The Bleeding Saga - 3 - Wild Lilies di Rin Hisegawa (/viewuser.php?uid=46208)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. chapter one; ***
Capitolo 2: *** II. chapter two. ***
Capitolo 3: *** III. chapter three; ***
Capitolo 4: *** IV. chapter four; ***
Capitolo 5: *** V. chapter five; ***
Capitolo 6: *** VI. chapter six; ***
Capitolo 7: *** VII. chapter seven; ***
Capitolo 8: *** IIX. chapter eight; ***
Capitolo 9: *** IX. chapter nine; ***
Capitolo 10: *** X. chapter ten; ***
Capitolo 11: *** XI. chapter eleven; ***
Capitolo 12: *** XII. chapter twelve; ***
Capitolo 13: *** XIII. chapter thirteen; ***
Capitolo 14: *** XIV. chapter fourteen; ***
Capitolo 15: *** XV. chapter fifteen. ***
Capitolo 16: *** XVI. chapter sixteen; ***
Capitolo 1 *** I. chapter one; ***
Ciao! :D Se stai leggendo qui significa che sei anche tu un fan di Mayuri, oppure che questa storia ti sembrava interessante e hai pensato che valesse la pena di darci un'occhiata. Sono contenta in entrambi i casi, e spero che continuerai con la lettura anche dopo questa squallida introduzione. :3 Ma veniamo a noi.
Per prima cosa, il titolo (( Wild Lilies )) mi è venuto in mente circa dieci minuti fa e l'ho adottato come nome ufficiale nella convinzione che tanto non mi sarebbe venuto in mente nulla di migliore (( sono una frana coi titoli )). Deriva dal fatto che Mayuri non è un nome giapponese, ed il significato più prossimo (( se scritto coi kanji appropriati )) viene da "yuri", che significa giglio. "Wild" ci stava semplicemente bene. Comunque.
Quella che sto per raccontare è la mia versione di come Mayuri è arrivato nel Rukongai, si è iscritto all'Accademia per Shinigami ed infine è stato incarcerato nel Maggot's Nest. Non molto di quanto narrato in questa storia deriva quindi da fonti attendibili. Inoltre, leggendo Bleach 36 mi sono resa conto che il primo esperimento visibile che Kurotsuchi ha effettuato su se stesso era la sostituzione delle proprie orecchie con due strutture metalliche: ho pensato di spiegare anche questo, con una soluzione un po' azzardata. Ai posteri l'ardua sentenza, che gradirei ricevere (( nel bene e nel male )) sotto forma di commenti. In altre parole, recensite! :P
Suo padre non gli aveva mai raccontato del giorno in cui era venuto al mondo. Degli anni trascorsi nella Soul Society, cercando di farsi notare il meno possibile, aveva pochi ricordi gradevoli o che considerasse degni di nota. Gli sarebbe piaciuto sapere qualcosa riguardo alla propria nascita, il miracolo urlante della vita che si genera autonomamente, senza la necessità di una formula matematica o una spiegazione logica. Senza un ordine apparente, né una comprensibile ragione.
Perché era giunto laggiù, in quel luogo che gli altri spiriti chiamavano Rukongai? Se lo era chiesto molte volte, da quando era poco più che un bambino, ma non aveva mai trovato una risposta che lo soddisfacesse. Alla fine aveva smesso di pensarci, com'è giusto che sia, convinto che la speculazione vana ed infruttuosa è per le menti deboli, non per gli scienziati. Aveva smesso di pensare anche a suo padre: quel vecchio, piccolo uomo che faceva finta di prendersi cura di lui.
Kurotsuchi Mayuri sedeva in silenzio, il mento fra le mani, osservando con espressione assente la superficie appena increspata del lago. Non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo, e la consapevolezza di ciò era sufficiente a tracciare un leggero sorriso di scherno sulle sue labbra pallide e sottili. Aveva dodici anni, grandi occhi color ambra ed un'indole asociale per natura. Non era bello nel senso convenzionale del termine, ma i suoi lineamenti affilati, il fisico magro, lo sguardo penetrante gli conferivano un fascino strano che lo rendeva quantomeno interessante agli occhi delle altre persone. Non che gli importasse, in realtà: in ogni caso, non appena lo sentivano parlare i più tendevano a tenersi a debita distanza da lui.
Il "piccolo scienziato pazzo", come tutti ormai lo chiamavano, aveva smesso da tempo di suscitare compassione nelle vecchiette del suo quartiere. Un ragazzino privo di madre, trovato ancora in fasce da un semplice pescatore e per di più quasi completamente sordo; inizialmente, tutti avevano pensato di dover dare una mano a lui e all'uomo che aveva accettato di prendersene cura; ma il carattere riservato del padre e l'indole solitaria del figlio avevano fatto sì che ben presto ogni tentativo di approccio venisse accantonato.
Durante i lunghi pomeriggi trascorsi da solo in giro per i campi, il giovane Mayuri era stato visto inseguire e catturare animali per poi sezionarli; i suoi occhi s'illuminavano alla vista del sangue, e trascorreva ore ed ore a disegnare con sconcertante precisione tavole di anatomia che non poteva aver visto sui libri. Parlava poco e decisamente male, perché non si era mai esercitato granché: la sordità - che apparentemente lo accompagnava dalla nascita - gli impediva di riprodurre correttamente i suoni, e nè lui nè il suo genitore avevano mai fatto nulla per ovviare a questa difficoltà. In ogni caso, non sembrava che Mayuri fosse desideroso di ascoltare quello che gli altri avevano da dire.
Con un movimento svogliato del polso, il ragazzo scagliò un ciottolo piatto attraverso l'aria frizzante di Settembre, dritto nelle profondità del laghetto che aveva di fronte. Il sasso rimbalzò un paio di volte sulla superficie, come in cerca di un appiglio che gli impedisse di finire dimenticato negli abissi più profondi della terra, ma alla fine parve arrendersi e sprofondare nell'acqua fresca e silenziosa.
"E' inutile che ti ostini a lottare contro le leggi della fisica, la scienza sarà sempre più forte di te," sogghignò il ragazzo osservando la superficie del lago tornare lentamente immobile. Il suo cuore esultava di fronte al miracolo della logica naturale, ma dalle labbra non uscì alcun suono. La consapevolezza che ci fosse qualcosa di preordinato nel mondo, qualcosa di spiegabile che è possibile apprendere e padroneggiare, lo faceva sentire bene. Sapere che, se avesse studiato ed osservato, avrebbe potuto capire e dare un nome e una legge a tutte le cose... era tutto ciò di cui aveva bisogno, tutto quello che desiderava.
Un giorno sarebbe andato via da quel luogo sempre uguale, dove anche i fenomeni naturali non avevano modo di mostrarsi in tutta la loro potenza. Un giorno avrebbe visto le vere tempeste, e la superficie del sole, ed i mostri marini dimenticati nelle profondità dell'oceano. Avrebbe imparato a curare ed uccidere, a generare la vita da un brandello di carne e una goccia di sangue; avrebbe toccato con mano l'energia che muove tutte le cose, e l'avrebbe plasmata a suo piacimento come fosse una mollica di pane.
Un giorno avrebbe fatto tutto questo, e forse anche di più. Per adesso, doveva limitarsi ad aspettare.
Con un sospiro ed una rapida occhiata al paesaggio circostante, Mayuri si alzò in piedi agilmente e si voltò in direzione del villaggio. Le case erano piccole e lontane nel tramonto tinto di arancio, e solo qualche sbuffo di fumo dai comignoli arrampicati sui tetti rivelava la presenza di qualcuno ad abitarle.
Il ragazzo si mosse rapido attraverso l'erba spazzata dal vento, gli steli ancora secchi dopo la calura estiva che gli solleticavano sgradevolmente le caviglie mentre camminava. Ad ogni passo, i capelli azzurro chiaro gli scivolavano negli occhi ostruendogli la visuale: era il momento di tagliarli, di nuovo. Odiava quel genere di seccature.
Scivolò, perfettamente silenzioso, lungo i viottoli che profumavano di legna e di calore. Al di là delle finestre chiuse, la vita scorreva chiassosa in un modo che il ragazzo non avrebbe mai saputo apprezzare: il naturale istinto umano che porta all'aggregazione in nuclei familiari, la tendenza all'affetto, a crescere figli anche quando di figli non se ne possono avere, a chiamare "madre" e "padre" persone che non ci hanno messo al mondo, pur di avere qualcuno su cui riversare il proprio bisogno d'affetto. Tutto quel miracolo avveniva lì, nel Rukongai, sotto i suoi occhi; e Mayuri camminava senza far rumore, un fantasma muto che si aggirava guardingo nella crescente oscurità.
- Sei stato di nuovo al lago, vero? - lo apostrofò Heisuke non appena ebbe aperto la porta di casa. Con una mano lo costrinse ad alzare la testa e guardarlo, di modo che potesse leggere sulle sue labbra le parole, e nei suoi occhi la collera che esse contenevano.
Mayuri annuì senza distogliere lo sguardo, inespressivo, quasi impudente nel suo disinteresse totale. Il padre adottivo scosse la testa, sospirando, in cerca della calma che gli sarebbe servita per affrontare quella discussione. Infondo si trattava solo di un ragazzino, un adolescente emarginato la cui vita era resa ancor più difficile da quello scherzo malvagio che la natura aveva deciso di infliggergli senza una ragione.
- Non ti ho chiesto di non andarci perché sono cattivo, Mayuri. - gli spiegò pazientemente per la centesima volta, chinandosi in modo che il giovane non dovesse alzare lo sguardo per leggergli le labbra. - Ti ho chiesto di non farlo perché è pericoloso. Il lago è profondo, e le correnti formano mulinelli che ti trascinerebbero sott'acqua senza lasciarti un secondo di tempo per chiamare aiuto. Lo capisci questo?
Il ragazzo annuì di nuovo, ancora senza mostrare la minima emozione. Glie ne sarebbe importato, a Heisuke, se fosse morto? Ne dubitava. E in ogni caso, lui non era così stupido da distrarsi abbastanza a lungo da poter cadere nel lago.
- Bene... Bene. - confuso e sconfitto, Heisuke si alzò di nuovo in piedi e si avviò a larghe falcate verso il fuoco, su cui bolliva un pentolone. Rimase immobile per qualche istante a rimestare nella zuppa, canticchiando distrattamente una canzone; Mayuri ne approfittò per sgattaiolare nella stanza accanto, senza far rumore.
Non capiva l'eccessiva apprensione del genitore adottivo: che senso aveva preoccuparsi per un ragazzino raccolto un giorno in mezzo alla strada? Il Rukongai è solo il luogo dove le anime attendono, attendono all'infinito qualcosa. E allora perché sforzarsi di rendere migliore quell'attesa? Perché cercare altre persone, di cui siamo destinati a perdere ogni ricordo? Innervosito dagli ammonimenti di Heisuke il ragazzo si gettò sul materasso sformato che era il suo letto, e chiuse gli occhi. Soltanto l'apprendimento era giustificato: limitarsi ad essere una stupida rana, felice nel proprio pozzo con altri milioni di rane, non gli bastava. Non si sarebbe accontentato di una gioia posticcia guadagnata in un mondo di falsi sentimenti: soltanto la scienza era la soluzione.
Quella scienza che, ne era certo, con pazienza e tenacia prima o poi sarebbe riuscito a padroneggiare.
1. Sordo. Okay, lo so che è un'idea decisamente azzardata, ma mi piaceva. Spiegherebbe anche perché Kurotsuchi ha un carattere così riservato e scostante, dopo aver trascorso tutta l'infanzia come un emarginato... Ma vi prometto che riuscirò ad uscire al più presto dal pantano in cui mi sono invischiata con questa bella idea. :3
2. Mayuri ed Heisuke: il primo è convinto che sia impossibile affezionarsi a qualcuno che si trova un giorno per la strada, il secondo si mostra decisamente preoccupato per lui. In realtà, il padre adottivo sembra davvero volergli bene... Sarà tutta una finzione, oppure sarà Kurotsuchi ad essere troppo cinico? Credo che la risposta, se ancora non vi è chiara, diventerà abbastanza evidente nei prossimi capitoli... ;3
3. Giuro che non ho intenzione di andare OOC. La cosa che odio più al mondo (( dopo i pairing assurdi ed il gender swap )) sono gli OOC. Quindi se svirgolo troppo avvertitemi, per favore! D: Conto su di voi! >,>! |
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Capitolo 2 *** II. chapter two. ***
Intanto grazie mille a tutti per le recensioni, mi hanno fatto molto felice. E grazie anche a chi ha aggiunto la storia fra i preferiti ma non ha recensito. ;3 Vi prego di continuare a farmi sapere che cosa ne pensate, accetto anche critiche e consigli! Anzi, visto che la storia la invento passo passo mentre la scrivo, se c'è qualcosa di particolare che vi piacerebbe accadesse (( puchè plausibile )) chiedete pure... perché no? :P Grazie ancora per il supporto! <3
Il rosso del sangue sull'erba; l'odore del sangue nell'aria.
L'animale si dibatte impotente, ma non emette alcun suono.
Il calore del sangue sulle mani. Poi, il nulla.
Mayuri se ne stava seduto su un sasso piatto, nel boschetto che costeggiava il retro della casa di suo padre. Tra le dita, il liquido rosso e vischioso scivolava lungo la lama del coltello arrugginito che aveva rubato dalla cucina. Doveva eliminare le prove prima che Heisuke facesse ritorno: non avrebbe capito. Nessuno all'infuori di lui, in effetti, ne era capace, di comprendere il misterioso meccanismo che rende vivo uno scheletro fragile, coperto di debole carne, e nervi, e sangue, e solo la pelliccia a proteggerlo dal freddo. Una macchina perfetta, che tuttavia da sola non bastava per funzionare; e la scintilla che le conferiva il moto, la forza segreta che l'animava, si trovava in un qualche mondo distante - ormai Mayuri ne era praticamente certo - oppure, se era in questo mondo, non era possibile vederla ad occhio nudo.
Per questo motivo aveva squartato il coniglio: cercava di scorgere la sua anima, voleva toccare con mano il meccanismo che gli aveva dato vita. Eppure, a quanto sembrava, non ne era stato capace. All'uomo è dato il potere di imparare a distruggere e generare, ma i misteri che queste facoltà racchiudono non gli debbono essere spiegati. Puoi mettere al mondo dei figli, puoi uccidere i tuoi nemici; ma non sarai mai in grado di cogliere, o almeno percepire, il lento flusso della vita che va e che viene.
Asciugando il coltello sull'erba, Mayuri raccolse la carcassa del coniglio e si avviò all'interno del bosco, per nasconderla come si deve. Non c'era sadismo nelle sue azioni, non provava piacere per ciò che aveva fatto. Era puro, semplice studio scientifico. Il sadico prova sentimenti: lui si sentiva soltanto vuoto. Aveva fallito di nuovo, con gli strumenti che possedeva non poteva certo pretendere di imparare qualcosa. Limitarsi a smembrare animali, nel bosco, e disegnarne l'anatomia, non era neppure classificabile come "impegno scientifico". Se avesse avuto a disposizione un cadavere umano, un bisturi, un laboratorio... Non riusciva neppure a pensare a ciò che avrebbe potuto fare, se avesse messo le mani su un vero laboratorio. Quello, era l'unico pensiero che riusciva a farlo sentire almeno un po' esaltato.
Abbandonò il corpo esangue e ancora caldo tra le radici di un pino, e si diresse verso il lago per lavare il coltello che aveva utilizzato. Pensò al sangue nell'erba, dietro casa, e si domandò se avrebbe fatto in tempo ad eliminarlo del tutto. No, non ci sarebbe riuscito... era stato uno sciocco, a lavorare così vicino al villaggio. Gli altri erano ciechi alle meraviglie della natura, non si facevano domande, davano tutto per scontato. Lo chiamavano "pazzo" perché era curioso, e "mostro" perché cercava di capire.
Lui era sordo in un mondo che urlava; tutti gli altri, erano semplicemente ciechi.
Camminando lentamente verso casa, Mayuri non si sforzò nemmeno di darsi un contegno: le spalle curve, il coltello in mano, l'acqua che gocciolava dalle punte delle sue dita tinta di un rosa innaturale... il rosa del sangue diluito. Pensava, e la sua mente era distante anni luce da quel luogo, distante dalle sciocchezze terrene. Non vedeva l'espressione disgustata e spaventata delle persone che gli passavano accanto, ed ovviamente non poteva sentire i commenti che facevano. Tutto era perfetto, silenzioso, una bolla di vetro.
Un acquario buio e tetro in cui quei pesci umanoidi si dibattevano inorriditi da lui, e le alghe avevano grandi tronchi resinosi che si stagliavano verso il cielo.
Poi, d'improvviso, una luce, una soluzione: poteva imparare qualcosa, anche in quel piccolo mondo. Possedeva le proprie mani, ed un cervello fuori dall'ordinario; non aveva gli strumenti che avrebbe voluto, ma c'erano pur sempre i coltelli della cucina, il filo e l'ago d'osso che usavano le donne per cucire, gli attrezzi che suo padre usava per rammendare le reti da pesca; non era molto, e l'aspetto igienico lasciava alquanto a desiderare, ma era pur sempre meglio di niente per cominciare. Era il momento di abbandonare la pura ed infruttuosa teoria.
Nei giorni che seguirono, Mayuri si impegnò alacremente nel tentativo di procurarsi gli strumenti di cui aveva bisogno per creare il suo piccolo laboratorio personale. Non aveva grandi progetti in mente, si sarebbe accontentato di sperimentare su quello che trovava: gatti, conigli, uccelli, piccoli roditori; per questo scopo, anche una lama sterilizzata sarebbe stata più che sufficiente. In ogni caso, aveva tutto ciò che gli serviva.
Un pomeriggio nascosto tra i cartoni accatastati dietro alla stanza dove le donne cucivano gli permise di apprendere la tecnica che portava alla creazione dei piccoli aghi d'osso: con un coltello si faceva la punta e poi, con un punteruolo, si praticava un foro nell'estremità più larga. Nel foro si faceva passare il filo, che poteva essere cotone lavorato oppure tendini di animali. Mayuri scelse la seconda opzione: dava più possibilità che il materiale venisse riassorbito dalla pelle, una volta che la ferita si fosse sanata.
Per quanto riguardava i coltelli e il resto del materiale che gli sarebbe servito, era tutto un altro paio di maniche: dopo lunghi appostamenti ed attente osservazioni, il ragazzo giunse alla conclusione che l'unico sistema per procurarsi tutta quella roba sarebbe stato portarla via, a poco a poco, cercando di non dare nell'occhio. In questo Mayuri era bravissimo: silenzioso per natura, abituato a farsi notare il meno possibile, sapeva che il segreto per non essere visto era quello di apparire spontaneo. Nel giro di una settimana, possedeva già - oltre al vecchio coltello, che però era inutilizzabile perché arrugginito - un rasoio dalla lama ricurva e affilata ed una piccola bottiglia contenente dell'etere, che suo padre teneva in casa non si sa per quale motivo e della cui esistenza tutti si erano totalmente dimenticati.
Fu così che Kurotsuchi Mayuri iniziò la sua carriera di scienziato: nascosto nel boschetto dietro casa, con un pentolone d'acqua a scaldare su un fuoco improvvisato per sterilizzare i rozzi strumenti che possedeva, l'abilità delle proprie mani e l'esperienza data dalla sola osservazione dei fenomeni. Inizialmente, la maggior parte delle sue cavie moriva a causa della sua inesperienza o di una qualche complicazione; ma alcune rimanevano in vita, e presto il sottobosco iniziò a popolarsi di strane creature col corpo da gatto e la coda di volpe, topi con le ali dei passerotti, conigli senza orecchie ma dotati di sei zampe ed ogni altra assurda chimera che il ragazzo riusciva ad immaginare.
Ogni successo era una segreta vittoria, ed ogni sconfitta un dolore immenso. Quando una cavia non riusciva a superare l'operazione Mayuri sedeva con la testa fra le mani, la mente vuota, un nodo alla gola. Non pensava neppure alla morte in sè, quella sciocchezza non lo sfiorava: era parte del naturale corso delle cose, era solo un'altra legge di quel mondo. A farlo infuriare era piuttosto la consapevolezza di aver fallito: era la morte delle proprie speranze, a rattristarlo più di ogni altra, il sentirsi uno stupido e un debole essere umano di fronte al meccanismo perfettamente bilanciato che muoveva il mondo.
Poteva stare per giornate intere nel bosco a lavorare, ricordandosi a stento di tornare a casa la sera; e anche allora sembrava assente, non solo silenzioso ma anche distante, con lo sguardo perso nel vuoto. Heisuke lo osservava apprensivo, mentre Mayuri dimagriva di giorno in giorno a causa dei pasti saltati per rimanere nel suo "laboratorio", e due pesanti aloni neri si formavano sotto ai suoi occhi in seguito alle notti insonni trascorse a rimuginare.
La sua unica passione, la sua fissazione quasi morbosa per la scoperta lo stava portando via; ed era così che avrebbe vissuto negli anni a venire: un'anima costantemente perduta sul confine tra la realtà e la speculazione, sempre impegnata in problemi più importanti di qualsiasi essere - umano e non - che si trovasse sul suo cammino. Una creatura spregiudicata, disposta a qualsiasi cosa pur di ottenere il proprio scopo, ma mossa dalla curiosità anziché dalla cattiveria che spinge i malvagi. Un corpo che è solo uno strumento, che deve solo funzionare a dovere, e non ha altro scopo se non quello di sopravvivere e permettere alla mente di realizzare i grandi progetti che la animano.
Questo era Mayuri a dodici anni, il ragazzino chino sui propri studi con lo sguardo sempre perso in qualcosa di invisibile al resto del mondo; questo sarebbe stato per sempre, l'uomo guidato dalla logica e privo di qualsiasi scrupolo. E mentre le stagioni si susseguivano nel Rukongai, portando con sè il cambiamento per quanti lo popolavano, lui se ne stava nel suo piccolo mondo in continua mutazione, circondato dalle chimere che aveva creato.
Non c'era spazio per nient'altro, nella sua realtà silenziosa in equilibrio perfetto... Fino al giorno in cui, inaspettatamente, il resto del mondo prese a girare.
1. Capitolo difficile. .__." Ho cercato di dare alla prima parte l'impressione di un'esperienza onirica, perché secondo me è questo l'effetto che deve dare la sordità. Non che io l'abbia mai provata, in effetti; al massimo l'effetto post-amplificatori che ti lascia con le sensazioni dei suoni un po' attutite. Eventualmente, mi scuso per l'esagerazione. Tutto, in Mayuri, si basa su sentimenti e situazioni che non ho mai provato in prima persona.
2. L'ago d'osso, i fili fatti coi tendini e tutta la strumentazione li ho inventati sul momento "a rigor di logica". Mi pareva di aver letto cose del genere da piccola, ma a quanto pare devo averci azzeccato, almeno per ago e filo, perché wiki mi dà ragione (( grazie wiki! °ω° )). Se ho svirgolato da altre parti chiedo scusa, non sono una tuttologa (( anzi, so pochissimo )) e spesso vendo un sacco di fumo... ¬,¬"
3. Spero di riuscire a scrivere presto il terzo capitolo! Ora come ora sono sotto esami, quindi non lo so. Abbiate fiducia in me, comunque, cercherò di pubblicare al più presto! :P
4. Per chi se lo era chiesto (( Eden, ad esempio :3 )) mayuri da piccolo era più o meno così: CLICK!. Scusate se il disegno fa un po' ca...e, ho fatto il possibile... spero che renda almeno l'idea. Era un bambino qualunque, solo un po' più serio e silenzioso. :D
5. Per rispondere a Yoko_kun, che in effetti ha ragione, aggiungo che il padre di Mayuri non pensa nulla del fatto che lui sparisce tutto il giorno per due motivi: il primo è che Mayu stava in giro da solo in ogni caso, perché non ama la compagnia delle persone e quindi si tiene il più possibile alla larga da loro; la seconda è che Heisuke lavora molto, quindi non è quasi mai a casa. Il fatto che Mayuri non contribuisca minimamente all'economia familiare un po' mi preoccupa in effetti, ma avendo solo 12 anni ci può stare. Più avanti gli verrà assegnato un lavoro, ma nel prossimo capitolo ne saprete di più! :D |
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Capitolo 3 *** III. chapter three; ***
Ancora mille grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato, oppure letto soltanto! A Yoko_kun, che mi aveva chiesto cosa ne pensa Heisuke delle lunghe assenze di Mayuri, ho risposto con un'aggiunta in coda allo scorso capitolo. Il succo della questione, comunque, è che suo padre sta via a lungo per lavoro e quindi non ne sa assolutamente nulla! In questo capitolo invece vediamo lo stesso Mayuri alle prese con la professione del genitore! Ma non vi dico altro, sennò vi rovino la sorpresa; se siete curiosi di sapere che cosa succede, non vi resta che leggervi quanto segue! :D
"Don't be surprised when a crack in the ice
appears under your feet.
You slip out of your depth and out of your mind
with your fear flowing out behind you
as you claw the thin ice."
[Pink Floyd, "The Thin Ice"]
Mayuri se ne stava seduto in riva al lago, il viso rivolto all'immensa distesa d'acqua di fronte a lui. Il vento pungente preannunciava l'arrivo dell'inverno, trascinando giù dagli alberi foglie multicolore che si libravano nell'aria per qualche istante prima di planare, leggere e noncuranti, sul suolo nero punteggiato d'erba incolta. Tutto era avvolto nella calma surreale delle sere d'inizio inverno, quando la pallida nebbia che preannuncia giornate di gelo si solleva dalle pendici dei monti cingendo la valle nel suo cupo abbraccio grigio fumo.
Il ragazzo guardava verso il lago, e sul volto magro segnato dalle lunghe notti insonni si riflettevano i cupi pensieri che attraversavano la sua mente in continua rivoluzione. Erano trascorsi quattro anni dalla sera in cui il bambino si era soffermato ad osservare quello stesso paesaggio, sogghignando al pensiero di aver disobbedito all'uomo che lo aveva cresciuto. Quattro anni di esperimenti, tentativi, scoperte e fallimenti; quattro anni di silenzi ancora più profondi, sguardi sfuggenti e sincera frustrazione per ogni ora che andava sottratta allo studio a favore delle nuove mansioni che gli erano state affidate.
Quando Mayuri aveva compiuto quattordici anni, Heisuke lo aveva portato con sé sulla piccola barca dai lunghi remi, verso l'orizzonte blu scuro che segna il limite fra il mare ed il cielo. Gli aveva insegnato a pescare, a rammendare le reti, a governare il guscio di noce che orgogliosamente aveva battezzato "Stella della Sera". Non potendogli fornire nessun'altra nozione di vita, suo padre gli aveva donato però tutte le conoscenze necessarie a proseguire il lavoro che lui stesso svolgeva; e il ragazzo si impegnava con dedizione, incapace di non dare tutto se stesso in qualsiasi attività gli fosse affidata. Tuttavia detestava l'oceano, e le reti che s'impigliavano nel fondale. Odiava la Stella della Sera, con le sue falle ed i licheni attaccati alla chiglia come naufraghi trascinati dalle correnti.
Disprezzava il sole cocente, che gli scottava la pelle diafana chiazzandola di rosso; la salsedine che bruciava negli occhi, ed i gabbiani che volteggiavano nel cielo perfettamente azzurro come piccoli avvoltoi bianco latte in attesa del loro tributo di sangue e sudore. Tutto questo era il mondo, al di fuori del suo "laboratorio" in mezzo alla foresta; e Mayuri si sentiva vulnerabile e solo, di fronte alla distesa senza fine del mare.
Ogni passo che lo allontanava dai propri studi non faceva che innervosirlo e renderlo più cupo; trascorreva tutte le notti al lavoro mentre suo padre, troppo stanco per rendersene conto, dormiva ignaro nella piccola casa al limitare degli alberi. La vita trascorreva immutabile nella tiepida luce del sole: ma al calare del buio, quando il silenzio che faceva parte del suo essere si estendeva fino a raggiungere ogni angolo del villaggio addormentato, era allora che il ragazzo si sentiva finalmente vivo.
Adesso aveva sedici anni, e le sue conoscenze di anatomia e di chimica applicata erano molto superiori a quelle di qualsiasi coetaneo. Non si interessava davvero a nulla che non fossero i suoi studi, benché eccellesse in ogni cosa, ed aveva da tempo rinunciato a leggere le labbra delle persone per seguire i loro discorsi vuoti.
Adesso, rivolto verso l'acqua cristallina e gelida che non aveva bisogno di emettere suoni per comunicare, poteva restare per ore a fissare il lento flusso e riflusso delle piccole onde argentate sulla sabbia granulosa della riva. Intanto pensava allo spazio, ed al tempo, e a come questi due concetti in apparenza tanto diversi fra loro non possano esistere se non l'uno in funzione dell'altro.
Era così concentrato nelle proprie oziose speculazioni, così preso dal movimento ipnotico dell'acqua sulla rena, da non rendersi conto dei ragazzi che si avvicinavano chiassosamente attraverso il sentiero sterrato che saliva su per la collina. Erano cinque giovani del villaggio, tutti più o meno suoi coetanei, con cui Mayuri non aveva mai avuto molto a che fare; tuttavia loro lo conoscevano di nome, e di fama: come spesso capita fra ragazzi lo temevano un po', e di conseguenza lo odiavano con decisione.
Camminavano scherzando sguaiatamente, dandosi spinte e lanciandosi l'erba bagnata. Quando videro il giovane seduto sulla roccia piatta, proprio di fronte a loro, si fermarono d'improvviso indecisi se ignorarlo o cambiar strada. Come tutti gli abitanti del vllaggio, sapevano che era meglio girare alla larga da Mayuri Kurotsuchi; come tutti i bulli di paese, non desideravano altro che una buona occasione per mettere in riga "il matto", o "il genio", come alcuni lo chiamavano. Quando ripresero a camminare, sincronici come un branco di iene, fu per avvicinarsi alla loro preda col sorriso sui volti abbronzati dal sole.
Non avevano bisogno di far piano, Mayuri non li poteva sentire. Si mossero rapidi, selvaggi, letali, ed in un lampo gli furono addosso lanciando grida di trionfo, e minacce che lui non avrebbe udito. Dalle sue labbra neppure una parola, mentre si dibatteva come un'anguilla presa nella rete; nei suoi occhi non un'ombra di terrore, mentre l'odio e il desiderio di vendetta - se mai fosse uscito da quella situazione - lo assalivano come un fuoco che lo divorava dall'interno, bruciando ogni fibra del suo corpo.
- Che cosa ne facciamo? - chiese uno degli aggressori fra le risate, una volta che lo ebbero catturato.
- Gettiamolo nel lago! - rispose un altro, il volto deformato da un ghigno disumano.
Mayuri lo stava guardando, le labbra serrate e gli occhi fiammeggianti; lesse la frase sulla sua bocca, capì quello che significava: il lago, gelido e profondo, attraversato da correnti e mulinelli da cui era praticamente impossibile liberarsi. Ripensò a colui che l'aveva cresciuto, e a quello che gli aveva detto quella sera autunnale: con l'espressione di chi è sinceramente preoccupato, lo sguardo di un uomo che parla a un altro uomo. Ricordava ogni parola, perché nella sua vita non c'erano molte altre parole che valesse la pena ricordare.
Guardò di nuovo in alto, e scorse gli alberi neri che protendevano i rami artigliati verso il cielo grigio antracite: non aveva paura. Il dolore non lo spaventava, il freddo non era nulla. La morte era solo parte di un ciclo naturale, a cui tutti prima o poi sono destinati. Non se ne sarebbe andato senza lottare: ma sarebbe stato interessante, avvincente quasi, scoprire con quanta forza gli esseri viventi desiderano di restare in vita.
Un miracolo, uno scherzo naturale: mentre il suo corpo infrangeva la superficie del lago, e sprofondava sempre più verso il fondale coperto di alghe scure, Mayuri si sentiva di un passo più vicino alla risposta che aveva sempre cercato. Era l'esperimento più ambizioso che avesse mai compiuto, la scoperta più sensazionale: il mistero della nascita, il mistero dell'essere umani. Perché ci facciamo domande? Perché non accettiamo la morte? La risposta era nella gelida acqua del lago, nel bruciore dei polmoni che reclamavano ossigeno, nel desiderio di uscire al più presto e pestare a sangue quegli stupidi ragazzetti di paese.
Ci facciamo domande perché ci sono delle risposte; non accettiamo la morte semplicemente perché siamo vivi. Ogni cosa ha una causa ed un effetto, ed il mondo continua a girare anche se fingiamo di non rendercene conto; ma nel momento in cui ce ne accorgiamo, non possiamo solo restare a guardare. Nel momento in cui troviamo la soluzione, non possiamo ignorarla e perseverare nell'errore.
Con il muto grido di ogni suo muscolo, Mayuri si divincolò nel gelido abbraccio del lago. L'acqua si spostava lentamente, troppo densa per permettergli di muoversi con la rapidità che avrebbe desiderato; ma era più reale, più compatta dell'aria, e lo sorreggeva cullandolo in una morsa che lo trascinava con sè ed al contempo gli impediva di perdersi del tutto. Immerso in quella massa uniforme di azzurro, che sfumava nel nero mano a mano che si allontanava dai raggi pallidi del sole, il ragazzo lottò con la mente più che con il corpo per trovare una soluzione che gli permettesse di uscirne.
E proprio mentre gli arti si facevano intorpiditi dal freddo, ed il cuore rallentava i battiti per risparmiarsi, una scintilla di luce e calore parve farsi strada attraverso l'intero suo essere con l'improvvisa violenza di una scarica elettrica. Il Potere baluginò tra le sue dita, fremente ed impaziente di manifestarsi; un demone, o un angelo, rimasto nascosto nella sua essenza per sedici lunghi anni in attesa del momento adatto a mostrarsi esplose, feroce, un attimo prima della fine.
Fu giorno nelle profondità del lago, per un unico ed impercettibile istante. Mayuri si ritrovò sospeso a mezz'aria, attonito ed esaltato, le punte dei piedi a sfiorare la superficie immobile dell'acqua, un alone violaceo di fumo, o di luce, a tracciare i contorni del suo corpo in un'aura di splendente potere. Mosse qualche passo incerto, spostandosi nel vento invernale. Raggiunse la riva in pochi istanti, il volto privo di espressione nonostante il groviglio di sensazioni opposte che si dibattevano nella sua mente tormentata.
Alzò lo sguardo a poco a poco, fino ad incontrare quello dei giovani aggressori. Grondante d'acqua, ritornato dagli abissi come uno spirito vendicatore, non si meravigliò di leggere il terrore nei loro occhi sbarrati. Sogghignò sollevando gli angoli della bocca e scoprendo i denti, e dalla sua gola uscì un suono simile più ad un lamento che a una risata.
Si spinse in avanti, verso di loro, protendendo un braccio luccicante di reiatsu: doveva fare presto, sentiva che le forze lo abbandonavano. Poi rumore di passi concitati dal sentiero, voci, schiamazzi: suoni che lui non poteva sentire, ma che il manipolo di ragazzini accolse con sollievo. Ben presto, una piccola folla di persone apparve sulla sommità della collina.
Mayuri staccò lo sguardo dai suoi assalitori, ormai paralizzati dalla paura, per incontrare gli occhi sorpresi e spaventati di suo padre.
Per un attimo, la sua mano tremò a mezz'aria; poi, senza un gemito, il giovane cadde a terra svenuto, riverso nell'erba bagnata.
1. La scelta delle parole "suolo nero" nella seconda frase di questo capitolo potrebbe sembrare casuale, ma invece non lo è... Sapevate che questa infatti è la traduzione del cognome "Kurotsuchi"? Traduzione che, tra l'altro, a me piace un sacco... :D
2. non so come mai, forse perché sta venendo il fresco, ma Mayuri lo associo alla fine dell'autunno o all'inverno. Quindi gran parte delle scene fino ad ora si sono svolte in queste due stagioni... :P
3. Non ce lo vedo, Mayu, a fare il pescatore. Per questo ho pensato che fosse il lavoro più adatto per lui da inserire nella storia: gli abitanti del villaggio non capiscono quello che è, e siccome Heisuke è abbastanza povero non può fare altro che farlo lavorare con lui... Poverino, che vitaccia gli tocca, per ora! D:
4. Mmmh... camminare sull'acqua. Ogni riferimento a fatti o divinità realmente esistenti è puramente casuale... ma avendo Mayuri una zanpakuto che ha a che fare con un dio (Jizo), mi sono permessa anche questa citazione. XP |
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Capitolo 4 *** IV. chapter four; ***
Sto decisamente pensando ad un po' di romance (( però non subito )). Qualcosa in contrario? E, considerando che questa storia si riallaccia alla trama di Bleach e non a quella di Bleeding (( che è completamente sballata rispetto a Turn Back the Pendulum, perché ancora non era uscito nemmeno negli spoilers )), what if usassi di nuovo il personaggio di Rin? Non riesco a pensare Mayuri con nessun altra *commozione* ;__; Che ne dite? Io sono ancora indecisa (( ma propendo per il si ))... quindi... Si vota!
"Is it bright where you are?
Have the people changed?
Does it make you happy you're s strange?"
[Smashing Pumpkins, "The End Is the Beginning Is the End"]
Mayuri riprese conoscenza in piena notte, dopo quattro giorni di completa incoscienza. Si svegliò come da un lungo sonno, intorpidito e riposato, e rimase per qualche istante immobile ad occhi chiusi senza capire: per quale fortunato miracolo era ancora vivo? Non ricordava quasi nulla di quanto accaduto, e la cosa non gli piaceva. Alla fine non resistette alla tentazione di aprire gli occhi, e sollevò le palpebre a poco a poco domandandosi quale visione lo attendesse al di là. Vide soltanto i contorni scuri della sua stanza, piccola e spoglia, la coperta blu scuro in cui suo padre lo aveva avvolto e il sottile profilo pallido delle sue mani.
Si mosse leggermente in cerca di una posizione più comoda, sentendo tutti i muscoli doloranti a causa dell'immobilità prolungata. Non ricordava di aver sognato o pensato, durante il periodo trascorso a letto, e questo lo disturbava. Era perfettamente consapevole che, in quel preciso istante, molte persone attendevano impazienti di ricevere spiegazioni da lui. Mentre la memoria gli tornava pian piano, il ragazzo si rese conto di non saper dare una risposta a quanto era accaduto.
Immerso nelle profondità del lago, aveva sperimentato la forza che genera e muove l'intero universo. Adesso, disteso sul suo letto nella casa che conosceva così bene, tutto ciò che gli era parso così vicino e comprensibile sembrava invece distante e nebuloso. C'era un motivo, c'era una soluzione... ma il motivo e la soluzione giacevano tra le alghe nere ed i gelidi flutti, in un angolo della sua coscienza appena oltre il limite che separa la consapevolezza dall'istinto. Si era salvato, in un qualche modo, ed il Potere che lo aveva sottratto all'abbraccio mortale del lago era ancora lì, nelle sue mani. Poteva sentirlo scorrere tra le dita come corrente, ma non era certo di saperlo controllare.
Un'ombra in movimento al di là della soglia distolse Mayuri dalle sue congetture. Heisuke si avvicinò in silenzio, lo sguardo basso, le labbra tese. Sedette sul bordo del letto senza una parola, e prese a guardare le proprie mani intrecciate. Il ragazzo si limitò ad osservarlo con i grandi occhi pieni di curiosità ed attesa: c'era dolore nell'espressione di suo padre, ed il ragazzo non ne capiva il motivo.
- Grazie al cielo ti sei svegliato. - l'uomo iniziò a parlare senza voltarsi, rendendogli difficile distinguere le parole. Sembrava che si sforzasse di non lasciar trapelare l'emozione, e per Mayuri era impossibile capire come si sentisse, incapace com'era di provare la moltitudine di stati d'animo che bersagliano di giorno in giorno la psiche delle persone comuni.
Addolorato? Sollevato? Ancora preoccupato per qualcosa che stava tenendo segreto?
Erano tutte sensazioni che il ragazzo aveva visto centinaia di volte manifestarsi sui visi dei suoi conoscenti, le stesse che aveva scorto sul volto di una donna del paese il giorno in cui suo marito era tornato da un lungo viaggio. Le stesse che apparivano negli occhi delle madri quando i figli guarivano da una malattia, o sulle labbra degli innamorati che si ritrovavano dopo molto tempo. Le aveva viste, e ne aveva conosciuto gli effetti; ma, di persona, non le aveva mai provate, semplicemente perché non ne era in grado.
Per questo motivo gli era difficile, ora, comprendere il motivo di tanta apprensione da parte di Heisuke. Il giovane pazzo che tutti detestavano era tornato dal regno dei morti, si era salvato. Quello stupido essere umano, era forse felice di questo? Non sarebbe stato meglio, per lui, liberarsene una volta per tutte? Di una cosa Mayuri era sicuro: la vita degli altri abitanti del villaggio sarebbe stata mille volte più semplice se lui non fosse mai esistito.
L'idea non lo infastidiva e non lo rattristava. Era solo un dato di fatto, una pura e semplice constatazione.
- Quei ragazzi... Non capisco come sia venuto loro in mente di fare una cosa del genere...
Lui invece lo capiva perfettamente. Odi qualcuno, te ne vuoi liberare. Non importa il motivo scatenante, quello che conta è l'occasione. Se lui avesse avuto un'opportunità, la possibilità di ottenere ciò che desiderava - un laboratorio, la conoscenza, qualcosa di vivo su cui sperimentare - non ne avrebbe forse approfittato? Pur odiando i suoi aggressori con tutto se stesso, Mayuri li capiva; ma non importava, nulla importava. Gliel'avrebbe fatta pagare di persona.
Heisuke si voltò finalmente verso di lui, passandosi le mani fra i capelli radi. Lo guardò dritto negli occhi, come riemergendo da una selva intricata di pensieri che aveva rinunciato a dipanare. Parlò d'improvviso e, qualunque fosse il tono della sua voce, nei suoi occhi si riflettevano lo stupore e l'angoscia di poco prima.
- Ne sei uscito da solo, Mayuri. Come hai fatto? Sono accadute tante cose strane, quella sera; sei stato tu a...? Santo cielo, quel ragazzo... quando ti sei avvicinato si è accasciato a terra, come se gli mancasse l'aria, ma tu non lo hai neppure sfiorato...
Il giovane alzò la testa, improvvisamente interessato: non ricordava nulla, nulla di quanto aveva detto suo padre. Era riuscito a ferirlo, almeno uno di loro? Senza neppure toccarlo... com'era stato possibile? Rammentò dell'energia violacea e lucente che fluiva attraverso il suo braccio, ed involontariamente contrasse le dita. Heisuke si mosse incuriosito, forse sperando di ricevere una spiegazione, ma Mayuri scosse la testa senza neppure guardarlo. Inutile: non sapeva niente, come se le azioni che aveva compiuto appartenessero ad un'altra persona.
- Capisco, ragazzo. - suo padre gli mise una mano sulla spalla, ed il contatto lo fece sentire a disagio. Desiderava semplicemente restarsene da solo. - Non ti chiedo di sforzarti, sei ancora debole. Se dovesse venirti in mente qualcosa... beh, puoi parlarne con me, se ti va.
Imbarazzo? Mayuri annuì impercettibilmente, serissimo. Avrebbe voluto ridere, una risata isterica e priva di controllo: parlare? Come chiedere ad un cieco di "dare un'occhiata" a qualcosa; e stavolta il problema non era soltanto dovuto alle sue mancanze sul piano fisico. Lui non voleva parlare, ancor prima di non esserne capace. Era sempre rimasto muto, isolato, disgustato dal caos urlante e folle che lo circondava. Il silenzio era sempre stato il suo rifugio, così da proteggersi anche quando camminava in mezzo alla gente. Era stato solo per tutta la vita, incapace di donare agli altri i propri pensieri.
Al contempo, per sedici lunghi anni ogni comprensione del genere umano era stata preclusa alla sua mente, colta e brillante per quanto concerneva quasi ogni altra cosa. Nonostante possedesse più nozioni di chimica, fisica e medicina di quanti fino ad allora avesse incontrato, il giovane Kurotsuchi era completamente ignorante riguardo ai sentimenti, gli istinti e gli stati d'animo delle persone. L'unico raffronto che poteva fare, per poter comprendere la moltitudine di espressioni che apparivano caso per caso sui volti dei suoi interlocutori si basava sulla pura e semplice osservazione: una mente fertile come la sua era al contempo completamente arida per quanto concerneva l'emotività.
Aveva vissuto abbastanza a lungo nella sua felice bolla di vetro; e adesso l'imperdonabile disinteresse verso il genere umano gli era quasi costato la vita. Non aveva rispettato la regola principale di tutte le battaglie: "conosci il tuo nemico". Se non avesse imparato a comprendere, emulare, interagire con gli sciocchi esseri che popolavano quell'universo così complesso e variegato, prima o poi uno di loro sarebbe riuscito nell'impresa che i cinque ragazzini sulla riva del lago non erano stati in grado di completare.
Per la prima volta da quando era nato, Mayuri Kurotsuchi provò il desiderio di ascoltare.
Qualche giorno di completo riposo gli fu più che sufficiente a rimettersi del tutto e, uscito dal breve periodo convalescenza, Mayuri si sentì perfettamente in grado di riprendere le sue mansioni quotidiane. Prese ad impegnarsi nel lavoro con maggior ardore, accogliendo di buon grado ogni impegno gli venisse affidato; non tentò di attaccar briga coi ragazzi che lo avevano spinto nel lago, e fece finta di non notare gli sguardi carichi di disprezzo dei molti che avevano preso le parti dei giovani aggressori: ben presto se ne sarebbe andato da quel luogo, e nulla meritava la sua attenzione se non il futuro che si avvicinava a poco a poco.
Ogni momento libero era buono per pensare al Potere ed alle sue implicazioni; il giovane Kurotsuchi non aveva più tentato di utilizzarlo dopo la prima, tragica esperienza, ma piuttosto lo aveva lasciato maturare, nella quiete del suo animo, senza affrettare i tempi o cercare spiegazioni. Era rimasto così, immobile e cauto, a riflettere su quello che avrebbe potuto fare una volta fosse giunto il momento buono; e combattendo l'impazienza mantenendosi sempre impegnato aveva scoperto che era possibile conciliare il lavoro con lo studio, e la vita quotidiana con la speculazione.
Trascorsero le settimane e poi i mesi, e l'inverno scricchiolante di legna secca e neve lasciò il posto ad un placido marzo accarezzato dal sole. Il cambiamento nell'animo di Mayuri avvenne lento e graduale, allo stesso modo del clima, che a poco a poco si fece più tiepido e primaverile; ma il ragazzo, nel suo silenzio, aveva sempre continuato ad osservare, e quando finalmente il Potere si manifestò in lui con tutta la sua potenza il miracolo non lo colse impreparato. Durante le lunghe ore passate per mare, e le sere accanto al fuoco fingendo di essere il figlio modello che non si era, aveva maturato la decisione che, ora, avrebbe finalmente potuto attuare. E alla fine, con un ghigno soddisfatto sulle labbra, aveva osservato i suoi molteplici tentativi riusciti sparsi tra il sangue ed i fallimenti, e si era sentito felice.
1. Un riferimento a "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" col discorso sulle difficoltà di Mayuri a comprendere il carattere delle persone. Ricordate la scena degli smiles? :3
2. Alla fine sono costretta a rimandare gli esperimenti "seri" a quando Mayuri avrà un po' più di materiale (( quindi tra poco )) a causa dell'impossibilità di ottenere risultati decenti con un coltello arrugginito ed un ago d'osso... Pazientate ancora un capitolo o due, e vedrete lo scienzato pazzo finalmente in azione! |
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Capitolo 5 *** V. chapter five; ***
Coraggio, ragazzi! Chi mi fa la recensione numero XII? Dai che poi festeggiamo °A°!!! XP
Beh, ho ricevuto un solo voto riguardo alla decisione di inserire Rin in Wild Lilies; se volete ancora dire la vostra opinione siete in tempo per qualche capitolo, poi la faccenda sarà irreversibile. Per ora siamo uno a zero a favore di Rin, quindi se non volete questo personaggio nella storia ditelo! Poi non vi venite a lamentare eh! ;D E buona lettura.
"Tell me a story of mind over matter,
the hope and the glory of life everafter;
the sound and the fury, the cloack and the dagger..."
[Tears for Fears; "Ladybird"]
Il giorno del suo diciassettesimo compleanno, Mayuri venne convocato
dal vecchio che tutti consideravano il Capo del piccolo villaggio sulla
riva del mare. Heisuke accolse la notizia non senza un brivido di
apprensione al pensiero di quello che Mujiwara potesse volere da lui,
ma il ragazzo, per nulla intimidito o preoccupato per il proprio
destino, accettò di buon grado l'idea di quell'incontro
inaspettato. L'anziano, debole e stanco, non gli faceva affatto paura;
ed il comportamento irreprensibile degli ultimi mesi lo rendeva, a
tutti gli effetti, esule da qualsiasi critica riguardo alle sue macabre
inclinazioni.
Attraversò il villaggio mosso soltanto da una flebile
curiosità, accuratamente repressa e nascosta sotto la solita
espressione tranquilla ma grave. Gli altri abitanti del villaggio lo
evitavano ancora, ma non potevano esimersi dal lanciargli occhiate
cariche di attesa nel vederlo dirigersi a passo sicuro verso la piccola
casa del vecchio Mujiwara. Dal canto suo, Mayuri non guardava nessuno.
Fingeva di non accorgersi della gente che mormorava, e preferiva non
leggere sulle loro labbra parole che avrebbero potuto distrarlo dalla
sua meta. L'attesa e l'osservazione del suo potere che cresceva lo
avevano reso più quieto e riflessivo, ed il ragazzo aveva
imparato ad aver pazienza. Così, era certo che avrebbe avuto
la sua occasione di rivincita su tutti quelli che fino ad ora lo
avevano schernito e criticato... ma quel momento sarebbe arrivato solo
in seguito, per ora doveva accontentarsi di aspettare.
Spinse la porta della umile abitazione senza ricordarsi di bussare; per
lui non significava niente produrre rumori di avvertimento, dal momento
che per primo non li poteva udire. Lo accolse un'oscurità
eggera e polverosa, rischiarata qua e là da un raggio di
sole che entrava attraverso le imposte socchiuse della finestra.
L'intera stanza sembrava deserta, e forse lo era anche la casa; ma
prima che il ragazzo potesse guardarsi attorno per sincerarsene, il
vecchio apparve come un fantasma in un angolo sfiorato appena dalla
luce.
Era estremamente anziano, con la pelle come carta di pergamena sottile
e trasparente. I radi capelli gli ricadevano sulle spalle in fili
sottilissimi, e gli occhi che ormai praticamente non vedevano erano di
un azzurro quasi bianco sotto le folte sopracciglia corrugate.
- Sei venuto, alla fine. - esclamò con una voce sottile ma
decisa, distendendo i lineamenti in un ampio sorriso. Parlava
lentamente, guardandolo dritto in faccia in modo da assicurarsi che
Mayuri potesse leggere le sue labbra. Il ragazzo si limitò
ad annuire impercettibilmente, ancora guardingo, immobile sulla soglia
come domandandosi se valesse la pena di restare.
- Entra e siediti, Mayuri.
Mujiwara si mosse con lentezza, agitando una mano per invitare il
giovane a seguirlo nell'altra stanza. Mayuri fece come gli era stato
chiesto e, camminando a pochi passi dal vecchio, si rese conto che
questi era più basso di lui di quasi tutta la testa; ma
questo poteva essere dovuto al fatto che se ne stava raggomitolato su
se stesso come un'anziana tartaruga nel proprio guscio.
Sedettero su due semplici sedie di legno, nel tepore della cucina in
penombra. Per qualche istante nessuno dei due disse o fece nulla,
limitandosi ad osservarsi l'un l'altro con occhi ora incuriositi ora
dubbiosi.
- Ti starai domandando perché ti ho chiesto di venire qui. -
disse Mujiwara infine, intrecciando le mani sotto al mento. Di nuovo,
il ragazzo si limitò ad annuire.
- Vedi... - la voce del vecchio si fece più bassa, e le
parole più difficili da comprendere attraverso i movimenti
impercettibili delle sue labbra sottili. - Ho sentito che hai
risvegliato il tuo Reiatsu. Sei una persona fuori dal comune, Mayuri,
ed io voglio spiegartene il motivo.
Il giovane corrugò le sopracciglia, dubbioso: non era certo
di aver capito, la bocca di Mujiwara si muoveva appena... Reiatsu?
Così il vecchio aveva chiamato l'energia che si era
sprigionata dal suo corpo quando era prigioniero nelle
profondità del lago? Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si
trattenne: non amava comunicare a parole, per produrre quei suoni che
sapeva distorti e confusi gli occorreva più tempo di quanto
fosse disposto ad aspettare. Si limitò ad inclinare la testa
da un lato, senza abbandonare l'espressione seria e concentrata che
aveva assunto poco prima.
- Ti è mai capitato di sentirti molto stanco, oppure molto
affamato? - Mayuri annuì ancora: gli era successo,
esattamente dopo l'incidente al lago. - Questo accade soltanto a chi
possiede un Reiatsu più potente del normale; significa che
sei in grado di utilizzare la tua energia spirituale per curare,
difenderti... e persino uccidere, se decidessi di farlo.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, l'espressione del viso indecifrabile al
di là del suo ostinato silenzio. Sapeva di poter utilizzare
il Reiatsu, almeno per quanto concerneva l'aspetto del "curare"... se
ne era servito più volte durante i suoi esperimenti recenti,
per mantenere in vita le cavie fino al termine dell'operazione.
Tuttavia il processo lo stancava, e spesso si era scoperto a domandarsi
se questo fosse dovuto ad una sua qualche incapacità
piuttosto che alle caratteristiche intrinseche dell'Energia Spirituale.
- Mayuri... - Mujiwara spalancò gli occhi all'improvviso,
come se si fosse appena ridestato dal suo torpore in seguito ad una
qualche considerazione avvenuta in se stesso, là dove il
ragazzo non poteva osservare e capire. - Esiste un luogo dove possono
insegnarti a controllare il tuo potere. Ti ho chiamato qui
perchè volevo che lo sapessi: l'Accademia per Shinigami,
nella Seireitei... è il luogo dove vengono addestrate le
persone come te, dove viene loro spiegato come utilizzare al meglio il
dono che è stato fatto loro. La scelta spetta a te,
ovviamente, ma vorrei che prendessi in considerazione l'ipotesi di
diventare un Dio della Morte.
Mayuri sussultò involontariamente: non era molto, quello che
aveva capito dalle parole del vecchio. Tuttavia l'idea di andarsene dal
villaggio, apprendere qualcosa che lo avrebbe reso "speciale", stavolta
in senso buono, diventare uno - com'è che aveva detto
Mujiwara? - Shinigami, sembrava una proposta allettante. Il ragazzo
accennò un assenso, distendendo sul legno scuro
del tavolo i pallidi palmi delle mani.
Era la "grande occasione" che aveva sempre aspettato, la soluzione che
gli avrebbe permesso di inoltrarsi nei più segreti recessi
della scienza che rende comprensibile il mondo agli esseri umani; se
fosse stato in grado di conoscere e controllare il Reiatsu, la forza
che muove tutte le cose, sicuramente sarebbe diventato uno scienziato
migliore di quanto potesse aspirare ad essere restandosene per tutta la
vita nel mondo vasto ma cieco che costituiva il Rukongai. Si sarebbe
allontanato da quelle schiere di creature urlanti, affamate,
vendicative. Si sarebbe innalzato verso un luogo vivo, istruttivo,
migliore. Avrebbe incontrato persone con cui valesse la pena di
parlare, per cui sarebbe servito persino poter sentire quanto avevano
da dire.
L'eccitazione e la curiosità invasero lentamente il volto di
Mayuri, che si faceva a poco a poco più luminoso. Per un
istante, sentendosi ad un passo dall'ottenere ciò che aveva
sempre desiderato, la sua espressione fu quella di un qualunque ragazzo
emozionato per qualcosa: i lineamenti distesi, un mezzo sorriso sulle
labbra, l'attesa a rendere brillanti i suoi grandi occhi ambrati; poi
l'ombra tornò a rabbuiare il suo viso, e lui si
ritrasformò nell'essere freddo e distaccato di sempre.
Mujiwara estrasse un vecchio foglio di pergamena spiegazzato, e lo
porse al ragazzo senza dire una parola.
Attese che Mayuri guardasse il suo intero contenuto: una mappa
abbastanza dettagliata del territorio circostante, con una piccola
croce a segnare la posizione del villaggio ed un'altra, più
grande, ad indicare la Seireitei.
- E' laggiù che devi andare, se decidi di intraprendere
questo viaggio. - affermò il vecchio quando il ragazzo
tornò a guardarlo in volto. C'era un sorriso bonario sulle
sue labbra rinsecchite; sembrava fiducioso, quasi orgoglioso di lui. -
Buona fortuna, ragazzo, e abbi cura di te.
Si alzarono entrambi, e prima di congedarlo Mujiwara gli strinse
brevemente la mano. Mayuri lo ringraziò con un cenno del
capo, ed in un attimo fu al di là della soglia nella luce
piena e vivida del sole. Tutto sembrava frutto di un immenso sogno, non
fosse stato per la vecchia pergamena che ancora stava stretta nel suo
pugno chiuso.
Il ragazzo si avviò di nuovo verso casa, a testa bassa,
riflettendo. Avrebbe intrapreso la via per diventare Shinigami. Prima
di questo, gli restava soltanto una cosa da fare.
1. Capitolo di transizione; questo ed il prossimo servono a sistemare le cose, quindi da soli riassumeranno circa un anno della vita di Mayuri (( dai 17 ai 18 anni )); comunque aspettatevi qualche colpo di scena, perché questo periodo servirà al nostro amatissimo protagonista come base per le sue azioni future!
2. Il vecchio Mujiwara è una mia invenzione. Non parlerò più di lui, perché non è così importante ai fini della storia, quindi vi dico qualcosa adesso. Mujiwara ha più di 800 anni, e un tempo era uno Shinigami della XI Divisione. Poi è rimasto gravemente ferito durante una missione nel Rukongai, è stato soccorso da una donna del paese e quando si è ripreso ha deciso di restare con lei e abbandonare la battaglia... una storia tipica dei racconti fantasy di cavalieri, per capirci. :3
|
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Capitolo 6 *** VI. chapter six; ***
Devo scrivere un'introduzione piuttosto lunga stavolta, quindi prometto di eliminare del tutto i commenti finali. Bene; aggiorno adesso perché nei prossimi giorni avrò da fare e sono ancora al metà del capitolo sette (( di solito mi lascio un capitolo di margine tra quello che sto scrivendo e quello che pubblico, ma pazienza )). Intanto, rispondo ai due interrogativi di Yoko_kun: il padre di Mayuri è preoccupato perché si aspetta che Mujiwara voglia rimproverarlo o punirlo per qualcosa; del resto sa che suo figlio non è ben visto agli occhi delle altre persone nel villaggio. Dal canto suo, Mujiwara è palesemente orgoglioso di Mayuri perché, essendo anche lui stato un tempo Shinigami, in un certo senso rivede nel ragazzo quello che lui era (( anche se Muji non era così schizzato ovviamente XP )). Nessuno sa che il vecchio era uno Shinigami, prima, e da qui nascono i malintesi.
A proposito di questo capitolo, devo dire che è molto sanguinario e mi ha costretto a cambiare l'"avvertimento" della fic. Mi ha fatto un po' schifo persino scriverlo, ma spero che voi non abbiate stomachini delicati come il mio... :3 Vi offro un piccolo Mayuri totalmente "on character" per festeggiare i 12 commenti (( 12 come la sua futura divisione yay! )), quindi buona lettura.
"Hello darkness, my old friend
I've come to talk with
you again.
Because a vision softly
creeping
left its seeds while I
was sleeping..."
[Simon & Garfunkel, "The Sound of Silence"]
Gli addii non erano mai stati la specialità di Mayuri. In
piedi sulla soglia della casa a cui non avrebbe mai più
fatto ritorno, il ragazzo strinse la mano a suo padre senza riuscire a
cavar fuori un sorriso. Il venticello primaverile scompigliava i suoi
capelli, che erano già ricresciuti fino a sfiorargli quasi
le spalle, e forse era quella brezza insistente a procurargli il
brivido gelido che sentiva scivolargli lungo la schiena...
Nessuno dei due disse una parola. Heisuke si sforzò di
mostrarsi orgoglioso di lui, battendogli cameratescamente una mano
sulla spalla. E Mayuri, dal canto suo, non avrebbe saputo come
esprimere i sentimenti confusi che provava, ma non riconosceva. Un nodo
alla gola, un senso di leggera apprensione, il desiderio di fare
qualcosa - ma cosa? - un ultimo gesto prima di andar via.
Si allontanò lungo la strada sterrata senza capire,
arrovellandosi nell'intrico di sentimenti mai sperimentati prima. Il
burbero pescatore solitario, nato e cresciuto in un paesino del
Rukongai, gli aveva offerto il proprio sostegno per diciassette lunghi
anni senza chiedere mai nulla in cambio. Gli aveva dato una casa,
insegnato il proprio lavoro, e non lo aveva mai forzato a comportarsi
come gli altri, nonostante per questo motivo anche lui fosse stato, col
tempo, emarginato.
Col passare degli ultimi mesi Mayuri aveva capito di essere debitore
verso quell'uomo; e adesso, mentre il sole sorgeva di fronte a lui con
la promessa di una nuova vita, non poteva far altro che rendere meno
doloroso il distacco, permettendo a Heisuke di tornare ad essere una
persona normale.
Percorse il sentiero che si snodava tra le colline completamente
immerso nei propri pensieri, scrutando di tanto in tanto la vecchia
mappa consunta per accertarsi di essere sulla buona strada. La
Seireitei si trovava a circa tre giorni di cammino; tuttavia il ragazzo
non aveva intenzione di dirigersi subito là: c'erano cose
ben più importanti da fare, prima, e non era il caso di
lasciarsi prendere dalla fretta proprio ora.
Al calar della sera, Mayuri scorse un villaggio di notevoli dimensioni
in una conca ombreggiata fra due colline, proprio davanti a
sé. Proseguire in quella direzione lo avrebbe portato
leggermente fuori strada, tuttavia le dimensioni della cittadina
sembravano promettere che vi avrebbe trovato tutto quello che cercava.
Incapace di sentire la stanchezza a causa dell'adrenalina che circolava
copiosa nelle sue vene, discese verso la pianura e fece il suo ingresso
nel villaggio a notte inoltrata. Era troppo tardi per chiedere alloggio
in una locanda, e comunque il ragazzo non disponeva dei soldi
necessari: si raggomitolò sotto il portico che di giorno
veniva adibito a mercato e cadde in un sonno profondo e privo di sogni.
Si svegliò all'alba del mattino successivo, stanco ma troppo
eccitato per rimettersi a dormire. I primi venditori stavano
già prendendo posizione, sistemando i loro banchi per la
giornata, e Mayuri s affrettò ad allontanarsi prima che lo
scambiassero per un senzatetto o per un ladro. Trascorse gran parte
della mattinata camminando senza meta per le strade del paese,
guardandosi attorno in cerca del luogo che sperava di trovare: alla
fine, un'insegna raffigurante una croce rossa in campo bianco attrasse
la sua attenzione.
"Ci siamo." pensò eccitato, affrettando il passo in quella
direzione. Arrivato al portone socchiuso del piccolo studio medico,
bussò leggermente sul legno ed attese trepidante che
dall'interno qualcuno desse un segno di vita. Forse ricevette una
risposta, o forse non venne udito da nessuno: dopo aver aspettato
qualche altro secondo, Mayuri scivolò al di là
della porta e rimase in piedi nel piccolo atrio luminoso.
C'era una grande scrivania di metallo, dall'altro capo della stanza, e
seduto alla scrivania stava un uomo dai lineamenti gentili. Doveva
avere all'incirca trent'anni, ed i capelli castani e disordinati gli
ricadevano in onde leggere sugli occhi nascosti dietro ad un paio di
occhiali sottili.
- Posso aiutarti? - chiese immediatamente alzando lo sguardo, un
sorriso gentile ad illuminargli il volto sereno. Mayuri
annuì appena, rimanendo fermo dove si trovava coi pugni
serrati e le labbra socchiuse: si domandava da che parte cominciare,
perché gli sarebbe servito abbastanza tempo per formulare il
discorso che aveva in mente.
- Dimmi, allora. Ti è successo qualcosa? - Probabilmente,
l'uomo gentile pensava che il ragazzo fosse un po' ritardato.
Infastidito da quella ipotesi, Mayuri mosse qualche passo avanti con
decisione e indicò il proprio orecchio destro, facendo segno
di no col capo. Il suo interlocutore capì immediatamente che
cosa intendeva.
- Sei sordo? Vuoi che ti curi? Posso provare a fare qualcosa, ma di
solito... - Fu interrotto da un secondo cenno di diniego da parte del
giovane.
- Non mi piace parlare, perché non mi riesce bene. -
tentò di scandire Mayuri, lentamente, pescando le parole dal
fondo della memoria dopo anni e anni che non le utilizzava. La sua voce
era strana, priva della giusta intonazione, ma il medico parve
comprendere quello che voleva dire e gli porse un foglio ed una penna
con cui poter scrivere.
- Usa questi, allora. - disse, sempre sorridendo.
Mayuri ringraziò con un cenno del capo, e prese a
scarabocchiare rapidamente in una grafia piccola e disordinata.
Restituì carta e penna al suo interlocutore, poi attese con
le braccia distese lungo i fianchi che il medico rispondesse qualcosa.
L'espressione dell'uomo si fece prima concentrata, poi pensierosa.
- Quindi vorresti imparare il mestiere, ragazzo. - Non si trattava di
una domanda, ma il giovane fece ugualmente segno di si con la testa. -
Penso che non ci siano problemi. Non ho un assistente, ora come ora, e
c'è sempre bisogno di un medico in più al giorno
d'oggi. Puoi cominciare quando vuoi.
Gli occhi illuminati da una febbrile impazienza, Mayuri si
inchinò brevemente al suo nuovo sensei. Un sorriso
più simile ad un ghigno attraversò il suo volto
soddisfatto, e scomparve prima ancora che l'altro fosse in grado di
notarlo. Fantastico: per la prima volta in tutta la sua vita, il
giovane "scienziato pazzo" avrebbe potuto utilizzare strumenti in grado
di permettergli di portare a termine il suo progetto più
ambizioso.
I mesi trascorsero rapidamente, e di nuovo dopo molto tempo Mayuri fu
in grado di assaporare la sensazione di fare esattamente ciò
che più gli piaceva. Il Dottor Sakuragi non aveva segreti
per lui, condividendo col suo giovane e promettente allievo ogni
segreto del proprio mestiere. Dal punto di vista strettamente
professionale, il medico riteneva quel ragazzo venuto dal nulla una
provvidenziale manna dal cielo: metteva tutto se stesso nei lavori che
gli erano assegnati, e apprendeva qualsiasi cosa con una stupefacente
rapidità.
Più di una volta Sakuragi si scoprì a domandarsi
se per caso Mayuri non possedesse alcune nozioni di medicina ancor
prima di arrivare. Ma il ragazzo gli aveva fatto capire, un po' a gesti
e un po' con le parole, di essere figlio di un umile pescatore del
paese vicino. Non era possibile che fosse entrato in possesso di
conoscenze mediche, dal momento che laggiù non c'era nemmeno
un vero e proprio dottore...
- Se continua di questo passo presto ti permetterò di
operare i pazienti da solo, Kurotsuchi-kun.
Mayuri sorrise soddisfatto, sollevando il volto dagli strumenti che
stava lavando con cura. Sakuragi aveva la pessima abitudine di
aggiungere il suffisso "-kun" alla fine del suo cognome, e questo lo
disturbava; tuttavia, ormai si era immedesimato nel ruolo del bravo
ragazzo e sapeva di dover necessariamente rigare dritto per poter
continuare ad imparare i segreti del suo sensei. Inclinò
leggermente il capo, in segno di riconoscenza, e l'altro gli
lanciò un'occhiata carica di compiacimento.
- Lavori anche troppo, ragazzo. Direi che per oggi puoi anche andare a
dormire.
Il giovane non aspettava altro: con studiata calma raccolse il
materiale che aveva di fronte e prese a riporlo accuratamente, senza
apparente fretta di lasciare la stanza. Sakuragi gli sorrise
brevemente, poi si allontanò verso i propri appartamenti
canticchiando una canzone. Entrambi avevano avuto una giornata
estremamente faticosa, e certamente il suo maestro avrebbe dormito
della grossa quella notte. Mayuri sogghignò alla propria
immagine riflessa nei baratoli ordinatamente disposti sullo scaffale.
Aveva poco tempo, soltanto una nottata. Non poteva tenere la luce
accesa, altrimenti avrebbe rischiato di farsi scoprire... ma tanto
l'illuminazione non gli sarebbe servita in ogni caso. Muovendosi
rapidamente attraverso la stanza, il ragazzo si affrettò a
spegnere le torce e a chiudere a chiave la porta dell'ambulatorio: non
gli importava di essere scoperto, purché ciò non
accadesse prima che l'esperimento fosse terminato. In ogni caso, non
aveva progettato di restare ancora per molto tempo in quel villaggio, a
fingere di possedere un'intelligenza inferiore a quello che realmente
aveva.
Il progetto che avrebbe portato a termine quella notte, lo aveva
teorizzato almeno un anno prima.
"E nessuno di voi sciocchi, piccoli dottori ha mai pensato ad una cosa
simile, prima d'ora."
Dottori. Certo che no. Lui, dal canto suo, era uno scienziato.
Afferrando un bisturi lucente con entrambe le mani, Mayuri
avvicinò al proprio volto la lama sottile. La chiave stava
tutta nel restare cosciente, anche col sangue che gocciolava e il
dolore e tutto il resto. Non era un problema: le sue mani, ferme e
decise, non tremavano per la paura quando praticò la prima
incisione.
Il liquido caldo e denso prese a scivolare giù per il suo
collo, macchiando il semplice kimono che indossava. Il ragazzo chiuse
gli occhi, inspirando profondamente nel tentativo di ignorare il
bruciore là dove i nervi avevano iniziato a registrare la
presenza di una ferita...
"E' solo l'inizio. Solo l'inizio. Passato questo, il resto
sarà un gioco da ragazzi."
Inutile mentire a se stesso, ma al momento non c'era altra soluzione.
Il sangue adesso impregnava ogni cosa: le sue mani pallide, il volto, i
capelli azzurri e sottili; all'altezza dell'orecchio sinistro, non
c'era altro che una gigantesca macchia rossa e confusa. Mayuri si fece
forza lottando contro la nausea causata dal dolore, e
continuò a tagliare.
Durante le lunghe nottate insonni trascorse nella stanzetta che
Sakuragi-san gli aveva affidato, era stato in grado di costruire un
apparato uditivo meccanico servendosi di pezzi apparentemente
scollegati trovati in giro per l'ambulatorio. L'utilizzo di materiale
metallico chirurgicamente trattato per sostituire parti del corpo
danneggiate era una pratica comune in quell'angolo dimenticato di
mondo, dove ricorrere a complesse operazioni era praticamente
impossibile.
Possedere articolazioni artificiali era piuttosto normale, per la gente
di quel paese, sebbene in altri luoghi della Soul Society quei metodi
curativi fossero ritenuti poco ortodossi; tuttavia nessuno aveva
pensato di realizzare una protesi tanto complicata e specifica prima di
allora.
Soprattutto, nessuno aveva mai pensato di potersela impiantare da solo.
Stringendo i denti per impedirsi di gridare, Mayuri terminò
il lavoro praticando l'ultimo punto di sutura. Poteva percepire
l'acciaio a contatto con la pelle, nel luogo esatto in cui questa
terminava per lasciare il posto all'orecchio artificiale. Si trattava
essenzialmente di due strutture circolari del diametro di circa cinque
centimetri, con una parte leggermente convessa simile alle branchie che
serviva per far passare i rumori. L'aspetto non era decisamente
gradevole, nè rassicurante, ma a Mayuri non interessava:
adesso, non restava altro da fare che scoprire se il suo esperimento
era andato a buon fine.
Barcollando verso la porta dell'ambulatorio, sorreggendosi a quello che
trovava per impedirsi di cadere a terra svenuto, il ragazzo si fece
strada attraverso la stanza sporca di sangue e strumenti sparpagliati a
terra. Al di là delle finestre socchiuse, era da poco sorto
il pallido sole di febbraio. Mayuri allungò la mano verso la
chiave, e le fece fare due giri nella toppa appoggiandosi con una
spalla al freddo muro portante: non aveva più forza, si
sentiva sull'orlo della fine. Se non avesse posseduto il Reiatsu, che
aveva spinto all'estremo per mantenersi in vita, a quest'ora non
sarebbe stato che un ammasso di pelle e ossa disteso sulle fredde
mattonelle dell'ambulatorio.
"Ci sono quasi."
La porta scattò con un clangore metallico, impercettibile
alle orecchie di qualsiasi altra persona; ma al giovane scienziato, che
non aveva mai sentito un altro suono in tutta la sua vita, parve come
un colpo di cannone.
Il viavai mattutino dei negozianti che aprivano bottega lo
investì con tutta la violenza di chi non ha mai percepito il
mondo per davvero, inghiottendolo in un vortice di suoni che Mayuri non
pensava potessero esistere. Ogni cosa sembrava avvicinarsi alla
velocità della luce, aggredendolo: le voci delle persone, lo
stridere dei carretti sul selciato, il muggire sommesso dei buoi...
Tutto il mondo gridava, un urlo straziante di disperazione che
completava con violenza ciò che il ragazzo era stato fino a
quel momento, mandando in frantumi la sua placida bolla di vetro.
Portandosi le mani alle protesi insanguinate con cui aveva sostituito
le proprie orecchie, Mayuri si unì al gemito incessante
della folla che, ignara, continuava a vivere la propria vita ad appena
qualche passo da lui. Il suo stesso lamento stridulo e terrificante gli
fece paura: molte persone si voltarono stupefatte, senza capire.
- Va tutto bene, ragazzo?
- Hey, che cos'è tutto quel sangue?
Mayuri alzò lo sguardo per l'ultima volta sul viavai di
gente nella strada, le espressioni suo loro volti che adesso avevano
una voce ed un'intonazione acquistavano via via sempre maggiore
significato. Preoccupazione. Disgusto. Paura.
Paura... di lui?
Con un ultimo grido disperato, Mayuri cadde a terra ansimando. La folla
si chiudeva attorno al suo corpo, i suoni erano sempre più
forti, più nitidi, più chiari. Quando il buio
calò finalmente su di lui, gettandolo nell'incoscienza
dovuta alla perdita di sangue eccessiva, il ragazzo accolse la
familiare sensazione di stordimento con gratitudine ed impazienza. La
testa gli faceva male, ma le voci si facevano sempre più
lontane oltre l'oscurità.
Due braccia forti lo sollevarono da terra, per portarlo
chissà dove.
Poi, di nuovo, fu soltanto il silenzio ad impossessarsi di
lui.
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