M:
Karen noi siamo cretine!!
K:
Parla per te!
M:
Senti io il capitolo l'avevo scritto e riscritto, sei tu che
non mettevi i tuoi commenti nella copia che ti avevo inviato!
K:
Vuoi rompere le scatole a queste povere anime pie che ci sopportano
ancora a lungo oppure passiamo al capitolo?
M:
Ti detesto quando fai così!
K:
Eh, lo so!
M:
Brava! E vantatene mi raccomando!
K:
Vabbè, comunque, scusate il ritardo noi...
M:
ci abbiamo messo secoli, lo so! Ma è colpa di qualcuno
di cui non farò nome.
K:
Maggie!
M:
Oh che palle! Comunque, scusate il ritardo, sul serio!
K:
Ora vi lasciamo al capitolo, và.
M:
grazie mille a _Hysteria,
che ha recensito lo scorso capitolo e ha inserito questa storia fra i
preferiti!! Grazie mille!!
K:
Ora vi lasciamo al capitolo, che non è un gran che, grazie a
tutti! Un bacio!
M:
Ciao, ciao! Un bacio! Ah, e scusate, lo sappiamo che le medie in
inglese si dice Secondary School, ma sempre quel qualcuno
diceva che era High e ora non lo
vuole cambiare, perdone!
K:
Senti, High suona meglio di Secondary!
M:
Parliamone dopo, và.
K:
Bye bye.
M:
Bye!
Capitolo
1. Attenzionare?
Eravamo
seduti tutti ai nostri banchi, ridendo e scherzando come facevamo da
venti minuti buoni: il Mahatma aveva deciso che io ero il bersaglio
perfetto per i suoi aereoplanini di carta, Davide stava disegnando
sulla lavagna degli omini che si buttavano giù da un palazzo
(che umorismo quel ragazzo!), Mauro fissava Serena con gli occhi
sgranati, perso nelle sue fantasie più erotiche e poi
c'eravamo noi, le sette ragazze, a parlare di, argomento molto comune
fra ragazze di quattordici anni, la gravidanza!
“Io
da grande voglio avere dei bambini!”, esclamò Serena
allegra, lisciandosi la gonna con cura.
“Ma,
dài, sai che dolore?”, ribatté Carola,
fissandola.
“Senti,
il dolore che proverò per quelle ore non sarà niente
paragonato alla gioia che mi darà, poi!”, spiegò
con gioia.
“Sere,
sul serio, io a volte non ti capisco”, si intromise Matilde,
“cosa ci pensi adesso? Non è che per caso c'è
qualcosa che non ci hai detto?”
“Scema!
Ma se non ho manco il ragazzo! E poi ho solo tredici anni, dài!”,
sbottò, incrociando le braccia al petto ma senza che il
sorriso le sparisse dalla faccia.
“Io
sono daccordo con Serena”, dissi.
“Anch'io!”,
approvò Karen.
Un
altro aereo mi finii sulla testa.
“Felipe!
Brutto cretino, la smetti di rompere le scatole?”, sbraitai,
voltandomi verso di lui e fulminandolo.
“Ehi,
Maggie ha parlato, che paura!”, esclamò con finta aria
terrorizzata.
“Stronzo”,
sussurrai e tornai a parlare con le mie amiche.
Bisogna
sapere che era la prima ora di un giovedì e, come sempre in
quel giorno e il martedì, abbiamo i primi venti minuti liberi,
motivo? Il nostro prof è sempre in ritardo, sempre! Gli annali
della scuola non ricordano un giorno in cui lui sia stato puntuale.
“Oh,
ma il prof quando viene?”, chiese Maty, voltandosi verso la
porta. “Che palle è sempre in ritardo!”.
“Ma
scusa, meglio, no?”, si intromise Davide, disegnando l'ultimo
omino suicida e unendosi a noi.
“No!
Abbiamo gli esami quest'anno e così non andremo mai avanti con
il programma!”, sbottò Matilde. “Mahatma, lo
vedi?”, gli chiese, dato che era il più vicino alla
porta.
Felipe
diede una breve occhiata fuori e poi disse calmo.
“Arriva”.
Schizzammo
tutte alla velocità della luce verso i nostri posti,
trascinando sedie e urtandoci.
“Fate
piano!”, gridò Mauro, ora svegliatosi. “Non ci
deve sentire!”.
“Ma
piccolo genio, anche se non urli”, disse Gaia, sedendosi al suo
posto accanto a Laura.
Pochi
istanti dopo un uomo di ventotto anni varcò la porta, i
capelli spettinati e l'aria assonnata.
“Buongiorno
ragazzi”, disse con poca enfasi sedendosi alla cattedra senza
notare la lavagna piena di morti.
“Buongiorno
prof!”, ripetemmo noi, allegri.
“Prof,
è in ritardo”, lo rimproverò Matilde.
Il
prof le diede un'occhiata stanca.
“Non
mi è suonata la sveglia”, si difese.
Alzammo
gli occhi tutti contemporaneamente, era sempre la stessa scusa, oltre
quelle di aver trovato traffico.
I
quindici minuti seguenti di lezione proseguirono con l'1% di
attenzione da parte nostra, il 10% di entusiasmo da parte del prof e
il restante 89% fra le risate generali.
“Bene,
ora basta ragazzi, su! Forza, attenzionate l'assonometria
cavaliera alla lavagna”, disse il prof, che era finalmente
perfettamente sveglio.
Bastò
un attimo perchè tutti ci accorgemmo di quella parola, uno
soltanto, poi tutti ci scambiammo delle occhiate, un sorriso che ci
increspava le labbra, infine scoppiammo a ridere come degli emeriti
cretini.
“Che
c'è?”, chiese il prof, perplesso.
“Ahahahaha”,
fu la nostra risposta, continuavamo a ridere senza sosta, alcuni di
noi ci tenevamo la pancia dal ridere, altri si asciugavano le
lacrime, altri tentavano di smettere senza successo.
Insomma,
detto così non è divertente, ma contate il fatto che
eravamo dieci ragazzi che stavano cercando l'occasione giusta per
scoppiare a ridere e per di più affetti da stupidera, non
potevamo lasciarci scappare un'occasione simile!
“Che
c'è?”, ripetè.
“Prof...”,
iniziò Laura, cercando di calmarsi. “Attenzionare non
esiste”.
Quella
frase fu un grosso shock per il prof che aveva vissuto per i suoi
ventotto anni considerando attenzionare una parola esistente.
“Certo
che esiste!”, ribatté offeso.
“No
prof, non esiste”, dissi io, ancora ridendo.
“Bene,
Margherita, controlla sul dizionario”, mi ordinò.
Eh
sì, perchè se per alcuni prof sono Marghi, per altri
Ciccina (non scherzo ndr. Me) e altri IlMioCognome (scusate, non lo
posso rivelare ndr. Me), per lui ero Margherita.
“Va
bene”, accordai, mi alzai e mi sentivo sicura e padrona della
situazione, quella volta non dovevo fare brutte figure.
Inciampai,
come da contratto, in una sedia e ruzzolai a terra, salvo però
rimettermi subito in piedi mentre sentivo gli altri che ridevano
ancora più forte.
Scema,
scema, scema, pensai.
Mi
avvicinai al tavolo su cui erano appoggiati i dizionari e iniziai a
sfogliarne uno.
“Bene,
attenzionare, attenzionare”, dissi a mezza voce, china sul
libro e tutta concentrata. Poi alzai il capo e sorrisi al professore.
“Non c'è”.
Con
quell'affermazione nella nostra classe scoppiò il delirio,
tutti che applaudivano, gridavano, si davano baci sulle guance e si
abbracciavano, tutto per una parola.
Il
prof insistette per controllare personalmente se avevo detto il vero,
mentre io tornavo trionfante al mio banco senza cadere e mi sedevo.
L'ora
finì poco dopo e tutti stavamo ancora facendo baldoria, mentre
il nostro prof stava ancora assimilando la notizia del suo
fallimento.
Eh,
prof, faccia come ci dice lei, si applichi!
To
be continued...
Se
hai sbagliato hai errato,
è
sempre un errore
(Nostra
versione di “Non è mai un errore”; Raf)
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