The Bleeding Saga - 3 - Wild Lilies

di Rin Hisegawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. chapter one; ***
Capitolo 2: *** II. chapter two. ***
Capitolo 3: *** III. chapter three; ***
Capitolo 4: *** IV. chapter four; ***
Capitolo 5: *** V. chapter five; ***
Capitolo 6: *** VI. chapter six; ***
Capitolo 7: *** VII. chapter seven; ***
Capitolo 8: *** IIX. chapter eight; ***
Capitolo 9: *** IX. chapter nine; ***
Capitolo 10: *** X. chapter ten; ***
Capitolo 11: *** XI. chapter eleven; ***
Capitolo 12: *** XII. chapter twelve; ***
Capitolo 13: *** XIII. chapter thirteen; ***
Capitolo 14: *** XIV. chapter fourteen; ***
Capitolo 15: *** XV. chapter fifteen. ***
Capitolo 16: *** XVI. chapter sixteen; ***



Capitolo 1
*** I. chapter one; ***


Ciao! :D Se stai leggendo qui significa che sei anche tu un fan di Mayuri, oppure che questa storia ti sembrava interessante e hai pensato che valesse la pena di darci un'occhiata. Sono contenta in entrambi i casi, e spero che continuerai con la lettura anche dopo questa squallida introduzione. :3 Ma veniamo a noi.
Per prima cosa, il titolo (( Wild Lilies )) mi è venuto in mente circa dieci minuti fa e l'ho adottato come nome ufficiale nella convinzione che tanto non mi sarebbe venuto in mente nulla di migliore (( sono una frana coi titoli )). Deriva dal fatto che Mayuri non è un nome giapponese, ed il significato più prossimo (( se scritto coi kanji appropriati )) viene da "yuri", che significa giglio. "Wild" ci stava semplicemente bene. Comunque.
Quella che sto per raccontare è la mia versione di come Mayuri è arrivato nel Rukongai, si è iscritto all'Accademia per Shinigami ed infine è stato incarcerato nel Maggot's Nest. Non molto di quanto narrato in questa storia deriva quindi da fonti attendibili. Inoltre, leggendo Bleach 36 mi sono resa conto che il primo esperimento visibile che Kurotsuchi ha effettuato su se stesso era la sostituzione delle proprie orecchie con due strutture metalliche: ho pensato di spiegare anche questo, con una soluzione un po' azzardata. Ai posteri l'ardua sentenza, che gradirei ricevere (( nel bene e nel male )) sotto forma di commenti. In altre parole, recensite! :P


Suo padre non gli aveva mai raccontato del giorno in cui era venuto al mondo. Degli anni trascorsi nella Soul Society, cercando di farsi notare il meno possibile, aveva pochi ricordi gradevoli o che considerasse degni di nota. Gli sarebbe piaciuto sapere qualcosa riguardo alla propria nascita, il miracolo urlante della vita che si genera autonomamente, senza la necessità di una formula matematica o una spiegazione logica. Senza un ordine apparente, né una comprensibile ragione.
Perché era giunto laggiù, in quel luogo che gli altri spiriti chiamavano Rukongai? Se lo era chiesto molte volte, da quando era poco più che un bambino, ma non aveva mai trovato una risposta che lo soddisfacesse. Alla fine aveva smesso di pensarci, com'è giusto che sia, convinto che la speculazione vana ed infruttuosa è per le menti deboli, non per gli scienziati. Aveva smesso di pensare anche a suo padre: quel vecchio, piccolo uomo che faceva finta di prendersi cura di lui.
Kurotsuchi Mayuri sedeva in silenzio, il mento fra le mani, osservando con espressione assente la superficie appena increspata del lago. Non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo, e la consapevolezza di ciò era sufficiente a tracciare un leggero sorriso di scherno sulle sue labbra pallide e sottili. Aveva dodici anni, grandi occhi color ambra ed un'indole asociale per natura. Non era bello nel senso convenzionale del termine, ma i suoi lineamenti affilati, il fisico magro, lo sguardo penetrante gli conferivano un fascino strano che lo rendeva quantomeno interessante agli occhi delle altre persone. Non che gli importasse, in realtà: in ogni caso, non appena lo sentivano parlare i più tendevano a tenersi a debita distanza da lui.
Il "piccolo scienziato pazzo", come tutti ormai lo chiamavano, aveva smesso da tempo di suscitare compassione nelle vecchiette del suo quartiere. Un ragazzino privo di madre, trovato ancora in fasce da un semplice pescatore e per di più quasi completamente sordo; inizialmente, tutti avevano pensato di dover dare una mano a lui e all'uomo che aveva accettato di prendersene cura; ma il carattere riservato del padre e l'indole solitaria del figlio avevano fatto sì che ben presto ogni tentativo di approccio venisse accantonato.
Durante i lunghi pomeriggi trascorsi da solo in giro per i campi, il giovane Mayuri era stato visto inseguire e catturare animali per poi sezionarli; i suoi occhi s'illuminavano alla vista del sangue, e trascorreva ore ed ore a disegnare con sconcertante precisione tavole di anatomia che non poteva aver visto sui libri. Parlava poco e decisamente male, perché non si era mai esercitato granché: la sordità - che apparentemente lo accompagnava dalla nascita - gli impediva di riprodurre correttamente i suoni, e nè lui nè il suo genitore avevano mai fatto nulla per ovviare a questa difficoltà. In ogni caso, non sembrava che Mayuri fosse desideroso di ascoltare quello che gli altri avevano da dire.
Con un movimento svogliato del polso, il ragazzo scagliò un ciottolo piatto attraverso l'aria frizzante di Settembre, dritto nelle profondità del laghetto che aveva di fronte. Il sasso rimbalzò un paio di volte sulla superficie, come in cerca di un appiglio che gli impedisse di finire dimenticato negli abissi più profondi della terra, ma alla fine parve arrendersi e sprofondare nell'acqua fresca e silenziosa.
"E' inutile che ti ostini a lottare contro le leggi della fisica, la scienza sarà sempre più forte di te," sogghignò il ragazzo osservando la superficie del lago tornare lentamente immobile. Il suo cuore esultava di fronte al miracolo della logica naturale, ma dalle labbra non uscì alcun suono. La consapevolezza che ci fosse qualcosa di preordinato nel mondo, qualcosa di spiegabile che è possibile apprendere e padroneggiare, lo faceva sentire bene. Sapere che, se avesse studiato ed osservato, avrebbe potuto capire e dare un nome e una legge a tutte le cose... era tutto ciò di cui aveva bisogno, tutto quello che desiderava.
Un giorno sarebbe andato via da quel luogo sempre uguale, dove anche i fenomeni naturali non avevano modo di mostrarsi in tutta la loro potenza. Un giorno avrebbe visto le vere tempeste, e la superficie del sole, ed i mostri marini dimenticati nelle profondità dell'oceano. Avrebbe imparato a curare ed uccidere, a generare la vita da un brandello di carne e una goccia di sangue; avrebbe toccato con mano l'energia che muove tutte le cose, e l'avrebbe plasmata a suo piacimento come fosse una mollica di pane.
Un giorno avrebbe fatto tutto questo, e forse anche di più. Per adesso, doveva limitarsi ad aspettare.
Con un sospiro ed una rapida occhiata al paesaggio circostante, Mayuri si alzò in piedi agilmente e si voltò in direzione del villaggio. Le case erano piccole e lontane nel tramonto tinto di arancio, e solo qualche sbuffo di fumo dai comignoli arrampicati sui tetti rivelava la presenza di qualcuno ad abitarle.
Il ragazzo si mosse rapido attraverso l'erba spazzata dal vento, gli steli ancora secchi dopo la calura estiva che gli solleticavano sgradevolmente le caviglie mentre camminava. Ad ogni passo, i capelli azzurro chiaro gli scivolavano negli occhi ostruendogli la visuale: era il momento di tagliarli, di nuovo. Odiava quel genere di seccature.
Scivolò, perfettamente silenzioso, lungo i viottoli che profumavano di legna e di calore. Al di là delle finestre chiuse, la vita scorreva chiassosa in un modo che il ragazzo non avrebbe mai saputo apprezzare: il naturale istinto umano che porta all'aggregazione in nuclei familiari, la tendenza all'affetto, a crescere figli anche quando di figli non se ne possono avere, a chiamare "madre" e "padre" persone che non ci hanno messo al mondo, pur di avere qualcuno su cui riversare il proprio bisogno d'affetto. Tutto quel miracolo avveniva lì, nel Rukongai, sotto i suoi occhi; e Mayuri camminava senza far rumore, un fantasma muto che si aggirava guardingo nella crescente oscurità.

- Sei stato di nuovo al lago, vero? - lo apostrofò Heisuke non appena ebbe aperto la porta di casa. Con una mano lo costrinse ad alzare la testa e guardarlo, di modo che potesse leggere sulle sue labbra le parole, e nei suoi occhi la collera che esse contenevano.
Mayuri annuì senza distogliere lo sguardo, inespressivo, quasi impudente nel suo disinteresse totale. Il padre adottivo scosse la testa, sospirando, in cerca della calma che gli sarebbe servita per affrontare quella discussione. Infondo si trattava solo di un ragazzino, un adolescente emarginato la cui vita era resa ancor più difficile da quello scherzo malvagio che la natura aveva deciso di infliggergli senza una ragione.
- Non ti ho chiesto di non andarci perché sono cattivo, Mayuri. - gli spiegò pazientemente per la centesima volta, chinandosi in modo che il giovane non dovesse alzare lo sguardo per leggergli le labbra. - Ti ho chiesto di non farlo perché è pericoloso. Il lago è profondo, e le correnti formano mulinelli che ti trascinerebbero sott'acqua senza lasciarti un secondo di tempo per chiamare aiuto. Lo capisci questo?
Il ragazzo annuì di nuovo, ancora senza mostrare la minima emozione. Glie ne sarebbe importato, a Heisuke, se fosse morto? Ne dubitava. E in ogni caso, lui non era così stupido da distrarsi abbastanza a lungo da poter cadere nel lago.
- Bene... Bene. - confuso e sconfitto, Heisuke si alzò di nuovo in piedi e si avviò a larghe falcate verso il fuoco, su cui bolliva un pentolone. Rimase immobile per qualche istante a rimestare nella zuppa, canticchiando distrattamente una canzone; Mayuri ne approfittò per sgattaiolare nella stanza accanto, senza far rumore.
Non capiva l'eccessiva apprensione del genitore adottivo: che senso aveva preoccuparsi per un ragazzino raccolto un giorno in mezzo alla strada? Il Rukongai è solo il luogo dove le anime attendono, attendono all'infinito qualcosa. E allora perché sforzarsi di rendere migliore quell'attesa? Perché cercare altre persone, di cui siamo destinati a perdere ogni ricordo? Innervosito dagli ammonimenti di Heisuke il ragazzo si gettò sul materasso sformato che era il suo letto, e chiuse gli occhi. Soltanto l'apprendimento era giustificato: limitarsi ad essere una stupida rana, felice nel proprio pozzo con altri milioni di rane, non gli bastava. Non si sarebbe accontentato di una gioia posticcia guadagnata in un mondo di falsi sentimenti: soltanto la scienza era la soluzione.
Quella scienza che, ne era certo, con pazienza e tenacia prima o poi sarebbe riuscito a padroneggiare.

1. Sordo. Okay, lo so che è un'idea decisamente azzardata, ma mi piaceva. Spiegherebbe anche perché Kurotsuchi ha un carattere così riservato e scostante, dopo aver trascorso tutta l'infanzia come un emarginato... Ma vi prometto che riuscirò ad uscire al più presto dal pantano in cui mi sono invischiata con questa bella idea. :3
2. Mayuri ed Heisuke: il primo è convinto che sia impossibile affezionarsi a qualcuno che si trova un giorno per la strada, il secondo si mostra decisamente preoccupato per lui. In realtà, il padre adottivo sembra davvero volergli bene... Sarà tutta una finzione, oppure sarà Kurotsuchi ad essere troppo cinico? Credo che la risposta, se ancora non vi è chiara, diventerà abbastanza evidente nei prossimi capitoli... ;3
3. Giuro che non ho intenzione di andare OOC. La cosa che odio più al mondo (( dopo i pairing assurdi ed il gender swap )) sono gli OOC. Quindi se svirgolo troppo avvertitemi, per favore! D: Conto su di voi! >,>!

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Capitolo 2
*** II. chapter two. ***


Intanto grazie mille a tutti per le recensioni, mi hanno fatto molto felice. E grazie anche a chi ha aggiunto la storia fra i preferiti ma non ha recensito. ;3 Vi prego di continuare a farmi sapere che cosa ne pensate, accetto anche critiche e consigli! Anzi, visto che la storia la invento passo passo mentre la scrivo, se c'è qualcosa di particolare che vi piacerebbe accadesse (( puchè plausibile )) chiedete pure... perché no? :P Grazie ancora per il supporto! <3

Il rosso del sangue sull'erba; l'odore del sangue nell'aria.
L'animale si dibatte impotente, ma non emette alcun suono.
Il calore del sangue sulle mani. Poi, il nulla.


Mayuri se ne stava seduto su un sasso piatto, nel boschetto che costeggiava il retro della casa di suo padre. Tra le dita, il liquido rosso e vischioso scivolava lungo la lama del coltello arrugginito che aveva rubato dalla cucina. Doveva eliminare le prove prima che Heisuke facesse ritorno: non avrebbe capito. Nessuno all'infuori di lui, in effetti, ne era capace, di comprendere il misterioso meccanismo che rende vivo uno scheletro fragile, coperto di debole carne, e nervi, e sangue, e solo la pelliccia a proteggerlo dal freddo. Una macchina perfetta, che tuttavia da sola non bastava per funzionare; e la scintilla che le conferiva il moto, la forza segreta che l'animava, si trovava in un qualche mondo distante - ormai Mayuri ne era praticamente certo - oppure, se era in questo mondo, non era possibile vederla ad occhio nudo.
Per questo motivo aveva squartato il coniglio: cercava di scorgere la sua anima, voleva toccare con mano il meccanismo che gli aveva dato vita. Eppure, a quanto sembrava, non ne era stato capace. All'uomo è dato il potere di imparare a distruggere e generare, ma i misteri che queste facoltà racchiudono non gli debbono essere spiegati. Puoi mettere al mondo dei figli, puoi uccidere i tuoi nemici; ma non sarai mai in grado di cogliere, o almeno percepire, il lento flusso della vita che va e che viene.
Asciugando il coltello sull'erba, Mayuri raccolse la carcassa del coniglio e si avviò all'interno del bosco, per nasconderla come si deve. Non c'era sadismo nelle sue azioni, non provava piacere per ciò che aveva fatto. Era puro, semplice studio scientifico. Il sadico prova sentimenti: lui si sentiva soltanto vuoto. Aveva fallito di nuovo, con gli strumenti che possedeva non poteva certo pretendere di imparare qualcosa. Limitarsi a smembrare animali, nel bosco, e disegnarne l'anatomia, non era neppure classificabile come "impegno scientifico". Se avesse avuto a disposizione un cadavere umano, un bisturi, un laboratorio... Non riusciva neppure a pensare a ciò che avrebbe potuto fare, se avesse messo le mani su un vero laboratorio. Quello, era l'unico pensiero che riusciva a farlo sentire almeno un po' esaltato.
Abbandonò il corpo esangue e ancora caldo tra le radici di un pino, e si diresse verso il lago per lavare il coltello che aveva utilizzato. Pensò al sangue nell'erba, dietro casa, e si domandò se avrebbe fatto in tempo ad eliminarlo del tutto. No, non ci sarebbe riuscito... era stato uno sciocco, a lavorare così vicino al villaggio. Gli altri erano ciechi alle meraviglie della natura, non si facevano domande, davano tutto per scontato. Lo chiamavano "pazzo" perché era curioso, e "mostro" perché cercava di capire.
Lui era sordo in un mondo che urlava; tutti gli altri, erano semplicemente ciechi.
Camminando lentamente verso casa, Mayuri non si sforzò nemmeno di darsi un contegno: le spalle curve, il coltello in mano, l'acqua che gocciolava dalle punte delle sue dita tinta di un rosa innaturale... il rosa del sangue diluito. Pensava, e la sua mente era distante anni luce da quel luogo, distante dalle sciocchezze terrene. Non vedeva l'espressione disgustata e spaventata delle persone che gli passavano accanto, ed ovviamente non poteva sentire i commenti che facevano. Tutto era perfetto, silenzioso, una bolla di vetro. Un acquario buio e tetro in cui quei pesci umanoidi si dibattevano inorriditi da lui, e le alghe avevano grandi tronchi resinosi che si stagliavano verso il cielo.
Poi, d'improvviso, una luce, una soluzione: poteva imparare qualcosa, anche in quel piccolo mondo. Possedeva le proprie mani, ed un cervello fuori dall'ordinario; non aveva gli strumenti che avrebbe voluto, ma c'erano pur sempre i coltelli della cucina, il filo e l'ago d'osso che usavano le donne per cucire, gli attrezzi che suo padre usava per rammendare le reti da pesca; non era molto, e l'aspetto igienico lasciava alquanto a desiderare, ma era pur sempre meglio di niente per cominciare. Era il momento di abbandonare la pura ed infruttuosa teoria.

Nei giorni che seguirono, Mayuri si impegnò alacremente nel tentativo di procurarsi gli strumenti di cui aveva bisogno per creare il suo piccolo laboratorio personale. Non aveva grandi progetti in mente, si sarebbe accontentato di sperimentare su quello che trovava: gatti, conigli, uccelli, piccoli roditori; per questo scopo, anche una lama sterilizzata sarebbe stata più che sufficiente. In ogni caso, aveva tutto ciò che gli serviva.
Un pomeriggio nascosto tra i cartoni accatastati dietro alla stanza dove le donne cucivano gli permise di apprendere la tecnica che portava alla creazione dei piccoli aghi d'osso: con un coltello si faceva la punta e poi, con un punteruolo, si praticava un foro nell'estremità più larga. Nel foro si faceva passare il filo, che poteva essere cotone lavorato oppure tendini di animali. Mayuri scelse la seconda opzione: dava più possibilità che il materiale venisse riassorbito dalla pelle, una volta che la ferita si fosse sanata.
Per quanto riguardava i coltelli e il resto del materiale che gli sarebbe servito, era tutto un altro paio di maniche: dopo lunghi appostamenti ed attente osservazioni, il ragazzo giunse alla conclusione che l'unico sistema per procurarsi tutta quella roba sarebbe stato portarla via, a poco a poco, cercando di non dare nell'occhio. In questo Mayuri era bravissimo: silenzioso per natura, abituato a farsi notare il meno possibile, sapeva che il segreto per non essere visto era quello di apparire spontaneo. Nel giro di una settimana, possedeva già - oltre al vecchio coltello, che però era inutilizzabile perché arrugginito - un rasoio dalla lama ricurva e affilata ed una piccola bottiglia contenente dell'etere, che suo padre teneva in casa non si sa per quale motivo e della cui esistenza tutti si erano totalmente dimenticati.
Fu così che Kurotsuchi Mayuri iniziò la sua carriera di scienziato: nascosto nel boschetto dietro casa, con un pentolone d'acqua a scaldare su un fuoco improvvisato per sterilizzare i rozzi strumenti che possedeva, l'abilità delle proprie mani e l'esperienza data dalla sola osservazione dei fenomeni. Inizialmente, la maggior parte delle sue cavie moriva a causa della sua inesperienza o di una qualche complicazione; ma alcune rimanevano in vita, e presto il sottobosco iniziò a popolarsi di strane creature col corpo da gatto e la coda di volpe, topi con le ali dei passerotti, conigli senza orecchie ma dotati di sei zampe ed ogni altra assurda chimera che il ragazzo riusciva ad immaginare.
Ogni successo era una segreta vittoria, ed ogni sconfitta un dolore immenso. Quando una cavia non riusciva a superare l'operazione Mayuri sedeva con la testa fra le mani, la mente vuota, un nodo alla gola. Non pensava neppure alla morte in sè, quella sciocchezza non lo sfiorava: era parte del naturale corso delle cose, era solo un'altra legge di quel mondo. A farlo infuriare era piuttosto la consapevolezza di aver fallito: era la morte delle proprie speranze, a rattristarlo più di ogni altra, il sentirsi uno stupido e un debole essere umano di fronte al meccanismo perfettamente bilanciato che muoveva il mondo.
Poteva stare per giornate intere nel bosco a lavorare, ricordandosi a stento di tornare a casa la sera; e anche allora sembrava assente, non solo silenzioso ma anche distante, con lo sguardo perso nel vuoto. Heisuke lo osservava apprensivo, mentre Mayuri dimagriva di giorno in giorno a causa dei pasti saltati per rimanere nel suo "laboratorio", e due pesanti aloni neri si formavano sotto ai suoi occhi in seguito alle notti insonni trascorse a rimuginare.
La sua unica passione, la sua fissazione quasi morbosa per la scoperta lo stava portando via; ed era così che avrebbe vissuto negli anni a venire: un'anima costantemente perduta sul confine tra la realtà e la speculazione, sempre impegnata in problemi più importanti di qualsiasi essere - umano e non - che si trovasse sul suo cammino. Una creatura spregiudicata, disposta a qualsiasi cosa pur di ottenere il proprio scopo, ma mossa dalla curiosità anziché dalla cattiveria che spinge i malvagi. Un corpo che è solo uno strumento, che deve solo funzionare a dovere, e non ha altro scopo se non quello di sopravvivere e permettere alla mente di realizzare i grandi progetti che la animano.
Questo era Mayuri a dodici anni, il ragazzino chino sui propri studi con lo sguardo sempre perso in qualcosa di invisibile al resto del mondo; questo sarebbe stato per sempre, l'uomo guidato dalla logica e privo di qualsiasi scrupolo. E mentre le stagioni si susseguivano nel Rukongai, portando con sè il cambiamento per quanti lo popolavano, lui se ne stava nel suo piccolo mondo in continua mutazione, circondato dalle chimere che aveva creato.
Non c'era spazio per nient'altro, nella sua realtà silenziosa in equilibrio perfetto... Fino al giorno in cui, inaspettatamente, il resto del mondo prese a girare.

1. Capitolo difficile. .__." Ho cercato di dare alla prima parte l'impressione di un'esperienza onirica, perché secondo me è questo l'effetto che deve dare la sordità. Non che io l'abbia mai provata, in effetti; al massimo l'effetto post-amplificatori che ti lascia con le sensazioni dei suoni un po' attutite. Eventualmente, mi scuso per l'esagerazione. Tutto, in Mayuri, si basa su sentimenti e situazioni che non ho mai provato in prima persona.
2. L'ago d'osso, i fili fatti coi tendini e tutta la strumentazione li ho inventati sul momento "a rigor di logica". Mi pareva di aver letto cose del genere da piccola, ma a quanto pare devo averci azzeccato, almeno per ago e filo, perché wiki mi dà ragione (( grazie wiki! °ω° )). Se ho svirgolato da altre parti chiedo scusa, non sono una tuttologa (( anzi, so pochissimo )) e spesso vendo un sacco di fumo... ¬,¬"
3. Spero di riuscire a scrivere presto il terzo capitolo! Ora come ora sono sotto esami, quindi non lo so. Abbiate fiducia in me, comunque, cercherò di pubblicare al più presto! :P
4. Per chi se lo era chiesto (( Eden, ad esempio :3 )) mayuri da piccolo era più o meno così: CLICK!. Scusate se il disegno fa un po' ca...e, ho fatto il possibile... spero che renda almeno l'idea. Era un bambino qualunque, solo un po' più serio e silenzioso. :D
5. Per rispondere a Yoko_kun, che in effetti ha ragione, aggiungo che il padre di Mayuri non pensa nulla del fatto che lui sparisce tutto il giorno per due motivi: il primo è che Mayu stava in giro da solo in ogni caso, perché non ama la compagnia delle persone e quindi si tiene il più possibile alla larga da loro; la seconda è che Heisuke lavora molto, quindi non è quasi mai a casa. Il fatto che Mayuri non contribuisca minimamente all'economia familiare un po' mi preoccupa in effetti, ma avendo solo 12 anni ci può stare. Più avanti gli verrà assegnato un lavoro, ma nel prossimo capitolo ne saprete di più!
:D

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Capitolo 3
*** III. chapter three; ***


Ancora mille grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato, oppure letto soltanto! A Yoko_kun, che mi aveva chiesto cosa ne pensa Heisuke delle lunghe assenze di Mayuri, ho risposto con un'aggiunta in coda allo scorso capitolo. Il succo della questione, comunque, è che suo padre sta via a lungo per lavoro e quindi non ne sa assolutamente nulla! In questo capitolo invece vediamo lo stesso Mayuri alle prese con la professione del genitore! Ma non vi dico altro, sennò vi rovino la sorpresa; se siete curiosi di sapere che cosa succede, non vi resta che leggervi quanto segue! :D

"Don't be surprised when a crack in the ice
appears under your feet.
You slip out of your depth and out of your mind
with your fear flowing out behind you
as you claw the thin ice."


[Pink Floyd, "The Thin Ice"]

Mayuri se ne stava seduto in riva al lago, il viso rivolto all'immensa distesa d'acqua di fronte a lui. Il vento pungente preannunciava l'arrivo dell'inverno, trascinando giù dagli alberi foglie multicolore che si libravano nell'aria per qualche istante prima di planare, leggere e noncuranti, sul suolo nero punteggiato d'erba incolta. Tutto era avvolto nella calma surreale delle sere d'inizio inverno, quando la pallida nebbia che preannuncia giornate di gelo si solleva dalle pendici dei monti cingendo la valle nel suo cupo abbraccio grigio fumo.
Il ragazzo guardava verso il lago, e sul volto magro segnato dalle lunghe notti insonni si riflettevano i cupi pensieri che attraversavano la sua mente in continua rivoluzione. Erano trascorsi quattro anni dalla sera in cui il bambino si era soffermato ad osservare quello stesso paesaggio, sogghignando al pensiero di aver disobbedito all'uomo che lo aveva cresciuto. Quattro anni di esperimenti, tentativi, scoperte e fallimenti; quattro anni di silenzi ancora più profondi, sguardi sfuggenti e sincera frustrazione per ogni ora che andava sottratta allo studio a favore delle nuove mansioni che gli erano state affidate.
Quando Mayuri aveva compiuto quattordici anni, Heisuke lo aveva portato con sé sulla piccola barca dai lunghi remi, verso l'orizzonte blu scuro che segna il limite fra il mare ed il cielo. Gli aveva insegnato a pescare, a rammendare le reti, a governare il guscio di noce che orgogliosamente aveva battezzato "Stella della Sera". Non potendogli fornire nessun'altra nozione di vita, suo padre gli aveva donato però tutte le conoscenze necessarie a proseguire il lavoro che lui stesso svolgeva; e il ragazzo si impegnava con dedizione, incapace di non dare tutto se stesso in qualsiasi attività gli fosse affidata. Tuttavia detestava l'oceano, e le reti che s'impigliavano nel fondale. Odiava la Stella della Sera, con le sue falle ed i licheni attaccati alla chiglia come naufraghi trascinati dalle correnti.
Disprezzava il sole cocente, che gli scottava la pelle diafana chiazzandola di rosso; la salsedine che bruciava negli occhi, ed i gabbiani che volteggiavano nel cielo perfettamente azzurro come piccoli avvoltoi bianco latte in attesa del loro tributo di sangue e sudore. Tutto questo era il mondo, al di fuori del suo "laboratorio" in mezzo alla foresta; e Mayuri si sentiva vulnerabile e solo, di fronte alla distesa senza fine del mare.
Ogni passo che lo allontanava dai propri studi non faceva che innervosirlo e renderlo più cupo; trascorreva tutte le notti al lavoro mentre suo padre, troppo stanco per rendersene conto, dormiva ignaro nella piccola casa al limitare degli alberi. La vita trascorreva immutabile nella tiepida luce del sole: ma al calare del buio, quando il silenzio che faceva parte del suo essere si estendeva fino a raggiungere ogni angolo del villaggio addormentato, era allora che il ragazzo si sentiva finalmente vivo.
Adesso aveva sedici anni, e le sue conoscenze di anatomia e di chimica applicata erano molto superiori a quelle di qualsiasi coetaneo. Non si interessava davvero a nulla che non fossero i suoi studi, benché eccellesse in ogni cosa, ed aveva da tempo rinunciato a leggere le labbra delle persone per seguire i loro discorsi vuoti.
Adesso, rivolto verso l'acqua cristallina e gelida che non aveva bisogno di emettere suoni per comunicare, poteva restare per ore a fissare il lento flusso e riflusso delle piccole onde argentate sulla sabbia granulosa della riva. Intanto pensava allo spazio, ed al tempo, e a come questi due concetti in apparenza tanto diversi fra loro non possano esistere se non l'uno in funzione dell'altro.
Era così concentrato nelle proprie oziose speculazioni, così preso dal movimento ipnotico dell'acqua sulla rena, da non rendersi conto dei ragazzi che si avvicinavano chiassosamente attraverso il sentiero sterrato che saliva su per la collina. Erano cinque giovani del villaggio, tutti più o meno suoi coetanei, con cui Mayuri non aveva mai avuto molto a che fare; tuttavia loro lo conoscevano di nome, e di fama: come spesso capita fra ragazzi lo temevano un po', e di conseguenza lo odiavano con decisione.
Camminavano scherzando sguaiatamente, dandosi spinte e lanciandosi l'erba bagnata. Quando videro il giovane seduto sulla roccia piatta, proprio di fronte a loro, si fermarono d'improvviso indecisi se ignorarlo o cambiar strada. Come tutti gli abitanti del vllaggio, sapevano che era meglio girare alla larga da Mayuri Kurotsuchi; come tutti i bulli di paese, non desideravano altro che una buona occasione per mettere in riga "il matto", o "il genio", come alcuni lo chiamavano. Quando ripresero a camminare, sincronici come un branco di iene, fu per avvicinarsi alla loro preda col sorriso sui volti abbronzati dal sole.
Non avevano bisogno di far piano, Mayuri non li poteva sentire. Si mossero rapidi, selvaggi, letali, ed in un lampo gli furono addosso lanciando grida di trionfo, e minacce che lui non avrebbe udito. Dalle sue labbra neppure una parola, mentre si dibatteva come un'anguilla presa nella rete; nei suoi occhi non un'ombra di terrore, mentre l'odio e il desiderio di vendetta - se mai fosse uscito da quella situazione - lo assalivano come un fuoco che lo divorava dall'interno, bruciando ogni fibra del suo corpo.
- Che cosa ne facciamo? - chiese uno degli aggressori fra le risate, una volta che lo ebbero catturato.
- Gettiamolo nel lago! - rispose un altro, il volto deformato da un ghigno disumano.
Mayuri lo stava guardando, le labbra serrate e gli occhi fiammeggianti; lesse la frase sulla sua bocca, capì quello che significava: il lago, gelido e profondo, attraversato da correnti e mulinelli da cui era praticamente impossibile liberarsi. Ripensò a colui che l'aveva cresciuto, e a quello che gli aveva detto quella sera autunnale: con l'espressione di chi è sinceramente preoccupato, lo sguardo di un uomo che parla a un altro uomo. Ricordava ogni parola, perché nella sua vita non c'erano molte altre parole che valesse la pena ricordare.
Guardò di nuovo in alto, e scorse gli alberi neri che protendevano i rami artigliati verso il cielo grigio antracite: non aveva paura. Il dolore non lo spaventava, il freddo non era nulla. La morte era solo parte di un ciclo naturale, a cui tutti prima o poi sono destinati. Non se ne sarebbe andato senza lottare: ma sarebbe stato interessante, avvincente quasi, scoprire con quanta forza gli esseri viventi desiderano di restare in vita.
Un miracolo, uno scherzo naturale: mentre il suo corpo infrangeva la superficie del lago, e sprofondava sempre più verso il fondale coperto di alghe scure, Mayuri si sentiva di un passo più vicino alla risposta che aveva sempre cercato. Era l'esperimento più ambizioso che avesse mai compiuto, la scoperta più sensazionale: il mistero della nascita, il mistero dell'essere umani. Perché ci facciamo domande? Perché non accettiamo la morte? La risposta era nella gelida acqua del lago, nel bruciore dei polmoni che reclamavano ossigeno, nel desiderio di uscire al più presto e pestare a sangue quegli stupidi ragazzetti di paese.
Ci facciamo domande perché ci sono delle risposte; non accettiamo la morte semplicemente perché siamo vivi. Ogni cosa ha una causa ed un effetto, ed il mondo continua a girare anche se fingiamo di non rendercene conto; ma nel momento in cui ce ne accorgiamo, non possiamo solo restare a guardare. Nel momento in cui troviamo la soluzione, non possiamo ignorarla e perseverare nell'errore.
Con il muto grido di ogni suo muscolo, Mayuri si divincolò nel gelido abbraccio del lago. L'acqua si spostava lentamente, troppo densa per permettergli di muoversi con la rapidità che avrebbe desiderato; ma era più reale, più compatta dell'aria, e lo sorreggeva cullandolo in una morsa che lo trascinava con sè ed al contempo gli impediva di perdersi del tutto. Immerso in quella massa uniforme di azzurro, che sfumava nel nero mano a mano che si allontanava dai raggi pallidi del sole, il ragazzo lottò con la mente più che con il corpo per trovare una soluzione che gli permettesse di uscirne.
E proprio mentre gli arti si facevano intorpiditi dal freddo, ed il cuore rallentava i battiti per risparmiarsi, una scintilla di luce e calore parve farsi strada attraverso l'intero suo essere con l'improvvisa violenza di una scarica elettrica. Il Potere baluginò tra le sue dita, fremente ed impaziente di manifestarsi; un demone, o un angelo, rimasto nascosto nella sua essenza per sedici lunghi anni in attesa del momento adatto a mostrarsi esplose, feroce, un attimo prima della fine.
Fu giorno nelle profondità del lago, per un unico ed impercettibile istante. Mayuri si ritrovò sospeso a mezz'aria, attonito ed esaltato, le punte dei piedi a sfiorare la superficie immobile dell'acqua, un alone violaceo di fumo, o di luce, a tracciare i contorni del suo corpo in un'aura di splendente potere. Mosse qualche passo incerto, spostandosi nel vento invernale. Raggiunse la riva in pochi istanti, il volto privo di espressione nonostante il groviglio di sensazioni opposte che si dibattevano nella sua mente tormentata.
Alzò lo sguardo a poco a poco, fino ad incontrare quello dei giovani aggressori. Grondante d'acqua, ritornato dagli abissi come uno spirito vendicatore, non si meravigliò di leggere il terrore nei loro occhi sbarrati. Sogghignò sollevando gli angoli della bocca e scoprendo i denti, e dalla sua gola uscì un suono simile più ad un lamento che a una risata.
Si spinse in avanti, verso di loro, protendendo un braccio luccicante di reiatsu: doveva fare presto, sentiva che le forze lo abbandonavano. Poi rumore di passi concitati dal sentiero, voci, schiamazzi: suoni che lui non poteva sentire, ma che il manipolo di ragazzini accolse con sollievo. Ben presto, una piccola folla di persone apparve sulla sommità della collina.
Mayuri staccò lo sguardo dai suoi assalitori, ormai paralizzati dalla paura, per incontrare gli occhi sorpresi e spaventati di suo padre.
Per un attimo, la sua mano tremò a mezz'aria; poi, senza un gemito, il giovane cadde a terra svenuto, riverso nell'erba bagnata.

1. La scelta delle parole "suolo nero" nella seconda frase di questo capitolo potrebbe sembrare casuale, ma invece non lo è... Sapevate che questa infatti è la traduzione del cognome "Kurotsuchi"? Traduzione che, tra l'altro, a me piace un sacco... :D
2. non so come mai, forse perché sta venendo il fresco, ma Mayuri lo associo alla fine dell'autunno o all'inverno. Quindi gran parte delle scene fino ad ora si sono svolte in queste due stagioni... :P
3. Non ce lo vedo, Mayu, a fare il pescatore. Per questo ho pensato che fosse il lavoro più adatto per lui da inserire nella storia: gli abitanti del villaggio non capiscono quello che è, e siccome Heisuke è abbastanza povero non può fare altro che farlo lavorare con lui... Poverino, che vitaccia gli tocca, per ora! D:
4. Mmmh... camminare sull'acqua. Ogni riferimento a fatti o divinità realmente esistenti è puramente casuale... ma avendo Mayuri una zanpakuto che ha a che fare con un dio (Jizo), mi sono permessa anche questa citazione. XP

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Capitolo 4
*** IV. chapter four; ***


Sto decisamente pensando ad un po' di romance (( però non subito )). Qualcosa in contrario? E, considerando che questa storia si riallaccia alla trama di Bleach e non a quella di Bleeding (( che è completamente sballata rispetto a Turn Back the Pendulum, perché ancora non era uscito nemmeno negli spoilers )), what if usassi di nuovo il personaggio di Rin? Non riesco a pensare Mayuri con nessun altra *commozione* ;__; Che ne dite? Io sono ancora indecisa (( ma propendo per il si ))... quindi... Si vota!

"Is it bright where you are?
Have the people changed?
Does it make you happy you're s strange?"


[Smashing Pumpkins, "The End Is the Beginning Is the End"]

Mayuri riprese conoscenza in piena notte, dopo quattro giorni di completa incoscienza. Si svegliò come da un lungo sonno, intorpidito e riposato, e rimase per qualche istante immobile ad occhi chiusi senza capire: per quale fortunato miracolo era ancora vivo? Non ricordava quasi nulla di quanto accaduto, e la cosa non gli piaceva. Alla fine non resistette alla tentazione di aprire gli occhi, e sollevò le palpebre a poco a poco domandandosi quale visione lo attendesse al di là. Vide soltanto i contorni scuri della sua stanza, piccola e spoglia, la coperta blu scuro in cui suo padre lo aveva avvolto e il sottile profilo pallido delle sue mani.
Si mosse leggermente in cerca di una posizione più comoda, sentendo tutti i muscoli doloranti a causa dell'immobilità prolungata. Non ricordava di aver sognato o pensato, durante il periodo trascorso a letto, e questo lo disturbava. Era perfettamente consapevole che, in quel preciso istante, molte persone attendevano impazienti di ricevere spiegazioni da lui. Mentre la memoria gli tornava pian piano, il ragazzo si rese conto di non saper dare una risposta a quanto era accaduto.
Immerso nelle profondità del lago, aveva sperimentato la forza che genera e muove l'intero universo. Adesso, disteso sul suo letto nella casa che conosceva così bene, tutto ciò che gli era parso così vicino e comprensibile sembrava invece distante e nebuloso. C'era un motivo, c'era una soluzione... ma il motivo e la soluzione giacevano tra le alghe nere ed i gelidi flutti, in un angolo della sua coscienza appena oltre il limite che separa la consapevolezza dall'istinto. Si era salvato, in un qualche modo, ed il Potere che lo aveva sottratto all'abbraccio mortale del lago era ancora lì, nelle sue mani. Poteva sentirlo scorrere tra le dita come corrente, ma non era certo di saperlo controllare.
Un'ombra in movimento al di là della soglia distolse Mayuri dalle sue congetture. Heisuke si avvicinò in silenzio, lo sguardo basso, le labbra tese. Sedette sul bordo del letto senza una parola, e prese a guardare le proprie mani intrecciate. Il ragazzo si limitò ad osservarlo con i grandi occhi pieni di curiosità ed attesa: c'era dolore nell'espressione di suo padre, ed il ragazzo non ne capiva il motivo.
- Grazie al cielo ti sei svegliato. - l'uomo iniziò a parlare senza voltarsi, rendendogli difficile distinguere le parole. Sembrava che si sforzasse di non lasciar trapelare l'emozione, e per Mayuri era impossibile capire come si sentisse, incapace com'era di provare la moltitudine di stati d'animo che bersagliano di giorno in giorno la psiche delle persone comuni.
Addolorato? Sollevato? Ancora preoccupato per qualcosa che stava tenendo segreto?
Erano tutte sensazioni che il ragazzo aveva visto centinaia di volte manifestarsi sui visi dei suoi conoscenti, le stesse che aveva scorto sul volto di una donna del paese il giorno in cui suo marito era tornato da un lungo viaggio. Le stesse che apparivano negli occhi delle madri quando i figli guarivano da una malattia, o sulle labbra degli innamorati che si ritrovavano dopo molto tempo. Le aveva viste, e ne aveva conosciuto gli effetti; ma, di persona, non le aveva mai provate, semplicemente perché non ne era in grado.
Per questo motivo gli era difficile, ora, comprendere il motivo di tanta apprensione da parte di Heisuke. Il giovane pazzo che tutti detestavano era tornato dal regno dei morti, si era salvato. Quello stupido essere umano, era forse felice di questo? Non sarebbe stato meglio, per lui, liberarsene una volta per tutte? Di una cosa Mayuri era sicuro: la vita degli altri abitanti del villaggio sarebbe stata mille volte più semplice se lui non fosse mai esistito. L'idea non lo infastidiva e non lo rattristava. Era solo un dato di fatto, una pura e semplice constatazione.
- Quei ragazzi... Non capisco come sia venuto loro in mente di fare una cosa del genere...
Lui invece lo capiva perfettamente. Odi qualcuno, te ne vuoi liberare. Non importa il motivo scatenante, quello che conta è l'occasione. Se lui avesse avuto un'opportunità, la possibilità di ottenere ciò che desiderava - un laboratorio, la conoscenza, qualcosa di vivo su cui sperimentare - non ne avrebbe forse approfittato? Pur odiando i suoi aggressori con tutto se stesso, Mayuri li capiva; ma non importava, nulla importava. Gliel'avrebbe fatta pagare di persona.
Heisuke si voltò finalmente verso di lui, passandosi le mani fra i capelli radi. Lo guardò dritto negli occhi, come riemergendo da una selva intricata di pensieri che aveva rinunciato a dipanare. Parlò d'improvviso e, qualunque fosse il tono della sua voce, nei suoi occhi si riflettevano lo stupore e l'angoscia di poco prima.
- Ne sei uscito da solo, Mayuri. Come hai fatto? Sono accadute tante cose strane, quella sera; sei stato tu a...? Santo cielo, quel ragazzo... quando ti sei avvicinato si è accasciato a terra, come se gli mancasse l'aria, ma tu non lo hai neppure sfiorato...
Il giovane alzò la testa, improvvisamente interessato: non ricordava nulla, nulla di quanto aveva detto suo padre. Era riuscito a ferirlo, almeno uno di loro? Senza neppure toccarlo... com'era stato possibile? Rammentò dell'energia violacea e lucente che fluiva attraverso il suo braccio, ed involontariamente contrasse le dita. Heisuke si mosse incuriosito, forse sperando di ricevere una spiegazione, ma Mayuri scosse la testa senza neppure guardarlo. Inutile: non sapeva niente, come se le azioni che aveva compiuto appartenessero ad un'altra persona.
- Capisco, ragazzo. - suo padre gli mise una mano sulla spalla, ed il contatto lo fece sentire a disagio. Desiderava semplicemente restarsene da solo. - Non ti chiedo di sforzarti, sei ancora debole. Se dovesse venirti in mente qualcosa... beh, puoi parlarne con me, se ti va.
Imbarazzo? Mayuri annuì impercettibilmente, serissimo. Avrebbe voluto ridere, una risata isterica e priva di controllo: parlare? Come chiedere ad un cieco di "dare un'occhiata" a qualcosa; e stavolta il problema non era soltanto dovuto alle sue mancanze sul piano fisico. Lui non voleva parlare, ancor prima di non esserne capace. Era sempre rimasto muto, isolato, disgustato dal caos urlante e folle che lo circondava. Il silenzio era sempre stato il suo rifugio, così da proteggersi anche quando camminava in mezzo alla gente. Era stato solo per tutta la vita, incapace di donare agli altri i propri pensieri.
Al contempo, per sedici lunghi anni ogni comprensione del genere umano era stata preclusa alla sua mente, colta e brillante per quanto concerneva quasi ogni altra cosa. Nonostante possedesse più nozioni di chimica, fisica e medicina di quanti fino ad allora avesse incontrato, il giovane Kurotsuchi era completamente ignorante riguardo ai sentimenti, gli istinti e gli stati d'animo delle persone. L'unico raffronto che poteva fare, per poter comprendere la moltitudine di espressioni che apparivano caso per caso sui volti dei suoi interlocutori si basava sulla pura e semplice osservazione: una mente fertile come la sua era al contempo completamente arida per quanto concerneva l'emotività.
Aveva vissuto abbastanza a lungo nella sua felice bolla di vetro; e adesso l'imperdonabile disinteresse verso il genere umano gli era quasi costato la vita. Non aveva rispettato la regola principale di tutte le battaglie: "conosci il tuo nemico". Se non avesse imparato a comprendere, emulare, interagire con gli sciocchi esseri che popolavano quell'universo così complesso e variegato, prima o poi uno di loro sarebbe riuscito nell'impresa che i cinque ragazzini sulla riva del lago non erano stati in grado di completare.
Per la prima volta da quando era nato, Mayuri Kurotsuchi provò il desiderio di ascoltare.

Qualche giorno di completo riposo gli fu più che sufficiente a rimettersi del tutto e, uscito dal breve periodo convalescenza, Mayuri si sentì perfettamente in grado di riprendere le sue mansioni quotidiane. Prese ad impegnarsi nel lavoro con maggior ardore, accogliendo di buon grado ogni impegno gli venisse affidato; non tentò di attaccar briga coi ragazzi che lo avevano spinto nel lago, e fece finta di non notare gli sguardi carichi di disprezzo dei molti che avevano preso le parti dei giovani aggressori: ben presto se ne sarebbe andato da quel luogo, e nulla meritava la sua attenzione se non il futuro che si avvicinava a poco a poco.
Ogni momento libero era buono per pensare al Potere ed alle sue implicazioni; il giovane Kurotsuchi non aveva più tentato di utilizzarlo dopo la prima, tragica esperienza, ma piuttosto lo aveva lasciato maturare, nella quiete del suo animo, senza affrettare i tempi o cercare spiegazioni. Era rimasto così, immobile e cauto, a riflettere su quello che avrebbe potuto fare una volta fosse giunto il momento buono; e combattendo l'impazienza mantenendosi sempre impegnato aveva scoperto che era possibile conciliare il lavoro con lo studio, e la vita quotidiana con la speculazione.
Trascorsero le settimane e poi i mesi, e l'inverno scricchiolante di legna secca e neve lasciò il posto ad un placido marzo accarezzato dal sole. Il cambiamento nell'animo di Mayuri avvenne lento e graduale, allo stesso modo del clima, che a poco a poco si fece più tiepido e primaverile; ma il ragazzo, nel suo silenzio, aveva sempre continuato ad osservare, e quando finalmente il Potere si manifestò in lui con tutta la sua potenza il miracolo non lo colse impreparato. Durante le lunghe ore passate per mare, e le sere accanto al fuoco fingendo di essere il figlio modello che non si era, aveva maturato la decisione che, ora, avrebbe finalmente potuto attuare. E alla fine, con un ghigno soddisfatto sulle labbra, aveva osservato i suoi molteplici tentativi riusciti sparsi tra il sangue ed i fallimenti, e si era sentito felice.

1. Un riferimento a "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" col discorso sulle difficoltà di Mayuri a comprendere il carattere delle persone. Ricordate la scena degli smiles? :3
2. Alla fine sono costretta a rimandare gli esperimenti "seri" a quando Mayuri avrà un po' più di materiale (( quindi tra poco )) a causa dell'impossibilità di ottenere risultati decenti con un coltello arrugginito ed un ago d'osso... Pazientate ancora un capitolo o due, e vedrete lo scienzato pazzo finalmente in azione!

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Capitolo 5
*** V. chapter five; ***


Coraggio, ragazzi! Chi mi fa la recensione numero XII? Dai che poi festeggiamo °A°!!! XP
Beh, ho ricevuto un solo voto riguardo alla decisione di inserire Rin in Wild Lilies; se volete ancora dire la vostra opinione siete in tempo per qualche capitolo, poi la faccenda sarà irreversibile. Per ora siamo uno a zero a favore di Rin, quindi se non volete questo personaggio nella storia ditelo! Poi non vi venite a lamentare eh! ;D E buona lettura.

"Tell me a story of mind over matter,
the hope and the glory of life everafter;
the sound and the fury, the cloack and the dagger..."


[Tears for Fears; "Ladybird"]

Il giorno del suo diciassettesimo compleanno, Mayuri venne convocato dal vecchio che tutti consideravano il Capo del piccolo villaggio sulla riva del mare. Heisuke accolse la notizia non senza un brivido di apprensione al pensiero di quello che Mujiwara potesse volere da lui, ma il ragazzo, per nulla intimidito o preoccupato per il proprio destino, accettò di buon grado l'idea di quell'incontro inaspettato. L'anziano, debole e stanco, non gli faceva affatto paura; ed il comportamento irreprensibile degli ultimi mesi lo rendeva, a tutti gli effetti, esule da qualsiasi critica riguardo alle sue macabre inclinazioni.
Attraversò il villaggio mosso soltanto da una flebile curiosità, accuratamente repressa e nascosta sotto la solita espressione tranquilla ma grave. Gli altri abitanti del villaggio lo evitavano ancora, ma non potevano esimersi dal lanciargli occhiate cariche di attesa nel vederlo dirigersi a passo sicuro verso la piccola casa del vecchio Mujiwara. Dal canto suo, Mayuri non guardava nessuno. Fingeva di non accorgersi della gente che mormorava, e preferiva non leggere sulle loro labbra parole che avrebbero potuto distrarlo dalla sua meta. L'attesa e l'osservazione del suo potere che cresceva lo avevano reso più quieto e riflessivo, ed il ragazzo aveva imparato ad aver pazienza. Così, era certo che avrebbe avuto la sua occasione di rivincita su tutti quelli che fino ad ora lo avevano schernito e criticato... ma quel momento sarebbe arrivato solo in seguito, per ora doveva accontentarsi di aspettare.
Spinse la porta della umile abitazione senza ricordarsi di bussare; per lui non significava niente produrre rumori di avvertimento, dal momento che per primo non li poteva udire. Lo accolse un'oscurità eggera e polverosa, rischiarata qua e là da un raggio di sole che entrava attraverso le imposte socchiuse della finestra. L'intera stanza sembrava deserta, e forse lo era anche la casa; ma prima che il ragazzo potesse guardarsi attorno per sincerarsene, il vecchio apparve come un fantasma in un angolo sfiorato appena dalla luce.
Era estremamente anziano, con la pelle come carta di pergamena sottile e trasparente. I radi capelli gli ricadevano sulle spalle in fili sottilissimi, e gli occhi che ormai praticamente non vedevano erano di un azzurro quasi bianco sotto le folte sopracciglia  corrugate.
- Sei venuto, alla fine. - esclamò con una voce sottile ma decisa, distendendo i lineamenti in un ampio sorriso. Parlava lentamente, guardandolo dritto in faccia in modo da assicurarsi che Mayuri potesse leggere le sue labbra. Il ragazzo si limitò ad annuire impercettibilmente, ancora guardingo, immobile sulla soglia come domandandosi se valesse la pena di restare.
- Entra e siediti, Mayuri.
Mujiwara si mosse con lentezza, agitando una mano per invitare il giovane a seguirlo nell'altra stanza. Mayuri fece come gli era stato chiesto e, camminando a pochi passi dal vecchio, si rese conto che questi era più basso di lui di quasi tutta la testa; ma questo poteva essere dovuto al fatto che se ne stava raggomitolato su se stesso come un'anziana tartaruga nel proprio guscio.
Sedettero su due semplici sedie di legno, nel tepore della cucina in penombra. Per qualche istante nessuno dei due disse o fece nulla, limitandosi ad osservarsi l'un l'altro con occhi ora incuriositi ora dubbiosi.
- Ti starai domandando perché ti ho chiesto di venire qui. - disse Mujiwara infine, intrecciando le mani sotto al mento. Di nuovo, il ragazzo si limitò ad annuire.
- Vedi... - la voce del vecchio si fece più bassa, e le parole più difficili da comprendere attraverso i movimenti impercettibili delle sue labbra sottili. - Ho sentito che hai risvegliato il tuo Reiatsu. Sei una persona fuori dal comune, Mayuri, ed io voglio spiegartene il motivo.
Il giovane corrugò le sopracciglia, dubbioso: non era certo di aver capito, la bocca di Mujiwara si muoveva appena... Reiatsu? Così il vecchio aveva chiamato l'energia che si era sprigionata dal suo corpo quando era prigioniero nelle profondità del lago? Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si trattenne: non amava comunicare a parole, per produrre quei suoni che sapeva distorti e confusi gli occorreva più tempo di quanto fosse disposto ad aspettare. Si limitò ad inclinare la testa da un lato, senza abbandonare l'espressione seria e concentrata che aveva assunto poco prima.
- Ti è mai capitato di sentirti molto stanco, oppure molto affamato? - Mayuri annuì ancora: gli era successo, esattamente dopo l'incidente al lago. - Questo accade soltanto a chi possiede un Reiatsu più potente del normale; significa che sei in grado di utilizzare la tua energia spirituale per curare, difenderti... e persino uccidere, se decidessi di farlo.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, l'espressione del viso indecifrabile al di là del suo ostinato silenzio. Sapeva di poter utilizzare il Reiatsu, almeno per quanto concerneva l'aspetto del "curare"... se ne era servito più volte durante i suoi esperimenti recenti, per mantenere in vita le cavie fino al termine dell'operazione. Tuttavia il processo lo stancava, e spesso si era scoperto a domandarsi se questo fosse dovuto ad una sua qualche incapacità piuttosto che alle caratteristiche intrinseche dell'Energia Spirituale.
- Mayuri... - Mujiwara spalancò gli occhi all'improvviso, come se si fosse appena ridestato dal suo torpore in seguito ad una qualche considerazione avvenuta in se stesso, là dove il ragazzo non poteva osservare e capire. - Esiste un luogo dove possono insegnarti a controllare il tuo potere. Ti ho chiamato qui perchè volevo che lo sapessi: l'Accademia per Shinigami, nella Seireitei... è il luogo dove vengono addestrate le persone come te, dove viene loro spiegato come utilizzare al meglio il dono che è stato fatto loro. La scelta spetta a te, ovviamente, ma vorrei che prendessi in considerazione l'ipotesi di diventare un Dio della Morte.
Mayuri sussultò involontariamente: non era molto, quello che aveva capito dalle parole del vecchio. Tuttavia l'idea di andarsene dal villaggio, apprendere qualcosa che lo avrebbe reso "speciale", stavolta in senso buono, diventare uno - com'è che aveva detto Mujiwara? - Shinigami, sembrava una proposta allettante. Il ragazzo accennò un assenso,  distendendo sul legno scuro del tavolo i pallidi palmi delle mani.
Era la "grande occasione" che aveva sempre aspettato, la soluzione che gli avrebbe permesso di inoltrarsi nei più segreti recessi della scienza che rende comprensibile il mondo agli esseri umani; se fosse stato in grado di conoscere e controllare il Reiatsu, la forza che muove tutte le cose, sicuramente sarebbe diventato uno scienziato migliore di quanto potesse aspirare ad essere restandosene per tutta la vita nel mondo vasto ma cieco che costituiva il Rukongai. Si sarebbe allontanato da quelle schiere di creature urlanti, affamate, vendicative. Si sarebbe innalzato verso un luogo vivo, istruttivo, migliore. Avrebbe incontrato persone con cui valesse la pena di parlare, per cui sarebbe servito persino poter sentire quanto avevano da dire.
L'eccitazione e la curiosità invasero lentamente il volto di Mayuri, che si faceva a poco a poco più luminoso. Per un istante, sentendosi ad un passo dall'ottenere ciò che aveva sempre desiderato, la sua espressione fu quella di un qualunque ragazzo emozionato per qualcosa: i lineamenti distesi, un mezzo sorriso sulle labbra, l'attesa a rendere brillanti i suoi grandi occhi ambrati; poi l'ombra tornò a rabbuiare il suo viso, e lui si ritrasformò nell'essere freddo e distaccato di sempre.
Mujiwara estrasse un vecchio foglio di pergamena spiegazzato, e lo porse al ragazzo senza dire una parola.
Attese che Mayuri guardasse il suo intero contenuto: una mappa abbastanza dettagliata del territorio circostante, con una piccola croce a segnare la posizione del villaggio ed un'altra, più grande, ad indicare la Seireitei.
- E' laggiù che devi andare, se decidi di intraprendere questo viaggio. - affermò il vecchio quando il ragazzo tornò a guardarlo in volto. C'era un sorriso bonario sulle sue labbra rinsecchite; sembrava fiducioso, quasi orgoglioso di lui. - Buona fortuna, ragazzo, e abbi cura di te.
Si alzarono entrambi, e prima di congedarlo Mujiwara gli strinse brevemente la mano. Mayuri lo ringraziò con un cenno del capo, ed in un attimo fu al di là della soglia nella luce piena e vivida del sole. Tutto sembrava frutto di un immenso sogno, non fosse stato per la vecchia pergamena che ancora stava stretta nel suo pugno chiuso.
Il ragazzo si avviò di nuovo verso casa, a testa bassa, riflettendo. Avrebbe intrapreso la via per diventare Shinigami. Prima di questo, gli restava soltanto una cosa da fare.

1. Capitolo di transizione; questo ed il prossimo servono a sistemare le cose, quindi da soli riassumeranno circa un anno della vita di Mayuri (( dai 17 ai 18 anni )); comunque aspettatevi qualche colpo di scena, perché questo periodo servirà al nostro amatissimo protagonista come base per le sue azioni future!
2. Il vecchio Mujiwara è una mia invenzione. Non parlerò più di lui, perché non è così importante ai fini della storia, quindi vi dico qualcosa adesso. Mujiwara ha più di 800 anni, e un tempo era uno Shinigami della XI Divisione. Poi è rimasto gravemente ferito durante una missione nel Rukongai, è stato soccorso da una donna del paese e quando si è ripreso ha deciso di restare con lei e abbandonare la battaglia... una storia tipica dei racconti fantasy di cavalieri, per capirci. :3

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Capitolo 6
*** VI. chapter six; ***


Devo scrivere un'introduzione piuttosto lunga stavolta, quindi prometto di eliminare del tutto i commenti finali. Bene; aggiorno adesso perché nei prossimi giorni avrò da fare e sono ancora al metà del capitolo sette (( di solito mi lascio un capitolo di margine tra quello che sto scrivendo e quello che pubblico, ma pazienza )). Intanto, rispondo ai due interrogativi di Yoko_kun: il padre di Mayuri è preoccupato perché si aspetta che Mujiwara voglia rimproverarlo o punirlo per qualcosa; del resto sa che suo figlio non è ben visto agli occhi delle altre persone nel villaggio. Dal canto suo, Mujiwara è palesemente orgoglioso di Mayuri perché, essendo anche lui stato un tempo Shinigami, in un certo senso rivede nel ragazzo quello che lui era (( anche se Muji non era così schizzato ovviamente XP )). Nessuno sa che il vecchio era uno Shinigami, prima, e da qui nascono i malintesi.
A proposito di questo capitolo, devo dire che è molto sanguinario e mi ha costretto a cambiare l'"avvertimento" della fic. Mi ha fatto un po' schifo persino scriverlo, ma spero che voi non abbiate stomachini delicati come il mio... :3 Vi offro un piccolo Mayuri totalmente "on character" per festeggiare i 12 commenti (( 12 come la sua futura divisione yay! )), quindi buona lettura.

"Hello darkness, my old friend

I've come to talk with you again.
Because a vision softly creeping
left its seeds while I was sleeping..."

[Simon & Garfunkel, "The Sound of Silence"]

Gli addii non erano mai stati la specialità di Mayuri. In piedi sulla soglia della casa a cui non avrebbe mai più fatto ritorno, il ragazzo strinse la mano a suo padre senza riuscire a cavar fuori un sorriso. Il venticello primaverile scompigliava i suoi capelli, che erano già ricresciuti fino a sfiorargli quasi le spalle, e forse era quella brezza insistente a procurargli il brivido gelido che sentiva scivolargli lungo la schiena...
Nessuno dei due disse una parola. Heisuke si sforzò di mostrarsi orgoglioso di lui, battendogli cameratescamente una mano sulla spalla. E Mayuri, dal canto suo, non avrebbe saputo come esprimere i sentimenti confusi che provava, ma non riconosceva. Un nodo alla gola, un senso di leggera apprensione, il desiderio di fare qualcosa - ma cosa? - un ultimo gesto prima di andar via.
Si allontanò lungo la strada sterrata senza capire, arrovellandosi nell'intrico di sentimenti mai sperimentati prima. Il burbero pescatore solitario, nato e cresciuto in un paesino del Rukongai, gli aveva offerto il proprio sostegno per diciassette lunghi anni senza chiedere mai nulla in cambio. Gli aveva dato una casa, insegnato il proprio lavoro, e non lo aveva mai forzato a comportarsi come gli altri, nonostante per questo motivo anche lui fosse stato, col tempo, emarginato.
Col passare degli ultimi mesi Mayuri aveva capito di essere debitore verso quell'uomo; e adesso, mentre il sole sorgeva di fronte a lui con la promessa di una nuova vita, non poteva far altro che rendere meno doloroso il distacco, permettendo a Heisuke di tornare ad essere una persona normale.
Percorse il sentiero che si snodava tra le colline completamente immerso nei propri pensieri, scrutando di tanto in tanto la vecchia mappa consunta per accertarsi di essere sulla buona strada. La Seireitei si trovava a circa tre giorni di cammino; tuttavia il ragazzo non aveva intenzione di dirigersi subito là: c'erano cose ben più importanti da fare, prima, e non era il caso di lasciarsi prendere dalla fretta proprio ora.
Al calar della sera, Mayuri scorse un villaggio di notevoli dimensioni in una conca ombreggiata fra due colline, proprio davanti a sé. Proseguire in quella direzione lo avrebbe portato leggermente fuori strada, tuttavia le dimensioni della cittadina sembravano promettere che vi avrebbe trovato tutto quello che cercava. Incapace di sentire la stanchezza a causa dell'adrenalina che circolava copiosa nelle sue vene, discese verso la pianura e fece il suo ingresso nel villaggio a notte inoltrata. Era troppo tardi per chiedere alloggio in una locanda, e comunque il ragazzo non disponeva dei soldi necessari: si raggomitolò sotto il portico che di giorno veniva adibito a mercato e cadde in un sonno profondo e privo di sogni.
Si svegliò all'alba del mattino successivo, stanco ma troppo eccitato per rimettersi a dormire. I primi venditori stavano già prendendo posizione, sistemando i loro banchi per la giornata, e Mayuri s affrettò ad allontanarsi prima che lo scambiassero per un senzatetto o per un ladro. Trascorse gran parte della mattinata camminando senza meta per le strade del paese, guardandosi attorno in cerca del luogo che sperava di trovare: alla fine, un'insegna raffigurante una croce rossa in campo bianco attrasse la sua attenzione.
"Ci siamo." pensò eccitato, affrettando il passo in quella direzione. Arrivato al portone socchiuso del piccolo studio medico, bussò leggermente sul legno ed attese trepidante che dall'interno qualcuno desse un segno di vita. Forse ricevette una risposta, o forse non venne udito da nessuno: dopo aver aspettato qualche altro secondo, Mayuri scivolò al di là della porta e rimase in piedi nel piccolo atrio luminoso.
C'era una grande scrivania di metallo, dall'altro capo della stanza, e seduto alla scrivania stava un uomo dai lineamenti gentili. Doveva avere all'incirca trent'anni, ed i capelli castani e disordinati gli ricadevano in onde leggere sugli occhi nascosti dietro ad un paio di occhiali sottili.
- Posso aiutarti? - chiese immediatamente alzando lo sguardo, un sorriso gentile ad illuminargli il volto sereno. Mayuri annuì appena, rimanendo fermo dove si trovava coi pugni serrati e le labbra socchiuse: si domandava da che parte cominciare, perché gli sarebbe servito abbastanza tempo per formulare il discorso che aveva in mente.
- Dimmi, allora. Ti è successo qualcosa? - Probabilmente, l'uomo gentile pensava che il ragazzo fosse un po' ritardato. Infastidito da quella ipotesi, Mayuri mosse qualche passo avanti con decisione e indicò il proprio orecchio destro, facendo segno di no col capo. Il suo interlocutore capì immediatamente che cosa intendeva.
- Sei sordo? Vuoi che ti curi? Posso provare a fare qualcosa, ma di solito... - Fu interrotto da un secondo cenno di diniego da parte del giovane.
- Non mi piace parlare, perché non mi riesce bene. - tentò di scandire Mayuri, lentamente, pescando le parole dal fondo della memoria dopo anni e anni che non le utilizzava. La sua voce era strana, priva della giusta intonazione, ma il medico parve comprendere quello che voleva dire e gli porse un foglio ed una penna con cui poter scrivere.
- Usa questi, allora. - disse, sempre sorridendo.
Mayuri ringraziò con un cenno del capo, e prese a scarabocchiare rapidamente in una grafia piccola e disordinata. Restituì carta e penna al suo interlocutore, poi attese con le braccia distese lungo i fianchi che il medico rispondesse qualcosa. L'espressione dell'uomo si fece prima concentrata, poi pensierosa.
- Quindi vorresti imparare il mestiere, ragazzo. - Non si trattava di una domanda, ma il giovane fece ugualmente segno di si con la testa. - Penso che non ci siano problemi. Non ho un assistente, ora come ora, e c'è sempre bisogno di un medico in più al giorno d'oggi. Puoi cominciare quando vuoi.
Gli occhi illuminati da una febbrile impazienza, Mayuri si inchinò brevemente al suo nuovo sensei. Un sorriso più simile ad un ghigno attraversò il suo volto soddisfatto, e scomparve prima ancora che l'altro fosse in grado di notarlo. Fantastico: per la prima volta in tutta la sua vita, il giovane "scienziato pazzo" avrebbe potuto utilizzare strumenti in grado di permettergli di portare a termine il suo progetto più ambizioso.

I mesi trascorsero rapidamente, e di nuovo dopo molto tempo Mayuri fu in grado di assaporare la sensazione di fare esattamente ciò che più gli piaceva. Il Dottor Sakuragi non aveva segreti per lui, condividendo col suo giovane e promettente allievo ogni segreto del proprio mestiere. Dal punto di vista strettamente professionale, il medico riteneva quel ragazzo venuto dal nulla una provvidenziale manna dal cielo: metteva tutto se stesso nei lavori che gli erano assegnati, e apprendeva qualsiasi cosa con una stupefacente rapidità.
Più di una volta Sakuragi si scoprì a domandarsi se per caso Mayuri non possedesse alcune nozioni di medicina ancor prima di arrivare. Ma il ragazzo gli aveva fatto capire, un po' a gesti e un po' con le parole, di essere figlio di un umile pescatore del paese vicino. Non era possibile che fosse entrato in possesso di conoscenze mediche, dal momento che laggiù non c'era nemmeno un vero e proprio dottore...
- Se continua di questo passo presto ti permetterò di operare i pazienti da solo, Kurotsuchi-kun.
Mayuri sorrise soddisfatto, sollevando il volto dagli strumenti che stava lavando con cura. Sakuragi aveva la pessima abitudine di aggiungere il suffisso "-kun" alla fine del suo cognome, e questo lo disturbava; tuttavia, ormai si era immedesimato nel ruolo del bravo ragazzo e sapeva di dover necessariamente rigare dritto per poter continuare ad imparare i segreti del suo sensei. Inclinò leggermente il capo, in segno di riconoscenza, e l'altro gli lanciò un'occhiata carica di compiacimento.
- Lavori anche troppo, ragazzo. Direi che per oggi puoi anche andare a dormire.
Il giovane non aspettava altro: con studiata calma raccolse il materiale che aveva di fronte e prese a riporlo accuratamente, senza apparente fretta di lasciare la stanza. Sakuragi gli sorrise brevemente, poi si allontanò verso i propri appartamenti canticchiando una canzone. Entrambi avevano avuto una giornata estremamente faticosa, e certamente il suo maestro avrebbe dormito della grossa quella notte. Mayuri sogghignò alla propria immagine riflessa nei baratoli ordinatamente disposti sullo scaffale.
Aveva poco tempo, soltanto una nottata. Non poteva tenere la luce accesa, altrimenti avrebbe rischiato di farsi scoprire... ma tanto l'illuminazione non gli sarebbe servita in ogni caso. Muovendosi rapidamente attraverso la stanza, il ragazzo si affrettò a spegnere le torce e a chiudere a chiave la porta dell'ambulatorio: non gli importava di essere scoperto, purché ciò non accadesse prima che l'esperimento fosse terminato. In ogni caso, non aveva progettato di restare ancora per molto tempo in quel villaggio, a fingere di possedere un'intelligenza inferiore a quello che realmente aveva.
Il progetto che avrebbe portato a termine quella notte, lo aveva teorizzato almeno un anno prima.
"E nessuno di voi sciocchi, piccoli dottori ha mai pensato ad una cosa simile, prima d'ora."
Dottori. Certo che no. Lui, dal canto suo, era uno scienziato.
Afferrando un bisturi lucente con entrambe le mani, Mayuri avvicinò al proprio volto la lama sottile. La chiave stava tutta nel restare cosciente, anche col sangue che gocciolava e il dolore e tutto il resto. Non era un problema: le sue mani, ferme e decise, non tremavano per la paura quando praticò la prima incisione.
Il liquido caldo e denso prese a scivolare giù per il suo collo, macchiando il semplice kimono che indossava. Il ragazzo chiuse gli occhi, inspirando profondamente nel tentativo di ignorare il bruciore là dove i nervi avevano iniziato a registrare la presenza di una ferita...
"E' solo l'inizio. Solo l'inizio. Passato questo, il resto sarà un gioco da ragazzi."
Inutile mentire a se stesso, ma al momento non c'era altra soluzione. Il sangue adesso impregnava ogni cosa: le sue mani pallide, il volto, i capelli azzurri e sottili; all'altezza dell'orecchio sinistro, non c'era altro che una gigantesca macchia rossa e confusa. Mayuri si fece forza lottando contro la nausea causata dal dolore, e continuò a tagliare.
Durante le lunghe nottate insonni trascorse nella stanzetta che Sakuragi-san gli aveva affidato, era stato in grado di costruire un apparato uditivo meccanico servendosi di pezzi apparentemente scollegati trovati in giro per l'ambulatorio. L'utilizzo di materiale metallico chirurgicamente trattato per sostituire parti del corpo danneggiate era una pratica comune in quell'angolo dimenticato di mondo, dove ricorrere a complesse operazioni era praticamente impossibile.
Possedere articolazioni artificiali era piuttosto normale, per la gente di quel paese, sebbene in altri luoghi della Soul Society quei metodi curativi fossero ritenuti poco ortodossi; tuttavia nessuno aveva pensato di realizzare una protesi tanto complicata e specifica prima di allora.
Soprattutto, nessuno aveva mai pensato di potersela impiantare da solo.
Stringendo i denti per impedirsi di gridare, Mayuri terminò il lavoro praticando l'ultimo punto di sutura. Poteva percepire l'acciaio a contatto con la pelle, nel luogo esatto in cui questa terminava per lasciare il posto all'orecchio artificiale. Si trattava essenzialmente di due strutture circolari del diametro di circa cinque centimetri, con una parte leggermente convessa simile alle branchie che serviva per far passare i rumori. L'aspetto non era decisamente gradevole, nè rassicurante, ma a Mayuri non interessava: adesso, non restava altro da fare che scoprire se il suo esperimento era andato a buon fine.
Barcollando verso la porta dell'ambulatorio, sorreggendosi a quello che trovava per impedirsi di cadere a terra svenuto, il ragazzo si fece strada attraverso la stanza sporca di sangue e strumenti sparpagliati a terra. Al di là delle finestre socchiuse, era da poco sorto il pallido sole di febbraio. Mayuri allungò la mano verso la chiave, e le fece fare due giri nella toppa appoggiandosi con una spalla al freddo muro portante: non aveva più forza, si sentiva sull'orlo della fine. Se non avesse posseduto il Reiatsu, che aveva spinto all'estremo per mantenersi in vita, a quest'ora non sarebbe stato che un ammasso di pelle e ossa disteso sulle fredde mattonelle dell'ambulatorio.
"Ci sono quasi."
La porta scattò con un clangore metallico, impercettibile alle orecchie di qualsiasi altra persona; ma al giovane scienziato, che non aveva mai sentito un altro suono in tutta la sua vita, parve come un colpo di cannone.
Il viavai mattutino dei negozianti che aprivano bottega lo investì con tutta la violenza di chi non ha mai percepito il mondo per davvero, inghiottendolo in un vortice di suoni che Mayuri non pensava potessero esistere. Ogni cosa sembrava avvicinarsi alla velocità della luce, aggredendolo: le voci delle persone, lo stridere dei carretti sul selciato, il muggire sommesso dei buoi... Tutto il mondo gridava, un urlo straziante di disperazione che completava con violenza ciò che il ragazzo era stato fino a quel momento, mandando in frantumi la sua placida bolla di vetro.
Portandosi le mani alle protesi insanguinate con cui aveva sostituito le proprie orecchie, Mayuri si unì al gemito incessante della folla che, ignara, continuava a vivere la propria vita ad appena qualche passo da lui. Il suo stesso lamento stridulo e terrificante gli fece paura: molte persone si voltarono stupefatte, senza capire.
- Va tutto bene, ragazzo?
- Hey, che cos'è tutto quel sangue?
Mayuri alzò lo sguardo per l'ultima volta sul viavai di gente nella strada, le espressioni suo loro volti che adesso avevano una voce ed un'intonazione acquistavano via via sempre maggiore significato. Preoccupazione. Disgusto. Paura.
Paura... di lui?
Con un ultimo grido disperato, Mayuri cadde a terra ansimando. La folla si chiudeva attorno al suo corpo, i suoni erano sempre più forti, più nitidi, più chiari. Quando il buio calò finalmente su di lui, gettandolo nell'incoscienza dovuta alla perdita di sangue eccessiva, il ragazzo accolse la familiare sensazione di stordimento con gratitudine ed impazienza. La testa gli faceva male, ma le voci si facevano sempre più lontane oltre l'oscurità.
Due braccia forti lo sollevarono da terra, per portarlo chissà dove.
Poi, di nuovo, fu soltanto il silenzio ad impossessarsi di lui.                   

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Capitolo 7
*** VII. chapter seven; ***


@ mangaka94: mmmh... visto che sono perfettamente d'accordo con te direi che si, vale per due! :3 Rin arriva nel prossimo capitolo. :D
@ Yoko_kun: meno male che voi siete resistenti... perché in seguito la storia si farà ancora più sanguinaria. XP E se hai altri dubbi, non esitare a chiedere! :3
@ BON: Grazie! .///. Certo che continuo, anzi farò il possibile per migliorare!
@ Eden89: Infatti! E a noi piace esattamente così, no? <3


- Pare che abbia tentato di operarsi da solo. Si è tagliato via le orecchie e le a sostituite con quei pezzi di metallo...
- Povero ragazzo... non deve starci granché con la testa.
- Secondo me, potrebbe anche essere pericoloso...
Mayuri aprì gli occhi a fatica, cercando di dare un nome e un volto a quelle voci che sentiva discutere attorno al giaciglio su cui qualcuno lo aveva adagiato. Non capiva le esatte parole, perché ancora non aveva imparato ad associare i suoni ai movimenti delle labbra che da sempre erano stati il suo unico modo per comunicare con le altre persone.
- Shhht... si sta svegliando! - un uomo si mosse nervosamente al di là della porta spalancata, gettando rapide occhiate al ragazzo pallido ed emaciato che lo fissava con occhi di ghiaccio. - Lasciamo che se ne occupi Sakuragi... è lui il medico, infondo, non noi.
Il visitatore allungò le mani al di fuori del campo visivo di Mayuri, probabilmente spingendo via gli altri curiosi. Poco dopo, un rumore scricchiolante e regolare si fece strada attraverso la sua coscienza, avvicinandosi sempre di più. "Passi sul legno." memorizzò, sforzandosi di crearsi uno spazio per la percezione e il riconoscimento dei suoni nel cervello che non aveva mai avuto bisogno di simili sollecitazioni.
Era un rumore piacevole, adesso che si stava abituando a quel senso supplementare. Mayuri sbatté gli occhi una, due volte, tentando di mettere a fuoco: era ancora decisamente molto debole, e si sentiva come la volta in cui si era svegliato dopo che i bulli del paese dov'era cresciuto avevano tentato di gettarlo nel lago.
- Come stai?
Sakuragi entrò nella stanza camminando lentamente, la schiena incurvata e un'espressione dimessa e triste sul volto gentile. Mayuri abbassò istantaneamente lo sguardo, provando qualcosa di indecifrabile all'altezza del petto: vergogna? Un leggero rossore coprì le sue guance cineree.
- Bene. - La voce gli uscì troppo acuta, le sillabe mescolate fra loro. Il ragazzo spalancò gli occhi sorpreso, rendendosi conto di quanto diverso fosse il suo modo di parlare rispetto a quello della gente normale. - Bene. - Tentò di nuovo, stavolta con migliori risultati.
Sakuragi sorrise affettuosamente, come avrebbe fatto un fratello maggiore: Kurotsuchi-kun era un ragazzo determinato, sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa se ne avesse avuto la possibilità. Sarebbe potuto diventare un ottimo medico, era davvero un peccato doverlo cacciare così bruscamente...
- Agli abitanti del villaggio non è piaciuto quello che è successo tre giorni fa. - Esordì, intrecciando e districando nervosamente le mani. - Pensano che tu sia... pericoloso. Sai, non è... naturale, che una persona compia esperimenti su se stessa, neanche per il bene della scienza, capisci?
No, Mayuri non capiva. La scienza veniva prima di tutto, era più importante persino della vita... Apprendere, sperimentare, fallire e poi migliorarsi: non è questo che muove ogni uomo, e primo fra tutti lo scienziato? Sakuragi sembrava seriamente convinto delle proprie parole.
- Vedi, ragazzo... Tu sei stato il migliore assistente che io abbia mai avuto. Guardati... il tuo esperimento è riuscito. Hai ottenuto quello che volevi. Ma la gente non le capisce, queste cose. Non riesce a vedere al di là del folle che grida coperto di sangue da capo a piedi, in mezzo alla strada. La gente non capisce i mesi, gli anni di lavoro che hai trascorso a perfezionarti per raggiungere il tuo obiettivo. E, francamente, per quanto io possa invece comprenderli, sappi che non li condivido.
Il dottore si alzò lentamente, il volto serio senza neppure l'ombra del familiare sorriso. Mayuri lo guardò allontanarsi verso la porta, domandandosi se valesse la pena replicare: non era nei suoi piani trascorrere ancora del tempo all'ambulatorio, adesso che aveva acquistato l'udito era finalmente pronto per diventare uno Shinigami. Tuttavia, lasciare dietro di sé un'altra porta chiusa, senza saper dire le parole di ringraziamento che adesso poteva pronunciare...
Non ne valeva la pena.
- Me ne andrò appena sarò guarito. Grazie di tutto, sensei.
Sakuragi si voltò appena, riacquistando la sua espressione gentile.
- Di nulla. - rispose, con un tono che non faceva paura come le voci degli altri uomini nel corridoio, pochi minuti prima. - Vorrei che fossi rimasto di più, Kurotsuchi-kun. Ma immagino che là fuori saprai cavartela, in qualche modo, non è vero?
Mentre l'uomo si allontanava di nuovo in direzione delle scale, Mayuri ripensò al momento in cui era giunto al laboratorio. Era già trascorso quasi un anno, da allora, e il ragazzino determinato che era stato si era evoluto, aveva appreso molte più cose di quante non avesse osato sperare.
"Oh, me la caverò eccome, sensei. Come ho sempre fatto, del resto, da quando sono nato fino ad ora."

Appena si fu completamente ripreso, Mayuri lasciò la piccola città nella valle senza aspettare neppure un'ora in più. Sakuragi avrebbe voluto che rimanesse ancora, almeno finché non fosse iniziata la stagione più calda, ma il ragazzo declinò con decisione: la gente lo guardava con occhi davvero ostili, ora, e nonostante questo non gli importasse sapeva bene era inutile, per lui, restare laggiù. Aveva ottenuto quello che desiderava, e ora era giunto il momento di iniziare un nuovo capitolo della sua vita.
Il ricordo dei giorni passati nel piccolo studio medico sarebbe rimasto per sempre con lui, assieme alle orribili cicatrici e agli impianti metallici che ora erano diventati il suo apparato uditivo. Memorie felici, memorie angoscianti: da ogni luogo se ne raccolgono sia delle une che delle altre, in misura differente a seconda dell'occasione. In questo caso, gli aspetti positivi erano certo più di quelli da dimenticare: nonostante le protesi, non completamente nascoste dai capelli che ormai portava raccolti in una coda sulla nuca, lo facessero sembrare un mostro agli occhi di molti,  quegli strumenti erano ciò che gli permetteva di ascoltare. E, dopo l'iniziale turbamento di fronte al lamentarsi incessante del mondo, il giovane Kurotsuchi aveva imparato ad apprezzare le comodità della situazione.
Raggiunse la Seireitei in un limpido giorno di Marzo,  e si soffermò di fronte all'alto cancello sbarrato che lo separava dalla sua meta con un sorriso beffardo e soddisfatto dipinto sui lineamenti spigolosi. Stava per compiere diciotto anni, e negli ultimi mesi il suo aspetto era radicalmente cambiato: i grandi occhi ambrati si erano fatti, se possibile, un po' più cupi, perennemente atteggiati in un'espressione che sembrava stupore. D'altra parte non era forse naturale meravigliarsi, di fronte alle molte sorprese che il mondo sembrava riservare?
I lisci capelli azzurri gli ricadevano disordinati sugli occhi, decisamente troppo lunghi per i suoi gusti; li avrebbe tagliati non appena avesse avuto tempo; ovvero, auspicabilmente, di lì a poche ore. Per un certo periodo, prima di lasciare l'ambulatorio di Sakuragi-san, aveva tentato di farsi crescere un po' di barba sul mento, ma aveva rinunciato all'idea: magro e pallido com'era, quell'inutile aggiunta gli avrebbe conferito un aspetto troppo trasandato, inadatto all'idea che aveva di sè. Non sempre era un'idea positiva, e la cosa lo disturbava. Non aveva ancora trovato una propria immagine, una sua identità; e si dibatteva come un pesce sulla sabbia nel tentativo di ricreare una parvenza di equilibrio dopo che il suo preziosissimo acquario era andato in frantumi.
Col trascorrere delle ore, la speranza che i cancelli della Sereimon gli fossero aperti senza un qualche intervento da parte sua svanì assieme al sole, tramontato oltre i monti lontani. Il ragazzo sedette allora a gambe incrociate davanti alla porta, la schiena perfettamente dritta e gli occhi puntati sulle sbarre metalliche di fronte a lui; attese, semplicemente, perché non aveva voglia di gridare. Non era parte del suo carattere gridare al nulla come un ossesso, sperando in una risposta che non era certo di veder arrivare.
Solo il mattino successivo, un'immensa e massiccia figura dalle spalle ricurve si fece avanti, comparendo quasi dal nulla al di là dell'alto muro. Mayuri si voltò immediatamente ad incontrare il suo sguardo, senza traccia di emozione negli occhi; in tutta risposta, il gigante esplose in una potente risata.
- Sei qui per diventare Shinigami, moscerino? Ti ho osservato a lungo, percepisco il tuo Reiatsu chiaramente; ma devi chiedere, se vuoi ottenere qualcosa. Sei rimasto tutta la notte sveglio a fissare queste sbarre... ma il Cancello Sud del Seireimon non si apre da solo, sai?
Il ragazzo sorrise appena, un largo sorriso privo di gioia. Alzandosi, si scrollò di dosso la polvere rossa del Rukongai quasi a volersi disfare completamente di quel mondo che non aveva mai compreso appieno. Quando parlò lo fece con voce bassa, controllata, ancora un po' distorta perché non aveva ancora imparato a padroneggiarla a dovere.
- Si aprirà, invece, perché farò quello che chiedi. - Abbassando la testa in un inchino accennato, per la prima volta in tutta la sua vita quasi gridò nell'aria frizzante del primo mattino. - Permettimi di intraprendere la via per diventare Shinigami, Higo-Nyudoo, custode dello Shuwaimon.
Higo-Nyuudo esplose in una poderosa risata, osservando il ragazzo magrolino e dall'apparenza così fragile con occhi carichi di curiosità.
- Sai come mi chiamo, dunque... Devi essere un personaggio interessante ragazzo, nonostante quella tua aria da moscerino. Dimmi, qual è il tuo nome?
- Mayuri Kurotsuchi, del Distretto 76.
Il gigante si chinò in avanti, per scrutare meglio il suo volto concentrato.
- Bene, Mayuri Kurotsuchi del Distretto 76. - disse, e la sua voce cavernosa risuonò nella quiete mattutina come un colpo di cannone. - Hai il mio permesso di accedere alla Seireitei. Ti do la mia fiducia, il resto dipende da te. Onora il patto, diventa uno Shinigami.
Il giovane annuì con convinzione, senza staccare gli occhi da quelli del gigante di fronte a lui. Certo che lo avrebbe fatto... per questo era arrivato fin lì e per questo avrebbe combattuto. Senza produrre alcun suono, i cancelli del Sereimon si aprirono dolcemente di fronte a lui.

1) Shuwaimon: cancello sud, "Riva Scarlatta".
2) Mayuri conosce il nome di Higo-Nyuudo perché era scritto sulla mappa che Mujiwara gli ha dato; io lo conosco perché ho cercato su Google. :3

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Capitolo 8
*** IIX. chapter eight; ***


« As they nibble the fruit of my flesh I feel no pain,
only a magic that a name would stain.
With the first drop of my blood in their veins
their faces are convulsed in mortal pains,
the fairest cries: "We all have loved you Rael". »

[Genesis - The Lamias]

"Credevo che sarebbe stato tutto molto più complicato."
Mayuri osservò per un istante la figura magra e nervosa che lo guardava freddamente al di là dello specchio, vestita del kimono bianco e blu dell'Accademia, prima di distogliere rapidamente lo sguardo: per qualche strano motivo, l'immagine lo infastidiva. Quello era il suo primo giorno da Recluta, il momento a partire dal quale avrebbe posto le basi per l'intero futuro: probabilmente avrebbe dovuto sentirsi nervoso, ma non era affatto così.
Tutto sembrava ispirare pace e tranquillità, un idillio innaturale per chi come lui era sempre stato abituato a vedere il mondo come un luogo freddo ed ostile. La stanza che gli avevano assegnato era ampia e molto luminosa; al di là della finestra, si scorgevano il cielo ed il limitare di un boschetto di bambù.
Non c'era timore nei gesti del ragazzo, quando lasciò l'edificio dei dormitori per dirigersi verso il blocco delle aule. I suoi passi erano sicuri,  la schiena ben dritta, i movimenti fluidi e decisi; soltanto gli occhi ambrati pieni di stupore non si soffermavano mai per più di un secondo in quelli degli altri studenti, catturati dalle mille cose che c'erano da vedere e capire in quel luogo dove non era mai stato. Il cobalto dell'uniforme che indossava contrastava con il pervinca dei suoi capelli e faceva apparire la pelle ancora più pallida, alla luce del sole.
Mayuri scivolò nell'aula dove si sarebbe svolta la sua prima lezione, un'enorme stanza coi banchi disposti su vari livelli, che degradavano fino alla cattedra sistemata su una pedana alla base. Il beige e il color crema erano i toni prevalenti, assieme al miele dorato del legno e le tinte vivaci delle uniformi degli allievi. Erano già arrivate molte persone, ed i più se ne stavano raccolti in gruppetti chiassosi cercando di socializzare. Era interessante, e incomprensibile quasi, vedere come gli esseri umani non sembrano essere fatti per stare da soli.
"Circa centocinquanta persone" calcolò Mayuri guardandosi attorno, in un tentativo di valutare quanti studenti fossero iscritti al primo anno. Il brusio confuso di voci concitate, imbarazzate, eccitate era così insistente da rendergli quasi impossibile pensare: sembrava che tutti, in quel preciso istante, avessero qualcosa da dire o da chiedere. Dal canto suo, il giovane Kurotsuchi preferiva osservare.
Sedette ad un banco vicino all'angolo destro della classe, piuttosto in alto rispetto alla cattedra, in una posizione defilata. Mentre raggiungeva il proprio posto, notò un paio di studenti che fissavano attoniti le protesi metalliche che erano diventate il suo apparato uditivo: si era tagliato i capelli il giorno precedente, e adesso le ciocche corte ai lati del volto non arrivavano a nascondere le orribili cicatrici che gli deturpavano il profilo della mandibola.
"Poco male," pensò Mayuri, rispondendo con una gelida occhiata a metà tra il divertito e l'offeso allo sguardo stupefatto dei due giovani. "Li aiuterà a starmi lontano."
Nonostante avesse studiato attentamente gran parte delle facce presenti nella stanza, non c'era nessuno che ad un primo sguardo gli sembrasse degno di nota. Erano quasi tutti ragazzi e ragazze di età compresa fra i sedici e i vent'anni, con qualche eccezione; i più scherzavano fra loro piuttosto sguaiatamente, altri si guardavano attorno con timorosa circospezione. Un giovane insegnante dall'aspetto scanzonato si fece avanti e prese posto dietro alla cattedra, lanciandosi con entusiasmo in una dettagliata presentazione del corso.
- Benvenuti all'Accademia per Shinigami, io mi chiamo Akira Seiji e sarò il vostro insegnante di Teoria e Pratica del Konso per quest'anno. - nessuno dei presenti sembrava essere realmente interessato. Ben presto, la maggior parte degli studenti tornò a chiacchierare bisbigliando, ricongiungendosi nei gruppetti che si erano formati all'ingresso nell'aula. Sarebbe stato affascinante, dal punto di vista antropologico, tentare di capire con quale criterio proprio quelle persone si fossero riunite esattamente in quel modo, ma a Kurotsuchi l'antropologia non interessava. Sapeva che c'era una valida spiegazione dietro all'atteggiamento di ogni persona ma, anche se si fosse impegnato a scoprirla, di sicuro non l'avrebbe condivisa: semplicemente, la maggior parte degli esseri umani ha paura di essere lasciato da parte, di restare solo.
Tutto in quel luogo, dai colori brillanti delle uniformi ai sorrisi smaglianti delle persone, sembrava trasudare un'aura di gioia e di attesa. Mayuri, seduto in silenzio al proprio banco con il mento appoggiato su una mano, si scoprì a riflettere sul motivo per cui aveva deciso di diventare Shinigami. La Seireitei era il luogo più evoluto di tutta la Soul Society, il posto dove le menti più svelte ricevevano la loro istruzione e la tramandavano ai propri studenti. Laggiù i guerrieri diventavano tali, e così gli scienziati. Per intraprendere il percorso che si era prefissato, non c'era affatto bisogno di fare amicizia con qualcuno.
- Adesso vi passerò un elenco delle materie che seguirete quest'anno, gli orari ed i libri di testo.
Il sensei chiamò alla cattedra due studenti della prima fila, e consegnò loro due voluminosi pacchi di fogli per distribuirli ai presenti. Era un lavoro piuttosto lungo, perché l'aula era gremita, e l'insegnante ricominciò a parlare appena la coppia si fu messa al lavoro illustrando il contenuto dei documenti che tutti quanti avrebbero ricevuto tra breve. Mayuri sorrise tra sé, soddisfatto: già al primo semestre, era previsto un corso di chimica base da quattro ore settimanali.
"Tutte cose già viste, probabilmente, ma basteranno a darmi qualcosa su cui riflettere nei momenti morti." pensò, allungando distrattamente le dita scheletriche verso il foglio che gli veniva porto. Il suo sguardo scivolò su una piccola mano abbronzata, con le unghie corte e le nocche un po' sporgenti; mani da ragazzina, le maniche del kimono troppo lunghe che coprivano una parte del palmo.
Alzando la testa in un involontario moto di curiosità, incontrò un paio di occhi eterocromatici che lo guardavano interessati da un volto serio ma tranquillo, incorniciato da lisci capelli biondo cenere che terminavano all'altezza delle spalle in onde leggere color rosa fragola. Mayuri ricambiò l'occhiata con diffidenza, cerando di comprendere l'espressione di lei; la ragazza stava guardando le protesi metalliche che erano le sue orecchie, ma non c'era orrore nel suo sguardo. Piuttosto, la sua espressione lasciava trapelare una sorta di educato interesse, che si trasformava in leggero scherno negli angoli delle labbra rosse atteggiate in un impercettibile sorriso.
Kurotsuchi ricambiò l'occhiata di lei, atteggiando la bocca in un sogghigno che durò appena il tempo di mormorare "grazie" con tono canzonatorio, mentre prendeva il foglio dalle sue mani e si voltava tornando ad ignorarla. Una ragazzina che non passava inosservata, uno sguardo come ce ne sono pochi in natura: l'iride destra era verde come lo smeraldo, la sinistra di un profondo viola.
Lo scambio durò poco più di un istante, e si concluse con la semplicità con cui era iniziato. Quando Mayuri si fu voltato la giovane Recluta sogghignò a sua volta, un'ombra di divertito stupore nell'espressione tranquilla del viso. Poi ritrasse il braccio con naturalezza, e si allontanò silenziosamente per proseguire la consegna degli orari.

La settimana successiva trascorse rapida e tranquilla, tra corsi teorici ed esercitazioni pratiche; soltanto alla sera gli studenti avevano a disposizione qualche ora di riposo, e la maggior parte di loro era troppo stanca persino per dedicarsi ad attività ludiche di qualsiasi genere. Dal canto suo, Mayuri non avrebbe comunque partecipato a nessuna iniziativa che prevedesse la collaborazione con altre persone: nei sei giorni trascorsi all'Accademia non aveva neppure tentato di farsi un amico, e a stento si era preoccupato di imparare i nomi dei compagni di corso.
Il più delle volte le lezioni si svolgevano a gruppetti di circa trenta studenti l'uno, e le varie "classi" così suddivise si spostavano da un'aula all'altra secondo una tabella di orari stabilita il primo giorno. Mayuri ricordava a stento le facce delle centocinquatratrè giovani reclute che, come lui, erano iscritte al primo anno:in genere non faceva neppure caso alla persona accanto cui era seduto. Gli unici volti che in un certo senso gli erano rimasti in mente erano quelli di un paio di ragazzi che aveva visto il primo giorno nell'aula quasi vuota, e quello della giovane studentessa dalle iridi eterocromatiche.
Nonostante si ricordasse di loro, tuttavia, Kurotsuchi non aveva intenzione di far nulla per tentare di conoscerli meglio. L'amicizia non gli interessava, la compagnia non gli serviva affatto; gli altri studenti erano così impegnati nelle loro relazioni sociali da disinteressarsi totalmente alle lezioni, e tutto quel menefreghismo lo infastidiva profondamente senza una ragione precisa.
- Silenzio, per favore; ho una comunicazione per voi.
L'insegnante di chimica era uno Shinigami di circa quarant'anni, magrolino e dall'aspetto bonario. La sua materia veniva considerata come uno scomodo extra dalla maggior parte degli studenti, che consideravano "importanti" soltanto i corsi dove c'era da combattere o utilizzare il Reiatsu. Nonostante questo Atachi-sensei continuava ad impegnarsi nel proprio lavoro, parlando con un tono calmo e pacato, apparentemente incurante del leggero brusio che costantemente faceva da sottofondo alle sue spiegazioni.
Anche in quel momento, accorgendosi di non essere in grado di ristabilire il silenzio nel laboratorio, l'insegnante si limitò a scrollare le spalle con indifferenza e proseguire stoicamente col suo discorso, alzando appena la voce per sovrastare il rumore.
- Come sapete, questo corso richiede l'utilizzo di strumenti anche costosi e spesso fragili. Nel foglio che vi ho fatto avere all'inizio della lezione c'è un elenco degli oggetti che vi dovrete procurare; il resto per vostra fortuna lo fornisce l'Accademia, ed è contenuto in quegli armadi. - Atachi fece una pausa, indicando con un ampio movimento del braccio due alti mobili metallici nell'angolo destro della stanza. - Del laboratorio in genere mi occupo io, ma in alcuni casi potrei aver bisogno della vostra collaborazione. Ho bisogno di due studenti che si prendano l'impegno di riordinare gli strumenti, catalogarli a fine lezione, lavarli... cose del genere insomma. Volontari?
Silenzio. Gli alunni presero a lanciarsi occhiate incuriosite fra loro, alcuni dandosi gomitate o ridacchiando sommessamente: il corso di chimica era l'ultimo del venerdì sera, e prendersi un impegno del genere equivaleva a privarsi di parte dei festeggiamenti del finesettimana. Apparentemente, nessuno tranne Mayuri sembrava intenzionato a rinunciare alla propria dose di riposo; lui fu l'unico ad alzare la mano pallida, con decisione, guardando il professore con un misto di scherno e curiosità negli occhi ambrati. Divertito, quasi...
... Atachi non si rendeva conto di quello che stava facendo. Con un sorriso, si voltò verso il ragazzo e puntò un dito nella sua direzione.
- Eccellente! Lei è il signor...?
- Kurotsuchi Mayuri.
- Bene, signor Kurotsuchi. Grazie per la collaborazione, si fermi qui qualche minuto alla fine della lezione per definire i dettagli. Altri volontari?
Mayuri rise fra sè, abbassandogli occhi per paura che l'insegnante potesse leggervi il divertimento e la sorpresa che li pervadevano.
Collaborazione! Quello sciocco gli aveva offerto un'occasione d'oro, e adesso lo ringraziava persino. Atachi si guardava attorno raggiante, cercando di intercettare uno sguardo colpevole o dubbioso in quel mare di espressioni sfuggenti. Niente da fare: alla fine levò il braccio destro con aria teatrale, puntando il dito verso qualcuno seduto due file più indietro rispetto a Mayuri.
- Lei, allora. Perfetto. Come ha detto che si chiama?
Da un punto imprecisato alle spalle del ragazzo giunse una bassa imprecazione. Mentre Kurotsuchi si voltava, appena interessato di scoprire chi fosse la persona con cui sarebbe stato costretto a dividere quei minuti extra di laboratorio, una voce chiara e piena di rancore rispose senza entusiasmo alla domanda posta da Atachi.
- Rin Hisegawa, signore. Devo proprio, vero?
Le labbra di Mayuri ebbero un leggero moto di sorpresa, mentre i suoi occhi ambrati incontravano quelli della ragazza. Completamente disinteressata alla risposta affermativa del professore, Rin lo stava guardando intensamente, le iridi eterocromatiche velate da un misto di curiosità ed immotivato rancore.

1) Per il capitolo dell'incontro fra Rin e Mayuri ho citato "The Lamia" dei Genesis... dopo attenta riflessione mi sembrava che fosse la canzone più adatta alla situazione, nonostante apparentemente non abbia nulla a che fare con la storia. Ad un livello più "metaforico", è così che vorrei sviluppare il rapporto tra questi due personaggi. Mi rendo conto che sarà davvero difficile riuscirci, ma comunque ci voglio provare. :D Potrei dilungarmi a spiegare i motivi della mia decisione, ma credo che la canzone di per sé sia abbastanza esplicita; quindi allego la traduzione, alla fine di "Wild Lilies" magari potrete rileggerla e dirmi se sono riuscita a restituire le sensazioni che essa trasmette attraverso la mia storia. :3
« L'odore si fa più acuto, sa di essere vicino / scopre un lungo corridoio illuminato da candelabri. / Ad ogni suo passo il profumo cambia da una fragranza familiare in strani aromi. / Una sala fastosa incontra il suo sguardo. / All'interno una lunga vasca di acqua rosata e avvolta da una nebbia leggera. / Attraversando il silenzio umido, viene baciato da una brezza gentile. / Pensando di essere solo, entra nella stanza come se fosse a casa propria / ma increspature sulla dolce acqua rosea rivelano una compagnia inaspettata. / Rael si sofferma attonito non credendo ai propri occhi / stupefatto dalla bellezza, catturato dal terrore / tre serpenti scarlatti dal volto di donna, / il più piccolo movimento comunque aggraziato. / Melodie attutite riempiono la sala echeggiante, / ma non c'è alcun segno di avvertimento nel richiamo delle sirene: / "Benvenuto, Rael, noi siamo le Lamia della vasca. / Ti aspettavamo affinché le nostre acque ti portassero refrigerio." / Lasciando indietro la paura, crede ciecamente nella bellezza, / scivola nel nettare lasciando indietro gli abiti laceri. / "Con la lingua provano, assaggiano e giudicano tutto ciò che è mio / si muovono in una serie di carezze / che aleggiano su e giù per la mia schiena. / Come mordono il frutto della mia carne io non sento dolore, / solo una magia che si rovinerebbe, se le dessi un nome. / Con la prima goccia del mio sangue nelle vene / le loro facce sono sconvolte da un dolore mortale." / La più bella grida "Noi ti amavamo, Rael." / Ogni corpo simile ad un serpente fluttua, dolore silenzioso in navi vuote / Un odore agre e malato riempie la stanza, l'aspro frutto di un germoglio morente / In cerca di movimenti che sono certo di non scorgere / accarezzo le spire che ora stanno diventando pallide, con cui poco prima giacevo. / "Oh, Lamia, la carne che resta di te la prenderò per cibarmi," / è il profumo dell'aglio che indugia sulle mie dita di cioccolato. / Guardando indietro l'acqua diventa di un blu ghiacciato / le luci si abbassano e di nuovo il palcoscenico è pronto per te. »
Nota: La traduzione l'ho fatta "a braccio" quindi mi scuso se le parole non sono le più adatte o le più poetiche; comunque il senso è quello, e tanto basta. XD Per la corretta definizione di "Lamia" (( che non è esattamente quella della canzone )), andate qui su wikipedia, tanto per cambiare. :P
2) Il carattere di questa Rin è leggermente diverso da quello della Rin di Bleeding - FFF, e così pure il suo aspetto. Il character design è semplicemente quello di Rin all'accademia, che avevo già pensato ai tempi di Bleeding - FFF così, tanto per fare. Il comportamento invece è un po' meno impersonale, più cattivello e nel complesso molto più spigliato. Immagino che dipenda dal fatto che qui non ci sono state grandi tragedie familiari a turbare la sua adolescenza...

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Capitolo 9
*** IX. chapter nine; ***


Mi scuso per il ritardo nel postare, il mio computer mi ha dato la scossa e ho dovuto portarlo al macstore (( dove non ci hanno trovato difetti, quindi non l'hanno accomodato )). In ogni caso adesso ho di nuovo tra le mani il portatile e (( in attesa di trovare una soluzione al problema )) posso andare avanti con Wild Lilies. Grazie a tutti quelli che continuano a commentare! Il vostro sostegno mi fa veramente bene. X*

«Flashed up in my wildest dreams
the dark red blood streams
stretching out like vast cracked ice.
The veins of you, the veins of me
like great forest trees
Pushing through and on and in.»

[Snow Patrol, “Lifeboats”]

- Queste sono le chiavi del laboratorio. Le raccomando di non perderle, o passeremo entrambi dei guai.
Atashi sorrise allegramente a Mayuri, lasciando scivolare qualcosa di metallico e luccicante tra le sue lunghe dita. Il ragazzo annuì appena, guardando l'insegnante dal basso verso l'alto: non doveva lasciar trapelare alcuna emozione, altrimenti avrebbe capito. Doveva mostrarsi infastidito ed annoiato, come sarebbe stato qualsiasi  studente al posto suo: chi altri avrebbe potuto mostrare soddisfazione nel sentire la piccola e gelida chiave pungere i polpastrelli, promettendo lunghe ore di reclusione in una stanza asettica ed impersonale? Soltanto lui, il genio, il folle... lui solo poteva gioire di fronte ad una simile prospettiva.
Svogliatamente lanciò un'occhiata alla ragazza che, teoricamente, avrebbe dovuto aiutarlo. Rin Hisegawa si guardava attorno incuriosita, apparentemente disinteressata alla conversazione, e non sembrava entusiasta del compito che le era stato assegnato. A dire il vero, era piuttosto difficile stabilire che cosa le passasse per la mente in quel momento: il suo volto era rilassato, sfiorato appena da un'espressione che poteva essere vago interesse per i molteplici strumenti sconosciuti del laboratorio. Con un po' di fortuna, Mayuri sarebbe riuscito facilmente a convincerla a lasciargli tutto il lavoro e togliersi dai piedi.
- Allora conto su di voi. Arrivederci a venerdì prossimo, ragazzi. - Atashi-sensei si allontanò a passo spedito senza voltarsi indietro, già distratto da chissà quale pensiero. Kurotsuchi lo osservò scomparire attraverso il corridoio che andava a mano a mano facendosi più scuro nella luce serale, poi si voltò nuovamente verso la ragazza che adesso gli dava le spalle, le mani intrecciate dietro la schiena. Non sembrava affatto preoccupata o infastidita al pensiero del compito che le era stato affidato; probabilmente era una di quelle persone disposte ad assecondare qualsiasi richiesta degli insegnanti, pur di fare bella figura.
Una simile prospettiva avrebbe reso tutto più complicato, ma valeva comunque la pena di tentare.
- Hisegawa-san.
Rin si voltò immediatamente, rapida come uno scoiattolo ed altrettanto sospettosa. I suoi occhi non ebbero difficoltà ad incontrare quelli seri e gelidi di Mayuri, in piedi accanto alla porta a qualche metro da lei. In perfetto silenzio, la ragazza attese che il suo interlocutore ricominciasse a parlare.
- Atashi-sensei ti ha praticamente costretta a fare questo lavoro. Non devi aiutarmi, se non vuoi. - Suonare così conciliante gli costava una fatica incredibile. Parlare gentilmente, fingersi interessato per la sorte di lei, era più complicato di quanto immaginasse. Mayuri si sforzò di capire come dovesse sentirsi una persona "premurosa" e, nonostante non ci riuscisse davvero, proseguì tentando di mantenere almeno un tono basso e controllato.
- Posso benissimo cavarmela da solo. Un unico responsabile è più che sufficiente, davvero.
L'espressione stupita e incredula che lei gli lanciò di rimando fu sufficiente per il ragazzo a capire che il suo piano non era andato a buon fine. Rin inclinò leggermente la testa da un lato, confusa, poi in un istante parve riacquistare il controllo di sé e sorrise con falsa gentilezza.
- E' davvero... carino da parte tua, Kurotsuchi-san, ma non è necessario. Mi sentirei in colpa a lasciarti tutto il lavoro... e poi, potrebbe essere una buona occasione per conoscerci meglio, non ti pare?
Mentre parlava, la sua espressione angelica si trasformava sempre di più in qualcosa di malvagio. Mayuri aggrottò le sopracciglia, innervosito, domandandosi per quale motivo quella ragazza avesse deciso di contrastarlo. Non sembrava aver capito le sue intenzioni, né dava l'impressione di odiarlo per un motivo particolare: semplicemente, all'apparenza Rin Hisegawa provava piacere nel fare esattamente l'opposto di quanto le veniva domandato.
- Come vuoi, allora. - Kurotsuchi non era il tipo da insistere troppo a lungo con le buone; avrebbe trovato un altro sistema per liberarsi di lei, certo che lo avrebbe trovato.
La ragazza sorrise di nuovo, ricomponendo la propria espressione innocente con una rapidità degna di un'attrice. Chinandosi leggermente in avanti con aria confidenziale, parlò con voce gentile e carica di simpatia come se davvero non vedesse l'ora di passare del tempo con lui.
- Perfetto! Scommetto che diventeremo un sacco amici, io e te, che ne dici?
Mayuri sogghignò di rimando, voltandosi verso la porta spalancata. Prima di scomparire a sua volta nel corridoio ormai scuro, lanciò un'ultima occhiata alla giovane Recluta in piedi dall'altro capo della stanza. Decisamente, prima o poi avrebbe fatto in modo che quella ragazzetta molesta si togliesse dai piedi.
- Ne sono certo, Hisegawa-san. Amici per la pelle, te lo posso assicurare.

Venerdì sera, finalmente.
Rin sedeva alla finestra, lo sguardo rivolto verso il boschetto di bambù che fremeva nel vento ormai pungente d’inizio Ottobre. Si sentiva stanca, insolitamente provata da quella prima settimana di Accademia: non era abituata a stare a stretto contatto con le altre persone, perché a casa sua le capitava raramente di avere compagnia. Secondogenita di una delle ultime cinque famiglie nobili della Soul Society, aveva poche occasioni di vedere suo padre o suo fratello Hikaru, entrambi troppo impegnati nei molteplici compiti che il loro ruolo sociale imponeva.
La ragazza sospirò impercettibilmente, spostandosi con cautela per non urtare la tazza da thé vuota che una delle sue compagne aveva abbandonato sul davanzale qualche giorno prima.
“Come vorrei che mi fosse capitata una stanza singola, almeno.”
A casa, Rin aveva una camera immensa tutta per sé. Adesso, doveva dividere uno spazio relativamente ristretto con altre tre studentesse del suo anno, che conosceva a mala pena. Mako, Sana e Keiko erano simpatiche e gentili, ognuna con la sua personalità ed un’inesauribile riserva di aneddoti da raccontare; tuttavia, dopo una giornata di lavoro in mezzo a tante altre persone, alla giovane Hisegawa sarebbe piaciuto anche trascorrere un po’ di tempo da sola in santa pace.
- Hey, Rin-chan, che ne dici di questo? – Mako si sedette con una piroetta sul suo letto, mostrando un nastro verde scuro legato tra i capelli neri come l’ebano.
- Carino, mi piace. Come colore preferivo quello rosa, però. – Sorrise Rin, cercando di mostrarsi almeno un po’ interessata all’acconciatura della nuova amica. – Hai i capelli così scuri, le tinte tenui ti donano molto di più.
Ipocrita, ipocrita, ipocrita! La verità è che la sua mente era ben lontana.
Mako annuì ignara, apparentemente soddisfatta della risposta ricevuta, e balzò di nuovo in piedi in cerca del nastro che l’altra le aveva suggerito. Rin la osservò saltellare qua e là, allegra e piena di vita, e si domandò dove trovasse la forza di essere ancora così energica anche dopo una settimana impegnativa come quella passata. Adesso, era il momento adatto per sedersi col mento in una mano, in silenzio, e soffermarsi a pensare.
“A conti fatti, il corso più interessante fin ora è proprio quello di chimica, nonostante tutto.” Che strano, nessuno sembrava pensarla come lei… tranne forse quello strano ragazzo pallido dall’aria scostante, quello che era stato incaricato di badare al laboratorio. “Si è persino offerto volontario per il lavoro extra. Mah. Sarà un esibizionista, anche se ad una prima occhiata avrei detto esattamente il contrario.”
Mayuri Kurotsuchi.
Rin non aveva mai incontrato qualcuno come lui prima di allora. Non che di gente ne avesse vista molta, in effetti, sempre reclusa nella vasta prigione che era la villa di suo padre; in ogni caso, non era necessaria un’ampia conoscenza del genere umano per rendersi conto che quel giovane aveva qualcosa di diverso da chiunque altro.
Il fisico dall’aspetto resistente ma esageratamente magro, il pallore cinereo, le cicatrici sulla mandibola e quelle strane protesi metalliche alle orecchie… tutto, di lui, incuteva un certo timore e portava a domandarsi quali pensieri passassero attraverso quella mente in continua rivoluzione. Quanti anni poteva avere? Ne dimostrava diciotto, più o meno.
“Che cosa può essergli capitato, in soli diciotto anni, per essere diventato in quel modo?” Rin, vissuta nel tepore confortevole di una famiglia attenta e protettiva, non riusciva ad immaginarlo. Nei suoi pensieri, non poteva venire a capo dello sguardo che aveva letto in quegli occhi color oro liquido: non lo capiva.
- Vado a fare una passeggiata. – Disse improvvisamente, alzandosi dal letto in uno slancio inaspettato di energia. Aveva bisogno di riflettere in santa pace, lontana dalla confusione e dalle distrazioni. Le altre la osservarono allontanarsi incuriosite, ma non proferirono parola; soltanto quando fu uscita, il chiacchiericcio e le risate ripresero più forti di prima.
Era inutile, per quanto si impegnasse non ci sarebbe riuscita. Rin Hisegawa non sarebbe mai stata capace di integrarsi in quel mondo spensierato e idilliaco che non le apparteneva.

Camminò attraverso il corridoio immerso nella semioscurità, fino a raggiungere la porta principale del dormitorio. Fuori si stava facendo buio, e densi nuvoloni si affacciavano all’orizzonte promettendo una nottata di pioggia. Rin scivolò al di là dell’entrata, facendo scorrere dietro le spalle il pannello di legno chiaro: era fuori. Un’improvvisa folata di vento la accolse all’aperto, facendola rabbrividire: l’indomani avrebbe fatto più freddo, forse sarebbe stata una buona idea portarsi qualcosa di pesante da indossare sopra il kimono.
“Pazienza. Speriamo solo di non prendersi un raffreddore.” Camminò nell’erba umida verso il boschetto poco distante, la testa china per impedire ai capelli mossi dal vento di ostruirle la visuale. Raggiunta la distesa di bambù che ondeggiava leggera nell’aria serale, sedette al riparo degli esili tronchi abbracciandosi le ginocchia con le mani.
Che pace che c’era, laggiù! Le sembrava di essere tornata di nuovo bambina, quando si nascondeva tra le piante del giardino per non essere costretta a indossare gli sfarzosi yukata che sua madre le comprava per le occasioni formali. Puntualmente, qualcuno la scovava ogni volta e la riportava a casa sgridandola; tuttavia era piacevole, anche se per poco, osservare senza essere vista e fingere di essere completamente sola.
“Vorrei poter stare qui per sempre.” Si disse Rin rilassando i lineamenti del volto in un sorriso tranquillo, per nulla preoccupata dal buio che progressivamente si stendeva sul giardino silenzioso. Si sentiva stranamente al sicuro, nell’abbraccio accogliente del bambù che la riparava dal vento: nessuno avrebbe potuto rovinare quell’istante meraviglioso... Nella placida quiete della sera...
- Hisegawa-san.
Conosceva quel tono di voce. Rin aprì gli occhi rabbrividendo, leggermente confusa: che cosa era successo? Sentiva freddo, una sensazione sgradevole che le attraversava la pelle entrando nelle ossa fino al midollo: si era addormentata. Per quanto tempo? Non lo sapeva.
- Stai cercando di prenderti una polmonite?
Sollevò lo sguardo ancora assonnata, cercando di distinguere nel buio il sogghigno che ricordava così bene. Tutto ciò che vide fu una figura alta in piedi di fronte a sé, le braccia distese lungo i fianchi ed i pugni serrati. Si manteneva a debita distanza, come fosse infastidita all'idea di entrare in contatto con un altro essere umano.
- Sei venuto fin qui solo per dirmi questo? Gentile da parte tua.
Parlò con finto stupore, un'espressione innocente sul volto un po' infantile: niente da fare; per qualche strano motivo, si divertiva moltissimo a prendersi goco di lui. Kurotsuchi rispose a bassa voce, il sogghigno sulle labbra che si trasmetteva, attraverso il tono ironico e falsamente dolce, fino alle sue parole.
- Dovere.
Certo, come no. Rin si alzò in piedi, scrollandosi di dosso l'erba bagnata, fronteggiando il suo interlocutore. Era la prima volta che si trovavano faccia a faccia così vicini, e la ragazza si rese conto con un moto di sorpresa di essere più bassa di lui di almeno venti centimetri. Non era il momento di lasciarsi intimorire.
- Che cosa vuoi davvero, Kurotsuchi-san?
- Soltanto rinnovare la mia offerta di occuparmi da solo del laboratorio. Forse, se ci riflettessi bene, ti renderesti conto che alla fine conviene a tutti e due.
Rin sollevò un sopracciglio, sorpresa.
- A tutti e due? E per quale motivo vuoi liberarti di me Kurotsuchi-san?
Lui rise a bassa voce, una risata priva di gioia.
- Ti sbagli, Rin Hisegawa. E' proprio perché non voglio essere costretto a liberarmi di te che ti sto chiedendo gentilmente di lasciar perdere il lavoro.
La ragazza inclinò la testa da un lato: la faccenda si faceva interessante. Mayuri custodiva un qualche segreto, un segreto che ovviamente non desiderava svelare. Per ottenere il suo scopo, però, si era imprudentemente spinto al limite: la prossima mossa di lei avrebbe dovuto risolversi in una domanda, l'unico interrogativo che sarebbe stato logico formulare.
"A cosa ti serve il laboratorio? Qual è il tuo piano?"
Lui se lo aspettava. Glielo leggeva nell'espressione vagamente innervosita degli occhi color miele che brillavano sinistramente nella fioca luce che ancora risplendeva ad ovest. Se adesso avesse pronunciato quella frase, Rin avrebbe perduto ogni occasione di sapere.
Di solito era una sua scelta personale comportarsi in modo imprevedibile, tanto per divertirsi un po': adesso questo comportamento appariva quasi necessario.
- D'accordo, Kurotsuchi-san. Come vuoi. Infondo non m'importa granché di ammazzarmi di lavoro extra, sai...
Rin sorrise allegramente, parlando col tono vivace di chi infondo non aspettava un'occasione migliore. Mayuri sogghignò a sua volta, rilassando i muscoli delle mani visibilmente più tranquillo, ma i suoi occhi erano ancora seri: una mente di scienziato non esclude la minima possibilità di fallimento, nemmeno la più remota.
La ragazza gli lanciò una rapida occhiata, scrutando ogni reazione da parte di lui: avrebbe dovuto stare attenta, molto attenta, e giocare bene ogni carta a sua disposizione. Del resto l'Accademia era un luogo così noioso... un piccolo mistero era esattamente quello che ci voleva a tenerle la mente impegnata durante i momenti morti tra una lezione e l'altra. Un mistero, quello, che sembrava creato su misura per lei.
Annuì, senza cambiare espressione.
- Affare fatto, allora.
Con finta naturalezza, Rin tese in avanti la mano destra affinché Mayuri la stringesse per suggellare quell'improbabile accordo. Lui la fissò per un istante, esitando interdetto: l'idea di toccare un'altra persona, di entrare in contatto con qualcosa che gli sembrava di non capire appieno lo faceva sentire a disagio. Tuttavia, sarebbe stato sciocco creare dei problemi in quel modo proprio ora che era ad un passo dalla vittoria. Controvoglia, sfiorò per un attimo quella piccola mano: era fredda, più fredda della sua, a causa di tutto il tempo trascorso all'aperto nell'erba bagnata.
- Affare fatto. - Rispose, allontanandosi di nuovo da lei con evidente sollievo. Si voltò per andarsene, poi esitò un istante come domandandosi se fosse il caso di aggiungere qualcosa. Sentiva ancora il gelido tocco di quelle dita sottili fra le sue, e la sensazione non gli piaceva.
- Faresti meglio a rientrare, ragazzina, dico sul serio.
Rin lo guardò allontanarsi verso i dormitori, perfettamente silenzioso, l'orlo del kimono che ondeggiava leggermente nel vento serale: era stato un incontro davvero interessante, sorprendente e inaspettato. Quel ragazzo la incuriosiva sempre di più, e lei non l'avrebbe lasciato scappare; sentiva ancora la sensazione del contatto con la sua pelle, e sapeva quanto quella breve stretta di mano dovesse essergli costata.
Kurotsuchi Mayuri aveva un segreto che era disposto a difendere praticamente a qualsiasi costo. E lei, Rin Hisegawa, lo avrebbe scoperto di sicuro.

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Capitolo 10
*** X. chapter ten; ***


"My specre around me night and day
like a wild beast guards my way.
My emanation far within
weeps incessantly for my sin."

[William Blake, "My Spectre Around Me Night and Day"]

Nella palestra assolata, il ragazzo pallido osservava due studenti impegnarsi con tutte le proprie forze in un combattimento serrato. Le lezioni pratiche con la katana andavano per la maggiore, all'Accademia per Shinigami, e tutte le nuove reclute aspettavano con ansia le otto ore settimanali durante le quali avrebbero potuto mettere in moto i muscoli senza essere costretti a mandare a mente pagine e pagine di nozioni.
In parte questo successo era dovuto al fatto che, effettivamente, tutti gli altri corsi del primo anno si fondavano prevalentemente sulla teoria. Il motivo principale, tuttavia - Mayuri ne era ormai praticamente certo - era legato alla scelta dei docenti incaricati delle lezioni in palestra. Il sensei Hikaru e la sensei Harada erano appena usciti loro stessi dall'Accademia, ed erano gli idoli delle matricole così come di alcuni degli studenti più anziani.
Hikaru aveva soltanto ventitrè anni, capelli spettinati biondo cenere e un carattere gentile ma vagamente altezzoso che lo rendeva irresistibile agli occhi delle giovani reclute. La ventottenne Harada, con la sua lunga chioma castano chiaro e i grandi occhi verdi, era la protagonista principale delle fantasie dei ragazzi presenti.
Kurotsuchi sembrava immune al fascino esercitato dalla coppia di insegnanti: ogni ora tracorsa nella palestra assolata era sprecata, perché concentrarsi sul combattimento gli impediva di seguire il corso dei propri pensieri. Si limitava a starsene in un angolo in attesa del proprio turno, e poi eseguiva gli esercizi assegnati impegnandosi come meglio poteva. Non era un grande spadaccino, e non si era mai dedicato particolarmente agli esercizi necessari per migliorare, ma la cosa non sembrava importargli granchè: lui era un uomo di scienza, non un lottatore.
Da quando Rin aveva accettato di lasciare a lui il compito di occuparsi del laboratorio, Mayuri aveva iniziato a frequentarlo non soltanto il venerdì sera ma anche in ogni altro momento a sua disposizione: aveva imparato gli orari in cui la stanza era occupata ed approfittava di ogni secondo libero per recarsi laggiù. Così facendo, nel tempo aveva accumulato una serie di strumenti dimenticati dagli altri allievi che, atteso il periodo necessario ad assicurarsi che nessuno li venisse a reclamare, erano andati ad ampliare la sua piccola collezione personale.
All'Accademia per Shinigami, finalmente, c'era tutto il materiale necessario per iniziare a lavorare sul serio.
- Odierei meno queste lezioni se mio fratello non continuasse a fare il cascamorto con le ragazzine.
La Hisegawa si avvicinò a lui, un'espressione annoiata dipinta sui lineamenti un po' infantili del viso. Mayuri si voltò svogliatamente a fronteggiarla, preparando il solito ghigno da esibire nel caso in cui lei avesse tentato un altro dei suoi colpi bassi: da quella sera, nel boschetto di bambù, Rin aveva preso l'abitudine di apparire al suo fianco quando meno se l'aspettava e comportarsi in modo strano, tanto per vedere la sua reazione.
Col tempo, il ragazzo aveva semplicemente finito col farci l'abitudine.
- Immagino. - commentò totalmente disinteressato, ma senza riuscire a risparmiarsi un'occhiata in direzione di Hikaru. Il sensei stava mostrando a Keiko il modo corretto di eseguire un fendente, e si chinava verso di lei con una solerzia visibilmente sopra le righe.
Adesso che ci faceva caso, Mayuri trovava la situazione abbastanza curiosa, ma naturalmente non avrebbe mai dato alla sua interlocutrice la soddisfazione di sapere che cosa pensava.
- Oh, non fare finta di essere interessato solo per farmi piacere. - Replicò sarcastica Rin, guardandosi attorno in cerca delle altre compagne di stanza: Mako si stava allenando con un tipo mingherlino con cui lei non aveva mai parlato, mentre Sana era seduta in un angolo ed osservava Hikaru con sguardo adorante. - E la Ogawa potrebbe evitarsela, quella espressione, almeno finché sa che sono presente anch'io.
Con naturalezza, la Hisegawa sfiorò il braccio di Mayuri per attirare la sua attenzione verso la giovane recluta dall'altro capo della stanza, ancora persa nei propri pensieri tinti di rosa. Al leggero contatto delle dita di Rin con la stoffa del kimono, Kurotsuchi si ritrasse involontariamente come se si fosse scottato. Lei fece una leggera risatina, scrollando le spalle, ma non disse nulla; tornò a concentrarsi sulla lezione sempre sorridendo, lasciando in lui la sensazione di essere stato ingannato.

Il giorno successivo, venerdì, si tenne una prova pratica nel laboratorio di chimica dell'Accademia. L'esperimento era piuttosto difficile per degli studenti alle prime armi, e apparentemente nessuno tranne Mayuri sembrava in grado di gestire i vari componenti nel modo richiesto dall'insegnante. Osservando i compagni di classe consultare freneticamente il manuale in cerca di suggerimenti che non avrebbero trovato, Kurotsuchi sorrise tra sé: sarebbe stato fin troppo facile, quell'esperimento, se solo avessero ascoltato il sensei il giorno in cui aveva spiegato le differenze tra acidi e basi.
"Potrei provare a modificare leggermente le dosi, giusto per vedere quello che succede." Considerava lo studente, guardando attraverso la provetta piena di liquido verdastro che brillava sinistramente alla luce dei neon. Di fronte a lui, il documento che doveva consegnare al termine della lezione era già compilato in una calligrafia ordinata e minuta.
"E' così noioso, dover aspettare che gli altri finiscano il lavoro!" Mancava ancora mezz'ora allo scadere del tempo assegnato a quella prima prova pratica. Mezz'ora di inattività, costretto a restare immobile al proprio posto quando invece avrebbe potuto sperimentare tante altre nuove reazioni. Tempo sprecato, tutto per dare la possibilità a quel branco di menefreghisti di portare a termine un compito di cui neppure si interessavano.
Alla sua sinistra, due ragazzine dall'aria agitata confrontavano i reciproci risultati a bassa voce. Fino a quel momento, erano tutti sbagliati. Mayuri ridacchiò a mezza voce, considerando che non avrebbero mai totalizzato un punteggio sufficiente a superare quell'esame. Certo, lui avrebbe anche potuto suggerire... se solo fosse stato un'altra persona. Kurotsuchi non era il tipo da aiutare qualcuno che si era rifiutato di interessarsi al momento opportuno, gente che avrebbe potuto ottenere dei risultati se si fosse impegnata un po' di più a tempo debito.
"E ora raccogliete quello che avete seminato." Meglio così. Senza dubbio sarebbe stato l'unico a prendere dieci, stavolta.
Alzando lo sguardo svogliatamente dal tavolo da lavoro, gli occhi del ragazzo incontrarono quelli incuriositi di Rin Hisegawa. Lei lo stava fissando col sorriso sulle labbra, il mento poggiato su una mano. Di fronte a sé, la provetta contenente il preparato che l'insegnante aveva chiesto di realizzare era di un verde brillante, esattamente come quella di lui.
"Beh, se non altro hai azzeccato il colore." Considerò Kurotsuchi, senza staccare lo sguardo dalla giovane. I suoi occhi si fecero gelidi come il ghiaccio, mentre le labbra si schiudevano in un breve sogghigno di scherno. Per tutta risposta, lei lo salutò con un cenno del capo.
Maledetta ragazzina.
Aveva già terminato l'esperimento, oppure aveva semplicemente dato forfait? Il foglio con i calcoli e la descrizione del procedimento sembrava perfettamente compilato... probabilmente aveva semplicemente scritto un sacco di stupidaggini, come le due studentesse preoccupate accanto a lui. Eppure, Rin sembrava così serena... Serena come sa esserlo soltanto una persona molto sicura di sé, oppure al contrario una molto stupida.
"Vedremo, Hisegawa. Sono proprio curioso di sapere che cosa hai combinato."
In quel preciso momento, Atashi-sensei battè due volte le mani annunciando lo scadere del tempo previsto per l'esame.
- Come? Di già?
- Ma io non ho ancora finito!
- Non posso mica presentare questo schifo!
Un mormorio di protesta si levò dagli studenti affaccendati, alcuni dei quali erano ancora alle prese con le varie componenti della reazione. L'insegnante rise sommessamente con la sua solita voce quieta.
- Fine dell'esercizio, ragazzi. Consegnate quello che avete fatto, e non preoccupatevi troppo del risultato... assegnerò i giudizi in base alla media della classe, quindi l'importante è che abbiate almeno fatto schifo tutti allo stesso modo!
Mayuri poteva chiaramente percepire gli sguardi di tutti i presenti puntati sulla sua schiena. Ognuno di loro sapeva che no, la media non sarebbe stata bilanciata.
"Peggio per voi." Si disse, dardeggiando occhiate di ghiaccio in risposta quelle ostili e rancorose dei suoi compagni di corso.
Davvero, non glie ne importava niente di niente del voto che avrebbero preso.
- Appenderò i risultati nella bacheca fra tre giorni, quindi siete pregati di andare a controllare immediatamente. Se qualcuno ha preso un voto particolarmente basso, farà bene a studiare per venerdì prossimo perché nel novanta percento dei casi verrà interrogato. - Una pausa, inghiottita da nuovi mormorii. - Tutto chiaro? Benissimo, allora. Per oggi è tutto, potete andare.
Gli studenti si dispersero mormorando, seguiti a breve distanza da Atashi-sensei. Nonostante le iniziali proteste nessuno sembrava particolarmente rammaricato di fronte alla prospettiva di un pessimo voto, perché nessuno prendeva seriamente quella materia che per Mayuri era invece la più necessaria. Il ragazzo scivolò con lentezza studiata dal proprio banco, raccogliendo gli oggetti sparsi in giro senza sollevare lo sguardo neppure una volta.
Di nuovo, sentiva un paio di occhi puntati sulla sua testa china. Non aveva bisogno di guardare, per capire a chi appartenessero; si immaginò che Rin Hisegawa fosse rimasta indietro per puro caso, e sperò che se ne andasse assieme agli altri appena avesse finito di riordinare il banco su cui aveva lavorato.
Sapeva di non poter ingannare se stesso così si risolse a rivolgerle qualche parola.
- Hai cambiato idea? - domandò brusco, senza guardarla, alludendo alla decisione di non contribuire a fare ordine nel laboratorio. Si sentiva al sicuro, certo di poter chiedere una cosa simile senza rischiare una risposta affermativa: lei lo stava ingannando, ma almeno lui era consapevole di essere ingannato.
Come previsto, il tono leggero di Rin nascondeva un sorriso.
- Al contrario. Stavo giusto per andar via. - si avvicinò di qualche passo, ma d'altra parte non poteva fare altrimenti: Mayuri si trovava tra lei e la porta dell'aula. Tuttavia, prima di uscire la ragazza indugiò per un istante di fonte al ragazzo. Dalla sua posizione, a testa china, il giovane poteva vedere una manica del suo kimono bordato di rosso; la mano che ne spuntava era piccola, leggermente abbronzata, dall'aspetto fragile e forte al contempo come i rami di un salice.
- Buona fortuna coi risultati del compito, allora.
Rin si chinò in avanti, abbastanza da poter incontrare gli occhi di lui. Mayuri scorse il suo volto sorridente baluginare nel suo campo visivo, i capelli biondo scuro che ricadevano lisci e leggeri alle sue spalle, gli occhi brillanti di complicità. Perché era così gentile con lui? Di solito, tutti tendevano ad evitarlo, e non gli dispiaceva. Lo sguardo di Rin Hisegawa gli fece mancare, per un attimo, il respiro.
- Altrettanto. - Sogghignò poi, tentando di assumere un'espressione che risultasse coerente con ciò che di solito era. I suoi occhi ambrati scintillarono nella pallida luce del neon, mentre seguivano Rin Hisegawa attraverso il laboratorio deserto e la osservavano scomparire nell'oscurità del corridoio.
Quando finalmente la ragazza si fu allontanata, Kurotsuchi attraversò a rapidi passi i pochi metri che lo separavano dagli armadietti contenenti gli strumenti destinati alle esercitazioni di biologia. Accanto a uno di quei freddi blocchi di metallo costellati di scaffali, una mattonella di rivestimento della parete era leggermente incrinata rispetto alle altre. Mayuri la premette appena, spostandola di qualche millimetro all'interno del muro. Con le unghie, cercò il bordo della piastrella accanto e la sollevò.
Il tassello regolare di staccò dalla superficie liscia ed uniforme senza far rumore, rivelando al di là una cavità grande più o meno una ventina di centimetri quadrati e profonda circa trenta. All'interno, gli strumenti che il ragazzo aveva raccolto nel corso degli anni risplendettero sinistramente nella luce dei neon, accompagnandosi al bagliore di una serie di nuovi oggetti dimenticati dagli altri studenti nel laboratorio.
Il suo minuscolo deposito segreto.
Il ragazzo avanzò con le dita attraverso la fessura, tastando come un cieco, finché i polpastrelli incontrarono un contenitore di vetro leggermente più freddo degli altri. Al suo interno, il liquido denso e trasparente ondeggiò appena quando lui lo sollevò in alto, tirandolo fuori dalla cavità: il suo ultimo esperimento sembrava sorridere, lo stesso sorriso brillante che aveva scorto negli occhi di Rin un attimo prima che se ne andasse.
Con un bisturi sterilizzato, praticò un'incisione precisa sul proprio avambraccio destro. Il liquido rosso prese a zampillare, accompagnato dalla piacevole sensazione di prurito dei nervi che si mettevano in funzione. Quando sollevò nuovamente il barattolo per versare il liquido trasparente sulla ferita, Mayuri si sentì invadere da un senso di infinita potenza, mistero, emozione.
Il mondo era un luogo immenso e caotico e lui, solo, era custode di un incredibile segreto.

1) Mayuri in versione asociale che detesta essere toccato... mammamia, com'è carino! X3 *lo dice da sola* XD
2) Amo la fisica e la biologia, ma odio la chimica. Le mie competenze in perito sono esattamente opposte a quelle di Mayuri, ovvero io non ne so un cavolo... Quindi scusate gli eventuali errori, e perdonatemi se mi mantengo un po' sul generico. XP
3) Il rapporto fra Rin e Mayuri si sta complicando... tutto si gioca in questi due capitoli (questo ed il successivo) quindi vi prometto ancora tante sorprese per il futuro! Intanto ancora grazie mille a chi commenta per il supporto! :3 E... Yoko_kun, sono contenta che ti piaccia Rin! Non sai (anzi, lo sai di certo essendo anche tu una scrittrice XD) com'è bello sapere che i lettori apprezzano la mia creazione! <3 Grazie per il sostegno!
4) Mayuri è ambidestro, e questa non è un'invenzione mia. Lo amo anche per questo. XP

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Capitolo 11
*** XI. chapter eleven; ***


Innanzitutto grazie a tutti quelli che hanno commentato! Vi amo!
Yoko_kun: grazie per la comprensione! :3 Adesso fortunatamente ho fatto il famoso compito di semiotica e con le vacanze di Natale alle porte è più facile trovare il tempo per scrivere. A Gennaio / Febbraio ricominceranno i problemi, ma per ora dovrei essere a posto (credo). In ogni caso, facciamoci un bell'"in bocca al lupo" reciproco e diamo il meglio di noi, sia a scuola che nella stesura delle fan-fics! :D
mangaka94: certo che Mayuri non lo batte nessuno! E' il più fiQo (anche se purtroppo molti continuano a dire il contrario, l'importante e non dar loro retta XD). La terza persona del gruppo arriverà fra un paio di capitoli perché ora c'è un altra parte del racconto che m'interessa di sviluppare (la scoprirei leggendo ;D), ma sappi che so già chi sarà suddetta terza persona! Quando la introdurrò spiegherò anche qualcosa in più, perché si tratta di un personaggio ben definito e con una lunga storia *lancia MISTERO e ATTESA in giro XD* Spero di averti incuriosita hehe ;3 Comunque, volevo precisare che Rin non è affatto un genio... è solo una persona che si applica (buon per lei) e vede il mondo in un modo un po' diverso dal normale... ma il "cervello" è Mayuri, lei è solo una ragazza che per qualche strano motivo riesce a tenergli testa in qualche occasione. XD
Hi Fis: Una New Entry! Grazie mille per la recensione! Sono contenta che ti sia piaciuta la mia fic fino ad ora, e spero di non deluderti in futuro! Non creare OOC è il mio scopo principale, e mi auguro di riuscirci anche se forse un paio di capitoli saranno un po' meno in character, molto più avanti... Comunque mi sto impegnando, quindi non smettere di seguire la mia storia (oddio, è una frase da shoujo manga... sparatemi)! Buona lettura!
P.S.: Sono felice! Qui da me ieri sera ha nevicato! Che bello giocare con la neve! :D

« And if we're crossed we can say that we're lost

in the middle of nowhere, think you'll like it alot.
And if we're wrong and we end up alone,
we'll light a candle for their innocent bones. »

[Tears for Fears, "Secret World"]

- Ti ho vista parlare con quello, - considerò Sana con voce tagliente, voltandosi indispettita verso la Hisegawa. La classe al completo era di nuovo in palestra per gli allenamenti con la zanpakuto, e la ragazza bionda osservava suo fratello mettersi in mostra come di consueto. Si sentiva amareggiata e nervosa, di fronte alla frivolezza di Hikaru, e desiderava soltanto lasciare la stanza per rifugiarsi nel dormitorio e leggere un buon libro.
Adesso ci si metteva pure Sana, con le sue insinuazioni assolutamente infondate. Come se non bastassero già i suoi, di pensieri. Facendo finta di non sentire, cambiò posizione appoggiando il mento sulle ginocchia. L'amica sbuffò spazientita, dandole una spinta leggera con la mano.
- Lo sai che è strano, Rin. Strano e inquietante. E sai anche che lo dico per il tuo bene... faresti meglio a girargli alla larga, come facciamo tutti quanti, credimi. - Abbassò lo sguardo, fissandosi la punta delle dita. Beh, se non altro sembrava seriamente preoccupata.
Rin non aveva voglia di litigare, soprattutto non con la più calma e gentile delle sue compagne di stanza. Probabilmente Sana aveva davvero paura che Mayuri potesse avere brutte intenzioni, ma doveva capire che si trattava soltanto di pregiudizi e il ragazzo, almeno fino ad ora, non aveva fatto nulla di male. Pur non morendo dalla voglia di difendere l'assurdità delle azioni di lui, la giovane bionda si sentì in dovere di spezzare una lancia a suo favore.
- Kurotsuchi-san è strano, hai ragione, ma non credo che sia pericoloso. Non condivido il comportamento di chi tiene a distanza qualcuno basandosi solo su una prima impressione, e francamente ho un'opinione troppo alta di te per pensare che tu appartenga a quella categoria.
Fantastico. Un discorso abbastanza contorto ed ipocrita da lasciare spiazzati. Sana diventò rossa come un peperone mentre, confusa, balbettava qualche parola di scusa. Probabilmente si stava ancora domandando se Rin le avesse fatto un complimento o se l'avesse offesa. L'altra scosse la testa sorridendo, perfettamente a proprio agio.
- Tranquilla, - rispose, a voce bassa per non farsi sentire da suo fratello che si stava avvicinando. - Ti ringrazio di esserti preoccupata per me, ma posso giurarti che non sono tipo da mettermi nei guai, okay?
Sana si affrettò ad annuire ricambiando il sorriso, ma la sua espressione sollevata si trasformò immediatamente in colpevole quando scorse con la coda dell'occhio le sopracciglia aggrottate di Hikaru.
- Hisegawa, - esclamò il sensei coprendo con pochi passi la distanza che lo separava da sua sorella. - Perché non ci dai una dimostrazione della tua bravura, visto che pensi di poterti permettere di chiacchierare durante la lezione? - Le tese la mano per invitarla ad alzarsi. Del resto, la legge era uguale per tutti: all'interno della palestra non valevano neppure i legami di parentela. E poi, Rin era stata addestrata nel combattimento fin da piccola, da suo padre in persona. Era davvero abbastanza abile da potersi distrarre durante la spiegazione.
La ragazza si sollevò in piedi di scatto, ignorando l'offerta d'aiuto, e si soffermò proprio di fronte al fratello con gli occhi privi di espressione. Hikaru le sorrise orgogliosamente, lo scherno comunque ancora presente sulle sue labbra mentre le metteva una mano sulla spalla per spingerla verso il centro della sala. - Non farmi sfigurare, - le sussurrò all'orecchio prima di allontanarsi da lei. - Ricordati di chi sei figlia, Rin.
Si guardò attorno, le mani sui fianchi e i capelli biondi che gli ricadevano negli occhi azzurrissimi. Chi avrebbe potuto chiamare come avversario? Con una lunga occhiata soppesò l'intera classe: c'erano studenti abili, certamente più abili di quello a cui stava pensando... eppure, il ragazzo sarebbe stato certamente la scelta migliore. Hikaru aveva saputo della strana amicizia che era nata da qualche giorno a quella parte fra sua sorella ed un giovane un po' matto che frequentava il suo anno; lui stesso li aveva visti parlare, una volta o due. Quel Mayuri, gli ispirava sfiducia già dopo la prima occhiata.
- Kurotsuchi, - esclamò con voce chiara e forte, puntando un dito nella sua direzione. Il ragazo sollevò gli occhi ambrati per fissarlo, con uno sguardo completamente privo di gioia. Sembrava... educatamente stupito, niente di più.
- Perché non vieni a darci una dimostrazione di quello che hai imparato? - lo incoraggiò Hikaru con un sorriso che non aveva niente di amichevole. Ormai Rin era totalmente scomparsa dai suoi pensieri; il suo interesse si era spostato su quel giovane insolente, e il suo unico desiderio al momento era quello di dargli una lezione.
Ovviamente, non con le sue mani... non nel vero senso della parola. Ci avrebbe pensato sua sorella al posto suo. Se c'era una cosa che la ragazzina non aveva mai imparato, era controllare la potenza dei propri colpi in base alle abilità dell'avversario.
Kurotsuchi si avviò verso il centro della palestra, perfettamente tranquillo, ed estrasse la propria zanpakuto dal fodero disponendosi in posizone di guardia. Sapeva bene di non essere abile nel combattimento quanto lo era in laboratorio, ed era certo che Rin avesse al contrario ricevuto un ottimo addestramento con la spada. Del resto, era o non era la sorella minore di quel damerino pieno di sé? Per quanto Hikaru povesse essere antipatico e borioso, non si poteva di certo affermare che non sapesse il fatto suo.
Tuttavia, il pensiero della sconfitta al ragazzo non interessava. L'orgoglio era qualcosa ben lontano dal suo modo di pensare, almeno nell'ambito della battaglia. Un'onta, per lui, sarebbe stata magari perdere l'abilità, l'intelligenza, l'acutezza della mente. Il suo corpo era un mero strumento, e doveva soltanto servirlo ed ubbidire. Non c'era motivo di occuparsene come facevano quegli sciocchi guerrieri, sempre preoccupati dei loro muscoli e poco o niente interessati al cervello.
- Potete cominciare, - considerò Hikaru, il tono della voce alterato dal ghigno sulle sue labbra. Veloce come un fulmine, Rin balzò in avanti diretta verso di lui. Mayuri schivò il primo colpo, un fendente piuttosto prevedibile, semplicemente scansandosi da un lato. Mentre la ragazza si preparava a caricare di nuovo, si sentì invadere da un'ondata di collera cieca.
Stava andandoci piano per non fargli del male? Se c'era una cosa che Kurotsuchi non sopportava, quella era la compassione. Si lanciò contro l'avversaria serrando i denti, l'odio chiaramente visibile sui tratti spigolosi del suo volto. La Hisegawa non ebbe difficoltà a parare i suoi attacchi - la tecnica era ancora abbastanza scadente, nonostante il ragazzo fosse effettivamente veloce - ma l'espressione dei suoi occhi mutò immediatamente quando entrò in contatto con quelli di lui.
Aveva letto i suoi sentimenti, in un attimo aveva capito. Non si trattava di onore, né di desiderio di essere migliore degli altri. Non era compassione, né magnanimità. Quel combattimento era puro odio, follia, una lotta per la sopravvivenza del proprio equilibrio mentale. Nei movimenti di Mayuri c'era il desiderio di perdere, se necessario, ma lottando in uno scontro giocato al meglio, piuttosto che finire con un pareggio ottenuto attraverso la finzione.
- Finiamola qui, allora - sogghignò Rin tracciando un arco perfetto con la lama della katana. Sulla casacca bianca e blu del suo avversario si disegnò una mezzaluna rosso scuro, proprio all'altezza del cuore: un taglio leggero, una dimostrazione. "Se volessi potrei ucciderti, amico mio, ma per ora non è affatto mia intenzione."
Mayuri abbassò la spada, guardandola diritta negli occhi. Il suo sguardo sorrideva, con una sorta di malsano divertimento, attraverso la frangia sottile che lo nascondeva in parte. Entrambi avevano il fiatone: avevano dato il meglio di sé in quella lotta, e questo era ciò che contava.
- Bene, basta così, - disse Hikaru svogliatamente; era chiaro che gli sarebbe piaciuto conoscere l'esito di uno scontro più "realistico", ma una cosa del genere non era da mettersi in pratica fra le mura dell'Accademia. - Hisegawa, accompagna Kurotsuchi in infermeria.
Il ragazzo scosse la testa contrariato. - Sto bene, non ho bisogno di cure. - La sensazione del sangue che scorreva, il leggero bruciore della pelle... tutto era così familiare. L'unica cosa rassicurante in quel mondo fatto di automi, ogni giorno uguale all'altro, ogni persona così maledettamente prevedibile. Tutti tranne lei.
Gli altri studenti lo odiavano, e non avevano mai avuto il coraggio di mostrare apertamente la propria ostilità. Rin, invece, era un mistero: forse lo detestava persino più degli altri, ma era l'unica a capirlo sul serio. E Mayuri, dal canto suo, era l'unico a comprendere e sue vere potenzialità.
- Andiamo, Kurotsuchi-san. - La ragazza lo afferrò per un braccio, trascinandolo con sé nel corridoio. Quando furono fuori dalla palestra, si appoggiò alla parete e scoppiò a ridere. Lui si limitò ad osservarla dubbioso, in attesa: non gli sembrava il tipo da preoccuparsi per un taglietto, quindi era chiaro che dovesse avere in mente qualcosa.
- Imperativo morale numero uno: ogni occasione è buona per saltare una lezione di Hikaru. Sei d'accordo? - Domandò quando si fu ripresa, sollevando un dito nella sua direzione. Mayuri sogghignò di rimando, cacciando le mani nelle tasche dello shihakusho.
- Perfettamente, - rispose avviandosi lungo il corridoio senza fretta, diretto non sapeva bene nemmeno lui dove. La ragazza bionda gli trotterellò dietro allegramente, senza smettere di sorridere.
- Allora, che cosa facciamo? - domandò piegandosi in avanti nel tentativo di guardalo in faccia. Lui le lanciò un'occhiata di sbieco senza smettere di camminare.
- Tu fai quello che vuoi, - rispose gelido. Non poteva perdere quella occasione inaspettata, il laboratorio era certamente deserto a quell'ora. E la giovane Hisegawa... beh, non la conosceva ancora abbastanza da portarla con sé, non è vero?
Senza lasciarsi demoralizzare dalla freddezza dell'amico, Rin lo afferrò per un braccio e si avvicinò a lui. - Andiamo in infermeria sul serio, allora, - esclamò, ridacchiando fra sé nel notare l'istintiva tensione da parte di lui. Ogni volta che lo sfiorava, Mayuri sembrava sul punto di balzare venti metri più in là: era divertente, se non altro, anche se comportarsi in modo adeguato con lui - se mai ce ne fosse stata la necessità - le avrebbe richiesto una grande cautela.
Comunque, in quei giorni il passatempo preferito della Hisegawa era mettere alla prova i nervi del ragazzo: non c'era alcun bisogno di fare attenzione. - Quella chiazza di sangue si sta allargando, e non sono del tutto sicura di esserci andata piano. E poi sei pallido. Più del solito, voglio dire.
Mayuri la scrutò con la sua espressione più cupa, rallentando il passo per poterla fronteggiare. - Non ci vengo in infermeria, noiosa ragazzina. Sto bene. Non ho bisogno di cure. Non voglio averti tra i piedi. - Meglio così... meglio liberarsi subito di lei, prima di lasciarsi sfuggire qualcosa di troppo riguardo al laboratorio.
"Trovi una persona che ti sembra adatta ai tuoi scopi e dai di matto come un bambino. Aspetta il momento opportuno: non sai ancora se puoi fidarti di lei." Certo che averla dalla sua parte sarebbe stato un notevole vantaggio... sempre meglio che vederla saltellare qua e là nel tentativo di scoprire il suo segreto.
- Hey, non voglio averti sulla coscienza, capito? - esclamò Rin fingendosi arrabbiata. - Almeno lascia che ci metta su una garza... non sei costretto ad andare in infermeria, se non vuoi, ma mi rifiuto di lasciarti andare in giro in quello stato per colpa mia.
Mayuri stava per dirle di chiudere quella bocca, quando dalla porta del dojo spuntò la testa bionda di Hikaru. - Non crediate di approfittarne per marinare le lezioni, - li ammonì, corrucciato, - Chiederò a Unohana-san se siete passati da lei e... beh, sarà meglio per voi che risponda di si, capito?
Ridacchiando più allegramente di prima, la Hisegawa lanciò a Mayuri uno sguardo complice, mentre suo fratello scompariva di nuovo.
- Dai... prometto che dopo ti lascerò in pace. Davvero.
Con una scrollata di spalle, o Shinigami accetò di seguirla attraverso il lungo corridoio. Stavolta non aveva proprio voglio di discutere con quella ragazzina: era quello, e solo quello, il motivo per cui aveva accettato.

1. Il rapporto fra Rin e Hikaru, che ho già accennato in Bleeding - FFF, qui non è affatto cambiato. Anche se si tratta di un AU rispetto all'altra fic, il ragazzo è ancora antipatico come prima... XD E' un personaggio che odio, anche se l'ho creato io. Incarna l'idea di ciò che meno mi piace: pieno di sé, figlio di papà, bello ed abile e perfettamente consapevole di esserlo. E' legato a sua sorella in maniera quasi morbosa, quindi è naturale che detesti qualunque ragazzo sia suo amico (soprattutto uno col carattere di Mayuri, hehe). E' difficile descrivere questo personaggio senza lasciar trapelare quanto lo detesti, anche se quando l'ho creato (cinque anni fa, per FFF) la mia intenzione era di inventare un personaggio legale malvagio... alla fine è diventato poco legale e molto malvagio. XD Scusate!

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Capitolo 12
*** XII. chapter twelve; ***


MERRY XMAS TO YOU ALL!

«Can you name your daemon? Understand its scheme?

I raise my glass and say "here's to you".
Can you chase your daemon? Or will it take your freedom?
I raise my glass and say "here is to you".»

[Poets of the Fall, "Illusion and Dream"]

- In ogni caso, mi rifiuto di farmi visitare da Unohana-san, - mormorò Mayuri a testa bassa, senza smettere di camminare. Rin, che trotterellava al suo fianco tentando di tenere il passo, inclinò la testa da un lato osservandolo con educata curiosità.
- Ah si? - chiese semplicemente, in tono colloquiale.
Si era resa conto che il ragazzo, già piuttosto debole di costituzione, non era il tipo da poter trascurare le ferite. Magari un giorno sarebbe diventato più forte, o avrebbe imparato a padroneggiare qualche tecnica di guarigione, ma per adesso era solo un semplice studente e la conseguenza di un incidente durante l'allenamento era una sola: la tradizionale spedizione nell'infermeria dell'Accademia gestita da alcuni membri della Quarta Divisione.
- Basterà farsi dare delle bende, non serve nessun dottore, - spiegò lui con leggerezza, sogghignando. - Se prometti di smetterla di starmi fra i piedi, giuro che mi lascerò medicare da te, okay? -
Forse il modo migliore per trovare un equilibrio con quella ragazzina era assecondarla, e prima o poi si sarebbe stancata da sola.
Forse il modo migliore era davvero farle passare la voglia di quello stupido gioco, liberarsi di lei senza porsi il problema di farne un'alleata. Considerare impossibile a priori l'idea che potesse essere un vantaggio avvicinarsi ad un altro essere umano - del resto, chi aveva mai detto di aver bisogno di un amico?
Mayuri lanciò una rapida occhiata alla giovane Shinigami che sorrideva raggiante. Tutti gli altri lo chiamavano pazzo, strano, spaventoso; non sarebbe mai riuscito a capire che cosa ci trovasse Rin in lui.
- Unohana-san? - la voce di Hisegawa tintinnò cristallina nella stanza vuota. Era una giornata piuttosto luminosa per essere dicembre inoltrato, e le tende che circondavano la finestra socchiusa sventolavano leggere come fumo nella brezza tagliente dell'inverno.
- Chissà se quest'anno vedremo la neve, - commentò la ragazza guardando fuori, in attesa che il medico li raggiungesse dalla sala adiacente. Kurotsuchi rimase in silenzio: non era una domanda rivolta a lui, e in ogni caso la cosa non lo toccava minimamente. Neve o non neve, non ci sarebbero state sorprese al di fuori del suo laboratorio.
Un rumore di passi distolse i due giovani dai rispettivi pensieri, annunciando l'ingresso di una ragazza dall'aspetto gentile con una lunghissima treccia di capelli corvini. Il suo aspetto - shihakusho a parte - ricordava quello di un'indiana, col naso pronunciato e grandi occhi allungati, viola.
- Buongiorno, - sorrise apostrofandoli, mentre il suo sguardo saettava rapido ed esperto alla chiazza rossa sul kimono di Mayuri. - Incidente nel dojo?
Rin aprì la bocca per parlare, ma il giovane fu più rapido di lei. - Soltanto un taglio, - disse con voce casuale, guardandola dritto negli occhi in modo quasi provocatorio. - Mi bastano delle bende, posso medicarmi benissimo da solo.
Unohana annuì senza smettere di sorridere, voltandosi per frugare in un mobiletto alle sue spalle. Prima di staccare lo sguardo da lui, tuttavia, i suoi occhi a mandorla si soffermarono sulle strane strutture che sostituivano le orecchie di Kurotsuchi. Una frazione di secondo dopo, era già concentrata sulle proprie mansioni.
 - Certo, - commentò calma, mentre le mani si muovevano esperte fra i contenitori - Hikaru-san è piuttosto apprensivo per quanto riguarda certe cose. Comunque, sei sicuro di non volere che ci dia un'occhiata?
Kurotsuchi si limitò a rispondere un "non importa" privo d'intonazione, afferrando le garze e il disinfettante che la ragazza gli porgeva. Fu Rin a ringraziare al posto suo, inchinandosi alla Shinigami e salutando educatamente. Unohana ricambiò i convenevoli com'era opportuno, raccomandando ai due ragazzi di stare più attenti in futuro. Stava per tornare nella stanza accanto quando Rin, sulla porta, si voltò di nuovo.
- Se mio fratello dovesse farti qualche strana domanda... non dimenticarti di dirgli che siamo passati, okay Unohana-san?
L'altra la guardò stupita, per poi lasciarsi andare ad una risata leggera. - Farò del mio meglio per ricordarmene, Rin-chan. E in bocca al lupo con l'Accademia!
I due si avviarono di nuovo in silenzio, diretti verso i dormitori.
- Certo che sei una bella ipocrita, "Rin-chan", - la canzonò Mayuri. Il suo tono era tagliente, provocatorio, e la ragazza si sentì avvampare.
- Unohana-san era una compagna di corsi di Hikaru, è naturale che la abbia vista un paio di volte no? - replicò freddamente, cercando di non mostrarsi indispettita dalle insinuazioni di lui. Non si sentiva affatto in colpa di avere raggirato la Shinigami, e neppure di aver deciso di marinare le lezioni. Non aveva chiesto lei di essere addestrata al combattimento dal proprio fratello... chiunque altro, al posto suo, si sarebbe comportato esattamente allo stesso modo.
- E adesso vuoi dirmi per quale motivo non ti sei lasciato medicare in infermeria? - domandò infine, spingendo la porta della sala comune che fungeva anche da ingresso dell'edificio.
Mayuri le lanciò uno sguardo dorato dall'alto in basso. - Cicatrici, - rispose semplicemente, sogghignando. - Davvero orribili. Non mi va di farle vedere in giro.
Beh, non era esattamente la verità... ovviamente, però, era una menzogna più che ragionevole. Gran parte del suo corpo era effettivamente coperto da sfregi spaventosi, tuttavia non era l'estetica a preoccuparlo: se qualcuno della Quarta Divisione avesse mai visto la pelle mal rimarginata, i segni lasciati dai punti di sutura, le abrasioni dove la carne era ricresciuta praticamente da sola non ci sarebbe voluto molto tempo prima che decidessero di cacciarlo dall'Accademia.
Per un esperto in materia, quelli erano chiaramente i segni di molteplici operazioni.
- Oh, - commentò Rin chinando il capo, un'espressione indecifrabile dipinta sui suoi lineamenti infantili. Era impossibile dire se gli credesse o meno, ma conoscendola probabilmente non aveva abboccato.
- Cicatrici, - ripeté distratta, prendendo a sciogliere un rotolo delle bende che Unohana le aveva dato. - Meno male che non sono impressionabile, vero? Anche se con un po' di Energia Spirituale quella ferita già non ce l'avresti più. - Il tono insinuante lasciava intendere il suo scetticismo, gli occhi bassi impedivano di leggere le sue intenzioni mentre parlava. Si era resa conto che il ragazzo sembrava troppo resistente al dolore, troppo disinteressato alla sofferenza fisica. Aveva visto la sua espressione folle mentre combatteva, ed il ghigno che gli era apparso sulle labbra quando la chiazza di sangue aveva preso ad allargarsi sul kimono.
- Permettimi di dare un'occhiata a quel taglio, - disse gentilmente, avvicinandosi piano. Era come aver a che fare con un animale selvaggio: un movimento di troppo e forse sarebbe fuggito. Con sua grande sorpresa il ragazzo si limitò ad obbedire, lasciando che la casacca dello shihakusho scivolasse giù lungo le sue braccia magre. Rin si rese conto di stare trattenendo il fiato: il corpo di lui era effettivamente coperto dai pallidi segni di numerose, precedenti ferite.
Indugiò per un istante con lo sguardo su quella rete irregolare che creava disegni strani sulla pelle chiarissima di Mayuri. Non era affatto spaventoso, a ben guardare, ma la Shinigami si scoprì a domandarsi come accidenti avesse fatto a ridursi in quel modo.
"Questo, gli strani apparecchi che ha al posto dei padiglioni auricolari, il carattere asociale che si ritrova... probabilmente tutto è collegato in una catena infinita che non ha soluzione," rifletté rattristata, domandandosi remotamente se per caso Kurotsuchi-san non nascondesse un lato autolesionista: sembrava l'unica possibile spiegazione a quello scempio sistematico che erano il suo petto, le braccia, le spalle. I tagli si fermavano appena un attimo prima dell'orlo del kimono, di modo che nessuno potesse vederli in condizioni normali.
Mayuri le sorrise con cattiveria, guardandola dritta negli occhi. Sembrava profondamente divertito dalla sua reazione, segno che Rin si era comportata esattamente come aveva previsto. Infondo, cosa c'era di tanto speciale in lei? Era solo una ragazzina come gli altri, con l'unico merito di vedere il mondo in un modo tutto suo. Non c'era proprio nulla oltre a quello, dunque perché accidenti doveva perdere altro tempo con lei?
- Non eri tu quella per niente impressionabile? - la prese in giro, chiaramente divertito nel notare l'espressione confusa e sconcertata di lei. - Adesso capisci perché insistevo a dire che un taglietto non mi avrebbe ucciso?
Rin scosse la testa come a voler scacciare un brutto pensiero, e sollevò gli occhi per lanciare al ragazzo un sogghigno di sfida. - Impressionarmi per così poco? - considerò con voce calma; era abbastanza sicura di essere riuscita a ricacciare indietro l'orrore un attimo prima che lui potesse notarlo, e scambiarlo per disgusto. - Comunque hai ragione, sei davvero più resistente di quello che credevo.
Mentre parlava, aveva imbevuto una garza di disinfettante. Lui la osservava incuriosito e quasi sorpreso, e si lasciò sfuggire un ghigno quando si avvicinò lentamente per sfiorare la ferita. Era proprio cocciuta, anche di fronte all'evidenza. Era ovvio, ormai, che medicarlo era completamente inutile.
"Lo fai per avere la coscienza a posto? Che genere di seccatura è il senso di colpa, ragazzina?" Lui non avrebbe saputo rispondere. Quella sensazione non la conosceva.
Quando la giovane Shinigami ebbe terminato la medicazione, Kurotsuchi si affrettò a coprirsi di nuovo: non gli piaceva mostrare agli altri il proprio segreto, anche quando lo difendeva con la menzogna ed il silenzio. Maledicendo mentalmente l'indecisione che lo portava a domandarsi se non valesse la pena di raccontarle ogni cosa il ragazzo si allontanò da Rin senza guardarla, deciso ad ignorare la sua presenza finché gli era possibile.
Lei rimase in silenzio per qualche istante, immersa nei propri pensieri: non capiva Mayuri, ed ancor meno i suoi repentini cambiamenti d'umore. Un attimo prima era lui ad avvicinarsi; l'istante dopo la allontanava, comportandosi come se la sua sola presenza costituisse un fastidio.
"Si può sapere che cosa vuoi da me?" avrebbe voluto domandare. Sapeva bene che non l'avrebbe mai fatto, perché non era certa di voler conoscere la risposta a quell'interrogativo.
- Allora, qual è la vera storia delle cicatrici? - domandò invece sorridendo, mentre raccoglieva le garze avanzate per restituirle a Unohana.
Lo Shinigami si stava già allontanando, la mente rivolta al laboratorio, ma ritornò immediatamente concentrato sul presente non appena comprese quello che gli era stato chiesto: il problema non era come, ma perché. Rin era determinata a sapere, e aveva scoperto la chiave del mistero... tutto a causa della sua avventatezza, nel momento in cui aveva esitato domandandosi se non valesse la pena di farsela amica.
Avrebbe potuto andarsene e impedirle di avvicinarsi ancora, oppure approfittare di quell'istante per metterla alla prova. Era quello il momento di agire, nonostante lui non lo avesse programmato; e Kurotsuchi detestava gli imprevisti, perché gli impedivano di sentirsi padrone della situazione.
Mostrando i denti in un inquietante sogghigno di sfida, allacciò il suo sguardo con quello di lei. - Esperimenti, - rispose con voce bassa, calma, quasi melliflua. Una breve pausa, per accertarsi che lei avesse capito e fosse rimasta impressionata a dovere. - Non è sempre così facile trovare cavie umane, non credi?
Rin restò immobile per qualche secondo, attonita, troppo impegnata a interrogarsi sul significato delle sue parole: esperimenti? Cavie? Era quello il terribile segreto del giovane Shinigami, il motivo per cui aveva fatto in modo di tenerla lontana dal laboratorio fuori dall'orario delle lezioni? In tal caso, Sana aveva decisamente ragione: quel Kurotsuchi era un pazzo. Completamente, totalmente pazzo.
"Lo sai anche tu, non è vero? Che il vero genio rasenta la follia."
Era tutto incredibilmente triste, a pensarci bene. Incompreso, emarginato, costretto a restare in silenzio nella consapevolezza che il mondo non l'avrebbe capito... Il mondo non era ancora pronto per una mente come la sua. "E forse mi stai raccontando queste cose per capire se anche io sono come loro?"
Mayuri era una persona solitaria, che diceva e dimostrava di non aver bisogno di nessuno. Eppure, nonostante questo, gli esseri umani non sono fatti per stare completamente da soli... la gioia di una scoperta non è tale se non la si può condividere, e spesso chi si ritrova circondato da nemici finisce col confidarsi con loro. Anche chi dice di disprezzare l'umanità, chi serba un odio immenso nel proprio cuore, deve pur sempre dirigere quei sentimenti verso qualcuno.
- L'uomo è una creatura strana, vero? - disse infine la ragazza, parlando più a se stessa che a lui. - C'è così tanto, dentro di lui, che ogni tanto qualcosa finisce irrimediabilmente col traboccare. - Sorrise.
Stupito - ma non poi così tanto, a dire il vero - Mayuri ricambiò il sorriso col suo solito sguardo canzonatorio. Non era tipo da mostrare le proprie debolezze, o da ammettere che Rin aveva ragione; tuttavia non era nemmeno uno stupido, e doveva riconoscere a se stesso che lei aveva colto nel segno. Aveva bisogno di qualcuno  di fidato, qualcuno che le desse una mano; qualcuno che non lo giudicasse, nel bene o nel male, che fosse disposto ad essere soltanto un ingranaggio di un meccanismo immenso, che non gli apparteneva. Non era molto, quello che poteva offrire, ma ciò che possedeva era davvero tutto per lui.
Prese un respiro profondo, sfiorandosi la fronte con la punta delle dita. Sentiva la testa esplodere, sotto il peso di quei concetti che non riusciva a capire: amicizia, lealtà, collaborazione. Quanto poteva spingersi avanti, con lei, prima di doverle dare in cambio qualcosa? Sollevò gli occhi ambrati d'improvviso, in un impeto di collera che serviva a nascondere l'incertezza della sua espressione.
- Guai a te se ne fai parola con qualcuno, - disse, gelido come sempre.
Rin scosse la testa, tranquillamente, le labbra ancora impercettibilmente piegate all'insù.
- Sarebbe anche l'ora che cominciassi a fidarti di me, Kurotsuchi-san.

1) Su richiesta dI Eden, inserisco qualche personaggio di Bleach. Cominciamo con Unohana! Facendo un rapido calcolo, è uno dei pochi che potrebbero starci in fatto di età... E non ne sono nemmeno del tutto sicura, perché non essendo mai stata una fan di Unohana non mi sono minimamente interessata a lei prima d'ora! E' troppo buona e cara per potermi piacere... XD
2) Mayuri che chiama Rin "Rin-chan"... naturalmente lo fa solo per prenderla in giro. :D Ma forse comincia a pensare a qualcosa, no? ;D Comunque non vale ancora la pena di gridare all'OOC, che vi aspetta qualche colpo di scena! owo
3) Ascoltatevi "Illusion and Dream" dei Poets of the Fall... sembra fatta apposta per Mayuri (se capite il testo è perfetto, altrimenti posso tradurlo la prossima volta C:) E comunque... grazie mille a tuuuutti per il supporto! :* Buon Natale e felice 2010!

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Capitolo 13
*** XIII. chapter thirteen; ***


«Smile like you mean it
and let yourself let go.»

[Mika, "Any Other World"]

- Incredibile, Rin! Hai preso ottantacinque punti!
Mayuri inclinò leggermente la testa per lanciare uno sguardo alla ragazza che saltellava su e giù eccitata, indicando il tabellone con una mano. Con l'altra aveva afferrato la manica della Hisegawa, e la scuoteva nel tentativo di attirare la sua attenzione.
- Già, - commentò semplicemente l'altra dedicando all'amica un breve sorriso. - E a te com'è andata, Keiko-chan?
Non sembrava felice, e neppure stupita. Il ragazzo dagli occhi dorati distolse lo sguardo, tornando a fissare il piccolo simbolo tracciato ordinatamente accanto al proprio nome. Cento su cento, ovviamente, non era stata poi quella grande sorpresa. Ciò che lo meravigliava era ben altro, in effetti, e per quanto cercasse una spiegazione non riusciva a capacitarsi di quello che vedeva. Con il suo compito perfetto aveva abbassato nettamente la media del resto della classe, e ciononostante lei era riuscita a cavarsela con un'ottima valutazione. Si trattava soltanto di fortuna? Mayuri non lo sapeva; eppure c'era qualcosa, nella semplicità con cui Rin sorrideva, che lo faceva sentire quasi preso in giro.
Come se a lei non importasse niente.
Come se desiderasse passare inosservata.
Quella ragazza sapeva benissimo di essere intelligente, eppure faceva di tutto per mescolarsi alla gente comune.
Scuotendo la testa fra sé - nessuno gli aveva più rivolto la parola da quando erano apparsi i tabelloni coi voti - Kurotsuchi attraversò la sala d'ingresso senza far rumore. Non sapeva come, e francamente non aveva neppure un'idea chiara del perché, ma avrebbe fatto in modo di conoscere meglio quella Rin Hisegawa. Una mente brillante può essere un vantaggio o una minaccia, a seconda di come viene utilizzata. E, il ragazzo ne era sicuro, non avrebbe permesso che la giovane Shinigami potesse diventare un pericolo per lui ed i suoi esperimenti.
Si sarebbe avvicinato, avrebbe tentato di farne un'alleata; se avesse fallito, si sarebbe assicurato di liberarsene in maniera permanente. Il piano era semplice, non serviva fare progetti riguardo alla linea d'azione. Se l'approccio fosse apparso casuale, nessuno avrebbe potuto dubitare della sua buona fede. Soltanto allora, una volta stabilite le posizioni di entrambi in quella storia, Mayuri avrebbe deciso se valesse la pena di sferrare la sua offensiva.
"Quando sei diverso dagli altri non puoi nasconderti, nemmeno se ci provi. Ti troveranno sempre, ovunque tu vada, e ti costringeranno a seguire le loro regole, piegarti alle leggi della società, comportarti in modo adeguato. E' per questo che stai fingendo di essere una persona normale? Sono già riusciti a convincerti che non vali più di qualsiasi altro sciocco essere umano?"
Un'occasione come quella, Kurotsuchi non poteva farsela scappare.

L'aula era gremita di studenti, divisi a gruppetti di tre o quattro persone. Tutti parlavano a voce alta, e la confusone rendeva quell'ambiente affollato insopportabile per il giovane che, chino sul proprio banco con la fronte appoggiata ad una mano, se ne stava in perfetto silenzio con gli occhi ermeticamente serrati. Rin, al suo fianco, si guardava attorno perfettamente a proprio agio. Di tanto in tanto posava lo sguardo sul ragazzo, e gli angoli delle sue labbra si sollevavano in un indecifrabile mezzo sorriso.
- Oggi e nelle prossime due lezioni andremo nel Mondo Terreno, dove avrete occasione di sperimentare la pratica del Konso in prima persona. Ogni tre studenti del primo anno ci sarà un docente supervisore; dal momento che gli insegnanti disponibili sono solo dodici e voi siete molti di più saremo costretti a muoverci a turni. Ogni recluta pescherà un biglietto da questa scatola; la prima dozzina partirà oggi, gli altri dovranno aspettare. - esordì il professor Seiji col suo solito entusiasmo, come sempre incurante della confusione nell'aula.
Il mormorio si alzò di nuovo tra i banchi. Tutti sembravano desiderosi di vedere la Terra quanto prima, soprattutto coloro che un tempo erano stati umani: raggiunta la Soul Society, le anime perdono ogni ricordo della propria vita sul Pianeta Azzurro, della loro famiglia, del loro luogo d'origine. Forse qualcuno di loro sperava segretamente di poter rammentare qualcosa... francamente, a Rin l'ipotesi pareva alquanto improbabile.
"Del resto io non ci sono mai stata, sulla Terra. Che cosa ne posso sapere di come ci si sente?" si disse pensierosa, andando a raccogliere un foglietto dall'urna posta al centro dell'aula. Quattro.
Con la coda dell'occhio, scorse Kurotsuchi fare altrettanto. Si rese conto di sapere davvero poco di lui: per la ragazza quella era la prima vita, ma forse il giovane aveva già trascorso molti anni fra gli umani prima di raggiungere il Mondo delle Anime. Si avvicinò a lui intenzionata a domandarglielo, ma proprio in quel momento il professore prese di nuovo la parola invitando gli studenti a prendere posto in base al numero ricevuto.
Sia Rin che Mayuri attraversarono l'aula gremita assieme agli altri alunni selezionati, e si diressero verso la porta per raggiungere gli insegnanti che li aspettavano nel corridoio. Appoggiato contro la parete di legno chiaro trovarono Hikaru, il volto perfetto animato da un leggero sorriso.
- Che numero avete? - domandò, raddrizzando la schiena ed incrociando le braccia davanti a sé.
"Un comportamento sciocco per un uomo che vuole fingersi sicuro di sé," considerò Mayuri osservandolo di sbieco. Lui evitava sempre di tenere atteggiamenti che potessero suggerire debolezza, perché anche inconsciamente gli altri tendono ad interpretare ogni gesto come un segnale. E, siccome la vita è una sfida continua, mostrarsi fallibili porta irrimediabilmente alla sconfitta.
- Tre, - disse freddamente. L'idea di trovarsi faccia a faccia con quel damerino non lo esaltava.
- Quattro, - rispose Rin improvvisamente rabbuiata, affrettandosi a distogliere lo sguardo dall'amico. Anche senza volerlo, sembrava che il destino li obbligasse a lavorare insieme.
Hikaru fece loro segno di seguirlo, portandoli attraverso il corridoio fino alla porta principale e poi fuori, nella calda luce del mattino.
- Attraverseremo il Senkaimon per raggiungere il Mondo terreno. Non sappiamo dove siamo diretti, dipende tutto dal luogo dove si trovano le anime defunte che dovremo purificare. Effettuerete due prove, una per ciascuno. Al termine di ogni prova torneremo qui, e ci dirigeremo verso la meta successiva. Domande? - parlava meccanicamente, visibilmente annoiato.
Poiché nessuno aveva nulla da chiedere, il sensei si diresse rapidamente verso il Portale e si voltò, invitando gli studenti all'interno. I tre balzarono dentro uno dopo l'altro, lasciandosi risucchiare dalla materia densa e oscura che vi gravitava. In men che non si dica, si ritrovarono in piedi nel bel mezzo di una strada asfaltata.
La prima reazione dei giovani apprendisti fu una sincera sorpresa, nel vedere un mondo totalmente nuovo e diverso da quello che conoscevano. Le case erano enormi, solide, colossali; gli alberi nascosti dietro a recinzioni alte, il suolo stranamente granuloso e grigio. Insoliti paletti di materiale metallico si innalzavano verso il cielo, terminando in globi tondeggianti e trasparenti apparentemente privi di funzione.
A mano a mano che la sorpresa abbandonava la mente di Mayuri, il ragazzo prese ad osservare quell'universo ignoto con immenso interesse: tutto era diverso da ciò che conosceva, tutto poteva essere fonte d'ispirazione. Un personaggio vestito con abiti di una strana foggia li oltrepassò cavalcando un assurdo mezzo a due ruote, senza poterli vedere. Hikaru iniziò a camminare per la strada in silenzio, lasciando che le reclute si godessero lo stupore e il leggero timore che il Mondo Terreno ogni volta suscitava.
Mayuri scosse la testa, contrariato: se non fosse stato per le straordinarie costruzioni di quel luogo, avrebbe di gran lunga preferito tornarsene nel laboratorio.
Il sensei era uno sciocco ragazzino cresciuto soltanto nel corpo e non nella mente, costantemente impegnato a curare - peraltro in modo errato - la propria immagine di fronte alle altre persone.
- Ci siamo. - Le parole di Hikaru distolsero il ragazzo dalle proprie riflessioni, costringendolo ad alzare gli occhi in direzione di ciò che indicava. Un uomo di mezza età stava inginocchiato sulla strana pavimentazione, le mani sulle orecchie, le palpebre serrate. Si dondolava lentamente avanti e indietro, mugolando qualcosa di incomprensibile attraverso le labbra socchiuse.
Quando i quattro si avvicinarono, lo strano personaggio sollevò lo sguardo e puntò un dito verso di loro, spalancando gli occhi in un'espressione di puro terrore.
- Ci vede, - commentò Rin con voce piatta: lo sapeva, del resto l'aveva studiato. Tutti conoscevano la procedura da adottare, ora: dal petto dell'uomo pendeva una lunga catena fissata al suo cuore, spezzata dall'altro lato, che lentamente si divorava da sola. La catena che lo teneva legato al mondo, alla vita e che, una volta consumatasi del tutto, lo avrebbe irrimediabilmente costretto a trasformarsi in un mostro mosso soltanto dalla sua stessa collera.
Hikaru si voltò verso i tre studenti, un mezzo sorriso dipinto sul suo volto. - Kurotsuchi, - disse semplicemente con voce pacata, senza curarsi di aggiungere un suffisso al cognome. Mayuri serrò i denti con rabbia: ovviamente, il primo doveva essere lui.
- Come desidera, - replicò gelido e vagamente ironico, le iridi dorate dirette verso un punto imprecisato al di là della testa del sensei. Estrasse la spada e avanzò verso l'uomo chino a terra senza guardarlo, ben deciso a non dare soddisfazione ad Hikaru, lottando contro l'impulso di piantargli la lama dritto nel cuore.
Invece, fece ruotare lo tsuka nel palmo pallido con destrezza, fino a puntare la base dell'elsa verso la fronte dello sconosciuto davanti a sé. Questi prese a lamentarsi ancora più forte, terrorizzato, scrutando la pelle bianca e le dita magre come se si aspettasse di essere ucciso una seconda volta da un momento all'altro. Era così debole e sciocco, totalmente ignaro... un essere privo di speranza, dominato dal terrore.
Kurotsuchi gli dedicò un rapido sguardo di disprezzo: era stato anche lui così, insicuro e spaventato, giunto all'inevitabile momento del trapasso? Molto probabilmente no, lui era morto da bambino. Non era abbastanza grande per capire, temere, rimpiangere ciò che aveva lasciato. Senza perdersi in superflue riflessioni, il ragazzo premette il simbolo argenteo sul fondo dello tsuka contro la fronte dell'uomo. "Addio."
Con un un ultimo grido di stupore, l'anima scomparve nel nulla non lasciando alcun segno del proprio passaggio.
Mayuri si voltò lentamente, rimettendo la zanpakuto nel fodero. Non sapeva che cosa pensare: probabilmente il primo konso avrebbe dovuto essere un'esperienza shockante, terribile, spaventosa. Invece, per lui non era stata altro che ordinaria amministrazione: come il giorno in cui lo aveva lasciato, ancora inesperto ed ingenuo, non sentiva alcun rimpianto verso ciò che aveva perso per sempre.
- Bel lavoro, - commentò Hikaru a malincuore, voltandosi di nuovo per allontanarsi. Non avrebbe detto altro, per quel ragazzo spietato: non aveva mai visto, in vita sua, una recluta tanto priva di esitazione di fronte alla prima purificazione della sua vita. Kurotsuchi non rispose, seguendo il sensei al di là del portale; Rin gli lanciò un rapido sorriso mentre lui la oltrepassava, sollevando il pollice destro in segno di vittoria.
Mayuri annuì impercettibilmente di rimando, piegando un angolo della bocca nel suo ghigno di scherno. Poi si lasciò scivolare oltre l'entrata del Senkaimon, verso la Soul Society, permettendo alla tensione e alla rabbia di abbandonarlo almeno per un po': aveva fatto il proprio dovere, adesso lo aspettava una mattinata di relativa tranquillità.
In quel mondo fatto di regole e comportamenti artefatti, l'unica soluzione era adeguarsi almeno in parte agli schemi prestabiliti... tutto il resto, poi, era pura improvvisazione.

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Capitolo 14
*** XIV. chapter fourteen; ***


14 - Adesso tocca a Rin, - esclamò allegramente Hikaru, forse per allentare la tensione. La ragazza annuì, pallida in volto, gli occhi sinceramente preoccupati; non si sentiva in grado di affrontare un impegno del genere, non dopo aver visto la paura negli occhi di quel vecchio. Avrebbe avuto la possibilità di spiegare all'anima da purificare che stava soltanto cercando di aiutarla, che non le avrebbe fatto del male?
Lei non era abile come Mayuri, che non sembrava per niente shockato da quanto era appena accaduto. Riusciva a cavarsela egregiamente in tutto ciò che riguardava l'intuito e la logica, ma soccombeva di fronte alla meccanica dei sentimenti umani. Non era ancora in grado di fare ciò che dev'essere fatto mossa solo dall'idea "agisci, perché è giusto così". Tutte le domande che aveva nella testa non trovavano risposta, e quella situazione non l'avrebbe di certo aiutata.
Il successivo viaggio attraverso il Senkaimon portò i tre Shinigami in un luogo spazzato da freddo vento del Nord. Il cielo era grigio fumo, nuvoloso, denso e incredibilmente vicino. Il suolo del colore del ferro, irregolare, tagliente. Si trovavano ai piedi di una scogliera, in piedi su uno spuntone di roccia immerso nell'oceano, un oceano in tempesta nero come la pece e schiumante di onde impetuose.
- Che pessimo luogo per morire... - le parole di Hikaru si persero nell'aria tagliente, portate lontano verso l'orizzonte dove volavano i gabbiani bianchi come fantasmi. Sulla superficie scabrosa dello scogli stava una bambina, i capelli disordinati che le ricadevano sul volto tranquillo e spruzzato di lentiggini.
Rin mosse qualche passo avanti incerta, sentendo che tutte le sue peggiori paure si stavano rapidamente realizzando. Una ragazzina, al massimo otto anni, con un fiore viola stretto nel palmo della mano. Era davvero obbligatorio separarla dai propri cari? Non era possibile trovare un'altra soluzione? Sforzandosi di non apparire una debole di fronte a Hikaru e all'amico, la giovane Shinigami si chinò dinanzi alla piccola per incontrare il suo sguardo: se proprio doveva farlo, voleva assicurarsi che se ne andasse con la certezza di un futuro felice.
- Ciao, - le disse gentilmente, inclinando la testa da un lato. La bambina alzò gli occhi di scatto, incontrando quelli di lei, e sorrise.
- Ciao, - rispose la piccola serena, giocherellando col bordo del vestito. - Sei una maga, non è vero?
La recluta sorrise suo malgrado, di fronte all'ingenuità della bambina. Aveva voglia di lasciar perdere, chiedere a Hikaru di risolvere la situazione al posto suo, ma sapeva di non poterlo fare. L'orgoglio le impediva di cedere al sentimentalismo, una debolezza che non era da lei.
- Si, - rispose improvvisando, cercando di nascondere il dispiacere nella voce. - Ti va di venire con me?
La bambina annuì felice, chiudendo fiduciosamente gli occhi. - Andiamo, - esclamò semplicemente, dondolandosi sulle punte dei piedi. Senza darsi il tempo di riflettere ancora, Rin estrasse la propria spada e praticò la cerimonia del Konso su quella piccola figura. In men che non si dica anche lei era scomparsa nel nulla, diretta verso un luogo lontano dove ogni ricordo di ciò che era sarebbe stato cancellato.
- Non è giusto, - disse amareggiata, seguendo gli altri indietro verso la Seireitei. Perché una bambina così piccola doveva morire?
Hikaru si voltò a fronteggiarla, serio, quasi accigliato. - Non è giusto, dici? - domandò allontanandosi dal Senkaimon, di nuovo nel caldo sole della Soul Society. - E allora cosa pensi che sarebbe stato meglio, lasciarla diventare un Hollow, permetterle di cedere ai propri istinti malvagi? Lascia che te lo dica: se non sei in grado di praticare il Konso, sorellina, non potrai mai diventare una vera Shinigami.
La ragazza serrò le labbra, combattendo contro l'istinto di replicare aspramente alle parole del fratello. Lo detestava quando faceva così, quando voleva apparire ad ogni costo freddo e maturo. Lei lo aveva visto bambino, sapeva che non era tanto insensibile... ma quella parte di Hikaru sembrava ormai scomparsa, inghiottita dal suo atteggiamento ambizioso e autocelebrativo. Dov'era il giovane che l'aveva consolata, e l'aveva aiutata a sopportare il peso degli impegni costantemente imposti dal loro padre?
Mayuri stringeva i pugni fino quasi a piantarsi le unghie nella carne. Hikaru aveva ragione, naturalmente, ma non sembrava in grado di esprimere le proprie opinioni in un modo che non fosse provocatorio ed arrogante. Il suo atteggiamento gli dava fastidio, per un motivo del tutto inspiegabile: del resto, di certo quelli non erano affari suoi. Eppure...
- Sei un perfetto idiota.
Le parole uscirono tranquille e pacate dalle labbra dello studente, gli occhi puntati dritti in quelli del maestro. Questi si voltò, incredulo e ammutolito, sollevando le sopracciglia in un'espressione di pura sorpresa.
- Come hai detto, scusa? - chiese, la voce rotta dalla rabbia crescente.
Kurotsuchi sogghignò, scoprendo i denti. Si sentiva perfettamente calmo, finalmente il nervosismo e la collera che aveva coltivato nel corso dell'intera mattina si erano dissolte come neve al sole. Era anche un po' stupefatto, a dire il vero: non riusciva a scorgere un motivo valido per difendere Rin, che peraltro certamente avrebbe potuto benissimo cavarsela da sola. La sua era solo rabbia, rabbia verso un insetto arrogante che continuava ad infastidirlo ostacolando il suo cammino.
- Sei un perfetto idiota, - ripeté lentamente, scandendo bene ogni parola. - Non far finta di non capire: la ragione la conosci anche tu.
Hikaru mosse qualche passo nella sua direzione, parandosi di fronte a lui con gli occhi fiammeggianti.
- Ti credi tanto superiore, piccolo impertinente? - domandò, muovendo istintivamente il braccio destro per afferrare l'elsa della zanpakuto. Si trattenne appena in tempo: fece scivolare la mano, inerme, al proprio fianco e prese a flettere convulsamente le dita. - Credi di poter offendere un tuo superiore e passarla liscia? Beh, ti sbagli di grosso. Tu non mi sei mai piaciuto; fai una sola mossa falsa, e troverò il modo di farti espellere dall'Accademia.
Pronunciate queste parole, il giovane sensei si allontanò furibondo verso il complesso delle aule ordinando a sua sorella di andare con lui. Rin si affrettò ad obbedire, non volendo rischiare di innervosirlo ancora di più e far finire Mayuri davvero in guai seri. Tuttavia prima di andarsene si voltò verso il ragazzo e, senza parlare, sillabò un breve "grazie" che Hikaru non potesse udire.
In risposta Kurotsuchi si voltò dall'altra parte, fingendo di non aver visto niente; era abituato a leggere il labiale come risultato dei lunghi anni di sordità, ma non avrebbe avuto senso accettare la gratitudine di lei. Non l'aveva fatto per aiutarla: tutto ciò che desiderava era dare una lezione a quel damerino.
Era stato un bambino anche lui, un tempo, e qualcuno doveva aver praticato il Konso sulla sua anima. Remotamente, il ragazzo si domandò se si fosse trattato di qualcuno pietoso come Rin, oppure arrogante come Hikaru. Rin corse dietro al fratello, silenziosa, riflettendo su quanto era appena avvenuto: forse era stato sciocco da parte sua, forse era stata una mossa suicida, e di certo lui non avrebbe mai ammesso di essere stato gentile. Da parte sua, la ragazza non aveva intenzione di lasciarsi incantare da un simile gesto; tuttavia, doveva riconoscere che quel Mayuri stavolta aveva colto nel segno.

Rin sollevò un sopracciglio, inclinando la testa da un lato per potersi guardare attorno senza essere costretta a sollevare il mento dal tavolo. Gli eventi della mattina l'avevano sfiancata, facendola sentire stanca come se non dormisse da mesi. Di fronte a lei Keiko scoppiò a ridere notando la sua espressione.
- Serve una mano? - commentò scherzosamente, punzecchiando la spalla del'amica col fondo di uno dei suoi bastoncini. Lei sobbalzò riemergendo bruscamente dai propri pensieri.
- Che dici, andiamo a lezione?
La Hisegawa si alzò lentamente a sedere massaggiandosi il collo con una mano. Si guardò nuovamente attorno, annoiata, poi si voltò di nuovo verso la compagna sforzandosi di sorridere.
- Zanjutsu? - domandò con voce annoiata.
- Hikaru, - confermò lei con un sorriso. Rin fece una smorfia, ma la imitò diligentemente alzandosi dalla propria sedia. Si allontanarono continuando  chiacchierare in tono leggero, la mente di Rin persa in tutt'altre congetture. Non aveva voglia di vedere di nuovo suo fratello così presto ma, soprattutto, non aveva nessun desiderio di scoprire come si sarebbe comportato con Mayuri. Il pensiero del biondo che faceva lo sbruffone con Kurotsuchi la rendeva nervosa, timorosa al pensiero di quello che lui avrebbe potuto replicare.
"Un altro passo falso e Hikaru lo butta fuori," considerò la ragazza con amarezza, desiderando di essere ancora amica di Mayuri per poterlo almeno avvertire di non rispondergli male. Amica di Mayuri... beh, non che lo fosse mai stata. Quando le due apprendiste entrarono nella palestra affollata, a Rin non occorse più di uno sguardo per rendersi conto che Kurotsuchi non c'era. Osservò di nuovo tutti gli studenti uno ad uno, domandandosi se il ragazzo per caso non fosse in ritardo, ma l'idea non le convinceva. Mayuri non le sembrava assolutamente il tipo da evitare le situazioni difficili per paura, quindi era piuttosto improbabile che avesse scelto di saltare la lezione per non presentarsi di fronte ad Hikaru.
Il laboratorio.
Rin si voltò di scatto, afferrando l'amica per la manica del kimono.
- Devo andare, inventati una scusa con mio fratello! - esclamò parlando troppo in fretta un attimo prima di sparire al di là della porta per affrettarsi attraverso il lungo corridoio. Svoltò a destra, poi a sinistra, attraversò l'ampio atrio dell'accademia e, praticamente correndo, si diresse di nuovo verso il complesso delle aule. Quando raggiunse la porta socchiusa e asettica del laboratorio di chimica, si soffermò per un istante ad osservarne la fredda superficie di metallo.
Che fare? La ragazza sapeva che, una volta attraversato quel breve ostacolo che la separava dalla stanza, lì avrebbe certamente trovato Kurotsuchi. Valeva la pena di scatenare la sua collera, seguendolo nonostante lui chiaramente avesse dimostrato di volerla tenere lontano?
C'era un'altra possibilità, una sola, e Rin finalmente aveva capito quale essa fosse. Spinse la porta impercettibilmente, osservando la lama di luce che filtrava dall'interno farsi via via più ampia mentre i cardini cigolavano appena. Era troppo tardi per tirarsi indietro, ma alla ragazza non interessava: aveva individuato la propria occasione... e questa volta non aveva nessuna intenzione di lasciarsela scappare.

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Capitolo 15
*** XV. chapter fifteen. ***


Evviva! La prof ci ha annullato il compito di sociologia, quindi ora ho molto più tempo libero! *salta. Beh, quindi... capitolo 17 in arrivo! °A°
Hi fis ~ Oddio, ti prego, non esagerare coi complimenti sennò poi ci credo e comincio a gasarmi! XD Per quanto riguarda la parte che mi hai detto, hai perfettamente ragione. Mi è costato molta fatica scriverla perché volevo dare un'impressione diversa, come a dire "guarda, là fuori c'è tutto un mondo felice e normale che Rin si lascia sfuggire", ma non sapevo bene come farlo e ho ripiegato sulla prima cosa che mi è venuta in mente. Magari fra qualche tempo, rileggendo il capitolo, mi verranno in mente delle frasi migliori e modificherò... tuttavia fino ad ora non posso far altro che lasciarcele, perché se la buona idea non c'è.. beh, non la si può inventare. C:
Yoko_kun Venti punti! Ci hai azzeccato! Spero quindi di coglierti un po' di sorpresa almeno nel modo in cui ho sviluppato l'azione... sai, sapere che avevi capito mi ha costretto ad inventarmi un secondo mini-colpo di scena per fare un po' suspence, quindi mi hai un sacco aiutato (anche se inconsapevolmente) spronandomi a fare di più. Ecco che ricomincio coi discorsi da protagonista shoujo. Cari lettori, mi fate male alla salute! XD
Felio86 Haha grazie! owo Ti conosco troppo bene! Scoccia! Però ~ Mayu-kun non può morire, è il protagonista strafigo! Davvero, dovresti cominciare anche tu a tifare per lui! XD *corre via terrorizzata.


« So I spy on her, I lie to her, I make promises I cannot keep
then I hear her laughter rising, rising from the deep.
And I make her prove her love for me, I take all that I can take
I push her to the limit to see if she will break. »

[Pink Floyd, "Take it Back"]

La porta cigolò impercettibilmente, mentre la lama di luce giallastra si ampliava sempre di più rischiarando la penombra del corridoio. Mayuri si voltò appena, lanciando una rapida occhiata in direzione del rumore: non aveva paura di essere scoperto, non c'era sufficiente materiale per poterlo accusare. Gli esperimenti seri, quelli li lasciava alla notte quando nessuno lo poteva vedere.
Non appena ebbe individuato la figura esile che faceva capolino nella stanza, il ragazzo spostò rapidamente lo sguardo di nuovo al proprio lavoro: qualsiasi cosa volesse, avrebbe dovuto farsi coraggio e domandare. Lui non era intenzionato a semplificarle la vita; non aveva nessuna responsabilità, dal momento che era stata lei a decidere di ficcare il naso.
Sollevando la fialetta del preparato che stava analizzando, Kurotsuchi la portò a pochi centimetri dal volto e ci guardò attraverso. Era di un brillante azzurro chiaro, esattamente il colore che si aspettava. Versò di nuovo il contenuto nella beuta assieme al resto del liquido stando ben attento che nemmeno una goccia scivolasse sul tavolo, fingendo ostinatamente di non essersi accorto della giovane che lo spiava.
Senza dire una parola, Rin si fece coraggio e scivolò all'interno del laboratorio. Il suo cuore batteva all'impazzata, ma l'espressione del volto era quella tranquilla e determinata di sempre: negli anni aveva imparato a nascondere il nervosismo in maniera piuttosto efficace, camuffandolo sotto una dose di falsa sicurezza che a volte sfociava nell'aggressività.
Quando raggiunse Mayuri si fermò al suo fianco, appoggiando entrambe le mani sulla fredda superficie del piano da lavoro. Il ragazzo si limitò a lanciarle un rapido sguardo, leggermente in apprensione a causa della sua vicinanza all'esperimento ma ancora deciso ad attendere una reazione da parte di lei. Era troppo curioso di vedere come si sarebbe comportata per essere il primo a parlare.
La Shinigami rimase immobile ancora per qualche istante, osservando con attenzione Kurotsuchi che lavorava. Le sue mani ossute dalle lunghe dita pallide si muovevano rapidamente fra i vari oggetti presenti sul tavolo, ora sigillando un contenitore, ora scaldandone un altro sul fuoco. C'erano numerosi barattoli sparsi in giro, ed alcuni di essi avevano nomi che Rin conosceva; non aveva mai approfondito la chimica per interesse personale, ma le scienze erano state sempre il suo ambito di studio preferito. Per lei era sempre stato più facile intuire ed applicare, piuttosto che combattere o apprendere nozioni di storia. Quello era un aspetto della sua personalità che Hikaru non sarebbe mai riuscito a capire.
Dopo qualche minuto di perfetto silenzio, Mayuri si allontanò verso il lavello e si mise a sciacquare energicamente alcuni degli oggetti che aveva utilizzato.
La ragazza lo stava facendo impazzire! Si presentava così, senza dire o fare niente, impicciandosi nei suoi affari per chissà quale motivo, lasciandogli come unica possibilità quella di essere lui ad intavolare una conversazione. Stava tentando di ricominciare lo stupido gioco degli ultimi mesi, quello fatto di silenzi e frasi dette per metà, di gesti non giustificati e comportamenti che nessuno dei due riusciva a spiegare.
Se anche avesse tentato di mandarla via, lei gli avrebbe domandato il motivo. Tutto si sarebbe ridotto di nuovo ad un niente di fatto, perché nessuno dei due era bravo a definire a parole una linea di demarcazione. Entrambi, tuttavia, avevano bisogno di conoscere il confine e di capire fino a che punto potevano spingersi prima di cominciare ad ignorarsi in un caso o avvicinarsi eccessivamente nell'altro. Mayuri non poteva permettersi né l'una né l'altra cosa.
Osservandolo con un misto di curiosità ed ammirazione dal proprio angolo, Rin aspettava senza dire una parola la reazione di Kurotsuchi. Era necessario procedere per gradi, come con un animale selvaggio, comportarsi con cautela e circospezione. Quando lui si fosse abituato alla presenza di lei, certamente avrebbe accettato anche le sue parole; in ogni caso c'era un momento per ogni cosa, e la Shinigami non aveva il potere di accelerare il corso degli eventi. Non restava che aspettare finché lui non ne avesse avuto abbastanza.

Maledetta ragazzina! Innervosito, Mayuri gettò gli ultimi strumenti nel lavello producendo un gran fragore metallico che fece sussultare la Hisegawa. Voltandosi all'improvviso verso la ragazza, coprì in pochi passi la distanza che li separava. Si soffermò di fronte a lei, scuro in volto, scrutandola dall'alto in basso con i suoi occhi del colore dell'oro.
- Si può sapere che diavolo sei venuta a fare? - sibilò furibondo, serrando i pugni nel tentativo di scaricare la tensione. Non capire lo faceva sentire debole, e la debolezza era una sensazione che detestava. Perché Rin tentava di riavvicinarsi tutto ad un tratto? E soprattutto, perché non parlava con lui, come avrebbe fatto qualsiasi altra sciocca adolescente in una simile situazione?
Kurotsuchi si sarebbe potuto limitare a dirle che voleva essere lasciato in pace, magari minacciarla, e lei avrebbe lasciato perdere la cosa e dimenticato tutto in poche settimane. Al massimo avrebbe parlato male di lui alle sue stupide amichette, ma niente di quello che poteva venir detto da una ragazzina sarebbe riuscito a peggiorare l'orribile opinione che tutti avevano già di lui.
- Se hai intenzione di denunciarmi ad Atashi-sensei sei pregata di farlo subito. Ho già in mente un buon modo per ricambiare la cortesia.
L'espressione sicura di Rin vacillò leggermente sotto quello sguardo ghiacciato. Mayuri vi colse chiaramente collera improvvisa, un leggero stupore e qualcos'altro, qualcosa che non riusciva a comprendere bene. Sembrava dispiacere... ma perché avrebbe dovuto mostrarsi dispiaciuta di fronte a parole tanto crudeli? Tutto ciò che le serviva per distogliersi da quella conversazione era una bella dose di spregiudicatezza: ormai, del resto, aveva in pugno il suo segreto.
- Fenolo, eh? - disse inaspettatamente la ragazza in un sussurro. - Hai usato il fenolo, mescolato al cloruro ferrico. Per questo il veleno che hai creato è blu, vero?
Kurotsuchi sollevò un sopracciglio, scettico e stupefatto, dimenticandosi per un istante di essere in collera con lei. - E' questo che stavi guardando? - domandò con voce tagliente, facendo saettare lo sguardo verso il contenitore sigillato che lo aspettava sul piano da lavoro.
Rin fece segno di sì energicamente, accennando una specie di sorriso. - Hai ragione, Atashi-sensei non sarebbe contento di sapere che sperimenti sostanze nocive. Tuttavia credo che, più di ogni altra cosa, rimarrebbe ammirato dalle tue capacità. - Spiegò semplicemente con un'alzata di spalle, acquistando sicurezza a mano a mano che parlava. - Pensi davvero che sia venuta qui per denunciarti al professore?
Mayuri chiuse gli occhi per un istante, portandosi una mano al volto, e scosse la testa come per scacciare un pensiero fastidioso. Decisamente, quella ragazzina proprio non la capiva. Tuttavia doveva riconoscere che era in gamba, almeno per quanto riguardava la pura teoria e le parole. Riusciva a tenergli testa senza lasciarsi intimorire: gli faceva venire voglia di metterla alla prova, per vedere fino a che punto sarebbe potuta arrivare.
- Penso che tu stia giocando col fuoco, Hisegawa, - quasi ringhiava. Lei si strinse nelle spalle, limitandosi a sorridere di nuovo.
Quanto detestava quel suo atteggiamento impudente! Mayuri socchiuse gli occhi furibondo, sentendo crescere in sé il desiderio di spaventarla, terrorizzarla fino a farle capire quanto potesse essere pericoloso quello che stava facendo. Come osava sottovalutarlo? Credeva di potersi semplicemente presentare di fronte a lui, chiedere la sua amicizia, e ricevere in cambio gesti affettuosi e parole gentili? Lui non era come gli altri, era qualcuno da cui chiunque fosse dotato di buon senso preferiva girare alla larga.
Se Rin questo buon senso non lo possedeva... beh, ci avrebbe pensato lui ad instillargliene quanto bastava. Sorrise, l'ombra di follia nello sguardo resa ancora più inquietante dall'espressione falsamente amichevole che aleggiava sui lineamenti pallidi del suo volto.
- Allora, - disse a voce bassa, chinandosi impercettibilmente verso di lei, - vuoi dirmi cosa stai facendo qui, per favore?
Rin sollevò gli occhi fino ad incontrare quelli di lui, tranquillamente; sembrava quasi divertita, ma anche leggermente in tensione.
- Conosco la teoria, e imparo in fretta. Qualsiasi cosa tu stia facendo qui voglio aiutarti, Kurotsuchi-san.
Dannazione.
Ecco dove lo aveva portato quella stupida idea di procurarsi un aiuto per i propri esperimenti! Nel momento in cui aveva cambiato opinione, qualche settimana prima, era già troppo tardi. Avrebbe fatto meglio a rinunciarci da subito, così adesso non si sarebbe ritrovato fra i piedi una stupida ragazzina in cerca di avventure. Rin si era illusa di essere stata accettata, di poter condividere i suoi segreti, di essere in qualche modo importante per lui. Si era sentita autorizzata ad accampare delle pretese, perché era stato lui a cercarla per primo.
"Lavorare per me?" rifletté il ragazzo aggrottando le sopracciglia, senza curarsi di nascondere la confusione dei propri pensieri. "Immagino che la consideri una buona idea, non è vero? Beh, ti farò cambiare parere, piccola insolente. Garantisco che te ne pentirai."
Rin lo osservava pacificamente, in attesa, senza aggiungere una parola. Kurotsuchi sollevò un angolo della bocca in un ghigno malvagio, mentre elaborava una possibile soluzione al problema. Doveva dissuaderla, in un modo o nell'altro, meglio se attraverso una minaccia: inculcarle bene nella mente quanto fosse pericoloso, folle e privo di moralità il lavoro che con tanta leggerezza aveva chiesto di svolgere.
- Aiutarmi, - la voce era gelida, priva di inflessione. Mayuri si voltò verso il tavolo alle sue spalle, raccogliendo uno degli strumenti che aveva appena finito di lavare. La lama lucente del bisturi colpì la luce artificiale del neon, gettando una rete di bagliori attraverso la stanza asettica e impersonale. - Sei consapevole di quello che mi stai chiedendo, non è vero?
Inclinò la testa da un lato, senza smettere di fissarla col suo sguardo penetrante e gelido. Rin deglutì, gli occhi che saettavano dal bisturi al volto del ragazzo, non riuscendo a decidere quale dei due fosse più pericoloso. Il suo istinto le gridava di ritrarsi, correre verso la porta e scappare; era la creatura atavica dentro di lei che aveva visto la lama, aveva percepito il pericolo, era pronta a mettersi in salvo e tener bene stretta la propria vita.
Tuttavia al contempo il buon senso le lanciava messaggi tranquillizzanti, seguendo la logica dell'animo umano. Kurotsuchi non le avrebbe fatto niente, non all'interno della scuola, non senza una valida motivazione. Lo conosceva, una volta l'aveva persino difesa. Magari non se ne rendeva conto neppure lui, ma non sarebbe stato in grado di sollevare quel bisturi contro un'amica.
- Lo sono, - la sua voce era appena incrinata, più per l'emozione che per la paura vera e propria. - come tu sei consapevole del fatto che posso darti una mano. Sei stato il primo a volerlo, Kurotsuchi-san, mi hai chiamato ed io ho risposto. Lo sai.
Il ghigno scomparve lentamente dalle labbra di Mayuri. Aveva capito. Nonostante lui non avesse mai giocato a carte scoperte, Rin Hisegawa era riuscita ad intuire il suo piano e lo aveva seguito, solo per scoprire dove portava. Era stata lei a tenere le redini del gioco, quasi inconsapevolmente, per tutti quei mesi. Adesso era il momento di rovesciare la situazione.
Il ragazzo fece un passo avanti, accorciando la distanza già esigua che li separava. Strinse le dita attorno al manico del bisturi, e sentì il freddo metallo a contatto con la pelle tiepida del palmo. Sollevò il braccio, rapidamente, mentre con l'altro la immobilizzava contro la parete. La lama appuntita sfiorò il collo di lei, fermandosi ad un passo dalla vena che pulsava proprio  sotto la gola.
- Potrei aver cambiato idea, - bisbigliò, cercando  nei suoi occhi un segno che rivelasse la sua paura.
Rin lo guardò a sua volta, cercando di restare immobile e non gridare: il gesto di Kurotsuchi l'aveva colta di sorpresa, ma era stato troppo rapido perché potesse anche solo sognarsi di reagire. A mano a mano che i secondi passavano, si rendeva conto che il ragazzo non aveva ancora piantato il bisturi nella sua carne: non doveva allontanarsi, né dare segno di essere preoccupata. Se lo avesse fatto lui avrebbe vinto, e questo non lo poteva accettare. Del resto, resistergli era abbastanza semplice una volta fatte le dovute considerazioni: se Mayuri non l'aveva ferita fin ora, difficilmente avrebbe potuto farlo poi.
- Non hai cambiato idea, - sogghignò, sentendosi più sicura a mano a mano che il tempo trascorreva. Il desiderio di stringere le sue mani attorno al polso di lui e allontanare la lama c'era ancora, ma si era fatto meno impellente di fronte all'espressione stupita del ragazzo.
Mayuri non sapeva come reagire a quella provocazione; da un lato era convinto che Rin parlasse solo per orgoglio e sfacciataggine, dall'altro tuttavia si rendeva conto che la Shinigami era riuscita fino a quel momento a prevedere ogni sua mossa successiva. La mano tremò leggermente, allontanandosi di un millimetro dal collo di lei: che fare? La provocazione non era stata sufficiente; era necessario farle capire al più presto, e in altro modo, che era lui a reggere il gioco.
Sarebbe stato facile, del resto: bastava rincarare la dose. Era solo una ragazzina, prima o poi sarebbe crollata. Si avvicinò ancora, il ghigno crudele di nuovo sulle sue labbra, finché il volto di lei non fu a pochi centimetri dal suo. Premette appena il bisturi contro la sua pelle; qualche goccia di sangue tinse la lama di scarlatto, scivolando lungo il manico fino a sfiorargli dita.
Sarebbe stato facile, certo... se solo lo avesse desiderato. Il sangue di Rin era tiepido a contatto con la pelle, e scintillava come una pietra preziosa nella luce del neon. Kurotsuchi rimase per un attimo immobile ad osservare la traccia rossa e sottile, cercando un valido motivo per continuare. Si sentiva la testa vuota, sgombra da qualsiasi pensiero, come quella volta in cui, da bambino, era caduto nel lago.
Un valido motivo. Non ne esistevano. Non c'era giustificazione per sprecare così una mente come quella di lei, abbastanza folle da vedere oltre la maschera che le altre persone avevano dipinto su di lui. Rin non si lasciava incantare, non si fidava di niente che non avesse visto coi propri occhi. Il suo sangue era caldo fra le dita... era viva, e lo guardava con un misto di preoccupazione e tristezza negli occhi eterocromatici.
Mayuri chiuse i suoi, color oro, e si allontanò con un unico movimento nervoso. Non sopportava quell'espressione, come se fosse dispiaciuta per lui. Come poteva provar pena per la persona che la aveva appena minacciata puntandole una lama alla gola? Non riusciva a smettere di fissare le proprie mani tinte di scarlatto.
Rin si passò il palmo sul collo, asciugando inutilmente il liquido denso che subito riprese a gocciolare. Non sarebbe servito a niente, del resto: la ferita era aperta e non restava nient'altro da fare che attendere pazientemente fino alla sua completa guarigione.
Entrambi alzarono lo sguardo: combattuto quello di lui, sereno quello di lei. Istintivamente la ragazza allungò il braccio, accarezzando con i polpastrelli la guancia di Mayuri.
- Pace? - chiese in un sussurro appena udibile mentre ritraeva la mano.
Kurotsuchi si limitò ad annuire, serio, senza dire una parola. Del resto era fatto così, non avrebbe avuto senso domandargli qualcosa di più. Si voltò per tornare a lavoro, consapevole della ragazza al suo fianco che sarebbe diventata la sua nuova complice, e sfiorò con le dita la guancia che lei gli aveva accarezzato.
Che strano.
Stavolta non aveva provato l'istinto di scansarsi, quando aveva sentito la pelle di Rin entrare in contatto con la sua.

1. "Allora la spio, le racconto menzogne, faccio promesse che non posso rispettare / poi sento la sua risata crescere, crescere dal profondo. / E la costringo a dimostrare il suo amore per me, prendo tutto ciò che posso / la spingo al limite per vedere quando si romperà." ("Take it Back", The Division Bell, Pink Floyd 1994). A parte il fatto che è una canzone che amo, questa parte di testo sta benissimo col capitolo (lunghissimo, eh? :D) che avete appena letto. Anzi, forse (ma non ne sono sicura) mi sono anche lasciata un po' influenzare. Comunque è a questo che serve la musica, no? E poi mi considero perdonata, perché i Pink Floyd sono pur sempre i Pink Floyd. ♥
2. Fenolo. Mescolato al cloruro ferrico, diventa azzurro-blu. Wikipedia dice che ho ragione (a meno che non abbia capito male io, ovviamente. A chimica avevo cinque alle superiori - ma andavo forte a fisica, invece). u.u Come al solito, mi sono servita delle nobili fonti attendibili-sama. XD Se non vi fidate, dateci un'occhiata anche voi.
3. La maschera, beh, chiaramente è solo una maschera "psicologica" e astratta. Mayuri non indossa mai una maschera ma bensì del painting facciale. Che, in questa fase della storia, ancora non ha. Comunque scrivendo questo capitolo mi è venuta un'idea piuttosto buona, quindi credo che la sfrutterò. C:

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Capitolo 16
*** XVI. chapter sixteen; ***


Nuovo capitolo come promesso! :) Non sono morta! Tanto per cominciare grazie a tutti quelli che hanno commentato anche l'AVVISO, mi ha fatto tanto piacere sapere che non avete smesso di seguire la mia storia! Per questo motivo ho deciso di non cancellare ma editare, così ì vostri commenti non andranno persi! .o. La mia vita pian piano sta ricominciando a funzionare, l'emicrania è passata [anche se sto tuttora cercando una causa scatenante che non si trova], gli esami sono finiti e le faccende "di cuore" sono andate a posto. ♥ Torno a scrivere Wild Lilies, e vi prometto qualche sorpresa in questo capitolo e - soprattutto - in quelli futuri! :)
Un grazie speciale a Belianna che ha lasciato una recensione per il concorso 'Storia coi migliori personaggi originali'. Sono onorata, e lietissima di aver "convertito" un altra persona a Mayuri! ;)

« So if you see me in the wind

think twice before you let me in.
I only smile just to ease the pain
you think it's a smile, I think it's a stain. »

[Peter Gabriel, "Altus Silva"]

Aprile scivolò via rapido come un battito di ciglia per gli studenti dell'Accademia, portandosi via anche l'ultimo alito di vento invernale. Maggio esplose in tutto il suo splendore assolato e gioioso, preannunciando calde giornate estive e prati punteggiati di tulipani. I corsi si erano fatti sempre più intensi adesso che ci si avvicinava agli esami, e tutti all'interno della scuola sembravano in preda ad una sorta di frenesia dovuta all'arrivo delle imminenti vacanze.
Rin osservava il paesaggio fuori dalla finestra tingersi col verde leggero dell'erba nuova, il mento appoggiato su una mano. I capelli biondo scuro le arrivavano adesso all'altezza dei gomiti, e li portava legati in una mezza coda che impedisse alle ciocche più corte di caderle sul viso.
Da quando aveva iniziato a lavorare in laboratorio con Mayuri era diventata, se possibile, più taciturna e distaccata dal resto dei compagni: rispondeva ancora quando qualcuno le parlava, tuttavia le riusciva quasi impossibile interessarsi sinceramente a quello che gli altri le dicevano.
Ogni parola le appariva banale, ogni discorso già sentito. C'era sempre da commentare il fisico di questo o quel ragazzo nuovo, discutere sul colore dello yukata da indossare durante le varie festività, fare congetture riguardo al voto preso nell'ultimo esame. E alla fine, quando ogni argomento era stato esaurito, iniziavano i soliti luoghi comuni e le frasi fatte in cui nessuno ormai credeva più da un pezzo.
Tutto così ripetitivo, il mondo dov'era nata e cresciuta. Gente comune, alla ricerca di un motivo per sentirsi speciale, in attesa del momento in cui fosse accaduto qualcosa di fantastico che avrebbe reso tutto differente. Come se non bastasse essere già Shinigami... come se non fosse sufficiente avere il potere di salvare e di uccidere. Il futuro era nelle mani di quei ragazzini sempre pronti a far confusione, e loro non avevano niente di meglio da fare che cercare il miglior modo per passarsi il compito in classe senza farsi scoprire.
- Hey, Rin-chan, che cosa hai fatto al braccio?
Sana si sedette accanto a lei, atterrando sul letto con una piroetta aggraziata. Inclinò la testa da un lato, educatamente curiosa, scrutando il polso della compagna di stanza senza preoccuparsi di poter apparire invadente. La Hisegawa spostò rapidamente gli occhi dal volto di lei alla fasciatura che, stretta e ordinata, nascondeva interamente la pelle  che la manica del kimono aveva svelato.
Per un istante le sue labbra si fecero sottili: lei sapeva benissimo cosa si celava sotto alle garze candide, ed era qualcosa che all'amica non sarebbe piaciuto per niente. Allora alzò lo sguardo determinata, distendendo i lineamenti infantili nell'espressione più simile ad un sorriso che riuscì a trovare.
- Sono caduta, - spiegò tranquillamente stringendosi nelle spalle, - Sai che inciampo dappertutto... ma è solo un taglietto, Retsu-sensei ha detto che non è nulla di grave.
Sana annuì seria, ma era evidente che la sua mente era già lontana. Aveva chiesto per pura cortesia: probabilmente desiderava soltanto cambiare argomento, e raccontarle quanto si era divertita durante il suo appuntamento con Takeshi. Rin appoggiò di nuovo la guancia nel palmo della mano, rassegnandosi ad ascoltare pazientemente il flusso incessante di parole, perfettamente consapevole che avrebbe dimenticato ogni cosa entro qualche ora.
In un angolo del suo cervello, come un disco rotto, si ripetevano ancora ed ancora gli avvenimenti di qualche giorno prima.

E' sera. Il volto di Mayuri è perfettamente serio nella pallida penombra del laboratorio. Sono costretti a lavorare alla luce di qualche candela rubata, perché se accendessero i neon di certo qualcuno lo noterebbe, prima o poi. Attraverso le ampie finestre troppo alte si scorge soltanto un brandello di cielo scuro e, al centro esatto di questo, una falce aguzza di luna.
Rin osserva il ragazzo mescolare con destrezza i diversi preparati, con la stessa curiosità attenta di un cucciolo che impara a cacciare. Non può fare molto, per ora, se non memorizzare ogni formula e lavare gli oggetti dopo che sono stati usati. Inaspettatamente Kurotsuchi è estremamente paziente con lei, e agisce ogni volta stando attento che la giovane Shinigami capisca ogni cosa.
Stasera, tuttavia, c'è qualcosa di diverso rispetto al solito. Anziché chiederle di prendere un contenitore dallo scaffale infondo alla stanza, Mayuri lascia scorrere le dita sull'impugnatura del bisturi affilato con cui l'aveva minacciata quando si è presentata per la prima volta in laboratorio. Memore di quell'esperienza, la ragazza non può fare a meno di tremare appena.
Kurotsuchi solleva un angolo della bocca in un mezzo sorriso di scherno, perché l'espressione di lei non gli è affatto sfuggita. Con movimenti volutamente cauti e studiati solleva il piccolo oggetto tagliente, e osserva i riflessi della candela danzare sulla lama ancora immacolata, liscia e sottile.
- Prendi delle garze, - dice perfettamente tranquillo. - Può darsi che ce ne vogliano parecchie, tra un po'.
Rin ubbidisce annuendo, cercando di non incontrare gli occhi di lui. Non può farne a meno: nonostante sappia benissimo di essersi cacciata da sola in quella situazione, ancora continua a tremare ogni volta che vede Mayuri impugnare qualcosa di affilato. Diligente, appoggia le bende sul tavolo davanti al suo compagno di lavoro.
Kurotsuchi ha gli occhi bassi, sta armeggiando con il contenitore che ospita l'ultimo preparato. Naturalmente la Shinigami non ha contribuito alla creazione di quel liquido di un giallo vivace, ma sa benissimo di cosa si tratta e potrebbe tentare di replicarlo, se fosse necessario. La formula è semplice, quasi banale a confronto con altre sue creazioni, ma Mayuri tiene particolarmente a quella fialetta che luccica sinistramente alla luce della luna.
Una pozione che permette di ottenere una guarigione ben più rapida del normale; una sorta di fattore rigenerante che, se potenziato, potrebbe persino permettere a chi lo usa di ricreare da zero braccia o gambe amputate. Per adesso si tratta soltanto di una medicina un po' più efficace del normale: buona per far risarcire un taglietto, niente di più. Non si possono produrre sostanze esageratamente potenti, in quel laboratorio: la materia prima è troppo poca, bisognerà risparmiare fino alla prossima estate.
In ogni caso, Kurotsuchi non può impedirsi di sogghignare mentre scruta in controluce il liquido color del sole: potrebbe essergli molto utile, anche in un futuro immediato. Andarsene in giro coperti da capo a piedi di tagli profondi e sanguinanti non aiuterebbe certo lui e la sua assistente a passare inosservati in una scuola dove tutti sembrano vivere soltanto in funzione di pettegolezzi e maldicenze.
- Non ci resta che testarla, ora, - commenta il ragazzo più a se stesso che a Rin, continuando a giocherellare col bisturi che tiene stretto nella sinistra. Una cosa che la ragazza ha notato da poco - e che l'ha scioccamente stupita, come se non sapesse quanto lui può essere strano - è l'abilità con cui Mayuri usa indifferentemente entrambe le mani per scrivere, lavorare ed impugnare la spada. Non ha mai incontrato una persona ambidestra prima: non può fare a meno di chiedersi se si tratti dell'abilità di un genio o di quella di un pazzo.
Osserva dubbiosa la grafia nervosa e complessa dell'amico sull'etichetta della fiala; nel frattempo lui si è sollevato la manica, rivelando l'avambraccio pallido e le vene bluastre all'altezza del polso. Il bisturi è ancora al suo posto, saldamente stretto nel pugno, così come il sorriso un po' esaltato che piega gli angoli delle sue labbra in un'espressione crudele.
In silenzio, il giovane fa scivolare la lama appuntita sulla pelle chiarissima. Dolcemente, apparentemente senza sforzo, il bisturi penetra di qualche centimetro nella carne. Lui non abbandona la sua solita espressione seria e rilassata, mentre osserva il proprio sangue scivolare rapido in rivoli ordinati e cadere gocciolando al suolo. Da parte sua, Rin assiste alla scena con gli occhi sbarrati.
Deglutisce a vuoto quando Mayuri le passa lo strumento aguzzo, porgendole l'impugnatura. Sembra non esserci alcun dubbio nei suoi occhi color ambra, incredibilmente gelidi sotto le sopracciglia sottili.
- Gli esperimenti devono essere ripetuti per poterne verificare la riuscita, - commenta semplicemente, e questa è la sua spiegazione.
Ubbidiente, la ragazza preme la lama contro il proprio polso sottile. il liquido scarlatto luccica beffardo alla luce della candela, mescolandosi al sangue di Mayuri che è rimasto sull'acciaio freddo. Lei non può fare a meno di ripetersi che tutto quello che stanno facendo è folle, pericoloso, insensato.
No, un momento... non è vero. E' assurdo, forse, ma  non insensato. In effetti quel giovane che la scruta impaziente, con un braccio sanguinante ed un sogghigno un po' sghembo sulle labbra è l'unica cosa che abbia un senso in tutta la sua vita.
Kutotsuchi è la sola persona di sua conoscenza che abbia il coraggio di dire quello che pensa, e di pensare quello che vuole. Il solo che abbia accettato di essere messo da parte e considerato un pazzo pur di non abbandonare le proprie aspirazioni. E, a dispetto di quello che tutti dicono di lui, è anche un maledettissimo genio.
Per questo motivo, il sangue che Rin ha versato per la scienza in cui crede, per la scienza in cui Mayuri le ha insegnato a confidare, non è affatto perduto.
- Alla salute, - sogghigna in ragazzo con una luce un po' inquietante nello sguardo mentre versa qualche goccia del liquido magico sul polso di Rin.
Lei sussulta impercettibilmente: la sostanza brucia a contatto con la pelle come fosse acido, e attorno ai labbri netti del taglio si forma una leggera schiuma. Intanto Kurotsuchi ripete il gesto sul proprio braccio, osservando il preparato color oro pallido luccicare nella fialetta mentre la ripone.
- C'è ancora da lavorare, - mormora infine fra sé, flettendo le dita della mano.
Rin annuisce di rimando, mentre il liquido si asciuga e sul suo polso appare una candida cicatrice un po' arrossata. Solo una cicatrice, dove prima c'era una ferita sanguinante e slabbrata. Ma non è ancora abbastanza, almeno non per Kurotsuchi... invece, la ragazza non può fare a meno di scrutare con quieto stupore quel piccolo miracolo della chimica. E' stupefacente, assurdo, spaventoso.
Dovrà nascondere il braccio per un po', non sarà facile giustificare la presenza di un taglio che sembra risarcito da giorni agli occhi di persone che l'hanno vista sana come un pesce fino a qualche ora prima. Dovrà anche stare attenta, d'ora in poi: nella sua giovane mente, e sulla sua pelle candida, è custodito un segreto che si farà più pesante ogni giorno che passa, un fardello che sarà difficile riuscire a sopportare.
Tuttavia, mentre ripone gli oggetti che lei e Mayuri hanno usato per l'esperimento, la Shinigami capisce che i suoi dubbi adesso non hanno alcuna importanza: per la prima volta da quando è nata, sente di aver finalmente trovato qualcosa per cui vale la pena di lottare.


1. Mayuri è effettivamente ambidestro.
2. Credo che tutti abbiate capito di che "pozione" si parla in questo capitolo, dal momento che Mayuri ne utilizza una versione potenziata per curare le proprie ferite dopo lo scontro con quel cretino di Ishida... :D

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