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Ci sono progetti che siamo consapevoli non potremmo maie poi mai portare a
compimento, ma per i sentieri dei quali le nostre gambe ed
ancor più i nostri cervelli non possono fare a
meno d’incamminarsi...
Quand’eri piccolo avevi paura del buio ed il mozzicone di candela che tenevi nascosto nel comodino
accanto al letto riusciva a darti un po’ di sollievo con la sua fiammella
incerta che ridava il colore alle cose, spargendo tutt’intorno ombre
tremolanti, più sicure, quasi più familiari.
Passavano gli anni ed i mostri
nascosti nella tua oscurità mutavano pelle, cambiavano forma, perdevano
denti e squame e divenivano le tue paranoie, i tuoi deliri, i tuoi fallimenti,
le accuse che non riuscivi a non rivolgerti, le astrazioni filosofiche
stramaledettamente pessimistiche che aveva suggerito la lettura di un certo Schopenhauer*
appena prima di coricarsi ed allora no, non c’erano mozziconi di candela
che potessero spazzare via le ombre dell’autolesionismo delle tue
continue elucubrazioni, non c’erano lucciole che addolcissero la notte
amara di riflessioni e non c’era neancheun grammo d’erba che potesse
sciogliere il gomitolo delle tue ansie in un dolce filo di zucchero filato
rosa.
[In realtà l’erba c’era, ma
tuo nonno ne era così geloso da tenersela tutta per sé, nascosta
da qualche parte, chissà dove.]**
Eri cresciuto ancora un po’, o meglio, eri invecchiato
ancora un po’, ma l’oscurità, anche se non lo davi a vedere,
o almeno ti sforzavi di farlo, non aveva ancora smesso di atterrirti: eri
appena entrato nella polizia e nel buio di quel vicolo, un vicolo come tanti,
un vicolo come i mille in cui ti sei trascinato tante e tante volte, con la colt in pugno, ti veniva da pregare qualsiasi cosa, mentre
nella tua paura intagliavi un’immagine alla quale avresti poi dato il nome di Dio***. L’assassino poteva
essere dietro di te e col rimbombare dei battiti del cuore dentro le orecchie
non lo avresti sentito neppure se ti avesse parlato con un megafono.
A ripensarci adesso, con lui che ti si è addormentato
addosso e dormendo a bocca aperta ti sta sbavando sui pettorali, davvero, ti
viene da ridere, perché il buio della vostra camera non ti spaventa,
perché le sue braccia che ti stringono all’altezza della vita
saprebbero ridare il colore, la vita ed il profumo ad
un fiore appassito meglio di una fiammella incerta, perché accanto a lui
l’oscurità non riesce più a terrorizzarti e anzi, ti viene
da ringraziarla: mantiene il vostro segreto.
* Filosofo tedesco dell’ottocento, se amate le
correnti di pensiero pessimistiche come me e volete darvi il
colpo di grazia, ve lo consiglio, ma poi non vi lamentate se cadete in
depressione, una delle sue frasi più famose dice: “La vita
è un pendolo che oscilla tra la noia ed il dolore.”
** Oddio che spettacolo, il progenitore degli Hutchinson che si rolla una canna guardandosi intorno
furtivo per accertarsi che il nipote non spii. Scusate, ma come mi è
venuto in mente non ho potuto fare a meno di scrivercelo!
*** Frase tratta a grandi linee,
l’originale era così: “Lo so. Lo so ciò che
dovrebbero fare: dovrebbero intagliare nella loro paura un’immagine alla
quale dare poi il nome di Dio.” da un film
bellissimo intitolato Il Settimo Sigillo (Detsjundeinseglet ), di Ingmar
Bergman. Dovete guardarvelo, perché è fantastico!
Prima ancora che la sveglia suoni, un secondo prima che la
lancetta dei minuti giunga al suo fatidico traguardo, tu l’hai già
fermata.
Bene, ora devi solo alzarti dal letto e strisciare
sbadigliando fino in cucina, ma quando fai per muoverti scopri l’inghippo
e ti accorgi che Starsky ti si è avvinghiato come una cozza al suo
scoglio preferito e scastrarsi non è semplice.
E’ un po’ come giocare al twister
senza colori o destreggiarsi con gli stecchini dello shangay,
serve immaginazione ed autocontrollo: pieghi il
braccio destro di quarantacinque gradi, inarchi la schiena, scivoli a destra,
ti snodi come una serpe, alzi la gamba sinistra e la fai ruotare finchè
non è perfettamente perpendicolare alla spalliera del letto, ma,
nonostante tutte queste perfette manovre, è solo quando rotoli
rovinosamente giù dal materasso, trattenendo a stento un gemito e
sfiorando col tuo capello più corto lo spigolo del comodino, che riesci
ad averla vinta, mentre il moretto mugugna nel sonno abbracciando il tuo
cuscino e sostituendoti con esso.
Fai per dirigerti verso la porta, quando, thò!, ti accorgi di essere
completamente nudo.
Di strappare il lenzuolo a quel dormiglione non se ne parla
nemmeno, quindi, nella penombra cui ancora i tuoi occhi devono abituarsi, dai
il via alla tua mirabolante caccia al tesoro: calzini... maglietta... scarpe...
altri calzini... boxer! Esulti nell’indossarli,
specialmente perché qualcosa ti dice che non sono i tuoi, ma quelli di
un certo ricciolino, il che è un altro lato positivo della vostra relazione,
se tu amassi una donna non potresti metterti i suoi perizomini, o meglio,
potresti, ma la stoffa non basterebbe neppure a coprire un quarto del...
Scuoti la testa scacciando pensieri tanto idioti e barcolli
sbadigliando sino alla porta dietro la quale, e lo sai benissimo, lei è già in agguato,
pronta ad assaltarti con i suoi dentini aguzzi e le sue unghiette affilate da
finto cincillà.
Prima o poi Starsky
finirà per mangiarsi uno spezzatino molto speciale, questo è poco
ma sicuro...
La palla di pelo che per tutto il corridoio ti si è
trascinata dietro attaccandosi al tuo alluce destro, alla fine, vola via dietro
un tuo calcio e sfidata la forza di gravità atterra di botto sul divano
per poi fuggire dandotela vinta.
Eh sì, sono
proprio queste la piccole,grandi soddisfazioni di una
vita...
Di bene in meglio, ora devi solo fare il caffè o
continuerai a ciondolare come uno zombie fino a questa
sera: la moka piena sul gas accesso già sparge ovunque l’odore
invitante della bevanda che custodisce e quando, seduto su di una sedia dopo
aver abbondantemente apparecchiato la tavola per la colazione, te ne ritrovi un’abbondante
tazza in mano, ecco che lui fa il suo
ingresso.
Sotto il palid maledettamente
arancione nel quale si è avvolto come una mummia in un sudario è,
e lo sai benissimo, completamente nudo, ha la faccina assonnata, gli occhietti
blu liquidi liquidi e la testolina riccia e sconvolta,
incoronata dallo stramaledetto topo da lana che lassù in alto s’è
acciambellato in cerca di rifugio.
E tu avresti ancora il coraggio di chiederti “Perché?” lo ami?
La tua interiorità è un casino, ammettilo,
è sufficiente buttare un occhio in giro per sbigottire: i ricordi
più brutti li hai ficcati a forza in scatoloni di cartone sigillati da
giri kilometrici di nastro adesivo; le sensazioni un
tempo più forti, intrecciate ovunque come grossi fasci di nervi, sono
ora impolverate, la loro superficie si è indurita e sembra la corteccia
di rami nodosi che avolgono tutto a guisa di uno scheletro, disseccandosi
attorno alle abitudini ammassate un po’ dovunque assieme ad altre
migliaia e migliaia di altre orribili cianfrusaglie che ti piacerebbe tanto
buttar via ed in mezzo alle quali non riesci a ritrovarti.
E’ peggio di una di quelle
tristissime case stregate da luna park ambulante in
cui i pupazzi degli zombies sono rimasti senza
braccia o senza gambe ed i fantasmi agganciati al soffitto come quarti di bue fanno
più pena che altro, anche se la sala degli specchi deformanti riesce
ancora a farti rabbrividire: schegge sconosciute del tuo io che ti fissano
incuriosite sbattendo le palpebre di occhi enormi come cocomeri o piccoli come
noccioline... forse è meglio affrettare il passo ed uscire di qui, mh?
Ovviamente poi, come in ogni parco di divertimenti di serie
b che si rispetti c’è un banchetto scassato con un omino barbuto
che -O mio Dio, si sarà lavato le mani?- prepara hot dog e li immerge
nella senape per un tipo dai folti riccioletti neri spaparanzato sulla panchina
lì accanto, che giocherella con i vetrini colorati delle tue paranoie,
sorridendoti allegro e facendoti ciao ciao
con la manina come fosse un bambino di cinque anni.
E allora ti chiedi com’è che a Starsky possa
piacere il disordine della tua interiorità, come tu possa meritarti
tutto questo bene e quando ti bacia nulla ha più importanza e in un
attimo risplendi dentro.
Per Mariposa:Grzie per i bei
complimenti, sono felice che il mio Starsky appena sveglio ti sia piaciuto, che
ne pensi di questo che mangia hot dog alla senape
giocherellando con le paranoie di Hutch? Grazie ancora e alla prossima!
Per Rose: Ciao,
volevo ringraziarti per aver messo la mia storia tra i tuoi preferiti e mi
farebbe piacere se tu mi dicessi anche che ne pensi di questi miei disadorni
lavoretti... Mi farebbe molto piacere. Seeyou!
Non le conti più le volte in
cui ti sei fissato a guardarla.
Non riesci neppure più a contare tutte le volte in
cui ti sei chiesto come una cosa tanto piccola e tanto apparentemente inutile
possa ossessionarti così tanto.
Ammettilo.
Ammettilo che vorresti metterci le mani sopra e lasciarvi
scivolare un polpastrello dopo l’altro, con calma, saggiandone la
superficie irregolare, rabbrividendo ad ogni
millimetro percorso piano verso il basso.
Non ti riesce di respirare.
Non ti ricordi più come si fa, tanto sei sconvolto,
non sei proprio più in grado di contrarre e rilassare il diaframma e
riempire i polmoni, che ormai ti sembrano diventati due foglietti di carta stropicciati
e scarabocchiati.
Dopo averla tanto e tanto contemplata, dopo averla tanto e
tanto pregata ecco che lei, lei misericordiosa, sì è abbassata,
si è aperta, e ti mostra il candore
del paradiso terrestre.
“Hutch?” la sua voce ti arriva ovattata, come se
lui fosse lontano, lontanissimo anni luce da te “Hutch,
ti... ti senti bene?” ti passa la mano destra davanti agli occhi
più di una volta, ma tu non la vedi, ora come ora non riusciresti a
vedere nulla, fuorché lei e quello che prima gelosamente custodiva, ma
che oggi, in questo glorioso giorno, ha deciso di mostrarti.
“Hutch!” ti prende per le spalle e ti scuote,
neanche fossi un bambolotto, ma tu ormai sei in un altro mondo, varcato le
soglie del Nirvana, sei asceso al cielo e lo sguardo di lì non ti riesce
proprio di staccarlo.
“La... la lampo...” ora
lo sai, ora hai la prova tangibile che Dio esiste veramente “La lampo dei
tuoi jeans è...” ma la voce non ti basta, il fiato ti s’inchioda
in gola, mentre alla vista della patta di Starsky clamorosamente aperta sulla
candida stoffa dei suoi boxer bianchi, il tuo sangue defluisce in zone oscure e
similari a quelle del tuo partner, che ormai stai fissando spudoratamente da
circa mezz’ora.
Quante volte hai sognato di abbassargliela in servizio, quella fottutissima lampo?
Quante volte?
Con la velocità di un felino
blocchi la mano del moretto che già era scattata per rimediare al
danno, ritirando su la zip, e lo sguardo che gli lanci chiarisce ogni dubbio,
sempre che ce ne siano stati di dubbi, perché in fondo, per questo vicolo
puzzolente in cui siete appostati da secoli ormai tu non c’hai mai visto
passar nessuno.
E gemendo di gusto pensi a quale meravigliosa invenzione
tentatrice sia la chiusura lampo...
Muovi bene ogni tuo passo, centellina le parole ed indossa ancora una volta la maschera dorata che hai
posato ieri notte sul comodino un attimo prima di andare a dormire: molti di loro, come te, hanno rialzato le
palpebre sul mondo quest’oggi ed ancora una volta non ti sarà concesso
sfuggire ai loro giudizi, alle loro sentenze.
Loro non ti
conoscono, magari non ti hanno mai visto, ma già sanno per certo cos’è
meglio per te, vogliono indottrinarti con l’ignoranza delle loro
filosofie, vogliono fare di te il loro capro espiatorio personale e capisci com’è
che di tanto in tanto qualcuno esce di testa e
comincia a sparare sulla folla, a far schizzare per terra il sangue di novelli
Minosse dalla coda attorcigliata sette
volte*nel
condannarti.
Loro credono di
poterti ficcare le mani nel petto e strapparti dall’anima tutto quello
che sei, frugando tra i pezzetti sconnessi della tua personalità come se
nulla fosse, convinti di poterti leggere a guisa d’un libro aperto,
mentre non s’accorgono di star solo graffiando la superficie, scalfendo
appena nervi morti ed insensibili, imbrattando purezze
che da tempo avrebbero bisogno di un candeggio.
Solo innanzi agli occhi di un'unica persona sei riuscito a
denudarti, solo con una persona al mondo non hai bisogno di nascondere i cretti
che attraversano il celeste del tuo sguardo, le sue sono le uniche braccia che
sappiano accoglierti e salvarti, nudo in ogni tua fragilità, dentro una
stanza chiusa a chiave, di nascosto dall’onnipotenza degli estranei.
* Minosse fu re giusto e saggio di Creta. Per questo motivo,
dopo la sua morte, divenne uno dei giudici degli inferi danteschi: Egli, uditi
i peccati, comunica alle anime dannate la destinazione all'interno
dell'inferno, arrotolando la coda di serpente di tante spire quanti sono i
cerchi di destinazione e sette volute di coda significa
settimo girone, quello che si spartiscono bestemmiatori, usurai e (Hutchino nostro dovrebbe starci dentro fino al collo) sodomiti.
Per Rose: Accidenti,
con tutti quei complimenti mi hai fatta arrossire, di
questo passo finirò per montarmi la testa, quindi bada a quel che dici,
che potrei crederci XD... Scherzi a parte, è
la prima volta che ti vedo su questo fandom,
conoscevi già Starsky&Hutch, vero? A giudicare
dal tuo commento direi di sì, quindi avanti! Esci allo scoperto ed aiutaci ad allargare questa meravigliosa sezione! Ok, ok,
eccettuati gli scleri volevo ringraziarti per il tuo
incoraggiamento e per tutte le belle cose che mi hai detto, grazie davvero!
P.S: scusa il ritardo nell’aggiornare, ma il tempo
è tiranno e la scuola peggio!
Per Mariposa: Oh, son proprio contenta che ti sia piaciuta,
speriamo che le altre, se mai avrò il tempo di scriverle, finiscano per
farti lo stesso effetto! Comunque è vero, anche io ho mi sciolgo davanti
ad Hutch, ma pure Starsky, quando ci si mette, mica scherza! Grazie mille!
Fosse stato per te, fosse stato solo per te, avresti scritto la parola
fine già da tempo.
L’avresti scritta un po’ d’ovunque, forse
senza neanche pensarci troppo, così, d’impulso, avresti mollato la
presa, ciancicandoti in bocca l’amarezza di una nuova sconfitta come una
cicca, ma purtroppo o per fortuna, ancora non sei riuscito a capirlo, non fosti
solo, non lo sei, e questo non è certo un dato da poter trascurare.
Lui non ti ha mai lasciato andare, ti si è attaccato
con le unghie e con i denti, non ti ha permesso di mollare, ti ha stretto a sé
a costo di farsi male, ha seguito i tuoi passi, ti ha coperto le spalle e
quando la fine sembrava ineluttabile ha avuto la forza di opporsi, ma anche
lui, certamente, ha avuto i suoi momenti di debolezza.
Ricordi che eri appena uscito dall’ospedale, che lui
ti aveva portato a casa, ma che di lasciarti lì da solo, completamente
abbandonato a te stesso, non ne aveva neppure voluto sentir parlare.
Vi eravate ritrovati, alla fine, nello stesso letto, sotto
la stessa spessa coltre di coperte, faccia a faccia
nella lieve penombra della camera, con lui che ti accarezzava piano, come
avesse avuto paura di farti male, di ferirti, quando le sue mani erano l’unica
dolcezza, l’unica gioia che ti fosse mai stata concessa, l’unica
che avresti mai desiderato a consolare la fragilità di quegli attimi.
“Hutch, io... io volevo ringraziarti per tutto quello
che...” ma ti ritrovasti le sue dita sulle labbra,
la sua fronte contro la tua spalla.
“Non c’è nulla di cui tu debba
ringraziarmi, ma ti prego, adesso...” s’interruppe
un attimo e quasi ti sembro di sentire le parole che, acuminate come spilli gli
pungevano le pareti della gola dalla quale cercavano faticosamente di
scastrarsi “... Adesso ti prego non interrompermi, devo dirti qualcosa d’importante
e se perdessi il filo, allora, tanto sarebbe valso, da parte mia, esser stato
zitto.” annuisti in silenzio, il battito del cuore di Hutch che
velocissimo rimbombava ovunque fino quasi a far tremare il letto “Io ho
rischiato di perderti. Non è stata questa la prima volta, lo so, ti
hanno già sparato in passato, te ne hanno fatte passare veramente di
tutti i colori, così com’è stato per me, ma questa volta...” si morse il labbro inferiore, quindi s’impose
di continuare “Questa volta ho davvero intravisto la fine e anche se se
è stato solo un terribile miraggio, un incubo dal quale davvero credevo
non ci saremmo mai più svegliati, io ho
capito. Ho capito che non aveva senso continuare a mentirti, ho capito
quello che sentivo e l’ho accettato, ho capito che ti amavo e che ti amo e... e lo sai, lo sai qual è la cosa buffa? E’
che non mi riesce di amarti solo come una donna o un
uomo potrebbe amare un altro uomo, né solamente come un padre potrebbe
amare il proprio figlio ed il figlio il proprio padre, la cosa buffa è
che ti amo e a quest’amore non trovo limitazioni di sorta: tutto questo
è ciò che sento e ciò che ho capito. Questo è tutto ciò che sono.”
Il battito di Hutch, ora, era decelerato, non rimbombava
più violento contro le pareti della stanza immersa nel buio, non
sembrava più sul punto di esplodere, ma tutto bruciava come le lacrime
che, sapevi, il tuo biondino tratteneva a stento al ciglio.
“Non so se sia giusto che un uomo ami così un altro uomo, sono giunto
alla conclusione che non mi interessa, so solo che non voglio perderti di nuovo
e che se tutto ciò ti disgusta o anche solo t’infastidisce io saprò porvi fine e tutto...” la voce gli s’incrinò
ed un fitta ti prese il petto, ma le pallottole dell’uomo di Gunter e le cicatrici che queste avevano lasciato non c’entravano
davvero nulla “Tutto tornerà com’è sempre stato,
tutto tornerà come prima...” sorridesti e con un po’ di
fatica e qualche fitta di troppo riuscisti a girarti su di un fianco.
“Come prima dici? Come prima
che ti rubavo un bacio quando era così esausto da addormentarti nella
Torino tutt’intorno non c’era nessuno? Come prima che ti guardavo
do sottecchi quando avrei voluto passare il mio tempo a far nient’altro
che fissarti? Non c’è motivo di scrivere la parola fine, Hutch,
quando siamo appena all’inizio...”
Certe parole avresti voluto soltanto
sentirtele dire.
Le desideravi così tanto che le tue orecchie
arrivavano ad ingannarti e chiedevi alla mamma se
avesse detto qualcosa, ma lei scuoteva il capo senza voltarsi e continuava a
mettersi il suo rossetto.
Allora forse era stato papà, ma
papà badava alle sue scartoffie, ai suoi conti e la bocca non l’aveva
aperta neanche per sbaglio.
Vanessa certe volte diventava
logorroica, logorroica ai limiti dell’impossibile quasi, specialmente quando
era tesa, ma tra tutte le sue parole non ve ne fu una cui davvero riuscisti a
credere fino in fondo.
Eppure non erano parole troppo difficili a dirsi, non
sarebbe servito troppo fiato a pronunciarle, eppure nessuno si era mai preso la
briga di accontentarti.
Ci avevi rinunciato ormai, anzi, ti eri anche quasi
dimenticato cosa tu stesso desiderassi, poi un giorno, come succede nelle
favole, era arrivato.
Lui era arrivato e
ti aveva sorriso.
“Non
preoccuparti Hutch, andrà tutto bene...”
[Proprio quelle parole che avevi aspettato per una vita intera, quelle che
nessuno aveva mai pensato di farti sentire te le aveva sussurrate lui.]
E come riuscisti a trattenere le lacrime devi ancora
capirlo.
Per Rose: Grazie,
davvero, non so più come dirtelo, grazie mille, spero che ti piaccia
anche questa. Perché non scrivi anche tu qualcosa sui nostri due mitici
poliziotti? Sarei davvero curiosa!
“Avanti Biondo,
muovi quel tuo bel culetto sodo e prepara quattro hotdog,
tre con la cipolla e uno ai peperoni, che quei bei ragazzi là fuori
sembrano aver una fame del diavolo!” gli ordinò Mrs Milly con la sua solita delicatezza, mostrandogli con
un sorriso tra il maligno ed il perverso, scarlatto
quanto quello di una drag queen, due file irregolari di denti macchiati dall’abuso
di nicotina e di caffè che tutto avrebbero potuto fare fuorché
sedurlo “E mi raccomando, babe, non
dimenticarti le due porzioni per di patatine fritte per il tavolo sette...”
e detto questo la proprietaria della più assurda taverna barra chioschetto
barra fastfood di Bay City si dileguò dalla cucina per andare a spadroneggiare
dietro al bancone e dare il suo tanto caloroso quanto falso benvenuto ad ogni
sventurato uomo che avesse osato varcare la soglia di quel luogo.
Ken Hutchinson gettò con
stizza quattro wurstel sulla piastra bollente che più e più volte
aveva tentato di cuocere le sue splendide manine da chitarrista, maledicendo il
giorno in cui avevano scoperto che uno dei più grandi e ricchi mafiosi
di Bay City, Karl McLaine, era solito pranzare sempre
a “La grande abbuffata”, seduto
al tavolo cinque ed ordinando sempre, da quasi dodici
anni a questa parte, lo stesso menù fisso da otto dollari e cinquantadue
cents più il milk shake alla fragola e
vaniglia puntualmente offertogli da un infatuatissima Milly.
“Dovremmo mandare qualcuno sottocoperture...” aveva detto Dobey con
il suo solito cuccio e la sua vociona grossa fissando Hutchinson
con insistenza, memore dell’ultimo barbecue di Starsky e di tutta la
succulenta carne finita carbonizzata per la sua disattenzione.
Aveva accetta l’incarico con un’alzata di
spalle, senza minimamente immaginare che si sarebbe ritrovato unto da capo a
piedi come una porno diva, sommerso di hot dog ed hamburger
come se piovesse e con un capo cinquantenne dalla permanente sfatta che non
perdeva occasione per palparlo con quelle sue manaccia grassocce e sudaticce
che s’intrufolavano ovunque , come i tentacoli di un polpo, mentre
ridendo sguaiatamente gli faceva battute fra l’osceno ed il raccapricciante
del tipo: “Ehi bel biondino, lo sai
che...”
“... Che
così tutto concentrato a cucinare sei ancora
più sexy del solito?”e prima ancora che
Hutch potesse realizzare che le mani spalmate su quel
suo bel culetto sodo erano quelle di un certo ricciolino moro , saltò su
come un grillo, paonazzo in volto, brandendo la spatola degli hamburger come
una mazza da baseball.
“Lo faccia di nuovo Mrs
Milly e...” strepitò isterico, ma la sua
crisi di nervi si placò all’istante
quando, con l’ultimo barlume di lucidità che gli era rimasto lo
riconobbe “Stars... Starsky?” e quello non ebbe neppure il tempo di
annuire che il biondo gli era già salato addosso, supplicandolo di
portarlo via di lì, ad ogni costo.
“Resisti un’altra mezz’oretta buddy, adesso abbiamo abbastanza prove per
incastrare McLaine e quando entrerà da quella
porta i ragazzi del tavolo sette e quelli del tavolo sei gli avranno già
puntato addosso tante di quelle pistole che confesserà come un bambino
beccato dalla mamma con il vasetto della marmellata tra le mani...” gli
disse, cercando di calmarlo, approfittando della cucina deserta per
abbracciarlo da dietro e cullarselo un po’,“Scusami, non volevo
farti spaventare prima, ma entrare dalla porta su retro era la cosa migliore
per non farmi scoprire e quando ti ho visto qua solo soletto tutto indaffarato mi
è venuta una voglia matta di...”
“STA GIU’!”ed il moro
si ritrovò, un attimo dopo aver afferrato goloso un wurstel, seduto per
terra, schiacciato tra il banchetto della piastra ed il petto di Hutch, mentre
nella sala accanto cominciavano a volare pallottole a destra e a manca, mentre
Starsky realizzava che certi pranzi caotici, se li passi tra le braccia del tuo
uomo, possono diventare qualcosa di meraviglioso.
Per Rose: Lo so, Lui ha preso molto anche me,
evidentemente non sono l’unica che ogni tanto vorrebbe sentirsi dire, non preoccuparti, vedrai, andrà tutto
bene... grazie per i complimenti e per quanto riguarda la storia, non farti
metter fretta dalla sottoscritta che è un’impaziente nata, mettici
i tuoi tempi e vedrai che sarà un lavoro bellissimo! Alla prossima cara!
Seeyou!
Un mozzicone di matita ti pendeva dalle labbra,
pericolosamente in bilico, mentre lo fissavi ficcarsi le mani nei capelli ad ogni errore di battitura che faceva.
Pensaci bene, ti
devi esser detto, ora potrebbe essere
ovunque fuorché in questo ufficio ad ammattirsi dietro una macchina da
scrivere.
Pensaci, avrebbe potuto scegliere di fare l’idraulico
o l’elettricista.
Ad undici anni avrebbe potuto
finirgli tra le mani un libro di filosofia classica ed avrebbe potuto scegliere
di dedicare ad essa la sua intera vita e invece no, invece ha scelto di
diventare un piedi piatti, pagato meno di un idraulico o di un elettricista e
con una vita decisamente meno tranquilla di quella di un professore di
filosofia.
Avrebbe potuto scegliere di rimanersene a New York, a far la
ronda per le stradine umide del Central Park, di note, nel tentativo di
prendere l’ennesimo maniaco sessuale; avrebbe potuto decidere di fare i
bagagli per andarsene sulle calde ed assolate spiagge
della ricca Florida, a seguire le tracce di un serial killer pazzo omicida
senza un nome né un volto sotto il solleone di mezz’agosto.
Avrebbe potuto anche optare di farsi trasferire in Alaska a far compagnia agli orsi polari, ma lui aveva già
scelto e dietro al dito indice, puntato non a caso, sulla cartina c’era
scritto “Bay City”.
E qui, a Bay City, bèh, qui a Bay City avrebbe potuto
confondersi con chiunque altro uomo o donna che fosse, avrebbe perfino potuto
ritrovarsi sotto le stesse lenzuola di Huggy, ma lui, nella marea di persone vecchie
e nuove che abitano questo mondo, nell’interminabile sciamare dell’intera
esistenza umana ha scelto di caricarsi sulle spalle tutti i tuoi problemi,
tutte le tue crisi, ti ha preso con sé una paranoia dopo l’altra,
ha scelto giorno dopo giorno di regalarti un sorriso,
una ragione concreta per la quale valga la pena di alzarsi dal letto e
riprendere a strisciare lungo la vita di tutti i giorni, come sempre...
Lui ha scelto te, ha
scelto proprio te e non se ne è ancora
pentito...
Santo Dio è... è pazzesco!
D’un tratto ti cadde la matita dalla bocca, sulle labbra un“grazie”
che per lo sconcerto rimane silente e infine i suoi occhi di cobalto nei tuoi a
fissare divertiti il tuo sgomento.
“Di niente,
Hutch...” disse Starsky stiracchiandosi e
lasciandosi scappare un mezzo sbadiglio “E non farmi quella faccia
sbalordita, come se tutto ciò fosse la cosa più assurda di questo
mondo: tu e la Torino siete indubbiamente
le scelte migliori della mia vita...”
E quella fu probabilmente l’unica volta in cui tacesti
il tuo disappunto nell’essere stato accomunato al malefico pomodoro a
strisce.
Se dovessi associare Hutch ad uno dei quattro elementi naturali non ci
penseresti due volte prima d’abbinarlo all’acqua
051. Acqua
Se dovessi associare Hutch ad uno
dei quattro elementi naturali non ci penseresti due volte prima
d’abbinarlo all’acqua.
E non per tutte le docce che riesce a farsi in un solo
giorno o per il colore dei suoi occhi -il colore del
fiume Belaja- ma per quella volta, per l’immensità
dell’oceano e, ancor prima, per il caldo atroce che faceva quando il tuo
telefono squillò che era appena mezzanotte.
“Pronto...” ciancicasti
rispondendo al telefono, troppo stanco e sudato com’eri per poter
direttamente mandare al diavolo l’idiota che, dopo una giornata passata a
correr da una parte all’altra della città senza sosta, osava
disturbare la sacrosanta e meritata tranquillità del suo sonno.
“Starsky, sono io, Hutch...”
la sua voce ti giunse agitata dalla cornetta, ma comunque, per un attimo,
provasti l’irresistibile tentazione di ficcarti la faccia tra i cuscini e
di soffocarti “...ti ho svegliato? Stavi dormendo?”
“No, ma che scherzi? Ero solo riuscito a chiudere
occhio dopo essermi rivoltato come in preda ad un attacco epilettico e stavo
per sprofondare tra le dolci braccia di Morfeo, quando all’improvviso,
qualcosa come un orribile e devastante suono mi ha riportato...”
“Starsky, per favore!” ora il suo tono s’era
fatto esasperato e sobbalzasti sul materasso, staccando il telefono dall’orecchio,
riavvicinandoti ad esso solo qualche attimo dopo, con
estrema cautela “...è tutta colpa di questa maledetta afa, non
riesco ad addormentarmi, mi giro e mi rigiro nel letto e sono stanco e tutto appiccicoso e sto diventando matto!”
ti elencò esasperato, mentre i tuoi occhi già riprendevano a
chiudersi.
“Oddio Hutch, è normale, siamo in Agosto, tutti
abbiamo caldo e tutti fatichiamo a prendere sonno, ma
se ti agiti così non fai che peggiorare le cos...” cercasti di
calmarlo, ma lui non ti dette neanche il tempo di finire la frase.
“Sei nudo?”
ti domandò così a bruciapelo che ti ritrovasti a strabuzzare gli occhi
nella penombra della tua camera da letto, con mezzo
centimetro di bulbo oculare fuori dalle orbite.
“No, guarda, con questo caldo io per solito vado a
nanna con un completo in fustagno fuori e lana dentro... Ma certo che sono
nudo, che domande del piffero fai? E poi ti ricordo che io non sono la tua
linea erotica personale! E no, non provare a chiedermi se mi sto toccando perché
giuro che ti sbatto il telefono in faccia!” gli urlasti tra lo
scandalizzato e l’incredulo, mentre qualcosa dentro il tuo cervello ti
diceva che no, probabilmente non gli avresti chiuso la comunicazione in faccia
come avevi minacciato.
“Oh avanti, non fare l’idiota Starsky e mettiti
qualcosa addosso, tra dieci minuti al massimo sono da te, fatti trovare pronto!”
ti ordinò secco e un attimo dopo udisti solo un
tu-tu tu-tu fitto e continuo, segno
che l’altro aveva riagganciato.
Ti alzasti dal letto controvoglia e senza accendere la luce,
a tastoni cercasti qualcosa da metterti su ed eri riuscito ad
indossare appena boxer e camicia che il suono infernale del campanello ti
trapanò il cervello da una parte all’altra, ordinandoti, o meglio,
costringendoti, se volevi metter fine a quell’agonia terribile, ad andare
ad aprire la porta prima di subito.
“Oh, sei già arrivat...?” ma Hutch ti afferrò per un braccio senza neanche
ascoltarti e seminudo com’eri ti trascinò di peso in quella
lattina accartocciata che insisteva a chiamare, non si sa con quale coraggio,
automobile.
Il viaggio fu breve e da crepa cuore, col cartoccio gommato
che sfiorava i centotrenta, minacciando di sfasciarsi come le macchine dei
cartoni animati, ogni volta che Hutch pigiava la frizione e schivando al pelo
malcapitati pedoni e disgraziati mendicanti ubriachi.
“Hutch, dove diavolo siamo!”
sbottasti d’un tratto, quando quello frenò di colpo, alzando un
polverone terribile e se non ti ritrovasti con la testa conficcata nel vetro
del parabrezza fu solo grazie al tuo biondino, che di nuovo ti trascinava, dopo
averti afferrato per un braccio, sulla sua strada, con i tuoi piedi scalzi che
calpestavano prima l’asfalto liscio, poi il breccino un po’ meno
liscio e infine la sabbia.
“Sa... sabbia?” rimanesti senza parole,
osservando Hutch che, come in preda ad un raptus -il più bel raptus di
cui tu l’abbia mai visto preda-, si spogliava, gettando qua e là
pantaloni, maglietta, scarpe e quant’altro avesse addosso e pensasti che era bellissimo, con la pelle chiara e nuda che baluginava
come le ali di una farfalla notturna alla luce riflessa della luna, le labbra morbide
dischiuse per lo sforzo della corsa, gli occhi ricolmi di quello stesso
qualcosa che ti premeva dentro da tanto tempo.
“Spogliati... spogliati Starsky...”
t’incitava lui a bassa voce in sospiri più simili a gemiti, ma
ogni tuo abito giaceva già ai tuoi piedi, le tue mani sul suo corpo,
nell’acqua alta, le tue labbra sulle sue a dividersi l’ossigeno
sotto i flutti calmi e poi ancora c’era la spuma bianca che scivolava
avanti ed indietro sul bagnasciuga accarezzando il vostro corpo, l’orgasmo
più accecante, il più bel sentimento che avessi mai provato in
vita tua.
Scusate se i lavori procedono a rilento, ma questa è
la vita.
Ieri sera, dopo averti riaccompagnato a casa avreste dovuto
salutarvi e lui avrebbe dovuto tornarsene al suo nido,
ma la carne si è riconfermata debole ancora una volta e oggi ti sei risvegliato
sul tappeto, distrutto ed indolenzito, con il suo bel faccino addormentato
ancora riverso in mezzo alle tue gambe ed i suoi riccioletti a farti un dolce
solletico.
Ormai ti sei abituato alle sue permanenze notturne, nel tuo
armadio c’è sempre un cambio d’abiti per lui, nella doccia
il suo bagnoschiuma preferito e, anche se con riluttanza, ti sei già
deciso da qualche tempo a rifornire il tue santo frigorifero
di pizza da buttare nel forno cinque minuti prima che si svegli e Coca Cola
fredda da mandar giù alle sei di mattina, a digiuno magari, aspettando
che la pizza con un po’ di calore ritorni almeno lontanamente commestibile.
“Evviva, pizza ai wurstel e salame piccante!” Esulta
Starsky felice come un bambino accomodandosi alla tavola ancora mezzo nudo e
mezzo bagnato per la veloce doccia che si è fato
mentre ti affaccendavi ai fornelli “E le mie merendine al cioccolato? Hey, dove
sono i miei dolcetti?” ti chiede con una punta di delusione ed alzi gli occhi al cielo, sperando che non finisca per
scoprire dove le hai nascoste.
“Ma dove saranno mai se non nel magico castello di
marzapane e di canditi del mago Dobey e del suo
fedele giullare Huggy?” gli domandi a tua volta con l’ironia acida
del sonno che ti pesa ancora sulle palpebre semichiuse nonostante tutto il caffè
ingurgitato.
“Ah ah ah,
davvero spiritoso, mio caro cappellaio matto, ma adesso avanti, niente scherzi,
tira fuori la mia dose quotidiana di zucchero o potrei non rispondere delle mie
azioni.” ti fa falsamente minaccioso, strappandoti un sorriso che, non
volendogliela dar vinta, nascondi sotto i baffi, in tutti i sensi.
“Ma non se ne parla nemmeno: ultimamente
hai messo su qualche chilo di troppo Starsk, è già tanto che ti
conceda la pizza, sai? E comunque se vuoi davvero
qualcosa di dolce, caro mio, dovrai accontentarti del miele.” controbatti
severo con un tono che assolutamente non ammette repliche o dinieghi.
“Ma che dici, non vedi che sono una
silfide? Guarda qua che figurino! Questi sono tutti muscoli, mio caro buddy!” Ma fai finta di niente, ignori le sue
lamentele e peggio ancora le sue linguacce, ma cosa
ancor più preoccupante sembra che tu abbia tutta l’intenzione di
svuotare l’unico barattolino di sostanza zuccherosa presente in casa.
“E almeno lasciamene un po’ di questo miele,
accidenti!” ti fa esasperato lanciandosi verso il barattolino
incriminato, ma ancor prima che riesca ad afferrarlo tu, con i tuoi riflessi da
giaguaro, l’hai già bloccato e le vostre bocche sono unite ancor
prima che possa rendersene conto e le vostre lingue si accarezzano lentamente,
impastate del dolcissimo nettare dorato.
Pensi che questo sarà sufficiente a fargli dire addio
a tutte quelle porcherie di cioccolata, caramello, zucchero e quant’altro,
le quali, a breve, e ne sei sicuro, porteranno il suo
fegato al suicidio, ma quando, dopo essersi staccato senza fiato da te ed aver
ficcato la testolina riccioluta nel frigo ti chiede se potete provare a farlo
anche con il burro di arachidi, scuoti il capo, passandoti una mano sulla faccia.
Sai benissimo che lo accontenterai e che proverete anche con
la marmellata di albicocche e con la panna montata e la cioccolata calda ed il creme caramelle ed il frullato panna e fragola e con
tutto il resto.
Ma da quant’è che non fai più una
colazione decente?
Se lo poteva tranquillamente immaginare armeggiare con ago e filo, mastice e nastro adesivo, come un bambino un po' pasticcione che voglia rimettere insieme i pezzettini del suo soldatino più coraggioso, che impavido abbia affrontato da solo tutti i pericoli della guerra.
Accadeva ogni volta che Hutch ne avesse bisogno e in qualunque luogo fosse necessario, perché non c'era bisogno di grandi manifestazioni d'esibizionismo: una carezza come un filo di colla a caldo su bordi scheggiati da riunire; una pacca sulla spalla come una bella strisciata di nastro adesivo a riattaccare quei frammenti che altrimenti sarebbero andati persi; un abbraccio come un filo di sutura a chiudere una ferita sanguinante.
Era strano e tremendamente meraviglioso tornare a casa con il cuore rotto, fatto a pezzi dalla ferocia dalla vita, e trovarselo riparato con un semplice bacio del suo Stark.