi che ho capito male!” gli disse portandosi
una mano sulla bocca che si era spalancata per lo shock
dell’idea che Michael le stava accennando.
“Che male
c’è? –disse avvicinandosi
un po’ di più e sussurrandole
all’orecchio- In
giro non c’è praticamente nessuno, le giostre sono
deserte e sempre in funzione…”
“Oddio, dimmi
che non dici sul serio!” disse Sara sempre
più divertita da quella situazione.
“Sì
invece. –le rispose alzandosi dalla panchina- Io sono sempre serio!”
le fece notare, mentre in piedi davanti a lei le porgeva la mano.
“Non dovremmo
farlo, lo sai vero?” disse divertita, dando voce
alla sua parte razionale, mentre prendeva la mano di Michael e si
alzava a sua volta dalla panchina.
“Certo che si,
ma è proprio per questo che sarà più
divertente” disse guardandola per un momento
negli occhi e dirigendosi verso la giostra.
Entrambi salirono sulla piattaforma girevole della giostra.
A Sara non sembrava vero, da piccola aveva sempre voluto salire su una
giostra del genere, ma non aveva mai potuto.
Il fatto di essere la figlia del Governatore dell’Illinois le
aveva sempre causato più disagi che vantaggi, niente scuole
pubbliche fino ai 14 anni, niente amici che non fossero di un certo
livello sociale, niente festini a casa sua. Sara sorrise nel pensare
alla faccia che avrebbe suo padre se la vedesse ora divertirsi come una
matta con un ragazzo quasi sconosciuto, su una giostra per bambini.
Decise che era ora di godersi la vita senza pensare a lui, dopotutto
era per questo che si era trasferita, no?
Sara scelse di sedersi su una piccola carrozza, “come una
principessa” pensò, mentre Michael si mise a
cavallo di un unicorno che si trovava alla sua sinistra.
“Uomini!
–disse Michael serio agitando una spada invisibile- dobbiamo proteggere la
principessa!” aggiunse indicando Sara che faceva
fatica a rimanere seria.
Michael continuò a far finta di galoppare il suo destriero e
combattere contro nemici invisibili come un coraggioso cavaliere che
avrebbe dato la vita pur di salvare la “principessa
Sara”.
Quando il loro giro sulla giostra finì, Michael porse una
mano a Sara per aiutarla a scendere dalla carrozza.
“Sana e salva
al castello, milady” le disse facendo un inchino.
“Non so come
avrei fatto senza di Voi, Sir Scofield! –disse
seria stando al gioco- Stia
pur certo che il Sovrano saprà di questa sua
lealtà nei miei confronti”
Michael alzò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara,
prima di scoppiare a ridere entrambi.
Scesero dalla giostra per poi fermarsi quasi subito di fronte
all’unica bancarella che c’era lì
intorno.
“3 barattoli
per un peluche. –lesse Sara a voce alta- Direi che è meglio
abbandonare l’idea di tornare a casa con quel leoncino.
–disse sbuffando, mentre indicava un peluche che aveva
attirato la sua attenzione- La
mia mira fa un po’ schifo!” aggiunse
ridendo.
“Voglio
provare! –disse Michael poggiando i soldi sul
bancone e ricevendo tre palline di pezza- Chissà che questa
laurea in ingegneria non mi torni utile!” disse
rivolgendo un sorriso in direzione di Sara, mentre faceva rimbalzare
una delle palline sul palmo della mano destra.
Sara si ritrovò nuovamente a guardarlo in modo diverso e a
sorriderle imbarazzata.
Com’è che ogni cosa che faceva o diceva, sembrava
colpirla in modo così evidente?
“Uh, rischia
una figuraccia per prenderti il peluche che volevi tanto! Che sia
amore?” le disse la vocina nella sua testa.
Scosse la testa per scacciare via quel pensiero, dopotutto quello che
Michael stava facendo per lei era una cosa normalissima, un semplice
gesto gentile che avrebbe fatto per chiunque. Voleva convincersi di
questo, ma la vocina nella sua testa non le dava tregua. “Oh andiamo, chi vuoi
prendere in giro? Non vedi l’ora che vinca quel leoncino per
metterlo sul tuo comodino e guardarlo pensando a lui, la notte prima di
dormire e la mattina appena ti svegli. Quanto sei patetica
Sara!”
“Ecco a
te!” disse Michael riportandola alla
realtà e porgendole il peluche che aveva appena vinto per
lei.
“Grazie.
–disse prendendo il pupazzetto dalle mani di Michael,
cercando di sembrare meno imbarazzata di quanto in realtà
non fosse- Non
dovevi…” aggiunse timidamente,
guardandolo finalmente negli occhi.
“Lo so, ma
volevo. –disse sorridendo a sua volta- E poi, ammetto che avevo un
secondo fine, –disse fintamente serio, mentre
riprendeva a camminare seguito da Sara- quello di costringerti a
chiamarlo Michael Scofield II.” disse lentamente
girandosi verso di lei con uno strano sorriso.
“Ah
sì?” gli chiese Sara, divertita da
questo suo modo di fare.
“Già,
è un modo come un altro per continuare la dinastia”
le spiegò, cercando di rimanere serio.
“Beh, in
attesa di Christina ovviamente!” gli rispose
prontamente.
Michael si ritrovò a guardarla, qualche passo indietro
rispetto a lei, con un sorriso compiaciuto e dei piacevoli brividi
sulla schiena.
Non pensava che qualcuno avrebbe preso sul serio quel patto che lui e
suo fratello avevano; chi di loro due avesse avuto per primo una
figlia, l’avrebbe chiamata come la loro defunta madre.
Era sicuro che qualcun altro non avrebbe capito, ma non Sara. Lei
sapeva cosa voleva dire vivere senza una madre e con un padre assente.
In fondo loro due erano molto più simili di quanto Michael
credesse.
“Certo,
-le rispose finalmente, affrettando un po’ il passo e
camminandole nuovamente a fianco- in
attesa di Christina. –aggiunse- Che ne dici ora di quel film e
pizza che ti avevo promesso?” le chiese
poggiandole teneramente una mano sulla schiena.
“A dire il
vero mi è venuta voglia di un panino con hamburger,
-disse indicando il carrozzone di fronte a loro- anche se so già che
domani mi maledirò per questo!”
aggiunse ridendo.
“Ah, voi donne
e la linea! –sospirò Michael
scuotendo la testa- Sempre
a fare milioni di diete senza mai rendervi conto di quanto siate
perfette così come siete” aggiunse,
seguendola verso il carrozzone.
Passarono ancora un po’ di tempo a gironzolare per il luna
park, parlando del più e del meno e mangiando i panini che
avevano comprato, fino a quando decisero di riprendere la strada di
casa.
“Sul serio hai
frequentato la Loyola?” gli chiese stupita,
mentre giocherellava con la criniera del peluche che teneva in mano.
“Si,
perchè?” le chiese sorpreso.
“Io ero alla
Northwestern!” gli rispose con un sorriso.
“Scherzi?
–le chiese, rispondendo al suo sorriso- Sicura di non esserci
già incontrati, -disse serio- magari a qualche
festino?” aggiunse con un tono malizioso ed un
sorriso provocante.
“Non credo
proprio, Michael! -rispose prontamente, dopo aver
cancellato dal suo viso un’espressione sorpresa per la
domanda che le aveva fatto- Me
ne ricorderei…” aggiunse spiazzandolo.
“Devo
prenderlo come un complimento?” le chiese,
sorridendo nel ripensare all’ultima frase di Sara.
“Assolutamente
no! –gli rispose prontamente cercando di fare la
seria, ma tradendosi col sorriso che campeggiava sulle sue labbra- Sono una brava ragazza, non una
di quelle che frequentava i festini delle confraternite e i cattivi
ragazzi come te!”
Michael la guardò divertito e sorrise. “Attento Michael, -si
disse tra sé- le brave ragazze sono le più
imprevedibili…”
“E cosa ti fa
pensare che io non fossi un bravo ragazzo?” le
chiese provocatorio.
“Beh, tanto
per cominciare il fatto che tu abbia parlato di festini e non di noiose
biblioteche” disse con un tono di voce
sarcastico ed un’espressione che faceva suonare scontato
quello che aveva appena detto.
“No, quello
fà di me un ragazzo normale! -le disse
scoppiando a ridere- Mentre
invece le matricole come te che venivano da noi che eravamo gli
anziani… quelle sì che non erano per niente brave
ragazze!” le puntò l’indice
contro con fare accusatorio, mentre Sara rideva e scuoteva la testa.
“Sarei curiosa
di sapere a quante ragazze hai spaccato il cuore, Michael!”
disse senza pensarci.
“Nessuna, e
sai perché? –le chiese senza
aspettare una sua risposta- Perchè
io, sono un bravo ragazzo!” si indicò
il petto con l’indice della mano destra.
Sara sorrise nuovamente, divertita dallo scambio di battute che avevano
appena avuto.
Le piaceva stuzzicare Michael e vederlo così determinato nel
mostrarle che lui era veramente un bravo ragazzo.
Ma Michael non sapeva che Sara di questo ne aveva la certezza.
L’aveva capito subito, fin dal primo istante che lui le aveva
offerto il suo aiuto per scaricare le poche scatole dal bagagliaio
della sua macchina il giorno che era arrivata nel nuovo quartiere.
La mente di Sara tornò al periodo del college e ad
immaginare come sarebbe stato se loro due si fossero conosciuti nel
periodo in cui entrambi frequentavano
l’università, se si fossero conosciuti ad uno di
quei festini, se avessero studiato insieme, se le loro stanze fossero
state vicine, se avessero potuto approfittare di ogni momento libero
per stare seduti all’ombra del loro albero preferito a
parlare e baciarsi.
“Eccoci a casa.
-disse Michael riportandola alla realtà- Scusami per aver annullato la
serata e averti portato a quel luna park così
squallido” le disse abbassando per la prima
volta lo sguardo e suonando veramente dispiaciuto.
“Mi hai
regalato il mio primo giro su una giostra e questo bellissimo pupazzo,
-le fece notare lei gentilmente- direi
che è stata una delle serate più belle della mia
vita”
“Addirittura?”
le chiese malizioso sorridendole, mentre alzava nuovamente i suoi occhi
chiari per guardare in quelli marroni di Sara, che si limitò
ad annuire imbarazzata. Il solo sentirsi nuovamente il suo sguardo
addosso, le impediva di articolare una frase di senso compiuto.
“Beh, allora
spero che la nostra serata pizza e film sia disastrosa come
questa” le disse cercando una battuta ad effetto
che, Michael lo notò, fece sorridere Sara.
“Lo spero
anch’io” disse divertita da quella
battuta.
“A proposito,
che film avevi scelto?” le chiese curioso,
mentre la accompagnava verso la porta di casa sua.
“Questo
è un segreto che non saprai mai!” gli
disse spiritosa, mostrandogli la lingua.
Michael fece l’offeso per qualche secondo, poi
lasciò nuovamente che il suo bel sorriso prendesse il
sopravvento.
“Beh,
allora… Buonanotte, Michael” disse
Sara porgendogli la mano. Non aveva idea di come si sarebbero dovuti
salutare, se con una fredda stretta di mano, con un
un’amichevole abbraccio o con un più intimo bacio
sulla guancia.
“Buonanotte,
Sara” le rispose, stringendole la mano a sua
volta.
“Buttati
ragazza! –le disse la vocina nella sua testa- Cogli
l’attimo!”
Incoraggiata da queste parole, Sara si sporse leggermente verso Michael
e, senza rendersene conto, trattenendo il respiro si mise leggermente
in punta di piedi per potergli buttare più facilmente le
braccia al collo.
Sapeva che questa era una mossa un po’ azzardata, troppo
azzardata per una come lei, ma dopotutto non stava facendo niente di
male.
Non ebbe tempo di pensare oltre o di dare voce al suo pentimento per
quel gesto impulsivo, perché Michael rispose al suo
abbraccio cingendole dolcemente un po’ sopra la vita.
Quando si allentarono lentamente l’uno dall’altra,
Sara cercò di mascherare, con qualche ciuffo di capelli
cadutole sul viso, il leggero rossore che sentiva sulle guance, ma dal
sorriso compiaciuto che aveva visto sul viso di Michael,
capì che non c’era riuscita.
“Allora…
-disse Michael quasi sussurrando- ‘notte”
“Buonanotte”
rispose Sara, sorridendo nuovamente e decidendosi a dare le spalle a
Michael e incamminarsi verso la sua porta di casa che era distante solo
qualche passo.
“Mi raccomando
Michael II, –disse rivolgendosi al pupazzo che
Sara teneva in mano- controllala
mentre dorme” aggiunse serio.
Sara lo guardò divertita e sorpresa da quelle parole. “Controllala mentre
dorme?” ripeté trattenendo a stento
una risata.
“Già…
Non suonava tanto bene vero?” disse Michael
storcendo il naso.
“Non
tanto” disse Sara ridendo di cuore.
I due si salutarono un’ultima volta prima di tornare alle
rispettive case.
La prima cosa che Sara fece, fu quella di mettere sul comodino a
sinistra del suo lettone, il leoncino che Michael le aveva regalato.
Gli accarezzò nuovamente la criniera, dopodiché
entrò in bagno a cambiarsi prima di mettersi a letto.
Poco prima di spegnere la luce dell’abat-jour,
guardò ancora una volta il pupazzo e ripensò
all’ultima frase che Michael aveva detto e che
l’aveva fatta ridere.
Accarezzò un’ultima volta il leoncino e chiuse gli
occhi senza rendersi conto del solito sorriso che aveva quando pensava
a Michael.
La prima cosa che fece Michael quando entrò in casa sua,
fù togliersi le Converse dai piedi e sdraiarsi sul suo
lettone, nel buio della sua stanza.
Come cavolo gli era venuto in mente di dire quella battuta
così fuori luogo? Fortuna che Sara aveva capito che
scherzava.
Già, Sara… Che lo capiva così bene e
non lo fraintendeva mai.
Si girò a guardare la luna che s’intravedeva dalla
sua finestra e che illuminava leggermente la sua stanza.
Mise la mano destra tra la sua testa e il cuscino, lasciando che la
sinistra riposasse sul suo stomaco. Era stanco morto quella notte, ma
chissà perché, sapeva che il pensiero di una
ragazza dai corti capelli scuri non l’avrebbe fatto dormire.
A/N: La storia non
potrà essere aggiornata per un po' causa miei problemi di
connessione. Chiedo scusa a chi stà seguendo la mia storia
per questo incoveniente!
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Capitolo 4 *** Il mattino seguente ***
A/N: Eccomi
di nuovo qui, con un nuovo capitolo della storia. Ammetto che, per
essere una storia nata come one-shot, si sta tirando abbastanza per le
lunghe! ^_^
Volevo fare un ringraziamento super veloce aa "Zepher90"
per aver letto la mia storia
tutta d'un fiato, nonostante non sia il suo genere preferito :) e a
Christie, che spero abbia continuato a seguire l'evolversi della storia
:) .
Bene, dato che è da un po' che non postavo, quello che state
per leggere è senza dubbio uno dei più lunghi
capitoli che abbia mai scritto (un modo come un altro per chiedervi
scusa per il ritardo ^_^ ). Beh, per rinfrescarvi un po' la memoria,
scriverò un brevissimo riassunto della storia, di modo che
non siate costretti a rileggervi tutti i capitoli precedenti per
ricordare a che punto eravamo arrivati! :)
Piccola cosa che vi volevo far notare a proposito di questo
capitolo, è che è suddiviso in due parti:
1- La mattinata dal punto di vista di Michael.
2- La
mattinata dal punto di vista di Sara.
Riassunto:
Sara ha appena traslocato in un nuovo quartiere, lo stesso dove abita
Michael. I due, dopo aver passato parte della mattinata chiacchierando
del più e del meno, si danno appuntamento per quella sera
stessa. Obiettivo: Serata Pizza e Film. La serata salta
perchè Michael decide di portare Sara ad un luna-park di cui
ha sentito parlare.
Bene, buona lettura e ricordate che i commenti sono sempre ben accetti!
:)
(Michael)
Il mattino seguente, Michael si svegliò stranamente in
ritardo.
Corse in bagno per sciacquarsi velocemente, dopodiché prese
dal suo armadio, il primo abito che gli capitò.
“Blu scuro.” Pensò, dandogli
un’occhiata veloce prima di indossarlo. “Non
proprio il mio preferito…”
Dopodiché, entro velocemente in cucina e
acchiappò qualcosa da mangiare al volo. Questa sua abitudine
lo divertiva.
Fin da piccolo, la madre insisteva sempre che la mattina non uscisse
mai di casa senza aver messo qualcosa sotto i denti. Anche oggi,
quell’abitudine sembrava non abbandonarlo. La mattina, anche
se in ritardo, doveva sempre fermarsi in cucina a sgranocchiare
velocemente qualcosa.
Raccolse le chiavi di casa e della macchina dal posacenere sul mobile e
uscì.
Mentre guardava distrattamente se qualcuno l’avesse cercato
al cellulare, notò delle figure muoversi alla sua destra,
nel giardino di Sara. Si voltò e la vide che usciva da casa
sua, in compagnia di un uomo.
Si ritrovò, inspiegabilmente, a stringere con forza il pugno
della mano destra attorno al manico della sua ventiquattrore.
In quel momento, centinaia di domande si prendevano a spallate nella
sua mente. Non si spiegava chi fosse quell’uomo,
perché fosse lì a quell’ora e,
soprattutto, non riusciva a dare una spiegazione logica a questa sua
reazione così eccessiva.
“Pensavi che se ne sarebbe stata buona, mentre tu decidevi se
fare la prima mossa o no?” Gli disse la vocina nella testa.
Decise di ignorarla e continuare a camminare, sperando di poter fare
altrettanto con Sara e il suo amico.
“Hey, Michael!” La sentì pronunciare il
suo nome. Ovviamente non era passato inosservato. Prese un respiro
profondo e si girò, mostrando uno dei più finti
sorrisi mai visti sulla faccia della terra. “Sara!”
Esclamò, sorpreso di vederla.
Michael fece per raggiungere la macchina, sperando che i due capissero
che aveva fretta, ma, sfortunatamente, il ragazzo vicino a Sara aveva
voglia di presentarsi.
“Ciao, non penso ci siamo mai incontrati, io sono
Philippe.” Gli disse, porgendogli la mano da sopra la
recinzione che separava i due giardini.
“Philippe?” Sentì dire Michael.
Capì che la vocina nella sua testa aveva di nuovo preso a
parlare. “Che razza di nome è? E poi come diavolo
va in giro vestito?” In effetti, la vocina aveva ragione.
Philippe indossava una maglietta rosa attillata, adatta più
ad un ragazzo che ad un uomo della sua età e i pantaloni
corti che arrivavano al ginocchio… Beh, non erano proprio il
massimo.
“Piacere, sono Michael.” Gli rispose finalmente,
stringendogli velocemente la mano. “Mi piacerebbe rimanere
qui a parlare.” Disse, guardando velocemente
l’orologio al suo polso. “Ma se arrivo anche oggi
tardi a lavoro…” Si portò un indice
alla gola e mise una parte della lingua fuori. Sperava avessero capito
il messaggio.
“Oh, certo.” Disse Sara con uno strano tono di
voce, quasi avesse capito che ci fosse qualcosa sotto. “Anche
noi stavamo andando, vero Phil?” L’amico di Sara
annuì.
“Oh, bene. Allora, buon lavoro!” Disse Michael,
sorridendo un’ultima volta e raggiungendo la sua macchina.
Una volta dentro, guardò un’ultima volta verso i
due, ma distolse subito lo sguardo quando notò che gli occhi
di Sara erano rivolti verso lui.
Arrivato al suo ufficio, salutò tutti un po’
distrattamente ed entrò velocemente nella sua stanza.
Trovò dei post-it sulla sua scrivania, probabilmente
lasciati dalla sua segretaria, che gli ricordavano che avrebbe dovuto
chiamare alcuni dei suoi clienti per informarli che i progetti che
avevano richiesto erano pronti. “Più
tardi.” Pensò Michael.
Incredibile, non era nemmeno arrivato a lavoro, che già era
stanco.
Ma oltre la stanchezza c’era dell’altro. Uno strano
nodo allo stomaco che non aveva mai sentito prima. Cosa voleva dire?
“Il bello è che ti ritengono un genio!”
Disse la vocina dentro di lui. “Riesci a memorizzare delle
planimetrie in poche ore, ma non riesci a capire che quello che ti fa
stare così male, è la gelosia!”
Si alzò lentamente dalla sedia di fronte alla scrivania su
cui si era seduto, per andare di fronte alla grande vetrata che gli
permetteva di ammirare Chicago.
“Gelosia?” Si chiese a voce alta.
“Come…” Non poté finire la
frase, perché qualcuno entrò nel suo studio.
“Hey Michael!” Esordì la sua segretaria.
Erano da molti anni che lavoravano insieme e avevano deciso che, data
la giovane età di entrambi, sarebbe stato meglio darsi
subito del tu. La ragazza vide la faccia di Michael e capì
subito che c’era qualcosa che non andava. “Hey,
tutto apposto?” Chiese preoccupata, chiudendosi la porta alle
spalle.
“Si, Flo.” La rassicurò lui, con un
sorriso. “E’ solo che stanotte non ho chiuso
occhio.”
“Già, si vede dall’espressione distrutta
che hai.” Disse sorridendo. “Non sapevo che anche
in voi uomini le borse sotto agli occhi potessero essere
così… non sexy!” Aggiunse divertita.
“Wow, tu sì che sai come tirarmi su!” Le
disse, annuendo con la testa.
“Beh, uno che non dorme non ha bisogno di essere tirato
su!” Disse, dandolo scontato. “Direi che quello che
ti serve è un caffè!” Disse, andando
verso la porta.
“Grazie, Flo.” La ringraziò, tornando a
guardare fuori dalla finestra.
“Di niente, così mentre tu bevi il
caffè, io posso continuare a prenderti in giro per quelle
occhiaie!” Disse facendogli la lingua, prima di uscire dalla
stanza.
Michael adorava quella ragazza, parlare con lei era come parlare con
suo fratello. Era quasi come se in lei ci fossero due
personalità. Quasi come se, dentro il bel corpo di quella
ragazza, ci fosse un uomo nascosto. Michael sorrise e
rabbrividì allo stesso tempo, mentre ripensò a
quelle parole. Flo era l’unica tra le donne in ufficio, che
capiva sempre come i loro colleghi si sentivano e dava loro consigli su
come migliorare le loro tristi vite. “Intuito
femminile.” Pensò Michael. Però era
anche vero che, nonostante l’intuito femminile, non era
possibile che indovinasse sempre tutti i risultati delle squadre NBA!
Flo era davvero speciale.
Ma nonostante provasse per lei un forte sentimento d’affetto,
non si era mai sentito così male quando la vedeva con altri
ragazzi.
“Vorrà pur dire qualcosa, no?” Gli disse
nuovamente la vocina nella sua testa.
“Ecco qui il tuo caffè, Michael!” Disse
Flo entrando nel suo ufficio e porgendogli il caffè che
Michael prese subito. Flo si sedette nella sedia di Michael e lo
guardò con un sorriso di chi la sa lunga.
“Cosa?” Chiese Michael confuso.
“Vogliamo parlare di lei?” Gli chiese, incrociando
le braccia al petto.
Michael sorrise, sapeva che Flo aveva capito tutto senza bisogno che
lui aprisse bocca. “Si chiama Sara ed è la mia
nuova vicina.” Disse prendendo un sorso di caffè.
“Beh, almeno non hai negato come fai sempre.” Gli
fece notare. “E perché stai così
male?”
“Perché non ho chiuso occhio.” Le
ricordò, indicandosi le occhiaie.
Flo sorrise. “Già, le tue occhiaie mostrano che
non menti, ma sappiamo entrambi che c’è
dell’altro.” Disse sorridendo.
“Beh, mi sento stupido. Non mi sono mai sentito
così…” Disse, evitando di guardarla in
faccia.
“Così come?”
“Così… geloso?” Disse
scrollando le spalle.
“Non sei sicuro che sia gelosia?” Chiese confusa
dal tono della frase precedente di Michael. Lui scosse la testa,
prendendo un altro sorso di caffè. “Bene, dimmi
cosa ti ha fatto sentire così e soprattutto come ti
senti.”
“Sei una segretaria o una psicologa?” Le chiese con
un sorriso divertito.
“Sappiamo entrambi che mettermi in una delle due categorie
sarebbe limitativo.” Rispose prontamente.
“Ok! Meglio andare avanti prima che tu ti monti troppo la
testa!” Disse, fintamente preoccupato.
“Sul serio Mike, dimmi che è successo.”
“Beh, era tutto ok finché non sono uscito di casa
e… Beh, l’ho vista uscire da casa sua con un
altro.” Le spiegò, continuando a guardare fuori
dalla finestra.
“Ok, è questo quello che ti ha turbato
così tanto?” Chiese, un po’ sorpresa di
vedere Michael ridotto a quel modo per quel semplice motivo. Flo sapeva
che Michael non era un impulsivo, che rifletteva mille volte sui suoi
sentimenti, prima di trarre delle conclusioni.
“Sono patetico, vero?” Disse ridendo.
“Non molto.” Disse sarcastica, rassicurandolo con
un sorriso.
“Mi chiedo come farei senza te che mi prendi in
giro!” Disse ironico.
“Concentrati sul racconto.” Lo sgridò
affettuosamente.
“Beh, non c’è molto altro da
dire.” Disse, ricordando la scena di qualche ora prima.
“Avrei voluto passare inosservato, ma lei mi ha visto e son
stato costretto a presentarmi al suo amico.” Disse, suonando
frustrato nel ricordare quel momento. “E mentre mi
presentavo, non potevo non pensare a quanto quel tipo fosse
cosi… Inadatto a lei…”
“Già il fatto che non volevi parlargli, doveva
farti capire che c’era qualcosa che non andava!”
Gli fece notare.
“E’ stato così, solo che non ho capito
cosa fosse!” Disse in sua discolpa.
“Beh, per ora hai mostrato due dei sintomi della
gelosia.” Disse alzandosi dalla sedia. Vedendo lo sguardo
confuso di Michael, gli spiegò quali questi due segni
fossero. “Anonimato e Rifiuto.” Disse, alzando due
dita della mano. “Il terzo è rabbia, ma dal tuo
racconto non…”
“Ho chiuso forte il pugno mentre tenevo in mano la
ventiquattrore…” La interruppe, cercando di non
farle notare quanto fosse imbarazzato in quel momento.
“Oh, Michael!” Gli disse, dandogli
un’affettuosa pacca sulla spalla. “Sei cotto
forte!” Aggiunse sorridendogli.
“Ma è una cosa senza senso, ci conosciamo da un
giorno!” Disse, cercando di far suonare normale il fatto che
lui non volesse accettare il fatto di essere geloso di
quell’uomo.
“Devo ripeterti cosa dice sempre mia nonna, quando racconta
la storia della sua vita?” Le chiese, puntandogli un indice
contro quasi minacciosa.
“Al cuor non si comanda…” Disse Michael
scuotendo la testa, dopo aver sbuffato. Le aveva sentito dire quella
frase più volte, durante tutti questi anni che avevano
lavorato insieme, ma mai a lui.
“Appunto, quindi mettiti l’animo in
pace.” Disse allontanandosi da lui. “Prima lo
accetti, meglio ci convivrai!” Continuò aprendo la
porta. “E non dimenticare di chiamare i clienti, ti ho
lasciato un post-it per…”
“Si, ho visto.” La interruppe, sorridendo. Flo
prese quel sorriso più come un grazie per la chiacchierata
che per il post-it. Gli sorrise a sua volta e lasciò Michael
da solo nel suo studio a riflettere sulla loro chiacchierata.
Qualche ora più tardi, poté finalmente tornare a
casa. L’orario di lavoro era finito e, per sua fortuna, la
giornata era stata meno faticosa di quanto temesse. Dopo aver parlato
con Flo, si sentiva ancora peggio. Finalmente aveva capito come e
perché si sentiva così e la cosa non lo faceva
stare bene.
Michael aveva il terrore di aprirsi, soprattutto con persone che non
conosceva bene, e rendersi conto che con Sara questo sarebbe potuto
succedere, lo faceva sentire come se le barriere che aveva impiegato
tanto tempo a costruire, stessero per cedere per colpa di quegli occhi
marroni che sembravano ogni volta leggergli dentro.
Non poteva permettere che questo accadesse, non ancora per lo meno.
Tornato a casa sua, tutto quello che desiderava fare era mettersi
qualcosa di comodo addosso, bersi qualcosa di freddo e leggere in santa
pace il libro che aveva intenzione di iniziare già da
qualche giorno.
Non perse tempo e, dopo aver indossato una comoda t-shirt e dei vecchi
jeans strappati qua e là, andò in cucina a
prendere una coca fredda. La aprì e, dopo aver scelto uno
dei libri nella libreria in salone, si mise comodo sul divano.
Riuscì a malapena a leggere le parole “Erano circa
le 5 di una mattina d’inverno, in Siria.” che
dovette buttare da una parte “Assassinio
sull’orient-express” per andare ad aprire alla
porta.
(Sara)
Il sogno di una giostra era ancora presente nella mente di Sara,
nonostante fosse ormai pronta per uscire.
La serata precedente insieme a Michael, l’aveva fatta sentire
davvero bene.
All’inizio aveva pensato di aver detto o fatto qualcosa di
sbagliato, per aver portato Michael a cambiare idea sulla loro serata
“pizza e film”, ma dopo avergli sentito pronunciare
le parole “zucchero filato” e
“luna-park”, tutto il suo buonumore era tornato ad
illuminarle nuovamente il viso.
Andò in cucina e sorseggiò velocemente del
caffè, mentre il suo cellulare prese a squillare.
“Philippe?” Disse, leggendo il nome nel display del
telefonino. “Che diavolo vuole a
quest’ora?” Disse, mentre il cellulare continuava a
squillare. Era intenzionata a non rispondere e ad aspettare che si
stancasse, ma più cercava di non farci caso, più
la suoneria le entrava irritante in testa.
“Pronto?” Rispose, cercando di non suonare seccata.
“Ciao, bella! Disturbo?” Disse la voce mascolina
dall’altra parte del telefono.
Sara odiava Philippe, era uno di quei ragazzi che cercano di fare gli
affascinanti con battute d’effetto, riuscendo ad ottenere
l’esatto contrario. “Tutto il contrario di
Michael.” Le disse improvvisamente la vocina nella sua testa.
“No, Phil.” Gli rispose. “Stavo giusto
uscendo per andare a lavoro.”
“Hey, pensavo che dato che sono nei paraggi, potevo venire a
prenderti così andiamo insieme. Che dici?”
Avrebbe voluto urlargli “NO!”, ma quello avrebbe
mandato a monte il suo piano di essere gentile. Ma d’altro
canto, avrebbe dovuto sopportarlo un’intera giornata in
ospedale, non voleva iniziare ad averlo intorno già da
quest’ora del mattino. Doveva pensare ad una scusa e doveva
farlo in fretta. “Non ti preoccupare, Phil! Sono
già…”
“Insisto!” La interruppe, dopodiché
finì la conversazione, lasciando Sara a ribattere
inutilmente contro un noioso suono.
Sara guardò confusa lo schermo del suo cellulare e, senza
fare caso alle ultime parole di Phillippe, prese la sua borsetta e le
sue chiavi e uscì da casa.
Diede un’occhiata veloce al suo orologio, quella chiamata le
aveva fatto perdere fin troppo tempo e ora era in ritardo. Chiuse
velocemente la porta di casa e si voltò. Quello, o meglio
chi vide, le fece subito avere un’idea di quanto quella
giornata sarebbe stata pesante.
“Phil?” Disse sorpresa di vederselo di fronte.
“Che ci fai qui?”
“Ti avevo detto che ero nei paraggi!” Le rispose,
con un sorriso che doveva sembrare ammiccante ma che a Sara diede un
senso di ribrezzo. Non sapeva se quella sensazione era dovuta
all’orribile maglietta rosa che Phil indossava o
semplicemente perché pensava che fosse un viscido.
Katie le ripeteva sempre che gli avrebbe dovuto dare
un’opportunità, provare ad uscirci insieme qualche
volta, ma Sara aveva sempre fermamente e gentilmente, per quanto fosse
possibile, rifiutato. Anche solo l’idea di stare sola con lui
le dava il voltastomaco.
Qualche secondo più tardi, come se qualcuno avesse ascoltato
le sue preghiere, notò alla sua sinistra Michael che era
impegnato a mandare un messaggio col suo cellulare.
Sorrise nel notare quanto fosse affascinante nel suo abito blu e quanto
quell’espressione impegnata lo rendesse cosi…
Dolce, così… Michael.
Ricordò che, purtroppo, non era con Michael che avrebbe
dovuto viaggiare in macchina fino all’ospedale, per cui non
perse tempo e richiamò la sua attenzione.
“Hey, Michael!” Disse, agitando la mano per
salutarlo, sorridendogli imbarazzata.
Notò che Michael ci mise un po’ prima di
rispondere al suo saluto, quasi come se qualcosa lo turbasse, ma una
volta che lui rispose, smise di pensarci.
“Sara!” Le rispose, con uno strano sorriso che Sara
non gli aveva mai visto.
Sara era confusa, c’era chiaramente qualcosa che non andava,
anche perché, non si erano mai ritrovati in quella
situazione, senza niente da dirsi. Era sicura, qualcosa di strano
passava per la testa di Michael.
“Però, lo conosci da… Quanto, un
giorno? E già sei convinta di conoscerlo così
bene da capire al volo che qualcosa non va? Sei più patetica
di quanto pensassi!” Le disse la voce nella sua testa.
Stava per darle ascolto, quando la scena che gli si presentò
davanti, catturò la sua attenzione.
“Ciao, non penso ci siamo mai incontrati, io sono
Philippe.” Gli disse, fermando la camminata di Michael verso
la sua macchina. Ovviamente, Phil si era sentito in qualche modo
escluso dagli sguardi che Michael e Sara si erano scambiati qualche
istante prima e aveva ben pensato di far notar a Michael la sua
presenza.
Anche questa volta, Michael si prese un po’ di tempo prima di
rispondere al saluto, quasi stesse dosando con cura le parole da usare.
“Piacere, sono Michael.” Disse infine, stringendo
velocemente la mano, scura dalle tante lampade, di Phil. “Mi
piacerebbe rimanere qui a parlare.” Disse quasi scusandosi,
mentre guardava velocemente il suo orologio. “Ma se arrivo
anche oggi tardi a lavoro…” Sorrise, mentre si
portava un indice alla gola, come ad indicare la brutta fine che
avrebbe fatto.
“Oh, certo.” Disse Sara, quasi infastidita dal suo
modo di fare. “Tra l’altro, anche noi stavamo
andando, vero Phil?” Disse con un tono melenso al suo
collega. Oddio, si era appena messa flirtare con Phil solo per far
ingelosire Michael?
“Oh, bene. Allora, buon lavoro!” Rispose
distrattamente Michael, dopo l’ennesimo strano sorriso di
quella mattinata.
Sara lo guardò raggiungere la sua macchina e salire.
Per un istante vide che Michael posò il suo sguardo su di
lei, per poi spostarlo immediatamente sulla strada di fronte a lui.
Lo guardò partire, dopodiché senza ormai nessuna
speranza, salì in macchina con Philippe.
Il viaggio in macchina con Phil, fu meno noioso del previsto. O meglio,
lo sarebbe stato se Sara non fosse stata così impegnata ad
ignorare Phil e i suoi racconti di pesca, per riflettere su quello che
era appena successo nel suo giardino.
Non riusciva a trovare una spiegazione razionale al comportamento di
Michael.
La notte prima lo aveva lasciato contento, con un sorriso altrettanto
ebete quanto il suo, e il mattino dopo lo ritrova
così… non Michael.
Avrebbe tanto voluto che Phil fosse andato a pescare stamattina,
piuttosto che venire a prenderla, così almeno si sarebbe
potuta fermare un po’ a parlare con Michael, magari aiutarlo
con quel problema che sembrava turbarlo così tanto.
“…Ed è così che mi ritrovai
un amo su per il…”
“Siamo arrivati!” Disse Sara, suonando
più sollevata che il viaggio fosse finito, di quanto volesse.
“Oh, di già?” Chiese sorpreso.
“E’ solo che quando inizio a parlare di pesca non
mi ferma più nessuno!” Disse, ignorando il fatto
che Sara lo avesse appena provato a proprie spese. “Adoro la
pesca, tu no?” Le chiese.
“Oh, sì!” Pensò Sara tra
sé. “Tutti quegli animaletti puzzolenti che non
stanno mai fermi… Uno spasso!”
“Magari qualche volta potremo andarci
insieme…” Le chiese fintamente indifferente mentre
scendevano dalla macchina.
“Katie!” Urlò Sara, richiamando
l’attenzione dell’amica che si trovava a parecchi
metri da lei. Era già la seconda volta che evitava
di rispondere ad una domanda in quel modo, quello doveva essere il suo
giorno fortunato.
“Hey, Sara! Che ti prende, perché urli in quel
modo?” Le chiese l’amica, una volta che era
abbastanza vicino a lei.
“Sono solo contenta di vederti!” Le disse prima di
abbracciarla. “Ti prego portami via da lui!” Le
sussurrò all’orecchio, prima di allontanarsi da
lei.
Katie sorrise, notando che “lui” era Phil.
“Hey, Phil. Ti stava cercando Mary del 5°piano,
però non mi ha detto cosa voleva…”
Disse Katie, fintamente dispiaciuta di non saperne di più.
“Oh, non ti preoccupare Katie. So io cosa le
serve.” Disse mettendosi bene i capelli, salutando le due
ragazze prima di incamminarsi verso l’entrata
dell’ospedale.
“Sbaglio o al 5°piano non c’è
nessuna Mary?” Disse Sara, alzando le sopracciglia e
guardando l’amica con un sorriso compiaciuto.
“Già, ma ci metterà un po’
prima di scoprirlo.” Disse guardando verso Phil.
“Sei un genio!” Le disse, abbracciandola nuovamente.
“Già, ma ora spiegami cosa ci facevate voi due
insieme.” Chiese curiosa.
“E’ una storia lunga e dolorosa.” Disse
Sara dirigendosi verso la porta d’ingresso.
“Beh, so reggere le brutte notizie e…”
Guardò il suo orologio. “Hai tempo fino alle 14
per raccontarmela.” Aggiunse con un sorriso.
Durante il tragitto dai parcheggi, fino al 3°piano, Sara
raccontò all’amica quanto fosse stata traumatica
quella mattinata.
“Così Mr. Scofield aveva qualcosa di strano
vero?” Disse Katie, mentre Sara si metteva il camice.
“Già, non capisco proprio cosa… Capisco
che si sia comportato freddamente con Phil, ma ha fatto lo stesso con
me!” Disse, trovando la cosa sempre meno razionale.
“Oh già, mi chiedo proprio cosa gli sia
preso!” Disse ironica.
“Sbaglio, o c’era dell’ironia nel tuo
commento?” Chiese Sara confusa.
“No ragazza, non sbagli affatto!” Disse uscendo
dallo spogliatoio.
“Che aspetti? Illuminami con la tua perla di
saggezza!” Le disse, uscendo a sua volta dallo spogliatoio e
raggiungendola nell’andito.
“Beh, a me sembra tutto così chiaro!”
Disse, porgendo a Sara una cartella di uno dei suoi pazienti.
“Ma prima di dirti quello che penso, rispondi alla mia
domanda.” Disse, vedendo che Sara leggeva distrattamente i
dati delle ultime analisi della Signora Fansworth. “Ha
iniziato a sembrarti così distante prima o dopo che ha
notato che insieme a te c’era un altro?”
Sara staccò immediatamente lo sguardo dalla cartella clinica
e sgranò gli occhi in direzione dell’amica.
“Che?” Chiese confusa.
“Oh, andiamo! Non dirmi che l’idea che lui fosse un
tantino geloso non ti ha nemmeno sfiorato!” Disse Katie,
sorpresa dall’ingenuità dell’amica.
“Beh, no…” Disse Sara imbarazzata.
“Ma Michael non è uno geloso.” Disse
sicura di queste parole.
“Oh, giusto! Dimenticavo che voi due vi conoscete
così bene!” Disse Katie ironica.
Beh, Sara non poteva darle torto. Dopotutto lei e Michael si
conoscevano da appena 24 ore, abbastanza poco per poter dire di
conoscersi.
“Perché dovrebbe essere geloso?” Chiese
Sara, sperando di sentirsi dire quello che lei aveva paura di pensare.
“Mi prendi in giro, vero?” Chiese Katie, quasi
offesa. “Ti ha portato al luna-park, ti ha regalato un
peluche, ti ha abbracciata…”
“Beh, a dire il vero l’ho abbracciato
io…” Disse Sara, interrompendo l’amica
che fece uno strano gesto con le mani per zittirla.
“Resta il fatto che è stato un perfetto principe
azzurro, Sara.” Le sorrise, mettendole affettuosamente un
braccio intorno alle spalle. “E nonostante a te sembri che tu
sia l’unica tra i due veramente interessata.”
S’interruppe per zittire nuovamente l’amica che
aveva cercato di correggerla. “Entrambi sappiamo che quello
è solo un meccanismo di difesa che hai imparato ad usare per
non rimanere più ferita, come in passato.”
“Arriva al punto…” Disse Sara,
fermandosi di fronte alla porta della stanza della signora Fansworth,
aspettando che l’amica che le desse il suo parere sul da
farsi.
“Beh, il punto è che… Beh, per prima
cosa stai attenta agli antidolorifici che dai alla signora Fansworth,
l’ultima volta mi ha detto che ha visto David Letterman
uscire dal suo televisore e sedersi nella sedia di fronte a
lei!” Sara sorrise. ”E seconda cosa, dovresti
andare a parlargli. Usa una scusa stupida, che
so…” Katie si prese un secondo per pensare, poi,
imitando la voce di Sara, disse. “Michael, il mio forno
è rotto, potrei mangiare qualcosa qui con te?”
“Hey, io non ho quella voce!” Le fece notare Sara,
ridendo divertita per quell’imitazione.
“E se quella scusa non ti piace, puoi sempre usare quella
della doccia che non funziona…” Le disse,
facendole un occhiolino malizioso e allontanandosi da lei.
Sara scosse la testa, dopodiché entrò nella
stanza della signora Fansworth.
Qualche ora più tardi, Katie la riaccompagnò
finalmente a casa, evitando di fare commenti su quello che Sara
avrebbe, o non avrebbe fatto a proposito di Michael.
Entrò in casa e poggiò distrattamente la sua roba
sul divano, dopodiché andò a cercare qualcosa da
sgranocchiare in cucina.
Prese un pacco di biscotti al cioccolato e, nell’andito che
univa la cucina al salone, si guardò nello specchio. Si
schiarì un po’ la voce, dopodiché
disse. “Hey Michael, vuoi sentire una cosa divertente? Il mio
forno è rotto! Non è che potrei mangiare qualcosa
qui con te?” Scosse la testa, trovandosi patetica.
“Hey Michael, Katie pensa che tu sia geloso di Phil, buffo
vero?” Si diede dell’idiota anche solo per aver
pensato di potergli dire una cosa del genere.
Si mise apposto i capelli e fece una smorfia sexy. “Hey Mike,
ti dispiace se faccio la doccia qui da te?” Disse ammiccante,
prima di coprirsi la faccia con le mani.
Guardò distrattamente la busta di plastica appoggiata sul
suo tavolo di cucina. Ricordò che dentro c’era una
piccola frittata che Katie aveva fatto per lei il giorno prima.
Prese a guardarsi nuovamente allo specchio e sorrise. “Hey
Michael, ho una frittata troppo grande per una sola persona, ti va di
mangiarla con me?” Si guardò soddisfatta,
dopodiché prese la frittata e uscì di casa.
Attraversò velocemente il suo giardino e quello di Michael,
per poi ritrovarsi di fronte alla porta di casa sua.
Si mise più volte i capelli a posto, cercando di darsi un
aspetto il più presentabile possibile. “Sai,
potevi farlo prima davanti allo specchio!” Le fece notare la
vocina nella sua testa.
Respirò a fondo, poi suonò il campanello.
L’attesa era più dura di quanto pensasse e,
vedendo che nessuno rispondeva, iniziò a pensare che Michael
non fosse in casa.
Stava per dare le spalle alla porta, quando Michael le apparve, qualche
centimetro di distanza da lei, con un’espressione sorpresa
stampata in faccia.
Sorrise nel vederlo, ma tutta la sicurezza che aveva mostrato qualche
secondo prima di fronte allo specchio, aveva deciso di abbandonarla nel
momento più importante. E certo, sentirsi quegli
occhi azzurri addosso non aiutava di certo!
“Hey Michael!” Riuscì a dire finalmente,
cercando di tenere i suoi occhi nocciola a stretto contatto con quelli
penetranti di Michael. “Ho una frittata troppo grande per una
sola persona, ti va di mangiarla con me?” Chiese, indicando
velocemente con lo sguardo la frittata. Vedendo che Michael la guardava
incuriosito, aggiunse con un sorriso. “Tranquillo, non
l’ho fatta io!”
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Capitolo 5 *** Pomeriggio ***
A/N: Wow, siamo già
arrivati al 5 capitolo? Beh, come vi avevo detto, il capitolo
precedente, questo e il prossimo, erano divisi in varie parti della
giornata. Quello che state per leggere è il pomeriggio.
Buona lettura e un sentito grazie a chi commenta.
“Ho una frittata troppo grande per una sola persona, ti va di
mangiarla con me? Tranquillo, non l’ho fatta io!”
Michael si era
ritrovato davanti l’ultima persona che si aspettava di vedere
quel pomeriggio, Sara.
La scusa che aveva
trovato per poter andare a trovarlo e l’imbarazzo evidente
che provava in quel momento, la facevano sembrare ancora più
perfetta di quanto Michael già la pensasse. E poi il timido
sorriso che cercava di nascondere con qualche ciocca ribelle di capelli
che le cadeva sul viso, le dava un’aria così
innocente che Michael non ricordava di aver mai visto nel viso di
qualcuno.
“Oh beh,
allora. Accomodati!” Sorrise, rispondendole finalmente e
aprendo del tutto la porta di modo che potesse entrare. Sorrise e si
chiuse la porta alle spalle.
“Pensavo voi
dottori lavoraste tutto il giorno.” Uno sguardo curioso
apparve sul suo viso.
“Ti
suonerà strano, ma anche noi abbiamo i turni!”
Rispose divertita, mentre appoggiava la frittata sul tavolo di cucina
di Michael.
“Oh
già, grande invenzione!” Annuì serio,
per poi ridere.
“Già,
anche perché la giornata non era iniziata proprio nel
migliore dei modi!” Sospirò, ricordando le prime
ore di quella mattina.
“Ah
no?” Chiese curioso, raggiungendo Sara in cucina e prendendo
qualche posata da un cassetto.
“Direi di no!
Hai presente il tipo di stamattina?” Chiese stuzzicandolo.
Era curiosa di vedere se Katie aveva ragione, se Michael era geloso.
Quale modo migliore che ricordargli Philippe!
“Uhm
si.” Rispose Michael distrattamente. “Ho un vago
ricordo. Sembrava simpatico.” Mentì. Si ricordava
bene di Philippe, aveva passato tutta la mattina ad immaginarlo in
compagnia di Sara a guardare film romantici insieme, a ballare la loro
canzone, a… Beh, a fare tutto quello che di solito fa una
coppia. E ovviamente, non gli era affatto simpatico!
“Simpatico?”
Chiese Sara incredula, cercando lo sguardo di Michael che
però le dava le spalle, troppo preso nel cercare le posate
in quel cassetto. “Penso che se gli stessi vicino per
più di 1 minuto, anzi no 5 secondi.” Si corresse
subito. “Cambieresti subito idea!”
Spiegò, portandosi alla bocca uno degli acini
d’uva che Michael teneva lì vicino.
Michael si
girò per sorriderle, mentre lei prendeva un altro chicco
d’uva e se lo portava alla bocca. Lui adorava l’uva
e vedere che aveva un’altra cosa da aggiungere alla sua lista
delle cose in comune che aveva con Sara, lo fece sorridere ancora di
più.
E poi, cosa
più importante, lei odiava quel Paul, o come diavolo si
chiamava! Certo, questo voleva dire che aveva passato
un’intera mattinata a farsi del male psicologico per niente,
ma almeno tutto quel malinteso l’aveva fatto ragionare,
l’aveva fatto capire. Se non voleva che quel suo incubo si
trasformasse in realtà, doveva fare una mossa e doveva farla
in fretta.
“Andiamo
Sara, io non salgo in macchina con chi non mi sta simpatico.”
Disse, cercando di stuzzicarla. Per non farle fraintendere il senso
delle sue parole, abbozzò un occhiolino, pentendosi anche di
quel gesto. Dopotutto poteva essere frainteso pure quello!
“Amico, sei troppo nervoso!” Gli disse la vocina
nella sua testa. “Stai incasinando tutto! Prendi un respiro
profondo e la prossima volta pensa prima di parlare!” Lo
avvisò.
“Hai ragione,
Michael. Ma se la persona in questione ti si piazza davanti casa e
l’unica persona che può aiutarti ha
fretta…” Sorrise indicandolo, di modo che capisse
che si riferiva al comportamento che lui aveva avuto quella mattina.
“Non hai scelta, devi arrenderti.” Finì
la frase mangiando un altro chicco.
“Oh,
così mi hai salutato solo perché avevi bisogno di
me?” Chiese facendo il finto offeso.
“Ti
risponderei di sì, ma il vederti con i coltelli in mano mi
suggerisce di non farlo!” Scherzò, notando che si
avvicinava verso di lei facendo una faccia da psicopatico.
“Sei
fortunata, Sara.” Sussurrò, quando le fu
abbastanza vicino. “Oggi sono di buonumore!”
Aggiunse, uscendo dalla cucina e raggiungendo il salone.
Sara sorrise e lo
seguì, tenendo in una mano il cestino con dentro
l’uva e nell’altra la frittata.
“Vedo che ti
piace l’uva!” Notò, sedendosi sul divano
in salone.
“Adoro
l’uva! E’ sempre stato il mio frutto preferito fin
da quando ero bambina.” Confessò, sedendosi nel
divano di fianco a lui. Notò nel viso di Michael, lo stesso
sguardo che gli aveva visto tutte le volte che lei iniziava a
raccontare qualcosa e lui era curioso di sapere come quel racconto
finisse. Michael era curioso di sapere come mai le piacesse tanto
l’uva e non sarebbe stata certo lei a impedirgli di sapere la
verità. “Mio nonno paterno aveva una vigna.
Ricordo che, quando mia madre era ancora viva e mio padre non era
totalmente assorbito dal suo lavoro, ci passavamo i mesi
estivi.” Iniziò a raccontare, mentre Michael si
sporgeva leggermente in avanti, come desideroso di non perdersi nemmeno
una sillaba del suo racconto. “Mio nonno metteva me e i miei
cugini a pestare l’uva per fare il suo famoso vino.
All’epoca non avevo idea dell’utilità di
quello che ci faceva fare e cercavo sempre di rifiutarmi
perché non sopportavo che tutta quell’uva venisse
sprecata!” Spiegò, ridendo. “Pensa che
una notte mi coricai prestissimo perché avevo in mente un
piano infallibile!” Rise ancora una volta nel ricordarsi
bambina. “Rimasi sveglia sotto le coperte finché
tutti i parenti si coricarono, dopodiché, cercando di fare
meno rumore possibile, sgattaiolai di fuori verso il vigneto
e…”
“Non dirmi
che hai fatto quello che penso!” La interruppe divertito
nell’immaginarla vestita di nero per passare inosservata, con
una torcia in una mano che si faceva luce tra i vigneti e un coltellino
svizzero dall’altra. Sara doveva essere una bambina stupenda
da piccola, con i lunghi capelli che le cadevano sulle spalle e i
vestiti perfetti che suo padre la costringeva ad indossare per fare
bella figura davanti ai fotografi.
Sara rise nel vedere
quanto Michael era divertito dal suo racconto. “Beh, se mi
hai immaginata a tagliare un bel po’ di grappoli
d’uva e portarli di nascosto in camera mia… Allora
direi che hai pensato bene!”
“Oddio
Sara.” Disse tra una risata e l’altra.
“E non
è finita qui!” Lo informò.
“Passai tutta la notte a mangiare tutti quei chicchi
d’uva!” Disse scuotendo la testa. “E
tutti sappiamo quanto l’uva può essere
letale!” Aggiunse un po’ imbarazzata dal finale
della sua storia. “Ottimo!” Le disse la vocina
nella sua testa. “Se volevi metterti in imbarazzo, non potevi
fare di meglio!” La sgridò.
“Questa
storia è stupenda!” Commentò senza
parole. “Sarebbe la prima cosa che racconterei ai miei
figli!” Aggiunse divertito.
“Oh certo,
così smetterebbero di certo di darmi retta!”
Annuì divertita. “Mamma, dammi 10 dollari
altrimenti ti faccio ingoiare 10 grappoli d’uva!”
Disse con una vocina infantile, imitando quella del suo futuro figlio.
“Su questo
hai pienamente ragione!” Annuì divertito.
“E tu
com’è che adori l’uva?” Chiese
curiosa.
“Beh…”
Disse portandosi un chicco alla bocca. “Parecchi anni fa, al
terzo anno di college, e tutto iniziò con una
scommessa…”
“Mhm,
interessante!” Lo interruppe. “Di che scommessa
stiamo parlando?” Chiese sempre più curiosa.
“Credimi,
meglio tralasciare i dettagli.” Rispose
imbarazzato.
“Oh dai
Michael! Io ti ho raccontato il mio momento imbarazzante, non puoi
tirarti indietro!” Lo pregò, lanciandogli
affettuosamente un chicco d’uva che Michael prese al volo in
bocca.
“Ok.”
Disse, divertito nel vedere l’espressione sorpresa nel volto
di Sara per i riflessi che le aveva appena mostrato. “La
scommessa era abbastanza stupida, avrei dovuto consegnare il foglio in
bianco, ma dato che c’era troppo in ballo, decisi di chiamare
la scommessa come persa. Qualche giorno dopo, andammo alla festa di un
ragazzo che viveva nel nostro stesso campus e fu lì che
pagai la scommessa. Con la scusa che non mi si vedeva spesso
lì, decisero di mettermi alla prova, farmi fare una specie
di iniziazione che di solito facevano fare alle matricole.”
“Quale delle
mille che facevano fare?” Chiese, ricordando gli anni in cui
anche a lei toccò fare qualche prova.
“Una delle
indianate più famose, ‘l’asino
vola!’, che all’inizio è facile, ma dopo
che bevi due o tre bicchieri non distingui più un asino da
un fenicottero!” Disse ridendo.
“Oh la
conosco molto bene!” Esclamò, portandosi le mani
sul viso divertita.
“L’hai
fatta anche tu?” Chiese divertito nell’immaginarla
in quella situazione.
“No. Per
fortuna uscivo con uno della squadra di football, per cui me la sono
scampata!” Rise ricordando quanto da giovane i suoi gusti per
i ragazzi fossero completamente diversi da quelli che aveva ora.
“Beh, fatto
sta che la prova andò male. I miei amici per farmela pagare,
misero qualcosa nella birra che mi fece stare male per un bel
po’ di giorni. Per fortuna il mio compagno di stanza, che
studiava medicina, mi consigliò di
ricorrere…”
“All’uva.”
Annuì Sara, finendo la sua frase con un sorriso di
comprensione.
“Direi che
è meglio se queste storie ce le teniamo per noi!”
Le fece notare Michael divertito. Sara annuì.
Sara si
ritrovò per caso a guardare l’orologio che stava
su un mobile vicino alla tv, mentre Michael l’aveva lasciata
da sola in salone per qualche secondo.
Il display a cristalli
liquidi segnava le 20:00.
Aveva passato parecchie
ore con Michael a parlare di momenti imbarazzanti, tanto da
dimenticarsi il vero motivo che l’aveva spinta a suonare il
campanello qualche ora prima. Doveva e voleva sapere che cosa aveva
reso così triste Michael quella mattina, la domanda era,
valeva la pena di chiedere? Valeva la pena sapere cosa Michael avesse,
pur sapendo che chiederglielo avrebbe potuto renderlo nuovamente
distante?
Ma dopotutto Katie
aveva ragione, non poteva stare ogni notte a rimuginare su quello che
avrebbe dovuto o potuto fare con Michael. Non poteva più
passare le notti a girarsi sul suo lettone e a fissare il leoncino che
teneva sul comodino, pensando se Michael stesse dormendo in quel
momento o se stesse pensando a lei.
La sua vita aveva
bisogno di una svolta e forse questo era il momento più
adatto per dargliela.
Mentre le domande nella
mente di Sara facevano a botte per uscire dalla sua bocca, Michael era
rinchiuso in bagno che si fissava allo specchio.
Si passo una mano sulla
guancia rasata qualche ora prima e notò che le occhiaie che
Flo aveva tanto preso in giro quella mattina, avevano iniziato a
diventare meno evidenti. “Forse è dovuto alla luce
fioca del bagno.” Pensò Michael.
Più cercava
di non pensarci, più quel pensiero gli rimbalzava tra le
pareti del cervello.
Qualche ora prima,
quando pensava che Sara avesse una relazione con un altro uomo, era
deciso a fare di tutto pur di farle cambiare idea, pur di placare il
senso di gelosia che gli stringeva lo stomaco. E ora che lei era a casa
sua, seduta sul suo divano, lui era rimasto lì a fare
battute stupide, a rendersi ridicolo pur di evitare di fare quello che
era giusto fare. Dirle tutto e finalmente scoprire come il gusto
d’uva stava sulle sue labbra.
C’è
stato un momento in cui stava per cedere e tirarla a sé con
un misto di forza e delicatezza. Sentirla raccontare della sua infanzia
e vedere quella strana espressione sul suo viso, un misto tra
malinconia e imbarazzo, stavano per far prendere il sopravvento alla
sua parte irrazionale. La stessa parte che desiderava baciare Sara fin
dal loro primo scambio di battute.
Ma, come sempre, la
parte razionale aveva avuto la meglio e lui era rimasto lì
ad ascoltarla e sorridere, nell’immaginarla seduta sul suo
letto, al buio, mentre sgranocchiava tutti quei chicchi d’uva
sperando di non farsi scoprire dal nonno.
“Ma, in
fondo, non averla baciata è stato meglio, giusto?”
Chiese al riflesso del suo viso nello specchio di fronte a lui.
“Se pensarla
così ti fa stare meglio…” Disse ironica
la vocina nella sua testa. Aveva ragione. Dannazione, quella vocina
maledetta aveva sempre avuto ragione.
Era ora di mettere da
parte quella stupida insicurezza e accettare i suoi sentimenti,
mostrarli a Sara sperando che anche lei li ricambiasse.
Fece uno sguardo sicuro
di sé al suo riflesso, dopodiché uscì
dal bagno, diretto verso il salone.
Sara sentì i
suoi passi dietro di lei e, con uno sguardo altrettanto deciso, si
voltò verso Michael che si sedette di fianco a lei.
“Ho bisogno
di parlarti.” Dissero all’unisono.
A/N: Beh, spero sia stato
all'altezza delle vostre aspettative! :)
xoxo Ily.
|
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Capitolo 6 *** sera ***
A/N: Eccoci al
capitolo che rappresenta la fine della giornata che ho diviso in 3.
Quella che state per leggere è "la sera". Beh, l'ultima
volta che avete letto, Michael e Sara avevano qualcosa da dirsi.
Scoprite cosa!
Come sempre, ringrazio
chi legge!
“Ho bisogno di parlarti.” Dissero
all’unisono. Entrambi sorrisero, divertiti da quella
coincidenza.
“Prima tu.” Disse Sara con un sorriso imbarazzato,
costretta a distogliere lo sguardo dai brucianti occhi di Michael.
“Ok.” Sorrise, sedendosi di fianco a lei.
“Beh, quello che devo dirti non è facile, per lo
meno non lo è per una persona come me, che tende a
razionalizzare tutto prima di arrendersi
all’evidenza.” Scrollò leggermente le
spalle e continuò. “Beh, quello che sto cercando
di dirti, è che ho riflettuto molto e… Nonostante
tutto quello che provo mi sembri strano, non posso continuare a mentire
a me stesso.” Le prese la mano, prima di continuare.
“Mentire a te.” Aggiunse sorridendole dolcemente.
Quegli occhi e quel sorriso fecero a Sara lo stesso effetto che il
fuoco fa ad un pezzo di burro in una padella. Sentì
sciogliersi dentro e gli avrebbe voluto urlare di continuare a parlare,
ma la vocina le fece venire un dubbio. “Mentire? Ti ha
mentito per tutto questo tempo che vi conoscete? Il che non
è gravissimo, dato che vi conoscete da un giorno o poco
più…” La vocina la stuzzicò.
“Vabeh, male che vada ti dice che è
gay…” Sara decise di lasciarla perdere e si
concentrò nuovamente sul bellissimo ragazzo che era di
fronte a lei e che le stava aprendo il suo cuore.
“Il fatto di avere una nuova vicina mi
elettrizzava.” Continuò, sorridendo nel ricordare
il giorno prima. “Ma Sara, quando sono con te non mi sento
elettrizzato.” Sara corrugò la fronte, confusa da
quelle parole. “Cioè, mi sento anche elettrizzato,
ma non solo quello.” Si corresse subito, vedendo il viso di
Sara rilassarsi nuovamente. “Non te lo so spiegare,
–non sono riuscito a spiegarlo nemmeno a me stesso- ma starti
vicino mi fa sentire leggero, come se i problemi di tutti i giorni con
te sparissero.”
“Cioè, sarei la tua droga?” Chiese
divertita, alzando un sopracciglio e inclinando leggermente la testa.
“Se la vuoi mettere così…”
Rise. “Il punto è che… Tu mi fai stare
bene.” Disse infine, non sapendo veramente in che altro modo
spiegarle come lo faceva sentire. Sperava solo che Sara avesse capito e
che, soprattutto, ricambiasse.
“A giudicare dalla faccia che avevi stamattina quando mi hai
visto, non credo che lo starmi vicino abbia sempre
quell’effetto su di te.” Ce l’aveva
fatta, aveva finalmente riportato a galla quello che era successo
qualche ora prima tra loro due.
“A cosa ti riferisci?” Chiese, fingendo di non
capire di cosa Sara stesse parlando.
“Andiamo Michael, siamo entrambi adulti qui. Non mentirmi
ancora.” Lo pregò. “So che stamattina
avevi qualcosa e, a giudicare dallo strano sguardo che avevi quando mi
hai vista, posso tranquillamente dire che prima di uscire di casa non
stavi in quel modo.”
“Che fai, mi spii?” Chiese fintamente serio,
facendola ridere.
“Sul serio, Michael.” Gli accarezzò la
mano, sperando che lui decidesse di andare avanti.
“Beh, in parte hai ragione. Prima di uscire di casa, il mio
umore era decisamente diverso.” Sorrise annuendo. Sara stava
per aprire bocca, ma lui continuò a parlare. Se doveva
sputare il rospo, doveva farlo in fretta. “Sai, adoro come
sei completamente all’oscuro dell’effetto
devastante che hai su di me.” Notò nuovamente
un’espressione confusa sul viso di Sara e il suo sorriso
imbarazzato la rendeva ancora più bella. “Vederti
con quel Paul, o come cavolo si chiama…”
“Eri geloso di Phil?” Chiese scioccata, portandosi
le mani al viso per coprire la sua bocca spalancata. Katie aveva
ragione. “Uno a zero per lei.” Pensò
Sara, prima di concentrarsi nuovamente su Michael.
“Beh, per quanto ne sapessi, tu e lui potevate essere una
coppia.” Spiegò in sua discolpa.
“Sul serio pensi che i miei gusti in uomini siano
così… Scadenti?” Un sorriso misto di
divertimento e curiosità apparve sulle sue labbra.
“No, Sara.” Sorrise, abbassando leggermente lo
sguardo, perché sapeva che quello che stava per dirle, forse
avrebbe rovinato quel momento. “Però ho notato che
hai flirtato con lui.” Dopo qualche secondo di silenzio,
alzò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara. Si
aspettava di vedere un’espressione dura sul suo viso,
dopotutto le aveva appena dato della gatta morta.
Invece Sara continuava a sorridere, lusingata dal fatto che Michael
fosse geloso. Significava che lui ci teneva a lei.
“Bene Michael, penso sia arrivato il mio turno di
parlare.” Si schiarì la voce e
proseguì. “Quando decisi di traslocare in questa
zona, l’unica cosa che avevo in programma di fare, era uscire
la mattina per andare a lavoro e rintanarmi in casa, stare il
più lontano possibile dagli occhi curiosi della
gente.”
“E io ti ho rovinato il piano.” Disse quasi
scusandosi e non capendo il vero senso delle parole di Sara.
“Non capisci, Michael?” Chiese divertita, scuotendo
la testa. “Nello stesso istante in cui mi hai chiesto se
avevo bisogno d’aiuto con le scatole, ho capito che la mia
vita non doveva essere così patetica. Quando mi hai portata
al luna park, ho capito che non era in casa che volevo rimanere, ma in
giro con te. Quando mi hai fatta salire sulla giostra, ho capito che
non era un noioso film che volevo vedere, ma fare la pazza con
te.” Sara vide Michael sorridere, nel ricordare quella notte.
“Quando mi hai raccontato di Christina Rose, ho capito che
non volevo una patetica vita di solitudine, rinchiusa al buio nel mio
salone, ma starti vicino e scoprire tutto di te.” Sorrise,
sfiorandogli delicatamente la mano. “E quando mi hai chiesto
se il mio cognome aveva a che fare con
l’Italia…” Sorrise nostalgica, nel
ricordare i primi minuti che aveva passato con lui. “Ho
capito che tu non eri come gli altri. Era come se tu sapessi quanto
terrore avevo che mi chiedessi di mio padre. Era come se mi conoscessi
da una vita e non mi ero mai sentita cosi con…”
Michael adorava stare lì e sentirla parlare, ma il bisogno
impellente di baciarla lo costrinse ad interromperla. Non riusciva a
resistere oltre e decise che quello era il momento giusto per agire. Si
sporse leggermente verso di lei, sfiorandole le labbra che sapevano
ancora d’uva. Sorrise nello scoprire che il sapore
d’uva sulle labbra di Sara gli piaceva più
dell’uva stessa.
Nel giro di qualche secondo razionalizzò quello che aveva
appena fatto e, allontanandosi lentamente e controvoglia da lei, uno
sguardo pentito si fece largo sul suo viso. “Sara, mi
dispiace.” Disse serio. “Cioè, non mi
dispiace di averti baciato, mi dispiace di averlo fatto
così, senza la minima idea che tu lo volessi o meno,
io…”
Sara decise che aveva sentito abbastanza. Senza dire una parola o
fargli capire quello che aveva in mente, si avvicinò
lentamente a lui e, quando gli fu abbastanza vicino da poter sentire il
suo respiro caldo sul suo viso, gli sorrise maliziosamente. Decidendo
che il bacio di prima era stato troppo breve, fece sì che le
loro labbra finissero quello che avevano iniziato qualche secondo prima.
Michael era sorpreso da quello che stava succedendo sul divano di casa
sua in quel momento.
Finalmente lui e Sara erano andati oltre e questa volta era stata lei a
fare la prima mossa. Questo voleva dire che anche lei, come
lui, voleva essere per lui qualcosa di più di una semplice
vicina di casa.
Ma, nonostante avesse desiderato baciarla fin da quando aveva saputo
che lei avrebbe vissuto accanto a lui, qualcosa sembrava frenarlo.
“Aspetta Sara.” Disse, allontanandosi un
po’ da lei, mettendole, con fare protettivo, le mani sulle
spalle, di modo che non perdesse il contatto con lei.
“Cosa?” Chiese, preoccupata che Michael si fosse
pentito di aver risposto al suo bacio.
“Non voglio che affretti le cose, specialmente se non ti
senti pronta.” La rassicurò sorridendo e
accarezzandole dolcemente le spalle. “Dopotutto ci conosciamo
da poco e…”
“Michael.” Lo zittì, mettendogli
l’indice sulle labbra. “Adesso ascolta,
perché quello che ti sto per dire è molto
importante, ok?” Sorrise, notando che Michael annuiva e le
sue labbra formavano un sorriso sotto l’indice che Sara
teneva ancora sulle labbra di Michael. “Non hai idea di
quanto abbia aspettato di incontrare una persona che mi facesse sentire
come fai tu.” Abbassò lo sguardo per qualche
secondo, mentre sentiva che le sue guance iniziavano ad arrossire.
“Ed il solo fatto che tu abbia questo effetto su di me dopo
solo qualche giorno, mi spaventa. Non oso pensare a come mi sentirei
standoti vicino per più di un giorno!” Rise.
“Il punto è che ho aspettato troppo, sono stanca
di passare le notti a chiedermi come sarebbe stato se avessi fatto
questo invece di quello, o se avessi detto quello invece di questo.
Sono stanca di aspettare Michael, voglio scoprire come ci si sente ad
essere felici.” Disse, togliendo finalmente
l’indice dalla bocca di Michael che continuava a sorridere.
Le prese una mano tra le sue e la baciò. “Se
questo è quello che vuoi veramente, allora ho solo una cosa
da chiederti.” Disse alzando lo sguardo dalla sua mano fino
ai suoi occhi, che in quello strano gioco di ombre e luci gli
sembravano di una sfumatura marrone-verde.
“Dimmi.” I suoi occhi lo guardavano curiosi in
attesa di scoprire cosa aveva da dirle, ma il suo cuore avrebbe voluto
renderla sorda per qualche istante, perché il terrore che la
rifiutasse la paralizzava. Non avrebbe potuto sopportare un rifiuto,
non quando era così sicura che le cose tra loro sarebbero
state perfette.
“Resta qui. Stanotte. Con me.” Disse finalmente,
dopo aver pensato al modo più dolce e romantico per farle
capire che lui voleva stare con lei almeno il doppio di quanto lei
volesse lui. Certo, il fatto che Sara ora piangesse, gli fece
rimpiangere di aver lasciato il comando alla sua parte irrazionale, ma
presto capì che quella era stata la scelta giusta.
Al sentire quelle parole, il cuore di Sara iniziò a
volteggiarle in petto senza che lei potesse o volesse farci niente.
Avrebbe voluto urlargli che sarebbe rimasta lì con lui per
sempre, invece delle lacrime iniziarono lentamente a rigarle il viso e
un sorriso imbarazzato apparì sulle stesse labbra che
avevano baciato quelle di Michael qualche istante prima.
Una delle poche cose che suo padre le aveva insegnato, era che i fatti
parlavano meglio di mille parole, e lei lo sapeva benissimo. Fu per
quel motivo che, invece di controbattere, buttò le braccia
al collo di Michael, costringendolo a poggiare le spalle sul divano,
ritrovandosi sopra di lui.
Si allontanò da lui per qualche secondo, il tanto giusto per
poter vedere il sorriso che anche Michael aveva in viso e per
permettergli di passarle dolcemente il pollice sulle guance per
asciugarle dalle lacrime, dopodiché riprese a baciarlo,
consapevole che, quella notte, sarebbe stata la loro notte.
A/N: Beh, se vi
è piaciuto, viva
me! E se
lasciate un commento, viva
voi!
|
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Capitolo 7 *** Rimpianti? No grazie! ***
A/N: Salve gente! Finalmente ho
avuto il tempo di postare l'ultimo capitolo scritto. Ammetto che dopo
questo capitolo non ho niente di pronto, per cui per quelli di
voi che si sono appassionati a questa storia, ho brutte notizie...
Dovrete aspettare un po' prima di leggere il prossimo capitolo! Eheheh,
prometto che m'impegnerò a scrivere presto!
Per quanto riguarda
quello che state per leggere... Ritroviamo Michael e Sara dopo il
discorso che hanno avuto la notte precedente e le conseguenze che
quello ha portato. Niente di sconcio, giusto qualche accenno.
Beh, buona lettura e come
sempre un grazie enorme a chi si è preso il tempo di leggere
e lasciare un commento. Adoro sapere quello che ne pensate!
Un raggio di sole dispettoso entrò nella camera dove Sara
dormiva tranquilla, svegliandola.
L’istinto di
girarsi dall’altra parte era forte, ma decise di arrendersi e
aprire lentamente gli occhi ancora un po’ assonnati.
Si
stiracchiò leggermente, sorridendo nel ricordare
dov’era. La camera di Michael.
Il ricordo della
giornata precedente, soprattutto della notte, la faceva sorridere
imbarazzata.
Il modo in cui le aveva
detto che aveva bisogno di parlarle.
Le parole che aveva
usato per farle capire che a lui piaceva.
Il fare protettivo che
aveva usato, quando le aveva detto che l’ultima cosa che
voleva, era affrettare le cose tra loro e costringerla a fare qualcosa
di cui si sarebbe pentita. “Mi chiedo se i ragazzi si rendano
conto dell’effetto che fa a noi ragazze quella
frase…” Pensò, divertita. E poi,
ovviamente, ripensò a quanto Michael l’avesse
fatta sentire bene quella notte, a quanto la loro alchimia fosse
perfetta. Arrossì al solo ricordare i loro corpi
aggrovigliati.
Non le era mai successo
di lasciarsi andare in quel modo al primo appuntamento, eppure con lui
era sembrata la cosa più giusta da fare. “Quelli
con Michael si possono chiamare appuntamenti?” Le disse
ironica la vocina nella sua testa.
In più, ogni
volta che si era risvegliata nella camera di un ragazzo, inspiegabili
sensi di colpa le attanagliavano lo stomaco. Ma non questa volta, non
con Michael.
“Beh,
evidentemente c’è qualcosa che non va,
perché passare la notte con un ragazzo che conosci da un
giorno, dovrebbe farti sentire un po’…
Facile!” Le fece notare la vocina.
Ma nemmeno lei, la
vocina irritante nella sua testa, poteva rendere Sara triste e
cancellare con un colpo di spugna, il sorriso beato sul suo viso. In
quel momento si sentiva come su una nuvola trasportata dolcemente dalla
brezza primaverile. Lì, su quella nuvola, niente poteva
andare male, niente poteva renderla triste. Lì, tutto era
semplicemente perfetto.
Si girò
lentamente per vedere se Michael era ancora lì, addormentato
di fianco a lei, ma di lui non c’era l’ombra.
“Sapevo che eri fuori allenamento, ragazza.” La
prese in giro la vocina nella sua testa. “Ma non pensavo lo
facessi scappare dopo solo una notte passata insieme!”
Continuò, prendendola in giro.
Si sedette sul lettone
di Michael e, mettendosi distrattamente apposto i capelli, si
guardò intorno per vedere se c’era qualche segno
di lui.
Qualche secondo
più tardi, la figura slanciata e sorridente di Michael,
entrò nella stanza con un vassoio in mano. Era la prima
volta che qualcuno le portava la colazione a letto ed era contenta che
quel qualcuno fosse lui.
“Buongiorno
dormigliona!” Scherzò, poggiando il vassoio sul
letto tra lei e lui e sporgendosi leggermente in avanti per baciarla
dolcemente sulle labbra.
“Buongiorno.”
Disse, dopo aver risposto al suo bacio. “Wow, colazione a
letto?” Chiese sorpresa.
“Beh, io non
esco mai di casa senza fare colazione e nemmeno tu dovresti.”
Fece finta di rimproverarla. “E per onorare le tue origini
italiane, cappuccino.” Sorrise, indicando una delle tazze sul
vassoio. “E ovviamente, dato che siamo in America,
muffin.”
“E’
la prima volta che qualcuno fa una cosa del genere per me!”
Esclamò imbarazzata.
“Nessuno ti
ha mai fatto un cappuccino?” Sorrise, facendo finta di non
aver capito quello che Sara intendeva.
“No.”
Sorrise. “Sei anche il primo che mi porta la colazione a
letto.” Gli disse, alzando leggermente lo sguardo, per poi
posarlo nuovamente sul vassoio di fianco a lei. “E sei anche
il primo che associa il cappuccino al mio cognome.” Aggiunse
divertita.
“Beh,
è giusto che ti metta in guardia. Il mio cappuccino non
è il migliore qui a Chicago.” Scherzò.
“E poi il
muffin e…” Sara notò una cosa strana di
fianco ad una delle tazze. “Di certo nessuno mi aveva mai
offerto un…” Prese in mano quello strano pezzo di
carta e lo osservò colpita. “Origami a forma di
fiore. Michael, l’hai fatto tu?” Chiese stupita,
alzando velocemente lo sguardo verso di lui.
“Già…”
Disse annuendo imbarazzato.
Quella mattina si era
svegliato qualche minuto prima di Sara.
Ancora non credeva di
averle confessato quello che provava per lei, ma vederla dormire di
fianco a lui, gli fece capire che la stupenda notte che avevano passato
insieme, non era un sogno. Vederla lì, accoccolata di fianco
a lui con un sorriso felice sulle sue dolci labbra, gli fece prendere
in seria considerazione l’idea di restare lì a
fissarla finché non si fosse svegliata. “Se vuoi
passare per pervertito, questa è una grande idea!”
Gli fece notare la vocina nella sua testa.
In effetti, non aveva
tutti i torti, avrebbe trovato mille altri modi per passare il tempo
mentre lei dormiva. E così fu.
Cercò di
alzarsi il più delicatamente possibile, sperando di non
svegliarla. Una volta in piedi, sentì Sara mugolare qualcosa
e dargli le spalle, girandosi verso la finestra.
Si mise qualcosa
addosso e volò in cucina, prese dalla credenza un vecchio
ricettario della mamma. Sperava ci fosse quello che cercava.
Una volta trovato, si
mise in azione, sperando che fare un cappuccino fosse così
facile come sembrava.
Mentre aspettava che il
cappuccino riscaldasse, prese un vassoio e ci poggiò sopra
due muffin al cioccolato e due tazze vuote. Fu in quel momento che
l’idea dell’origami lo fulminò.
Corse a prendere dal
suo studio due fogli di carta colorati e li piegò,
finché non presero la forma che voleva.
Poggiò
l’origami sul vassoio e una volta pronto il cappuccino,
riempì le due tazze.
Mentre si avvicinava
alla stanza, fissava il fiore sul vassoio. Stranamente, quella che
qualche secondo fa era sembrata l’idea del secolo, ora
sembrava una delle cose più stupide e infantili che avesse
mai fatto. “Hai mai visto qualcuno fare una cosa del
genere?” Lo prese in giro la vocina. “Ma che hai,
15 anni?” Continuò.
Ed ora che Sara teneva
in mano quel fiore, Michael si pentì di non aver dato
ascolto alla voce nella sua testa.
“Ti piacciono
gli origami?” Chiese Sara curiosa, studiando affascinata i
minimi dettagli del fiore che teneva in mano.
“Più
o meno…” Rispose un po’ sorpreso dalla
sua reazione. “Più che altro sono affascinato dai
significati che hanno.” Disse senza pensarci.
“Ah
si?” Sara spostò lo sguardo dal fiore, agli occhi
di Michael. “E questo che significato ha?” Chiese
alzando leggermente le sopracciglia, con uno sguardo malizioso.
“Significa
che sono stato benissimo con te.” Rispose, altrettanto
malizioso.
“Io invece
son stata malissimo.” Disse, sporgendosi verso di lui per poi
baciarlo. Quando si allontanarono l’uno dall’altra,
Sara notò il sorriso divertito di Michael. “Avrei
dovuto evitare il bacio se volevo suonare seria, vero?”
Chiese divertita.
“Direi di
sì.” Rispose ridendo.
Michael e Sara fecero
colazione insieme, continuando a stuzzicarsi e a farsi battutine.
Stavano bene insieme,
nessuno poteva negarlo. Anzi, stavano talmente bene insieme, che non si
resero conto che entrambi stavano facendo tardi a lavoro.
“Oh
cavolo!” Esclamò Sara, vedendo l’ora che
segnava la sveglia sul comodino di Michael. “Devo correre a
casa a rinfrescarmi e cambiarmi.” Disse, cercando con lo
sguardo la roba che aveva indosso la notte prima.
“Chiama e
datti malata.” Disse Michael, tirandola nuovamente a
sé.
“Oh certo, ho
sentito dire che se si ha la ‘Scofieldite’ ti danno
una settimana di ferie.” Scherzò, prima di
baciarlo sulle labbra.
“E che
malattia sarebbe?” Chiese divertito, ripensando al nome che
Sara si era appena inventata.
“Non lo so,
per ora sappiamo solo che dà dipendenza.” Gli
sussurrò all’orecchio, più maliziosa
che mai.
“Ok Sara,
meglio che scappi ora. Altri 5 secondi e potrei cambiare
idea.” Disse, combattendo l’istinto di rivivere la
notte prima insieme a lei.
Sara lo
baciò velocemente sulle labbra, dopodiché
raccolse la sua roba e si vestì.
Michael la
accompagnò alla porta.
“Ci vediamo
dopo?” Le chiese, aprendole la porta.
“Non penso ci
vedremo più.” Scherzò, baciandolo
un’ultima volta sulle labbra, prima di sorridere.
“Ancora una volta tradita dal bacio.” Rise.
“Ti avevo detto che la ‘Scofieldite’ crea
dipendenza.” Scherzò, ricordandogli la battuta di
qualche minuto prima.
“Non
scherzare col fuoco, Tancredi.”
L’avvertì sorridendo.
Vide Sara sorridere a
sua volta, prima di entrare in casa sua. Divertito, rientrò
in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Non appena messo piede
in casa, Sara poggiò la schiena alla porta
d’ingresso e si coprì il viso con le mani, mentre
un enorme sorriso le appariva sulle labbra.
Era da tanto tempo che
non si risvegliava così felice e con la voglia di spaccare
il mondo. Sarebbe voluta uscire in giardino e urlare quanto si sentiva
bene e perché, ma giustamente, la vocina le fece notare che
quel comportamento non avrebbe avuto un buon riscontro sulle anziane
che vivevano lì.
Lanciò uno
sguardo veloce all’orologio e decise che aveva fatto tardi
abbastanza. Nel giro di 15 minuti, Sara si rinfrescò e si
mise addosso degli abiti puliti.
Una volta pronta,
guardò nuovamente l’orologio, rendendosi conto del
pauroso ritardo che aveva. “Accetterei anche un passaggio da
Phil!” Disse disperata, raccogliendo le ultime cose prima di
uscire.
Quasi come se le sue
preghiere fossero state sentite, Sara sentì il campanello
suonare. Il terrore che Phil fosse dall’altra parte della
porta, le fece rimangiare la preghiera di qualche istante prima.
Sbuffò,
dopodiché aprì la porta.
“Mi chiedevo
se ti serviva un passaggio.” Le chiese Michael, facendo
girare il portachiavi con le chiavi della macchina, attorno al suo
indice.
“Non riesci a
starmi lontano nemmeno per 5 minuti, eh?” Chiese, divertita
di trovarselo di fronte. Vederlo con addosso un elegante abito blu
scuro, le fece immaginare cose poco adatte da fare con Michael in quel
momento, soprattutto nel giardino di casa sua.
Odiava gli uomini in
abito, li ricordavano tutti suo padre, ma Michael… Beh,
addosso a Michael adorava tutto. “O niente.” Disse
maliziosa la vocina nella sua testa.
“Beh, forse
la ‘Scofieldite’ è
contagiosa.” Sorrise, scrollando le spalle.
“Beh, nel tuo
caso è ‘Tancredite’.” Lo
corresse divertita, mentre chiudeva la porta di casa sua alle sue
spalle e lo seguiva, più che volentieri, verso la sua
macchina.
Il viaggio verso
l’ospedale, durò meno del previsto e riuscirono a
scambiarsi solo qualche battuta.
Una volta arrivati,
Michael fermò la macchina nei pressi dei parcheggi
dell’ospedale, vicino alla porta grigia, da cui pensava Sara
sarebbe poi passata.
Notò che lo
sguardo di Sara si soffermò su una ragazza di colore che,
avendo notato che era arrivata, si avvicinava verso lei con un gran
sorriso compiaciuto, forse perché aveva notato che Sara non
era sola.
“E’
una tua amica?” Chiese curioso.
“A dire il
vero è Katie, la mia migliore amica.” Rispose,
notando che l’amica era solo a qualche passo di distanza
dalla macchina, prima di voltarsi verso Michael e sorridergli.
“Mhm,
capito.” Si limitò a commentare, anche se avrebbe
voluto chiederle come mai non era così entusiasta di vederla.
Come se Sara avesse
avuto, per qualche istante, il potere di leggergli la mente, gli diede
la spiegazione che silenziosamente Michael aveva chiesto.
“Adoro Katie, sul serio, l’unico problema
è che le piace molto parlare.” Spiegò.
“Se capisci quello che voglio dire.” Aggiunse,
alludendo al fatto che, qualche volta, l’amica si lasciava
sfuggire qualcosa di troppo.
“Beh, diamole
qualcosa di cui parlare per tutta la giornata.” Sorrise,
prima di prendere il viso di Sara tra le sue mani e lasciarsi andare ad
un bacio carico di passione che, di sicuro, non sarebbe passato
inosservato agli occhi curiosi di Katie.
Qualche secondo dopo,
Michael si allontanò da lei, aspettando di vedere
l’espressione che il viso di Sara avrebbe assunto.
Un sorriso malizioso e
compiaciuto, apparve sulle sue labbra. “Questo ovviamente era
solo per dare a Katie qualcosa di cui parlare, vero?” Chiese
alzando un sopracciglio.
“Certo,
nessun fine personale.” Scherzò, cercando di
suonare serio.
“Michael, se
somministro una cura sbagliata ad un paziente, so a chi
dovrò dare la colpa.” Sorrise, prima di aprire lo
sportello della macchina.
“E io
saprò chi incolpare se qualcuno noterà degli
errori nelle planimetrie che ho disegnato.” Rispose
prontamente, mentre Sara scendeva dalla macchina. Schiacciò
un pulsante e il vetro dello sportello del passeggero si
abbassò automaticamente. “Pranziamo
insieme?” Le chiese.
“Assolutamente.”
Rispose guardandolo un’ultima volta, prima di salutarlo e
raggiungere Katie.
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Capitolo 8 *** Accettalo, Sara ***
A/N: E dopo
un'eternità, finalmente Ily decise di scrivere e postare un
nuovo capitolo. :) Chiedo scusa se mi ci è voluto
così tanto, ma in questo periodo le idee iniziavano a
scarseggiare... Poi ho letto il papiro che Ale mi ha lasciato tra i
commenti, e mi ha fatto talmente piacere sapere che segui ancora Prison
Break, tanto da mettere il sedere sulla sedia e provare a scrivere
qualcosa. E tra l'altro... Grazie a tutti voi per i commenti che mi
avete lasciato!!
Quello che state per leggere è il risultato. Io,
onestamente, non ne sono molto entusiasta, spero non sia lo stesso per
voi!
Sara sentì il rumore del motore della macchina di Michael
farsi sempre meno potente, man mano che lui si allontanava. Mentre
invece, il sorriso della sua amica Katie, diventava sempre
più grande man mano che le due si avvicinavano.
“Oh mio Dio, non dirmi che era chi penso che
fosse!!” Esordì Katie, lasciandosi vincere dalla
curiosità.
Sara sorrise nel notare quanto, ormai, avesse imparato a conoscere
l’amica. Decise che poteva permettersi di divertirsi un
po’ con lei.
“Oh, Katie! Ciao anche a te!” Disse ironica,
sottolineando il fatto che l’amica non l’avesse
nemmeno salutata, curiosa com’era di sapere i minimi dettagli
sull’affascinante uomo misterioso di Sara. “E
secondo… Eh???” Scosse la testa, riferendosi alle
parole che l’amica aveva farfugliato non appena le si era
avvicinata. In realtà aveva capito il senso di quelle
parole, -Katie aveva già capito che quell’uomo
misterioso era Michael- solo voleva vedere quanto l’amica
sapeva resistere.
Katie mise entrambi le mani sui fianchi e il suo sguardo ‘non far finta di non
aver capito’ fece ridere Sara. Sapeva di non
essere brava a mentire, ma non pensava di essere come un libro aperto,
fin troppo facile da leggere.
“Ragazza, a Katie non sfugge nulla.” Le
ricordò l’amica annuendo. “Che tu lo
ammetta o no, scommetto che quel ragazzo è lo stesso Michael
Scofield di cui mi hai parlato.” Inutile negarlo, Katie aveva
capito tutto, ma prima che Sara potesse darle conferma, Katie aggiunse:
“Lo stesso ragazzo a cui tu sbavi dietro.” Rise,
mentre Sara la guardava quasi scioccata.
“Ok… Io non gli sbavo dietro!”
Protestò immediatamente, prima di incamminarsi finalmente
verso la porta dell’ospedale.
“Invece sì,” sorrise Katie.
“ma non dovresti vergognarti, voglio dire… Ma
l’hai visto?!?!?”
“Beh, sì!” Disse cercando di far suonare
la sua risposta scontata. Fin da quando l’aveva visto la
prima volta, aveva cercato inutilmente ogni modo possibile per
descrivere all’amica cosa di Michael le piacesse tanto. Ogni
volta però, non riusciva a trovare l’aggettivo
giusto. Ogni parola che le veniva in mente, era sempre troppo riduttiva
per descriverlo. Per cui le sue frasi erano sempre incomplete.
‘I suoi occhi sono…’ ’La sua
bocca è…’
Finalmente ora Katie sapeva di cosa parlava, e soprattutto
perché si trovava così tanto in
difficoltà nel descriverlo.
“E non
l’ho solo visto…” Avrebbe
voluto aggiungere, ma la notte passata con Michael era speciale, non
voleva svendere il ricordo così. Gliene avrebbe parlato
senz’altro, dopotutto Katie era la sua migliore amica, ma
l’avrebbe fatto con calma, davanti ad una tazza di
caffè durante la pausa pranzo.
“Ora capisco perché ti piace tanto.” Le
sorrise, mentre raggiungevano gli spogliatoi dove c’erano i
camici ad aspettarle. “E poi… Siete
così carini insieme!!” Disse con un tono ti voce
più alto del normale, che fece ridere Sara. Non aveva mai
sentito l’amica così eccitata per qualcosa che non
era successa a lei. E poi… Sentirle dire che lei e Michael
insieme stavano bene… Beh, la fece arrossire e non poco!
“E quel bacio…! Di certo non va a baciare tutte in
quel modo!” Rise abbottonandosi alcuni bottoni del camice.
“Spero per lui di no!” Rise Sara a sua volta.
Katie chiuse il suo armadietto, per poi avvicinarsi un po’ di
più all’amica. Spalancò la bocca in
sorpresa, poi sorrise. “Ma guardati, sei già
gelosa!!”
“Non sono gelosa!” Disse dandole le spalle e
facendo finta di mettere a posto qualcosa nella sua borsa. Odiava
quando le davano della gelosa, soprattutto quando avevano ragione.
Di solito lei non si auto-definiva in quel modo, la gelosia non era un
peccato che le apparteneva, ma ancora una volta si rese conto che
quando c’era Michael Scofield di mezzo, niente era
più come lo ricordava.
Che lo volesse o no, qualcosa in lei stava cambiando.
Nonostante fossero passati pochi giorni da quando si era trasferita in
quel quartiere, nel suo quartiere, già sentiva che la
‘Sara figlia del governatore’ che tutti
conoscevano, stava lentamente mutando, evolvendosi da crisalide in
farfalla e tutto questo grazie al misterioso ragazzo dagli occhi
glaciali che l’aveva aiutata con le sue scatole.
Che se ne rendesse conto o meno, qualcosa in lei era già
cambiato.
“Hey ragazza, sei tra noi?” Le chiese Katie
schioccandole le dita a qualche centimetro dal naso, per risvegliarla
dai suoi pensieri.
“Sì, scusa è che…”
Si passò una mano sulla fronte e ne approfittò
per portarsi qualche ciuffo di capelli dietro le orecchie.
“Sai, tutti i segnali mi fanno pensare che tu abbia passato
una ‘nottata
movimentata’, sbaglio?” Il tono
malizioso che aveva usato e il gesto delle virgolette fatto con le
dita, fecero sorridere e arrossire Sara allo stesso momento.
“Più tardi Katie…” disse
imboccando un corridoio diverso da quello che prese l’amica.
“Più tardi.” Ripeté sottovoce
sorridendo, mentre decideva che era ora di concentrarsi sulla cartella
del paziente che stava per visitare.
Salutò con un gesto del capo alcuni colleghi che
incontrò lungo il corridoio, dopodiché
entrò nella camera 18, dove la Signora Miller la aspettava.
“Buongiorno Signora Miller.” La salutò
sorridente, avvicinandosi al letto della sua nuova paziente.
“Io sono la dottoressa Tancredi.” Si
presentò, come faceva sempre quando le veniva affidato un
nuovo paziente.
La signora di fronte a lei, probabilmente sull’ottantina,
appoggiò sul comodino di fianco a lei un libro che teneva in
mano, e guardando nuovamente Sara, sorrise a sua volta.
“Buongiorno Dottoressa Tancredi, io sono Elena Miller, ma la
prego, c’è già troppa gente che mi fa
sentire anziana chiamandomi Signora.” Sorrise, trasmettendo a
Sara una strana
sensazione di tranquillità, come se il fatto di essere in un
ospedale non la toccasse minimamente. “Mi chiami solo
Elena.” Aggiunse.
“Con molto piacere Elena.” Disse Sara annuendo e
non potendo fare a meno di essere ipnotizzata dal sorriso rilassante
che era presente sulle labbra dell’anziana signora di fronte
a lei. “Bene, come le avranno detto le infermiere che
l’hanno accompagnata qui, le dovremo fare solo qualche
prelievo, dopodiché sarà libera di tornare a
casa.” Sorrise mentre le spiegava la procedura.
“Per qualsiasi domanda, si rivolga pure a me,
d’accordo?” Le chiese, ricevendo un grande sorriso
come risposta.
Salutò la Signora Miller e s’incamminò
verso la porta, quando proprio la voce intimidita
dell’anziana la fermò.
“Dottoressa, a dire il vero vorrei farle una domanda proprio
adesso…” Disse l’anziana. Sara si
fermò per girarsi nuovamente e guardare in faccia la Signora
Miller.
“Dica pure.” Sara si avvicinò nuovamente
al letto della sua paziente, aspettando di sentire la sua domanda.
“Scusi la curiosità, ma il suo
cognome…”
Al solo sentire la parola ‘cognome’ il sangue di
Sara le si gelò nelle vene.
Avrebbe dovuto farci l’abitudine ormai. Ogni volta che si
presentava, tutti le chiedevano curiosi se fosse la figlia del
governatore. ‘Non
proprio tutti.’ Pensò sorridendo a
come Michael l’avesse sorpresa il giorno che si erano
conosciuti.
“Sì, sono la figlia del governatore.”
Disse quasi senza pensarci, come a risparmiare all’anziana
l’imbarazzo di dover finire la sua domanda.
“Oh…” Si limitò a dire la
confusa vecchietta, inarcando le sopracciglia.
Sara aveva visto molte persone reagire in modo diverso a quella
notizia, ma quell’anziana signora l’aveva spiazzata.
“Io veramente volevo chiederle se è italiana,
perché…”
Mentre la signora continuava a parlare, la mente di Sara
tornò a qualche giorno prima, quando sentì
Michael farle la stessa domanda.
L’odore delle pareti della sua casa appena tinteggiate, il
blu artico dei suoi occhi su di lei, il caldo di quell’Aprile
che sembrava così diverso da tutti gli Aprili che aveva
conosciuto, le battutine che si scambiarono in quelle poche ore che a
lei sembravano giorni.
Tutto sembrava lontano anni luce, ma se solo si fosse presa un secondo
per razionalizzare tutto, si sarebbe presto resa conto che, in fondo,
tutto quello era successo solo qualche giorno prima.
“Dottoressa, tutto bene?” Chiese preoccupata la
vecchina di fronte a lei. “Mi scusi, non volevo suonare
troppo curiosa con quella domanda, mi scusi…”
Disse imbarazzata, sperando che la giovane ragazza di fronte a lei non
se la fosse presa.
Sara scosse la testa divertita dalla situazione, e rassicurò
immediatamente l’anziana signora che stava seduta sul letto
di fronte a lei. “Non si preoccupi Elena, è solo
che la sua domanda mi ha fatto pensare ad un’altra persona
che nel sentire il mio cognome, mi fece la stessa domanda.”
Sorrise prima di prendere un respiro profondo. Da quando in qua
sospirava quando pensava a Michael?
“Dalla sua espressione deduco fosse un ragazzo.”
Disse la vecchina sorridendo, senza paura di sbagliarsi.
Di sicuro si era ritrovata in una situazione del genere con sua figlia,
o con qualche nipote adolescente, per cui sapeva che quando una ragazza
ha la testa tra le nuvole ed uno strano sorriso beato sul viso, sta per
forza pensando ad un ragazzo.
Il sorriso sognante che non si era resa conto di avere sulle labbra, la
tradì.
Quando si trattava di Michael le risultava difficile nascondere come si
sentiva –leggera, senza pensieri, libera di essere
semplicemente Sara, felice di sentirsi per la prima volta
innamor…
Scosse la testa rifiutando di proseguire quella parola.
Era solo infatuata di Michael, niente di più…
Giusto?
Non era il momento di pensarci, aveva tanti pazienti da visitare e
tante cure da somministrare. Ci avrebbe pensato più tardi,
di fronte ad una tazza di caffè, ascoltando i consigli e le
opinioni di Katie.
Salutò la Signora Miller, prima di riprendere le visite ai
suoi pazienti.
Qualche ora più tardi, Sara era nel suo studio a compilare
alcuni documenti, quando Katie bussò alla porta semi-aperta,
reggendo due tazze di caffè.
“Hey fannullona!” Scherzò poggiando uno
dei bicchieri sulla scrivania di Sara e sedendosi nella sedia di fronte
a lei. “Tutto bene?”
“Sì,” rispose Sara sorridendo
leggermente e portando alla bocca la tazza di caffè. Ne
prese un sorso e lasciò che il caldo liquido scuro le
riempì la bocca. Nonostante la ricca colazione che aveva
fatto a casa di Michael, aveva un bisogno disperato di caffè
per aiutarla a schiarirsi le idee. “sono solo un
po’…” Scosse la testa non riuscendo a
trovare la parola giusta.
“Quando non finisci una frase, di solito
c’è sempre un attraente ragazzo dagli occhi
azzurri di mezzo.” Disse gentilmente, sorridendo e
appoggiando la mano su quella di Sara. Un semplice gesto che la fece
sorridere.
Di Katie si poteva dire di tutto: che le piaceva parlare
–forse anche un po’ troppo-, che qualche volta era
un po’ troppo curiosa, o che preferisse ascoltare i problemi
degli altri piuttosto che affrontare i suoi. Ma di certo Sara non le
avrebbe mai potuto rimproverare di non essere una buona amica. Katie
c’era sempre per lei, e questa volta non faceva eccezione.
“Mi conosci troppo bene.” La rimproverò
affettuosamente Sara. Entrambe sorrisero, rimanendo in silenzio per un
po’, dopodiché Sara respirò a fondo e
sputò il rospo. “Son stata con lui,
stanotte.”
Questa volta Katie non fece nessuna faccia sorpresa o nessun urletto
isterico. Si limitò ad accarezzare nuovamente la mano di
Sara e sorriderle, quasi a farle capire che lo sapeva già.
“L’avevi intuito da come sorridevo già
da stamattina presto?” Scherzò Sara, imbarazzata
al solo pensiero di guardarla negli occhi.
“No, l’ho capito da come ti guardava
lui.” Disse scrollando le spalle e sorridendole.
Sara alzò subito lo sguardo per incrociare quello di Katie,
l’imbarazzo per quel gesto era svanito non appena aveva
sentito quelle parole uscire dalla bocca dell’amica.
Ora tra loro c’era nuovamente il silenzio, ma lo sguardo di
Sara sembrava pregare silenziosamente l’amica di continuare a
parlare.
“Sara, sul serio hai bisogno che te lo dica io? O hai solo
bisogno di sentirti dire che stai facendo la scelta giusta?”
Chiese Katie, mentre vedeva che Sara tornava a sorridere.
Già, Katie la conosceva proprio bene.
“Lo sai anche tu che lui non è uno di passaggio,
vero?” Sara annuì. “Eppure hai paura di
ammettere quello che provi, no?” Se Sara fosse stata un
birillo e Katie una palla da bowling, in questo momento la scritta
‘strike’ starebbe lampeggiando sopra la sua testa.
Anzi no, Katie la conosceva dannatamente
bene.
“Katie, non posso nemmeno pensare a quello che provo per lui
dopo solo pochi giorni… Non sarebbe da me.” Disse
scuotendo la testa.
“E allora? Le persone cambiano, Sara. Quando il cambiamento
è negativo, lo si combatte. Ma quando il cambiamento
è positivo, lasci che ti cambi.”
“Come puoi essere così sicura che Michael
sarà un cambiamento positivo?” Il tono di Sara a
metà tra il preoccupato e il curioso di conoscere la
risposta a questa sua domanda, fecero sorridere Katie prima di
risponderle.
“Perché tutti quelli che ci son stati prima di
lui, non ti hanno mai resa così felice, nemmeno dopo che ci
sei stata mesi insieme.” Sara si unì al sorriso
dell’amica, prima di tirarla a sé e abbracciarla.
Il momento commovente fu interrotto dallo squillo del cellulare di
Sara. Katie fu più veloce e guardò prima di Sara
lo schermo che si illuminava ad intermittenza, e sorridendo si
limitò a dire: “Fossi in te risponderei.”
Una reazione del genere voleva dire solo una cosa, era lui che la stava
chiamando.
Sara sorrise e prima di rispondere diede una pacca affettuosa sul
braccio dell’amica.
“Hey.” Rispose aprendo lo sportellino del cellulare.
“Hey, come va?” Le chiese.
“Tutto bene, mi son presa qualche minuto per bere un
caffè con Katie, tu?” Cercò di restare
seria, mentre l’amica faceva delle strane smorfie ad ogni sua
parola.
Katie decise di lasciarle giustamente un po’ di privacy, e
dopo averle mandato qualche bacio volante, chiuse la porta dello studio
di Sara, lasciandola sola nella stanza.
“Tutto bene, anche se stavo per dare l’ok ad un
progetto potenzialmente disastroso.” Disse ridendo.
“Sembra quasi che tu fossi distratto da qualcosa.”
Se voleva suonare maliziosa, c’era appena riuscita.
“Credi sia per quel motivo?” Le chiese quasi
retorico. Sara poteva quasi immaginarselo di fronte a lei, con quel
sorriso malizioso che andava sempre d’accordo con la forma
che i suoi occhi blu prendevano quando sorrideva. “In
effetti, oggi mi è capitato spesso di pensare ad una ragazza
dai capelli corti e scuri e dagli occhi di cerbiatto.”
“Solo oggi?” Le chiese divertita da quelle che
ormai erano diventate le loro battutine.
“Beh, oggi più del solito.” Rispose
prima di ridere. “Mi chiedevo se quella ragazza mi
raggiungerebbe alla tavola calda che c’è
lì vicino per pranzare con me?”
“Prova a chiederglielo gentilmente.”
Scherzò lei, mentre guardava fuori dalla finestra del suo
studio, come a cercare tra i mille palazzi di fronte a lei, la tavola
calda che Michael aveva appena nominato.
“Oh ragazza dagli occhi di cerbiatto che stavi per rovinare
la mia carriera di ingegnere,” Sara sorrise e scosse la testa
divertita da come Michael aveva deciso di iniziare questo strano invito
a pranzo “mi diresti sì se ti invitassi a pranzare
alla tavola calda che c’è lì vicino,
insieme a me?” Sorrise aspettando una risposta.
“Avresti potuto fare di meglio,” sorrise
prendendolo in giro “ma per questa volta te la faccio passare
e accetto il tuo invito.” Scherzò, facendo suonare
questa sua frase come un obbligo, quando invece non vedeva
l’ora di rivederlo.
“Allora ti aspetto.” Disse tornando nuovamente
serio, il suo tono di voce nuovamente profondo e dal solito effetto
devastante su Sara.
“A dopo, Michael.” Lo salutò.
“A dopo, Sara.” Rispose prima di finire la chiamata.
Katie aveva ragione, non c’era nessun motivo per continuare a
negarlo, quella che aveva per Michael, andava oltre la semplice
infatuazione.
“Molto
oltre.” Si disse prima di finire il
caffè.
A/N: Bene, questo era il
capitolo 8, credo...? Ad ogni modo, il prossimo sarà scritto
sotto il punto di vista di Michael e ripercorrerà la sua
mattinata. Diciamo che mi è piaciuto tanto fare
l'esperimento della divisione del capitolo sotto i punti di vista dei
due protagonisti, che ho voluto riprovarci.
E fino al prossimo
capitolo... Buona estate a tutti!
§Ily§
|
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Capitolo 9 *** Ricordi ***
A/N: Salve a
tutti! Sono riuscita a buttare giù qualche idea prima del
previsto, per cui ecco a voi il capitolo9, tutto visto sotto il POV di
Michael.
E prima di lasciarvi alla
lettura, voglio ancora ringraziarvi tutti per i commenti che mi state
lasciando, sapere che la storia vi sta piacendo mi fa veramente
piacere, ma mi fa ancora più piacere sapere che vi prendete
un po' di tempo per farmelo sapere. Grazie di cuore!
La guardò un’ultima volta dallo specchietto
retrovisore, prima di girare l’angolo e perderla di vista. Se
qualcuno ieri gli avesse ipotizzato una giornata del genere, di certo
lui gli avrebbe riso in faccia.
Era da tanto che non si risvegliava con una ragazza al suo fianco, e
aveva dimenticato quanto era bella quella sensazione, ma svegliarsi e
per prima cosa vedere Sara dormire tranquilla di fianco a
lui… Dio, era qualcosa che andava ben oltre!
Si fermò ad un semaforo rosso e finalmente poté
distrarsi ricordando il risveglio di qualche ora prima.
La morbida curva della schiena di Sara era la prima immagine di quella
giornata, un’immagine che ormai era impressa nelle sue
cornee. Il profumo della sua pelle chiara lo fece pensare al muschio
bianco, un odore di cui ora era dipendente. Il suo respiro calmo e
lento, sembrava quasi tranquillizzarlo, facendogli pensare che niente
era più importante che stare lì, disteso tra le
lenzuola di fianco a lei. I suoi capelli ancora arruffati dal sonno la
facevano sembrare così innocente e tentatrice allo stesso
tempo, anche se, lui ne era sicuro, lei gli avrebbe detto che
l’unica cosa a cui poteva pensare guardando i suoi capelli,
era una scopa. E le sue labbra… Quelle labbra che sembravano
curvarsi in un dolce sorriso anche in quel momento che era
addormentata…
Un clacson suonato in modo poco gentile, lo fece tornare alla
realtà e, notando che il semaforo era diventato verde,
schiacciò il piede sull’acceleratore e
ripartì.
Qualche minuto più tardi era già seduto nel suo
studio con alcuni fogli giganti, raffiguranti le planimetrie di qualche
nuovo edificio, srotolati sulla sua grande scrivania.
Tutto quello che doveva fare ora era guardare i progetti, controllare
che non ci fossero difetti e infine approvare e dare il via alle
costruzioni. Niente che non avesse già fatto, ma, come aveva
capito da un po’ di tempo, niente sembrava essere
più come prima, non da quando…
“Hey Mikey!” Disse Flo, la sua segretaria, entrando
nel suo studio e interrompendo la sua linea di pensieri.
“Guarda cosa ti ha portato la tua adorata e adorabile
segretaria!” Aggiunse facendogli notare il bicchiere di
caffè che reggeva in mano.
Michael si passò una mano sugli occhi e infine le sorrise.
“Come farei senza di te!” Disse infine, prendendo
in mano il bicchiere che Flo gli aveva porso.
“Già, come faresti…”
Sospirò lei scuotendo la testa, lasciando che le sue labbra
formassero un sorriso. “Non sei l’unico che usa
quella frase, a dire il vero sono in molti e…”
“… e direi che è meglio non andare
oltre, vero Flo?” Sorrise Michael, prima di prendere un sorso
di caffè.
“Che c’è, fai il geloso?” Le
chiese divertita.
“Affatto. Ma direi che quello non è un discorso
che voglio affrontare alle…” diede
un’occhiata al suo orologio. “9 del
mattino.”
Flo scosse le spalle. “Come vuoi, peccato però, ti
perdi un interessante discorso.”
“Oh, non lo metto in dubbio!” Disse ironico.
“Grazie per il caffè!”
“E’ un modo carino per cacciarmi via dal tuo
ufficio?” Chiese mettendo le mani sui fianchi e inclinando
leggermente il capo con fare offeso.
“Non prenderla nel modo sbagliato, Flo, ma ho centinaia di
planimetrie da controllare,” indicò la montagna di
fogli di fronte a lui. “e la mia concentrazione al momento
non è al 100%.” Spiegò, prima di
prendere un altro sorso di caffè.
“Capisco…” Disse annuendo.
“Sono sicura che la tua scarsa concentrazione non ha niente a
che fare con la ragazza di cui mi hai parlato, vero?” Sorrise
e alzò un sopracciglio, e Michael cercò con tutte
le sue forze di non farle capire che ci aveva preso in pieno. Ma il
sorrisino che era apparso sulle sue labbra al solo menzionare Sara,
l’aveva tradito.
“Lo sapevo!” Disse Flo battendo le mani di fronte a
lei.
“Credimi, mi piacerebbe rimanere qui a parlartene, ma come
vedi…” Indicò nuovamente le scartoffie
di fronte a lui e scosse le spalle.
“Codardo…” Lo rimproverò lei
scherzosamente. “Ma prima o poi verrai da me a parlarne,
tutti gli uomini lo fanno!” Disse sicura di sé,
prima di chiudersi la porta dell’ufficio di Michael alle
spalle, senza nemmeno lasciargli l’opportunità di
controbattere.
Michael scosse la testa divertito, mentre una risata gli fece quasi
sputare il poco caffè che aveva in bocca,
dopodiché appoggiò il bicchiere sulla sua
scrivania e si alzò, diretto verso la porta del suo ufficio.
La aprì leggermente per vedere Flo che stava ancora
lì di fronte a fare l’offesa, come faceva sempre
quando Michael decideva di non dirle qualcosa.
“Ripassa tra un po’, quando la montagna di carta di
fronte a me sarà notevolmente ridotta.” Le
sorrise, poggiando leggermente la testa sulla porta.
“Ti porto anche un bagle!” Disse contenta che
l’amico la conoscesse così bene.
Qualche secondo più tardi, Michael era di nuovo seduto alla
sua scrivania, con la sola compagnia del bicchiere di caffè.
Il solo sentire lo scuro, liquido caldo attraversagli la gola, lo
riportò nuovamente indietro a qualche ora fa, quando per la
prima volta aveva fatto colazione insieme a Sara.
Il ricordo di quanto avesse voluto rimanere lì, steso di
fianco a lei a guardarla finché non si fosse svegliata gli
invase la mente. Ricordò anche che, fortunatamente,
optò per l’opzione B, prepararle un cappuccino.
Era da tanto che non ne faceva uno, da quando sua madre era ancora
viva. Il cappuccino era la sua specialità e a Michael
tornò in mente quanto lui e suo fratello impazzissero quando
la loro madre glielo preparava. La domenica non era domenica, senza il
cappuccino della loro madre.
“2/3 di latte e 1 di caffè,” Li diceva
sempre. “è questo che lo rende così
buono.”
Sorrise, dopodiché decise che era ora di mettersi sotto e
controllare le planimetrie di fronte a lui, se non voleva che i lavori
di costruzione di quei palazzi rallentassero ulteriormente.
Dopo aver fatto qualche correzione ad alcuni dei progetti, Flo
tornò nuovamente nel suo ufficio e in mano aveva un
sacchetto con il bagle che gli aveva promesso qualche ora fa.
“E io che pensavo te ne saresti dimenticata!” Le
disse prendendone un morso.
“E’ bello sapere che hai piena fiducia in
me!” Disse ironica, facendo una faccia commossa.
Michael si limitò a sorridere e a prendere un altro morso
del bagle. “Hai visto?” Disse indicando la
scrivania quasi del tutto libera dai fogli. “Mi son portato
avanti con il lavoro.”
“Mhm, dobbiamo parlare di quanto tu sia bravo nel tuo lavoro,
oppure mi vuoi parlare di chi sai tu?” Disse Flo incrociando
le braccia al petto, prima di sedersi nella sedia dall’altra
parte della scrivania.
“Direi che potrei girarci intorno finché tu non ti
stanchi e decidi di lasciar perdere.” Sorrise.
“Il che, dato che sappiamo entrambi come sono, non
succederà mai. Quindi, o parli, oppure mi riprendo il
bagle.” Lo minacciò.
Michael prese qualche altro morso dal bagle e dopo aver ingoiato
l’ultimo pezzo disse: “Troppo tardi.”
“Dai Mikey, sai che son curiosa e sai anche che hai un
disperato bisogno di parlarne.” Disse quasi implorandolo.
“Per cui, perché non inizi a dirmi
perché sei così distratto, così
risolviamo entrambi i nostri problemi?”
“Ragioni in modo strano, sai?” Le fece notare
divertito. Lei si limitò a guardarlo e quello
bastò per farlo iniziare a parlare. “Abbiamo fatto
colazione insieme.” Disse affondando la schiena nel morbido
schienale della sua sedia.
“Mhm, ok…” Disse Flo annuendo e facendo
strane espressioni con la bocca, come se stesse pensando a come
formulare la sua prossima domanda. “Vuol dire che…
Tu e lei…?” I gesti strani che faceva con le mani,
fecero sorridere Michael.
“Tu fai colazione solo con le persone con cui vai a
letto?” Chiese Michael divertito.
“Il punto non è con chi io vada o non vada a
letto, o con chi io faccia o non faccia
colazione…” Scosse la testa, come a sottolineare
quanto il suo ragionamento fosse ovvio. “Il punto
è che non penso che una semplice colazione ti
riduca…” Pensò alla parola giusta da
dire, poi si limitò ad indicarlo e ad aggiungere.
“Così!”
“Beh, forse non sei mai stata inna…” Si
bloccò prima di finire la sua frase. Stava per dire
innamorato?
“Non son mai stata cosa, Michael?” Chiese, come a
fargli credere che in realtà non avesse capito la parola che
stava per scappargli di bocca.
“Non sei mai stata in… una situazione come la
mia.” Sorrise, fiero di essere riuscito a cavarsela con stile.
“E la tua situazione sarebbe? Stare bene con una persona
conosciuta da qualche giorno?” Disse suonando stranamente
gentile, nonostante le parole uscite dalla sua bocca suonassero un
po’ come un’accusa. “Credimi Michael, son
stata bene con persone conosciute da molto meno di un
giorno.” Sorrise, alludendo alle serate che aveva iniziato
nei vari bar di Chicago a bere qualcosa e che aveva finito nel letto di
qualche sconosciuto di cui il giorno dopo non ricordava nemmeno il nome.
Michael scosse la testa e si limitò semplicemente a
sorridere.
“Perché sorridi?” Gli chiese confusa.
“Perché quello che provo per Sara, và
oltre un semplice cocktail bevuto insieme al bar, o una notte
occasionale passata insieme.” Le spiegò
semplicemente, una spiegazione così semplice che
stupì pure lui. Perché ammetterlo con lei, era
più facile che ammetterlo con sé stesso?
“Allora perché sei così spaventato da
quella parola, Michael?” Scosse le spalle nuovamente, mentre
ripensava a quanto difficile fosse per lui ammettere i suoi sentimenti
per Sara.
“Perché non è giusto che io mi senta
così dopo solo qualche giorno.”
“Giusto? Da quando in qua l’amore è
giusto o ha senso?” Rise. “Michael, mi costringi ad
usare un altro proverbio di quelli che dice sempre mia
nonna…” Disse minacciosa alzandosi in piedi e
mettendo le mani sui fianchi.
“Flo…” Si limitò a dire,
sperando che quello la fermasse dal continuare.
“Ecco la perla di saggezza di mia nonna: ‘Due
possono parlare sotto lo stesso tetto per anni e non incontrarsi mai
veramente; altri due, alle prime quattro chiacchiere diventare vecchi
amici.’ Capito?” Disse tutto d’un fiato,
sperando che l’amico avesse colto il senso del messaggio.
“E’ qui che ti sbagli, Flo. Quello che
c’è tra me e Sara non è una banale
amicizia, è molto di più.” Scosse le
spalle, quasi avesse finalmente iniziato a scrollarsi di dosso un
macigno, ammettendo che tra lui e Sara c’era veramente
qualcosa di speciale.
“Ok, punto 1, il senso del proverbio era che il periodo in
cui conosci una persona, non necessariamente è proporzionale
a quanto bene la conosci o a quanto le ci sia affezionato;”
Disse e prima che lui potesse controbattere proseguì.
“punto 2… Per quanto tempo ancora continuerai a
negarlo, Michael?” Scosse la testa e un sorriso dolce e
comprensivo le comparve in viso. “So che fa paura, so che non
vuoi soffrire e so che te lo meriti.” Disse avvicinandosi a
lui e mettendogli una mano sulla spalla. “Abbi un
po’ di fede.” Gli sorrise, ripetendogli uno dei
suoi mantra preferiti.
“Voglio i diritti ogni volta che usi quella frase.”
Le disse, facendola sorridere.
“D’accordo.” Annuì prima di
farsi nuovamente un po’ più seria.
“Nessuno ha mai detto che è facile essere
inn…” Si bloccò prima di finire la sua
frase. Non voleva che fosse lei la prima a dirgli che era innamorato,
era giusto che lui lo capisse da solo e fosse, finalmente, abbastanza
sicuro di sé da ammetterlo. “Essere…
‘tu sai cosa’…” Disse,
trovando il giusto modo per evitare quella parola. “E grazie
a Dio, tu e Sara avete tutto il tempo per capire cosa provate
l’uno per l’altro. Insieme.” Lo
rassicurò. “Dico solo che poi vi potreste pentire
di tutto il tempo perso a rincorrervi e farvi giochetti, certo, sempre
che la cosa non vi ecciti.” Aggiunse con tono malizioso.
“Sarebbe stato un discorso perfetto, se non fosse stato per
le ultime parole…” Disse sconsolato, passandosi
una mano sui corti capelli scuri.
“Non fare il bacchettone, dopotutto fa parte del senso della
vita.”
“Grazie della perla di saggezza, Buddah…”
“Simpatico!” Disse ironica Flo, prima di
schiaffeggiargli affettuosamente il bicipite e incamminarsi verso la
porta. “Oh, Michael, è nel caso tu abbia ancora
qualche dubbio su cosa provi per quella ragazza, io darei
un’occhiata a quelle planimetrie.” Disse indicando
i fogli che Michael aveva controllato, approvato e spostato su un altro
tavolo più piccolo.
“Ah sì? Che c’è di sbagliato
in loro?” Disse, sicuro che l’amica lo stesse
prendendo nuovamente in giro.
“Oh, assolutamente niente, se escludi il fatto che i calcoli
che hai applicato agli archi a tutto sesto, sono più adatti
a degli archi a sesto acuto.” Sorrise, vedendo che
l’espressione dell’amico passava da sicura di
sé, a terrorizzata.
Michael guardò velocemente i fogli di fianco a lui e
notò che Flo aveva ragione. Se non fosse stato per lei,
avrebbe dato l’ok alla costruzione di un palazzo che sarebbe
durato quanto un castello di carte.
La guardò sorpreso, indeciso se chiederle come avesse notato
il suo errore, o come sapesse dell’esistenza di
più tipi di archi. Ma ovviamente, come spesso succedeva,
l’amica gli rispose prima che lui potesse chiederle qualsiasi
cosa. “Qualche residuo di qualche lezione di storia
dell’arte.” Sorrise aprendo la porta di fronte a
lei.
“Flo, grazie.” Si limitò a dire,
imbarazzato da quella situazione.
Errori del genere non erano da lui. Lui che calcolava ogni minimo
rischio, ogni minimo problema quando controllava una planimetria. Lui
che studiava i minimi particolari del grande foglio di fronte a lui,
prima di metterci le mani sopra e verificarne i punti deboli. Il suo
lavoro richiedeva perfezione, e la perfezione era quello che tutti
avevano sempre notato nei progetti approvati da lui. ‘Finora.’
Pensò.
“Non metterti strane idee in testa,” lo
rimproverò Flo, quasi avesse decifrato ancora una volta i
pensieri e le paure nella sua mente. “resti sempre il
migliore qui dentro. Un errore capita a tutti, specialmente quando si
ha qualcuno per la testa.” Gli sorrise. “Oh, e
prima che me ne dimentichi,” disse togliendo dalla tasca
posteriore dei suoi jeans una busta. “c’era questa
per te.” Disse avvicinandosi a lui per dargli la busta, prima
di salutarlo e uscire dal suo studio.
Si sedette nuovamente e rimase qualche minuto a fissare la busta che
Flo gli aveva appena dato. Pensando fosse qualche stupida
pubblicità di qualche nuova carta di credito, la
buttò distrattamente sulla scrivania per concentrarsi sulle
planimetrie che doveva correggere, ma quando la busta toccò
la superficie in legno del tavolo di fronte a lui, il nome del mittente
fece gelare il sangue nelle vene di Michael.
L’uomo con cui si era risposata la madre, Robert Griffin, era
un famoso ed acclamato architetto di fama internazionale che aveva
sempre voluto per Michael e Lincoln un futuro migliore. Dopo essere
stato con loro fino al compimento dei 18 anni di Lincoln, si
trasferì a New York da solo, visto che i suoi due figliastri
decisero di non vendere la casa dove erano cresciuti e che la madre
adorava tanto.
Robert continuò a prendersi cura di loro da New York,
tornando a Chicago non appena aveva un momento libero. Si
occupò di trovare un lavoro a Lincoln, pagò la
retta del college di Michael e infine gli trovò un buon
lavoro come ingegnere edile presso una società controllata
da un suo amico di vecchia data.
Aveva sempre detto a Michael quanto ammirasse il suo talento e quanto
avrebbe desiderato averlo come vice-presidente della sua
società, ma Michael aveva sempre rinunciato
perché non voleva abbandonare Chicago.
Qualche settimana prima, però, dopo una lunga chiacchierata
con Robert, Michael fu finalmente convinto che cambiare aria fosse
quello che gli serviva veramente per dare un senso alla sua vita, in
più avrebbe potuto farsi un nome nel mondo
dell’ingegneria edile. L’unica cosa che lo bloccava
era il rifiuto di vendere l’appartamento della mamma, ma la
cosa fu risolta velocemente dato che Lincoln e Veronica si erano
offerti di vendere il loro attico in centro e trasferirsi lì.
E ora, qualche settimana dopo, ecco che la richiesta di Robert era
stata ufficialmente scritta e spedita e l’unica cosa che
rimaneva da fare a Michael era impacchettare tutto e salire sul primo
aereo per New York City.
Qualche settimana fa l’avrebbe fatto senza nessun problema,
ma adesso sentiva che una decisione del genere non aveva più
il diritto di prenderla da solo.
Infilò la mano nella tasca dei suoi eleganti pantaloni blu e
afferrò il cellulare. Scorse velocemente la rubrica fino ad
arrivare al suo nome, dopodiché la chiamò.
Non aveva idea di cosa avrebbe detto una volta sentita la sua voce,
avrebbe pensato a qualcosa mentre le parlava.
“Hey.” Le rispose con un tono di voce squillante.
Sentirla così contenta rendeva ancora più
difficile dirle della lettera.
“Hey, come va?” Le chiese, cercando di suonare il
più tranquillo e disinvolto possibile. Ce la poteva fare, ce
la doveva fare, se non per lui, almeno per lei. Doveva saperlo,
meritava di essere messa al corrente della situazione.
“Tutto bene, mi son presa qualche minuto per bere un
caffè con Katie, tu?” Michael notò
quanto Sara cercasse di non ridere. Forse lei e la sua amica Katie si
stavano divertendo e lui aveva interrotto qualcosa. Tempo qualche
secondo e forse Sara non sarebbe stata più così
felice e tutto per colpa sua. Ma dopotutto, non è che in
ospedale ci sia molto da divertirsi, anzi, magari ha avuto una giornata
da schifo e lui gliela renderebbe ancora peggiore.
“Tutto bene, anche se stavo per dare l’ok ad un
progetto potenzialmente disastroso.” Vigliacco, questo
è il termine esatto per una persona che cerca di nascondersi
dietro una falsa risata invece di dirle quello che hai da dire. Sapeva
che più rimandava, più la cosa sarebbe diventata
difficile, eppure il solo sentire la sua voce gli fece quasi
dimenticare quanto male era stato nel vedere quella lettera. No, a dire
il vero stava peggio di prima, nell’immaginare di non vederla
per chissà quanto tempo se mai avesse deciso di accettare
l’offerta del suo patrigno.
“Sembra quasi che tu fossi distratto da qualcosa.”
Perché doveva suonare così adorabilmente
maliziosa? Perché non se l’era presa per aver
interrotto un momento tra lei e la sua amica? Tutto sarebbe stato molto
più semplice se lei fosse stata un po’
meno… Sara.
“Credi sia per quel motivo?” Già, fare
il malizioso a sua volta non era un buon modo per arrivare a parlare
della lettera. “In effetti, oggi mi è capitato
spesso di pensare ad una ragazza dai capelli corti e scuri e dagli
occhi di cerbiatto.” Ma allora perché trovava il
flirtare con lei così appagante, divertente e…
eccitante? Oddio, stava iniziando a pensare come Flo!
“Solo oggi?” Il solo immaginare la sua espressione
nel dire questa frase fece sì che dei brividi gli
percorressero tutta la schiena. Iniziava a dimenticare il vero motivo
per cui l’aveva chiamata, tutto quello a cui pensava ora era
continuare a stare al telefono con lei e farsi battutine maliziose a
vicenda.
“Beh, oggi più del solito.” Beh, direi
che ‘più del solito’ è quasi
un eufemismo, visto che non era riuscito a togliersela dalla mente per
un solo istante, e le planimetrie coi calcoli sbagliati lo
confermavano. “Mi chiedevo se quella ragazza mi
raggiungerebbe alla tavola calda che c’è
lì vicino per pranzare con me?” E magari, a
pranzo, avrebbe avuto finalmente il fegato di dirle la
verità su New York. Finalmente stava tornando in
sé, lentamente, ma ci stava riuscendo. Ora tutto quello che
doveva sperare, era che lei dicesse sì e che questa dolce
tortura finisse al più presto.
“Prova a chiederglielo gentilmente.” Il tono di
voce malizioso di Sara gli fece dimenticare ancora una volta tutto,
portandogli nuovamente alla memoria le battutine maliziose che si erano
scambiati quella mattina stessa, solo qualche ora prima, quando il loro
unico problema era darsi malati per restare a letto insieme tutto il
giorno. Perché doveva sempre essere così
dannatamente provocante? E perché a lui doveva piacere
così tanto quando lei faceva così?
Ma dopotutto, a lui piaceva giocare, per cui perché negarsi
il piacere di risponderle in modo altrettanto malizioso? “Oh
ragazza dagli occhi di cerbiatto che stavi per rovinare la mia carriera
di ingegnere, mi diresti sì se ti invitassi a pranzare alla
tavola calda che c’è lì vicino, insieme
a me?” La sentì sorridere, divertita da quel suo
invito così originale e qualche secondo dopo
sentì la sua voce riempirgli nuovamente le orecchie.
“Avresti potuto fare di meglio, ma per questa volta te la
faccio passare e accetto il tuo invito.” Un adorabile
rimprovero che camuffava come avesse appena accettato di pranzare con
lui. La tavola calda non era il massimo, ma veniva bene ad entrambi
farci un salto veloce per magiare qualcosa al volo e…
parlare, ovviamente.
“Allora ti aspetto.” Sperò di non
suonare troppo sdolcinato o disperato, ma voleva che capisse quanto
questo pranzo fosse importante per lui, e non solo per il fatto che
doveva parlarle della busta, ma anche perché aveva un
bisogno disperato di vederla e stringerla a sé.
“A dopo, Michael.” Si limitò a dirgli e
nonostante fosse la risposta più semplice del mondo, lo
colpì come un pugno sullo stomaco.
“A dopo, Sara.” Sospirò, prima di finire
la chiamata.
Fissò per qualche secondo il suo nome sul display, prima che
questo sparisse, dopodiché appoggiò il cellulare
sulla sua scrivania e si girò, di modo ché
potesse ammirare Chicago dalla grande vetrata del suo ufficio.
Intrecciò le dita dietro la testa e lasciò che la
schiena affondasse nuovamente sul morbido materiale della poltrona,
prima di ripetere la frase che Flo gli aveva detto qualche minuto
prima: “Tu e Sara avete tutto il tempo per capire cosa
provate l’uno per l’altro.”
A/N: Effetto sorpresa che
ha preso di sorpresa pure me (scusate il gioco di parole)! Nel senso
che quando l'ho scritto non avevo la minima idea che mi sarebbe venuta
in mente l'idea del patrigno e della busta. Ad ogni modo, spero nemmeno
voi ve lo aspettaste, eheheh.
Un abbraccio, ci vediamo
al prossimo capitolo!
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Capitolo 10 *** Dirglielo, o non dirglielo, questo è il problema ***
A/N: Ecco qui
un nuovo update!! La 4 stagione è appena iniziata in America
e rivedere lo show di cui mi sono innamorata qualche anno fa, mi ha
dato l'ispirazione per continuare a scrivere. Oddio, se due amiche che
ti minacciano adorabilmente si può chiamare "ispirazione",
eheheheh.
Ad ogni modo, ecco un
veloce riassuntino... Avevamo lasciato Mike che aveva ricevuto una
busta dal patrigno, che gli chiedeva di raggiungerlo a New York per
diventare vice-presidente della sua Compagnia. Mike aveva invitato Sara
a pranzare insieme, approfittando dell'occasione per dirle tutto della
lettera.
Buona lettura!
Michael sedeva già da un po’ ad uno dei tanti
tavolini presenti nella tavola calda in cui lui e Sara si erano dati
appuntamento.
Non poteva fare a meno di fissare nervosamente il suo orologio e le sue
instancabili lancette. Purtroppo per lui, quello che in
realtà vedeva era ben diverso dai numeri nel quadrante e
dalle lancette che sembravano rincorrersi.
Le parole che avrebbe dovuto dire a Sara nel giro di qualche minuto,
riempivano la sua testa e ogni volta che chiudeva gli occhi tutto
quello che vedeva era la sua reazione alla notizia che le avrebbe dato.
Sarebbe scappata in lacrime? Oppure avrebbe scosso le spalle e avrebbe
accettato la loro separazione senza batter ciglio? Dopotutto, si
conoscevano da pochissimo tempo –“Pochi
giorni.” Precisò la noiosa vocina
nella sua testa-, per cui una reazione del genere sarebbe stata
più che normale.
Ma allora perché sentiva che, se lui si fosse trovato nei
panni di Sara, al solo sentire quella notizia l’avrebbe
pregata in ginocchio di non partire e di rimanere lì con
lui? “Perché
sei un idiota!” Lo apostrofò la
vocina.
Beh, forse non aveva tutti i torti…
Non riuscì a pensare oltre, perché il volto che
aveva immaginato ogni volta che aveva chiuso gli occhi negli ultimi
minuti, apparve più solare che mai e il sorriso sul volto di
Sara lo fece sentire ancora più in colpa per quello che
stava per dirle, e allo stesso tempo era felice di poterla nuovamente
stringere a sé.
Il tamburo che aveva in petto prese il suo solito ritmo accelerato,
come faceva ogni volta che lei si trovava a pochi passi da lui, e
sembrò quasi fermarsi quando lei gli si avvicinò
ancora di più, fino a sporgersi appena per baciarlo
dolcemente sulle labbra, prima di sedersi nella sedia di fronte alla
sua.
“Mi posso ritenere ancora in elegante ritardo?”
Scherzò, alludendo all’ora in cui si era fatta
viva, mentre un sorriso le illuminava ancora di più il viso.
Non sapeva se era colpa del dolce profumo della sua pelle, oppure se
era il semplice e devastante effetto che il solo vederla aveva su di
lui, ma Michael non riuscì a formulare una risposta sensata
e si limitò a sorriderle e a scuotere la testa divertito.
Certo, vederla lanciargli qualche occhiata maliziosa mentre osservava
il menù del giorno non aiutava a farlo concentrare e a
pensare a quello che le avrebbe dovuto dire, ma più cercava
di non farci caso, più sentiva il disperato bisogno di
continuare quel silenzioso gioco di sguardi con lei.
Sì, Michael ne era sicuro, darle quella notizia sarebbe
stata una delle cose più difficili della sua vita.
“Giochi a fare il silenzioso oggi?” Gli chiese
improvvisamente con uno sguardo curioso e quel sorriso sempre presente
sulle sue labbra.
Da quando si erano conosciuti, non l’aveva mai vista triste o
con un’espressione che non si fosse trasformata
immediatamente in quel sorriso che lui adorava tanto. Pensare a questo
lo fece rabbuiare ancora di più e ovviamente non fece altro
che moltiplicare i suoi sensi di colpa, al solo pensiero di accennarle
della lettera. “Tranquillo,
vedrai che non ne soffrirà,” gli
disse la vocina nella sua testa “vi
conoscete da troppo poco perché le importi veramente di
te.” Concluse amara la vocina.
Malgrado cercasse di ignorarla, Michael non poteva non ammettere che
forse aveva ragione e che la prospettiva che lei non soffrisse per un
suo possibile addio, gli spezzava il cuore.
“No, è solo che oggi ho poco da dire.”
Sorrise cercando di sembrare convinto di quello che diceva. “In realtà
di cose da dire ce ne sarebbero anche troppe.”
pensò tra sé.
“Mhm…” Sara corrugò la
fronte, fino a quasi unire le sue perfette sopracciglia, e
iniziò a ticchettarsi il mento con l’indice, come
se stesse pensando a chissà quale difficile cosa da dire.
“Mi stai dicendo che sei voluto venire qui solo per guardare
e non per parlare?” Chiese piegando leggermente la testa
verso destra a lasciando che l’espressione curiosa fosse
rimpiazzata ancora una volta dal suo sorriso.
Michael fece fatica a deglutire –forse per colpa della
semplicità con cui Sara riusciva a stravolgerlo, o forse
perché si fermava, quasi ipnotizzato, ad ammirare ogni
singola espressione che il suo viso riusciva a fare-, ma
cercò in tutti i modi la forza per poterle dare una risposta
che non le facesse capire in che stato era ridotto. “Direi
che finché stai di fronte a me, mi basta anche solo
guardare.” Disse sperando di essere stato credibile
–cosa non difficile, dato che sarebbe potuto rimanere fermo e
immobile per ore a guardarla- e accompagnando a quelle parole, il suo
tipico sorriso tra il timido e malizioso. “Amico, smettila di
rimandare e sputa il rospo!” Lo
ammonì la vocina. Ma lui era troppo preso dalla reazione di
Sara per poterla ascoltare, figuriamoci pensare di darle retta!
Non appena quelle parole uscirono dalla bocca di Michael, Sara
alzò entrambe le sopracciglia, prima sorpresa, poi decisa a
continuare il loro piccolo scambio di battute. Appoggiò
entrambi i gomiti sul tavolo e intreccio le mani di fronte a lei, poco
più sotto del mento. “Dovrei prenderlo come
un’offesa o come un complimento?”
“Come un complimento.” Disse annuendo e percorrendo
col suo indice la lunghezza dal gomito fino alla mano sinistra di Sara.
“Senza alcun dubbio un complimento.”
Ribadì prendendo una mano di Sara tra le sue e portandola
alle labbra per baciarla sul palmo.
“Ok Scofield, direi che è meglio finirla qui prima
che perdiamo il controllo e la cosa degeneri.” Sorrise quasi
imbarazzata, mentre la sua mano era ancora tra quelle di Michael.
“La metto in imbarazzo, Dottoressa Tancredi?”
Chiese con fare innocente, baciandole nuovamente il dorso della mano.
Sapeva che questo si poteva facilmente definire ‘giocare
sporco’, ma più cercava di evitare ogni contatto
fisico con lei, più la strana forza che esercitavano i loro
colpi lo spingeva a cercarla, a sentirla tra le sue mani.
“Non scherzare col fuoco, Scofield.” Lo
avvertì, ma il tono delle sue parole era
tutt’altro che minaccioso.
Lo aveva spiazzato e sorpreso nuovamente e, mentre era ancora rapito
dalla strana e maliziosa espressione sul viso di Sara, non
poté fare nulla per evitare che la sua mano scivolasse
leggermente via dalle sue.
Restarono a guardarsi negli occhi per un tempo che a Michael
sembrò un’eternità, quando finalmente
–o forse no- Sara abbassò lo sguardo ancora una
volta sul menù, prima di riprendere a parlare.
“Sei riuscito a trovare cosa c’era di sbagliato
nella planimetria di cui mi hai parlato?” Gli chiese prima
che il cameriere si fermasse al loro tavolo per chiedere cosa avessero
deciso di ordinare.
“Salvato dalla
campanella.” Disse ironica la vocina nella sua
testa. “Ma
non canterei vittoria così facilmente, un pranzo si
può rivelare molto lungo…”
Continuò, quasi deridendolo. Michael non poté
evitare e riconobbe che, dopotutto, la vocina aveva nuovamente ragione.
Quel pranzo, che qualche ora fa gli era sembrato un’idea
geniale, ora sembrava un piano di autodistruzione degno del miglior
masochista. Avrebbe potuto e dovuto rimandare, in qualche modo, senza
però farle capire che c’era qualcosa che lo
turbava.
“Michael…” La voce di Sara lo
riportò alla realtà. Scosse la testa e si
scusò per non aver risposto subito, dopodiché
ordinò la stessa insalata che aveva ordinato Sara qualche
secondo prima.
“Anche tu ti tieni leggero, Scofield?” Chiese
divertita Sara, non appena che il cameriere li lasciò
nuovamente soli.
Il macigno che occupava il suo stomaco in questo momento, occupava
abbastanza spazio. Michael era sicuro che non sarebbe riuscito a
mangiare nemmeno una foglia d’insalata finché si
teneva tutto per sé, ma ovviamente, decise di ricorrere al
suo fascino pur di non far capire a Sara che la busta che teneva nella
tasca interna della giacca, avrebbe potuto cambiare radicalmente le
loro vite –“a
dire il vero solo la tua”, lo corresse la vocina.
“Se non voglio sfigurare di fianco a te, meglio che mi tenga
in forma.” Dovette ricorrere a tutto il sangue freddo nel suo
corpo per sembrare il più naturale possibile. “Tic-Toc
amico,” gli disse la vocina.
“Accettalo Scofield, sono troppo perfino per te.”
Quella battuta detta da Sara lo trapassò da parte a parte,
toccandolo più di quanto lei avrebbe mai immaginato. Michael
si chiese se lei fosse consapevole di quanto quella battuta e quelle
parole fossero dannatamente vere. “Forse
le ha detto proprio perché le pensa.”
Gli suggerì la vocina. “Meglio
così, ora sarà più facile dirle
tutto.”
Già, dirle tutto… Aveva rimandato anche troppo,
era giusto dirglielo ora e dirglielo subito.
Dall’espressione preoccupata sul viso di Sara, Michael
capì che forse la fitta di dolore provata al solo sentire le
ultime parole che avevano lasciato le sue labbra, si era presto
proiettata in un’espressione di dolore sul suo viso. Proprio
lui che gli amici chiamavano il ‘giocatore
di poker perfetto’ -proprio perché
riusciva sempre a mascherare tutto quello che provava.
“Michael, non avrai creduto a quella battuta?” Gli
chiese preoccupata, cercando le mani di Michael sul tavolo che
però erano occupate a strofinarsi l’una con
l’altra, come faceva sempre quando pensava, o quando era
nervoso.
Le poteva leggere in viso quanto fosse dispiaciuta, ma soprattutto
sorpresa al solo pensiero che lui avesse anche solo potuto pensare che
la battuta sul non essere degno di lei fosse vera. “Magari un
po’ soffrirà se te ne andrai,”
Michael sentì nuovamente la vocina fare da eco tra i suoi
pensieri, “ma
dimentica la possibilità di chiederle di seguirti a New
York.” Concluse la vocina, quasi rimproverandolo
di aver anche solo potuto pensare a quell’opzione.
Prima di chiederle di seguirlo, le avrebbe dovuto dire della busta e di
quello che conteneva. Prese un respiro profondo, dopodiché
aprì bocca per liberarsi del fastidioso macigno sul suo
stomaco.
“Sara…” Disse, fissando prima il
pavimento, poi la tovaglia sul tavolo di fronte a loro. Ormai non
riusciva più a trattenere il dolore che provava al solo
pensiero di confessarle tutto. “C’è una
co-” Il suono del suo cellulare lo interruppe.
Alzò immediatamente lo sguardo per incrociarlo con quello di
Sara, ed era più che sicuro che ora gli potesse leggere in
faccia quanto fosse dispiaciuto per quella situazione.
Una delle sue mani andò a cercare quella di Sara, deciso ad
ignorare il suo cellulare e a finire il discorso che aveva appena
iniziato. “Dicevo… c’è una
cosa che-”. Questa volta fu lei ad interromperlo.
“Rispondi Michael,” disse con un rassicurante
sorriso sulle labbra “io non vado da nessuna
parte.” E ancora una volta il suo sorriso lo fece sciogliere
e gli fece sembrare che tutta la stanza si sciogliesse con lui. Come
diavolo poteva andare avanti a dirle tutto, dopo che lei lo faceva
sentire così?
Le sorrise e le baciò la fronte, prima di alzarsi dal tavolo
e di rispondere al cellulare. Notò che il numero sul display
era quello di Flo. “Flo?” Rispose sorpreso di
ricevere quella chiamata.
“E’ così che si saluta
un’amica?” Lo rimproverò non suonando
per niente minacciosa.
Sbuffò. “Scusa Flo, ma non sono in vena di
battute.” Disse massaggiandosi il ponte del naso
all’altezza degli occhi.
“Già, dalla faccia che avevi quando stavi per
parlare con Sara, direi che c’è qualcosa che non
va.” Disse gentile.
“Già, io e Sara-” S’interruppe
non appena realizzato quello che l’amica gli aveva appena
detto. “Come fai a sapere che io stavo per parlare con
Sara?” Chiese sorpreso e curioso.
“Guarda un po’ chi c’è di
fronte alla vetrina della tavola calda.” Disse e Michael
mosse subito lo sguardo verso il punto che gli aveva detto Flo, per poi
vederla che passeggiava avanti e indietro e teneva il cellulare
all’orecchio.
“Dai troppo nell’occhio se cammini su e
giù in quel modo.” Disse sorridendo, quasi la
presenza dell’amica lì non lo sorprendesse
più di tanto.
“Preferisci resti a fissarvi così?”
Michael vide Flo che si fermò all’improvviso e si
avvicinò a qualche millimetro di distanza dalla grande
vetrata della tavola calda, per guardare meglio dentro il locale.
Michael sorrise. “No, meglio quello che stavi facendo
prima.” Entrambi si ritrovano a ridere.
“Qualunque cosa le stessi per dire, può
aspettare.” Lo rassicurò.
Buttò fuori tutta l’aria che non si era reso conto
di tenere. “E’ proprio questo il problema, Flo, non
può.”
“A meno che non le stia per dire che sei innamorato di me,
penso che la tua notizia possa aspettare.” Disse cercando di
far distendere l’amico e riuscendoci.
“E’ una lettera del mio patrigno, mi vuole come
vice presidente nella sua compagnia.” Disse Michael tutto
d’un fiato, sperando che confessare tutto a Flo lo facesse
sentire un po’ meglio. Non funzionò.
“Oh…” Disse sorpresa dalla notizia.
“E tu accetterai?” Chiese curiosa e con una velata
tristezza nella voce. Michael sapeva che darle una notizia del genere
in quel modo era sbagliato, ma ora tutto quello a cui pensava era come
dire tutto alla ragazza che lo aspettava tutta sola al loro tavolo.
“Qualche giorno fa avrei risposto di sì, ma
ora…” Scosse la testa, interrompendo la frase.
“Ma ora c’è lei e non ne sei
più tanto sicuro.” Flo concluse la frase per lui.
“Qualunque cosa tu decida, so che sarà la scelta
migliore.” Disse rassicurante, ma Michael sapeva che, in
fondo, a quelle parole non ci credeva nemmeno lei. “Per
entrambi.” Continuò Flo, cercando di convincerlo.
“Grazie per questa bugia, Flo.” Sorrise Michael e
vide l’amica sorridere con lui, dall’altra parte
della vetrata.
“Penso che buttare una bomba del genere a pranzo, non sia
l’idea più brillante del secolo.” Lo
consigliò. “Dille che c’è
stata un’urgenza in ufficio e che devi scappare.”
“Questo sarebbe mentire, Flo.” La
ammonì, quasi sentendosi un padre che sgridava la figlia per
essere tornata a casa dopo il coprifuoco.
“No, c’è veramente un’urgenza
in ufficio.” Gli disse prontamente.
“Sarebbe?” Le chiese, sapendo che poteva aspettarsi
di tutto, tranne che una cosa sensata.
“Devi vedere quali scarpe mi stanno meglio, se quelle che ho
indosso ora, oppure quelle nuove che ho appena comprato.”
Michael la vide agitare una busta nella mano sinistra.
“Un codice rosso.” Disse ironico.
“Sul serio Mike,” disse nuovamente in quel tono da
sorella maggiore che usava sempre con lui, “certe cose
è meglio pensarle prima di dirle. Prenditi un po’
di tempo, qualche ora o qualche giorno e poi diglielo.”
Michael si prese qualche secondo per pensare. Rimandare ancora avrebbe
senz’altro rovinato ulteriormente le cose. Ci sarà
pur stato un motivo se tutti dicevano di non rimandare mai a domani
quello che si può fare oggi.
Ma d’altronde, spiegarle tutto nel giro di pochi minuti e poi
lasciarsi per tornare entrambi a lavorare, senza poterle stare accanto
e dirle che tutto sarebbe andato per il verso giusto, non era proprio
l’ideale.
Doveva affrontare la situazione da uomo, ed è quello che
avrebbe fatto.
“D’accordo.” Disse finalmente a Flo, dopo
qualche secondo di silenzio.
“M’inventerò qualcosa per rimandare la
discussione.” Sbuffò, sempre meno soddisfatto
della decisione presa.
“Ottimo, ti aspetto in studio per aiutarmi a scegliere le
scarpe.” Disse, terminando la chiamata prima che Michael
potesse ribattere.
Guardò ancora una volta il display del suo cellulare, prima
di buttare la testa indietro e tirare un respiro profondo.
Tornò da Sara, che lo aspettava con un’espressione
un po’ preoccupata, e si sedette di fronte a lei.
“Tutto apposto?” Gli chiese, inclinando leggermente
la testa e avvicinandosi un po’ a lui. Michael
capì che quel gesto di Sara era dovuto al suo tentativo di
decifrare l’espressione sul viso di Michael. Aveva nuovamente
indossato la maschera da giocatore di poker e per Sara sarebbe stato
inutile continuare a cercare di capire cosa stava succedendo nella sua
testa.
“Flo e i ragazzi hanno problemi allo studio.”
Cercò di auto convincersi che quella non era del tutto una
bugia, ma la vocina nella sua testa la pensava diversamente.
“Mi chiedevo se ti andava di vederci stasera al parco che
c’è dietro casa, hai presente?” Le
sorrise, prendendo ancora una volta una mano di Sara tra le sue.
Sentirla tra le sue mani si era rivelata un’arma a doppio
taglio. Il sollievo di sentire nuovamente il contatto col suo corpo,
era presto rimpiazzato dal senso di colpa che lo invadeva.
“Certo.” Disse confusa, prima di schiudere le
labbra in un sorriso.
“Così, potremo finire il discorso che abbiamo
interrotto.” Le sorrise ancora una volta, cercando di non
farle capire quanto quel discorso fosse importante per lui.
“Spero di non arrivare in ritardo anche a
quell’appuntamento.” Rise.
“Sono più che sicuro che varrà la pena
aspettare.” Sorrise nel vederla imbarazzata al sentire quelle
sue parole. Dopo tante bugie, finalmente era riuscito dire una cosa
vera. L’avrebbe aspettata per sempre, ma lei avrebbe fatto
altrettanto? Scosse la testa cercando di scacciare via quel pensiero.
Non era il caso di sentirsi ancora peggio pensando negativo. Doveva
avere fede, ed è quello che avrebbe fatto. “Quindi
abbiamo un appuntamento stasera?” Le chiese malizioso,
avvicinando il suo viso a quello di Sara.
Se pure Sara avesse pensato che qualcosa non andasse in lui in quel
momento, Michael notò come anche lei sapesse mascherare
quello che sentiva e che non voleva gli altri capissero.
“Tu che dici, Scofield?” Gli chiese prima di
avvicinarsi un po’ di più a lui e baciarlo sulle
labbra.
Era da tanto, troppo che non la baciava, ma ora tutto questo gli
sembrava una tortura, “la
migliore tortura al mondo” pensò.
Come poteva una cosa così bella, farlo sentire
così male? “Sensi
di colpa.” Gli spiegò la vocina nella
sua testa.
Beh, non importava quanto male facesse, sarebbe potuto rimanere
lì a baciarla e a sentirsi in colpa per ore.
Sara si allontanò lentamente da Michael, lasciandogli giusto
il tempo per farfugliare “Senza alcun dubbio un
appuntamento.”, prima di passargli dolcemente il pollice
sulle labbra per togliere un po’ di lucida labbra che il loro
bacio gli aveva lasciato.
“Non sarebbe stato carino farti uscire con tutto quel
trucco.” Sorrise baciandolo nuovamente -questa volta un bacio
veloce.
“Già, il look acqua e sapone mi rende
più affascinante.” Scherzò, facendola
ridere.
Contro ogni volere del suo corpo, decise che era ora di alzarsi da quel
tavolo e tornare in ufficio, dove avrebbe potuto pensare a come dirle
tutto, ma soprattutto a cosa dirle quando si sarebbero incontrati
più tardi.
“Ci vediamo più tardi.” Disse baciandola
in fronte, lasciando che il suo profumo lo inebriasse ancora per
qualche secondo.
Sara si limitò a chiudere gli occhi, quasi volesse imprimere
quel momento nella memoria, e gli sorrise, mentre lui le voltava le
spalle e usciva dalla tavola calda.
A/N: Beh, come avrete
intuito, è stato un capitolo scritto un po' in fretta e
più che altro perchè le mie amiche hanno
insistito tanto che continuassi la storia. Probabilmente avrei potuto scrivere qualcosa di
meglio, beh, non lo sapremo mai, eheheheh.
Sperando che il capitolo
almeno un po' vi sia piaciuto, vi saluto e... al prossimo capitolo!
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Capitolo 11 *** Bella addormentata ***
A/N: Salve
gente! Dopo millenni che non scrivevo, ecco un nuovo, breve
capitolo. Sarà che forse ora che è arrivata la
quarta serie un po' l'ispirazione se n'è andata,
però mi è dispiaciuto tanto non aver
più continuato questa storia a cui sono particolarmente
affezionata, più che altro perchè è
nata all'incirca quando la notizia della morte di Sara era uscita nei
vari siti di spoiler e mi ha aiutato a superare lo shock... eheheh
Ad ogni modo, dato che
l'ispirazione era quella che era, spero gradiate questo piccolo
capitolo...
“Hey bella addormentata, sei tra noi?”
La voce di Katy e la sua mano che le faceva avanti e dietro di fronte
agli occhi, riportò Sara coi piedi per terra.
“Oh… Sì Katy, scusa sono solo un
po’ distratta.” Rispose con un sorriso imbarazzato,
spostando per qualche istante lo sguardo dal finestrino alla sua destra
al viso dell’amica che stava al volante.
“Un po’?” Esclamò Katy prima
di ridere. “Sei rimasta nel tuo piccolo mondo dei sogni da
quando sei tornata dalla pausa pranzo.” Le fece notare e Sara
non poté far altro che buttare fuori dell’aria che
non si era nemmeno resa conto di trattenere.
Volente o nolente, ormai Katy la conosceva troppo bene per mentirle.
Aveva intuito che c’era qualcosa che non andava in Sara,
ancor prima che lei stessa se ne rendesse conto.
“Forse hai ragione.” Annuì Sara,
tornando a fissare le vetrine dei negozi dal finestrino.
“Forse?” Disse Katy, cercando invano di suonare il
meno retorica possibile. “Andiamo Sara, se non vuoi parlarne
dimmelo tranquillamente, ma non mentirmi.”
Già, Katy la conosceva dannatamente bene e di mentirle non
se ne parlava nemmeno.
Ma come avrebbe potuto spiegarle che stava così male solo
perché Michael le aveva detto che “avevano bisogno
di parlare”? Forse perché, 9 volte su 10, quando
qualcuno dice quella frase, di solito non succede niente di buono?
Sara sbuffò. “Ok, hai ragione.” Ammise
abbassando lo sguardo.
“Ok…” Annuì Katy prima di
fermarsi ad un semaforo rosso e guardare l’amica seduta sul
sedile del passeggero. “Sai che se non vuoi, non me ne devi
parlare, vero?” La rassicurò, mettendole
gentilmente una mano sulla spalla.
Sara girò il viso il tanto che bastava per incrociare lo
sguardo con quello dell’amica e sorriderle.
Non sapeva perché, ma avere la certezza che ogni volta che
aveva un problema Katy era lì per ascoltarla, faceva
sembrare tutto un po’ più colorato e meno grigio.
Per non parlare dei piccoli gesti che l’amica faceva per
farle capire per lei ci sarebbe stata sempre e comunque. Poche persone
le davano la sicurezza che a lei qualche volta mancava. Da piccola la
sua roccia era sempre stata sua madre, dal college in poi Katy era
sempre stata una sicurezza e da qualche tempo, aveva trovato anche un
altro appiglio sicuro: Michael…
“Non scherzare Katy,” la riproverò Sara,
“se non parlo con te di certe cose, con chi vuoi che ne
parli?” L’amica sorrise, prima di notare che il
semaforo era diventato verde e ripartire. “E’ solo
che,” continuò Sara, “nemmeno io ho la
minima idea del perché stia
così…”
Katy sorrise nel sentire l’amica che si era decisa a parlare
e con la coda dell’occhio notò che accompagnava
ogni sua parola con vari gesti delle mani. Ormai la conosceva
abbastanza da capire che, quando un racconto era accompagnato da quei
gesti, la situazione era abbastanza seria.
“E per così intendi…?” Chiese
Katy confusa.
“Così…” Sara
sbuffò. “Non ne ho idea…”
Ammise, poggiando una mano sulla fronte.
“Ok…” Disse Katy confusa.
“E’ successo qualcosa tra te e il tuo principe
azzurro?”
“Ti prego, non chiamarlo così.” La
implorò Sara.
“Ok… E’ successo qualcosa tra te e
Michael?” Ripeté la domanda e vide Sara sorridere,
prima di tornare all’espressione spenta che le aveva visto in
viso nelle ultime ore.
“Credo di sì.” Disse prima di fare
spallucce.
Katy elaborò la risposta dell’amica e penso alla
cosa migliore da dire per farla continuare a parlare. “E cosa
credi sia successo?”
“Credo mi abbia detto che ‘dobbiamo
parlare’…” Disse facendo nuovamente
spallucce.
Le parole non fecero in tempo ad uscire dalla bocca di Sara, che Katy
si infilò nel primo parcheggio libero, spense il motore e si
sedette di modo che potesse vedere l’amica in faccia.
“Katy che stai facendo?” Chiese Sara confusa.
“Non ti preoccupare di quello che sto facendo e vai avanti
col racconto.” Le sorrise, prima di tornare seria e pronta ad
ascoltare la fine del racconto di Sara.
“Katy, hai un appuntamento tra meno di un quarto
d’ora,” le ricordò Sara con un sorriso,
“non è il caso di fermarsi solo per
parlare.”
“Come se tu non faresti lo stesso per me!”
Esclamò buttando gli occhi al cielo. “Ora,
spiegami meglio che ti ha detto Michael.” Continuò
picchiettandola gentilmente sul ginocchio.
Sara sorrise. Sapeva che Katy era capace di tutto, anche di fermarsi
nel bel mezzo della strada, solo per potersi concentrare al 100% su un
discorso senza senso che lei e Sara stavano avendo. Ma averne
effettivamente la conferma, le fece dimenticare per un istante
perché fosse tanto triste.
Certo, Michael era speciale e lei aveva più di una semplice
cotta per lui, ma Katy per lei c’era sempre stata, mentre
Michael se ne sarebbe potuto andare da un momento all’altro.
O così sembrava da quel “dobbiamo
parlare” che le aveva detto qualche ora prima.
Di sicuro, se Michael l’avesse lasciata come temeva, la
spalla che avrebbe inzuppato di lacrime, sarebbe stata
senz’altro quella di Katy.
Ragionamento che avrebbe avuto senso, se lei non fosse stata
così egoista da pensare che sapere sia Katy che Michael
lontani da lei, le avrebbe spezzato il cuore in modo identico.
Prese un respiro profondo e le raccontò velocemente di
quello che era successo alla tavola calda con Michael, qualche ora
prima.
“E questo è quanto…” Disse
infine Sara, scrollando nuovamente le spalle.
“Beh, lui mi sembrava abbastanza tranquillo, no?”
Disse Katy passandosi la mano sul mento, come ad enfatizzare il fatto
che stesse pensando.
“Credo… E’ una cosa positiva o
no?” Chiese Sara imitando il gesto dell’amica.
“Beh, per quanto uno possa avere sangue freddo, non credo che
sarebbe così tranquillo sapendo di dover dare una notizia
del genere.” Continuò il suo ragionamento,
accompagnandolo con varie espressioni buffe del viso, sempre ad
indicare che era in piena fase riflessiva.
“Tu credi?” Volente o nolente, Sara si stava
facendo convincere sempre di più dalla teoria
dell’amica.
Katy ci pensò un po’ su e l’espressione
pensierosa, lasciò spazio ad un'altra un po’
maliziosa “Magari ti deve dare qualche altra
notizia.”
“Oddio, tipo?” Chiese Sara ancora più
spaventata dall’espressione che l’amica aveva in
viso.
“Che so, andare ad abitare con lui?” Diede qualche
gomitata affettuosa a Sara, prima di ridere insieme a lei.
“Certo che sì,” disse Sara ironica,
“stiamo insieme da così tanto tempo che di sicuro
avrei dovuto pensarci da subito a questa opzione…”
Scosse la testa divertita dando un’affettuosa pacca sulla
spalla all’amica.
“Il punto è,” Disse Katy rimettendo in
moto la macchina, “che tra qualche ora il grande mistero
verrà svelato.” Girò il viso per
guardare nuovamente Sara in viso, prima di uscire dal parcheggio e
rimettersi nel traffico di Chicago.
“Già,” sospirò Sara,
“solo qualche ora…”
A/N: Che dire, questo
capitolo è nato un po' dal nulla, visto che non era mia
intenzione far rivedere Katy così presto e sopprattutto
avrei voluto far confrontare subito Michael e Sara sulla questione
della busta, però... Mi è sembrato carino far
vedere quanto Sara fosse "scossa" dalle parole di Michael e come le
parole della sua migliore amica le potessero fare un po' di forza...
Sperando che anche a voi
sia andato bene, vi saluto, sperando di riuscire ad aggiornare un po'
più in fretta dell'ultima volta...
Un grazie a tutti quelli
che hanno letto ed un ringraziamento speciale a chi trova il tempo di
lasciare un commentino, perchè è sopprattutto
grazie ai vostri commenti adorabili che questa ff sta andando avanti!
Grazie 1000!!
|
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Capitolo 12 *** Paure ***
A/N: Di solito per scrivere
dovevo aspettare che due mie amiche mi minacciassero se non continuavo
questa storia, invece stranamente, due notti fa mi è venuto
uno slancio d'ispirazione e questo è il risultato.
Il chappo è
scritto dal punto di vista di Michael che nel penultimo capitolo era
"fuggito" dalla tavola calda perchè convinto da Flo.
Forse non è il
chappo che vi aspettavate, ma alla fine penso sia abbastanza carino [io
modesta... eheheheh]
Buona lettura!
“Quindi, rosse o bianche?”
La voce di Flo lo riportò alla realtà del suo
studio.
Era ormai passata una buona mezz’ora da quando aveva deciso
di ascoltare il consiglio di Flo e rimandare il discorso che aveva in
mente di fare a Sara, ed ora era seduto da troppo tempo su quella
sedia, a guardare Flo che si provava delle scarpe; non ne poteva
più.
“Sai che quando mi hai detto che avevi un’urgenza
del genere non ci ho creduto, vero?” Disse Michael quasi
sbuffando.
“E la motivazione sarebbe…?” Chiese Flo
curiosa.
“Perché il discorso che dovevo fare a Sara era
molto più importante che scegliere un paio di scarpe che si
abbinano con una gonna, Flo.” Disse serio guardandola negli
occhi.
“Questo è perché voi uomini
sottovalutate il potere seduttivo delle scarpe.” Disse
imitando la voce di un fantasma e tenendo in mano un paio delle scarpe
nuove che aveva comprato quella mattina.
“Flo, sul serio…” Disse passandosi una
mano sugli occhi stanchi. “Pensi sia stato facile per me
pensare a come dirle della busta e tutto il resto?” Chiese,
sperando che l’amica notasse quanto quella domanda era
retorica.
“Ah beh, sei sempre stato uno bravo con le parole.”
Disse poggiando il paio di scarpe che aveva in mano e prendendone un
altro.
“Ok, oggi non posso avere un discorso serio con
te…” Sbuffò, buttando la testa
all’indietro e poggiandola sullo schienale della sedia.
“Non pensi sia meglio che tu sia qui a pensarci su, piuttosto
che dire le prime idiozie che ti vengono in mente?”
“A dire il vero ci avevo pensato su un bel po’
prima di decidere di vederla e dirle tutto.” Mentì
ricordando che, non appena aveva letto la lettera, la prima cosa che
gli era venuta in mente era stato chiamare Sara e dirle tutto.
“Michael…” Poggiò
l’ennesimo paio di scarpe e si avvicinò a lui con
un sorriso comprensivo. “Rispondi seriamente!” Gli
disse ancor prima di avergli fatto la domanda che aveva in mente.
“Pensi che sarebbe stato così facile convincerti a
cambiare idea, se il tuo discorso era perfetto come pensi?”
Il tono che aveva usato non era accusatorio, ma quel tono dolce e
comprensivo che solo Flo riusciva ad avere. Michael lo sapeva, non
importa quali parole uscivano dalla bocca dell’amica, gli
sembrava che non lo giudicasse mai. E per quanto male gli facesse
ammetterlo, Flo ci aveva preso in pieno.
Il discorso che avrebbe voluto fare a Sara, faceva buchi ovunque ed
è stato un bene che lei lo avesse convinto a rimandare.
Aveva ancora qualche ora per pensare a qualcosa di sensato da dire a
Sara, che non lo facesse passare per insensibile o egoista.
Michael sbuffò abbassando lo sguardo, prima di incrociare
nuovamente i suoi occhi azzurri con quelli castani di Flo.
Notò che quel sorriso comprensivo era ancora lì
sulle labbra dell’amica. “Hai ragione Flo. E sai
cosa? Grazie per avermi convinto a rimandare il tutto.”
Michael sorrise nel notare la finta espressione sorpresa nel viso di
Flo, quasi non fosse abituata a sentirlo ammettere che aveva torto.
“Scofield, il genio, ammette di aver torto!”
Esclamò sorridente. “E’ una di quelle
cose da scrivere sul calendario! Così ogni anno ci
sarà la festa ‘anche Scofield sbaglia’.
Che dici, suona bene?” Continuò, finendo la frase
con una risata, prima di tornare alle sue scarpe e ignorare
l’espressione sul viso di Michael. “Ora che abbiamo
risolto il tuo problema, è ora di risolvere il
mio.” Disse prendendo in mano un paio di scarpe rosse a tacco
basso. “Meglio queste o quelle bianche con la gonna
nera?” Chiese aspettando che Michael elaborasse la domanda e
la immaginasse con entrambe le scarpe ai piedi.
“Me la caverei se dicessi che stai bene con tutt’e
due?” Chiese sperando che quella risposta fosse abbastanza.
“Ovviamente no!” Esclamò Flo alzando
entrambe le sopracciglia e indossando una scarpa bianca al piede destro
e una rossa al sinistro. “Ora…” disse
alzando il piede destro “gonna nera e scarpa rossa,
” diede qualche secondo a Michael per osservare meglio,
dopodiché abbassò il piede destro e
alzò quello sinistro “gonna nera e scarpa
bianca.” Qualche secondo e abbassò il piede,
aspettando che l’amico si esprimesse.
“Ehm, scarpa bianca e gonna nera?” Ci
pensò un po’ su prima di rispondere, sperando che
l’amica condividesse la sua scelta.
“La fai suonare come una domanda, Michael.” Gli
fece notare prima di sbuffare e mettere le mani sui fianchi.
“Però è quello che avrei detto
anch’io, per cui…” Si tolse la scarpa
rossa dal piede sinistro e indossò subito l’altra
bianca.
“Bene, dilemma risolto.” Annuì Michael,
contento che quella tortura fosse finita. ‘Una cosa in meno a
cui pensare.’ Gli disse la vocina nella sua
testa. ‘Già,’
pensò lui ‘ora
devo solo pensare a cosa dire a Sara…’
“Beh, direi di sì.” Ancora una volta, la
voce di Flo lo riportò sul pianeta Terra. “Ora
veniamo a te e Sara…” Finì di rimettere
a posto la sua roba, dopodiché si avvicinò a lui
e si sedette sulla sedia che stava dall’altra parte della
scrivania. “Hai già pensato a cosa
dirle?”
“Sì e no…” Sbuffò
Michael.
“Ottimo…” Disse ironica Flo. “
E’ bello vederti con le idee così
chiare!” Proseguì a lanciare frecciatine
all’amico.
“Ironia… Mi mancherà se
deciderò di andare a New York.” Sorrise, prima di
rendersi conto che era ancora troppo presto per fare battute su
quell’argomento.
“Quindi hai deciso che accetterai?” Gli chiese,
cercando di nascondere la velata delusione per quella decisione.
“Non lo so Flo… La prospettiva di mollare tutto e
iniziare da capo a New York mi attrae non poco.” Si mise
comodo sulla sua sedia prima di continuare. “Inverni
innevati, la città che non dorme mai, essere a capo di
un’azienda di famiglia che per giunta va
benissimo…”
“Prima di tutto, gli inverni innevati ci son pure qui a
Chicago.” Gli fece notare, mentre faceva finta di essere
interessata ad una matita che stava sulla scrivania. “Secondo
punto, anche Chicago ha il suo fascino, solo che non lo percepisci
perché la vedi con gli occhi di uno che ci è nato
e che pensa di conoscerla benissimo.” Proseguì,
lasciando perdere la matita e decidendo di guardarlo negli occhi, prima
di dire il terzo e fondamentale punto. “Terzo… Non
pensi a… Lincoln?” Optò per tenersi
dentro quello che avrebbe voluto dire veramente, perché non
era il caso di fargli sapere che la sua partenza avrebbe intristito a
morte pure lei. Gliel’avrebbe detto prima o poi,
forse… Anche se di sicuro quella era una cosa che entrambi
davano per scontato, vista la loro profonda amicizia.
“Flo, sul serio hai pensato a Lincoln?” Chiese
stupito. “Sappiamo entrambi che tra tutti è quello
che ne risentirà di meno. Lui ha la sua famiglia e non
dipendiamo più l’uno dall’altro come
facevamo un tempo.” Spiegò, provando una lieve
fitta di dolore nell’ammettere che il rapporto con suo
fratello non era più forte come un tempo. Certo, lui ci
sarebbe sempre stato per Lincoln e viceversa, ma aveva capito che
Veronica e il figlio venivano prima di tutto. ‘Noto della gelosia,
amico?’ Gli chiese la vocina. ‘A dire il vero
no.’ Si sorprese a pensare di poter rispondere
ad una vocina immaginaria che però, per una volta, aveva
torto. Lui e Lincoln erano cresciuti ed era più che giusto
che ci fossero nuove persone nella vita di entrambi che erano
importanti quanto il proprio fratello. ‘Si chiama crescere,
cara vocina.’
“Beh, mancherai ai tuoi colleghi
d’ufficio...”
“Altra ragione per scegliere di rimanere qui.”
Sorrise. “Il punto è che, un’occasione
del genere potrebbe non capitarmi più e so che mi pentirei
se non la cogliessi al volo…”
“E’ l’azienda di tuo patrigno,”
gli fece notare interrompendolo, “mi spieghi come fai a dire
che una proposta del genere potrebbe non ricapitarti?” Flo
alzò leggermente il tono della voce, quasi sorpresa dalle
parole appena uscite dalla bocca dell’amico.
Il suo tono di voce fece capire a Michael che Flo non riusciva a capire
-o forse non voleva capire- quello che lui intendeva dire.
“Andiamo, sai cosa voglio dire, Flo.”
“No, mi dispiace…” Scosse la testa e
corrugò la fronte, cercando di sembrare il più
confusa possibile.
“Quante probabilità ci sono che lui voglia
aspettare ancora che io mi decida? Quanto pensi ci vorrà
perché lui capisca che ci sono altri mille candidati
disponibili, e qualificati quanto me, a ricoprire quel
ruolo?” Le fece notare, riuscendo a tenere una calma
invidiabile, nonostante l’argomento e le motivazioni di Flo
lo avessero un po’ innervosito.
“Stai solo cercando una scusa per fuggire da Chicago,
Michael, lo so io e lo sai tu.” Gli fece notare alzandosi e
allontanandosi da lui. “Non so cos’è che
ti spaventi così tanto, ma è meglio che ti decida
ad affrontarlo, e credimi, te lo dico da amica e non da persona che
starebbe malissimo a saperti a kilometri di distanza!” Prese
le sue cose e aprì la porta dello studio di Michael.
“Perché più cerchi di scappare da
quella cosa, più quella cosa ti viene dietro e ti
rovinerà la vita finché non decidi di
affrontarla.”
“Cosa ti fa pensare che io abbia paura di qualcosa,
Flo?” Le chiese tranquillo, alzandosi dalla sua sedia e
camminando verso di lei.
Flo scrollò le spalle. “Semplice sensazione,
Michael.” Gli sorrise, prima di uscire dallo studio e
chiudersi la porta alle spalle.
Michael restò a fissare la porta chiusa del suo studio,
prima di avvicinarsi alle grandi vetrate del suo studio e studiare ogni
minimo dettaglio della magnifica vista di Chicago di fronte a lui.
“Non è poi così male.” Si
disse, ricordando quello che Flo le aveva detto qualche minuto prima
sulla loro città natale.
Magari quella non era l’unica cosa su cui lei aveva ragione,
forse c’era sul serio qualcosa che lo spaventava e forse lui
in fondo sapeva cosa era. Paura che la sua carriera non sarebbe
decollata se fosse rimasto lì? Paura che tutto questo non
fosse abbastanza per uno dotato come lui? Paura che nessuno avrebbe
notato la sua mancanza se avesse scelto di andare a New York? Paura che
una persona in particolare non avrebbe esitato a dirgli che il suo
posto non era con lei, ma a miglia di distanza da lei?
Tutte paure diverse che però non aiutavano a far pendere la
decisione in nessuna delle due direzioni: Accettare il lavoro a New
York, oppure rimanere a Chicago.
In fondo sapeva che la decisione l’avrebbe presa di
lì a poco. Sapeva che il suo futuro era in mano alla ragazza
che gli aveva fatto perdere la testa. Se lei gli avesse chiesto di
restare, lui non c’avrebbe pensato due volte e avrebbe
immediatamente fatto sapere al patrigno che non aveva nessuna
intenzione di abbandonare la più bella città del
mondo.
Ma sapeva anche che se lei gli avesse detto di accettare, non avrebbe
esitato un solo secondo a salire sul primo aereo diretto alla Grande
Mela e lasciare che quel rifiuto di città che era Chicago,
rimanesse solo un ricordo del suo passato.
Lanciò uno sguardo veloce alle lancette
dell’orologio che teneva al polso, prima di tornare a fissare
i profili dei palazzi e le fronde verdi degli alberi di fronte a lui.
Ancora qualche ora e anche lui avrebbe scoperto quale sarebbe stato il
suo futuro.
New York o Chicago.
Senza Sara
o con Sara.
A/N:Ok,
anche chappo 12 [WOW!!] è andato!
In teoria la storia doveva essere di 14 chappi, ma penso di non
cavarmela con così poco, visto che almeno altri 2 [forse
pure qualcuno1 in più] prima dell'ultimo chappo, ci stanno
bene... Per lo meno secondo il mio "piano originale" eheheh
Ah sì, mi dissocio dalla decisione di Mike e Flo di
scegliere le scarpe bianche eheheh, e anke le rosse non penso ci
sarebbero state bene con la gonna nera... Ma dopotutto voi non state a
guardare queste cose no? e poi, quell'abbigliamento
è idoneo col fatto che Flo è un po' stravagante,
non credete anche voi? ehehe
Uuuuu e in caso l'abbiate pensato, no, Flo non è innamorata
di Michael! E se lo è peggio per lei!
Questa è una storia MiSa e Michael è solo di Sara
eheheh
Uuuuu,
la fine mi piace!! Lascia un alone di mistero, no? eheheh
A
presto e grazie mille a chi legge e commenta!!!
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Capitolo 13 *** Boccone amaro ***
A/N: Ciao a
tutti! Sono riuscita a scrivere il capitolo 13 senza che nessuna delle
mie amiche mi minacciasse di picchiarmi se non avessi cotinuato, è un bel traguardo!! eheheh
Alura... In questo
capitolo leggerete.... Naaaaah, non vi dico nulla, eheheh.
Okey Dokey gente! Buona
lettura e grazie 1000 per i vostri commenti!
Sara dondolava pigramente su una delle vecchie altalene lì
nel parco già da qualche minuto.
Era arrivata un po’ prima del previsto
all’appuntamento che lei e Michael si erano dati qualche ora
prima, perché la sola idea di continuare a rimanere chiusa
in casa a pensare a tutto quello che le avrebbe potuto dire quella
sera, la stava facendo impazzire.
Per cui eccola lì, una donna adulta che cercava di liberare
la mente da ogni possibile pensiero negativo, dondolando su una vecchia
altalena arrugginita.
‘Non sei
così ingenua vero?’ Chiese la vocina
nella sua testa, quasi volesse provocarla. ‘Sai che questo non
sarà mai abbastanza da farti pensare ad
altro…’ Continuò, quasi
volesse sottolineare il fatto che uno come Michael Scofield
–o anche solo un pensiero che lo riguardasse- era
terribilmente difficile da ignorare o dimenticare…
“Ovvio che no…” Le rispose Sara,
concedendosi il lusso di dare voce ai suoi pensieri, visto che nel
parco non c’era nessun’altro a parte lei.
“In più tu sei così gentile da
lasciarmi pensare a lui ogni singolo secondo…”
Sbuffò, dando un calcetto ad una pietra vicino al suo piede
destro e continuando a fissare la terra rossa ai suoi piedi.
‘Il punto
è che ti sei lasciata andare troppo in fretta con
lui,’ la rimproverò la vocina, ‘quando sapevi
benissimo che sarebbe finita così!’
“Così come?” Chiese Sara quasi con tono
ingenuo. “Con me che dondolavo su una vecchia altalena che
potrebbe crollare da un momento all’altro?” Chiese
a sua volta provocatoria, sperando di stizzire la sua noiosa vocina.
‘No, ma ora
che me l’hai fatto notare, grazie per aver messo a rischio
trauma cranico tutt’e due!’ Disse la
vocina irritata, forse infastidita e impaurita dal poco rassicurante
cigolio delle catene arrugginite.
Sarà alzò lo sguardo per osservare i bulloni
arrugginiti che collegavano le catene dell’altalena alla
vecchia struttura in metallo che la reggeva. “Cosa
sarà mai!!” Esclamò con una noncuranza
che non era da lei, ridendo tra sé e pensando che sarebbe
potuta realmente cadere da un momento all’altro.
“Sono un dottore, penso di sapere uno o due trucchetti per
farmi passare un trauma cranico.” Aggiunse sempre ridendo tra
sé.
‘Già.’
Concluse la vocina. ‘Ma
che mi dici a proposito del cuore spezzato che avrai tra qualche
minuto?’ Ed ecco le parole che fecero tornare
Sara allo stato catatonico di qualche minuto prima, quando
l’unica cosa che faceva era fissare la terra ai suoi piedi e
pensare a Michael.
E così, la conversazione nella testa di Sara si concluse,
con la noiosa vocina che, come sempre, trovava qualche argomento che la
portava dalla parte della ragione.
Avrebbe dovuto andarci piano da subito con Michael. Avrebbe dovuto dar
retta a quella stupida, noiosa vocina, che però sapeva il
fatto suo. Sapeva com’era fatta Sara e aveva intuito fin da
subito che non avrebbe dovuto buttarsi così facilmente tra
le braccia di uno sconosciuto.
Avrebbe dovuto ascoltare la vocina e ignorare quello stupido e inutile
muscolo che le batteva in petto e che le aveva suggerito sin dal primo
momento che l’aveva visto, che Michael Scofield era la
persona giusta con cui lasciarsi andare completamente.
Ora quello stupido muscolo avrebbe subito l’ennesima ferita
e, Sara ne era certa, c’erano tutti i presupposti perche
questa volta risultasse fatale e incurabile.
Questa volta la ferita sarebbe rimasta aperta in eterno,
perché dopotutto, uno come Michael Scofield capitava ogni
100 anni.
“Sai,” la sua voce, bassa e calda come sempre, la
colpì alle spalle all’improvviso e per un momento
pensò di aver immaginato tutto. Girando improvvisamente di
scatto la testa per guardarlo, notò che, sì,
Michael era effettivamente lì. Nel giro di qualche secondo
lo vide sedersi sull’altalena alla sua sinistra.
“Questa era la mia altalena preferita quando mia madre
portava me e Linc qui.” Continuò Michael,
indicando l’altalena dov’era seduta Sara.
Il sorriso di Michael che seguì quella semplice frase, fece
sì che tutte le farfalle saldamente rinchiuse nello stomaco
di Sara prendessero il volo, scatenando varie emozioni in ogni singola
parte del suo corpo.
E il modo in cui lui aveva leggermente socchiuso gli occhi -un
movimento quasi impercettibile che a Sara sembrava sempre
così lampante-; quei suoi occhi blu-verde che Sara adorava e
che ogni volta la facevano volare con la fantasia al mare limpido e
cristallino di milioni di luoghi esotici che avrebbe tanto voluto
visitare con lui.
‘Perché
diavolo Michael Scofield riusciva ad avere un effetto così
devastante su Sara Tancredi?’ Si chiese tra
sé. ‘Credo
c’entri la fisica… O la
chimica…’ Le suggerì la
vocina nella sua testa, che Sara rinchiuse immediatamente in quella
parte di cervello che le riusciva sorprendentemente facile ignorare.
Questa era una conversazione a due. Solo lei e Michael.
“Sapevo che era la tua preferita.” gli rispose
finalmente, cercando di suonare seria e con uno strano sorriso sulle
labbra. In teoria quello sarebbe dovuto assomigliare al sorriso che lui
le faceva sempre quando stava per farle una battuta, ma Sara era sicura
che quello che le era uscito non poteva nemmeno lontanamente
assomigliare al sorriso perfetto di Michael. “Mi son seduta
apposta su questa, così non avresti potuto farlo
tu.” Alzò un sopracciglio cercando di risultare
intrigante, ma si sentiva quasi stupida a sprecare tempo prezioso in
quel modo, quando c’erano mille cose che gli avrebbe voluto
chiedere, mille domande di cui voleva sapere la risposta.
Bastò vedere il sorriso aprirsi sui lineamenti perfetti
delle labbra di Michael per farle dimenticare che non erano
lì per farsi delle battutine, ma per parlare di roba seria.
Se la vocina nella sua testa avesse avuto libero accesso ai pensieri
che le ronzavano in testa in questo momento, di sicuro non avrebbe
perso occasione per prenderla in giro su quello che pensava del sorriso
di Michael.
“Wow Tancredi,” Sara adorava sentirsi chiamare in
quel modo da lui. Odiava il suo cognome e tutto quello che significava
essere la figlia del Governatore, ma in bocca a Michael tutto suonava
così dolce e melodioso, che avrebbe sopportato in eterno il
suono del suo cognome pronunciato da lui. “telepatica e
dispettosa…” Lo vide girare leggermente il viso
alla sua destra, di modo che i suoi occhi color del mare si
incrociassero con i suoi color nocciola.
Rimase pietrificata nel registrare il gesto seguente di Michael, che la
lasciò letteralmente senza aria nei polmoni.
Lentamente, quasi come se volesse che l’attesa risultasse una
dolce tortura per lei, alzò la mano destra per portarla
vicino al viso di Sara e sempre più lentamente e con
dolcezza infinita, le spostò dal viso una ciocca di capelli,
sistemandola dietro l’orecchio sinistro di Sara.
“C’è sempre qualcosa di nuovo da
imparare su di te…” Aggiunse, non distogliendo lo
sguardo dal viso di Sara.
La battuta di Michael fu seguita da un silenzio che sembrò
durare ore, ma che a nessuno dei due sembrava pesare. Rimasero
semplicemente lì a guardarsi, persi l’uno negli
occhi dell’altro, senza bisogno di aggiungere una singola
parola a quel discorso che ormai a Sara sembrava molto chiaro e
cristallino.
Sara notò lo sguardo di Michael cambiare, come se avesse
appena intuito, semplicemente guardandola negli occhi, quanto lei in
quel momento si sentisse perduta e confusa.
Lo vide allontanarsi leggermente, ricreando quella distanza tra i loro
corpi e non solo.
Ancora una volta le era sembrato che l’uomo che le sedeva a
fianco, solo a qualche centimetro di distanza, non fosse lo stesso uomo
di cui lei era perdutamente…
“Sai…” Sara dovette interrompere la sua
linea di pensieri per iniziare ad ascoltare Michael che improvvisamente
aveva iniziato a parlare. Ma ne era più che certa, quelle
che stava per sentire non sarebbero state le parole che Michael avrebbe
già dovuto dirle qualche ora prima. “Una volta
-avrò avuto forse 7 anni- sono caduto in quello
stagno.” Inizialmente Sara si limitò a corrugare
le sopracciglia e a piegare leggermente la testa di lato, come ad
enfatizzare il fatto che ogni parola che pronunciava Michael, la
confondeva sempre di più. Poi, seguì con lo
sguardo il gesto che Michael aveva fatto con la testa, per indicare lo
stagno che si trovava di fronte a loro, a qualche metro di distanza.
Se c’era una cosa che Sara non capiva in questo momento, era
perché Michael si ostinasse a rimandare oltre quello che
aveva realmente intenzione di dirle.
“I bambini a quell’età sanno essere
perfidi, sai?” Lo sentì riprendere a raccontare
quel suo ricordo, occhi fissi sempre sul lago e il suo prezioso sorriso
rivolto al vuoto di fronte a lui. E riprese a parlare, come se fosse
completamente sicuro che Sara mai e poi mai l’avrebbe
interrotto finché non fosse arrivato al punto.
“Avevano deciso che il mio modellino del Taj-Mahal era molto
più interessante dei loro camion dei pompieri e si diedero
da fare per prendermelo.”
Sara avrebbe tanto voluto alzarsi da quella stupida altalena e urlargli
di smettere di girare intorno al problema e semplicemente di arrivare
al punto, di modo che l’angoscia che provava sarebbe svanita,
ma… Ma come poteva anche solo pensare di interromperlo e
negarsi l’egoistico lusso di sentirlo parlare di lui? Di
rivivere con lui periodi della sua vita di cui altrimenti non avrebbe
mai sentito parlare? Di notare come i suoi occhi si illuminassero al
solo nominare quel modellino che di sicuro tanto adorava?
No, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Per cui
optò per la via più facile ed egoisticamente
perfetta. Sarebbe rimasta seduta su quell’altalena ad
ascoltarlo parlare per sempre, se questo avesse voluto dire stare
insieme a lui. Certo, non risolveva il problema, ma aiutava a renderlo
meno pesante. ‘Cavolo
se aiutava!’ Pensò Sara.
“Sai, ci tenevo tantissimo a quel modellino,
perché era un regalo…” Sara riprese ad
ascoltarlo rapita. “Il mio patrigno me l’aveva
portato da uno dei suoi tanti viaggi intorno al mondo, per cui aveva un
significato particolare per me.” Notò il sorriso
di Michael ammorbidirsi al solo menzionare il suo patrigno, di cui tra
l’altro Sara non aveva mai sentito parlare prima. In quel
momento, milioni di parole da dire le passarono per la mente, ma
nessuna di quelle sembrava del tutto sensata e adatta alla situazione,
per cui decise di restare in silenzio e, per fortuna, nessuno dei due
sembrò risentirsi per quella sua decisione. “Ho
provato in tutti i modi a riprenderlo, ma non sono mai stato bravo
quando si trattava di usare le mani,” Sara notò un
altro sorriso sulle labbra di Michael e il suo cuore fece qualche
capriola più che scontata nel suo petto, “e
l’unica cosa che ottenni fu un bagno fuori
stagione.” Sara si unì alla risata breve e leggera
di Michael, che però sembrava non intenzionato a guardarla
negli occhi, quasi fosse ipnotizzato da un punto invisibile di fronte a
lui, pensò Sara.
“Fortuna Linc era una testa calda anche da
bambino.” Sorrise ancora una volta al ricordo del fratello e
Sara notò che aveva preso a dondolare leggermente, mentre
continuava a raccontare. “Grazie a lui riuscì a
recuperare il mio modellino, ad uscire dal lago e penso anche che
convinse ‘pacificamente’ quei bambini a lasciarmi
in pace.” Le risate che quella sua battuta avrebbe dovuto
scatenare, erano state invece rimpiazzate da un semplice silenzio,
quasi la tensione tra loro due fosse troppa per essere cancellata con
una semplice risata.
La mano di Sara era salita fino al braccio destro di Michael, che si
era immediatamente girato di scatto per fissarla negli occhi.
Il gesto di Sara era stato efficace al suo scopo: richiamare
l’attenzione di Michael e convincerlo ad arrivare al sodo.
Michael smise di darsi la spinta coi piedi e nel giro di qualche
secondo l’altalena smise di muoversi, lasciandolo immobile di
fronte a Sara, quasi stesse aspettando che fosse lei a parlare ora.
“Michael…” Iniziò lei,
perdendo improvvisamente tutta la sicurezza che era riuscita a
racimolare nei pochi secondi che avevano preceduto la sua scelta di
richiamare la sua attenzione. ‘Incredibile
come in pochi secondi le cose possano cambiare.’
Si disse, ripensando alla determinazione che aveva avuto qualche
secondo prima. Si concesse il lusso di abbassare per qualche secondo lo
sguardo dagli occhi ipnotizzanti di Michael alla terra rossa ai suoi
piedi, e quando lo rialzò, Michael era sempre lì
di fronte a lei, stesso sguardo fisso sui suoi occhi e stessa
espressione tirata, nervosa e quasi terrorizzata da quello che sarebbe
successo qualche minuto dopo.
Sara rimase quasi shockata nel notare come Michael fosse immobile. Ogni
sua singola parte del corpo sembrava trovarsi nello stesso posto di
qualche secondo prima, quasi non gli servisse nemmeno respirare, quasi
fosse una statua. ‘Una
statua che sta per dirti qualcosa di terribile.’
Suggerì, senza cattiveria, la vocina.
E quasi come se Michael fosse il vero telepatico tra i due, quasi
avesse sentito la vocina nella testa di Sara, iniziò a
parlare, pietrificandola come nessuno era mai riuscito a fare prima.
“Qualche giorno fa ho ricevuto una
lettera…” Iniziò Michael e Sara era
quasi felice che finalmente avesse iniziato a fare sul serio, smettendo
di girare intorno al problema. Ovviamente non aveva idea che le cose
sarebbero cambiate di lì a poco. Oh se sarebbero
cambiate…
“Una lettera da parte del mio patrigno,”
proseguì Michael, “che dirige un’azienda
abbastanza importante.” Sara seguiva attentamente e in
silenzio, ogni minimo movimento delle labbra di Michael, quasi come se
questo suo comportamento l’avrebbe aiutata a non perdersi
nemmeno una singola sillaba che usciva da quelle labbra perfette, o a
non fraintendere niente di quello che diceva. “Abbiamo
parlato parecchie volte di un mio possibile ruolo di rilievo
all’interno dell’azienda: come vice direttore; come
suo braccio destro. Ma io ho sempre rifiutato quell’incarico
per parecchi anni di seguito.” Sara continuava ad ascoltarlo
rapita, col timore perenne che le prossime parole che sarebbero uscite
da quelle labbra, sarebbero state quelle che le avrebbero spezzato il
cuore per sempre. ‘Per
ora tutto bene, no?’ Si disse, quasi
incoraggiandosi a non perdere la speranza che tutto si sarebbe risolto
per il meglio.
“Poi quest’anno, qualche mese prima che io e te
c’incontrassimo, gli dissi che l’idea di lavorare
con lui in fondo non era poi così male e che forse avrei
ripensato alla sua proposta di essere il vice direttore, se mai me
l’avesse richiesto.” Sara rimase a fissarlo,
notando che l’espressione di Michael s’induriva
sempre di più man mano che il suo racconto proseguiva. Ogni
parola che usciva dalla sua bocca, faceva sì che il suo
sguardo blu-verde si abbassasse sempre di più, fino a
costringerlo a fissare le pietrine ai suoi piedi, piuttosto che il
marrone negli occhi di Sara. E più Michael si comportava in
modo così strano, più Sara non capiva che male ci
fosse nel voler accettare una richiesta così conveniente per
lui.
“Per questo, qualche giorno fa, mi ha spedito nuovamente una
lettera dove mi chiedeva di entrare a far parte ufficialmente della sua
azienda.” Sara trattenne il respiro per qualche secondo, ma
non perché preoccupata da quelle parole, ma
perché contenta di quello che aveva appena sentito. La
persona che in questo momento della sua vita forse le era
più vicino, aveva ricevuto
un’opportunità non indifferente per realizzare uno
dei suoi sogni più grandi e lei di certo lo avrebbe aiutato
nel realizzarlo.
Sara notò che finalmente Michael alzò nuovamente
lo sguardo per incrociarlo col suo, ma il sorriso che Sara si aspettava
di vedere, era oscurato da un’espressione più dura
di quella che aveva visto qualche secondo prima.
Michael aveva l’occasione di cambiare la sua vita in meglio,
cosa aspettava a saltellare di gioia e gridare a tutta Chicago che
sarebbe diventato un pezzo importante di una famosa azienda?
E più guardava i lineamenti di Michael indurirsi a causa di
–cos’era quella, rabbia?-, più non
capiva cosa lo avesse spinto a rimandare questo discorso come aveva
fatto.
Sara notò Michael alzarsi improvvisamente
dall’altalena, buttando fuori rumorosamente
dell’aria dai polmoni e infilandosi le mani in tasca, quasi
volesse farle notare quanto quella situazione lo innervosisse.
Lei si alzò a sua volta, portandosi a qualche centimetro da
Michael, notando come la sua mascella pulsasse nervosa, la sua fronte
fosse corrugata dalla rabbia e i suoi solitamente luminosi occhi blu,
fossero quasi più scuri a causa della velata tristezza che
gli si leggeva in viso.
C’era una sola cosa che Sara poteva fare, non era molto, ma
doveva provarci. Tutto pur di rivedere quel sorriso che la faceva
impazzire; quel sorriso che solo Michael Scofield sapeva fare.
Gli si avvicinò un po’ di più, una
camminata a metà tra il provocante e il rassicurante, e
prima di gettargli le braccia al collo, gli sorrise dolcemente.
Lo strinse a sé e senti le mani di Michael salire lentamente
sulla sua schiena, quasi insicure, quasi come se stesse cercando di
combattere con tutte le sue forze il disperato bisogno di stringerla a
sé. Lo stesso bruciante bisogno che sentiva lei e che non
immaginava nemmeno lontanamente di negarsi.
Ma nonostante le mani di Michael sembrassero così insicure e
impaurite, il solo sentirne il calore sulla sua schiena, le fece
nuovamente lo stesso effetto di sempre. Brividi in ogni singola parte
del corpo; pensieri che iniziavano ad annebbiarsi, lasciando spazio
solo ad immagini di lei e Michael; bocca che velocemente si asciugava
portando la salivazione a zero; stomaco che si chiudeva e battito
cardiaco che accelerava improvvisamente.
Apparentemente demoralizzata dallo strano comportamento di Michael,
Sara allentò leggermente l’abbraccio, sentendo le
mani di Michael che dalla sua schiena, scendevano lentamente fino alla
sua vita, tirandola leggermente un po’ più a lui.
Quasi incoraggiata da questo suo gesto, gli prese il viso tra le mani e
dopo averlo guardato negli occhi per qualche secondo ed avergli sorriso
dolcemente, lo avvicinò leggermente al suo, per baciare
finalmente quelle labbra che aveva fissato per tutto quel tempo.
Ma come poté notare, anche il modo in cui Michael rispondeva
al suo bacio non era lo stesso di sempre. Era come se si stesse
trattenendo, come se non si volesse lasciare andare come avrebbe
voluto. Le sue labbra di solito sempre così morbide e in
sincrono con le sue, ora erano rigide e quasi costrette a quel bacio.
Quasi come se quel gesto fosse per lui ripugnante, quasi come se lo
facesse vergognare, quasi come se baciarla lo facesse stare male.
“Michael…” Disse Sara interrompendo il
bacio e allontanandosi qualche centimetro da lui, tenendo sempre il suo
viso tra le sue mani. “Questa è una grandissima
occasione per te, sul serio, non capisco perché tu non ne
sia più felice.” Il viso di Sara ora era pura
euforia, una genuina felicità che avrebbe contagiato anche
l’uomo più triste della terra.
Sapere che la persona a cui teneva di più in questo momento
aveva un’opportunità del genere, e che soprattutto
quella stessa persona aveva deciso di condividere quella notizia con
lei, la rendeva raggiante, al settimo cielo.
Sara notò Michael distogliere lo sguardo dal suo per la
milionesima volta quella serata, ma aveva bisogno che le sue prossime
parole fossero ascoltate attentamente da lui.
Lo costrinse gentilmente a guardarla nuovamente negli occhi, prima di
dirgli finalmente quelle parole.
Il problema della gola secca dall’emozione iniziava a farsi
sentire e Sara deglutì a fatica prima di iniziare a parlare.
“Michael… Questa è la tua occasione,
saresti uno stupido a non accettare.” Iniziò a
parlare lentamente, quasi fosse sicura che lui non si perdesse un
singolo particolare del significato di quelle parole. In
più, più tempo ci impiegava, più aveva
la possibilità di soppesare le prossime parole che sarebbero
uscite dalla sua bocca. “E io non posso permettere alla
persona che amo di comportarsi da stupido.” C’era
riuscita, aveva appena ammesso che era innamorata di Michael Scofield.
Nello stesso istante in cui quelle parole lasciarono la sua bocca,
notò l’espressione dura di Michael sparire per
qualche secondo, lasciando spazio ad un ‘mezzo sorriso per
niente sorpreso’ , pensò Sara
divertita. Purtroppo però, quell’illusione
durò solo qualche secondo e la maschera di tristezza
tornò a velare nuovamente il viso di Michael.
Sara non ci fece caso, o meglio, decise di ignorarla deliberatamente,
concentrandosi e ripensando solo a quel bellissimo sorriso che era
durato poco più di mezzo secondo, dopodiché
aggiunse: “Michael, devi accettare!” E in uno
slancio di quella che tutti avrebbero visto come contagiosa
felicità, cercò di baciare nuovamente Michael,
che questa volta si scostò bruscamente da lei, lasciandola
impietrita e confusa a qualche centimetro da lui.
Ma non fu quel gesto che la distrusse.
Nemmeno la solita espressione dura e triste che quel giorno sembrava
campeggiare perenne sul viso perfetto di Michael riuscì a
buttarla giù.
Furono le seguenti parole, che le aprirono gli occhi sul
perché Michael si fosse comportato così
freddamente con lei, a distruggerla.
Lo vide fare qualche altro passo indietro rispetto a lei, prima di
sentirgli dire la notizia sconvolgente: “Sara… Il
lavoro è a New York.”
E l’ultima cosa che Sara sentì, fu il rumore del
suo cuore rompersi in mille pezzi.
A/N: Oki... Ecco che
Michael ha finalmente fatto il discorsetto a Sara...
Non il risultato che vi
aspettavate, spero! eheheheh
Mah, vedremo come farla
continuare... eheheh
Grazie 1000 per aver letto e se vi fermate anche per lasciare
commentino, sappiate che mi fa piacere! ^^
Ciao, al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 14 *** Niente più sfumature ***
A/N: Et
volià, ecco un nuovo capitolo, eheheh! Buona lettura!!
ps: la lunga parte in corsivo è un flashback!
Michael era seduto sul suo divano a mangiare svogliatamente
un sandwich al tonno, mentre alla tv di fronte a lui passavano le
immagini di una serie tv che lui adorava e che in altre occasioni lo
avrebbe fatto ridere di cuore.
Ma non oggi. Non da qualche giorno a questa parte.
Qualche giorno fa - ‘4
giorni e 12 ore.’ Pensò Michael tra
sé – tutto per lui iniziò a prendere
una piega inaspettata. Una piega negativa che niente e nessuno sembrava
poter riuscire a fargli dimenticare.
Era come se dal giorno in cui lui e Sara parlarono nel parco, la sua
vita avesse iniziato una parabola discendente che non accennava a
migliorare.
Lui che riusciva sempre a trovare una soluzione a tutto, ora sembrava
quasi che avesse perso la voglia di provare a mettere le cose apposto;
lui che sorrideva sempre, non importa cosa la vita gli presentava, ora
era perennemente triste; lui che riusciva sempre a vedere le sfumature
in tutto, ora era entrato in un tunnel i cui unici colori erano il
bianco e il nero - ‘più
nero che bianco…’
Puntualizzò la vocina.
La mente di Michael tornò a 4 giorni e 12 ore prima.
Il momento in cui lui e
Sara parlavano al parco, gli passò di fronte agli occhi come
un film proiettato solo per lui.
Rivide fotogramma per
fotogramma l’espressione turbata di Sara al solo sentir
nominare New York. Il dolore che ancora quella sensazione di averle
spezzato il cuore gli causava.
“Sara, ti
prego dì qualcosa.” La implorò,
pensando di prenderle le mani tra le sue, mentre lei continuava a
fissare il vuoto di fronte a sé ignorandolo del tutto.
Più la
implorava di dirgli qualcosa, qualunque cosa, più lei
restava impassibile, ma con quell’espressione che per Michael
valeva veramente più di mille parole.
Ma nonostante sapesse
cosa lei stesse pensando in quel momento, finché lei non gli
avesse detto di dimenticarsi di lei, di lasciarle assorbire la notizia
in pace, di non farsi più vedere, lui sarebbe rimasto
lì in quel punto, in quella stessa posizione, con lei per
sempre.
Avrebbe pagato tutto
l’oro del mondo per poter sentire anche solo parte di tutto
quello che in quel momento le passava per la testa.
Lo odiava?
‘Ovvio!’
Gli rispose acida la vocina nella sua testa. ‘Le hai appena
spezzato il cuore!’ Continuò.
Michael non
pensò nemmeno a controbattere. La vocina aveva ragione.
“Sara…”
disse debolmente, quasi in un sussurro, mentre cercava di prenderle il
viso tra le mani.
Michael vide Sara
scostarsi, fare qualche passo indietro, allontanarsi un po’
da lui, per poi passarsi una mano sugli occhi, quasi a fare schermo
alle lacrime che in quel momento avevano iniziato a scorrerle sulle
guance.
Michael rimase con le
mani a mezz’aria per qualche secondo, prima di farle ricadere
lentamente ai lati del suo corpo.
“Non
c’è ancora niente di deciso,
Sara…” riuscì a dire, sperando che
quelle parole la aiutassero a trovare la forza di guardarlo in faccia.
‘Missione
fallita.’ Gli disse la vocina, vedendo che Sara continuava a
guardare altrove.
Michael fece un piccolo
impercettibile passo verso di lei prima di riprendere a parlare.
“Potremmo sempre avere una relazione a
distanza…” prima di continuare, aspettò
una sua reazione di qualche tipo, che però non
arrivò. Fece nuovamente un altro passo. “Tornerei
qui a Chicago ad ogni minima occasione, ogni singolo
week-end…” disse in tono rassicurante, sperando
che almeno lei credesse a tutto quello che stava dicendo in quel
momento. Non che le stesse mentendo, ma sapeva che tutte quelle
promesse erano molto meno facili da realizzare di quanto sembrasse.
Aspettò
nuovamente una qualunque reazione di Sara che però sembrava
la solita bella ma immobile statua di marmo di qualche secondo prima e
fece un altro piccolo passo. “Oppure… so che
è egoista da parte mia…” piccolo passo
“… ma se solo tu lo volessi…”
piccolo passo “… potresti venire tu a New York con
me…” altro piccolo passo “Anzi no,
voglio che tu venga a New York con me!” Concluse ritrovandosi
nuovamente a pochi millimetri da lei, i suoi occhi sempre intenti a
fissare la terra ai suoi piedi e le sue mani che ad intervalli
irregolari le asciugavano le lacrime che continuavano a bagnarle le
guance.
“Non importa
come, Sara…” le spostò delicatamente le
mani dal viso, “… non importa dove
saremo…” continuò, prendendole il viso
tra le mani, “… io so che tra noi può
funzionare.” Le sollevò dolcemente il viso,
cosicché lei potesse vedere il sorriso fiducioso che quelle
parole in cui credeva ciecamente avevano fatto comparire ora sulle sue
labbra.
“DEVE
funzionare.” Sorrise correggendosi, mentre i loro sguardi
finalmente si incrociarono.
Sara sorrise e Michael
sentì nuovamente quella calda sensazione che sentiva sempre
quando le labbra della ragazza di fronte a lui si curvavano in quel
dolce movimento che dava vita ad una delle cose che adorava di
più: vederla sorridere. Saperla felice.
Quel suo sorriso aveva
cambiato tutto.
Gli aveva ricordato che
avere fede ripaga sempre.
Gli aveva fatto capire
che avrebbe avuto il lieto fine che si aspettava e che entrambi
meritavano.
Ora lei gli avrebbe
detto che sarebbe partita con lui a New York.
“Non ti
libererai tanto facilmente di me, Tancredi.” Sorrise
asciugandole col pollice una lacrima dispettosa che le rigava la
guancia. Incoraggiato da quel sorriso, Michael si mosse nuovamente ed
impercettibilmente verso di lei, siglando quel tanto atteso lieto fine
con un bacio che per lui aveva le sembianze di una liberazione.
Ora che aveva messo le
carte in tavola, che Sara sapeva tutto, poteva semplicemente pensare al
futuro, a loro due.
Purtroppo per Michael
però, quel bacio non aveva lo stesso sapore dei precedenti
che ricordava tutti nitidamente.
Questo era salato e con
uno strano retrogusto amaro e più pensava al
perché e meno riusciva a capirlo.
Scostò
leggermente il viso da quello di Sara e notò le lacrime che
incontrollabili avevano ripreso a rigare le sue guance. “Ecco
il perché di quel sapore salato!” Pensò
tra sé. “Ma..”
Prima che Michael
potesse pensare anche solo una singola parola in più, Sara
parlò e in quello che era un soffio di voce,
pronunciò le parole che Michael ormai pensava di non
sentirsi dire più.
“Devi
accettare…” Nonostante il tono bassissimo della
voce di Sara, Michael capì ogni singola virgola che la bella
statua di marmo di fronte a lui aveva appena detto. “Devi
andare a New York…” Michael notò come
Sara cercava di singhiozzare il meno possibile di fronte a lui mentre
diceva quelle parole che però non sembravano fargli lo
stesso effetto che faceva a lei pronunciarle.
Gli aveva detto di
accettare, era grandioso!
Questo voleva dire che
lei sarebbe andata con lui e che avrebbero iniziato un nuovo capitolo
della loro storia insieme in una nuova città!
Un nuovo inizio con la
persona che in quel momento per lui era la più importante al
mondo, non avrebbe potuto chiedere di meglio!
Sulle labbra di Michael
apparve un timido sorriso, portò la mano sul volto di Sara
per poterle spostare una ciocca di capelli dispettosa che si ostinava a
cadere sul suo viso.
Si avvicinò
nuovamente a lei per stringerla forte a sé, ma con stupore
la vide allontanarsi, evitare il suo abbraccio.
Uno sguardo
interrogativo apparve sul viso di Michael.
Vide Sara prendere un
ultimo respiro profondo prima di aprire nuovamente bocca e far uscire
quelle tre parole che mai nessuno si aspetta di sentirsi dire.
“…
Senza di me…” E come una pugnalata in pieno petto,
le parole di Sara lo colpirono senza preavviso.
Quelle amare parole
–‘Ed ecco che hai scoperto il perché di
quello strano gusto sulle sue labbra.’ Disse la vocina senza
cuore che ronzava imperterrita nella sua testa. – lo
lasciarono lì inerme, senza possibilità di
risposta.
Osservò Sara
correre via in lacrime e dileguarsi nella buia notte di Chicago,
lasciandolo lì impalato. ‘Ora chi è la
statua?’ Lo derise nuovamente la vocina, ma Michael questa
volta la ignorò.
Le parole di Sara lo
avevano spiazzato.
Andare a New York senza
di lei era l’ultima cosa che aspettava di sentirsi dire, ma
soprattutto era l’ultima delle cose che avrebbe voluto fare.
Scacciò dalla mente quei brutti ricordi e tornò
alla solitudine del suo appartamento.
Il ricordo di quella notte gli fece passare il già poco
appetito che aveva. Poggiò il panino sul tavolino di fronte
a lui e spense la tv.
Non poteva sopportare di sentire la gente ridere, non quando
l’unica cosa che gli andasse di fare era piangere per aver
perso lei. Sara.
Prese un lungo sorso d’acqua sperando lo aiutasse a
cancellare l’enorme nodo che gli si era formato in gola,
dopodiché si stese nuovamente sul divano ed
iniziò a fare la cosa che gli era sempre riuscita meglio.
Pensare.
L’unica cosa che lo salvava dal ricordare in quel
momento, era pensare.
Pensare a come mettere tutto apposto, a come far tornare le cose
com’erano, a come riaverla nella sua vita.
Se le cose a cui aveva pensato finora non avevano avuto i risultati
sperati, voleva dire che doveva pensare a qualcosa di meglio.
Dopotutto, una delle cose che gli riusciva meglio dopo pensare, era avere fede.
A/N: Per ora è
tutto... Come sempre, grazie mille a chi legge e commenta!
Al prossimo capitolo! :)
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Capitolo 15 *** Messaggi ***
A/N:
Vi lascio subito alla lettura! Buon divertimento! (si spera! XD)
Era passata ormai una
settimana circa da quando Sara aveva detto a Michael di partire da solo
a New York e aveva poi deciso di scappare in lacrime lasciandolo solo
nel parco.
Per quanto non pensasse
affatto di aver fatto la cosa giusta, Sara cercava ogni giorno di
convincersi che non c’era altra via d’uscita a quel
problema.
Michael
l’aveva quasi portata davanti ad un bivio –cosa che
la vocina smentiva prontamente, ma che Sara continuava ad ignorare
imperterrita. Lei era la vittima, fine della discussione.
“Ma se sono
la vittima, com’è che mi sento da
schifo?” Pensò a voce alta, osservando il suo
riflesso allo specchio.
Si mise delle ciocche
di capelli dietro le orecchie e sbuffando, studiò il
riflesso di fronte a lei.
Le tante notte insonni
passate a piangere per lui, stavano avendo un effetto devastante sul
suo viso che di solito era sempre rilassato, luminoso e sorridente. Le
borse che aveva sotto gli occhi erano un chiaro segnale che qualcosa
non andava bene.
Ogni notte diventava
sempre peggio e quando sembrava che finalmente le crisi di pianto
stavano per calmarsi, c’era sempre quel maledetto peluche che
le ricordava lui, del loro primo appuntamento al Luna Park.
Si portò le
mani sugli occhi per impedire a nuove lacrime di solcare le sue guance.
Per un piccolo,
minuscolo secondo fu addirittura capace di sorridere alla sua figura
riflessa.
Non aveva mai pensato
che un essere umano fosse capace di piangere così tanto!
‘Non è
certo una cosa che ti insegnano al corso di Medicina!’
Ironizzò la vocina.
Dopotutto aveva
ragione, in fondo aveva pianto anche troppo in quei lunghi, lunghissimi
sette giorni senza di lui.
Uno come Michael non si
meritava certo tutte quelle lacrime, no?
Dopotutto, il mondo era
pieno di ragazzi come lui, perfino meglio, vero?
Michael Scofield non
era certo uno su un milione, avrebbe presto trovato qualcuno che
l’avrebbe nuovamente fatta sentire speciale, come faceva lui,
anche di più, giusto?
‘Uff, ma chi vuoi
prendere in giro?’ Disse la vocina nella sua
testa. Al sentire quelle parole, Sara sbuffò nuovamente,
guardando torvo la sé stessa riflessa allo specchio, prima
di poggiare la testa sul muro dietro di lei e portarsi le mani sugli
occhi appena chiusi.
Per quanto Sara
cercasse di non stare a sentire la vocina nella sua testa, sapeva anche
che la vocina aveva dannatamente ragione. Chi voleva prendere in giro?
Sé stessa? Beh, se era questo che stava cercando di fare,
aveva appena capito che aveva fallito in pieno!
Quello che provava per
Michael era palese perfino per una stupida vocina che vagava nella sua
testa, come poteva non esserlo per lei?
Più cercava
di negarlo, più sapeva che Michael le mancava da morire. Il
suo profumo, il suo sorriso, le sue mani, i suoi occhi, il modo in cui
la guardava, quando la chiamava Tancredi…
Scosse la testa e
tornò a guardare la sua figura riflessa. Avrebbe fatto di
tutto per riaverlo, perfino mollare tutto e partire a New York con lui.
‘Se solo non fossi
così testarda…’ Disse la
vocina sconsolata.
Sara scosse la testa,
la vocina aveva nuovamente ragione. Ma se non fosse stata
così testarda, probabilmente non sarebbe arrivata
dov’era ora. Probabilmente sarebbe stata schiacciata dal peso
di essere la figlia del Governatore e tutt’ora starebbe
vivendo all’ombra di suo padre, sotto la sua ala protettrice.
‘O…’
Disse la vocina. ‘Lavoreresti
in uno squallido ospedale, vivendo una vita triste e solitaria,
perdendo l’occasione di vivere una perfetta storia
d’amore con l’uomo perfetto che rinuncerebbe ad una
grande occasione di lavoro che aspetta da una vita, solo per poter
stare con te… Oh già, questa è la vita
che stai vivendo ora!!’ Ancora una volta la
vocina aveva fatto centro. Aveva usato il metodo dell’andarci
giù pesante, ma almeno aveva tutto un senso.
Poggiò le
spalle al muro più vicino a si rannicchiò a terra.
Ancora una volta lei
sembrava la cattiva della situazione. Era lei che aveva rinunciato a
lui, all’uomo che amava, solo per permettergli di afferrare
al volo l’occasione della vita -quella che aspettava da
sempre e che meritava. E mentre lui sarebbe stato felice a New York,
lei avrebbe passato il resto della vita a Chicago a chiedersi come
sarebbe stato se…
Interruppe il treno di
pensieri perché una domanda le vagava per la testa:
com’è che tutto questo la rendeva cattiva?
Com’è che sacrificarsi per lui, la rendeva la
colpevole di tutto? Lei era quella che sarebbe stata triste e sola, non
lui!
‘Sara, sai benissimo
perché…’ la riprese la
vocina. ‘Hai
paura del cambiamento che lui potrebbe portare nella tua vita. Hai
terrore di quello che sarà o potrebbe essere.’
La vocina questa volta non era acida, ma tranquilla e quasi
compassionevole.
‘Ma soprattutto hai una paura folle che quello che tu speri
accada, in realtà non succeda mai.’
Continuò la vocina. ‘Hai
paura che Michael faccia come tutti quelli che ci son stati prima di
lui, che ti lasci indietro.’ Sara
sussultò al ricordo di quanto avesse sofferto per colpa di
tutti gli uomini che avevano fatto parte della sua vita, incluso suo
padre. ‘E
nonostante questa paura ti divori da anni, sai anche che Michael non
è come gli altri, l’hai sempre saputo. La prima
cosa che ti ha colpito di lui è stata proprio
questa!’ Continuò la vocina dandole
forza. ‘Beh,
questa e anche quei suoi occhi e quelle mani…’
Sara sorrise, la vocina stava iniziando ad addentrarsi in
tutt’altro discorso, per cui la tagliò fuori dai
suoi pensieri, riconoscente per averla fatta riflettere un
po’.
Sara si alzò
da terra e questa volta notò che l’espressione
della sua immagine riflessa allo specchio era un po’
più distesa di quanto non fosse qualche minuto prima.
Sorrise debolmente alla
sua figura, dopodiché uscì dal bagno e si diresse
in cucina per prepararsi un caffè.
‘E poi, sul serio
Sara, pensi che per te sarebbe così facile dimenticarlo dopo
tutto quello che si è inventato dopo che tu hai iniziato ad
evitarlo?’ La vocina riprese a parlare senza
preavviso proprio mentre lei riempiva la caffettiera con del profumato
caffè, che per poco non le scivolò dalle mani. ‘Devi ammettere che il
ragazzo è ostinato! Direi testardo quasi quanto
te!’ Concluse, lasciando Sara libera di
riflettere su quelle parole e di fare quello che era giusto.
Sara ricordava eccome
quello che Michael si era inventato per lei in quei giorni in cui lei
l’aveva deliberatamente ignorato. Il suo sguardo
andò immediatamente a posarsi sul cestino in vimini che
teneva sul tavolino di fronte al divano.
Da quando aveva smesso
di rispondere ai suoi messaggi, alle sue chiamate e aveva chiaramente
deciso di ignorarlo quando bussava alla sua porta, Michael aveva
trovato un modo originale e tutto suo per cercare di farle capire che
tutto quello che voleva, era lei; che tutto quello di cui aveva
veramente bisogno, era averla vicino, farle sapere che le cose tra loro
potevano ancora essere aggiustate. Farle capire che c’era una
soluzione al loro problema e che lui aveva quella soluzione che avrebbe
rimesso le cose apposto.
Velocemente si
spostò dalla cucina al salotto e si sedette sul divano,
portandosi in grembo quel piccolo cestino in vimini.
Lo fissò per
qualche secondo, prima di rovesciarne il contenuto su di lei.
Una pioggia leggera di
origami di varie forme e colori le piovve addosso.
Come ogni volta che
iniziava quel rituale con i suoi origami, subito le tornò
alla memoria la loro prima colazione insieme. Fu lì che
seppe che Michael aveva una passione per gli origami e per i suoi vari
significati. Fu lì che lui le regalò il suo primo
origami, un fiore.
Buttò la
testa all’indietro e chiuse gli occhi per impedire che si
riempissero nuovamente di lacrime, dopodiché, quando il
pericolo fu scongiurato, prese un respiro profondo e tornò
ad osservare i tanti origami che stavano sul suo grembo.
Sorrise,
dopodiché lentamente, li prese uno ad uno e li rimise nel
piccolo cestino di fianco a lei, attenta a lasciare quelli piegati a
forma di un cigno fuori dal cestino.
Una volta finito,
poggiò il cestino nuovamente sul tavolo e iniziò
a raggruppare tutti i cigni sul suo grembo.
Prese in mano il primo
e aprì leggermente un’ala, attenta a non
rovinarlo. Non se lo sarebbe mai perdonata.
Trovò il
messaggio che Michael le aveva lasciato e che ormai lei sapeva a
memoria. “Non puoi lasciarmi così,
Tancredi.” Lo rilesse a voce alta, ma sentire il suo cognome
pronunciato da una bocca e da una voce diversa da quelle di Michael, le
portavano solo tanta tristezza. Adorava quando la chiamava
così. Prima di lui, nessuno l’aveva mai chiamata
in quel modo, forse perché la sua reazione al solo sentire
pronunciare quelle 3 sillabe, non era delle migliori. Ma
lui… lui riusciva a rendere musicale e piacevole perfino
quelle 3 sillabe che per Sara avevano sempre e solo significato
tristezza e una croce da portarsi dietro.
Sarà stata
colpa del modo in cui lo diceva, della dolcezza che ci metteva, del
modo in cui la guardava…
Chiuse gli occhi e
prese nuovamente un respiro profondo, dopodiché richiuse
l’ala del cigno e lo rimise nel cestino con tutti gli altri
origami, prima di prenderne un altro.
Aprì
dolcemente un’ala e lesse a voce alta il messaggio.
“Non puoi farmi andare a NY prima di aver avuto quella serata
pizza e film che ti avevo promesso.”
Questa volta non
poté evitare di sorridere nel ricordare quella notte. La
notte del loro primo appuntamento. Il Luna Park, le giostre, lo
zucchero filato, il pupazzo che aveva vinto per lei e che
l’aveva quasi costretta a chiamare Michael Scofield II,
l’imbarazzo del saluto finale, indecisa se abbracciarlo o
meno.
Ancora una volta
sentì gli occhi riempirsi di lacrime che minacciavano di
caderle sul viso da un momento all’altro. Chiuse gli occhi
sperando che ancora una volta questo gesto la aiutasse a frenarle.
Cercò di non
pensarci e ripose anche questo origami tra tutti gli altri nel cestino.
Ne rimaneva solo uno da
leggere, ma ormai non aveva nemmeno più bisogno di aprirlo
per ricordarne il messaggio. “So che c’è
un modo per mettere le cose apposto tra noi.” Disse fissando
il cigno che teneva in mano, per quella che le sembrò
un’eternità.
L’improvviso
squillo del suo cellulare la riportò alla realtà.
Ripose anche l’ultimo cigno insieme a tutti gli altri e si
precipitò a prendere il suo cellulare che stava ancora nella
borsetta dalla notte prima. C’era solo una persona che
l’avrebbe chiamata a quell’ora del mattino, per cui
non si preoccupò nemmeno di guardare il nome nel display e
rispose senza pensarci. “Hey Katy!” Disse con voce
squillante, sicura al 100% che dall’altra parte del telefono
ci fosse l’amica.
“Hey
Sara!” Rispose altrettanto squillante Katy.
“Rileggevi gli origami che ti ha mandato, eh?”
Chiese con tatto, teneramente, notando che la voce dell’amica
era leggermente roca a causa delle recenti lacrime.
“Beccata!”
Rispose Sara ridendo. “Mi ritengo colpevole!”
Continuò, asciugandosi una lacrima che aveva iniziato a
rigarle la guancia.
“Hey, che ne
dici se passo da te ora?” Propose Katy, sperando di tirarla
un po’ su di morale.
“Sicura di
voler rischiare tanto?” Le chiese, cercando di restare seria.
“Lo sai vero, che potresti andare incontro ad una ragazza
terribilmente lagnosa?” La avvertì ridendo.
“Mai
più lagnosa di mia madre che mi vuole costringere a passare
al setaccio ogni singolo negozio di Chicago che venda tendine da
cucina!” Disse seria, facendo ridere Sara di cuore.
“In più prometto di portare con me quelle patatine
che adori tanto sgranocchiare. Che ne pensi?”
“Penso che
ora sì che si ragiona!” Rispose divertita.
“Sai benissimo che senza quelle patatine, non potresti mai
mettere piede in casa mia!” Aggiunse cercando invano di
suonare seria.
“Ovviamente!”
Rispose altrettanto seria Katy.
“Allora
aspetto te e le patatine tra pochissimo!” Disse cambiando
tono e suonando assolutamente impaziente di rivedere la sua amica e
farsi stringere forte da lei. Dopo aver riletto gli origami di Michael,
aveva disperatamente bisogno di un abbraccio.
Chiuse la telefonata e
poggiò il cellulare sul mobile di fronte a lei.
La casa aveva bisogno
di una ripulita e, stranamente, la cosa rallegrava Sara. Se era
occupata con le faccende di casa, avrebbe avuto meno tempo per pensare
a lui. E poi, onestamente… la casa aveva decisamente bisogno
di una ripulita, dopotutto stava aspettando ospiti di lì a
poco.
A/N:
Prometto che questa volta non parlerò a vanvera.
Volevo
solo ringraziare di cuore chi, nonostante questa storia sembri infinita
e io non aggiorni spessissimo (purtroppo la colpa è della
fantasia, non mia), sia ancora qui a leggere questa storia. Grazie,
grazie e ancora GRAZIE!!!
Ovviamente,
grazie anche a chi ha commentato finora e a chi lo farà in
futuro! :) *ily fa capire che ha bisogno di un po' di incoraggiamento*
XD XD
ps:
tra l'altro (in teoria) ancora 4-5 capitoli e avremo finalmente il
capitolo finale! :)
Al
prossimo aggiornamento! :)
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Capitolo 16 *** Cambiamento ***
A/N: Capitolo
16, gente!! Siamo agli sgoccioli ormai!! Ancora qualche altro capitolo
e poi finalmente questa storia sarà finita! XD
E dico finalmente solo
perchè è almeno da un anno che la trascino
avanti, tra momenti in cui non so come andrà avanti e altri
in cui vorrei spremermi il più possibile per dargli una fine
degna di essere chiamata tale!
Ad ogni modo, ecco a voi
il capitolo! :)
Katie raggiunse casa di Sara nel giro di
mezz’ora e una volta parcheggiata la macchina, scese e
iniziò a camminare verso il portoncino di casa
dell’amica.
Il sole era già alto in cielo e Katie pensava che Sara
sarebbe dovuta essere in giro a fare shopping, invece che stare chiusa
in casa a piangere per Michael.
Certo, fosse stato per lei, avrebbe già trascinato Sara in
centro o al parco per prendere una boccata d’aria, ma ormai,
dopo tutti gli anni passati ad essere la sua migliore amica, Katie
sapeva che Sara, dopo una rottura con un ragazzo, aveva bisogno di
passare qualche giorno di clausura a piangersi addosso. Certo,
solitamente il “rito” durava solo 2, massimo 3
giorni, ma questa volta per Sara era stato veramente tanto difficile
chiudere il capitolo Michael. Anche se Katie non era tanto convinta che
l’amica avesse realmente scritto la parola fine riguardo
Michael e quello che provava per lui.
Camminando verso la porta di casa, notò che Sara aveva
posta. Infilò leggermente qualche dito nella fessura della
cassetta e riuscì ad estranee solo una delle tante buste.
Bussò alla porta di Sara e l’amica le
aprì quasi subito.
“Hey, dove sono le mie patatine?” Sara
aprì la porta con un’espressione minacciosa alla
quale Katie non crebbe nemmeno per un secondo. Al solo sentir nominare
le patatine e la minaccia di Sara, entrambe scoppiarono a ridere.
“Non preoccuparti, mantengo sempre le mie
promesse!” Rispose Katie agitando la busta che teneva nella
mano sinistra.
“Ottimo, entra pure.” Rispose Sara, facendo
accomodare l’amica in casa.
“Sembra tu abbia tantissima posta.” Le disse Katie,
porgendole la busta che era riuscita a prendere qualche secondo prima
dalla cassetta.
“Ah sì?” Chiese Sara sorpresa, prendendo
in mano la busta che l’amica le porgeva. “In
effetti è un bel po’ che non metto il muso fuori
da casa, a quanto pare il mondo sente la mia mancanza!”
Sorrise, mentre apriva la busta.
La taglio lateralmente e soffiò leggermente per far
sì che i due lembi si separassero.
Guardò dentro la busta e quello che vide la fece rimanere di
sasso.
Alla sola vista di quell’origami, sentì le gambe
cedere e dovette sedersi sul divano dietro di lei.
In effetti si sarebbe dovuta aspettare una cosa del genere, dopotutto
era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta
che ne aveva ricevuto uno.
‘Uhm. Dovevi
aspettartelo?!?!’ Chiese incredula la vocina. ‘Se non mi sbaglio sei
tu quella che ha ignorato volontariamente lui e i suoi origami,
perché mai avrebbe dovuto mandartene di nuovi???’
Chiese sempre più shockata dai pensieri di Sara. ‘A quanto pare il
ragazzo è proprio stupido.’
Proseguì sconsolata.
Al solo sentirle dare dello stupido a Michael, Sara relegò
la vocina a quella parte di pensieri che le veniva facile ignorare.
“Hey, tutto bene?” Chiese preoccupata Katie,
notando la reazione di Sara al contenuto della lettera.
L’amica non fece in tempo a chiederle quale fosse il
contenuto della busta, perché Sara lo tolse per
mostrarglielo.
Alla sola vista dell’origami a forma di cigno che
l’amica teneva in mano, Katie capì il
perché di quella sua reazione di qualche secondo prima.
Michael aveva mandato un altro origami e quasi sicuramente anche questo
aveva un messaggio nascosto sotto un’ala.
Katie si sedette vicino a Sara, in attesa che l’amica dicesse
o facesse qualcosa, invece di limitarsi a fissare il cigno di carta che
teneva in mano.
“Pensi che anche questo abbia un messaggio?” Le
chiese cercando di suonare meno curiosa di quanto in realtà
non fosse.
“Dalla forma, penso di sì…”
Rispose Sara, non togliendo mai lo sguardo dall’origami.
“Ogni cigno che mi ha mandato aveva sempre un messaggio
scritto sotto una delle due ali.” Proseguì.
“Perché mai questo dovrebbe essere
diverso?” Chiese riflessiva più a sé
stessa che all’amica.
“Beh, non che tu gli abbia dato tante motivazione per
continuare a scriverti dei messaggi…” Disse senza
pensarci.
Al sentire quelle parole, Sara voltò di scatto il viso per
guardare negli occhi Katie, che in quel momento aveva
un’espressione alquanto imbarazzata. Si sarebbe dovuta
mordere la lingua invece di dirle quello che pensava onestamente.
“Sara… Scusami, non volevo-” Katie
cercò di scusarsi, ma Sara la interruppe.
“No, hai ragione.” Disse sorridendo. “In
fondo, perché dovrebbe continuare a mandarmi origami e
scrivermi messaggi, quando io in fondo l’ho
ignorato?” Il sorriso di circostanza che aveva ora in viso,
fece capire a Katie che le parole che le aveva detto,
l’avevano colpita più di quanto volesse far
credere. “E poi, hai detto anche tu che la cassetta delle
lettere era piena e io non la controllo da giorni, chissà a
quando risale questo origami.” Ancora una volta aveva quel
sorriso finto sulle labbra, sperando di far credere all’amica
che tutto andava bene.
Posò l’origami sul tavolino di fronte a
sé, prima di alzarsi e proporre all’amica di
iniziare a sgranocchiare le patatine che aveva portato.
Katie accettò senza controbattere, dopotutto aveva
già fatto parecchi danni in quei pochi minuti, non aveva
certo intenzione di peggiorare la situazione.
Le due passarono ore sul divano a sgranocchiare patatine, sorseggiare
una bibita fresca e a parlare del più e del meno e di tutti
i gossip che Sara si era persa a lavoro, in questi giorni di ferie che
si era presa.
Fu contenta di sapere che la signora Miller era finalmente guarita ed
era stata dimessa, anche se le spezzò il cuore che questo
fosse successo quando lei non era in servizio. Aveva sempre avuto un
debole per quella vecchietta e non poterla salutare le fece venire un
po’ di malinconia.
Fortuna che Katie aveva tenuto il migliore racconto per ultimo. Le
raccontò dello scherzo che lei e le altre avevano messo a
punto per il gigolò dell’ospedale, Phil, e la cosa
la fece ridere talmente tanto, che una volta smesso di ridere,
sentì un dolore fortissimo alla pancia.
“Oddio, era anni che non ridevo così!”
Disse Sara, prima di riprendere a ridere.
“Immagina come stavamo ridotte noi che abbiamo visto tutta la
scena!” Disse Katie ridendo a sua volta.
“Scommetto 3 delle mie patatine, che è stata
un’idea di Laura!” Disse Sara mangiando una delle
sue patatine, quando la risata diminuì il tanto che bastava
per riempirsi la bocca.
“Vinceresti la scommessa.” Le sorrise Katie.
“Si sa che lei e gli scherzi vanno molto
d’accordo.” Sorrise prendendo anche lei una
patatina e portandosela alla bocca.
Sara annuì, prima di continuare. “Ma fargli
credere che la Dottoressa Robertson lo voleva nudo nello sgabuzzino e
riuscire a fargli addirittura indossare un costume da infermiera
sexy… Wow, questo va veramente oltre la
genialità!” E l’immaginarsi nuovamente
quella scena, la fece ancora una volta scoppiare a ridere, seguita a
ruota da Katie.
La parola genialità, portò alla mente di Sara il
ricordo di Michael. Come sarebbe potuto essere altrimenti?
Quello che stava facendo per cercare di conquistarla nuovamente era a
dir poco geniale e più e più volte le aveva fatto
venir voglia di correre a bussare alla porta di casa sua per dirgli che
era stata una stupida a comportarsi in quel modo e che avrebbe voluto
riprendere le cose da dove le avevano interrotte.
“Hey, tutto apposto?” Katie la riportò
alla realtà del suo appartamento.
“Uhm, no.” Sorrise all’amica.
“Ripensavo all’origami.” Disse poggiando
sul tavolo il pacchetto di patatine che teneva in mano e riprendendo
l’origami.
“Controllerai mai se ha un messaggio oppure no?”
Chiese Katie poggiando a sua volta il suo pacchetto di patatine vicino
a quello di Sara.
“Beh, penso sia ora di scoprirlo, non credi?” Prese
un respiro, dopodiché apri un’ala per volta,
trovando anche in questo origami un messaggio. Sara lo lesse, restando
shockata da quelle parole.
“La tua faccia non indica niente di buono.” Le fece
notare Katie.
Sara invece di dirle quello che c’era scritto, le porse
l’origami cosicché l’amica potesse
leggere da sé quelle parole che l’avevano lasciata
di sasso.
Katie prese l’origami senza pensarci due volte e
delicatamente riaprì l’ala che si era chiusa.
Lei lesse a voce alta il messaggio. "Lascia che io sia il tuo
cambiamento."
Leggendo quelle parole, capì immediatamente
perché avevano lasciato l’amica così
sorpresa.
“Wow! E questa come gli è venuta?” Si
chiese sorpresa a sua volta.
“Non ne ho idea Katie. Quello che so è che
è la stessa frase che io avevo usato nel mio
annuario.” Le disse Sara scuotendo la testa ancora incredula
dalle parole scritte sull’origami.
“Sì, la ricordo. Sii il cambiamento che vuoi
vedere nel mondo.” Disse Katie ricordando la frase.
“Ma come poteva sapere della tua frase? Sono sicura che
è una coincidenza.” Disse, cercando di
tranquillizzare l’amica e riportare le cose alla
normalità.
“No Katie. Non conoscerò Michael Scofield da anni,
ma lo conosco abbastanza da sapere con certezza che con lui niente
è mai una coincidenza.” Sorrise leggermente nel
sentirsi dire che conosceva Michael. Per quanto quella frase potesse
suonare stupida detta da due persone che si conoscono a malapena, Sara
sapeva che quella frase aveva senso pure pronunciata da lei.
“Beh, razionalizziamo il tutto.” Disse seria Katie
cercando nuovamente di tranquillizzare Sara. “Mi hai detto
che ha frequentato la Loyola, no?” Sara annuì.
“Sono più che certa che una volta saputo che tu
hai frequentato la North-Western, ha chiesto a qualche suo vecchio
amico che ha frequentato il tuo stesso College, di andare a cercarti
nell’annuario…”
“Ha senso…” Disse Sara corrugando la
fronte, mentre elaborava quest’opzione.
“Fatto sta che è stato un gesto veramente
carino.” Sorrise Katie, notando l’espressione quasi
lusingata dell’amica. Si poteva capire quanto Sara fosse
colpita da questo gesto. Quella frase di Ghandi per lei significava
tanto, sia in quanto dottore, che in quanto essere umano che voleva
fare la differenza per sé stessa e gli altri.
“Direi anche troppo carino, Katie.” Disse Sara
sconsolata portandosi le mani sugli occhi. “Son
già abbastanza confusa di mio, non ho bisogno che lui mi
confonda le idee ancora di più.”
“Beh, Sara…” disse l’amica
alzandosi dal divano e poggiando il piccolo cigno di carta vicino a
tutti gli altri. “Fossi in te, la prima cosa che farei
domani, sarebbe andare da lui, ringraziarlo dell’origami e
provare a parlargli.”
“Già, sarebbe senz’altro la cosa
più sensata da fare…” Disse poco
convinta di quelle parole.
“Sara, la verità è che tra qualche
giorno, lui salirà su un aereo per New York e tu non avrai
più l’occasione di dirgli tutto quello che ti sei
tenuta dentro in questa settimana. Per favore, dimmi almeno che ci
penserai su, ok?” Le disse con fare quasi da sorella maggiore.
Sara sorrise teneramente nel notare quanto l’amica tenesse a
lei. Sapeva che Katie voleva solo il meglio per lei, per cui se le
suggeriva di andare a parlare con Michael, Sara era sicura che quella
era la cosa più giusta fa fare. “Certo
Katie.” Le sorrise nuovamente, prima di alzarsi a sua volta
dal divano e stringerla in un forte abbraccio. “Grazie di
tutto.” Le sussurrò Sara, stringendola sempre
più a sé.
“Non dirlo nemmeno per scherzo.” La
rimproverò buffamente Katie. “Lo sai che io per te
ci sono e sarò sempre.”
“Beh, sempre potrebbe finire presto, visto che sei
già in ritardo per il tuo appuntamento con il tuo
ragazzo.” Sorrise Sara tra le lacrime di commozione per quel
momento toccante.
“Oh beh, sarò come sempre in elegante
ritardo.” Sorrise Katie a sua volta, asciugandosi una
lacrima. “Ti chiamo domani per gli aggiornamenti.”
Disse Katie stringendola nuovamente forte a sé, prima che
Sara la accompagnasse alla porta.
Poco prima di raggiungere la sua macchina, Katie notò che
Sara si era leggermente sporta per guardare almeno di sfuggita in
direzione di casa di Michael. Il notare che le luci erano tutte spente,
di certo non le aveva fatto piacere.
Katie conosceva Sara e di sicuro nello stesso istante in cui aveva
capito che lui non era in casa, si era immaginata mille scenari diversi
in cui Michael faceva chissà che cosa.
Katie salì in macchina e accese il motore.
Prima di partire, gettò di sfuggita un’occhiata a
Sara che la salutava dalla porta di casa sua e un’altra
occhiata veloce andò a casa di Michael.
Katie era contenta che Sara avesse ricevuto quell’ennesimo
origami da parte sua, ma soprattutto era contenta che Michael avesse
usato proprio quella frase.
Dopotutto era un ragazzo molto bravo ad ascoltare.
Katie sorrise ancora una volta all’amica e partì.
A/N: Sperando che vi sia
piaciuto, vi dò appuntamento al prossimo capitolo, che
è già scritto ma che non so quando
posterò perchè penso abbia bisogno ancora di una
modifica o due... Vedremo! :P
Come sempre, grazie a chi
si prende la briga di leggere e lasciare un commentino! :)
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Capitolo 17 *** Consigli ***
A/N: Ecco il
capitolo 17, meno 3 alla fine! ;) Buona lettura!!
Michael ripensava a quello che era successo qualche giorno prima e
aspettava nervosamente qualche segno di vita da Sara.
Ormai erano passate intere settimane dall’ultima volta che si
erano parlati al parco e lei sembrava riuscire a pensare od ogni
singolo stratagemma per evitarlo.
Ritornò con la mente al giorno in cui Katie passò
a trovarlo in ufficio.
“Michael,
c’è una ragazza che ha urgente bisogno di
parlarti.” Disse Flo affacciandosi nel suo studio.
“Un’altra
cliente? Ti avevo detto che in questi ultimi giorni non volevo
incarichi, Flo.” Rispose, senza nemmeno guardarla in faccia.
“Sembra che
questo sia molto più importante di un incarico di
lavoro.” Michael alzò lo sguardo e la vide
sorridere. “La faccio accomodare.”
Dopodiché gli fece l’occhiolino e Michael la vide
sparire per qualche secondo, per poi riapparire con una ragazza di
colore che aveva già visto prima.
“Con
permesso.” Disse Flo uscendo dallo studio e chiudendosi la
porta alle spalle, lasciando Michael e Katie soli, liberi di parlare.
“Finalmente,
dopo aver sentito tanto parlare di te, ho il piacere di
conoscerti.” Disse Katie porgendo la mano ad un Michael
esterrefatto di trovarsela di fronte.
Michael si
alzò, andandole incontro. “Uhm, piacere
mio.” Le rispose, stringendole la mano. “Accomodati
pure.” Disse indicando la sedia di fronte a lui.
Rimasero entrambi in
silenzio, senza ben sapere cosa dire e come dirlo. “Come
sta?” Chiese senza riuscire a trattenersi un secondo di
più.
“Non dovrei
dirtelo, ma è a pezzi.” Michael sentì
una stretta al cuore. Non voleva che Sara fosse triste, soprattutto non
per colpa sua. “Rilegge senza sosta i tuoi
origami.” Michael annuì in silenzio, deglutendo a
fatica. “E’ da un po’ che non viene a
lavoro e non esce di casa.” Michael prese un respiro
profondo, massaggiandosi le tempie e pensando già a cosa
fare per risolvere questa situazione. “Non sono venuta qui
per far ingrossare il tuo ego da macho e farti sapere che
c’è una ragazza che sta male per te.”
Sentì gli occhi di Katie quasi bruciarlo,
dall’intensità con cui lo guardavano.
“Sapere che
sta così per colpa mia non ingrossa il mio ego.”
Rispose subito, alzando lo sguardo a sua volta e fissando gli occhi
castani della persona di fronte a lui, quasi stessero facendo una sfida
a chi fosse il più deciso e testardo. “Mi fa stare
solo peggio.”
“Ottimo.”
Annuì Katie e nuovamente il silenzio calò tra
loro due.
“Non so se
Sara te lo ha mai accennato, ma quando frequentava la North-Western,
Ghandi è stato una figura abbastanza importante nelle scelte
che ha fatto.” Michael vide Katie alzarsi in piedi e fare
avanti ed indietro per il suo studio, mentre continuava a parlare.
“In particolare una sua frase, l’ha accompagnata
per tutti gli anni fino alla laurea, diventando la frase che ha deciso
di usare nel suo annuario.” Michael ascoltava rapito ogni
parola che usciva dalla sua bocca, cercando di capire il senso di quel
discorso. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel
mondo.” Katie recitò, fissando un punto
indefinito, quasi fosse in trance.
Michael la vide
avvicinarsi nuovamente alla sua scrivania, poggiando entrambe le mani e
inchinandosi verso di lui. “Il punto è, che lei
ora ha bisogno di un cambiamento, Michael.” Socchiuse gli
occhi osservandola, sempre più confuso. “Ha
bisogno di uscire, di riprendere a vivere e questo dovrà
succedere con o senza di te.” Katie chinò la testa
di lato e si allontanò da lui, incamminandosi verso la
porta. “Sta a te decidere.” Dopodiché,
aprì la porta e uscì, lasciandolo a fissare la
porta del suo studio, con mille pensieri che gli vagavano per la testa.
Sorrise, sapendo
immediatamente cosa avrebbe dovuto fare.
Smise di ricordare, tornando con la mente alla realtà.
Erano passati alcuni giorni da quando aveva lasciato l’ultimo
origami nella cassetta delle lettere di Sara e aveva atteso invano una
sua qualsiasi reazione.
Katie aveva ragione, Sara non poteva continuare ad andare avanti in
quel modo. Aveva bisogno di tornare a vivere e lui voleva far parte
della sua vita.
Però in fondo, sapeva anche che se era riuscito a farla
soffrire in quel modo una volta, avrebbe potuto farlo anche una
seconda, per cui forse lui non era la persona adatta a stare con lei.
Sara aveva bisogno di un uomo che la facesse sentire speciale ogni
singolo giorno della sua vita, perché una ragazza come lei
non la si trova ogni giorno per strada.
Aveva bisogno di uomo che le ripetesse ogni singolo giorno quanto
l’amasse e quanto fosse dannatamente fortunato che una
persona come lei avesse scelto di passare il resto della sua vita con
lui.
Aveva bisogno di un uomo che fosse la sua roccia, che fosse presente
per lei quando tutto andava male, che riuscisse a rassicurarla quando
ogni singola nuvola nel cielo faceva presagire una tempesta.
E lui avrebbe pagato oro per essere quella persona, ma la
verità era che dopo tutto quello che era successo
nell’ultimo periodo, Michael si sentiva tutto tranne che un
uomo.
Cambiare aria avrebbe fatto bene ad entrambi e probabilmente li avrebbe
aiutati a capire che in fondo non erano destinati a stare insieme.
Forse nel mondo c’era un’altra ragazza che gli
avrebbe fatto provare emozioni ancora più profonde di quelle
che aveva provato con Sara nel breve periodo passato insieme.
E probabilmente nel mondo c’era un uomo che aspettava solo di
imbattersi in Sara per renderla felice come meritava.
E più ci pensava, più desiderava di poter credere
a quello che si ripeteva, ma la verità era che
c’era solo un pensiero che gli ronzava nella mente, ossia che
lui e Sara erano le rispettive metà della stessa mela.
Caricò le valigie nel bagagliaio del taxi che lo stava
aspettando e lanciò un’ultima occhiata alla casa
che era stata sua per tanti anni e a quella di Sara, l’ultima
arrivata che gli aveva rubato il cuore.
Il tassista chiuse il bagagliaio e si incamminò verso il
posto di guida, aprendo lo sportello e salendo in macchina.
Michael indossò gli occhiali da sole e aprendo lo sportello
del passeggero, salì a sua volta in macchina, senza mai
spostare lo sguardo da quelle due case che ormai sarebbero state solo
un ricordo del suo passato.
“Immagino che con tutti quei bagagli sia diretto
all’aeroporto, eh?” Disse il tassista, cercando di
fare il simpatico.
La verità era che probabilmente in un’altra
situazione Michael avrebbe anche potuto sorridergli ed essere divertito
dalla sua battuta. Ma non oggi. Non quando una parte importante di
sé gli veniva strappata in quel modo.
Si limitò ad annuire, mentre il punto che non smetteva di
fissare si faceva sempre più piccolo, finché il
taxi non girò l’angolo, costringendolo a fissare
l’asfalto di fronte a sé che scorreva veloce sotto
le ruote della macchina.
Sii il cambiamento che
vuoi vedere nel mondo.
Solo che il cambiamento a cui stava assistendo, non era quello che
aveva sempre sognato.
A/N: Al prossimo update ;)
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Capitolo 18 *** Toc-Toc ***
A/N: Anche se
questa storia ormai è dimenticata dal mondo XD io continuo
ad aggiornarla, soprattutto ora che manca così poco alla
fine.
Ecco il capitolo 18. :)
Sara rileggeva per l’ennesima volta l’ultimo
origami che aveva ricevuto da Michael qualche giorno prima.
Sapeva che avrebbe dovuto farsi viva con lui già da tempo,
ma la verità era che ogni volta che ci aveva provato, che si
era ritrovata di fronte a casa sua, pronta per bussare, qualcosa
l’aveva sempre trattenuta, costringendola a tornare
velocemente sui suoi passi e a rinchiudersi dentro casa.
Ma Katie aveva ragione, ormai non poteva più aspettare,
doveva fare qualcosa se non voleva che Michael pensasse che di lui non
le interessasse più nulla.
‘E ovviamente
ignorarlo incessantemente come hai fatto ultimamente, è
stato un ottimo modo per farglielo capire.’
Disse ironica la vocina, irritando Sara che in quel momento aveva una
soglia di pazienza molto bassa.
Mise l’origami nella tasca destra dei pantaloni, come a
volersi dare la forza per andare fino in fondo, e uscì di
casa, diretta alla porta di Michael. ‘Wow, sembri
addirittura convinta!’ La prese in giro la
vocina, avendo lo strano effetto di darle la forza di andare avanti.
Notò tutte le finestre chiuse e le tapparelle abbassate e
una strana sensazione iniziò a farsi spazio in lei.
‘Oh-oh, sembra che qualcuno sia arrivato in
ritardo.’ Disse la vocina, quasi
prendendola in giro.
Sara pensò che la cosa ideale da fare in quel momento era
ignorarla e ricacciarla indietro, sempre più decisa ad
andare fino in fondo questa volta.
Si avvicinò sempre più alla porta e
notò alcune lettere che riempivano la cassetta delle lettere
di Michael, come se quel giorno si fosse dimenticato di controllare la
posta.
Ignorò quel particolare, pensando che forse anche lui, come
lei, aveva fatto poca vita sociale nell’ultimo periodo.
In fondo, se non fosse stato per Katie, nemmeno lei avrebbe ritirato la
posta nell’ultimo periodo.
Forse Michael stava vivendo un periodo buio quanto lei, a causa di
quell’ultimo discorso che avevano avuto nel parco.
‘Certo, e i maiali volano grazie alla polverina magica e a
tanti pensieri positivi!’ Le disse la vocina,
dando vita ai pensieri negativi che le annebbiavano la mente.
Decise che avrebbe continuato ad ignorarla finché avrebbe
potuto, finché non avesse avuto una prova evidente che le
sue paure fossero fondate.
‘Guarda che siamo in due a volere che tu e lui torniate
insieme.’ La vocina riprese a parlarle. ‘Pensa che inferno
sarebbe per te passare la vita a sentirmi dire come sarebbe stato
se…’
Il pensiero di che incubo sarebbe stata la vita con la vocina che le
rinfacciava in eterno tutto quello, le diede forza e alzò
finalmente il braccio, pronta a bussare alla porta di Michael.
Era sul punto di bussare, quando una voce mai sentita prima
d’ora la fece trasalire, costringendola a girarsi.
“Uhm, cerchi qualcuno?” Le chiese l’omone
di fronte a lei che reggeva delle scatole, quasi stesse traslocando.
Si ritrovò di fronte un ragazzo alto, dalle spalle larghe e
dai capelli corti, più o meno quanto quelli di Michael. Le
scatole che reggeva in mano sembravano poco pesanti, dallo sforzo quasi
inesistente che il ragazzo di fronte a lei stava facendo.
Lo vide camminare verso di lei e notò come anche lui avesse
gli occhi chiari, simili a quelli di Michael, ma non uguali. In effetti
era anche abbastanza diverso da Michael e Sara pensò che non
potessero essere parenti.
‘E come spieghiamo gli scatoloni che regge e il suo passo
deciso verso la casa del tuo principe azzurro?’
La vocina si intromise nuovamente, distraendola per qualche secondo.
“Un amico.” Rispose, sperando che il ragazzo la
lasciasse in pace, cosicché potesse riprendere a fare quello
che stava facendo qualche secondo prima.
“Ah sì?” Le chiese incuriosito,
poggiando gli scatoloni di fianco a lui e incrociando le braccia al
petto, squadrando Sara da capo a piedi. “Conosci
Michael?” Le chiese improvvisamente, senza che lei se lo
aspettasse.
Quindi alla fine la vocina aveva ragione, l’omone di fronte a
lei conosceva Michael.
“Sì.” Rispose Sara, senza sapere
cos’altro aggiungere. Vide l’uomo di fronte a
sé sorridere, prima di esplodere in una risata.
“Ti diverte il fatto che io lo conosca?” Chiese
confusa, senza riuscire a decifrare il comportamento dello strano
ragazzo di fronte a lei.
“Rido perché sei una bugiarda.” Disse
smettendo finalmente di ridere. “Se lo conoscessi come dici,
sapresti che è inutile rimanere di fronte alla porta e
bussare.” Sara lo guardò sempre più
confusa, incapace di capire cosa volesse dire. “Ha deciso di
anticipare il suo volo per New York perché a quanto pare
quello che stava aspettando non è successo.” Le
spiegò, scrollando le spalle.
‘Ta-daa!’
Disse la vocina nella sua testa, rimarcando la sorpresa di quella
notizia che nessuno si aspettava. ‘Quando
si parla di colpo di scena…’
Sara era in stato catatonico, senza alcuna possibilità di
dire o fare qualcosa. Era sicura di avere un’espressione
indecifrabile in quel momento, che poteva essere scambiata come
sorpresa, ma che in realtà era un misto di shock e paura.
Michael era partito.
Era partito senza che lei potesse dirle nemmeno addio, o che avesse
avuto l’occasione di parlargli un’ultima volta.
“Tutto apposto?” Chiese preoccupato il ragazzo di
fianco a lei, ma Sara non si disturbò a rispondergli, ancora
sotto shock da quelle parole che avevano distrutto ogni sua sicurezza.
Mise istintivamente una mano in tasca e vi trovò
l’origami che aveva scordato di aver infilato. Lo tolse fuori
e aprì una delle ali per rileggere l’ultimo
messaggio che le aveva lasciato.
Con sua sorpresa, invece di quello che si aspettava, trovò
una cosa che non aveva mai notato prima, un nuovo messaggio.
28/4 – 22:30
– O’Hare
Il viso di Sara sbiancò ulteriormente, capendo al volo
quello che Michael aveva voluto intendere. ‘Oggi alle 22:30
all’aeroporto O’Hare.’
Controllò subito l’orologio per sapere se fosse
ancora in tempo per raggiungerlo. ’21:55’
Pensò leggendo l’ora.
“Uhm, hey tutto apposto?” Chiese nuovamente la voce
di fianco a lei, questa volta preoccupata nel notare che ogni traccia
di colore era sparita dalle guance di Sara.
“No.” Disse girandosi a guardarlo.
“Potrei avere appena perso il cambiamento che
volevo nel mio
mondo.”
Il ragazzo di fronte a lei la guardò confuso, non avendo la
minima idea di cosa stesse parlando, nè di cosa potesse fare
per aiutarla.
“C’è qualcosa che posso fare per
lei?” Chiese mettendo da parte l’atteggiamento
sfrontato di qualche istante prima e sperando sinceramente di esserle
utile.
“Dipende.” Disse, una piccola speranza che
iniziò a farsi largo in lei. “Quanto veloce pensa
di riuscire a guidare?”
A/N: Volevo lasciare le
cose un po' in sospeso, sperando di lasciarvi con l'ansia di scoprire
cosa succederà alla fine. XD
Che lo vogliate o no, al
prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 19 *** Prova a prenderlo ***
A/N: Ultimo
capitolo. Buona lettura! :)
“Allora, dove vuoi che corra?” Le chiese
l’omone seduto al volante, ma prima che Sara potesse
rispondergli, le fece subito un’altra domanda. “Ti
dispiace se ti do del tu? Non sono mai stato bravo con le
formalità.” Stava iniziando a parlare troppo e a
perdere tempo e questo a Sara non piaceva. Aveva una fretta assurda di
arrivare all’aeroporto in tempo e non poteva permettersi il
lusso di restare lì a fare discorsi inutili.
“Certo. Ora però ti prego, partiamo.” Si
girò ad osservarlo, guardandolo negli occhi e sperando che
lui ci vedesse la disperazione che provava in quel momento.
Quell’uomo sarebbe stato la sua rovina o la sua fortuna.
“Certo. Dove andiamo così di fretta?”
Disse girando la chiave e facendo prendere vita al motore che
iniziò a rombare.
“O’Hare International.” Disse Sara
risoluta, allacciando la cintura e reggendosi forte. “E
abbiamo dannatamente fretta.”
L’uomo scrollò le spalle e diede subito gas,
partendo velocemente e facendo un rumore irritante con le ruote della
macchina. Sara vide un sorriso di compiacimento sul suo viso e un
minimo di pentimento bussò alla porta della sua coscienza.
Le avevano insegnato fin da piccola ad andarci piano con gli
sconosciuti, soprattutto a non salire in macchina con loro e ora che
stava sperimentando un giro in macchina con questo ragazzo appena
conosciuto, il perché di quelle parole le sembrava
così chiaro.
‘L’ultima
volta che hai accettato l’aiuto di uno sconosciuto ti
è andata bene però…’
Disse la vocina, che questa volta sembrava dalla sua parte. Sara gliene
fu grata e una nuova ondata di fiducia la aiutò a vedere
tutto più chiaramente.
Sarebbe riuscita ad arrivare in tempo all’aeroporto e sarebbe
riuscita a convincere Michael a ripensarci. Per quanto egoista fosse,
gli avrebbe chiesto di rinunciare a New York per lei.
“Allora,” disse il ragazzo, risvegliandola dai suoi
pensieri, “cosa andiamo a fare
all’O’Hare?” Chiese curioso.
“Non vorrai scappare via con me.” Sorrise, mentre
aumentava di poco la velocità. “Dammi ancora
qualche giorno per conoscerti, e sono sicuro che potrei cambiare
idea.”
Sara sorrise, era grata a questo ragazzo che la stava aiutando senza
alcun motivo. Dopotutto, cosa ci guadagnava lui in tutto questo? Niente.
“Beh, a dire il vero spero proprio che nessuno oggi
parta.” Vide il ragazzo guardarla brevemente confuso, prima
di rimettere gli occhi sulla strada e accelerare ancora un
po’.
“Sai che sei davvero criptica?” Disse sorridendo.
“Il tuo cambiamento che non c’è
più.” Disse citando la frase di Sara di qualche
minuto prima. “Impedire che qualcuno parta.”
Ripeté la sua ultima frase. “Potrei pensare che A:
sei una terrorista.” Sara rise, senza però
rilassarsi completamente. “O B: che hai perso qualcosa di
veramente importante.” Questa volta il tono del ragazzo si
fece più serio e il sorriso sul viso di Sara
sparì completamente, lasciando spazio ad un espressione
triste e seria.
Non aveva idea di quanto vicino fosse andato alla verità.
Ma c’era ancora una possibilità che niente fosse
perduto del tutto. C’era ancora il tempo dalla sua parte
– ‘più
o meno.’ Pensò, lanciando
un’occhiata veloce all’orologio e notando che erano
già le 22:10.
“E per quanto strano possa suonare,” il ragazzo
riprese a parlare, finendo il suo discorso, “spero tanto per
te che sia l’opzione A.” Sara sorrise leggermente,
abbassando lo sguardo sulle sue mani che tenevano ancora stretto
l’ultimo origami che Michael le aveva mandato.
“Quello cos’è?” Chiese curioso.
Sara trasalì e infilò subito in tasca il suo
origami, quasi irritata che quel ragazzo l’avesse visto.
“Uhm, niente.” Rispose, pensando ad una risposta un
po’ meno acida. “Beh, è un
regalo.”
Vide il ragazzo annuire in silenzio, senza mai togliere gli occhi dalla
strada. “Capisco. Dev’essere speciale, visto quanto
ci tieni e ne sei gelosa.” Lo vide sorridere, mentre si
fermava ad uno stop. Sara sapeva che si riferiva al fatto che non
appena lui l’avesse nominato, lei l’aveva subito
messo in tasca.
“Uhm, quanto siamo lontani
dall’aeroporto?” Gli chiese, cambiando argomento.
“Beh, ad occhio e croce direi ancora 20 minuti
buoni.” Spiegò, ripartendo. “A che ora
è l’aereo della persona che stiamo andando a
fermare?” Sara socchiuse gli occhi e lo fissò. Se
non ricordava male, non aveva mai detto chiaramente che stava andando
lì per fermare qualcuno. ‘Perspicace il
ragazzo!’ Pensò la vocina e Sara non
poté fare a meno di darle ragione.
Improvvisamente, sbiancò nel realizzare quello che prima non
aveva processato. Se ci avessero veramente impiegato 20 minuti,
l’aereo di Michael sarebbe già partito quando loro
sarebbero arrivati lì. “22:30.” Si
limitò a rispondere, ormai senza speranza.
“Allora direi che è il caso di reggersi forte e di
usare una scorciatoia.”
Prima che Sara se ne potesse rendere conto, il ragazzo fece una
sterzata brusca, entrando in una stradina secondaria ed accelerando
sempre di più.
Ormai nessuno dei due parlava e Sara riusciva a notare solo la
concentrazione nella guida del ragazzo, che curva dopo curva, e
stradina dopo stradina, sembrava rosicchiare minuti vitali per lei.
“Riesco a vederlo.” Disse Sara notando in
lontananza le luci che provenivano dall’aeroporto.
“Già.” Si limitò a
risponderle, entrando in una nuova stradina che Sara non aveva mai
visto prima.
Per quanto questo ragazzo stesse facendo il possibile per lei, una
persona le venne in mente. Quanto avrebbe voluto avere Katie al suo
fianco in questo momento. Aveva sempre pensato che se avesse dovuto
fare una corsa contro il tempo per impedire a qualcuno di partire, lei
sarebbe stata al suo fianco. Invece, tutto questo stava succedendo con
un ragazzo mai visto.
“Non mi hai nemmeno detto il tuo nome.” Il ragazzo
le chiese improvvisamente, senza mai staccare gli occhi
dall’asfalto di fronte a lui.
“Sara.” Rispose semplicemente, reggendosi un
po’ più forte dopo un’accelerata
improvvisa della macchina.
“D’accordo Sara, tra qualche minuto saremo
lì, ok?” Sara annuì, mentre al solo
pensiero di essere arrivata in tempo, il cuore prese a batterle sempre
più forte. “Una volta lì,
c’è solo una cosa che devi fare, se vuoi fermare
questa persona.” Sara corrugò la fronte confusa,
senza però interrompere il ragazzo.
“Corri.” Le sorrise, frenando bruscamente la
macchina di fronte all’entrata principale
dell’aeroporto.
Sara scosse la testa confusa, rendendosi conto che erano arrivati in
tempo.
Slacciò il più velocemente possibile la cintura e
aprendo lo sportello esitò un momento. “Non ho
neanche idea di quale sia il tuo nome, di come possa ringraziarti, di
-”
Il ragazzo la interruppe. “Oh tranquilla Sara, ho la strana
sensazione che ci rivedremo presto.” Le sorrise, convinto
delle parole che aveva appena detto.
Chiuse lo sportello della macchina, senza pensarci su più di
tanto e si precipitò dentro l’aeroporto.
Lanciò un’occhiata veloce alle lancette del grande
orologio che stava appeso sulla parete. ’22:20’
aveva ancora 10 minuti per trovare l’uscita per il volo e
soprattutto per trovare Michael.
Sara si precipitò ad osservare la lista di voli presente sul
tabellone, aspettando ansiosa che venisse mostrato il Gate da cui
sarebbe partito il volo di Michael. “Andiamo,
andiamo!” Disse irritata, proprio quando sullo schermo
apparve l’informazione che serviva a lei. “Gate
18!” Esclamò e subito iniziò a correre
freneticamente alla ricerca del gate, evitando le centinaia di persone
che camminavano nella direzione opposta alla sua.
Trovò una specie di mappa dell’aeroporto che
indicava ogni singola uscita presente.
Cercando quella che interessava a lei, tirò un sospiro di
sollievo nel notare che il gate 18 si trovava a pochi metri da lei.
Prese a correre il più veloce che poteva, dirigendosi verso
la barriera che era ovviamente colma di gente. Sapeva che di
lì non si passava se non si aveva un biglietto, per cui si
diresse alla biglietteria che fortunatamente era deserta e chiese
velocemente un biglietto per New York.
La ragazza incaricata dei biglietti, fu sorprendentemente veloce e Sara
corse via, dimenticandosi lì il portafoglio e i suoi
documenti. Sentì la voce della ragazza richiamarla,
chiederle di tornare indietro, ma Sara pensò che sarebbe
sempre potuta tornare a ritirarli più tardi.
Corse nuovamente verso la barriera, superando le persone di fronte a
lei, che le imprecavano contro, e chiedendo scusa.
“Signorina, c’è una fila da
rispettare.” La ammonì il poliziotto incaricato di
far passare le persone sotto il metal detector.
“Ha ragione,” rispose Sara ormai senza fiato,
“ma la prego, è urgente.” Gli porse il
biglietto e passò sotto il metal detector che ovviamente
prese a suonare.
“Signorina, torni indietro e i suoi documenti, per
favore.” Disse severo il poliziotto.
Sara chiuse gli occhi, poggiando le mani sui fianchi e piegando la
testa in avanti.
Non poteva permettersi di perdere tempo e c’era solo una cosa
che doveva fare, anche se questa l’avrebbe cacciata in un
mare di guai.
Ripensò alle parole del ragazzo che l’aveva
portata fin lì: ‘c’è
solo una cosa che devi fare, se vuoi fermare questa persona.
Corri.’
Seguendo quelle parole, prese a correre, lasciando di stucco il
poliziotto ed ogni singola persona che aspettava il suo turno per
passare sotto il metal detector.
Corse più veloce che poteva, anche se ormai era senza fiato.
Sentì il poliziotto dietro di lei dare l’annuncio
ai colleghi di fermare una squilibrata senza documenti, né
bagagli che si dirigeva all’uscita 18, ma a Sara non
importò nulla. Avrebbero potuto farle qualsiasi cosa una
volta che fosse riuscita a fermare Michael.
Percorse il lungo corridoio che portava all’uscita 18 nel
giro di qualche secondo e si fermò, quasi congelata, quando
lo trovò deserto.
Si guardò lentamente a destra e a sinistra, cercando quel
volto familiare che aveva desiderato tanto vedere.
Non trovandolo, lo sconforto ebbe la meglio su di lei e le gambe le
cedettero, facendola cadere al suolo. Seduta sulle ginocchia, fissava
il vuoto di fronte a lei e per un breve istante sentì delle
voci che parlavano di lei e che decidevano di lasciarla lì,
in quella posizione.
Era stata talmente disperata e talmente concentrata nella corsa, che
aveva scordato di controllare minuto per minuto il suo
orologio, per tenersi aggiornata con l’orario.
‘Ero
così vicino.’ Si disse, trovando la
forza per alzarsi.
Si sedette disperata su una delle sedie blu dell’aeroporto
nei pressi dell’uscita del volo che Michael aveva ormai preso.
Guardò fuori dai grandi finestroni, vedendo un aereo appena
decollato e fu sicura che Michael era lì su.
Cascate di lacrime inarrestabili iniziarono a rigarle il viso e lei non
fece nulla per fermarle.
Si coprì il viso con le mani e portò tutto il
peso del corpo in avanti, poggiando le braccia sulle cosce e
lasciandosi andare a quel pianto liberatorio che sperava
l’avrebbe aiutata a diminuire il dolore per quella perdita.
Se solo fosse stata meno testarda, meno orgogliosa, forse Michael
sarebbe stato lì di fianco a lei in quel momento. O forse
sarebbero stati a casa insieme, scherzando su come sarebbe stato
romantico se lei l’avesse inseguito fino
all’aeroporto per fermarlo.
Odiava i se e ora l’avrebbero accompagnata per sempre per il
resto della sua vita.
Questa era la punizione che si meritava per aver agito come aveva agito.
Improvvisamente, una mano le si poggiò sulla spalla e Sara
alzò subito lo sguardo per vedere chi era così
insensibile da disturbare quel suo momento così privato.
“Serve aiuto, signorina?” Le chiese
l’inserviente di fronte a lei e Sara per un momento
pensò di scrollarsi quella mano di dosso e versare tutta la
rabbia e la frustrazione che sentiva in quel momento, su quel povero
signore che non aveva fatto nulla di male.
“No.” Disse scuotendo la testa e tirando un
po’ su col naso. “Grazie.” Aggiunse,
rendendosi conto di essere stata troppo sgarbata.
L’uomo di fronte a lei le sorrise e si diresse verso i bagni
per finire le sue pulizie.
Quando la visuale di fronte a lei fu libera, quello che vide le tolse
il respiro.
“Michael?” Sussurrò all’uomo
che la fissava immobile a distanza di qualche metro, le valige poggiate
a terra.
Non sapeva se quello fosse uno scherzò della sua mente o se
l’uomo che la fissava senza mai spostare lo sguardo, era lo
stesso uomo che lei aveva voluto disperatamente rivedere per impedirgli
di partire.
Anche se stava a qualche metro da lui, Sara poteva notare come i
lineamenti del viso di Michael fossero meno vivaci del solito.
Anche da lontano si poteva notare come la sua barba fosse incolta e le
occhiaie gli cerchiassero gli occhi, quasi non fosse riuscito a dormire
bene nell’ultimo periodo.
“Michael!” Senza pensarci due volte, si
alzò velocemente dalla sedia su cui sedeva e si
precipitò di corsa verso di lui, saltandogli addosso non
appena si ritrovò alla distanza giusta.
Senza esitare, Michael la strinse a sua volta. Sara non aveva
dimenticato il calore che il suo corpo emanava quando la stringeva
forte a sé e la sensazione di sentirsi le sue forti braccia
intorno alla vita le toglievano il respiro come succedeva sempre.
Istintivamente portò le gambe a cingere la vita di Michael,
quasi volesse impedirgli di lasciarla nuovamente, stringendo la presa
il più possibile per averlo ancora più vicino.
“Che ci fai qui, Tancredi?” Le chiese e Sara
dovette spostare di poco il viso per vedere quel sorriso magnifico
illuminargli nuovamente il viso.
“Sono venuta a fermarti.” Rispose semplicemente,
senza mai spostare lo sguardo dai suoi occhi blu che qualche secondo
prima le sembravano così spenti, e che ora brillavano come
li aveva visti l’ultima volta. “Tu piuttosto, che
ci fai qui?!” Gli chiese, ricordandosi che l’orario
di partenza del suo aereo era passato già da un bel
po’.
“Un ritardo.” Si limitò a risponderle,
ma Sara notò uno strano sorriso sulle sue labbra e sapeva
che c’era qualcosa sotto.
“Bugiardo.” Gli rispose, serrando leggermente gli
occhi per intimorirlo, ma fallendo miseramente a causa del grande
sorriso che aveva sulle labbra.
Era da tanto che non sorrideva così, che non si sentiva
così completa.
Sara abbassò lo sguardo per un secondo, pensando a quella
domanda che doveva fargli, ma la cui risposta la spaventava a morte.
“Allora, prenderai il prossimo aereo o…”
“Tutto quello di cui ho bisogno, è qui a
Chicago.” Si limitò a risponderle e Sara
sentì il cuore prendere a battere all’impazzata;
le farfalle che per tutti questi giorni erano rimaste assopite nel suo
stomaco, presero improvvisamente vita.
Non poté evitare di sorridergli, un sorriso che non
esprimeva al meglio tutte i sentimenti positivi che provava in quel
momento. Strinse le braccia dietro il suo collo, costringendolo
più vicino a lei. “Detto questo, penso che ora tu
possa baciarmi, Scofield.” Gli sorrise maliziosa, chinando
leggermente la testa di lato, in attesa che lui obbedisse al suo ordine.
Michael non se lo fece ripetere due volte e subito si sporse verso di
lei, catturando le sue labbra, come aveva desiderato fare ogni singolo
giorno da quando avevano avuto quella discussione.
Il bacio inizialmente dolce e lento, aumentò sempre
più il ritmo, fino a diventare un bacio passionale, di
quelli che mostravano tutto il bisogno disperato che avevano
l’uno dell’altra.
Rimasero per un tempo infinito lì, l’uno delle
braccia dell’altro, sentendo l’uno il calore
dell’altro, che ad entrambi era mancato così tanto
negli ultimi giorni.
In quel momento, non importava più chi avesse ragione o chi
avesse torto, in quel momento importava solo che loro due fossero
nuovamente insieme.
A/N: Il prossimo
sarà l'epilogo che concluderà una volta per tutte
la storia :) Al prossimo e ultimo aggiornamento :)
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Capitolo 20 *** Epilogo - I live in his neighborhood ***
A/N: Dopo
almeno due anni che questa storia si trascina avanti XD sono lieta di
presentarvi l'ultimo capitolo di HE LIVES IN MY NEIGHBORHOOD
Buona lettura! :)
Era una mattina di un Aprile tiepido, in quel di Chicago. Tutto
sembrava andare per il verso giusto in quel momento.
Gli uccellini cantavano felici sui rami degli alberi in fiore, il cielo
era di un celeste quasi abbagliante, mentre qualche nuvola bianca,
soffice ed innocua faceva capolino e giocava a nascondere il sole per
qualche secondo.
Sara respirò profondamente, lasciando che la brezza
primaverile le accarezzasse la pelle e le scompigliasse dolcemente i
lunghi capelli castani che le cadevano dolcemente sulle spalle.
Erano passati all’incirca sei anni da quella sera
all’aeroporto e non poteva certo dire che la sua vita non
fosse cambiata radicalmente da quel giorno.
“Serve aiuto con queste scatole?” Chiese una voce
alle sue spalle, portandola con la memoria, indietro di qualche anno, a
quando si era trasferita qui.
“Direi proprio di sì!” Rispose girandosi
verso quella voce e portandosi una mano di fronte agli occhi per farsi
scudo dei raggi del sole.
“Accettare aiuti dagli sconosciuti…”
Disse la voce fintamente delusa da quel suo comportamento.
“Sai che prima o poi ti metterà nei guai,
vero?” Il proprietario di quella voce scosse la testa,
avvicinandosi un po’ di più a lei e mettendole
protettivo le braccia in vita, chiudendola in un dolce abbraccio.
“Non si sa mai chi ti potresti trovare davanti.” Le
fece notare serio, i loro visi a pochi centimetri di distanza.
“Beh, le ultime volte che l’ho fatto mi
è andata benissimo…” Disse maliziosa,
portando le braccia dietro al collo dell’uomo che la
stringeva a sé.
“Non è detto che sarai così fortunata
anche una terza volta.” Le disse sorridendole, avvicinando
impercettibilmente il suo viso a quello della ragazza.
Sara chinò leggermente il viso di lato, scrollando le
spalle. “Beh, dicono che la fortuna aiuti gli audaci,
no?” Chiese retorica, non lasciando il tempo
all’uomo davanti a lei, di risponderle.
I due, uno nelle braccia dell’altro, fermi sul marciapiede
che dava su un giardino di una candida casa, si scambiarono un lungo e
tenero bacio, mentre una piccola ombra scese dalla macchina
parcheggiata di fianco a loro.
“Mamma, Papà!” Disse una bimba dai
lunghi capelli biondo-ramati, cercando di richiamare la loro
attenzione. “La montiamo la bici?” Li
pregò, sgranando i grandi occhi blu, mentre indicava le
scatole nel bagagliaio.
Sara si allontanò sorridendo da Michael e prese in braccio
sua figlia, la sua piccola bambolina che aveva così tanta
voglia di imparare a pedalare. “Certo Christina, adesso io e
papà la montiamo.” La rassicurò,
baciandole dolcemente la fronte e facendole un po’ di
solletico in pancia, come le piaceva tanto. La bimba rise divertita dal
comportamento della mamma e la strinse forte schioccandole un forte
bacio sulla guancia. “Vero Michael?” Gli chiese,
notando come si era incantato a guardare le donne più
importanti della sua vita, ridere e divertirsi insieme. Michael adorava
perdersi nel sorriso di sua figlia, che gli ricordava tanto quello di
Sara, lo stesso sorriso che l’aveva stregato qualche tempo fa.
Non riusciva ancora a credere che tutto questo fosse successo a lui.
La donna che amava follemente, le aveva dato quello che aveva sempre
sognato. Una vita perfetta che avrebbe vissuto con una famiglia
perfetta.
“Mhm, non lo so.” Disse facendo il vago e
grattandosi i cortissimi capelli sulla testa. “Potrei essere
geloso per quel bacio.” Disse, avvicinandosi alla figlia.
“Sai che papà non riesce a lavorare se
è triste.” Aggiunse con una faccia triste,
coprendosi il viso come se fosse pronto a scoppiare a piangere.
“Oh, papà è triste!”
Esclamò Sara, notando come la figlia fosse preoccupata dalla
reazione del padre. “Perché non dai anche un bacio
a lui, eh?” Le chiese, notando che la sua piccola bambolina
annuì subito, sempre pronta a far tornare il sorriso sulle
labbra del padre.
“Papà non devi essere triste!” Lo
rassicurò, scendendo a terra e avvicinandosi a lui. Michael
tolse le mani dal viso e la guardò, cercando di sembrare
triste e nascondendole il tenero sorriso che sua figlia gli faceva
apparire ogni volta sulle labbra. “Io ti voglio tanto
bene.” Lo rassicurò, mentre Michael la prendeva in
braccio. “E ti faccio una carezza.” Disse,
passandogli dolcemente una mano sulla guancia. “E ti do un
bacio forte, forte!” Prese il viso del padre tra le mani e
diede due grossi baci su entrambe le guance di Michael.
“Però tu non piangere più,
perché io e mamma ti vogliamo tanto bene! Vero
mamma?” Si girò verso la madre per la conferma
alla sua domanda.
“Verissimo!” Disse Sara, divertita da quella scena.
Adorava Michael e Christina, e se qualcuno qualche tempo fa le avrebbe
detto che trasferendosi in quel quartiere avrebbe avuto tutto
questo… Beh, avrebbe detto che era un pazzo!
“Chi vuole costruire la bici?” Chiese Michael
qualche urlando, scherzando con sua figlia.
“Io!! Io!!” Gridò a sua volta Christina,
contenta che finalmente quel momento fosse arrivato.
Michael la mise a terra e la osservò prendere la mano di
Sara, mentre lui finiva di prendeva tutte le scatole dal bagagliaio,
per poi portarle in casa.
Non ci avrebbe messo molto a montare la piccola bici di Christina e la
piccola altalena a due sedili che lui e Sara avevano deciso di
comprarle. Al luna park dove la portavano ogni sera, le altalene non
c’erano e Michael e Sara pensavano entrambi che una bambina
dovesse sapere cosa si provava a stare a qualche metro da terra, con le
gambe libere di dondolare su e giù e il vento che ti
scompiglia i capelli.
Il parco che stava dietro casa loro, quello con il grande lago e le
altalene che aveva occupato gran parte dell’infanzia di
Michael, era stato demolito qualche anno prima che Christina nascesse e
al suo posto era stata costruita una scuola materna.
“Bene!” Disse ironico, notando che le istruzioni
per montare la bici erano solo in cinese. “Ovviamente sono in
cinese.” Continuò, grattandosi la testa e
studiando le immagini presenti nel foglietto che reggeva in mano.
“Ottimo, vedremo in azione il genio che è Michael
Scofield!” Scherzò Sara divertita, mentre Michael
alzava un sopracciglio come a raccogliere la sfida che la moglie gli
aveva appena lanciato.
“Vedrai piccola, qualche minuto e potrai andare dai tuoi
cugini a mostrare vedere il tuo bolide!” Disse Michael,
buttando le istruzioni da una parte, deciso a ignorarle e a seguire il
suo istinto.
Riuscì a montare con successo due pezzi, scatenando
l’entusiasmo della figlia che lanciò un urletto
eccitato nel vedere che piano, piano la bici prendeva forma sotto le
mani esperte del padre.
Nel giro di qualche minuto, come Sara si aspettava, la bici arancione
di Christina era perfettamente montata.
La piccola corse ad abbracciare il padre e a stampargli nuovamente, su
entrambe le guance, due grossi e rumorosi baci.
“Papà sei bravissimo!” Disse buttandogli
le corte braccia al collo e stringendolo forte a sé.
Michael la strinse a sua volta, emozionato nel vedere la figlia
così eccitata per la sua prima bici.
Per un momento ricordò sé stesso a
quell’età, quando la madre e il suo patrigno gli
regalarono la sua prima bici. Poteva riconoscere la sua eccitazione di
quel giorno, negli occhi e nei movimenti di Christina che non vedeva
l’ora di provare il suo nuovo regalo.
Spostò lo sguardo per incrociarlo con quello di Sara che
guardava la scena da lontano, le braccia incrociate al petto, una
spalla poggiata allo stipite della porta e quel sorriso dolce che lui
adorava.
Sara fece un cenno con capo, indicando a Michael il giardino e lui
annuì, capendo quello che sua moglie intendeva.
“Hey piccola,” disse a Christina, che lo stringeva
ancora forte, “che ne dici di andare fuori in giardino e
provarla?” Non fece in tempo a finire la domanda, che la
figlia lanciò un altro urletto eccitato, battendo le mani e
saltellando ansiosa di sapere come si guidava una bici.
Tutti e tre uscirono in giardino, Michael con una videocamera per
riprendere le prime pedalate sulla bici di sua figlia. Certo, il tutto
era semplice grazie alle rotelline montate nella ruota posteriore, ma
vedere la propria figlia salire per la prima volta su una bici e
divertirsi in quel modo, avrebbe reso orgoglioso ogni padre sulla
faccia della terra.
Michael notò che nel giardino di fianco, forse richiamati
dalle risate e dagli urletti felici di sua figlia, Lincoln, Veronica e
i loro figli, erano usciti per scoprire cosa ci fosse di tanto
divertente. Un sorriso apparve sui loro visi.
Lincoln, Veronica e i loro due figli, LJ e Matt, si erano trasferiti
ormai da sei anni nella casa di fianco alla loro. La stessa casa che un
tempo fu di Michael.
La stessa casa che, se non fosse stato per Sara, probabilmente non
avrebbe mai abbandonato. La stessa casa che era stata per tanti anni di
sua madre.
Ma ora che lui aveva sua figlia, Christina Rose, non gli serviva
più una casa per tenere vivo quel ricordo. Per quello
c’era il suo piccolo, grande tesoro, la sua principessina di
cui, Michael ne era certo, sua madre sarebbe andata fiera.
Sara lanciò un’occhiata a Lincoln e Veronica e
agitò leggermente la mano per salutare tutta
l’allegra famiglia che si godeva lo spettacolo della prima
pedalata di sua figlia.
Per quanto adorasse Veronica ed andassero estremamente
d’accordo, Sara nutriva un affetto ancor più
grande per Lincoln.
Non c’era giorno in cui non lo ringraziasse per quella corsa
folle all’aeroporto.
Si chiedeva spesso come sarebbero andate le cose se lui non
l’avesse accompagnata e soprattutto se non avesse mai mandato
quel messaggio a Michael di nascosto, senza che lei nemmeno se ne fosse
resa conto.
Sarebbe stato un mistero con cui avrebbe convissuto per sempre, uno di
cui non aveva bisogno di sapere la risposta; di cui non voleva sapere
la risposta.
Era anche merito di Lincoln se tutto questo era successo. ‘Magari il prossimo
Scofield in arrivo potrà essere chiamato in suo
onore.’ Pensò accarezzandosi
protettiva la pancia che ancora non era segnata da quella recente
gravidanza.
Poi il pensiero la colpì. ‘Lincoln
Scofield.’ Pensò, fissando prima il
cognato, poi il marito. ‘Non
potrei mai fare un torto simile a mio figlio!’
Rise tra sé, pensando a quanto male suonassero quel nome e
cognome così vicini.
Ma Sara sapeva che in fondo un nome non bastava a ringraziarlo per
tutto quello che aveva fatto per lei; per loro.
Si soffermò nuovamente a guardare suo marito che riprendeva
emozionato la loro piccola figlioletta che pedalava felice
sulla sua nuova bici, suonando di tanto in tanto il piccolo clacson che
il padre le aveva montato sul manubrio.
Si accarezzò nuovamente la pancia, tornando indietro a
qualche anno, quando tutto questo sembrava impossibile.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento, era
che trasferirsi in questo posto fosse stata la cosa migliore che avesse
potuto mai fare.
Era stata abituata a cambiare spesso casa, scuola, giro di amicizie per
colpa del padre.
Ma da quando Michael era entrato nella sua vita, tutto era cambiato. In
meglio.
Ora avrebbe sempre vissuto nel suo quartiere.
A/N: Scontato,
sdolcinato, etc... XD Sì, ne sono consapevole, ma dopo aver
visto com'è finita la 4 serie, davvero mi volete biasimare
per aver voluto darl loro un po' di felicità?! O.o
Son contenta di essere
riuscita a finire questa storia, anche perché onestamente
pensavo sarebbe rimasta a metà per sempre.
Non mi
dilungherò troppo, perché non è il
caso XD ma volevo solo ringraziare chi ha letto, recensito o
semplicemente si è divertito a leggere questa storia.
Ringrazio anche chi l'ha
messa tra i preferiti e tra le storie seguite.
Per cui, penso
darò il mio saluto definitivo alla sezione di PB con
quest'ultimo capitolo. :)
Grazie ancora e ciao a
tutti! ^_^
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