L'occasione che aspettavo

di Stella_B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Lo specchio ***
Capitolo 3: *** La mamma è invecchiata ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Volevo scusarmi se ho lasciato in sospeso la storia precendente ma ho avuto una crisi d'identità, per cui mi sono dovuta imbarcare in una nuova fic... >.<
Spero di riuscire a postare al più presto il nuovo capitolo, ma con la scuola che è riniziata sarà difficile.
Proverò a postare entro dopodomani al massimo ;)


Apro gli occhi, ancora insonnolita.
Un fascio di timida luce invernale filtra dalla tapparella, illuminando leggermente la stanza.
Mi sento anche più riposata del solito.
Chissà che ore sono.
Muovo il braccio verso il comodino, per afferrare il cellulare e controllare l’ora.
La mia mano tasta il vuoto.
..?..
Un ricordo, risalente al giorno prima, mi risveglia all’improvviso.
Ieri, mi hanno rubato il cellulare. Non me ne sono neanche accorta, mentre me l’hanno silenziosamente sfilato dalla tasca.
Non ho più un cellulare.
Il che significa…
In un secondo, sobbalzo.
Il che significa, che non ho la sveglia! Il pensiero mi attraversa la mente, alla velocità della luce.
E altrettanto velocemente salto giù dal letto, a caccia di un orologio.
Finalmente trovo l’orologio da polso: sono le 7.46.
Merda.
Mi infilo i primi vestiti che trovo, e dopo 5 minuti corro fuori di casa, correndo come una furia verso la fermata dell’autobus.
Nonostante la corsa nell’aria gelida mi tolga il fiato e mi impegni al massimo delle mie forze fisiche, la mia mente, purtroppo, è abbastanza libera da poter pensare al giorno prima.


“Amore, stasera non posso venire, mia zia ha avuto una ricaduta e devo farle compagnia... Mi farò perdonare, polpettina, promesso. ;) Ti amo”.
Leggo e rileggo il messaggio di Davide, con crescente delusione.
Mi dispiace per sua zia, che si ammala una settimana sì e una no, però stasera dovevo presentarlo alle mie amiche, l’avevamo programmato da così tanto tempo.
Sono quasi dieci mesi che stiamo insieme, e non sono ancora riuscita a presentarlo alle altre. E in più odio quando mi chiama “polpettina”.

Mara, la mia migliore amica, sta cercando di consolarmi, quando entra la prof. che odio di più.
La Sgardi insegna matematica in questa scuola da almeno vent’anni ed è la professoressa più bastarda che ci sia nell’istituto.
Peserà almeno 90 chili, e con la sua voce roca e bassa zittisce chiunque.
“Come sapete oggi è venerdì, ragazzi, il che significa…” Apre il registro, con aria sadica.
“Interrogazione.”
E’ incredibile come la parola “interrogazione” pronunciata da lei, ha la capacità di far tremare tutta la classe, dal primo all’ultimo banco, sedie comprese.
Inizia la consueta preghiera a mani giunte.
“Non chiamarmi, non dire Mori, non dire Mori, non….”
“Mori!”
Al sentire il mio cognome, faccio un salto sul posto.
“Vieni alla lavagna.” Dice la Sgardi, fredda come un generale.
In silenzio, mi alzo, malferma sulle gambe.
Ricordo quando, il mese scorso, è morto il mio cane, Giangatto, dopo tre anni di malattie cardiache dovute alla vecchiaia.
Non è sopravvissuto all’intervento tentato in extremis.
Ho pianto tutta la notte, e il giorno dopo ho detto alla Sgardi che non avevo studiato.
“Questa scusa è vecchia come mio nonno, Mori. Neanche un minimo di originalità. E comunque non è una scusa, bisognerebbe essere sempre pronti.”
Capite adesso perché sono così terrorizzata al pensiero di essere interrogata da lei?
Si diverte a metterti in difficoltà con le domande più bastarde dell’universo matematico e non.
Mi fissa, mentre mi faccio strada tra i banchi, con lo sguardo un po’ perso nel vuoto.
“Mori, non ho tutta l’ora per te.”
Il suo tono mi fa trasalire, e nell’ansia non vedo uno zaino ai miei piedi.
“Ahi..!”
Mi ritrovo per terra, dopo aver inciampato nello zaino, con la grazia di un sacco di patate.
Vedo tutto più indistinto, gli occhiali mi sono volati da qualche parte, e sento qualche risata non troppo sommessa dei miei compagni.
Arrossisco per la figuraccia, mentre cerco gli occhiali con le mani.
Mara si alza subito e corre vicino a me, per aiutarmi.
“Ehi, Sole, ti sei fatta male?”
Mi tende gli occhiali, per fortuna non rotti, e mi rialzo, sostenuta da lei.
“Ehm.. no, no, è tutto ok. Grazie..” Cerco di fare finta di niente.
Posso farcela, mancano solo 14 ore alla fine di questa giornata. Posso farcela!
Ma che male al ginocchio!


Immersa nei miei pensieri quantitativi sulla mia sfiga, scorgo improvvisamente le luci dell’autobus.
Con tutta questa nebbia, non si vede che a qualche metro di distanza, riprendo la mia corsa verso la salvezza.
La nevicata di dieci giorni fa ha lasciato ancora qualche zona ghiacciata qua e là sul cemento, e mi orchestro con l’equilibrio di un acrobata da circo.
Eccolo, corro verso la fermata, devo farcela.
Non posso fare un altro ritardo, devo raggiungerlo.
Eccolo, mi ha appena sorpassato lungo la curva, non smetto di correre.
Per poco non rischio di scivolare, il marciapiede è sempre più scivoloso.
Basta ancora un piccolo pezzo, qualche metro e…
Senza neanche rendermene conto, sono inciampiata…
Senso di vuoto allo stomaco.
“Aspetti! Per fav…”
E poi diventa tutto nero.




Dentifricio.
C’è odore di dentifricio.. ma perché ci dovrebbe essere questo odore?
Cerco di aprire gli occhi, la testa è pesante e pulsa forte.
Fatico a mettere a fuoco l’ambiente intorno a me, non ho gli occhiali e senza quelli sono quasi una talpa.
Percepisco molto bianco e grigio, sono sdraiata su un letto.
Poi mi guardo, le braccia e mi spavento.
Ho una flebo attaccata al braccio, e una benda sulla mano destra.
Sono in…ospedale?!?
Cosa ci faccio qui?
La mia mente è un cassetto vuoto, non mi suggerisce nulla.
Chiudo gli occhi, lasciandomi andare sul cuscino, sconsolata.
Mi concentro un po’.
Vediamo…mi viene in mente quando, a otto anni, ho scoperto che non esisteva Babbo Natale, perché avevo sentito mia madre dire a mio padre di alzarsi e sbrigarsi a mettere i regali sotto l’albero. Mmh.
La mia stanza, in completo disordine appare davanti a me, e la mamma che mi ordina di mettere a posto.
Non ci siamo.
La finestra deve essere socchiusa perché un soffio di aria fresca mi accarezza la guancia.
Un leggero brivido mi percorre la schiena, e all’improvviso, una pungente sensazione di freddo mi colpisce.
Un ricordo. Cerco di afferrarlo… E’… nebbia e nevischio, umidità.
Freddo. Freddo mentre vado a scuola?
Sì… può essere.
E ora il ricordo delle luci… due, forti fari…
Ecco! Ora c’è tutto.
Sono scivolata mentre correvo per prendere l’autobus...dev’essere stato un brutto colpo, se sono finita in ospedale.
Mentre cerco di ricordare altri dettagli, all’improvviso sento dei passi e la porta si apre.
“Oh! Si è svegliata!” Una infermiera sulla cinquantina, dal sorriso aperto, si avvicina al mio letto.
Dopo aver controllato la flebo, mi osserva.
“Come si sente, signorina?”
“Mi gira la testa…”
“E’ normale, ha preso una bella botta contro quel pick up.”
Pick up? Io non ho fatto nessun incidente con un pick up, sono scivolata.
“Ma io non ho fatto nessun incidente stradale, sono caduta sul ghiaccio…”
L’infermiera assume un volto sorpreso.
“Ne è sicura?” Dice, cercando la mia cartella medica.
“Sì, ieri mattina, stavo correndo per prendere l’autobus, ero in ritardo per la scuola..”
Corruga la fronte.
“Aspetti un attimo, ritorno subito.”
Esce di fretta dalla stanza, il volto ancora contratto dalla preoccupazione.

Dopo qualche minuto rientra, seguita da un uomo alto e calvo, in camice bianco.
“Ciao” Dice, informalmente.
“Abbiamo preso una bella testata, eh?” Sorride, sdrammatizzando.
“Già…” Lo fisso senza capire.
“Sono il dottor Lorenzi, il neurologo del reparto. Ti farò giusto qualche domanda, per verificare che sia tutto apposto, ok?”
“Certo..” Annuisco, confusa.
“Forse qualche domanda ti sembrerà sciocca, ma rispondi lo stesso…Allora, come ti chiami?”
“Sole Mori.” Rispondo pronta.
“Bene.” Continua a farmi qualche altra domanda, come la data di nascita e le mie abitudini.
“Che giorno è oggi?”
Ci penso un attimo, ieri è stato il giorno più catastrofico della mia vita. Il 12 dicembre 2008, quindi oggi dev’essere il…
“Oggi è il 13 dicembre 2008.”
Il medico sta per scrivere qualcosa, quando torna a guardarmi.
“Sei sicura?”
“Sì, certo. Ieri era venerdì, e sono stata interrogata…”
Il medico scambia uno sguardo con l’infermiera e le sussurra qualcosa.
Oddio, che sta succedendo?
“Sole… oggi non è il 13 dicembre 2008. E’ il 17 aprile 2009.”

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Capitolo 2
*** Lo specchio ***


Salve!
Chiedo scusa per il ritardo, ma con la scuola e la maturità che si prepara ho vita dura. Y_Y
Chiedo davvero perdono e prometto che cercherò di essere più assidua, grazie per il sostegno.
Ringrazio soprattutto Chariss. Spero ti piacerà la continuazione, che si distanzierà molto dal libro.



Non riesco a crederci.
“Sono stata in coma per più di un anno?” Domando, con voce spezzata.
“Non esattamente, Sole.” Incomincia il neurologo, cercando i miei occhi.
“Sei stata ricoverata qui due giorni fa, per un incidente stradale.
Ci risulta che tu fossi in macchina con tuo padre, quando un pick up vi è venuto addosso, frontalmente. Tuo padre non si è fatto quasi nulla, e anche il conducente dell’altro veicolo sta bene.”
Mio dio. Io un anno fa mi sono svegliata? Ero cosciente?
La mia gola è secca, non riesco ad articolare una frase, ancora confusa.
“C-come è possibile?…l’ultima cosa che ricordo è la corsa per l’autobus, a dicembre…”
“E’ un caso di amnesia retro-attiva, una forma abbastanza rara.
Il giorno dopo il tuo incidente, a dicembre, ti abbiamo dimessa, non avevi subito nessuna lesione grave. Adesso, con questo secondo incidente, hai colpito la testa in un punto molto importante.”
Adesso mi dirà che sono destinata alla pazzia!
“In pratica, hai perso la parte di memoria che si colloca in questo anno e quattro mesi.”
Fisso il pavimento, senza sentire più le sue parole, sotto shock.
Ho perso un pezzo della mia vita… quattro mesi. Le lacrime mi riempiono gli occhi.
“Potrò recuperare la memoria?” La mia voce è pateticamente speranzosa.
“E’ probabile, ma non è sicuro. Vedi, la tua memoria è come chiusa in una parte del tuo cervello che per ora è inaccessibile, ma se tu iniziassi a ricordare, potresti guarire del tutto.”
E’ come se i miei ricordi fossero chiusi in un cassetto della mia testa.
Devo riaprirlo. Devo farlo.
Cosa ne è stato di me in questi mesi?
Tutto inizia a girare… sento di aver bisogno di riposo…
Appoggio la testa sul cuscino e mi riaddormento.
Un po’ di pace, finalmente.


“Si è svegliata?” Riconosco subito la voce di mio padre, bassa e profonda, nel dormiveglia.
“Sì, prima. Le abbiamo anche detto del suo problema, ovviamente era sconvolta…” Sta spiegando l’infermiera a papà.
“Papà…” Allungo leggermente una mano verso di lui, e una fitta di dolore, come una scarica elettrica, mi attraversa il corpo istantaneamente.
Lui si gira verso di me e si avvicina subito, poggiando attentamente le sue dita sopra le mie.
“Tesoro, come ti senti?” Il suo aspetto è praticamente identico a quattro mesi fa, per fortuna.
Solo qualche capello bianco in più direi.
“Molto confusa…” biascico, guardandolo negli occhi. Sono contenta di vederlo, è come se almeno un pilastro della mia vita fosse ancora lì, a sostenermi.
“Dov’è la mamma?” Domando, appena mi salta in mente.
“E’ normale che ti senta un po’ scombussolata, piccola, dopo il colpo che abbiamo preso. Fra un po’ vedrai che i traumi guariranno e ti sentirai meglio.” Il suo tono di voce è comprensivo e affettuoso, ma con lo sguardo è lontano, un po’ vacuo. “La mamma arriverà fra poco, aveva un’importante commissione da svolgere per l’ufficio.”
Sembra teso.
“Papà, va tutto bene?”
“A parte il fatto che la mia piccola è in un letto d’ospedale tutta dolorante?” Abbozza un sorriso ironico, “Comunque domani ti porteremo delle foto per vedere se ti ricordi qualcosa.”
“Fantastico” accenno, con rinnovata speranza.
Io e le mie amiche avevamo sempre l’abitudine di scattare tantissime foto insieme.
Sono sicura che mi aiuterà.
Chissà se le mie amiche mi stanno pensando, lo sanno che sono qui? Mi avranno mandato qualche sms?
Dovrei scrivergli.
“Papà, posso avere il cellulare? Vorrei sentire le mie amiche.”
“Tranquilla, piccola. Le abbiamo già avvisate, e hanno detto che preferiscono aspettare che tu ti senta “pronta per le visite”.”
Pronta per le visite? Cosa vuol dire?
Claudia, Lott e io siamo cresciute insieme. Passavamo le domeniche le une a casa delle altre, in pigiama a imbrattarci di marmellata.
Che io sia davvero così orribile? Che abbia la faccia tutta gonfia e tumefatta?
All’improvviso mi assale questo dubbio.
Forse sono così brutta da fare spavento. Ma loro non sono mai state impressionabili. Lott, per lo meno.
“Papà! Posso guardarmi allo specchio?”
L’infermiera mi lancia uno sguardo allarmato.
“Perché vuole vedersi, signorina? Le assicuro che non ha cicatrici né ferite gravi.”
Nel mio cosmo, dire che non ho ferite gravi non vuol dire che non ho ferite truculente sulla faccia.
“Solo… curiosità.” Faccio un gesto con la mano, come se non fosse importante. Invece lo è.
E qualunque cosa vedessi non sarebbe di certo peggiore di quanto non fossi prima.
Titubante, l’infermiera mi porge uno specchio.
Dopo un piccolo “Dai!” interiore di incoraggiamento, lancio un’occhiata alla superficie riflettente. No, aspettate un attimo.
Questa sono IO?
Probabilmente in questo momento sto esibendo un’espressione pesce-lesso-sbalordito-a-bocca-aperta. E’ semplicemente incredibile.
Non sono tanto i due piccoli tagli, uno sul mento e uno sulla fronte, ad attirare la mia sorpresa, ma quello che c’è sotto.
La mia faccia.
No, aspetta. Provo a sorridere.


… Lancio un’occhiata verso l’alto e silenziosamente piango.
“Ehi, lassù, so che ci siete. Adesso lo so.”
Quello che vedo nello specchio mi ha lasciata completamente allibita: i miei capelli crespi color topo sono diventati dei bei ricci ordinati di un biondo più splendente.
Che trattamento ho fatto? Devo aver sicuramente fatto qualcosa.
Inoltre mi guardo la pelle del viso. Sembra davvero liscia, (non oso toccarla per paura delle ferite) e non ho più neanche un brufolo, mentre prima era una lotta continua.
Devo anche essere andata da un’estetista perché le sopracciglia, che prima non avevo mai toccato, sono ordinate e molto più sottili.
Ma la cosa più sconvolgente è la bocca. Prima avevo un apparecchio imbarazzante, ferroso e odiato.
Di quelli con tutte le piastrine colorate. Blu, per la precisione.
E adesso, è sparito. Al suo posto, invece, brillano due file di denti dritti e finalmente liberi. Liberi di sorridere.
Ho sognato così tanto di togliere quel maledetto apparecchio, che mi faceva sempre sputacchiare quando provavo ad assumere un tono sofisticato e usare parole come “croissant” e “critica della ragion pratica”.
Adesso, come per magia, via.
Prendo un colpo in testa e mi risveglio come una principessa nel mondo delle favole.
In fondo, l’amnesia può anche avere i suoi aspetti positivi.
“Papà!” esclamo, notando finalmente lui e l’infermiera che mi guardano dubbiosi.
“Com’è successo? Intendo, questo cambiamento. I capelli… e… aspetta, dove sono gli occhiali?”
Domando, rendendomi conto che non li ho addosso.
“Occhiali? Tesoro, tu non porti gli occhiali.”
Aspetta, io ci vedo.
Vedo tutto. E lo vede anche BENE.
Papà riprende. “Molti mesi fa, quando ti sei ripresa dall’altro incidente hai deciso di cambiare il tuo aspetto. Continuavi a dire che non eri carina, ma tesoro, sai che per me sarai sempre la più bella.” Solite dissertazioni da padre affettuoso e bugiardo.
“Comunque, hai voluto a tutti i costi sottometterti all’operazione laser agli occhi, e la tua vista è guarita. Poi hai tolto l’apparecchio, ricordo com’eri contenta. Ti lavavi i denti almeno 7 volte al giorno! E da lì, sono cominciati tutti gli altri cambiamenti.”
7 volte al giorno? Forse ero già matta prima.
Ma cos’è stato a farmi cambiare così radicalmente?
Mi ero accettata per quello che ero. Una frana, una sfigata, la classica “ragazza tappezzeria” che nessuno nota mai.
Ora, invece, mi risveglio e mi ritrovo di colpo una bella ragazza.
Datemi un pizzicotto. *-*

(Nota dell’autrice: scusate l’emoticon, ma era assolutamente necessaria per farvi capire l’espressione.)

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Capitolo 3
*** La mamma è invecchiata ***


Domani mi dimettono! Evviva.
Non faccio altro che dispensare sorrisi alle infermiere e a chiunque incontri, ma non lo faccio perché ho riacquisito la memoria.
E’ solamente che ho trentadue bei denti di cui ancora non mi rendo ancora conto.
Già, non è molto, ma è una piccola consolazione.
E poi, fra poco, arriverà la mamma a portarmi delle foto da vedere.
Papà è qui con me.
“Tesoro, devo proprio scappare adesso. Ho una riunione fra meno di un’ora. Ci vediamo stasera.”
Mi dà un bacio sulla guancia. “La mamma arriverà fra pochissimo.”
Non sono ancora riuscita a vedere i miei genitori insieme, ed è due giorni che sono qui.
Si danno il cambio, ma senza neanche incontrarsi.
Mentre rifletto su queste stranezze, la voce squillante della mamma improvvisamente irrompe nella stanza.
“Ciao, amore!” Mai che mi chiamino con il mio nome.
“Ciao, mamma. Come va?” Sorriso.
“Benissimo, guarda cosa ti ho portato.” Con fatica solleva una grande borsa di pelle.
Devo dire che è ingrassata parecchio in questo anno-quasi-e-mezzo e sembra fare più fatica nei movimenti.
Bè, in effetti è più vecchia di quasi due anni…
Oddio. Anche io sono più vecchia di quasi due anni. Argh.
Avevo relegato questo pensiero orribile in un angolino della mia mente (possibilmente quello dotato di amnesia) ed è ciò che intendo continuare a fare.
Soprattutto ora che la mamma mi ha portato qualcosa di interessante.
Prendo delicatamente la borsa, e aprendola trovo un pc portatile dall’aspetto nuovissimo.
“Oh, mamma! Ma… è…è stupendo. Grazie!”
Continuo ad ammirare il portatile. Forse dovrei finire in ospedale più spesso.
“Ma, tesoro, quello è già tuo. Te l’avevamo comprato l’anno scorso per il tuo compleanno, non ricordi?”
Non ricordi? Ovvio che non ricordo! Non ricordo un accidenti di niente.
Stupido pick up e stupido conducente, appena esco di qui gli faccio causa.
E se fosse stata colpa nostra? Dovrò chiedere chiarimenti al riguardo.
“Ehm, no.” Bè almeno ho una base da cui partire.
Non tutto è stato cancellato.
Lo accendo, impaziente.
Per fortuna, non avevo impostato la password. Tiro un sospiro di sollievo.
Bè, sperando che non ci sia niente di compromettente.
La mamma mi guarda speranzosa, mentre inizio ad avventurarmi fra i file.
La maggior parte sono programmi pre-installati mai usati.
Poi trovo finalmente diverse cartelle con delle foto.
“09 05 09” Wow, il mio compleanno.
Chissà come ho festeggiato il mio… non dirlo… no. Il mio 17esimo compleanno.
E fra meno di un mese c’è il 18esimo. Che bel regalo, un’amnesia!
Clicco sulla cartella, e si aprono diverse foto.
La mia trasformazione era già avvenuta a quanto pare da queste foto, in cui sfoggio un’acconciatura che non saprei neanche descrivere e un vestitino di raso viola e nero. E quelli sono …. Tacchi?
Io con dei tacchi? Ma se a malapena cambio le ciabatte quando devo uscire!
Impossibile.
“Mamma, io so camminare sui tacchi?” Domando alla mamma, che fa tranquillamente un sudoku.
“Certo, tesoro. Adori i tacchi, praticamente li metti anche mentre dormi.” Accenna una risatina, ma mi accorgo dal suo volto che è teso.
Lei non è capace di nascondere i suoi sentimenti come il papà.
Probabilmente la ferisce che io sia cresciuta così in fretta.
Sfogliando le altre foto, cerco Lott e Cla, e anche le ragazze di karatè, ma non trovo nessuna di loro fra le foto.
Poi in una foto c’è anche Davide.
Il mio cuore ha un tuffo. Lui è lì, un anno più grande, con la testa rasata e l’espressione strafottente.
E’ ingrassato anche lui e… ha una camicia? Non l’ho mai visto con niente di lontanamente simile a una camicia.
Sicuramente stavamo ancora insieme… e adesso…?
Ho troppa paura per chiederlo alla mamma, preferisco aspettare.
Già che fosse al mio compleanno comunque è un buon segno.
Non posso immaginare che cosa possa essere successo fra noi…
Insomma, nei mesi in cui ci frequentavamo non è mai successo niente di che.
Non posso aver… insomma. No. Dovrei assolutamente ricordarlo.
Decido di passare oltre.
Continuo a sfogliare le foto.
“Mamma, ma dove sono Claudia e Lott? Perché non c’erano al mio compleanno, l’anno scorso? E chi sono tutte queste sconosciute?”
A dire il vero, qualcuna che conosco c’è. Ci sono le ragazze più popolari della mia scuola, ma deve essere un caso. Forse c’era la festa di Jessica Stael nello stesso locale, la stessa sera.
Insomma, quelle non mi hanno mai parlato.
Lei si gira e mi guarda come se avessi appena detto di aver sposato Gandhi in Islanda.
“Claudia e Lott? Ma tesoro, non ricordi? Non siete più amiche.”
Il mondo mi cade addosso.
E’ impossibile che Claudia, Lott e io non siamo più amiche. Di questo sono assolutamente sicura, ci deve essere una spiegazione plausibile.
Forse erano malate e non potevano venire, io ero delusa e ho detto alla mamma che non volevo più vederle.
Oppure Lott ha deciso di tingersi di nuovo i capelli di verde e per questo Claudia ha cercato di salvarla cancellando tutte le foto.
O forse le ho messe in una cartella a parte.
Eppure, per quanto cerchi, non trovo nulla su di loro.
No. No. No. No.
So che c’è una spiegazione. La mamma non ha capito.
Eppure in questo momento non la trovo, e le lacrime cominciano a scorrere.
Non ci posso credere. Devo uscire da questo maledetto ospedale e chiarire le cose.


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