La punizione

di Slits
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Ma quant'è vario il mondo ***
Capitolo 2: *** 2. Fuga d'amore: inseguitori ed inseguiti ***
Capitolo 3: *** 3. Una dichiarazione da manuale ***
Capitolo 4: *** 4. Piani di conquista ***
Capitolo 5: *** 5. Pegni d'amore e menestrelli in fusciacca ***
Capitolo 6: *** 6. L'amore sboccia nelle tenebre ~ Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Ma quant'è vario il mondo ***


Questa storia è nata principalmente con una doppia funzionalità che potrà, più o meno a seconda della coscienza della sottoscritta, evidenziarsi nel corso della stesura.
La prima è di certo abbandonarmi al piacere del crack, scoperto con una coppia di cui presto si sentirà parlare qui sul fandom ù_ù
La seconda, è dare un sano schiaffo all’OOC che tanto temiamo ed abbandonarmici al secondo capitolo. In questo primo spero vivamente di non averne evidenziato in modo così esplicito ._.

Ringrazio inoltre la cara Seiko per aver sopportato i miei deliri circa alcuni paragrafi ed aver messo a tacere stoicamente i propri istinti suicidi. Grazie, Crapa *-*

Detto questo, si dia pure il via alle danze.



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× Ma quanto è vario il mondo.


Zoro si sdraiò sul letto con le braccia incrociate dietro la testa e guardò le foglie dell’albero piantato proprio davanti alla finestra della camerata. Gli esigui rami superstiti alla tempesta di pochi giorni prima si limitarono ad ondeggiare pigramente, quando a destra e quando a sinistra, in direzione del vetro.
Alzò nuovamente lo sguardo e rimase a fissarli, poi osservò il cielo.
- Non mi piace. – fu l’atono commento alle ampie nubi al di sopra della cabina.
Sentì bussare alla porta della stanza e sbuffò.
- Se è quell’idiota di un cuoco questa volta gli spacco la faccia sul serio. – pensò alzandosi di scatto e spalancando l’uscio all’improvviso.
Il viso del giovane medico di bordo si storse in una smorfia di paura, lasciando l'espressione invariata persino quando la renna fece un balzo indietro per lo spavento, nascondendosi, testa dietro e corpo in avanti, prima della porta.
Quello che almeno in quel primo momento lo aveva colpito di più era stato lo sguardo che lo spadaccino gli aveva rivolto.
Rabbia pura, ecco cosa urlava. Sembrava quasi un grosso cane pronto a prender la rincorsa ed avventarglisi contro senza alcuna ragione. Ma poi cambiò improvvisamente espressione, diventando curioso ed infine sorpreso, e questo sembrò infondergli abbastanza forza da staccarsi dal legno e fare un passo verso di lui.
In quegli ultimi tempi non gli piaceva parlare con il compagno, lo metteva quasi in soggezione e questo Zoro doveva averlo capito più che bene ormai.
- Nami vuole fare un punto della situazione prima dello sbarco e…e quindi mi ha chiesto di venirti a chiamare. – il verde lo guardò senza rispondere, ignorandolo deliberatamente.
- O…o anche no se preferisci. – si affrettò ad aggiungere il medico, facendosi piccolo piccolo alle spalle della porta – Non devi venire se non vuoi. –
Zoro sbottò infastidito un “Vengo” e lo precedette nel corridoio della nave.
Non era di certo colpa sua se la sensazione che qualcosa - sebbene ignorasse ancora con assoluta certezza di cosa si trattasse - gravasse su di loro come una spada di Damocle pronta a colpire, lo avesse fatto divenire ancor più intrattabile del solito. Si fermò il tempo necessario a lanciare uno sguardo piatto alla renna e sussurrare appena un: “Tu no, dottore?”
- Non credere che chiamandomi così possa risolvere le cose, bastardo! – abbozzò un sorriso.
Non lo credeva affatto. Oramai ne conservava l’assoluta certezza.

Non parve accusare il minimo accenno di fastidio neanche quando il corpo malconcio di Brook lo mancò di pochi centimetri conficcandosi, in un lancio di rara bravura, nell’intercapedine fra parete ed oblò della cucina.
- Che volo! Per un attimo ho creduto di veder la luce destinata ai morti! – lo scheletro fece una pausa ad effetto e continuò – Oh, ma io sono già morto!Yohohoho! -
- Dacci un taglio, scheletro! – nascosto in parte da uno dei tanti sportelli della credenza, Franky non mancò a commentare puntualmente il mancato umorismo inglese del musicista. Zoro sospirò sconsolato e portandosi un braccio dietro le spalle prese posto di fianco alla navigatrice di bordo.
Questa di rimando gli lanciò uno sguardo raggelante.
- Che c’è? - chiese candidamente.
- C’è che sono stufa marcia di subire le molestie di un redivivo in afro! – lo spadaccino alzò gli occhi al cielo e rimase ad osservare il soffitto. Persino nell’apparente tranquillità della nave continuava a sentire quella sensazione crescere a poco a poco.
Fece schioccare la lingua irritato e rivolse gli occhi al cuoco impegnato in un acceso dibattito con il carpentiere.
- Cuoco, ti ho già detto che la mia cola deve stare a destra! -
- La tua cola deve ringraziare semplicemente la magnanimità del sottoscritto per poter dividere la stessa anta con i miei vini. –
- Ma dacci un taglio anche tu, torciglio! Mi dici come faccio ad esser super per la settimana senza cola? –
- Non ti basta la perversione, scusa? – Franky lanciò al biondo un’occhiata molto significativa.
Sanji si limitò a gettare la paglia che sino a quel momento aveva tenuto fra le labbra fuori bordo, sembrando voler dare in questo modo il ben servito anche al litigio.
- Oi! Non credere di poter finire la nostra conversazione così! –  Nami richiuse lentamente lo sportello del frigo, versò dell’acqua in un bicchiere e ne prese un sorso.
L’esasperata attenzione racchiusa in quei movimenti sembrò lasciare ben poche speranze allo spirito bellicoso del carpentiere: o un religioso silenzio o l’imminente probabilità di finire scaraventato in acqua ed unicamente in quel preciso istante colpito da una scarica di svariati volt. Tornò a sedersi senza una parola.
A volte quella mocciosa gli faceva veramente paura.
- Bene. Adesso che le vostre lamentele da vecchie zitelle sono finalmente finite, possiamo parlare normalmente. Robin, durante il turno di guardia di stanotte, ha avvistato un’isola. – l’archeologa accennò un sorriso alle parole della rossa, abbassando appena la tazza da cui placidamente stava sorseggiando il suo caffè amaro.
- A prima vista mi ha ricordato molto più un arcipelago… - aggiunse non prima di prendere un lungo sorso. – …la forma sembra pressoché identica a quella di un insieme di isole di cui avevo sentito parlare tempo fa. –
- Non mi interessa. – la voce decisa di Rufy irruppe nella maestosa cucina della Sunny, facendo sentire per la prima volta il proprio parere.
Mettere a tacere gli incessanti brontolii del suo stomaco lo aveva convinto ad anteporre forse per la prima volta fin dall’inizio del loro viaggio un pasto - nonostante tutto incredibilmente scarso (qualche decina di cosciotti o giù di lì) - alla possibilità di partecipare all’ennesima rissa fra i suoi compagni.
Ma adesso che l’occasione di anticipare di gran lunga la loro prossima avventura gli si stava presentando davanti, forte delle eleganti parole della loro archeologa, aveva sentito l’insensato bisogno di dire la sua. Era una questione di principio, dopotutto.
Partecipare a qualcosa di cui già conosci i possibili esiti smorza per principio ogni forma d’entusiasmo.
- Prego? -
- Ho detto che non mi interessa, quindi credo che andrò a schiacciare un pisolino sul ponte. –
- Rufy…? – lo chiamò ancora una volta la navigatrice.
Sprecando fiato ed anche parte dell’attenzione di una ciurma ora rivolta ad osservare la porta della cucina. Ancora mossa, seppur impercettibilmente, dalla folata di vento che il capitano uscendo era riuscito a sollevare.
- Inutile sforzarsi, Nami-san… - seduto sulla penisola cucina, il cuoco non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso. - …sai com’è fatta quella zucca vuota. –
Si era imbarcato anni prima su quella nave di svitati convinto che nulla lo avrebbe potuto distogliere dal proprio obiettivo.
Curioso quindi, si ritrovò a pensare, come l’insolito senso di protezione verso quella banda di scapestrati stesse lentamente soppiantando ogni altra cosa dentro di sé.
Lo spadaccino, dal suo canto, si limitò sbuffare spazientito, rivolgendo lo sguardo all’arcipelago oramai ben visibile all’orizzonte.
Quella situazione gli piaceva sempre meno.

- Mi piacerebbe visitare il tempio che c’è all’altro capo dell’arcipelago. – la richiesta di Robin giunse come un fulmine a ciel sereno nella tranquillità del pomeriggio.
Nami sbarrò gli occhi, facendosi ricadere infine a peso morto sulla sedia. Si chiese per la prima volta chi continuasse a dargliele, tutte quelle energie all’archeologa.
L’aver passato un’intera mattinata a tentare di mettere un freno alle follie dei suoi compagni “Scommettiamo che con tre rumble balls posso muovere le zampe veloce come Brook e fare tutto il giro dell’arcipelago?” “Sì, vai Chopper!” l’aveva privata nel modo più assoluto delle proprie, del resto.
- Dai! Andiamo, Robin! – soltanto l’urlo esaltato del capitano sembrò esser il solo in grado di levarsi ancora fra i tavoli ed i loro inusuali occupanti. Persino Sanji, raramente restio ad accompagnare qualcuna delle sue dee in qualsiasi missione punitiva, sembrava aver voluto accantonare momentaneamente il proprio entusiasmo barattandolo con una paglia appena accesa.
Un “Mi sento a pezzi” sembrò esser la sua oltremodo valida motivazione.
- Se per voi non ci sono problemi preferirei andarci lo stesso. – Nami abbozzò un sorriso divertito da dietro il giornale che stava sorreggendo fra grembo e tavolo. Non lo aveva mai nascosto a sé stessa, eppure non potè fare a meno di abbandonarsi a quel gesto compiaciuto quando la voce dell’archeologa parve quasi smorzarsi in suono vagamente simile al supplichevole.
Vedere finalmente le emozioni, persino le più esigue, palesare dalla perfetta maschera dell’amica le lasciava sempre un’espressione di insolita soddisfazione in viso, in sin dei conti.
Si limitò ad annuire atona, quanto maggiormente sperasse di riuscire a recitare da dietro le pagine del nuovamente aumentato di prezzo quotidiano della Grand Line, e tornare con lo sguardo all’articolo che stava leggendo religiosamente in silenzio.
- Puoi anche essere un’ottima navigatrice, Nami-san… – sussurrò Sanji, osservando le ombre dei due compagni allontanarsi all’orizzonte - …ma come attrice lasci molto a desiderare. -
- Non tutti sono bravi a nascondere le cose del resto. Fattene una ragione, Sanji-kun. – rispose l'altra con altrettanto velato divertimento, balzando con lo sguardo dapprima all’amico e solo per ovvia conseguenza allo spadaccino.
Entrambi parvero rabbrividire.

Rufy sbatté più volte le palpebre, perplesso, e si fermò ad osservare per un attimo l’archeologa.
Un ramo, il quinto o forse sesto dall’inizio della loro strana escursione, venne elegantemente sollevato da una mano apparsa dal nulla ed accantonato sul ciglio del sentiero. Una seconda, originale questa volta, sfogliò contemporaneamente una pagina del voluminoso libro che la donna teneva fra le braccia, portandola delicatamente indietro.
Il ragazzo trattenne a fatica un verso di ammirazione e Robin non potè fare a meno di voltarsi ed aspettarlo ancora una volta.
- Notato qualcosa di interessante, capitano? – chiese.
Rufy si limitò a scuotere la testa, sebbene poco convinto, e tornare con lo sguardo al ramo poggiato sul ciglio della via.
- Deve essere divertente… - la mora richiuse lo spesso volume e rimase ad osservare paziente l'espressione del proprio capitano.
- Lo è. – rispose semplicemente.
Lo sguardo che Rufy le lanciò di rimando la convinse a tener fuori, per lo meno per una volta, gli infingimenti del proprio ruolo e spogliarsi della propria cultura. Gli sorrise come una madre potrebbe fare al momento di spiegare un concetto di basilare importanza al proprio figlio, passandosi il libro fra le mani.
- Ricordi quando andammo a Skypiea? Le avventure che vivemmo lì? -
- Certo che le ricordo! Sono passati pochi mesi del resto! – Robin sorrise ancora una volta.
Il ragazzo la guardò con maggiore perplessità.
- Se adesso qualcuno di noi decidesse di riportare la nostra storia su un libro qualsiasi, le nostre stesse avventure potrebbero viverle altre centinaia, migliaia o addirittura milioni di persone.
Del resto la cultura ha valore solo se condivisa, altrimenti è solo scontato egoismo. – la ferita inferta da Ohara era un taglio ancora fin troppo profondo, sin troppo caldo per non bruciare nel cuore dell’archeologa. Lo sapeva lei e lo sapeva Rufy, adesso immobile al suo fianco.
- Scrivila tu. – aggiunse semplicemente.
- Cosa? –
- La nostra storia. Scrivila tu. – ripetè come se fosse la cosa più naturale al mondo – Non so quanto importante possa essere, ma se serve a far stare meglio la gente voglio aiutare anche io.
Quindi le nostre avventure, per favore, falle vivere tu per noi. - la ragazza annuì semplicemente e si limitò ad accantonare momentaneamente un pensiero che per troppo a lungo aveva sfiorato la sua mente.
Trascrivere la loro storia… cosa ci sarebbe mai potuto esser di male del resto?

- Quindi la rossa che Sanji aveva rimorchiato a Rogue Town era in realtà un lui… – con un sorriso bonario dipinto insolitamente in viso e lo sguardo lucido, la navigatrice si limitò a cercare nuovamente l’approvazione dello spadaccino. Questi, sobrio quel tanto in più che fosse sufficiente a ripetere ogni tanto “Un altro, barista” ghignò divertito.
Che l’alcol fosse un buon modo per scacciare i problemi lo aveva sempre saputo, ma mai avrebbe creduto che così poche bottiglie di rum potessero distanziare ogni dubbio dai propri pensieri.
- Eustass, Eustachio o qualcosa di simile… confondo sempre… - bofonchiò prima di scoppiare a ridere ancora una volta.
In sin dei conti chi vi avrebbe mai prestato attenzione, una volta concluso il loro viaggio?

Robin sfiorò nuovamente, con affetto quasi devoto, i profondi bassorilievi che contornavano l’entrata sud del tempio.
La città di Ihy, questo era il nome della colonia andata distrutta all’incirca ottocento anni prima, sorgeva alla base di una sorgente millenaria, fonte della primaria prosperità del popolo.
A custodirne il corso, eterno e vivo come le terre su cui quello stesso tempio sarebbe stato in futuro edificato, vi era un dio bambino, famoso per la propria sadica ironia.
Questi avrebbe punito qualsiasi invasore delle terre sacre donandogli l’amore.
L’archeologa si soffermò su quelle ultime parole, vagamente perplessa, e tornò con lo sguardo al maestoso colonnato del tempio.
- L’amore, eh? -
- Ehi, Robin! Qui c’è un frutto stranissimo! Sembra quasi una pera, però è rosa! – senza distogliere l’attenzione dalla pietra della costruzione, la ragazza si limitò ad annuire.
- E’ il frutto consacrato al dio di questo luogo. –
- Sa di lampone però… non mi piace. –
- Lo so, lo dice il bassorilievo qu… - sbarrò gli occhi e, portandosi entrambe le mani alle orecchie, si limitò a chieder a Rufy:
- Lo hai mangiato? – un cenno positivo concretizzò le sue più intime paure.
Per un giorno ogni cosa sarebbe cambiata.


                                                                        { Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono }


- Proprio non capisco perché Nami-san non mi voglia mostrare le sue mutandine! Davvero, non ci arrivo! – sostenendo il bastoncino di zucchero filato come uno scettro, lo scheletro tentò di esternare ancora una volta propria frustrazione alla giovane renna.
Non che sino a quel momento avesse mai portato a qualche risultato ma tentar, si sa, non nuoce. Rimase in silenzio, come in attesa che la soluzione al proprio cruccio potesse giunger dall’alto o per lo meno colpirlo cadendovi.
Ma unicamente uno sguardo, insolitamente voglioso, parve raggiungerlo in quel mercato affollato.
- Brook-sama, te l’ho mai detto che hai dei bellissimi occhi? -
- Yohohoho! Ma io, dottore, gli occhi non ce li ho! – pochi attimi.
Pochi attimi, il tempo di dimenticare l’insolita routine di frasi stereotipate e reazioni abilmente anticipate, ed il suo scettro incontrò il sudicio terreno di quella città.
- Dottore, ma ti senti bene? -
- Con te al mio fianco potrei non esserlo, amore mio? – lo scheletro sbarrò gli occhi, ignaro che per un giorno le cose sarebbero veramente cambiate.



                                                                        { Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono }

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Capitolo 2
*** 2. Fuga d'amore: inseguitori ed inseguiti ***


× Fuga d'amore: inseguitori ed inseguiti.


Continuava ad osservarlo da alcuni minuti oramai, in cerca di qualcosa che neanche lei sapeva con esattezza cosa fosse. Forse sperava ancora di riuscire a scorgere, fra un petalo ed un nome appena sussurrato, un barlume di ragione in grado di mostrarle che quell’individuo che aveva accanto, intento a spogliare un fiore di una foglia dopo l’altra, era ancora Zoro e che, quindi, il suo compagno non aveva dato un addio definitivo alla propria parte razionale.
Quando tuttavia l’ennesimo stelo spoglio le scivolò addosso, accompagnato da un sospiro vagamente simile ad un pianto sommesso, comprese che del loro spadaccino in quel ragazzo non vi era rimasto che un pallido riflesso.
- Non mi ami! Nami, tu non mi ami! -  destinato probabilmente, andando avanti di quel passo, a divenire ben presto nient’altro che un pallido ricordo.
- Zoro… -
- Tu non mi ami! Non mi vuoi più bene! Lo dice anche il fiore che, stando all’oroscopo del mio segno, oggi è ancora più affidabile dei fruttolo! – brandendo fieramente la Gazzetta della Gran Line, lo spadaccino non esitò ad esternare ogni proprio, più infimo, timore. Nami si limitò ad osservarlo perplessa, forte di quello sguardo corrucciato che sin dal primo “Ti amo” urlato prontamente dal compagno, l’aveva accompagnata come una seconda pelle.
Sospirò, lasciandosi scivolare sulla sedia e chiedendosi cosa, tre anni prima, l’avesse spinta ad imbarcarsi a bordo di quella nave di squinternati.
- Il tuo amore per me… - la voce supplichevole del verde la raggiunse volendosi quasi mostrare come una risposta, una verità inscindibile, a quella silenziosa domanda. - …è grande quanto il tuo sogno! Vero, elsina del mio cuore? - la navigatrice sbarrò gli occhi, questa volta sinceramente disgustata. Zoro gonfiò il petto come un vecchio pavone memore delle antiche conquiste e sorrise compiaciuto.
- Questa donna, signori, mi ama! Ed io amo lei! E ciò fa, quindi, di noi una canon! –  concluse infine, sorridendo ancora una volta soddisfatto all’infallibile logicità del proprio discorso.
Una coppia di anziani signori distanti appena qualche sedia si asciugò gli occhi, visibilmente commossa.
Nami si prese la faccia fra le mani, desiderando ardentemente di poter scomparire fra uno di quei tavoli che, in religioso silenzio insieme ai propri occupanti, stavano assistendo alla – disgustosa e rivoltante scenetta d’amore.
- Dacci un taglio, idiota. – sbottò infine, al limite.
Questa volta toccò allo spadaccino spalancare i grandi occhioni neri e, sinceramente turbato, scoppiare in un pianto degno di un gruppo di neonati iniziati al canto lirico.
- Allora ho ragione! Non mi ami più! Sei…sei… - strinse i pugni quasi come sperando che quella parola, quell’offesa oramai prossima a raggiungere il viso delicato e perfetto della propria compagna, non lo ferisse eccessivamente uscendo dalle sue labbra - …sei una strega, ecco! -
- Sì, sì…hai ragione tu. Sono una strega… -  si era sempre ritenuta una persona da un’indole forte Nami, apparentemente indistruttibile. Curioso quindi, si ritrovò a constatare, come un’insolita insistenza da parte di quell’emerito imbecille fosse stata sufficiente a farla crollare.
- Fa di me il tuo schiavo d’amore allora! Ti servirò per l’eternità, mia padrona! – ripensò a quelle sue ultime parole, lasciandosi sfuggire un sospiro amaro.
Curioso non era il fatto che fosse crollata, ma semplicemente l’insulso particolare che ancora la sua arma fosse rimasta nascosta al di sotto della sua gonna traboccante di tulli e merletti.
- Torniamo alla nave. Magari Chopper sa come rimetterti in sesto… -
- Ai tuoi ordini, befana del mio cuore! –
Fu tuttavia un evento climatico assai insolito il fulmine che quell’assolato pomeriggio si abbatté sul caffè al centro della pacifica cittadina di Sieth, in un cielo sgombro, altrimenti, da qualsiasi altra nube di natura temporalesca.

- Un fulmine? Yohohoho! Allora è proprio vero che il tempo qui è mutevole come il calcio nelle ossa di uno scheletro! – il musicista rallentò la propria andatura - un passo sufficientemente sostenuto da potersi definire oramai una corsa vera e propria - e si soffermò a pensare a quell’ultima affermazione – Oh! Io sono uno scheletro eppure il calcio ancora ce l’ho! – giunse infine a conclusione, estraendo il fioretto e posando soddisfatto dell’ennesima battuta macabra circa il proprio status.
- Broook-sama! Il tuo senso dell’umorismo è in grado ogni volta di risvegliarmi! Vieni quiii! – il musicista sbiancò improvvisamente, sebbene con ogni probabilità “sbiancare” non possa definirsi un termine politicamente corretto se rivolto ad un mucchio d’ossa affetto da un’insolita forma di perversione latente, quando il suono di quella voce torreggiò impetuoso nelle strade affollate del mercatino.
Si voltò, riuscendo a scorgere a fatica il proprio inseguitore farsi strada fra la calca della periferia, travolgendo quante più persone possibili e gridando occasionalmente un “Si è fatto male, signore? Qualcuno chiami un dottore!” per infine riprendere la propria corsa.
Sospirando, il musicista diede un poderoso colpo di reni, riportandosi in posizione eretta e continuando così imperterrito la propria fuga.
Tutto questo sebbene uno scheletro i reni – Non li abbia! Yohohoho! –
Lo sappiamo, lo sappiamo…

Li stava aspettando da alcuni minuti, seduta pazientemente su uno dei tanti sgabelli a bordo della Sunny.
Da quando il proprio capitano aveva mangiato quell’insolito frutto erano trascorse poco più di tre ore. Un tempo sufficientemente lungo affinché qualcuno dei suoi compagni avesse avuto modo di rivolgersi parola e dare così il via all’inevitabile.
Sebbene “inevitabile” per un evento destinato a durare unicamente un giorno non fosse propriamente il termine maggiormente adatto. “Fastidio, disarmante inconveniente” sarebbero stati epiteti decisamente più idonei a quell’assurda situazione.
Robin si fece forte di quelle parole, passandosele sulle labbra come un insolito elisir, e sospirò visibilmente più rilassata. Nel peggiore dei casi quella nave sarebbe divenuta teatrino di un’involuta commedia romantica.
Altrimenti sarebbe stata unicamente l’ennesima avventura che il suo capitano avrebbe ben presto rimpianto.
- Rooobin! Nami sta tornando! – sbracciandosi dalla propria postazione, Rufy indicò un punto indefinito oltre il molo dove la Sunny aveva trovato riparo.
L’archeologa si limitò a portare una mano alla testa, frizionandosi il grossolano tappo di cera ricavato da uno dei tanti esperimenti di Usopp. Il ragazzo sospirò silenziosamente ed annuì scribacchiando su un foglio poco distante un illeggibile “Nami e Zoro stanno tornando”.
A lungo andare, quella situazione lo stava lasciando sempre più insoddisfatto.
In un primo momento aveva ritenuto divertente poter comunicare con la compagna unicamente tramite gesti o imitazioni a mano a mano sempre più scadenti ma, con il passare dapprima dei minuti e successivamente delle ore, il non parlare pur di non correre il rischio di incappare in quell’assurda maledizione, lo stava mandando lentamente il tilt.
Non capiva davvero quale rischio si potesse correre rivolgendosi due parole di conto. In sin dei conti sempre parole rimanevano, no?
- Fatto non fui, o mio bocciolo, a viver come bruto, ma per seguire la tua chioma infuocata e la tua totale irriverenza! -  
- Morditi la lingua, idiota. – fu un pianto insolitamente concitato ad anticipare l’arrivo della navigatrice a bordo della Sunny.
Robin arcuò un sopracciglio, visibilmente incuriosita, e si sporse quel tanto in più che fosse necessario a scorgere Zoro, quello stesso spadaccino un tempo definito come demone dell’Est e divoratore di anime, vagare senza meta lungo il ponte della nave in cerca di qualsiasi oggetto in grado di metter fine alla sua “Adesso vuota senza la mia lamettina” esistenza.
Si portò una mano al labbro inferiore, annotandosi mentalmente le prime due vittime falciate dalla maledizione. Ad ovvia eccezione di lei e del capitano, ne mancavano ancora cinque all’appello.
- Una maledizione quindi? – poteva seguire indistintamente lo sguardo preoccupato di Nami oscillare occasionalmente dal ponte alle camerate dei ragazzi, da dove Zoro aveva tentato di suicidarsi, senza apparente successo, per la sesta volta.
Quei due metri scarsi di altezza sembravano voler proprio complottare al suo opprimente dolore. Maledetti bastardi.
- Non la definirei propriamente così… diciamo che è una specie di gioco a cui siamo stati gentilmente invitati a partecipare. -

- Zoro, dai, scendi dalla mia postazione! –
- Non se e parla neanche! Adesso che la mia befanina mi ha respinto non mi rimane altra scelta che metter fine a quest’ingloriosa esistenza! Mi lascerò affogare! –
- Guarda che tu non hai mangiato ancora nessun frutto… - constatò semplicemente Rufy, forte di una logica a dir poco invidiabile al cospetto della tragedia che di lì a poco si sarebbe consumata. Il verde strabuzzò gli occhi, sinceramente colpito, ed estrasse la Wado Ichimonji innalzandola al cielo.
- Allora verso la prossima isola, miei prodi! Alla ricerca di un frutto per organizzare decentemente il mio suicidio d’amore!– recitò solerte.
- YEAH! Verso la prossima isola! – ripetè con altrettanta convinzione il capitano, oramai coinvolto anima e cuore nella titanica impresa.

- Vedo… - mormorò la rossa, sconsolata.
In un primo tempo aveva preferito lasciarsi scivolare le parole dell’amica addosso, senza prestar loro particolare attenzione. Era una questione di principio, del resto.
Aveva sempre e solo creduto in ciò che le sue mani potessero sfiorare o i suoi sensi prevedere ed anticipare in potenza di reazione. Era stata cresciuta educata al valore del denaro, in sin dei conti.
Non l’amore, non le leggende né nessun’altra cazzata del genere.
Ma quella che stavano solcando e che oramai avevano imparato a conoscere era la Gran Line e lì l’amore, le leggende e le cazzate, erano all’ordine del giorno, oltre che variabili fisse.
Fu anche per questo che quando le ultime frasi di Robin le ritornarono in mente, scortate dal suo indistruttibile aplomb, non potè fare a meno di sbarrare gli occhi, visibilmente confusa.
Qualcosa in quella situazione, per quanto assurdo potesse apparire, ancora sembrava non quadrare del tutto. Che poi fosse quell’indefinito qualcosa a stonare o l’intero complesso… beh, su questo la navigatrice non parve voler indagare più di tanto.
- Se come mi hai detto tu ad innamorarsi è colui che sente per primo la voce del proprio interlocutore, perché allora quando ti ho parlato tu non sei… ecco, non hai… -
- Non mi sono innamorata di te? – concluse la donna, come se stesse ripetendo una delle leggi fisiche più naturali al mondo. Nami accennò un sorriso di pacata gratitudine per non averla costretta ad andare oltre con quella farsa.
- La maledizione, stando a quello che ho letto, ha effetto unicamente su chi è completamente immune alla stessa. Tu, per esempio, sei divenuta l’oggetto d’amore dello spadaccino… - e qui le sue labbra non poterono non piegarsi in un sorriso innaturalmente divertito all’espressione di puro disgusto sul viso dell’amica - …quindi non puoi più far innamorare nessun altro. Se io che invece ancora non ho avuto modo di sentire nessuno di voi, dovessi accidentalmente ascoltare le parole di uno del… -
- Oh, Robin! Eccoti qua! Era da questa mattina che ti cercavo, sai? Senti, per quella libreria della tua stanza, ti vanno bene cinque mensole o ne vuoi di più? – Nami si prese la faccia fra le mani.
Usopp lanciò uno sguardo visibilmente preoccupato alle labbra dell’archeologa, inumidite appena da un rapido movimento della lingua, prima di tornare all’amica.
- Prova a contare il numero di mani che in questo momento ci sono sotto la tua tuta e dimmi se corrispondono… - rispose semplicemente la mora - …altrimenti sentiti pure libero di aumentare. -
Il cecchino venne a mancare con altrettanta semplicità. La navigatrice sospirò appena più forte.
Quella giornata sarebbe stata davvero davvero lunga…


---
Secondo capitolo improntato sul puro OOC. Dio, quanto ho goduto a ridurre Zoro una pezza per piedi ù_ù

Passando invece ai ringraziamenti:


Per Emildrago : Chopper ed il suo sex appeal sono ciò che ogni mattina mi spinge a guardare il mondo speranzosa! è_____é
Scherzi a parte, sono contenta che quest’idea ti sia piaciuta e spero di non averti deluso con questo secondo capitolo. U____U’
Grazie mille per il commento.

Per Seiko : Ma… ma… ma tu sei dell’Unicredit? *-*
Dopo questa premessa sentiti pure libera di cancellarmi dalla tua lista di auguri per Natale, Crapa ù____ù
Ti ringrazio per avermi seguita e ti assicuro che nel mare di Crack non ci sarà unicamente Eustacchio a guidarmi ma anche un suo caro amico. Non so se lo conosci però… non si fa vedere molto in giro ù____ù
Non credo che potrò mai finire di ringraziarti per tutto il sostegno e per sopportarmi ogni volta, caVa * stacca striscia *
X____X

Per Lusty : Lusty-chwan, sebbene non c’entri un’emerita cippa, questo capitolo oggi l’ho scritto anche per darti gli auguri a modo mio. Il secchiello per il vomito è in fondo a destra, la tazza del wc nell’ultima stanza.
Se vuoi sfogarti, vai pure ù___ù
Spero davvero che lo possa passare bene, con tanta perversione buoni propositi ad accompagnarti U___U’.


Colgo l’occasione per ringraziare anche chiunque abbia aggiunto questa storia fra seguiti/ preferiti etc.

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Capitolo 3
*** 3. Una dichiarazione da manuale ***


× Una dichiarazione da manuale.


- Che dolore… - Usopp aprì gli occhi e rimase a fissare il soffitto.
Ricordava ancora quando poco più che bambino si prese la sua prima sbronza. Aveva tanto insistito per mostrare a Kaya che quella gara di bevute con il più grande estimatore di liquori di Erbaf l’aveva vinta veramente, lui.
La sola cosa che da quell’esperienza parve invece voler ricevere in premio fu un cerchio alla testa di dimensioni non indifferenti, oltre al resoconto delle proprie avventure.
Vere questa volta, in boxer davanti alla casa dell’odiosa vicina di casa. Un’arzilla vecchietta di appena una novantina d’anni che da dopo quella sera, e su questo Usopp fu in grado di conservarne l’assoluta certezza per uno svariato numero di anni, non lo guardò più allo stesso modo. Mai più.
Dopo quel giorno si ripromise di non bere niente di più forte di un succo d’ananas, distillato che per altro, in certe occasioni, sembrasse aver veramente il raro dono di dargli alla testa.
Quel pomeriggio però ne era certo: non ne aveva bevuto.
Fumare era poi un pensiero da escludere a priori; la sola volta in cui aveva provato ad accendersi una delle paglie di Sanji era svenuto alla prima boccata. Ed il cuoco non era del tutto sicuro che l’avesse tirata su a dovere.
Il cecchino si portò a sedere a fatica sul letto, giungendo quindi alle prime due, irrilevanti conclusioni. Non aveva bevuto né fumato.
Eppure la schiena ancora gli doleva per il colpo ricevuto all’altezza del sacro, in seguito allo scontro fra osso e pavimento.
- Ben svegliato, nasone-san. - almeno qualcuno lo aveva trovato questa volta. L’ultima si era preso quasi una polmonite restando svenuto per più di tre ore sul ponte nel paese di Drum.
Ancora i geloni all’altezza del coccige ricordavano con affetto il rivestimento di coffa.
- Oh Robin! Per fortuna che ci sei tu a… cosa ci fa quella mano qui?! – l’archeologa rise amabilmente al tono sconcertato nella voce del compagno. E, strano a dirsi, il suo sorriso parve allargarsi ancora quando una terza mano, sbucata da un luogo non meglio precisato, incominciò a disegnare cerchi sempre più ampi nell’interno coscia del ragazzo.
Questi, in una reazione degna nel miglior amatore dell’intero Est Blue, si limitò invece ad abbozzare un sorriso, un ghigno osceno dato all’evidente sforzo di non lasciar andare alcun lamento di nessun tipo. Poi, con la classe che sempre lo aveva contraddistinto, svenne semplicemente.
Per la terza volta in un giorno.
- Curioso… - constatò semplicemente l’archeologa, facendo scomparire con un gesto annoiato gli arti dal busto del compagno - …con un naso simile avrei giurato che un minimo di esperienza in più nel campo l’avesse avuta. -  si strinse infine nelle spalle, tornando alla lettura di uno dei suoi tanti libri.
“Sesso a più mani” per la cronaca.

Franky rimase abbastanza perplesso quando lo spadaccino, insolitamente pieno di energie e buon’umore, lo sorpassò vestito di tutto punto, con un completo rubato con ogni probabilità al cuoco. Il fatto che quel disgraziato sarebbe rimasto fuori città per delle “commissioni” - come lui stesso aveva preferito definirle - per tutto il giorno sarebbe stata probabilmente la sola cosa in grado di salvare il fondoschiena del verde.
Ed il fatto che Zoro non potesse vantarsi di così tanta arguzia da intuire che quelle commissioni portassero una quinta di seno o un paio di boxer aumentati di qualche misura, a seconda di bisogno, sarebbe stata, con altrettanta probabilità, la sola cosa in grado di tenere la testa del cuoco al suo giusto posto. Ovvero attaccata saldamente sulle spalle e non ai piedi di un corpo esanime.
Il cyborg sospirò pesantemente, lasciando cadere sul ponte i cinquecento chili di assi, chiodi e corde che aveva comprato alla falegnameria giù in paese. Si era ritenuto fortunato riuscendo a reperire tutto quel ben di Dio di materiale nonostante l’isola fosse praticamente disabitata.
Si era ritenuto fortunato perché nessuno, nonostante il suo avviso di taglia fosse fondamentalmente recente, l’aveva riconosciuto. Oppure, pur facendolo, aveva avuto il buon gusto di restare zitto.
Franky si riteneva sostanzialmente fortunato perché quella era senza ombra di dubbio una delle sue settimane Super in cui nulla, neanche a Dio piacendo, sarebbe potuto andar storto.
Lo sentiva nell’aria frizzante che gli solleticava il naso. Lo sentiva nella cola che scorrendogli nei circuiti lo colmava di energie e buon’umore.
- Fraaaanky! Sapessi quello è che è successo! – lo sentiva nella calda, dolce ed inebriante voce del proprio capitano.
Un momento.
Calda ed inebriante?

Zoro chiuse il giornale e guardò fisso un punto indefinito davanti a se, speranzoso.
Aveva già avuto modo di accorgersene con il tempo ma adesso ne sentiva l’assoluta conferma. Non sapeva ben spiegarsi da dove quella strana sensazione, come di pacata vittoria, venisse.
Eppure la percepiva talmente forte, talmente unita da sembrar quasi come un’enorme massa compatta, pronta ad attaccare.
Sapeva che quel giorno il loro sogno d’amore si sarebbe finalmente coronato.
In sin dei conti tutte quelle notti passate sul ponte, lui ad allenarsi e lei a contare per fatti suoi i tesori appena raccolti; tutte quelle liti concluse puntualmente con un pugno in testa e nessun’altra replica non potevano che essere dei segnali inequivocabili.
Il fatto che si ignorassero non poteva che esser una palesata esplicazione dei propri sentimenti tenuta tuttavia nascosta da subdole paure chiamate a…
Sbirciò un’ultima volta la pagina del quotidiano, dedicata all’inserto “psicologia per incompetenti” e tentò di concludere fieramente il proprio pensiero.
Quando arrivato a “palesata” il cerchio alla testa parve stringersi come se tenuto insieme da una pressa, decise che simili congetture sarebbe stato il caso di lasciarle a chi di competenza. Pensatori profondi come il loro capitano, per voler fare un esempio come tanti.
- Ascoltami bene, idiota. Chopper non si trova da nessun’altra parte e, stando a quello che dice Robin, l’effetto di questa maledizione non dovrebbe durare più di un giorno.
Quindi, sino a domani, fammi il sacrosanto piacere di mantenerti ad almeno un’isola di distanza da me, intesi? – la navigatrice sbarrò gli occhi quando scorse la bandana di Zoro slacciarsi dal suo braccio e calcare a forza la chioma oltremare.
Forse la rabbia l’aveva portata ad essere più impulsiva del solito.
Forse il timore di poter finire in qualche situazione imbarazzante con quell’idiota l’aveva alterata a tal punto da non farle neanche render conto di ciò che le sue labbra, forti della loro indistruttibile boria, stessero urlando.
- Zoro, non fare il pignolo adesso… -
Forse quel pomeriggio sarebbe semplicemente morta squartata senza ulteriori ed oltremodo inutili giri di parole. Aveva vissuto una bella vita però.
Si scoprì a stringer i pugni talmente forte da veder le nocche sbiancare.
Al diavolo! Non voleva di certo morire!
Lo spadaccino avanzò sicuro di un altro passo, portandosi una spada in bocca. Nami sentì indistintamente il rumore della mina scontrarsi contro l’ossatura della mascella e, subito dopo, un brivido gelido solcarle la schiena. Zoro aveva sempre avuto quello sguardo psicopatico o era in suo onore che lo stesse volendo sfoggiare per la prima volta?
- Suvvia! Non è di certo la prima volta che ci diciamo paroloni, no? In sin dei conti anche tu una volta, qualche annetto fa, mi desti della strega, ricordi? Ricordi?! – lo spadaccino sorrise.
Il brivido percorse lo stesso tragitto di prima, seppur al rovescio.
- Nami… - la sua voce conservava un retrogusto di velata sofferenza. La navigatrice si chiese se fosse la sua anima annerita che riavutasi dalla maledizione stesse lottando per riavere il controllo su quel corpo.
Se come lei stesse tracciando il percorso della loro vita, violentandosi pur di non abbandonarlo.
- Zoro… ti prego, non… - Zoro era forte, non l’avrebbe di certo lasciata andare così.
Avrebbe lottato per salvare lei e tutti gli altri. Lui lo avrebbe fatto, lui avrebbe…
- Nami, vuoi sposarmi? -
Lui, stando alle parole di chiunque in quel momento fosse passato per la piazza principale del paese, non avrebbe probabilmente visto neanche l’alba del domani. Meglio così, si scoprì a pensare la navigatrice.
Molto, molto meglio così.

- Signore, che me lo compra un frutto? – il biondo non potè non sorrider comprensivo quando lo sguardo di quel bambino parve riuscire a trapassarlo da parte a parte.
Nell’immensità di quel mercato la sua presenza avrebbe potuto avere la stessa influenza di una goccia di pioggia in una tempesta, eppure dava l’impressione di esser certo che il suo prodotto fosse uno dei migliori in circolazione.
Nonostante l’età e la visibile mancanza d’esperienza, quel ragazzo gli infondeva un’insolita sicurezza. Strano, certo, ma il cuoco non volle badarvi più di tanto.
Era un bambino e lui era un cliente. Fine della storia.
Il suo sorriso tuttavia si smorzò d'un tratto quando il frutto passò dalle mani piccole e rovinate del mercante alle proprie.
Quale razza di idiota con gravi problemi mentali avrebbe mai mandato il proprio figlio in giro a vender pere rosa?


---
Ed eccoci finalmente giunti al penultimo capitolo della storia. E per chiunque se lo stesse chiedendo sì, la FRufy è canon, ovvio! ù____ù

Passando invece ai ringraziamenti:


Per Zorina : Allora vedo che hai capito cosa si cela alle spalle di questa trama e no, non è il semplice piacere del crack. Ma bensì ridurmi Zoro ad una pezzettina per pulir gli stivali è____é
ChopperxBrook mi sta facendo balenare brutti pensieri per ora ._____.
Grazie per tutto, caVa! °ç°

Per Seiko : sbagli, Crapa-chwan! Non sarà BrookxChopper, bensì il contrario! Non sottovalutare mai il potere incommensurabile di una renna!
Perché mi sento tanto Kaku in questo momento? .____.
Robin è ancora vergine in argomento e quindi, come puoi vedere, si sta acculturando per il benessere della ciurma. Dovrebbe esser un esempio per tutti noi, quella donna. ù___ù
Grazie mille Crapa per esser il mio creditore di fiducia °ç°
Anche se con quel termine non ha una bella accezione .____.

Per NekoAki :  il cuoco per ora se la sta spassando. Per ora. Ù_____ù
Lo Zorzerbino va molto quest’anno ù____ù

Per Lusty :  e per dire tu che Nami ti fa pena… il mondo deve aver incominciato a ruotare nel senso sbagliato credo .____.
Chopper e Robin esternano semplicemente i propri sentimenti e le proprie frustrazioni, a modo loro. E-ecco U____U’
Ti ringrazio per i complimenti e per seguirmi, Lusty-chwan *-* E’ sempre un onore riceverli da pietre miliari come voi.

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Capitolo 4
*** 4. Piani di conquista ***


× Piani di conquista.


Il lungo vestito dell’archeologa svolazzò compunto quando la corrente della porta si ritrovò ad investirlo. La donna alzò gli occhi al soffitto e rimase ad osservare, vagamente perplessa, gli ampi decori che adornavano la stanza.
Nonostante i suoi innumerevoli viaggi da solista oppure, come sempre aveva preferito definirsi, da “valida spalla”, non le era mai capitato di incappare in un posto del genere. E sebbene nel periodo della sua militanza ad Alabasta, Crocodile si era ritrovato più e più volte a proporle qualche visita occasionale, lei aveva sempre risposto con un veloce “No” di diniego, dai toni più o meno risoluti a seconda del grado d’insistenza del flottaro.
Ma questa volta le cose erano diverse. Lo sapeva lei e lo sapeva la sua coscienza, in principio forse sin troppo restia a darle in proprio benestare a riguardo.
Sospirò quel tanto in più che fosse sufficiente a far turbinare l’aria impercettibilmente davanti a sé e tornò con lo sguardo al bancone.
Un omaccione con evidenti disturbi dell’alimentazione si fece forte del suo miglior sorriso quando scorse la donna osservare, con sincero stupore, i migliori articoli esposti sul suo banco. Forse quel pomeriggio avrebbe potuto concludere qualche affare decente su quella dannata isola.
Non che ad Alfonso, questo era il nome a cui il gentile signore vi avrebbe risposto con garbo se chiamato in strada, alzando una mano e muovendola lentamente in segno di rispetto, l’arcipelago dispiacesse.
Era un luogo gravido di pace e buoni sentimenti, peculiarità che unite al binomio di amore e divinità avevano, in un primo momento, giovato enormemente ai suoi affari. Ma con il tempo le cose si erano ritrovate gradualmente a mutare.
E quando facendoti vanto della tua miglior clientela, ti ritrovi costretto ad annoverare l’anziana ed oramai vedova signora Paolini fra gli assidui, tu, in quanto commesso di sexy shop, capisci che probabilmente qualcosa ha smesso di girare oramai da anni per il verso giusto, nella tua attività.
Fu anche forte di questa piccola ammonizione che il prestante ragazzo si scoprì a stendere ancor più il proprio ghigno quando gli occhi cerulei della donna incontrarono i suoi. Per arrivare a tanto, quel fiore di fanciulla doveva esser veramente incappata in un non plus ultra di virilità e fascino.
- Posso esserle utile, signorina? – l’archeologa sorrise seraficamente, come suo solito, e si limitò a porgere all’uomo un lungo bastone ricurvo, con alcune applicazioni non meglio specificate poste ai bordi.
- Oh, lo sturacondotto! I miei complimenti per la scelta, signorina! –
- Toh guarda! Io di quello conoscevo unicamente il modello base! Ignoravo che potesse esservi anche il deluxe, multifunzione con quintuplo cambio a tripla rotazione antioraria! – Alfonso indietreggiò ed impugnò l’arnese a mo' di arma quando uno scheletro, provvisto persino di afro e curioso cappellino color rosa pesco, fece la sua comparsa da dietro il bancone. – Sono così felice che potrei morire dalla contentezza! Yohohoho! –  concluse infine l'altro, scoppiando in una risata raggelante.
Il commesso si scoprì a serrare maggiormente la presa contro il bastone.
- Signora Paolini? – chiese ingenuamente.
Il musicista si limitò ad osservarlo in silenzio, prendendo infine la saggia decisione di ignorarlo deliberatamente, quel pervertito in piena regola.
Si limitò invece a poggiare una mano - insolitamente sudata sebbene fatta di semplici ossa - sulla spalla della compagna, in un improbabile segno di comprensione. Questa di rimando lo guardò sinceramente perplessa.
- Problemi con il carpentiere, vero Robin-chan? Ti capisco, ultimamente anche a me le cose sembrano andare tutte storte… – e nel dire quest’ultima frase indicò con un gesto eloquente il piccolo copricapo in precoce equilibrio sulla sua chioma – …il dottore è diventato, come dire… insolitamente affettuoso nei miei confronti.
È la quinta volta da questa mattina che mi mette questo in testa chiocciando ogni volta un “Oh, ti sta divinamente!” oppure “Si intona perfettamente con la luce dei tuoi occhi!” - fece una pausa ad effetto e continuò – Ma se io gli occhi neanche ce li ho! – esclamò infine sull’orlo di ciò che, usando termini prettamente scientifici, qualcuno avrebbe potuto definire una crisi di nervi a tutti gli effetti.
- Brook-samaaa! Mio sireno! Dove sei?! – l’archeologa rimase colpita quando l’espressione sul viso di Brook parve assumere una forma scandalizzata.
Non avrebbe mai creduto che persino uno scheletro potesse sudar freddo.
- Eccolo! Vado a nascondermi nel camerino! Tu coprimi, ti prego! -
- Tranquillo, scheletro-san… – sorrise seraficamente quando il musicista, gridando di una possibile ricompensa, si ripromise di comprarle un intero corredo intimo in pizzo di Water Seven.
- So che è qui! Dov’è?! Robin, dimmi dov’è il mio piccolo patato! – e con altrettanta seraficità si limitò ad indicare ad un affannato dottore la direzione del camerino, non mancando a sussurrargli  un “Buona fortuna” di poco accennato.
- Grazie! – perché in amore, si sa, è meglio crearsi un valido alleato piuttosto che uno scomodo avversario.
- Lo compro. – disse infine, risvegliando con un semplice buffetto il prestante Alfonso dall’ennesimo mancamento.
Il terzo da quando quella donna aveva varcato la soglia del suo negozio, per voler entrare nello specifico.


- Parola d’ordine. -
- L’amore non è bello se non è litigarello. –
- Ma questa non è una parola! –
- Se per questo neanche quello che hai indosso sarebbe un travestimento… - sulla Sunny non era fatto insolito trovar le cucine affollate persino nelle prime ore del pomeriggio.
Le trappole a raggi laser che Sanji aveva così tanto insistito per far installare al cyborg si erano rivelate tanto inutili quanto fastidiose dal momento in cui Rufy, allungandosi e potendo quindi storcere le braccia a proprio piacimento, ci aveva messo poco più di tre giorni ad eluderne gli effetti.
In verità ci avrebbe potuto impiegare anche molto meno, ma il sonoro dei meccanismi una volta attivati era così “Fantastico!” che quasi gli era dispiaciuto dover aspettare il terzo, e gli ordini impellenti del proprio stomaco, per agire.
Adesso la cucina era tornata ad un apparente stato di normalità e Sanji si era prodigato a trovare una nuova soluzione agli assalti del proprio capitano.
In quel pomeriggio, tuttavia, spadaccino e carpentiere si erano ritrovati a fare del regno del cuoco un insolito ritrovo per il compimento dei propri piani di conquista. Imponendosi, come ogni clan che si rispetti, delle regole ferree da rispettare per poter giungere al compimento dei propri obiettivi.
Punto fondamentale era stato l’abbigliamento.
Zoro non aveva mancato a raccomandarsi con l’amico di farsi forte di un vestiario semplice, qualcosa che desse poco nell’occhio e fosse sufficientemente anonimo da passare inosservato. Un impermeabile verde opaco come il suo, ad esempio.
Uno di quei vestiti che anche se in piena estate, su di un’isola prettamente primaverile e con gente vestita costantemente in maniche corte, non potrebbe mai dare nell’occhio. Qualcosa di sensato come il suo cappotto, insomma!
- Fratello, ti garantisco che questi pantaloni a zampa d’elefante sono il massimo per passare inosservati! Nei polizieschi che seguivo da piccolo li portavano sempre e nessuno è mai stato smascherato! -  per l’appunto.
- E poi com’è finito? –
- Com’è finito cosa? –
- Il poliziesco… -
- Ah! Il protagonista è stato scoperto durante una missione in incognito e fatto secco con un colpo solo. Se ancora ci ripenso mi vien quasi da piangere! - lo spadaccino si prese la faccia fra le mani.
Il ceruleo, visibilmente commsso, si limitò invece a soffiarsi il naso in un fazzoletto tirato fuori da un punto imprecisato delle sue mutande. Il ricordo di quella scomparsa ancora bruciava come una ferita aperta dentro di lui.
- Spiegami piuttosto cosa ci facciamo qui. – chiese infine, una volta riavutosi dai singhiozzi, non senza una vena di mal celata perplessità.
Ed il qui era il retro della penisola cucina, un angolino di un metro per due, dove Sanji era solito sedersi ed aspettare che i suoi piccoli capolavori potessero finalmente completarsi.
- Ci serviva un rifugio dove elaborare il piano. – rispose seccamente Zoro.
- E perché non usare le camerate, scusa? – questa volta toccò al verde sbarrare gli occhi e sibilare una serie di scuse in grado di mascherare sufficientemente a lungo un “Non mi era passato neanche per l’anticamera del cervello”.
- Avevamo bisogno di un posto sicuro. – ripetè infine, con maggiore convinzione.
La spiegazione parve bastare al cyborg.
- Bene! Adesso che abbiamo appurato di esser soli, proporrei di passare al piano “Conquista gli amori della tua vita, fuggi con loro e creati una famiglia tutta fronzoli e merletti”. – stringendosi ancor più nelle gambe, come un feto di troppo cresciuto, Franky sorrise compiaciuto.
Lo spadaccino non potè fare a meno di congratularsi con la propria arguzia per esser riuscito a trovare un alleato così valido fra così tanti incompetenti a bordo di quella nave. Non era di certo stato un compito da poco del resto.
- Bel nome, fratello! Ma dimmi… - il carpentiere si fermò in tempo necessario a far scivolare gli occhiali sul naso ed osservare con sincera curiosità il compagno – …il vero scopo del piano… qual è? -
Per l’appunto.


---
Chiedo venia per non poter rispondere decentemente a tutti i commenti questa volta, ma ho una fretta dannata addosso.

Ringrazio chiunque mi abbia seguita/aggiunto fra i preferiti e commentato.
Alla prossima.

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Capitolo 5
*** 5. Pegni d'amore e menestrelli in fusciacca ***


× Pegni d'amore e menestrelli in fusciacca.


Non era mai stato propenso a particolari lavori e fu anche per questo che Rufy si stupì non di poco quando, seduto in un angolo nella nave, scorse il carpentiere intento a sopravvivere alla propria sfida quotidiana con ago e filo. A circondarlo, ritratti di ciò che a prima vista sarebbero potute apparire come foto di prugne affette da una grave forma di narcolessia.
- Fraaanky! Che stai facendo? – il cyborg sobbalzò quando il suono di quella voce, dolce come miele che stilla dagli alveari in fervore in un agosto inoltrato di gelido settembre, lo raggiunse mellifluamente sino a sfiorargli l’animo.
Si chinò su stesso cercando riparo nel grembiule rosa shocking - un ritaglio di stoffa talmente striminzito da coprirgli a malapena i pettorali - ed arrossì vistosamente. Dio se poteva esser bello.
Lo coglieva dall’eleganza con cui le sue dita stessero esplorando gli anfratti più nascosti delle sue narici; lo percepiva in quel tono colmo di mal celata grazia, pronta a traboccare senza esitazione dalle sue labbra carnose.
- Fico! E’ una cacca quella? – per l’appunto.
L’ex smantellatore faticò a trattenere un gemito di puro piacere quando il suono di quelle parole sembrò quasi cullargli il cuore che, sino a pochi giorni prima, avrebbe giurato sommerso dalla tempesta. Mai termine più dolce, mai tono più sensuale si ritrovò a riempire con la propria forza ogni singola parete di quella nave.
- E’ il nuovo strofinaccio da cucina che stai facendo per Sanji? Così almeno ogni volta che dice “merda” ha qualcosa a cui rivolgersi anziché sempre l’espressione del sottoscritto! – le dita del carpentiere si strinsero con così tanta forza che la cruna dell’ago, sino a pochi istanti prima tenuta in precoce equilibrio sui polpastrelli, si ritrovò ben presto a giacere sul pavimento. Spezzata.
- E perché mai dovrei fare qualcosa per quel cigolò fallito? Di’ la verità: in realtà ti piace perché ti cucina da mangiare vero? Lo vuoi perché fuma? Oppure perché è così per bene da essere inarrivabile? Eh? EH?! – il capitano sbarrò gli occhi, visibilmente confuso, quando all’aggiunta di ogni possibile motivo vide il colorito del compagno portarsi ad una nuova graduazione di viola.
Giunto a “inarrivabile” la tonalità “porpora Von Chan” era divenuta oramai un improponibile “nero caccola Mr Five” ed il suo sguardo, solitamente ben nascosto dalle lenti scure, talmente iniettato di sangue da far invidia ad una bistecca del cuoco. Una calda, dolce e corposa bistecca cucinata da Sanji, con appena un’aggiunta di olio e qualche spruzzata di rosmarino, semplicemente per aromatizzare.
Senza neanche rendersene conto il suo livello di salivazione aveva oramai raggiunto i livelli di massima saturazione, traboccando pericolosamente dalle sue labbra.
- Mi è venuta fame! – gli occhi del carpentiere si illuminarono non appena quell’ultima frase solleticò le sue orecchie. Finalmente la tanto agognata occasione era arrivata!
Adesso avrebbe potuto mettere in mostra tutto il proprio talento e giungere così a creare quella fantomatica breccia nel cuore del proprio capitano. Sì, ne era sicuro!
La vita aveva appena incominciato a girare e lui era riuscito a prendersi uno dei posti migliori nel vagone di testa. Lo aveva sempre detto che quella settimana sarebbe stata Super, del resto.
Con un movimento fulmineo del busto gettò via il nuovo paio di boxer, calzandosi infine un cappello da cuoco in testa.
Per il suo pasticcino avrebbe cucinato persino un re dei mari.
Per quel bocciolo d’autunno appena sbocciato fra le acque infernali di un fiume in tempesta avrebbe persino colto le…
- Vado a cercare Sanji, speriamo che mi cucini qualcosa anche per strada. A dopo, Franky! –
- … -
Una nube scura trovò lietamente la propria dimora sulla chioma cerulea del carpentiere mentre il capitano, insolitamente ansioso all’idea di potersi incontrare con il cuoco, si apprestava a lasciare la nave.  
Senza dire una parola, il cyborg si trascinò sino all’angolo dove da inizio mattinata aveva lavorato alla propria creazione.
Una smorfia di disgusto attraversò le sue labbra quando l’ennesimo improponibile ritratto di Rufy ad opera di Zoro incontrò il suo sguardo.
Forse il loro capitano aveva davvero trovato, seppur inconsciamente, il modo migliore per descrivere l’insolita vena artistica dello spadaccino. Una vera merda.
Ma, in compenso, il ricamo di Rufy che ben presto sarebbe uscito sul retro di quegli slip sarebbe stato un vero e proprio capolavoro di perfezione e fascino. Che poi, con un meccanismo che al momento di stringere entrambe le natiche univa talmente tanto i loro visi da farli sfiorare, sarebbe stato davvero inarrivabile.
I suoi occhi sfiorarono un’ultima volta, perplessi, il plico di fogli lasciato poche ore prima da Zoro.
- Sarà… - si disse prima di reimbracciare con nuova passione ago e filo - …eppure a me ricordano di più delle prugne secche. –


- Non ho mai creduto a simili stronzate. -  camminavano fianco a fianco da alcune ore oramai.
Il biondo era rimasto vagamente perplesso quando il bambino, subito dopo avergli venduto una di quelle improponibili pere, si era limitato a prenderlo per mano, come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Non era mai stato abituato a simili gesti e - per quanto facile potesse apparire - persino il semplice stringere quelle dita così sottili parve esser in grado di costargli uno sforzo immenso.
Vide il mercante sorridere al suono di quelle ultime parole ed aumentare impercettibilmente la presa, in modo da render quell’ultimo diniego nulla più che un semplice sussurro.
- Quindi tu non credi nell’amore? – il biondo sbuffò stancamente prima di rispondere. Possibile che tutte a lui dovevano capitare?
Partito con l’intento di trovare una bionda mozzafiato e di ritorno con un moccioso petulante. Qualcuno da lassù, ne era certo, doveva essersi divertito più del dovuto con il suo destino.
- Siamo pirati. Credi davvero che vi sia spazio persino per amare per gente come noi? – si limitò a dire stancamente. Vide il bambino socchiudere gli occhi e tornare con lo sguardo alla folla.
- L’amore è bello per questo, non fa alcuna distinzione. Potresti essere persino un marimo senza cervello e dimora e ti garantisco che potresti amare benissimo qualsiasi altro essere vivente. –
Questa volta toccò a Sanji incassare il colpo.
L’esempio usato era stato sin troppo palese del resto, sin troppo ben architettato, per poter anche solo sperare di lasciare espressione diversa sul suo viso aristocratico. Affondò una mano in tasca, mentre con l’altra tentava ancora ed ancora di mantenere quanto più ferma la presa delle proprie dita, insolitamente viscide e sudate, su quelle posate del bambino.
- Chi sei tu? – chiese infine.
- Kami. – si limitò a rispondere il piccolo, sorridendo insolitamente compiaciuto alla vista dello stupore sul volto del biondo.


Il fragore della porta precedette l’ingresso della navigatrice nelle camerate della nave.
Robin alzò gli occhi dal libro che stava leggendo, un manuale piuttosto sostanzioso circa i vari usi del suo ultimo acquisto, e rimase a fissare la ragazza lasciarsi cadere pesantemente sul letto.
Se anni prima le avessero detto che avere una sorella sarebbe stato così difficile, probabilmente avrebbe riso sino a sputare i polmoni. Curioso quindi, si ritrovò a pensare, come crescendo si fosse ritrovata costretta a dover cambiare idea su tutto.
- Qualcosa non va? – si limitò a chieder candidamente.
Lo sguardo che le ragazza le lanciò di rimando avrebbe potuto parlare a suo nome per le prossime tre vite, lasciando spazio sufficiente persino per potervi annoverare una possibile quarta. L’archeologa chiuse con un movimento serafico il manuale e ricambiò l’occhiata, arcuando maggiormente il proprio sorriso.
- Secondo te? – sospirò sconsolata.
- Se ti riferisci allo spadaccino direi che è ancora presto per struggersi. La notte deve ancora passare. –
- Sinceramente non vedo come potrebbe andar peggio di… - le parole della ragazza vennero interrotte dal rumore di ciò che, ad orecchie disattente, sarebbe potuto apparire come un barile scagliato senza troppa cura contro il rivestimento della nave.
Specificare che in realtà si trattasse di un comodino non avrebbe probabilmente potuto cambiare molto, ma per il carpentiere fu comunque una doverosa annotazione da fare.
- Scusa, sorella! Glielo avevo detto io al buzzurro che un sassolino sarebbe stato sufficiente, ma figurarsi se questo da mai retta al super Franky! – la classica posa del cyborg coprì parte di ciò che un tempo, qualche coraggioso, avrebbe osato definire il demone dell’Est Blue.
Adesso probabilmente persino attribuirlo all’Est sarebbe stato un oltraggio. Per le isole di quella parte di mare, ovviamente.
- E muoviti, idiota! Di’ quello che devi dire ed amen! – facendosi forte di tutta la propria forza di volontà, lo spadaccino fece capolino fra le possenti spalle del carpentiere.
- A-affacciati alla finestra, amore mio! – il cyborg mormorò qualcosa perplesso, non abituato a simili approcci. Nami si prese semplicemente la faccia fra le mani.
Dall’allaccio Nord del porto, invece, una decina di oblò si spalancarono astiosi, dando spazio a marinai che volendo usare un linguaggio politicamente corretto, in molti avrebbero definito “diversamente belli”. Molto diversamente.
Lo spadaccino si portò una mano dietro la nuca e facendosi piccolo piccolo, si limitò ad indicare la navigatrice.
- Io parlavo di quell’amore mio. Tornatevene a letto voi! – una serie di imprecazioni considerate ai limiti del legale in circa la metà dei paesi della Grand Line fu tutto ciò che quelle nuche, scomparendo rapide come erano emerse, riuscirono a lasciarsi alle spalle.
Solo il prestante Alfonso parve essere in grado di ritirarsi in silenzio, richiamato da una voce che non in pochi avrebbero attribuito non erroneamente all’anziana vedova Paolini. Fedele cliente tanto nel lavoro quanto nella vita privata.
- Prendi quel comodino ed ingoiatelo, idiota! E Franky, tu, non posso credere che gli stia persino dando manforte! Ma vi siete bevuti il cervello tutti e due?! – la navigatrice non riuscì a gridare nient’altro dall’alto della propria camera.
Ed in verità di quel “tutti e due” era rimasto ben poco.
Il carpentiere aveva infatti saggiamente deciso che sparire in una nube di polvere e sassi gli avrebbe potuto arrecare molti meno danni che continuare a prestarsi, non volontariamente certo, da bersaglio mobile ai lanci della donna. Tiri di rara bravura per altro.
Lo spadaccino invece, cosciente quel tanto in più che fosse sufficiente a fargli sussurrare ogni tanto un “Befanina” o “Streghetta mia” , si limitava a bilanciare il proprio peso quando su una gamba e quando su un'altra.
Variabili stabilite, per altro, dalla direzione verso cui le mani della navigatrice si trovavano a scagliare parte del mobilio della propria stanza.
“Io non mi son bevuto il cervello. Ho semplicemente fatto dono della mia immaginazione alla tua leggiadra persona, o mia divina”
Zoro si portò una mano all’orecchio, infastidito, quando quella voce incominciò a divenire un’instacabile nenia fra i suoi pensieri.
- Ma che diamine… -
“E togli quel mignolo ungulato, imbecille! Qui c’è qualcuno che si sta facendo in quattro per aiutarti!”
- Franky? -
“Per salvarti il culo.”  Dall’altro capo dell’auricolare il cyborg sogghignò un’ultima volta. Fra le sue mani ciò che mai nessuno avrebbe pensato di poter vedere all’in fuori delle camerate dei ragazzi.
E mentre lo spadaccino si limitava ad arcuare un sopracciglio, vagamente perplesso, il “Sanjiko’s world, keep out all the rest” faceva lietamente mostra delle sue prime pagine fra le rudi dita del carpentiere.
Adesso sì che le cose avrebbero finalmente potuto incominciare a girare per il verso giusto…


---
E per chiunque se lo stia chiedendo, Zoro è un menestrello nato

Volendo invece passare ai ringraziamenti:


Per Zorina : Robin non a caso è sparita proprio nel momento di massima espressione della poesia marimesca. Non a caso con il suo bel manualino U____U'
Per quanto riguarda il resto dei poveri pazzi come vedi li ho sviluppati sadicamente con amore qui. Quindi... ù____ù
Ti ringrazio per il commento, caVa. * sventola un paio di mutande pitonate *
Crocco boy : ._____.

Per Seiko : la logica marimesca è ciò che muove gli ingranaggi del mondo. Non la pace, non l'amore, non la fratellanza.
Bensì la certezza che girare con un cappotto a Ferragosto è di moda e KUL è____é9
Il cuoco per ora sta stringendo nuove amicizie con il moccioso di turno. E tornerà. Fidatevi quando vi dico che lo farà ù____ù
Grazie mille per seguirmi Cra, ancora di più per sopportare i miei deliri e soprattutto per una cosa che qui non posso dire che osserva tutto e tutti ù____ù
STRAP ._____.

Per Lusty : demolire i tuoi neuroni è lo scopo della mia esistemza. Esserne sprovvisti è una prerogativa necessaria per noi seguaci del crack ù___ù
Alfonso l'ho fatto tornare solo con te, con la nostra ( o mia ) guest star preferita. So che è un modello di vita e non potevo di certo ignorarlo così è____é9
Lusty-chwan i tuoi commenti sono ogni volta una manna dal cielo. Non so quanto potrò mai ringraziarti. *-*
GrazieH °ç°
Fatto ù___ù
Zoro : Di già? .____.
...
Zoro : N- * BOOOOOOOOOM *
U____U'


Ringrazio inoltre chiunque abbia voluto aggiungere questa storia fra seguiti/preferiti etc.

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Capitolo 6
*** 6. L'amore sboccia nelle tenebre ~ Epilogo ***


× L'amore sboccia nelle tenebre.


Scappava. Scappavano sempre del resto, non era di certo una novità.
Le sue falcate erano ampie, si perdevano nel vuoto della via risuonando possenti. Era vicino oramai, talmente tanto da riuscire persino a scorgere il riflesso del proprio obiettivo stagliarsi sull’acqua.
Trattenne il fiato in un movimento che al suo petto parve costare tutto il respiro tenuto gelosamente in corpo ed accelerò ancora, rincuorato. Forse avrebbe potuto ancora farcela.
Forse i passi del suo inseguitore si sarebbero arrestati ancor prima dei suoi; forse avrebbe semplicemente trovato qualcuno disposto ad aiutarlo.
- Patatooo! Dove scappi?! Guarda che ti vedo! – forse a furia di urlare le corde vocali del dottore si sarebbero semplicemente staccate, impigliandosi nelle zampe e facendolo scivolare.
Il musicista si fermò un attimo, perplesso, e rimase a contemplare mentalmente la propria vena comica.
- Macabramente perfetta! – si compiacque portandosi una mano fra i capelli e dandoli volume. – Come del resto si potrebbe addire unicamente ad un morto! Yohohoho! – concluse infine, dando sfoggio di una delle sue pose migliori. Gesto che, seppur in lontananza, non sfuggì allo sguardo acuto del dottore.
- Broook-samaaa! Il tuo sex appeal mi stordisce! Vieni qui! -
Chiunque in quella notte si fosse ritrovato a passare per le vie del porto, magari sperando in una passeggiata tranquilla, si sarebbe stupito non di poco nello scorgere una renna parlante correre e sbracciarsi al limitare della costa. Tutto questo ovviamente prima che la suddetta, dopo aver osservato un punto indefinito dinanzi a sé, avesse avuto modo di dar fondo ad una delle sue mosse migliori, ingerendo una curiosa pasticca. In quel caso un infarto stroncante sarebbe apparso con certezza la soluzione migliore.
“Dannati teppistelli” avrebbe invece probabilmente commentato piattamente l’anziana vedova Paolini, aggiungendo infine qualcosa di non meglio definito circa il non andare in giro a comprare determinate sostanze. Le produzioni casalinghe del resto, si sa, son sempre le migliori.
- Dottore, non mi sembra il caso di mettere le mani avanti… - si limitò invece a sussurrare lo scheletro quando, atterrato da un Horn Point del compagno di insolita irruenza, si ritrovò intrappolato fra la folta pelliccia del medico e la chiglia di un’imbarcazione.
- Capisco… quindi preferisci i giochini fatti da dietro. Che birbante che sei, Brook-sama! – avesse potuto, il musicista sarebbe scoppiato a piangere. Ma quello non sarebbe di certo stato un comportamento da vero uomo.
E lui era un guerriero, diamine! Aveva vissuto per dieci anni in completa solitudine su di una nave gravida di cadaveri; era stato per ben tre anni senza la sua ombra. Simili battaglie le avrebbe dovute vincere ad occhi chiusi, senza alcun rimorso od escabotage.
- Chopper guarda! Un alieno dietro di te sta per attaccarti! – per l’appunto.
Il medico sorrise, stringendosi ancor più alle spalle dell’afro.
- Birichino, lo so che non c’è niente dietro di noi. Mi conosci, sai che trucchetti simili son del tutto inutili per farci eccitare… - Brook sospirò, sconfortato.
Forse avrebbe semplicemente dovuto accettare il proprio destino. In sin dei conti, sarebbe sempre potuta essere una ricca esperienza da poter raccontare ai propri figli. Perché poi, a quella constatazione, nella sua mente una serie di alci in miniatura scheletrite presero forma fu un pensiero sul quale non volle indagare più di tanto.
- Hai ragione… è solo un chiosco di gelati ambulante… - sussurrò quindi amaramente.
- Dove?! -  fu un attimo, ma la presa del medico parve riuscire ad allentarsi talmente tanto da permettere allo scheletro di trovare una facile via d’uscita. Con un colpo di reni degno del miglior giocatore di rugby si portò fuori, svicolando infine in uno dei tanti oblò spalancati alle sue spalle.
- Lor signori, vi porgo i miei più distinti saluti! – come se niente fosse si limitò a togliersi il cappello ed accennare un inchino quando, dopo esser atterrato in una camera da letto, si scoprì ad interrompere una delle tanti notti di fuoco dei suoi occupanti.
Da sotto le coperte ciò che ad occhio inesperto sarebbe potuto apparire come un tricheco fuori forma estrasse la testa, confuso, per infine sbarrare gli occhi. No, non di nuovo.
- Signora, mi farebbe vedere cortesemente le sue mutandine? – chiese invece ingenuamente l’intruso, scorgendo due prosperose forme al di sotto delle lenzuola.
- AAAAAAAH! La morte pervertita in afro è venuta a prendere la mia anima! E’ la maledizione degli sexyshoppisti!- gridò infine il prestante Alfonso, cercando alle spalle della propria compagna un rifugio sicuro.
Questa, facendo bella mostra un ghigno lieto ed insolitamente languido, passò con lo sguardo sui due uomini, per infine tirarsi su a sedere. Il tutto nuda come sua madre, probabile diretta sorella di Matusalemme, la fece svariati secoli prima.
- Ah, Alfò! Ma che mi ti mbampava nu rampu! Conosci cristiani simili e non me ri presenti? – borbottò alzandosi, non senza risparmiare il gentile commesso di un’occhiata raggelante. Questo sorrise, nell’oramai palese vano tentativo di mettere a tacere l’ira della donna.
- A dui a dui, eh? Megghiu! Così trasiti prima! – rabbia, per altro, oramai completamente scomparsa; soppiantata da ben altro. Un bisogno che quasi come animale la sorprese, facendola sorridere seraficamente.
Fu un attimo, un secondo malcelato dal fragore dei loro denti che battevano all’unisono, eppure per scheletro e ragazzo fu impossibile non scambiarsi un’occhiata di mal celata paura.
- Beh? Vi ‘nmarmorastu? –  Brook in sin dei conti su di una cosa aveva sempre avuto ragione:
quella notte sarebbe stata davvero una singolare esperienza da raccontare alla propria prole. Adesso per altro, per qualche oscuro motivo, improvvisamente tramutatasi in un insieme indefinito di mummie alte non più di un metro e qualche centimetro.
Questo, ovviamente, parlando in chiave eufemistica.


- Houston, abbiamo un problema! -
“Spiacente, signore, ma ha sbagliato numero.” imprecando il cyborg rimise la cornetta del lumacofono nuovamente apposto. Per la quinta volta in una sera in cui troppe volte, troppo a lungo, aveva sperato di poterla alzare e sentire ancora una volta la voce dello spadaccino.
Avevano appena dato il via al loro piano - un sordo inganno tramato fra le pareti sicure del loro rifugio - quando una tazza del wc era piovuta in testa a Zoro, facendo perdere così il contatto fra i due.
Avendo infatti finito la mobilia della camerata, la navigatrice aveva ben pensato che smontare pezzo per pezzo il bagno antistante alla stanza e scagliarlo sul proprio pretendente, sarebbe stato senz’altro un buon modo per esprimere il proprio disappunto. Ed adesso, nascosto dietro una vasca da bagno insolitamente grande, il cyborg non potè fare a meno di interrogarsi su come uscire da quella spinosa situazione.
Tutto questo, ovviamente, prima che l’apparecchio riprendesse a squillare, con nuova forza, facendolo sobbalzare fra la ceramica del sanitario. Inveendo a mezze labbra rispose nuovamente.
“Pronto?!”
- Houston, abbiamo un problema grosso! –
“Senti, fratello. Io non so chi sia questo Houston che così tanto vuoi, ma di una cosa sono certo: il capitano figo è mio e di nessun altro! Intesi?” e con quest’ultimo monito si limitò a riagganciare la cornetta in un impeto furioso. Nell’esatto momento in cui gli occhi dell’insetto si chiusero, nello stato di trance tipico del periodo di riposo, un nuovo trillo li fece riaprire, furiosi. Di certo non meno di quelli, insolitamente iniettati di sangue, del carpentiere che si apprestò a rispondere.
“Per l’ultima volta, disgraziato latente! Qui non c’è nessun…”
- Bastardo! – sobbalzò quando la voce dello spadaccino lo raggiunse in un turpiloquio degno del migliore fra i peggiori scaricatori di porto.
“Zoro?”
- Stronzo! –
“Fratello, ma che…”
- Come diavolo ti può mai saltare in mente di sbattermi in telefono in faccia in un momento simile?! E non una, ma sette volte! – l’ira del verde avrebbe fatto impallidire persino Ener dall’alto della propria potenza. Nonostante l’albino non fosse palesemente un dio e, quindi, neanche un elemento così ostico da smuovere. Ma non credendo in nessuna divinità per lo spadaccino quello fu l’esempio più lampante per dare un briciolo di risalto alla propria furia.
Far impallidire un dio e far impallidire Ener, del resto, nel suo credo avrebbero significato la stessa, identica cosa. Ovvero un’emerita stronzata.
“Ma quando mai hai chiamato te! Qui c’era uno che rompeva le palle con Houston qui e Houston lì! Che poi…” e qui il suo tono si fece più grave, nel vano tentativo di dar maggior profondità alla propria frase. Lo spadaccino trasse un respiro profondo, tentando di calmarsi.
In sin dei conti scegliere un messaggio in codice di un’altra lingua non era mai stata un’idea così brillante. Probabilmente gli avrebbe proposto di cambiare la pass, a giusta ragione. “… che razza di imbecille chiamerebbe il proprio figlio così?! Io penso e piango per quel povero bambino!”
Esattamente.
Zoro si prese la faccia fra le mani mentre la quinta tazza del water lo mancava di pochi centimetri. In un angolo, l’incendio generato dall’unione della varichina ed un disinfettante per ceramiche ardeva ancora, lanciando fiammelle occasionali nella trincea di materassi e coperte che il verde era riuscito a crearsi fra un lancio ed un insulto. Il tutto, per altro, piovuto miracolosamente assieme ad una pioggia di minacce da un oblò di un metro per qualcosa. Ah, la forza dell’amour.
- Franky, dammi una mano ad uscire vivo da qui. – lanciò uno sguardo alla ragazza, ancora brandente una specchiera, e sorrise - …possibilmente con il cuore di quel bocciolo delicato palpitante fra le mie mani. – concluse infine, in un monologo degno della peggior soap opera serale.
Il cyborg scosse la testa in un gesto di disappunto. Avesse impiegato meno tempo ad inseguire quella povera mocciosa e di più a costruirle un regalo decente, qualcosa di Super come i suoi slip ricamati per Rufy, ad esempio, adesso probabilmente lo spadaccino non si sarebbe ritrovato in una situazione simile. Ed invece eccolo lì, a correre come una lepre molo molo nel vano tentativo di evitare il sesto water di quella serata.

Però! Non ricordava di averne messi così tanti.
“Ho la super soluzione al tuo problema, fratello!” facendo scivolare le lenti lungo il naso, il carpentiere fece sfoggio di uno dei suoi ghigni migliori. “Qualcosa che farà sciogliere la tua bambola come neve al sole!”
- Un libro di sonetti? –  tentò il verde.
“No.”
- Una raccolta di poesie? –
“Macchè!”
- Una canzone? –
“Seriamente… conosci qualcuno che ha fatto colpo in un modo così ridicolo?! No, io ho di meglio!” fece una pausa ad effetto ed infine continuò “…nelle mie mani custodisco il diario segreto di Sanji!”
- … -
“Zoro?”
- Te lo sogni che mi presto a simili bassezze! Io non… - l’armadio a sette ante della stanza di Robin gli precipitò di fianco, mancandolo di pochi metri. Il cacciatore levò lo sguardo alla finestra da dove, a fatica, la rossa stava facendo emergere la parete attrezzata dello studio di Chopper. Sei metri per cinque, per la cronaca.
Chinando la testa mestamente l'uomo si limitò a sillabare:
- Prima. Frase. – Franky ridacchiò divertito e dopo aver sfogliato freneticamente le prime pagine di introduzione - ornate curiosamente da disegnini a forma di ricciolo o cravatte di dubbio gusto - parve giungere finalmente ad una frase di rilievo. Si schiarì la voce ed incominciò a suggerire.
“Io non son venuto qui per imbrogliarti…”
- … ma per dirti la verità, Nami. Niente menzogne adesso, niente giri di parole. – i lanci parvero arrestarsi. Con ancora una cassettiera in mano, quella degli slip del carpentiere questa volta, la navigatrice si limitò a sussurrare un  “Ti ascolto” .
Zoro sorrise compiaciuto e continuò il proprio monologo proveniente dalla parte più profonda di sé. O dalle pagine profumate alla camomilla di Sanji, che si preferisca.
“E la verità, piccola mia, è che tu per me sei…”
- …una rana cotta a vapore. Da bagnare successivamente con abbondante vino bianco e…- il fragore del mogano infranto contro la testa dello spadaccino non permise al prestante Alfonso, sfuggito appena pochi istanti prima alla tirannide dell’anziana vedova Paolini, di cogliere l’intera ricetta. Una delle tante appuntate nel diario del biondo, fra le occasionali rime d’amore.
Distinzione a cui per l’appunto, il cyborg, parve non prestar caso fra i tanti cuoricini di cui quell’agenda era contornata.


Diede un ultimo colpo con la punta del martello e poi si allontanò, contemplando soddisfatto il proprio capolavoro da debita distanza. Quindici chili di rivestimento in puro metallo equamente divisi per uno spessore di tre metri, tenuti fermi da punte acuminate ricavate dall’ultima ceretta del cyborg e collegate da una fitta rete di ventiquattro metri di filo spinato.
In altre parole un bunker a prova persino delle più prolungate gare di peti fra capitano e carpentiere.
Il sorriso sulle labbra del cecchino si arcuò maggiormente, fino ad arrivare quasi a sfiorare i lobi di entrambe le orecchie.
- Adesso sì che si ragiona! – si limitò a sillabare in una risata smozzicata ed insolitamente alta.
- Voglio proprio vedere ora come quella versione pervertita di una dea Kalì oserà più attentare alle mie grazie! –
La spiacevole sensazione di un intero squadrone della morte di dita vogliose abbarbicate nella zona del basso ventre lo aveva spinto, quel pomeriggio, a rivedere fermamente le proprie priorità. Non che non si aspettasse una cosa simile da una persona come Nico Robin.
Le volte in cui del resto lui ed il cuoco si fossero ritrovati a scommettere su chi fra un uomo con le palle d’acciaio - nel letterale senso del termine - ed una donna con una presa di ferro potesse averla vinta si sarebbero potute contare fin’oltre il centinaio.
Nei casi più fortuiti erano riusciti perfino a tirar su un congruo giro di scommesse, con la navigatrice a gestire abilmente gli introiti come allibratore.
In fin dei conti più della metà delle riparazioni della Sunny erano state fattibili proprio grazie ai persistenti ed irremovibili metodi di convincimento della giovane archeologa.
Ma con lui le cose sarebbero state diverse, non si sarebbe di certo fatto trovare impreparato.
- Se lo può sognare quella di poter fare altrettanto con il mio Gianleopoldo! – sentenziò quindi sicuro, indirizzando un’eloquente occhiata al di sotto dell’ombellico e ridendo ancora.
Aveva calcolato ogni cosa nei benché minimi dettagli e niente, neanche a Dio piacendo, sarebbe potuto andare storto. Se lo era ripetuto così tante di quelle volte che persino le sue labbra, al momento di riformulare la semplice affermazione, avevano trovato quelle parole tanto monotone quanto monocordi. Ed allora si erano limitate a ripeterle con un motivetto, qualcosa di insolitamente simile alla sigla di un Re dei cecchini o giù di lì.
Lo spettacolo doveva aver riscosso il suo dovuto successo, peraltro.
In nessun altro modo, altrimenti, Usopp si sarebbe potuto spiegare il perché di tutti quelli ortaggi, andati a male per lo più, di cui i vicini di imbarcazione gli avevano voluto fare omaggio. Un’anziana vecchietta, probabilmente sua fan accanita sin da Enies, gli aveva inoltre gridato “E chi mi ti pigghiava ‘nu corpu, strunz!” perifrasi che, senza alcuna ombra di dubbio, nel dialetto del luogo doveva avere a che fare con qualche elogio.
Il cecchino gonfiò il petto, tronfio e sicuro, ed alzando un pugno vittorioso al cielo si esibì in una delle sue pose plastiche migliori. Tutto questo ovviamente prima che un cocomero lo centrasse in pieno, con un lancio di rara abilità, stendendolo in un unico colpo.
- Riapri ‘dda fugna e te curco ieu, strunz! – ribadì sicura l’anziana vedova Paolini.
- Grazie, signora! Ma davvero non merito tanto! – si limitò a rispondere invece con altrettanta baldanza il ragazzo, certo della propria padronanza della lingua.
- ‘Boi ballare ‘nu tango? Ma sparate! –
- Voi mi lusingate, davvero! –
- Sai pi’ d’aundi to poi fa ‘nchianà u velo, bestia? – ed il cecchino avrebbe prontamente risposto, senza alcuna ombra di dubbio, un luogo non meglio precisato nella Grand Line, se solo lo scatto della serratura non lo avesse interrotto.
Alzò gli occhi al cielo. Guardò la porta che si apriva silenziosamente. La parete sbagliata rivestita con maniacale cura. Poi l’oblò, troppo piccolo per scappare. Infine nuovamente la porta.
Fu il delirio. Un brivido freddo pervase la schiena del ragazzo, scese fino allo stomaco, colpì le gambe che incominciarono a tremare vistosamente sbilanciando il cecchino e mandandolo a sbattere contro la protezione acuminata del legno, e solo a quel punto, boccheggiante ed ancora a terra, riuscì ad alzare nuovamente lo sguardo.
La maniglia della camera scattò rumorosamente.
- Nasone-san, sto entrando. -
Usopp pronunciò parole non ripetibili in un pubblico fandom.
La porta si spalancò con uno schiocco secco. E per un istante fu l’ombra di un assassino quella che il cecchino giurò di intravedere nel buio pesto del corridoio della nave. Con sega, maschera e tutto il resto.
Sospirò, rassicurato. Era salvo.
Questione di pochi istanti, il tempo che una mano fiorisse elegantemente dal legno curato del pavimento e si insinuasse ancora una volta nell’interno coscia. E sbiancò improvvisamente.
La giovane archeologa lanciò uno sguardo piatto allo sturacondotto, azionato di fresco e con le sei lame intente a vorticare nell’aria, alternando rotazioni orarie ed antiorarie. Spostò l’attenzione sul ragazzo, infine nuovamente sui rasoi.
- Ora, stando alle istruzioni, questo massaggio dovrebbe procurarti un lievissimo piacere. -
Il peso del macchinario sbilanciò un braccio che cadde in avanti e con un tonfo sonoro segò di netto i piedi del letto di Sanji.
Usopp deglutì in silenzio. L’archeologa sorrise seraficamente.
- Cosa ne dici? Incominciamo, Usopp-kun? –



Epilogo.


Si accese una sigaretta.
Per un’ultima volta si concesse di dare l’ennesima sbirciata fra le dita, tenute immobili davanti all’accendino per proteggere la fiamma. Poi alzò gli occhi al cielo, sbuffando una nuvoletta di fumo.
- Dannati idioti. -
Di tutte le situazioni che in minor modo gli sarebbero potute andare a genio quella, si ritrovò costretto ad ammettere, era senz’altro la più fastidiosa.
Un solo giorno. Era mancato un solo, dannato giorno e quegli idioti erano stati in grado di far quasi affondare l’intera nave, con annessi e connessi ancora a bordo. Buoni a nulla.
Per lo meno, constatò vistosamente più sollevato, Nami stava ancora bene. Anche se il motivo per cui avesse deciso di dormire sul posto di vedetta, nonostante la nave fosse praticamente coperta da entrambi i lati, gli fosse ancora sconosciuto.
Si strinse nelle spalle e con un movimento pigro del polso fece sprofondare una mano nella busta di carta ancora stretta fra le braccia. Estrasse una pera matura, di un rosa quasi elettrico ed un aroma amarostico.
La soppesò accuratamente con lo sguardo, infine le diede un morso deciso.
Un sapore corposo, di quelli che permangono ostinatamente in bocca anche dopo aver mandato giù più e più bocconi. Un buon sapore, ammise quasi inconsciamente.
Lampone forse.
Ne prese avidamente un altro boccone ricominciando a camminare in silenzio lungo il ponte della nave, facendosi strada fra i detriti di quelli che avrebbe giurato esser gli ultimi rimasugli di una rissa in piena regola. E fu solo nel momento in cui, giunto davanti alla porta della cambusa, e pestato quell’emerito imbecille, che si concesse di fermarsi.
Rimase per alcuni istanti con il piede immobile a mezz’aria, indeciso se staccargli la testa di netto oppure premurarsi di svegliarlo, chiedendo - oltremodo inutili - spiegazioni per quanto accaduto.
- Oi! Che hai da fissare tanto, idiota? -
Alla fine furono i sensi sopiti del cacciatore ad avere la meglio sui suoi buoni propositi.
Lo spadaccino alzò appena il capo, scuotendo poco nobilmente le tempie nel tentativo di metter a tacere quell’insensato cerchio alla testa, poi rivolse l’attenzione al compagno.
- Allora? – chiese nuovamente.
Sanji sorrise.

- Te l’ho mai detto che hai davvero due occhi magnifici, Marimo-chwan ~ ? -




Dal promontorio posizionato sul versante opposto dell’arcipelago, nel cuore della città di Ihy, il bambino sorrise.
- Te lo avevo detto io, Sanji. – si limitò a dire addentando voracemente un frutto, sbocciato pochi istanti prima ai suoi piedi in un tripudio di foglie e rami – L’amore non fa davvero alcuna distinzione. -

{ Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono. }



FINE?


---
D
io, tre mesi .-.
Non merito davvero alcuna scusante.
È un ritardo assurdo perfino per una come me, lo ben so. Ma questo capitolo, credetemi, è stato realmente un parto. Esser giunta a conclusione mi sembra quasi un sogno.
Perché questa era una storia che DOVEVO finire. A breve dovrei mettere in cantiere qui sul fandom un’altra ZoSan e non potevo assolutamente permettermi di lasciare – l’ennesima, trama incompleta.

Spero soltanto che possa esser di vostro gradimento.

Ringrazio davvero davvero di cuore chiunque fin’ora abbia commentato, aggiunto questa storia fra seguiti, preferiti etc.

ARIGATUO’.

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