La Luce al tramonto di MaxT (/viewuser.php?uid=14238)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come in una favola ***
Capitolo 2: *** Il ruolo del principe ***
Capitolo 3: *** Tre mesi, tre anni ***
Capitolo 4: *** Il giardino di Phobos ***
Capitolo 5: *** La villa sul promontorio ***
Capitolo 6: *** Il miraggio del trionfo ***
Capitolo 7: *** Presagio di sangue ***
Capitolo 8: *** L'esilio del saggio ***
Capitolo 9: *** Doppio inganno ***
Capitolo 10: *** Rivolta ***
Capitolo 11: *** Inchiesta ***
Capitolo 12: *** Solo ventiquattr'ore ***
Capitolo 13: *** Le Guardiane di Kandrakar ***
Capitolo 14: *** Dimenticato in un altro mondo ***
Capitolo 15: *** Salto nel passato ***
Capitolo 16: *** Il sigillo della sfida ***
Capitolo 17: *** La Settima Luce ***
Capitolo 18: *** Il sangue non mente ***
Capitolo 19: *** Fuga nel tempo ***
Capitolo 20: *** Lettera a Elyon ***
Capitolo 21: *** Meridian addio ***
Capitolo 22: *** Oltre la muraglia ***
Capitolo 23: *** La primavera che verrà ***
Capitolo 1 *** Come in una favola ***
1-come in una favola
La Luce al tramonto è un prequel
della saga di W.I.T.C.H., il noto fumetto della Disney.
Ho cercato di sfruttare e cucire al meglio i pochi
indizi sul passato dati da questa pubblicazione per ricostruire una trama
coerente con essa.
La Luce di cui si parla è la madre di Elyon:
la regina Adariel, sesta Luce di Meridian, sta spegnendosi lentamente con
la consapevolezza che il suo mondo sta scivolando verso l’inverno della
tirannia, ma cerca caparbiamente di dargli una speranza di rinascita.
Gli avvenimenti narrati nel seguito precedono di sedici
anni terrestri (undici anni del Metamondo) l’inizio della storia raccontata
a partire dal n.1 del fumetto.
Questa fiction proietta i lettori nella Meridian dell’anno
1984, prima della nascita delle note streghette, e nei difficili rapporti
con la congrega di Kandrakar per il passaggio sulla Terra.
Ho cercato di ricostruire una mentalità pragmatica
ma credibile per una città in cui magia e percezioni extrasensoriali
giocano un ruolo importante, governata da una monarchia sulla base di poteri
paranormali trasmissibili solo per via matrilineare; inoltre mi sono divertito
non poco ad immaginare le loro impressioni sul nostro mondo.
Ho ripreso nomi di persone e luoghi dalla pubblicazione
Disney senza scopo di lucro né l’intenzione di infrangere il loro
copyright.
Tra i protagonisti, troverete personaggi che nel fumetto
figurano solo come comprimari, antagonisti o comparse, tra i quali :
• il principe Phobos, di cui ho cercato di descrivere
la regressione da personaggio quasi positivo fino al ruolo finale di antagonista
tirannico;
• Cedric, comandante dei Servizi Segreti di Meridian,
del quale ho cercato di ricostruire il passato;
• Adariel (è un nome da me inventato, nel fumetto
non viene mai rivelato), la sesta Luce di Meridian, tormentata dalle sue
stesse profezie, che sta spegnendosi lentamente;
• Galgheita, la sua guaritrice di fiducia, scelta
per fuggire sulla Terra con Elyon;
• Miriadel, agente segreto, scelta per essere la madre
adottiva di Elyon sulla Terra;
• Alborn, comandante della Guardia di Palazzo, scelto
per essere il padre adottivo;
• Elyon, predestinata Settima Luce di Meridian, qui
nei panni di un fagottino piagnucolante;
• Jonatludr, destinato a diventare Jonathan Ludmoore,
il malvagio mago antagonista nella quinta serie di Witch;
• Eliasdal, pittore di corte, quell’Elias Van Dahl
che si ritroverà prigioniero del quadro in Witch n.5;
• Vathek, ufficiale dell’esercito diventato un fedele
seguace di Cedric;
• Frost, il feroce ufficiale che cavalca un rinoceronte;
• Daltar, il giardiniere, e la sua famiglia;
• Yan Lin, l’ultima guardiana rimasta fedele a Kandrakar,
con i suoi ricordi della rinnegata Nerissa e del vecchio gruppo;
• L’Oracolo, Endarno, Luba e altri personaggi della
Congrega di Kandrakar;
• Caleb, quando era ancora il primo Mormorante;
• Dean Collins, il futuro professore di Elyon e delle
W.I.T.C.H., ancora laureando ad Heatherfield, che fa da spalla ad Adariel
nel primo capitolo per presentare la storia.
Ed è con lui che vi lascio, augurandovi buona
lettura.
Un grazie di cuore a Silen, ad Atlantis Lux, a Melisanna
e a Rowena per la rilettura ed i loro consigli.
MaxT
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Cap.1
Come in una favola
La sua sciarpa scozzese sventola al freddo vento di febbraio.
Trattenendo con la mano il bavero del cappotto, il giovane Dean costeggia
la palazzina di mattoni, fermandosi davanti alla piccola libreria.
Socchiudendo gli occhi per proteggerli dalle folate,
li alza verso l’insegna dipinta di verde: ‘Ye Olde Bookshop’.
Osserva la vetrina, contornata da infissi di legno in
stile novecento, ed i volumi perlopiù antiquati ed ingialliti che
vi sono esposti.
‘Qui potrebbe esserci qualche cosa di utile per la mia
tesi’, pensa, sfregandosi il mento prominente e il labbro ancora glabro.
Spinge la porta per entrare. “Buongiorno”, si annuncia
sorridendo con cortesia. Finalmente un po’ di tepore, assieme ad un vago
aroma di stufetta a kerosene.
All’interno, vicino alla cassa, c’è un giovanotto
alto e magro, dai lunghi capelli biondi tirati e raccolti in una coda.
I suoi occhi di ghiaccio lo squadrano da sopra gli occhialini da presbite.
“Buongiorno. In cosa posso servirla?”.
Dean si avvicina, facendo scricchiolare il pavimento
di legno sotto i suoi passi. “Vorrei sapere se avete qualche vecchio documento
sul passato di Heatherfield. Libri, giornali, stampe… qualunque cosa che
possa risultare utile per una tesi di laurea su questa città”.
“Dipende da cosa lei considera utile”, risponde il libraio
con freddezza, cercando di focalizzare i ricordi. “Comunque, provi sulla
seconda scansia in alto”. Indica con un cenno del capo le file di scaffali
stipati di pubblicazioni datate.
“Grazie”. Voltandosi, Dean scorge un tavolino di legno
scuro con due sedie alte; una giovane donna dai capelli castani raccolti
sulla nuca siede davanti ad una piccola pila di riviste e di fascicoli
fotocopiati. Per un attimo, quando i loro sguardi si incrociano,
lei trasale, come se lo avesse riconosciuto. Poi abbassa gli occhi, riprendendo
a scorrere una rivista.
Dean si porta dietro alla scansia. Mentre si alza in
punta dei piedi per scorrere i titoli di alcune pubblicazioni, continua
a ripensare a quello sguardo. Aveva già incontrato quella ragazza,
o ha semplicemente fatto colpo? Non gli capita poi così spesso…
Attraverso gli interstizi tra i ripiani, sbircia la donna
e il libraio che si avvicina al tavolino.
“Avete trovato qualcosa di utile?” le chiede l’uomo con
tono quasi deferente.
Lei scuote la testa. “Finora no, mio buon Cedric”. La
voce è stanca, delusa, e lascia trasparire un indefinibile accento
straniero. Un’altra caratteristica curiosa sono le due sottili trecce ritorte,
lunghe e come appuntite, che le scendono ai lati del viso.
Il libraio alza gli occhi sospettosi, incrociando quelli
di Dean attraverso l’interstizio. Vergognoso, lo studente abbassa lo sguardo,
immergendosi nella lettura dei titoli sulle costole.
Dopo un po’di ricerche disordinate, conclude che questa
libreria è una miniera di curiosità e libri fuori circolazione,
ma al momento non ha ancora trovato niente su Heatherfield che non si trovi
anche nell’archivio comunale.
Esaminati i libri del ripiano, si porta sull’altro lato
dello scaffale e cerca di dedicarsi ai volumi, ma sempre più spesso
lo sguardo gli scivola verso quella donna dal lungo vestito verde scuro.
Non ci mette molto ad accorgersi che anche lei, a momenti, lo sbircia,
poi lo guarda apertamente, per nulla intimidita.
Mentre Dean cerca di nascondersi dietro un volume aperto,
sente la voce della signorina: “Buon giorno”.
Alza gli occhi, stupito. Lei lo sta guardando. Sì,
ha salutato proprio lui.
“Buongiorno” risponde un po’ emozionato, “Ci conosciamo?”.
Lei fa un gesto vago. “Ho avuto un’impressione di già
visto, guardandola”.
“Forse all’Ateneo?”. Le porge la mano, sfoggiando il
suo sorriso migliore. “Mi chiamo Dean Collins. Sono uno studente di storia
moderna, qui all’Università di Heatherfield. Vuoi chiamarmi Dean?”.
Lei annuisce. “Certo, Dean. Comunque io sono passata
diverse volte da quelle parti, ma mai alla facoltà di Storia”.
Lui la osserva, sforzandosi di non fissarla con troppa
insistenza. La ragazza ha uno sguardo dolce e cortese, che però
è velato di stanchezza o forse di tristezza, come la sua voce.
“Io mi chiamo Adariel. Adariel Escanor”. Fa un gesto
grazioso verso la seconda sedia. “Se vuoi accomodarti…”.
Il viso del libraio ha un guizzo inatteso. Continua a
riordinare dei volumi sul banco, ma la tensione traspare dai muscoli del
collo.
“Bel nome. Molto insolito”. Dean si siede, sbirciando
i titoli di alcune pubblicazioni sparse sul tavolo: ‘Journal
of cell biology, nov.1983’. ‘Catabolismo cellulare e danni ossidativi’.
“Anche tu sei una laureanda? In… in medicina? Biologia?”.
“Non proprio” risponde lei, “Sto facendo una mia ricerca
sui meccanismi dell’invecchiamento, con l’aiuto di Cedric”. Gli mostra
alcune delle testate che sta leggendo. “Ma a tutt’oggi…”, sbircia la data
da una copertina, “… febbraio 1984, la scienza terrestre non è arrivata
abbastanza avanti. Ci sono teorie sull’esaurimento dei telomeri dei cromosomi
del nucleo cellulare, sul cumularsi di errori di replicazione del DNA,
sui danni ossidativi ai mitocondri dovuti ai radicali liberi… ma sono solo
teorie. Fondamentalmente, per la scienza attuale, non è neppure
chiaro se l’invecchiamento è predeterminato dai geni, come una bomba
a orologeria nascosta nelle cellule, o è invece un accumularsi di
danni evitabili”.
Lui annuisce cortesemente, cercando di nascondere il
suo disorientamento: l’argomento è uno tra quelli che lo vedono
meno ferrato. “Questa tua ricerca è per una tesi di laurea?”, chiede.
Adariel nicchia. “Ho passato da molto l’età in
cui la gente si laurea”, sospira.
Dean sa che, quando le donne si lamentano della loro
età, si aspettano sempre che un uomo le contraddica per rassicurarle.
“Non si direbbe”.
L’altra gli sorride enigmatica. “Quanti anni mi daresti?”.
Domanda delicatissima. Invecchiare una donna anche di
un solo anno può avere conseguenze fatali per qualunque tentativo
di approccio. “Credo… sui venti…cinque?”.
“Sali, Sali” risponde lei, “E di un bel po’”.
“Ventotto…”, la vede nicchiare, “…trenta?”.
“Quasi” risponde lei con un sorrisino indefinibile, “Adesso
ti basta aggiungere uno zero”.
Lui aggrotta le sopracciglia: “Non credo di aver afferrato
bene”. Butta un’occhiata verso il libraio, che sta ricontando gli stessi
libri di prima con movimenti secchi e un’espressione che lascia quasi trasparire
collera. Che sia geloso?
“Quasi trecento” risponde lei increspando un angolo della
bocca in un sorrisino amaro. “E per di più, nel luogo da cui vengo,
un anno dura più che sulla Terra, circa diciotto mesi. Quindi, fai
pure conto che siano quattrocentocinquanta anni”.
“Ben portati” risponde incerto Dean. Non gli sembra gran
che divertente come scherzo, ma tanto vale starci. “Allora saprai raccontarmi
qualcosa della nascita di Heatherfield”.
Lei si stringe nelle spalle. “Touchè. Sono passata
di qui troppo occasionalmente, e il mio principale interesse non era la
città”.
“E cos’era?”.
“Libri, soprattutto. Ma questa volta non mi aiutano più”.
Sul suo viso torna a dipingersi un’espressione infelice.
Dean non sa come interpretare questa strana alternanza
di facezie e tristezza. Forse questa ragazza ha bisogno di qualche aiuto
qualificato. Nel frattempo, la cosa migliore sembra stare allo scherzo.
“Immagino che cerchi qualche elisir di eterna giovinezza”.
Lei lo guarda quasi sorpresa. “In un certo senso è
vero… Dean. Ma l’aspetto è facile da controllare, perché
si può visualizzare. Anche i sintomi delle malattie, bene o male,
si riescono a controllare, perché uno ha un’idea chiara del benessere
che si desidera”. Si accalora. “Perfino un tumore si può tenere
sotto controllo con la visualizzazione, se si ha una conoscenza anatomica
che permette di distinguere tra come sono i tessuti del corpo, e come dovrebbero
essere”. Sempre più convinta, continua: “Il limite è la capacità
di visualizzare”.
D’improvviso, l’espressione ritorna triste. “E, al momento
attuale, io non ho né le conoscenze scientifiche, né i modelli
visivi che mi consentirebbero di operare cambiamenti all’interno delle
cellule del corpo, sui veri meccanismi dell’invecchiamento”.
“Modelli visivi? Cosa intendi?”.
“Intendo modi di immaginare. Supponiamo anche che io
possa diventare esperta in biologia molecolare, e concettualizzare le reazioni
che voglio. Ora, come faccio ad rappresentarmi una molecola? Spesso, nelle
riviste, gli atomi sono disegnati come palline colorate, ma in realtà
non sono affatto così. Ho già provato: questa visualizzazione
è inefficace a catalizzare alcuna reazione chimica”.
Mentre la ragazza parla, Dean deve sforzarsi sempre più
per mantenere un’espressione cortese: non solo le cose che lei dice sono
evidentemente senza senso, ma, quel che è peggio, si intuisce che
lei è ben convinta di ciò che racconta.
“Davvero?” chiede esitante.
Lei lo studia un attimo. “Dean, tu mi credi una pazza
furiosa!”.
“Ma no!” protesta lui senza convinzione. “E’ solo che…
che sono un po’ sorpreso, ecco!”. Cerca di cambiare argomento: “Il tuo
accento non è di qui, vero? Posso sapere da dove vieni?”.
Un luccichio divertito si intravede negli occhi stanchi.
“Io vengo da una città chiamata Meridian, in un luogo che alcuni
definirebbero Metamondo”.
Dean la guarda interdetto. ‘E’ matta?’ si chiede. Butta
un’occhiata di sfuggita sul giovane libraio: l’uomo sfoglia impassibile
un registro, ma la sua finta indifferenza è sempre tradita dalla
tensione dei muscoli del collo.
Il fischio sommesso del vento e i rumori del traffico
filtrano attraverso i vecchi infissi.
Le risponde dopo una lunga pausa di silenzio imbarazzato.
“…Davvero?”.
Lei lo osserva a lungo con una espressione vagamente
divertita. “No, naturalmente. E’ solo il soggetto di un racconto
che sto scrivendo”.
“Ah, un racconto!”. Dean si rilassa: forse la signorina
non è del tutto fuori dal mondo, ma solo un po’ eccentrica. “A me
piacciono i racconti”.
Gli fa uno dei suoi sorrisi indefinibili. “La mia protagonista
è una regina, potente e amata, discendente di una stirpe di maghe
dai poteri psichici quasi divini. E’ chiamata la ‘Luce di Meridian’ ”.
“So che questo genere comincia ad andare di moda”, concede
lui, “Potresti anche avere successo”.
Adariel continua: “Lei può prolungare la sua vita
e la sua giovinezza modificando sé stessa, ma c’è un limite:
non può realizzare ciò che non riesce ad immaginare. Alla
fine, gli interventi che lei o i suoi guaritori possono effettuare risultano
solo lenitivi. Dapprima durano anni, poi mesi, poi giorni, poi solo poche
ore, perché dentro tutte le cellule del suo corpo si è rotto
qualcosa che lei non capisce, e sente la morte che le alita sul collo.
Ma, prima di lei, è suo marito a cedere, e lei fa di tutto per prolungargli
la vita”. Il velo di tristezza torna, pesante, sul suo viso. “Mi dispiace,
Dean Collins. Mi ha fatto piacere parlare con te, ma mi trovi in un momento
infelice. Ho ancora un paio di articoli da scorrere, ma ormai sono quasi
rassegnata”. Lo fissa intensamente negli occhi. “Ora devi andare, Dean.
Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile per la tua tesi
di laurea”.
Lui rimane un attimo catturato, poi ripete: “Ora devo
andare, Adariel. Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile
per la mia tesi di laurea”. Si alza dalla sedia. “Ci rivedremo?”.
Lei scuote il viso. “Mi piacerebbe, ma temo di no. Ho
la sensazione che questa sarà l’ultima volta che verrò ad
Heatherfield”.
“Peccato”.
Lei conviene. “Non sai quanto mi dispiaccia. Io ho amato
molto questo luogo”.
“Ah… un’ultima cosa. Come finirà la tua storia?”.
Lei esita un attimo. “Non è ancora scritta. Credo
che la regina dovrà rassegnarsi: non si può fermare l’inverno,
ma si può sempre seminare per la primavera”. Lo congeda con un cenno
della mano. “Addio, Dean Collins”.
Lo studente, riluttante, si dirige verso la porta, salutando
con un gelido “Buon giorno” l’antipatico libraio.
Esce, pensieroso, sulla strada sferzata dal vento invernale,
e si abbottona il cappotto svolazzante. Quella ragazza era stranissima,
come se vivesse in una favola. Non è riuscito a capire quando parlasse
sul serio, e quando scherzasse.
Quando il sole basso lo illumina, vede il suo riflesso
in una vetrina. Perché le donne non lo prendono più sul serio?
Forse dovrebbe lasciarsi crescere i baffi...
Dentro al negozio, il libraio si avvicina alla donna,
che scorre rapidamente gli ultimi due articoli e richiude i fascicoli,
scuotendo rassegnata la testa. Poi lo guarda come se lo radiografasse.
Lui sceglie di parlarle chiaro: comunque indori il suo
rimprovero, sa che l’altra può sempre leggere ciò che sta
pensando davvero.
“Altezza, noi abbiamo sempre fatto di tutto per mantenere
segrete le nostre attività sulla Terra. Perché siete stata
così esplicita con quello studente?”.
Lei scuote il viso. “Non preoccuparti, Cedric. Non ha
creduto una sola parola su Meridian. Ha solo pensato che io viva nella
fantasia”.
“Per adesso non ci ha creduto. Ma cosa succederebbe se
notasse ancora qualcosa di strano, di inspiegabile? Ora avrebbe le chiavi
per interpretarlo!”.
Lei annuisce, riluttante. “Però, quando lo ho
visto, ho avuto una di quelle mie sensazioni, una premonizione. Prima o
poi quel ragazzo avrà a che fare con una persona che mi sarà
molto cara”.
“Altezza, con tutto il rispetto, sono sempre dell’idea
che dovremmo rintracciarlo e cancellargli il ricordo di questo colloquio”.
Abbassa il viso, rassegnata. “Temo che tu abbia ragione,
Cedric”.
“Allora, provvedo?”.
Lei annuisce, rattristata, mentre riordina i fascicoli
sul tavolo e richiude il notes ancora intonso. “Sai… è difficile
rallegrarsi che qualcuno mi dimentichi, sapendo che tra un po’ di tempo
non ci sarò più”.
“Ma Altezza!” esclama Cedric sorpreso, “Voi siete la
sesta Luce di Meridian! Tutta la città vi adorerà per sempre,
quando sarete salita a prendere il vostro posto tra gli Dei. Che bisogno
avete di essere ricordata per poche settimane da un misero terrestre che
non sa neanche leggere i pensieri?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Mi piacciono questi incontri
occasionali con loro: sono i soli che mi trattano spontaneamente come una
loro pari”.
Il libraio storce il viso. “Questi terrestri sono troppo
limitati perfino nel capire la loro stessa inferiorità”. Si accorge
che la sua battuta non è piaciuta alla regina. “E poi, a Vostra
Altezza piace stupire”, conclude più indulgente.
Lei annuisce. “Proprio così. Parlare con quel
Dean sarebbe stato divertente, se il momento non fosse così tragico.
Cedric, lo avevo capito da tempo, ma non volevo rassegnarmi: la scienza
della Terra non può aiutarci a salvare Adleric”. Guarda l’orologio
sul muro. “Oh, quanto tempo ho sprecato! Dovrei essere con lui, ora!”.
“Andate pure, Luce. Penserò io a tutto”. Le apre
la porta del seminterrato. “Da questa parte, lontano da occhi indiscreti”.
“Grazie”. Scende le scale verso la penombra dello scantinato,
le cui finestrelle sono coperte da pesanti tendaggi, ed apre il palmo della
mano, in cui compare un medaglione romboidale di metallo smaltato.
Capta il pensiero di Cedric: è rammaricato che
la Luce di Meridian, la più grande maga del metamondo, sia così
indebolita da dover usare il sigillo anche per un semplice teletrasporto.
Gli sorride: “Caro amico, non esiste giornata senza tramonto”.
Mentre solleva il sigillo tra indice e pollice, la sua
figura tremola brevemente, avvolta da un baluginio, per poi dissolversi
nel nulla.
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Capitolo 2 *** Il ruolo del principe ***
2- il ruolo del principe
Eccoci alla seconda puntata!
Ringrazio tre amiche per la rilettura, i consigli e le recensioni:
Cara Silen, sì, la Luce ha visto la luce, ma, poverina,
era già al tramonto! Vedi che come battute scrause ci so fare anch'io?
A parte questo, sono felicissimo di aver potuto contare sul tuo aiuto e
sul tuo continuo incoraggiamento fin quasi dalla nascita dell'opera, e
prendo molto sul serio la tua promessa.
Spero tanto che il racconto possa risultare interessante per chi
ha apprezzato il fumetto anche se narra avvenimenti accaduti prima della
nascita delle protagoniste.
Cara Rowena, ti devo ringraziare anche perchè ho buttato
giù il soggetto dettagliato di questa storia subito dopo aver avuto
uno scambio epistolare con te a proposito di Orube e di Kandrakar, circa
un anno fa; ho sempre apprezzato la tua conoscenza approfondita del fandom,
che mi ha ispirato più volte. Invero la mia primissima idea di Adariel
e del suo background è nata quattro anni fa con 'Lettera a Elyon',
scritta di getto assieme ai primissimi abbozzi di Profezie, e rimasta per
anni nel cassetto; così la ho adattata e inserita nei capitoli finali
della presente fiction.
Disegnare Dean Collins senza baffi? Quasi quasi... però adattando
photoshoppescamente qualche disegno Disney. Una galleria dei personaggi
non ci starebbe male, però il lavoro sui disegni mi sta già
provocando ritardi a Profezie, non riesco a sostenere graficamente entrambe
le fiction.
Cara Atlantis Lux, sono felicissimo di poterti annoverare
tra le lettrici (chissè se c'è anche qualche lettore, a parte
me stesso?) e rilettrici della Luce. Mi fa piacere che ti sia piaciuta
Adariel, personaggio che a mio modo di vedere ricorda molto la Elyon di
Profezie, sostituendo però certi atteggiamenti da ragazzina immatura
con altri da persona senza età. Il modo diverso in cui il tempo
passa per un personaggio in grado di prolungare la sua vita impone delle
riflessioni sul suo modo di rapportarsi con persone che vede invecchiare,
morire ed essere, per quanto è possibile, rimpiazzate da altre.
Tu, come autrice, ti sei trovata a affrontare tematiche simili in Eden
imperfetto, un'opera che spero di veder terminata presto.
Buona lettura
MaxT |
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Cap.2
Il ruolo del principe
“Forse è un errore di noi Escanor, ritenerci
indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo
giorno, anche senza di noi”.
Il Principe Consorte, Adleric Escanor
Meridian, palazzo reale, sala del trono.
Attraverso le grandi vetrate, la luce del pomeriggio riverbera
sulle volte azzurrine e sugli arabeschi dorati del salone.
Le due guardie dalla pelle salvia ai lati del portone
a sesto acuto socchiudono gli occhi e drizzano le orecchie appuntite, distinguendo
un vago baluginio sull’ampia pedana del trono. La loro sovrana sta per
apparire.
Appena materializzatasi, Adariel risponde con un cenno
e un sorriso fuggevole al saluto marziale dei due soldati. Pensierosa,
si fa sparire nel palmo il sigillo di teletrasporto, che le ricorda crudelmente
quanto i suoi poteri si siano ridotti negli ultimi anni. Quindi, con un
secondo alone opalescente, i suoi abiti terrestri mutano in qualcosa di
più adatto al suo rango reale.
Attorno al suo capo è apparsa dal niente anche
la Corona di Luce: argentea, dalle linee sobrie, con una grande ametista
ovale sul frontale. Non è solo un simbolo esteriore della sua regalità;
dai tempi del mitico capostipite Escanor, questo gioiello ha conferito
alle regine di Meridian quel di più di poteri parapsichici che le
hanno distinte dalle altre principesse della loro stirpe divina, impedendo
che l’energia creata dal loro stesso metabolismo si disperdesse quando
non utilizzata per operare prodigi. Purtroppo, ora Adariel ne ha ben poca
da conservare: in pieno declino, dipende per sopravvivere dalla magia che
la sua città può donarle.
Peggio ancora, ora lei è l’ultima donna a fregiarsi
di quel cognome.
Riflette tristemente: con che parole potrà riferire
al suo sposo Adleric che neppure questo tentativo ha avuto successo?
Pensierosa, si porta all’ampia finestratura a sinistra;
obbedendo alla sua volontà, due alti battenti vetrati scorrono sulle
loro guide, lasciando esposto un balcone dagli ornamenti barocchi.
Si appoggia alla balaustra. Centotrenta metri sotto,
ai piedi della scarpata, si stende Meridian, la sua capitale, incassata
in un ampio vallone alle pendici di un altopiano boscoso. Il sole pomeridiano
illumina i tetti d’ardesia e le viette contorte e inerpicate. In distanza,
la città digrada verso una pianura verde che si perde in una leggera
foschia all’orizzonte.
“Vostra Altezza!”. La voce allarmata del comandante della
Guardia di Palazzo la richiama.
L’ufficiale dalla pelle verde salvia viene verso di lei
attraverso i sottili colonnati della grande sala.
Adariel si volta inquieta, vedendolo mentre saluta percuotendosi
il petto. “Comandante Alborn…”, gli risponde in meridiano.
“Altezza, mentre eravate via, il principe consorte Adleric
ha avuto un malore”.
“Cosa?” grida d’angoscia lei, portandosi le mani al viso.
“Avevo appena mandato il capitano Miriadel a cercarvi
a Heatherfield, credevamo…”.
La regina non lo ascolta più. Estratto nuovamente
il sigillo per il teletrasporto, svanisce in un tremolio.
Un attimo dopo riappare nella loro sontuosa camera da
letto nella torre nordest del palazzo.
Lidrienel, la sua ancella dalla pelle azzurrina, si arresta
sorpresa solo un attimo prima di venirle addosso. “Altezza!”.
Accanto al letto, chino, c’è un essere che all’apparenza
non ha niente d’umano: il grosso corpo, a striature verdi e terracotta,
termina con una tozza coda che esce dalla veste e che lo fa sembrare un
dinosauro obeso dal muso piatto. E’ Galgheita, la guaritrice di fiducia.
Lo sguardo di Adariel non si sofferma su di lei: cerca
subito il suo sposo, e lo vede disteso sul letto. “Adleric, come stai?”.
Si precipita accanto a lui prendendogli una mano tra le sue. Rabbrividisce
sentendo quanto è fredda e umida, quasi appiccicosa. “Adleric, rispondimi,
ti prego!”.
L’uomo, disteso sul lettone, apre gli occhi a fatica,
mostrando le iridi del colore delle nuvole. Il volto, lungo e liscio, sembra
quello di un giovane malato di vecchiaia. “Adariel… temo che sia arrivato
il momento”.
Lei gli stringe le mani, il viso distorto dal dolore.
“Amore, non dire così… Galgheita, fa qualcosa!”.
In risposta a quell’ordine disperato, la guaritrice allunga
la sua grossa mano e la appoggia delicatamente sulla fronte del principe
consorte, scostando le lunghe ciocche di capelli biondo cenere. Ma non
cambia niente.
“Galgheita ha già fatto tanto” risponde lui bisbigliando,
quasi inudibile. “Ora l’unica cosa sensata è rassegnarsi, gattina
mia. Niente vive per sempre. La nostra magia ha ritardato questo momento,
ma sapevamo che sarebbe arrivato. Ho vissuto duecentosessantatre anni;
non è neanche lecito chiedere di più”.
Adariel stringe le palpebre, piangendo. “Ho fallito,
Adleric. Non ho trovato niente di ciò che speravo”.
Lui annuisce debolmente. “Non incolparti. Guardiamo in
faccia la realtà: siamo fragili, esauriti. Non siamo in grado di
dare più niente al nostro popolo. Se anche fosse possibile allungare
quest’agonia, ciò costerebbe alla città un’enorme quantità
d’energia. Non possiamo più chiedere tanto”. Volge il viso verso
la finestra. “E’ giusto rassegnarsi: non c’è giorno senza tramonto”.
“Taci, Adleric! Non parlare così” singhiozza la
regina, riconoscendo una frase sua. “Il nostro compito qui non è
finito!”. Gli stringe al petto le mani sempre più gelide, come cercando
di scaldarle.
Lui continua: “Ho un solo, enorme rimpianto: nessuna,
tra le nostre figlie, è sopravvissuta. Le unioni tra consanguinei
ci hanno portato a questo… cugina mia. Non siamo riusciti a dare una nuova
regina a Meridian. Ma forse è un errore di noi Escanor, ritenerci
indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo
giorno, anche senza di noi”.
Adariel comincia a singhiozzare. “Non parlare così,
ti prego! Mi sento così in colpa! So che avrei dovuto continuare
a tentare, e poi ancora a tentare… ma non ho più avuto il coraggio,
dopo averne viste morire cinque nella culla!”.
“Gattina mia… non piangere. Pensa a quanto è stata
eccezionale… la nostra vita… io mi ricordo i momenti migliori…”.
Lei tira su di naso, accettando un fazzoletto che le
porge l’ancella. “Adleric… per una cosa sono stata tanto fortunata. Il
nostro è stato un matrimonio dinastico, una scelta obbligata. Avrebbe
potuto essere una prigione, e invece sono stata tanto felice di te.
Dopo duecentoquaranta anni assieme, ora ti amo ancora più del primo
giorno”. Si distende sul letto accanto a lui, senza mollargli le mani.
“Ti ricordi al matrimonio, che bagno di folla? Li sentivo. Li sentivo tutti,
i loro pensieri, i loro cuori, la loro gioia! Questa città ci ha
amato… è stato il premio per la nostra dedizione, per…”.
Si interrompe. Non sente più la debole stretta
delle sue mani. “Adleric? ADLERIC!?!”.
Le basta un’occhiata per vedere la vita che lascia il
corpo. Per un attimo ha la sensazione che, eretta sopra di lui, un’eterea
figura umana la guardi, s’inginocchi per sfiorarle il viso, e poi si dissolva
per sempre.
“Adleric…”. Lo sguardo della regina resta fisso nel vuoto,
dove ha visto sparire lo spirito.
Galgheita ritira la mano dalla fronte dell’uomo e si
raccoglie come in preghiera, mentre l’ancella Lidrienel si copre il viso
con le mani, sconvolta, e scoppia a singhiozzare.
Sulla porta, immobile e pallido come una statua, c’è
il comandante Alborn. Da quanto tempo è lì?
Adariel resta accovacciata sul grande letto, appoggiandosi
ad un braccio, come incredula.
Galgheita, intuendo la sua debolezza, le si avvicina,
imponendole le mani sulla testa.
Un leggero alone luminoso percorre lentamente il corpo
della regina, dal capo ai piedi.
Dopo qualche secondo, ripreso il colore, esala: “Addio,
Adleric”.
Per contro Galgheita, senza più forze, si appoggia
al letto. I suoi piccoli occhi dall’iride rosso scuro sembrano lottare
per restare aperti. “Altezza… scusate, devo proprio andare a bagnarmi nell’acqua
magica”.
Alborn si fa avanti e le offre un braccio. “Appoggiatevi
a me, Maestra. Vi faccio accompagnare alla fonte”. Detto questo,
la conduce fuori della stanza.
Un leggero baluginio appare al centro della camera, accompagnato
da una tenue nota bassa, e prende forma il principe Phobos. Alto quasi
due metri, bello e maestoso con i suoi lunghi capelli biondi e la barbetta
scolpita e colorata con cura, Phobos assomiglia molto a suo padre Adleric;
come lui, dimostra un’età apparente sui venticinque anni grazie
al controllo che esercita sul suo fisico, ma in realtà il giovane
ne ha una cinquantina.
Si avvicina al letto. Non servono spiegazioni. “Padre…”.
Tace a lungo, assorto e compunto. A differenza di sua madre, dentro di
sé era già preparato da tempo a quest’epilogo.
Poi nota Adariel, affranta sul letto, e le si avvicina.
“Madre, devi essere forte. Alzati!”. Le prende una mano, traendola piano
a sé.
La regina si rimette in piedi, come inebetita, e si stringe
al petto del figlio. “Oh, Phobos...”.
Il principe le passa un braccio attorno alle spalle,
condividendo il momento di commozione, e scandisce solenne il suo addio:
“Padre, sei stato un Re giusto e onorato. Il popolo del Metamondo ti ricorderà
per i secoli a venire, e si chinerà al tuo nome e alla tua discendenza.
Ti prometto che ricalcherò le tue orme gloriose, e perpetuerò
la nostra dinastia”.
Mentre tre ancelle entrano, si genuflettono davanti al
corpo e cominciano a prepararlo per i riti funebri, le parole di Phobos
si fanno strada lentamente nella mente annebbiata di Adariel. ‘Re glorioso…
si chineranno… ricalcherò le tue orme…’. E’ impossibile non capire
le sue intenzioni. Non dovrebbe neanche sorprendersi, le immaginava già,
ma annunciarle proprio in quel momento…
Si sforza di articolare: “Figlio mio… devo dirti una
cosa importante. Non esporti con dichiarazioni pubbliche sulla successione,
prima di averne discusso assieme”.
Per un attimo, Phobos aggrotta lo sguardo. “Parliamone
adesso, allora”, risponde con tono calmo, ma non serve leggere il pensiero
per percepirne la tensione.
“Non ora, caro. Non qui. Tuo padre ci ha appena lasciato,
e…”.
“E quindi è necessario annunciare qualcosa alla
città al più presto”. Le fa un sorriso teso, mostrandole
tutti i denti, mentre il braccio che le tiene attorno alle spalle s’irrigidisce
come un giogo.
I due svaniscono dalla vista addolorata dei presenti.
Un istante dopo, attorno a loro prende forma il salone:
sono sulla pedana, proprio davanti al Trono di Luce. Un’occhiata dell’uomo
è sufficiente: le due guardie escono, chiudendosi dietro i grandi
battenti dagli eleganti arabeschi di bronzo dorato.
Adariel si copre il viso sconvolto con una mano. “Figlio,
ti prego! Non discutiamone proprio ora!”.
“Invece sì!” comanda lui, sovrastandola di tutta
la testa e il collo. “Dimmi ciò che devi dirmi, o taci per sempre!”.
Adariel lo osserva e capisce: dietro lo sguardo imperioso
che lui le punta addosso non c’è solo l’impazienza; Phobos ha deliberatamente
deciso di affrontarla in questo momento di debolezza. Anche lei dovrà
chiamare a sé tutta la sua volontà, perché la questione
è troppo importante.
“Figlio mio amato… sai che non vorrei mai deluderti,
ma devo ricordarti la legge: la successione al trono avviene solo per via
femminile. Tuo padre non si è mai definito Re, ma Principe Consorte”.
Lui si rabbuia. “Mio padre ha coperto incarichi importantissimi,
e negli ultimi decenni, col declino della sua salute, li ha passati tutti
a me. E anche tu hai fatto così”.
Lei prende fiato, torcendosi le mani. “Te ne rendo merito,
Phobos. Se non ci fossi stato tu, non so come avremmo fatto. Però
il posto più importante di tuo padre era accanto a me, nella mia
vita e nel mio letto. Non è questo che vuoi, vero?”.
Con un lampo di sdegno negli occhi, lui fa un passo indietro.
“No di certo!”. Poi la sua voce torna rammaricata, di circostanza: “Ma,
purtroppo, la sfortuna si è accanita sul vostro talamo. Mi dispiace
di dovertelo ricordare: di tutte le mie sorelle che hai messo al mondo,
non una ha superato l’anno d’età”.
Lei abbassa lo sguardo, ancora più addolorata:
“Infatti, non hai bisogno di ricordarmelo. Ci penso sempre”.
“Perciò…” continua lui con un’espressione che
tenta di sembrare rammaricata, “… ora la cosa più sensata è
riunire il consiglio e far approvare una legge che autorizzi la successione
per via maschile”.
Lei scuote il viso. “Lo sai che i poteri parapsichici
degli Escanor vengono ereditati solo per via materna, assieme ai mitocondri
delle ovocellule. Anche se tu fossi re, non potresti trasmettere queste
capacità ai tuoi figli”.
Lui annuisce, grave. “Madre, risolverò il problema.
Dovresti ben sapere quanto sono forti i miei poteri magici”. Poi, con intenzione:
“E, se questo è il metro per valutare chi deve governare, posso
aggiungere che oggi sono molto più forti dei tuoi, nonostante la
Corona di Luce”.
Adariel porta la mano al gioiello sul capo, risentita:
in duecentosessanta anni di regno nessuno ha mai osato neanche solo pensare
una cosa del genere! Cerca di esprimere più decisione: “Ma, ripeto,
i tuoi poteri innati non sono trasmissibili! Tu potrai anche essere un
ottimo re, eccellere nella magia, vivere e governare altri duecento anni,
ma i tuoi figli non sarebbero come te. Come conseguenza, per mantenere
il potere dovrebbero affidarsi alla forza delle armi, ma non è con
il ferro e col sangue che si tiene unito un mondo intero”.
Phobos scrolla le spalle possenti. “Conosco anch’io la
storia. I re antichi hanno governato così, sia sul Metamondo sia
sulla Terra”.
La regina lampeggia con gli occhi come se avesse sentito
una bestemmia. “Quei re antichi hanno fatto pagare il loro potere con la
morte di milioni di persone. Militari e civili. Amici e nemici!”. Si stringe
nelle braccia. “E, nonostante ciò, non sono neppure riusciti ad
unificare questo mondo, né l’altro, ma solo a spartirseli tra loro”.
Torna a guardarlo, sicura. “Noi Escanor siamo una novità nell’evoluzione.
Con i nostri poteri magici, abbiamo unificato il Metamondo. Abbiamo abolito
le guerre, la corruzione, gli abusi”.
“Ma certo” risponde Phobos, rinnovando lo sforzo per
essere conciliante. “Io stesso faccio parte di questa dinastia. Ne ho il
sangue e le capacità, e intendo seguire gli stessi metodi”. Fa una
pausa. “E, soprattutto, sono l’unico rimasto”. Termina allargando le braccia:
“E allora, di che cosa stiamo discutendo?”.
Adariel prende fiato. E’ il momento di giocare il tutto
per tutto. “Phobos, tu avrai una sorella tra otto mesi”.
Lui resta pietrificato. Per un attimo perde tutta la
sua baldanza. “Ma… Ma..”. Poi il suo viso si distorce in una smorfia di
rabbia. “Ma cosa dici? Mio padre era infermo da tempo! Non posso credere
che abbia concepito alcun figlio!”.
Lei s’inalbera. “Mi stai dando della bugiarda, o dell’infedele?”.
“Non l’ho detto!”, si schermisce lui, ancora più
sorpreso da questa reazione inusuale. “Né pensato”.
“E allora sappi: mia figlia avrà sangue Escanor
al cento per cento, e poteri uguali ai miei!”.
“Ma tu stessa hai un piede nella tomba!” sbotta esasperato.
“Invece vivrò abbastanza da mettere al mondo la
nuova Luce di Meridian!”.
Phobos la studia, riprendendo il controllo. Inutile litigare
ora, probabilmente questa bambina morirà nella culla come tutte
quelle che l’hanno preceduta. “E io?” chiede, indicandosi.
“Tu sarai il suo sposo, il suo principe consorte. E’
l’unico modo per continuare la dinastia ed evitare il caos”.
Lui la fissa minaccioso, trattenendo l’ira, e scandisce
le parole: “Madre, io ho cinquant’anni, di cui trenta di esperienza di
governo. Ora il futuro che mi prospetti è di dover sposare una sorella
non ancora nata, esserle subordinato fino alla fine dei miei giorni e unirmi
a lei per mettere al mondo figli che, per la maggior parte, moriranno nella
culla!”.
Lei lo guarda con sfida. “Tranne qualche dettaglio, è
stato il destino di tuo padre. Non volevi prendere il suo posto?”. Mentre
si sforza di tenere su lo sguardo, le lacrime riprendono a rigarle il viso.
Per un attimo, gli occhi di Phobos diventano due fessure,
poi si rilassa. Di cosa si preoccupa? Probabilmente la bambina non vivrà
più delle altre, e la stessa Adariel potrebbe morire prima di darla
alla luce. Rammarico e sollievo si mescolano inestricabili per questo pensiero.
“Va bene, madre. Se tutto andrà come dici, farò il mio dovere
verso Meridian, come vuoi tu”. Prende fiato. “Ma ad una condizione. Voglio
che tu faccia approvare dal consiglio una legge che legittimi la successione
per via maschile, anche se subordinata. Così, se la bambina dovesse
morire…”.
Lei scuote il capo. “Phobos, risparmiati quest’illusione.
Molti anni fa il Dio del Fato mi ha ispirato una profezia: la settima Luce
di Meridian si chiamerà Elyon”.
Lui aggrotta lo sguardo, scettico. “Mi sa che il tuo
Dio del Fato perdeva colpi. Elyon è morta in culla, quarantasei
anni fa”. Poi storce il viso, afferrando: “Madre, vuoi dare a questa figlia
il nome di un’altra già morta?”.
Gli occhi della regina lampeggiano. “Questa Elyon vivrà,
e prenderà il mio posto dopo che…”. S’interrompe, come spaventata
dalle parole sulla punta della sua lingua.
Phobos nota l’esitazione. Cosa stava per dire? Prova
a leggerle il pensiero, ma la mente di lei si è serrata come le
sue labbra.
Phobos insiste, usando con sempre più forza il
suo potere telepatico. Per un attimo la mente di Adariel gli resiste. Per
lui, però, è arrivato il momento di chiarire chi è
il più forte. I suoi occhi diventano due fessure per lo sforzo,
poi di colpo la resistenza di lei cade.
Dopo un attimo, Phobos resta senza fiato. “Tu… madre…”.
Poi si ribella: “No! E’ falso! Io non sarò così! Credere
infallibili le tue stesse profezie è una prigione che ti sei costruita
da sola! Le tue serve sono più libere di te!”. Parte a grandi passi
verso la porta chiusa, poi si volta indietro con un’ultima occhiata carica
di risentimento. “Il futuro ce lo costruiamo con le nostre azioni”.
La regina si accascia sul trono, senza forze, vedendo
il principe che sparisce attraversando come uno spettro la porta chiusa.
Comincia a piangere sommessamente. “Adleric… Phobos… Galgheita! Galgheita,
ti prego, dove sei?”.
Le guardie, che stavano riaprendo i battenti, li richiudono
con imbarazzo sentendo i singhiozzi della Luce di Meridian.
Pochi secondi dopo, la sagoma inumana ma rassicurante
di Galgheita emerge da un baluginio. “Mia regina…”. Si avvicina, prendendole
una mano tra le sue. “Cosa vi è successo?”.
Adariel scuote il capo, senza smettere di piangere.
Non serve parlare: la guaritrice, al contatto delle mani,
percepisce i ricordi vividissimi e le emozioni brucianti della discussione
appena avvenuta. “Oh, Deì… Mia regina…. Non è giusto! Costretta
a parlare così in un momento simile!”.
“Sono sola, ora!” singhiozza Adariel appoggiando il viso
alla spalla di Galgheita. “Phobos mi odierà per sempre!”.
La guaritrice dirige la sua poca energia verso la Luce
di Meridian attraverso il contatto.
Dopo un po’, smettendo di piangere, la regina esala:
“Se potessi farne a meno, di queste profezie, o se potessi ignorarle… Fin
da bambina, mi hanno legato le mani”.
Galgheita annuisce. E’ esausta, ma non può ritirarsi
in un momento simile.
Dopo un attimo di silenzio, si accorge che i pensieri
della regina stanno vagando nel passato.
“Altezza…”.
“Sì?”.
“Posso sapere qual è la profezia che Phobos vi
ha letto nella mente, e lo ha così sconvolto?”.
Adariel si morde le labbra, poi si guarda attorno. Sono
sole. “Galgheita, il Dio del Fato mi rivelò che Phobos diventerà
un tiranno, crudele e odiatissimo. Che tenterà di uccidere sua sorella.
E che morirà tra dodici anni, solo e braccato”.
L’altra si copre la bocca. “No!”.
La regina si alza, cammina lentamente verso la vetrata
ancora aperta, e si sporge malinconica sul balcone. Con il sole del tramonto
alle spalle, l’ombra che le grandi torri del palazzo proiettano sulla città
sottostante assomiglia ad una gran mano scura protesa sull’abitato. Quell’ombra
è uguale ogni sera da duecentocinquanta anni in qua, ma oggi le
sembra un sinistro presagio.
Con un brivido, esala: “E quel futuro incomincia ora”.
Meridian, giardino interno del palazzo reale
Nel folto del giardino interno, nascosto ad occhi indiscreti
da alberi enormi e rampicanti foltissimi, Phobos si è ritirato a
riflettere, seduto sulla riva di un’incantevole polla d’acqua.
Questo ambiente è sempre riuscito a rilassarlo
anche nei momenti peggiori, vincendo ogni amarezza.
Pian piano, anche questa volta i battiti del suo cuore
cessano la loro corsa, ed il suo respiro torna alla lentezza usuale.
Sente vagamente che quello sarebbe il momento di pensare
a suo padre, appena morto. Di vegliarlo, di stargli vicino, di riempirsene
gli occhi, finché il suo corpo resterà accessibile, prima
di essere reso incorruttibile da una bara di cristallo e teletrasportato
in una cripta lontana dalla quale nessuno è mai tornato, in una
finzione di vita eterna.
Invece, è a sua madre che pensa. Perché
si illude ancora? Anche questa figlia che sta aspettando, questa Elyon,
non vivrà. Forse riuscirà a vedere la luce del giorno, forse
riuscirà a distinguere il viso stanco della mamma e a gioire del
suo sguardo amorevole, ma anche lei, infine, seguirà il triste destino
di quelle che la hanno preceduta nella culla.
Nonostante la sua amarezza, Phobos non può fare
a meno di ammirare il coraggio disperato di sua madre nel riprovarci, ora,
con la morte che le alita sul collo.
Più ancora di questa neonata condannata in partenza,
l’ostacolo davanti a lui è l’opposizione della regina. Non che gli
impedirebbe di raggiungere il potere: una volta rimasto solo, non esisterebbe
alternativa a lui come governante. Invece, sarebbe il suo prestigio ad
esserne compromesso. Dovrebbe imporre lui stesso una modifica a suo favore
della legge di successione, un atto contro le consuetudini che lo metterà
certo in cattiva luce, se fatto senza l’appoggio dichiarato della Luce
di Meridian.
Per tutti questi anni è stato un amministratore
attento, preparato, autorevole. Di fatto, ha svolto molto di più
lui le funzioni di re che i suoi genitori. Eppure non è bastato.
Ci vorrà qualcosa di più, dovrà
giocare delle nuove carte per convincere il Consiglio dei Veglianti a supportarlo
spontaneamente, e magari perché anche la madre riconosca senza recriminazioni
la sua autorità.
Uno dei motivi per cui il trono è precluso ai
maschi di stirpe reale è che i loro poteri magici sono inferiori
a quelli delle femmine. Ebbene, la magia non è solo questione di
cromosomi e di poteri psichici innati. E’ una disciplina complessa che
può essere appresa e sviluppata, fatta anche dell’utilizzo di energie
della natura, di rituali arcani che mettono in comunicazione la mente con
altri mondi spirituali, di scienze perdute da millenni e forse conservate
in qualche antico libro. Magari nella loro stessa biblioteca, unica al
mondo, proibita a chiunque altro.
Forse è il momento che certe conoscenze tornino
alla luce. Forse è il momento che l’energia sia incanalata in pochi
grandiosi progetti, anziché essere dispersa in mille rivoletti per
curare acciacchi meschini.
Il tempo per dimostrare l’ascesa delle sue capacità
verso le vette più alte è poco, si conterà in mesi
più che in anni. Questa strada richiederà molto studio, molto
sacrificio, e l’investimento di una grande quantità di risorse.
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Capitolo 3 *** Tre mesi, tre anni ***
3- tre mesi, tre anni
Ad personam:
Cara Silen, grazie per la tua bellissima recensione. Hai
puntualizzato esattamente diversi aspetti importanti della caratterizzazione
dei personaggi, comprese le corresponsabilità della regina nell'aver
creato la situazione dalla quale ora dovrà portare fuori le sua
città. Come puoi immaginare, tutta la storia sarà permeata
dall'ambivalenza tra madre e figlio dovuta non solo alla profezia, ma anche
ad un segreto di Adariel che verrà rivelato ai lettori in questo
capitolo. E' una tensione che, inutile nasconderlo, sfocerà in un
epilogo drammatico nei capitoli finali.
Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. Il personaggio
di Phobos non è stato facile da trattare: la sua trasformazione
da quasi buono all'inizio fino ad antagonista nel finale è in parte
causata dalla stessa profezia, anche se lui non mancherà di metterci
del suo. Comunque passeranno dodici anni meridiani tra questa storia e
l'esordio di W.I.T.C.H., anni in cui il principe si estranierà sempre
più dalla città che governa. Il Phobos del fumetto colpisce
soprattutto per la sua lucidità e assenza di scrupoli: è
così convinto del suo diritto che non si dà neppure la pena
di giustificarsi davanti a sè stesso. Mi è piaciuto molto,
come personaggio. Non come governante, naturalmente.
Cara Solitaire, condivido pienamente la tua avversione per
i villain stereotipati, anche se semplificano la scelta per chi tenere
a lettori e spettatori, e fanno scomparire ogni scrupolo o compassione
quando sono battuti. Purtroppo personaggi così non sono affatto
credibili.
Qualunque antagonista reale è certamente convinto di essere
nel giusto, di vendicarsi di un torto, di combattere una minaccia eccetera.
Magari il suo punto di vista è distorto, però nessuno si
considera il cattivo.
Il Phobos del cartone animato, purtroppo, è davvero un villain
ghignante; anche le trasformazioni magiche che impone a tutto il palazzo
sono ridicole, chi vorrebbe mai abitare in quell'obbrobrio o circondarsi
di esseri orribili? Purtroppo il cartone animato, nonostante gli indubbi
meriti sulla trama, ha gettato alle ortiche le bellissime caratterizzazioni
del fumetto per proporre personaggi molto stereotipati e un effetto comico
ad ogni costo.
Molto bella la frase finale della tua recensione: 'Comunque, una
cosa è certa. Un suo obiettivo lo raggiungerà. Resterà
davvero nella storia del suo mondo ^__^'
Mi viene in mente che Elyon, appena lo avrà sconfitto nel
fumetto, gli dirà: 'Per tutto il male che hai fatto, ora Meridian
chiede una sola cosa: dimenticarti'. Naturalmente dubito che ci riusciranno
davvero.
Cara Atlantislux, grazie mille per la tua bella recensione.
Sono felice che le immagini dell'arrivo a palazzo siano state così
efficaci anche per chi non ha mai letto il fumetto. Come dal racconto che
ho messo in bocca a Elyon in Profezie n.6, la dinastia Escanor ha pacificato
e unificato un mondo che possiede in sè i germi della sua distruzione
a causa della disomogeneità dei suoi abitanti. Quindi anche Adariel
si sente una missionaria, al di là di questioni di tradizione o
potere personale. Si tratta di un mondo in cui, in milleduecento dei loro
anni, si sono succedute sei regine, con una concentrazione di poteri da
far impallidire i vari imperi storici. Per contro è un mondo dove,
almeno nelle città, non esistono abusi, corruzione, criminalità,
fame e epidemie.
Dedico qualche parola al personaggio di Galgheita che, pur essendo
totalmente privo di appeal fisico, è moralmente ed intellettualmente
uno dei più notevoli in questa storia. Nel fumetto, pur dimostrando
poteri parapsichici impressionanti, lei viene definita la nutrice di Elyon,
un ruolo che trovo assai riduttivo; in questo racconto, pur avendo temporaneamente
fatto la nutrice, lei è soprattutto la più prestigiosa guaritrice
di Meridian e la confidente di Adariel.
Vorrei aggiungere anche un commento sul fatto che, in La Luce al
tramonto, la Elyon che conosciamo sia stata la seconda figlia di Adariel
con questo nome. Nel fumetto, attorno al n.44 o 45, Phobos ricorda di un
episodio in cui lui aveva quattro o cinque anni quando Elyon era in fasce.
Siccome, dal n.3, sappiamo che Elyon era ancora neonata quando la portarono
sulla Terra dopo la morte dei genitori, ne seguirebbe che Phobos aveva
cinque anni quando è diventato tiranno del metamondo, una conclusione
che trovo difficilmente accettabile. Perciò, per far collimare le
cose, ho attribuito quell'episodio ad una precedente neonata morta più
di quaranta anni prima.
Questo capitolo è ambientato tre mesi dopo il precedente,
ed è preparatorio per la graduale accelerazione dei ritmi che si
avrà nei successivi.
Buona lettura
MaxT |
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Cap.3
Tre mesi, tre anni
“In questo assurdo gioco d’orgoglio, chi muoverà
per primo avrà perso”
Principe Phobos Escanor
Meridian, appartamento della Regina, quinto mese dell’anno
Sono tre mesi che Adleric ha raggiunto gli antenati, e
un vento freddo e fastidioso sfiora il viso e le mani della regina, sul
balcone della sua anticamera. Adariel scruta in direzione della città,
verso destra, cercando di distinguere qualcosa nel confuso mormorio di
pensieri lontani.
Nella torre accanto, le grandi vetrate mobili della sala
del trono le sembrano tristi e vuote. Ora dovrebbe essere lì, a
ricevere dignitari e diramare i suoi comandi, ma il tempo che vi trascorre
la sfinisce sempre più.
Ripensa, come altre mille volte, a quel giorno sciagurato
di tre anni prima. Accadde ad un pranzo ufficiale con alcuni nobili, nella
saletta quattro piani sotto il suo appartamento: Phobos stava intrattenendo
gli ospiti, parlando con competenza di questioni macroeconomiche. Lei e
Adleric ascoltavano orgogliosi il loro unico figlio; in quei momenti riuscivano
quasi a dimenticare l’ombra sul futuro gettata dalla mancanza di una erede
al trono.
D’improvviso, aprendo un tovagliolo, Adariel vi scorse
scritte delle frasi, vergate con quella che quasi pareva la sua calligrafia:
‘Phobos
usurperà il Trono di Luce. Diventerà un tiranno crudele e
odiatissimo. Cercherà di uccidere sua sorella. Morirà solo
e braccato tra quindici anni’.
Quelle frasi la colpirono come pugni: rimase a lungo
a rileggerle, inorridita e incredula.
Quando alzò gli occhi, si accorse che i presenti
non parlavano più: la stavano osservando in silenzio, stupiti. Non
sapeva se ad interromperli fossero stati i suoi pensieri urlati, in tumulto,
o il suo viso fatto di pietra.
Quando Adleric e Phobos le chiesero cosa era successo,
lei riguardò il tovagliolo: ora era perfettamente pulito. Sforzandosi
di mascherare il turbamento, chiuse la sua mente, li rassicurò,
fece perfino del suo meglio per scherzare e far dimenticare quel momento.
Era sicura che nessuno era riuscito a leggere quelle parole di piombo.
Cercò di sembrare ancora quella di prima, ma un
velo scuro era sceso sul suo modo di vedere il futuro.
Avrebbe voluto convincersi di essere stata ingannata
dai sensi, dalla stanchezza. Purtroppo, invece, conosceva benissimo quella
sensazione, come di già visto, che aveva accompagnato la visione:
era la precognizione delle Regine, dono e maledizione del Dio del Fato.
Queste profezie si avveravano alla lettera, sia che le ignorasse, sia che
tentasse di contrastarle. All’inizio, da bambina, non ci voleva credere,
ma poi dovette arrendersi all’evidenza e ammetterlo, come sua madre prima
di lei: quelle previsioni non volute erano infallibili.
In alcuni casi, era stato possibile giocare sull’ambiguità
di una profezia per interpretarla e farla avverare nel modo meno dannoso
possibile, ma le parole apparse sul tovagliolo erano una condanna senza
appello.
A tre anni da quell’episodio, Adariel avverte un’enorme
amarezza per il Fato. Lei non ha mai smesso di amare il suo unico, meraviglioso
figlio. Quale misteriosa congiura del destino gli ha lanciato questa crudele
maledizione?
Si sente svuotata. Lo evita da tre mesi, da quando ha
osato estorcerle dalla mente la memoria della profezia. Per Phobos non
sarebbe poi così difficile capire cosa lei ha in mente per Elyon.
Con una fitta di dolore, pensa che la miglior garanzia per la vita della
piccola è la convinzione di suo fratello che lei non avrà
bisogno di aiuto per morire nella culla.
Scuote il capo: tutto questo richiede una forza che forse
non la sosterrà fin alla fine. E se buttasse la spugna? E se tornasse
da suo figlio, gli confessasse la sua bugia, ritornando a guardarlo negli
occhi, e gli promettesse di appoggiare la sua successione al trono? Potrebbe
riabbracciarlo, tornare a sentire il suo affetto, e vivere un po’ più
serena quelli che, ormai lo sente, saranno i suoi ultimi mesi…
E poi, cosa succederebbe al suo mondo? Da dove verrebbe
la Elyon della profezia, la settima Luce di Meridian? Se le profezie sono
infallibili, da qualche parte dovrebbe arrivare lo stesso. E’ così
sicura che il futuro avrà tanto bisogno del suo sangue?
Si riscuote: non deve cedere. Non basteranno un nome
ed un titolo a trasformare una ragazzetta qualsiasi in una sovrana in grado
di garantire pace e stabilità nel Metamondo; la linea di successione
femminile non può essere interrotta. Deve farsi forza: non può
fermare l’inverno, ma può seminare per la primavera.
L’ancella si avvicina: “Altezza, è arrivata Maestra
Galgheita per le cure”.
“Grazie, Lidrienel”. Adariel rientra nella sua splendida
anticamera, passandosi la mano sul ventre che ha cominciato ad arrotondarsi.
Per essere più credibile, porta addosso una cintura di amuleti benedetti,
ma sa che non le serviranno realmente.
La guaritrice, con il suo grosso corpo non umano traboccante
di dolcezza, la sta già aspettando vicino al letto. “Altezza…”.
La regina abbozza un sorriso. “Galgheita… voi siete il
momento migliore delle mie giornate”. Si distende sul lettone, affondando
nel copriletto di raso, e chiude gli occhi. Sente il benefico contatto
delle mani sulla fronte, e un’onda di energia le lenisce la sensazione
di peso del suo corpo. Si sta così bene, in questi momenti… quasi
si dimentica che quello è il solo, sottile filo che tiene legata
alla vita una vecchia giovinetta di trecento anni. Sente le sue mani che,
piano, si spostano lungo il corpo, il cuore, il grembo arrotondato…
Il grembo!?! Apre gli occhi di soprassalto. “Lì
no!”.
“Scusate” dice Galgheita perplessa. “Ho pensato che vi
avrebbe aiutata a portare avanti questa gravidanza”.
“Mi va benissimo il contatto solo sulla testa, come al
solito. Sei stata splendida”.
L’altra scuote il testone. “Sto facendo del mio meglio,
Altezza, ma neanche io sono al massimo della forma”.
“No? Come mai?”.
“Mi dispiace angustiarvi con questo argomento così
prosaico, ma le razioni di acqua magica sono state diradate anche per i
guaritori. Ciò che danno ogni cinquanta giorni non mi permette di
continuare un lavoro così impegnativo”.
“Cinquanta giorni?” chiede perplessa la regina. “Ogni
quaranta, vorrai dire”.
“Ogni cinquanta, Luce di Meridian. Per ordine di Phobos,
da due mesi a questa parte”.
“Cosa?”. Si tira su, appoggiandosi sui gomiti. “Non ne
sapevo niente!”.
“Purtroppo la mia scorta è finita, e l’amministratore
non mi ha neppure consegnato tutta quella in più che era stata pattuita
per le vostre cure”.
Scuote il viso, disorientata. “Assurdo! Come si giustifica
ciò?”.
La guaritrice prende fiato: sa che ciò che sta
per dire farà molto male alla sua regina. “Il principe Phobos ha
affermato davanti al Consiglio dei Veglianti che molta acqua viene assorbita
dalle cure alla Vostra persona. L’ho sentito con le mie orecchie proprio
ieri”.
Per un attimo Adariel resta incredula. “Phobos… come
può farmi questo?”. Balza in piedi, dirigendosi verso una fontanella
sul muro. Gira una levetta, ed un sottile filo di liquido dalla debole
fosforescenza verde cola dal rubinetto, riversandosi in un piccolo recipiente
di vetro. Dopo qualche istante, il filino si spezzetta in gocce che cadono
sempre più diradate, fino a fermarsi del tutto.
Le rivolge un’occhiata eloquente. “Vorrei che la gente
venisse a vedere questo!”.
Galgheita resta sconcertata. “Altezza… tutto qui? Si
sta forse esaurendo la fonte millenaria?”.
Lei scuote il viso. “No. Phobos mi ha mandato a dire
che ci sarebbe stata scarsità di acqua magica per qualche giorno,
perché deve concludere degli esperimenti”. Si morde le labbra. “Ma
non mi aveva detto di averla sottratta a tutta Meridian, e men che meno
di aver dato la causa a me”. Guarda con indignazione in direzione della
città. “Ecco perché percepisco tutto questo scontento! E’
nell’aria, lo senti?”.
Galgheita annuisce compunta.
La regina cambia tono, cercando di mettere a tacere l’amarezza
che le cresce dentro. “Quanta acqua ti manca?”.
“Solo per poter proseguire queste cure nell’immediato,
almeno un litro”.
Adariel annuisce. “Ho qualche scorta”. Va verso un armadio
laccato di azzurro e verde, accenna un gesto a mezz’aria, poi ci ripensa
e preferisce aprirlo girando la chiave, come fanno i comuni mortali. Inutile
affaticarsi con la telecinesi, in queste circostanze.
All’interno, Galgheita scorge decine di bottiglie, la
cui fosforescenza verdina riverbera sul viso e i vestiti della regina.
Indovinando i suoi pensieri, Adariel chiarisce: “Sono
circa cinquanta litri, accumulati negli ultimi tre mesi. Ben poca cosa
rispetto a ciò che Phobos ha tolto alla città”. Riguarda
con rammarico la fontanella. “E a me”, conclude amaramente, porgendo una
bottiglia chiusa alla sua guaritrice.
Lei accenna un inchino di ringraziamento, poi riflette
un attimo, valutando la luminescenza verde prima che l’armadio venga richiuso.
“Altezza, quella scorta dovrebbe essere più che sufficiente a farvi
vivere fino a quando avete previsto la nascita della vostra erede”.
C’è un’intenzione strana in queste parole, ma
Adariel, tornando a sedersi sul letto, non la nota. “Dovremo risparmiarla.
Voglio arrivare alla nascita con almeno venti litri”.
Galgheita la guarda con sempre più insistenza.
“Altezza, posso essere esplicita?”.
L’altra annuisce, a disagio: “Certamente… Parla pure”.
“Voi non siete incinta”.
Un lampo di panico attraversa gli occhi della regina,
che non risponde.
“Posso chiedervi cosa farete, quando sarà il momento?”,
insiste la guaritrice.
Dopo un lungo silenzio, Adariel proferisce lentamente:
“Galgheita, io mi fiderei ciecamente di voi. Però, ciò che
sapete potrebbe esservi letto nel pensiero da altri… da Phobos”. Si alza
in piedi. “Ora dovrò cancellarvi la memoria di questo fatto”, si
rammarica.
“Non preoccupatevi, Altezza. Sono capace di dimenticare
da sola, a volontà. Ho con me il filtro di Leryn”. Si fa apparire
una fialetta gialla nella grossa mano.
La regina annuisce e accetta di buon grado la proposta:
non è affatto sicura di essere ancora in grado di cancellare con
le sue sole forze psichiche le memorie di una telepate potente come Galgheita.
Si accosta, e le bisbiglia: “Allora ti posso dire questo: quando la bambina
nascerà, avrà il mio sangue al cento per cento”.
Galgheita annuisce. “Non serve altra spiegazione, Altezza.
Ho capito”.
Poco dopo, appena congedata la guaritrice, Adariel riflette,
in ansia. Il suo segreto è fragile: come l’ha capito lei, potrebbe
capirlo anche Phobos. Arriva fin sul terrazzo della camera che dà
sul giardino interno. Le grandi vetrate si aprono, permettendole di sporgersi
e guardare sotto, mentre il vento le fa turbinare i lembi della veste.
Le cime di alberi immensi si protendono fin poco sotto il balcone; le loro
chiome folte nascondono la vista del suolo, sessanta metri sotto. Probabilmente
ora lui è laggiù, celato dalla vegetazione.
Meridian, giardino interno del palazzo reale
Un altro giorno sta finendo, a Meridian. Il cielo, tra
le fronde del giardino, si tinge di azzurri sempre più scuri.
Dopo una giornata intensa di riunioni, di udienze, di
ispezioni, il principe Phobos è tornato a sedersi sul pendio erboso
del suo angolo preferito, tra i fiorellini gialli di konnestras.
Al suolo, una debole folata di vento fa oscillare i cespugli
e i rampicanti, incollandogli i capelli sul viso; più in alto, le
chiome degli alberi sono scosse con energia dalle raffiche.
Da quando sua madre si è indebolita, il cielo
di Meridian è molto meno controllato. Per gli abitanti, questo è
un cattivo presagio: pensano che il tempo sulla città rifletta lo
stato d’animo della loro regina. In parte è vero.
Per Phobos, uno dei primi passi per accreditarsi come
re sarà imparare a controllare nuvole e vento con la sola forza
di volontà, e non ha dubbi che ci riuscirà.
Queste pause serali nel giardino lo ristorano per la
seconda parte delle sue lunghe giornate: lo studio di magie sempre più
potenti.
Si abbassa con il viso sull’erba, dove il vento non riesce
a disperdere il profumo inebriante dei fiorellini gialli.
Sta accumulando scorte ingenti della preziosa acqua magica
per i prossimi, strabilianti esperimenti.
Sa che così ha destato mugugni fastidiosi in città
e a palazzo: la gente comune è troppo limitata per rendersi conto
di quali sono le vere priorità per il suo mondo. E la prima di tutte
è assicurare la successione a lui stesso, l’unico in grado di sostenere
il peso dell’incarico, senza che ombre ingiustificate offuschino il suo
prestigio.
Sua madre non lo sta affatto facilitando, pensa con rimpianto.
Anzi, lo evita sdegnosa.
Sta rinunciando sempre più al suo ruolo di Regina
e rinchiudendosi in quel lussuoso appartamento che, da sola, ha eletto
a suo rifugio, quasi a sua prigione, con la scusa della salute e della
gravidanza. E’ un pretesto, è evidente: anche se negli ultimi tempi
l’uso del sistema di teletrasporto interno è stato precluso alla
servitù per risparmiare energia, lei vi avrebbe comunque libero
accesso, e potrebbe spostarsi senza fatica alcuna.
Quando lui ha fatto togliere l’erogazione di acqua magica
anche all’appartamento reale, giorni prima, voleva sondare gli atteggiamenti
di lei. Si aspettava di vedere se si sarebbe imposta di autorità
per fargli ripristinare il rifornimento, oppure se glielo avrebbe richiesto
come un favore.
Invece, niente di tutto questo. Solo un silenzio sdegnoso.
Sua madre lo teme così tanto solo per via della
sua sinistra profezia? O forse, perché lui l’ha offesa e umiliata
oltre ogni possibilità di perdono quando ha violato i suoi pensieri?
Qualche sera prima è rimasto a lungo sulle scale,
incerto se salire quell’unica rampa che separa i loro appartamenti per
fare un gesto distensivo; poi, per l’ennesima volta, ha deciso di lasciare
che sia lei a fare il primo passo, se lo vorrà.
Ha la sensazione che, in questo assurdo gioco d’orgoglio,
chi muoverà per primo avrà perso; che chi prenderà
l’iniziativa di un riavvicinamento si dovrà chinare alla volontà
dell’altro, riconoscendolo come più forte e accettandone le condizioni.
Testarda! E’ lei che ha di più da perdere a continuare
così!
Phobos non può cedere: è lui il più
forte. Meriterebbe di sedere sul trono fin da adesso, anche se non si sente
di farlo per rispetto alla madre e alle consuetudini.
Anche se sarà una vittoria amara, sarà
comunque lui il vincitore: basterà aspettare. Deve avere pazienza,
tatto, e alla fine il trono sarà occupato dall’unico che può
farlo.
E se questa nuova principessa non morisse? Se non solo
vedesse la luce, ma sfuggisse inaspettatamente al destino delle altre,
e crescesse forte e potente? Sarebbe obbligato a chinarsi ad una sorella
di cinquant’anni più giovane, che per tutta la sua fanciullezza
inerme dipenderebbe da lui come da una madre ed un padre assieme, per poi
sottometterlo una volta cresciuta? Dovrebbe sposarla in un matrimonio dinastico,
senza scelte, mettendo al mondo una torma di figli, sperando che qualcuno
di loro sopravviva ai difetti metabolici dovuti ad una consanguineità
spinta al suo estremo limite? Dovrebbe amarli uno per uno, come li hanno
amati i suoi genitori, per poi condividere il dolore quasi ineluttabile
delle loro morti, fino a non avere più lacrime da piangere?
Quello dovrebbe essere il suo dovere. Letteralmente,
prenderebbe il posto di suo padre, ma in condizioni ancora peggiori.
Eppure, anche se dovesse chinarsi a questo destino amaro,
lui sa che non potrebbe mai amare questa sposa sorella, fosse anche bella,
saggia, spiritosa.
Tutto il suo amore se l’è portato via un’altra
donna, molti anni prima. Alta, regale, ambiziosa, importante. La messaggera
di un altro mondo.
Quando la vide, sentì che avrebbe potuto desiderare
solo lei.
Quando incontrò i suoi occhi, capì che
anche lei stava provando le stesse cose, che erano fatti l’uno per l’altra.
La prima volta la invitò a restare, ma lei era
in missione con le sue compagne, e dovette declinare l’invito. Poi cominciò
a tornare da sola, preceduta da un lampo abbagliante e accompagnata dal
bagliore rosato del suo talismano. Con una sfrontatezza affascinante, gli
disse che era tornata per lui, per conoscerlo meglio.
Si incontrarono più e più volte, sia a
Meridian che sulla Terra. Lui vedeva nei suoi occhi lo stesso suo
amore e la stessa sua ambizione. Parlarono a lungo della loro vita, dei
loro progetti, e si confermavano sempre più di essere fatti l’uno
per l’altra. Lui, unico erede del Trono di Luce e lei, la Custode del Cuore,
si scambiarono, assieme ai loro sogni, anche molte conoscenze di magia,
crescendo nella potenza e nella perizia. Anche i loro progetti crebbero,
grandiosi: due tra i più grandi poteri dell’universo si sarebbero
uniti per creare una nuova era di gloria.
Un giorno le fece preparare un’accoglienza degna di una
principessa, e la invitò a cenare assieme ai suoi regali genitori
per presentargliela come la sua donna. Suo padre ne fu incantato. Sua madre
la studiò con attenzione, facendole mille domande sul suo ruolo,
sulle sue aspettative, sui suoi poteri, e facendosi mostrare perfino il
suo talismano, uno degli oggetti più importanti dell’universo conosciuto:
il Cuore di Kandrakar.
Dopo quella cena sua madre lo ammonì: non aveva
niente in contrario che quella straniera carismatica fosse la sua amante,
ma non era adatta a diventare Regina di Meridian perché i suoi poteri
magici non erano trasmissibili ereditariamente, a differenza di quelli
di ogni donna Escanor; in secondo luogo, il suo modo di vedere il suo ruolo
era troppo egocentrico, privo del pragmatismo e della sensibilità
verso il popolo che ogni regnante del loro mondo aveva sempre coltivato.
Phobos, indispettito, obiettò che non esisteva
alcun’altra erede per quel trono, ma sua madre si impuntò: quella
donna non era adatta, e lui avrebbe dovuto fare il suo dovere come lei,
da Regina, stava ancora cercando di fare il proprio.
Lui fu sferzante, ricordandole che erano quindici anni
che non restava più incinta, tanto che la fece piangere, ma Adariel
non cambiò il suo atteggiamento irragionevole.
Tuttavia, non fu sua madre il vero ostacolo a questo
amore: la sua Nerissa gli venne portata via, non molto tempo dopo, da ben
altra volontà.
Phobos stringe i pugni all’amarezza di questo ricordo
che non ha mai potuto allontanare.
Dopo di Lei, nessun’altra donna gli è più
interessata, se non per togliersi qualche breve voglia.
Non quelle di Meridian, nobildonne o ancelle che fossero,
che con i loro visi non del tutto umani e i colori tutti diversi gli risultavano
sgradevoli, ed alle quali non ha mai permesso di salirgli al disopra dell’altezza
dei lombi; non le terrestri, le volte che è andato in quel mondo
alla rabbiosa ricerca di qualche svago. Sì, ce ne sono di molto
belle, un piacere per gli occhi e per i sensi. Il loro aspetto può
essere regale, può sembrare quasi di avere tra le braccia una Escanor.
Però sono noiose: non esiste un solo argomento di cui potrebbe parlare
con loro. Non sono capaci di leggere un pensiero che non sia espresso.
Sono senza difese: a lui bastava un’occhiata delle sue per farsele cadere
ai piedi, prive di ogni volontà, con gli occhi vuoti e la voce atona,
incuranti di mariti, fidanzati o voti di castità. Ed infine, le
terrestri sono effimere: la loro bellezza decade in vecchiaia nel volgere
di pochi anni.
Insomma, al di fuori di Lei, sono tutte donne da usare
e gettare via.
Da dietro la vegetazione si sentono delle voci scherzose
che si avvicinano: un giovane valletto ed una sguattera di cucina attraversano
allegramente la cortina di rampicanti, tenendosi per mano e parlottando.
Quando vedono il Principe, restano un attimo interdetti.
Lui tributa loro un’occhiata di fuoco, ed i due capiscono
immediatamente di essere capitati dove non sono graditi. Chinandosi e balbettando
confusamente qualche scusa, si ritirano al di là dei rami, sparendo
alla vista, anche se i fruscii dei loro passi ed i loro mormorii fastidiosi
si sentono ancora per un po’ a guastare il silenzio.
Ora che Phobos lo nota, le presenze estranee nel giardino
non sono così poche, anche se quasi tutte nella parte esterna al
perimetro delle cinque ali basse del castello, il cosiddetto anello pentagonale,
che congiungono le cinque torri più alte.
Trattiene un moto di disgusto: questo è il giardino
in cui il Principe deve ritemprarsi dalle fatiche del governo, deve meditare
sul futuro, deve provare alcune delle sue grandi magie. Soprattutto, questo
è il giardino in cui ha amato Lei per la prima volta. Dovrebbe essere
riservato alla Casa Reale, non essere svilito come cortiletto per gli schiamazzi
della servitù.
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Capitolo 4 *** Il giardino di Phobos ***
4- Il giardino di Phobos
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, cara Silen, vi ringrazio
di cuore per le vostre belle recensioni e per il costante incoraggiamento
che mi date.
Un ringraziamento a Rowena e, di nuovo, a Silen, per
avere riletto questo capitolo.
Come scrivete giustamente, questa fiction sarà permeata dal
conflitto di sentimenti e motivazioni tra madre e figlio, ciascuno dei
quali ha le sue ragioni, le sue speranze e le sue paure.
Si potrebbe costruire delle teorie sul fatto che certe profezie
contribuiscano alla loro stessa realizzazione, ed infatti in tutto il racconto
serpeggerà il dubbio di cosa sarebbe successo se quella profezia
non fosse mai stata formulata.
La passata relazione tra Phobos e Nerissa non è nel
canon del fumetto W.I.T.C.H., che non ne accenna affatto, mentre nell'
anime i due si trovano in posizioni antagonistiche; comunque l'anime, pur
avendo i suoi meriti dal punto di vista della trama, è troppo diverso
dal fumetto per poter essere considerato nello stesso canon.
Ho inserito nel mio racconto questa relazione non per uno sviscerato
amore del pairing, ma perchè entrambi i personaggi devono essere
partiti, all'inizio della loro storia, come positivi (un principe e la
Guardiana del Cuore!), per poi trasformarsi in feroci villain; una trasformazione
simile non è facile da spiegare, e quindi ho ipotizzato che il rancore
per essere stati contrastati nella loro relazione avesse contribuito al
cambiamento. D'altronde, non sarebbe stata una semplice relazione sentimentale,
ma avrebbe avuto effetti sugli equilibri di potere di tutto il loro universo.
Ed ora dedico due parole ai personaggi introdotti nel presente capitolo:
il giardiniere Daltar e la sua famiglia. Sul fumetto viene accennata
la loro storia: quando Phobos ordinò a Daltar di creare una immensa
siepe di letali rose nere per proteggere il suo giardino dagli intrusi,
il giardiniere tergiversò; per punirlo, Phobos trasformò
sua moglie e sua figlia nei prototipi di tali fiori. Con gli anni, la siepe
crebbe a dismisura: tutti i cittadini che tentavano di superarla, per entrare
a palazzo e supplicare il principe, si pungevano nel tentativo trasformandosi
a loro volta in rose nere.
L'episodio non è descritto in questo racconto, in quanto
ho supposto che fosse ben successivo alla fuga dei genitori adottivi con
Elyon.
I nomi di Liliel, Antelior e Akhtrab sono di mia fantasia.
Nel finale ritroverete un paragrafo molto simile a Luci nel giardino,
che forse ricorderete; quel racconto era un'anteprima ottenuta concentrando
nei brevi minuti di un bagno magico una decisione che, in questa storia,
è maturata nell'arco di molti mesi.
Buona lettura
MaxT |
|
Cap.4
Il giardino di Phobos
|
…
And there were gardens bright with sinuous rills,
Where blossomed many an incense-bearing tree ;
And here were forests ancient as the hills,
Enfolding sunny spots of greenery.
…
A savage place ! As holy and enchanted
As e'er beneath a waning moon was haunted
By woman wailing for her demon-lover !
And from this chasm, with ceaseless turmoil seething,
As if this earth in fast thick pants were breathing,
A mighty fountain momently was forced.
…
Da Kubla Khan di Coleridge |
Meridian, giardino del palazzo, sesto mese dell’anno
Nel giardino lussureggiante la luce del sole arriva attutita
da una volta di fronde alta e lontana, mentre cortine di rampicanti coprono
la vista delle cinque torri che si levano tutt’attorno.
Daltar, il giovane giardiniere, sorride soddisfatto:
ha appena completato un innesto. Ora una splendida corolla di mophysis
dai grandi petali screziati di rosso e di giallo fa capolino sul maestoso
tronco ritorto di un dolybrium.
Riposto il bisturi, Daltar passa delicatamente le sue
dita verdine sul punto dell’innesto, e le tiene come per infondere la sua
vitalità nei tessuti uniti contro natura. Sa che il prezzo di tanta
bellezza è alto: le piante soffrono per la violenza dei tagli, per
le unioni innaturali, per la miscela di linfe estranee. Lo consola l’idea
che, passato quel momento, anche loro godranno dell’ammirazione di occhi
umani, e ne beneficeranno per crescere nella loro nuova vita da chimere.
Da parte sua, Daltar insegue un sogno: un giorno riuscirà
a plasmare le piante senza la violenza dei tagli, e creerà nuove
forme di bellezza finora solo immaginate agendo con la sua volontà
sullo sviluppo fin dal seme.
Purtroppo, da qualche settimana il giardino vede solo
due presenze umane: lui stesso, e il principe Phobos.
D’improvviso avverte una sensazione sempre più
forte: qualcuno lo sta cercando. Si guarda attorno.
Esce dal folto della macchia, mentre una cortina di rampicanti
rossi si dischiude da sola davanti a lui.
Al di là, una guardia in uniforme verdazzurra
lo sta cercando, senza però osar alzare la voce a rompere la pace
di quello che ormai più di qualcuno chiama ‘Il giardino di Phobos’.
“Akhtrab. Cerchi me?”.
“Ehilà, Daltar. Sempre perso tra gli alberi!”,
risponde il soldato con il fiato di chi ha corso. “La Luce di Meridian
vuole parlarti”. Si guarda attorno. “Ha detto che puoi portare con te anche
tua figlia”.
“Liliel? E’ a casa”.
“Ti accompagno a prenderla”.
I due uomini si incamminano lungo un sentiero. Dopo pochi
passi, usciti dal folto, appare l’ala sud del cosiddetto anello pentagonale,
l’insieme di costruzioni basse e lineari che collega tra di loro le cinque
torri principali del palazzo.
Mentre attraversano un sottopassaggio che conduce al
giardino esterno, esteso su tutta la rupe su cui il palazzo affonda le
sue fondamenta, il soldato chiede: “Non porti più la tua figlioletta
al lavoro con te?”.
Daltar scuote il viso. “Anche volendo, non potrei. Gli
ultimi ordini del principe Phobos sono stati tassativi: il giardino è
riservato alla famiglia reale”. Con amarezza, conclude: “Io stesso posso
entrarvi solo per motivi di servizio, e mai dopo il tramonto”.
Emersi all’esterno, Akhtrab si guarda attorno. Tra le
fronde degli alberi si riescono a cogliere degli scorci della campagna
circostante e, in distanza, la grande costruzione tronco-cronica del Palazzo
dei Veglianti. Da tempi immemori, il giardino è sempre stato accessibile
anche al personale e ai visitatori, con poche limitazioni di luogo e orario;
ora, invece, le Guardie di Palazzo sono costrette a far rispettare malvolentieri
un divieto che colpisce anche loro stessi.
Costeggiando il muro esterno verso la Torre Sud, si giunge
in pochi passi ad una casa di legno e pietra in stile contadino, che si
appoggia alle pareti lisce di granito saldato del palazzo.
Davanti alla casa c’è uno spiazzo, immerso nel
bosco lussureggiante. Salta all’occhio una donna giovane che, come Daltar,
ha la pelle verdina e una mascherina rossa come dipinta attorno agli occhi.
I capelli biondi e lunghi attirano subito lo sguardo
del soldato. “Buongiorno Antelior!” le dice con il suo sorriso migliore,
guardandola come se fosse affascinato dall’atto quotidiano di mettere ad
asciugare il bucato.
“Cercavi mia figlia, o mia moglie?” gli chiede il giardiniere
alzando un sopracciglio. Ammicca verso una bambina che dondola con aria
annoiata su un’altalena.
La piccola, sorpresa, spalanca gli occhi cerchiati di
rosso. “Davvero cerchi me?”.
“Sì, piccola” risponde Akhtrab, “La Luce di Meridian
mi ha mandato a chiamare tuo padre, e sarebbe felice di vedere anche te”.
La bimba scende dall’altalena. “Ma perché non
ci lascia più andare in giardino? Lo vuole tutto per sé?”.
Il soldato, imbarazzato, le risponde: “E’ un ordine del
principe Phobos”. Poi, con un gesto, la invita: “Andiamo?”, e si incammina
verso la stessa strada che hanno fatto per arrivare lì.
“Dove vai?” lo richiama Daltar senza seguirlo, “Non dovremmo
passare per i corridoi interni del palazzo?”.
Akhtrab si volta, senza fermarsi. “Siete stati chiamati
dalla Regina, quindi è un motivo di servizio”. Fa l’occhiolino alla
bambina. “Vieni a farti due passi in giardino!”.
Mentre attraversano nuovamente il sottopassaggio, Daltar
dice, tenendo la figliola per mano: “Sono parecchie settimane che non vedo
più la Regina in giardino. Solo il Principe Phobos”.
Il soldato annuisce. “Lei esce poco dalla sua camera.
Tra la gravidanza e la vecchiaia, le mancano le forze”. Emerso alla
luce del giardino interno, annusa l’aria dai mille profumi. “Sei un uomo
fortunato, Daltar, a lavorare in questo paradiso”. Si dirige verso un sentiero
sulla sinistra.
Il giardiniere lo riprende: “Akhtrab, non è quella
la via più breve”.
“Io dico di sì. E tu, Liliel?” chiede, ammiccando
alla bambina con aria complice.
Seguendo sentieri contorti e meravigliosi, i tre raggiungono
infine la breve scalinata di accesso della torre nordest, il cui granito
candido brilla anche nell’ombra degli alberi altissimi. Akhtrab fa strada
con un ultimo sguardo di rimpianto verso il giardino che, teme, gli sarà
precluso fino alla prossima occasione.
Appena mette i piedi nell’atrio della torre nota, con
una fitta di preoccupazione, che i tre soldati di guardia sono impegnati
a parlare con il comandante Alborn.
L’ufficiale si volta verso di lui. “Akhtrab…”.
Il soldato scatta sull’attenti con colpevole deferenza.
“Comandante…”.
“Sbaglio, o hai approfittato del tuo incarico per gironzolare
venti minuti per il giardino?”.
“Comandante… ho dovuto cercare…”.
“Risparmiati le giustificazioni, soldato. Qui a palazzo
servono poco. Lo sai che abbiamo dovuto sbattere in guardina un valletto
ed una inserviente che avevano ignorato il divieto, e si sono imbattuti
proprio nel Principe Phobos?”.
Akhtrab tace, impressionato da tanta sfortuna.
“E che, per ordine del Principe, le guardie che li hanno
lasciati passare sono ancora in cella, a far loro compagnia?”.
Il soldato si stringe nelle spalle, contrito. “Non volevo…”.
“E alla fine, lo sai che stai facendo aspettare la Luce
di Meridian?”. Il comandante lascia passare qualche secondo di silenzio
pesante. Poi: “Per questa volta passi, Akhtrab. Che non si ripeta!”.
Il soldato, umiliato, si congeda con un inchino, poi
inizia a salire lo scalone circolare tenendo gli occhi bassi.
Daltar lo segue imbarazzato, accennando un inchino all’ufficiale
e tenendo per mano sua figlia.
Dopo due rampe di scale di granito lucido, il giardiniere
tenta di rompere il silenzio: “Perché non prendiamo la piastra di
teletrasporto?” propone indicando un disco bianco, presente sul pavimento
ad ogni piano.
Il soldato scuote il viso. “Non si può più”.
Osserva di sottecchi l’espressione stupita del giardiniere, e spiega: “Purtroppo
le cure della Regina assorbono parecchia energia magica”.
“Andiamo piano” ansima la bambina dopo sei rampe di scale,
tirando la mano del suo papà. Si guarda in giro mentre riprende
fiato: è la prima volta che sale ai piani superiori della torre
nordest. Osserva le porte ben rifinite, laccate di diversi toni di verde,
azzurro ed oro. Come il giardino, anche l’interno del palazzo non è
affatto ripetitivo: non ci sono due piani che siano uguali, come non ci
sono due porte o due finestre che lo siano. Come tutto e tutti in questa
città, anche l’interno dello splendido palazzo è un monumento
alla disomogeneità. “Papà, chi abita qui?”, chiede.
“Questi sarebbero gli appartamenti degli ospiti e della
famiglia reale. Però ora sono abitati solo due piani: il penultimo,
dal Principe Phobos, e l’ultimo, dalla Regina”.
La bambina stringe di più la mano del padre, intuendo
vagamente un passato lontano in cui da quelle porte uscivano uomini e donne
dalla nobile pelle rosata, sempre nel fiore degli anni, vestiti con eleganza,
circondati da aure di potere magico che li facevano assomigliare agli Dei.
Mentre ora… “Papà, questo posto è triste!”.
“Shhh”.
L’ancella Lidrienel apre la porta, accogliendo il giardiniere
con un largo sorriso. “Ben arrivato, Daltar”. Ha sempre avuto un debole
per quel giovanotto dalla fronte alta e dalla elegante mascherina rossa
sugli occhi.
Lui spinge avanti la bambina, e risponde, cortese e un
po’ distaccato: “Grazie. Scusate se vi ho fatto aspettare”. Non vuole darle
illusioni: la sua Antelior è una bellezza troppo rara per sentire
il bisogno di avventure.
Nell’anticamera, la regina li attende seduta su un divano,
in un comodo vestito da camera dalla sontuosa stoffa rossa e gialla che
fa risaltare ancora di più il suo pallore. I suoi occhi gentili
hanno un lieve bagliore di gioia quando vede la bambina. “Ciaoo, tesoro!
Vieni qui!”.
La bimba si fa avanti timidamente. “Regina, come mai
non vieni più in giardino?”.
“Vorrei tanto, ma esco poco da qui” risponde lei sorridendo,
poi si passa la mano sul ventre arrotondato. “La prossima Luce di Meridian
ha già cominciato a darmi i suoi ordini”.
“Allora non sarà il principe Phobos a comandare?”
chiede la bimba con un aperto tono di speranza.
“Per un po’, credo di sì” risponde Adariel, “Ma
poi, quando la mia Elyon crescerà, diventerà una regina proprio
come me”.
“Non vedo l’ora!” esclama entusiasta Liliel, “Il principe
Phobos è proprio cattivo!”.
“Come?” allibisce la Luce.
“Perché non lascia più che… ahi!”. La bambina
guarda con sorpresa inorridita la mano di suo padre, stretta come una morsa
su una sua spalla.
“Liliel, basta così! Taci!”. Daltar la sposta
in disparte. “Altezza, scusatela, è piccola!”.
Lei scoppia a piangere a dirotto. “Cattivo! Cattivo!”.
Il giardiniere fa per spingerla via, ma la Regina lo
ferma. “Daltar, ti prego, voglio parlarle!”. Chiama a sé con un
gesto la bimba piangente. “Tesoro, con me puoi parlare liberamente. Cosa
stavi per dire?”.
Liliel tira su di naso, continuando a singhiozzare. “Il
principe Phobos è cattivo! Non lascia più che la gente venga
in giardino. Noi dobbiamo passare tutta la giornata davanti a casa ad annoiarci,
o ci farà chiudere in prigione come gli altri!”.
Adariel, sconvolta, stringe la bambina a sé, bagnando
il prezioso vestito con le sue lacrime amare. “Povero tesoro!”. Poi alza
gli occhi verso Daltar. “Ma è vero?”.
Lui si stringe nelle spalle, imbarazzato. “Altezza… sì.
Per ordine del Principe Phobos, il giardino è riservato alla famiglia
reale e chiuso a tutti gli altri, salvo che per sevizio. Ma... non sta
a noi criticarlo”.
Lei scuote il viso. “Lo scopro solo adesso”.
La bimba la guarda speranzosa. “Non puoi dire al Principe
Phobos di lasciar entrare la gente nel giardino? Sei ancora tu la Luce
di Meridian?”.
Adariel cerca di soffocare l’amarezza: debole e malata,
è anche esclusa dalle decisioni, e la sua telepatia si è
indebolita ad un livello senza precedenti. “Tesoro, io presto non ci sarò
più. Non so davvero se ho ancora il potere di oppormi. Ma, se anche
ci riuscissi, le cose tornerebbero come ora entro pochi mesi”. Le alza
il viso, guardandola negli occhi. “Ascoltami, non chiamare cattivo il tuo
papà. Lui si preoccupa per te”. La stringe, facendola guardare verso
il giardino. “Sta per arrivare un brutto periodo, come un vento forte forte,
che durerà molti anni. Quando il vento è molto forte, cosa
può succedere agli alberi grandi e rigidi?”.
La bimba la guarda interrogativa e tace, cercando di
indovinare la risposta.
“Potrebbero spezzarsi”, riprende la Regina. “Perdere
dei rami, schiantarsi, essere sradicati”.
La bambina la fissa incredula: nella sua breve esperienza
di questo mondo, nessun vento era mai riuscito a fare più che sollevare
le foglie secche.
Adariel continua: “Lo sai, invece, cosa fanno le canne?
Piegano la testa, anche fino a terra, se serve. Sanno che il vento è
più forte di loro. Ma quando sarà finito, loro potranno tornare
ad alzare la loro testa, libere e soprattutto… vive”.
Liliel continua a tacere, senza capire dove il discorso
della regina voglia arrivare.
“Tesoro, fidati del tuo papà. Lui può capire,
e un giorno capirai anche tu”. Poi sorride, passando ad un tono leggero.
“Sai che bel panorama si vede dalla mia terrazza? Adesso Lidrienel ti farà
vedere”.
La bimba annuisce, mentre l’ancella le sorride incoraggiante,
facendole un cenno d’invito verso il balcone.
Adariel e Daltar restano a quattr’occhi.
“Altezza, chiedo perdono…”.
“Non importa, caro Daltar. La bambina ha le sue ragioni.
Non parliamone più”.
“Come volete. Posso fare qualcosa per servirvi?”.
“Si, grazie. Ti prego di portarmi qualche bella pianta
per il mio balcone. Anche a me mancano molto i momenti di svago nel giardino”.
“Certamente, Altezza. Avete delle preferenze?”.
“Mi fiderò della tua scelta”. Con un’aria esageratamente
casuale, la regina allunga la mano verso una scatoletta di latta smaltata
a motivi floreali. “Ah… a proposito… già che vai giù, ehm,
potresti riempirmi questa di polline di konnestras?”.
Il giardiniere cerca di non mostrare il suo stupore.
“Ai vostri ordini, Altezza. Ma… per la vostra gravidanza…”.
Lei lo previene: “Non preoccuparti, Daltar, so bene cosa
aspettarmi da quel polline. In fondo ho quasi trecento anni”. Con un sorriso
di circostanza, aggiunge: “Ah, non è opportuno che tu lo dica in
giro… soprattutto al Principe Phobos. Tienilo solo per te”.
Lui si china. “Sia fatta la vostra volontà, Altezza”.
Poco dopo, accompagnando sua figlia a casa lungo i corridoi
dell’anello pentagonale, Daltar riflette, turbato. Il polline che la regina
ha richiesto ha proprietà psicoattive: in piccolissime quantità
ha un effetto vagamente rasserenante del quale è difficile fare
a meno, una volta provato. In quantità maggiori diventa una droga
che propizia grandi poteri magici, ma annebbia la lucidità, e potrebbe
dare una spinta verso la strada della follia.
In altri tempi, avrebbe pensato che la Regina intendesse
preparare scorte di qualche farmaco. Ora, invece, lei è indebolita
in tutti i sensi; non è assurdo pensare che possa usare il polline
come una via di fuga dalla realtà. Questo potrebbe abbreviarle la
vita e, peggio, nuocere alla creatura che porta in grembo.
Soprappensiero, escono dalla torre sud fin nel giardino,
recandosi a casa per la via più breve.
La bella Antelior li attende in cortile, e nota che la
sua bambina ha uno sguardo turbato.
“Va tutto bene? Cosa voleva la Regina?”.
Liliel risponde, grave: “Ha detto che arriverà
una tempesta che romperà tutti gli alberi del giardino”.
Meridian, palazzo reale, quella notte
Notte. Solo poche guardie sonnacchiose pattugliano i corridoi
semibui del palazzo, illuminati fiocamente dalle lanterne a olio e dal
chiarore che penetra dalle finestre.
Ogni notte, da due secoli, migliaia di corolle luminescenti
brillano nel giardino interno, rivaleggiando con le stelle e le due lune
che ornano il cielo del Metamondo.
Chi entra in questa oasi proibita può sentire
sulla pelle una vibrazione, come il canto di diecimila fiori, come l’inno
di alberi immensi che si levano a nascondere il cielo e rimpiazzarlo con
i tenui bagliori dei loro germogli.
Mille profumi fanno a gara per tingere di sé l’aria.
Inoltrandosi verso il centro di quel paradiso di perfezione,
oltre le folte cortine di rampicanti rossi e verdi, al canto silenzioso
si sovrappone il sommesso scroscio di una cascatella che sgorga da una
bassa rupe ammantata di muschio.
Il Principe Phobos, alto e solenne nella sua lunga veste
turchese, si avvicina lentamente alla pozza nel cuore del giardino. Osserva
la sua superficie riflettere, tremolante, il firmamento di corolle sovrastanti.
Viene sempre qui, ogni sera. La bellezza di questo giardino
e delle energie misteriose che vi aleggiano è sempre riuscita ad
avere la meglio su ogni sua stanchezza, su ogni sua amarezza.
Anche stasera il miracolo si ripeterà, anche stasera
gli renderà le energie messe a dura prova dalla giornata di riunioni
ufficiali e decisioni politiche, in vista della sua parte più importante:
la notte, destinata alla crescita della sua magia, che lo aiuterà
a rifulgere come primo Re della sua dinastia.
Respira a fondo il profumo inebriante dei fiori di konnestras,
e resta immobile a lungo, con gli occhi persi nei lucori sempre diversi
di quel luogo magico.
Alcune corolle si sono affievolite, mentre altre cominciano
lentamente a rilucere di colori nuovi, aggiungendosi alla silenziosa sinfonia
visiva, musicata solo dal suono sommesso e ipnotico dell’acqua.
Ad un suo gesto, la cascatella comincia dall’alto ad
illuminarsi di una fosforescenza verdina che raggiunge la pozza e vi si
diffonde con mille lentissimi vortici fluttuanti, finché il luccichio
dell’acqua, interrotto solo dalla sagoma delle ninfee, sovrasta tutti i
riflessi.
Con pochi gesti misurati, Phobos si slaccia i suoi paramenti
principeschi, lasciandoli cadere sull’erba soffice della riva.
Lentissimo, passo dopo passo, s’inoltra nella pozza,
immergendosi fino alla vita.
Quando si lascia andare all’indietro, la sua sagoma spicca
come un’ombra che galleggia sull’acqua luminosa, poi le ninfee si stringono
attorno a lui.
Chiude gli occhi, e sente l’energia di quella sorgente
entrargli dentro attraverso la pelle, risalire le sue vene fino a pervadergli
corpo e mente, lenendo ogni debolezza.
Ora il dolcissimo profumo di quei fiori sommerge ogni
amarezza. Quei discreti bagliori floreali illuminano le sue visioni. La
sua rinnovata decisione delinea il suo futuro.
Madre, io non credo alla tua sinistra profezia. Io
non mi rassegnerò a ciò che tu credi inevitabile. Costruirò
il mio avvenire con la mia volontà.
Riapre gli occhi, sicuro di sé. L’energia di quel
bagno gli brucia nelle vene. Ora è pronto a fare un nuovo passo
sulla via del potere.
Si rimette in piedi ed esce lentamente dalla pozza,
facendosi largo tra le ninfee e raccogliendo nelle mani a coppa un po’
di quell’acqua prodigiosa.
Torna sulla riva muscosa, solenne nella sua nudità,
con una luce d’esaltazione negli occhi.
Si avvicina ad una splendida pianta con un unico fiore
candido e grandi foglie affusolate, screziate di verde scuro. Apre le mani,
lasciandovi cadere gocce fosforescenti, e pronuncia parole arcane e inudibili.
Lentamente, la pianta sembra mutare: tratti umani si
disegnano sul suo gambo; le foglie paiono dividersi in dita, strozzarsi
in polsi, piegarsi in gomiti; due occhi immobili sembrano ricambiare lo
sguardo orgoglioso del loro creatore.
Le sue dita sfiorano la corolla candida.
Lentamente come erano apparsi, questi tratti svaniscono,
sfumandosi nella bellezza sobria delle foglie.
Un sorriso di trionfo biancheggia sul viso di Phobos:
la sua magia ha appena fatto un nuovo progresso. Presto riuscirà
a dominare la natura, a dare forma ad esseri di una perfezione mai vista
prima.
Presto sarà anche lui un Dio.
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Capitolo 5 *** La villa sul promontorio ***
5-la villa sul promontorio
Ad personam:
Carissime Silen, Melisanna, Atlantislux: vi ringrazio di cuore
per la vostra attenzione e i vostri bellissimi commenti. Anche questa volta
risponderò collettivamente.
Io adoro caratterizzare i personaggi secondari; in questo caso per
me c'era la molla emotiva della loro tragica storia, solo accennata nel
fumetto, e che meriterebbe un racconto a sé. Mi è piaciuta
poi l'idea dell'ingenuità della piccola Liliel che la porta ad interpretare
in modo letterale la metafora della regina.
Al bellissimo giardino di Phobos il fumetto dedica diversi disegni,
però non chiarisce dove sia collocato, visto che rappresenta il
palazzo come un grappolo di sei o sette torri sbucanti da un'erta rupe
rocciosa. Addirittura un fanwriter lo ha interpretato come alloggiato in
un locale sotterraneo, però questo creerebbe qualche problema di
fotosintesi alle piante. Niente che non si risolva con qualche escamotage
magico...
Nel mio racconto, l'anello pentagonale di ali basse che collega
le cinque torri più grandi racchiude la parte più significativa
e privata del giardino, ma questo deve estendersi anche all'esterno visto
che in Witch n.8- Le rose nere di Meridian- Will si trova a contatto con
la siepe senza essersi resa conto di essersi avvicinata tanto al palazzo.
Se la funzione del precedente capitolo nella trama era quella di
rappresentare il lento deterioramento della situazione, il presente capitolo
invece introduce due personaggi importanti: Miriadel, che sarà la
madre adottiva di Elyon, e Jonatludr.
Nel fumetto, Miriadel appare, in versione metamondese, come
una donna dalla pelle verdina e dai capelli blu-verdastri raccolti in treccine;
alla fine della prima serie afferma di essere un capitano dell'esercito.
Però, siccome non ce la vedo a roteare uno spadone, mi sembra più
plausibile che non avesse detto tutto: io la vedo, piuttosto, come un capitano
dei servizi segreti che ha già esperienza di vita sulla Terra.
Come madre adottiva di Elyon, il fumetto ce la mostra con il volto
di una donna relativamente giovane dai capelli rosso carota, Eleanor
Portrait; però questo non è il nome né l'aspetto
che le ho attribuito in questo racconto, dove presta servizio alla libreria
come Eleanor Brown; se avesse mantenuto tale identità dopo
la fuga finale, però, avrebbe reso più facile rintracciarla
agli uomini di Phobos.
Jonatludr, il bistrattato maghetto, è colui che nella
quinta serie di Witch diventerà il villain di turno come Jonathan
Ludmoore, l'antico alchimista che agisce dall'interno di un libro magico
di cui è rimasto prigioniero. Non ho resistito alla tentazione di
dare un passato anche a questo personaggio iniziando una sottotrama importante,
che mi ha anche aiutato a movimentare i lunghi mesi della gravidanza simulata
della regina Adariel.
Naturalmente la storia abbozzata dal fumetto non avrebbe senso se
Phobos e Jonathan Ludmoore non avessero avuto la possibilità di
viaggiare nel tempo, anche se non viene mai detto; ed ecco qui la mia versione
come e perché questo tipo di magia è stata sviluppata.
Il personaggio di Lord Luksas invece non sarà approfondito,
ora che è irreperibile: accompagnerà un po' il lavoro del
suo pupillo e successore Cedric come una nemesi, senza però mostrarsi
in prima persona. Per i suoi attributi questo personaggio potrebbe meritare
una saga a sé ma, visto che non esiste nel fumetto originale, non
so quanti avrebbero voglia di seguire una fanfiction di fanfiction.
Buona lettura
MaxT |
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Cap.5
La villa sul promontorio
“Che senso ha la cosiddetta ‘scienza terrestre’
in un mondo che ne è la negazione?”.
Principe Phobos Escanor
Promontorio a est di Heatherfield
La grande villa sulla scogliera emerge tra l’alta vegetazione
di un parco incolto. Le sue due torrette appuntite richiamano, in piccolo,
un edificio ancora più imponente di un altro mondo.
Tutt’attorno, il paesaggio presenta contrasti aspri ed
emozionanti: sulla sinistra, giù dalla scarpata, lo sciabordio delle
onde ricorda che il mare si estende dalla scogliera sottostante, fuori
vista, fino all’orizzonte, che da qui sembra ancora più lontano.
Sulla destra, i boschi digradano in distanza in un paesaggio
carsico, fino a trasformarsi in indistinti profili azzurrognoli su cui
a malapena si distinguono ciminiere lontane e sottili colonne di fumo.
E’ un posto indubbiamente interessante per una pittrice
di paesaggi, come quella signorina dai capelli neri e lisci che, dopo avere
arrancato in bicicletta sulla stradina in salita, ora ferma la sua cavalcatura
al margine della sterrata.
Scarica con prudenza il cavalletto telescopico e la valigetta
di legno pericolosamente in bilico sul portapacchi, e li mette in piedi
in una finzione di intenzione artistica.
I suoi pensieri, però, non si sono mai staccati
dalla villa.
Non c’è dubbio, pensa Miriadel tra sé,
villa
Ludmoore è proprio questa. Ora le serve solo una scusa per dare
un’occhiata al proprietario.
Dispiega il cavalletto, installandovi un cartone telato
sul quale traccia un abbozzo a matita: un’inquadratura suggestiva che cattura
la villa assieme allo strapiombo e all’orizzonte color turchese. Bene,
per le apparenze può bastare.
Apre la valigetta dei colori, stappa un flacone e lo
lascia cadere a terra con un gesto che vuole sembrare maldestro. Mentre
l’acqua che conteneva si svuota in una piccola pozzanghera, Miriadel finge
un gesto di disappunto a beneficio di eventuali osservatori, ma è
soddisfatta: ora ha una scusa per suonare alla villa.
Un grande cancello di ferro battuto le sbarra la strada.
Aprirlo non sarebbe un problema, ma non si tradirà nel farlo? Ma
no, può sempre fingere di averlo trovato solo accostato…
Basta un pensiero, e l’antico chiavistello si apre con
un rumore rugginoso.
Lei avanza lentamente nel sentiero del parco, imprimendosi
in mente ogni dettaglio.
Può essere pericoloso? Nessuno dei suoi
compagni sa dove lei si trova ora. Coraggio, Miriadel, hai affrontato
ben altri pericoli, sul Metamondo.
Esita davanti alla maestosa porta di quercia, poi scuote
il batacchio di una campanella di ottone. Troppo piano. Fatti animo...
Ripete il richiamo altre tre volte, con sempre più
insistenza.
Al quarto tentativo, qualcuno apre la porta. Dallo spiraglio,
una lama di luce illumina il viso infastidito di un giovane vestito con
una giacca elegante, ma spiegazzata, ed un ciuffo lungo sparato su con
un gel.
E’ proprio lui!. La giovane donna cerca di mascherare
il suo pensiero con un sorriso ingenuo: “Mi scusi, signore… posso avere
un po’ d’acqua, per piacere?”. Gli fa vedere il flacone svuotato. “Sa,
sono venuta sul promontorio per dipingere, e mi sono accorta di esserne
senza”.
L’uomo la guarda bene da capo a piedi con soste intermedie,
poi un sorriso spavaldo cancella l’espressione infastidita. “Ma certo!
Entri pure, signorina”.
Lei lo segue attraverso l’atrio dal raffinato gusto ottocentesco,
ricco di finiture in legni pregiati e marmo, ma coperto da una patina di
polvere che denota un lungo abbandono.
Lui deve avere intuito questi pensieri: “Sa, abito qui
da poco tempo… non ho ancora trovato una donna per le pulizie”.
“E’ difficile, al giorno d’oggi”, lo assolve Miriadel
con questa banalità, “E’ una casa molto bella, uno splendido soggetto
per un quadro”.
Passando vicino ad una porta semiaperta, lei si ferma
a guardare una grande sala, altissima, dalle pareti coperte da librerie
colme di volumi fino ad altezze impossibili. Al centro della stanza, su
un tavolone, libri antichi ed ingialliti fanno da contorno a quella che
sembra una grossa agenda dalla preziosa rilegatura rigida.
Lui torna indietro, richiudendo la porta. “Qui è
in disordine. Sto lavorando. La cucina è da questa parte”.
“Mi scusi”. Lo segue fino in cucina, attrezzata con stufe
a legna e a carbonella; un cestino stipato di involucri di cibi pronti
e scatolette di latta le fa capire qualcosa sulle abitudini culinarie dell’uomo.
“Non mi sono neanche presentata. Mi chiamo Eleanor Brown”.
Lui si volta a squadrarla, compiaciuto, mentre le riempie
il flacone da un rubinetto di ottone scurito dal tempo. Il suo sguardo
insiste un po’ troppo a lungo. “E io sono John Ludmoore. Lei si interessa
di architettura?”.
“Un po’ ”.
“Vuole visitare la casa? Quelle parti che non sono troppo
in disordine?”.
Lei fa una faccia estasiata. “Ci terrei moltissimo!”.
Forse è imprudente, ma al bisogno sa come difendersi.
“Venga pure”. Lui si incammina lungo il corridoio, verso
un salotto rivestito da insoliti cimeli: animali impagliati; stampe di
edifici misteriosi con annotazioni scritte in una lingua a lei sconosciuta;
quadri astratti coperti da sorprendenti patine scure che li fanno retrodatare
di secoli.
“Sono tornato nella villa in cui visse un mio avo, il
grande alchimista Jonathan Ludmoore”. Si ferma davanti ad un grande
ritratto che domina dall’alto il salotto.
Miriadel, alias Eleanor Brown, osserva il personaggio
dipinto: un bell’uomo dalla postura spavalda e lo sguardo arrogante. “Le
assomiglia molto, John. Anzi, sembra proprio lei con vent’anni di più”.
“Me lo dicono tutti”, annuisce compiaciuto il giovane.
“Di cosa si occupava?” chiede lei facendo l’ingenua,
“Di trasformare il piombo in oro?”.
La risata di John la smentisce. “Si interessava di tante
cose: dei poteri della natura, dello spazio, del tempo, della mente, ma
non di questa baggianata da Uncle Scrooge”.
“Affascinante” commenta lei, realmente interessata.
“Jonathan visse qui circa vent’anni, poi scomparve in
circostanze ammantate di leggenda” dice lui con enfasi, “Ma non la annoierò
raccontandogliele”.
“Nessuna noia! Mi interessa moltissimo!”.
Lui la osserva compiaciuto: sente di avere fatto colpo.
“Andiamo a vedere i piani superiori”.
Miriadel aggrotta le sopracciglia: la situazione rischia
di complicarsi. “Restiamo qui, c’è tanto da vedere. Cosa diceva
di quelle leggende?”.
John la guarda con ancora più insistenza. Per
un attimo, lei ha l’impressione che le sue pupille diventino luminose.
“Andiamo su, ho detto!”.
Miriadel ne è certa: sta cercando di ipnotizzarla,
ma è maldestro, ed il suo potere non è gran ché. Potrebbe
soggiogare un sempliciotto o un terrestre, non una agente di elite dei
servizi segreti di Meridian.
Lei distoglie lo sguardo. “Ho lasciato la bicicletta
ed il cavalletto incustoditi!!!” esclama come se se ne fosse ricordata
in quel momento, “Le chiedo scusa”, poi si dirige verso l’ingresso.
Lui resta perplesso un attimo: credeva di avere già
in pugno quella terrestre sprovveduta, invece ora non può fare altro
che accompagnarla alla porta. “Se vuole, può portare tutto nel parco…
non le piacerebbe dipingere la facciata della villa?”.
“Un’altra volta, grazie. Ho già abbozzato un disegno”.
Facendola uscire dalla casa, gli viene un dubbio: “Ma
come ha fatto a superare il cancello?”.
“Era solo accostato” risponde lei, con un ultimo sorriso
di circostanza. “La ringrazio moltissimo, ma devo dipingere prima che cambi
la luce. Forse tornerò a trovarla”.
Uscita dalla villa, Miriadel si dirige con passo studiatamente
calmo verso le sue cose oltre la cancellata. E’ ancora tutto come lo ha
lasciato, ovviamente: su questo promontorio non passa molta gente.
Mentre inizia a dipingere frettolosamente con le tempere,
tanto per mantenere la sua finzione, i pensieri che le turbinano davvero
in mente sono ben altri.
Lo ha riconosciuto subito: John Ludmoore in realtà
è Jonatludr di Meridian, un giovane mago tutt’altro che raccomandabile.
Gli mancano le sue striature verdastre sulla pelle e le orecchie a punta,
ma per molti abitanti del suo mondo il controllo del loro aspetto è
una abilità di base.
Nato dai trastulli del principe Findric, morto ormai
da tredici anni, con una avvenente ancella dalla pelle verdina, Jonatludr
avrebbe voluto essere considerato un membro della famiglia reale, ma non
ne ha le caratteristiche innate: né l’aspetto, né i poteri.
Anziché accontentarsi di un buon posto a palazzo
come guardia o funzionario, come capita spesso in questi casi, lui si mise
in testa di accrescere i suoi poteri con pratiche spiritistiche pericolose
e vietate. Fu indagato, ammonito, condannato; il principe Phobos fu incaricato
dalla Regina di cancellargli tutti i ricordi e le conoscenze inquietanti.
La stessa Miriadel prese parte alle indagini: fu uno
dei suoi primi casi.
Fino ad oggi, ha creduto che il giovane avesse lasciato
la capitale in cerca di riscatto in qualche altra città del Metamondo;
ed invece, eccolo qui sulla Terra, sotto la sottile protezione di una falsa
identità.
Non la ha riconosciuta, ne è sicura, né
ha tentato di leggerle il pensiero. Però, forse si è insospettito
quando non è riuscito ad ipnotizzarla.
Forse lei avrebbe dovuto concedersi per sapere di più
dei suoi segreti, ma poi chi avrebbe sentito suo marito Alborn? E’ così
geloso… questa sua possessività è una vera palla al piede
per lei, stella nascente dei servizi segreti di Meridian.
Quel che è certo è che Jonatludr non è
diventato una brava persona: tentare di sedurre una donna con l’ipnosi
è un atto meschino.
Ma cosa fa costui sulla Terra? E poi, se Jonatludr è
l’attuale John Ludmoore, chi era il Jonathan Ludmoore che occupò
la casa centosessanta anni prima? La somiglianza del quadro e l’assonanza
dei nomi sono un semplice caso, o c’è una spiegazione che lei non
riesce neppure ad immaginare?
Ripensa al ritaglio dell’Heatherfield Daily che ha attirato
la sua attenzione su quella villa: riportava voci di centosessant’anni
prima relative all’apparizione di demoni verdi e misteriosi effetti pirotecnici.
Tutte queste voci possono richiamare abitanti e magie di Meridian, deformate
dalla fantasia di qualche terrestre ignorante.
Miriadel ripone le sue attrezzature ed il suo abbozzo
di quadro, ancora fresco di tempera, nel raccoglitore: tanto stava venendo
una schifezza. Ha ben altro da fare, ora.
Inforca la bicicletta sovraccarica, scendendo con prudenza
la stradina sconnessa che porta alla provinciale per la città.
Heatherfield, davanti alla libreria “Ye Olde Bookshop”.
Arrivando sudata ed impolverata davanti al Ye Olde Bookshop,
ha la sorpresa di trovare il negozio già aperto: Cedric deve essere
arrivato prima del tempo.
Infatti, appena varcata la soglia, lo vede dietro il
banco.
“Ehilà, Eleanor. Dove sei stata?”.
“Ho novità, Cedric”. Si guarda attorno: non c’è
nessun altro all’interno. “Possiamo parlare liberamente?”.
“Sì”.
“Ho incontrato Jonatludr, è il nuovo inquilino
di villa Ludmoore”. Gli sventola il ritaglio sotto gli occhiali. “Si fa
chiamare John Ludmoore, ed è identico all’alchimista di centosessant’anni
fa”.
Cedric tace, mentre afferra il foglietto dalle mani concitate
di questa versione terrestre di Miriadel e lo mette a fuoco attraverso
i suoi finti occhialini da presbite.
Lei continua: “E cosa mi dici delle leggende? Diavoli
verdi, luci…”.
Lui finisce di leggere, lasciandola per un minuto in
sospeso. “Lo riferirò al Principe Phobos”, conclude.
Miriadel resta stupita. “Direttamente a Phobos? Non a
Lord Luksas?”.
Cedric risponde, impassibile: “Stavo per dirtelo: anch’io
ho una novità. Il comandante, Lord Luksas, è stato destituito
ieri”.
Lei è sempre più incredula. “Sostituito…
Ma perché?”.
“Non lo so. Per decisione di Phobos, immagino”. Dopo
una pausa, continua: “Ora sono io il capo dei servizi segreti”.
Dopo un attimo di sbalordimento, lei si sforza di riprendere
un’espressione intelligente e annuisce, grave. “Ora sei il mio comandante,
allora. Resterai a fare il libraio qui a Heatherfield?”.
Lui fa spallucce. “Dipende. Dovrò supervisionare
anche altri settori”.
“Capisco” fa lei di malumore. Qualche anno di carriera
in più, e anche lei avrebbe potuto aspirare a quell’incarico.
“Seconda novità, Miriadel: lascia perdere questo
Jonatludr, per ora. Dobbiamo rintracciare un pesce molto più grosso,
fuggito sulla Terra con tutta la famiglia”.
Lei aggrotta le sopracciglia. “E sarebbe?”.
“L’ex comandante, Lord Luksas”.
Meridian, torre Nord, laboratorio del palazzo
Anche questa sera, dopo essersi ritemprato a lungo nella
pace surreale del giardino, il principe Phobos si materializza direttamente
nel suo laboratorio all’ultimo piano della torre Nord. Il grande
stanzone circolare è immerso nella penombra, rotta dalla bioluminescenza
delle chiome dei suoi alberi e dal riverbero di una luna al primo quarto.
In risposta ad un suo comando inespresso, i tendoni pesanti
si chiudono, poi la luce brillante di alcuni faretti inonda lo stanzone
un po’ disordinato. Due grandi tavoli mostrano alambicchi e fornelli che
non stonerebbero in un laboratorio di alchimia. Alle pareti, otto grandi
specchi deformanti rimandano immagini grottesche. Vicino alla porta del
vano scale, al centro del locale, c’è una specie di salottino spartano
con un divanetto, un tavolino e due poltrone. Nelle vetrinette, teste di
bronzo e di legno, monili e ciondoli fanno compagnia a libri e a flaconi
etichettati con gli antichi caratteri di Meridian o con quelli, ancora
più arcani, della Terra.
Phobos si siede dietro un’enorme scrivania, aprendo un
volume antico e pesante dalla copertina istoriata.
Un pensiero si insinua tra le sue riflessioni: ‘Principe
Phobos, sono Jonatludr. Ho bisogno di vedervi’.
Phobos si acciglia: avrebbe altri programmi per questa
sera. Ma se ha affidato un incarico delicatissimo e segreto proprio a lui
è perché sa che è il predestinato per riuscirvi, nonostante
la sua indisciplina ed i suoi limiti. Certo, gli dà fastidio la
spacconeria di questo giovanotto che cerca di prendersi confidenze
come se fosse un parente. Forse i suoi genitori sopporterebbero ciò:
sua madre Adariel tratta perfino la servitù con la cortesia che
andrebbe riservata a personaggi ben più potenti, tant’è vero
che molti nobili e dignitari in visita si risentono, dentro di sé,
quando se ne rendono conto.
La voce dentro la testa ribadisce: ‘Principe Phobos,
ho…’.
‘Ho capito, Jonatludr. Raggiungimi nel locale dell’altra
volta’.
Quando percepisce la presenza dell’altro dietro la porta,
il principe abbozza un gesto, e il battente si apre da solo.
Al di là, c’è il giovane Jonatludr, ancora
con la nocca alzata per bussare, e l’espressione spavalda già stampata
sul viso sotto l’assurdo ciuffo impomatato.
“Principe Phobos”, esordisce con fare troppo confidenziale.
Lui torce il viso: quel giovinastro non ha neanche più
le sue naturali striature verdi sul viso; a palazzo, questo aspetto equivale
a presentarsi come membro della famiglia reale. Perfino un personaggio
importante come Cedric ha il buon gusto di sovrapporre una mascherina
rossa al suo viso troppo terrestre, e l’intelligenza di capirlo da solo.
Lo accoglie gelidamente: “Jonatludr, non serve che ti
travesti davanti a me”,
Il giovane capisce l’antifona: in un istante, la sua
pelle torna screziata di verde, le sue orecchie si allungano e la sua spavalderia
si ridimensiona. “I miei rispetti, principe Phobos”.
“Sei sicuro che non ti abbiano visto?” chiede sospettoso
l’altro.
“Nessuno, Altezza. Ho i miei trucchi”. Sfoggia, con un
sorriso, un pendaglio romboidale di metallo smaltato.
Phobos si acciglia ancora di più: questo sbruffoncello
gli sta vantando come suo trucco il sigillo di teletrasporto che lui stesso
gli ha affidato! “Vieni a riferirmi un successo o un problema?”.
“Tutti e due, altezza”. Osa sorridere ancora. “Cominciando
dal successo…”.
“Prima il problema!”, lo interrompe Phobos.
“Come volete”, risponde l’altro, mentre la sua finzione
di agio è messa a dura prova. “Quest’oggi, a villa Ludmoore, ha
bussato una giovane dall’aspetto terrestre. Però, quando ho cercato
di soggiogarla per… proteggere il segreto, non ci sono riuscito”.
Phobos sorride sarcastico: “Macchè segreto, volevi
scopartela! Non osare mentire davanti a me!”.
Il mago china le spalle, contrito. “Sì, altezza.
Credo anche che abbia aperto un cancello senza avere la chiave. Ora mi
chiedevo: non può essere una di quelle… Guardiane della Muraglia?”.
Phobos si acciglia: un interessamento delle Guardiane
di Kandrakar sarebbe quanto mai inopportuno. “Era una asiatica?”.
Il mago esita prima di chiedere: “Cosa vuol dire?”.
“Capelli neri, occhi neri sottili e obliqui, non infossati;
orecchie tonde e grandi, zigomi larghi e tondi, pelle chiara e un po’ giallastra”.
“No”.
“Allora non era Yan Lin” conclude Phobos sollevato. “E’
la loro ultima guardiana ancora attiva, ne sono certo”.
“Si è presentata come Eleanor Brown, era…”.
“Allora è dei nostri”, lo interrompe con un ghigno
sarcastico: la donna che questo fesso ha tentato di plagiare è la
moglie del comandante della guardia di palazzo, un tipo notoriamente geloso.
“I nostri servizi segreti non ti daranno fastidio, ma sai cosa vuol dire,
se ti hanno riconosciuto?”, chiede con voce stranamente mielata.
“Cosa, Altezza?”.
“Che la tua copertura fa schifo! L’aspetto ed il nome
con cui ti presenti sono troppo simili a quelli veri, e praticamente identici
a quelli del tuo cosiddetto avo!”.
“Sono…”.
“Chiunque può ricollegarli: ieri sono stato io,
oggi una dei nostri, domani una guardiana o un giornalista”.
A Jonatludr tremano le mani. “Vedrò di prendere
ulteriori precauzioni, Altezza” dice con un tono in cui si mescolano umiliazione
e risentimento.
Phobos lo guarda a lungo, con disappunto. Se non sapesse
che lui è predestinato a riuscire, non gli avrebbe affidato neanche
i tarocchi. “E adesso, sentiamo del successo”.
Le spalle di Jonatludr si raddrizzano un po’. “Ebbene,
Altezza, ho fatto il primo esperimento di viaggio nel tempo”.
Ecco ciò che voleva sentire. “Davvero con successo?”.
“Credo di sì… ma devo completare una verifica.
Ho posto un bicchiere tra quattro specchi affacciati, ho nebulizzato l’acqua
magica, poi, mentre visualizzavo la soffitta della casa di dieci anni fa…”.
“Vieni al sodo! Con che risultati?”.
“Il bicchiere è scomparso… ma, per ora, non lo
ho ancora ritrovato, per quanto abbia cercato in tutta la soffitta”.
“Splendido!”, ironizza Phobos, “Hai risolto il problema
di come far sparire i bicchieri sporchi!”.
L’altro prende fiato. “Non credo di aver fallito. Magari
il bicchiere è arrivato, ma il precedente inquilino lo ha spostato
o rotto negli ultimi dieci anni”.
Phobos sbuffa: per essere predestinato al successo, Jonatludr
è proprio goffo. “Questo tuo esperimento è pensato male.
Tu devi inviare l’oggetto indietro di cinque minuti soltanto, nella stessa
stanza in cui ti trovi. Saprai se hai avuto successo ancora prima di farlo
davvero”.
Il mago esita. “Altezza, la Vostra idea è molto
razionale. L’avevo considerata anch’io, ma una cosa mi ha trattenuto: sulla
Terra, documentandomi, ho trovato un racconto di un certo Fredric Brown
con descritto un esperimento di questo genere…”.
“Ecco, lo vedi? Non avresti neanche dovuto sforzare la
fantasia!”.
“Ma il racconto finiva male”, riprende Jonatludr. “Lo
scienziato vide prima apparire l’oggetto, ma poi, al momento di rispedirlo
indietro nel tempo, volle provare a non farlo, per sua curiosità”.
“E cosa successe?”.
“L’oggetto rimase, ma tutto il resto dell’universo sparì”,
conclude con un’espressione preoccupata.
Phobos valuta a lungo questa possibilità, in silenzio,
e infine risponde: “Non preoccuparti, Jonatludr, è solo un racconto.
E poi, nessuno ti obbliga a agire come quello stolto personaggio. Fai l’esperimento
come si deve, e torna a riferirmi qualcosa di certo!”.
“Sarà fatto, altezza!”. Il mago si alza in piedi
e si produce in un inchino ossequioso, spargendo odore di gel dal suo ciuffo
eccentrico. Poi, prima di girarsi, riprende coraggio: “Se posso, Altezza:
quale sarà l’utilità di questa magia a cui attribuite tanta
importanza? Volete tornare nel passato per cambiare il presente a vostro
vantaggio?”.
Phobos scuote il viso. “Non ti hanno insegnato, a scuola,
che la linea temporale è unica? Ogni cosa fatta tornando nel passato
deve armonizzarsi con il presente. Per esempio: quella villa Ludmoore di
centosessanta anni non apparirà certo nel momento in cui tu
partirai per il tuo viaggio nel tempo”.
L’altro annuisce, dubbioso. “E così, quella storiella
paradossale per cui un viaggiatore del tempo può uccidere suo nonno
da bambino e-allora-chi-mai-lo-ha-messo-al-mondo?”
Phobos scrolla le sue spalle: “Quello è solo un
esperimento ideale: se ci provasse, non riuscirebbe ad ucciderlo, o scoprirebbe
che non è il suo vero nonno, o che ha già avuto figli”. Continua,
voltandosi verso una scansia su cui fanno mostra di sé anche
libri di fisica in inglese e in tedesco: “Un esperimento ideale è
solo una fantasia impossibile: come il minuscolo diavoletto di Maxwell
che apre la porta solo alle molecole che vanno in una direzione, o come
il disgraziato gatto di Schrodinger, che non sa neanche lui se è
vivo o morto finché gli sperimentatori non lo guardano per far collassare
la sua funzione d'onda”.
Il mago annuisce, sforzandosi nuovamente di darsi un
tono. “Conoscete anche la fisica terrestre, Altezza! Il secondo principio
della termodinamica, la meccanica quantistica…”.
Phobos annuisce, come amareggiato. “Trent’ anni fa, mia
madre me la fece studiare fino a farmela odiare”. Scuote il viso, disgustato.
“E’ una visione ottusa, ristretta. Le leggi di Newton sono buone poco più
che a descrivere la caduta delle mele dagli alberi”. Fa un ampio gesto
verso la finestra, e il tendone si spalanca, mostrando le altre torri del
palazzo stagliate con le finestre variamente illuminate contro il cielo
ormai buio. Attraverso le vetrate della torre Est, che ricorda una piccola
cattedrale tenuta su un’enorme mano, si può intravedere lo stesso
Trono di Luce, ormai vuoto. “Che senso ha la cosiddetta ‘scienza terrestre’
in un mondo che ne è la negazione?”.
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Capitolo 6 *** Il miraggio del trionfo ***
6- Il miraggio del trionfo
Ad personam:
Cara Solitaire, grazie per la tua interessante recensione
al capitolo 4. E' vero che Adariel ha pesantissime responsabilità
nella situazione che si è venuta a creare: in primo luogo di non
aver fatto tutto il possibile, a partire da duecentoerotti anni prima,
per mettere al mondo un'erede, anzi meglio, un plotone di eredi.
Adariel, nonostante la sua notevole cultura, è una persona
molto emotiva, un po' come Elyon. E comunque, la frittata ormai l'ha fatta,
ora sta cercando di rimediare prima di passare nel paradiso degli dèi
dove l'attende una comoda poltrona imbottita già riservatale dall'inizio
dei tempi.
I motivi per cui non vuole Phobos sul trono sono due: il fatto che
sia maschio, cosa già nota da cinquanta lunghi anni meridiani, e
la profezia, nota invece da soli tre anni.
Il ruolo che Adariel vedeva per Phobos, ai tempi di Nerissa, era
quello di principe ereditario, sposo di una regina Escanor che poi non
è arrivata.
Cara Silen, grazie per il tuo costante incoraggiamento. Qualche
volta non resisto alla tentazione di far vedere le cose da una prospettiva
un po' diversa dalla nostra, o di riportare i giudizi dei meridiani sulla
Terra e i suoi abitanti.
Jonatludr è un personaggio per alcuni aspetti notevole, per
altri aspetti patetico, per altri ancora dannatamente antipatico. Saprete
qualcosa di più su di lui nel seguito. Potrebbe meritare una storia
a sè, ma sarebbe tutta da scrivere, e, dato che non molti lo troveranno
simpatico, non sarebbe certo candidata a diventare un bestseller.
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua attenzione. Sì,
Phobos ha il suo stile, però si sta avvicinando il momento in cui
il suo desiderio di essere ammirato gli si rivolterà contro,
complice un po' di sfortuna e la coda di paglia proprio verso il già
citato magucolo. E, passo dopo passo, questo desiderio si trasformerà
proprio nel suo opposto. Mi è piaciuto molto potergli attribuire
queste citazioni della fisica terrestre, mi giravano in testa già
da un bel pezzo finchè mi è capitato il personaggio e l'occasione
giusta per metterle sulla pagina.
Miriadel è uno dei personaggi che preferisco: per poter svolgere
il ruolo che il destino le assegnerà ci vogliono capacitè
di adattamento e faccia tosta. Il pragmatismo è una caratteristica
che ho immaginato far parte della mentalità dei meridiani, con poche
eccezioni tra le quali cito Alborn, molto attaccato a questioni di forma
oltrechè alla sua avventurosa mogliettina.
Un nuovo personaggio che viene introdotto in questo capitolo è
Eliasdal: si tratta di Elias Van Dahl, il pittore di corte che,
nel quinto numero del fumetto, è stato imprigionato per ordine di
Phobos nel quadro dipinto da lui stesso.
Niente nel fumetto diceva che Jonatludr ed Eliasdal fossero fratelli
o che questi fossero i loro nomi originali, ma i due personaggi presentavano
un certo numero di punti comuni: erano entrambi meridiani di aspetto
terrestre, entrambi avevano viaggiato nel tempo, ed entrambi erano
stati degni per motivi diversi delle attenzioni di Phobos o dei suoi servizi
segreti. Così, credo di essere riuscito a combinare i due personaggi
ed il tema dei viaggi nel tempo in una sottotrama coerente, che dà
il suo piccolo contributo al precipitare della situazione a Meridian.
La Torre dei Veglianti e' apparsa in un vecchio numero speciale
di W.I.T.C.H.: Elyon, una vita da regina. E' sufficientemente lontana dal
palazzo reale perchè Elyon abbia bisogno di andarci in carrozza,
ed è dotata di un avveniristico ascensore telecinetico racchiuso
in un tubo trasparente. Anche un episodio di Profezie di prossima pubblicazione
è ambientato in quel luogo.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 6
Il miraggio del trionfo
“State per assistere ad un evento storico. Mai, prima
d’oggi, la magia del nostro mondo ha realizzato un viaggio nel tempo”.
Principe Phobos Escanor
Meridian, palazzo reale, ottavo mese dell’anno
Dal terrazzo della sua anticamera, la Luce di Meridian
guarda, una volta di più, verso il centro della città sottostante.
È una giornata quasi serena, velata di foschia, e l’orizzonte lontano
si perde in ombre azzurrine.
Frammenti di pensieri cupi e indistinti continuano a
giungerle da quei tetti così famigliari. Sapeva che quest’ombra
avrebbe avuto inizio, ma sperava che avrebbe risparmiato almeno i suoi
ultimi mesi di vita.
La voce di Lidrienel, l’ancella, interrompe quei momenti
di stasi: “Altezza, è arrivato Eliasdal”.
La debole luce di un sorriso torna sul viso di Adariel.
Il pittore di corte è un ritrattista sopraffino, capace di catturare
non solo la somiglianza fisica, ma anche la personalità e lo stato
d’animo del suo soggetto, e di trasferire un personaggio sulla tela con
un’espressività tale da far sembrare di potergli leggere il pensiero.
E’ un uomo buono, leale. Lei sa giudicare le persone,
meglio di chiunque altro avrebbe detto una volta, e si è sempre
sentita a suo agio a posare davanti al suo sguardo.
Tutt’altra cosa di suo fratello minore Jonatludr, sempre
inquieto e alla ricerca di riconoscimenti impossibili.
Adariel gli va incontro: “Elias…”.
Il pittore entra nell’anticamera con un inchino cortese.
E’ alto e magro, con un viso lungo e stretto sottolineato da un pizzetto
scuro. La sua pelle, rosata con striature verdine, denuncia la sua neanche
lontana parentela con la famiglia reale. “Altezza…”.
“Ben arrivato, Elias. Siediti pure”, dice, indicandogli
il divano di broccato verde e oro.
“Grazie, Luce”, risponde accomodandosi compostamente.
“Allora: questo sarà probabilmente il mio ultimo
ritratto, e lo vorrei dedicare a Elyon”. Per chiarire, si porta con tenerezza
la mano al grosso ventre. “Voglio che sia fatto sul terrazzo, con uno scorcio
della città come sfondo”.
Per un momento, gli occhi di Eliasdal sembrano inumidirsi
in un momento di commozione, ma poi annuisce. “Va bene, altezza”, risponde
con una voce che tradisce un’emozione intensa.
“Vorrei che fosse così”. Fa vedere con le mani
la grandezza di un comune foglio da disegno.
Il pittore è sorpreso. “Così piccolo?”.
“Sì, dovrà essere facile da trasportare.
Anzi, dovrà poter essere arrotolato senza danni”. Gli fa un sorriso
triste. “Conosco bene la tua abilità da miniaturista”.
“Come volete, Altezza. Ridurrò al minimo lo strato
di colore”. Non sta a lui capire i motivi di questa insolita richiesta.
“Quando volete, possiamo iniziare lo schizzo”, dice, aprendo la borsa che
ha portato con sé.
Poco dopo, la regina sta posando appoggiata alla balaustra,
con una mano alzata in segno di saluto e un sorriso non del tutto sereno.
Sullo sfondo, uno spesso strato di nuvole scure appesantisce l’orizzonte.
Eliasdal, seduto con un grosso blocco da disegno sulle
ginocchia, sta traguardandola con il pollice, a braccio teso, per prendere
le proporzioni, e comincia a tracciare le prime linee.
Adariel obietta: “Attento, il raccordo della spalla è
troppo alto”.
“Altezza, è solo il primo abbozzo. Abbiate fiducia
in me!”, risponde lui, cercando di dissimulare un po’ di nervosismo. Se
c’è un aspetto negativo nel ritrarre la Regina, è che anche
lei è una abile disegnatrice e, pur vedendo solo il verso del blocco,
riesce a percepire le linee tracciate come se fosse alle sue spalle, quindi
non manca mai di dire la sua.
“Va bene, va bene” fa lei, poi tace un po’ imbronciata.
Dopo un po’ la modella, irrequieta, ricomincia a parlare.
“Elias, cosa mi racconti di tua madre Odridel?”.
“Lei sta bene”, risponde lui quasi senza pensarci. “Si
è sposata, ed è contenta del suo nuovo marito Luduvik”.
“Nuovo?” fa Adariel stupita, “Ma non sono già
sposati da otto anni?”.
Il pittore risponde distrattamente: “Ah, sì, che
sciocco. Per me quello è sempre il nuovo marito”, e continua a tracciare
lo schizzo.
Dopo un po’ la regina torna a chiedere: “E tuo fratello
Jonatludr?”.
Con la medesima indifferenza, lui risponde: “Non lo vedo
da un mesetto. E’ sempre così misterioso…”.
Adariel percepisce la continuazione del suo pensiero:
‘Ci ha detto di essere in missione segreta sulla Terra per conto del principe
Phobos, quindi voi dovreste saperne più di me’.
Lei storce il viso: si vergogna ad ammettere che non
ha idea di come suo figlio abbia gestito il regno negli ultimi mesi. Però,
affidarsi a uno come Jonatludr…
“Altezza, vi prego, fate sempre la stessa espressione
di prima”.
D’improvviso, Adariel si irrigidisce: ha percepito una
voce maschile ben conosciuta arrivare dall’atrio.
Subito dopo Lidrienel le viene incontro con gli occhi
spalancati dall’emozione. “Altezza, c’è il principe Phobos in persona
per voi!”.
Un attimo dopo il principe, solenne ed altissimo, entra
nell’anticamera. “I miei omaggi, madre”. Il suo tono compassato fa trasparire
sentimenti contrastanti; chiunque fosse sufficientemente sensibile potrebbe
sentire il battito accelerato del suo cuore.
Le emozioni della regina sono ancora più evidenti:
sembra indecisa se fuggire o correre ad abbracciarlo. Lei non è
mai stata brava a controllare la sua mimica. Si tiene ad un cassettone,
rigida e contratta come un animale in trappola. “Phobos… è tanto
tempo…”.
Imbarazzato, lui chiede: “Come sta andando la tua gravidanza?”.
Lei cerca di sorridere, senza guardarlo negli occhi,
mentre la fronte le si imperla. “Hai visto che pancione?”.
Lui annuisce, poi si schiarisce la gola. “Madre, questo
pomeriggio io eseguirò, davanti al Consiglio dei Veglianti, la dimostrazione
di una nuova magia mai sperimentata da altri”.
“Di che si tratta?” chiede impacciata lei, e tenta di
scherzare: “Non farai mica sparire il Consiglio?”. Si pente subito di averlo
detto.
“Sarà una sorpresa”. Sorride, imbarazzato. “Sarai
orgogliosa di me”.
Lei abbassa lo sguardo. “Sono sempre stata orgogliosa
di te, da quando sei nato”.
Sarebbe una bella risposta, pensa Phobos, se solo fosse
data con lo sguardo alto. Cerca qualcosa da aggiungere, senza trovarlo.
“Beh… allora, a questo pomeriggio?”.
“Puoi contarci”, risponde lei con un sorriso largo e
forzato, ben diverso da quelli che gli faceva prima di quel giorno maledetto.
Appena Phobos ha lasciato la stanza, ad Adariel sembra
che le si sciolgano le gambe: trovarsi così, inaspettatamente, faccia
a faccia con lui… Mille ricordi la assalgono, ed i più belli sono
quelli che le fanno più male. Il rimpianto si fa insopportabile.
Eppure, in quei momenti, la più forte sensazione che ha provato
era stata la paura che lui le leggesse il pensiero, e capisse che questa
gravidanza è solo una simulazione.
Eliasdal ritorna nell’anticamera, ancora con il blocco
in mano. “Altezza, volete continuare?”.
“Sì…sì”. Adariel si riporta sul balcone,
nella stessa posizione di prima. Dietro di lei il cielo prende a trasformarsi
rapidamente: nuvole scure si inseguono minacciose, alternandosi a sprazzi
di sole abbagliante, e folate di venti caldi e freddi le muovono capelli
e vestiti.
Dopo un po’, Eliasdal scuote il viso con malcelato disappunto.
“Altezza, non so se è il caso di continuare, per oggi. Vi muovete
troppo, e cambiate espressione ogni momento”.
Dopo il congedo del pittore, Adariel è ancora più
agitata. Ora deve prendere una decisione per il pomeriggio. Il rischio
che Phobos o altri in consiglio le leggano il pensiero è troppo
alto.
Ha deciso: utilizzerà la soluzione di Leryn, un
filtro che altererà la sua stessa memoria, facendole credere per
un po’ che questa gravidanza sia reale. Non più a lungo di qualche
giorno, però, o potrebbe mancarle la lucidità per portare
a termine il suo piano.
Nel frattempo, potrà approfittare di questa finestra
di oblio per incontrare altri personaggi, e rendersi conto di come stanno
andando avanti le cose al di fuori del suo appartamento.
Meridian, torre nord del palazzo reale, laboratorio
di Phobos.
La giornata sembra essersi rimessa un po’ al bello, pensa
Phobos osservando il cielo pomeridiano dalla finestratura del laboratorio.
Buon segno: forse il suo successo di oggi riuscirà a compiacere
sua madre. A dire il vero, si aspettava di più per quel suo gesto
distensivo; invece lei sembrava come spaventata, come se pensasse che fosse
giunto per lanciare qualche maleficio sulla creatura che le cresce in grembo.
Due chilometri verso sudest, sulle distese morbide e
verdi dell’altopiano che sovrasta Meridian, si intravede un grosso edificio
a forma di tronco di cono, fatto con candido granito saldato, proprio come
il palazzo reale. E’ lì che si terrà la sua dimostrazione.
E’ la torre del Consiglio dei Veglianti, il governo della città
di Meridian e della sua regione.
Il controllo su tutte le altre contee del Metamondo viene
esercitato, invece, attraverso una piramide di ispettori. Fino a tre giorni
prima, questi facevano capo a Lord Thetras, riconosciuto come il più
potente telepate e chiaroveggente tra loro, ma ormai dipendono direttamente
dallo stesso Phobos, dopo che si è liberato di quel sapientone fastidioso
inviandolo in missione oltreoceano.
L’ora si sta avvicinando. Lui dà un’ultima occhiata
alla sua attrezzatura in buon ordine sul tavolo: i quattro grandi specchi
contrapposti, il conversore psicoenergetico, le matrici lenticolari e tutto
il resto. C’è anche un bel bicchiere di cristallo Svarovsky, dai
riflessi sfavillanti e dalle simmetrie aliene. Sarà questo prezioso
oggetto a trapassare la barriera del tempo nella sua dimostrazione; dopodichè
toccherà ad una persona scelta a caso tra il pubblico, ed infine
a lui stesso.
Questa prova sarà molto più impressionante
del teletrasporto o della materializzazione, considerate tra le magie di
punta della loro civiltà. Sua madre, in prima fila, vedrà
il suo successo sul tempo, la sua sfida al principio di causalità,
e chi sa che non muti le sue credenze sul futuro e sull’attendibilità
delle sue sinistre profezie.
Basta un gesto di Phobos e, mossa da una potente telecinesi,
l’attrezzatura si libra e trasla in un grande baule laccato con scintillanti
rifiniture in oro ed il suo monogramma lucente di brillanti. Con un baluginio,
il contenitore scompare, come risucchiato dal palmo della sua mano.
Questo si chiama fare le cose con stile, si compiace.
D’improvviso, Jonatludr si materializza nel laboratorio,
senza alcun preavviso se non un vago scintillio. Sul suo viso c’è
un’espressione più spavalda e soddisfatta che mai.
Phobos si acciglia. Viene a prendersi meriti, questo
qui?
“Jonatludr, non permetterti mai più di entrare
senza annunciarti”, lo gela, “Ora sto uscendo, non ho tempo”.
Il sorriso dell’altro è messo a dura prova. “L-lo
so, Altezza. Voglio solo assistere alla dimostrazione. In fondo, è
lavoro mio”.
Phobos non è abituato a queste risposte da un
subordinato. “Ti ho detto chiaramente che i nostri rapporti non devono
essere noti, per ora. Solo dopo che ti avrò ufficialmente riabilitato”.
L’altro tira fuori un sorriso mellifluo: “Non temete:
mi mescolerò al pubblico senza farmi riconoscere. I miei trucchi
superano perfino quelli dei servizi segreti”.
Già, pensa Phobos, come quella volta che hai tentato
di scoparti Miriadel. Meglio non dire niente, decide, per evitarsi il fastidio
di una risposta.
Meridian, Torre dei Veglianti
Poco dopo, Phobos si materializza nella grande sala semicircolare
del consiglio, al centro del grande tavolo a ferro di cavallo dei Veglianti.
Tutti i consiglieri seduti attorno interrompono le loro conversazioni,
alzandosi in piedi in segno di rispetto. Attorno, al di fuori di un piccolo
colonnato semicircolare, i posti del pubblico sono gremiti da più
di centocinquanta persone, molte in piedi.
Sua madre, rimasta seduta, lo guarda sorridendo: sembra
molto più rilassata che la mattina.
Lui ne è certo: oggi è una grande giornata.
“Luce di Meridian, rispettati Veglianti, state per assistere
ad un evento storico. Mai, prima d’oggi, la magia del nostro mondo ha realizzato
un viaggio nel tempo”.
Si gode lo stupore dei presenti: sua madre lo guarda
con occhi spalancati di meraviglia, i saggi pendono dalle sue labbra, il
popolino ha iniziato un mormorio sommesso ma eccitato.
Con un gesto elegante, Phobos fa apparire il sontuoso
baule in mezzo alla stanza, vicino ad un tavolino rotondo che aveva fatto
portare in anticipo assieme ad un barile di acqua magica dalla lucentezza
verdina.
Seguendo la sua volontà, il baule si apre, e tutti
gli elementi dell’attrezzatura prendono posto sul tavolo, assemblandosi
da soli. L’eccitazione della folla cresce a questa disinvolta dimostrazione
di potere.
Nelle mani di Phobos appare lo splendido bicchiere di
cristallo lucente, mentre spiega sicuro: “Per cominciare, tra cinque minuti
d’orologio io metterò questa coppa tra i due specchi affacciati
e, con la mia volontà, la spedirò indietro nel tempo di cinque
minuti esatti, sul tavolo davanti a Vostra Altezza, dove apparirà
… ora”.
Tutti gli sguardi si fissano sul tavolo davanti alla
regina. A lungo. Troppo a lungo. Dopo tre minuti, non è ancora
comparso niente.
Phobos si sente lentamente sprofondare, a mano a mano
che le lancette del grande orologio da muro avanzano e il silenzio si trasforma
in un mormorio perplesso.
“Cinque minuti sono passati”, dice una voce anonima dal
pubblico. “Che aspetta?”.
“Controlliamo” dice Phobos madido di sudore freddo, cercando
di trattenere l’agitazione: “Se non è ancora arrivato, non ha senso
spedirlo”.
Una voce dentro alla testa gli bisbiglia: ‘Controlla
l’allineamento degli specchi’.
Si avvicina ad osservarli: è vero, non sono affacciati
esattamente. L’infinito tunnel di cornici visualizzato tende nettamente
a destra.
Lo corregge con cura, lasciando le impronte delle dita
sudate sulle cornici. Forse…
Sente il mormorio della gente cambiare tono. Voltandosi
verso sua madre, vede finalmente il calice apparire davanti a lei.
“Bene, ora finalmente le cose vanno come avrebbero dovuto
fin dall’inizio. Ancora quattro minuti e quarantacinque secondi, e poi
questo calice farà un viaggio nel tempo per riapparire dove è
già apparso”.
Qualche faccia perplessa tra il pubblico gli fa sospettare
che non abbiano capito l’eccezionalità dell’avvenimento: forse quegli
stupidi si aspettavano che apparisse un dinosauro?
Solleva il calice per… d’improvviso, questo gli scivola
dalla mano sudata.
Lo schianto del vetro sul pavimento mette a tacere ogni
mormorio.
Solo un uomo tra il pubblico sbarra gli occhi per il
terrore: “Nooo!”.
Phobos resta gelato davanti ai frammenti ai suoi piedi.
Gli torna in mente la storia che aveva così preoccupato Jonatludr:
se al momento giusto l’oggetto non fosse stato inviato, tutto l’universo
avrebbe potuto sparire. No! Non può finire così!
“Presto, cercate un altro bicchiere uguale” grida con
il panico nella voce l’uomo tra la folla, ma Phobos sa che a Meridian non
esiste un duplicato di quel manufatto terrestre.
Immerso nella sua disperazione, non si cura subito quando
una voce lo chiama: “Phobos!”. Quando si volta, vede Adariel che gli porge
il calice appena apparso davanti a lei.
Phobos lo prende con mille precauzioni, sentendosi stupido,
e lo porta tra i quattro specchi. Poi ripensa alla procedura mentale… com’era?
O DEI, COM’ERA?!?
La lancetta si avvicina pericolosamente al momento…
La procedura risuona ripetuta, insistente, dentro la
sua testa, come se qualcuno gliela stesse trasmettendo. Jonatludr!
L’oggetto sparisce dallo spazio tra gli specchi proprio
mentre la lancetta marca lo scadere dei cinque minuti. Il conversore psicoenergetico
vaporizza litri e litri di acqua magica dal barile sotto il tavolino.
Phobos si sente sollevato. Anche il mormorio tra la folla
non è più teso come prima. Chissà se qualcuno ha capito
le sue difficoltà. Cerca di riassumere un’espressione sicura, e
inizia: “Quello che avete visto…”.
“Ma cosa succede ora?” fa la regina sorpresa: il bicchiere
è riapparso davanti a lei.
Phobos resta incredulo: questo non era voluto. Ora non
può fare a meno di ripetere tutto. “Luce di Meridian, questo significa
che, prima di cinque minuti, avrò deciso di fare una seconda verifica”,
spiega con un tono che vorrebbe sembrare disinvolto. Poi percepisce delle
perplessità nel pubblico: non tutti quegli zotici hanno capito che
differenza c’è tra il teletrasportare un bicchiere da un tavolo
ad un altro e il fargli attraversare la barriera del tempo, diretto nel
passato. Ci vuole qualcosa di più incisivo, decide. “Una volta constatato
il funzionamento affidabile dell’apparecchiatura, eseguiremo l’esperimento
su un essere umano”.
Un coro di sommesse esclamazioni di sorpresa accoglie
le sue ultime parole.
Il momento si avvicina; Phobos afferra nuovamente il
bicchiere, e lo riporta tra gli specchi, ripetendo la sequenza.
Scomparso nuovamente l’oggetto, lui comincia a spiegare:
“ La prossima volta toccherà ad un essere umano. C’è qualche
volontario…”.
Viene interrotto dalla regina: “Ancora?”, chiede sorpresa,
mentre il calice riappare davanti a lei per la terza volta.
Dopo quattro ripetizioni, il pubblico sta mormorando per
l’impazienza, comprendendo che il principe ha perso il controllo dell’esperimento.
L’esasperazione di Phobos si sta tramutando in panico: ormai è quella
macchina maledetta che comanda, e lui non ha alcun modo di far cessare
questa catena di ripetizioni senza fine.
La quinta volta, ciò che appare davanti alla regina
non è più uno splendido calice, ma solo un mucchietto di
frammenti scintillanti.
“Speriamo che sia la fine”, commenta lei con un sorriso
che a Phobos sembra intriso di ironia.
Lui mugola disperato: questo esperimento lo sta abbondantemente
ridicolizzando, e non vede modo per uscirne. Percepisce anche ironia e
battutine sottovoce. Non ne può più di questa ottusa leggerezza.
“Basta! Voi non capite! Se qualcosa va male, il mondo cesserà di
esistere!”.
Cala un silenzio ghiacciato attorno a lui. Non avrebbe
dovuto dirlo… Si avvicina al tavolone, dove i frammenti lo aspettano, per
raccoglierli con le mani.
“No, non quelli!”, dice una voce tra il pubblico. Jonatludr,
ora in prima fila, indica i frammenti del bicchiere originale ancora a
terra. “Raccogliete quelli, Altezza”.
Phobos lo guarda, confuso. Tra la gente, si comincia
a mormorare stupiti il nome di Jonatludr.
Il giovane scavalca la balaustra. “Non feritevi le mani,
Altezza. Ci penso io”. Raccoglie i frammenti più grossi e li pone
tra gli specchi. Quando l’orologio segna il momento giusto, esegue le operazioni
mentali.
I frammenti svaniscono baluginando, mentre il conversore,
con un sibilo, dà fondo agli ultimi litri di acqua magica del barile.
Subito dopo Jonatludr disallinea gli specchi, spegnendo
così l’attrezzatura. “Ora scommetto che è finita, Altezza”.
Phobos è rimasto impietrito ed umiliato, mentre
il chiacchiericcio di fondo assume un tono più sollevato.
La regina chiama: “Jonatludr, proprio oggi mi stavo chiedendo
cosa avessi fatto negli ultimi mesi”.
Lui si porta, soddisfatto, davanti al tavolo, e
fa un perfetto inchino. “Altezza, ho svolto delle ricerche”.
“E cos’è questa storia che il mondo cesserà
di esistere?” chiede con un sorrisino ironico.
Phobos, con la faccia deformata dall’ira, spintona via
Jonatludr, e si piazza davanti alla regina.
“Perchè mi hai fatto questo, madre?”.
“… Questo… io?”, resta allibita Adariel, “… Ma che dici?”.
Phobos continua, con la voce carica di risentimento.
“Ora capisco quel sorrisino sicuro, non certo uguale a quello di stamattina.
Hai deciso di sabotare la mia dimostrazione! Di farmi fare la figura del
cretino! Prima la macchina che non partiva, poi il bicchiere, poi la prova
che si ripete da sola… Credi che non riconosca la tua influenza?”.
“Ma… Stai delirando?”. Lo guarda con gli occhi già
arrossati. “Io non ho fatto niente!”.
La luce del giorno che entra dalle finestre si adombra
di tonalità violacee.
“Davvero?”. Gli occhi di Phobos si riducono a due fessure.
“Ora vedremo!”.
Le ha già forzato la mente una volta per leggerle
il pensiero, ora può rifarlo ogni volta che vuole. Anche adesso.
Dopo un attimo, il viso del principe si fa confuso: ormai
ha capito che non è stata lei a sabotarlo.
Si guarda attorno: non si sente fiatare. Tutti i consiglieri
ed il pubblico sono rimasti a bocca aperta, ascoltando la sua invettiva,
e molti hanno capito ciò che le ha fatto contro la sua volontà.
A peggiorare le cose lei, dopo un lungo silenzio impietrito,
prende a piangere e singhiozzare. “Non è vero! Non è vero!
Non ti ho mai sabotato!”.
A sottolineare il suo pianto, il suono di uno scroscio
batte sui vetri delle finestre, mentre nuvole come arrabbiate offuscano
il cielo, coprendo con un colore plumbeo le screziature cremisi sovrastanti.
Un nuovo mormorio inorridito corre tra gli astanti.
Jonatludr si fa avanti: “Principe Phobos, l’esperimento
è sostanzialmente riuscito. La macchina del tempo ha funzionato
perfettamente. Dovremo solo rivedere i criteri di utilizzo. Se…”.
Lo sguardo d’odio di Phobos gli fa morire le parole in
gola.
“TU!”.
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Capitolo 7 *** Presagio di sangue ***
7-Presagio di sangue
Ad personam:
Care Atlantis Lux, Melisanna, Silen: grazie per le vostre
graditissime recensioni ed i vostri continui incoraggiamenti. Beh, Phobos
non è ancora un personaggio del tutto negativo, ma anche nel passato
non sempre si è creato attorno un alone di simpatia. Questa volta
saprete cosa ne pensa una sua ex-ancella.
E' verissimo che la comunicazione tra Adariel e suo figlio si è
praticamente interrotta, ma purtroppo non si tratta solo di un semplice
problema di incomprensione: Adariel ha due motivi che ritiene validissimi
per non volerlo vedere sul trono, e la speranza di Phobos di farle cambiare
idea dimostrandosi un mago potente era destinata a fallire a priori anche
se avesse fatto una splendida figura. Invece non solo ha sfigurato, ma
per questi esperimenti puramente accademici sta drenando ingenti risorse
alla città, creando malcontento anche in chi, e sono i più,
non ha mai sentito la sinistra profezia che la Regina si è ben guardata
dal divulgare. E comunque le maggiori delusioni per il principe sono ancora
là da venire.
Questo capitolo è ambientato poche ore dopo la disgraziata
dimostrazione di Phobos. Dopo Eliasdal, Jonatludr e Galgheita, faremo la
conoscenza di Odridel, madre dei due, e Frordal, sorella
di Galgheita e prestigiosa indovina di professione. Entrambi sono personaggi
che non appaiono nel fumetto W.I.T.C.H., ma Frordal e il suo chiosco da
indovina hanno già fatto la loro comparsa in Profezie.
Vedremo anche qualche scena ambientata nell'umido e cadente quartiere
di Trasclovkir, arrampicato sulla scarpata a nord del centro città,
ben più curato. Chi conosce il fumetto potrebbe identificarlo con
il luogo ripido e cupo, popolato di esseri rettiliformi, in cui si ritrovano
le W.I.T.C.H. nel n.3, dopo che si è frantumato l'illusorio scenario
che riproduceva le vie di Heatherfield. Per chi segue Profezie, è
il luogo dove Pao e Vera si recheranno nella prossima puntata.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 7
Presagio di sangue
“E’ solo il Dio del Fato ad avere in mano i fili delle
vite di tutti noi”
Maestra Galgheita
Meridian, casa di Eliasdal
Dalla finestra aperta dell’abbaino, la prospettiva del
palazzo reale che sovrasta Meridian dall’alto della rupe è stupenda.
La luce plumbea di questa serata piovosa, però, non rende piena
giustizia all’inquadratura.
Eliasdal si mette d’impegno: anche se non è il
momento migliore per colorare il suo quadro, può sempre sfruttarlo
per tracciare qualche particolare.
Mentre continua a disegnare sul suo blocco, sente dei
passi salire sulla scala di legno. “Ehilà, mamma”, saluta senza
staccare gli occhi dal foglio.
Odridel arriva nell’abbaino e resta a lungo silenziosa
a guardare i numerosi quadri che lo riempiono. E’ una donna sulla cinquantina,
dalla corporatura statuaria e dalla pelle verdina come le striature sul
viso del figlio.
“Non mi stancherei mai di guardarti dipingere, Elias”.
Lui sorride distrattamente, senza smettere di disegnare.
“Grazie, mà. Io non mi stancherei mai di farlo”.
Uno scampanellio quasi rabbioso li interrompe.
“C’è qualcuno all’ingresso”, dice Odridel dirigendosi
verso le scale.
Elias ripone il suo blocco. “E credo di sapere chi è”.
In attesa fuori dalla porta c’è Jonatludr, con
un viso sconvolto come se avesse pianto. I vestiti ed i capelli sgocciolano
fradici di pioggia, che forse si è mescolata alle sue lacrime.
“Figlio mio!”. Odridel lo stringe a sé, incurante
di bagnarsi le vesti. “Vieni dentro. Cosa ti hanno fatto?”.
“Quel maledetto…”.
“Phobos! Lo sapevo” intuisce lei, con uno sguardo amaro
verso il palazzo seminascosto dai tetti.
Elias gli offre una sedia al tavolone dell’atrio, poi
va a prendere un grosso asciugamano da una cassapanca. “Asciugati pure,
ora accendo il caminetto. Ah… prima c’ero anch’io alla Torre dei Veglianti,
tra il pubblico. Non ti avevo notato finché non ti sei fatto avanti”.
“…Maledetto…”, ringhia il fratello senza alzare lo sguardo.
“Te l’ha fatta pagare, vero?”.
Il giovane si accascia sul tavolo, coprendosi con le
mani il viso risentito. “Maledetto ipocrita… Mi sfrutta per prendersi
i meriti delle mie ricerche, ma è come se si vergognasse di me”.
Scuote il capo, recriminando: “E pensare che ho consegnato nelle sue mani
un lavoro unico, strabiliante, che è solo mio!”. Batte il pugno
sul tavolo, facendo oscillare il succo verde in una caraffa che sua
madre gli ha appoggiato vicino.
Eliasdal annuisce. “Pare che oggi l’abbia capito più
di qualcuno, se ti può consolare”.
L’altro non lo ascolta. “Se penso a quello che mi ha
detto, dopo… Mi ha dato la colpa della sua figuraccia! A me, dopo che gli
avevo risolto un pasticcio in cui si era cacciato da solo!”.
“Non solo a te. Hai ben sentito che se l’ è presa
perfino con la Regina!”, ribatte l’altro. “Ha scandalizzato tutti. Anche
se nessuno lo criticherà apertamente, penso che la sua immagine
sarà compromessa per decenni”. Scuote piano il viso, poi chiede:
“Cos’era quella storia che il mondo potrebbe smettere di esistere?”.
L’altro continua imperterrito: “Ma perché si vergogna
di me? Mio padre… nostro padre Findric era fratello della regina, o no?
Quindi siamo cugini! Perché gli Escanor non ci riconoscono come
parenti? Solo perché nostra madre è una del popolo?”.
Eliasdal storce il viso: lui gode di ottimi rapporti
a corte, e non solo per la sua abilità di pittore. Preferisce tacere,
e guarda sua madre, che sembra aver ricevuto un pugno nello stomaco.
Odridel risponde con tutta la calma e la dignità
di cui è capace: “Per vostro padre, il principe Findric, io non
sarei mai stata una moglie come lo era stata la principessa Naridlor, che
gli Dèi l’abbiano in gloria. Nonostante questo, lui non mi ha mai
rinnegata, né ha rinnegato voi. Ci ha amati fino al giorno della
sua morte, riconoscendovi di fronte a tutti. Pretendere di diventare un
principino, però, mi sembra eccessivo”.
Jonatludr sembra averla ascoltata con poca attenzione.
Si sfiora il viso con disgusto, come se volesse prendersi a schiaffi. “Se
non fosse per queste strisce verdi e queste orecchie a punta, somiglierei
a lui!”.
Elias storce il viso. “Ci sono tanti modi di somigliare
a Phobos, fratello mio, anche senza la pelle rosata”.
L’altro non coglie l’ironia, raccolto nei suoi risentimenti.
Un pesante silenzio cala nella stanza. Un’ultima goccia
d’acqua lascia i capelli di Jonatludr, unendosi alla piccola pozzanghera
attorno ai suoi piedi.
Dopo un po’, Eliasdal cerca di portare l’attenzione del
fratello, monopolizzata dal proprio ego, in qualunque altra direzione.
“Jonat, mi piacerebbe capire qualcosa su come funziona
un viaggio nel tempo”.
L’altro alza gli occhi dai suoi pensieri, sorpreso. “Davvero?”.
Senza attendere risposta, incomincia: “Concettualmente, il viaggio nel
tempo è uguale al teletrasporto. Il tempo è la quarta dimensione
della realtà, assieme alle tre dimensioni spaziali. Ora, permettimi
di ricordarti alcuni principi base. Esiste una corrispondenza, sia pure
non biunivoca, tra la rappresentazione mentale dello spazio e lo spazio
oggettivo, dovuta al rapporto di causalità detto ‘conoscenza’. Questa
corrispondenza può essere invertita: anziché essere la rappresentazione
una copia imperfetta dello spazio oggettivo, questo può essere influenzato
dalla sua rappresentazione nella mente di una persona. Ci vuole molta forza
psichica e una buona tecnica di visualizzazione, ma una simile inversione
è la base di molte magie. Mi segui?”.
Elias annuisce. “La rappresentazione influenza la realtà”.
Il mago riprende: “Un’azione mentale può modificare
la topologia e la geometria dello spazio, incurvandolo e creando una tensione
tra due punti. Mi segui?”.
“Sì” risponde dubbioso l’altro, creandosi immagini
pittoresche di spazi distorti che potrebbero pur sempre dare l’ispirazione
per quadri surreali.
“Creando questa tensione, si carica lo spazio così
incurvato con un’energia potenziale, un po’ come un arco. Quando si arriva
all’ultimo passaggio della sequenza mentale, questa energia si scarica
sulla persona teletrasportata, che subisce una forza distribuita uniformemente
in tutta la sua materia che le imprime una accelerazione inimmaginabile
verso il punto di minima energia potenziale, la destinazione”.
“Uh”, annuisce incerto Elias, immaginandosi caricato
a mò di freccia su un enorme arco.
“La persona così lanciata può attraversare
ostacoli materiali. Infatti la materia è costituita quasi interamente
di vuoto, e l’impenetrabilità dei corpi è causata da interazioni
elettromagnetiche a distanza tra gli atomi. Se la velocità è
adeguata, queste interazioni non hanno tempo di stabilirsi”.
Elias annuisce senza convinzione. Che la materia sia
costituita di vuoto gli sembra l’idea di gran lunga più balzana
tra quelle mai sentite.
“Ebbene, se la dimensione temporale è analoga
a quella spaziale, anche i viaggi nel tempo lo sono. La difficoltà
è che il fattore di conversione tra spazio e tempo è la velocità
della luce, trecentomila chilometri al secondo, un’enormità. Perciò
un viaggio nel tempo di un minuto corrisponde ad un teletrasporto di, vediamo…
trecentomila per sessanta… diciotto milioni di chilometri”.
“Impressionante”, commenta il fratello maggiore puntellandosi
il mento. Quanto sarà diciotto milioni di chilometri?
L’altro si alza in piedi, eccitato. “Vieni a casa mia.
Voglio farti vedere il primo prototipo della macchina! Così ti toglierai
ogni dubbio di chi sia questa invenzione!”.
“Ummm. Sì, vengo” risponde Eliasdal, ancora intontito
dalla fatica di seguire quelle spiegazioni astruse. Si era ben capito chi
fosse il vero inventore anche solo guardando la dimostrazione, ma, più
che altro, a lui interessa vedere la casa di Jonat per farsi un’idea di
dove e come viva, almeno finché è a Meridian. Prima di oggi,
il fratello ha sempre risposto in modo evasivo alle domande su questo argomento.
Mentre prende due mantelle cerate, si rivolge a Odridel,
che si è già isolata dal discorso da molto: “Mà, io
vado con Jonat. Forse farò tardi per cena”.
“Va bene, Elias”, risponde lei, strappata ai suoi pensieri.
“Jonat, perché non torni a cena qui anche tu, stasera?”.
Ma il giovane mago non risponde; mentre escono dalla
casa è intento a parlare al fratello: “Il consumo di energia magica
per caricare di tensione spaziotemporale una tale distanza è enorme,
e gli specchi contrapposti servono per contenere e moltiplicare questa
energia, riciclandola in un numero enorme di riflessioni ripetute”.
“Uhu”, risponde l’altro, mentre una palpebra comincia
a tremolargli in un insolito tic nervoso.
Dopo che i figli sono usciti, Odridel riprende a guardare
fuori dalla finestra, senza più bisogno di bandire dal viso la sua
amarezza. Guarda il palazzo, seminascosto dai tetti e dalla pioggia battente.
Ricorda come lo vide trent’anni prima, bianco e luminoso sulla rupe, quando
si avviò per il suo primo giorno di lavoro, dopo una selezione in
cui fu scelta tra ventisei candidate. I criteri di bellezza, a Meridian,
sono tanto vari quanto lo è l’aspetto dei suoi abitanti, ma lei
fu notata subito per la sua prestanza e perché, quando le sondarono
la mente, il suo carattere piacque subito a tutti i regali.
Era al settimo cielo quando fu assegnata al servizio
del principe Findric. Era un uomo gradevolissimo e sensibile, capace di
percepire ogni suo pensiero e stato d’animo.
Nonostante i suoi centosettant’anni, aveva l’aspetto
di un giovane e, una volta fatto l’occhio alla pelle rosata, molto piacente.
La sua età era rivelata dalla sua pacata dolcezza, e dalle cure
di cui la Regina, guaritrice suprema e sua sorella, non era mai avara.
Era rimasto da poco vedovo, e le ancelle facevano di
tutto per consolare e compiacere il loro signore in ogni modo. In poco
tempo fu chiaro che lei era diventata la sua preferita, non senza un po’
d’invidia da parte delle altre due.
Un anno dopo, quando lei rimase incinta di Eliasdal,
Lui riconobbe apertamente la paternità ed il suo legame con lei.
Era orgoglioso dei figli che lei gli diede, anche perché i suoi
eredi legittimi erano tutti morti in culla.
Quando Lui salì in Paradiso, Elias aveva quindici
anni ed un carattere già formato, ma Jonat era solo un ragazzino.
Crescendo, si cercò un nuovo modello, e da chi fu affascinato? Dall’energico,
egocentrico, odioso principe Phobos. Lo stesso al cui servizio lei venne
riassegnata.
Ad essere onesti, Phobos non è sempre stato così:
fino a pochi anni prima, il principe non sembrava diverso dai suoi famigliari.
Poi cambiò, dopo una qualche delusione, a partire dal suo rapporto
con le donne.
Si dà per scontato che un’ancella sia ben disposta
a compiacere il suo signore, ma Phobos non dava loro nessuna delle soddisfazioni
che era legittimo aspettarsi in contraccambio: non le guardava, non le
desiderava, non aspettava un qualche loro incoraggiamento: ordinava e basta.
E mentre loro erano chine, lui pensava ad un’altra, sempre la stessa donna,
forse sepolta da anni.
Nessuna di loro sarebbe stata obbligata a compiacerlo
in questo, ma era tale la soggezione che lui metteva che nessuna osò
mai rifiutarsi.
Lei vide più di una giovane arrivare con grandi
speranze, fare di tutto per farsi notare dal principe, per poi, dopo i
primi approcci, piangere per la delusione e l’umiliazione, e implorare
l’assegnazione a qualunque altro reale.
Purtroppo, a parte Phobos restavano solo i suoi genitori,
che avevano già le loro affezionate ed invidiatissime ancelle, per
cui l’alternativa era dimettersi oppure chiedere il passaggio a ruoli meno
prestigiosi e meno pagati, come le addette alle pulizie.
Tenne duro per due anni, sperando in un cambiamento.
Cercò di abituarsi a quel ruolo frustrante, ma alla fine si rese
conto che la sua umiliazione si rifletteva sui figli; Eliasdal, in particolare,
aveva ben capito come stavano andando le cose. Davanti alle ombre del suo
viso preferì cambiare lavoro.
Divenne banconiera alla mensa delle guardie di palazzo,
finalmente a contatto con uomini normali, anche se a trentasette anni d’età
questo comportava un addio ad ogni possibilità futura di rientrare
tra le ancelle. Non ci volle molto perché decidesse di corrispondere
all’interesse che uno di loro aveva mostrato per lei: Luduvik, un sergente
della guardia di palazzo rimasto vedovo e senza figli, era un caro uomo,
e la sua vicinanza riusciva a renderla quasi felice.
Jonatludr, ancora un ragazzino, le rimproverò
rabbiosamente di essere caduta molto in basso: secondo lui, non avrebbe
mai dovuto accontentarsi di qualcosa di meno del principe Phobos. La loro
convivenza nell’alloggio a palazzo divenne impossibile, e più di
una volta il ragazzo scappò, per poi esserle riportato dalle guardie.
Per evitare il peggio, Odridel dovette rinunciare a convivere con Luduvik,
e anche i loro incontri dovettero essere furtivi, quasi colpevoli.
Tre anni dopo, lei ereditò la casa dei genitori
in centro città, e offrì ai figli di andare ad abitarvi da
soli. Eliasdal accettò subito, mentre Jonatludr no; quando fu chiaro
che lei avrebbe comunque chiamato a vivere Luduvik nel suo alloggio, tuttavia,
il figlio se ne andò esasperato. Dopo aver vagato due giorni sotto
la pioggia, si decise a presentarsi nella casa che gli era stata offerta,
e per un po’ visse con il fratello maggiore.
Quel periodo quasi sereno durò altri tre anni,
poi fu interrotto, in una giornata amara, dall’arresto di Jonatludr sotto
l’accusa di spiritismo, una forma di magia pericolosa e vietata.
Lei non riusciva a perdonarsi di averlo trascurato per
pensare alla sua vita, anche se Elias la assolveva: non avrebbe potuto
accorgersi di nulla, perché suo fratello aveva sempre nascosto accuratamente
questi interessi insani.
Dopo che la stessa Luce di Meridian incaricò Phobos
di cancellargli le memorie proibite, il ragazzo divenne ancora più
sfuggente, rendendosi irreperibile a lungo e raccontando trionfante, durante
le sue brevi ed imprevedibili visite a casa, di luoghi esotici e onori
che forse esistevano solo nella sua fantasia.
Lo capisce solo oggi: forse Phobos, quella volta, decise
che l’ambizione e la curiosità del ragazzo potessero essere sfruttate
per qualche suo oscuro scopo.
Non può più negarlo: questo suo figliolo
è ormai avviato su una strada sinistra.
Magia e segretezza. Ammirazione per Phobos, e risentimento.
Ambizione e frustrazione. Gli occhi di Jonatludr guardano lontano, anche
oltre la barriera del tempo, ma non vede le persone che gli stanno proprio
accanto…
Proprio in quel momento, guardando dalla finestra vede
passare una figura tozza, inconfondibile anche se avvolta in un tabarro,
con in mano un prisma luminoso che ne illumina la strada e le fattezze.
E’
maestra Galgheita.
Passando davanti, la guaritrice si volge verso la finestra
e la vede, facendole un cenno di saluto. Si arresta un attimo sotto la
pioggia ormai tenue, come incerta se fermarsi a parlare.
Odridel prende l’iniziativa: sola e amareggiata, sarebbe
ben felice di condividere qualche pensiero. Apre la porta. “Maestra Galgheita,
non avete paura a girare da sola con questo buio?”.
“Buonasera, Odridel. Pensi davvero che qualche malintenzionato
possa mettere gli occhi su di me?”. Allarga le braccia, come per evidenziare
la sua sagoma sgraziata. “Sono le belle donne come te che potrebbero destare
desideri in chi vaga nella sera, non certo io”.
L’altra sorride al complimento. “Comunque scherzavo:
da parte mia, non ho alcuna paura a tornare a palazzo ogni sera”.
Galgheita ne conviene: “Tra telepati e agenti invisibili,
le strade di Meridian sono abbastanza sicure anche di notte. Più
che altro, il rischio è ruzzolare giù da qualche scalino”.
Poi aggrotta gli occhietti: “Oggi ero al Palazzo dei Veglianti, ed ho visto
tuo figlio Jonatludr. Mi ha impressionata…”. Si interrompe, guardandosi
in giro: anche se non si vede nessun altro, forse non è prudente
parlarne così apertamente.
“Volete entrare a ripararvi?” la invita Odridel, sperando
di trovare una spalla.
Galgheita esita, poi nicchia. Questo non è il
momento più sicuro per riprendere un discorso che porterebbe inevitabilmente
a criticare il Principe. “Non adesso. Magari ripasserò una
di queste sere. Salutami Luduvik e i tuoi figli”.
Congedatasi cortesemente da Odridel, la guaritrice continua
la sua strada verso casa sotto la pioggia ormai diradata. L’oscurità
è rotta dalla luce azzurrina del suo prisma e da quella aranciata
da qualche finestra, moltiplicate dai riflessi sul selciato bagnato. Rivoletti
d’acqua piovana discendono stradine e scalinate per poi sparire verso percorsi
sotterranei. Pochi passanti frettolosi le tributano rispettosi cenni di
saluto.
Mano a mano che supera il centro diretta a Meridian bassa,
le case si fanno più scalcinate, le strade più disconnesse
e più sporche. Quando attraversa il ponticello di pietra sopra il
Clovkir, il rumore di cascatelle sulla sinistra lascia indovinare il letto
del fiumiciattolo in piena che scende dal pendio roccioso incombente, sul
quale le ultime case si arrampicano, sovrapponendosi come funghi. Mentre
continua il suo cammino, la luce della sua lampada fluorescente danza sulle
stradine che si inerpicano in strette gradinate, dalle quali scendono ancora
rivoletti fangosi. Perfino nelle giornate di sole, l’umidità è
il peggior difetto del quartiere di Trasclovkir.
Non è sempre stato così. Quando lei era
bambina, il quartiere non era particolarmente malsano. Poi, a partire da
ventidue anni fa, il terreno si inumidì, gli intonaci delle abitazioni
al piano terra cominciarono a scrostarsi, i muri di sasso a fiorire di
muschi, i soffitti a striarsi di venature di muffa scura, le coperte a
parere pesanti e fredde al tatto.
Forse si erano aperte fenditure lungo il corso del Clovkir,
e una parte della sua acqua aveva deviato verso misteriose vie sotterranee.
Nessuno fu capace di risolvere il problema; la maggior parte dei benestanti,
e non erano molti, si limitò a trasferirsi in zone migliori della
città. Lei e sua sorella Frordal, invece, sono rimaste. La loro
casa di famiglia è ancora decorosa: la sua posizione al primo piano
limita l’umidità dal terreno, e non manca il denaro per la manutenzione.
E poi, loro hanno molto in comune con gli altri abitanti di Trasclovkir.
E’ arrivata. Sale le scale esterne in pietra, sfiorando
con una mano le pareti di sasso bagnate. Si rallegra nel vedere, attraverso
la finestra, la luce aranciata del fuoco baluginare sul soffitto.
Apre la porta. Il caminetto è acceso, ma
non c’è nessuna cena a cuocere su quelle fiamme sprecate. “Ehilà,
Fro. Non hai preparato…”.
Appena la vede, il sorriso di saluto le si spegne.
Chinata sul tavolone, con la fronte appoggiata sulle
mani in un gesto di sconforto, Frordal la ricambia con un’occhiata
sconvolta.
“Fro! Cosa ti è successo?”. Appesa in fretta al
chiodo la mantella bagnata, le va incontro a grandi passi. Si siede di
fronte alla sorella, prendendole le grandi mani verdi a quattro dita, cercando
di infonderle un po’ di serenità. “Raccontami tutto”.
Il faccione piatto e intelligente dell’altra resta finalmente
visibile, mostrando i segni del pianto. “E’ cominciato stamattina, in Piazza
Due Lune”.
Galgheita annuisce. Nella tarda mattinata era passata
a cercare la sorella al suo chioschetto di indovina, senza trovarla.
L’altra continua con voce incrinata: “Sono arrivata presto
al mercato. Ho notato subito il selciato imbrattato con sangue, tanto sangue.
La gente lo calpestava con sorprendente indifferenza. Ho chiesto a un passante
cosa fosse successo in quel luogo. Lui è caduto dalle nuvole. Allora
ho capito: ero io l’unica a vederlo”.
Galgheita annuisce grave: il prestigio di Frordal come
indovina è secondo solo a pochissimi altri nomi illustri. “E’ un
presagio sinistro”, conviene.
“Ero turbata, mi chiedevo se restare lì a lavorare.
Poi ho guardato l’orologio della torre. E il suo datario indicava il quinto
giorno dell’ottavo mese!”.
“Ma mancano ancora tre settimane!”
“Certo! E, ancora una volta, io ero l’unica a vedere
ciò”.
Galgheita annuisce pensierosa. Una visione così
sembra proprio un messaggio del Dio del Fato a una delle sue predilette.
“Ero troppo turbata, e sono tornata a casa a riflettere.
Alla fine, ho deciso che ne avrei parlato alla Regina o al Principe Phobos.
Volevo suggerire di tentare uno scongiuro: per esempio, si sarebbe potuto
versare in piazza, nel giorno indicato, del sangue di animali da macello”.
“Mi sembra una buona idea. Ma poi?”.
“Nel pomeriggio sono venuta alla dimostrazione alla Torre
dei Veglianti, sperando di poter parlare con uno dei due”.
Galgheita annuisce senza interromperla. Ricorda di averla
intravista tra il pubblico all’inizio, ma poi è sparita.
“Quando ho guardato Phobos, non credevo più ai
miei occhi: le sue mani e la veste erano imbrattare di sangue!”.
Galgheita scuote il capo lentamente. “Nessun altro ha
visto niente del genere!”.
“Lo so bene!”, si dispera Frordal, affondando di nuovo
il viso tra le mani. “Ero così sconvolta che sono venuta via quasi
subito”.
Dopo un lungo silenzio, torna ad alzare lo sguardo: “Galghi,
puoi riferire tu queste cose alla Regina? Tu la vedi due volte al giorno…”.
Anche Galgheita appoggia scoraggiata il faccione sui
palmi. “Fror, se tu fossi rimasta, avresti assistito a una altra cosa sconvolgente,
ma questa la hanno ben vista e sentita tutti i presenti. Phobos prima ha
accusato la regina, poi le ha forzato i pensieri contro la sua volontà,
senza che lei potesse far altro che piangere”.
“No!”.
“E’ così, Fror. La Luce di Meridian si sta spegnendo”.
Osserva la fiamma nel focolare che si esaurisce lentamente. “Non è
più in grado di imporsi su suo figlio, semmai è il contrario.
Non ha neppure senso angustiarla in anticipo con questo presagio”. Scuote
il viso. “L’unica cosa che possiamo fare è mettere in guardia le
persone a cui teniamo, che non passino di lì in quel giorno fatidico.
Forse loro spargeranno la voce, ma in ogni caso quel sangue sul selciato
dovrà pur essere versato da qualcuno”.
Frordal sospira. “Così, ci prenderemo la responsabilità
di scegliere chi vivrà e chi morirà”.
Galgheita le riprende le mani, guardandola intensamente
negli occhi. “No, Fror. Non pensare di avere questo potere. Possiamo solo
scegliere, forse, chi non far morire quel giorno in quel luogo, Per il
resto, è solo il Dio del Fato ad avere in mano i fili delle vite
di tutti noi”.
Nel focolare, le ultime lingue di fiamma guizzano sempre
più debolmente e si esauriscono, lasciando solo la luce rossiccia
delle braci a separare le due sorelle dal buio.
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Capitolo 8 *** L'esilio del saggio ***
8- L'esilio del saggio
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per avere recensito Presagio
di sangue. In Profezie, Frordal e Galgheita compariranno
ancora nella narrazione della nuova tirannia che sta scendendo sulla città.
Jonatludr, con il suo carattere disadattato e le sue capacità
fuori dal comune, sarebbe un personaggio dannatamente interessante; ricostruire
in dettaglio il suo passato ed il suo futuro, fino alla situazione di prigioniero
del Libro degli Elementi in cui lo si ritrova nella quinta serie di W.I.T.C.H.,
sarebbe una sfida formidabile per me. Purtroppo, temo che non ci siano
folle oceaniche che spasimano di saperne di più su questo personaggio.
Questo capitolo è ambientato il giorno successivo alla disgraziata
dimostrazione di Phobos e al sinistro presagio di Frordal. Qui faremo la
conoscenza di Lord Thetras, il saggio a cui si riferisce il titolo:
un dignitario di altissimo rango in cui Adariel ripone tutta la sua fiducia
. Questo personaggio, brevemente citato anche in Profezie come deposto
capo del Consiglio dei Veglianti, è apparso brevemente nel numero
speciale di W.I.T.C.H.: Elyon, ritorno da regina. Non aspettatevi
un Adone: è un omino verdastro con le orecchie a punta e un barbone
che nel fumetto è bianco, ma che in questa storia, ambientata dodici
anni prima, immagino essere ancora color grigio ferro.
Invece la città di Akhghanor, l'Oceano Tetidico e il conte
Arubek sono effimere creature tutte mie.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 8
L’esilio del saggio
“Altezza, io ho dedicato la vita a garantirvi la sincerità
dei vostri sottoposti. Io amo la verità, la giustizia, il dovere.
Ma, che gli Dei mi perdonino, non sono un eroe”
Lord Thetras
Meridian, appartamento della regina, il giorno dopo
“Come, trasferito oltreoceano?!?” grida incredula la Regina.
“Lord Thetras? Il supervisore supremo dei prefetti?!?”.
“E’ così, Altezza” risponde imbarazzato il comandante
Alborn, sull’attenti nell’anticamera. “Già da ieri mattina”.
“Ma è assurdo! Io non ne sapevo niente!”. E’ stupita,
disorientata, indignata: Lord Thetras è, o era, il suo collaboratore
di rango più alto, quello in cui ripone più fiducia nel valutare
la situazione di tutto il Metamondo. “Fatelo tornare, comandante! Lo voglio
qui subito! Immediatamente!”.
“Agli ordini”, risponde Alborn irrigidito; dopo un saluto
impeccabile, esce dall’appartamento per poi svanire alla vista sulla piastra
di teletrasporto del pianerottolo.
Adariel riprende il fiato, cercando di riguadagnare il
suo contegno davanti agli occhi costernati dell’ancella. Qualunque sia
la ragione di tutto ciò, deve prepararsi per accogliere il suo fidato
consigliere come merita.
Porto di Akhghanor
Dopo una notte di pioggia, il sole limpido del mattino
risplende sui moli di Akhghanor.
Uomini nerboruti dalla pelle azzurrina lavorano per scaricare
due mercantili, mentre il vento tenta di agitare le vele ammainate e porta
folate cariche di goccioline salate fin alla via. Tre pescherecci dalla
vela quadrata e dipinta con sagome di animali stanno uscendo in mare, sfidando
le onde ancora più alte del normale.
Mentre cammina lungo la strada del porto, Lord Thetras
guarda con rassegnato interesse tutte quelle attività a lui
così poco famigliari, e quel bell’orizzonte blu carico rigato di
bianco.
Può darsi che mi troverò bene anche
qui, pensa accarezzandosi la lunga barba grigia con le mani verdastre.
In fondo, non tutti i mali vengono per nuocere.
Imbocca l’ ampio viale principale che sale verso il palazzo
del Conte di Akhghanor, osservando la gente affaccendata. Una delle occupazioni
più ricorrenti sembra essere il portare merci su e giù per
la via, con gerle di vimini appese alla schiena, oppure con barelle dalle
lunghe aste appoggiate alle spalle di due portatori. Su queste strade in
pendio, carretti e ruote sembrano non godere di alcuna popolarità.
A differenza di Meridian, la gente di questa città
sembra più omogenea come fattezze e colorito, e tutta caratterizzata
da una precoce calvizie, comprese le donne.
Ecco una ragione per sentirmi a mio agio, pensa
passandosi una mano sulla fronte lucida, così ampia da sfumare impercettibilmente
nella nuca prima di incontrare, molto indietro, una cornice di capelli
sbiaditi.
Anche gli edifici sono diversi da quelli di Meridian:
hanno un aspetto più ordinato, con finestre allineate tutte uguali
e facciate lineari intonacate di bianco e azzurro, continuamente ritoccate
per contrastare l’erosione dell’aria salmastra.
Qui sembra non valere l’estetica del ‘diverso è
bello’ dalle evidenti connotazioni ideologiche che vige nella capitale.
Lungo le vie trasversali, dove si tengono dei mercatini,
sente il suono di una lingua diversa, ma il suo potere telepatico è
in grado di superare ogni barriera linguistica, e si immerge brevemente
nelle contrattazioni dei commercianti e delle massaie. In fondo, nonostante
qualche differenza esteriore, i pensieri e le attività della gente
si assomigliano in ogni luogo che ha conosciuto.
Alla fine, la via è dominata dalla facciata del
palazzo del Conte, dall’ingresso ornato da vistosi e variopinti motivi
geometrici e sorvegliato da guardie dalla divisa cremisi e dorata.
Un bello scorcio, deve ammettere Thetras, anche
se non impressionante quanto l’altissimo palazzo di Meridian.
Guarda a lungo quella facciata rifinita con cura, immersa
nella nitida luce del mattino, e comincia a pensare che forse ora troverà
il tempo di dipingere paesaggi.
In fondo, si ripete per l’ennesima volta, questo
nuovo incarico potrebbe anche rivelarsi soddisfacente…
Non è il caso di bussare alla porta come un qualunque
postulante: lui è pur sempre il prefetto di Meridian, e il rappresentante
della Corona deve fare un ingresso degno del suo rango.
Apre la mano, materializzando un sigillo romboidale di
metallo smaltato. Non è solo una credenziale: è la chiave
di tutte le porte.
Tra lo stupore dei passanti, il forestiero dalla barba
grigia scompare in un tremolio.
Un attimo dopo, attorno a lui prende forma l’atrio del
palazzo: ampio e luminoso, con le pareti ornate da affreschi marinareschi
e contornate da bronzee statue di creature marine.
Da dietro le sue spalle, una voce baritonale lo saluta
nella lingua di Meridian colorata da un forte accento locale: “Ben venuto,
Lord Thetras. La vostra puntualità spacca il minuto”.
Voltandosi, si trova davanti al Conte: un uomo alto,
dalla pelle azzurrina e dall’ampia testa accuratamente calva, contornata
da corte treccine ritorte. Qualche passo dietro di lui, due guardie dall’uniforme
lustra ed un valletto fanno tappezzeria.
“Caro Conte Arubek…”, saluta, facendosi sparire il sigillo
nel palmo.
L’uomo si fa avanti nella sua elegante divisa cremisi,
stringendogli la mano. “Ben tornato nella mia dimora”.
“Grazie, Conte. Ho girato un po’ per la vostra bella
città, stamattina. Nelle occasioni precedenti, mi ero sempre teletrasferito
direttamente qui a palazzo”.
“E ora sarete di casa qui. Ci vedremo spesso, d’ora in
poi, come con il vostro predecessore”.
Da una porta entra una donna alta, elegantemente vestita
in un giallo che fa risaltare la pelle azzurrina e la pelata lucente. “Ben
venuto, Lord Thetras”, proferisce in un buon meridiano.
“Bentrovata, Contessa”. Si china eseguendo un galante
baciamano.
“Grazie. Come vi siete trovato con la casa e la servitù
che vi abbiamo messo a disposizione?”.
“Molto bene, grazie. La vista è molto bella. Ah,
mia moglie Katrinor mi raggiungerà entro pochi giorni”.
“Resterete a pranzo con noi, vero?”, lo invita il Conte,
“Mangeremo tra un’ora e mezzo”.
“Un’ora e mezzo…”, ripete incerto Thetras, che ha fatto
colazione poco prima, “Sapete, sono ancora disorientato per il cambiamento
di fuso orario”.
“Ho già fatto preparare un pranzo con le specialità
di pesce più rinomate”, insiste la signora, “Credo che non si trovi
molto pesce fresco a Meridian”.
“Ha ragione. Accetto volentieri”, risponde sorridendo,
poi materializza in mano una cartellina diplomatica. “Prima vorrei togliermi
un pensiero: ho una richiesta da parte del Principe Phobos”.
Il Conte si acciglia: sa che Phobos non chiede, ma comanda.
“Andiamo a parlarne nel mio studio”.
Poco dopo, i due uomini sono seduti ad un grande tavolo
di marmo dalle screziature rossicce.
Thetras estrae un fascicolo scritto e vergato dal Principe,
e lo porge al padrone di casa, stringendosi nelle spalle come per dissociarsi.
Il Conte inforca un paio di occhialini e scorre il documento,
tornando più volte sulle righe già lette, mentre la sorpresa
si disegna sul suo viso. Alla fine riassume: “Inviare tre legioni di trecento
soldati a Meridian? Ma perché?”.
Thetras risponde, evasivo: “Il Principe Phobos avrà
i suoi motivi, ma non me li ha spiegati”.
Il Conte lo osserva a lungo.
Thetras, a disagio, percepisce perfettamente gli interrogativi
pensati dall’altro.
Perché è Phobos ad ordinare una cosa
così importante, e non la Regina?
Chi comanda oggi a Meridian?
Perché Lord Thetras è stato trasferito
qui, ad occupare il posto di uno che era un suo subordinato?
“Conte, so che meritereste risposte chiare per i vostri
dubbi. Tenterò di soddisfarvi per quanto posso: la Regina è
indebolita, e sta aspettando una nuova erede; di fatto, il Principe Phobos
sta prendendo il suo posto… ed anche il mio. Ha deciso di avocare a sé
il ruolo di supervisore supremo dei prefetti, ed io sono venuto qui a servire
Meridian nell'incarico che Lui ha ritenuto il più adatto”. Distoglie
lo sguardo: essere più esplicito significherebbe venire meno al
suo ruolo di prefetto.
L’altro annuisce, grave. “Scusate la franchezza: sbaglio,
o il Principe Phobos sta rafforzando le sue posizioni in vista di… come
dire… di contrasti per la successione al trono?”.
Thetras sospira. “Purtroppo non so rispondervi: tra i
miei poteri, non c’è quello della precognizione”. Sa che è
solo una mezza verità. Di recente la sua chiaroveggenza gli aveva
echeggiato una profezia non sua: ‘Phobos diventerà un tiranno,
crudele e odiatissimo. Morirà solo e braccato’.
Queste frasi lapidarie hanno segnato la fine della sua
carriera non appena Phobos, guardandolo negli occhi, aveva capito che ne
era a conoscenza. Ed ora eccolo lì, con l’intero Oceano Tetidico
tra sé e la capitale.
Il Conte annuisce, pensoso. “Non mancherò di esaudire
il comando del Principe. Però… dovrei far trasferire oltreoceano
anche tutte le famiglie dei soldati? A Meridian esiste cibo e alloggio
per tutta questa gente?”.
“I soldati per ora dovranno accamparsi in periferia.
Le famiglie… E’ proprio necessario? Non potreste mandare giovani non sposati?”.
“Perdonate la franchezza, Prefetto: non credo che novecento
giovani di qui avrebbero buone prospettive di trovare una compagnia nella
capitale. La gente, lì, è troppo… varia, per i loro gusti”.
Thetras annuisce amaramente. “Capisco. L’ho sospettato
subito, girando per le strade di qui. Il popolo di questa città
ha un aspetto piuttosto omogeneo”.
“Ci sono anche sobborghi abitati da gente di aspetto
diverso: verdi e curvi, o tozzi e dalla pelle marrone. Ma questo lo sapevate
già, vero?”.
“Sì, il mio predecessore me l’aveva raccontato.
A dire il vero, a Meridian c’è sempre stata un po’ di preoccupazione
per questo. Abbiamo sempre considerato la gente dell’intero Metamondo come
un unico popolo, anche se molto variegato. Il nostro peggiore incubo è
che possa suddividersi in etnie, e che queste possano entrare in contrasto
tra loro. Che questo possa aprire la strada ad un’era di divisioni e di
guerre”.
“Me ne rendo conto”, annuisce il Conte scartabellando
nervosamente il fascicolo. “D’altra parte, non potete impedire alle persone
di scegliersi amici e coniugi con cui circondarsi. Il simile cerca il simile”.
“E’ un diritto” conviene Thetras, e tace pensieroso.
Come sanno tutti e due, l’esempio più estremo di questo adagio sono
proprio gli Escanor, che si sono sempre sposati in famiglia. Inoltre, anche
il personale e le guardie di palazzo ricalcano un aspetto fisico che non
è troppo diverso dal loro, colore della pelle a parte.
Però il merito è sempre riconosciuto: lui
stesso non sarà bello, agli occhi della Regina, ma ciò non
gli ha impedito di diventare Coordinatore Supremo dei Prefetti per via
dei suoi meriti intellettuali e parapsichici; insomma, è ben più
importante di un aitante ufficiale della guardia o di una cortigiana seducente.
Per decenni è stato lui stesso a consigliare la
Regina sulla nomina dei Conti, non necessariamente ereditaria, sulla base
delle sue percezioni su di loro e delle informazioni raccolte nelle loro
stesse città guardando negli occhi i passanti. Anche il Conte Arubek
ha dovuto la sua investitura al giudizio di Thetras, dodici anni prima.
E ora… Va beh, non si può sempre salire,
pensa con amarezza.
Il Conte rompe il silenzio: “Posso farvi un’altra domanda
franca, Lord Thetras?”.
“Certo. Però non vi posso promettere una risposta
a parole, visto il mio ruolo”.
“Anche i silenzi possono essere una risposta. Ebbene:
a parte i rimpianti per il vostro incarico precedente, non vi sentite sollevato
di esservi allontanato dalla capitale, in questo momento?”.
Il prefetto non risponde, facendo finta di non capire
la domanda.
Arubek chiarisce: “Ora che… che il clima
sta iniziando a peggiorare, intendo”.
Thetras può rispondere solo con un sospiro. Un
oceano non è bastato per fermare le voci.
D’improvviso, sbarra gli occhi mentre un pensiero risuona
forte nella sua testa: ‘Lord Thetras, siete convocato con urgenza al
cospetto della Luce di Meridian, a palazzo. Vi è stata messa a disposizione
una linea prioritaria di teletrasporto. Vogliate confermarci la disponibilità
a partire’.
‘Sono pronto’, conferma preoccupato allo sconosciuto
telepate.
Anche il Conte, accanto a lui, ha percepito la comunicazione.
“Allora, temo di avere parlato troppo presto. Buona fortuna, Lord Thetras”.
Meridian, palazzo reale
Seimila chilometri passano in pochi secondi. Le tappe
intermedie si sono succedute davanti ai suoi occhi come una serie di immagini
troppo rapide per lasciare più di un’impressione: atri di palazzi
lussuosi, ponti di navi mercantili, austere caserme su isole sperdute o
su altipiani nevosi.
L’ultima immagine si stabilizza; è il pianerottolo
davanti all’appartamento della Luce di Meridian.
Dalla porta aperta, l’ancella Lidrienel gli sorride:
“Ben arrivato, Lord Thetras. Sua Altezza vi attende”.
All’interno dell’anticamera, la Regina Adariel lo accoglie
cordiale, alzandosi un po’ a fatica dal divano. “Grazie di essere venuto,
carissimo Lord Thetras”.
Lui si avvicina, premuroso: “Dovere, Altezza. Non fate
sforzi, vi prego. Come va la vostra gravidanza?”.
Lei sorride intenerita. “Bel pancione, vero?”.
Thetras annuisce con cortesia, sedendosi sulla poltrona.
Per qualche motivo, quel ventre gonfio sotto il vestito da puerpera non
gli desta quell’emozione che ogni nuova vita gli ha sempre suscitato prima
d’ora. “E Voi, Altezza? Non vi abbiamo visto spesso, negli ultimi mesi”.
“Vero”, ammette lei con rammarico, “Vi sto abituando
all’idea di fare a meno di me”. Poi si rabbuia un istante.
Thetras percepisce le parole non pronunciate: ‘Ma
forse qualcuno si sta abituando fin troppo rapidamente’. Non serve
sforzarsi per capire a chi sta pensando.
“Vostra Altezza era già al corrente del mio… cambio
di incarico?”.
“No!”, sbotta lei, “L’ho saputo un’ora fa, quando ho
chiesto di voi. Volevo i vostri lumi per fare il punto della situazione”.
“Sono onorato, Altezza!”.
“Vi prego, siate sincero. Ogni volta che guardo verso
la città dal balcone vengo investita da pensieri scontenti e frustrati,
ma nessuno mi dice niente. Qual è la situazione, in realtà?”.
Thetras si chiede se sia davvero il caso di crucciarla
con un’analisi obiettiva, visto quanto i poteri di lei sembrano essersi
ridotti.
“Altezza, c’è inquietudine per la vostra sorte,
e per l’erede che portate in grembo. Manca molto la vostra opera di guaritrice,
e rimpiangono tutta l’attenzione che avete sempre dedicato a chiunque la
richiedesse”. Poi preferisce dire l’asciutta e completa verità.
“Ma non c’è solo questo”. Prende fiato, cercando le parole. “Di
recente ci sono dei motivi di scontento. Per esempio, il ridursi delle
distribuzioni di acqua magica, diradate ad una ogni cinquanta giorni. Questo
crea difficoltà soprattutto a maghi e guaritori, ed a tutti quelli
che hanno bisogno del loro aiuto”.
“E magari è stato detto loro che è colpa
delle mie cure, vero?”.
“Proprio così, Altezza”.
“E ci hanno creduto?”.
“Qualcuno sì, qualcuno no. Non è
facile ingannare la gente di Meridian: telepatia, chiaroveggenza e soprattutto
intelligenza non sono poi così rari”.
La regina si rabbuia. “In realtà, sono a corto
anch’io di questa risorsa”. Si morde il labbro. “Sapeste quanto male mi
fa che qualcuno possa darne la colpa a me!”.
“Non sono molti, Altezza, né i più consapevoli.
E poi, è di pubblico dominio che, da mesi, solo il principe Phobos
utilizza il giardino. Da allora la vegetazione è diventata assai
più luminescente, e gli alberi sono cresciuti a velocità
innaturale. Di notte gli spazi tra le torri si vedono rilucere a grande
distanza. Così, molti ritengono che parte dell’acqua magica sia
usata per irrigare il giardino”.
“Non lo avrei mai permesso!”, si cruccia lei mordendosi
il labbro. E’ più umiliante lasciar credere che lei ha una parte
in questo spreco, o far capire che la sua influenza si riduce di giorno
in giorno?
Guardando Lord Thetras, percepisce che esita a continuare.
“Vi prego, non nascondetemi nulla!”.
Il dignitario annuisce cupamente, e riprende: “Altezza,
c’è ancora di peggio. In città si stanno formando delle correnti
di opinione, quasi delle fazioni. La tensione tra Voi ed il Principe Phobos
è ormai di pubblico dominio. Molti Vi sono favorevoli, ed attribuiscono
la responsabilità di certe cose a Phobos”. Prende fiato. “Altri,
invece, credono che la scarsità di energia magica sia davvero causa
Vostra e delle Vostre cure, e si augura… come dire… che Voi raggiungiate
presto le Regine che Vi hanno preceduta”.
Per Adariel è una stilettata. “Ero preparata a
questo”, mente con un groppo alla gola.
“Poi c’è una terza fazione, ostile ad entrambi”.
Vedendo la smorfia sorpresa della Regina, Thetras si affretta ad aggiungere:
“Certo, vi riconoscono la Vostra passata dedizione, il Vostro amore per
la gente… però Vi rimproverano di non… come dite… dopo constatato
che nessuna delle figlie che avete avuto con il defunto Principe Consorte
è vissuta… insomma, di non aver scelto un chiunque altro come padre”.
Prosegue, ignorando il viso ferito della Regina. “Naturalmente, quelli
che dicono così sono convinti che anche la Vostra prossima figlia,
come dire…”.
“Morirà”, completa Adariel con un sibilo.
“In altre parole, Vi rimproverano di averli consegnati
nelle mani di Phobos”.
“Consegnati!?!”. Per un attimo i suoi occhi brillano
di indignazione, poi si abbassano. “Purtroppo è vero”. Resta a lungo
silenziosa, poi chiede: “Quindi esiste già un risentimento diffuso
verso di lui. E’ a causa dell’acqua magica?”.
“Non solo. Corre voce di una Vostra profezia, Altezza.
Una profezia sinistra…”.
Lei trasale. “Come fanno a saperlo?”. Che ne abbia
parlato in giro Galgheita, si chiede?
Allora è vera, ne conclude lui. Allarga
le mani: “Meridian è Meridian, Altezza. La telepatia e la chiaroveggenza
non sono rare. Però, per ora sono queste solo voci tra le tante”.
“E dovranno restare così il più a lungo
possibile”, auspica decisa la Regina, “Divulgare questa profezia può
solo anticipare il suo stesso inizio”.
Thetras annuisce. “Immagino che il mio collega dei servizi
segreti, Lord Luksas, facesse non poca fatica per mantenere la riservatezza
su certe operazioni”.
Lei annuisce. “Infatti, quasi nessuno conosceva il suo
ruolo… o almeno lo spero. Sarà il prossimo con cui parlerò”.
Una nuova ombra passa sul viso di Thetras. “Dunque non
sapete neppure questo?”.
“Cosa dovrei sapere?”, si allarma lei.
“Il comandante Luksas è fuggito già un
mese fa”.
E’ l’ennesima mazzata per lei. “Fug…gito? Perché?
Dove?”.
Thetras si stringe nelle spalle. “Non posso saperlo.
Mentirei, se dicessi di essere stato in confidenza con lui. Il mio incarico
è fare chiarezza, il suo era custodire segreti… sempre nell’interesse
del Regno, beninteso”.
“E non mi hanno…”. Scuote il viso: può dare la
colpa solo al suo essersi isolata da sola. “Avete qualche ipotesi su come
sia andata?”.
“Se dovessi tirare ad indovinare, penserei che sia caduto
in disgrazia presso il Principe Phobos, un po’ come è successo a
me. Ma Luksas sapeva troppi segreti, ed ha temuto per sé. Al suo
posto sarei fuggito sulla Terra: lì non troverà nessun telepate
che possa smascherare la sua copertura, qualunque essa sia”.
Adariel tamburella nervosamente le dita su un bracciolo.
“E chi ha preso il suo posto?”.
“Lord Cedric”.
Lei ha un guizzo di sollievo. “Cedric? Lo conosco bene,
è un amico. Ma da quand’è che è Lord?”.
“Da quando ha avuto questo incarico”.
Adariel ci riflette, adombrandosi di nuovo: se Cedric
ha la completa fiducia di Phobos, probabilmente lei non può più
concedergli la sua. “Thetras, ho bisogno di voi. Se dovessi convocare Cedric…
Lord Cedric a rapporto, vorreste essere presente anche voi?”. Vedendo l’espressione
dell’ispettore farsi imbarazzata, si affretta ad aggiungere: “Giusto per
aiutarmi a valutare quanto mi posso ancora fidare di lui…”. Abbassa lo
sguardo, rammaricata. “Lo avete già capito: i miei poteri ormai
sono poca cosa”.
Thetras esita a lungo. “Altezza, io ho dedicato la vita
a garantirvi la sincerità dei vostri sottoposti. Io amo la verità,
la giustizia, il dovere. Ma, che gli Dei mi perdonino, non sono un eroe.
Sono già stato allontanato da Phobos. Se dovessi sfidarlo leggendo
il pensiero al suo uomo di fiducia, poi non ci sarebbe oceano in mezzo
che possa salvarmi da una sua vendetta”. Abbassa il viso contrito. “Vi
prego di perdonarmi, se potete”.
Adariel abbassa il viso a sua volta. “Perdonatemi voi.
Non ho pensato subito al pericolo a cui vi avrei esposto”.
Dopo un po’, la Regina torna a rompere il silenzio. “Avrei
tante cose da chiedervi, e non me ne viene in mente neanche una...”. Alza
gli occhi. “Speravo di avere la vostra compagnia per pranzo, ma, se la
vostra intuizione è giusta, è meglio che torniate subito
ad Akhghanor”.
“Grazie, Altezza”, risponde sollevato il prefetto.
Lei scorre con gli occhi i quadri appesi alla parete.
Un suo ritratto, dalla cornice, ricambia il suo sguardo con un sorriso
sereno che non le appartiene più. “Permettetemi di lasciarvi un
ricordo. Lidrienel, dove sei?”.
L’ancella fa capolino da una stanzetta tappezzata di
romanzetti rosa. “Altezza…”.
“Vuoi tirare giù quel ritratto e consegnarlo a
Lord Thetras, per piacere?”.
“Subitissimo!”; la ragazza esegue immediatamente l’ordine,
porgendo il dono all’ospite. “Prego!”.
L’uomo lo afferra, esitante. “Maestà, sono commosso...”.
“Anche io, Lord Thetras. La vostra saggezza è
stata un riferimento per me. Mi mancherete tanto”.
“Allora è un addio?”.
“Temo di sì. Riguardatevi, amico mio. Tra molti
anni, Meridian tornerà ad avere bisogno di voi”.
Dopo il congedo da Lord Thetras, Adariel si ritira turbata
in camera a riflettere, augurandosi che Lidrienel resti incollata al suo
nuovo romanzetto ancora per un po’.
La città attorno a lei sta cambiando, ma lei se
ne è allontanata, chiusa nel suo appartamento come al di fuori dello
spazio e del tempo. Quasi si meraviglia di quella sua scelta: eppure, non
è che stia così male da non poter uscire di lì. Però,
solo il giorno prima lei ha vergato un appunto sul suo quadernetto, nel
quale si raccomanda di non prendere decisioni prima di aver svolto un elenco
di incontri. Ma che cosa sta nascondendo a sé stessa?
Ciò che la ha più ferita è stata
la rivelazione del rimprovero di aver consegnato Meridian a Phobos. Perché
è vero.
Anche senza la sciagurata profezia della tirannide di
tre anni prima, era stato ovvio da sempre che un principe maschio non potesse
essere un erede accettabile per il Trono di Luce.
Già quarant’ anni prima, alla morte prematura
della sua prima Elyon, suo marito Adleric le aveva fatto capire, prima
con allusioni vaghe e discrete, poi sempre più a chiare lettere,
come lei avrebbe potuto evitare quella maledizione, dovuta a troppe unioni
tra consanguinei: dei figli concepiti con un uomo terrestre avrebbero avuto,
agli occhi dei Meridiani, lo stesso aspetto degli Escanor. Anche se qualcuno
avesse intuito la verità, si sarebbe ben guardato dal divulgarlo.
E poi, lo stesso capostipite Escanor era terrestre, o no?
In verità, le figlie di una donna di stirpe
reale con un terrestre avrebbero avuto poteri dimezzati, ma pur sempre
trasmissibili agli eredi. Molto meglio, comunque, che un maschio.
Lei si rassegnò alle parole di Adleric: era
il suo dovere di Regina.
Alla prova dei fatti, però, lo fece in modo
così poco convinto da andare incontro ad una serie di fallimenti
umilianti.
Prima si sforzò di conoscere qualche terrestre,
fingendosi la nuova commessa della libreria Ye Olde Bookshop, ma si rese
presto conto che questo avrebbe richiesto troppo tempo: il giro di clienti
di quel negozio, già retrò negli anni ’40, era troppo scarso.
Allora tentò un’altra strategia: facendosi
forza, cominciò a frequentare i locali in cui si ritrovavano i marinai
dell’ U.S. Navy in libera uscita: l’ideale per una relazione rapida e non
impegnativa. Le sembrò che il successo stesse per arriderle al secondo
tentativo, quando attirò l’attenzione di un bel giovanotto, alto
e biondo nella sua divisa da marinaio, che poteva ricordare l’aspetto fisico
di Adleric. Quella era la prima volta che trovò desiderabile un
terrestre. Quando cominciarono a parlare, però, presto il discorso
cadde sulla sua vita in marina, e lui raccontò orgogliosamente che
nell’ultima missione di scorta ad un convoglio nell’Atlantico, il suo cacciatorpediniere
aveva affondato un U-boot tedesco, prima danneggiandolo a cannonate, e
poi speronandolo. L’orrore di tutti quegli uomini morti in una bara di
acciaio la raggelò; lui, notando il suo turbamento, continuò
a insistere che erano solo ‘nazi’, guadagnandosi sempre più il suo
disgusto; alla fine il bel marinaio si offese, recriminando che non si
disprezza così chi mette in pericolo la sua vita per la patria,
insinuando ad alta voce davanti a tutti che lei, con quell’accento insolito,
potesse essere un agente nazista o comunista.
Riavutasi da questo scontro traumatico grazie agli
incoraggiamenti di suo marito, Adariel fece altri tentativi, ed una volta
arrivò davvero fino alla camera da letto di un uomo. Poi questo
tipo disse qualcosa su sua moglie in vacanza che non avrebbe mai dovuto
saperlo, e lei non poté fare a meno di paragonare quell’uomo mediocre
al suo Adleric. Al momento di svestirsi, si bloccò e cominciò
a singhiozzare, senza dire più una parola. Alle insistenze dell’uomo,
si vergognò tanto che sparì, senza neppure un tentativo di
celare il teletrasporto.
Tutte le volte, nell’intimità del loro appartamento,
Adleric la stringeva e la consolava, ripetendo che lei avrebbe dovuto riprovarci
per il bene di Meridian.
Le ricordava che anche lui si prendeva delle libertà,
andando a cercare rapporti galanti con belle ragazze terrestri, e quindi
neanche lei avrebbe dovuto sentirsi in colpa: dare una erede a Meridian
era il suo sacrosanto dovere.
Adariel, a parole, gli dava ragione. Non era certo
incline ad un sentimento mediocre come la gelosia: è tipico di chi
non si sente all’altezza del suo compagno, e lei, la Luce di Meridian,
era l’unica adatta ad Adleric. Non che le donne terrestri non potessero
essere anche più belle, spiritose, gradevoli di lei. Non dubitava
che potessero dare grandi soddisfazioni, sul momento. Ma più grande
la soddisfazione, più amara la sua fine: la loro giovinezza si bruciava
in un pugno dei loro brevi anni, e non avrebbero potuto instaurare un legame
duraturo con Adleric, il cui aspetto era rimasto immutato da più
di duecento anni meridiani a quella parte. Inoltre, lui non avrebbe mai
potuto rivelare loro chi fosse realmente, e da dove venisse. Per un uomo
sensibile come Adleric, affezionarsi ad una terrestre era, più che
altro, un modo per farsi del male.
E così, più di una volta Adariel aveva
dovuto consolare, come una mamma comprensiva, suo marito che piangeva per
aver dovuto lasciare un’altra donna.
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Capitolo 9 *** Doppio inganno ***
9-doppio inganno
Ad personam:
Cara Silen, cara Atlantis Lux, vi ringrazio moltissimo
per il vostro incoraggiamento, sul quale conto sempre.
Attraverso la lucidità del personaggio di Lord Thetras sono
stati raccontati molti aspetti importanti sia per descrivere la normale
situazione del metamondo, sia la sua degenerazione nel corso dei mesi passati
dall'inizio di questa storia.
Come abbiamo visto in W.I.T.C.H. e anche in Profezie, Lord Luksas
sopravviverà a Phobos sia fisicamente che politicamente, ma è
un'eccezione; la norma, a Meridian, è che ciascuna regina sepellisca
diverse generazioni di uomini politici grazie alla sua longevità.
Adariel è una persona emotiva, lo vedremo anche questa volta;
purtroppo, spesso le sue buone intenzioni hanno un rovescio della medaglia
per altri personaggi.
Rispondo anche ad un'obiezione di Solitaire fattami per lettera
privata: sia Adariel che Phobos attribuiscono la maggior potenza magica
delle donne Escanor rispetto ai maschi della stessa stirpe alla presenza
di due cromosomi X; evidentemente ignorano che, nello sviluppo dei feti
femminili, uno a caso dei due cromosomi X viene inattivato per non
avere un'espressione raddoppiata di certi geni. Abbiate pazienza con loro:
non sono biologi professionisti, e le loro interpretazioni sono date a
posteriori per tentare di spiegare, attraverso la scienza terrestre, una
situazione che a Meridian è nota empiricamente da millenni.
Il personaggio che viene introdotto alla grande in questa puntata
è Lord Cedric, che finora avevamo incontrato solo di sfuggita
nella libreria di Heatherfield. E' il primo antagonista delle W.I.T.C.H.
nel fumetto, dove lo vediamo alternarsi tra la accattivante forma umana
e quella di un gigantesco uomo-serpente, che assume nei combattimenti.
Attraverso i ricordi di maestra Galgheita, cercherò di spiegare
il mio punto di vista sull'inizio della sua storia.
Nel frattempo il quinto giorno dell'ottavo mese, previsto dalla
sciagurata visione di Frordal, si sta inesorabilmente avvicinando.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 9
Doppio inganno
L’esserino innocente fu affidato alla pietà
di un orfanotrofio in un paese vicino e, anni dopo, avrebbe fatto parlare
nuovamente di sé.
Maestra Galgheita
Meridian, appartamento della regina, il giorno dopo
Un timido sprazzo di sole da sud-est si fa strada tra
i nembi e rischiara il cielo della capitale.
‘Buon segno’, pensa Lidrienel mentre aiuta la Luce di
Meridian ad indossare un bel vestito di broccato per ricevere l’ospite.
Dopo la serata passata a rimuginare pensieri amari, la sua Regina sembra
essersi alzata di umore un po’ migliore. “Lord Cedric è un gran
bell’uomo, non è vero, Altezza?”.
Adariel sorride indulgente, osservando come cade il vestito
sul suo grembo ingrossato. “Quello che conosci non è il suo vero
aspetto, Lidri. Le ragioni per cui mi è caro sono altre, e spero
tanto di potergli lasciare ancora la mia fiducia”.
L’ancella alza un sopracciglio, perplessa, mentre si
china ad abbottonare il vestito: di solito, alterare il proprio aspetto
fino a rendersi irriconoscibile è severamente vietato. “Sono ragioni
che si possono raccontare?”, chiede curiosa.
Adariel si guarda allo specchio. “Per me non sarebbe
un segreto, ma forse per lui sì. Anzi, credo che lui stesso non
sappia tutto del suo passato”.
Il viso di Lidrienel si tinge sempre più di curiosità.
“Oh, Altezza, raccontatemi, vi prego! Sarò discreta come lo siete
stata voi”.
‘Come promessa, non promette bene’, considera Adariel
prima di aggiungere: “Cedric, per me, è un simbolo di come una vittima
di pregiudizi ingiusti possa riscattarsi e dimostrare quello che vale realmente”.
Si volta verso la porta della sua camera. “Vero, Maestra Galgheita?”.
Da dentro la camera, Galgheita le risponde: “E’ vero,
maestà”, mentre rigenera le sue forze immergendo mani e polsi in
una bacinella di acqua magica. Lei ricorda bene l’inizio di quella storia
tragica, anche se preferisce non darlo in pasto alla curiosità di
Lidrienel. E’ un discorso difficile e penoso: non un segreto, ma un qualcosa
di sepolto di cui non parla volentieri.
Lei ricorda bene Sofros, un potente mago dalle molteplici
abilità che abitava nel quartiere di Trasclovkir, non lontano da
casa sua, fino a ventotto anni fa.
Nella grande eterogeneità di aspetti che gli
abitanti di Meridian possono sfoggiare, lui era un caso estremo: con le
zampe corte e la coda lunga, il suo aspetto richiamava più che mai
un rettile.
Lei lo sa bene, nascere così riserva delle
frustrazioni in un mondo dove la maggior parte degli abitanti non ha la
coda, o ne ha solo un abbozzo che non impedisce di nasconderla sotto i
vestiti né di camminare eretti.
Da questo punto di vista, deve ammettere, la gente
di Meridian è molto tollerante con i diversi tra i diversi, ma resta
il fatto che, anche se nessuno ti rimprovera, è considerato comunque
come un qualcosa di negativo. Si nota leggendo negli sguardi, nei toni
della voce più ancora che nei pensieri, o in quelle porte della
vita che non ti vengono mai aperte.
Un giorno, Sofros si mise in viaggio. Sapeva di un
villaggio lontano in cui si raccoglievano persone come lui. Forse voleva
trasferirsi lì alla ricerca di una moglie o di amicizie, anche rinunciando
alle razioni di acqua magica della capitale.
Strada facendo, però, passò per un altro
villaggio, che invece era abitato solo da dei senza coda, e chiese di alloggiare
in una locanda per quella notte. Ciò che accadde fa vergogna anche
solo a pensarci: i locandieri lo scacciarono come un essere immondo, e
nessuno nel paese gli offrì il minimo dell’aiuto che qualunque viandante
si può aspettare, ma piuttosto lo derisero e lo insultarono.
La vendetta di Sofros fu di una perfidia incredibile:
il giorno dopo si ripresentò alla locanda trasformato in un bellissimo
uomo senza coda grazie ai suoi poteri, e cominciò a corteggiare
la figlia dei locandieri, una ragazza che, la sera prima, si era distinta
per la sua crudeltà nello scacciarlo e ingiuriarlo. La sedusse,
e poi la lasciò dopo averla ingravidata.
La crudeltà di questa vendetta fu pienamente
evidente solo undici mesi dopo, quando ne nacque un esserino ancora più
deforme del padre: era quasi umano fino al tronco, ma al disotto era privo
di gambe, ed il suo corpo finiva allungato in una coda come da serpente.
Il povero piccolo fu subito rifiutato dalla famiglia, e tenuto solo per
essere esibito come prova dal locandiere quando costui andò a chiedere
giustizia nella capitale.
Poiché non era mai stato denunciato un fatto
così grave, la Luce di Meridian incaricò Lord Luksas, allora
già direttore dei Servizi Segreti, di fare chiarezza sul caso.
In breve Sofros fu individuato e catturato, nonostante
i suoi tenaci tentativi di sfuggire usando anche magie sofisticate. A Lord
Luksas non servì un interrogatorio, gli bastò un’occhiata
per essere certo di ogni dettaglio della vicenda: l'accusato era colpevole
di uso perfido di pratiche magiche, un delitto più grave anche dell’omicidio.
Infatti nel Metamondo, per quanto violento possa essere un crimine, un
semplice bruto può essere rieducato o almeno controllato forzando
la sua mente con la suggestione post-ipnotica, Per i criminali con forti
poteri mentali, invece, questa possibilità non esiste, o comunque
non dà affidamento. Perciò, un mago può essere solo
buono o cattivo e, per la sicurezza di tutti, i maghi cattivi non devono
esistere.
La regina stessa avvallò la immediata condanna
a morte, e volle venire sul luogo ad officiare di persona il rito che avrebbe
cancellato lo spirito di Sofros e ogni maledizione che lui avesse potuto
lanciare prima dell’esecuzione.
Ma le colpe non erano solo del mago. Le responsabilità
degli abitanti dell’intero villaggio nel deridere e rifiutare un viandante
a causa del suo aspetto sgradito erano pesanti: razzismo e incitamento
all’odio. Un comportamento vietatissimo, un delitto che minava alla base
la disomogenea società del Metamondo.
Con una durezza che sorprese molti, la Regina condannò
i locandieri e la puerpera che aveva rifiutato il figlio alla deportazione
in qualche lontana cava di pietra, a servire il rancio ai forzati. All’inizio,
in preda allo sdegno, voleva infliggere una punizione esemplare all’intero
villaggio, a pubblico monito per chiunque osasse deridere qualcuno per
il suo aspetto, ma poi Lord Luksas la convinse che sarebbe stato meglio
lasciar dimenticare quell’orribile avvenimento per non turbare ulteriormente
gli animi.
La Luce di Meridian, allora, dispose che tutti gli
altri abitanti fossero rieducati con l’ipnosi, e poi suggestionati a lasciar
il luogo natio disperdendosi in paesi lontani in una parvenza di libera
scelta, perseguitati dal rimorso.
Il nome stesso del villaggio maledetto fu cambiato
e, al giorno d’oggi, forse nessuno dei suoi abitanti attuali sa di che
eventi vergognosi fu teatro.
L’esserino innocente fu affidato alla pietà
di un orfanotrofio in un paese vicino e, anni dopo, avrebbe fatto parlare
nuovamente di sé.
Mezz’ora dopo
“Maestà, sono onorato della vostra convocazione”.
Quando l’uomo si china rispettosamente, due lunghissime ciocche di capelli
biondi gli pendono sui lati del viso.
“Cedric, ci tenevo a vederti” gli sorride la regina,
alzandosi a fatica dal divano. “Ma fammi un piacere: fatti sparire dal
viso questa mascherina rossa, così formale… Siamo tra amici, vero?”.
Lui le sorride, mentre la sua pelle attorno agli occhi
perde la netta tonalità vermiglia che rende palese la sua estraneità
alla famiglia reale. “Grazie per la vostra considerazione. La vostra
confidenza mi onora”.
Lei gli sorride. “Se noi reali non dovessimo avere amici,
staremmo peggio del più umile dei nostri servi”. Tornando a sedersi,
aggiunge: “A proposito… ho saputo della tua promozione. Complimenti… Capo
dei servizi segreti! E il titolo di Lord!”.
“Vi sarei grato che continuaste a chiamarmi semplicemente
Cedric, Altezza”.
“Ma certo!”.
“E la vostra gravidanza?”, chiede doverosamente.
“Ecco qui” risponde orgogliosa indicando il pancione.
“Aspetto di sentire calcetti sullo stomaco da una settimana all’altra”.
Poi, quasi scherzosa: “Mi stavo chiedendo come passaste il tempo ad Heatherfield
senza di me”.
“E’ Miriadel che tiene aperta la vecchia libreria. Continua
a raccogliere pubblicazioni scientifiche sugli argomenti di vostro interesse.
Volete che ve le faccia portare?”.
“Magari, anche se ormai serviranno a poco… Sarò
felice di salutarla, anche se mi sono così abituata al suo aspetto
terrestre che non sono sicura di riconoscerla al naturale”. Poi, più
seria: “Ma cos’è successo a Lord Luksas?”.
Cedric fa un’espressione sinceramente dubbiosa. “E’ scomparso
da un giorno all’altro, fuggito. Non ho idea dei motivi, ma il principe
Phobos mi ha ordinato di rintracciarlo e riportarlo indietro, ovunque sia”.
Adariel scuote il viso, incredula. “Non ne sapevo niente”.
“Vostro figlio, il Principe Phobos, ha certamente le
risposte alle vostre domande”.
“Purtroppo c’è stata qualche incomprensione”,
spiega lei adombrandosi. “Ma torniamo a Lord Luksas. Considerate così
importante riportarlo qui?”
“Sì. Temiamo che possa mettersi a capo di qualche
insurrezione”.
La regna sembra aver ricevuto uno schiaffo. “Insurrezioni?
Qui a Meridian?”.
“Non possiamo escluderlo. Comunque noi lo impediremo,
potete fidarvi di me!”. Lo dice guardandola negli occhi, come per infonderle
fiducia. “Però, se questa situazione dovesse protrarsi…”.
“Quale situazione?”, chiede impressionata Adariel.
Cedric sceglie accuratamente le parole. “Voi sapete che
il principe Phobos gode di stime e simpatie sia tra la popolazione, sia
a corte”.
Lei annuisce, accigliandosi. Il movimento ritmico di
un piede sottolinea il suo nervosismo.
Lui continua: “Però si sta diffondendo la voce
che Voi gli siate ostile”.
“IO gli sarei ostile?”, si indigna Adariel. “Ha
dato alle mie cure la colpa di aver prosciugato un terzo dell’acqua magica
di Meridian! Mi ha letto il pensiero contro la mia volontà! Mi ha
accusata ingiustamente di avergli sabotato una dimostrazione, e non si
è ancora scusato! Sostituisce i funzionari più importanti
senza dirmi nulla! E sarei io, quella ostile?”.
Cedric mette le mani avanti. “Altezza, non sto criticando
le vostre ragioni. Però le vostre parole sono una conferma di quanto
ho detto”. Poi, di nuovo confidenziale: “Capisco benissimo che questo stato
di cose vi faccia soffrire molto”.
Adariel si rabbuia ancora di più, deglutisce a
fatica, poi annuisce piano.
Anche lui annuisce, comprensivo, e guarda intensamente
negli occhi la regina, sporgendosi in avanti dalla sua poltrona. “Non vorreste
cercare un modo di uscire da questa situazione di stallo?”.
“Uscire…” ripete Adariel, senza riuscire a staccare gli
occhi dai suoi.
Cedric si fa avanti sempre più. “Non vorreste
passare questi ultimi mesi circondata dall’affetto del vostro popolo e
di vostro figlio?”.
Anche lei si sporge lentamente in avanti, come incantata.
Le sue palpebre non battono più. “…L’affetto di mio figlio…”.
“Vostro figlio vi ama sempre. Ma voi dovete affidarvi
ai consigli di un amico per non rovinare tutto questo”.
“…Un amico…”.
“Vi basta poco. La serenità è vicina a
voi. La serenità è a portata di mano”. Porge lentamente la
mano verso di lei.
“…A portata di mano…”, ripete con voce vuota, allungando
la mano lentamente verso quella di Cedric.
Il momento magico viene interrotto da Lidrienel, che entra
allegramente con un vassoio di bibite: “Altezza, Lord Cedric, ecco qualcosa
di buono per voi!”.
Lui si tira indietro, scoccandole un’occhiata minacciosa.
Adariel resta un attimo con la mano per aria, poi risponde
lentamente: “Non serve, grazie…”.
Lidrienel insiste, con un largo sorriso nervoso: “Come
no! Un ospite di riguardo come… oops”.
Il vassoio che tiene in mano si sbilancia, rovesciando
una caraffa di succo di frutta direttamente sulle nobili ginocchia di Lord
Cedric. Lo schianto dei vetri a terra è come una sferzata,
sottolineata da una zaffata di profumo di melopee.
“Stai attenta, im…” impreca l’uomo, poi riprende fulmineamente
il controllo ed il sorriso impeccabile. “Fa niente, può succedere”.
“Lidrienel, che disastro” sbotta la regina, già
più in sé, osservando gli schizzi verdi sulla vestaglia ed
i cocci di vetro sul pavimento lucido. “Cedric, sono desolata!”.
“Fa niente” risponde lui, mettendosi in piedi sgocciolante.
Scocca un’occhiata di fuoco verso Lidrienel. “Signorina, non ha niente
da fare, di là?”. Poi ad un suo gesto, la sua lunga divisa azzurra
viene avvolta da lievi baluginii, ed in un istante torna asciutta e pulita.
“Vorrei fare lo stesso per la vostra vestaglia…”, sussurra chinandosi verso
Adariel ancora seduta, avvicinando le dita al lembo della sua veste. “Permettetemi…”.
“Non si preoccupi, Lord Cedric” squittisce l’ancella
mettendosi di mezzo con uno straccio umido. “Io ho fatto il disastro, e
io rimedierò”. Guarda le macchie. “Altezza, qui è meglio
cambiare la veste… attenta ai cocci!”.
Ormai la magia si è spezzata. “Cedric, ti chiedo
scusa… vogliamo riprendere il discorso un’altra volta?”.
Lui annuisce con rammarico. “Come desiderate, Altezza”.
Appena la porta si è richiusa dietro l’ospite,
Adariel si rivolge alla sua ancella: “Cosa ti succede? Non ti ho mai vista
così strana… sei sempre stata molto più discreta!”.
“Era necessario, Altezza”, si giustifica stringendosi
nelle spalle.
Dalla porta della camera da letto entra la guaritrice
Galgheita. “Non sgridate Lidrienel, Altezza. Le ho detto io di interrompervi
in qualunque modo”.
“Proprio così”, conferma l’ancella con un inchino,
“Stava cercando di sedurvi”.
“Sedurmi?”, chiede Adariel incredula, “Ma no…”.
“Molto peggio”, aggiunge Galgheita, “Stava cercando di
ipnotizzarvi… anzi, ci stava riuscendo perfettamente”.
“Come…”. Adariel resta incredula. “Ipno...tizzarmi? Cedric?”.
“E ci era riuscito!”, rincalza Lidrienel, spalancando
due occhioni fissi e persi. “Cose da pena di morte!”. Passandosi un dito
sul collo, mima un pittoresco sgozzamento con tanto di lingua fuori.
Adariel si copre il viso. “Cedric cercava di ipnotizzarmi…
Che delusione! Che delusione!”.
“E’ così, altezza”. La grossa coda di Galgheita
si torce per l’imbarazzo. “Avete fatto assolutamente bene a chiedermi di
restare in disparte per valutare se potevate ancora fidarvi di lui. Purtroppo
la risposta è decisamente no”.
“Ipnotizzare la regina!”, ripete incredula lei. “Inconcepibile!”.
Si butta a sedere su una poltrona. “Sono finita! Una regina dovrebbe essere
tale proprio perché i suoi poteri mentali sono superiori a chiunque
altro, ma… prima Phobos mi legge il pensiero, e ora questo…”. Scuote
il viso, triste. Se non fosse per le continue cure di Galgheita, il suo
fisico esaurito troverebbe la pace in pochi giorni. Si guarda il ventre
prominente. Dovrà resistere ancora tre mesi, per sua figlia e per
il futuro della sua città.
“Cosa pensate che volesse?”, chiede Lidrienel. “Non credo
che vi abbia ipnotizzata solo per sedurvi”.
“No di certo”, risponde la regina, sprofondando nello
schienale. “Sarà stato incaricato da Phobos di convincermi. Vuole
il mio appoggio pubblico per la successione al trono”. Scuote il viso.
“Eppure le sue parole mi sembravano così ragionevoli… ma sono io
che mi sono intestardita su Phobos? Forse…”.
“Non è il momento di prendere decisioni, Altezza”
la ammonisce Galgheita, “Io non conosco tutti i vostri progetti, ma in
questo momento voi li conoscete meno di me”. Allunga la mano verso un quaderno
con la copertina a fiori sigillato da una serratura, appoggiato su un cassettone.
Il quadernetto si libra lentamente, poi trasla verso la sua mano. Lo porge
alla regina, dicendole: “Altezza, dovete superare questo momento. Vi farà
bene rileggere le istruzioni vergate di vostro stesso pugno”. Poi
aggiunge: “Però vi suggerirei di inventare qualche procedura più
sicura. Allo stato attuale, credo che siate riuscita a nascondere qual’è
il vostro segreto, ma non di averne uno”.
Annuendo svogliatamente, Adariel appone il polpastrello
dell’indice sopra la gemma della chiusura, poi apre il quaderno. Tra le
pagine, un sottile blocchetto di fogli graffati è in attesa.
Lo rilegge, depressa.
Pagina uno: non mostrare questo a persone non di strettissima
fiducia. Non prendere nessuna decisione importante prima di avere letto
pag.6. Non andare a pag.6 prima di avere fatto quanto indicato nelle pagine
precedenti.
Pagina due: andare alla prova di Phobos … fatto.
Pagina tre: parlare con Thetras… fatto.
Pagina quattro: parlare con Luksas… ormai è
impossibile.
Pagina cinque: parlare con Cedric… fatto.
Con curiosità impaziente, volta pagina.
Pagina sei: assicurati di essere da sola quando passi
a pagina sette.
Meridian, laboratorio di Phobos
Seduto alla sua scrivania, il Principe Phobos sta valutando
il rapporto che gli viene reso dal capo dei suoi servizi segreti.
Cedric, ritto in piedi con il giusto grado di deferenza
e viso impeccabilmente pigmentato da una maschera rossa, racconta: “Altezza,
ho constatato quanto si siano indeboliti i poteri della Regina. Ero
quasi riuscito ad ipnotizzarla, poi è entrata l’ancella…”.
“Quasi fatta non significa fatta, Cedric”. Scuote il
viso, ironico: “Una regina salvata da un’ancella…”.
“Sono quasi certo che lo abbia fatto apposta”.
“Questo significa che già sospettava di te. Se
hai perso il momento buono, la prossima volta potrebbe essere molto più
prevenuta”, riflette di malumore. “Possibile che tu non sia riuscito a
mandare via quella sgualdrinella verde con un solo pensiero?”. Verde… forse
era azzurrina, ma fa lo stesso.
Cedric si morde il labbro. “Ero davanti alla Regina…
avrebbe potuto accorgersene. Purtroppo, in presenza di più persone
è molto difficile fare un lavoro pulito anche con l’ipnosi a distanza”.
Phobos deve convenirne. Resterebbe sempre la possibilità
di usare lo sguardo del comando, la forma più potente di ipnosi,
ma sarebbe ancora più rischioso, perché il luccichio delle
pupille sarebbe una prova su cui nessun testimone può avere
dubbi. E se anche solo si sospettasse ciò, lo scandalo sarebbe enorme;
di fatto, sarebbe un colpo di stato. Phobos non ne uscirebbe senza macchia
neanche se sconfessasse Cedric e lo facesse impiccare.
“Hai avuto l’impressione che mia madre nascondesse qualcosa?”.
L’altro annuisce. “Altezza, all’inizio, appena arrivato,
ho captato un pensiero relativo ad un quaderno. Credo che vi abbia scritto
qualche suo segreto”.
“Interessante. Vedi di scoprirlo. Con la dovuta discrezione,
beninteso”. Mentre sta per congedarlo, gli viene un’altra domanda: “Secondo
te, mia madre potrebbe avere incontrato qualcuno sulla Terra a vostra insaputa,
uno o due mesi prima della morte di mio padre?”.
Cedric cerca di scacciare lo stupore dal suo sguardo.
“Un terrestre… un uomo, intendete?”.
“Chiunque”, risponde gelido Phobos. “Allora, è
possibile?”.
Cedric fa i conti. Un mese o due… corrisponde al dicembre
del 1983 o il gennaio 1984, secondo il calendario terrestre. “Quando c’ero
io con lei, non è mai uscita da sola dal negozio. Però una
volta ha attaccato bottone con un cliente, un giovane, come se lo avesse
riconosciuto. Posso chiedere a Miriadel… Ma comunque, la Regina avrebbe
potuto teletrasferirsi sulla Terra in un luogo diverso dalla libreria,
o mentre noi non eravamo presenti”.
Phobos annuisce con un grugnito di disappunto. “Va bene,
puoi andare”.
Mentre l’altro svanisce, il principe, di malumore, deve
ammettere di essere stato sciocco: poteva darsi la stessa risposta da solo.
Ora, non può sperare che Cedric non abbia capito i sottintesi imbarazzanti
della domanda.
Si alza e va alla finestra, guardando fuori verso il
giardino senza vederlo veramente.
Una gravidanza iniziata quando suo padre era gravemente
malato. Viaggi frequenti sulla Terra, dove l’aspetto degli abitanti ricalca
quello della sua dinastia. Un segreto che spinge sua madre a ritirarsi
nell’appartamento per mesi, con la scusa della malattia, eppure una settimana
prima non ha avuto difficoltà ad arrivare alla Torre dei Veglianti.
La sicurezza che questa figlia vivrà, nonostante la morte in culla
di tutte le precedenti.
Il quadro è coerente: forse l’erede che sua
madre sta aspettando è stata concepita con un terrestre.
Ma perché vergognarsene tanto? Nessuno avrebbe
potuto darle torto. Forse lo stesso Adleric, suo padre, le aveva proposto
questa soluzione: per lui, il bene della dinastia e del metamondo veniva
molto, molto prima delle meschine questioni di gelosia. Probabilmente lei
potrebbe avergli dato ragione a parole, ma poi, alla prova dei fatti, si
sarebbe fatta centomila scrupoli, e infine si sarebbe decisa solo quando
si rese conto che i suoi giorni erano ormai contati, tenendo la cosa nascosta
anche a lui per la vergogna.
Sciocca e sentimentale, pensa con rabbia: lo
ha lasciato crescere per decenni con l’illusione di essere destinato a
diventare Re, e poi, all’ultimo, lo ha disilluso in modo crudele.
Scuote il viso. E’ inutile rimuginare, meglio pensare
lucidamente: se questa ipotesi fosse giusta, che conseguenze ci sarebbero?
In primo luogo, probabilmente la bimba vivrebbe, non
essendo minata dalla consanguineità dei genitori.
Poi non sarebbe sua sorella, ma solo sua sorellastra.
Anche sposandola, forse potrebbe evitare le morti a catena che hanno funestato
i talami della sua stirpe.
Ragionando con la mentalità da genetista di
sua madre, questa bambina avrebbe i mitocondri speciali degli Escanor,
e potrebbe trasmetterli alla discendenza. Inoltre uno dei due cromosomi
X sarebbe della famiglia reale. Insomma, i poteri innati sarebbero
paragonabili a quelli dello stesso Phobos, ma lui sarebbe avvantaggiato
dalla sua conoscenza di magia e dall’esperienza di governo, e potrebbe
tenerle in qualche modo in soggezione la ragazza, risultando di fatto il
Re di Meridian.
A questo punto, se riuscisse a far cambiare la legge
di successione, potrebbe anche diventare il primo Re di diritto della città.
Potrebbe anche dare il suo nome all’intera dinastia, come pretese il leggendario
eroe Escanor prima di lui…
E lei, la regina-sorellastra, come la prenderebbe?
Davvero resterebbe sottomessa per tutta la sua lunga vita, anche portando
la Corona di Luce che amplifica i poteri magici?
Non sarebbe meglio per lui tentare di forzare la mano
al consiglio finché lei è piccola, e farsi incoronare? No,
è troppo rischioso: la Corona di Luce ha una volontà propria,
e amplifica solo i poteri delle Regine legittime. Se con lui non dovesse
funzionare, sarebbe una palese dimostrazione di una sua indegnità.
Esiste una soluzione: nascondere la vera Corona di
Luce, sostituendola con una copia inerte: anche indossandola, questa… come
l’aveva chiamata… ah, sì, questa Elyon non sarebbe mai in
grado di dominarlo, ma potrebbe comunque trasmettere i poteri innati ai
loro discendenti.
Supponendo che uno su due sia femmina, che una femmina
su due abbia entrambi i cromosomi X della famiglia reale, ne segue che
un quarto della loro prole avrebbe gli stessi poteri delle Regine del passato,
e potrebbe ripristinare a pieno la loro divina Dinastia.
Il sorriso soddisfatto che aveva cominciato a dipingersi
sul suo viso viene cancellato da un’ombra di preoccupazione: una figlia
così potrebbe sviluppare poteri superiori ai suoi a soli quindici
o venti anni di età; potrebbe scoprire che la vera Corona di Luce
è stata nascosta, trovarla e rivendicare subito di essere incoronata
regina, ripristinando la vecchia legge di successione.
Deposto dalla sua stessa figlia! No, non deve finire
in un modo così umiliante!
Meridian, camera della regina
Rimasta sola in camera, Adariel volta pagina con apprensione,
e legge l’ultimo foglietto spillato:
Pag.sette: assumi SLA dopo aver distrutto questo appunto.
Mentre il biglietto le svanisce tra le mani in un filo
di fumo, lei riflette: SLA sta per Soluzione di Leryn visualizzando il
colore Azzurro. E’ la procedura per ricordare qualcosa di dimenticato per
mezzo dello stesso filtro, ma usato visualizzando il colore giallo.
Si passa una mano sul ventre, preoccupata: non è
che tutti questi intrugli noceranno alla sua piccola Elyon, che ancora
fluttua serena nel primo paradiso che ciascun essere umano conosce?
Apre l’armadietto dei farmaci accanto al cassettone,
poi solleva un’ampolla ancora mezza piena di un liquido paglierino, osservandola
controluce con apprensione.
Questo è il lucchetto e, al tempo stesso, la chiave
del suo segreto.
Tra l‘altro, provocherà una immediata sonnolenza:
dovrà prima prendere un eccitante, se non vuole essere trovata da
Lidrienel addormentata e col bicchiere ancora in mano.
Non konnestras, piuttosto caffeina; non può rischiare
di perdere la lucidità con un allucinogeno proprio in questi frangenti.
Apre una bustina di una polvere quasi nera con delle
esotiche scritte in inglese, e ne annusa l’aroma amaro e penetrante. Forse
stanotte avrà difficoltà a prendere sonno.
Nel bicchiere d’acqua tiepida del rubinetto la pozione
terrestre si scioglie male, dando un pantano grumoso e poco invitante.
Va beh, non deve offrirlo ad un ospite, pensa prima di sorseggiarlo storcendo
il viso.
Dopo qualche minuto percepisce l’accelerazione dei battiti
del suo cuore, ed una nuova impazienza la spinge. Riempie a metà
il bicchiere con la soluzione di Leryn, trattenendosi un attimo ad osservare
i grumetti neri galleggiare nel liquido giallo, poi beve. Subito dopo,
si sforza di visualizzare intensamente tutte le tonalità del celeste:
il ciano, il turchese, l’oltremare, il cobalto…
La rivelazione la colpisce come una bastonata: lei
non è davvero incinta. Il suo ventre non contiene alcuna nuova vita.
Gli occhi le si riempiono di lacrime: è stato
bello cullarsi nella dolce idea di una gravidanza. La piccola Elyon non
verrà dal suo grembo.
La sua strada è ancora in salita: al momento decisivo,
dovrà raccogliere tutte le sue forze per la nuova Luce.
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Capitolo 10 *** Rivolta ***
10-rivolta
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua bella recensione. Cedric
è uno degli antagonisti più notevoli in WITCH, e per il fumetto
far morire lui è stato un modo di tagliarsi i ponti alle spalle
per poi diventare qualcosa di diverso da com'era nato. In questa
fase non è ancora un personaggio negativo, al di là del servilismo
che chiunque voglia avere successo con Phobos è obbligato a sfoggiare.
Ringrazio anche Silen che, a suo tempo, aveva riletto questo
episodio per consigliarmi.
Ecco, il giorno della profezia di Frordal è arrivato, e come
potete immaginare non è un bel giorno. Alcuni storici di Meridian
fanno risalire l'inizio della tirannia a questo episodio, altri più
prudenti preferiscono rifarsi all'episodio finale di questo racconto.
Qui si intravedono entrare in scena, da lontano, due personaggi
che appaiono anche nel fumetto, e credo che qualcuno saprà già
dare loro un nome. Nella prossima puntata ne saprete di più su di
loro, e anche sul lontano passato di Lord Cedric.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 10
Rivolta
Meridian, palazzo reale
'Più cose scopro della Terra, più mi sembra
strana', pensa Eleanor Brown, materializzandosi nel suo alloggio a palazzo.
Depone la cartella di riviste terrestri. Il sigillo di
metallo smaltato svanisce nel suo palmo, poi, con un gesto delle mani si
materializza una grossa borsa: una scorta di alcune medicine terrestri
che non hanno equivalenti a Meridian. Da quando l’acqua magica scarseggia,
i medici della sua città richiedono sempre più spesso questi
farmaci chimici.
Lei ha provato, per curiosità, a leggere un paio
di foglietti di istruzioni, ma fin dalle prime righe le hanno fatto drizzare
i capelli: tra avvertenze, controindicazioni, effetti collaterali e interazioni,
questi prodotti sembrano più minacciosi dei mali che curano.
E poi, cavolo, non si potrebbe farla semplice? Andare
con un po’ di lingotti d’oro e portarsi via una vagonata di quello che
serve?
No, la guarderebbero come un’aliena. Invece le richiederebbero
codici fiscali, ragioni sociali, documenti, coordinate bancarie, conti
correnti… tutte cose che non ha ancora imparato a gestire, così
le tocca ogni volta cambiare faccia e fare il giro delle sedici farmacie
della città presentando false ricette mediche, comprando con denaro
falso tre scatole qua, due là… Insomma, la Terra è proprio
pazzesca, pensa, mentre la borsa di medicine torna a svanire nel suo palmo.
Con un baluginio, Miriadel riprende il suo vero aspetto.
Si guarda allo specchio, soddisfatta: la liscia pelle
grigioverde, i capelli a treccine verde azzurro scuro, le affusolate orecchie
a punta, le pieghette sopra il suo bel nasino all’insù… sì,
è proprio affascinante.
E poi, non è il caso di meravigliare i passanti
uscendo dall’alloggio a palazzo con tratti insoliti o esotici. Si ricorda
bene di quella volta che suo marito Alborn la vide con l’aspetto terrestre:
rimase così turbato che poi, per mesi, volle tenere la luce accesa
tutte le volte che facevano all’amore assieme.
Caro Alborn! Se non avesse utilizzato tutta la sua influenza
di comandante della guardia per averla lì, forse l'avrebbero costretta
a trovarsi un alloggio ad Heatherfield e rientrare a palazzo solo nei fine
settimana: i frequenti cambiamenti di aspetto fisico e i teletrasferimenti
hanno un costo energetico che, in questo periodo di scarsità, sta
pesando molto.
Fuori dalla finestra, verso nord, si vedono solo le riposanti
distese dell’altopiano e le montagne che muovono l’orizzonte, azzurre di
lontananza. È ancora pieno giorno, mentre ad Heatherfield stavano
già scendendo le prime ombre di una soleggiata sera di agosto.
Prende con sé la cartella delle riviste: Sua Altezza
sarà certo contenta di aggiornarsi su quelle forme di magia che
i terrestri chiamano pomposamente ‘scienza’.
Appena uscita dall’alloggio, Miriadel percepisce subito
una tensione nell’aria.
Due guardie, insolitamente dotate di elmi e scudi, percorrono
a lunghi passi il corridoio senza degnarla di un’occhiata; si sente un
lontano vocio concitato, forse dall’ingresso principale nella torre est.
Segue, inquieta, quei soldati e quel vocio, superando
la torre nordest e gli appartamenti reali dove era diretta.
Giungendo nel grande atrio, vede molte guardie schierate,
perlopiù in un insolito assetto da battaglia.
Accanto al portone aperto, suo marito sta gridando ordini,
e un drappello si dirige fuori, uscendo alla luce e svoltando a destra
per scendere dalla grande rampa di scale esterna.
“Alborn!”.
“Miriadel! Grazie agli Dèi, sei arrivata. Forse
ci puoi aiutare”.
“Ma cosa sta succedendo?”.
“Dei disordini in città. La Guardia di Palazzo
ha avuto ordine di presidiare l’edificio”.
La accompagna sul grande scalone esterno che curva elegantemente
a destra, offrendo una vista stupenda dell’abitato sottostante. “Ho fatto
disporre parte degli uomini sulla strada che sale dalla città, e
parte appena fuori dalla recinzione del giardino”.
Miriadel osserva le guardie schierate; alcune si rigirano
nervosamente tra le mani caschetti e scudi come se li vedessero per la
prima volta.
Ai piedi della rupe, in città, l’ampio Piazzale
Sottocastello è presidiato da soldati tarchiati, dalla pelle
marrone e con divise azzurre che non riconosce. “Chi sono quelli?”.
“Un’unità arrivata di recente da Mitlar. In città
ci sono truppe richiamate da fuori, e anche unità antibrigantaggio”.
Miriadel aggrotta lo sguardo: in passato, ha svolto alcune
missioni segrete in appoggio a truppe del genere, e non avrebbe mai scelto
proprio loro per un’operazione di ordine pubblico in città. “Perché
non hai mandato le nostre guardie in centro, piuttosto, e non hai tenuto
quelli lì attorno al palazzo?”.
“Ordini del Principe Phobos”. Indica verso l’alto.
Seguendo il suo sguardo, Miriadel vede solo i riflessi
sulle vetrate chiuse della sala del trono, ma le è impossibile capire
se vi sia qualcuno dietro a osservare. Poi torna a guardare in basso. “Com’è
la situazione in città?”. Dall’alto, la via principale le sembra
vuota fino alla centralissima Piazza Due Lune, gremita di gente.
“Non lo so. Non sono riuscito a contattare Cedric, né
i comandanti di quelle unità, e non posso lasciare questa posizione.
Non potresti andare a dare un’occhiata e riferirmi per via telepatica?
Lei esita: anche se conosce tante tecniche, i suoi poteri
personali non sono gran che, quando non c’è vicino qualcuno molto
speciale, come Cedric, a farle da master.
Prova a pensare a lui… invano. Dopo qualche secondo,
si rassegna a non avere risposta.
“Va bene, caro. Farò quel che potrò”.
“Con prudenza, Miri, ti prego”.
“Con prudenza”, promette lei incrociando le dita e facendosi
svanire in mano la borsa di riviste. Al suo posto, appare nuovamente il
sigillo di teletrasporto.
Un istante le basta per percorrere i centoventi metri
che la separano dal piazzale sottostante, fin alle spalle dei soldati.
Li osserva: sono un gruppo abbastanza omogeneo, tarchiati,
dalla pelle marrone e quasi scagliosa; brandiscono lunghe alabarde che,
nei vicoli stretti, potrebbero essere non poco d’impaccio.
Decide di passare senza farsi notare: la sua appartenenza
ai servizi segreti non è di dominio pubblico.
Non può rendersi veramente invisibile, ma è
capace di influenzare le menti degli astanti per passare del tutto inosservata.
Peccato che questo suo modesto potere si esaurisca nel raggio di
una ventina di passi… buffo, potrà essere individuata più
facilmente da lontano che da vicino.
Si inoltra sulla via centrale, quasi deserta. Tutti i
negozi hanno chiuso i battenti; dalle finestre dei piani superiori, facce
preoccupate sbirciano da sottili spiragli o nascoste dalle tende.
In fondo alla via, però, la centralissima piazza
Due Lune appare gremita. Ovviamente niente bancarelle, oggi.
Avvicinandosi, capisce che è una specie di comizio:
alzandosi in punta dei piedi, intravede un palco improvvisato. L’oratore
del momento è un uomo gobbo e anziano che lamenta i prezzi dei guaritori,
saliti alle stelle.
Subito dopo, un altro lamenta che, dopo le udienze pubbliche
settimanali della regina, sono state sospese anche quelle del principe
Phobos.
Miriadel cerca un buon posto di osservazione: purtroppo
rendersi invisibili in una folla serve perlopiù a farsi spintonare
e pestare i piedi, e collezionare un po’ di scuse distratte o stupite quando
ti notano comunque. La breve scalinata di una casa signorile fa al caso
suo, basta influenzare un paio di astanti per farsi lasciare libero il
gradino più alto.
Arriva a far emergere la testa dalla folla in tempo per
sentire: “Ma cosa vuoi raccontarle, alla regina? Che si decida a crepare?
Sono proprio le sue cure a prosciugare le distribuzioni di acqua magica!”.
Miriadel si acciglia: quel tipo pagherà caro ciò
che ha detto. Anche se lei lo volesse ignorare, il suo occhio allenato
ha già riconosciuto diversi agenti segreti infiltrati tra la folla
ad osservare i facinorosi. Niente di più probabile che anche Cedric
sia qui.
Altri intervengono, parlando tutti assieme. Qualche voce
spicca sulle altre: “E’ Phobos ad usare l’acqua per irrigare il giardino.
Alzate gli occhi dopo il tramonto e lo vedrete brillare da far impallidire
il firmamento”. “Ci va anche la regina”. “No, solo Phobos”.
“La regina non si vede più da mesi”. “C’era pure, quando Phobos
ha fatto quella figuraccia”.
Un uomo vestito elegantemente, con una barba ben curata,
si fa avanti. Lei lo riconosce: è un ricco mercante di stoffe. Con
voce calma e conciliante, scandisce: “Cittadini, propongo di nominare una
delegazione per chiedere udienza alla Luce di Meridian”.
Un altro ribatte: “Meglio a Phobos. Ormai la regina non
conta più niente”.
Con sollievo, Miriadel constata che la situazione è
ancora controllabile: basterà influenzare la mente di qualche facinoroso
e la manifestazione prenderà senza dubbio una strada non pericolosa.
Meglio non farsi notare, però: i metodi ipnotici
agiscono solo su poche persone per volta, e se qualcuno si accorgesse di
questo suo gioco, lei si troverebbe in grosse difficoltà.
Il sollievo dura poco: dalla strada centrale che sale
da Meridian bassa si vede arrivare un nutrito drappello di soldati dalla
pelle marrone, tozzi e massicci, con elmi metallici e lunghe alabarde sollevate.
In testa al gruppo marcia un ufficiale dalla pelle azzurrognola e dalla
corporatura enorme, più di sette piedi di altezza per tre di larghezza.
Il grosso mento tondeggiante è ornato, sul solo lato sinistro, da
un assurdo pizzo biancastro ritorto, con poche ciocche di capelli asimmetriche
che contornano il cranio calvo.
Ma è ciò che sta alle spalle del drappello
che la impressiona di più: un Sarvak addestrato, un bestione verde
e squamoso a metà tra un dinosauro e una tigre: utilissimo per stanare
i briganti dai boschi, ma difficilissimo da controllare in un ambiente
affollato.
Da un’altra via si vede arrivare… ma quello, coperto
da un mascherone di cuoio e dipinto di verde scuro, è un rinoceronte
da guerra! E’ cavalcato da un ufficiale dalla pelle azzurrina, i cui lunghi
capelli biondi e lisci fanno contrasto alla corporatura massiccia e ai
lineamenti rozzi che sembrano scolpiti nella pietra.
Al suo seguito, un reparto molto eterogeneo, vestito
con divise mimetiche verdi e marroni, brandisce machetes che sarebbero
molto più adatti alla guerra nella giungla che a una operazione
di ordine pubblico.
Alla vista di quei militari, un’ondata di paura percorre
gli astanti. Miriadel vede parecchie persone rientrare nelle case; altri
dapprima bussano, poi battono con forza alle porte di case non loro, che
non sempre vengono aperte.
L’uomo dalla barba ben curata scende dal palco
e si fa largo faticosamente tra la folla, cercando di sembrare autorevole.
Studia un attimo i militari schierati, poi sceglie di andare incontro al
gigante azzurrognolo. “Signor ufficiale, questa manifestazione è
pacifica e rispettosa, e le armi sono fuori luogo. Stavamo per nominare
una delegazione per chiedere udienza a Sua Altezza la Luce di Meridian”.
Per un attimo la tensione sembra allentarsi, poi dei
mormorii corrono tra la gente.
Un altro uomo fende la folla e si accosta al primo. “No,
a Sua Altezza il Principe Phobos”.
Alle sue spalle, protette dall’anonimato, alcune voci
si alzano:
“A quel ladro?” “Abbasso Phobos”. “Vogliamo
la regina”. “Quella mummia? Che si decida a crepare, una buona volta”.
L’uomo elegante si volta scandalizzato: “Ma che dite?”.
Il gigantesco ufficiale si fa avanti, spingendolo in
disparte, ed avanza fino all’ultimo che ha mormorato. “Prova a ripeterlo!”,
lo minaccia sovrastandolo.
L’omino esita, intimorito, ma nella folla diverse voci
anonime mormorano “Quel ladro”. “Quella mummia”.
L’ufficiale si gira, cercando di dare un volto a quelle
voci. “Ripetetelo, vigliacchi!”, grida brandendo i pugni possenti.
Dalle sue spalle si leva un coro anonimo di insulti.
Quando un piccolo sasso lo colpisce da dietro, lui si volta con un ringhio
di rabbia, sguainando uno spadone che, in mezzo a quella calca, non potrebbe
neppure manovrare.
Lungo la via, i suoi soldati prendono ad avanzare lentamente,
puntando le alabarde ad altezza d’uomo.
Nell’altra via, l’ufficiale biondo grida un incitamento
dal suono selvaggio, poi avanza con il suo rinoceronte fendendo la
folla e roteando per aria un’enorme spada.
Grida di panico si levano da molti, mentre i suoi uomini
avanzano brandendo i machetes, ma alcuni dei manifestanti restano fermi
guardando con sfida i soldati. In pochi secondi, si passa agli spintoni.
Poi, quando un uomo solleva con incredulità una mano insanguinata,
gridando di dolore, scoppia il caos, e mille grida si soprappongono: paura,
rabbia, orrore.
Ma è un altro il grido che copre tutti gli altri:
con lo stridio di una immensa aquila, il sarvak carica, aprendosi la strada
verso il suo padrone la cui testa azzurra spicca ancora tra la folla. Prima
si fa largo tra i soldati colti di sorpresa, poi tra la folla, spintonando
e travolgendo. Dopo pochi passi, quando sente l’odore del sangue, sembra
impazzire. Viene proprio verso Miriadel, creandosi attorno il vuoto con
potenti sferzate di coda, e spargendo sangue con gli artigli.
Non è il momento di perdere la calma. Miriadel
si fa apparire in mano il sigillo. Inizia la procedura mentale. 'Com’era?
Sì… Niente! Perché non funziona più questo coso
di merda? Stupido fondo di lattina, portami via di qui!'
Le fauci del sarvak sono ad un braccio da lei, e sente
l’alito caldo e fetido del mostro. La sua pupilla da coccodrillo la guarda
dall’occhio giallo. La può percepire? Giurerebbe di sì…
Improvvisamente, quando Miriadel aveva già cominciato
a rivedere la sua vita che le passava davanti agli occhi, un tremolio inghiotte
la scena orribile.
Subito dopo, la sua prospettiva è cambiata. 'Tetti
di ardesia? Dov’ è la belva? Sono già morta?'
L’appoggio le manca sotto i piedi, e annaspa senza sapere
cosa…
Una mano la afferra, consentendole di ritrovare l’equilibrio.
“Attenta, Miriadel”.
“Chi…”. Guarda sorpresa il suo salvatore. “Cedric!”.
La guarda cupo. “Proprio io”. E’ in piedi sulla falda
del tetto, aggrappato ad un camino. “Abbiamo già perso Bolkotz e
Gruplerd in quella bolgia. Hai rischiato di essere la terza dell’elenco”.
Miriadel si afferra al camino e guarda incredula sotto
di sé: nella piazza ai suoi piedi il massacro sta continuando. Il
sarvak ha raggiunto il suo signore, lasciandosi dietro una scia di corpi
a terra in posizioni innaturali. L’ufficiale sul rinoceronte rotea lo spadone
insanguinato. Macchie rosso scuro si intravedono sul selciato, mentre la
gente cerca di fuggire dalle vie laterali. Qualcuno dei manifestanti ha
raccolto una spada, sfidando i commandos in uno scontro dall’esito scontato.
“Cedric, è orribile! Fai fermare questo massacro
insensato!”.
Lui risponde imperturbabile: “Non posso. Non sono qui
per comandare”.
“Ma chi ha ordinato questa…”.
La interrompe con un gesto. “Ora io sono gli occhi e
le orecchie del Principe Phobos”.
Miriadel si zittisce: avrebbe voluto urlare chi era quel
deficiente che ha fatto intervenire quegli esaltati e quella belva scatenata
a far precipitare le cose, ma certo non è il caso di dirlo in diretta
a Phobos.
“Ma lui non può far finire….”.
“Lui sa già ciò che succede. Se vorrà
intervenire, non sarà perché glielo abbiamo chiesto né
io, né tu”.
Miriadel annuisce amareggiata. Guarda la gente che cerca
rifugio nelle stradine e i soldati che li inseguono. Deve fare qualcosa.
Cedric le prende tra le dita il ciondolo che lei tiene
ancora in mano. “Perché vai in giro con il sigillo scarico, Miriadel?
Questa leggerezza stava per costarti cara”. Attraverso i suoi polpastrelli,
una debole luminescenza avvolge l’oggetto. “Ecco, così funzionerà
ancora per un po’ ”.
Lei annuisce. “Vado giù”.
“Non puoi fare niente”.
“Posso provarci”.
Un attimo dopo, è di nuovo in piazzale Sottocastello,
alle spalle dei posti di blocco.
I soldati hanno incominciato ad avanzare lentamente verso
il centro, intrappolando gente che cercava la salvezza nella fuga.
Miriadel insegue i militari e afferra per le spalle un
sottufficiale. “Li fermi! Lasci uscire la gente da questo inferno!”.
L’uomo si volta stupito. “Non sono questi, gli ordini
che ho ricevuto”.
“Io ho visto cosa succede laggiù! Un sarvak impazzito
e un criminale su un rinoceronte stanno massacrando la gente. Volete anche
voi la vostra parte?”.
Il sottufficiale scambia sguardi dubbiosi con i soldati.
“E lei chi è?”.
“Servizi segreti”, risponde sventolando il sigillo.
Poco convinto, l’uomo ordina: “Fermiamoci qui”.
Dopo aver convinto altri gruppi di soldati a non serrare
la morsa, Miriadel si trasferisce nuovamente nell’atrio del palazzo.
“Pazzi assassini!” sbotta.
Alborn, dalla scalinata esterna, si gira e viene verso
di lei con occhi spalancati dall'apprensione. “Mi hai fatto paura. Ho perso
il contatto quasi subito”.
Parlando tra i denti, Miriadel gli racconta: “E’ stato
orribile. Quando sono arrivata, la situazione era ancora controllabile.
Poi sono arrivati degli idioti con spadoni, rinoceronti e sarvak, e hanno
fatto un massacro. E Phobos non ha fatto niente per fermarli!”.
Dal corridoio della torre nordest si sente gridare: “Phobos!
Dove sei, Phobos?”. E’ la voce della Regina.
Pochi istanti dopo, lei arriva trafelata nell’atrio,
correndo pesantemente. “Dov’è Phobos?”, grida fuori di sé.
Alla sommità dello scalone, il principe appare
solenne da un alone luminescente. “Stai tranquilla, madre. Non c’è
pericolo”.
“Tranquilla? Pericolo? Non c’è mai stato pericolo,
qui. E’ in città che sta succedendo un disastro, un massacro senza
precedenti!”.
Senza scomporsi, lui risponde: “Senza precedenti sono
gli insulti che quella feccia ha rivolto contro la nostra dinastia”.
Lei freme di sdegno. Urla, con voce strozzata: “Insulti?
Quella è la mia gente, la tua gente! E tu hai permesso questo per
poche parole stolte?”. Poi, portandosi i pugni alla fronte: “Che
tu sia maledetto, Phobos! Che questo sangue ricada su di te e te soltanto,
e ti accompagni per sempre!”.
Mentre la regina scoppia a singhiozzare e si accascia
a terra, il grande atrio resta congelato in un silenzio inorridito.
Phobos, incapace di rispondere, scruta tutti gli occhi
dei presenti alla ricerca di un’assoluzione, ma vi trova solo rammarico
e imbarazzo.
I singhiozzi di sua madre echeggiano fino a smorzarsi
lentamente come un fuoco che si spegne, lasciando nuovamente sentire lontane
grida e lamenti dalle strade della città ferita.
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Capitolo 11 *** Inchiesta ***
11-inchiesta
Ad personam:
Cara Melisanna, che piacere sentirti! Grazie mille per il
link al concorso sullo steampunk, sto pensando cosa potrei portare.
Cara Lux, in questa puntata sapremo qualcosa di più
sui retroscena della brutale repressione, e su come Phobos inizia a considerare
i suoi cittadini. Probabilmente il pugno di ferro non faceva parte dei
suoi propositi iniziali, ma le cose stanno gradualmente peggiorando.
Le avventure terrestri di Miriadel e le sue opinioni su quanto vi
trova sono una delle parti cui sono più affezionato.
Cara Silen, grazie mille per le recensioni al capitolo 9
e 10, e grazie per averli a suo tempo riletti (sarà un anno fa?
O quasi?). Interessante l'origine di Cedric, vero? Mi sono scervellato
un po' per costruire una storia coerente attorno a un personaggio che spicca
per la sua diversità perfino tra l'eterogenea popolazione del metamondo.
Questa volta c'è la continuazione. Miriadel e Alborn... due
personaggi dal ruolo straordinario, che però costituiscono la coppia
più normale di tutta la storia.
Cara Blackmiranda, che bello, una nuova lettrice di questa
storia! Sono felicissimo che tu l'abbia letta con tanta passione, e spero
che resti all'altezza delle tue aspettative fin alla fine. Sì, i
primi tempi di WITCH sono stati davvero memorabili.
Cara Sol, ti ringrazio moltissimo per i tuoi commenti ai
capitoli precedenti. Sono sempre interessato a sapere cosa si pensa della
storia e dei suoi personaggi, anche se non condividi i valori etici che
ho attibuito ai meridiani. Comunque ti invito a non giudicare frettolosamente
i familiari di Jonatludr, nel seguito si vedrà quanto tengano a
lui e quanto ciò costerà loro.
Non sottovalutare ciò che ha fatto Phobos alla regina: imponendosi
su di lei, l'ha delegittimata di fronte ai cittadini, mostrando quanto
i suoi poteri mentali si fossero indeboliti, e questo può aver contribuito
al disastro di Rivolta, in cui qualcuno ha osato chiamarla 'mummia'.
Sì, l'esperimento di Jonatludr è scientificamente
riuscito, e in futuro i suoi perfezionamenti gli assicureranno una fama...
passata.
Due parole su questo capitolo. In primo luogo vedremo da vicino due
personaggi che qualcuno avrà riconosciuto nella puntata precedente:
il grosso Vathek, fedele collaboratore di Cedric per i prossimi
undici anni, e che poi nel fumetto lo abbandonerà per schierarsi
con la resistenza a Phobos, e Frost il cacciatore, il potente cavaliere
del rinoceronte, che invece resterà fedele a Phobos fin oltre la
sua caduta, cercando di vendicarsi delle WITCH a Heatherfield. Per entrambi,
ho immaginato un passato di ufficiali nell'esercito regolare di Meridian.
Poi vedremo il completamento del passato di Cedric, che però
è lo stessissimo brano che appare anche su Alla fine del millennio.
Il colonnello Tracon non è mai citato nel fumetto,
però ha un piccolo ruolo anche in Profezie. Notate che in tredici
anni meridiani non ha ricevuto neanche una stelletta in più.
Infine si scoprirà in che modo l'opinione della gente può
influenzare, nel bene e nel male, i regnanti di Meridian, e perchè
Phobos senta il bisogno di ritirarsi nel giardino e crearsi attorno una
corte di Mormoranti.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 11
Inchiesta
Meridian, palazzo reale, sala delle riunioni
“Si accomodi lì, capitano Vathek”.
Il gigante azzurrognolo si siede a disagio sulla poltroncina
a destra, troppo stretta per la sua mole. Gocce di sudore freddo gli scorrono
sul viso mentre osserva, uno per uno, i membri della commissione. Sente
i loro occhi penetranti, e non riesce ad affrontare a lungo quegli sguardi.
Il primo, un uomo tarchiato dalla pelle color terra,
è il colonnello Tracon, il suo comandante di battaglione. Gli ha
già detto che lo trasferirà ad altro incarico, ma cercherà
di evitargli di peggio.
Al suo fianco c’è il comandante della guardia
di palazzo, slanciato e dalla pelle verde. Il colonnello… Alborn, gli pare.
Il suo sguardo non sembra troppo interessato a lui, come se aspettasse
qualcun altro.
Il terzo è un giovanotto biondo, calmo e autorevole,
il cui viso rosato è interrotto da una banda rossa sugli occhi,
quasi una mascherina. Un Escanor, possibile? Ma chi?
Il quarto è un anziano alto e magro, dalla pelle
verde e le spalle curve da studioso, ma con uno sguardo di rabbia mal trattenuta
che, per fortuna, dirige rapidamente verso la porta. Deve essere Lord Senes,
capo del Consiglio dei Veglianti di Meridian.
Infine entra il suo coimputato: Frost il cacciatore, il
cavaliere del rinoceronte. Il viso duro, il passo deciso, lo sguardo diretto
e aggrottato: tutto in lui comunica sfida.
Si pone in piedi davanti alla commissione, dritto e fiero.
“Sedetevi lì, capitano Frost”, invita il misterioso
giovanotto biondo. “Per chi non mi conoscesse, io sono Lord Cedric. Allora,
sapete già tutti che nei disordini di ieri si sono contati trentatre
morti…”.
Mentre l’altro parla, i pensieri di Vathek si
perdono in quei momenti orribili. Questa notte, le immagini del disastro
non lo hanno lasciato un attimo, assieme ai suoi rimorsi: come ha potuto
lasciare incustodito Drakkar, il suo sarvak, per andare a questionare con
quei vigliacchi?
Restò stupito ed incredulo quando vide Frost
spingere il suo rinoceronte tra la folla: cosa stava succedendo?
Il vero terrore scoppiò con lo stridio aquilino
di Drakkar, che partì verso di lui senza controllo, aprendosi la
strada con la forza brutale delle sue tre tonnellate, dei suoi denti, dei
suoi artigli lunghi come pugnali, incurante del suo comando disperato:
“No, Drakkar, fermo!”.
Quando il bestione giunse davanti ai cacciatori, non
li considerò dei semplici ostacoli; nelle loro divise mimetiche
vide cenci di banditi, e nelle loro spade sguainate vide una minaccia.
In qualche lunghissimo istante, Vathek osservò
le fauci dell’animale chiudersi sul torace di uno di loro, sollevarlo agonizzante
scrollandolo a morte, poi scagliarlo via per avventarsi, in rapida successione,
su altri tre di quegli sciagurati, mentre la folla gridava in preda al
panico e fuggiva calpestandosi.
Restò incredulo a guardare mentre il sarvak,
mordendo e spintonando chi capitava, gli arrivava vicino e si avvolgeva
attorno a lui a proteggerlo col suo corpo, come una madre protegge i suoi
cuccioli.
Incapace di fare alcunché, Vathek si rese conto
del sangue che gli macchiava i vestiti: era dell’animale, ed usciva copioso
da numerose ferite da taglio; i suoi stridii, da fortissimi, si facevano
man mano più deboli.
Lui restò incredulo, accarezzando e chiamando
il suo fedele Drakkar finché la luce della vita si spense lentamente
nei suoi occhi gialli.
La voce dell’anziano Senes vibra di indignazione, richiamando
la sua attenzione al presente: “Questo disastro ha dei colpevoli. Le testimonianze
sono chiarissime: questo assassino - indica Frost - e i suoi tagliagole
hanno ucciso con piena intenzione decine di cittadini, molti dei quali
assolutamente pacifici”.
Il poderoso Frost si alza, ricambiando con il suo sguardo
d’odio quello del suo fragile ma deciso interlocutore. “A chi dici assassino
e tagliagole, vecchio? Ieri ho perso sette uomini, e non tutti sono stati
sbranati dal sarvak di quell’imbecille”, ringhia alludendo a Vathek con
un gesto sprezzante. “Non parlereste così se vi trovaste in viaggio
in qualche luogo dimenticato dagli Dèi: boschi o valichi di montagna
in cui imperversano i briganti”. Scuote il viso sdegnato. “Certo, forse
non avete mai sentito di briganti in queste vostre città civili,
dove sensitivi e poliziotti invisibili sorvegliano ogni pensiero e ogni
azione. Ma gli uomini non diventano buoni solo perché sono sorvegliati.
La feccia che non trova spazio qui se lo cerca lontano dai vostri mille
occhi e dalle vostre mille orecchie, nei boschi e sulle montagne, e vive
di rapina”. Riprende fiato, mentre nessuno osa interrompere. “Decine di
villaggi ci devono la loro sicurezza. Villaggi troppo poco importanti per
meritare la visita di un grande mago. Troppo poveri perché valga
la spesa di mandarci una centuria. Gli abitanti di questi villaggi non
ci chiamano certo assassini e tagliagole”.
Cedric interviene con calma: “ Capitano Frost, non sono
in questione i vostri meriti sul campo”.
Il cavaliere allunga un braccio possente verso la sua
destra in un ulteriore gesto di disprezzo. “E allora perché sono
qui a sedere fianco a fianco con quest’imbecille?”.
Imbecille, si ripete il gigante umiliato, perdendosi
di nuovo…
Quando Drakkar chiuse gli occhi per l’ultima volta,
Vathek tentò di riscuotersi: decine e decine di feriti agonizzavano
attorno a lui, mentre gli ultimi scontri proseguivano in una via laterale,
dove i cacciatori stavano inseguendo la folla che cercava di fuggire. Come
ha potuto succedere questo?
Coperto di sangue non suo, andò incontro al
suo drappello, rimasto all’imbocco della via dove lo aveva lasciato. Decine
di civili, terrorizzati dalla furia dei cacciatori, cercavano scampo presso
questi soldati, giurando a gran voce che non erano stati loro a levare
le spade, e accettavano senza proteste di distendersi a terra a faccia
in giù, restando immobili sul selciato lurido.
Cercò di riprendere un atteggiamento consono
al suo ruolo di capitano, e tentò con voce incerta di dare ordini,
che i suoi soldati ignorarono con fastidio.
Si rese conto lentamente che sei di loro non erano
lì; cercandoli, ne vide due distesi a terra o appoggiati al muro
in un vicolo vicino, e solo quando vide avvicinarsi dei barellieri lungo
la strada in salita realizzò che i suoi uomini erano stati investiti
dall’ultima carica di Drakkar, e ora ne davano la colpa a lui.
Si riscuote dai suoi pensieri mentre quell’Alborn chiede
al suo comandante: “Ho qualche domanda, Tracon: quali ordini avevi dato
al capitano Vathek? Lo avevi autorizzato tu a portare un sarvak in centro
città? E poi, il ruolo di comandante del drappello e quello di controllore
di un animale del genere sono compatibili?”.
Il comandante di legione risponde con imbarazzo: “Gli
ordini a Vathek… beh, qualcosa tipo ‘restate lì vicino e state pronti
a intervenire in caso di bisogno’. Immaginavo che lì ci sarebbe
stato qualche ufficiale della guardia cittadina a controllare la folla,
ma a quanto pare non c’era nessuno”.
Senes interviene: “Ci era stato ordinato di ritirare
le guardie cittadine, senza spiegazioni”.
Alborn annuisce. “Noi eravamo a difesa del palazzo”.
Si volta verso Cedric: sa benissimo che lui era in prima fila ad osservare,
ma forse non è prudente dirlo a tutti in questo momento.
Questo, infatti, riporta l’attenzione su Tracon: “E per
quanto riguarda il sarvak?”.
L’altro si stringe nelle spalle, a disagio. “Nelle operazioni
in campagna non ci aveva mai dato problemi, e ho pensato che sarebbe stato
un deterrente fortissimo… indubbiamente, il fatto che il capitano lo abbia
lasciato solo per questionare con la folla è stato un grave errore”.
“E’ stato imperdonabile”, ammette Vathek. “Io sono un
rozzo campagnolo, non so muovermi in città. Ma quando ho sentito
quegli insulti così volgari verso la dinastia, verso la Regina e
il Principe Phobos… mi dispiace, non ci ho visto più. Prima di allora,
non ho mai sentito parole meno che rispettose per la Luce di Meridian.
Sì, ho anche sguainato la spada, ma non la avrei mai…”.
“Grosso imbecille!”, lo interrompe Frost guardandolo
con odio. “Noi abbiamo cercato di tirarti fuori dai guai, e la tua belva
ha fatto a pezzi quattro dei nostri. E tu, a piagnucolare sul corpo di
quel mostro… Se non li avessi tenuti, gli altri ti avrebbero fatto pagare
con la tua inutile vita!”.
Senes si schiarisce la voce. “Capitano Frost, come diceva
che vi chiamano, in quei villaggi sperduti?”.
“Tu!!! Vecchio…”.
“Signori, basta!”, interrompe con decisione Cedric. “Capitano
Vathek, capitano Frost, ci siamo già fatti un’idea chiara delle
vostre posizioni. Voi due potete ritirarvi”.
“Sissignore”. Frost si alza deciso, ed esce marziale
dalla stanza.
Più lentamente, anche Vathek saluta percuotendosi
il petto in una moscia parodia di saluto militare, per poi andarsene a
spalle curve.
Quando è uscito dalla riunione, il gigantesco ufficiale
azzurrino è l’ombra di sé stesso. Forse dovrebbe dimettersi,
tornare nella fattoria dei suoi a fare il contadino…
L’uomo dal viso crudele e dai lunghi capelli biondi si
volta verso di lui per un’ultima occhiata rancorosa: “Io tornerò
tra i miei cacciatori e le mie foreste, lontano da questa città
ipocrita che si autodefinisce civile. Ma tu sei finito, incapace! Spero
che non ti facciano più alzare il culo da dietro una scrivania…
capitano Vathek”, finisce con disprezzo.
Dopo che ha sceso lo scalone, i suoi passi irati risuonano
ancora per qualche secondo, chiusi da un sonoro ‘…fanculo’ forse diretto
alle sentinelle dell’ingresso.
Avvilito, il gigante azzurrino si incammina giù
per il grande scalone, quando si sente richiamare dall’alto. “Capitano
Vathek?”.
Il giovanotto biondo dal fare autorevole gli sta sorridendo.
“Lord … Cedric? ”.
“Vorrei parlarti, mentre scendiamo le scale”. Lo raggiunge
senza fretta. “Il tuo comandante mi ha detto che sarai trasferito. Sai
già dove sarai assegnato?”.
“No, signore”.
“Credo che faccia male a rimuoverti: sbagliando si impara,
e tu ora sei l’unico che non ripeterebbe più questo errore”.
“Grazie, signore, ma temo di aver perso ogni fiducia
dei miei uomini, e per un ufficiale questo è tutto”.
Cedric annuisce comprensivo. “Ieri ti ho osservato dall’alto
di un tetto. Nonostante tutto, una cosa mi è piaciuta molto: il
coraggio con cui hai difeso il buon nome della dinastia. Anche il principe
Phobos lo ha notato”.
“Davvero?” chiede incredulo.
“Per questo, noi crediamo che tu possa diventare un uomo
di fiducia per nuovi incarichi”.
“Fiducia…” ripete il gigante, trasognato, “Darei tutto
me stesso per essere all’altezza”.
“Proprio ciò che cercavo” risponde soddisfatto
Cedric mentre arrivano nel grande atrio. “Da questa parte” dice indicando
la scalinata, più modesta, che porta verso il piano seminterrato.
“Dove stiamo andando?” chiede Vathek incerto. Il palazzo
reale è del tutto nuovo per lui.
“Nel mio ufficio” risponde dirigendosi verso una porticina
che, al tocco del suo dito, si apre da sola. Al di là, una ripida
scala a chiocciola si inerpica verso l’alto.
“Dev’essere un ufficio… ben nascosto”, bofonchia il gigante
dubbioso, stringendosi per passare nel vano tutt’altro che spazioso.
“Sì e no. Ci siamo passati davanti: è esattamente
sotto la sala delle riunioni, due piani sotto la sala del trono”.
“Ma allora perché…”.
“Per non dare nell’occhio” risponde Cedric arrivando
finalmente a un’altra porticina metallica in cima. “Il nostro lavoro si
svolge nell’ombra. Io sono il comandante dei Servizi Segreti della Luce”.
“Oh!”.
La porticina di ferro si spalanca da sola, rivelando
un breve corridoio disadorno su cui si aprono quattro altre porte, sempre
metalliche.
Cedric dischiude una di queste toccandola con un dito,
e lo precede dentro la stanza, sedendosi ad una grande scrivania avvolgente.
“Accomodati lì, Vathek”.
“Grazie, Lord”. Si siede su una poltroncina, guardandosi
attorno. La stanza è tappezzata di armadi chiusi metallici; una
bacheca blindata espone, in buon ordine, decine di grossi cristalli tutti
uguali che sembrano pendenti da lampadario, e quella che sembra una collezione
di strani strumenti con impugnature di legno e canne di metallo nero. “Che
cosa sono?”.
“I cristalli sono gemme di memoria. Quelli sotto sono
cimeli della Terra che appartenevano al mio predecessore. Mi sono installato
qui da poco, e non ho ancora cambiato niente”.
Il gigante annuisce. “Volete sapere qualcosa di più
su di me, lord Cedric?”.
Lui scuote il viso. “Non serve. Conosco già la
tua storia”.
“Come?” chiede incerto.
“Te lo spiegherò quando verrà il momento
giusto” risponde con un sorrisino enigmatico. “Tanto per curiosità,
hai già sentito parlare di me prima d’ora?”.
L’altro ci pensa un attimo. “Ho già sentito il
nome Cedric da un commilitone, ma non riferito a voi. Mi è stato
descritto come un grande uomo-serpente dai poteri spaventosi”.
“Sono sempre io” rivela compiaciuto, “E’ una delle mie
possibili forme, forse quella che mi è più cara”.
Il gigante resta sbalordito. “Ma… questo che avete non
è il vostro vero aspetto?!?”.
“Anche questa è una delle mie forme”.
La rivelazione è accolta con un silenzio stupefatto.
“Sorpreso? Se lavorerai per me, non ti dovrai meravigliare
più di niente”.
“Ma… scusate l’ardire… Lord Cedric è il vostro
vero nome?”.
“E’ quello che uso sempre”, risponde con indifferenza.
Poi, con un’ombra; “Molto tempo fa mi chiamavano con un altro nome, ma
ora non lo ricordo più”.
Dopo un attimo di silenzio apre un cassetto, estraendone
carta, penna a pennini e un calamaio. “Tornando all’accampamento per raccogliere
le tue cose, consegna questa al colonnello Tracon. Accertati che sia solo
con te quando la legge, e poi che la bruci immediatamente”. Scrive velocemente
e con precisione anche mentre parla. “Non raccontare a nessuno ciò
che ci siamo detti: limitati a lamentarti che sei diventato il galoppino
di un burocrate di palazzo, con tono abbastanza annoiato da scoraggiare
ogni domanda”. Dopo una passata con un tampone assorbente, ripiega la lettera,
la inserisce in un’anonima busta grigietta e la porge a Vathek. “Và,
e dà l’ultimo addio alla tua vecchia vita”.
Appena la porticina metallica si è richiusa alle
spalle del gigante e Cedric pensa di essere rimasto solo in ufficio, una
voce femminile accanto a lui lo sorprende. “Ma quello era il grosso idiota
di ieri!”.
Accanto a lui, non vista prima, c’è una donna
con le braccia conserte.
“Ehi, Miriadel! Non t’avevo notata neanch’io! Stai diventando
sempre più brava”.
“Grazie. Ma perché hai assoldato quel bestione?
E’ vero che abbiamo perso due uomini ieri, ma erano di tutt’altra pasta”.
Cedric prende tempo prima di rispondere. “Miriadel, i
tempi stanno cambiando, lo sai anche tu. Una volta il principale requisito
degli agenti era l’attitudine ai poteri. Dopo le defezioni che abbiamo
subito, questi passano in secondo piano, dietro alla lealtà”. Indica
verso la porta da cui Vathek è uscito. “Mezz’ora fa quell’uomo aveva
distrutto la sua carriera e perso ogni fiducia in sé. Io gli
ho dato una nuova fiducia e un nuovo scopo. E’ sufficiente per essere certi
della sua obbedienza”.
Poco dopo, nuovamente solo, Cedric trova finalmente il
tempo per perdersi nei suoi pensieri. Le domande di Vathek gli hanno smosso
ricordi lontani, confusi, sepolti.
Non ricorda il suo nome originale: lo ha voluto dimenticare.
Apparteneva ad un esserino minuto dal torso di bambino e dal bacino di
serpente, un disgraziato rifiutato dalla sua stessa madre, considerato
un mostriciattolo anche in un mondo dove la parola ‘umanità’ è
intesa in modo così estensivo da aver quasi perso ogni significato.
Ricorda vagamente che, per tutta la sua infanzia,
si trascinò sulla coda e sulle mani, leggendo il mal celato disprezzo
anche nel sorriso forzato della brutta donna dal cuore d’oro che gestiva
l’orfanotrofio. Sa vagamente che gli davano appellativi umilianti, ma non
ricorda più quali fossero, come non ricorda più quali scherzi
crudeli gli abbiano amareggiato i giorni e le notti.
Una notte, qualcosa cambiò. Dopo l’ennesima
crudeltà, strillò ad un compagno di andarsene all’inferno,
con tutta la convinzione e il rancore accumulato in quei pochi anni. Ricorda
ancora, ed è il suo primo ricordo chiaro, di quando lo sguardo di
costui si fece vuoto ed uscì lentamente, come in trance, dalla camerata.
Non gli è chiaro cosa successe poi, ma quel bambino scomparve dalla
sua vita per sempre.
I compagni presero a temerlo: gli scherzi si fecero
rari, ma sempre più crudeli e assolutamente anonimi; in qualche
modo, però, lui riusciva a dare un volto e un nome ad ogni azione,
e altri degli aguzzini scomparvero.
L’alone di paura che si era creato attorno a lui era
tale che, una notte, i suoi compagni cercarono di soffocarlo nel sonno.
Ricorda che si svegliò con un cuscino premuto con forza sul viso,
e mani che bloccavano le sue esili braccia e la coda. Quando la fame d’aria
si fece insopportabile, sentì il fuoco nei polmoni e nel petto.
In quegli istanti disperati fece appello alla sua volontà, e qualcosa
accadde. Il suo corpo crebbe in pochi secondi, ma non ebbe neppure bisogno
della sua nuova forza per liberarsi: mentre attorno a sé vide vesti
vuote afflosciarsi a terra, i pochi che non gli avevano messo le mani addosso
si ritraevano terrorizzati. Anche loro avrebbero pagato, se la donna dell’orfanotrofio
non fosse accorsa a implorarlo.
Era incredulo di essersi liberato delle stimmate dell’impotenza,
anche se non da quelle della mostruosità. Il suo corpo, cresciuto
in pochi istanti, era grande, forte, a suo modo perfino bello. Era come
avrebbe voluto essere ogni volta che qualcuno di quei due gambe lo umiliava!
Prima dell’alba di quella notte di riscatto, un uomo
si materializzò nell’orfanotrofio in un tenue alone di luce. Il
suo sguardo autorevole non mostrò nessuna paura, nessuna esitazione.
Si presentò come Lord Luksas, un fiduciario della Regina venuto
dalla lontana capitale. Parlò per ore con lui delle sue paure e
dei suoi rancori. Poi gli disse che gli era data la possibilità
di rifarsi una nuova vita, cancellando il suo orribile passato, se avesse
voluto mettere le sue capacità al servizio della Luce di Meridian
e accettare la sua guida.
Accettò subito, entusiasta di questi insperati
riconoscimenti.
Il quel momento, Lord Luksas gli diede il nome di
Cedric, facendogli dimenticare quello vecchio, e sfumando i suoi ricordi
precedenti con un pietoso velo di oblio.
Passò giorni e giorni con lui in un luogo sotterraneo
e segreto, alternandosi con altri istruttori per educarlo al controllo
delle passioni e all’etica del Servizio.
Cedric non volle mai abbandonare del tutto il suo
nuovo aspetto, per quanto spaventoso fosse; era quello che lo aveva salvato,
che lo aveva riscattato da una vita che non valeva la pena di vivere.
Provò dapprima, senza convinzione, a trasformarsi
in un banale ragazzo verde con la coda; questo aspetto non lo entusiasmava,
anche perché era ordinario come quelli dei suoi compagni di orfanotrofio.
Oltretutto, abituato a strisciare e trascinarsi sulle
mani, era completamente privo delle concatenazioni motorie per restare
in piedi o per camminare, così che per mesi dovette aiutarsi con
stampelle, come un invalido.
La svolta avvenne quando Lord Luksas lo fece assistere
ad una cerimonia pubblica nella capitale, e lui vide da vicino la famiglia
reale. Erano nobili, distinti… bellissimi! Ecco un aspetto che avrebbe
sfoggiato con soddisfazione!
Cambiare ispirandosi a loro fu facile, dopodichè
raddoppiò i suoi sforzi per camminare e curare il portamento, e
alla fine fu coronato dal successo.
Passò più di un anno prima che Lord
Luksas lo ritenesse pronto per essere presentato ai reali.
Ricorda il sorriso caldo di Adariel, la Luce di Meridian,
che si appassionò subito alla sua storia. Più freddo fu il
principe Phobos, che obiettò subito quanto fosse sconveniente che
qualcuno estraneo alla dinastia assumesse un aspetto fasullo simile al
loro. Dopo qualche discussione, la banda rossa sugli occhi fu considerata
un compromesso accettabile.
Però Cedric non smise mai di amare, al disopra
di tutte le altre forme che il suo lavoro di agente segreto lo costrinse
ad alternare, quella che segnò il giorno del suo riscatto.
Meridian, palazzo reale, sala delle riunioni
Ancora seduti al tavolone, il comandante Alborn e il colonnello
Tracon abbassano gli occhi, imbarazzati: hanno ben capito perché
Cedric glissasse il discorso ogni volta che si avvicinava al punto di chi
aveva dato l’ordine di ritirare le guardie cittadine dall’abitato.
Anche se il loro rimbombo si è esaurito, le ultime
parole scandite da Lord Senes prima di lasciare la sala pesano ancora nell’aria.
Le proteste del Capo del Consiglio dei Veglianti per
questa decisione erano assolutamente fondate, ma ha osato troppo: è
ovvio che l’ordine è partito da Phobos, e ogni tentativo di rimarcare
la cosa è una critica al principe.
E’ probabile che, nei prossimi giorni, al Consiglio dei
Veglianti verrà imposto un nuovo capo.
Alborn rompe il silenzio per primo: “Andiamo via anche
noi?”.
L’altro si stiracchia in modo molto poco militaresco:
“Ancora qualche minuto, vecchio mio. Io sono abituato a caserme e accampamenti,
e non ho spesso l’occasione di sedere su poltrone così comode”.
Decisamente informale, pensa Alborn, un po’ indisposto
nel sentirsi chiamare ‘vecchio mio’ da un parigrado di vent’anni più
anziano. “Permettimi una domanda, Tracon. La situazione nelle campagne
è davvero così tragica come l’ha descritta Frost?”.
Il rustico colonnello riflette un attimo, prima di rispondere.
“Dipende dalla zona. Fuori dalle città il brigantaggio è
una realtà da sempre, ma una volta eravamo affiancati da più
maghi di oggi, e di più alto livello. In un’occasione, all’inizio
della mia carriera, vidi all’opera lo stesso Principe Phobos”.
“Davvero?” chiede incuriosito Alborn, “Raccontami!”.
L’anziano ufficiale sembra spremere un po’ le meningi,
poi inizia: “Era alle pendici del monte Jalfus. Lì, i primi allarmi
di brigantaggio risalivano a tre mesi prima, poi si erano intensificati
gradualmente fino a diventare intollerabili. Noi avevamo circondato il
monte, e avevamo preparato una tenda per l’arrivo di un personaggio illustre.
Ad un certo punto, si materializzò lui. Lo ricordo, anche nell’aspetto,
più giovane di adesso. Ci fece qualche domanda e poi si ritirò
nella tenda, lasciandoci l’istruzione di non disturbarlo. Meno di un’ora
dopo, i briganti cominciarono ad uscire dal bosco, uno per uno, come privi
di volontà. Noi ci limitammo a metter loro i ceppi, e portarli
ai lavori forzati in una cava di pietra”.
Alborn annuisce, impressionato. “E poi?”.
“Fu l’unica volta che vidi in azione un personaggio di
tale livello. In seguito, i maghi inviati ad aiutarci usavano metodi diversi:
alcuni controllavano mentalmente sciami di vespe, altri lupi o sarvak.
Questi snidavano i briganti, ma poi catturarli era affare nostro, armi
alla mano. E poi, pian piano questi maghi si sono fatti più difficili
da trovare, tanto che in diversi casi ci siamo dovuti arrangiare, rastrellando
i boschi da noi e talvolta subendo perdite”.
Alborn storce il viso. “Come mai, sempre meno maghi?
Eppure, a parte la famiglia Escanor che rischia l’estinzione, in città
ci sono maghi per tutti i gusti”.
Il colonnello sbotta, gesticolando: “In città,
hai detto bene. Ho visto la pubblicità di guaritori, indovini, ispettori,
telepati, giudici, psicoterapeuti, esperti in teletrasporto o trasmissione
dei pensieri, e ho pensato: ma perché non prendono anche uno solo
di questi signori, anche il più scarso, non gli fanno studiare le
magie che servono a noi, e non lo mandano in permanenza presso la nostra
legione?”. Lascia cadere le braccia. “Non so quale sia il prestigio di
cui godono a Meridian le guardie di palazzo, ma nel caso delle truppe da
campagna non sembra molto maggiore di quello degli accalappiacani”.
Alborn resta imbarazzato per questo sfogo: da parte sua,
non ha mai sentito questa mancanza di considerazione sociale. Forse dipende
dal fatto che le guerre, e con loro il concetto di patria, sono spariti
da milleduecento anni?
Il colonnello continua, amaro: “E poi ci hanno chiamati
qui a Meridian, in un’operazione di ordine pubblico. All’inizio non capivo
se c’era qualche spaventosa emergenza, o se ci avevano in qualche modo
rivalutati. Quasi lo speravo. E poi… va beh, è stato un bel disastro,
e noi abbiamo fatto la nostra parte in questo”. Si stringe nelle spalle.
“Io immaginavo che avremmo dovuto supportare le guardie cittadine, invece…
E’ chiaro a tutti: noi eravamo impreparati per questo compito”.
Un po’imbarazzato, Alborn preferisce tornare sul discorso
originale. “E cosa mi racconti di Frost? E’ davvero indispensabile come
dice?”.
Tracon si stringe nelle grosse spalle. “Tante volte il
costo di muovere un centinaio di soldati regolari e qualche bestione in
zone impervie supera il valore dei danni che i razziatori possono fare.
Così, in questi luoghi vengono inviati Frost e il suo gruppo, grazie
alla loro abilità nel muoversi inosservati, di notte. Sono indipendenti
dal supporto logistico di una grande unità militare e, a quanto
pare, molto efficaci”. Con una smorfia ambigua, prosegue “Nessuno è
andato mai a indagare sui loro metodi, ma scommetto che non sono migliori
di quelli dei briganti che sono chiamati a combattere, per quanto lui si
sia detto un salvatore della povera gente”. Scuote piano il viso. “Mi sono
meravigliato moltissimo di trovare anche lui in città. Era il meno
adatto per questo lavoro, e si è visto”. Si alza, stiracchiandosi
rumorosamente. “Andiamo a berci qualcosa di forte, Alborn. Questi ultimi
due giorni sono stati davvero da dimenticare”.
Meridian, palazzo reale, sala del trono
Non è ancora mezzogiorno, ma già il principe
Phobos trova insopportabile restare nella sala del trono, sia pur solo,
sia pur a porte chiuse, anche se questa è il simbolo della regalità
che lui desidera al disopra di tutto.
Da qui ha seguito, con le sue percezioni extrasensoriali,
tutta la riunione che si è svolta al piano di sotto, e anche i suoi
strascichi. Ora che è finita, non è più necessario
rimanere.
Purtroppo, questa splendida sala che sovrasta la città
è troppo esposta ai brontolii mentali della feccia, che tra ieri
e oggi lo hanno assediato. Già da tempo gli pesano i mille pensieri
inespressi, servili e meschini, dei suoi interlocutori di ogni giorno,
pensieri che la sua mente superiore non può far a meno di percepire.
Però, quest’oggi novantamila mugugni si sono
fusi in un unico brontolio rancoroso, opprimente e onnipervasivo come non
mai.
Lo disapprovano, lo sente. Tutti pensano che la colpa
di ciò che è successo sia sua, ma non osano dirlo apertamente
per vigliaccheria. Ma come restare indifferente a quelle ingiurie inaudite?
Lui, un ladro? Sua madre, una mummia? No, anche solo ascoltare quegli insulti
senza reagire è un crimine, e quasi nessuno, in quella masnada,
ne aveva preso le distanze. Perché mai lui avrebbe dovuto fermare
le mani che si sono mosse a vendicarlo? Perché avrebbe dovuto impedire
che, alla meschinità senza precedenti di quelle parole, facesse
seguito una reazione altrettanto senza precedenti nella città?
Eppure sono ben in pochi a vederla così. Uno
è Frost, quel coraggioso cavaliere, braccio della sua giustizia.
Merita una decorazione. Ma chi altro? Perfino i suoi ufficiali pensano
che abbia fatto male a ritirare la guardia cittadina per lasciare l’esercito
al suo posto. Ma che senso avrebbe avuto far sorvegliare dei cani da degli
altri cani? Da gente che avrebbe chiuso entrambi gli occhi pur di non colpire
parenti, amici e amici di amici?
Sua madre stessa non poteva essere più esplicita,
nella sua penosa scenata. Va bene che ormai è vecchissima e quasi
pazza, ma non si sarebbe mai aspettato quella sconfessione umiliante dopo
che lui aveva fatto difendere anche il suo onore.
Potrebbe allontanare da sé almeno una parte
di quelli che alimentano tutto questa cappa di rancore. Basterebbe far
sgomberare una parte di Meridian alta, la zona attorno a piazzale Sottocastello,
dai suoi abitanti attuali per alloggiarci i militari delle unità
venute da fuori. Non aveva mugugnato, quel colonnello Tracon, su quanto
poco si sentissero considerati? Questo potrebbe essere un modo per ingraziarseli,
alloggiandoli nella zona migliore della città.
Naturalmente questo sarebbe solo un palliativo per
creare un cuscinetto di pensieri fedeli e soddisfatti contro il mugugno
insopportabile della plebe.
Però in fondo, anche se portano le insegne
degli Escanor e seguono i suoi ordini, anche i militari non sono veramente
diversi dalla feccia che popola questa città imperfetta, un’accozzaglia
di esseri così eterogenei che non sembrano neanche umani.
Ma per il momento, con Adariel in vita, preferisce
non fare niente di tutto ciò. Lo ha sconfessato, lo ha maledetto,
ma in fondo è sempre sua madre. E non durerà ancora a lungo.
Phobos si alza dal trono: non c’è motivo di restare
ancora così esposto a quel ribollire di pensieri rancorosi quando
ha a disposizione un luogo molto più privato, l’unico che senta
veramente suo.
Con un luccichio accompagnato da un rimbombo profondo,
Phobos si teletrasporta nel folto del giardino.
Qui il greve mugugno è molto più lontano
dalla sua mente.
Si guarda attorno: nessuno. Il giardiniere è impegnato
da tutt’altra parte. Dovrà vietargli l’ingresso a quest’angolo di
paradiso durante tutto il giorno, non solo dopo il tramonto.
Ora è davvero solo con i suoi fiori profumati,
gli alberi maestosi, i rampicanti fluenti e il meraviglioso mormorio della
cascatella.
A volte sogna di ripulire la città da quella
masnada schifosa che la abita, per sostituirla con esseri nobili. Esseri
leggiadri e discreti, belli come le piante che ha tutt’intorno. Esseri
che non nascondano i loro veri pensieri dietro parole false e vigliacche.
Esseri per cui pensare e parlare sia la stessa cosa: un sussurro, un mormorio.
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Capitolo 12 *** Solo ventiquattr'ore ***
12-solo ventiquattr'ore
Ad personam:
Cara Silen, grazie per il tuo costante appoggio. Certo, i
pensieri di Phobos stanno gradualmente orientandosi in senso sempre più
egoistico; la figuraccia fatta all'esperimento gli ha dato una spinta in
più in questo senso. Come viene detto spesso, qualche volta le profezie
si avverano nonostante ciò che si fa per contrastarle,
ma il caso più inquietante è quando si avverano proprio per
ciò che si fa per contrastarle.
Sono contento che ti piaccia il flashback di Cedric, che fa il paio
con i ricordi di Galgheita di due capitoli fa.
Cara Atlantis Lux, con gli ultimi avvenimenti, Cedric ha
assolutamente bisogno di reclutare personale fedele, anche se Vathek appare
abbastanza inadatto allo scopo. Del resto, a questo punto non si trattava
di costruire la condotta più efficace, ma di spiegare razionalmente
come mai, nel fumetto, Lord Cedric si faccia accompagnare sulla Terra da
un personaggio così difficile da far passare inosservato. Oggi vedremo
appunto come Vathek se la caverà in una delle sue prime missioni
in incognito sulla Terra.
Qualche parola su questo capitolo: è passato circa un mese
dagli avvenimenti del cap.11, e quasi nove mesi dall'inizio della storia;
sulla Terra è l'inizio di ottobre del 1984.
Nella prima scena si vedranno, oltre a Cedric e Vathek, anche Toxhorr
e Vatris, due agenti dei servizi di Meridian che qui appaiono in
forma terrestre. La scena iniziale è stata usata come base per un
mio fumetto di cinque pagine che trovate sul forum,
praticamente un esperimento anche se fatto senza l'ausilio di Jonatludr.
Però i personaggi più importanti di cui vedremo l'ingresso
in scena sono quelli di Kandrakar, congrega finalizzata a
limitare le interazioni tra mondi diversi, potenzialmente catastrofiche,
e che ha sede in una fantasmagorica fortezza 'al centro esatto dell'infinito'
:
l'Oracolo è il suo misterioso e carismatico capo;
nel fumetto è spiegato che il suo nome originale era Himerish, un
ex guerriero e istruttore di arti marziali, e veniva da un mondo chiamato
Basiliade che ricorda una via di mezzo tra la antica Sparta e il Giappone
dei Samurai;
Yan Lin, l'ultima Guardiana ancora operativa del suo Gruppo
e nonna della futura guardiana Hay Lin, è rimasta l'unica custode
del potente amuleto detto Cuore di Kandrakar, che in seguito affiderà
a Will Vandom prima di simulare la propria morte e venire accolta definitivamente
tra i saggi della congrega;
Tibor, un uomo anziano e barbuto, resterà un personaggio
marginale, come pure gli altri saggi, spesso dalle fattezze non umane.
Questa puntata è importante dal punto di vista del collegamento
con gli avvenimenti descritti nel fumetto, di sedici anni terrestri successivi,
in quanto prelude all'attivazione della Muraglia, una barriera controllata
da Kandrakar per impedire il passaggio tra il Metamondo e la Terra.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 12
Solo ventiquattr’ore
Heatherfield, U.S.A.
La notte di inizio ottobre è calata su Heatherfield.
In una strada quasi deserta illuminata dalla luce aranciata dei lampioni,
quattro uomini intabarrati camminano veloci verso un’unica meta.
In testa al gruppo c’è Lord Cedric, assorto nel
collegamento mentale con una zanzara che, prima tra i milioni di quelle
che hanno disperso sulla città, ha trovato il suo obiettivo: un
transfuga da Meridian. Il sangue non mente.
Arrivato all’imboccatura di un vicolo, Cedric si ferma
senza sporgersi a guardare, e fa cenni rapidi ai suoi uomini.
Toxhorr e Vatris, in un ineccepibile quanto anonimo look
terrestre, cominciano a disporre, a distanze regolari, dei talismani mimetizzati
da tappi a corona tutt’attorno ai due isolati che delimitano il vicolo.
Questi sono dei nodi di infrabarriera, opportunamente tensionati in configurazione
deviante. Se il ricercato cercherà di fuggire teletrasportandosi,
quando tenterà di attraversare il perimetro delimitato dai nodi,
questi scaricheranno lo spazio dall’energia di teletrasporto, riconfigurandola
in modo che l’incauto fuggiasco riapparirà in una cella insonorizzata
allestita in un appartamento, rafforzata dalle barriere più sofisticate
che la magia di Meridian abbia potuto creare.
Accanto a Cedric, ora, è rimasto Vathek, la cui
mole minacciosa è solo grossolanamente celata da un impermeabile
dal bavero alzato e da un cappello a falde larghe. Per motivi suoi, il
gigante ha una vera fobia per il cambiare aspetto, per cui si devono accontentare
di un incantesimo che sopprime la curiosità dei passanti per la
sua stazza fuori dal comune e la sua pelle azzurrina.
Nell’attesa, Cedic gli mormora piano: “Appena Toxhorr
e Vatris ci segnaleranno di essere dall’altra parte del vicolo, ci muoveremo
anche noi”. Gli porge uno dei tappi a corona. “Appoggia questo sul lato
sinistro della strada, proprio sotto il muro. Io farò lo stesso
a destra. Così, se il traditore cercherà di sfuggirci teletrasportandosi
attraverso i muri, lo prenderemo lo stesso”.
Vathek si china per bisbigliare all’orecchio del suo
capo. “Ma così ci vedrà”, obietta.
“Prima ci renderemo invisibili, è ovvio”, chiarisce
Cedric un po' infastidito, “Anzi, se non hai altre domande, iniziamo”.
Senza attendere la risposta, inizia la sequenza mentale per l’invisibilità.
Questo tipo di mascheramento è una pulsazione teleipnotica adirezionale
periodica, che inibisce agli altri la presa di coscienza dell’immagine
di chi la genera. L’impressione che dà non è quella di veder
sparire chi la usa, ma piuttosto quella di averlo perso di vista.
Infatti, un attimo dopo si accorge di avere perso Vathek.
Gli trasmette col pensiero: ‘Ora dammi il tuo segnale di posizione’.
Un attimo dopo, il gigante gli bussa sulla testa, rivelandosi
esattamente nella posizione di prima.
‘Un segnale telepatico, magari’, gli trasmette
Cedric seccato.
‘Ma magari quell’altro lo intercetta’, si difende
lui.
Ricevuta la conferma telepatica che Toxhorr e Vatris sono
giunti all’altro lato del vicolo, Cedric e Vathek avanzano, deponendo i
loro nodi sul selciato.
Fatto qualche passo, lo vedono: un uomo di mezz’età,
con vestiti terrestri assurdamente eleganti e retrò, sta seduto
a terra intirizzito tra due cassonetti di rifiuti. Si sta guardando attorno
timoroso, stringendosi nel bavero e tremando. Poi trasale d’improvviso,
guardando in alto come se ci fosse un interlocutore in piedi che si è
rivelato solo a lui; infine, allarmato, si alza e scruta attorno a sé,
senza vederli.
Strano, pensa Cedric. Solo lui può vedere Toxhorr
e Vatris all’altro lato del vicolo. Qui sembra esserci un sesto incomodo,
invisibile come loro. E se fosse…
Ad un certo punto, il rumore di un’auto in avvicinamento
rompe il silenzio. Si volta in tempo per vedere un taxi giallo svoltare
nel vicolo: il guidatore non li ha scorti, e sono in un punto stretto!
Cedric si appiattisce contro il muro, stringendo i denti.
“Per le lune di Gaahn!”, sfugge in meridiano a Vathek,
e torna nuovamente visibile. In quel momento, il taxi inchioda a pochi
centimetri da lui che, alla luce di quei fari, sembra molto più
bianco che blu.
Il tassista abbassa il finestrino per un energico vai-in-quel-posto,
ma Cedric non ha più tempo per uno squallido terrestre: anche se
Vathek si è rivelato, lui è ancora invisibile e forse può…
Con una vampata abbagliante, il cassonetto più
vicino esplode, facendolo cadere a terra e disperdendo frammenti di spazzatura
fiammeggiante che disturbano la visuale con una pioggia di lapilli. Attraverso,
intravede un secondo bagliore indistinto, poi uno scoppio all’altra estremità
del vicolo rimbomba nella notte.
Un attimo dopo, quando Cedric è di nuovo in piedi
e pronto a combattere, nel vicolo ci sono solo i suoi uomini e il tassista.
Né il transfuga, né il suo misterioso interlocutore dalle
mani di fiamma. Strilli e voci si sentono da dentro le finestre o dalle
strade vicine.
“Lord Cedric”, lo chiama Vatris venendogli incontro, “Sono
scomparsi!”.
“Erano in due!”, fa eco Toxhorr. “Ho visto l’altro solo
quando ha sparato quel raggio dalle mani verso il cassonetto!”.
“Non vi ha colpiti”, constata Cedric, “Perché
non l’avete fermato?”.
Toxhorr gli indica un angolo della via da cui sono arrivati,
dove un pezzo di muro è screpolato e annerito. “Ha colpito con precisione
il nodo che avevo appena deposto lì, come se sapesse dov’era, eppure
non credo che ci avesse visti”.
“Poi sono svaniti tutti e due, quello seduto e quello
che ha sparato”.
Cedric storce il viso. “Deve essersi teletrasportato
dentro un edificio su questo lato della via. Ma quale?”.
Vathek chiede, attonito: “Lord Cedric, ma chi era quello?”.
Il suo capo risponde amareggiato: “Probabilmente era
quel traditore di Lord Luksas. Forse ha intercettato il segnale della zanzara,
e ha raggiunto il disgraziato un attimo prima di noi”.
“Allora eravamo vicini a fare un colpo doppio!”, esclama
Vatris.
“Sarà…”, risponde Toxhorr scettico, guardando
i resti ancora fiammeggianti del cassonetto,“Ma se è così,
è inutile illudersi che possa cadere nella rete a nodi. Quello è
un trucco che ci ha insegnato lui stesso”.
Cedric annuisce di malumore, poi si volta verso il tassista.
L’uomo, che aveva abbassato il cristallo per imprecare contro il gigante
comparso dal niente, ora è rimasto completamente interdetto dalla
battaglia e da questi figuri loschi che parlano in una lingua sconosciuta.
Tremola mentre balbetta: “Ma… cosa…”.
Cedric gli si pone di fronte, guardandolo intensamente.
‘Dimentica!’.
Gli occhi del tassista si fanno vacui, e ogni sua domanda
muore ancora prima di essere espressa.
Rivolto ai suoi agenti, Cedric comanda: “Domattina verremo
a recuperare i nodi. Ora andiamo via, presto!”.
L’ululato sempre più forte di una sirena bitonale
accompagna la rapida ritirata del gruppo.
Heatherfield, U.S.A., ristorante Silver Dragon, la
sera dopo
“Mamma, questo è per il tavolo dodici, e questo
per il tre”. Dalla porta della cucina, il giovanotto dai tratti asiatici
le porge due vassoi fumanti di bolliti e di fritti.
“Subito, Chen”, risponde l’anziana signora dai lunghi
capelli ingrigiti; poi, con agilità insospettata, fa uno slalom
tra i tavolini troppo accalcati del ristorante e recapita velocemente le
vivande, accompagnandole con soavi sorrisi e inchini rispettosi ai clienti.
Tornando rapida verso la cucina, si ferma sorpresa: una
sensazione ben nota, un formicolio intermittente al palmo destro, si presenta
nel peggior momento possibile della sua giornata.
“Chen, devo allontanarmi” dice con un sorrisino di scusa
al figlio costernato, “Ti mando giù la tua Joan”.
“Proprio in questo momento, mamma? Siamo…”.
“Cose da donne, caro”, risponde dirigendosi verso le
scale. In questi casi dà sempre la stessa risposta: non vuole dire
niente, ma riesce a scoraggiare ogni domanda di suo figlio.
Un minuto dopo, nella sua camera, l’anziana Yan Lin si
accerta che nessuno la stia osservando: chiude porte e saracinesche, poi
volge il palmo verso l’alto.
Un talismano si materializza circonfuso da un bagliore
rosato, fluttuando pochi centimetri sopra la sua mano. E’ una sfera di
ametista incastonata in un supporto argenteo: il Cuore di Kandrakar,
questo il nome del talismano, ha avuto origine in tempi remotissimi in
cui nessuno aveva mai pensato a munirlo di un tasto di occupato.
Un’ondata di energia la investe, mentre quarant’anni di
età si dissolvono in un miracolo al quale si è ormai abituata:
ora il suo viso è giovane, incorniciato da capelli cortissimi neri
come l’inchiostro. Solo le orecchie a sventola… beh, quelle restano sempre
lì.
La sua pacifica vestaglia lascia il posto ad un variopinto
completo da karateka verde e viola, mentre lunghe calze a righe verdine
e azzurre si intravedono al disotto dei pantaloni al ginocchio.
Dietro la schiena, delle spigolose alette iridescenti
attraversano il vestito, completando con un tratto non umano il suo aspetto,
nuovo e antico al tempo stesso.
Ora è il momento del salto dimensionale. La sua
volontà sinergizza con il potere del talismano; in un lampo abbagliante,
la camera si smaterializza attorno a lei.
Fortezza di Kandrakar
Un istante dopo, l’ambiente che vede è completamente
mutato.
Ora è al centro di una sala ad anfiteatro pervasa
da un’abbacinante luminosità biancazzurra, dalle cui finestre senza
vetri entrano sbuffi di nuvole candide. Questa è la fortezza di
Kandrakar: le hanno spiegato che questo luogo è al centro esatto
dell’infinito, qualunque cosa ciò voglia dire.
Mentre Yan Lin fa sparire lo sfavillante monile nel palmo,
la luce rosata del Cuore si riflette, estinguendosi, su grandi colonne
e su pareti dagli affreschi a toni azzurrini.
Davanti a lei ci sono due uomini, gli stessi di ogni
altra volta. Il più alto è l’Oracolo: calvo e senza età,
emana un carisma quasi divino. Accanto a lui c’è Tibor: un saggio
dalla barba fluente e dai lunghi capelli lisci, chiaramente subalterno.
Tutt’attorno, seduti sui gradoni, una ventina di esseri
indossano identiche tuniche biancazzurre, ma sfoggiano tratti alieni e
disomogenei che ne testimoniano la provenienza da luoghi diversissimi.
Questo è il consiglio della Congrega che si fa
carico di mantenere l’equilibrio tra i mondi.
C’è stato un tempo in cui Yan Lin si considerava
una maga guerriera, un altro in cui preferiva vedersi come una sacerdotessa.
Forse non è né l’una, né l’altra cosa. E’ una Guardiana,
l’ultima di un gruppo di cinque sgretolatosi da ormai più di vent’anni.
Quando parla l’Oracolo, ogni brusio tace: “Yan Lin, un’antica
nuvola torna ad oscurare i nostri orizzonti. Tu sai già che sempre
più profughi del Metamondo stanno attraversando il varco naturale
con la Terra, teletrasferendosi lì, confondendosi con i terrestri
e facendo perdere le loro tracce. Come se ciò non bastasse, i servizi
segreti di Meridian li ricercano sfruttando magie del tutto estranee al
tuo mondo”.
Tibor aggiunge: “Ora non si tratta più di sopportare
solo una regina curiosa che viene a cercare libri, o principi in incognito
alla ricerca di avventure galanti con le terrestri”.
Yan Lin scuote piano il viso. “La situazione è
così precipitata in poche settimane?”.
L’Oracolo fa un grave cenno di assenso. “Si parla di
insetti spia, invisibilità ipnotica, sondaggio delle memorie e loro
soli sanno cos’altro. Poco fa, abbiamo osservato perfino un combattimento
con fasci ionizzati per le vie della città”.
“Il mio mondo non è preparato a questo”, ammette
Yan Lin, resistendo all’impulso di grattarsi una puntura sul polso. “E
l’accordo con la regina?”.
“Adariel è al suo tramonto. Viste le premesse,
è probabile che suo figlio Phobos non rispetterà il patto
che avevamo con lei”.
Yan Lin annuisce. Come unica guardiana del passaggio
rimasta, conosce bene i termini di quell’accordo: il permesso di passaggio
per la regina e pochi suoi collaboratori, in cambio della promessa di ridurre
quasi a zero l’uso dei loro poteri finché sono lì. Phobos
sa che i terrestri sono impreparati alla magia: se lui dovesse vedere nella
Terra una fonte di risorse da sfruttare o un terreno di conquista, le loro
deboli menti sarebbero facile preda dei metodi di controllo suoi e dei
suoi agenti. “E quindi ?” chiede lei, sempre più inquieta.
“Abbiamo deciso di riattivare la Muraglia” scandisce
l’Oracolo. Per un attimo, lo sguardo tradisce un’emozione, poi torna impenetrabile
come sempre.
Yan Lin si sforza di non mostrare tutto il suo
turbamento. La muraglia! La barriera che impedisce ogni collegamento tra
due mondi attraverso lo spazio e le altre dimensioni! Era da tempi lontani,
a parte la breve parentesi ai tempi di Nerissa, che quest’antichissima
barriera magica non veniva più attivata. “Ma, Oracolo… questo significa
tagliare una preziosa via di fuga a gente che vorrebbe solo sfuggire a
una nuova tirannia”.
“Lo so, Yan Lin, e me ne dispiace. Però il compito
della nostra congrega è di garantire l’equilibrio tra i mondi, non
di offrire rifugio a folle di profughi, né di rovesciare i regimi
politici locali, per quanto opprimenti possano essere”.
La guardiana annuisce piano, triste. Per un attimo, ricordi
troppo dolorosi la sfiorano.
L’oracolo riprende, lapidario: “Ti affido un messaggio
per la sede operativa dei loro servizi segreti ad Heatherfield: tutti quelli
che non rientreranno a Meridian entro ventiquattr’ore da adesso, poi non
potranno più farlo”.
Heatherfield, scantinato della libreria Ye Olde Bookshop
La ragazza, seduta nel traballante lettino pieghevole,
alza gli occhi dal televisore verso l’orologio a parete: sono le sette
e mezzo di sera, l’ora di andare.
Si alza dal suo scomodo giaciglio, guardando con disappunto
il suo alloggio improvvisato nel seminterrato: alla fine, come temeva,
la disponibilità di energia è scesa ancora, costringendo
gli agenti a risparmiare sia sui teletrasporti che sui cambiamenti di aspetto.
Così anche lei, Miriadel, è costretta a passare tutte le
notti ad Heatherfield nei panni alieni della commessa Eleanor Brown, ritornando
alla sua vera vita e al suo Alborn solo quando in questo luogo è
il fine settimana. Dovrebbero trasferirsi in un appartamento: ormai questo
negozio non è più adatto al loro nuovo ruolo.
Stringendosi nella giacca a vento grigia e fucsia, percorre
le vie della città nella sera, diretta verso il fiume che attraversa
Heatherfield sboccando proprio al centro della baia.
Ottobre è già iniziato, e le serate hanno
smesso di essere calde e invitanti.
Attraversa vie deserte e malfamate rendendosi invisibile
a spacciatori e disperati che vi si ritrovano per dividere la loro solitudine,
e si inoltra in un prato malamente recintato, la cui sterpaglia nasconde
ogni genere di detriti.
Non si abituerà mai alla facilità con
cui i terrestri buttano via la loro roba: ogni volta che passa vicino a
un cassonetto, le piange il cuore a vedervi gettati tanti bottiglioni di
plastica ancora come nuovi, e resiste a fatica all’impulso di recuperarli
a decine per donarli ad amici e parenti. Se non lo ha mai fatto, è
solo perché non è saggio pubblicizzare la propria appartenenza
ai servizi segreti. E’ pur vero che, in un luogo pieno di telepati come
Meridian, questo non è più un segreto da tempo.
Questa sera la luna le è amica, e illumina dall’alto
i suoi passi sul terreno infido. La bella sagoma luminosa della città,
sull’altra riva del fiume, la accompagna nel suo compito ingrato senza
aiutarla molto: le luci di finestre e lampioni lontani mettono in evidenza
solo cespugli e ostacoli alti che non costituirebbero comunque una
minaccia per le sue caviglie. La settimana prima, con il buio della luna
nuova, si prese una distorsione che per poco non la fece gridare di dolore,
e la sua caviglia ci mise messo ben trenta secondi a guarire.
Al riparo da ogni occhio indiscreto, Eleanor estrae dalla
borsetta un flacone di repellente per insetti, spruzzandosi copiosamente
la pelle e i vestiti. I ronzii nel buio sono già tanti e fastidiosi,
ma ancora niente se paragonato a quello che ci sarà tra poco.
Estrae dalla borsa un barattolo di plastica e, tenendolo
sollevato e ben discosto da sé, ne svita il coperchio. Immediatamente,
un rumore fatto di mille ronzii sovrasta i suoni lontani del traffico.
Lei lo appoggia sul relitto di un vecchio frigorifero
abbandonato, trattenendo il fiato; con gli occhi socchiusi, fa qualche
passo indietro per allontanarsi dal turbinio.
In pochi istanti orde di zanzare, molte più di
quelle che avrebbero potuto trovar posto in un normale barattolo da dieci
centilitri, saturano l’aria. Guardando contro le luci dei condomini lontani,
si vede il brulichio nell’aria di milioni di piccoli, molesti punti neri.
Non le piace ciò che sta facendo, e non si riferisce
né al fastidioso ronzio, né alle serate e le notti trascorse
in uno squallido seminterrato con la sola compagnia dei libri e della televisione,
che almeno le ha permesso di migliorare la sua conoscenza della Terra.
Quello che odia è lo scopo di questa operazione: le zanzare sono
programmate per riconoscere il sangue degli abitanti del metamondo anche
se hanno assunto un aspetto terrestre. Se una qualunque di quei milioni
di piccoli vampiri dovesse pungere un meridiano, invierebbe un segnale
mentale che lei o Cedric potrebbero percepire, assieme alle immagini a
pixel esagonali trasmesse dai suoi occhi composti e alla sua posizione.
E se loro due fossero assenti, il messaggio sarebbe comunque registrato
dalla memoria di… come si chiama, Lincoln… insomma, di quel busto che la
guarda tutti i giorni da una mensola della libreria.
Sorride amaramente nel buio. Quel Lincoln era ricordato
per la sua lotta alla schiavitù; è ironico che il suo busto
contribuisca a rintracciare gente in fuga dalla propria patria oppressa
da un tiranno. Perché ormai Meridian è così.
Perché Lord Luksas è fuggito? Era caduto
in disgrazia presso il principe Phobos, o aveva immaginato ciò che,
di lì a pochi mesi, i suoi servizi segreti sarebbero stati costretti
a fare?
Il giorno prima Cedric, quasi percependo i suoi dubbi,
le ha detto che quei fuggiaschi non sono poveracci qualsiasi, ma gente
comunque abbastanza potente da trasferirsi da un mondo all’altro con la
sua volontà, spesso senza neanche disporre dei contatissimi sigilli
di teletrasporto. Gente così potente potrebbe avvicinare qualche
leader politico del posto, per esempio il presidente Reagan, e suggestionarlo,
rivelandogli che un mondo lontano, dal potenziale minerario ancora largamente
inesplorato, langue sotto una tirannia. E soprattutto, potrebbero
rivelargli che questo mondo può essere raggiunto con aerei ed elicotteri,
una volta conosciuti l’ubicazione e l’allineamento del portale naturale.
Questo fluttua sopra l’Atlantico a cinquanta miglia al largo di Heatherfield,
simile a una nuvola o, visto da dentro, a un lungo tunnel nella nebbia.
Lei, turbata, gli ha chiesto se davvero il principe
Phobos tema questo, e Cedric le ha risposto con un’altra domanda: ‘Ti senti
di escluderlo?’.
E’ passata mezz’ora. Immobile nel prato buio, Eleanor
comincia a sentire l’umidità. Cerca il barattolo a tentoni, socchiudendo
gli occhi mentre quelle bestiole schifose le ronzano ancora intorno, come
incerte se quella pelle rosata e odorante di citronella possa rientrare
tra i loro obiettivi.
Richiuso e fatto sparire il barattolo nella borsa, ritorna
sui suoi passi con prudenza, allontanandosi dal ronzio opprimente.
Se ne torna verso il suo alloggio, allungando il percorso
per evitare i vicoli squallidi e percorrere, piuttosto, una bella via piena
di negozi.
Vedere la varietà di oggetti offerta dalle vetrine
di questa città è affascinante. Si intrattiene un attimo
davanti ad un negozio di ferramenta, osservando le sue mille offerte, da
lucidissime pentole in inox alle seghe e ai cacciavite, più
centomila cose che non riconosce, ma che farebbero certo impazzire il suo
Alborn. Se fosse qui con lei, si faticherebbe molto a staccarlo da questo
negozio.
Un’altra vetrina è piena di vestiti. Dovendo restare
a lungo sulla Terra, lei ha bisogno di qualche abito nuovo, ma le offerte
dei negozi di Heatherfield non la convincono: metà dei vestiti femminili
sarebbero impresentabili agli occhi dei meridiani.
Ginocchia, spalle, ombelichi scoperti… ciò
fa contrasto con la bigotteria ipocrita di cui i terrestri si ammantano
in tante occasioni.. E’ chiaro che è gente incapace di capire qualunque
pensiero non espresso.
Di vetrina in vetrina, Miriadel arriva lentamente fino
al Ye Olde Bookshop.
Mentre sta rimuginando paragoni tra i programmi televisivi
e le suggestioni postipnotiche, si accorge che un chiarore traspare dalla
porta vetrata della libreria.
Che sia Cedric? Così fuori orario?
Studia la situazione attraverso la vetrina. All’interno,
un’anziana signora dai capelli lunghi e lisci sta seduta a un tavolino,
sfogliando un libro e scoccando occhiate impazienti all’esterno.
L’ha vista! Si è alzata in piedi, continuando
a guardare verso di lei.
Eleanor teme di sapere chi è. Ahi, grane in
vista.
Apre la porta, ancora chiusa a chiave. “Signora, la libreria
è chiusa, e da un bel pezzo. Come ha fatto a entrare?”.
L’altra le fa un leggero inchino un po’ cerimonioso.
“Signorina, possiamo parlarci subito chiaramente, anziché prenderci
in giro?”.
“Prego?”.
L’anziana signora fa un gesto verso la vetrina, che immediatamente
si appanna. Poi, in un turbinio di luci, si trasforma nella giovane e decisa
Guardiana dalle alette iridescenti e dal costume sgargiante. Poi
tende un braccio, facendo galleggiare sopra il palmo un oggetto che emette
una intensa luce rosata.
“Però… niente musichetta?”, scherza Eleanor per
mascherare la sua impressione. Questa deve essere l’ultima delle guardiane
di Kandahar… di Kandrakar di cui le hanno parlato. Ma perché queste
grane non arrivano quando c’è anche Cedric?
“Signorina, il mio nome è Yan Lin. Non faccia
finta di non avere capito chi sono. Io so già che lei è un
agente del servizio segreto di Meridian”.
“Non si aspetterà che glielo confermi, vero?”.
“Non serve. Sono qui per portarvi un messaggio da parte
della Congrega di Kandrakar: tra ventiquattr’ore -sbircia l’orologio alla
parete- anzi, tra ventidue ore e un quarto, verrà riattivata la
Muraglia, che impedirà ogni passaggio tra il Metamondo e la Terra.
Perciò, se ci tiene a tornare alla sua Meridian, lo faccia subito,
e riferisca il messaggio ai suoi superiori perché richiamino immediatamente
tutti i suoi colleghi dalla Terra”.
A Eleanor l’idea di tornare nella sua città non
dispiace troppo. Ma... cosa ne dirà Cedric? E… e il principe
Phobos?
“Aspetti, forse ne può discutere…”.
“Inutile discutere tra noi, signorina. Io sono un’esecutrice,
come credo che sia lei. Ma, se vuole un mio parere personale, glielo darò.
Sarei ben felice che, oltre ai vostri agenti, riportaste via anche tutte
le dannate zanzare con cui avete infestato la città”.
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Capitolo 13 *** Le Guardiane di Kandrakar ***
13-Le Guardiane di Kandrakar
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie per la tua recensione. Yan Lin è
sempre stata un bel personaggio, penso che la stessa Disney si sia pentita
di averla relegata nella fortezza, limitando le sue possibilità
di interazione con le protagoniste. Sono contento che il gergo magichese
di Cedric ti sia sembrato convincente. Spero di vedere finita la tua bella
'Terra magica'.
Cara Silen, grazie per il tuo continuo sostegno. Sì,
anche a me fa sorridere quella scena. Scusiamo il povero Vathek per la
sua goffaggine, è solo un novizio nei servizi segreti. E poi, non
credo che vorranno più affidargli nessun animale più grosso
di un chihuaua, d'ora in poi. Anche a me piace Miriadel, e trovo
interessante cercare di immaginare uno scorcio urbano del nostro mondo
visto con i suoi occhi e i suoi metri di giudizio.
E ora, ecco una presentazione di questo capitolo, che si svolge subito
dopo il precedente. Mancano poche ore alla chiusura della millenaria Muraglia
fra i mondi. Sapremo qualcosa di più sul passato di Kandrakar e
soprattutto sulla generazione di guardiane che si chiude con Yan
Lin. Ho ricostruito questa versione dei fatti che portarono allo sgretolamento
del vecchio gruppo, di cui facevano parte anche Kadma, Halinor,
Cassidy e soprattutto Nerissa.
Su quest'ultima ho portato due versioni, una molto parziale di Phobos
e un'altra, più obiettiva, di Yan Lin, testimone oculare di quanto
accaduto.
La mia ipotesi sul fatto che in questo gruppo coesistessero guardiane
di età diverse tenta di spiegare perchè nei disegni del fumetto,
che ho supposto ambientato sedici anni terrestri dopo questa fiction, Yan
Lin appaia avere un'ottantina di anni, e Kadma molti meno.
La storia della maledizione di Endarno a Nerissa per una sua ultima
ribellione (che, in barba a ciò che pensa Phobos, dev'essere stata
molto più di un semplice insulto, visto che la Guardiana rinnegata
fece in tempo a crearsi una sorta di scettro magico) cerca di spiegare
perchè l'aspetto orribile con cui Nerissa esce dal suo sarcofago
nel n.16 non assomigli affatto a una versione semplicemente invecchiata
della "giovane". E a chi attribuire il dubbio merito di questo sortilegio,
se non al potente guardiano della Torre delle Nebbie?
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 13
Le guardiane di Kandrakar
“Non fate torto alle vostre stesse profezie, Regina.
Non le avete sempre dette infallibili? Avete previsto che Elyon sarà
la settima Luce di Meridian. Ci resta solo da vedere in che modo ciò
si avvererà”.
L'Oracolo di Kandrakar
Meridian, sala del trono
“Idiota!”, tuona Phobos dall’alto del trono al direttore
dei suoi servizi segreti, “Ti sei mosso come un sarvak in una bottega di
cristalli, finché hai risvegliato quella sonnecchiante congrega
di ebeti di Kandrakar dal loro beato letargo fra le nuvole!”.
Cedric, ai piedi della pedana, tenta di mantenere un
atteggiamento ossequiosamente dignitoso, ma l’ira di Phobos è qualcosa
che si percepisce fino nei visceri. “Altezza, abbiamo seguito i vostri
ordini. Ma non si può fare la frittata senza rompere le uova… E
poi, in fondo questo impedisce ai transfughi di continuare a uscire o rientrare
incontrollati. E quindi…”.
Phobos lo fissa con gli occhi ridotti a due fessure.
“Tu non hai idea di cosa c’è in gioco!”.
Dopo aver congedato Cedric, il principe si morde il labbro,
serrando i pugni in un gesto di rabbia impotente. Odia sentirsi così
limitato, costretto. Odia chinarsi a un’autorità arbitraria che
si intromette nel suo diritto di catturare i suoi cittadini che gli si
sono ribellati.
In un posto come Meridian è ben difficile mantenere
un segreto: la notizia della sua umiliazione filtrerà di sicuro
tra i cittadini. Freme pensando che qualcuno possa compiacersi di questa.
Ma quel che, nel lungo temine, peserà di più
sarà il non poter accedere alla tecnologia e alla scienza terrestri.
Quelle conoscenze che sua madre ha cercato inutilmente a Heatherfield,
nel tentativo di prolungare la vita di Adleric, potrebbero rendersi
disponibili nei prossimi decenni. Potrebbero permettere di impiegare i
suoi poteri autotaumaturgici a livello subcellulare con tale efficacia
da raggiungere una quasi immortalità. Ciò allontanerebbe
anche, forse all’infinito, il bisogno di mettere al mondo un successore,
e così il suo Regno sarebbe senza fine, il vertice dell’evoluzione
del Metamondo e della Dinastia.
E tutto questo dovrebbe saltare perché Kandrakar
vuole limitare le interazioni tra i mondi, che ci sono state per milioni
di anni prima che la congrega apparisse!?! Senza interazioni, nulla nel
Metamondo di oggi, e forse neanche sulla Terra, assomiglierebbe a com’è!
E’la seconda volta che Kandrakar lo umilia: il primo
affronto, che gli brucia mai sopito da decenni, è stato ciò
che fecero alla sua Nerissa. Questa era una donna eccezionale: nei
pochi mesi del loro legame, lei e Phobos si erano confrontati su ogni aspetto
della loro visione del mondo, restando sempre più sorpresi della
loro convergenza. Si erano scambiati ogni genere di conoscenza magica,
crescendo assieme in esperienza e potere; lei lo aveva erudito sugli Elementi,
mentre lui le aveva insegnato molto della magia di Meridian, mettendola
in grado di operare con grande efficacia anche con i suoi soli poteri di
base.
Ma l’Oracolo mise la parola fine a quell’idillio dal
quale sarebbe potuto nascere il nuovo ordine dei mondi; preoccupato che
Nerissa diventasse sempre più autonoma da lui, le impose di riconsegnargli
il Cuore di Kandrakar.
Lei rifiutò, naturalmente: il legame tra la
guardiana e il suo Cuore non poteva essere rotto dall’esterno. Allora quell’uomo,
con un rituale stregonesco, convinse lo spirito che animava quell’amuleto
a ricusarla. In un confronto drammatico, il Cuore di Kandrakar lasciò
le mani di Nerissa per librarsi verso l’Oracolo, che lo ghermì.
Lei fu destituita da Guardiana, ma ormai, grazie a
ciò che aveva appreso da Phobos, era divenuta assai potente anche
senza quel monile.
Nerissa cercò di convincere quell’altra guardiana
che aveva ricevuto il talismano a renderglielo. La cosa degenerò,
le due donne lottarono, lei colpì forse troppo forte, non seppe
mai spiegare come. Alla fine, quell’altra non si rialzò mai più
dal suolo.
Nerissa rimase impietrita: era andata molto al di
là delle sue intenzioni.
Non oppose resistenza quando, pochi istanti dopo,
le altre guardiane apparvero e la trassero fino alla fortezza di Kandrakar.
Fu condannata a essere sepolta per sempre in un sarcofago
di pietra stregata che l’avrebbe mantenuta in una vita peggiore della morte,
perso in un deserto di ghiaccio chiamato Groenlandia.
A questa sentenza incredibile lei protestò,
gridò, maledisse l’Oracolo e tutta la congrega. Venne trascinata
via in catene, sedata con gli incantesimi più potenti.
Insultò anche Endarno, il sommo custode della
Torre delle Nebbie, il carcere di Kandrakar. Lui, per spregio, le lanciò
una maledizione che distrusse la sua superba bellezza, trasformandola in
un mostro così repellente che avrebbe creato disgusto anche in quelli
che trascinano la loro esistenza a Meridian bassa, ben al di fuori del
palazzo.
Poco prima che lei fosse rinchiusa per sempre nel
suo sarcofago, Phobos arrivò sulla Terra ignaro di tutto, e captò
con la mente il suo disperato messaggio di addio, pieno di rabbia e di
dolore, un momento prima che il coperchio si richiudesse per sempre su
di lei.
La cercò disperatamente per soccorrerla, ma
fu sconfitto dapprima dall’immensità della Groenlandia, e poi dall’Oracolo
di Kandrakar: fattolo scacciare senza ritegno fin a Meridian, quello stregone
attivò la Muraglia, una barriera magica che interrompe il portale
naturale che collega il Metamondo con la Terra.
Dopo mille tentativi falliti, dovette desistere; per
volontà di sua madre, dovette perfino giurare di rinunciare a quella
ricerca, e solo allora il passaggio per la Terra fu di nuovo aperto.
E’ questa la gente a cui, ora, gli tocca chinare la
testa per la seconda volta.
Meridian, appartamento della regina
E’ dal giorno del massacro di piazza Due Lune che la regina
è chiusa in se stessa, impermeabile anche ai tentativi di Lidrienel
di coinvolgerla in qualche conversazione, di allietarle la giornata con
fiori e piccoli pensieri che vanno al di là dei doveri di un’ancella.
Il ronzio di scontento che percepiva affacciandosi sul
balcone ora è diventato una cappa di rancore e paura densi
come piombo fuso.
Seduta sul divano, ripensa sempre a quel giorno. Non
riesce a credere di avere maledetto suo figlio davanti a tutti: come madre,
come regina, non avrebbe mai dovuto neanche pensare parole simili, ma ormai
è troppo tardi per ritirarle.
Però le immagini dirette a Phobos, che anche lei
ha captato dagli occhi di Cedric, continuano ancora ad amareggiare i suoi
giorni e tormentare le sue notti.
Inaspettatamente suona il campanello.
“Chi sarà? Lidrienel…”.
“Subito, Altezza”, risponde lei pronta dalla sua stanzetta,
riponendo l’ennesimo romanzetto rosa.
Un attimo dopo l’ancella ritorna, seguita a ruota dal
comandante Alborn.
Questo saluta percuotendosi il petto. “Scusate, Altezza.
C’è una notizia grave. Ho saputo ora che Kandrakar sta per attivare
la muraglia”.
Heatherfield, Ye Olde Bookshop
Il gigante azzurrino col soprabito sformato dà
un’ultima occhiata al misterioso contenuto della sua valigetta aperta sul
tavolo dello scantinato, poi la richiude. “Ho preso tutta l’attrezzatura,
lord Cedric. Volete che aspetti anche Toxhorr e Vatris, o parto subito?”.
“Aspettiamoli, Vathek, così…”. Si interrompe,
notando uno scintillio in un angolo dello scantinato. “Eccoli, stanno …”.
Si zittisce, stupito: le figure che si materializzano
sono Eleanor Brown, con la sua giacca a vento grigia e fucsia, e… nientemeno
che la Regina, bardata con un impermeabile teso sul pancione e un cappello
alla Humphrey Bogart ispirato a qualche giallo fuori moda.
“Altezza!”, salutano i due agenti con un inchino, “Che
sorpresa”.
Cedric butta un’occhiata di disappunto a Eleanor, poi
previene un rimprovero: “Altezza, sarei passato da voi tra poco, ma evidentemente
il capitano Miriadel mi ha preceduto”.
“Ciao, Cedric. Voglio trattare con Kandrakar. Raggiungerò
la guardiana a casa sua, con Eleanor”. Fa per imboccare la scala che sale
verso il negozio, “Buon giorno a tutti…”, poi nota che attraverso le finestre
del seminterrato si vede solo il buio, e l’orologio alla parete segna l’una
passata. “Ma è notte fonda, qui?”.
Lui annuisce. “Temo di sì, Altezza. La guardiana
non sarà entusiasta della visita”.
Heatherfield, davanti al Silver Dragon
Mentre le luci del taxi si allontanano, Adariel si stringe
nell’impermeabile. Fa freddo, è umido. Tutt’altro clima rispetto
a quello a cui è abituata.
“Questa è la casa, Altezza”, dice Eleanor davanti
al piccolo edificio nel cui muro si aprono due finestre circolari, come
grossi oblò di una nave.
“Lo so” risponde guardando in alto l’insegna ‘The Silver
Dragon’, attorno alla quale si avvolge un lungo animaletto sottile e argentato.
E’ ovvio che questa gente non ha mai visto un vero drago. “Ci sono già
stata, anni fa”.
“Avete confidenza con la guardiana?”.
Adariel si stringe nelle spalle, facendosi salire il
bavero fino agli occhi. “Diciamo che è una persona con la quale
si deve cercare di andare d’accordo, e credo che anche lei pensi ciò
di me”.
Eleanor guarda verso l’alto. “Tutte le luci delle finestre
sono spente. E’ l’una e mezza”.
“Peggio per lei”, risponde sprezzante la regina. “E’
troppo urgente, e poi non si dà un ultimatum del genere alle otto
di sera”.
L’altra non fiata, chiedendosi se questo faccia parte
del modo per andare d’accordo.
La serratura dell’ingresso scatta da sola.
Entrano. All’interno il locale è deserto, illuminato
solo dalla luce dei lampioni che filtra attraverso le due grandi finestre.
Adariel fa strada, camminando con prudenza fra le gambe
all’aria delle sedie rovesciate sui tavoli.
Nella vicina cucina, il gocciolio di un rubinetto batte
il tempo su una pila di piatti in ammollo.
‘Di qua, per le scale’, trasmette mentalmente
la regina. Le due salgono pian piano cercando di non provocare scricchiolii,
indugiando indecise davanti ad alcune porte chiuse.
‘Ora siamo invisibili. Entro io’, comunica Miriadel.
Con prudenza infinita fa aprire la porta, lentamente,
come se fosse un refolo di vento. Si fa avanti, guardandosi attorno. Un
letto di bambù a una piazza, disfatto ma vuoto. Entrano
entrambe. Qualcosa suggerisce che è proprio la camera di Yan Lin,
ma lei non si vede.
“E adesso?” bisbiglia la regina, rinunciando all’invisibilità.
D’improvviso alle loro spalle risuona una voce decisa
e giovanile dall’inconfondibile accento cinese: “Posso sapere cosa fate
in camera mia, signore?”.
Nell’intimità del loro talamo, Chen e Joan stanno
assaporando la parte migliore della loro vita da sposini, quando un doppio
strillo li fa sussultare nel letto.
“Cos’era? Chen, cos’era?”.
“Non so”, risponde lui alzandosi veloce e infilando una
vestaglia, mentre lei si copre col lenzuolo. “Vado a vedere”.
Un attimo dopo è alla porta della camera di Yan
Lin. “Mamma, cosa succede?”, chiede in cinese. Per un attimo ha la
sensazione di un parlottare concitato oltre il battente chiuso, poi di
un bagliore attraverso le fessure; infine la voce rassicurante di sua madre
gli risponde: “E’ tutto a posto. Solo un brutto sogno”.
Lui apre la porta, trovando l’anziana tranquillamente
distesa sul letto sotto le coperte; nella stanza non c’è nessun
altro. “E quelle voci?”.
“Forse ho parlato nel sonno”, risponde lei girandosi
su un fianco.
Chen sbircia dietro la porta e il cassettone. “Ma perché
mi rispondi in inglese?”.
“Perché… perché fa parte del sogno”.
Lui scuote il viso e si ritira. Qualche volta sua madre,
nonostante i suoi sessantacinque anni, ha le stesse stranezze di una bambina.
Kandrakar
“Ben arrivata, regina”, esordisce l’uomo senza età
seduto a gambe incrociate al centro della sala, mentre levita a un palmo
dal pavimento, “Aspettavo la vostra visita”.
“Non per niente si chiama Oracolo”, sussurra la guardiana
ammiccando ad Adariel.
Questa si sfila il suo cappello a tesa, un po’ incerta.
“Oracolo, sono qui per chiedervi rispettosamente di ritirare la vostra
minaccia di riattivare la muraglia”.
Lui resta imperturbabile. “Non è una minaccia.
E’ una decisione già presa”. Dopo una breve pausa, rimarca: “Avete
ancora diciassette ore e dodici minuti”.
Lei storce il viso a quella precisazione. “Signore, quali
sono le vostre condizioni per ritornare sulla vostra decisione?”.
“Due cose che non potete garantirmi, regina: l’interruzione
delle fughe, e l’interruzione delle ricerche. Però mi pare che abbiate
perso da tempo il controllo della situazione”.
“Ma non è colpa mia!”.
“Non intendevo rimproverarvi. Però potrebbe essere
interessante rimeditare sulla vostra affermazione”.
“Cosa vuol dire?” chiede lei sulla difensiva.
L’Oracolo le sorride imperturbabile. “Mi ricordo che
una volta una delle mie guardiane, Cassidy, mi fece una domanda: ‘perché
la Luce di Meridian ha scelto il nome di Phobos per suo figlio?’
Vi giro la domanda, regina: se Cassidy fosse ancora qui, viva, cosa le
risponderebbe?”.
Lei, inquieta, resiste alla tentazione di ribattere ‘fatti
gli affari tuoi’; perché questo richiamo a Phobos e a una guardiana
uccisa dalla sua amante? Cosa vogliono farle capire? Tanto vale rispondere
sinceramente. “Leggendo un libro terrestre di astronomia, fui colpita dai
nomi dei satelliti di Marte: Phobos e Deimos. Pensai di sceglierli per
i miei futuri figli maschi. Solo molto tempo dopo seppi il significato
di queste parole in greco antico: Paura e Terrore”. Lo guarda. “E con questo?”.
“Un’altra domanda, regina. Voi avete spesso affermato
di godere del dono della profezia. Secondo quanto dite, il Dio del Fato
ha scelto voi per manifestarsi attraverso presagi di ogni tipo”.
“Lui ha scelto me, ma non sono stata io a scegliere lui.
Dove volete arrivare, Oracolo?”.
L’uomo resta impassibile, ma non risponde.
E’ Yan Lin a farlo per lui: “Forse intende che voi avevate
già previsto da tempo la tirannia di Phobos, ma non avete fatto
niente per impedirla”.
“Ma i primi presagi chiari sono stati di soli tre anni
fa” risponde animatamente Adariel, “Troppo tardi per impedire che vada
al potere. E, soprattutto, che senso ha andare contro una profezia che
viene dal Dio del Fato? Il futuro è già scritto, proprio
come il passato!”.
L’Oracolo annuisce. “Conosco e rispetto il vostro punto
di vista sulla predestinazione”.
“E allora, mi state rimproverando qualcosa? Non ha senso
fermare l’inverno. Io ho preferito seminare per la primavera”. Tenta di
scorgere una qualunque emozione nel viso di lui, poi prosegue decisa: “Mia
figlia Elyon riporterà la giustizia a Meridian appena sarà
abbastanza grande da saper usare i suoi poteri innati”.
Un’ombra di rimprovero sfiora l’espressione di lui: “Non
serve fingere, regina. Io posso vederlo: non c’è alcuna figlia nel
vostro grembo. Perché portate avanti questa finzione?”.
Dietro di lei, Yan Lin rimane a bocca aperta per la sorpresa.
Mordendosi il labbro, Adariel replica caparbia: “La Settima
Luce di Meridian esisterà, anche se non uscirà dal mio grembo,
e realizzerà ciò che il Dio del Fato ha previsto per lei”.
Poi, con tono dimesso: “Purtroppo, nel suo mondo non potrà essere
al sicuro. La profezia vuole che si rifugi sulla Terra anche lei, ma la
barriera sarebbe un ostacolo formidabile”. Finisce con una voce quasi supplice:
“Anche se voi riattivate la muraglia, non potreste lasciar passare almeno
lei e i suoi genitori adottivi, quando sarà il momento?”.
Lui resta a lungo silenzioso, lasciando la questione
in sospeso. Quando risponde, il suo tono non tradisce emozioni. “Purtroppo
la presenza sulla Terra di una bimba aliena dai poteri così forti
sarebbe un terribile fattore di squilibrio. Se questa ipotetica figlia
dovesse sviluppare i suoi poteri lì, potrebbe facilmente prendere
l’intero pianeta in suo potere, magari influenzandone i leader politici
in modo occulto”.
“Questo potrebbe solo che giovare alla Terra” risponde
lei accigliata, “Mia figlia sarà come me: odierà le guerre
e le ingiustizie, e le farà cessare immediatamente”.
“Come sul Metamondo, guarda caso”. Dopo una breve pausa,
lui riprende: “Se dovesse avere figli sulla Terra, questa ipotetica Elyon
potrebbe creare una dinastia potentissima e trasformare tutto quel mondo
in una nuova Meridian”.
Adariel si morde il labbro più forte: con la sua
risposta impulsiva ha dato un argomento in più all’Oracolo. Ma probabilmente
non fa differenza: ha la sensazione che lui sia ormai irremovibile nella
sua decisione.
L’uomo continua: “Regina, io non voglio criticare il
vostro modo di intendere pace e giustizia. Da parte mia, credo che ogni
popolo, nel lungo termine, abbia il governo che merita. Semplicemente,
il compito della nostra congrega non è portare giustizia, libertà,
pace, amore, fede, progresso, gloria, democrazia o una qualunque delle
cose che a turno, nei secoli, sono state considerate buone. Il nostro compito
è mantenere l’equilibrio tra i mondi, limitando certe interazioni,
e dovete convenire che con voi negli ultimi trecento anni siamo stati molto
tolleranti, come riconoscimento per le vostre buone intenzioni. Ora però
è sotto gli occhi di tutti che la situazione vi è sfuggita
di mano”.
Adariel riesce a malapena a trattenere le lacrime. “Siete
senza cuore, Oracolo! Allora, non vi importa niente cosa sarà di
Meridian? E… di Elyon?”.
L’uomo risponde, impassibile: “Non fate torto alle vostre
stesse profezie, Regina. Non le avete sempre dette infallibili? Avete previsto
che Elyon sarà la settima Luce di Meridian. Ci resta solo da vedere
in che modo ciò si avvererà”.
Heatherfield, camera di Yan Lin, un’ora dopo
Nella camera silenziosa, una lama di luce del lampione
fende l’oscurità filtrando attraverso le tende, e disegna bande
aranciate sul soffitto e sulla parete.
L’anziana Yan Lin, seduta sulla sua poltroncina di vimini,
attende l’alba ancora troppo lontana. Non se la sente di tornare tra le
sue coltri dopo che quella Alienor o come si chiama ci ha dormito dentro,
sia pure con il suo aspetto. Chi sa che germi potrebbero portare questi
meridiani dal loro mondo medievale?
Non è solo questo che le toglie il sonno. Di tutte
le cose accadute questa notte, sono state alcune frasi dell’Oracolo a riaprire
un vaso di Pandora di ricordi dolorosi e mai abbastanza lontani.
Cassidy. La sua compagna Cassidy. Alla Regina quel nome
ha ricordato solo uno spiacevole fatto di cronaca, ma per Yan Lin è
stato diverso.
Ha pensato a Nerissa, evocata anche senza farne il nome.
Nerissa, la sua amica. Nerissa, la Guardiana del Cuore.
La maga. La ribelle. L’assassina.
Nel 1936, in tempi in cui nubi di odio si addensavano
sul mondo, lei e Nerissa furono reclutate assieme ad altre tre quindicenni,
un gruppo multietnico di Heatherfield. Dopo aver resistito unito
per tutta la seconda guerra mondiale, questo gruppo si sfasciò tra
le più odiose recriminazioni pochi giorni dopo la sua fine, e solo
loro due rimasero fedeli all’impegno verso Kandrakar.
Si ricorda del loro primo incontro con le tre nuove
guardiane scelte dall’Oracolo per colmare il vuoto: Kadma, Halinor… e Cassidy.
Tre quindicenni, proprio come lei e Nerissa nove anni prima.
La differenza d’età non si vedeva quando erano
tutte trasformate in guardiane, con i loro splendidi costumi, i corpi sempre
nel fiore degli anni e le mani rutilanti degli immensi poteri degli Elementi;
era stridente, però, quando le cinque ragazze erano al naturale,
e soprattutto coinvolgeva atteggiamenti e interessi tipici di diverse fasi
della vita; non fu mai più possibile ricreare l’unione che avevano
vissuto all’inizio.
Nerissa rimase la Guardiana del Cuore di Kandrakar,
la leader. Amareggiata dalla fine del gruppo originale, cominciò
lentamente a sviluppare concezioni tutte sue sulle finalità della
congrega.
In diverse occasioni, Yan Lin notò che l’altra
sapeva usare anche magie che non appartenevano al suo ruolo di Guardiana;
quando gliene chiese ragione, questa rispose semplicemente che le venivano
spontanee.
Anni dopo, il vecchio Oracolo lasciò la carica,
e al suo posto fu nominato Himerish, che sta ancora coprendo questo ruolo
con onore. Nerissa, contrariata, chiese in consiglio per che ragione fosse
stato scelto un uomo il cui maggior merito era l’abilità nelle arti
marziali arcaiche, piuttosto che un potente mago. Anzi, disse ‘una potente
maga’, poi si corresse. Le risposero che Himerish era stato eletto per
la profonda stima che destava in chiunque lo conoscesse. Tranne che in
lei, a quanto pare, perché non mancò mai di mettere in discussione
i suoi ordini. Infatti Nerissa si considerava la più adatta a quella
carica.
Nel 1959 tutte loro furono inviate a Meridian, a portare
un’ambasciata alla regina Adariel, abituata a scorrazzare per la Terra.
Capitava talvolta che questa, assieme a libri e riviste, riportasse nel
suo mondo anche cose un po’ più strane, come ossido di deuterio
e di trizio in bottigliette di acqua minerale, per gli esperimenti di cui
si dilettava. Peggio ancora, era piuttosto negligente nel nascondere ai
terrestri i suoi poteri, come se si divertisse a stupirli. Era necessario
un richiamo energico.
Quando Nerissa vide il bel principe Phobos, e lui
vide la Guardiana del Cuore, questa si sciolse in sorrisoni e sorrisini,
e il necessario monito alla regina fu duro quanto un bigné, spiazzando
anche le altre che non osarono contraddire la loro leader.
Nel periodo successivo, Nerissa si teletrasferì
a Meridian molte volte da sola.
Quando le rimproverarono di sfruttare i poteri di
Kandrakar per scopi personali, lei dimostrò che in realtà
stava sfruttando magie sue proprie. Ed era vero: per esempio, si teletrasportava
sparendo in un baluginio come i meridiani, e non in un lampo come le altre
guardiane.
Ma si temeva che la sua magia fosse andata molto al
di là di questo: in diverse occasioni aveva dimostrato poteri teleipnotici
assolutamente proibiti dai codici di Kandrakar, ma tipicamente usati a
Meridian dagli Escanor.
Tutto il resto avvenne nel giro di poche ore. L’Oracolo,
persa ogni fiducia in lei, le chiese di restituire il Cuore. Lei rifiutò
rinfacciandogli, fuori dai denti, che i mondi erano pieni di violenza e
ingiustizie, e chi aveva il potere di fermarle ne aveva anche l’obbligo,
sconfessando il principio di non intervento che aveva ispirato la congrega
fin dalla sua nascita, trentamila anni prima. Continuò buttando
in faccia all’Oracolo che era indegno del suo potere, che le guardiane
erano degradate al ruolo di doganieri e che i saggi erano un’accolita di
buffoni arteriosclerotici preoccupati solo di conservare il loro seggio
celeste e la loro eterna senilità. Dichiarò orgogliosamente
che voleva unire i due poteri più forti dell’Universo, quello di
Kandrakar e quello di Meridian, per iniziare una nuova era di giustizia,
stabilità e pace.
L’Oracolo la guardò imperturbabile, e le rispose
che i secoli avevano visto migliaia di guerre e tirannie iniziare con parole
simili a queste.
Ventiquattro anni non sono bastati ad attenuare in
Yan Lin l’orrore e il rimpianto per i terribili avvenimenti che seguirono:
anche se ricorda ogni parola che fu detta, ogni gesto, ogni sguardo, il
dolore di richiamarli in dettaglio le è insopportabile. La sottrazione
del Cuore di Kandrakar all’incredula guardiana, la sua consegna alla giovane
Cassidy e poi, poche ore dopo, il trovare questa contorcersi negli ultimi
spasmi dell’agonia, con accanto Nerissa in stato confusionale i cui palmi
delle mani ancora emettevano fili di fumo…
Yan Lin scuote il viso, tentando di cacciare questo ricordo
troppo crudele. Si morde le labbra, con le lacrime agli occhi. La punizione
di Nerissa fu terribile, ma necessaria. Non fu segregata a vita solo per
ciò che aveva fatto, ma soprattutto per quello che avrebbe ancora
potuto fare.
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Capitolo 14 *** Dimenticato in un altro mondo ***
14-Dimenticato in un altro mondo
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie della tua rapidissima recensione.
Hai perfettamente ragione a dire che Adariel ricorda Elyon come potrebbe
essere per i prossimi due-trecento anni. Anni di Meridian, naturalmente.
Sono contento che ti piaccia la mia interpretazione dell'Oracolo, che ho
cercato di mantenere fedele a quello del fumetto nei suoi momenti migliori.
Spero sempre di poter leggere il finale di Terra magica.
Cara Silen, grazie delle tue recensioni, sulle quali so di
poter contare, e per l'aiuto datomi a suo tempo nel rileggere le bozze
di tutta questa storia. Per Phobos, poverino, c'è un'altra sberla
in vista, e ancora una volta sarà Cedric a fare da testimone e da
sfogo. Miriadel e Yan Lin sono tra i miei personaggi preferiti, tra quelli
che rivedrei più volentieri in ipotetici futuri lavori, anche se
Miriadel, sia nel fumetto che nel cartone, rimane un personaggio molto
marginale. Yan Lin invece segue una sorte diversa nel fumetto e nel cartone;
in quest'ultimo, infatti, resta al suo ristorante, viva a tutti gli effetti,
dando luogo a diverse sottotrame simpatiche.
Cara Atlantislux, ti ringrazio per seguire costantemente
questa fiction. Per quanto riguarda Nerissa, immagino che la
pena di morte non fosse contemplata da Kandrakar. Il fumetto racconta che
fu sigillata in un sarcofago, non è chiaro se viva o più
probabilmente in animazione sospesa, visto che le persone vive devono mangiare,
bere e fare anche i loro bisognini. L'incantesimo che la sigillava fu scioccamente
formulato in modo da rompersi qualora si fosse verificato un evento ritenuto
impossibile, che puntualmente si realizzò in WITCH n.14. A questo
punto non è chiaro perchè non l'avessero tenuta nella Torre
delle Nebbie. La spiegazione che potrei immaginare è che in origine,
dopo il processo, fosse stata destinata lì, da dove però
ha tentato di evadere. Potrebbe avere realizzato un talismano materializzando
una copia semi-inerte del cuore di Kandrakar (infatti sempre nel
fumetto si vede che il fantasma della guardiana da lei uccisa, Cassidy,
è in grado di materializzare un cuore di scorta e lo cede a Will
che ne è stata privata), e l'ha montata su uno scettro potenziato
con un po' di magie imparate a Meridian (infatti tale scettro appare tra
le sue mani, nel fumetto).
Poi potrebbe aver cercato di evadere seducendo qualcuno dei sacerdoti-guardiani
finchè Endarno, il capo custode della prigione, non l'ha affrontata
e sconfitta, trasformandola in una orribile mummia vivente e spezzando
la sua copia del Cuore (che infatti, nei disegni del fumetto appare crepata).
La inusuale crudeltà di tale punizione potrebbe appunto essere
spiegata, oltrechè con il tentativo di evasione di Nerissa dalla
prima prigione, col fatto che la sua bellezza avesse avuto un ruolo importante
in tale tentativo.
Ed ora qualche parola su questo capitolo. Ciò che vi appare
di nuovo non è un personaggio, ma piuttosto il primo accenno a un
talismano: il Sigillo di Phobos, che nel fumetto le W.I.T.C.H. hanno
ritrovato nello scantinato di casa Portrait, racchiuso in un libro-cofanetto
sigillato da un incantesimo. Dopo un drammatico tentativo di forzare lo
scrigno, il sigillo venne infine inglobato nel Cuore di Kandrakar.
Qualcuno si sorprende che sia stata Adariel l'ispiratrice di questo
oggetto, descritto come così sinistro? Tenete conto che poi è
servito per far fuggire i genitori adottivi con Elyon sulla Terra.
Invece con questa puntata daremo l'addio al geniale ed egocentrico
Jonatludr, che andrà incontro al suo destino nel passato,
ma sarà comunque il protagonista ancora per oggi.
Buona lettura
MaxT |
|
Capitolo 14
Dimenticato in un altro mondo
Chi controlla il passato, controlla il futuro.
Jonathan Ludmoore
Le grandi finestrature laterali lasciano entrare nella
sala del trono la luce grigiastra di un’altra giornata cupa. Dopo quei
disordini in piazza, il tempo su Meridian non si è mai ristabilito:
nuvole e pioggia, sempre.
A Phobos, ogni giorno così ricorda ciò
che più vorrebbe seppellire nell’oblio, la maledizione di sua madre.
Da quel giorno orribile non si sono più incontrati, ma lui non ha
potuto smettere di pensare al biasimo feroce che ha intuito nei suoi occhi.
Il breve sprazzo di sole che è apparso stamattina
gli ha acceso una speranza: forse sta per cambiare qualcosa.
Davanti alla pedana del trono, al centro dello snello
colonnato, un baluginio prelude all’apparizione a porte chiuse del comandante
dei servizi segreti.
“Vostra Altezza”, saluta il nuovo arrivato con una genuflessione
che fa allargare sul pavimento l’ampia veste azzurrina.
“Allora, Cedric; mi hai anticipato che sei latore di
un messaggio di mia madre”, lo sollecita il principe.
“Un messaggio e un dono”. Tende la mano, e sul palmo
appare un ciondolo: incastonata in un supporto argenteo, una sfera di ametista
spande bagliori violacei ben visibili nella penombra della sala.
Phobos rimane sbalordito riconoscendo l’oggetto: “Il
Cuore di Kandrakar!”. Ricordi lontani ma indelebili si riaffacciano con
prepotenza.
“Solo una copia, Altezza”, specifica con rammarico il
comandante dei Servizi Segreti. “La Regina ha detto di averla materializzata
una sera di sedici anni fa, dopo una cena cui Voi avevate invitato una
Guardiana…Nerissa?”.
“Nerissa!”. Phobos tende una mano, e l’oggetto percorre
a mezz’aria i sei metri che li separano, come tirato da un filo invisibile
fino al suo palmo.
“La Regina poté sfiorare l’originale, e tanto
le bastò per riprodurre questa copia. Purtroppo non le fu possibile
replicare anche lo spirito che lo animava”.
“Quello della ninfa Xin Jing”, completa Phobos un po’
deluso, scrutando i misteriosi riflessi dell’oggetto. “Senza lo spirito,
questo è solo un bel souvenir”.
“La Regina ritiene che questo pendente conservi dentro
di sé l’impronta della magia di Kandrakar. Che sia possibile ottenerne
un talismano in grado di vincere la muraglia”.
“Come?”, chiede Phobos incredulo; poi, pentito del suo
stupore da sciocco mortale, torna a farsi autoritario e ieratico. “Riferiscimi
esattamente ciò che mia madre ti ha detto!”.
“Sua Altezza ritiene che la Muraglia agisca sul portale
naturale come un macigno fa su un ruscello: se gettato nel suo letto, lo
spezza in rivoli che si cercano la loro strada verso valle. Ha detto che
questi rivoli… che questi passaggi potrebbero essere controllati e addirittura
spostati in luoghi nascosti e percorribili a piedi”.
Phobos socchiude gli occhi, valutando le implicazioni
di queste parole: questi passaggi sarebbero molto più pratici dello
stesso portale naturale, che fluttua a grande altezza e costringe a spendere
preziose energie per teletrasportarsi. “Continua!”.
“La Regina dice che nella biblioteca proibita, nel quarto
scaffale, ci sono due libri, “Poteri di Kandrakar” e “Tolo… topologia del
portale…”.
“Topologia del portale naturale”, lo corregge il principe.
“Sì, Altezza. Mettendo assieme le informazioni
di questi libri, Voi sarete in grado di controllare i passaggi”.
“Molto bene!” , annuisce Phobos soddisfatto, “E poi?”.
“La realizzazione del nuovo sigillo comporterà
il sacrificio di questa copia che vi ha fatto avere; perciò sarà
possibile realizzarne solo uno”.
Phobos annuisce ancora. Sperava di tenere questo oggetto
come ricordo della sua Nerissa, ma ora si presentano prospettive del tutto
nuove. L’accordo con Kandrakar è rotto, e ora esiste la possibilità
di ricercare anche lei, qualora sia ancora viva.
Sorride soddisfatto, poi un’altra speranza lo rende titubante.
“Cedric… come ti è sembrata mia madre? Voglio dire…”. Cerca con
imbarazzo le parole migliori per formulare una delicata domanda personale
a un subordinato.
“Invero, Altezza, la Regina non ha affidato direttamente
a me l’oggetto e il suo messaggio. Mi sono stati passati dal capitano Miriadel”.
Phobos si acciglia. “Hai perso la sua fiducia, incapace!”.
Scuote il viso. “A quanto pare, mi ha dato un motivo per andare a ringraziarla
di persona”.
Cedric deglutisce per l’imbarazzo. “Ancora una cosa,
Altezza. La Regina ha detto che non vuole essere ringraziata. Per lei…
- si fa piccolo- … per lei non è cambiato nulla rispetto a quanto
vi ha detto di persona...”.
Phobos torce il viso, volgendolo verso le finestre. E’
umiliante che lei abbia affidato un messaggio del genere a un subordinato
di un subordinato. Come il tempo plumbeo, anche il volere di sua madre
non è cambiato; neanche il guizzo di sole che ha visto stamattina
era per lui.
Cedric riprende: “L’Oracolo di Kandrakar ha ignorato
le sue suppliche. Lei vuole solo che Voi dimostriate loro che questo affronto
gli si è ritorto contro. Non ha più la forza di farlo di
persona”.
“Un affronto alla Regina è un affronto a tutta
la dinastia”, conviene Phobos amareggiato.
Chiude gli occhi, riflettendo. Quei due volumi in biblioteca
sono grandi e criptici, andranno settimane solo per leggerli. Ecco un altro
lavoro per Jonatludr, quel maghetto da strapazzo.
D’improvviso, una fitta di dubbio gli attraversa i pensieri.
“Cedric, quando hai richiamato i nostri agenti dalla Terra, hai avvisato
anche Jonatludr, vero?”.
E’ ricambiato con uno sguardo incerto. “Chi, Altezza?”.
“Jonatludr!”. Vedendo l’incomprensione sempre più
netta sul viso dell’altro, aggiunge: “Quello che ti avevo ordinato di dimen…”.
Si ferma, afferrando che si è già risposto da solo: Cedric
ha preso il suo ordine alla lettera.
Heatherfield, villa Ludmoore
Seduto alla sua grande scrivania di mogano John Ludmoore,
alias Jonatludr, chiude il suo quaderno di appunti e sbuffa, scacciando
con una mano una zanzara molesta. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate…
sarà la stagione.
Dovrebbe essere contento: il viaggio nel tempo, da complicato
gioco da tavolo per stupire, è stato perfezionato abbastanza da
poter essere messo in atto a volontà con un’attrezzatura che sta
in una tasca, ed è solo merito suo. Se il mondo fosse giusto, ciò
sarebbe abbastanza per farlo passare alla storia, ma Phobos ha sempre accolto
i suoi grandi successi come se fossero banali e dovuti; non lo ha mai trattato
né da cugino, né da genio della magia come meriterebbe. Inoltre
lo costringe al segreto per prendersene i meriti: la gente di Meridian
conosce il nome di Jonatludr solo per quella vecchia storia dello spiritismo,
e ne diffida.
Chi si potrebbe meravigliare se ora lui preferisse restare
incollato alla poltrona di quel rifugio grandioso e solitario che è
villa Ludmoore, piuttosto che schizzare su per l’impazienza di fare il
suo rapporto al principe?
Malvolentieri, fa sparire il quaderno nel suo palmo pronunciando
una formula rituale, e quando riapre il pugno al suo posto c’è il
sigillo di teletrasporto.
Si guarda in un grande specchio a parete, godendosi gli
ultimi istanti in cui può restare come vorrebbe essere sempre, poi
si passa l’altra mano sul viso, e il suo aspetto torna quello che i suoi
pari devono mantenere nel palazzo di Meridian, con le odiate striature
verdine e le orecchie a punta che lo differenziano dalla stirpe a cui sogna
di appartenere.
Sbuffa di nuovo. Togliamoci questo pensiero…
Inizia la sequenza mentale, poi vede il grande studio
dalle pareti ricoperte di libri svanire in un debole tremolio.
Cos’è questa luce azzurrina? Dov’è il palazzo?
Il pavimento? I suoi piedi annaspano nel vuoto. Si sente senza peso. Inizia
a ruotare senza controllo. Realizza di essere sopra il mare. Sta precipitando
verso la superficie bluastra da un’altezza che non riesce a definire. Un
grido terrorizzato, il suo, copre ogni altro rumore di quella scena irreale.
Un vento sempre più forte lo investe dal basso, mentre la velocità
di caduta si fa vertiginosa. Le onde si avvicinano. Veloci. Sempre più
veloci. Stringe convulsamente il sigillo, finché il suo cervello
paralizzato riesce a riprodurre la sequenza. Meridian. Meridian. Meridian.
Il mare svanisce dai suoi occhi per un istante; lui si
ritrova davanti ad una nuvola che sembra un tunnel nella nebbia, ma senza
alcun appoggio, e sta riprendendo a cadere. Attorno a lui, nell’azzurro,
gabbiani in volo e lontane scie di jet. Di nuovo, sotto di lui, il
mare si sta avvicinando rapidamente. E’ paralizzato, incapace di pensare.
Le pieghe dei vestiti riprendono a turbinare convulsamente. La superficie
è vicina. Le sagome dei pesci traspaiono attraverso l’acqua. Ultimo
tentativo, o addio. Villa Ludmoore. Villa Ludmoore. Un tremolio…
Un attimo dopo, tutto si scurisce, poi il grido, l’ impatto,
il cozzo della fronte e del naso, e un’esplosione di puntini di luce che
solcano il buio.
Dopo un tempo lunghissimo, Jonatludr si rende conto di
essere ancora vivo: è nel suo studio a villa Ludmoore, disteso scomposto
e dolorante sul pavimento. Tutto il suo corpo è agitato da un tremito
irrefrenabile. Sente il sapore forte del suo sangue, che gli cola dal naso
senza che lui riesca a fare niente per fermarlo, mentre la stanza gli gira
tutt’attorno.
Jonatludr non sa quanto tempo è passato. Forse
molto. I raggi del sole hanno il colore del tramonto.
Si rialza, incerto, tenendosi a un immenso scaffale.
L’orologio alla scrivania segna… le sei e cinquanta? Possibile che in ottobre
il sole tramonti così tardi?
Poi capisce: i raggi vengono dalla direzione del mare,
da est. Questo non è il tramonto, ma l’alba.
Barcollando, si porta verso il bagno.
La prima occhiata allo specchio è un altro trauma:
le occhiaie sono gonfie e peste; strisce scure di sangue rappreso gli solcano
la faccia e gli incollano le labbra, nascondendogli le striature verdi.
Il naso gli fa male, è storto. Rotto. Le orecchie sono appuntite,
come si conviene solo a Meridian.
Non è pensabile di chiamare soccorso ad Heatherfield.
L’unica speranza è riprendere la lucidità di controllare
il suo aspetto.
Dopo mezza mattinata di tentativi infruttuosi, l’ultimo
lo premia: con un luccichio, il suo corpo si trasforma in John Ludmoore,
la sua controparte terrestre, e tutte le tracce delle lesioni spariscono.
Si sente subito meglio, ma è ancora confuso: perché
il suo teletrasporto si è concluso così, all’ingresso del
portale naturale sull’Atlantico, anziché a Meridian? Che il
suo sigillo si sia guastato?
Si chiede a chi potrebbe chiedere aiuto. Forse… forse
a Miriadel? Era passata di lì a spiarlo qualche mese prima, travestita
da terrestre. Con che nome si era presentata? Eleanor… Brown? Certo, Brown,
proprio come lo scrittore di Esperimento, quel racconto inquietante sul
viaggio nel tempo.
Non ama certo quella ragazza: sa che ha avuto un ruolo
nella sua condanna per spiritismo, anni prima. Però non ha altre
scelte: non conosce altri meridiani ad Heatherfield.
Lei aveva detto che lavorava in una libreria. Ma quale?
Heatherfield, davanti al Ye Olde Bookshop, quattro
giorni dopo
Ye Olde Bookshop, recita la targa di lamiera smaltata.
John Ludmoore controlla sul foglio che ha in mano: è
la diciassettesima libreria della lista tratta dall’elenco telefonico.
In nessuna delle precedenti ha trovato alcuna traccia di una commessa chiamata
Eleanor Brown.
Sulla porta di questo negozio spicca un cartello: “Chiuso
per inventario”, ma all’interno non si intravede alcun movimento. Vale
la pena di approfondire.
John pronuncia tra i denti una formula magica, e sente
lo scatto della serratura. Entra con tutta la disinvoltura che può.
All’interno non c’è alcun segno di vita, se si
eccettua un ragno al lavoro sulla sua tela.
Gira attorno al bancone, dove alcuni libri sono impilati,
e vede diversi cassetti ancora aperti e svuotati, come se qualcuno
se ne fosse andato in fretta.
Apre una porta sul retro, dove una scalinata lo porta
fino ad un seminterrato in cui è allestito un alloggio di fortuna
con un lettino pieghevole e uno di quei cosi, un televisore, che ai terrestri
sembrano piacere tanto. Lui deve ancora scoprire cosa ci trovino nel passare
ore a guardare uno schermo.
Torna su. La sua intuizione gli grida che quello
era il posto giusto, ma che gli occupanti se ne sono andati senza aspettarlo.
Del resto, perché avrebbero dovuto aspettare lui?
Il motivo di questa partenza gli resta misterioso, ma
significa comunque che dovrà cavarsela da solo.
Seduto dietro il bancone, si sforza di dominare la preoccupazione
e ragionare lucidamente.
Si fa apparire in mano il sigillo di teletrasporto e
lo osserva con attenzione. In questi giorni lo ha riprovato più
volte, e sembra funzionare bene, almeno sulla Terra. Però non ha
più osato ripetere il disastroso tentativo di teletrasportarsi a
Meridian.
La comprensione lo trafigge come una spada: la Muraglia
di Kandrakar! Tutti gli altri se ne sono andati in tempo, e lui…
Dimenticato! Ignorato!
Si affloscia sulla sedia, avvilito e scomposto. Maledetto
Phobos! Maledetti loro! Dimenticare lui, che gli ha aperto le porte del
tempo…
Già, il tempo! Il sistema per viaggiare nel tempo
è collaudato e funzionante! Basterà tornare indietro di qualche
giorno, prima dell’attivazione della Muraglia. Anzi, sicuramente
Phobos non lo ha fatto avvisare perché lui a Meridian è già
tornato, e adesso forse il principe lo sta elogiando perché questo
metodo gli consente di continuare i viaggi sulla Terra aggirando nel tempo
l’ostacolo posto da Kandrakar sullo spazio.
E’ vero che il consumo di acqua magica è altissimo,
ma ne ha ancora una buona scorta.
Appena si è rilassato, tutta la stanchezza di quattro
giorni di camminate alla ricerca delle librerie, di spiegazioni e malintesi
con questi terrestri gli piomba addosso, appesantendogli le braccia e le
gambe.
Decide di concedersi un po’ di riposo in quel luogo,
poi si teletrasporterà a villa Ludmoore.
Si guarda attorno. Scaffali e scaffali di libri. Alcuni
sono vecchi e ingialliti come quelli della sua preziosa biblioteca, altri
quasi nuovi. Chissà se a quella serpe di Miriadel piace leggere.
Ma di cosa scriveranno tanto, questi terrestri? A parte
la magia, quanti altri argomenti ci sono sui quali valga la pena di sprecare
carta?
Per curiosità, allunga la mano verso alcuni libri
appoggiati sul bancone.
1984, di tale George Orwell. E’ l’anno in corso,
sulla Terra. Sarà un libro di profezie?
Ne sfoglia alcune pagine, poi lo richiude stizzito. Che
vittimismo: come fa il protagonista a sentirsi controllato, se non gli
possono neanche leggere il pensiero?
Storia di Heatherfield, di Nicholas Cleverstone.
Questo è uguale al libro che aveva con sé Phobos quando gli
ha proposto di trasferirsi ad Heatherfield.
Proposto… in realtà una proposta del Principe
del Metamondo assomiglia molto ad un ordine.
Ci rimugina: forse dovrebbe continuare le sue ricerche
da solo per accrescere il proprio prestigio e la propria potenza, e poi
tornare indietro nel tempo per costringere Phobos a considerarlo come un
suo pari. Non è male, come idea! Gli brillano gli occhi: forse i
suoi poteri magici, dopo una lunga preparazione, potrebbero superare perfino
quelli del Principe. In questo caso, perché restargli sottomesso?
La sua attenzione torna sul libro: si ricorda che questo
dedica diverse righe e un paio di foto a villa Ludmoore, ed è su
queste pagine che Phobos o qualche suo tirapiedi hanno trovato il ritratto
dell’alchimista, riprodotto in formato unghia, e hanno notato la sorprendente
somiglianza di nome, aspetto e interessi tra l’antico Jonathan Ludmoore
e Jonatludr.
Infatti, un fascicoletto di fogli piegati tiene il segno
sulla pagina che ne parla.
Lo scorre con disappunto: dedicano più spazio
alla casa che a lui. In poche righe lo definiscono un misterioso alchimista
scomparso in circostanze ammantate di leggenda.
E’ poco, si rammarica: gli sarebbe piaciuto lasciare
un segno più netto nella storia.
L’occhio gli cade sui fogli ripiegati che tiene ancora
in mano. Sono fotocopie di qualche altro libro, zeppe di annotazioni in
meridiano dalla calligrafia femminile. Di Miriadel, probabilmente.
Legge distrattamente le prime righe: sono proprio su
di lui. E’ un resoconto molto più dettagliato, preso da una rivista
di misteri.
Poteri degli elementi… demoni dalla pelle verastra… un
libro su cui annotava le magie che diventa senziente… le Pietre degli Elementi…
Ma è il finale che lo sconvolge: secondo questa
leggenda, Jonathan Ludmoore sarebbe stato risucchiato nello stesso Libro
degli Elementi, sfuggito al suo controllo.
John rilegge più e più volte, incredulo
e inorridito, il resoconto della sua scomparsa.
Il suo sguardo si perde nella stanza. E’ a questo disastro
che è predestinato?
Soppesa le possibilità: non farebbe meglio a sfuggire
a questa sconfitta, rinunciando ad andare nel passato per impersonare Jonathan
Ludmoore? Eppure, ciò che è scritto è già avvenuto,
non può essere cambiato in nessun modo. Ma il passato ha davvero
bisogno che sia lui a impersonarlo, perché questo personaggio affascinante
esista… sia esistito davvero? E se fugge, non rinuncia a quella che considerava
l’assicurazione della sua futura gloria?
Poi razionalizza: se questo epilogo sinistro fosse davvero
avvenuto, come potrebbe essere conosciuto da chi ha sparso la voce? Quello
che è scritto è solo ciò che si racconta, non è
necessariamente vero.
La protezione migliore, per Jonathan Ludmoore, sarà
proprio mettere in giro lui stesso quelle voci che, raccolte da qualche
credulone, saranno… sono poi state immortalate sulla carta stampata.
Non c’è da preoccuparsi, dunque: questo epilogo
è solo una storiella che lui stesso ha raccontato… o racconterà,
inventata proprio per scongiurare la sua stessa realizzazione.
Nel suo sollievo, John alza gli occhi e nota, nella luce
aranciata del tardo pomeriggio, una donna anziana che, dal lato opposto
della strada, osserva con insolita attenzione il negozio. E’ piccola di
statura, con il viso contornato da capelli grigi lunghi e lisci, una carnagione
chiara e un po’ giallina… ciò gli ricorda qualcosa.
La parola ‘asiatica’ emerge sgomitando tra i suoi pensieri.
Ma certo! E’ la descrizione dell’ultima Guardiana di
Kandrakar! Dev’essere lei, la vecchia megera che lo sta spiando! Chissà
se ha anche individuato la sua abitazione?
Sforzandosi di restare lucido, riprende il libro e le
fotocopie che parlano di lui, poi scende nello scantinato, chiudendosi
la porta alle spalle. Quella strega non deve vederlo mentre estrae il sigillo
e si trasporta alla sua villa sul promontorio.
In quest’epoca, l’aria si sta facendo decisamente pesante.
Dovrà completare in fretta i preparativi per il viaggio nel tempo,
e abituarsi al suo nuovo nome: non più John, ma Jonathan Ludmoore.
Villa Ludmoore, tre ore dopo
John dà un’ultima occhiata al suo sontuoso studio,
i cui scaffali colmi di libri si protendono fino al soffitto. Ha fatto
più presto possibile, ed è riuscito a completare i preparativi
in meno di due ore: ha inserito nella borsa poche decine dei suoi libri
di magia ridotti alle dimensioni di zollette, confidando che nella sua
nuova e gloriosa vita nel passato non avrà difficoltà a comprare
tutti gli altri volumi che sta per lasciarsi indietro, e forse perfino
a leggerli. Ha caricato anche un minimo di vestiti, cibo, attrezzature
e amuleti, e ovviamente tutta l’acqua magica rimasta. Infine ha convertito
in oro, ben accetto in ogni epoca, tutta la sua ingente riserva di dollari.
Sì, ha dovuto vincere con l’ipnosi le fisime degli orafi a cui si
è rivolto, che strillavano che quel denaro era falso. E se anche
fosse?
Emozionato, conclude la sua lista mentale delle cose
da portare. C’è tutto, ne è sicuro.
L’attrezzatura per il viaggio nel tempo ora gli sta nelle
quattro tasche del vestito e lo seguirà nel passato, anziché
restare nell’epoca d’origine. Sorride d’orgoglio ai progressi fatti: solo
pochi mesi prima, gli era stato necessario usare quattro grandi specchi
solo per spostare di qualche minuto un banalissimo bicchiere.
Bene, è il momento. Addio, 1984. Alea jacta est.
John, ora Jonathan Ludmoore, riapre gli occhi in una tersa
alba di centottanta anni fa, su un pendio coperto da erba alta e incolta,
circondato da boschi folti.
Attorno a sé non vede traccia di presenza umana,
ma è certo che il luogo è lo stesso dove sorgeva, e tornerà
a sorgere, la sua maestosa dimora.
Giunto sulla sommità del promontorio, osserva
il sole che nasce a est. Dalla parte opposta, nella baia, si scorge una
modesta cittadina portuale sull’estuario di un fiume nella stessa posizione
in cui prima aveva osservato Heatherfield stendersi per chilometri lungo
la costa e arrampicarsi fino alle pendici dei colli prospicienti.
“Sìììì!!!” grida a pieni
polmoni, sovrastando il frangersi delle onde quaranta metri più
in basso e gli strilli dei gabbiani.
Phobos, un giorno mi rivedrai, ma non più nei
panni di un umile sottoposto. Chi controlla il passato, controlla il futuro!
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Capitolo 15 *** Salto nel passato ***
15-salto nel passato
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la recensione. Mi chiedi se
Jonatludr tornerà mai alla corte di Phobos: sinceramente non lo
so. In Witch n.61, all'interno del libro si vede una breve scena buttata
lì in cui Phobos parla con Jonathan Ludmoore (non più giovane)
incaricandolo di trovare un modo per forzare la muraglia, quindi un breve
ritorno potrebbe starci, in un futuro-passato che non viene coperto dalla
Luce. Il destino riserverà a Jonathan Ludmoore proprio ciò
che la leggenda tramanda, a dispetto della sua fiducia nel suo trucco per
prevenire ciò. Tant'è vero che nella quinta serie di Witch
siamo quasi sempre davanti a un libro parlante o a un occhio volante; le
immagini del mago sono poche, perlopiù nel n.62.
Cara Melisanna, sono sempre contento di sentirti. I riferimenti
a 1984 sono numerosi anche perchè per me è una fonte d'ispirazione.
Per una felice coincidenza, la tempistica di questa serie mi ha consentito
di ambientare La Luce al tramonto proprio nel 1984. Dopo l'inizio
volutamente lento per coprire il periodo della gravidanza della regina,
ora i ritmi della storia sono destinati a diventare sempre più veloci.
Cara Silen, sono contento di poter sempre contare sul tuo
appoggio. In effetti, il personaggio disadattato e strumentalizzato di
Jonatludr piace anche a me, non dal come persona ma piuttosto per le sue
potenzialità di essere inserto in una trama interessante, e mi dispiace
che esca di scena. Però, come vedremo in questo capitolo, volergli
bene è una cosa che può costare molto cara. Faccio notare
che, tra i suoi pensieri quando si è reso conto di essere stato
abbandonato, non ce n'è stato uno per la madre e il fratello, che
invece...
Ed ora qualche parola su questo capitolo, che è ambientato
circa un giorno dopo la fine del precedente, ma a Meridian, dove qualcuno
sta ancora pensando a Jonatludr. Abbiamo già incontrato Eliasdal,
che questa volta ritroviamo nel suo studio in soffitta, e sua madre Odridel;
faremo la conoscenza anche di suo marito, il sergente Luduvik della guardia
di palazzo, personaggio che resterà comunque marginale.
Per dare il giusto peso ad alcune frasi di Eliasdal, vale la pena
ricordare che, nel bellissimo WITCH n.5, lui appare imprigionato per l'eternità
in un suo stesso quadro per ordine di Phobos.
Per capire meglio alcune scene, ricordo che la rotta del teletrasporto
da Meridian a Heatherfield è in tre parti: da Meridian fino al'ingresso
del portale naturale, che fluttua nel cielo del metamondo; attraverso il
portale, che sbocca sull'Atlantico; e da qui a Heatherfield, che ho supposto
sulla costa est degli USA (nel fumetto la sua collocazione è volutamente
lasciata in vago, ma questa è la più compatibile con quanto
ci mostra).
Faccio anche notare che la scena finale è la ripetizione
esatta di un'altra che appare a metà capitolo.
Buona lettura
MaxT |
|
Capitolo 15
Salto nel passato
Ti renderai conto da solo di cos’è l’unicità della linea
temporale.
Meridian, soffitta-laboratorio di Eliasdal
Quando la luce che entra dal grande abbaino della sua
soffitta comincia a declinare, Eliasdal deve rassegnarsi a riporre i pennelli.
Seduto sullo sgabello, guarda con rammarico la tela sul
cavalletto: anche questo ritratto di Phobos non riesce a cogliere la somiglianza.
In piedi dietro di lui, Odridel osserva: “Elias, non
capisco perché tu ti accanisca a dipingere un quadro che nessuno
ti ha commissionato”.
Lui sospira. “Abbi pazienza, mà. E’ da un bel
po’ di tempo che il principe Phobos non si fa vedere in pubblico, e vorrei
fissare i miei ricordi prima che si sfumino troppo”.
Lei scuote il viso, rabbuiata: “Invece, se c’è
una persona che vorrei dimenticare, è proprio lui”. Osserva un attimo
il volto altero che li guarda dal quadro. “L’attaccatura del naso non va
così stretta”.
Eliasdal riguarda il suo lavoro e annuisce. “Sai, mà,
neanch’io penso a Phobos volentieri. Dipingerlo è un modo di esorcizzare
la paura che mi fa. Mi sembra in qualche modo di delimitarlo, di controllarlo.
Come se lo potessi racchiudere in un quadro”.
“A me, invece, sembra che ora sia lui a controllarci
da tutti i lati”, scherza la madre, indicando gli altri tre ritratti mal
riusciti dai quali Phobos li guarda arrogante. “Non azzardarti ad appenderne
qualcuno giù in casa, d’accordo?”.
Dal piano di sotto si sente lo scatto della serratura,
e il cigolio di una porta che si apre.
“Tuo marito deve essere tornato, mà”.
Lei si dirige verso le scale. “Non pretendo che tu lo
consideri tuo padre, ma vorrei almeno che lo chiamassi per nome”.
“Va bene, mà. Luduvik deve essere…”.
La voce dal basso la richiama. “Odridel! Sei qui?”.
“Eccomi”.
Quando raggiungono Luduvik nel soggiorno, ancora vestito
con l’uniforme grigia e verde di sergente della guardia di palazzo, notano
subito la sua espressione preoccupata.
“Odridel, Eliasdal, oggi ho saputo una cosa grave”, esordisce,
“Kandrakar ha bloccato tutti i trasferimenti da e per la Terra”.
“Cosa?” chiedono a una sola voce.
“Avevano dato un giorno di preavviso per ritirare tutti
gli agenti, ma ora è scaduto. Che voi sappiate, Jonatludr è
ancora lì?”.
La pelle verdina di Odridel sbianca. “N…no… non so”.
“Noi non lo vediamo da due settimane” aggiunge Eliasdal,
“Andrò a cercarlo nel suo appartamento in centro”.
Luduvik scuote il viso. “Sono già passato di lì,
e non c’era. Ho già fatto chiedere a Lord Cedric. Loro non lo hanno
richiamato”.
“Lo… lo hanno dimenticato lì?”. Odridel si accascia
su una sedia. “Mio figlio… tagliato fuori dal suo mondo!”. Scuote il viso,
si copre gli occhi già lucidi, e scandisce con voce quasi di pianto:
“Lo sapevo che quella era una cattiva strada! Una madre le sente, certe
cose!”.
Ponendole le mani sulle spalle, Luduvik cerca di tranquillizzarla:
“Secondo Cedric, non è in pericolo: la guardiana di Kandrakar non
ha mai minacciato i nostri agenti”.
Lei sospira: “Almeno questo! Ma Jonat è uno… insomma,
si è messo tante volte nei guai da solo. E se succedesse anche con
Kandrakar, o con la polizia terrestre?”.
Eliasdal conviene: “Quella volta dello spiritismo è
stata la più grossa, ma non l’unica”.
Lei insiste: “Mio figlio è un genio della magia,
ma avrebbe bisogno di una guida di buon senso. Magari una donna…”.
Eliasdal riflette ad alta voce: “E se lo raggiungessimo?
Mi ha spiegato molto in dettaglio i principi del viaggio nel tempo, e credo
che il primo prototipo della sua attrezzatura sia ancora nella sua camera.
Abbiamo pure le chiavi di casa sua”.
Luduvik si stupisce: “Credevo che Jonatludr fosse tenuto
al segreto su queste cose”.
Il pittore risponde: “Mio fratello era orgogliosissimo
della sua invenzione, ma Phobos gli ha proibito di attribuirsi meriti.
In qualche modo lui si è sfogato con me in privato, parlandomene
per ore”.
“Davvero potremo raggiungerlo?” chiede speranzosa Odridel.
“Credo di sì, tornando indietro nel tempo di…
di quanti giorni, Luduvik? Quando è stata attivata la Muraglia?”.
“Almeno tre giorni fa”.
Lei incalza: “Quindi, se torniamo indietro di una settimana,
possiamo teletrasportarci sulla Terra, avvertirlo e tornare indietro con
lui!”.
“Forse sì. Però servirebbe il sigillo di
teletrasporto già programmato per la Terra”. Eliasdal riflette un
attimo. “Luduvik, sapresti procurarmelo?”.
Il sergente si trincera dietro le braccia conserte, mordendosi
il labbro.
“Ti prego, Luduvik”, lo supplica lei.
Lui, combattuto, si stropiccia nervosamente i galloni
gialli su una manica. “Se mi dovessero scoprire, rischierei molto grosso”.
“Se non lo fai per Jonatludr, fallo per me!”, insiste
Odridel, questa volta con un tono quasi da ultimatum. “Ti prego”, addolcisce
alla fine.
Lui annuisce riluttante. “Ci proverò” esala dubbioso.
Meridian, appartamento di Jonatludr, mezz’ora dopo
Eliasdal e Odridel si guardano attorno: polvere e sporcizia
regnano sovrane nel piccolo soggiorno abbandonato, assieme al tipico disordine
di un giovane solitario i cui interessi sono molto lontani dalla quotidianità.
Sulle mensole restano pile di libri ingialliti, appunti sgualciti
e oggetti talvolta indefinibili, ma perlopiù rotti.
Odridel scuote il viso con disapprovazione. “Avrebbe
bisogno di una donna, non di tanti libri”.
Lui osserva gli ampi vuoti rimasti sulle mensole. “Si
è portato via il meglio che aveva, ma sono sicuro che il primo prototipo
della sua attrezzatura è al piano di sopra, in camera sua”.
Salendo le scale, si trovano in un’altra stanzetta semibuia
dal soffocante odore di chiuso.
“Un po’ d’aria”, sbuffa Odridel aprendo la finestra cigolante.
La luce della sera mostra una stanza da letto completamente
sfatta, nella quale i ragni hanno già iniziato a rivendicare i loro
piccoli territori negli angoli.
Anche qui, appunti e quaderni sono stati sommariamente
impilati sugli scaffali.
Da sotto le pagine ingiallite si nota un fascicolo dai
fogli lucidi e colorati, dal quale ammiccano alcune chiazze di un insolito
rosato.
Eliasdal lo sfila, con un presentimento.
E’ una rivista terrestre.
“Eccole, le donne”, esala lui col fiato mozzato davanti
a una rivista per soli uomini.
A Meridian si parla di sesso piuttosto liberamente, ma
mostrare in pubblico un corpo anche solo un po’ scoperto è un’altra
questione.
A rinforzare lo shock, agli occhi di ogni meridiano l’aspetto
di queste scostumate aliene ricorda fin troppo quello della Regina.
Lei gliela prende e sfoglia qualche pagina con una smorfia
di disgusto, poi la ripone nella polvere. “Lui avrebbe voluto essere così…”,
dice triste, alludendo alla vivace pelle rosata delle modelle, ben diversa
da quella della donna che lo ha messo al mondo.
Eliasdal cerca di scacciare la scioccante visione di
seni e glutei rosati, poi si guarda attorno.
In un angolo della camera sono accostati quattro grandi
specchi, uno dei quali incrinato. In un altro angolo, a contendere il posto
ai vestiti sporchi, c’è un conversore psicoenergetico simile a quello
che ha visto mesi prima, durante la sfortunata dimostrazione di Phobos.
“Dovrò riguardarmi un po’ queste cose”, ammette
perplesso.
Lei indica ancora la rivista. “Io vado giù a bruciarla,
e comincio a ripulire questa tana. Se trovi altre di queste oscenità,
portamele in cucina. Ci mancherebbe solo che Jonat vada nei guai una volta
di più”.
Poco dopo, rimasto solo davanti a ciò che è
riuscito a mettere assieme, Eliasdal riflette. L’attrezzatura sembra quasi
completa, e ciò che manca si può procurare facilmente.
Un discorso a parte è l’acqua magica: durante
la prova alla Torre dei Veglianti, aveva notato che il conversore consumava
litri della preziosa risorsa ad ogni tentativo. Come procurarsene tanta?
La sua scorta personale coprirebbe forse un quarto del fabbisogno. Dovrà
comprarne altra, dando fondo ai risparmi e vendendo qualche oggetto prezioso
di casa.
Poi inizia a riflettere sulle problematiche delle quali
Jonatludr gli ha disquisito a ruota libera.
Lui intende tornare indietro nel tempo di una settimana;
facendo così, corre il rischio di incontrare sé stesso? E’
sicurissimo di non aver mai fatto alcun incontro del genere. Ciò
significa che il suo salto indietro è destinato a fallire, o che
sarà ben attento a evitare i luoghi dove è stato?
Si riguarda attorno: lo stesso locale in cui si trova
ora non mostra segni di un suo passaggio la settimana prima. Come va interpretato
ciò?
Scende le scale fino in soggiorno, dove le fiammelle arancioni
hanno già cominciato a guizzare nel caminetto, cancellando le pericolose
oscenità di quella pubblicazione patinata.
Odridel, indaffarata a spazzare con una scopa, gli chiede:
“Ne hai trovate altre?”.
“No, mà”. Esita un attimo, poi cerca di darsi
un tono deciso: “Vorrei chiarire una cosa: è meglio che vada a cercare
Jonat da solo”.
Lei si scurisce in volto. “Non se ne parla, Elias. Se
pensi che sia pericoloso, piuttosto vado io”.
“No, mà. Tu non sai usare né la macchina,
né il sigillo di teletrasporto che serve per tornare indietro”.
“Posso imparare”.
“Serve almeno un po’ di potere per l’interfaccia di guida
del sigillo, e tu ne sei quasi priva”.
Lei torce il viso. “Temi che potremmo non tornare indietro?”.
“E’ un rischio”, deve ammettere lui.
Riprende caparbia: “Se è così, Jonat avrà
bisogno di me, più ancora che di te”.
“E come potresti confonderti con i terrestri, tu?”. A
dimostrazione di quanto dice, senza un gesto Eliasdal si fa sparire dal
viso le striature verdine, restando con un credibile aspetto terrestre.
“E so anche un po’ di inglese”, le dice stentatamente in una lingua che
lei non conosce, ma che scopre di comprendere comunque. “Me l’ha insegnato
papà con un trasferimento di memoria”.
Odridel si morde il labbro: “Sono sicura che riuscirai
ad aiutarmi nella trasformazione”.
Eliasdal deve annuire. “Non è impossibile. Anzi,
per come si stanno evolvendo le cose a Meridian, potrebbe quasi essere
meglio non tornare affatto”.
Lei lo guarda incredula e scuote il viso. “E Luduvik?
Lui non fuggirebbe mai, ne sono certa. E non restituirgli il sigillo significa
abbandonarlo nei guai”. Prende fiato, poi decide: “Elias, noi partiremo
con l’idea di tornare, e vedremo cosa il destino ha in serbo per noi”.
Meridian, uscita del palazzo reale, il pomeriggio seguente
Scendendo il curvo scalone di uscita del palazzo reale,
Eliasdal non ha mai mancato l’occasione per scrutare con occhi d’artista
la città sottostante da quel posto d’osservazione privilegiato.
Oggi, però, ha ben altro in testa. Offrendo in
cambio molti quadri della sua collezione e vari oggetti di valore, è
riuscito a ottenere da amici e conoscenti un bel po’ di fialette di acqua
magica dai bagliori verdini. Ormai ne ha raccolti più di due litri:
basteranno.
Certo, è una ricchezza che verrà spazzata
via in un soffio, ma il suo dovere di fratello e soprattutto di figlio
lo esige.
Dopo la scalinata, si dirige verso la strada che, scendendo
verso il centro città, segna il calcare della scarpata come una
cicatrice a forma di Z.
Camminando immerso nei suoi pensieri, è arrivato
quasi fino al primo tornante, quando gli sembra che qualcuno lo stia chiamando
da lontano. Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare tra
i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa; ora ha da fare
qualcosa di fin troppo importante.
Quando arriva nella casa di suo fratello, sua madre è
già lì. “Ne ho approfittato per fare ancora un po’ di pulizie”,
spiega lei, indicando con orgoglio il soggiorno e la cucina ben ordinati.
“Brava” conviene distrattamente lui, “Hai il sigillo?”.
“Eccolo”. Gli mostra la placchetta romboidale legata
a un laccio di cuoio. “E’ proprio del tipo usato per la Terra”. Sulla superficie
smaltata spiccano due tondi azzurri, collegati da una freccia a doppia
punta.
Quando sono pronti, in piedi tra quattro grandi specchi,
il sole è già calato, e la candela sul cassettone illumina
la stanza con la sua luce rossiccia e tremolante. Nella bacinella vicino
al conversore psicoenergetico, il chiarore verdolino dell’acqua magica
spicca nella penombra.
I due hanno ormai modificato il loro aspetto originale
quanto basta per essere scambiati per terrestri. Lui distoglie lo sguardo
dalla madre, cercando di scacciare il ricordo delle oscene fotografie
della rivista. “Buona fortuna, mà”.
“La fortuna aiuta gli audaci”, risponde lei.
Lui inizia la sequenza mentale. Quando riesce a ripeterla
in modo abbastanza veloce, gli specchi cominciano a scintillare, poi ha
la sensazione che vengano come incontro a loro, per inglobarli.
Di colpo la luce aranciata di un pomeriggio lontano li
avvolge, abbagliante. I loro piedi annaspano nel vuoto. Cadono. Sempre
più veloci. Verso una foresta. Il sole li guarda indifferente. Sua
madre grida e gli tende una mano, ma lui non riesce ad afferrarla. Il terreno.
Gli alberi. Sua madre. Il sole. Il sigillo, ancora tra le sue dita. Terra.
Terra. Terra. Poi tutto svanisce in un tremolio.
Pochi istanti dopo lui è a terra. Salvo. Incredulo.
Inorridito. A pochi metri da lui, Odridel è immobile con gli occhi
aperti, sbarrati. Attorno alla sua testa, una chiazza di sangue e di liquido
limpido si allarga, tingendo di rosso l’erba.
“Mamma!!!”.
Attorno a loro, nell’ombra del bosco, ci sono altri corpi
immobili, e un pesante fetore di morte.
Dal tremolio emerge la camera di Odridel. La luce del
tardo pomeriggio entra ancora dalle finestre aperte.
Eliasdal depone il corpo della madre, ormai senza vita,
sul letto. Da un’ampia ferita, celata dai capelli, continua ancora ad uscire
un po’ di sangue e di liquor, che imbrattano il copriletto immacolato.
Si siede accanto a lei, guardandola, cercando di reggere
lo sguardo dei suoi occhi fissi, perché sa che è l’ultima
volta che li vedrà.
E’ lei, eppure non è lei. Spera quasi che quel
viso dal colore estraneo, quelle orecchie arrotondate, quel naso liscio
appartengano a un’aliena sconosciuta. Ma sa che non è così.
Le immagini si sciolgono, mentre inizia a singhiozzare
senza più freni.
Non sa da quanto tempo qualcuno sta bussando alla porta,
prima con discrezione, poi con più insistenza. Sente richiami che
non gli dicono niente. Prima che lui possa diventarne del tutto consapevole,
sente la serratura scattare, e alcune voci dal piano di sotto.
Poi vede ombre muoversi sul pavimento. Quando alza il
viso, alcune persone, guidate da una donna, entrano timidamente nella stanza.
Le vede tra le lacrime mentre si avvicinano inorridite, guardano, capiscono.
Quando la donna parla, lui riconosce la voce della signora
Vertel, la loro vicina di casa sensitiva.
“Mi dispiace tanto, Elias. Povera Odridel… Da casa mia,
abbiamo sentito subito la… sentito un qualcosa”.
Lui la guarda perso, senza riuscire a metterla a fuoco.
“Lasciati aiutare, Elias” dice la donna, avvicinandogli
la mano alla fronte. Subito la vista si schiarisce, e la nebbia della mente
lascia il posto a uno sprazzo di lucidità rassegnata.
“Signora Vertel…”.
“Elias, non puoi restare così”. Con una carezza
della donna, l’aspetto di Eliasdal torna a colorarsi di striature verdi.
La signora guarda il corpo sul letto. “Oh Dei, ormai
è troppo tardi per salvarla, ma la povera Odridel non deve essere
vista in queste condizioni”. La donna si concentra, e pone le mani sul
corpo straziato. Con un debole scintillio, questo riprende le forme e i
colori usuali, le ossa si riallineano, le ferite si rimarginano.
“Purtroppo è… ci ha lasciati. Non posso fare di
più”, si rammarica la signora.
Eliasdal annuisce piano, mentre sempre più persone,
richiamate dalle voci o da un qualcosa di misterioso che solo alcuni possono
percepire, si avvicendano per portare il loro ultimo saluto a Odridel.
Poco dopo, in mezzo alla stanza, un luccichio preannuncia
un’apparizione, facendo ritirare la piccola folla di vicini e passanti.
Quando Lord Cedric prende forma, vestito della lunga
tunica azzurrina con le insegne reali sul petto, la maggior parte dei presenti
inizia a uscire discretamente dalla camera.
Il dignitario si guarda attorno con riprovazione, poi
i suoi occhi di ghiaccio si puntano severi sull’uomo col viso arrossato
dal pianto. “Eliasdal, la vostra imprudenza è stata gravissima!
Se non sapessi che eravate andati a cercare Jonatludr, direi quasi che
la morte è la giusta punizione per chi rifiuta il mondo cui appartiene!”.
I pochi rimasti trasalgono a queste dure parole, ma non
osano protestare, ed escono tutti dalla stanza.
“Se volete mettermi a morte, Lord Cedric, sono qui”,
risponde Eliasdal svuotato.
“Non fraintendermi. Però, se vi foste rivolti
a me prima di tentare questa sciocchezza, vi avrei detto che il Principe
Phobos presto ci renderà in grado di tornare sulla Terra di nuovo.
Questa donna è morta per niente”.
“E’ morta perché amava suo figlio”.
Per un attimo, lo sguardo di Cedric lampeggia come per
un affronto. Poi torna a farsi calmo. “Dammi il sigillo che hai in tasca”,
gli intima asciutto.
Eliasdal glielo porge senza una parola.
Cedric se lo fa sparire nel palmo, poi si guarda attorno.
“Vedo che Luduvik non è ancora arrivato. Digli pure che, quando
riprenderà servizio, dovrà rispondere di aver sottratto un
sigillo per scopi personali. Anche dando per scontato che lo avrebbe restituito,
il minimo che può aspettarsi è di essere degradato”.
Eliasdal annuisce in silenzio.
La figura di Cedric, senza attendere risposta, sparisce
in un baluginio.
Meridian, ingresso del palazzo reale, mezz’ora più
tardi
Salendo gli ultimi scalini della lunga rampa, Eliasdal
cammina perso, come se un brutto sogno cercasse di risucchiarlo a ogni
passo.
Sua madre è appena morta; lui dovrebbe esserle
accanto a piangere davanti al suo corpo, ma c’è un’altra cosa urgente:
deve cercare di usare tutta la sua influenza presso la Regina, sua zia,
per mitigare le conseguenze a Luduvik. Quel pover’uomo ha messo a rischio
la sua carriera e forse la sua libertà per amore della moglie, e
ora gli resta poco o niente di tutto ciò che aveva.
Adariel è una persona sensibile ed empatica, e
dopo avergli dato ascolto sarà certo clemente.
Le due guardie al portone lo lasciano passare senza domande:
sanno già qualcosa?
Eliasdal entra nell’ufficietto alla base dello scalone
interno.
Il caporale lo accoglie gioviale. “Ehi, Elias. Ma hai
una brutta cera quest’oggi!”.
“Ti prego, Gotridek”, risponde con un sussurro, “Devo
parlare al più presto con la Regina, mia zia”.
All’occhiata interrogativa dell’altro, aggiunge: “Odridel
è morta. Non chiedermi altro, ti prego”.
L’altro resta annichilito. “… E Luduvik? Glielo hanno
già detto?”.
Il pittore risponde con un altro sussurro: “Non so”.
Si sentono un paio di voci discutere fuori dalla porticina,
poi un soldato entra. “Eliasdal è ancora qui? Allora chi è
quello che abbiamo viso uscire poco fa?”.
“Cosa?”. “Cosa?”.
Una seconda guardia fa capolino nell’ufficio. “Visto
che avevo ragione?”.
“Ma insomma, cosa succede?”, chiede il caporale alzandosi
in piedi.
“Un altro Eliasdal è uscito dal palazzo poco fa,
appena dopo l’ingresso di questo”, risponde la prima guardia. “Dev’essere
ancora in vista”.
“Folgori di Imdahl!”, tuona il caporale, “Raggiungetelo
e portatelo qui, bisogna fare chiarezza!”. Chiude un attimo gli occhi,
concentrandosi. “Il comandante Alborn sarà qui tra poco. Tu intanto
resta seduto” intima a Eliasdal.
Nel frattempo, quanto detto dalla guardia fa lentamente
breccia attraverso l’apatia del pittore. “Che giorno è oggi? Che
ora è?’”.
L’altro lo guarda sospettoso. “Non lo sai?”.
Eliasdal si guarda in giro, agitandosi. “E’ oggi! Mezz’ora
prima del tramonto!”. Balza in piedi come allucinato. “Quell’uomo… sono
io! Sto andando a casa proprio adesso!”.
“Ma… sei impazzito? Resta seduto!”.
Ignorando l’intimazione, Eliasdal corre disperatamente
fuori dall’ufficietto. “Fermatelo! Richiamatelo indietro! Siamo ancora
in tempo!”.
I due soldati lo guardano straniti, poi, mentre sta uscendo
sullo scalone, lo afferrano per le braccia. “Fermo!”.
Dalla sommità dello scalone esterno, Eliasdal
riesce a vedere due soldati che stanno correndo giù per la scalinata;
più in distanza, un uomo uguale a lui sta per imboccare la strada
in discesa verso il centro della città.
“Fermatelo! Fermate lui!”, grida ancora Eliasdal.
“Cosa succede qui?”, tuona la voce autorevole del comandante
Alborn.
Eliasdal lo prende per il bavero, indicando verso la
discesa. “Fermatelo! Quello là! Sta andando a far morire mia madre!”.
Vedendo gli sguardi persi che lo ricambiano, insiste: “Siamo ancora in
tempo! Partirà dopo il tramonto!”.
Uno dei soldati tenta di spiegare: “Comandante, ci sono
due Eliasdal. Uno è questo, un altro è laggiù”.
“E un attimo fa questo ha detto che Odridel è
già morta”, aggiunge il caporale.
“Voi non capite!” grida esasperato Eliasdal, “Quello
laggiù sono io stesso due ore fa! Quella maledetta macchina del
tempo ci ha fatti tornare indietro di sole due ore! Ora sto… lui sta andando
a partire con Odridel in quel disgraziato viaggio in cui è morta!”.
Un silenzio stupefatto accoglie le sue parole.
D’improvviso, accanto a loro compare Lord Cedric. I soldati
si ritraggono un po’, come intimoriti.
“Richiamatelo” dice Eliasdal supplichevole rivolto al
nuovo arrivato, “Richiamatelo in qualche modo, per favore!”.
Cedric resta impassibile. “Il passato non si può
cambiare, Eliasdal. Tu stesso hai assistito alla morte di Odridel. Il suo
corpo ora giace sul letto, attorniato dai vicini. Ciò significa
che né tu, né altri riuscirete a richiamare quel te stesso”.
Il pittore guarda con odio questo essere indifferente.
Che razza di uomo è? “Lasciatemi! Lasciatemi provare, almeno!” ,
grida con rabbia.
“E sia. Prova pure!” risponde Cedric, “Ti renderai conto
da solo di cos’è l’unicità della linea temporale”. Rivolto
alle guardie: “Lasciatelo!”.
“Lasciatelo andare!”, ripete Alborn incerto.
Appena liberato, Eliasdal parte in avanti, scendendo
la lunga scalinata di corsa, schivando un portalettere allibito. Correndo,
ce la può…
D’improvviso, il piede scivola sugli scalini, e cade
battendo il fianco. Una fitta alla caviglia gli toglie il fiato.
A fatica si rimette in piedi, sorreggendosi alla balaustra.
Riprova a camminare, ma il primo passo gli costa un’altra stilettata alla
caviglia destra. Una distorsione, proprio adesso…
“Eliasdal!” grida a perdifiato, “Eliasdal! Richiamate
quell’uomo! Richiamate Eliasdal!”.
Mentre cerca di scendere la scala zoppicando, vede i
due soldati tornare indietro.
“Inseguitelo! Non è lontano! Vi prego…”.
I due, continuando ad avvicinarsi, gli fanno gesti di
scusa, stringendosi nelle spalle. “Mi dispiace”. “Gli ordini sono ordini”.
Con una smorfia di delusione, Eliasdal continua a camminare
come può, arriva alla base dello scalone, poi si trascina verso
la strada in discesa. Ci sono diverse persone sulla via per la città.
“Fermate quell’uomo! Fermate Eliasdal! Richiamatelo!”.
Alcuni dei passanti ripetono, con poca convinzione: “Richiamatelo”,
“Eliasdal”, “Eliasdal… ma come…”.
Trascinando il piede, dopo un interminabile centinaio
di metri sta per raggiungere l’inizio della discesa, ma una fitta più
forte lo paralizza, facendolo cadere a terra. Il piede destro gli pulsa
sempre più forte.
“Eliaaasdaaaal!!!”.
Scendendo soprappensiero, Eliasdal è arrivato fin
quasi al primo tornante, quando gli sembra di sentirsi chiamare per nome
da lontano.
Si volta un attimo, ma non vede nessuno di particolare
tra i viandanti lungo la strada.
Sarà per un’altra volta, pensa. Ora ha da fare
qualcosa di fin troppo importante.
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Capitolo 16 *** Il sigillo della sfida ***
16-il sigillo della sfida
Ad personam:
Cara Melisanna, grazie della graditissima recensione. Come
influirà sulla trama... diciamo che la storia di Jonatludr ed Eliasdal
non inciderà molto su quella di Adariel, ma viceversa quella di
Adariel e Phobos influirà pesantemente sulla loro. Così riuscirò
a spiegare gli antecedenti di questi due personaggi meridiani, che hanno
avuto il loro momento di gloria nel fumetto.
Cara Silen, grazie per
la recensione, che forse consolerà un po' lo sfortunato protagonista
di quel capitolo. Da parte mia, sono contentissimo perchè so di
poterci contare. Per viaggiare nel tempo, però, non bastano l'acqua
magica e gli specchi, ma servono anche alcuni poteri innati, un conversore
psicoenergetico, la sequenza di operazioni mentali per attivare le magie
e soprattutto tanta, tanta fantasia. Poi mi chiedevi come ottenere acqua
magica senza pagare il dazio all'avido mercante. La soluzione più
semplice sarebbe trasferirsi a Meridian, ottenerne la cittadinanza e questo
ti darebbe diritto a una razione periodica, ma possibilmente non farlo
nel periodo di Phobos o della 'perfida Elyon' in cui le distribuzioni sono
ridotte o sospese. Come vedi, è semplice!
Ed ora qualche parola su questo capitolo, ambientato il giorno dopo
la morte di Odridel. Phobos è stato in grado di creare in
breve tempo il sigillo che permetterà di forzare la muraglia. Sul
fumetto WITCH, questo talismano appare brevemente tra la fine del n.2,
quando viene rintracciato nascosto in un libro nello scantinato della casa
di Elyon, e il n.3 in cui, dopo alcune peripezie, finisce inglobato nel
Cuore di Kandrakar.
Faremo la conoscenza di Endarno, il custode della prigione di Kandrakar,
detta la Torre delle Nebbie. Imponente e marziale, questo personaggio è
apparso nella quarta serie di WITCH, in cui riuscì a far esiliare
il precedente oracolo e a prendere il suo posto, ma le eroine alla fine
lo sconfissero dopo aver capito che era in qualche modo controllato mentalmente
da Phobos, apparentemente prigioniero a Kandrakar. Sia in La Luce al Tramonto
che in Profezie, ho fatto di questo personaggio un contraltare all'Oracolo,
del quale è molto più aggressivo e autoritario.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 16
Il sigillo della sfida
Una goccia di pioggia non muore quando
torna al mare.
Maestra
Galgheita
Meridian, periferia sud-est
Il mesto corteo avanza verso la sua meta, la cui
recinzione si vede già dopo le ultime case. Molti portano una lanterna
accesa in mano all’altezza del viso, come prescritto da un rituale millenario.
Il cielo, plumbeo da quasi un mese, sembra promettere
solo pioggia, ma finora si è trattenuto, come per rispetto alla
donna che giace avvolta nel sudario.
Eliasdal, entrando nel cimitero alla testa del corteo,
alza gli occhi dal sentiero e vede schierato un drappello di guardie con
le divise migliori, anche loro con lanterne accese tenute all’altezza dei
visi commossi.
“I tuoi compagni non ti hanno dimenticato”, bisbiglia
a Luduvik accanto a lui.
Un discreto tremolio sfarfalla davanti alle guardie,
e da esso prendono forma la Regina, dal semplice abito bianco teso sul
ventre, la guaritrice Galgheita e il comandante Alborn, tutti con la loro
piccola lanterna già accesa.
Sorprese, molte persone del seguito accennano a un inchino
a questa presenza inaspettata.
Anche la regina si inchina goffamente verso il feretro,
ostacolata dal pancione.
In alto, il manto di nubi scure si apre brevemente, e
uno sprazzo di sole abbagliante illumina il cimitero.
Più tardi, la mesta cerimonia sta ormai finendo.
Molte persone hanno scandito qualche frase commossa per commemorare Odridel,
prima di deporre le candele delle loro lanterne in un unico braciere, dove
le mille fiammelle si sono fuse in una.
‘La vita è un sogno dal quale ci si risveglia
morendo’, ha detto la Regina, ma la frase che ha colpito di più
Eliasdal è stata quella di Galgheita: ‘Una goccia di pioggia non
muore quando torna al mare’. Rimuginando queste parole, non riesce a staccare
gli occhi dal braciere acceso mentre amici e conoscenti si stanno disperdendo
alla chetichella.
La Regina si avvicina a Luduvik ed Eliasdal, li prende
entrambi per mano, e parla sottovoce: “Sto facendo quello che posso per
la faccenda del sigillo. Per ora non vi succederà niente di grave,
ma sapete già che i miei giorni sono contati”.
“Grazie, Altezza”. “Gli Dei ve ne rendano merito”.
“Ancora una cosa” aggiunge lei con un’esitazione, “So
che in queste circostanze non si usa, ma ho due doni per voi. Non
so quante altre occasioni avrò per vedervi, perciò…”.
A un suo cenno si fa avanti Galgheita, che tende le sue
braccione. Tra i palmi delle sue grandi mani a quattro dita appare, in
un tremolio, un dipinto: un ritratto di Odridel quindici anni prima, attorniata
dai suoi figli.
Un po’ a sorpresa, Adariel lo porge a Luduvik, dicendo:
“E’ per te”; poi, quasi scusandosi: “Elias, per te ho un’altra cosa”.
Di nuovo, dalle mani tese di Galgheita si sprigiona un
tremolio che prende la consistenza di un grosso libro illustrato dalle
esotiche scritte in caratteri terrestri.
‘Pittori olandesi del ‘600’, legge a fatica Eliasdal
prendendolo tra le mani. E’ un regalo preziosissimo, ammette, ma in questo
momento invidia quello che è toccato a Luduvik.
“E’ un libro terrestre con splendide illustrazioni”,
spiega lei, ben sapendo cosa sta pensando l’altro, “Ma ciò che è
veramente importante, Elias, è che vi troverai una rivelazione sul
tuo futuro”.
Meridian, casa di Eliasdal
E’ ormai sera. Congedati gli ultimi parenti, Eliasdal
si affloscia su una sedia della cucina. Ha posto il quadro sul cassettone,
dritto, e lo guarda con rimpianto alla luce del candeliere. Osserva il
suo viso nel ritratto: l’espressione seria contrasta con i suoi dodici
anni. Accanto a lui c’è il piccolo Jonatludr sulle ginocchia della
mamma, quando era un bimbetto felice. Oggi non c’era, ai funerali. E’ ancora
sulla Terra, o si è schiantato come sua madre nel tentativo di tornare
a casa?
Si costringe a non pensarci, e apre il volume appoggiato
sul tavolo.
E’ splendido. Non esistono stampe di quel livello, a
Meridian. Lo sfoglia, osservando solo le illustrazioni e ignorando i testi:
non è ispirato per una lunga traduzione dall’inglese di una lista
di illustri nomi da un altro mondo.
A un certo punto, quasi non crede ai suoi occhi. Avvicina
il libro al candeliere per esserne più certo, ma non si è
sbagliato: il volto ritratto con i pennelli in mano è uguale al
suo, ma senza le striature verdi. ‘Autoritratto di Elias Van Dahl’, legge.
Elias Van Dahl… Eliasdal!!! Ecco cosa voleva fargli vedere
la Regina!
Legge avidamente il testo: giovinezza avvolta nel mistero…
un grande successo ad Amsterdam tra il 1620 ed il 1629… dopodichè
ritornò nell’oscurità da cui era emerso.
Volta la pagina. Ci sono quattro immagini di suoi quadri,
e uno assomiglia moltissimo a quello che lo guarda dal cassettone, solo
in versione terrestre! Un altro, il suo ultimo lavoro, rappresenta
un paese festante con una cattedrale sullo sfondo, e s’intitola ‘L’ultima
lacrima’. E’ custodito al museo di Heatherfield, USA. Non è la stessa
città dov’era andato Jonatludr?
Eliasdal resta immobile a fissare il niente, mentre riflette:
ora gli è chiaro che anche lui, come suo fratello, è predestinato
a viaggiare nel tempo e a farsi una nuova vita in quell’altro mondo.
Meridian, palazzo reale, sala del trono
Una volta di più, il capo dei servizi segreti prende
forma da un baluginio al cospetto del suo signore, e lo riverisce con una
genuflessione. “Vostra altezza…”.
“Ah, Cedric”, risponde con insolita giovialità
il principe Phobos dall’alto del trono, “Stavo per farti convocare, ma
mi hai preceduto. Hai novità?”.
“Vi aggiorno sui funerali di quella Odridel: contro tutte
le aspettative, la Regina vi ha preso parte”.
Phobos aggrotta lo sguardo: da mesi sua madre fa sapere
che sta troppo male per uscire dal suo appartamento, ma ha pur trovato
la forza di fare una piazzata vergognosa correndo giù per dodici
piani di scale, e ora per il funerale di una stupida serva…
Ripensa malvolentieri a Odridel: lui ha fatto malissimo,
a suo tempo, a essere così pietoso da accontentarsi di un’ancella
già usata e strausata da suo zio Findric. Quando arrivò da
lui si comportava in modo apparentemente impeccabile, ma sempre con un’irritante
aria da gran dama, nonostante il suo status servile, i suoi trentaquattro
anni e le sue due gravidanze, per non dire della pelle verde ramarro. E
peggio di tutto, nei suoi pensieri lo paragonava sempre sfavorevolmente
a suo zio Findric. Questa alterigia interiore era fuori luogo in una serva
che avrebbe dovuto compiacerlo in ogni modo. Perciò, alla fine la
spedì a servire in mensa alle guardie, come meritava.
La voce di Cedric richiama la sua attenzione: “Ho provveduto
a far sequestrare quell’attrezzatura per il viaggio nel tempo e tutta la
documentazione trovata in quella casa”.
Phobos grugnisce, poco interessato. Eliasdal e Luduvik
meriterebbero una grave punizione, ma sono andati a piangere dal cuore
di burro della Regina, e ora lei li protegge. Ma per poco ancora, pensa,
mentre sentimenti contrastanti attraversano rapidi la sua mente. Scuote
il viso, scacciandoli.
“Cedric, ti ho mandato a chiamare per un motivo molto
più importante”. Leva una mano tesa; sopra il palmo levita un pezzo
di metallo smaltato con il distintivo della loro dinastia: due mondi compenetrati
in un abbraccio, racchiusi tra due punte di freccia verso l’alto e il basso.
“Guarda questo sigillo. L’ho realizzato secondo le indicazioni
di mia madre e dei libri, e ora è pronto per il collaudo”.
Il direttore dei servizi segreti sgrana gli occhi. “E’
quello che ci aprirà di nuovo la strada per la Terra?”.
“Proprio così! L’arroganza di Kandrakar sta per
avere la risposta che merita!”.
Meridian, sotterranei
Mezz’ora dopo, Cedric sta guidando il principe Phobos
lungo un corridoio sotterraneo fuori mano scavato nel cuore della rupe.
Arrivato al termine, indica la parete in cui il corridoio
muore. “Altezza, questo posto mi sembra l’ideale”.
Phobos annuisce, cercando di nascondere quanto si sia
disabituato alle lunghe camminate. “Bene, Cedric. Adesso ammira…”. Solleva
il sigillo, usandolo come per traguardare la fine della galleria. Poi chiude
gli occhi, visualizzando la destinazione.
Un alone luminoso ondeggiante si genera sulla parete;
al di là appare, come in trasparenza, una stanza che Cedric riconosce
come il seminterrato del Ye Olde Bookshop. “Formidabile, Altezza!”.
Il principe, trionfante, percorre il passaggio, che perde
la sua luminosità, diventando simile ad un varco dai bordi iridescenti
aperto in una comune parete. “Visto, Cedric? Basta un passo, ed eccomi
sulla Terra!”.
“Eccezionale. Principe… E’ eccezionale!”.
“Lo so. Perché ti meravigli?”. Si guarda attorno:
il disordine della stanza, frettolosamente adattata ad alloggio, gli fa
storcere il naso. “Miriadel viveva qui?” chiede senza curarsi di nascondere
il disprezzo.
“Sì, altezza. Ma ora non dipendiamo più
dai capricci della congrega di Kandrakar”, gongola Cedric seguendolo nella
stanza. Poi, come preoccupato, sale le scale, apre la porta e sbircia nel
negozio. Nessuno.
Richiude la porta a chiave. “Dovremo prendere precauzioni.
Qualunque terrestre che entri nello scantinato potrebbe violare il varco
e raggiungere il centro di Meridian”.
“A questo pensaci tu”, risponde un po’ infastidito il
principe. “Fai installare un allarme ad aura psichica, o quello che ritieni
meglio. Da parte mia, preparerò un incantesimo di chiusura al più
presto”. Riflette tra sé: è meglio qualcosa che simuli l’aspetto
e la consistenza di un muro, da far apparire e sparire sfiorando qualche
punto sensibile, o piuttosto collocare due piastre di teletrasporto nascoste,
che colleghino tra loro locali nei due mondi separati da una semplice parete
inamovibile?
La voce di Cedric lo richiama: “Altezza, come pensate
che reagirà la guardiana Yan Lin?”.
Phobos storce il viso al fastidioso pensiero. “Certamente
proverà a chiudere i varchi con il suo Cuore di Kandrakar. Però
noi possiamo sempre riaprirli con questo sigillo”, dice sollevando con
orgoglio la sua creazione.
Cedric annuisce. “Se lei può chiudere i varchi,
allora sarà meglio crearne qualcuno di più per le emergenze,
ben nascosto”.
“Per esempio, dove?”.
L’altro riflette un attimo. “Un secondo varco potrebbe
essere collegato a un altro stanzino sotterraneo accessibile con una botola,
poi in qualche posto ben nascosto vicino a casa di quel Jonatludr, poi…”.
Phobos, un po’ annoiato, esce dallo scantinato, tornando
nel metamondo con un solo passo. “Sarai tu stesso, Cedric, a usare questo
sigillo per aprire i portali dove serviranno, dopo che avrò trovato
un buon sistema per mimetizzarli”.
L’altro ricambia tanta fiducia con un inchino: “Sarà
un onore, Altezza”.
“Stai in guardia”, continua Phobos voltandogli le spalle:
“Quel sigillo è unico. Non è sostituibile. Ti è severamente
vietato metterlo a rischio portandolo sulla Terra”.
“Più che giusto, Altezza”.
“Ti è vietato affidarlo a qualunque subordinato.
Solo tu lo dovrai prendere, usare e riporre al sicuro secondo le
modalità che ti indicherò”.
“Non dubitate”.
Prima di svanire, Phobos volta indietro il viso per un’ultima
occhiata eloquente: “Ricorda, quel sigillo non è sostituibile, ma
tu sì. Se tradirai la mia fiducia in qualunque modo, ne risponderai
con la tua vita”.
Dopo che il principe è svanito, Cedric gli tributa
un ultimo inchino ossequioso: “Certo… sommo stronzo!”.
Heatherfield, all’esterno del Ye Olde Bookshop, tre
giorni dopo
Una giovane asiatica dai cortissimi capelli corvini affonda
il viso nel bavero dell’impermeabile per proteggersi dalle zanzare, riapparse
a frotte in città. Sulla sua schiena, due lievi sporgenze lasciano
intuire due alette compresse sotto la stoffa cerata.
Contrariata e sorpresa, Yan Lin deve constatare che,
dopo tre settimane di chiusura, il Ye Olde Bookshop ha riaperto i battenti,
nonostante la Muraglia tra i mondi.
Yan Lin attraversa la strada ed entra nel negozio, decisa
a fare chiarezza. Lo squillare di un campanello sottolinea il suo ingresso.
All’interno, dietro il bancone, c’è sempre la
solita ragazza dai capelli neri, Eleanor o Miriadel che dir si voglia.
Una rapida occhiata di disappunto passa sul viso della commessa, che poi
torna a sorridere professionale. “Buongiorno. In cosa posso servirla?”.
“Spiegandomi perché siete ancora qui” esordisce
la guardiana. “Perché non avete seguito il mio avvertimento di tornare
tutti a Meridian?”.
L’altra fa finta di non capire. “Le interessa la sezione
fantasy? Sul secondo scaffale…”.
“Non mi prenda ancora in giro, signorina. Era lei che
accompagnava la regina Adariel, tre settimane fa”. Si apre l’impermeabile,
mettendo in mostra il costume viola e turchese da Guardiana.
“Niente spettacolino di luci, quest’oggi?”, chiede serafica
Eleanor.
“Lo spettacolo lo vedrà se tenterà di ostacolarmi!
Ora io mi piazzerò qui, e non me ne andrò finché non
avrò capito se vivete qui, o vi teletrasportate, o cos’altro!”.
La commessa le si fa incontro, combattiva: “Questo negozio
non è casa sua!”.
Anche Yan Lin si serra i pugni sui fianchi. “Mi meraviglio
di sentirlo dire da una che mi è capitata in camera alle due di
notte! E che si è pure addormentata nel mio letto!”.
“Che faccia tosta! Senza di me, suo figlio avrebbe trovato
la stanza vuota!”.
“Senza di lei e la sua Regina, mio figlio avrebbe trovato
solo me che dormivo beata!”. Si trincera dietro le braccia conserte: questa
commessa è l’unica persona al mondo in grado di provocarla in questo
modo. “Basta discussioni, signorina!”. A un suo gesto, una forte
corrente d’aria agita dapprima i capelli e gli abiti, poi comincia a far
sventolare pagine e copertine dei libri in vetrina; infine, a un ulteriore
suo gesto, il turbine si concentra sulla porta del seminterrato, aprendola
di colpo.
La guardiana sussulta per la sorpresa quando vede, oltre
la porta spalancata, il libraio dai capelli lunghi assieme a un enorme
omone dalla pelle azzurrina avvolto in un impermeabile sformato.
Cedric esordisce con nonchalance, aggiustandosi gli occhialini:
“Vathek, ti presento Yan Lin, l’ultima guardiana di Kandrakar”.
“Piacere…” dice il gigante, come incerto se porgere la
manona.
Dopo un attimo di esitazione, Yan Lin riprende l’iniziativa:
parte decisa verso lo scantinato, e passa scostando i due uomini sorpresi.
Scesi pochi scalini, si trova davanti al portale: un
grosso squarcio dagli orli iridescenti nel muro di mattoni, che lascia
intravedere un sotterraneo illuminato da una fosforescenza verdolina.
“Proprio come pensavo!”. Nelle sue mani guizza
il bagliore rosato del Cuore di Kandrakar. Prima che gli altri la possano
fermare, un lampo dal ciondolo fa collassate il portale, e la parete torna
integra.
Yan Lin si volta, trionfante, ma solo ora teme di avere
fatto un’enorme sciocchezza: tra lei e l’uscita oltre le scale ci sono
i due uomini, con i visi deformati in smorfie di rabbia.
“Devo spezzarle il collo, Lord Cedric?”, chiede cupo
il gigante.
Dopo un lungo, lunghissimo silenzio impietrito in cui
la guardiana sente il sudore freddo rigarle la schiena, il libraio risponde,
ricomponendosi: “No, Vathek, bisogna avere pazienza con le vecchiette,
anche se con l’età sono diventate acide”. Si scosta e la invita
a uscire con un inchino sarcastico.
“Vecchietta?”, chiede Vathek perplesso. La donna in costume
gli sembra sì acida, ma non certo anziana.
Yan Lin, offesa ma anche sollevata, si decide a risalire
le scale, scostando il gigante incerto.
Una volta in negozio, ormai ben vicina alla porta d’ingresso,
si volta indietro: “E ora vi consiglio di trovarvi un buon albergo, perché
dovrete restare nel nostro mondo per un bel po’!”. Tributa un’ultima occhiata
storta anche a Vathek: “Forse lui si troverebbe meglio in uno zoo”.
Detto questo, la guardiana si richiude l’impermeabile,
celando alla vista il costume, e fa per uscire in strada; poi cambia idea,
e sparisce in un lampo abbagliante.
Il silenzio stupito è rotto dalla voce incerta
di Vathek: “Cos’è uno zoo?”.
Dopo un po’ anche Eleanor ritrova la parola: “Cedric,
mi aspettavo che l’avreste catturata e le avreste tolto quel gingillo luminoso.
L’avevate chiusa, questa era l’occasione buona”.
Lui scuote il viso in segno di diniego. “Non era prudente.
In realtà, sappiamo davvero poco dei suoi poteri. E poi, finché
si limita a chiudere varchi che possiamo riaprire, per noi è solo
una scocciatrice, niente più”.
Indica con lo sguardo una botola sul pavimento, nascosta
sotto un tappeto. “Per stavolta possiamo tornare col passaggio di riserva,
poi ne aprirò anche degli altri”.
“I suoi poteri…”, riprende Eleanor con un’occhiata ad
alcuni libri caduti scompostamente dalla vetrina, “Ho visto che può
creare un vento fortissimo, che può trasformarsi e rendersi invisibile”.
Cedric annuisce. “Aggiungici che è resistente
allo sguardo del comando. Ho provato ad ipnotizzarla, poco fa, senza risultato”.
“Poi può teletrasportarsi” aggiunge Eleanor, “Ma
avete visto che lampi? Non può sperare di passare inosservata!”.
Cedric scuote il capo. “Quello non era un semplice teletrasporto,
ma un salto dimensionale. Una cosa che noi non sappiamo fare”.
“E che differenza c’è?”, chiede il gigante perplesso,
aggiustandosi sul testone il cappello alla Bogart che il vento gli aveva
strappato via.
“Il teletrasporto segue una traiettoria attraverso due
luoghi connessi nello spazio, cioè nello stesso mondo o in mondi
connessi da portali aperti. Il salto dimensionale, invece, è al
di fuori dello spazio, e può collegare anche mondi non connessi”.
“Come la Terra e Kandrakar” completa Eleanor.
“Già. Scommetto che ora la guardiana è
andata a riferire proprio lì”.
Kandrakar
Quando i riflessi del lampo bianco si sono estinti, Yan
Lin si guarda attorno: la grande sala del consiglio è deserta e
silenziosa. Candidi sbuffi di nuvole fanno capolino dagli spazi tra
le colonne. Forse è arrivata nel cuore di quella che a Kandrakar
prende il posto della notte.
Mentre si sfila l’impermeabile e ridistende le alette
doloranti, il fruscio dei suoi vestiti è l’unica increspatura nel
silenzio.
Poi percepisce qualcosa, con un senso che non sa definire.
Guidata da questo, imbocca un corridoio laterale, fiancheggiato da un colonnato
dritto che dà su un mare di nuvole candide che, viste dall’alto,
danno quasi la sensazione di una superficie solida e soffice.
Si ferma un attimo a guardarle, cercando di far rallentare
i battiti del suo cuore. Una vecchietta acida… devo spezzarle il collo…
e poi, il ghigno sarcastico di quella commessa! Quest’oggi i meridiani
sono riusciti a provocarla in un modo che credeva impossibile alla sua
età.
Quando la tachicardia si è attenuata, riprende
a percorrere il corridoio fino a un passaggio aperto sulla destra.
In questa stanza, l’Oracolo sta sedendo a mezz’aria nella
posizione del loto, dandole le spalle e guardando intento le nuvole attraverso
un finestrone circolare.
“Ben arrivata, Yan Lin”. Il saggio si abbassa lentamente
fino a terra, senza voltarsi, poi si rimette in piedi e finalmente si gira
verso di lei, imperturbabile.
“Scusate se sono venuta senza preannunciarmi, signore”.
“Non dormivo, Yan Lin. Non dormo mai. Stavo solo cercando
presagi nel cielo mentre ti aspettavo”. Per un attimo, un’ombra passa sul
suo viso e scompare. “Abbiamo percepito le violazioni della Muraglia”.
“Ma come ci possono essere riusciti?”.
“Dovremo assolutamente capirlo. Per l’intanto ti ho preparato
uno strumento, benché imperfetto”. Tra di loro, a mezz’aria, si
forma un luccichio da cui emerge un grosso foglio arrotolato.
La guardiana lo prende prudentemente in mano e lo srotola.
“E’ una mappa di Heatherfield!”.
“Non una mappa qualunque”, risponde lui, imperturbabile
come sempre. “Vi ho impresso un isomorfismo con il bacile di uno dei nostri
saggi che sta sorvegliando la muraglia giorno e notte. Non appena
percepisce una violazione in atto, su questa mappa lampeggia la posizione
del varco, e tu ti recherai immediatamente sul posto per chiuderlo”.
Una voce decisa risuona alle spalle di Yan Lin: “Richiuderlo
e basta?”
Nella stanza entra un uomo alto e fiero, il cui viso
severo è solcato da tre cicatrici come di un graffio di tigre che
attraversano il sopracciglio e la palpebra sinistri. Imponenti trecce di
capelli grigi, raccolti all’indietro, fanno il paio con baffoni e sopracciglia
pendenti, e un pizzo severo gli adorna il mento squadrato. “E’ inutile
richiudere i varchi dopo che loro sono passati, se è vero che li
possono riaprire a piacimento”.
L’Oracolo sorride imperturbabile al nuovo arrivato: “E
tu cosa proponi, Endarno, amico mio?”.
La risposta è decisa: “Dobbiamo catturare tutti
quegli agenti e farli parlare, solo così riusciremo a far rispettare
il blocco che abbiamo imposto. Ti assicuro che la nostra Torre delle Nebbie
è in grado di contrastare tutte le loro stregonerie”.
L’Oracolo solleva impercettibilmente un sopracciglio
nel sentir nominare il carcere di Kandrakar, di cui Endarno è il
sommo custode.
“Catturare…”, ripete preoccupata Yan Lin. “Signore, sapete
bene che da ventiquattro anni sono l’unica guardiana”. Si trattiene dall’aggiungere:
‘Dovevate pensarci bene, prima di licenziare le altre due sopravvissute’,
ma i due uomini la capiscono lo stesso.
“Se hai paura, guardiana…”, fa per rispondere duro il
nuovo arrivato.
“Vi è facile dirlo, signore!”, riprende lei, più
polemica di come avrebbe voluto sembrare, “Eppure, sapete bene che quelli
lì si teletrasportano con una facilità impressionante. Non
ho modo di catturarne qualcuno senza fargli del male. Se succedesse questo,
gli altri potrebbero vendicarsi sulla mia…”.
L’Oracolo la interrompe con un gesto. “Dobbiamo valutare
meglio la situazione prima di intraprendere azioni che possono farla peggiorare.
Per noi è meglio prendere tempo, molto tempo. Ormai la catena di
cause ed effetti che porterà alla prossima generazione di guardiane
è già stata messa in moto”.
Heatherfield, ristorante Silver Dragon, poco dopo
“Mamma, dove sei sparita? Sei mancata da casa per più
di un’ora”. Il giovane Chen, con un grembiule legato ai fianchi, le viene
incontro all’ingresso del ristorante di famiglia.
“Cose da donne, figlio mio”, risponde l’anziana Yan Lin,
rientrando a casa con un impermeabile fuori misura gettato sul braccio.
Lui resta un attimo perplesso, poi alza le mani rassegnato.
“Va bene, mamma. Però ora siamo indietro con le stoviglie. Puoi
venire?”.
“Certo”. L’anziana appende l’indumento, e si dirige pensierosa
in cucina.
La bella Joan, la sua giovane nuora, le sorride da dietro
due pile di piatti.
Yan Lin la ricambia, cercando di non far trasparire le
sue preoccupazioni. A una certa età si vorrebbe la sicurezza che
tutto ciò che si ha costruito nella vita non venga spazzato via
da uno scherzo del destino o da un nemico alieno. Perché,
dopo due decenni di tranquillità, una minaccia del genere doveva
scoppiare proprio nell’autunno della sua esistenza?
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Capitolo 17 *** La Settima Luce ***
17- la Settima Luce
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie mille per la graditissima recensione.
Il carattere di Phobos è visibilmente peggiorato. Indubbiamente
ci ha messo parecchio di suo, ma anche il modo in cui sua madre lo evita,
e il mugugno di scontento della gente che capta telepaticamente, contribuiscono
a questa spiacevole involuzione.
Endarno è un uomo severo e aggressivo, anche se la parola
crudele è un po' esagerata; con i poteri che la fortezza mette
a disposizione dei suoi adepti, non è necessario avere le pinze
roventi per estorcere informazioni a un ospite.
Per quanto riguarda Yan Lin, ho difficoltà a spiegare perchè
tra la data della ribellione di Nerissa, attorno al 1960, e l'inizio della
storia del fumetto, attorno al 2000, Kandrakar abbia tenuto in servizio
una sola guardiana. Forse l'Oracolo non aveva previsto grosse emergenze
in questo lasso di tempo, oppure la precedente esperienza di un gruppo
di età eterogenea era stata troppo negativa.
Cara Solitaire, grazie per la tua interessantissima recensione.
Per quanto riguarda la storia e le finalità di Kandrakar nella mia
versione della saga, le ho descritte in uno dei capitoli finali di Profezie,
ma ci vorrà più di un anno per arrivarci.
Nei primi sei numeri del fumetto WITCH, Cedric risulta un personaggio
interessantissimo, capace e carismatico. Purtroppo, dal settimo numero
in poi lo hanno di colpo degradato a viscido e poco capace.
Il Phobos del fumetto è molto più lucido e convinto
del suo ruolo di cattivo di quello del presente racconto, che si carica
gradualmente di risentimento e frustrazioni ma che si ricorda ancora vagamente
del modo di governare che è sempre stato caratteristico della sua
famiglia, e anche per questo cerca di scaricare le colpe sugli altri, mentre
nel fumetto questo è un vizio che ha superato.
Per quanto riguarda la scienza terrestre, Phobos la disprezza perchè
non riconosce la realtà della magia e dei poteri psichici; tuttavia,
da essa ha un'attesa in particolare: che i progressi nella medicina e biologia
molecolare possano fornirgli spunti per migliorare i suoi poteri autotaumaturgici
e prolungare la sua vita fin a diventare quasi immortale.
Sono contento che ti sia piaciuto il mio modo di condurre il viaggio
nel tempo. La convinzione di conoscere il futuro influenza moltissimi personaggi,
e qualche volta fa parte della catena causale che porta all'avverarsi di
tale conoscenza. Comunque, se Eliasdal fosse stato fermato, sarebbe stato
ben problematico spiegare chi era quell'Eliasdal che cercava di fermarlo.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Da alcune domande e obiezioni poste, temo di non essere stato
chiarissimo sull'intricata dinamica degli avvenimenti del capitolo 15.
Dunque, bisogna sapere che il teletrasporto tra Meridian e Heatherfield
è costituito da tre tratte successive, memorizzate nel sigillo di
teletrasporto: una è tra Meridian e il portale, che fluttua a qualche
centinaio di chilometri di distanza sul continente; la seconda è
all'interno del portale, che sbocca sull'Atlantico; la terza è da
qui a Heatherfield, sulla costa est degli USA.
Siccome la Muraglia attivata dall'Oracolo ferma solo il passaggio
nel portale, chi tenta il teletrasporto si ferma a mezz'aria e cade, com'è
successo anche a Jonatludr nel capitolo 14. Se non si è abbastanza
svelti a teletrasportarsi altrove ci si schianta a terra, ed è quello
che è successo a Odridel, che nella caduta ha perso il contatto
fisico con Eliasdal che aveva con sè il sigillo; perciò lui
solo ha potuto teletrasportarsi al suolo attutendo la caduta.
I morti sul terreno erano altri sfortunati viaggiatori in grado
di teletrasportarsi, forse di Meridian, forse di altri luoghi del Metamondo,
che fuggivano sulla Terra o vi andavano per questioni loro, e non sono
stati lesti a parare la caduta.
Per quanto riguarda il viaggio nel tempo, un particolare essenziale
è che i due sono partiti per il loro sfortunato viaggio dalla casa
di Jonatludr, e poi sono tornati in quella di Eliasdal e Odridel. Quindi,
per due ore è coesistita una Odridel morta con una viva, ma non
nello stesso luogo, perchè lei era andata due ore prima a fare le
pulizie in casa di Jonatludr da cui è poi partita.
Qualche parola sul presente capitolo, che è relativamente
breve ma rappresenta uno spartiacque nella storia. Preparate gli auguri,
non perchè è capodanno, ma perchè finalmente nasce
la settima Luce di Meridian, Elyon, e nasce in quel modo tutto suo che
poi diventerà famigliare in Profezie con Vera, le Nemesis e poi
con un altro personaggio nuovo e vecchio al tempo stesso.
Qualcuno potrebbe avere perplessità contando gli anni, perchè
tra la sera di Halloween del 1984 e quella del 2000 passano sedici anni
terrestri (circa undici anni di Meridian), anzichè i quattordici
che il fumetto attribuisce a Elyon. Il perchè è spiegato
sia nel seguito della Luce, sia in Profezie, non ricordo se nel
capitolo 4 o 5.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 17
La settima Luce
"La settima Luce di Meridian non morirà nella
culla. La sua vitalità sfiderà i secoli. Il suo potere perpetuerà
quello delle regine del passato. Il suo amore tornerà a illuminare
questo mondo dopo undici anni di tenebre e tirannia. Sarà lei a
far avverare le migliori profezie del Dio del Fato.”
Adariel, sesta Luce di Meridian
La grande mattina delle due profezie è arrivata:
dopo una notte agitata da sogni, la regina apre gli occhi alla luce del
giorno e guarda con emozione e ansia i due calendari, metamondese e terrestre,
sul comò.
Oggi è il suo trecentesimo compleanno, a Meridian.
Forse verrà fatto qualche mesto festeggiamento. Spera proprio che
Phobos non scelga proprio questa mattina per venire a farle gli auguri.
Il calendario terrestre invece indica il 31 ottobre 1984,
e in questo momento su Heatherfield stanno calando le prime ombre della
notte.
E’ buffo che una sua stessa profezia indichi la nascita
della Settima Luce di Meridian nella cupa notte di Halloween, oltrechè
nel giorno del suo compleanno.
Si alza in piedi, appesantita dal pancione. “Lidri”, chiama
ad alta voce, “Oggi è la grande giornata. Presto, prepara un bagno
con l’acqua magica!”.
La sua ancella Lidrienel, sorridente, entra nella camera
portando dei sontuosi asciugamani ricamati a foglie dorate. “Grandioso,
Luce. Avete già le contrazioni?”.
La regina resta un attimo spiazzata. Contrazioni… ah,
già. “Sì, incominciano”, risponde mentre serra platealmente
i denti cercando di essere convincente. Avrebbe dovuto ripassarsi la parte:
sono passati quarant’anni da quando ha provato l’ultima volta a mettere
al mondo una figlia nel modo tradizionale, che poi per lei è diventato
sinonimo di fallimento e lutto.
Si toglie completamente la leggera vestaglia e la biancheria,
e si guarda un attimo allo specchio, con mille rimpianti. Il suo aspetto
non è cambiato da quella volta: sempre un bel viso giovane, dei
seni sodi da primipara, il pancione che più grosso non si può…
Solo apparenza, pensa con tristezza. Ora di futuro lei
non ne ha quasi più. Quello che si gioca ora è il futuro
della sua città e della sua dinastia. E’ molto agitata: avrà
solo una possibilità. Le sue poche forze e la sua scarsa riserva
di acqua magica le concederanno solamente un tentativo.
Nel bagnetto accanto, Lidrienel ha già iniziato
a riempire la stretta vasca smaltata a motivi floreali, sagomata sul corpo
della regina per non sprecare la preziosa acqua magica. “Ventitrè…
ventiquattro… Altezza, avete ventiquattro litri in armadio, più
tre gocce e mezzo dal rubinetto. Devo versarli tutti?”.
“No, risparmiane quattro litri. Se necessario, allunga
un po’ con acqua calda”.
Poco dopo, Adariel si distende nella vasca sagomata. Il
bagno tiepido e la sua luminosità verdina la avvolgono, lasciandole
sporgere solo il viso. L’energia del bagno le penetra attraverso la pelle,
si irradia lungo le vene e i nervi fino al centro del capo, pervadendole
tutto il corpo, scacciando i dolorini e i malesseri che sente ormai ogni
mattina prima della seduta con la sua guaritrice. Ora si sente di nuovo
forte, una sensazione che le mancava da molto.
Si porta una mano davanti al viso: vede la tenue fosforescenza
dell’acqua persistere brevemente sulla pelle mentre il prezioso liquido
cola giù.
Chiude gli occhi, concentrando le sue energie nelle mani.
Quando torna a guardarle, i suoi palmi hanno una tenue luminosità
verdina. E’ lì che servirà il suo potere, non in questo ventre
fasullo e ormai quasi inutile.
“Altezza, è arrivata Galgheita”, cinguetta allegra
ed eccitata Lidrienel dalla porta.
Qualche minuto dopo Adariel, ancora avvolta in un accappatoio
vagamente rilucente di verde, va incontro alla sua guaritrice. Indossa
la Corona di Luce, sfolgorante come non la si vedeva da anni, sopra i capelli
ancora bagnati e aderenti al capo come per preservare su di sé uno
sprazzo in più di quell’energia benefica. “Cara Galgheita, oggi
è il grande giorno!”. Poi, rivolta alla sua ancella: “Lidri, per
piacere, travasa l’acqua della vasca in quel barilotto”. Indica una botticella
di legno accanto ad un marchingegno coperto da una preziosa tovaglia; dalla
sagoma che si intravede, Galgheita indovina che si tratta di un conversore
psicoenergetico.
Nella stanza la guaritrice nota anche quattro grandi
specchi orientabili a tutto corpo; ieri pomeriggio ce n’era solo uno, avrebbe
giurato.
Poco dopo, Lidrienel esce dal bagnetto sbuffando per
il peso di una bacinella piena del prezioso liquido luminescente, e chiede:
“Allora, Luce, avete avuto altre contrazioni?”.
“Eh? Ahi, sì, eccone una”, fa con uno spasmo decisamente
poco convincente. “Lidri, appena hai finito, potresti uscire, per piacere?”.
“Come?”, chiede lei stupita, “Luce, io sono una brava
ostetrica. Con queste mani, ho aiutato mia sorella a partorire tre volte,
e…”.
Galgheita le appoggia la sua grossa manona sulla spalla.
“Resta, Lidrienel. La tua esperienza ci sarà utile”.
“Ma…”, fa spiazzata la regina.
“Grazie. Altezza, non ve ne pentirete”, risponde sorridendo
la sua ancella. Poi il suo largo sorriso è incrinato da un lieve
spasmo. “Scusatemi due minuti…”, ed esce a passi veloci dalla stanza.
“Bisognino!”, ridacchia Galgheita, “Sbaglio, Altezza,
o non volete farla assistere alla nascita?”.
“Sei… sei grande!”. La Luce di Meridian getta la maschera:
“Galghi, solo tu e io siamo a conoscenza di quanto sta per avvenire”.
La guaritrice annuisce e nota, senza troppa sorpresa,
che il ventre della regina è rapidamente tornato piatto. “Vi sentire
pronta, Altezza?”.
“Quasi…”. Adariel estrae dal cassetto una scatolina piena
di una polverina gialla di cui versa qualche spizzico su un fazzoletto.
L’odore inebriante del polline di konnestras si spande nell’aria.
Nota lo sguardo di disapprovazione di Galgheita, e si
sente in dovere di giustificarsi: “Il mio potere è arrugginito,
questo gli darà nuovo vigore”.
“Darà anche una brutta botta alla vostra salute”
le fa osservare l’altra.
“Non posso risparmiarmi proprio ora, costi quello che
costi”, le risponde la regina, e aspira a pieno dal fazzoletto.
Dopo alcune inalazioni, mentre depone il fazzoletto il
suo sguardo è cambiato: non è più dolce e malinconico,
ma vi brilla una nuova esaltazione. “Presto, Galgheita, abbiamo poco tempo!”.
Volge il viso verso la finestra, e guarda: nuvole drammatiche e turbolente
si stanno addensando sopra la città.
“Quelle nubi… siete voi che…”, chiede turbata la guaritrice.
“Serviranno per mascherare il bagliore e i suoni!”. A
un gesto, le due ampie vetrate si aprono, lasciano passare una folata di
vento fresco che spazza il dolce profumo del polline.
I quattro grandi specchi si orientano da soli per riflettere
l’immagine della regina sul centro del lettone, dove un grande e morbido
asciugamano è stato disteso. Tuoni secchi seguono i primi
lampi, ed echeggiano sulle torri vicine.
Gli occhi le brillano sempre più di esaltazione.
“Galgheita, la settima Luce di Meridian non morirà nella culla!
Non lotterà contro malattie e difetti metabolici! Sarà sana
e forte come lo sono stata io! La sua vitalità sfiderà i
secoli! Il suo potere perpetuerà quello delle regine del passato!
Il suo amore tornerà a illuminare questo mondo dopo undici anni
di tenebre e tirannia! Sarà lei a far avverare le migliori profezie
del Dio del Fato!!!”.
Galgheita resta senza parole mentre la regina va a grandi
passi al cassettone e apre un cofanetto, quindi estrae quello che sembra
un grosso cristallo lavorato, lo guarda controluce e poi glielo lo porge
con un sorriso trionfale.
La guaritrice lo prende con delicatezza e imita il gesto
di guardarlo contro la finestra. All’improvviso, marcata dal bagliore
di un lampo, le appare dentro l’immagine tridimensionale di una neonata.
Sussulta. “Cos’è?”.
“E’ una gemma di memoria incisa una mattina di trecento
anni fa”, risponde la regina riprendendo l’oggetto con riverenza. “Quella
che vedi sono io appena nata. In questa scansione c’è ogni dettaglio
di ogni cellula, anche a livelli che non potremo mai immaginare né
capire”. Sorride con gli occhi persi nel cristallo. “Lei sarà la
salvezza e la guida per Meridian. Sarà come me. Sarà solo
diversa per qualche dettaglio esteriore”. Si volta come sospettosa verso
Galgheita. “Ricorda, devi restare l’unica a conoscere questo segreto! Per
tutto il mondo, questa bambina sarà la figlia di Adleric!”.
Galgheita annuisce. “Contateci, Altezza. Ma…”.
Un tuono da fuori copre le sue parole, mentre la regina
si volta di nuovo verso il letto. “E’ ora: questo momento non durerà
a lungo!”.
Torna in posizione tra gli specchi, che correggono da
soli il loro allineamento, poi tende le braccia verso il letto. Il conversore
psicoenergetico inizia a ronzare; un rumore di risucchio e una luminosità
verdolina rimarcano il suo divorare litri e litri di acqua magica dal barilotto.
La corrente d’aria si fa sempre più forte, mentre
gli specchi vibrano leggermente, riflettendo i luccichii delle sue mani
e dei suoi occhi. Sul letto si forma un alone luminoso, che persiste per
qualche secondo, senza crescere.
D’improvviso tutto si interrompe, e la regina abbassa
le braccia. “Non basta ancora!” grida quasi in preda al panico. Poi va
decisa verso il suo armadio, apre una delle bottiglie di luminosa acqua
verde e ne tracanna diverse sorsate. Un lampo e un tuono dall’esterno sottolineano
drammaticamente il suo gesto.
“Altezza, per ingestione è tossica!”, le ricorda
scandalizzata la guaritrice.
L’altra si asciuga il viso con la manica, e le scocca
un’occhiata decisa. “Te l’ho detto, non posso risparmiarmi proprio ora!”.
Riposta la bottiglia, la Regina riprende il fazzoletto, aspirando voluttuosa
altra profumata polvere gialla. Ora gli occhi le brillano di luce propria.
“Sì! Ora sento che ce la farò!”. Riprende la posizione tra
gli specchi, tendendo le mani. Obbedendo alla sua volontà, il conversore
riprende a consumare la sua preziosa risorsa. Nuovamente il vento si fa
sempre più forte, un vento che entra attraverso le finestre senza
mai uscirne. Gli specchi vibrano e lampeggiano sempre più forte,
mentre il tremolio luminoso sopra il letto si evolve in tanti piccoli bagliori
come lucciole che si fondono assieme. Il vento ruggisce. Un lampo dentro
la stanza, un tuono assordante…
Un attimo dopo, tutto è finito. Le finestre si
richiudono da sole, e il temporale si esaurisce rapidamente. Il silenzio
irreale nella camera viene interrotto solo dal primo pianto di una bambina,
appoggiata al centro dell’asciugamano sul lettone.
La regina le sorride, andandole incontro con le lacrime
agli occhi. “La mia piccola Elyon!”. La guarda: minuta, perfetta, con la
testolina ancora pelata e gli occhi grigio chiaro come quelli di Adleric.
Anche la bambina le ricambia il sorriso, e poi comincia a frignottare.
“Scusatemi, Altezza…”, dice la fedele ancella, rientrando
a passi lunghi.
La regina è già sotto le coperte, con in
braccio il suo fagottino che fa versetti incantevoli. “E’ andato tutto
a meraviglia”, la rassicura con un sorriso felice ma ormai stanco.
“E’ già nata!?! Ma che bella… posso vederla bene?”.
“Guarda pure, Lidri… ma non facciamole prendere freddo”,
risponde Adariel stringendola ancora di più a sé, come gelosa.
Si è appena ricordata che la piccola non ha il cordone ombelicale.
“E’ meravigliosa!”, cinguetta l’ancella. “Gia pulita
e asciutta… maestra Galgheita è stata velocissima! Se avesse una
borsa, direi quasi che ve l’ha portata dentro già pronta”, scherza,
finendo con un risolino.
“Perché?”, chiede la guaritrice sulla difensiva,
“Non avevo nessuna borsa”.
Lidrienel resta sorpresa di essere stata presa così
sul serio. “Perché pare già grande. Non sembra nata cinque
minuti fa, ma di un mese o due. Anche gli occhioni…già grigio chiaro?
Di solito i bambini nascono tutti con gli occhi blu scuro, e poi prendono
dopo il colore definitivo”.
“Questa è una bambina molto speciale, nata da
una mamma molto speciale”, risponde evasiva Adariel, e nasconde il suo
imbarazzo cercando di sembrare persa negli occhi della figliola. “Piccolina
bella…. Elyon… sorridi alla mamma”.
La bimba risponde nuovamente al sorriso, facendo gongolare
la sua regale mammina.
Lidrienel commenta, allegra ma sospettosa: “Sorride già,
che tesoro… di solito lo fanno solo a qualche mese d’età”.
“Lidri, mi stai facendo venire il mal di testa”, risponde
con malcelato malumore la regina. Getta un’occhiata verso la gemma di memoria,
ancora appoggiata sul cassettone. Non ci aveva pensato, ma evidentemente
la scansione fu fatta diverso tempo dopo la sua nascita. Il momento di
esaltazione è decisamente passato, e comincia a sentirsi debole
e dolente.
“Scusate, Altezza. A proposito, avete già espulso
la placenta?”.
“Non ancora, Lidri. Lasciami un po’ di tempo”, sbuffa
la regina cercando di sorriderle senza guardarla negli occhi.
Adariel scambia un’occhiata con Galgheita, che capisce
al volo. “Faccio un salto in cucina a far preparare biberon e latte”, dice
la guaritrice. “Un momento…”, ed esce dalla stanza.
Dopo qualche minuto di coccole alla piccola, di altre
domande sottilmente indiscrete e di risposte di circostanza sempre più
indisposte, Galgheita ritorna. “Il latte sarà pronto a minuti. Altezza,
siete pronta per la placenta?”. Accompagna la domanda con un cenno impercettibile
di intesa.
“Si, sta per uscire. Lidri…”.
“Eccomi, Altezza. Questa volta non vi…”. Fa un leggera
smorfia, come per una fitta. “Vi chiedo scusa, potete aspettarmi ancora
un minuto?”. Senza attendere risposta, si dirige a passi rapidi verso la
porta con un’espressione di sforzo.
“Altro bisognino impellente…”, ridacchia Galgheita, poi
un fagotto le appare in mano. “Osservate questo”. Le mostra ciò
che ha nascosto avvolto nei canovacci.
La regina storce il viso per il disgusto: “Sembra un
polpettone sanguinolento più qualche frattaglia”.
L’altra sorride: “Esattamente ciò che è.
Ma dà l’idea di una placenta”. Si stringe nelle spallone: “Era l’unica
cosa simile che ho trovato in cucina”. Comincia a sporcare qualche asciugamano.
“Ancora un po’ di messa in scena…”.
In quel momento, la bimba decide che è giunto
il momento di mettere in disparte gli adorabili vagiti, e comincia a piangere
sonoramente.
“Elyon… cos’hai, piccola mia?”.
Lidrienel rientra: “Ecco, quando piangono così
è perché hanno fame”, sentenzia. “Anche quelli di mia sorella…”.
“Brava Lidri, è il tuo turno. Vai a prendere il
latte di motlon in cucina, per piacere”, le comanda la Regina.
“E controlla che abbia bollito almeno cinque minuti”,
aggiunge Galgheita.
“Lo so, lo so!”, sbotta frustrata. Per lei che non può
teletrasportarsi, sono dodici piani di discesa, che al ritorno assomiglieranno
molto a dodici piani in salita.
Prima di uscire, l’attenzione dell’ancella è attirata
dal fagotto appoggiato per terra. “Avete già espulso la placenta?
Avete controllato che sia uscita tutta?”. Prima che le rispondano, apre
l’involto e storce il viso. “Sembra un polpettone sanguinolento con qualche
frattaglia!”. Lo prende in mano con un po’ di ribrezzo: “Vado a smaltirla”.
“Lasciala!”, ordina Galgheita allarmata, “E’ che… che
da una placenta si possono estrarre dei farmaci rarissimi”.
Con un altro strillo a pieni polmoni, la neonata rivendica
nuovamente la sua prima pappa.
“Si, amore… Lidri, ti decidi?”, la sollecita la Regina.
Dopo che l’ancella si è allontanata bofonchiando
qualcos’altro su tutti i bimbi che ha visto nascere, il viso della regina
si fa sempre più sofferente, mentre gocce di sudore freddo le imperlano
la fronte.
“Galghi, sto male. Allo stomaco. Fai qualcosa, ti prego…”.
La guaritrice le pone le mani sul ventre, scostando delicatamente
la piccola che reclama il suo cibo sempre più tirannicamente. “E’
l’acqua magica, Altezza. Ve l’avevo detto che era tossica…”.
Dopo qualche minuto il dolore si attenua, e il respiro
si fa meno affannoso. “Va meglio, grazie”.
Galgheita accosta il viso all’orecchio della Regina,
per farsi capire nonostante gli strilli della piccola Elyon, coccolata
tra le braccia della madre esausta.
“Altezza, non sarebbe meglio mettere Lidrienel a conoscenza
di questo segreto? E’ chiaro che ha già dei sospetti”.
L’altra scuote il viso. “No. E’ troppo importante”.
“Sono sicura che potete fidarvi di lei”.
“Anche io”, ammette, “Ma qualcuno potrebbe facilmente
leggerle il pensiero. Per queste cose, Lidri è del tutto indifesa”.
L’altra annuisce corrucciata. “Altezza, il fatto che
questa piccola sia stata creata per magia le impedirebbe di succedervi
sul trono?”.
L’altra scuote il viso. “No. Per legge, gli esseri creati
in questo modo sono parificati a quelli concepiti secondo natura. Per ribadirlo,
tre anni fa ho fatto approvare una legge che stabilisce esplicitamente
che possono anche succedere al trono, se hanno tutti i requisiti”.
Galgheita non lo sapeva; a quanto pare, a suo tempo questa
delibera non è stata ampiamente pubblicizzata. “E vostro figlio
Phobos, che ne ha detto?”.
“Phobos… All’epoca non lo sapeva, l’ho fatto in sua assenza”,
ammette un po’ colpevolmente, “E spero che non lo abbia già scoperto”.
“Perché?”.
“Perché esiste un diffuso pregiudizio contro gli
esseri creati artificialmente, un po’ come per i figli illegittimi. Phobos
potrebbe usarlo a suo vantaggio per cambiare la legge dopo la mia morte”.
Coccola ancora la bimba, cercando di tranquillizzarla, ma è solo
con un lieve tocco della mano di Galgheita che la neonata si assopisce
brevemente e tace.
“Grazie, Galghi”, dice Adariel rilassandosi un po’. “Ma,
soprattutto, è meglio che mio figlio resti convinto che questa piccola
morirà nella culla come gli altri”, dice mentre gli occhi stanchi
le si arrossano, e par di vederle un luccichio sotto l’iride.
Torna a guardare verso la porta. “E poi, tornando a Lidri,
lei è destinata a restare a Meridian. Il non conoscere questo segreto
la proteggerà almeno un po’ dalla vendetta di Phobos”.
“E io, Altezza?”.
La regina esita prima di rispondere. “Galghi, per te
il destino ha in serbo qualcosa di completamente diverso”.
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Capitolo 18 *** Il sangue non mente ***
18-Il sangue non mente
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie per la graditissima recensione.
La tua domanda sul perchè Adariel abbia aspettato l'ultimo momento
per mettere in forno un'erede è di puro buon senso. Purtroppo, a
suo tempo Adariel ha avuto una fortissima resistenza emotiva a fare le
tre cose possibili: ritentare di avere un figlio con Adleric (lutto quasi
assicurato), averlo con un uomo qualsiasi (resistenze psicologiche a tradire
Adleric, più perplessità sui minori poteri dei figli) o realizzare
un clone (che poteva urtare la sensibilità della sua gente). Probabilmente
sia Adariel che Adleric si erano rassegnati a passare la corona a Phobos,
ma tre anni prima la regina ha avuto una sinistra premonizione su di lui
di cui non aveva mai parlato a nessuno prima della morte del marito; ciò
ha reso urgente trovare un'alternativa, che a quel punto non ha più
potuto essere ortodossa.
Cara Solitaire, grazie per i tuoi commenti. Invero nello
scrivere questo capitolo ho dovuto vincere una grossa preoccupazione: se
a Meridian esiste un pregiudizio contro le persone che non nascono dalla
pancia di mamma loro, ma dalle sue mani, non è che questo pregiudizio
esista anche tra lettori e lettrici della mia variante della saga? Vabbè,
ormai l'ho scritta, se qualcuno prepara i pomodori ora è arrivato
il momento di lanciarli.
Nei primi capitoli di Profezie scrivevo che Elyon era caduta in
crisi dopo aver letto una lettera postuma di sua mamma (continuiamo a chiamarla
così), ma in quella long-fiction il suo contenuto non viene mai
rivelato. Sarà invece spiegato tra qualche capitolo nella Luce,
ma fin d'ora si può immaginare di cosa si tratterà.
Per me, Galgheita è uno dei personaggi più positivi
della saga, almeno dal punto di vista caratteriale. Anche il fatto che
abbia mantenuto la sua disponibilità ad aiutare, nonostante il fatto
che il suo aspetto sia strano e difficile da portare perfino a Meridian,
va a suo indiscutibile merito.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Qualche parola su questo capitolo, che è ambientato
immediatamente dopo il precedente. Qui sapremo finalmente le reazioni di
Phobos a questa nascita, il modo in cui continua la schermaglia tra i servizi
segreti meridiani e la Guardiana di Kandrakar, e la sincera verità
su quello che pensano di tutto ciò due personaggi che saranno tra
i protagonisti del gran finale di questa storia.
Buona lettura
MaxT |
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Capitolo 18
Il sangue non mente
“Dopo che la Luce si sarà unita agli Dei, si
potrebbe arrivare a una resa dei conti. Allora forse pregherò di
essere lasciata nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che
potrei, invece, essere tra gli incaricati di tutto questo”
Miriadel
Seduto sul trono, Phobos lancia lunghe occhiate inquiete
fuori dalle ampie finestrature. I suoi pensieri non riescono a focalizzarsi
sul consigliere Zarion che gli sta parlando ai piedi della sua pedana,
ma si perdono dietro a quel temporale così improvviso che ha increspato
il grigio uniforme degli ultimi giorni. Gli è chiaro che questo
strano tempo deve avere a che fare con sua madre. Ma in che modo?
Considerando la data, potrebbe essere giunto per lei
il momento del parto. Forse quelle nuvole l'accompagnano nel momento dello
sforzo e del dolore, o sono il suo pianto di delusione per una piccola
nata già morta? O ancora, sono un monito del Dio del Fato per ricordare
alla Luce di Meridian che il destino di quella creatura è già
segnato, accompagnando con un presagio sinistro i suoi primi vagiti?
Il consigliere si schiarisce la voce: “Mi sto spiegando
chiaramente, Altezza?”.
“Sì, certo, continua!”.
Il principe ascolta ancora per un po’ le questioni dell’altro,
poi torna a guardare dalla vetrata. Il temporale è finito; le nuvole
si stanno diradando, e mostrano qualche sprazzo di sereno.
Si volta a guardare dalla vetrata posteriore verso la
torre nordest, dove si trovano gli appartamenti reali. Per un attimo, un
breve raggio di sole ne illumina la sommità e il balcone.
“Altezza…”, lo sollecita con prudenza il consigliere.
Riprendendo l’attenzione, Phobos lo squadra. “Cosa vuoi?”.
“La vostra risposta, Altezza?”.
Il principe cerca di fare mente locale: di cosa stava
parlando questo ministrucolo? Ah, sì, i soldati… “No, consigliere.
Non possiamo lasciar partire quella legione. I militari servono qui in
città per garantire l’ordine”.
Vede un’ombra di perplessità e imbarazzo attraversare
il viso verdastro di Zarion, che si sforza di restare compito.
“Come volete, Altezza. Ma… posso sapere la vostra risposta
per il quartiere di Trasclovkir?”.
Phobos si acciglia: quando se ne è parlato? Senza
chiedere niente, legge i pensieri del consigliere. Ah, sì, questo
qui sta chiedendo acqua magica per marcare le falde che scendono in città
dall’altopiano, per farle poi individuare da un rabdomante.
“No, non se ne parla! Tutta l’acqua magica è impegnata
per scopi prioritari. Quel quartiere è umido da molti anni, perché
dovrebbe essere così urgente risanarlo proprio adesso?”. Si alza
e indica la torre nordest, ben visibile attraverso la finestratura dietro
il trono. “Avete dimenticato tutti gli sforzi che stiamo facendo per curare
la nostra Regina?”.
“Ma ne basterebbe…”.
“Non se ne parla, ho detto! Se non c’è altro…”.
Zarion annuisce, cercando di non manifestare la sua delusione.
“Come volete, Altezza”, poi fa un rapido inchino, gira sui tacchi e se
ne va a testa bassa.
Mentre l’omino esce, Phobos gli volta le spalle con disprezzo:
anche quando questi consiglieri annuiscono e si inchinano, il loro servilismo
non riesce a nascondere la stizza e la presunzione nel restare convinti
d’essere nel giusto.
I battenti non si sono ancora chiusi che un soldato entra
a passo veloce fino al centro della sala e saluta percuotendosi il petto.
“Altezza, porto un messaggio”.
Phobos lo guarda con un’occhiata gelida e penetrante.
Con chi crede di avere a che fare, con un sergente? Che mandino un messaggero
adeguato al mio rango, e non si sognino di entrare senza essere annunciati!
Sentendo questo pensiero sibilato, il soldato resta interdetto
un attimo, poi s’inchina ed esce senza più proferire parola.
Poco dopo, uno scampanio annuncia un nuovo visitatore.
Ad un cenno della mano di Phobos, i battenti si aprono
da soli e Alborn, il comandante della Guardia di Palazzo, entra con grandi
inchini.
“Scusate per prima, Altezza…”.
“Dunque?”, taglia breve il principe.
“Vi informo che è nata Sua Altezza la Principessa
Elyon”.
Phobos annuisce: lo aveva immaginato vedendo la torre
illuminata dal sole. Sono mesi che pensa a questo momento con apprensione.
“Quando?”.
“Un’ora fa”.
Già un’ora… “Tu l’hai già vista la bimba,
comandante?”.
“Sì, Altezza”.
Phobos si acciglia: un membro della famiglia reale nasce
nella torre accanto alla sua, e lui viene a saperlo solo dopo guardie e
servitori!
Congedato il comandante con un gesto, resta combattuto
per qualche minuto a osservare la torre nordest. Dietro quel balcone, sua
madre che non vede da mesi ha messo al mondo una bimba che dice essere
sua sorella. Proprio davanti al finestrone da cui lui sta guardando. Un
piano al disopra della sua camera da letto. Gli sembra che lui e
sua madre, separati da pochi metri di distanza, vivano in mondi diversi.
E’ arrivato il momento che ha aspettato con ansia da
mesi. Ora, da bravo figlio e bravo Principe, dovrà andare a incontrarla,
informarsi, congratularsi, perfino sembrare contento. Ma come lo accoglierà
lei? Si sarà addolcita? Avrà dimenticato la sua maledizione,
il suo risentimento? Tornerà a guardarlo con l’amore di una volta,
che ormai gli sembra più un sogno che un ricordo?
Si scuote. Basta sentimentalismi, c’è una cosa
importante sulla quale il suo diritto di sapere è stato troppo a
lungo ignorato: se questa bimba, che secondo sua madre dovrebbe diventare
la sua sposa, sia davvero figlia di suo padre Adleric.
Per la risposta, dovrà affidarsi a qualcosa che
non mente.
Meridian, anticamera della regina
“Pannolinoooo!”, chiama la voce di Galgheita dall’interno
della camera.
“Arrivo”, risponde Lidrienel, afferrandone uno dalla
pila di panni puliti e ben ripiegati che riempiono il divano in attesa
di trovare una sistemazione migliore.
Mentre si volta, però, scorge nella stanza un
luccichio sempre più forte, accompagnato da un suono inquietante
e bellissimo, quasi come un canto di sirene senza alcuna parola.
Fa in tempo a tirarsi in disparte, mentre la figura imponente
e ieratica del principe Phobos appare nella stanza.
Ignorando l’ancella inginocchiata, il principe si dipinge
un sorriso sul viso e varca la soglia della camera.
Al di là, Galgheita resta congelata a metà
del suo gesto di sventolare uno straccetto bagnato di pipì, e un
sollecito le muore in gola. “Principe Phobos!”.
Lui, imbarazzato, si tira indietro, cercando di mostrarsi
imperturbabile e non arrossire. “Prego, fate pure”. Avrebbe potuto perfino
arrivare in qualche momento ancora più imbarazzante…
Un minuto dopo rifà il suo ingresso, con tutta
la buona volontà di renderlo più solenne della prima volta.
“Madre, sono venuto a portare il benvenuto a mia sorella”.
Adariel gli rende un sorriso stanco dal letto, alzandosi
a fatica: “Grazie, figlio mio. Guarda la piccola Elyon, che meraviglia!”.
“E’ davvero bella”, risponde lui per farla contenta.
In verità i pochi neonati che ha visto, con la loro testolona sproporzionata,
le loro gambette rattrappite e i loro versetti fastidiosi, non gli hanno
mai destato emozioni positive. L’unica cosa che gli piace è la pelle
rosata e liscia. Ma quello che importa di più, per lui, è
che i neonati non gli fanno pensare alla vita, ma alla morte. Di quelli
che ha visto nei suoi cinquant’anni di vita, non uno ha raggiunto la fanciullezza,
se si escludono i due bastardini dello zio Findric.
La piccola sgrana tanto d’occhi verso di lui, poi gli
sorride.
Senza pensarci, anche il principe ricambia il sorriso:
sono molti mesi che negli occhi degli altri legge solo timore, o al più
sorrisi falsi, di circostanza.
“Gli piaci”, esala la mamma con un velo di soddisfazione
sul viso indebolito.
Phobos annuisce, a disagio. “Come sta?”.
“Finora bene”.
“E tu?”. Le nota, attorno al naso, qualche alone giallo
come il polline di konnestras.
Chiude gli occhi. “Sono distrutta. Phobos, mi resta davvero
poco da vivere”.
Lui sa che è vero, qualunque negazione sarebbe
solo una menzogna pietosa e inutile. “Sei riuscita nel tuo scopo”, preferisce
considerare.
“Non ancora. Se voi due riusciste a mettere al mondo
una nuova generazione di regnanti, potrei dirmi soddisfatta”.
“Sante parole, madre”.
Segue un attimo di silenzio, sottolineato solo dal ronzio
di qualche zanzara. Per un attimo, tutt’e due pensano angosciosamente a
qualcosa da dire per colmarlo.
E’ lei la prima: “Come va con il governo della città?”.
“Bene”, risponde lui, “Nessuna difficoltà: la
legge regna in tutta la capitale”. Fa un cenno verso la finestra. “Più
che altro si lamentano dell’umidità, ma la maga del tempo sei tu”.
Lei annuisce con una smorfia colpevole. “E fuori città?”.
“Oggi mi hanno chiesto di mandare soldati in alcune zone
di campagna. C’è brigantaggio”.
Adariel fa ancora una smorfia. “Trent’anni fa riuscivamo
a tenere un controllo molto migliore”.
“Trent’anni fa potevo permettermi di lasciare la città
per dargli la caccia, madre”.
Ancora un momento di silenzio, finché un borbottio
della bimba li interrompe.
“Beh, mamma, forse è meglio che ti lasci con la
piccola Elyon”.
Gli sorride. “Grazie di essere venuto, figlio mio”.
“Di niente. Se ti serve qualcosa, sai che ti puoi fidare
di me”, le dice uscendo dalla porta.
Appena in anticamera, fuori vista, Phobos solleva la mano
sinistra. Due zanzare, obbedienti, si posano sul suo dorso.
Meridian, torre nord, laboratorio di Phobos
Per arrivare al laboratorio all’ultimo piano della torre
nord, più piccola e isolata delle altre, a Phobos è bastata
solo l’intenzione.
Una volta materializzatosi qui, si volta verso una delle
finestre e guarda, dal basso, il balcone della camera della madre, dove
lui stesso era fino a un istante prima.
Solleva di nuovo la mano sinistra; le due zanzare, obbedendo
a un comando solo pensato, si levano in volo e vanno a posarsi su un piccolo
specchio circolare appoggiato a faccia in su sulla grande scrivania, illuminato
da una luce bianca radente che viene dalla sua stessa cornice.
Phobos si siede, e pone al centro del piano un grosso
volume dalla copertina bronzata con alcuni caratteri meridiani placcati
in oro antico. In questo luogo pochi libri sono normali, ma questo è
un po’ più speciale degli altri.
Aperta la chiusura con un solo tocco, lo sfoglia con
religiosa delicatezza, fermandosi a una pagina in cui un grosso riquadro
circolare è circondato da alcuni cerchietti e simboli arcani. Appoggia
quattro gemme sfavillanti sugli angoli del foglio, poi da un vasetto sparge
sul riquadro, con un morbido pennello, della sottilissima limatura di ferro.
La polvere scura si dispone rapidamente a formare un
disegno simile a coppie di irregolari bastoncini attaccati.
Ruota leggermente alcune delle gemme, poi torna a passare
il pennello a pieno sul riquadro. Il disegno muta, tracciando sempre contorni
di coppie di bastoncelli, commentate da minuscole didascalie collegate
con sottili linee di riferimento.
Dopo più e più tentativi, il disegno riappare
ancora mutato, mostrando finalmente due bastoncelli affiancati e uniti
al centro a formare una sagoma cruciforme.
Sono questi, pensa Phobos. I cromosomi X della bambina,
presenti in una goccia del suo sangue succhiato dalla zanzara. Su un lato
del disegno la polvere ha delineato delle ulteriori didascalie.
Phobos legge attentamente quelle parole criptiche, traducendole
con fatica nel linguaggio comune: a quanto pare, tutti e due i cromosomi
X sono tipici degli Escanor.
Dunque la piccola Elyon è proprio figlia di suo
padre Adleric.
Ora che ha avuto la risposta certa che ha agognato per
molti mesi, Phobos non sa se esserne sollevato o deluso. La piccola è
quasi certamente destinata a morire da sola in breve tempo, come tutte
le altre precedenti. Il destino ha scelto per lui, risparmiandogli la difficile
decisione se sposare una sorellastra bastarda ma vitale, proseguendo la
dinastia a prezzo del timore di essere spodestato dalle sue stesse figlie,
oppure darle una mano a seguire quelle che l’hanno preceduta.
Spera comunque che la piccola sopravvivrà per
un po’alla madre: lei ha già sofferto tanto e non merita di veder
morire, con quest’ultima figlia, tutte le sue speranze per il futuro.
Meridian, giardino di Phobos, la sera
La sera sta scendendo a liberare Phobos da un’altra giornata
silenziosamente amara, fatta di incontri forzati e ossequi fasulli.
Nel chiarore del giardino ormai tutto suo, si siede sul
pendio punteggiato da fiorellini gialli. Il loro profumo paradisiaco lo
avvolge a pieno. Si volta prono, aspirando a pieno quel profumo dalle corolle,
incurante delle macchie gialle di polline sulla veste e sul viso.
Mentre il sollievo floreale gli allevia l’amarezza, ora
sente che non ha più bisogno dell’approvazione di quella gentaglia.
Ora è il momento di portare a compimento la sua prima creazione,
mentre il sacro fuoco della magia gli scorre nuovamente nelle vene.
Si alza in piedi con un sorriso esaltato ed entra, senza
curarsi delle vesti, nella polla d’acqua che già si sta illuminando
di verde per lui. Si lascia immergere, e ora più che mai la luce
avvolge tutti i suoi pensieri, aprendo gli occhi della sua mente sulla
grandezza del futuro che costruirà.
Dopo un tempo che nessuno può quantificare, si
rimette in piedi ed esce deciso dalla polla, avvolto da un alone luminescente,
grondando luce liquida sul terreno dai suoi indumenti appesantiti. Davanti
a lui, ora, c’è una splendida pianta dal fiore bianco.
Sovrastandola, Phobos vi impone le mani sempre più
luminose.
Come altre volte, la pianta prende piano a trasformarsi.
Nuovamente le foglie si piegano in arti e gomiti, il gambo si allarga in
un torace affusolato, fattezze umane si disegnano sotto la corolla, ed
i petali si sfaldano in filamenti setosi.
Poi sembra che la trasformazione stenti a proseguire.
Phobos insiste, stringe i denti per lo sforzo, inizia
a ripetere parole arcane con rabbia, più volte, sempre più
forte, mentre la luminosità della sua aura vacilla e si colora di
toni mai visti.
Sotto il suo sguardo volitivo, questa volta i tratti
umanoidi riprendono a evolvere, finché la creatura viene finalmente
plasmata secondo la sua volontà.
Meridian, appartamento di Alborn e Miriadel, quella
sera
Il comandante Alborn si richiude alle spalle la porta
d’ingresso del suo piccolo appartamento nell’ala nord del palazzo.
Appesa al chiodo la grossa fascia dagli orli gialli che
gli stringeva la vita, viene poi il turno della giacca verdazzurra dalle
pesanti spalline che evidenziano il suo grado di colonnello.
Si siede su una poltrona, poi guarda il calendario meridiano
appeso alla parete, su cui spiccano delle annotazioni a matita contornate
di fiorellini. In quel posto dal nome impronunciabile sulla Terra, dove
la sua Miriadel passa quasi tutto il tempo, dovrebbe essere iniziato il
fine settimana. Lei dovrebbe essere di ritorno tra poco.
Speravano che, con i nuovi varchi, lei avrebbe potuto
tornare a casa ogni sera, ma non è stato proprio così.
La porta d’ingresso si apre, lasciando vedere una figura
coperta da un mantello lungo fino ai piedi. “Eccomi!”. E’ la sua voce.
Lui fa per venirle incontro. “Sono qui, cara. Finalmente!”.
“Un momento…”. Lei apre il lungo mantello e lo appende
stancamente a un gancio alla parete, rivelandosi vestita con una blusa
terrestre troppo aderente, e dei pantaloni di un ruvido e sbiaditissimo
tessuto blu.
“Abiti terrestri?”, chiede lui con una vaga smorfia di
disgusto, “Una volta tornavi a casa già vestita decentemente”.
Lei annuisce, poi, con tono piatto, risponde: “Una volta
avevamo l’energia per trasformarci ogni giorno con tutti gli abiti addosso,
ora non più”.
Lui continua a guardarli con diffidenza. “Non è
che portino microbi strani?”.
“A quintali”, risponde lei sfilandosi la blusa e appendendola
con un gesto stanco, poi è il turno dei pantaloni.
Alborn osserva con interesse ed emozione, sperando che
la moglie continui ciò che ha iniziato; ma lei lo delude, infilando
subito una vestaglia lunga fino ai piedi.
Lo guarda svogliata, leggendogli i pensieri. “Non ora,
caro. Ho mal di testa”.
Lui si immusonisce. “Dopo una settimana…”.
“Non è una scusa. Solo, lascia che mi riprenda”.
Gli si siede accanto su un’altra poltrona. “E’ che questo periodo mi uccide”.
“Tanto lavoro?”.
“Peggio. Quella terribile Guardiana di Kandracoso mi
tiene il fiato sul collo. Capita in negozio più volte al giorno”.
Appoggia la testa alla spalliera, perdendo lo sguardo verso il soffitto.
“Qualche volta entra dalla porta. Qualche altra volta si materializza in
negozio, con gran sorpresa dei clienti, tanto poi tocca a me far loro dimenticare
tutto. E chissà quante volte apparirà direttamente nello
scantinato senza neppure dirmi cucù!”. Si volta verso di lui sdegnata:
“Ma ti rendi conto? Si è accampata tutta una mattina in quel seminterrato,
portandosi perfino il lavoro all’uncinetto!”.
Lui ridacchia quasi divertito all’idea. “Ma cosa vuole?”.
“Vuole trovare il portale aperto. Se ci riesce, lo può
sigillare con il suo lampeggiante gingillo rosa, e noi non riusciamo più
riaprirlo finché non torna Cedric con il sigillo di Phobos”. Sbuffa
di disappunto. “E poi quel coso, ogni volta che Cedric lo usa, si mangia
tanta di quell'energia che poi a noi agenti ne resta pochissima per ritrasformarci
e tornare a casa senza essere guardati come alieni. E’ per questo che noi
due ci possiamo incontrare solo il fine settimana”.
Lui annuisce comprensivo. “Ma adesso avete aperto anche
altri passaggi oltre a quello in negozio, vero?”.
“Certo, ma la sai l’ultima trovata geniale di Cedric?
Avevamo notato che spesso la guardiana arriva poco dopo che un portale
è stato attivato, anche se non sappiamo come se ne accorga a distanza.
Lui ha cronometrato questi interventi, studiato le sue abitudini quotidiane,
fatto un po’ di statistiche, e poi mi ha dato una tabella di orari in cui
aprire il portale del negozio, l’unico che lei conosceva già, e
richiuderlo dopo tot secondi; intanto che la guardiana viene per tentare
di sigillarlo, altri agenti ne aprono un altro in altri luoghi, passano
e lo richiudono subito mentre lei è impegnata a stressare me”.
Lui annuisce compunto, cercando di nascondere che gli
viene da ridere. “E lei ci casca?”.
“Non sempre: ha colto in flagrante e sigillato anche
un altro portale, ma adesso scegliamo meglio i posti in cui aprirli. Un
palazzo con molti appartamenti è l’ideale: qualunque sia il mezzo
di localizzazione che usa, non è abbastanza preciso da scoprire
in quale appartamento si trovi il portale nel breve tempo in cui è
aperto. Poi, però, bisogna che non si facciano sorprendere mentre
escono sul pianerottolo, e lei può rendersi invisibile. Ma possiamo
farlo anche noi”.
Lui ci riflette, accigliandosi. “Però questo tuo
ruolo da esca mi sembra molto limitativo. Non sei una degli agenti migliori?
La prima a essere promossa capitano a ventisei anni? Perché non
chiedi qualcosa di più impegnativo?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Non siamo in tanti a poter
interpretare una commessa terrestre senza destare sospetti”. Resta un attimo
pensierosa, come incerta se continuare, poi si decide: “Sai, Alborn… abbiamo
perso ogni contatto con un agente in missione. Conoscevi Vatris?”.
Lui annuisce, impressionato: “Cosa è successo?”.
“So solo che si era teletrasportato alla ricerca di un
meridiano individuato da una delle nostre zanzare. Non abbiamo idea se
abbia dovuto lottare, se sia stato ucciso da un’automobile…”.
“Automobile?”, ripete lui allarmato, “Non sapevo che
ci fossero animali feroci nel posto dove lavori!”.
Lei sorride stancamente tra sè. “Non è
proprio così: sono macchine che corrono, e lì le strade ne
sono piene. Se uno si teletrasporta in un posto sconosciuto e riappare
al centro di una strada, le automobili lo stirano”.
“Lo… stirano?”, fa lui inorridito.
Vedendolo così turbato, Miriadel si sente in dovere
di rassicurarlo: “Per evitarlo, quando dobbiamo andare in un luogo lontano
per la prima volta, prima ci trasformiamo in uccelli, poi ci teletrasportiamo
a mezz’aria e osserviamo bene dove atterrare”. Gli strizza l’occhio. “E’
sicurissimo”.
Lui annuisce, un po’ tranquillizzato. “E di questo Vatris…
tu cosa preferiresti pensare?”.
Lei ci riflette un attimo. “Che sia vivo e stia bene,
anche se ciò volesse dire che ha disertato”.
“Insomma, non ti piace quello che state facendo, vero?”.
Lei si guarda attorno sospettosa, poi scuote il viso
adombrata. “E tu?”.
Lui intreccia le dita. “Vogliamo parlarci chiaro?”, dice
a bassa voce, “Il principe Phobos è sempre più arrogante
e lontano. Inquietudine e scontento si stanno diffondendo a ogni livello,
anche tra le guardie. Quando la Regina sarà morta, la situazione
potrebbe precipitare”. Raccoglie le idee. “Molti sperano che la neonata
principessa Elyon possa salvare la situazione, e girano voci insistenti
di una profezia. Ma cosa impedirà alla piccola di morire… in un
modo o nell’altro?”. Si guarda di nuovo attorno, come spaventato da ciò
che ha appena proferito.
Lei capisce subito quello sguardo. “Caro, attento a quello
che dici. Anzi, stai attento anche a quello che pensi. E’ probabile che
i servizi segreti stiano cercando di individuare gli elementi potenzialmente
ostili al principe Phobos nel palazzo. Dopo che la Luce si sarà
unita agli Dei, si potrebbe arrivare a una resa dei conti”. Guarda fuori
dalla finestra, angosciata. “Allora forse pregherò di essere lasciata
nella mia piccola tana sulla Terra, ma non escludo che potrei, invece,
essere tra gli incaricati di tutto questo”.
Per un lungo istante, un silenzio pesante cade sul piccolo
soggiorno.
Miriadel si riscuote, poi si alza per chiudere le tende
e va a sedersi sulle ginocchia del marito. “Hai ragione tu, caro: potremmo
avere davvero poco tempo”. Gli ammicca, abbandonando il capo sulla sua
spalla. “Sarà meglio impiegarlo nel modo migliore”.
In un angolo della stanza una presenza invisibile si prepara
a svanire, lasciandoli soli nella loro intimità.
La regina aveva ragione, pensa tra sé:
Miriadel e Alborn sono le persone adatte per il suo ultimo incarico.
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Capitolo 19 *** Fuga nel tempo ***
19-Fuga nel tempo
Ad personam:
Cara Melisanna, che piacere sentirti! Sei stata rapidissima! Le tue deduzioni
sono giuste, ci avviciniamo al momento conclusivo. Nella scala del tempo del
racconto mancano ancora alcune settimane.
Vero che è simpatica Yan Lin? E' uno dei miei personaggi preferiti,
anche se dal punto di vista dei meridiani è gradevole quanto Cerbero. Spero
proprio di leggere presto la conclusione del tuo Terra Magica.
Cara Atlantis Lux, grazie della bella recensione, sono felice di poter sempre contare
su di te. Anche a me Phobos fa un po' pena. Quel po' di sentimenti umani che
ancora può nutrire sparirà completamente dopo che avrà preso le ultime batoste.
Non per mio sadismo, naturalmente: questa storia deve spiegare l'involuzione di
questo personaggio nello spietato villain che ci è presentato dal fumetto anni
dopo questi eventi.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Qualche parola su questo capitolo, che è
ambientato un mese e mezzo dopo il precedente, e si sviluppa in un arco
di circa quarantott'ore. Sulla Terra, siamo a metà del dicembre
1984. Ormai mancano pochissimi giorni alla conclusione di La Luce al
tramonto.
Per quanto riguarda Eliasdal e Luduvik, invece, questa sarà la
loro ultima apparizione. Il nostro pittore verrà ritrovato
prigioniero nel suo stesso quadro, dopo un'attesa di quasi quattrocento
anni, in W.I.T.C.H. n.5, un bellissimo episodio del fumetto del quale
qui ho ricostruito gli antefatti.
Buona lettura
MaxT
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Capitolo 19
Fuga nel tempo
“Per
quei nove anni rubati alla punizione, la sua prigionia sarà molto più
lunga della vita di qualunque uomo”
Il Principe Phobos
Meridian, casa di Eliasdal
Nella casa deserta, attraverso le
finestre chiuse filtrano i rumori della giornata: il chiacchierio di
alcuni passanti, lo scalpiccio ritmato degli zoccoli di un asinello,
un rumore lontano di ruote cerchiate di ferro sul selciato
irregolare.
Nella cucina, un sottile strato di
polvere offusca la lucentezza del rame delle pentole. Negli angoli,
piccole ragnatele hanno cominciato a espandersi timidamente alla
conquista dell’ambiente.
Al centro della stanza, da un baluginio
prendono consistenza due sagome: quella elegante di Lord Cedric, e
quella massiccia di un gigante dalla pelle azzurrina.
“Eccoci, Vathek”, dice il primo,
guardandosi attorno. “Ci tenevo a dare un’altra occhiata all'abitazione di Eliasdal”.
Anche l’altro osserva il locale. “In
effetti, Signore, non è una brutta casa”. Passa la mano su
una mensola, e osserva gli aloni di polvere rimasti sui suoi
polpastrelli. “Però ormai si nota la mancanza di una donna”.
Cedric si dirige verso le scale. “Non
sono qui per controllare le pulizie. Vorrei ridare un’occhiata ad
alcune cose che avevo notato di sfuggita”.
Salito fino nella mansarda, Cedric si
guarda ancora attorno. Decine di quadri, finiti o incompiuti, sono
schierati lungo i muri, o sui cavalletti, o accostati come libri in
qualche angolo in un maldestro tentativo d'ordine. Il colore
rossiccio di alcune sculture di terracotta punteggia il locale. “Il
tipico studio di un artista”, sogghigna.
Vathek sale a sua volta, dopo essersi
accertato prudentemente che la scala di legno regga il suo peso. Lo
fa sempre per abitudine, dopo aver avuto altre brutte sorprese in
passato. Subito, il suo sguardo cade su due ritratti ancora sui
cavalletti, e poi su un busto di terracotta sostenuto da uno
sgabello. “Ma quello non è il Principe Phobos?”.
“Sì” conferma Cedric, “In
questa soffitta ho contato un busto e sette ritratti del Principe, né
autorizzati, e men che meno commissionati da lui”. Li confronta tra
loro. “Non sono molto somiglianti. Deve averlo ritratto a memoria.
Ma perché?”.
“Forse lo ammira?” suggerisce il
gigante.
“Non credo” risponde pensieroso
l’altro, “E non ha mai avuto confidenza, neanche una volta quando
il principe era molto più accessibile di ora”.
“E’ per questo che somigliano
poco”, aggiunge il gigante, poi s’illumina come per un colpo di
genio. “Forse per lui è una sfida: vuole riuscire a farne
almeno uno somigliante”.
Cedric lo squadra con sufficienza e
ironizza: “Non ti sapevo così psicologo, Vathek”.
Il gigante si acciglia, incerto se il
suo superiore l' abbia inteso come un complimento o come un insulto,
anche perché non sa cosa vuol dire esattamente quella parola.
Sforzandosi di non pensarci, si porta davanti a un bel quadro del
palazzo reale, lo osserva, poi si inchina per guardare fuori dalla
finestra verso il maestoso edificio che sovrasta la rupe. “Eppure
questo è perf…”.
“Attento!”.
L’avvertimento arriva troppo tardi:
nel chinarsi, l’omone ha urtato il busto di Phobos, che si
sbilancia e cade rumorosamente sul pavimento, frantumandosi in grossi
pezzi di coccio.
Alzandosi di colpo, cozza con la testa
su una capriata di legno. “Mer…”.
“Vathek, bestione!”, sbotta a mezza
voce Cedric. “Non so perché ti ho portato…”.
“Sono desolato… perdonatemi”,
borbotta tenendosi la testa quasi calva.
Guardando il disastro ai suoi piedi,
Cedric sbotta: “Ci vorrà altro che perdonarti… dobbiamo
giustificare questo danno!”. Guarda fuori dalla finestra, e un
sorriso astuto gli illumina il viso. Un grosso gatto leporino cammina
disinvolto, con ineccepibile equilibrio, sulla falda di un tetto
vicino. “Ecco il nostro colpevole” dice, e i suoi occhi brillano.
Il gatto si immobilizza un attimo, poi
cambia direzione come in trance e con pochi lenti passaggi da
equilibrista arriva fino alla finestra.
“Entra”, ordina Cedric all’animale
aprendogli i battenti, “E resta qui fino all’arrivo di
Eliasdal!”.
Il micione prende a vagare, lento e con
sguardo assente, nella mansarda.
“Whow! Geniale!”, esclama Vathek
ammirato.
“Bene”, si compiace lord Cedric,
“Ora dobbiamo cercare qualunque cosa sospetta”, dice, osservando
da vicino il retro dei ritratti del principe alla ricerca di scritte
arcane.
“Cosa cerchiamo, Signore?”, chiede
il gigante.
“Qualunque cosa sospetta, l'ho detto.
Lettere. Scritti. Formule magiche. Amuleti. Elementi di un’altra
macchina del tempo. In fondo, Eliasdal è fratello di un
condannato per spiritismo”.
Una luce di comprensione si accende
negli occhi dell’omone. “Voi… voi pensate che tutti questi
ritratti possano servire per gettare il malocchio sul Principe?”.
“Forse. O forse glieli ha
commissionati qualcuno per irriderlo. Come quelle orribili caricature
tracciate sui muri della città prima di quegli scontri di
piazza”.
“Criminali irrispettosi!”, sbotta
l’omone stringendo i pugni possenti con una smorfia indefinibile.
“Da quella volta, ogni ritratto non
autorizzato di Phobos è vietato”, continua Lord Cedric.
“Ma allora, ciò che abbiamo
già trovato non basterebbe ad arrestarlo? Poi lo faremmo
parlare come ben sappiamo…”.
Cedric si stringe nelle spalle. “Anche
il tentativo di fuga sarebbe bastato per incarcerarlo. Purtroppo
Eliasdal è un protetto della Regina. Per ora limitiamoci a
sorvegliarlo, ma una volta morta lei, che gli Dei l’abbiano in
gloria, il nostro pittore smetterà di essere trattato con
troppi riguardi”.
Mezz’ora dopo, il silenzio della casa
deserta viene rotto dallo scatto del chiavistello, seguito da un
cigolio, mentre il battente della porta si apre e la luce del sole
inonda l’interno.
Eliasdal entra e appoggia sul tavolo il
sacchetto di iuta che portava con sé. In poche mosse estrae
dai battenti della credenza un piatto ancora mezzo pieno di briciole,
un coltello e una bottiglia di succo di melopea, e prende da una
mensola un bicchiere di ceramica mal lavato.
Sedutosi a tavola, il pittore inizia il
suo pranzo frugale, quando la coda dell’occhio gli va in cima alla
scala: da lì, due occhi gialli e luminosi da gatto leporino lo
stanno fissando.
“E tu cosa fai qui?”.
Vistosi scoperto, il gatto scappa
colpevolmente verso i piani superiori.
Eliasdal sale le scale in tempo per
vedere la coda impellicciata sparire nella botola della soffitta.
Salita anche la seconda scala,
Eliasdal scorge subito i frammenti del busto di terracotta sul
pavimento. “Bestiaccia!”, dice fra sé. “Va beh che era
mal riuscita, quella scultura…”.
Va a controllare il dipinto del
palazzo, constatando con sollievo che è intatto. Anche gli
altri quadri non presentano alcun danneggiamento.
Nota una finestra semiaperta. ‘Strano…
sto diventando sempre più distratto’, ne conclude.
Si avvicina al gatto leporino,
mormorando “Micio, micione…” con voce suadente.
Ancora una volta, come incantato,
l’animale gli viene vicino, lasciandosi afferrare senza proteste
per la collottola. Lo riconosce: è Miev, il gattone della
signora Vertel. L’anziana sensitiva ha fatto mille favori alla sua
famiglia, per cui ora gli sembra doveroso renderglielo senza chiedere
alcun risarcimento.
Poco dopo, Eliasdal si avvicina alla
coloratissima casa della sua vicina. Il battente della porta è
completamente dipinto a fiori dai colori vivaci, ai quali ogni anno
viene aggiunto un nuovo mazzo o rametto. Da lui, naturalmente: questo
lavoretto non rende bene come eseguire ritratti su commissione, ma è
un ringraziamento adeguato per la gentilezza della sensitiva. Questa,
con la sua forte telepatia, si presta anche a trasmettere messaggi a
persone distanti e fornisce risposte in tempo reale ai suoi clienti e
amici privi di tale potere.
Il pittore non fa in tempo a bussare,
che già il battente fiorito si apre. “Entra, entra, Elias”,
dice la voce della signora da dentro.
La casa, linda e ordinata, è
ornata di piccoli quadretti di fiori e animaletti in ogni spazio
disponibile sulle pareti.
“Signora, le ho riportato il suo
micione. Era entrato in casa mia”.
“Perdonalo”, risponde lei gentile.
“E’ strano, non lo faceva da molto tempo. Eppure sono stata
sempre così chiara con lui… vero, Miev?”.
“Mieeev”, conferma il gatto
leporino.
“Vuoi restare a pranzo, Elias? Così
mi faccio perdonare un po’ per la tua scultura...”.
“No, grazie”, declina lui
accennando a voltarsi. “Ho già messo in tavola”.
Poco dopo il pittore sta finendo il suo
parco pranzo, pensieroso. Anche se quel busto di Phobos non era ben
riuscito, l’incidente gli è sembrato un presagio. Ma di
cosa?
Un bussare alla porta, sommesso ma
impaziente, lo distoglie dai suoi pensieri, e va ad aprire.
“Signora Vertel?” fa, sorpreso,
davanti alla donna visibilmente agitata.
“Posso entrare?”.
“Certo…”, dice scostandosi.
“Solo, scusi il disordine”.
Appena richiusa la porta, la signora lo
fronteggia. “Elias, ho avuto delle visioni accarezzando Miev. Lui
non è entrato da solo, ma è stato costretto dalla
volontà di quello stesso uomo che è comparso qui quando
è morta la povera Odridel”.
Il pittore sbarra gli occhi. “Vuol
dire… Lord Cedric?”.
“Zitto!”, intima lei coprendosi la
bocca con le mani, “Non pensare mai il nome di chi non vorresti
incontrare”. Dopo un attimo di silenzio confuso, riprende: “Era
qui questa mattina, in casa tua, assieme a un gigante dalla pelle
azzurrina. Quando il gatto è entrato, il busto era già
rotto a terra”.
Lui annuisce, senza riuscire a
proferire verbo.
Lei riprende: “Quel che è
peggio, Elias, è che hanno detto che, appena la regina sarà
morta, verranno a prenderti per farti pagare tutto assieme, il tuo
tentativo di fuga e i ritratti di Phobos. Non sapevi che ora sono
proibiti?”.
Lui storce il viso, stupito e confuso.
“Proibito… un ritratto? Da quando?”.
La signora non risponde, ma continua:
“Sento che la morte della Luce di Meridian è ormai questione
di giorni. Scappa, Elias. Scappa finché puoi. Ormai qui sei
segnato. E, ne sono certa, è segnato anche il tuo patrigno
Luduvik!”. Poi si guarda in giro, come se temesse di veder Cedric
materializzarsi dal nulla. “Io non ti ho detto niente. Io non sono
mai stata qui, oggi”. Si volta verso la porta. “Buona fortuna,
Elias. Addio”. Poi esce furtiva.
Lui guarda dalla finestra mentre la sua
vicina rientra rapidamente nella sua casa e sparisce alla vista.
Meridian, quella sera
L’ora del tramonto è passata,
e le vie della città si stanno lentamente spopolando,
illuminate solo dal chiarore di una delle due lune e da quella poca
luce che filtra dalle finestre delle case.
Luduvik, intabarrato in un pastrano che
nasconde la divisa, cammina con prudenza lungo la tortuosa vietta che
scende da piazzale Sottocastello fino a una casa che per molti anni
si era abituato a considerare sua.
Cercando di scacciare i rimpianti,
bussa alla porta.
Subito si apre uno spiraglio. “Entra,
presto”, ordina piano la voce grave di Eliasdal.
All’interno, chiusa la porta, Luduvik
abbassa il cappuccio. “Perché mi hai cercato con tanta
urgenza, Elias?”, chiede gelido. Dopo la morte di Odridel, i loro
rapporti si sono molto raffreddati: anche se l’ex sergente non l'ha
mai rimproverato apertamente, considera Eliasdal in qualche modo
responsabile della morte di sua moglie e della fine della sua
carriera.
Il pittore gli fa cenno di sedere al
tavolo, dove due bicchieri sembrano attenderli facendo compagnia a
una bottiglia di succo di melopea.
Appena seduti, Eliasdal inizia:
“Luduvik, ho saputo che intendono arrestaci non appena la Regina
sarà morta. E che questo succederà entro pochi
giorni”.
L’altro si acciglia, ma non sembra
sorpreso. “Da chi lo hai saputo?”.
“Non posso dirtelo”, taglia corto,
“Ma per me è meglio fuggire subito. Oggi o domani, se
possibile”.
Luduvik annuisce piano, con lo sguardo
perso in un angolo buio. “Hai già un piano?”, gli chiede
dopo un interminabile momento di silenzio.
“Sì. E mi servi tu”.
L’altro nicchia. “Sappi che non ho
più accesso ai sigilli di teletrasporto. Sono un soldato
semplice, ormai”.
“Non ai sigilli. Alla macchina del
tempo sequestrata”.
L’uomo si acciglia. “Vuoi dire, a
quel cavolo di trappola che ha ucciso Odridel?”.
“Sì, quella”.
Storce il viso. “Hai deciso di
suicidarti?”.
“Ho deciso di provare a vivere
libero. E ho un gran buon motivo per pensare che ci riuscirò”.
Sempre col viso deformato da una
smorfia di scetticismo, l’altro chiede: “E sarebbe?”.
“Non posso dirtelo, ma me l’ha dato
la Regina stessa”.
Luduvik si morde il labbro: se c’entra
una profezia della Luce di Meridian, è una cosa seria.
Eliasdal prosegue: “Voglio
trasferirmi sulla Terra in un’epoca remota, in cui non esisteva
Phobos, e se lo vorrai potrai venire con me”.
L’altro storce nuovamente il viso.
“La Terra… Ma ti pare che io possa passare per terrestre?”.
“Se puoi procurarmi dell’acqua
magica, ti aiuterò io a cambiare, e anche a vivere lì.
Io so già che ci riuscirò e avrò successo”.
Luduvik aspetta molto a rispondere, la
mano immobile sul bicchiere. Infine dice in fretta: “Domani notte”,
poi butta giù un gran sorso di bevanda, come per ingoiare una
pillola. “Domani notte avrò il turno di sorveglianza a quel
cavolo di torre Nord. Tu entrerai nel palazzo nel pomeriggio con
qualche scusa, e io ti nasconderò in uno stanzino. Di notte,
stordirò l’altra guardia, verrò a prenderti e
apriremo la porta di un magazzino al sesto piano della torre Nord. Lì
è tenuta quella macchina maledetta, assieme a tanti oggetti
sequestrati a maghi illegali. L’energia la potremo ottenere dalle
tubazioni che irrigano il giardino: di notte, molta dell’acqua
magica della città è deviata verso il paradiso in terra
del Sommo Stronzo”.
Eliasdal annuisce con interesse,
indifferente al linguaggio da caserma che non gli aveva mai sentito
usare finché era viva Odridel. “Questo si chiama parlare!”.
Meridian, palazzo reale, la notte
dopo
Le ore passano interminabili quando si
è chiusi a chiave in una stanza buia, e il senso del tempo
deve appigliarsi al proprio respiro lento o al rumore occasionale di
passi nel corridoio.
Dopo decine di falsi allarmi e false
speranze, l’ultimo scalpiccio è finalmente quello buono. Con
uno scatto della serratura, la porta si apre, e il primo raggio di
luce che ne entra sembra quasi un fioco lampo.
Il viso di Luduvik appare nella
fessura. Senza una parola, gli infila nella stanza degli indumenti e
un paio di stivali: una divisa da guardia. Eliasdal capisce che deve
indossarla, e lo fa più rapidamente che può, mentre
l’altro entra per aiutarlo con gli alamari e la fascia alla vita.
I pantaloni gli sono corti, ma gli stivaloni in cui infilarli
nascondono bene la cosa.
Come ultimo cambiamento, Luduvik gli
porge un vasetto di fondotinta verde, ma Eliasdal è in grado
di controllare da solo il colore della sua pelle.
Quando escono con circospezione dallo
sgabuzzino, l’ex sergente si incammina silenzioso verso la torre
Nord, e Eliasdal lo segue, sussultando a ogni svolta e a ogni rumore.
Di tanto in tanto, Luduvik si ferma a fare un gesto convenzionale a
qualche invisibile sistema di sorveglianza.
Dopo un itinerario contorto fatto di
frequenti deviazioni e cambiamenti di piano, i due arrivano
finalmente alla base della torre Nord senza aver incontrato alcuno.
Salgono le scale ricurve fino al sesto piano, dove Luduvik apre con
una chiave una robusta porta.
All’interno dello stanzone che si
avvolge attorno al vano scale come un anello, illuminati da una fioca
luce fluorescente verdolina, si rivelano scaffali stipati da ogni
genere di talismani, statuette, specchi deformanti, libri e altro,
ciascuno corredato di una schedina che, immagina Eliasdal, farà
riferimento alle circostanze del sequestro.
Appena fatti pochi passi, la vedono. La
macchina del tempo è lì, in ottime condizioni.
Dopo un rapido e silenzioso esame,
Eliasdal annuisce soddisfatto, e Luduvik raccoglie da uno scaffale un
barilotto e alcuni attrezzi da idraulico.
Accostata la porta, tornano a scendere
per le scale. Ora non solo i passi, ma anche i respiri risuonano nel
silenzio.
Arrivati a un corridoio sotterraneo
nell’ala nordovest, si accostano a una porticina metallica. Luduvik
fa alcuni gesti misteriosi davanti a un bassorilievo di una testa di
pipistrello, poi apre il locale con una chiave. All’interno, tubi
di piombo e valvole di bronzo si dipartono da un unico collettore.
Luduvik inizia a smontare da un tubo
uno strumento il cui quadrante mostra una intensa fosforescenza
verdina e, poco dopo, un fiotto di acqua dalla tenue luminosità
comincia a fluire nel barilotto.
Poco dopo, i due ritornano verso la
torre Nord con il prezioso e pesante bottino, dopo aver cercato di
cancellare tutte le tracce del loro passaggio. Di nuovo, passi
felpati e respiri risuonano nei locali fin troppo silenziosi.
Giunti faticosamente in cima alle
scale, entrano nuovamente nel magazzino. Finora tutto è andato
bene, sorprendentemente bene.
Eliasdal inizia rapidamente a disporre
gli specchi e a collegarli, mentre Luduvik accosta il barilotto al
conversore psicoenergetico, inserendo nel prezioso liquido il tubo di
pescaggio, e aspirando con la bocca da un tubicino per innescare il
sifone inverso.
Poco dopo, i due uomini si scambiano
silenziosi cenni di assenso: la macchina del tempo è pronta.
Eliasdal immerge brevemente i polsi
nell’acqua fosforescente, sentendosi ricaricare da una sensazione
di potere e successo imminente. Gli basta volerlo, e in un attimo il
colore della sua pelle muta nel tipico rosato dei terrestri. Poi
appoggia il palmo sulla fronte di Luduvik, che viene percorsa da
aloni e, più lentamente, anche il suo aspetto muta, diventando
credibilmente simile a quello di un tipico abitante dell’altro
mondo.
Con un ultimo, silenzioso cenno di
assenso, Eliasdal si porta al centro dei quattro specchi,
allineandoli con cura e facendo cenno a Luduvik di accostarsi a lui.
D’improvviso, voci lontane cominciano
a risuonare nel vano scale, attutite dalla porta accostata. Sono più
voci, sempre più agitate, sempre più vicine. Certo li
hanno scoperti, ma troppo tardi.
Eliasdal inizia a ripetere la sequenza
mentale, dapprima in modo lento, poi sempre più velocemente.
Le voci si avvicinano, si fanno
riconoscibili, Una, che tuona ordini, sembra quella del comandante
Alborn.
“Aspetta, vado a chiudere la porta a
chiave” dice Luduvik, muovendo due passi in direzione
dell’ingresso. Proprio in quel momento, gli specchi iniziano
scintillare, il rumore del conversore psicoenergetico aumenta, e dai
suoi interstizi il discreto luccichio dell’acqua si trasforma in un
lampo.
Quando riapre gli occhi, Eliasdal si
trova davanti a un incantevole paesaggio di una campagna verde e
piatta, disseminata di cascine sparse e di mulini a vento, che sembra
uscita dai quadri del suo bel libro patinato sui pittori olandesi.
“Luduvik, ce l’abbiamo fatta!”,
grida con gioia in meridiano. “Siamo sulla Terra. Siamo in Olanda,
nel loro anno 1620! Capisci? Ce l’abbiamo fatta!”. Si guarda
attorno. “Luduvik? Luduvik, dove sei?”.
Quando realizza di essere solo, la sua
gioia si vela di amarezza. Solo lui è libero. Il suo patrigno
non è riuscito, e pagherà le conseguenze per tutti e
due.
Meridian, giardino di Phobos, alcune
ore dopo
Lord Cedric si addentra da solo nel
giardino proibito, dopo aver lasciato le guardie e il fido Vathek
alla porta della torre est. Sotto il braccio porta un volume
illustrato: il reperto migliore delle loro indagini sulla fuga di
Eliasdal.
Con sua grande sorpresa, un umanoide
dall’aspetto alieno ed elegante gli viene incontro. Ha uno sguardo
immobile ma penetrante, più simile a quello di un gatto che di
un essere umano. Il disagio di Cedric è aumentato dalla nudità
che l’essere, dalla lucida pelle verde ammantata da lunghissimi
capelli marroni, porta con la più completa disinvoltura.
Com'è apparso, l’essere si
ritira con grazia verso il folto del giardino senza emettere un solo
fruscio, confondendosi con i colori delle piante come se lui stesso
facesse parte di quel luogo vietato.
Mentre Cedric lo segue con lo sguardo,
in un qualche luogo tra le sue orecchie risuona un pensiero
imperioso: ‘Vieni avanti fino alla polla, Cedric’.
Avanza in mezzo alla vegetazione,
guardandosi intorno. Dell’essere non vede più alcuna
traccia.
Arrivato al laghetto, non trova nessuno
ad aspettarlo. “Altezza…”.
“Alza gli occhi, Cedric”, risuona
la voce del principe. Phobos è in piedi, immobile, alla
sommità della rupe, vicino alla sorgente della cascatella.
“Altezza! Perdonatemi se vi ho
cercato in questo luogo privato. Posso chiedervi chi era quell’essere
che mi è venuto incontro?”.
“Era un mormorante” risponde
semplicemente Phobos dall’alto, come se questo spiegasse tutto.
“Che novità hai sul traditore Eliasdal?”, chiede con il
tono annoiato di chi non si aspetta svolte decisive.
Ma sbaglia.
Cedric cerca di mantenersi compunto e
irreprensibile, nascondendo sia il disagio creato da quel luogo, sia
l’eccitazione per la sua scoperta. “Altezza, abbiamo trovato un
reperto importantissimo che il traditore ha imprudentemente lasciato
a casa. Con questo, sappiamo dove e soprattutto quando cercarlo”.
Prende in mano il grosso libro illustrato, e glielo apre.
“Cos’è?”. A un gesto di
Phobos, il libro scompare dalle mani dell’altro per riapparire tra
le sue.
“Un libro terrestre? Come se l’è
procurato?”.
“Gliel’ha donato la Regina ai
funerali di Odridel”.
Phobos si scurisce in viso: che parte
ha sua madre in questa cosa? Poi mette a fuoco l’autoritratto in
testa alla pagina. “Ma questo… è lui!”.
“Esatto, Altezza. Con il nome di
Elias Van Dahl. Sono convinto che si è trasferito nella
Amsterdam del 1620 per impersonare questo pittore”.
Phobos annuisce, scorrendo il testo.
“Qui c’è scritto che le sue tracce si perdono nel 1629”.
“Appunto. Altezza, se ritenete che
valga l’alto costo energetico per il viaggio nel tempo, preparerò
con ogni cura una missione per catturarlo nel 1629 e portarlo a
Meridian”.
Il viso di Phobos resta impenetrabile.
Cedric insiste: “Altezza, se non
saremo noi a catturarlo nel 1629, potrebbe sparire in altri modi.
Magari potrebbe tornare a Meridian, a piede libero, secoli prima
della vostra stessa nascita, e…”.
Phobos lo interrompe con disappunto:
“Cedric, non è in discussione che voi dobbiate prendere quel
traditore a ogni costo. Ma mi fa rabbia dovergli regalare nove anni
d'impunità, sia pure brevi annetti terrestri”. Riflette un
attimo. “Prepara dunque la sua cattura per il 1629. Ma questo
significherà che la sua punizione sarà esemplare. Per
quei nove anni rubati, la sua prigionia sarà molto più
lunga della vita di qualunque uomo”.
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Capitolo 20 *** Lettera a Elyon ***
20-Lettera a Elyon
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie di avere commentato anche questo capitolo.
La disponibilità di una macchina del tempo avrebbe
consentito a Cedric arrestare Eliasdal perfino prima del suo arrivo
in Olanda. Perciò ci voleva una giustificazione per il tempo
che gli è stato concesso e la successiva lunghissima
punizione. Questa giustificazione è stata la storia di Van
Dahl narrata sul libro d'arte come già avvenuta, unita alla
credenza nell'unicità della linea temporale.
Cara Solitaire, grazie per la tua graditissima doppia recensione. A
me, in particolare, è piaciuto descrivere l'azione di Cedric e
Vathek nella casa di questo pericolosissimo intellettuale. Nel mio
racconto, Caleb è proprio il primo mormorante, quello nella
posizione migliore per poter fare un paragone tra prima e durante il
potere assoluto di Phobos.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Qualche parola su questo capitolo, che è
ambientato uno o due giorni dopo il precedente. La parte iniziale
è un nodo fondamentale nella trama: Miriadel e Alborn vengono
incaricati di portare Elyon in salvo sulla Terra. Dopo questo capitolo,
le cose si evolveranno a ritmo sempre più serrato.
Invece la parte da cui il capitolo prende il nome, la fondamentale e malinconica lettera postuma che Adariel sta
preparando per Elyon, è stata in realtà una delle
primissime cose che ho scritto di Profezie, circa cinque anni fa. Rispetto
alla bozza originale sono cambiate moltissime cose, ma tutte le
mie storie su Meridian sono partite da queste due paginette. Non
l'ho mai pubblicata in quella fiction, ma vi ho fatto accennare Caleb
nel cap.4, quando raccontava alle WITCH di una lettera postuma di
Adariel che aveva a lungo turbato la sua giovane regina. Beh, eccola
qui, quella lettera famosa. Per una povera ragazzina, i motivi per essere sconvolta ci sono tutti.
Buona lettura
MaxT
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Capitolo 20
Lettera a Elyon
Meridian,
camera della regina
Cara
Elyon, figlia mia,
sono
la tua mamma Adariel, sesta Luce di Meridian.
Ho
affidato alla fedele Galgheita l’incarico di consegnarti questo mio
messaggio alla data del tuo dodicesimo compleanno di Meridian; so
che, abituata allo
|
Al primo pianto di Elyon, Adariel
ripone sullo scrittoio da letto la lettera appena iniziata e le
sorride. “Buon risveglio, piccola Luce mia”.
Lidrienel entra in camera, con gli
occhi resi piccolissimi dal sonno e un biberon in mano. “Buongiorno
Altezza” dice come un automa, andando a sedersi accanto alla culla
e porgendo alla piccola la sua pappa, che lei prende a succhiare
avidamente. L'odore dolce e umido del latte aleggia accanto al grande
letto ornato di modanature ritorte e dorate dai motivi barocchi.
L’ancella resta a sostenere il
biberon con la testa a ciondoloni, poi pian piano il suo sguardo
torpido si focalizza sullo scrittoio ancora sul grembo della regina.
Osserva la cartellina di pelle e il calamaio ancora aperto, con la
penna d’oca pericolosamente in bilico. “Scrivete di notte,
Altezza?”.
Adariel annuisce stancamente mentre
infila alcuni fogli ripiegati, vergati con una scrittura ormai un po’
tremula, in una busta intestata in caratteri dorati. “Sì,
Lidri. Ora o mai più”.
L’altra resta a lungo in silenzio,
mentre il latte va giù lentamente nel biberon. Per un attimo,
le si intravede un vago luccichio sotto le iridi. “Allora... è
per oggi?”.
“Forse”, sospira richiudendo il
calamaio.
Meridian,
appartamento di Alborn e Miriadel
Alborn, già in piedi nella
penombra, guarda sua moglie che dorme ancora, con i capelli raccolti
in treccine sparse sul cuscino. Un debole raggio di luce che filtra
dalle tende dipinge su di essi un riflesso verde metallico.
Lui si abbottona i lucidi bottoni della
casacca: spera che oggi la sua Miriadel possa avere la giornata
libera, visto che il negozio di Heatherfield è chiuso per il
fine settimana terrestre, ma lui, comandante della guardia di
palazzo, deve essere pronto e disponibile in ogni orario.
Ha appena finito di pensarlo, che un
tenue bussare all’uscio risuona nel silenzio della prima mattina.
Va nel soggiorno, abbottonandosi i
polsini. “Chi è?”, chiede sottovoce.
Per tutta risposta, qualcuno torna a
bussare.
Lui apre subito… ma non c’è
nessuno! Esce per guardarsi attorno: è uno scherzo?
Rientra scuotendo il viso con
disappunto. Queste spiritosaggini di mattina presto… ma come
hanno…
“Ah!”, trasale. Davanti a lui, nel
soggiorno, c’è l’inconfondibile sagoma di Maestra
Galgheita.
“Mi scusi, Comandante” inizia lei a
bassa voce, “Ma ho voluto essere sicura che foste soli”.
“Sicura che fossimo soli...” ripete
lui, cercando di dare un senso a quella situazione.
Dalla porta della camera, Miriadel si
sporge stringendosi in una vestaglia. “Caro, chi… Galgheita! E’
successo qualcosa?”.
“Non ancora. Ma la Regina vi vuole
parlare con urgenza”.
Meridian,
camera della regina
Pochi minuti dopo, i due vengono
introdotti alla presenza della regina, che salutano battendosi il
petto.
Lei ricambia con un sorriso grave.
“Comandante Alborn… capitano Miriadel… grazie per essere
venuti, e scusate per l’ora”.
“Dovere”, rispondono all’unisono.
“Sedetevi, prego”. Fa un cenno
verso delle sedie a lato del lettone, sul lato opposto alla culla di
Elyon. Galgheita è lì, già seduta. “Lidri,
vuoi portare del tè caldo ai nostri ospiti?”.
“Subito”, risponde l’ancella
sorridendo. Esce e rientra quasi immediatamente con tre boccali
fumanti, e consegna le bevande con un largo sorriso. “Detto fatto!”
Appena ha finito, la regina le dice:
“Grazie, Lidri. Ora, per piacere, puoi uscire e chiudere bene la
porta?”.
“Ma…”. L’ancella resta
interdetta: per lei, è insolito e deludente che la regina non
abbia piena fiducia.
“Ti prego!”, insiste Sua Altezza
dal letto.
“Come volete”. L’ancella esce
dalla camera, sorpresa e un po’ risentita, chiudendosi la porta
alle spalle.
La regina aspetta qualche attimo prima
di parlare, poi, a bassa voce, chiama: “Lidri?”.
Immediatamente la porta si apre, e lei
rientra con un largo sorriso premuroso. “Sì, Altezza?”.
“Per piacere, smetti di origliare”.
“Er… come volete, Altezza”. Si
ritira imbarazzata e di malumore.
Richiusa la porta, la Regina, sdraiata
sul letto, cerca le parole per iniziare.
Il comandante Alborn la precede:
“Altezza, mi avete chiamato per parlare dell’arresto di
Luduvik?”.
Lei lo guarda stupita. “Luduvik è
stato arrestato? Perché?”.
“Ha tentato di fuggire con la
macchina del tempo, dopo avere stordito un suo commilitone e rubato
una dozzina di litri di acqua magica. Eliasdal è riuscito a
svanire, ma lui no”.
La regina riflette un attimo,
impressionata, poi scuote il viso. “Non potrei più fare
niente per lui, neanche volendolo. Se tutto andrà bene, io
domani sarò già morta”.
“Sarà morta?” “Andrà
bene?” domandano i due, doppiamente stupiti.
Lei annuisce grave. “Comandante
Alborn, capitano Miriadel, vi ho fatto chiamare per affidarvi una
missione della massima importanza, che svolgerete assieme a Maestra
Galgheita”. Le dedica uno sguardo grato. “Lei ha la mia più
completa fiducia. Di recente vi ha osservati, e mi ha confermato che
siete le persone giuste”.
“E’ un onore, Altezza”, risponde
compito il comandante.
Miriadel annuisce, a disagio: il non
accorgersi di essere stata spiata ha scosso la sua sicurezza di
agente segreto d’elite.
Adariel riprende: “Voi avete già
capito che Meridian sta velocemente sprofondando nella tirannia,
vero?”.
I due annuiscono.
Galgheita resta impassibile: nulla di
quanto la regina sta per dire sarà una sorpresa, per lei.
Adariel continua: “Avevo avuto i
primi presagi quasi quattro anni fa”. Scandisce: “Phobos
usurperà il trono di Luce. Diventerà un tiranno crudele
e odiatissimo. Cercherà di uccidere sua sorella, e morirà
solo e braccato”. Osserva i loro visi impressionati. “A
queste parole se ne sono aggiunte altre. La sua tirannia durerà
undici anni, dopodiché Elyon sarà incoronata come
Settima Luce di Meridian. Dopo un ulteriore anno, Phobos morirà
suicida”.
Miriadel chiede timidamente: “Altezza,
se sapevate questo da tanto tempo, perché non avete fatto
qualcosa per impedirlo?”.
Lei la ricambia con uno sguardo
meravigliato, e spiega, come cosa ovvia: “Quello che il Dio del
Fato rivela alla sua eletta – indica sé stessa - è
ineluttabile come l’inverno. Voi fareste qualcosa per fermare
l’inverno?”.
Miriadel, un po’ vergognosa, accenna
un no con il capo.
Lei riprende: “E’ più saggio
seminare per la primavera, no?”. Indica Elyon. “Lei è la
mia semina per la primavera, la mia freccia lanciata verso il futuro.
Lei è la predestinata a riportare la Luce nel nostro mondo”.
Li guarda, studiandone le reazioni.
Miriadel abbozza una domanda. “E
noi…”.
“Il futuro ha bisogno di qualcuno che
lo realizzi. Sarete voi. Voi tre partirete con Elyon per la Terra,
tenendola al sicuro da Phobos. Vi confonderete con i terrestri,
facendo perdere le vostre tracce. E infine la riporterete nella sua
patria tra undici anni, quando avrà già cominciato a
sviluppare i suoi poteri”.
I due coniugi si scambiano un’occhiata,
poi guardano il faccione di Galgheita, dolce ma scarsamente umano
anche per gli elastici criteri di Meridian.
Miriadel si morde un labbro, e chiede:
“Altezza, quando dovremo fare tutto ciò?”.
“Se possibile questa notte”. Tace
un attimo, cercando di indovinare i loro pensieri non espressi. “Mi
dispiace, ciò che vi sto prospettando è di lasciare il
vostro mondo, i vostri amici e famigliari. Non tentate neppure di
salutarli: se sapessero cosa state per fare e non vi denunciassero,
nessuno potrebbe salvarli dalla vendetta di Phobos”. Un altro breve
silenzio, un’occhiata stanca ma penetrante. “Non vi posso
obbligare, non avrebbe senso. Tuttavia so per certo che non mi
deluderete”.
“Come fate ad esserne così
sicura?”, chiede Miriadel.
“Perché la profezia si
realizzerà di certo, e io non ho più tempo né
modo di cercare altri volontari. In conclusione, i genitori adottivi
della mia piccola non potete essere che voi”.
“Ai vostri comandi, Altezza. La
nostra obbedienza è fuori questione”, risponde deciso
Alborn, pur non avendo capito del tutto questo ragionamento.
Anche Miriadel annuisce. “E’
paradossale… passerò da cacciatrice a preda. Beh, almeno so
cosa aspettarmi dai metodi dei miei ex compagni”.
“Ottima cosa” interviene Galgheita
con voce pacata, “Anch'io ho bisogno di farmi un’idea chiara di
queste minacce, oltreché degli usi dell’altro mondo.
Altezza, sono pronta per sostenere gli scambi di memorie”.
“Lo faremo questa notte” risponde
la regina. “Io e Miriadel conosciamo la lingua e gli usi della
Terra. Il comandante Alborn conosce il palazzo e i sistemi di
sorveglianza”.
“Perché non subito?” chiede
lui.
La regina lascia un attimo in sospeso
il discorso; coccola per un attimo la piccola Elyon ancora
addormentata, carezzandole il visino con un dito, poi risponde cupa:
“Perché questo sarà un grosso sforzo per me. Sarà
meglio rimandarlo a quando sarà pronto tutto il resto”.
Alborn annuisce. “Avete un piano,
Altezza?”.
“Solo in parte. Per il resto, conto
sull’esperienza e l’inventiva della nostra migliore agente”
risponde sorridendo a Miriadel.
“Grazie, Altezza” s'inchina questa,
poi riflette brevemente: “Dunque, per muoversi bene sulla Terra
bisognerà assumere un aspetto terrestre. Io lo posso fare da
sola… ma mi servirà un po’ di energia”.
“Ti aiuterò io” risponde
Galgheita, “E aiuterò anche Alborn. Ho un discreto potere, e
un po’ di riserve di energia messe in disparte”. Fa vedere una
fiaschetta dalla forma curvilinea e di un insolito colore rosa, che
Miriadel riconosce come un flacone terrestre di shampoo. “Qui
dentro ho concentrato il potere di sei litri d'acqua magica”.
Miriadel annuisce, riprendendo
l’espressione assorta. “Dovremo trasformarci solo dopo arrivati
sulla terra, così non rischiamo che il nuovo aspetto venga
visto da qualche sensore installato nei sotterranei”.
“Potremmo renderci invisibili”
suggerisce Galgheita, “Altrimenti nessun travestimento farà
passare inosservata la bambina”.
“La bambina, giusto” riprende
Miriadel, “Però molti di quei sensori non si lasciano
ingannare dall’invisibilità ipnotica. Ma forse potremo
evitarli, se riuscirò a trovare qualche informazione sulla
loro posizione andando in ufficio”.
“In bocca a Cedric?” si preoccupa
Alborn, “Non sarebbe meglio stargli lontani?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Dovrò
andarci comunque per prelevare denaro e documenti in bianco”.
Lui lascia trasparire una smorfia
preoccupata prima di annuire rassegnato. “Passeremo qui per
prendere la bambina e fare lo scambio di memorie, e poi scapperemo.
Io sarò in divisa per non destare sospetti”, guarda le
donne, “Voi due potrete mettervi un mantello nero, come quelli che
usano gli agenti per muoversi quando hanno già assunto
l’aspetto terrestre. Hanno sempre il viso nascosto”.
Tutti gli occhi si posano sulla grossa
coda verde e marroncina di Galgheita. “Questa qui non la
nasconderemo così facilmente” constata, “Dovrò
assumere l’aspetto terrestre fin da prima”.
Miriadel si morde il labbro,
preoccupata. “C’è un’incognita: la Guardiana di
Kandrakar sigilla i passaggi quando riesce a trovarli aperti. Ora,
non credo che saremo così sfortunati da arrivare e trovare
sigillato un portale che due giorni fa era aperto, ma potrebbe anche
succedere”.
“Ma ce ne sono tanti, vero?” chiede
lui.
“Però partono da punti diversi
nel sotterraneo”.
“Perché? Non è
scomodo?”
“Sì, ma Cedric ha voluto così
per evitare che, se quella Yan Cin o come si chiama dovesse trovarne
uno aperto e sporgersi dentro, vedesse anche gli altri e potesse
sigillarli tutti assieme”.
“Yan Lin” puntualizza la Regina.
“Non provocatela, non potete escludere di aver bisogno della sua
benevolenza”.
Miriadel accoglie l’idea con una
smorfia di antipatia. “Ma l’Oracolo non vi aveva detto che non
voleva assolutamente la principessa Elyon sulla Terra?”.
A questo pensiero, la Luce di Meridian
si adombra brevemente, poi riprende: “Dovrete avere con voi il
sigillo di Phobos. Vi faciliterà la fuga e, in futuro, anche
il ritorno. Inoltre ostacolerà la ricerca agli altri,
soprattutto se la Guardiana dovesse venire a sapere, da una…”
cerca le parole, “… da una soffiata anonima, dove sono tutti gli
altri portali e come si aprono”.
“Già” fa Miriadel, “Senza
la magia di quell’oggetto non riuscirebbero ad aprirne altri. Ma
non sarà facile procurarcelo”.
“Invece sì!” sorride la
Regina. “Quel sigillo è stato fatto sfruttando una copia del
Cuore di Kandrakar che io stessa ho dato a Phobos. Ma è stato
un dono interessato: ho gettato un incantesimo su quell’oggetto.
Quando lo chiamerò, stanotte, il cosiddetto Sigillo di Phobos
verrà a me”.
Galgheita commenta a mezza voce: “Spero
che il principe Phobos non abbia fatto lo stesso”.
Per un attimo, un silenzio preoccupato
cala nella stanza, interrotto solo dai versetti di Elyon che si sta
svegliando.
“Dormi, Luce mia”. La Regina si
allunga verso di lei e le passa le dita sugli occhi, e la bimba si
riaddormenta beata.
Le sorride intenerita, poi rivolge un
secondo sorriso rassicurante agli altri. “Partiamo dal presupposto
che il Dio del Fato mi ha già rivelato che Elyon vivrà
sulla Terra; ebbene, non ci arriverà certo con i propri piedi.
Statele vicini, e con lei arriverete in salvo anche voi”.
Galgheita annuisce imperturbabile.
“Appena messo piede sulla Terra, ci teletrasporteremo in un posto
lontano e irrintracciabile”.
Alborn si muove inquieto sulla sedia.
“Ma… le automobili?”.
“Automobili… Cosa sono?” chiede la
guaritrice, notando l’insolita paura del comandante. “Delle bestie
feroci?”.
“Sono delle cose che corrono sulle
strade e stirano la gente” risponde apprensivo lui.
“Stirano?” si meraviglia Galgheita.
La regina li tranquillizza: “Nei miei ricordi troverete risposta a tante domande. Compreso il mio
ricordo di molti posti dove teletrasportarsi senza dover temere il
traffico”.
“Traffico…” ripete Alborn senza
capire.
La regina torna a dare una lunga
occhiata affettuosa alla piccola, poi continua: “Sulla Terra gli
anni durano solo dodici mesi, non diciotto. Elyon crescerà più
lentamente delle bambine terrestri, e dovrete inventare qualche
trucco perché non si noti troppo. Cambiare città ogni
qualche anno, cambiare la data di nascita sui documenti, farle
ripetere qualche anno a scuola”. Scocca un’altra lunga occhiata
affettuosa alla bimba. “Il prossimo appuntamento di Elyon con il
destino di Meridian avverrà, secondo il calendario terrestre,
alla fine del millennio, appena dopo il suo compleanno. Quindi, poco
dopo il 31 ottobre del loro anno 2000. Non so esattamente cosa
succederà, ma tenetevi pronti: nel volgere di tre mesi lei
sarà finalmente incoronata Settima Luce di Meridian”.
In risposta a questa frase, o forse
all’emozione con cui è stata pronunciata, la piccola Elyon
si sveglia, muove le labbra mimando una poppata, poi apre gli
occhioni grigi sul sorriso estasiato della sua mamma.
“Tesoro mio…” gorgheggia questa,
commossa.
In risposta, la bimba comincia un
frignottìo di appetito, che in pochi secondi cresce fino ad un
disperato strillo di fame.
Il bussare alla porta di Lidrienel
fatica a farsi sentire tra quegli urli a pieni polmoni. “Altezza,
devo portare il latte?”, grida da oltre il battente. Senza
attendere risposta, entra con il biberon tiepido in mano. “Avevate
risposto di sì, vero?”.
La regina deve far buon viso, mentre
l’ancella solerte pone fine alle proteste della bimba, prendendola
tra le sue braccia per nutrirla.
“Alborn, Miriadel, per ora vi saluto.
Grazie di essere venuti”.
Mentre si alzano con le rituali formule di saluto,
la regina trasmette loro un pensiero: ‘Sarà per questa
notte. Venite qui all’una, senza salutare nessuno, e portate con
voi tutto ciò che vi servirà nell’altro mondo’.
Dopo un po’ di cibo e coccole, la
piccola torna ad acquietarsi; Lidrienel sorride soddisfatta nel
riporla nella sua culla, poi, dopo un cenno di consenso della regina,
torna al suo romanzetto rosa.
Adariel resta a lungo ad osservare,
commossa, quei lineamenti minuti e sereni della bimba, del tutto
inconsapevole di ciò che sta per coinvolgerla, fulcro
inconsapevole del conflitto sul futuro di un intero mondo.
Poi, distogliendo lo sguardo con
rammarico, riapre la busta e il calamaio, e riprende la lettera da
dove l’ha interrotta.
Cara
Elyon, figlia mia,
sono
la tua mamma Adariel, sesta Luce di Meridian.
Ho
affidato alla fedele Galgheita l’incarico di consegnarti questo mio
messaggio alla data del tuo dodicesimo compleanno di Meridian; so
che, abituata allo scorrere del tempo sulla Terra, tu ti attribuirai
un’età differente.
So
fin da ora che, quando leggerai questa, avrai già riportato la
giustizia e la speranza nel nostro mondo. Qualche volta, la
precognizione è un dono dolce.
Altre
volte, invece, è amaro come il veleno: so anche che Phobos
sarà già morto suicida, odiato e braccato. Tuo
fratello. Mio figlio.
L'ho
ingannato per mesi, eppure non ho mai smesso di amarlo, né di
pensare a quello che lui avrebbe potuto diventare se il Dio del Fato
non avesse fatto le sue scelte diverse e crudeli fin dall’inizio
dei tempi.
Avrei
così tante cose da raccontarti, ma il mio tempo ormai è
agli sgoccioli.
Da
dove posso cominciare? Da lontano. Dall'ideale che ha mosso tutta la
nostra dinastia, al quale spero che anche tu vorrai dedicare la tua
esistenza.
Abituata
a vivere tra l'omogenea popolazione della Terra, ti sarai
meravigliata scoprendo quanto sia varia, per fattezze e colori, la
gente di questo nostro mondo. Forse all’inizio ti avranno fatto
orrore o paura. Sarebbe comprensibile, ma sbagliato. Per quanto vario
sia l’aspetto, la gente si assomiglia nel cuore: gli stessi
bisogni, gli stessi sentimenti, la stessa carne sono ricombinati in
infiniti modi, tutti diversi e tutti simili.
Dovrai
ricordare sempre che la gente di questo mondo è un unico
popolo. Non dovrai permettere che odio e divisione si insinuino tra
di loro. Che inizino a chiamarsi con nomi diversi a seconda delle
fattezze del viso, del corpo, del colore della pelle o della lingua
che parlano. Che si dividano il territorio a seconda del loro
aspetto. La divisione in diversi popoli aprirebbe la strada, nel
breve giro di centinaia d'anni, alla divisione prima in razze, poi in
specie.
Qualunque
biologo ti confermerà che due specie diverse non possono
convivere nella stessa nicchia ecologica: una delle due dovrebbe
sparire. Che questo succeda nel sangue e nel fuoco di una guerra, o tra
i reticolati di un campo di concentramento o nella lenta inedia di un
insuccesso nel procurarsi le risorse vitali, il risultato sarebbe lo
stesso.
La
divisione apre la strada all’odio, l’odio alla guerra, e la
guerra allo sterminio.
Il
compito millenario della nostra dinastia è impedire al nostro
popolo d'incamminarsi verso questo baratro. Solo noi abbiamo il
potere per farlo senza ricorrere, a nostra volta, alla guerra e al
terrore.
Mentre
ti scrivo, tutto questo è in pericolo. Me ne sento
responsabile: forse se molti anni fa
avessi osato fare ulteriori tentativi di mettere al
mondo un’erede, alla fine avrei avuto successo, e Phobos non
sarebbe cresciuto per decenni nell’illusione di diventare Re di
Meridian.
Sarebbe
stato il primo e l’ultimo: come la Corona di Luce, così
anche i poteri magici innati che ci hanno permesso di tenere unito
questo mondo sono trasmissibili solo per via matrilineare.
Per
qualche anno mi ero colpevolmente rassegnata a questo, ma poi la
profezia del Dio del Fato mi ha riscosso.
Eppure,
perfino la tirannia non sarebbe stata il peggiore dei mali. La fine
della nostra dinastia, dopo di lui, sarebbe stata la
soglia dell'abisso: la fine dell'unità del
nostro mondo.
|
Adariel
rilegge quanto ha scritto: sono tutte cose d'importanza fondamentale.
Però la sua piccola, tra dodici anni, si aspetterà senz'altro di
leggere qualcosa di più personale di un testamento
politico, sia pur di una missione millenaria . Intinge nuovamente la penna nel calamaio, e prosegue.
So
che farai molte domande su di me.
Ti
avranno già detto che ho vissuto trecento anni. Come
li ho vissuti?
Ogni
volta che una di noi nasce e percorre il sentiero naturale della sua
fanciullezza, vede la regina sua madre e gli altri famigliari
conservare per tutta la vita l’aspetto che avevano nel fiore degli
anni, e vivere assai più a lungo dei comuni mortali.
Ciò
è il risultato di una serie di interventi volontari su sé
stessi, operati con potenti magie.
Questo
metodo, però, ha dei limiti: in qualche parte delle cellule,
ancora per me misteriosa, la loro età è scritta in modo
indelebile.
Di
recente, per superare questi limiti, ho cercato di ampliare gli
orizzonti delle mie conoscenze rivolgendomi alla scienza terrestre.
Già oggi, nell'anno terrestre 1984, ho trovato delineata una
strada promettente nelle ricerche sui mitocondri, i telomeri dei
cromosomi e altre strutture correlate con l'invecchiamento, e forse
anche con l'ereditarietà dei poteri psichici.
Purtroppo,
però, questo sentiero non è ancora andato abbastanza
avanti da portarmi dove avrei voluto, e non ho potuto spingermi negli
anni molto più avanti delle nostre antenate.
Quando
una regina combatte la sua battaglia contro la vecchiaia, l’usura
del tempo si ripresenta nel volgere dapprima di anni, poi di mesi, di
giorni, infine di poche ore.
Alla
fine lei diventa incapace di rigenerarsi con la sola volontà,
e deve dipendere da una potente guaritrice; in queste condizioni, non
ha più abbastanza energia da dedicare al suo mondo, e vive i
suoi ultimi mesi solo come simbolo, come promessa di una nuova Luce
che brillerà al suo posto.
Quando
è esausta, decide di cessare questa lotta.
Ho
conosciuto tante persone, nella mia lunga vita; li ho visti
invecchiare e sparire in modo che all’inizio mi sembrava
lentissimo, poi sempre più rapido mano a mano che allungavo la
mia esistenza rispetto a quella di un normale essere umano. Eppure
non ho mai perso la capacità di affezionarmi e anche di
soffrire per loro, e di questo rendo grazie agli Dèi.
All'inizio,
avere il potere di prolungare la mia vita, vedendo quella degli altri
scivolare via, mi sembrava una condanna. Nello stesso modo, avrei
avuto il potere di prolungare anche vita e giovinezza di qualcun
altro; ma con che animo avrei potuto decidere di fare ciò per
alcuni, e non per altri?
Ero
turbata, confusa. Così
decisi ingenuamente che non lo avrei fatto per nessuno, neanche per
me stessa.
Confidai
il mio proposito a mia madre mentre, già sul letto di morte,
raccoglieva le sue poche forze per mettermi in mano la sua Corona di
Luce.
Lei
mi sorrise, mi accarezzò, e mi disse che ‘mai’ è un
tempo troppo lungo per una promessa. Quel giorno stesso si unì
agli Dei.
La
mia risoluzione, infatti, svanì pochi anni dopo, con le prime
rughe.
Che
male c’è ad appianare una ruga, mi dissi? E così, di
grinza in grinza, di acciacco in acciacco, col passare dei decenni mi
resi conto che non avrei più potuto fare a meno di questi
interventi senza che il mio metabolismo ormai squilibrato mi
restituisse, tutte assieme, le sofferenze che avevo evitato.
Ora
io sembro ancora giovane, ma sono una ragazza vecchissima che sente
la nera signora alitarle sul collo. Non passa giorno senza che debba
chiedere a Galgheita di usare la sua magia per rubare ancora un po’
di vita alla mia morte.
A
trecento anni, lasciarmi andare rifiutando altre rigenerazioni non mi
porterebbe via più di un giorno, ma io preferirò
spegnermi nel momento da me scelto fermando il mio cuore con un
ultimo atto di volontà, tenendo la mia mano stretta in quella
della fedele Galgheita.
|
Adariel
appoggia la penna, osservando la piccola che dorme felice accanto al
suo lettone. Dovrà farle sapere la verità fin in fondo?
Non si vive più felici nell'ignoranza, tante volte? Ascolta in
suo respiro regolare e dolcissimo; come sarà, quando avrà
letto tali parole?
Dopo
una lunga esitazione, decide: un giorno lontano, la nuova Luce di
Meridian potrebbe ritrovarsi nella sua stessa situazione, e dovrà
prendere decisioni cruciali con piena consapevolezza.
Mia
adorata Elyon, so quante volte il destino, o le scelte d'altri, ti
hanno costretta a stravolgere la tua vita e la fragile idea che ti
eri fatta di te stessa. Posso immaginare quanto ti sia pesato, e ho
esitato a lungo con la penna in mano, davanti a questo foglio, prima
di decidermi a sconvolgere ancora le tue sicurezze. Ma è
giusto che tu sappia fin in fondo chi sei realmente.
Ho
fatto l’unica cosa che potevo ancora fare: ho simulato una
gravidanza.
In
realtà, ho passato tutti questi mesi pensandoti, progettandoti
nel più piccolo dettaglio, e nascondendomi da Phobos per
evitare di tradirmi. Ti ho creata sul modello di me stessa, ma per
non farti proprio uguale ti ho attribuito alcuni tratti del mio sposo
Adleric, mio cugino, ufficialmente tuo padre.
Dopo
questa lunga attesa, il momento della tua creazione è stato
durissimo. Ho messo in gioco tutta me stessa, ciò che restava
della mia salute e del mio potere.
Ma
alla fine di questo miracolo c’eri tu che vagivi tra le mie
braccia.
Ora
sai.
Non
dispiacertene, ti prego. Non pensare neanche un attimo di essere un
inganno fatto d'ombra e d'aria.
Tu
sei al tempo stesso mia figlia e me stessa, rilanciata nel futuro per
completare ciò che in vita non ho avuto la forza di fare. Tu
sei il futuro di un intero mondo.
Con
tutto l’amore che posso
La
tua mamma Adariel
|
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Capitolo 21 *** Meridian addio ***
21-Meridian addio
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie della
recensione, sempre graditissima.
Eh sì, lo so, una lettera del
genere può decisamente stroncare una povera ragazzina; spero che
non faccia lo stesso effetto anche sui lettori.
Del resto, i suoi contenuti erano troppo
importanti, per avere un'idea di come viene gestita la vita di queste ipotetiche
regine, per lasciare che Adariel se li portasse nella tomba; avrei sentito
di aver lasciato un grosso vuoto nella mia ricostruzione.
E' un po' come le spiegazioni di Caleb
e Miriadel a Elyon nel terzo capitolo di Profezie, che forse molte lettrici
hanno sentito come un appesantimento nella contrastata storia d'amore della
reginetta; nella mia ottica, erano la parte più importante del capitolo
per spiegare il ruolo della Luce di Meridian.
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Qualche parola su questo capitolo, decisamente di svolta,
che è ambientato nella notte che ha fatto seguito agli avvenimenti
del capitolo precedente, e nella mattina successiva.
Per descrivere il momento cruciale del passaggio, ho cercato di
amalgamare in un racconto coerente le immagini apparse alla mente di Hay
Lin in W.I.T.C.H. n.4, quando si è recata in casa della professoressa
Rudolf ; nel n.5, il racconto che Elyon fa della versione datale da Cedric
della fuga; e nel n.3, la traumatica reazione del sigillo di Phobos al
tentativo delle WITCH di forzarlo.
Buona lettura
MaxT |
|
Capitolo 21
Meridian addio
Meridian, scalone della torre nordest
Notte fonda. L’interminabile scalone curvo della torre nordest è
rischiarato dalla bioluminescenza del giardino, che traspare attraverso
le finestre smerigliate al punto da rendere superflua qualunque altra illuminazione.
Passi felpati vengono ingigantiti dal silenzio della notte.
Salendo lentamente le scale, Alborn e Miriadel arrivano fino al pianerottolo
dell’appartamento di Phobos, dove, ai lati dell’ingresso sfarzoso, due
guardie stanno sonnecchiando su altrettanti divanetti.
Alborn aggrotta gli occhi: come comandante della Guardia, questo gli
è inaccettabile.
Miriadel, a suo fianco, gli fa capire con un tocco che è meglio
non svegliarli, e lo tira per una manica. Manca ancora solo un piano all’appartamento
della Luce di Meridian.
In quel momento uno dei due soldati apre un occhio, sussulta, e subito
balza in piedi scrollando velocemente il collega.
Scattando sull’attenti, i due salutano percuotendosi il petto.
Alborn non può resistere e li rimprovera con un bisbiglio: “E’
così che si fa la guardia? E proprio davanti all’appartamento del
principe Phobos?”.
“No, signore, scusate”.
“E se lui vi avesse scoperti così?”.
I due si guardano spauriti: essere sorpresi così dal loro comandante
e da sua moglie, notoriamente agente dei Servizi Segreti, fa temere nubi
e pioggia sul loro lavoro.
“Il Principe non usa questa porta da mesi” cerca di discolparsi uno
dei due, “E neanche la piastra di teletrasporto sul pianerottolo”.
“Crediamo che si materializzi direttamente nell’appartamento”
lo sostiene l’altro. “Non sappiamo nemmeno se in questo momento sia dentro”.
Alborn fa cenno di tenere bassa la voce: non è il caso di svegliare
Lui proprio adesso. “Ne parleremo domani”, bisbiglia, poi riprende a salire
le scale.
Percepisce una domanda non espressa di Miriadel: ‘Dove sarà
Phobos adesso?’.
‘Credo nel giardino, o nel laboratorio della torre Nord. Poco fa
la luce lì era accesa. Purtroppo non c’è modo di sbirciare
senza correre rischi. E poi, se si teletrasporta all’interno, neanche le
mie guardie o i sistemi d'allarme possono segnalarlo’.
Al piano di sopra non ci sono soldati. La monumentale porta dell’appartamento
della Luce di Meridian si apre prima che possano bussare, e dall’interno
la silenziosa Galgheita fa cenno di entrare.
Richiusa con cura la porta alle loro spalle, bisbiglia: “Non pensate
mai a chi non volete incontrare!”, e indica i tendoni serrati. Loro capiscono
subito perché: queste grandi porte-finestre sono ben visibili dalla
torre Nord.
Facendo loro strada verso la camera, passano vicino a Lidrienel, profondamente
addormentata su un divano. Galgheita risponde alla loro domanda non espressa:
“Le ho fatto un incantesimo, in modo che nessuno possa poi accusarla di
essere stata nostra complice”.
Nella camera, la regina seduta a letto sembra un po’ più in
forze di come l’hanno lasciata la mattina precedente, e indossa la magica
Corona. Un debole lucore verde sui polsi e sul collo, e soprattutto un
bagliore vagamente esaltato degli occhi, lasciano intuire che cosa abbia
assunto per prepararsi a questo momento.
Sta chiudendo un prezioso cofanetto smaltato con l’insegna della dinastia
Escanor; dentro, prima che il coperchio cali e si sigilli con uno scatto,
fanno in tempo ad intravedere una busta sigillata e un sacchetto di tessuto
rosso.
“Galgheita” dice la Regina porgendole solennemente il cofanetto, “Questo
lo dovrai consegnare a Elyon alla data del suo dodicesimo compleanno di
Meridian”.
“Sarà fatto, Altezza”. Altrettanto solennemente, la guaritrice
lo prende tra le mani, poi lo fa svanire in un palmo.
“Sedetevi, amici”, invita la regina con un gesto misurato, “Ora evocherò
a me il cosiddetto sigillo di Phobos”. Prende sulle sue ginocchia un vassoio
d'argento e serra le palpebre, assorta, proferendo una silenziosa evocazione.
Sul fondo lucido del vassoio, il riflesso del suo viso viene rimpiazzato
dall’immagine realistica di una sfera di ametista luccicante incastonata
in un telaietto di argento. Il ciondolo nell’immagine luccica sempre più,
illuminando con riflessi rosati il viso assorto della regina.
Con un suono sordo e un lampo, qualcosa si materializza e tintinna
sul vassoio.
Quando lei riapre gli occhi, delusione e disappunto le si dipingono
sul viso: davanti a lei è comparso solo il telaietto di argento
ritorto, nient’altro.
“Sarebbe quello il sigillo di Phobos?”, chiede Alborn disorientato.
“No, dovrebbe essere romboidale e più grande” gli risponde Miriadel.
Adariel scuote il viso, sconcertata. “Non è possibile! Il mio
sortilegio di ritorno non si è trasferito sul sigillo!”. Si morde
il labbro. “Cos’ho sbagliato?”.
Un pesante silenzio cala a lungo sulla camera, sottolineato dai ticchettii
del complicato orologio a quadrante.
Galgheita riflette: “Ora dobbiamo decidere se partire senza il sigillo,
o cercare di recuperarlo a tutti i costi”.
La regina scuote il viso. “Senza quello, sarebbe difficile tornare
a Meridian. Anzi, anche se Phobos non riuscisse a individuarvi, gli basterebbe
richiudere tutti i varchi per essere certo che Elyon non possa rientrare
dalla Terra”.
Altro silenzio teso. Il ticchettio torna brevemente padrone del campo,
finché la Regina lo zittisce con un gesto di stizza.
Dopo aver riflettuto a lungo, Miriadel parla: “Credo di riuscire a
scoprire dove Cedric ripone il sigillo, però non so quanto tempo
ci vorrà”.
“Ne abbiamo pochissimo”, esala la Regina. “Finito l’effetto del konnestras,
starò peggio di prima”.
Galgheita valuta: “Penso di riuscire a tenervi in vita ancora per qualche
giorno, però a prezzo di una parte della nostra scorta di acqua
magica”.
Adariel si tormenta le mani e guarda la sua piccola, profondamente
addormentata nella culla dal potere della guaritrice. “Non c’è alternativa.
Allora, facciamo adesso il trasferimento delle memorie. Alla fine sarete
tutti in grado di adattarvi alla vita sulla Terra, e conoscerete altri
dettagli delle profezie. Dovrete scrupolosamente fare in modo che si avverino
tutti” conclude sfilandosi la Corona di Luce dal capo. “Pronti?”.
“Sono pronta”, conferma Galgheita; si alza dalla sedia e prende posto
sul letto, chinandosi per accostare la fronte a quella della Regina. Dopo,
solo un lungo silenzio in cui si possono contare i battiti di cinque cuori.
Heatherfield, Ye Olde Bookshop, la mattina dopo
Appena arrivata nello scantinato della libreria che funge da base operativa
sulla Terra, Miriadel, ancora con l’aspetto meridiano, si volta a guardare
il portale dai bordi iridescenti. Non lo chiuderà subito, questa
volta: vuole dare tempo alla solita rompiscatole di svegliarsi con comodo
e…
In un lampo abbagliante, la rompiscatole è qui. Yan Lin, nel
suo costume turchese e violetto, si pianta davanti al portale, già
con in mano il solito gingillo luminoso.
“Sta attenta!” la accoglie Miriadel con la consueta simpatia. “Anche
questa volta per poco non mi hai pestato un piede”.
L’altra la sbircia con noncuranza, resta un attimo sorpresa nel vederla
con la pelle color uovo d’anatra e i capelli blu petrolio, poi riprende
l’ormai usuale alterigia. “E dove dovrei apparire? In questo buco c’è
a malapena lo spazio per stare in piedi, tra brande e altre mercanzie”.
Poi torna a darle le spalle, sbattendole sul viso le alette diafane.
Con un lampo del Cuore di Kandrakar il portale collassa, lasciando
al suo posto solo la parete di blocchi non intonacati. Poi, senza un saluto,
la Guardiana svanisce in un altro lampo bianco.
‘Avere bisogno di questa qui…’, pensa Eleanor con un sospiro di fastidio,
‘Comunque ha fatto proprio ciò che volevo’.
Stamattina non aprirà il negozio; sposta un tappeto che rivela
una botola, la apre e si spinge giù in un altro stanzino sotterraneo,
dove è nascosto un secondo portale d’emergenza.
Sfiorando nel modo giusto una macchia d'umido, un anello iridescente
si espande sulla parete, rivelandole una galleria con una scala in discesa.
Ha appena fatto in tempo a varcarlo che un lampo alle sue spalle proietta
la sua ombra sui gradini.
Si volta: la guardiana è di nuovo lì, nello stanzino.
Il bagliore del solito gingillo le illumina un sorriso di trionfo. Un attimo
dopo anche questo portale collassa, sigillandosi.
Miriadel si stupisce: come mai Yan Lin si è fatta così
vispa? Errore suo, conclude: avrebbe dovuto usare la telecinesi per
rimettere a posto il tappeto, e aspettare un po’ per lasciar calmare le
acque. Ma in fondo è meglio così, pensa mentre scende la
stretta scala alla luce di una vaga fosforescenza verdolina: ora potrà
fare più urgenza a Cedric per fargli prendere il Sigillo di
Phobos.
Meridian, ufficio di Cedric
“Due portali in due minuti!?!”. Cedric, seduto alla scrivania, alza
un sopracciglio, il massimo che si concede per manifestare sorpresa davanti
a una subordinata. “Ti sei fatta giocare alla grande, Miriadel!”.
Lei cerca di discolparsi: “Deve avermi teso una trappola. Ha
studiato i miei orari”.
“E tu cambiali”, le risponde contrariato, poi riflette: “Forse quei
portali sono ormai bruciati. Bisognerebbe cambiare: per la guardiana, quelli
in un condominio di appartamenti tutti uguali sono assai più difficili
da individuare”.
Lei spalanca gli occhi incredula. “Vuoi abbandonare la vecchia libreria?
Dopo tanti anni?”.
Lui resta un attimo indeciso. “Forse dovremmo. Verrò a riaprire
la via ancora per stavolta, ma tu affitta un altro posto adatto entro questa
settimana”.
Si alza in piedi, precedendola nel corridoio fino alla porticina metallica.
“Vado a prendere il sigillo. Aspettami nel sotterraneo davanti al portale
da riaprire”.
Inizia a scendere la ripida scaletta a chiocciola, mentre lei, al seguito,
gli chiede: “Niente più teletrasporto neanche per te?”.
Lui si stringe nelle spalle, facendo ben attenzione ai gradini. “Solo
quando serve davvero. Siamo a corto di energia, il sigillo di Phobos ne
divora una quantità impressionante”.
Raggiunta la base delle scale, nel seminterrato della torre est, i due
si salutano con un cenno distratto, ma Miriadel, anziché dirigersi
nel luogo convenuto, attiva l’incantesimo dell’invisibilità ipnotica:
un’influenza mentale che cancella da chiunque la veda la consapevolezza
della sua presenza. Camminando velocemente, si porta ad un passo
da Cedric: il trucco funziona meglio da vicino. Se qualcuno troppo lontano
per esserne influenzato la vedesse, gli sembrerebbe che lei accompagni
il suo capo.
L’uomo sembra dirigersi a passi veloci verso la torre nordest, come
diretto all’appartamento di Phobos, ma poi devia per il corridoio diretto
alla torre Nord, salutando con un cenno due guardie che ne piantonano l’ingresso.
Ecco la scalinata interna che si avvolge. Cedric è alto, la
sua falcata divora due gradini per volta. Sforzandosi per mantenere il
passo, Eleanor suda e gli ansima dietro, non udita grazie al suo trucco
mentale. Per fortuna la torre nord è alta solo un centinaio di braccia…
Trafelata, riesce a non farsi distanziare, e lo raggiunge su un pianerottolo
davanti ad una porta con la scritta ‘biblioteca’. Questa non è la
cosiddetta ‘biblioteca proibita’, ma è pur sempre chiusa da una
grossa serratura la cui chiave si materializza in mano a Cedric. Il grosso
battente si apre senza un cigolio, e lui si dirige verso una grossa credenza
dalle ante vetrate. Con un’altra chiave apre anche questo mobile, sui cui
ripiani interni si allineano decine di volumi dalle preziose rilegature.
Dai titoli sulle costole sembrano tutti lavori storici o letterari, non
di magia. Allunga deciso la mano verso un volume dalla copertina grigio-bluastra
che spicca solo per il suo anonimato, e lo estrae. Chiude gli occhi un
attimo, come concentrato, poi solleva la copertina. Il libro aperto non
evidenzia pagine scritte, ma solo una retrocopertina con una scritta sinistra:
‘Temete il principe del metamondo e inginocchiatevi davanti alla sua ombra.
Questo è il sigillo di Phobos’. Nell’altra pagina, in una nicchia
sagomata, c’è proprio il talismano che lei ha già visto in
azione.
Meridian, sotterraneo
Dopo qualche minuto, un passo veloce ed elastico comincia a risuonare
nella galleria illuminata dalla fosforescenza verdina.
Miriadel lo sta già attendendo nel luogo convenuto. Per
non insospettirlo, ha dovuto precederlo teletrasportandosi, usando una
parte della sua preziosa energia.
“Ehilà, Cedric”.
“Eccomi”. L’uomo si avvicina, facendosi apparire in mano il grosso
sigillo. Lo solleva, contro la parete in fondo al corridoio, e per una
volta in più si forma una iridescenza trasparente sulla parete,
che immediatamente dopo riprende il suo aspetto normale. “Bene, adesso
il portale è stato ricreato, ma l’ho chiuso. Non aprirlo subito,
è probabile che quella strega sia pronta a intervenire”.
Miriadel annuisce. “Ora vai a riaprire anche quello di riserva?”.
Meridian, torre Nord, mezz’ora dopo
Protetta nuovamente dal manto dell’invisibilità ipnotica, Miriadel
osserva Cedric discendere lo scalone a chiocciola e sparire nel corridoio
alla base della torre.
Bene, ora è sola davanti alla porta della biblioteca.
Esita. Sarebbe ancora in tempo a rimandare, a tirarsi indietro, a rimettere
a posto inosservata i documenti e il denaro che ha sottratto in ufficio.
Scaccia questo pensiero: ciò che devono fare è molto
più importante delle loro vite.
‘Siete pronti?’ trasmette lei con il pensiero.
‘Pronta’ risponde la voce mentale di Galgheita.
‘Pronto’ fa eco quella di Alborn.
Eleanor inizia. Una serratura chiusa non è un ostacolo per i
suoi trucchi telecinetici: le basta un pensiero perché uno scatto
le apra la strada.
All’interno del locale, tra le scansie coperte di libri, anche la modesta
serratura del credenzone non le fa perdere più di due secondi.
Afferra il libro anonimo, estraendolo. Prova ad aprirlo, ma la copertina
resiste, anche se nessuna chiusura è visibile. Non ci voleva!
Se lo fa sparire nel palmo, sperando che non serva davvero.
Mentre si volta per uscire, un pensiero agghiacciante le giunge da
Alborn: ‘Attenta! Hai fatto scattare un allarme! Stanno arrivando le
guardie alla torre Nord’.
Eleanor corre al parapetto. Guardando giù nel vano scale, comincia
a sentire passi pesanti e voci concitate. Cos’ha sbagliato? Aveva osservato
tutti i gesti, tutti i pensieri di Cedric… almeno così ha creduto.
Non ci sono scelte: deve nuovamente teletrasportarsi, altrimenti è
in trappola.
Un istante dopo, attorno a lei riappare l’anticamera della Regina. Vede
Lidrienel ancora profondamente addormentata sul divano.
Un rumore alle spalle la fa voltare: Galgheita sta aprendo la porta
d’ingresso ad Alborn.
Appena richiusa, lui sussurra: “Miri, le guardie sono andate alla torre
nord. Dobbiamo scappare subito, o dovrò seguirle per non destare
sospetti”.
Dalla stanza di là, si sente l’ormai debole richiamo della regina.
“Galgheita…”.
Le vanno incontro.
“Altezza, abbiamo i secondi contati”, le dice il comandante.
“Lo so” risponde lei, tenendo con rimpianto tra le braccia la piccola
Elyon addormentata. “Addio, piccola luce mia”.
Miriadel gliela prende in braccio. “Piccola Elyon…”.
“Buona fortuna, amici”. Poi, alla guaritrice: “Ti prego, Galgheita,
dammi la mano. Basterà un attimo”.
“Addio, Altezza”, le risponde lei, prendendole la mano. Ha capito che
cosa la Regina le sta veramente chiedendo.
Mentre gli altri tacciono, la Luce di Meridian chiude gli occhi e sbianca
rapidamente, afflosciandosi nel letto.
Galgheita continua a tenerla ancora un attimo; solo lei può
vedere una sagoma vagamente umana ergersi sopra il corpo ormai inerte,
affiancarsi a un’altra e sparire in alto.
Per un attimo tutti restano immobili, persi per l’enormità di
quanto è appena successo: dopo trecento anni, la Sesta Luce di Meridian
ha reso la vita davanti ai loro occhi, nel momento in cui lei stessa lo
ha voluto. Ora davvero non c’è altri che Phobos.
Alborn decide di interrompere questo momento di commozione che sta
rubando secondi preziosi. “Andiamo!”.
A passo veloce, escono dall’appartamento reale, scendendo le scale.
Dopo qualche piano, sentono passi pesanti venire loro incontro.
All’ultima svolta, li vedono: sono i due piantoni della torre, che
li guadano stupiti. “Comandante…”.
Alborn riassume il suo cipiglio marziale. “La Luce di Meridian ci ha
appena lasciati. Sto scortando Maestra Galgheita e la Principessa Elyon
in un luogo tranquillo. Voi presidiate il suo appartamento; l’ancella si
è sentita male, soccorretela. Io andrò subito ad avvertire
il principe Phobos”.
I due soldati restano raggelati, mentre il pallore si diffonde sulle
loro pelli verdoline. “Si, signore”.
Alborn in testa, il gruppo continua a scendere l’interminabile teoria
di gradini della torre Nordest, fino al seminterrato. Nel lungo corridoio
trovano più persone che li guardano stupiti. Quando ripetono “La
Regina è appena morta”, su tutti i visi il dolore sostituisce ogni
stupore o sospetto, troncando altre domande.
Pochi minuti dopo, è Miriadel a essere passata in testa: percorre
affannosamente le gallerie del sotterraneo, sudando con la piccola Elyon
addormentata tra le braccia.
“Ecco, il portale più vicino dovrebbe essere qui in fondo…”.
Alla fine di una scalinata, il sotterraneo è chiuso da una parete,
e vicino si intravedono alcune panche e appendiabiti con gli informi pastrani
scuri in cui gli agenti sono soliti paludarsi quando non vogliono essere
riconosciuti.
Passa a Galgheita il fardello della bimba addormentata, e si avvicina
alla parete. Questo portale si aprirà su un appartamento uguale
a tutti i centoventi nel suo condominio.
Appena ha sfiorato il punto sensibile sul muro, la parete si squarcia
in un alone iridescente, ed appare l’interno di un anonimo appartamento
terrestre.
Il sollievo dura poco: prima che possano passare,Yan Lin appare in
un lampo bianco, e gli rivolge lo stesso sorriso trionfale che le ha già
visto poco prima.
“Aspetta!” grida istintivamente Miriadel, “Ti prego, non…”.
Inutile. Davanti ai suoi occhi, il Cuore di Kandrakar emette un lampo
rosato che illumina a giorno il sotterraneo, poi il portale collassa in
un punto iridescente che infine sparisce del tutto, lasciando la parere
scura e intatta al suo posto.
“Noo!”. In quel momento, Miriadel rimpiange di non aver mai seguito
il consiglio della regina, di cercare di andare d’accordo con la Guardiana
di Kandrakar.
“Presto, il sigillo” le grida Alborn. “Tiralo fuori!”.
“Ecco..”. Dalle mani di Miriadel appare il grosso e anonimo volume.
“Ma non si apre!”, grida lei cercando inutilmente di forzarlo.
Poi cerca di calmarsi, di concentrarsi per ricordare cosa ha
pensato Cedric quando lo ha aperto, quella stessa mattina.
Un suono di passi pesanti e voci concitate la interrompe: proviene dalla
galleria alle loro spalle. Voltandosi, vede apparire da dietro una curva
un drappello di guardie, guidate da un essere alto più di tre metri:
un poderoso uomo-serpente dalla pelle verde e giallina, gli occhi crudeli
mascherati da una banda rossa, Dalla sua veste elegante, lunga fino a terra,
sporgono due grosse braccia muscolose e, per dietro, una coda lunga parecchi
metri.
“Fermi, traditori!” grida l’essere con una voce cavernosa e inumana.
“Cedric!” lo riconosce Miriadel. Ormai sono a poche decine di metri.
“Non perdiamo tempo”. Galgheita tocca delicatamente il libro con uno
dei suoi ditoni inumani, e, nella meraviglia generale, questo si apre.
Alborn afferra il sigillo, stringendo i denti per resistere all’inaspettata
sensazione di calore emanata.
Un attimo dopo, lingue simili a fuoco nero si sprigionano dall’oggetto,
schiacciandosi sulle pareti e i pavimenti e diventando simili a catrame
nero che imprigiona e risucchia i corpi. Il sigillo vibra come per sollevarsi,
ma Alborn lo trattiene in mano.
La galleria è invasa da grida e strilli, e dal pianto a squarciagola
della neonata.
Le guardie, terrorizzate, si voltano per darsi alla fuga, ma la poderosa
voce del nuovo Cedric le richiama: “Non scappate, imbecilli! Non c’è
da aver paura! E’ solo un’allucinazione indotta dall’antifurto”.
Questo messaggio giunge anche alle orecchie di Miriadel; in un momento
di lucidità, afferra il sigillo dalle mani di Alborn, e ripete le
operazioni mentali che ricorda fatte da Cedric.
In un attimo, il portale si riapre baluginando, e mostra nuovamente
l’ appartamento terrestre. La guardiana, ancora lì, si volta stupita
verso di loro, ed inorridisce alla vista delle minacciose lingue di fiamma
nere.
“Passiamo lo stesso!” grida Alborn e trascina le donne e la bimba nell’appartamento
oltre il varco.
“Ehi, voi!”, li richiama Yan Lin incerta, “Dove…”.
“Prendeteli!”. L’enorme serpentone si muove deciso verso il varco,
spalleggiato da soldati incerti, ma già con le spade sguainate.
La Guardiana non ha scelta: fa apparire il Cuore di Kandrakar, e con
un lampo torna a sigillare il portale. Dal suo ultimo baluginio si sente
provenire un urlo gutturale e lontano: “Noo! Maledetta!”.
La parete ora è intatta, e le inquietanti lingue nere sono svanite.
Yan Lin si volta a cercare i fuggiaschi verso l’angolo da cui ha appena
sentito un “Statemi vicini” in meridiano, ma lì non c’è più
niente, solo un vago tremolio dell’aria che subito svanisce.
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Capitolo 22 *** Oltre la muraglia ***
22- Oltre la muraglia
Ad personam:
Cara Atlantis Lux, grazie della
tua recensione, ti sono grato per la fedeltà con cui stai seguendo
questa storia.
In effetti la morte di Adariel, dopo tutti questi mesi e capitoli,
è stata di una brevità sconcertante. Ma in quel momento ogni
minuto era prezioso, e ho preferito non rompere il ritmo della storia con
una sviolinata più lunga. In questo capitolo rivedremo per un attimo
ancora la regina in una delle sue apparizioni post-mortem descritte anche
nel fumetto. Sinceramente, mi dispiaceva troppo chiudere con questo personaggio
nel modo frettoloso cui mi avevano costretto gli avvenimenti incalzanti
del capitolo precedente.
Cara Solitaire, sono felice di leggere la tua recensione.
Sì, lo so, la storia è triste. Termina con la morte della
protagonista, con il figlio sempre più risentito, tirannico e lontano
dalla sua gente... e la svolta finale per Phobos deve ancora arrivare.
Non mi è stato possibile fare sconti: si sapeva già che si
sarebbe dovuto arrivare a ciò per preparare il terreno a WITCH n.1.
La mia finalità era di spiegare come si è arrivati alla situazione
da cui il fumetto prende le mosse.
Come i metamondesi vedono i cloni... un po' è stato spiegato
su Profezie, non ricordo se nel capitolo 46 o 47. Li vedono un po' come
degli schiavi creati su misura per uno scopo spesso egoistico da chi ne
ha il potere; hanno pressoché smesso di farli da quando la legge,
per limitare questi abusi, ha imposto di parificarli a un parente e inserirli
nell'asse ereditario, condividendo le proprietà, la casa eccetera.
Bella fregatura per chi voleva un domestico o magari un sosia che si prendesse
solo le scocciature, no?
Un sentito ringraziamento anche a Silen per la rilettura
delle bozze di questa storia.
Qualche parola su questo capitolo, in cui la storia si sta
avviando verso la conclusione, ma manca ancora un importante episodio
che riserverò alla puntata finale, che avrà per involontario
e riluttante protagonista il principe Phobos.
In questo stesso capitolo, Miriadel, Alborn e Galgheita assumeranno
per la prima volta le identità terrestri che abbiamo conosciuto
nel fumetto.
Le scene a Kandrakar e Heatherfield incentrate sull'Oracolo e su
Yan Lin fungeranno un po' da spiegazione nell'atteggiamento della congrega
che ritroveremo anche nel fumetto; l'allieva cui Luba accenna è
chiaramente Orube.
Buona lettura
MaxT |
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Cap.22
Oltre la muraglia
“Anche se il futuro fosse già scritto, la nostra
libertà consiste nell’agire come se non lo fosse”.
L'Oracolo di Kandrakar
Los Angeles, hotel Vera Cruz
La signora Barton si guarda nell’elegante specchio del bagno mentre
finisce di rifarsi il trucco. Suo marito Jacob aveva ragione: l’Hotel Vera
Cruz è stato un'ottima scelta per il loro breve soggiorno a Los
Angeles.
Butta l’occhio all’orologio: è già tardi. Si rivolge
al figlio, nella camera: “Harry, hai finito di vestirti? Papà ci
starà già aspettando nell’atrio”.
“Da un bel pezzo, mamma” risponde il bambino con voce annoiata, “Sei
tu che fai tardi. Se fosse per…”. La frase si interrompe all’improvviso,
coperta dallo strillo inatteso di un neonato e da qualche frase concitata
e incomprensibile.
“Mamma!?!”, la voce allarmata di suo figlio cerca di sovrastare il
trambusto, “Qui c’è…”, ma nuovamente si interrompe a metà.
“Harry?!?”. La donna, preoccupata, lascia il trucco a metà e
si precipita nella camera.
Qui si trova davanti a un incredibile quartetto: un uomo e una donna
coi visi alieni dai colori impossibili, e un grosso essere assurdo e intabarrato
dalla lunga coda che tiene in mano un fagotto dal quale provengono gli
strilli acuti. Il suo Harry non muove un muscolo, fissato in un’espressione
di stupore come una statua di cera.
“Ma chi…”. La donna non fa in tempo a finire: con un gesto della giovane
dalla pelle grigiastra, il mondo per lei si congela come in un fermo immagine.
“Vogliate scusarci” dice Miriadel rivolta, in un buon inglese, ai legittimi
occupanti della camera, “Toglieremo il disturbo tra un po’”.
“Formidabile!”, si meraviglia Alborn davanti ai due terrestri congelati,
“Non mi avevi mai mostrato i tuoi trucchi da agente segreto”.
“Proprio perché era segreto” spiega lei, ma la sua risposta
è nuovamente sovrastata dagli strilli della piccola Elyon.
Galgheita le sussurra qualche parolina incomprensibile sottovoce, e
la neonata si acquieta nuovamente. Poi la guaritrice si guarda attorno,
perplessa. “Miriadel, ma perché hai scelto proprio questo posto
per il teletrasporto?”.
“E’ il primo che mi è venuto in mente intanto che la guardiana
ci voltava le spalle. La Luce di Meridian, gloria a Lei, aveva alloggiato
proprio in questa stanza una dozzina d'anni fa”. Guarda dalla finestra
verso nordest. “Qui siamo a tremila chilometri da Heatherfield”. Nel mentre,
ripone il sigillo di Phobos dentro il libro-custodia, poi se lo fa sparire
in mano.
“Ma siamo rintracciabili?” si preoccupa Alborn.
“Forse si. Abbiamo i minuti contati”. Chiude gli occhi, e aloni luminosi
percorrono il suo corpo, lasciandolo completamente mutato: ora non è
neppure più quello già noto della commessa della libreria,
ma appare come una giovane dai capelli color rosso carota e dal viso affusolato.
“Vi presento Eleanor… Eleanor Reed, signora Portrait. Ti piace il cognome
Portrait, maritino mio?”.
Alborn tenta di farsi sparire un’espressione disgustata dal suo viso
che rivela troppo esplicitamente cosa pensa del cambiamento di aspetto
della sua Miriadel. “Uno vale l’altro, basta fare presto”.
“Giusto. Allora tu sarai Thomas Portrait. Ricordati il tuo nuovo nome”.
Lo squadra. “Hai preferenze per l’aspetto?”.
Alborn chiude gli occhi per un attimo come se un balcone gli stesse
per cadere addosso, poi risponde stoico: “Fai tu”.
Alle sue spalle, Galgheita ha già appoggiato il suo fagotto
sul letto, poi si concentra. Altri aloni luminosi insistono a lungo sul
suo corpo, soprattutto sulla lunga coda, e dopo un po’, al posto della
guaritrice rettiliforme si trova una signora di mezza età, tarchiata
e occhialuta, dai lineamenti delicati persi nella faccia paffuta.
Miriadel storce la bocca in un’espressione di riprovazione. “Non era
meglio una donna giovane e bella? Non era che costasse di più”.
Quella che era Galgheita scuote il capo: “Ma vi pare che io possa desiderare
qualche incontro galante con un terrestre?”. Si guarda nell’ampia anta
a specchio dell’armadio. “La signora Margareth Rudolph farà una
vita molto ritirata”.
Eleanor insiste convinta: “Guarda che la bellezza apre molte porte”.
Alborn la guarda con un’espressione dubbiosa. “Sarà…”, bofonchia,
poi si riscuote. “Io però non sono in grado di cambiare il mio aspetto
da solo”.
La signora Rudolph gli appoggia, benedicente, una mano sulla fronte;
ora anche lui viene percorso da un alone luminoso, e il suo aspetto muta.
L’immagine che lo specchio gli rimanda è quella di un giovane terrestre
sui trent’anni dalle braccia muscolose, i lineamenti forti e i capelli
castani.
“Passabile”, fa la signora Portrait alzando un sopracciglio.
Il telefono sul comò squilla. “Dev’essere la portineria” commenta
Eleanor allarmata, “Abbiamo i secondi contati. Cerchiamo una camera vuota
per organizzarci con più calma”.
“E loro?” obietta Thomas, indicando la donna e il bambino grottescamente
immobilizzati a metà di un gesto.
“Non preoccuparti, si riprenderanno subito, e non ricorderanno niente”
gli risponde dirigendosi verso la porta, “Vi raccomando: parlate il meno
possibile, e solo in lingua terrestre. Siamo Eleanor e Thomas Portrait,
e Margareth Rudolph, cominciamo ad abituarci all’idea”.
“Ed Elyon Portrait” aggiunge in inglese la donna attempata, raccogliendo
la bimba dal letto e porgendola a Eleanor. “Adesso siete papà e
mamma, cominciate ad abituarvi anche a quest'idea”.
Meridian, sala del trono
Questa mattina, seduto sul trono che ormai non si fa più scrupolo
di occupare apertamente, il principe Phobos non riesce a concentrarsi su
ciò che questo ramarro di un consigliere gli sta blaterando. Sta
succedendo qualcosa, lo sente. Ondate di paura, di rabbia, nel perimetro
dello stesso palazzo. Decisamente inquietante. Meglio chiamare subito Alborn
o Cedric, per…
D’improvviso, accanto al consigliere compare la figura della regina,
con un viso triste e dolcissimo soffuso da un pallore innaturale.
“Madre?!?” esclama incredulo Phobos, balzando in piedi.
“Altezza?” fa eco il consigliere, interrompendosi e guardandosi in
giro sconcertato. E’ chiaro che non la vede, anche se gli è così
vicina da poterlo toccare.
La regina, con sforzo, alza gli occhi da terra. “Phobos, figlio mio.
Sono venuta a renderti un ultimo saluto, ma continuerò per sempre
a pensarti e a guardarti dal Paradiso degli Dei”. Esita un attimo, cercando
le parole. “Figlio, il destino è stato crudele con noi: ha costretto
te al ruolo di tiranno, e me a quello di ingannatrice. Lo so che non è
tutta colpa tua. Io ti ho già perdonato. Perdonami anche tu, se
puoi”. Con un ultimo sorriso tristissimo, l’immagine scompare, lasciando
il principe senza parole.
Dopo un breve silenzio, Phobos balbetta: “Madre… Ingannatrice? Cosa
vuoi dire? MADRE!”.
Il consigliere lo guarda esterrefatto. “Altezza… cosa succede?”.
Tornando presente a sé stesso, il principe lo guarda severo:
“Non devo spiegazioni a voi, consigliere Zercom!”. Vuole capire immediatamente
cosa sta accadendo, e troverà la prima, scontata risposta davanti
al letto di sua madre.
Con un rombo basso che fa tremare i visceri, Phobos sparisce in un
tremolio dalla sala del trono.
Un attimo dopo, preannunciato dallo stesso rumore, il principe appare
nell’anticamera della Regina. Accanto, nella stanza, ci sono due soldati
e un paio d'ancelle. Anche se si inchinano rispettosamente davanti
a lui, il timore provocato dal suo arrivo improvviso non riesce a cancellare
il dolore dai loro occhi.
D’improvviso, la voce mostruosa di Cedric gli urla nella testa: ‘Altezza,
una catastrofe! La Regina è morta. I traditori Alborn, Miriadel
e Galgheita hanno rapito la principessa Elyon, rubato il Vostro sigillo
e sono fuggiti sulla Terra. La Guardiana di Kandrakar li ha lasciati passare,
ma ha sbarrato il passaggio a noi’.
“No!” grida Phobos sempre più pallido, comprendendo il significato
delle ultime parole di Adariel.
Senza aspettare che gli facciano strada, attraversa come un fantasma
il corpo di guardie e ancelle, entrando nella camera.
Attorno al letto ci sono altre donne, che si scostano spaventate al
suo ingresso, e il dottor Tarnos con la sua inutile, patetica borsa di
farmaci. Accanto al corpo, Lidrienel sta piangendo e tenendo tra le sue
mani quelle inerti e pallidissime della Regina.
“Madre, perché mi hai fatto questo?!?”, grida lui dai piedi
del letto, tra lo sbigottimento degli astanti.
Poi si avvicina, scostando Lidrienel con uno spintone. Prende il corpo
della Regina per le spalle, e lo scuote. “Perché hai fatto questo
a me, il tuo unico figlio… dicevi di amarmi, di essere orgogliosa di me…
e ora mi hai tradito! Da quando? Da quando hai cominciato a tramare
contro di me, a trasformare i tuoi ultimi mesi in un unico, terribile raggiro?
Da quando è morto mio Padre, o ancora prima?”.
Prende fiato, stringendo i denti. Si accorge di avere gli occhi pieni
di lacrime, ed è in mezzo a persone che lo guardano esterrefatte.
“Via!” urla fuori di sé, “Via di qui, avvoltoi!”.
Le donne fuggono in silenzio, spaventate, verso l’uscita.
Dopo un attimo tutti, anche i soldati, hanno lasciato l’appartamento
reale.
Torna a guardare sua madre, pallida e inerte. Il suo capo è
ricaduto di lato, e il chignon si è sciolto, lasciando i lunghi
capelli castani sciolti sul cuscino.
Con una smorfia di risentimento, Phobos si decide: il corpo di Adariel
dovrà rimediare almeno qualcosa del danno che lei gli ha fatto in
vita. Sente la magia scorrere forte nel suo corpo. Sfila con un gesto brusco
la corona di luce dal capo della madre, poi le appoggia i polpastrelli
sulla fronte, e vi pompa la sua energia vitale. Per un attimo, percepisce
qualcosa da quanto resta della memoria di Adariel: una miriade di frammenti
di ricordi sconnessi, dapprima forti, poi, con il passare dei minuti, sempre
più tenui a mano a mano che il corpo della Luce di Meridian sprofonda
nella morte, facendo degenerare le sinapsi del suo cervello.
Phobos resta così finché riesce a ricevere qualche ombra
di risposta, poi, pensieroso, leva le mani.
Si guarda attorno: nessuno è più entrato nella camera.
Meglio così: adesso che si è calmato, si vergognerebbe di
far sapere a chiunque che ha violato l’intimità dei ricordi di sua
madre appena morta.
Scaccia il pensiero: è lei che lo ha tradito, o no? Lui avrebbe
dovuto farlo prima, quando la regina era ancora in vita. Invece è
stato troppo rispettoso, ma non commetterà mai più questo
errore.
Se sua madre non meritava questo scrupolo, chi altro potrà mai
meritarlo?
Kandrakar
La sala del consiglio è gremita. Le nuvole che si affacciano
dalle bifore senza vetri sembrano cariche di elettricità. Saggi
i cui tratti tradiscono la provenienza da mondi diversissimi, ma vestiti
con abiti color acqua tutti uguali, siedono solennemente a gambe incrociate
sui gradoni ad anfiteatro.
Al centro della sala, l’Oracolo, in piedi, riceve la rammaricata Yan
Lin.
“Mi dispiace, Signore”, esordisce mesta la guardiana dal costume vivace.
“Non sono riuscita ad impedire il passaggio di quei fuggiaschi come mi
avevate ordinato”.
Lui annuisce, imperturbabile. “Yan Lin, ho osservato tutto mentre succedeva.
Non hai niente da rimproverarti”.
Dai gradoni, l’imponente figura di Endarno si alza in piedi. “Guardiana,
non sarà che ti sarai fatta muovere a pietà dalla neonata
che quei fuggiaschi avevano con sé? Ti rendi conto degli squilibri
che quell’esserino può portare sulla Terra?”.
Un sommesso vocio corre tra gli astanti, mentre la guardiana china
il capo.
E’ l’Oracolo a prenderne le difese: “Yan Lin, nessuno può rimproverarti
se per prima cosa hai preferito chiudere il varco da cui stavano
giungendo gli inseguitori”. Poi, rivolto verso l’uditorio: “La verità,
che Yan Lin ci ha già troppe volte fatto presente, è che
questo compito è improbo per una guardiana sola, anche se lei non
ha mai deluso la nostra fiducia”. Poi, dopo una pausa a effetto: “Vi annuncio
che gli Elementi dell’Universo mi hanno parlato: Aria, Acqua, Terra e Fuoco
rivendicano le loro nuove Guardiane. Hanno già individuato le anime
che si incarneranno, e la catena causale della loro futura nascita è
già in moto”.
Il saggio Tibor, dalla fluente barba bianca, prende la parola: “Cosa
ci potete dire di queste nuove Guardiane, Oracolo?”.
“Niente, amico mio. La volontà degli Elementi non è ancora
stata così esplicita con me”.
Dai gradoni si alza in piedi una donna alta, dai tratti felini e dai
lunghi capelli argentei. “Non saranno ancora ragazze terrestri?”.
Yan Lin, immaginando il seguito, si trincera dietro le braccia conserte
e le scocca un’occhiata di rispettoso disappunto.
L’Oracolo risponde cortese: “Non lo so proprio, Luba. Ma se fosse?”.
“La vecchia generazione di guardiane terrestri ha già dato pessima
prova… a parte Yan Lin, naturalmente”, concede la donna con nonchalance,
“Perché non scegliere ragazze di un altro mondo, magari Basiliade,
educate all’onore e alla disciplina? Conosco già degli ottimi soggetti,
una in particolare: sono ancora bambine, ma potrebbero essere pronte molto
prima di ragazze terrestri che forse non sono state ancora concepite”.
“Sono d’accordo”, interviene Endarno. Anche lui, come Luba, è
di Basiliade, e sa bene cosa significhi la disciplina.
L’Oracolo risponde impassibile: “Non dubito delle tue favorite, Luba.
Semplicemente sta agli Elementi deciderlo, non a me. E neanche a te”.
Mentre lei torna a sedere scontenta, Endarno è rimasto in piedi.
“La prossima cosa da fare è rintracciare quei fuggiaschi!”.
L’Oracolo sospira. “Purtroppo si sono teletrasportati in una destinazione
ignota, e avranno certo cambiato aspetto. Non abbiamo modo di rintracciarli,
a meno che non siano loro stessi ad avvicinarci”.
Endarno sbotta sarcastico: “E perché dovrebbero?”.
“Perché prima o poi dovranno tornare indietro, e tutti i portali
conosciuti sono nella zona di Heatherfield”.
“Ma con quell’oggetto che hanno con sé, sono in grado di crearne
altri”.
L’Oracolo annuisce senza dimostrare alcun turbamento. “E’ verissimo.
Faremo bene a escogitare qualche modo per controllarli”. Poi, dopo una
lunga occhiata al lento movimento delle nuvole visibili attraverso un colonnato,
continua: “Tuttavia, è chiaro che userebbero quei portali solo per
tornarsene nel loro mondo, ed è proprio questo che vogliamo. In
fondo, la defunta regina aveva profetizzato che la sua erede crescerà
sulla Terra per poi tornare a Meridian ed esservi incoronata tra undici
dei loro anni”. Dopo una pausa, aggiunge: “Piuttosto, la nostra priorità
dovrà essere l’impedire che gli agenti di Meridian continuino ad
arrivare liberamente sulla Terra, o vi porteranno una guerra segreta anche
peggiore di quella che vi hanno condotto finora. In altre parole: Yan Lin,
tu continuerai a svolgere lo stesso compito nel quale ti sei fatta onore
fino a ora”.
La guardiana accenna un inchino di ringraziamento per quel riconoscimento.
Un mormorio sorge tra le gradinate, ma nessuno interviene più.
L’Oracolo allarga benedicente le braccia: “Amici, per oggi è
tutto. Tornate alle vostre occupazioni, l’assemblea è finita”.
Endarno, tra i primi ad andarsene, scambia una lunga occhiata indefinibile
con lui.
Lentamente le gradonate si svuotano, finché nella sala silenziosa
restano solo l’Oracolo e la guardiana.
“Yan Lin, parla pure. Cosa volevi dirmi?”.
Lei, che è rimasta in piedi a disagio durante tutto il dibattimento,
gli si accosta rispettosamente, e chiede a bassa voce: “Signore, voi dunque
attribuite valore alle profezie della regina Adariel?”.
Lui risponde grave: “Io non ho la sua stessa religiosa convinzione
nella loro infallibilità, ma devo ammettere di non conoscere un
solo caso in cui non si siano realizzate alla lettera. Semmai, a volte
è successo che si siano avverate in un modo diverso da quello che
ci si aspettava. Le parole possono essere ingannevoli, a volte, anche se
letteralmente vere”.
“Capisco”, annuisce lei con il viso che sembra dire tutt’altro. “Ma
quello di cui non riesco a capacitarmi è: perché dobbiamo
agire, se è già tutto predestinato? Per esempio, perché
abbiamo cercato di impedire il loro passaggio, se era già scritto
che sarebbero arrivati sulla Terra? Perché cercarli, se è
già scritto che resteranno qui molti anni?”.
Il viso dell’Oracolo non lascia trasparire nessun imbarazzo, ma è
il prolungarsi dell’attesa che lascia intuire quanto la domanda sia difficile.
Alla fine risponde: “Yan Lin, noi professiamo principi formulati in tempi
immemorabili. Abbiamo accettato liberamente di seguirli e di farli rispettare,
e ora questo è un dovere per noi. Non è importante solo il
risultato: è diverso se un qualcosa si realizza per quello che noi
abbiamo fatto, o si realizza nonostante quello che abbiamo fatto.
Anche se il futuro fosse già scritto, la nostra libertà consiste
nell’agire come se non lo fosse”.
Yan Lin annuisce. “Non sono certa di capire, ma mi adeguerò”.
Poi, ad un cenno di congedo dell’Oracolo, l’immagine di quel luogo solenne
viene inghiottita da un lampo abbagliante.
Heatherfield, camera di Yan Lin
Quando Yan Lin torna a vedere chiaramente, si trova ormai nel suo mondo
quotidiano. Prima di uscire dalla camera, controlla l’aspetto: la sua effimera
giovinezza da Guardiana è finita anche questa volta.
Scendendo le scale di casa fino al ristorante al piano terra, trova
suo figlio Chen che le viene incontro.
“Dove sei stata, mamma? Ti stavamo chiamando…”.
“Cose da donne, Chen. Ma perché mi cercavi?”.
“A basso ci sono molte stoviglie da lavare, e Joan è in difficoltà.
Puoi aiutarla?”.
“Subito!”.
Poco dopo entra nella cucina, dove la giovane nuora sta fronteggiando
delle pile di piatti sporchi di ogni foggia che le arrivano al mento.
“Eccomi, Joan. Non sei più sola”.
“Grazie. Fino ad adesso, mi ha aiutata un po’ Chen”.
“E’ un bravo marito, vero?” chiede orgogliosa Yan Lin, infilando un
paio di guanti di gomma.
“Certo”, annuisce la giovane riponendo l’ennesima zuppiera bagnata.
“Ci stavamo divertendo a cercare dei nomi per i futuri figli”.
Le sorride. “Allora posso contare di diventare nonna prima di lasciare
questo mondo, vero?”.
“Sì, certo. Senti: se fosse un maschietto, che ne penseresti
di Zedong?”.
“Decisamente impegnativo” sbotta lei cercando di farsi sparire una
smorfia di disappunto. “Ci sono alternative?”.
“Sì…” fa lei, un po’ delusa dalla mancanza di approvazione.
“E per una femminuccia, cosa ne dici di Hay Lin?”.
“Hay Lin…” ripete riflettendoci, “Lin Hay Lin… Sì, è
assonante”. Mentre lava i piatti con efficienza, pensa tra sé e
sé … Hay Lin… questo nome le dice qualcosa che non riesce a definire
meglio. “Se si chiama Lin come me, certo mi assomiglierà in qualcosa”.
“Lo spero proprio” risponde Joan sorridendo. “L’unica cosa che non
vorrei è il tuo modo di sparire misteriosamente per le tue ‘cose
da donne’ ”.
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Capitolo 23 *** La primavera che verrà ***
Cara Atlantis Lux, grazie per la tua bella recensione, sulla quale conto sempre.
Per quanto riguarda la tua domanda sulle trasformazioni fisiche: posso ipotizzare che i pezzi che avanzano vadano smaterializzati e finiscano in una specie di credito di massa.
Invece è più problematico trasformarsi in qualcosa di più grande. In uno dei capitoli precedenti si racconta che, la prima volta che Cedric si è trasformato in serpentone, i bambini che lo stavano soffocando sono spariti, inglobati nel suo corpo.
Cara Solitaire, grazie per la tua graditissima recensione. Cosa farà la gente, e cosa penserà, sono due cose diverse. Eppure a Meridian pensare è come fare. Per cui ti rimando ai festeggiamenti di questa ultima puntata per sentire il coro di acclamazioni al principe.
La risposta alla domanda sui portali sarà in parte nelle istruzioni che Phobos darà a Cedric nel presente capitolo, e in parte in 'Alla fine del millenio', una mia one-shot già pubblicata che spiega i retroscena dell'inizio della saga del fumetto e la collega a La Luce al tramonto.
Qualche parola su questo capitolo, che è l'ultimo della storia. Sono emozionato, sto per appuntare la parola fine a un lavoro che ho iniziato a scrivere tre anni fa, che è stato importante per me per mille aspetti, e non so neppure cosa dire.
Il titolo 'la primavera che verrà' riprende un aforisma più volte pronunciato dalla Regina: 'E' impossibile fermare l'inverno, ma si può seminare per la primavera'.
Infatti quest'ultimo episodio metterà le radici per spiegare diversi aspetti della storia del fumetto, che culminerà con la fine del lungo inverno della tirannia di Phobos.
I retroscena dell'inizio del fumetto, qui solo abbozzati, sono spiegati più in dettaglio in Alla fine del millennio .
Finisco con un ringraziamento dal più profondo del cuore a tutti coloro che hanno seguito questa storia fino alla conclusione.
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La primavera che verrà
La stirpe degli uomini è come la stirpe delle foglie: una generazione fiorisce, un’altra muore.
Omero
Meridian, atrio della torre est, quella sera stessa
L’atrio alla base della torre est è mestamente illuminato da una sola fila di fiaccole, che spargono i loro bagliori rossicci sui visi tristi dei presenti. Solo la teca di cristallo con il corpo della Regina, splendida nel pallore della morte, è illuminata dalla luce bianca di un proiettore. Al centro del locale, cinquanta metri al disotto della sala del trono da cui ha regnato su un intero mondo per duecentosessanta anni, la sesta Luce di Meridian riceve l’ultimo saluto dai dignitari che l'hanno servita.
Tutto attorno all’esterno del sottile colonnato, dietro al picchetto della Guardia d’Onore, c’è la servitù, primo preannuncio del popolo della città che verrà a rendere l’ultimo saluto alla Regina. Nonostante l’ora tarda, una fila interminabile di cittadini si snoda già lungo la rampa di accesso, nello spiazzo esterno e su tutta la strada che da piazzale Sottocastello porta fin alla rupe del palazzo.
Sono fiduciosi che, mentre la Sua anima li guarda dal Paradiso degli Dei, la bara di cristallo, rafforzata dai più potenti incantesimi, preserverà incorruttibile il Suo corpo. Al termine dei sei giorni di esposizione, questo verrà teletrasportato nell'antica cripta di famiglia scavata nella viva roccia del Monte Escanor, che svetta maestoso e lontano sull’orizzonte a nord di Meridian.
Dopo un lungo silenzio pensieroso, Phobos distoglie gli occhi dal viso della madre e accenna solenne a salire lo scalone.
A questo segno, decine di persone lo seguono: consiglieri, dignitari e vassalli da tutto il metamondo, teletrasportatisi in fretta nella capitale non appena ricevuta la notizia della scomparsa di Lei.
Dopo il primo passo simbolico, Phobos svanisce alla volta della sala del trono: fare a piedi dodici rampe di scale non si addice certo al suo rango.
Poco dopo, in piedi accanto al Trono di Luce, Phobos attende con pazienza che i nobili, i consiglieri e i vassalli prendano posto davanti a lui. In prima fila Cedric, nuovamente in forma umana, evita il suo sguardo dopo il suo fallimento della mattinata.
“Nobili vassalli, saggi consiglieri, fidati dignitari, questo è un momento di grave crisi”, esordisce Phobos con voce ferma. “La nostra amata Regina, morendo, ha lasciato un’erede designata al trono: la Principessa Elyon, mia sorella, nata da poco più di un mese. Ma il tradimento più vile ha colpito la mia famiglia: con mia madre appena spirata, Elyon, la settima Luce di Meridian, è stata rapita da tre traditori, tre persone in cui la Regina aveva riposto tutta la sua fiducia”.
Esclamazioni soffocate di sorpresa, e una ridda di interrogativi solo pensati, provengono dagli astanti; evidentemente non tutti lo sapevano già.
Dopo una pausa a effetto, prosegue: “Questi traditori hanno portato con sé la Principessa sulla Terra, con l’aiuto dell’infame congrega di Kandrakar”.
Si ferma un attimo a studiare le reazioni. Tutti i visi, pur turbati, sono composti e silenziosi, ma c’è qualcosa di come distonico nei pensieri che sta percependo da loro.
“Ebbene, io prometto che farò di tutto per riportare qui mia sorella, e io stesso la incoronerò come settima Luce di Meridian”.
Si interrompe. Le sue parole sembrano piaciute ad alcuni, ma c’è altro. Rapidamente, sui visi compunti prendono forma pensieri anonimi, sempre più numerosi, soprattutto dal gruppo dei consiglieri di Meridian: ‘Invece scommetto che non gli dispiace’. ‘A chi vuole darla da bere?’.
Soffocando lo sdegno che sente nascergli dentro, continua: “Con la morte nel cuore, accetto l’incarico temporaneo di Reggente in vece della legittima Regina. Non chiamatemi Re, quel titolo non mi spetta. Chiamatemi semplicemente Principe dei Principi”.
Mentre la sala resta silenziosa, il coro di pensieri si fa assordante: ‘Principe dei Principi!’. “Semplicemente!’. ‘E’ più o meno di Re?’. ‘La nostra Principessa non tornerà più’. ‘E’ stato lui a farla rapire. Ne aveva tutto l’interesse’. ‘La Regina lo ha evitato per gli ultimi nove mesi’. ‘Allora le cose non cambieranno più?’. ‘Tratta come dei vermi anche i consiglieri più prestigiosi’. ‘Ha le mani sporche del sangue dei cittadini’. ‘A chi la vuole raccontare?’. ‘I suoi figli non avranno i poteri, e governeranno con la forza delle armi’. ‘Forse quei tre la hanno solo portata in salvo’. ‘Abbiamo già avuto un assaggio di che pasta è fatto’. ‘Le profezie della Regina non hanno mai mentito’.
I nobili provenienti da tutto il resto del metamondo si guardano in giro discretamente, cercando di nascondere stupore e imbarazzo, mentre i pensieri di protesta esplodono, venendo non solo dalla sala, ma anche dalle scale, dalla base della torre, e più confusi, come un lontano rimbombo, dallo spiazzo alla base al palazzo, poi dalla salita, e in meno di un minuto si sono estesi a tutta la città. ‘Il tiranno….’, ‘… sangue…’, ‘… l’acqua magica di tutti…’, ‘…Elyon…’, ‘…ha fatto uccidere mio marito…’, ‘…tiranno…’, ‘…tiranno…’, ‘…tiranno…’.
La sala resta immersa nel silenzio più irreale mentre i muti, rimbombanti pensieri di sfiducia e protesta la pervadono, senza trasparire dai visi compunti e imperturbabili. Qualcuno si guarda attorno, qualcuno abbassa gli occhi, tutti mantenendo sul volto la finzione dell’ossequio. In prima fila, anche Cedric, che all’inizio si è guardato in giro, resta immobile e irrigidito in quella parodia di solennità.
Phobos avrebbe voluto proseguire parlando della legge di successione, ma questo chiasso di pensieri lo confonde, lo scoraggia, infine lo sdegna. E’ intollerabile, nessun Escanor ha mai dovuto subire un tale oltraggio! Controlla a fatica la sua collera, chiudendo prima del tempo la riunione. “Signori è tutto. Ora andate, e fate il vostro dovere!”.
Cercando di mascherare ira e disagio, il Principe dei Principi svanisce in un tremolio accompagnato da un suono greve, come di un continente che sprofonda.
Meridian, ingresso del Giardino di Phobos
Pochi minuti dopo, Cedric cerca di ottenere udienza da Phobos. È alla porta che dalla torre est dà sul giardino interno, al piano sotto della sala dove, nell’ultima ora, più di duemila cittadini hanno rinunciato al sonno serale per vegliare il corpo della loro Regina.
I soldati lo hanno lasciato superare la porta senza problemi, ma dopo pochi passi un nuovo ostacolo si interpone tra lui e il Principe: un mormorante. L’essere gli sbarra la strada inclinando un’arma dalla foggia misteriosa che può essere mille cose, tranne che una semplice lancia.
Il disagio di Cedric è acuito dal non riuscire a leggere i pensieri di questo alieno, che tuttavia, lo ha già constatato in diverse occasioni, riesce a trasmettergli le sue parole senza neppure aprire la bocca.
“Ho bisogno di parlare con il Principe con urgenza”, esordisce il direttore dei servizi segreti. “Sua Altezza ha ragione di essere sdegnato per il mio insuccesso: tra tutti i portali, non ho potuto indovinare al primo tentativo quale avrebbero scelto; ho esaurito le mie energie magiche perché mi sono teletrasportato con le guardie in quelli sbagliati, e poi ci siamo ridotti a inseguirli a piedi”. Pur disorientato davanti allo sguardo ermetico e alla mancanza di reazioni del mormorante, si fa forza e riprende: “Colpa mia, non lo nego. Ma ora è un momento cruciale e bisogna essere realistici: ho bisogno di istruzioni su come condurre la ricerca della Principessa”.
‘Aspetta qui, Lord Cedric. Riferirò la tua richiesta al Principe dei Principi’. Pensato questo, l’essere si dirige con grazia verso il folto del giardino senza emettere un fruscio.
Phobos è seduto sul pendio erboso, mentre l’incredulità ha definitivamente lasciato il posto all’amarezza. Gli abitanti di questa città sono feccia, falsi e ipocriti. Sanno solo sputargli il loro odio anonimo, senza neppure mostrargli il loro vero viso mentre fingono ossequio. E tutto questo proprio mentre erano presenti i vassalli di ogni contea. Non si sono resi conto di che figura orrenda hanno fatto fare al loro Principe, alla loro capitale, davanti ai rappresentanti di tutto il Metamondo?
Dovrà cambiare qualcosa, in questa città. E come, se cambierà! Mai più si ripeterà un simile oltraggio! Intanto, non vorrà mai più avere a che fare direttamente con quegli esseri meschini.
Il mormorante si avvicina al pendio, facendosi notare da Phobos.
Per lui, il Principe riesce ancora ad abbozzare un sorriso tirato. Caleb, la sua prima creatura. Un essere nobile, derivato dal fiore di una pianta maestosa, mai corrotto dalla meschinità di quella che nel suo mondo osa dirsi umanità.
“Cosa c’è, Caleb?”.
‘Mio principe, Lord Cedric si è presentato ancora per avere udienza’.
Phobos si adombra. Il direttore dei servizi segreti gli è ormai diventato sgradito, sia perché ha fallito in un compito importantissimo, sia perché ha assistito alla sua umiliazione pubblica senza battere ciglio; anzi, per quanto ne sa, alcuni di quei pensieri avrebbero potuti essere suoi. “Non è il momento, ora. Ti ha spiegato cosa vuole?”.
‘Sì, mio Principe. Ha bisogno di istruzioni per cercare la principessa Elyon’.
Phobos annuisce lentamente, con fastidio. “Allora, digli che il mio volere è che deve fermare tutte le operazioni sulla Terra: quell’idiota dovrebbe ben sapere che i portali rimasti sono molto preziosi, dopo che si è fatto rubare il mio sigillo. Senza di quello non possiamo riaprirne altri, perciò non dobbiamo rischiare in nessun modo che quelli esistenti possano essere chiusi per sempre dalla strega di Kandrakar”.
‘Capisco. E’ tutto?’.
“Aggiungi che Cedric dovrebbe concentrarsi sui nemici interni, e lui sa già a cosa mi riferisco, se non è del tutto idiota. Che scruti i pensieri di tutti, a partire da consiglieri e funzionari. Che individui rapidamente chiunque mi è ostile, e faccia pulizia a cominciare dai massimi livelli”.
‘Lo farò, Mio Principe’.
“E poi, Caleb: scruta i pensieri di Cedric, e riferiscimi se posso ancora avere qualche fiducia in lui”.
‘Lo farò, mio principe. Ma, perdonate, per cosa conserverete i portali inutilizzati?’.
Phobos si stupisce della domanda: non aveva previsto che la sua prima creatura potesse sviluppare certe curiosità quasi umane. Ma per un attimo, il suo senso di solitudine ha la meglio. Risponde con una domanda prudente: “Caleb, secondo te leggere i pensieri di un morto è lecito?”.
‘Non vedo perché no, mio Principe’.
Per un attimo Phobos sospira sollevato, poi scaccia quel pensiero sciocco: Caleb è una sua creatura, non è certo a lui che deve rispondere del suo operato. Riprende, ieratico: “Io ho letto i ricordi di mia madre. Ho visto parte del futuro che lei ha preconizzato. Mia sorella Elyon sarà incoronata Regina tra circa undici anni”.
‘Questo significa che voi non diventerete mai Re di Meridian?’.
Phobos resta sorpreso che il mormorante abbia indovinato la sua aspirazione suprema. “Le profezie della Luce di Meridian sono infallibili, però non specificano cosa le succederà dopo incoronata: potrebbe anche morire subito. Ed è questo che io le riserverò, non certo un matrimonio dinastico”. Sorride, compiaciuto della sua astuzia.
‘Allora, non intendete proseguire la dinastia?’.
Il Principe scuote il viso. “No. Sarò il primo re Escanor, e al tempo stesso l’ultimo. Che il mio regno duri per sempre, come spero, o solo pochi secoli, io non misurerò la mia grandezza con quella di alcun successore”. Una briciola di follia brilla nel suo sguardo quando conclude: “Se ci sarà un dopo, il caos che vi sorgerà sarà la più perfetta cornice per la gloria del Mio Regno”.
Per un minuto, i pensieri della creatura tacciono, mentre riflette sull’enormità della decisione rivelatagli. Poi riprende: ‘ Quindi entro undici anni la principessa Elyon tornerà a Meridian. Ma perché non cercarla adesso?’.
“Dipende da altri frammenti di profezie”, spiega il principe, “So che la sua finta famiglia si chiamerà Portrait, che farà le scuole medie allo Sheffield Institute di Heatherfield, e avrà due compagne di classe che si chiameranno Cornelia e Will. Questo è destinato ad accadere alla fine di quello che sulla Terra è il secondo millennio. Mancano appunto undici anni. Cercarla ora è semplicemente inutile, è un fallimento annunciato”.
L’essere annuisce, senza lasciar trasparire emozioni sul suo viso perfetto. ‘Queste compagne di classe avranno qualcosa di speciale?’.
Phobos annuisce. “Forse sì. Un altro frammento di profezia prevede i nomi delle Guardiane della prossima generazione, e tra queste ci sono anche una Cornelia e una Will, assieme a una Irma, una Taranee e una Hay Lin. Non sono nomi comuni neanche sulla Terra”.
‘Intendete cercare e far sopprimere queste ragazze prima che prendano le consegne?’.
“Vedremo. Prima è necessario che la profezia si realizzi, altrimenti rischiamo di colpire delle semplici omonime. L’ideale sarebbe catturarle subito dopo, quando saranno ancora inesperte, così forse otterremo anche il Cuore di Kandrakar”.
‘Capisco. E quindi, come agirete con la Principessa?’.
“Farò calmare le acque per una decina di anni, poi farò controllare lo Sheffield Institute. Per una fortuna insperata, uno dei nostri portali si apre proprio nella palestra di quella scuola. Quando si saranno realizzate tutte le condizioni profetizzate, farò arrestare i traditori e portare qui la piccola Elyon. Le spiegherò chi è lei veramente, e che quei traditori che credeva i suoi genitori la hanno rapita e ingannata, ma non le darò modo di sospettare che le cose stiano in modo leggermente diverso. Poi le offrirò il trono, da bravo fratello, e la sua breve storia finirà in gloria”.
L’essere annuisce, senza lasciar trasparire emozioni. ‘Ora comprendo perché non volete arrischiare i portali prima del tempo, mio Principe. Avete già pensato anche come risolvere a vostro favore anche l’altra profezia della Regina?’.
“Cosa intendi? Quale profezia?”, si adombra Phobos.
‘Quella che prevede la vostra morte un anno dopo questi eventi’.
Squadra la sua creatura con occhi ostili. “E tu come la sai?”.
‘Ve l’ho letta nel pensiero, mio Principe. Non dovevo?’.
Phobos impallidisce, come per un insulto. Si alza in piedi, dominando la creatura con la sua statura imponente, e la guarda gelidamente. “Questo non avverrà, Caleb. Devo ancora trovare il modo di aggirare questa profezia, ma ci riuscirò, non dubitarne! Io non sono vincolato dal fato, come il resto del mondo. Io mi costruirò il mio futuro attraverso la mia volontà. Io sono un Dio, non dimenticarlo mai!”.
‘Non intendevo sminuirvi, mio Signore. Perdonatemi’.
Phobos continua: “In ogni caso, io sono fatto per dominare. Non sopporto limitazioni, che siano profezie infallibili, o una sorellina da sposare controvoglia, o un popolo a cui rispondere delle mie decisioni. Se dovrò morire per questo, morirò, senza abbarbicarmi penosamente alla vita come hanno fatto mio padre e mia madre”.
Appena scandita questa frase, Phobos sente un brivido lungo la schiena, come se avesse bestemmiato, poi si sforza di riprendere la sua calma principesca. “Puoi andare, ora. Riferisci a Cedric solo quello che deve fare ora, niente di più. Anzi, scordati tutto il resto che ti ho detto”.
Mentre Caleb si allontana impassibile e silenzioso, diretto verso l’ingresso dove Cedric attende risposta da molto, il Principe torna a sedersi sul pendio soffice, distendendosi sull’erba tra le gialle corolle dei fiori profumati. Per la prima volta, una sua creatura è riuscita a indisporlo con le sue domande, anche se certo senza intenzione di provocarlo. Però ora si vergogna di quello che gli è sfuggito sui suoi genitori. E tutto per colpa dell'inattesa curiosità di Caleb. I prossimi mormoranti dovranno essere molto più discreti.
Mentre il dolce profumo lo avvolge, i suoi pensieri corrono alla sua seconda creatura. “Neobia, dove sei?”.
‘Qui, mio principe’, risponde un pensiero etereo e dolcissimo. Da un bellissimo albero fiorito emerge una sagoma leggiadra, dai tratti femminili e dai sottili occhi dal taglio perfetto. Avvolta nella sua lunghissima e lucente chioma color lilla, la creatura si avvicina silenziosa con movimenti fluidi e lenti. La sua pelle verde, liscia e quasi lucida, ha la bellezza delle foglie e dei fiori, e lo stesso odore. Distendendosi a fianco di Phobos, gli trasmette pensieri di serenità. ‘Neobia è con Voi, mio Principe. Dimenticate il resto. Qui ci siamo Voi, Neobia, e la magia del Vostro giardino’.
Mentre cortine di rampicanti si chiudono attorno al principe Phobos e alla sua magnifica creatura, il mormorante Caleb ha finito di riferire a Lord Cedric le poche, perentorie istruzioni che gli spettano, e torna nel folto del giardino, fondendosi con il tronco di un albero secolare.
Impresso sulla corteccia come un vago bassorilievo, Caleb comincia a riflettere silenziosamente sulle parole del principe, sui suoi pensieri inespressi, sul suo stesso esistere.
Nel giardino di Phobos, il seme del dubbio comincia a mettere le sue prime radici.
Los Angeles, hotel Vera Cruz
Le ombre della sera stanno calando su questa città, facendola accendere di mille luci proprie e incredibili .
Guardando il cielo sempre più scuro dalla finestra della loro nuova stanza d’albergo, Thomas scruta in basso, lungo le vie sottostanti punteggiate da mille luci natalizie e percorse dalle tanto temute automobili, aspettando di vedere se davvero stireranno qualcuno. E’ uno spettacolo bellissimo e carico di minaccia. Chiunque, di quelle persone che percorrono veloci i larghi marciapiedi, senza salutarsi e forse senza neanche guardarsi, potrebbe essere un nemico trasformato.
“Thomas, è inutile che fai la vedetta alla finestra” lo richiama Eleanor, “Tanto, se arriveranno, non li vedrai neppure finché non sarà troppo tardi. Rilassati, o desterai solo sospetti. Piuttosto, controlla se ci sono zanzare in camera. Quelle sì, possono tradirci”.
Dopo un’attenta occhiata a pareti e soffitti, lui torna a voltarsi verso la donna, guardandola con imbarazzo e cercando di convincersi che è sempre la sua Miriadel. E’ seduta sul letto con il seno scoperto e la bambina beata tra le braccia. La sera prima è bastato un tocco di Galgheita sotto le sue orecchie, accompagnato da una frase sibillina su cose misteriose chiamate ipofisi e prolattina, per fare cambiare qualcosa in lei, e ora la piccola Elyon sta poppando felice con grande impegno, mentre Eleanor le sussurra incerta delle paroline dolci in questo linguaggio per niente familiare.
Lui si siede accanto, sempre osservandole. Si sta pian piano abituando al nuovo aspetto di sua moglie, e forse un giorno riuscirà a trovarla di nuovo bellissima.
Lei gli sorride, e si appoggia sulla sua spalla. Si stanno lentamente rendendo conto, dopo l’eccitazione della fuga, che quasi tutto è cambiato nella loro vita. Ora non sono più il capitano Miriadel e il comandante Alborn, e dovranno bandire quei nomi dai loro pensieri per molti anni.
E quello tra le braccia non è un prezioso fagottino da addormentare con qualche magia, come hanno dovuto fare più volte in questa giornata concitata.
Da ora, e finché non sarà in grado di sopportare la verità, la piccola Elyon è loro figlia. Li chiamerà mamma e papà, li abbraccerà, li guarderà fiduciosa con gli occhioni grigi spalancati, come già li guarda ora che succhia beata dal seno. Vivranno assieme la mattina della sua vita, finché la giovane principessa sarà pronta per liberare il suo vero mondo dalla tirannia e riconquistare il ruolo che le spetta come Luce di Meridian.
Dopo quel momento di speranza, di lotta e di trionfo, forse un rimpianto velerà le loro giornate quando ripenseranno ancora agli anni felici e ingannevoli della sua infanzia.
FINE
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