Fly Away (Butterfly reprise) di OnlyHope (/viewuser.php?uid=5893)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doppio gioco ***
Capitolo 2: *** Nuova vita ***
Capitolo 3: *** Come piace a me ***
Capitolo 4: *** Fermo immagine ***
Capitolo 5: *** Sensi ***
Capitolo 6: *** Buon compleanno ***
Capitolo 7: *** Fulmine a ciel sereno ***
Capitolo 8: *** Leggere tra le righe ***
Capitolo 9: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 10: *** Ultima notte d'estate ***
Capitolo 11: *** Kronos ***
Capitolo 12: *** Ain't No Mountain High Enough ***
Capitolo 13: *** Tsunami ***
Capitolo 14: *** Le luci di Tokyo ***
Capitolo 15: *** Il bandolo della matassa ***
Capitolo 16: *** Tutto quel che ho ***
Capitolo 17: *** L'aurora ***
Capitolo 18: *** 100 per cento ***
Capitolo 1 *** Doppio gioco ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 1
Doppio gioco
Spalle
alla parete fredda e dura, sento le mie scapole premute forte contro il
muro.
Nella penombra riesco a vedere ben poco, immagini non definite che
metto a fuoco nella mia mente, aiutato dalla familiarità di
ogni oggetto nella mia memoria.
Ogni tanto i miei occhi abituati al buio, sono colpiti da un fascio di
luce abbagliante proveniente dal cellulare che stringo in mano con
forza.
Lo apro sicuro per un attimo, poi lo richiudo veloce, quasi tremante,
sentendo quella sicurezza come svanita nel nulla.
E così ancora un’altra volta e questa luce che
compare e scompare intermittente, simile ai miei pensieri e alla mia
decisione.
Decisione che sembra fatta di pura forza un attimo prima, che si
sgretola fragile un secondo dopo.
I miei occhi si chiudono esausti per un po’, poi si riaprono
e fissano il rettangolo di carta poggiato a terra, accanto ai miei
piedi nudi.
Una serie di parole e numeri messi uno accanto agli altri.
Una sola destinazione, nessuno ritorno...
Sorrido osservando le lettere che compongono il nome della meta del mio
viaggio, ciò che per anni è stato
l’obiettivo da raggiungere, ma anche la mia ossessione e
ricordo con emozione il momento in cui
l’impiegato dell’agenzia di viaggi,
allungando il braccio teso, mi ha porto questo biglietto.
Entusiasmo e gioia pura sono i sentimenti che mi hanno sopraffatto nel
momento in cui l’ho stretto tra le mani, perché
è stato un po' come sfiorare una stella che sembrava
così lontana e riuscire ad afferrarla.
Sorrido di nuovo se penso a quel momento, non posso proprio farne a
meno.
Sorrido…
Almeno fino a quando non arriva il resto.
Il resto dei miei pensieri.
Non è stato il massimo decidere quando partire, fare ogni
cosa in silenzio senza parlarne con nessuno, sparare cavolate per
riuscire a rimanere solo e correre in agenzia.
E’ stato triste, forse sbagliato o semplicemente da
vigliacchi.
Alzo di nuovo lo sguardo, nell’oscurità intuisco
ombre ed oggetti, quelle cose familiari che da domani non saranno
più parte della mia quotidianità, tramutandosi in
ricordo. Istintivamente gli occhi cercano la foto con tutta la
nazionale scattata non più di sei mesi fa a Parigi.
Wakabayashi sorride sornione da sotto la visiera, Taro tiene un braccio
sulle mie spalle mentre Ishizaki ha sempre la sua solita faccia da
scemo.
E così un nuovo tipo di sorriso increspa le mie labbra,
stavolta fatto di malinconia, perché è vero che
da domani inizierà la vita che ho sempre desiderato, ma
questo significa anche che d’ora in poi sarò solo.
Non ci saranno più i miei amici con me a sostenermi e
aiutarmi.
Solo…
Ed è necessario quindi che incominci ad abituarmi a questa
condizione fin da adesso.
Continuo a fissare i volti felici dei miei compagni forse in cerca di
comprensione.
Spero che possiate perdonarmi ma non riesco proprio a
salutarvi… e in fin dei conti cosa avrei potuto dire per
addolcire la pillola? Meglio tenersi i bei ricordi e basta, senza
portarsi dietro il peso della separazione.
Così il mio sguardo torna a posarsi sul biglietto ai miei
piedi, probabilmente per rimarcare nella mia testa le motivazioni che
mi hanno spinto a comportarmi come un ladro nei confronti dei miei
amici. E’ un pezzo di carta che vale oro e che mi
costerà un prezzo molto alto.
Con un sospiro riapro inconsciamente il cellulare rimanendo abbagliato
ancora una volta dalla luce dello schermo.
Mi mordo le labbra mentre le mie dita premono febbrilmente il tasto
dello scorrimento della rubrica, dopo qualche secondo si arrestano e
trattengo il respiro osservando il nome che compare sul display.
Sanae-chan…
E questo sì che è difficile da fare, questa
sì che è una decisione che non riesco a prendere
definitivamente. L’unica cosa certa che so è che
non posso vederla. No... Lei sicuramente no.
A dirla tutta so che non dovrei nemmeno chiamarla, evitando
così parole inutili che tanto non servirebbero a niente.
Ma lei mi perdonerebbe se me ne andassi via così? Senza una
parola? Riuscirebbe a capirmi? Forse sì...
Di sicuro però piangerà, ma lo farà
comunque anche se...
Ma chi voglio darla a
bere!
Sto cercando di pensare a lei e al suo bene per prendere una decisione,
ma anch'io non riesco a fare sempre la cosa giusta, né
capire quale sia e se seguissi solo ciò che sento allora io
…
Vorrei vederla più di qualsiasi cosa.
Vorrei andare da lei pur sentendo che potrebbe essere la
cosa più dolorosa di questo mondo
d’affrontare.
Vorrei vederla, per guardarla ancora una volta prima di partire.
Ma non sono così forte da poter pensare di riuscire a farlo.
Continuo a fissare il suo nome e il suo numero con una stretta
così forte allo stomaco che mi fa sentire come se
mi mancasse l’aria.
Devo chiamarla.
Per lei. Per me.
Perché posso arrivare forse a rassegnarmi di non vederla, ma
non posso accettare che ieri sia stata anche l'ultima volta che ho
sentito la sua voce. Che non rivedrò il suo viso lo devo far
entrare ancora bene in testa, ma non ho scelta.
E come un vigliacco ripenso vergognandomi alle volte che per nascondere
la partenza ho mentito pure a lei, perché forse avrei dovuto
parlarle, senza tenerla all’oscuro di tutto,
perché forse
glielo dovevo.
Ma mi convinco subito che è stato meglio così,
almeno in questo modo l’ultimo ricordo che avrò
del suo viso sarà illuminato da quel suo sorriso e
così potrò forse riuscire a sorridere
anch’io ripensandoci.
Sono un egoista.
E seguendo quelli che sono i miei desideri, prendo un respiro per farmi
coraggio, respiro che sembra soffocarmi invece che liberarmi dal peso
del mondo che porto sul petto e il mio pollice preme sul
tasto verde che avvia la chiamata più difficile della mia
breve esistenza.
Deglutendo a fatica osservo la piccola cornetta nera che inizia a
lampeggiare affianco al suo nome, i battiti accelerati del mio cuore si
confondono al suono monotono e prolungato degli squilli.
Deglutisco ancora quando sento aprire la comunicazione e la sua voce
allegra e felice, come ogni volta che ho il piacere di sentirla
pronunciare il mio nome.
Chiudo gli occhi stringendo forte le palpebre mentre i polmoni cercano
di gonfiarsi ancora di aria, in modo da raccogliere tutta la forza
d’animo di cui ho bisogno e di cui di solito vado
così tanto fiero.
Sorride…
E mi si spezza il cuore in questo istante perché so che
quando aprirò bocca, spazzerò via quel sorriso
sereno dalle sue labbra.
Perché sto per dirti addio per telefono e con pochissimo
coraggio.
Come un codardo.
Ma perdonami, non avevo altra scelta.
Volevo solo sentirti...
"Fly Away" non è il seguito di B. come avrete capito,
né tantomeno la sua copia, ma solo una raccolta di momenti
vissuti questa volta da Tsubasa, alcuni già "visti" dal pdv
di Sanae, altri completamente inediti perché
vissuti solo da lui. Alcune amiche, terminata la FF, mi hanno chiesto
più volte cosa pensava, provava o faceva Tsubasa durante
alcuni episodi di B. , io ovviamente sapevo cosa rispondere
perché nella mia testa la storia comprendeva entrambi i pdv,
così mi sono detta che magari poteva essere piacevole
mostrare a chi aveva seguito le avventure di Sanae la completezza della
storia. Questa "specie di raccolta" quindi vuole essere una sorta di
ringraziamento per chi ha seguito B. per tanti mesi. Ci tengo a
precisare che non ci saranno comunque 35 capitoli ma più che
altro inserirò gli episodi seguendo sì l'ordine
cronologico di B. , ma senza ripetere passo passo ogni capitolo. Per
ora mando un abbraccio a quelle amiche che hanno "insistito"
affinché nascessero questo e i capitoli che man mano
inserirò e un saluto a chi magari incuriosito
avrà aperto questa pagina... OnlyHope^^
P.S. un grazie speciale a Manila per l'aiuto... <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Nuova vita ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 2
Nuova vita
Le ore in aereo mi sembrano
interminabili.
Non mi va
di fare nulla per ammazzare il tempo, né leggere,
né giocare con la console, né tantomeno seguire
il film proposto ai passeggeri, forse dovrei provare semplicemente a
dormire perché qualcosa mi devo pur inventare per riuscire a
non pensare troppo.
Già
non pensare, come se fosse possibile staccare il cervello quando la tua
vita sta per cambiare radicalmente, quando è ormai
già cambiata inevitabilmente.
Mi giro
verso il finestrino, il mio sguardo si perde, per minuti che sembrano
interminabili, nelle nuvole bianche oltre il vetro mentre nelle mie
orecchie rimbomba una delle canzoni della playlist che il buon Ishizaki
ha caricato nel mio Ipod non più di un paio di giorni fa.
E sembra già
passato un secolo…
Nulla di
deprimente, gli avevo chiesto con la scusa che mi servisse per andare a
correre, e il mio amico ha eseguito, ignaro, alla
lettera… Fortunatamente.
Così
grazie alla musica assordante che mi riempie la testa, sto riuscendo
pian piano a spengere i miei pensieri e fissando il cielo azzurro sopra
la coltre di nuvole che sembrano tanto soffici, mi lascio semplicemente
scortare verso la mia meta e le mie ambizioni.
Ed
è un bene questo momentaneo estraniamento, perché
non so capire fino in fondo quale sensazione prevale nel mio cuore tra
l’eccitazione, uno stato confusionale, un po’,
tanta, ansia e l’inevitabile dolore.
Sì
perché ogni volta che la mia mente parte per lidi di
felicità, dove l’euforia per ciò che mi
aspetta la fa veramente da padrona, un retrogusto amaro arriva per
ricordarmi che non sarà facile iniziare tutto da capo, da
solo e che se mi sembra di aver già pagato abbastanza, col
distacco, il prezzo del mio futuro successo, il bello deve ancora
arrivare.
Perché
realizzare i miei sogni, ha anche il sapore salato di quella lacrima
che è scesa lungo la mia guancia dopo aver dato
l’addio che volevo più di ogni altro evitare.
Perché
ricorderò per sempre i suoi occhi gonfi dal pianto e non
scorderò mai la morsa che ha serrato forte il mio petto nel
momento in cui l’ho stretta a me, consapevole che fosse per
l’ultima volta.
Così non
va…
Mordo le
labbra per un istante, rimproverandomi di aver riportato i miei
pensieri là.
Staccare il
cervello torna a essere la mia priorità assoluta, per
preservare la mia sanità mentale e per farlo alzo
istintivamente al massimo il volume dell’Ipod, in modo che la
mia testa sia piena solo di musica e nient’altro.
Chiudo gli
occhi ora, per nascondere alla mia vista anche il minimo particolare di
quello che mi circonda, perché mi ricorda che mi sto
allontanando, secondo dopo secondo, sempre più da lei.
Li riapro
solo quando la musica s’interrompe all’improvviso e
non so dire quanto tempo sia passato.
Accecato
dal sole, che ora filtra forte dal finestrino, fisso l’Ipod
scarico nel palmo della mia mano e non so se sentirmi sollevato per il
silenzio nelle mie orecchie o spaventato dal percorso che potrebbero
prendere, ancora, i miei pensieri.
Ottimista
cerco di optare per la prima ipotesi quando un aiuto mi giunge
inaspettato dall’alto.
La voce
cordialmente monotona dell’assistente di volo annuncia
l’imminente atterraggio e così il mio cuore e i
miei sensi si concentrano sul fatto che sto per abbracciare finalmente
il mio sogno.
E se non
posso allontanare Sanae dalla mia mente, almeno posso tenerla nascosta
per un po’, all’ombra della nuova luce che sta per
scaldarmi.
Prendo un
respiro e socchiudo le palpebre per assaporare questo momento, che
sì ora sento così dolce.
Un brivido
attraversa la mia schiena.
Allaccio la
cintura di sicurezza.
Sorrido.
Sono pronto!
“E
questa è camera tua!”
Rispondo
con un sorriso, l’ennesimo, che deve quasi distorcere i
lineamenti del viso mentre Roberto mi fa strada in quella che
sarà, d’ora in poi, la mia nuova stanza.
Appena
varcata la soglia, mi guardo intorno un po’ spaesato, la
camera comunque non è niente male, arredata con pochi
fronzoli e molto spaziosa.
Le pareti
color azzurro pastello e completamente spoglie, sono il particolare che
attira maggiormente la mia attenzione perché conoscendomi,
immagino già che tra un mese non sarà
più possibile trovare nemmeno un centimetro libero per
capire di che colore siano.
Riempirò
tutto di poster e adesivi, proprio come nella mia camera in Giappone,
così magari sentirò pure un po’ meno la
mancanza di casa.
“Allora
raccontami un po’ del viaggio! Ti hanno accompagnato i
tuoi?”
Roberto si
appoggia alla scrivania appena sotto la finestra, incrociando le
braccia mi sorride per invogliarmi a parlare.
Mi accomodo
sul letto, tenendo il peso del corpo con le braccia leggermente
spostate dietro la schiena e l’osservo per un po’
prima di rispondergli, non che non l’abbia fatto mai da
quando sono atterrato, ma mi sembra così incredibile essere
veramente qui in Brasile, con lui.
Non
è cambiato molto negli ultimi tre anni, me ne sono reso
conto anche quando ci siamo riabbracciati a Parigi la scorsa estate, ma
credo che questo sia più che normale, probabilmente quello
per cui anche solo un mese può fare la differenza, sono
sicuramente io.
E
ripensando agli anni passati non posso non congratularmi con me stesso,
con un pizzico di compiacimento e soddisfazione, per essere riuscito
ugualmente a spuntarla, per non essermi arreso dopo il suo abbandono,
appena vinto il campionato delle elementari e per aver man mano capito,
in questo lungo periodo che ci ha tenuto separati, cosa lo
portò a decidere di lasciarmi in Giappone.
Per essere
riuscito a superare la delusione e il dispiacere, ma soprattutto per
aver creduto di poter essere alla sua altezza e che un giorno
quest’uomo mi avrebbe finalmente preso con sé, per
rendere al meglio le mie potenzialità, per far sì
che ogni stilla di sudore uscita dalla mia pelle negli allenamenti
interminabili che mi sono imposto, non sia stata vana e per aiutarmi a
diventare un vero fuori classe, il migliore.
Il quaderno
di suggerimenti che mi lasciò più di tre anni fa
ora non mi servirà più perché ci
sarà lui a guidarmi, ma ho deciso ugualmente di portarlo con
me, come talismano di buona sorte.
“No
ho deciso di andare da solo, tipo terapia d’urto!”
rispondo infine ridacchiando, incassando un po’ il collo
nelle spalle.
Roberto mi
guarda incredulo prima di domandarmi se ho riservato lo stesso
trattamento anche ai miei amici.
Annuisco
abbozzando, questa volta, un sorriso malinconico, perché
anche se so di aver fatto la cosa migliore, almeno per me, non credo
che un giorno non mi pentirò, causa mancanza di casa e
nostalgia, di non aver passato con loro un altro po’ di tempo
prima di andarmene.
“Quindi
non hai salutato nessuno prima di partire?” mi chiede ancora,
questa volta visibilmente perplesso per come mi sono comportato.
Rimango in
silenzio per alcuni secondi, spiazzato da una semplice e innocente
domanda, mentre le immagini del mio addio a Sanae riempiono la mia
mente progressivamente, accavallandosi l’una
all’altra.
E non so
che rispondere, le mie labbra rimangono semiaperte ma dalla mia gola
non emerge nessun suono mentre un calore improvviso alle gote si
propaga facendosi sentire velocemente in tutto il corpo.
Roberto mi
osserva aggrottando leggermente le sopracciglia, poi i suoi lineamenti
si addolciscono in un sorriso bonario.
“Magari
me lo racconti un’altra volta…” esclama
avvicinandosi fino a posare una mano sulla mia spalla “Ora
sei stanco, mangiamo un boccone e poi a letto! Da domani
comincerà la nostra sfida!”
Annuisco di
nuovo, sempre senza aprire bocca, ancora confuso dalle emozioni e
dall’imbarazzo che mi hanno travolto all’improvviso
e con un sorriso riconoscente, lo ringrazio per aver capito che ancora
non è decisamente il momento.
Perché
lo strappo è troppo recente, perché davvero non
posso parlare di casa mia ora, che non è passato un giorno
che l’ho lasciata.
E
perché forse, semplicemente, non mi sono reso conto ancora
di quanto lei mi
mancherà…
E di nuovo non mi ha passato
la palla quello!
Riprendo
fiato posando le mani all’altezza dei reni, poco sopra i
cordini che stringono la mia casacca giallo limone.
Sono i
primi giorni d’allenamento e le cose, devo ammetterlo, non
è che stiano andando alla grande.
Un
po’ me l’aspettavo per carità, ma non
posso non rimanerci comunque un po’ male.
Perché
in Giappone tutto era semplicissimo, io ero l’allenatore di
me stesso e tutti i miei amici e rivali, mi spronavano a fare del mio
meglio, senza avere il minimo dubbio sulle mie
potenzialità e sulla mia tenacia.
Qua in
Brasile invece è tutta un’altra storia e
l’ho capito da subito.
I ragazzi
che partecipano come me alle selezioni per il Sao Paulo non guardano in
faccia nessuno, concentrati come sono solo su loro stessi e non hanno
il benché minimo interesse a sapere chi io sia o quanto
possa essere stato bravo nel mio Paese.
Anzi
proprio il fatto che sia giapponese, li porta a disinteressarsi
completamente a me, con una nota di superiorità dovuta al
fatto di essere nati nella parte giusta del mondo, calcisticamente
parlando.
Roberto
poi, che a casa è come un padre con me, una volta arrivati
qui al campo, si trasforma in un allenatore impassibilmente severo,
facendomi sgobbare almeno quattro volte più degli altri.
E non
perché posso essere considerato il suo pupillo, non solo per
quello almeno, visto che devo ancora dimostrare tutto qua in Brasile e
soprattutto a lui, ma perché oggettivamente, il calcio del
mio Paese non mi ha messo nelle stesse condizioni degli altri ragazzi
che sono qui a pretendere un posto in squadra come me.
Parto un
gradino indietro, è un dato di fatto e non posso farci
niente, se non rimboccarmi le maniche e impegnarmi.
Eccolo di nuovo con quello
sguardo torvo… penso osservando
l’unico ragazzo che sembra degnarmi un minimo a differenza
degli altri, peccato che la sua attenzione non sia mossa minimamente
dalla voglia di fare amicizia.
Non mi
rivolge parola, proprio come tutti, ma invece che limitarsi a
ignorarmi, è così gentile da regalarmi, spesso e
volentieri, sguardi al vetriolo ogni volta che incrocio il suo sguardo.
E non fa
proprio nulla per nascondere la sua ostilità ed io nemmeno
posso restituirgli il piacere, visto che ogni volta che vorrei farlo,
mi torna in mente la gaffe involontaria, che mi ha innalzato ai suoi
occhi da essere invisibile, anonimo numero sulla tabella dei rivali da
far fuori, a emerito pezzo di merda.
Abbassando
lo sguardo, fisso la punta dei miei scarpini nuovi ai quali associo
immediatamente lo sguardo assassino che questo ragazzo dalla pelle
scura mi ha lanciato la prima volta che ho messo piede, con Roberto, in
questo campo e avverto così la stessa sensazione di disagio
che mi ha colpito quando il mio sguardo incredulo, è sceso
dal suo volto incazzato agli scarpini ai suoi piedi, completamente
consumati e logori.
Perché
qui in Brasile non si gioca solo per passione, ma purtroppo spesso
anche per fame e le mie scarpe di marca nuove temo siano per lui un
continuo schiaffo in faccia, visto che ignora completamente che io
invece le indosso solo perché sono un regalo di Sanae.
Per questo
non ci riesco ad avercela con questo ragazzo, che ovviamente non
ci ha tenuto proprio a presentarsi, visto che crede io sia
l’ennesimo stronzo con i soldi venuto a rubargli il posto e
il pane.
Con un
sospiro sconsolato, mi concentro di nuovo sulla partita
d’allenamento e una volta rimessi gli occhi sul pallone,
scatto deciso verso la porta avversaria e quando mi trovo a pochi passi
dal difensore in possesso di palla, scivolo sull’erba senza
esitazione, rubando la sfera ai suoi piedi.
Mi rialzo e
continuo la mia corsa, ostacolata nemmeno qualche metro dopo, da un
altro avversario.
Mi fermo di
fronte a lui, il piede destro sulla palla, e simulo un paio di finte
che però non l’ingannano, così non mi
resta che cercare aiuto e con la coda dell’occhio noto
proprio il ragazzo
incazzato con me che si sta smarcando da un avversario.
E
fregandomene del fatto che mi gambizzerebbe volentieri e che lui, al
posto mio, meglio segnerebbe un autogol che fare un assist sotto porta
proprio a me, gli passo la palla che, tracciando una parabola in aria,
attera precisa sul suo petto e cade poi ai suoi piedi.
E’ forte…
penso seguendo la sua corsa che finisce però malamente,
sotto la poderosa gomitata al petto che gli ha rifilato il tizio alto
due metri con la casacca verde che arriva a malapena ai fianchi.
La palla
rotola così lontano da loro incustodita ed io, che proprio
non so cosa voglia dire arrendersi, mi getto al suo inseguimento dando
sfogo a tutte le mie energie.
Riesco a
raggiungerla anticipando un avversario, velocemente giro su me stesso
per proteggere il pallone e poi di nuovo di corsa verso la porta.
Un terzino
mi si para davanti, con lo sguardo cerco ancora aiuto intorno a me ma
poi il varco tra le sue gambe mi sembra troppo invitante per non
tentare un tunnel.
La sfera
gli passa tra i piedi mentre lo sorpasso e quando ne sono di nuovo in
possesso, proseguo la mia corsa fino a vedere il portiere a pochi metri
da me e so che è il momento.
Certo la
mia posizione non è delle migliori ma potrei comunque
farcela, tanto vale provare ma mentre sto caricando il tiro, scorgo di
nuovo, diagonalmente a me, il ragazzo
incazzato completamente smarcato, con il portiere
spiazzato e tenuto in gioco di un soffio da un difensore.
Lui è nella
posizione ideale, è un goal assicurato.
E
così senza pensarci due volte, quello che doveva essere un
tiro, e magari un goal da annuario vista la posizione, diventa un
assist per il mio nemico,
che con stupore stoppa di nuovo di petto e con decisione poi tira al
volo … e segna.
Salto
felice con il pugno in aria e preso dalla mia solita euforia, che mi
annebbia completamente il cervello, corro istintivamente incontro al
mio compagno che ha segnato.
Circondo il
suo collo con un braccio, congratulandomi spontaneamente in portoghese,
completamente dimentico del fatto che il ragazzo non mi sopporta
proprio.
Ma
è più forte di me, non so controllarmi e mi rendo
conto d’aver esagerato solo quando il fischio del secondo di
Roberto ci richiama a centrocampo.
Ok Tsubasa! Con questa
simpatica iniziativa hai decretato definitivamente la tua condanna a
morte…
Sorridendo
imbarazzato e grattandomi la testa mi allontano così dal ragazzo incazzato
senza il coraggio di guardarlo in faccia, mentre mentalmente continuo a
darmi dello stupido.
Mi fermo
stupito e mi volto però, quando lo sento pronunciare il mio
nome, storpiato un po’, un bel po’, dal suo
accento.
“Tsubasa!”
ripete avvicinandosi con lo sguardo sempre serio, ma meno ostile mi
sembra di capire.
“Io
sono Pepe!” e mi porge la mano con fare deciso che io, ancora
stupito, fisso per un po’ prima di stringerla sorridendo
allegramente.
Lo sento
rispondere alla mia stretta con decisione poi con un cenno del capo si
allontana di nuovo, senza aggiungere un’altra parola e mentre
osservo la sua schiena allontanarsi mentre si dirige al centro del
campo, avverto per la prima volta una sensazione di speranza.
Perché
il pallone è il mio migliore amico, ma non può e
non deve essere l’unico.
Vorrei
semplicemente ringraziare tutte le persone che si sono avvicinate al
precedente primo capitolo. Come sempre mi mancano le parole adeguate
per esprimere la mia gioia e l’entusiasmo che mi avete
trasmesso. Spero di fare del mio meglio con questa storia e di non
deludere le aspettative di nessuno, in particolare di chi ha seguito B.
Ringrazio
le mie amiche che mi hanno incoraggiata ad intraprendere questa nuova
avventura, per gli stimoli, l’affetto e l’aiuto.
Ringrazio le “nuove conoscenze” per
l’interesse e l’attenzione.
Al
prossimo capitolo!
Un
abbraccio, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Come piace a me ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
3
Come
piace a me
Quella
dello schermo è la sola luce che illumina la mia stanza.
Le mie dita scorrono sulla tastiera mentre nelle cuffie
dell’Ipod suona una canzone brasiliana, che Pepe ha voluto ad
ogni costo passarmi.
Scrivere di notte a Sanae mi permette di isolarmi, come se creassi una
bolla sospesa nel tempo e nello spazio, dove scompare il presente ed io
vivo solo dei miei sentimenti per lei.
Sentimenti che tento in qualche modo di gestire, ora che mi trovo in un
altro continente, migliaia di chilometri distante da lei.
Nelle mail che le mando non faccio altro che parlare degli allenamenti
e del mio impegno, non mi soffermo mai sulle difficoltà che
incontro ogni giorno, sarebbe inutile farla preoccupare, aggiungerebbe
solo altra sofferenza a uno stato che ne è già
saturo.
Così mi faccio forza e mi sprono a essere ottimista, per lei
ma anche per me, come ora che mi soffermo maggiormente a scriverle del
mio primo amico qua in Brasile, perché so che ne
sarà felice e sollevata, come mi sento io.
Ma quando esaurisco il resoconto delle mie giornate, sono tante altre
le cose che vorrei continuare a scrivere.
Vorrei dirle che spesso mi sento solo e che mi manca la nostra vita in
Giappone, gli amici e che vorrei abbracciarla.
Ma mi trattengo, perché dopo averla lasciata, non
è giusto farle scontare anche questo peso, non mi posso
permettere il lusso di fare di lei la mia confidente e per questo mi
sto imponendo una linea di condotta.
Non mentire mai su come mi sento o su quello che mi succede, ma
limitarsi a non dar troppo peso alle cose, perché questo
è tutto ciò che posso fare per lei da
quaggiù.
E tutto quello che sento, lo concentro alla fine, in un semplice
“mi manchi” che racchiude il mio stato
d’animo in una semplice verità.
Che dice tutto e allo stesso tempo poco, la via di mezzo che cercavo.
Anche ora che le mie dita digitano quelle due semplici parole spero
tanto che quando Sanae le leggerà, potrà sentirsi
come nel mio abbraccio, perché è quello che
vorrei davvero ora.
Le mani si alzano dalla tastiera e si posano sotto il mento, a
sorreggere la mia testa.
Rileggo la mail prima d’inviarla e quando alla fine sto per
farlo, un tocco sulla mia spalla mi fa balzare il cuore in gola e
saltare dalla sedia.
Sfilando le cuffie dalle orecchie mi volto e la mia visuale
è completamente riempita dal viso di Roberto, ampiamente
deformato da una risata, perché il mio mezzo infarto deve
essere stata davvero una cosa divertente da vedere.
“Scusa non volevo spaventarti!” si giustifica
cercando di riprendere contegno, io mi limito a scusarlo con un gesto
della mano.
“Non la mandi più?” aggiunge poi
indicando lo schermo, io solo ora prendo coscienza del fatto che la mia
mail per Sanae è ancora in bella mostra davanti al suo naso
e che, ancora peggio, non so da quanto tempo Roberto fosse alle mie
spalle prima di farmi infartare.
Mi volto senza rispondere e veloce invio, rimanendo a fissare la
piccola busta bianca e l’indicatore che scorre, tracciando la
distanza Brasile - Giappone in una manciata di secondi.
Ruoto di nuovo sulla sedia e fisso Roberto che rimane impassibile nella
stessa posizione a scrutarmi.
“Il ticchettio dei tasti, per questo sono entrato.”
“Ah! Scusa!”
“Niente.”
E non se ne va, ma continua a fissarmi, cosa che mi fa credere sempre
più che abbia realmente sbirciato cosa scrivevo e a chi.
E per fortuna che c’è poca luce, perché
sono sicuro che sto arrossendo come non mai.
“Magari non è proprio l’ora adatta, ma
non pensi sia arrivato il momento di parlarmi di qualcosa o qualcuno in
Giappone, che non sia strettamente collegato al calcio?” mi
chiede infine, sorridendo bonariamente e sedendosi sul mio letto,
ancora intatto.
Sposto lo sguardo di lato, mentre sento la temperatura del mio corpo
alzarsi tanto da sentire all’improvviso la voglia di
togliermi la felpa.
“Hai letto vero?” chiedo retoricamente,
così, tanto per prendere tempo.
“Quanto basta, ma non l’ho fatto di proposito, mi
è caduto l’occhio.”
Annuisco perché so che non si sarebbe mai messo a sbirciare
volutamente, scemo io che mi faccio cogliere in fallo.
“Da dove inizio…” borbotto strofinando
l’indice sotto il naso.
“Chi è Sanae?” mi chiede Roberto a
bruciapelo, tanto per non farla lunga e tagliare la testa al toro.
“E’ Anego. Te la ricordi, no? La ragazzina che ci
seguiva a ogni partita. Lei da tre anni a questa parte è
diventata la manager del club di calcio e…”
“E’ la tua ragazza?”
m’interrompe sbuffando affettuosamente e guardandomi come se
dovesse insegnarmi proprio tutto, oltre al calcio.
Sospiro, consapevole che non ho via di scampo.
“Sì.”
“L’hai baciata?” ed io cado quasi dalla
sedia, mi aggrappo giusto al bracciolo mentre il cervello va in pappa e
credo di non essermi mai sentito così imbarazzato, nemmeno
con Ishizaki!
“Ok l’hai baciata.”
Spiritoso! Si risponde
anche da solo ora!
“E’ lei che hai salutato prima di
partire?” chiede ancora, ma stavolta invece
dell’imbarazzo, è la malinconia che
s’impadronisce di me e che mi fa abbassare lo sguardo.
“Già…” mormoro fissando il
pavimento e incoraggiato da questo stato d’animo, che mi
spinge a cercare qualcosa di lei, a evocarla anche solo con le parole,
per la prima volta mi sento pronto a parlare e a dar sfogo a tutti quei
sentimenti che reprimo, non sapendo a chi confidarli.
E mi sembra ieri che l’ho vista, parlando di lei.
E mi sento più leggero, parlando di lei.
E mi sento vicino a Sanae, parlando di lei.
Il getto d’acqua calda scivola sulla mia muscolatura
indolenzita, dandomi un minimo di sollievo, dopo
l’allenamento decisamente massacrante al quale ci ha
sottoposto Roberto.
Sono dentro, sono in squadra ma ancora lontano dall’essere
nella rosa di titolari.
Ma non importa, non mi do per vinto, perché so che ce la
farò, se come oggi, ogni giorno, mi spezzerò la
schiena sul campo.
Butto la testa sotto lo scroscio e chiudo gli occhi, l’acqua
oltre che a portare beneficio al mio corpo, mi aiuta in questo caso,
anche a ovattare i suoni che provengono dalla doccia accanto alla mia.
Mi estraneo per un attimo dal ciarlare continuo di Pepe che mi sta
ripetendo lo stesso concetto da circa cinque minuti, preso
com’è dall’euforia e
l’eccitazione.
Da quando siamo diventati amici, ho imparato un sacco di cose sul suo
carattere e ho potuto capire che siamo opposti come il giorno e la
notte, perché se io ho una maniacale tendenza a essere
riservato, Pepe al contrario mi rende partecipe di ogni cosa gli passi
per la testa e diciamo che il suo argomento preferito non è
esattamente il calcio.
Chiudo il getto d’acqua ed esco dalla doccia, lo sento fare
lo stesso e mentre mi avvicino agli armadietti avvolgendomi i fianchi
con un asciugamano, me lo ritrovo affianco che ancora parla di quanto
sia al settimo cielo per essere riuscito ad avere un appuntamento con
la ragazza dei suoi sogni.
Ragazza che è nel suo immaginario da non più di
quindici giorni, visto che un mese fa sembrava non avesse occhi che per
la nipote del massaggiatore.
“Stasera spero che sia una serata devastante, al diavolo se
domani non mi reggo in piedi!” sghignazza dando colpetti
all’anta del mio armadietto mentre mi sto vestendo.
Sorrido alzando gli occhi al cielo mentre infilo la roba da riportare a
casa nel borsone.
“Ti rendi conto Tsubasa? E’troppo carina! Troppo,
troppo, troppo!”
Forse lo preferivo
quando mi odiava…
“Ma senti, amico mio…” e si siede sulla
panca, proprio accanto alla mia borsa, un piede poggiato al legno
mentre cerca di infilarsi i calzini.
“Dimmi...”
“Hai visto qualcuna che ti piace in giro?”
Ecco, ti
pareva…
Mi limito a rispondere negativamente con un gesto del capo, senza
alzare lo sguardo nella sua direzione, tecnica che ho sapientemente
messo appunto in Giappone con un altro compagno di squadra decisamente
impiccione.
Fare finta di niente e non tradire emozioni, nei limiti, ecco la mia
collaudata strategia di difesa da questo genere di domande.
Pepe rimane in silenzio per alcuni secondi, tanto da darmi il tempo di
rilassarmi di nuovo mentre finisco di spostare le mie cose
nell’armadietto.
“Senti potrei chiedere alla mia ragazza se ha qualche amica
da presentarti. T’immagini? Magari usciamo pure in quattro un
giorno!”
Mi volto di scatto a guardarlo, alzando leggermente un sopracciglio e
scuotendo nuovamente la testa ma questa volta in modo più
deciso per essere più convincente.
“E poi non è ancora la tua ragazza!”
aggiungo per distogliere l’attenzione da me e da un mio
improbabile appuntamento combinato.
Pepe mi scruta come se all’improvviso mi fosse cresciuta una
proboscide al posto del naso.
“Dettagli!” mi risponde sventolando una mano
davanti al viso mentre con l’atra tira la zip della felpa
fino al mento.
“Ma l’hai vista quant’è bella?
Di sicuro le sue amiche sono dello stesso livello, non fare lo
schizzinoso!”
Arrossisco stavolta, la mia tecnica a volte ha delle falle di sistema,
specialmente quando sono messo alle strette.
“Non m’interessa!” sbotto disegnando in
aria una croce con le dita, tanto per fargli capire che voglio che il
discorso muoia all’istante.
Il mio amico aggrotta le sopracciglia, poi sgrana gli occhi come se ora
avessi ben due proboscidi in faccia.
“Nel senso che non t’interessano le
ragazze?”
Sì era molto
meglio quando mi odiava…
Alzo gli occhi al cielo e riabbasso lo sguardo seguendo il movimento
delle mie spalle che si curvano in un moto di desolazione.
“Nel senso che a me piace una in particolare e
basta!” rispondo sbuffando mentre chiudo
l’armadietto, con la coda dell’occhio osservo la
sua reazione che mi strappa un sorriso perché sta sospirando
di sollievo.
“Ah sì?! E chi è? Chi
è?” m’incalza ora sbattendo
l’anta del suo di armadietto, la serratura
s’incastra chiudendosi con un piccolo tonfo sonoro.
E come ogni volta che involontariamente il suo ricordo è
riportato dall’esterno alla mia mente, una serie
d’immagini e sensazioni che riguardano solo lei prende a
riempire la mia testa.
Il volto sorridente di Sanae.
Le sue piccole mani calde.
Il suo profumo.
Le labbra screpolate dal freddo.
Come se si aprisse leggermente il coperchio di una scatola colma che
non vede l’ora di esplodere, così lei scivola
fuori da quella fessura che la gente inconsapevole ha creato, prendendo
possesso di tutto lo spazio a disposizione nella mia testa.
E come ogni volta che mi permetto di soffermarmi sulla sua mancanza,
divento all’improvviso malinconico e il mio sorriso si
spenge, diventando una smorfia amara, proprio come quella che sto
mostrando in questo momento al mio amico, che mi osserva curioso.
“Non la conosci. Non la puoi conoscere…”
rispondo arcuando un lato della bocca e sospirando, tanto vale fargli
capire le cose come stanno.
“Ah! Capisco!” esclama così Pepe, che
tutto è tranne che un ragazzo poco sveglio “Un
problema da niente, eh amico mio?” aggiunge poi dandomi una
pacca sulla spalla.
Abbozzo un sorriso di ringraziamento, poi per sviare il discorso, lo
esorto allegramente ad andare al dormitorio per cambiarsi e raggiungere
la ragazza dei suoi sogni.
Pepe si rianima del suo consueto entusiasmo e agganciato lo zaino con
la mano sinistra, si allontana canticchiando festoso, ma quando
raggiunge la soglia dello spogliatoio, si ferma e si volta a guardarmi.
“Tieni duro amico!” esclama accentuando le parole
con il pugno chiuso scosso sotto il mento, sorrido riconoscente
annuendo.
“E non credere di essertela cavata con così poco,
domani mi racconti ogni particolare!” aggiunge sghignazzando
facendomi l’occhiolino, prima di scoppiare a ridere e
scomparire oltre la porta.
E ora che sono rimasto solo, avverto ancora di più la
sensazione di vuoto che mi ha colto solo qualche minuto fa.
A testa china, cercando di non pensarci, carico il borsone sulla spalla
e mi dirigo veloce fuori.
Attraverso la soglia dello spogliatoio e istintivamente mi guardo
intorno, come se inconsciamente avessi spostato il mio presente in un
altro posto, in un altro momento.
Ma nessun suono rompe il silenzio che mi circonda, non
c’è nessuno ad aspettarmi e mi sento improvvisamente solo.
E come a non volerci credere, rimango imperterrito ad ascoltare,
nell’attesa assurda di sentire la sua voce che mi chiama per
tornare a casa.
Abbasso lo sguardo sul terreno e faccio lo stesso con la vista, aspetto
che un’ombra si avvicini a me per prendermi per mano, ma i
secondi passano e l’unica immagine davanti ai miei occhi
rimane quella dell’erba tinta di rosso dai raggi del tramonto.
Rialzo lo sguardo e osservo il campo.
Ascolto il silenzio e mi chiedo se mi abituerò mai a tutto
questo.
Mi siedo a terra senza staccare lo sguardo dalla porta vuota, la rete
dondola mossa dal vento.
Mi sdraio e appoggio la testa al borsone che ho sistemato sotto la nuca.
E solo ora chiudo gli occhi, cercando nei ricordi tutto quello che mi
viene negato ma di cui sento follemente il bisogno.
“Certo che
Kumi è davvero carina, eh?” esclama Taki con un
sorriso, osservando la ragazza, che poco distante, strofina
forsennatamente una divisa sporca d’erba.
I ragazzi seduti attorno
a lui annuiscono ridacchiando divertiti.
“Beh dobbiamo
proprio rendere giustizia alle nostre manager! Siamo stati fortunati,
nessuna delle tre è una cozza inguardabile, anzi!”
aggiunge Kisugi alimentando ancora l’ilarità
generale, perché ora tutta la squadra scoppia allegramente a
ridere.
Anch’io lo
faccio mentre in piedi dietro di loro, sorseggio dell’acqua
minerale e mi tampono la fronte sudata con i lembi
dell’asciugamano che ho intorno al collo.
Li ascolto in silenzio,
mentre presi dall’euforia, trascinano il discorso
inevitabilmente sulle ragazze in generale.
“Ma secondo
voi come dovrebbe essere la ragazza ideale?” chiede
innocentemente Morisaki, le guance colorate di rosa per
l’imbarazzo, che mi fa pensare che al mondo esista un ragazzo
più timido di me in queste cose, ringraziando il cielo.
“L’importante
è che sia carina e gentile!”
“Deve avere i
capelli lunghi, lisci e il naso
all’insù!”
“Non deve
essere noiosa e nemmeno appiccicosa! Sai che palle se no!”
“Per me
c’è solo un requisito importante da tener
conto!” esclama all’improvviso nella confusione
Ishizaki, i miei compagni si ammutoliscono e si voltano a guardarlo.
Ryo rimane ancora per
qualche secondo in silenzio, sguardo basso, testa inclinata e braccia
incrociate.
“Una bella
coppa C! Ma anche una D non mi dispiacerebbe!” aggiunge poi
ridendo e facendo con le dita il segno di vittoria, tutti scoppiano di
nuovo a ridere aggiungendo commenti sulla stessa linea della sua bella
uscita.
Io approfitto del
momento di delirio per tagliare la corda, per quanto mi riguarda, mi
sono trattenuto fin troppo, me ne sarei dovuto andare già
dal momento in cui le ragazze sono diventate l’argomento di
conversazione.
Perché non
fanno per me questo genere di discussioni, gli altri finiscono sempre
per mettermi in mezzo e faccio delle figure di merda da guinness dei
primati.
Così mi volto
silenziosamente prendendo di nuovo la direzione del campo, con la ferma
intenzione/scusa di fare ancora qualche tiro, perché se il
mio obiettivo è vincere il campionato delle medie per il
terzo anno consecutivo, devo allenarmi, allenarmi e ancora allenarmi.
Ma faccio in tempo ad
allontanarmi di soli tre passi, perché mi sento chiamare per
nome a squarciagola.
“Ehi non ci
hai ancora detto come la pensi tu, capitano!”
Izawa ma i cazzi tuoi
mai, eh?
Mi fermo senza voltarmi,
alzando gli occhi al cielo e già so che le mie guance sono
diventate probabilmente di quel colore tanto di moda tra le ragazze ma
che io odio, il fucsia.
E mentre sto elaborando
mentalmente una risposta sensata e possibilmente non ridicola, che
possa tirarmi fuori da queste cose che detesto e che magari non mi
faccia fare la solita figura da imbecille, il buon Ishizaki interviene
al posto mio con una delle sue perle, che di solito ottengono il
risultato di rendermi proprio ridicolo e imbecille.
“Tanto li
conosciamo già i gusti di Tsubasa, vero ragazzi?”
Appunto…
E giù tutta
la squadra che mi ride dietro, bel rispetto per il vostro capitano!
Sbuffo ignorandoli e
afferrando con la mano destra la cesta dei palloni, la trascino
malamente dietro di me finché non raggiungo il cerchietto
dei calci di rigore.
Posiziono il primo
pallone e prendendo una piccola rincorsa, lo calcio cercando
d’imprimere effetto alla palla, che s’insacca
all’angolo sinistro della porta.
Vado avanti
così meccanicamente per un paio di volte, ma la mia mente
non si scollega dai discorsi dei ragazzi di poco fa.
La ragazza ideale.
Come piace a
me…
Involontariamente il mio
sguardo si sposta dalla porta al bordo del campo.
E si posa su Sanae.
Mi fermo a osservarla
mentre parla animatamente con la Nishimoto, di tanto in tanto sorride,
sembra una conversazione divertente ma che comunque non
m’interessa, preso, sì preso, come sono da fissare
il suo sorriso.
Arriccia il naso quando
questo si trasforma in una risata allegra, le gote si colorano di un
tono di rosso così caldo, da farmi pensare che non
è poi così male arrossire.
Perché quando
è lei a farlo, non c’è nulla di
ridicolo o stupido, è solo… bello.
E mi viene da sorridere,
ancora un’altra azione che non sto gestendo io, mentre la
guardo e mi sprono a distogliere lo sguardo, riprendendo un pizzico di
lucidità, solo quando mi rendo conto che la sto fissando
già da un po’.
Imbarazzato, ma con
ancora quel sorriso da stupido che sento tirarmi le guance, riprendo ad
allenarmi e un pallone dietro l’altro finisce in porta fino a
svuotare la cesta.
Per riempirla di nuovo e
svuotarla ancora, sentendo il sudore sulla fronte e la fatica che mi
mozza il fiato.
Ancora e ancora,
imperterrito ne insacco un altro, cercando subito con lo sguardo il
successivo pallone da posizionare sul dischetto.
“Tsubasa!”
mi volto in direzione della voce che mi ha chiamato, la sua voce.
Sanae si avvicina a me,
non indossa più la tuta da manager noto ma
l’uniforme scolastica e in mano stringe la cartella.
Stordito, mi guardo
intorno e mi rendo conto che al campo non c’è
più nessuno, in lontananza infatti posso scorgere gli ultimi
ragazzi della squadra, anche loro docciati e cambiati, in
prossimità dei cancelli.
“Ma che ore
sono?” le chiedo perplesso, grattandomi una tempia con
l’indice.
Sanae scoppia a ridere
divertita, scuotendo la testa e i suoi capelli ondeggiano delicati
intorno al suo viso sorridente.
“Vai a
cambiarti, è tardi! Ti ho lasciato un asciugamano pulito
davanti al tuo armadietto!”
E a me non resta che
annuire imbarazzato, grattandomi il ciuffo ribelle sulla nuca, sia per
la mia palese mancanza di attaccamento alla realtà quando si
tratta del pallone che, devo ammetterlo, per i pensieri che mi hanno
per un po’ distolto dal mio allenamento.
“Ok
vado… Grazie per l’asciugamano!”
borbotto cercando di sfoderare un sorriso convinto e quando sto per
salutarla, Sanae mi anticipa mettendomi al corrente di come la squadra
e le manager sia siano nel frattempo organizzati per passare la
domenica, ossia domani, tutti insieme al Luna Park.
“Vieni anche
tu?”mi chiede alla fine del discorso, così a
bruciapelo, la testa leggermente inclinata di lato e il sorriso
più incoraggiante che potesse fare.
“Mi spiace ma
domani avevo deciso di allenarmi comunque!” rispondo anche
fin troppo sinceramente, perché è davvero il
programma che mi sono prefissato per la domenica di riposo.
Sanae sorride ancora, ma
in modo diverso mi pare e annuisce.
“Io vado
allora, sbrigati e torna a casa anche tu!” mi esorta e con un
gesto della mano, mi saluta voltandosi.
E non so nemmeno io che
mi prende, perché all’improvviso sento una
sensazione molto simile al panico, molto vicina a quando si pensa
velocemente a qualcosa che possa rimediare a qualcos’altro
andato storto.
“Sanae!”
la chiamo per fermarla, lei si volta e mi guarda con aria interrogativa.
“Non penso di
fare troppo tardi, domani intendo…” e lei non sa
che dentro di me ho già programmato che mi alzerò
due ore prima per anticipare il rientro a casa, la doccia e la corsa
per raggiungerli.
Per raggiungerla.
“Magari appena
ho fatto chiamo Ishizaki per farmi dire dove siete di
preciso…” e prendendo fiato, leggi coraggio,
aggiungo “… o chiamo te, se non ti
disturbo!”
Ecco l’ho
detto e imbarazzato, non so se riesco a nasconderlo ora, mi gratto di
nuovo la nuca aspettando la sua risposta.
Sanae mi guarda stupita
per un attimo, poi annuisce convita e i lineamenti del suo viso si
distendono in quel sorriso incredibile che le illumina il volto e che
mi fa pensare, non so perché, al sole d’estate.
Mi saluta di nuovo
allegramente, dandomi questa volta, appuntamento per il giorno dopo ed
io rimango immobile a osservarla mentre si allontana da me.
E sorrido
perché a me posso dirlo, con me stesso posso ammetterlo.
Lei non è
semplicemente come piace a me.
Sanae è la
ragazza che credo di amare…
Semplicemente GRAZIE, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Fermo immagine ***
FLY AWAY (Butterfly
reprise)
Capitolo
4
Fermo
immagine
Le
manine paffute stringono i bordi delle lenzuola con così
tanta forza da diventare rosse per lo sforzo mentre la piccola bocca si
dilata nello sbadiglio più sgraziato che abbia mai visto.
Se escludiamo quelli di Ishizaki nelle ore di matematica ovviamente.
Mio fratello Daichi sbatte le palpebre sugli occhietti lacrimosi e mi
fissa per qualche secondo aggrottando le sopracciglia spelacchiate,
perplesso.
“Ciao!” esclamo sorridendogli e accennando un
movimento della mano, il bambino arriccia il naso continuando a
fissarmi, sempre con quell’espressione dubbiosa dipinta in
faccia.
E mi chiedo se mentre mi osserva, stia capitando la stessa cosa a lui o
se sia troppo piccolo per cogliere che davanti a sé
c’è la sua copia identica, solo qualche anno
più grande.
Perché a me fa un certo effetto vedere una mia miniatura che
urla, piange e sbavetta con le mani ficcate perennemente in bocca, ma
per Daichi probabilmente sono solo un estraneo al quale si deve
abituare, indipendentemente dal fatto che siamo identici come due gocce
d’acqua.
Come mi suona strano essere diventato un fratello maggiore, dato che me
ne sono andato che di lui non c’era nemmeno il pancione di
mia madre e mi viene da sorridere, perché per me
è come se Daichi fosse stato trovato sotto a un cavolo o
portato dalla cicogna all’improvviso.
Imbarazzato, perché sì mio fratello che non ha
nemmeno un anno un po’ m’intimidisce, dato che non
so assolutamente gestirlo, continuo a sorridergli nella speranza che
faccia di tutto tranne che piangere, quando di punto in bianco quella
sua boccuccia che solo un attimo fa era spalancata quasi
innaturalmente, diventa il sorriso più carino e adorabile
che abbia mai visto in vita mia.
Se escludiamo quelli di Sanae ovviamente.
Le sue braccia si distendono verso di me, le dita delle mani allargate
come a sottolineare la sua tacita richiesta ed io non so proprio come
fare.
Mi guardo intorno imbarazzato grattandomi la nuca ripetutamente, poi i
miei occhi tornano su mio fratello che continua a guardarmi sorridente
e speranzoso.
E adesso che faccio?
Di chiamare la mamma ora che si è appena addormenta non se
ne parla proprio, visto che sembra non riesca ad adattarsi bene al fuso
orario a differenza di papà, quindi prendendo un bel
respiro, mi faccio coraggio e raggiungo il minuscolo corpicino di
Daichi.
Ora che è tra le mie mani però mi sembra fin
troppo delicato e fragile, tanto che arrivo alla conclusione che su
ogni bavaglino, invece della scritta ‘coccolami’,
dovrebbe campeggiare un bel 'maneggiare con cura’.
Lo tiro su dal passeggino cercando di imitare i gesti di mia madre e un
po’ goffamente, lo stringo al petto rimanendo immobile
qualche secondo in attesa della sua reazione, perché sono
sicuro che il piccoletto si rende perfettamente conto di essere tra le
braccia di un emerito incapace in materia.
Daichi però si porta tranquillamente le manine alla bocca,
soddisfatto di essere stato preso in braccio, perché in
fondo quello era il suo unico scopo.
Così sollevato dall’assenza di urla e strilli ma
ancora sicuramente per niente a mio agio, mi avvicino cauto al
televisore al quale ho collegato la videocamera dei miei, prendo il
telecomando e mi siedo al bordo del mio letto, facendo aderire la
schiena di Daichi al mio torace.
Allungo di poco la mano verso l’apparecchio con una strana
sensazione alla bocca dello stomaco.
Sensazione molto simile a quella che mi torturava nei miei primissimi
approcci con lei,
ma prima di premere il pulsante del play attendo qualche secondo.
Sto per rivedere Sanae.
Rivedere non è proprio il verbo azzeccato al cento per
cento, però per me è effettivamente
così, dato che dalla scorsa primavera, da quando
cioè me ne sono andato, non ho più visto il suo
viso se non nei ricordi.
Così ora mi sento emozionato all’idea di rivederla
appunto, in carne e ossa, anche se solo attraverso uno schermo.
Di certo non sarà mai come averla rincontrata di persona, ma
mi devo accontentare, perché io ho deciso di non tornare in
Giappone per non interrompere gli allenamenti, costringendo i miei a
partire, raggiungermi in Brasile e farmi così conoscere il
mio fratellino.
Scuoto la testa, deciso a dare un taglio a questo genere di pensieri,
che so portano sempre inevitabilmente a riflessioni più
dolorose che ora proprio non mi va di affrontare.
Voglio solo godermi questo momento, quel qualcosa in più di lei che ho ora,
rispetto al poco e niente che fa parte della mia routine,
perché sono impaziente di vedere il suo viso.
Il fatto che mio padre sia fuori con Roberto e che la mamma sia
collassata sul letto, arrivando quasi a russare, ovviamente la dicono
lunga su quanto abbia aspettato il momento giusto per vedere questo
filmato, che Daichi si sia svegliato sul più bello poco
conta, visto che fortunatamente usa ancora la lingua al massimo per
ciucciarsi il pollice, come in questo preciso istante.
Sorrido consapevole che è finalmente giunta l’ora
di rivederla e sospirando premo il tasto sul telecomando.
La prima immagine che compare sullo schermo è quella
dell’organo di una chiesa e di un palco per il momento vuoto,
di sottofondo solo il rumore del borbottio della gente, mia madre che
ordina qualcosa a mio padre e nel mio presente, quello della bocca di
Daichi alle prese con il suo pollice.
Le luci si abbassano leggermente ora mentre da destra dei ragazzi,
vestiti con delle tuniche azzurre perfettamente identiche, entrano in
ordine occupando man mano tutto lo spazio disponibile.
Febbrilmente i miei occhi scrutano quelle figure alla ricerca di Sanae
mentre mi chiedo, imprecando sotto voce, come mai mio padre si sia
dimenticato completamente della funzione ZOOM della videocamera.
Un signore dai capelli brizzolati entra per ultimo e si siede allo
strumento dalle lunghe canne grigie, le sue mani prendono a scorrere
sulla tastiera e dall’organo esce una classica melodia
natalizia.
*Silent night, holy night!
All is calm, All is
bright
Round yon Virgin, Mother
and Child
Holy Infant so Tender
and mild,
Sleep in heavenly peace,
Sleep in heavenly peace.
Una figura
si stacca dal coro di un passo e inizia a cantare in controcanto.
Silent
night, Holy night!
Son of God, love's pure light
Radiant beams from Thy holy face,
With the dawn of redeeming grace,
Jesus Lord at thy birth;
Jesus Lord at thy birth.
Lo zoom, finalmente,
inquadra ora perfettamente il suo viso sorridente…
Il telecomando mi scivola dalle mani, per fortuna non faccio lo stesso
con mio fratello, lo recupero prima che tocchi terra e velocemente
premo il tasto pausa.
Osservo lo schermo senza che nella mia testa riesca a formulare un solo
pensiero di senso compiuto, mi viene solo da ripetere il suo nome
mentre i miei occhi sono calamitati sul suo volto.
E mi rendo conto che potrei rimanere a fissarlo all’infinito
se non fosse per la smania che ho di avere anche altro di lei.
Faccio ripartire il nastro e la stanza si riempie della sua voce calda.
Ascoltandola mi sembra di tornare indietro nel tempo, quel suono
melodioso nel pronunciare il mio nome o nel leggere ad alta voce in
classe un brano di letteratura inglese.
O quelle poche volte che l’avevo già sentita
cantare, al karaoke nei rari pomeriggi senza il pallone.
Se ci riuscissi chiuderei gli occhi ora, per lasciarmi cullare dalla
sua dolce voce, ma proprio non riesco a staccarli dallo schermo e dalla
sua immagine.
E non ho parole ora Sanae, semplicemente non me ne servono.
Devo solo guardare, guardarti.
Sentire la tua voce e sentire amplificato quello che provo per te.
“Dici che ce
l’abbiamo fatta?”
Alzo le spalle per
rispondere a Pepe, non tanto per insicurezza, ma per non deconcentrarmi
da Roberto, che esamina per un’ultima volta il foglio con
appuntata la formazione della squadra, che affronterà la
prossima partita di campionato.
Il suo volto
è una maschera di serietà dalla quale non
traspare nulla, a me non resta che aspettare in silenzio, forte
però del fatto che, questa volta, sono convinto di aver dimostrato
che merito di poter giocare da titolare e dal primo minuto.
Roberto schiarisce
la voce e nello spogliatoio cala il silenzio più assoluto,
il mio cuore accelera i battiti quando inizia a elencare i giocatori
partendo da porta e difesa.
La squadra è
rimasta invariata rispetto alle altre partite finora, serro le labbra
in una smorfia impaziente, facendomi un po’ prendere dalla
tensione e dentro di me sto già elaborando in piano di
allenamento peggiore del precedente, tanto per ottimizzare il tempo e
non farmi trovare impreparato da una mia eventuale esclusione dalla
rosa.
“Tsubasa!”
Non distolgo lo sguardo
dall’allenatore, nemmeno un battito di ciglia tradisce la mia
emozione mentre il mio cuore batte martellando contro il petto.
“Numero
dieci, complimenti!”
E nonostante me lo
sentissi, nonostante sapessi davvero d’aver dato il massimo
in questi mesi, non riesco a trattenere un’esclamazione mista
a gioia e stupore, che prende il posto dell’espressione da
duro, che ho cercato di mantenere fino a questo momento.
Mi avvicino a Roberto,
che mi osserva soddisfatto e compiaciuto, per ricevere dalle sue mani
la mia maglia da titolare nuova di zecca.
Il mio di sguardo si
posa ora concentrato sulla stoffa bianca tesa verso di me, sulla quale
campeggia il mio nome e il mio adorato numero dieci.
Afferro la
maglia con decisione, come se mi appropriassi di qualcosa che mi
aspettava di diritto per le mie qualità e per tutta la
fatica che ho fatto in questi anni e ritorno al mio posto continuando a
fissarla, distratto solo da Pepe, che mi sorpassa euforico, dandomi una
pacca sulle spalle, per andare a prendere la sua maglia del Sao Paulo.
Ce l’ho fatta!
E immagino il viso dei
miei appena metterò piede a casa, felice della fortunata
coincidenza che li vede ancora qua in Brasile con me e in momento
così importante.
Ce l’ho fatta!
E immagino,
perché in questo caso solo questo posso fare veramente,
quando lo saprà Sanae e quanto potrà essere
orgogliosa di me.
Scarto
il pacchetto color sabbia con impazienza e quando ne estraggo il
contenuto, sorrido perché forse ho proprio esagerato
stavolta.
Sfoglio le foto velocemente e con aria professionale, come se volessi
sincerarmi della qualità della stampa, quando in
realtà sono semplicemente euforico.
Non che non mi ci sia voluta una buona dose di coraggio per chiedere a
Pepe di estrarle dal filmato e stamparne una quantità
industriale senza badare a spese, ho ancora impressa nella mente la sua
espressione divertita quando mi ha letteralmente strappato la chiavetta
usb di mano, stanco della mia titubanza.
Appallottolo la carta con una mano e la lancio in aria, con un colpo di
tacco finisce sulla mia scrivania accanto al pacco che
manderò a Sanae via mamma Natsuko.
Osservo il pacchetto confezionato con cura continuando a stringere le
mie preziose foto tra le mani e ringrazio mentalmente mia madre per
avermi assolto dal compito di preparare il mio regalo,
perché di certo da solo non avrei ottenuto lo stesso
risultato veramente grazioso e femminile.
Prima di allontanarmi, sfioro con le dita la carta colorata immaginando
l’espressione del volto di Sanae nel momento che si
ritroverà tra le mani la mia sorpresa.
Perché avrei potuto darle la bella notizia subito, ma
scrivere un paio di righe su una mail non mi sembrava sufficiente a
esaltare l’importanza della mia promozione che
tanto mi…
Ci
è costata.
Non potrò godermi dal vivo la sua reazione, ma so
già che così sarà perfetto, come se le
facessi un doppio regalo.
Sorrido soddisfatto tornando a sfogliare le sue foto e mi
dirigo con decisione verso la parete che circonda il mio letto, armato
di puntine da disegno e nastro adesivo.
Salgo a piedi nudi sul materasso, lasciando sul pavimento un tappeto di
poster e gagliardetti che ho dovuto rimuovere per far posto a lei e con
precisione inizio a tappezzare il muro di sue immagini,
soprapponendole appena le une alle altre, nei bordi, per recuperare
più spazio.
E ogni volta che le mie mani sfiorano i suoi capelli, il suo viso o gli
occhi, è come se riuscissi ad accarezzarla, come sei lei
fosse davvero qui.
Perché è proprio questa la sensazione che ho,
come se per oggi riuscissi ad averla con me, come se fosse realmente
nella mia stanza.
Attacco l’ultima foto e indietreggiando fino al bordo del
letto, osservo soddisfatto il mio lavoro.
So che tutto questo mi costerà un periodo più o
meno breve di continue prese per il culo e sorrisetti allusivi da
più elementi, compresa quella tremenda di mia madre, ma
proprio non m’importa, ne vale troppo la pena.
“E adesso il tocco finale…” sussurro,
posando gli occhi di lato, accanto alla finestra, su una porzione di
muro che ho volutamente tenuto libera.
Con un salto scendo dal letto e mi avvicino alla mia borsa, ne estraggo
un plico più grande, imballato sempre con la stessa carta
color sabbia.
Con delicatezza, aprendo i bordi incollati, faccio scivolare un
ingrandimento racchiuso dentro una semplice cornice a giorno e mi
avvicino a quello che ho deciso sia il suo posto d’onore.
L’appendo al muro sfruttando il chiodo del calendario, che
ora giace per terra, in mezzo tutte le altre cianfrusaglie che non mi
servono più.
Indietreggio di un passo per osservare meglio il suo volto sorridente e
mentre delineo attentamente i suoi lineamenti, mi sento invadere dalla
malinconia.
La nostalgia poi prevarica dolcemente qualsiasi altra sensazione nel
mio cuore, perché questa che ho davanti agli occhi
è l’espressione di Sanae che preferisco.
A differenza delle altre foto più piccole, ho scelto
appositamente questo fermo immagine, perché qui riesco a
riconoscere perfettamente la ragazza di cui mi sono innamorato.
Le sue gote sono imporporate per l’emozione, i suoi occhi
arcuati, brillano radiosi e il suo sorriso…
Il suo sorriso è semplicemente meraviglioso.
Lo sfioro con le dita tendendo il braccio, come se potessi raggiungerla
davvero.
E sento ancora di più quanto mi manchi da morire.
*Silen
Night – Joseph Mohr (1818)
Come
prima cosa mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo
capitolo!^^’
Doveva
essere on line a Natale ma una serie di circostanze, fortunate e no, mi
ha tenuta lontana dal PC. Volevo sinceramente ringraziare chi ha
segnalato le mie storie, compresa questa, per la sezione delle Scelte,
anche se non trovo davvero le parole adatte per esprimere al meglio la
mia gratitudine. Un grazie anche a chi ha recensito fin a
d’ora, a chi ha messo la storia tra le preferite e/o in
quelle seguite. E un ringraziamento speciale va a Eos75 per aver
accettato (non con l’accetta xD) la mia Sanae e soprattutto
il mio Tsubasa, non immaginando quanto questo mi inorgoglisca!^^
Questo
capitolo è dedicato alle mie amiche speciali di Internet che
spesso trascuro causa forza maggiore (leggi ADSL singhiozzante, lavoro,
impegni della mia sfera privata) ma che hanno un posto speciale nel mio
cuore…
E a
proposito del capitolo, chi ha letto B. sa già cosa
c’è nel pacco per Sanae (tre cose in tutto), qui
ho lasciato intendere la sorpresa più importante, anche se
penso ci si possa arrivare facilmente, se non fosse così,
andatevi a leggere il capitolo 8 di Butterfly “Cose
inaspettate” per scoprire i regali di Tsubasa! ^_______^
Un
abbraccio, a presto… OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Sensi ***
FLY
AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 5
Sensi
Sto facendo molto
probabilmente violenza a me stesso in questo momento.
Mi
costringo a rimanere immobile una manciata di secondi tra la folla ad
osservarla, senza che mi scorga, mentre spaesata si guarda intorno
abbassando gli occhi, ad intervalli regolari, sull’orologio
da polso.
In questo
periodo d’attesa, che va dalla mail che annunciava il suo
arrivo a stamattina che ho varcato la porta di casa, ho passato le mie
giornate confuso da una sorta di euforia adrenalinica costante.
Giorni
interi sono passati con un unico obbiettivo nella mia mente ovvero
arrivare a questa data, che nel calendario appeso in cucina,
è evidenziata con un enorme cerchio, marcato più
volte, di un rosso cangiante.
E
stranissimo a dirsi ma me n’è importato un
po’ meno di tutto in questo lasso di tempo: degli
allenamenti, delle prese per i fondelli di Pepe, quando mi beccava, con
la testa tra le nuvole, in un momento in cui avevo abbassato la guardia
e delle risatine allusive di Roberto, ogni qual volta incontravo il suo
sguardo tra le pareti domestiche.
Ma oggi il
gran giorno è arrivato e dopo aver corso come un matto, per
coprire la semplice distanza tra l’autobus da cui sono sceso
all’ingresso dell’aeroporto, mi sono bloccato,
appena i miei occhi l’hanno riconosciuta tra la folla,
improvvisamente nervoso.
Piacevolmente
nervoso.
Fino ad un
minuto fa ero convinto di sapere cosa avrei provato nel momento che
l’avrei rivista, ma ora so che era solo
l’infinitesima parte di un tutto che non so
spiegare.
Ho solo
sedici anni e mezzo, ho pochissima dimestichezza nelle faccende amorose e
ho provato qualcosa per qualcuno, solo una volta in vita mia e solo per
Sanae, quindi non riesco davvero a definire tutto quello che si
sta muovendo dentro di me.
Ma quello
che sento
lo so riconoscere.
E’
l’accelerazione del mio battito, che manda in circolo il
sangue ancora più velocemente nelle vene e che mi fa sentire
caldo al viso.
E’
quel sorriso, che proprio non vuole sentirne di distendersi e di tornare
normale, nemmeno per un attimo.
E’
quella vocina dentro di me che mi sta dando
dell’idiota, a stare ancora fermo qui in disparte ad
osservarla.
E’
quella spinta
che cresce, che sale e che mi fa tendere verso di lei.
Finalmente
decido che la tortura, se pure piacevole, può arrivare a
termine e con passo deciso, mi appresto a coprire la distanza che ci
separa, senza comunque distogliere lo sguardo da lei.
Il suo
volto si gira e all’improvviso i suoi occhi incrociano i miei.
E quel tutto dentro di me
prende a vorticare come un uragano nel mio petto.
La
raggiungo fermandomi giusto a un passo da lei e le sorrido.
“Ciao,
benvenuta!”
Lei abbassa
gli occhi ora, emozionata.
Solo
qualche secondo e la spinta
mi permette di stringerla tra le mie braccia.
Ora sento
il suo profumo, la consistenza del suo corpo tra le mie mani e la sua
risata felice nelle mie orecchie.
Il tutto smette
all’improvviso di girare e si blocca per un attimo, poi
esplode nel mio petto, diffondendosi uniformemente in tutto il mio corpo.
E mi
accorgo che basta semplicemente solo una parola per descrivere questa
sensazione.
Felicità.
Alzo il
viso verso il sole caldo, i suoi raggi bollenti mi scaldano e non
reprimo un sorriso soddisfatto.
Ieri ero
quasi entrato nel panico, in pratica in una sola giornata avevo
esaurito i posti dove portare Sanae poi un’illuminazione,
davanti al suo albergo, mi ha riportato la calma.
Una
giornata in spiaggia.
Perché
in fondo il Brasile è famoso anche per questo, no?
Osservo per
un secondo la confusione generale che ci circonda poi con fare deciso,
afferro il mio borsone da calcio e tiro fuori gli asciugamani da
stendere a terra.
L’operazione
mi ruba solo qualche secondo e il risultato non è un
granché ma questi sono solo dettagli, rispetto al resto.
Già, perché da ieri ogni cosa mi sembra superflua, se paragonata
alla sensazione di benessere, che ho ritrovato stando vicino a Sanae.
Come quando
ero in Giappone, come se non ci fossimo mai separati.
Felice ma
accaldato, decido di togliermi la maglia e di tornare a dedicarmi a lei, che se ne sta
in silenzio, già da un po’, alle mie spalle.
Mi volto
disinvolto senza chiamarla, solo con l’intenzione di
raggiungerla ma stavolta, non è la mia volontà a
bloccare i miei movimenti, ma qualcos’altro.
Sanae non
indossa più la maglietta ma solo un semplice bikini rosso,
allacciato sul collo e sulla schiena, da fascette dello stesso colore
ma nere sotto.
Le sue mani
ora fanno scivolare la gonna corta lungo in fianchi, la seguo cadere a
terra, come ipnotizzato.
Continuo ad
osservarla mentre di spalle riordina gli indumenti accanto
all’asciugamano, la sua pelle candida è un
bellissimo contrasto con le tinte decise del suo costume.
Questo
particolare mi ridesta dal mio torpore per un attimo e mi ricordo della
protezione solare, che le ho comprato prima di andare a prenderla in
albergo.
“Ti
ho preso la crema, tieni.”
Sanae si
gira, risponde al mio sorriso ringraziandomi e si volta di nuovo.
Involontariamente
mi ritrovo a fare lo stesso e a compiere lo stupido ed inutile gesto, di
risistemare gli asciugamani a terra.
Mi sento
improvvisamente impacciato, mentre tiro, senza prestarci attenzione,
gli angoli di cotone colorati della spugna, ma allo stesso tempo sono
fortemente attratto da ciò che è alle mie spalle.
Cercando di
fare l’indifferente, sbircio tentato con la coda
dell’occhio in direzione di Sanae e di nuovo sono assalito da
quella sensazione di intontimento di poco prima.
Rimango
immobile a fissare le sue mani che spalmano la crema sul collo, poi le
seguo scendere lente sul petto, lungo l’attaccatura del seno.
Deglutisco,
rendendomi conto pienamente solo ora di quanto lei sia diversa, di
quanto sia cambiata rispetto all’ultima volta che
l’ho vista, ormai quasi due anni fa.
Continuo a
fissarla mentre ignara fa scorrere le dita sul ventre piatto, le gambe
snelle, fino a risalire i fianchi morbidi.
Nella mia
testa riemerge involontariamente il ricordo delle sue labbra sulle mie,
la notte prima, davanti al suo albergo.
Per un
secondo solo, il contatto della sua bocca.
Sanae ora
cerca invano di raggiungere la sua schiena ma con scarsi risultati.
“Vuoi
una mano?” e non mi capacito subito di aver parlato, il tono
della voce un po’ incerto però è
proprio il mio.
Le sorrido
impacciato quando si volta, in attesa di una sua risposta.
Sanae mi
ringrazia accettando il mio aiuto e veloce si gira di nuovo di spalle.
Mi avvicino
alla sua schiena, prendo il tubetto che mi porge da sopra una spalla
poi le sue mani raccolgono i capelli all’altezza della nuca,
scostandoli di lato.
Di
riflesso, senza che ci sia mia volontà, o forse mi sbaglio,
ce n’è pure troppa, raccolgo una ciocca ribelle
sfuggitale e l’appoggio oltre la sua spalla.
Mi ritrovo
per qualche secondo ad osservare la sua schiena nuda, avvertendo una
sensazione di caldo ancora maggiore in tutto il corpo.
Deglutendo
di nuovo, raccolgo una noce di crema sul palmo della mano poi con
delicatezza, come se stessi toccando qualcosa di troppo bello per
essere raggiungibile, le mie dita sfiorano la sua pelle candida.
Sorrido
quando Sanae rabbrividisce a contatto con la crema fredda ma
più per non pensare alla tensione che sento, che per
divertimento.
Le mie mani
scivolano sulla sua schiena, sulle spalle e credo che il mio cuore
stia andando in aritmia.
Non mi sono
mai sentito così, mai in vita mia ma è una
sensazione che mi piace e più sento il contatto con la sua
pelle, sotto le mie dita e più mi rendo conto che non vorrei
smettere mai di toccarla.
In questa
bolla nel quale il mio cervello si è isolato
c’è solo la percezione incredibile di Sanae, del
contatto con lei.
Mi sveglio
da questo stato solo quando ho la percezione che i miei sensi, seguiti
fedelmente dai miei gesti, mi stiano portando a fantasticare un
po’ troppo.
“Fatto!”
esclamo all’improvviso, staccando le mie mani dalla sua pelle,
come se questa fosse fatta di carboni ardenti e mi allontano di qualche
passo, cercando di ritornare in me.
Scombussolato
dalle mie sensazioni mi do mentalmente del cretino.
Sanae si
volta ed io per il momento continuo a guardarla, poi preso
dall’imbarazzo distolgo lo sguardo, che si abbassa sulla
sabbia dorata.
Ma mi rendo
conto ben presto di non poter fare a meno di posarlo ancora su di lei,
combattuto da questa strana sensazione, che si è fatta strada
dentro di me.
Questa
emozione che comunque, nonostante l’imbarazzo, mi spinge ad
avvicinarmi di nuovo a lei, goffamente, ma con una strana sicurezza in
contrasto.
“Facciamo
il bagno?” chiedo accarezzando la nuca con una mano e
sorridendole, pregustando il momento che ci porterà ancora
vicini.
Sanae
annuisce rispondendo al mio sorriso, poi tende la mano, che stringo
felice mentre mi avvicino alle onde calme dell’oceano.
Ho baciato
Sanae altre volte o almeno così credevo, fino ad oggi.
Ho sentito
altre volte salire quel brivido lungo la schiena, un attimo prima di
sforare le sue labbra, ma non ne avevo mai provati una cascata
percorrere tutto il mio corpo.
Conoscevo
la morbidezza della sua bocca ma ignoravo quanto potesse essere
incredibile il suo sapore, quanto potesse sembrarmi sconosciuto ma allo
stesso tempo, l’unico gusto certo mai provato.
Sapevo che
se l'avessi abbracciata, avrei sentito un calore rassicurante pervadermi
ma solo ora posso affermare di conoscere come brucia
l’inferno e che non è poi così male.
Avevo una
cotta per lei, poi mi sono innamorato ma ora lo sento davvero che
è così.
Il tutto è
dentro di me, il tutto
ora è tra le mie mani.
Domani
svanirà, ma non ci posso pensare.
Dimentica
gli aerei Tsubasa, scordati dei continenti.
Cancella
il tempo, lo spazio ed elimina la distanza.
Stringo
più forte le braccia intorno al suo corpo, le mie dita
immerse nei suoi capelli.
Il suo
respiro si fonde con il mio, il suo sapore è il mio.
Sento...
Sono
passate appena tre ore dal mio rientro a casa dall’aeroporto.
Tre ore che
già sembrano giorni, non capisco poi come sia possibile.
Mi guardo
intorno un po’ spaesato, all’idea che solo ieri
Sanae era in questa stanza e mi distendo sul letto sopraffatto dalla
solitudine.
Mi giro a
guardare il suo volto che mi sorride dalla parete, perché
è a questo che devo necessariamente tornare.
Respiro col
naso all’insù, come se volessi sentire
nell’aria tracce del suo odore, tracce della sua presenza,
del suo passaggio nel mio mondo.
Sorrido
amaramente a quest’ultimo pensiero, perché a partire da
ora so che i nostri mondi effettivamente non coincidono
più.
Non che
prima non ne avessi idea ma ora che l’ho rivista, tutto mi
pare più netto all’improvviso.
Un sospiro
desolato sgonfia d’aria il mio torace e per
l’ennesima volta, da quando ho rimesso piede nella mia camera,
faccio partire il cd che mi ha lasciato Sanae poco prima di salire
sull’aereo, che la sta riportando in Giappone.
Le note del
piano riempiono di nuovo la stanza e la sua voce calda torna a cantare
ancora per me, come se sussurrasse al mio orecchio.
Chiudo gli
occhi ascoltando le parole nate dal cuore di Sanae.
Non ha
assecondato le sue paure, non ha preteso di tenermi sotto vetro.
Ha aperto
le sue mani e mi ha guardato spiccare il volo.
I miei
genitori mi hanno dato delle ali
quando sono nato, lei le ha trasformate in quelle di una
farfalla.
E non
può pretendere che lacrime smettano di riversarsi sul suo
viso, né che il dolore la sovrasti ma resiste e torna ogni
volta a dirmi addio, perché vuole che io sia libero di
diventare ed essere, ciò in cui credo.
Mentre
sento la sua voce incitarmi ancora a volare con le mie ali di farfalla,
compro gli occhi per nascondere la lacrima che sento scendere a
bagnarmi una tempia.
Sì
Sanae…
Aprirò
le mie ali…
E
volerò…
Come
una farfalla…
In
questo capitolo ho fatto un grosso salto temporale, visto che gli
avvenimenti che ho riassunto si verificano in Butterfly nei capitoli 12
e 13.
In
B. avevo bisogno di creare da zero la vita di Sanae dopo la partenza di
Tsubasa, mentre in Fly Away non ho questa necessità visto
che gli obbiettivi di quest’ultimo sono ben noti a tutti.
Tsubasa
qui è cresciuto e si trova per la prima volta ad avere a che
fare con la fisicità dei sentimenti, emozione che
amplificherà ancor di più d’ora in poi
la distanza che lo separa a Sanae.
Nel
finale ho deciso di non riproporre il testo di
“Butterfly” ma semplicemente di far esprimere a
Tsubasa i concetti fondamentali perché in fondo sono quelli
che lo riguardano e che riguardano l’amore di Sanae.
Spero
di trovare al più presto altri ritagli di tempo che mi
permettano di andare avanti più velocemente, nel frattempo
ringrazio ancora di cuore tutte quelle persone fantastiche che seguono
la storia e chi ha speso un po’ del suo tempo per farmi
avere, privatamente e non, le sue impressioni.
Questo
capitolo in particolare è per Sara che inconsapevolmente mi
ha aiutata a metterlo su “carta”…
chissà se si ricorderà mai… ^______^
Grazie
ancora per l’attenzione,
OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Buon compleanno ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 6
Buon
compleanno
Ma come ho fatto a farmi
convincere?
Mi guardo
intorno un po’ spaesato, circondato da monili di ogni tipo e
di ogni fattura, i borsoni da calcio vicino alla porta
d’ingresso due note stonate, che proprio non
c’entrano nulla in questa specie di bazar.
Pepe
discute vivacemente con la ragazza del negozio, da ormai un quarto
d’ora, mentre lei sciorina tutte le qualità dei
sui prodotti artigianali, unici nel suo genere.
Ora gli sta
mostrando un bracciale con tante pietruzze colorate come ciondoli,
fatto con le sue stesse mani, Pepe mugugna in silenzio mentre lei
continua a gesticolare entusiasta, con movimenti che mettono
continuamente in scompiglio la lunga chioma riccia, tenuta malamente a
freno da una fascia colorata.
Attendo la
risposta del mio amico, osservando il suo volto serio mentre rigira il
bracciale tra le dita, sconsolato, emetto un sospiro quando lo vedo
scuotere la testa chiedendo di vedere altro.
La ragazza,
che scopro chiamarsi Dinà, non si scompone ma orgogliosa,
prende a stendere un’altra infinita serie di sue creazioni
sul banco.
Ma quanto ci vuole a prendere
un cavolo di regalo?
Mi metto
così a curiosare per il piccolo negozio, tanto per ammazzare
il tempo, sentendomi però come un elefante in una
cristalleria, tanto è pieno di roba estremamente
fragile.
Passo
vicino a un piccolo tavolo, che mi arriva poco sotto a un fianco e
osservo dei vasi di varia misura, tempestati di vetri colorati,
a fianco una mensola trabocca di scatole quadrate, più o
meno grandi, decorate alla stessa maniera.
Mi avvicino
poi a una bacheca, dove sono esposti dei ciondoli dalle forme
più disparate: dai delfini alle stelle marine, dai segni
zodiacali ai fiori tropicali e no.
Più
li guardo e più non ne capisco assolutamente niente, ma mi
sembrano carini o meglio, credo che a una ragazza potrebbero proprio
piacere.
Mi
allontano sorridendo, pensando alla reazione di Sanae in mezzo a tutto
questo femminile ben di Dio, quando, con la coda dell’occhio, noto qualcosa che attira la mia attenzione.
Un piccolo
ciondolo diverso da tutti gli altri, che superficialmente non avevo
notato.
Prendo in
mano il piccolo oggetto, la sua forma di farfalla mi strappa un altro
sorriso ma stavolta un po’ malinconico.
Lo faccio
dondolare, prendendo l’anellino, che serve per appenderlo, tra
pollice e indice, le ali decorate di cristalli incominciano a brillare,
proprio come se stessero sbattendo nell’aria.
“Dinà?”
chiamo senza pensarci due volte e dando direttamente del tu
confidenziale alla ragazza del negozio, che è anche
più grande di me, ma ormai sono abituato a non usare le buone maniere
giapponesi in Brasile.
“Dimmi!”
mi risponde con un sorriso solare sul viso mulatto.
Mi avvicino
di qualche passo e le porgo il ciondolo.
“Avresti
anche una catenina per questo?”
“Lo
prendi?” mi chiede allegra, sistemando meglio
l’oggetto nel palmo della sua mano, un po’ come se
fosse un vero essere vivente.
Annuisco
sorridendo, la ragazza mi chiede di aspettare un attimo e si sposta nel
retrobottega.
E non so
perché, ma mi sento all’improvviso contento per
una cosa forse un po’ stupida.
Sto
comprando un regalo per una persona che non ho assolutamente modo di
vedere, regalo che rimarrà in camera mia per non so quanto
tempo.
Ma questo
mi rende felice.
Solo ora mi
accorgo che Pepe mi sta osservando con aria perplessa.
“Che
c’è?” chiedo sbattendo le palpebre.
“Che
hai comprato?”
“Un
regalo!” rispondo sfoderando un sorriso allegro.
“Per
chi?”
Rispondo
ancora, ma stavolta abbassando le spalle ed emettendo uno sbuffo.
“Dammi
una mano se sei così bravo!”
“Non
sono bravo a fare regali!”
“Sì
che lo sei!Ci hai messo un minuto!”
“E’
il tuo regalo, pensaci da solo!”
Dinà
rientra dal retro in questo istante, Pepe grugnisce scocciato, tornando
ai suoi monili.
“Ecco
qua! Ti piace?” mi chiede la ragazza, dondolando davanti al
mio naso il ciondolo appeso a una fine catenina d’argento, le
ali brillanti riprendono a volare.
“E’
perfetto!” esclamo, annuendo soddisfatto.
Dinà
sorride compiaciuta mentre prende della carta velina e inizia ad
avvolgerla delicatamente, intorno alla farfalla di cristalli.
“Ti
farò un bello sconto per la decisione con cui hai
scelto!” esclama poi mentre posa il piccolo involucro bianco
dentro una scatolina di carta da zucchero colorata, un sorriso
divertito rivolto al mio amico, che nel frattempo ha rialzato lo sguardo
imbronciato su di noi.
“Pure
a me lo farai! Sono il tuo migliore cliente!”
Dinà
scoppia a ridere dandogli del moccioso perditempo.
“Dovresti
prendere dal tuo amico asiatico!” aggiunge poi ghignando
contro Pepe, che inizia a blaterare su quanto questa frase abbia
davvero poco senso.
E sorrido
anch’io divertito, perché in fondo, ha ragione lui.
Consigliare
a qualcuno di prendere da me per le faccende di cuore, è una
cosa che fa oggettivamente ridere.
“Come
immaginavo! E’ una semplice lesione di primo grado.”
Il dottore
sentenzia così, posando la mia cartella sulla scrivania,
l’ecografia del mio tricipite surale, ossia polpaccio, in
bella vista.
“Hai
un po’ esagerato con l’allenamento, ma le fibre
lacerate sono appunto meno del 5%. Dovresti farli riposare, ogni tanto,
questi muscoli!”
Imbarazzato,
mi gratto il ciuffo ribelle sulla nuca mentre il dottor Sampaio prende
il ricettario e inizia a scrivere.
“Devi
stare a riposo per almeno una settimana, poi vedremo
se sarà il caso di prolungare…”
Uno sbuffo
deluso esce dalle mie labbra.
Odio gli
infortuni, odio dover star fermo.
Mi fa
sentire inutile e non fa bene al mio umore, è
l’unica cosa che non riesco a prendere poi tanto con
filosofia.
Già
mi vedo impaziente, tornare qui tra sette giorni, con la speranza di
sentire che posso tornare a giocare.
Detesto
queste situazioni, è frustrante.
“Dovrai
assumere antinfiammatori e miorilassanti, ti segno qua il dosaggio e i
tempi. Farai solo ed esclusivamente un po’ di stretching per
accelerare il recupero del tessuto di riparazione cicatriziale. Tutto
chiaro?”
Annuisco
serio, prendendo dalle mani del dottore il foglio bianco con su scritta
la mia condanna
e lo saluto ringraziando, dandogli appuntamento tra una settimana
esatta.
A passi
calmi, senza alcuna fretta, attraverso il corridoio bianco che porta
all’uscita, oltre il portone verde della clinica
c’è Roberto, che mi aspetta appoggiato al cofano
posteriore dell’auto.
Lo saluto
abbozzando un sorriso mentre mi butto sul sedile, non prima di aver
letteralmente lanciato il borsone nel bagagliaio.
“Non
mi pare sia andata bene…” borbotta Roberto mentre
mette in moto e fa retromarcia, ha l’aria davvero preoccupata.
Sconsolato
gli spiego delle mia distrazione muscolare di primo grado come se
stessi parlando di qualcosa d’incurabile.
Lo so che
sono melodrammatico in questo momento, ma poi pian piano mi passa.
“Poteva
andare peggio! Una settimana di stop è una
barzelletta!”
Roberto
ridacchia, tirando un sospiro di sollievo ed io mi limito ad annuire
imbarazzato, rendendomi conto delle mie reazioni un po’
esagerate a volte.
Ammutolito,
decido così di concentrarmi sulle immagini fuori dal
finestrino, ostentando un silenzio prolungato.
Roberto mi
lascia fare, senza disturbarmi e guida anche lui silenzioso, finché non arriviamo a casa.
L’andazzo
rimane lo stesso per tutta la serata, finché dopo cena, non
mi chiudo in camera mia di pessimo umore.
Mi sdraio
sul letto a pancia in giù, sospirando rumorosamente e
chiudendo gli occhi.
Inspiro
forte col naso contro il cuscino, prima di riaprirli e nel mio campo visivo appare il pacchetto colorato,
poggiato sul mio comodino.
“Non
posso allenarmi, Sanae, e nemmeno giocare…” mormoro
sospirando ancora, come se potesse realmente sentirmi e mi torna in
mente l’ultimo infortunio, ben più grave
però, che mi ha tenuto a riposo per un sacco di tempo,
subito dopo aver vinto il terzo campionato nazionale delle scuole medie.
E mi
ricordo di un pomeriggio d’estate, il giorno in cui sarebbe
tornato mio padre e di noi due soli nella mia stanza.
Se almeno potessi
vederti…
Ed eccola
la famosa lampadina che s’illumina!
Spalanco
gli occhi sorpreso dalla mia intuizione, poi facendo forza sulle
braccia, mi tiro su dal letto, andando ad afferrare il telefonino, poggiato accanto al pacchetto multicolori.
Un rapido
calcolo sul fuso orario e un altro per verificare le ore che
avrò a mia disposizione, per andare e venire.
Sorrido
beato mentre faccio partire la chiamata.
“Tsubasa?!”
Taro
risponde con nella voce un mix di stupore e allegria, di sottofondo il
rumore del cortile della scuola, nell’ora di pausa pranzo.
“Ascoltami!
Sabato è il compleanno di Sanae, mi sono infortunato e ho
deciso di farle una sorpresa!”
Taro
scoppia a ridere dall’altro capo del telefono, e del mondo,
avvertendomi che la Nishimoto ha già organizzato, per lo
stesso motivo, una festa a casa sua.
“Perfetto!
Voi non ditele niente, sabato mattina sono in Giappone!”
esclamo al settimo cielo, dimentico delle mie disgrazie muscolari.
“Ok
ricevuto! Ora attacca che se mi beccano sono cavoli!”
“Hai
ragione! Scusa!” esclamo ridendo imbarazzato,
perché a questo non avevo proprio pensato.
Ma perché lo tiene
acceso lo stesso allora?
E
all’improvviso credo di sapere la ragione.
“Ah!
Taro!”
“Uh?”
“Ryo
mi ha detto che ti sei fatto un viaggetto a Parigi. Mi sono perso
qualcosa?” chiedo maliziosamente.
Il mio
amico rimane in silenzio per una manciata di secondi.
“Ti
racconto tutto sabato! Ciao!” e ridacchiando, chiude la
comunicazione senza darmi tempo di aggiungere altro.
Osservo per
qualche secondo, sbattendo le palpebre, il cellulare muto tra le mie
dita poi la mia euforia si manifesta in un’allegra
risata.
Felice, mi
butto di schiena sul letto e per la prima volta in vita mia, colgo il
lato positivo in un infortunio, che non mi permette di fare quello che
amo di più, ma mi regala il tempo necessario per tornare a
casa.
Casa mia.
La mia stanza.
Il mio cortile.
Sono
passati due anni dalla partenza ma tutto è uguale.
Ed
è fantastica la sensazione che si prova quando si ritorna,
anche se per veramente poco.
Un misto di
tempo mai passato e nostalgia, un mix di colori e profumi che,
all’improvviso, mi circondano, risucchiandomi in una vita che
non è più la stessa, ma che ora sembra sempre
uguale.
La mamma si
è messa a piagnucolare al telefono, quando le ho detto che
sarei tornato per qualche ora, poi mi ha abbracciato stretto felice,
quando ci siamo trovati faccia a faccia e infine mi ha sorriso
maliziosamente, quando ha esclamato che “Certe cose si fanno
solo da giovani e solo per amore!”.
Ovviamente
sono scappato dalla sua vista come un ladro, imbarazzato e senza nulla
di furbo da ribattere.
La sua
risata divertita mi ha seguito finché non ho chiuso la porta
d’ingresso alle mie spalle ma nell’istante esatto
in cui ho varcato la soglia, me ne sono subito dimenticato,
perché mi è sembrato di essere di nuovo il
ragazzino di qualche anno fa, che scappava al campetto con il pallone
al piede.
E mentre
attraverso il quartiere ancora deserto nelle prime ore del pomeriggio e
mi guardo intorno, sento di nuovo la contrastante impressione che tutto
sia uguale ma allo stesso tempo diverso.
Ma forse
sono semplicemente io a non essere più quello di prima.
Non sogno
più il Brasile ora ma cerco di conquistarlo.
In
lontananza scorgo finalmente la casa della Nishimoto, ovvero il luogo
del nostro appuntamento, mio e dei ragazzi.
D’impatto
riconosco subito le fisionomie dei miei amici, dei miei più
cari amici, che mi stanno aspettando, radunati davanti al cancelletto
d’ingresso.
Ishizaki si
volta in questo istante verso di me, mi vede e la sua risata
si dilata in quell’espressione buffa, che conosco da una vita.
“Tsubasa!”
grida a squarciagola, anche gli altri si girano così per
guardare nella mia direzione.
Li saluto
sbracciandomi, sentendo dentro di me un’emozione fortissima.
Tempo una
manciata di secondi, sono accerchiato e abbracciato in mezzo al chiasso
assordante, che mi ricorda tanto, quando segnavo un goal in una partita
importante e loro erano i miei fidati compagni di squadra.
“Lasciatelo
animali! Così lo soffocherete e a noi serve vivo
stasera!”
E’
la Nishimoto a parlare, riconosco la sua voce in mezzo alla confusione, poi riesco anche a vederla mentre si fa largo tra i
ragazzi, che mi liberano così dal loro abbraccio collettivo.
“Ciao
Tsubasa!” mi saluta allegra,
le rispondo con un gran sorriso mentre ho ancora Ishizaki che mi
penzola dal collo e Taro, che continua a darmi sonore pacche sulla
schiena.
“Entriamo
dentro su! Non vorrei che a Sanae fosse venuta voglia di gironzolare da
queste parti e allora, addio sorpresa!”
Obbedienti
e con una certa fretta, ci accavalliamo gli uni agli altri nel cortile
e subito dopo, all’interno dell’abitazione.
Una volta
riuniti in soggiorno, tutti seduti in circolo come quando facevamo una
pausa durante gli allenamenti, i ragazzi prendono a domandarmi
qualsiasi cosa sulla mia vita calcistica in Brasile.
Rispondo
alle loro domande di buon umore, facilitato dall’argomento e
dalla sensazione incredibile di benessere che mi circonda,
perché mi sento davvero a casa, in questo momento.
Non
tralascio nessun particolare, nemmeno il più stupido e il
mio racconto, partito dalla mia solitaria partenza, che ho menzionato
proprio per permettermi di scusarmi, è giunto
all’ultima partita di campionato, vinta contro il Cruzeiro e
al mio sciocco infortunio durante gli allenamenti, senza che mi
rendessi conto del tempo che scorre.
“Così
ho approfittato per venire un po’ in Giappone!”
concludo ridacchiando e grattandomi la testa.
“Da
Sanae vorrai dire!” esclama divertito Izawa, dandomi una
leggera gomitata sul braccio, io abbasso lo sguardo sentendomi
arrossire e annuisco, continuando a tormentarmi i capelli sulla nuca.
“Che
romanticone che sei! Proprio non ti ci facevo!” questa volta
è Ishizaki a parlare, prendendo la palla al balzo per tornare
a giocare al suo sport preferito, dopo il calcio, ovvero Mille modi di tormentare Tsubasa
Ozora nelle faccende di cuore.
Tutti
scoppiano a ridere vedendo l’espressione imbarazzata sul mio
volto mentre osservo il mio compagno, che continua ad ammiccare annuendo
e mimando con le dita un cuore pulsante contro il petto.
Ma non ce
la faccio proprio ad arrabbiarmi.
“Ti
sono mancato tanto, eh Ryo?”
“Non
immagini nemmeno quanto!” mi risponde, facendo finta di
essersi disperato in mia assenza.
“Ma
in compenso il buon Misaki ci ha dato di che parlare!”
Repentinamente
non mi faccio scappare l’occasione di distogliere
l’attenzione da me e mi volto verso Taro, che ostenta
un’espressione di placida indifferenza.
“E’
vero! Tu mi devi raccontare molte cose o sbaglio?” gli chiedo
facendo un po’ il gradasso.
Misaki
temporeggia, stando sul vago, per cercare di prendere tempo ma
fortunatamente in suo aiuto, arriva la Nishimoto, che con tempismo
calcolatamente perfetto, inizia a esortare il resto della squadra a
seguirla in cucina, per preparare tutto l’occorrente per la
festa.
I ragazzi
cercano di sottrarsi, borbottando delle scuse, ma Yukari non si scompone
di una virgola e li minaccia, senza mezzi termini, di farli rimanere
tutti senza cena.
“Forza
di corsa di là con me! Tanto questa storiella già
la conoscete a memoria! E voi ragazzi…” si volta
verso Taro e me “… parlate pure, ma non fate
aspettare troppo Sanae, ok?” e strizza l’occhio
solo nella mia di direzione ora.
Annuisco
sorridendo e la mia attenzione torna a concentrarsi su Misaki.
“Allora?”
lo incito, ma stavolta con fare meno malizioso, una semplice domanda
interessata al bene del mio amico.
“Il
merito è principalmente di Sanae, se non fosse stato per la
sua testardaggine, forse non ci sarebbe stato nessun viaggio a
Parigi.”
Sorrido
all’idea di lei che punta i piedi, con le mani sui
fianchi, cercando d'imporsi alla timidezza del mio
amico.
“Sanae
si è offerta di ospitare Azumi a casa sua, benché
non la conoscesse per niente e così ho potuto fare la prima
mossa, invitandola in città e passare del tempo con
lei.”
“E
cosa vi siete detti?”
“Ecco,
non è che la cosa si sia svolta proprio a
parole…”
Sorrido
arcuando un lato delle labbra.
“Diciamo
che ho usato molto la bocca ma non proprio per
parlare…”
Arrossisco
leggermente mentre faccio segno d’aver capito,
l’espressione di Taro cambia, facendosi un po’
più seria.
“E’
stato tutto naturale, niente discorsi imbarazzanti, ci siamo
semplicemente avvicinati.”
Annuisco
sorridendogli.
“Quindi
perché non approfittare delle vacanze di
primavera?”
Il mio
amico sorride allegro ora, facendo un po’ lo scemo ed io sono
felice per lui, perché so quanto tenesse a quella ragazza.
Non che
Taro sia un gran chiacchierone, in fondo ci assomigliamo in questo, ma
di solito, ci bastano un paio di parole per comprenderci al meglio.
“Poi
in Francia c’è stato anche quello…”
torna per un attimo a parlarmi, serio ora, ma con un pizzico
d’imbarazzo in più, che prima proprio non aveva.
“Uh?”
lo guardo perplesso, aggrottando le sopracciglia, rimuginando
sull’ultima parolina uscita dalla sua bocca.
“Quello!”
ripete con un cenno della mano aperta verso di me, per sottolineare un
concetto che momentaneamente mi sfugge.
Sesso!
E la mia
bocca si spalanca per lo stupore, rimanendo poi aperta come
quella di una carpa in procinto di mangiarsi un tozzo di pane, lanciato
nel laghetto.
“Oh…
Ecco… Wow!” farfuglio, preso un po’
dall’imbarazzo mentre Taro ridacchia, strofinando
l’indice sotto il naso.
Ho perso
proprio le parole.
“Ma
ora basta parlare di me! Va da Sanae, ha già aspettato
troppo!” mi esorta infine, dandomi una pacca sulla spalla e
tirandomi poi per un braccio, in direzione della porta.
“Ok,
ok!” protesto divertito dal suo d’imbarazzo mentre
mi caccia, letteralmente, sul pianerottolo, mi volto nella sua direzione
arrivato al cancello.
“Vai!”
grida ancora dalla porta e senza che lo debba ripetere
un’altra volta, lo saluto e mi metto a correre il
più veloce che posso.
I miei
piedi sanno da soli dove devono andare, un po’ come quando in
campo cercano la porta.
Davanti al
suo portone.
Riprendo
fiato per la corsa impaziente, che mi ha fatto volare fino a qua.
In casa
c’è solo lei, me l’ha assicurato la
Nishimoto, che ha intelligentemente avvertito i suoi genitori, per non
rovinare l’effetto sorpresa.
Sollevato
dall’idea di salutare la mamma e il papà di Sanae
in qualità di fidanzato, tiro un sospiro, pregustando quello
che sta per accadere.
Suono il
campanello, ponendo fine alla mia attesa, in silenzio mi metto ad
ascoltare i rumori della casa.
Qualche
secondo ancora, poi le mie dita impazienti tornano a premere sul
pulsante bianco e di nuovo, tendo le orecchie per percepire i movimenti
di Sanae.
La sua voce
ovattata, oltre la porta, che chiama sua madre, mi regala un brivido
caldo lungo la schiena.
Divertito e
allo stesso tempo eccitato, torno a suonare per la terza volta il
campanello ma questa volta riesco a sentire distintamente il suo “Arrivo!”
perché rivolto proprio a me, o meglio, alla Yukari che
dovrebbe aspettare sul pianerottolo.
Rumore di
passi per le scale, poi la porta d’ingresso si spalanca con
poca grazia davanti ai miei occhi.
Ho il tempo
di scorgere il viso di Sanae solo per un attimo, perché lei
si gira subito, armeggiando con un orecchino mentre si scusa, sempre con
Yukari, domandandosi dove sia finita sua madre.
Ma la frase
rimane sospesa, interotta a metà, perché lei si
blocca di colpo ed io sorrido compiaciuto,
nell’attesa che si volti.
Si gira di
scatto, poi mi fissa stupita e mi viene da pensare e credere,
che potrei anche morire in questo momento, se non
l’abbraccio forte subito, ma desisto dal farlo, godendo
ancora dello stupore dipinto sul suo viso.
“Sorpresa!”
esclamo con voce allegra, allargando le braccia le sorrido
dolcemente.
Sanae
rimane imbambolata a guardarmi, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia
scure.
“Se
davvero tu…?” mi chiede sussurrando mentre la sua
bocca rimane socchiusa, sempre in un moto di incredulità.
E qui non
resisto più.
Azzero la
distanza che ci divide e come calamitate, le mie mani afferrano il viso
di Sanae.
Un secondo
dopo, mosse dalla stessa forza, le mie labbra sono
premute contro le sue.
Inspiro
forte prima di lasciarle andare, ma senza allontanarmi troppo, per
guardarla negli occhi.
“Direi
di sì!” rispondo così alla sua domanda
buffa, completamente vinto dalla felicità che provo in
questo momento.
“Buon
compleanno!” esclamo stringendola un po’
più forte a me.
Sanae
inizia a piangere silenziosamente mentre risponde alla mia stretta, poi
le lacrime lasciano il posto a una risata allegra.
E quando i
suoi occhi tornano a guardare i miei, riesco a leggerci ogni stilla del
suo amore per me.
E sono
felice di non averti fatto aspettare troppo stavolta.
Sono felice
di essere volato
da te.
La festa
per il compleanno di Sanae è stata esattamente come dovrebbe
essere una riunione di vecchi amici. Perfetta.
Ho parlato
per tutta la sera come non ho mai fatto in vita mia, quasi da perdere
la voce o renderla rauca per lo sforzo.
Ho riso
alle battute dei miei compagni, ho sogghignato vendendo come Ishizaki
possa diventare assillante come un mastino, quando si tratta della
Nishimoto e sono arrossito, quando inevitabilmente toccava a me essere
lo zimbello di turno.
Ho sentito
il mio cuore farsi più leggero, nel vedere il sorriso sereno
di Sanae mentre scherzava con i nostri amici, mentre lo rivolgeva a me.
E la
sensazione di stare di nuovo tutti insieme mi ha fatto sentire come se
non me ne fossi mai andato e ho previsto, allo stesso tempo, che domani
in Brasile, mi sentirò un po’ più
malinconico.
Ma nulla
vale il prezzo della gioia di Sanae quando ha sentito che sarei tornato
d’estate, per la Nazionale e così la paura della
nostalgia si è allontanata veloce da me, come
n’è venuta.
Ora
però è il momento di lasciare tutti, è
il momento di restare un po’ da soli, lei ed io.
Mi congedo
dai miei amici con la consapevolezza che non passerà molto e
saremo di nuovo insieme.
Mi offro di
accompagnare Sanae a casa, come se ci fosse davvero bisogno di farlo,
come se non fosse scontato.
Ma anche
questo fa parte del mio tuffo nel passato e mentre la mia mano stringe
le sue dita, passeggiando di nuovo per vie familiari, mi tornano in
mente le volte che facevamo la stessa strada usciti da scuola.
“Domani
verrai all’aeroporto?” le chiedo però,
ricordandomi che ci troviamo in una situazione ben diversa da quella di
un tempo.
Sanae mi
guarda di sottecchi poi alza gli occhi al cielo e sorride
malinconicamente.
“Non
vuoi?” mi risponde semplicemente con un’altra
domanda, che mi porta a riflettere sulle mie decisioni in merito, prese
due anni fa.
“Non
è come quando sono partito ora…”
Sanae si
ferma trattenendomi per la mano, mi giro a guardarla mentre mi fissa
seria.
“Possiamo
non parlarne ora? Puoi accompagnarmi a casa e basta, solo godendoci il
momento?”
Nei suoi
occhi come un velo di tristezza a incupirli, cosa che non deve
accadere oggi, che è il suo compleanno, non stasera che
siamo insieme.
Ho preso un
aereo per renderla felice, non per rimarcare quanto siamo distanti.
Annuisco
per rispondere alle sue domande, che suonano tanto come una richiesta
di aiuto.
“Ti
va di allungare per il parco?” le chiedo poi sorridendo, per
dissipare la tristezza e per cercare di prolungare il più
possibile il tempo da passare insieme.
Sanae
annuisce convinta a sua volta e riprende a camminare, la sua mano
inizia a dondolare stringendo la mia.
Una folata
di vento muove i suoi capelli, il suo profumo si propaga
nell’aria che mi circonda e posso sentirlo più
distintamente, ora che Sanae si stringe al mio braccio sospirando.
Questa
semplice gesto mi emoziona tanto che sento che sto arrossendo.
E mi rendo
conto che il ragazzino che si limitava ad accompagnarla a casa
è sempre dentro di me, ma anche che ora, non si accontenta
più.
Ho voglia di
baciarla…
Quando
raggiungiamo il ponte di legno sul fiumiciattolo che costeggia il
parco, Sanae si ferma, come sempre da quando la conosco, per sporgersi
a guardare l’acqua che scorre sotto di lei.
Io mi
avvicino, col cuore che batte più forte contro il petto,
quando lei si volta e mi sorride, mi limito solo ad avvicinarmi ancora
e a baciarla dolcemente.
Non
c’è nessuna titubanza nella sua risposta, ma solo
un’accogliente esigenza.
E
più sento le sue labbra muoversi con le mie, più
sento sparire tutto ciò che mi circonda.
Il suo
sapore mi è mancato da morire, come mi è mancata
la sua pelle, che ora le mie mani cercano di raggiungere, infilandosi
sotto il suo maglione.
Quando ne
avverto il calore vellutato sotto il mio tocco, istintivamente mi
stringo di più a lei, come se in nostri corpi dovessero per
forza incastrarsi perfettamente.
La mia
bocca scivola poi sul suo collo, dal sapore buono come quello delle sue
labbra.
Sfioro con
le dita la sua gola, quando torno a baciarla sulla bocca, il suo respiro
profondo mi fa sentire come se potessi tutto a questo mondo.
Con il
pollice accarezzo quella parte di lei, che custodisce la sua preziosa
voce e mi ricordo, all’improvviso, di non averle ancora dato il
mio regalo.
Mi separo
da Sanae quel tanto che basta per pronunciare il suo nome e guardarla
negli occhi, che ora mi fissano languidi e dolci.
Frugo nella
tasca del giacchetto con una mano e n’estraggo la mia
scatolina colorata, che le porgo sotto il naso.
Sanae la
scarta emozionata, chiedendomi di che si tratta, rimango in silenzio in
attesa della sua reazione.
Arrossisce
di più quando prende il ciondolo tra le dita e i suoi occhi
si velano di lacrime commosse, quando lo fa dondolare davanti ai suoi
occhi.
L’aiuto
a indossarlo, sempre senza dire una parola, perché mi sembra
che quella piccola farfalla riesca a parlare per me.
“Grazie…”
sussurra, stringendo il ciondolo tra le dita “… la
porterò sempre!”
Le sorrido,
sentendo che il mio cuore esiste stasera, non per farmi correre su un
campo, ma per battere per lei.
“Buon
compleanno Sanae…” e torno a baciarla, amando
incredibilmente la morbidezza delle sue labbra, amando semplicemente
lei.
Prima di tutto i soliti dovuti
ringraziamenti a chiunque si trovi sotto gli occhi questa pagina!
Mille grazie per
l’attenzione, la disponibilità e anche la costanza
di seguirci!^^
Questo capitolo è
un po’ lunghetto, ma mi serviva in questo modo per spiegare
cosa c’era dietro alla sorpresa di compleanno.
A differenza del precedente,
al quale ho voluto dare un taglio molto intimo e legato solo alle
sensazioni di Tsubasa, qui troviamo passo per passo cosa ha fatto e
provato il capitano.
Manila nella recensione ha
fatto delle osservazioni molto giuste però, avrei potuto
descrivere e raccontare di più nello scorso capitolo, ma ho
sempre pensato di aver “dato” tutto in quel
frangente quando scrissi i capitoli di B. e non mi andava di fare in FA
un capitolo gemello.
Fly Away mi
“serve” per esprimere lo Tsubasa che
s’intuisce in B. per questo spesso tendo a non ripercorrere
gli stessi episodi o a sottintendere molto, dimenticando che non
necessariamente B. è il punto di partenza e che
già si conosca.
Ho scelto la via che piaceva a
me insomma, come ho sempre usato fare ogni volta che ho impostato un
capitolo, tralasciando cosa potessero desiderare gli altri.
E’ una mia vena
“egoistica” che spero mi sia perdonata.^^
Chiedo quindi scusa a chi
leggendo a volte si sente un po’ escluso dal tutto che do
forse per scontato.
Ringrazio Manila per avermi
fatto riflettere su queste cose che mi hanno permesso di spiegare qui
il mio punto di vista.
Alla prossima, OnlyHope ^___^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Fulmine a ciel sereno ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
7
Fulmine
a ciel sereno
Perplesso.
Aggrotto le
sopracciglia, gli occhi fissi sullo schermo ora prendono a risalire la
mail di Ishizaki, per arrivare giusto qualche riga più su.
Rileggo la frase, un
periodo composto da una manciata di parole ma che lascia una nota
stonata, in quello che è il solito raccontare divertito del
mio vecchio amico.
“Un’ultima
cosa! C’è un tizio che si sta appiccicando a Sanae
come una cozza, per il momento sembra inoffensivo, ma non ti
preoccupare, ci sono io a tenerlo d’occhio!”
Involontariamente il
mio naso si arriccia in un’espressione contrariata e i miei
occhi tornano a leggere quel punto della mail di nuovo, un paio di
volte, come per capacitarmi realmente di che cosa si stia parlando.
Poggio la schiena alla
spalliera della sedia, le mie braccia s’incrociano sul petto,
mentre il mio cervello incomincia a elaborare l’informazione
ricevuta.
“Mmm…”
mugugno sentendomi ormai infastidito, ma cercando comunque di
razionalizzare il tutto.
Sanae è una
ragazza molto carina, non dovrei quindi stupirmi che qualcun altro
s’interessi a lei.
Ma già solo
formularla questa ipotesi, mi innervosisce e mi ribello,
perché no, nessuno dovrebbe nemmeno prenderla in
considerazione come ragazza.
Ok
così non va però!
Cercando di ignorare
il mio stato d’animo, che in questo momento non mi lascia
riflettere lucidamente, torno a valutare la cosa per quella che
semplicemente è: a un ragazzo, a un altro ragazzo, forse
piace Sanae.
La mia Sanae.
Ma per quanto mi stia
sforzando di vedere la questione oggettivamente, proprio non riesco a
prenderla bene o perlomeno credo sia normale, che la cosa non mi vada a
genio.
Com’è
normale però, tento di ripetermi, che qualcuno si sia
accorto di lei, visto che Sanae non vive in un eremo o rinchiusa in una
torre e che questo qualcuno veda, almeno superficialmente, quello che
io conosco di lei, ma nel profondo.
Poi dovrei pur saperlo
che Ishizaki tende a esagerare a volte, un po’ come quando
prende di mira qualcuno per le sue battute.
E’ molto
probabile che una semplicissima conoscenza possa passare, ai suoi
occhi, come un approccio a qualcosa di più,
perché lui è il classico uomo d’onore
in questi casi e la sua lealtà, nei miei confronti,
l’ha portato, forse, a vedere più di quello che
c’è in realtà.
Di certo non posso
biasimarlo per questo, anzi mi ritrovo a essere felice nel costatare
che la sua amicizia, nonostante la distanza, sia ancora così
salda e sincera.
Devo solo ricordarmi,
ogni tanto, che è un tipo un po’ teatrale, cui
piace tanto aprire la bocca, non dico a vanvera, ma troppo.
Come mi deve entrare
in testa, che sia normale che una ragazza carina abbia degli ammiratori.
Tutti finiscono per
piacere a qualcuno, chi più e chi meno.
Jun Misugi non aveva
già il suo fan club di ragazzine adoranti, quando eravamo
solo alle elementari?
E anch’io,
nel mio piccolo, non ho dovuto rifiutare la dichiarazione di Kumi?
Ma il primo si
è poi innamorato di Yayoi Aoba ed io lo ero già
di Sanae.
Ed è qui
che sta la differenza.
Quindi non mi resta
che esortare il mio cervello, e non solo, a farsi una ragione di questo
spasimante sconosciuto e pretendere che questa notizia non rovini
troppo il mio umore o le giornate.
Basta
rimuginare!
Chiudo la mail e
spengo il computer, tralasciando così di rispondere subito
al mio amico, per non dover affrontare ancora il problema, proprio
adesso che sono riuscito ad arginarlo.
Uno sguardo distratto
al DVD che volevo vedere stasera, poggiato sopra il televisore e
decido di lasciar perdere, ormai mi è proprio passata la
voglia.
Credo che mi
metterò semplicemente a dormire.
M’infilo
sotto le lenzuola, rigirandomi poi di fianco e m’impongo di
far diventare il pensiero degli allenamenti di domani,
l’unica riflessione concessa, prima di chiudere gli occhi.
“Merda!” esclamo scocciato, vedendo la palla che
sfiora la traversa, oltrepassando la porta.
Pepe mi guarda
indicando la sua posizione, io mi scuso, con un gesto rapido della
mano, per non averlo notato in tempo.
Retrocedo di qualche
metro mentre il secondo portiere rinvia il pallone, calciando lungo,
oltre il centrocampo.
Oggi le gambe non mi
tirano proprio, sarà che ho riposato malissimo, ma stamani
mi sento come se avessi attaccate alle caviglie, non una, ma ben due
palle di ferro, come quelle dei carcerati costretti ai lavori forzati,
nei vecchi film occidentali.
Un cerchio alla testa
poi, dovuto sempre al mancato sonno, mi opprime le tempie e lo sento
stringere come una morsa all’altezza degli occhi.
E per completare il
mio pessimo stato sono anche nervoso, stranamente, perché
è difficile davvero che mi senta così.
E non mi piace per
niente sapere che non lo sono solo per via della mia brutta nottata,
che poi è una conseguenza dei pensieri che mi turbano da
ieri.
Ma la distanza mina un
po’ la mia sicurezza ora, me ne rendo conto e non mi riesce
essere distaccato come vorrei.
Più ripenso
a quella frase nella mail di Ishizaki, buttata così, senza
una parola in più o in meno su cui riflettere, su cui poter
contare per capire meglio e più mi sento disturbato.
Che poi,
cos’è che dovrei capire, oltre
all’essenziale concetto, che c’è uno che
va dietro alla mia ragazza?
Rimproverandomi, tento
di rimettere le idee in carreggiata per riuscire ad allenarmi
seriamente e possibilmente, raggiungere qualche buon risultato.
L’azione ora
si svolge a centrocampo, con decisione corro verso Nuno, che gestisce il pallone poco
lontano da me.
Quando gli sono
davanti, non si scompone e simula un paio di finte, che nonostante oggi
non sia in piena forma, non riescono comunque a sorprendermi.
All’improvviso
però mi scarta agilmente, sorpassandomi sulla sinistra.
Spazientito, mi volto
per inseguirlo, un paio di metri ed entro in scivolata decisa su di lui.
Ma manco completamente
la palla, piantando i miei tacchetti sul suo polpaccio semicoperto dal
parastinchi.
Nuno rotola
sull’erba mentre pronuncio il mio secondo, irritato “Merda!”
della giornata.
Mi avvicino a lui e
tendendo la mano l’aiuto ad alzarsi, scusandomi.
“Eh niente!
Ma vacci piano Tsubasa!”
Borbotto altre scuse,
lo sguardo torvo rivolto di lato mentre viene decretata una punizione a
suo favore, che rischia di farmi imprecare ancora.
Roberto ne approfitta
per proporre momentaneamente il mio cambio, scocciato, mi avvicino a
bordo campo e afferrando una bottiglietta d’acqua, mi siedo
mollemente a terra, rimanendo in silenzio.
Ma
perché questa storia mi deve dare così noia?
Sposto gli occhi
sull’azione che intanto è ripresa, ma mi rendo
conto subito, di non riuscire a prestarci veramente attenzione.
Non sono mai stato
geloso, nemmeno una volta, forse per superficialità o troppa
sicurezza, ma ora mi sembra di provare, in minima parte, questo
sentimento, che è davvero completamente irrazionale.
Perché non
ho nulla di cui dubitare, Sanae è la ragazza più
incredibile e bella della Terra e se ne possono accorgere in
migliaia, ma ama me e nulla più scalfire
l’incrollabile fiducia che nutro nei suoi confronti,
perché so, che in questo, siamo fatti della stessa pasta.
Ma allo stesso tempo
non riesco a non sentirmi infastidito da questo ragazzo, che sembra
avere interesse per lei e a provare nei suoi confronti, una smisurata
curiosità.
Mi chiedo chi sia e
come abbia conosciuto Sanae.
Se riesca a passare
del tempo con lei e come sia fisicamente.
Con eccessiva forza,
stappo la bottiglietta d’acqua e ne bevo a grandi sorsate,
nel frattempo Pepe, che ha ceduto il posto anche lui a un compagno, si
siede accanto a me sull’erba.
Rimango in silenzio a
fissare il campo, fin quando non sento la pesantezza del suo sguardo sul
mio collo, che mi costringe a guardarlo.
“Che cavolo
ti prende oggi?” mi chiede, aggrottando le sopracciglia scure
con aria perplessa.
Gli rispondo
limitandomi a scrollare le spalle, piegando il labbro inferiore
all’ingiù.
“Cazzo
Tsubasa! Non eri così nervoso nemmeno quando ci scannavamo
con gli altri per un posto in squadra e ti ricordo che in quel periodo,
mi stavi bellamente sulle palle!”
Oddio,
oggi proprio non ce la faccio ad abbozzarlo…
“Tranquillo
Pepe! E’ solo una giornata no, domani sarà
di nuovo tutto ok.”
Gli sorrido per
rassicurarlo, così che non si senta in dovere di farmi il
suo classico terzo grado.
In fondo non ho nulla
di cui parlare, o su cui chiedere aiuto, né ho la minima
intenzione di sfogarmi.
Sono urtato e basta.
Il mio compagno di
squadra annuisce, ancora visibilmente perplesso ma decide, saggiamente,
di lasciarmi in pace stavolta, intuendo che forse non sono tanto in
vena di giochetti oggi.
Riprendo a seguire
l’allenamento, cercando allo stesso tempo il modo di
togliermi da questa situazione.
All’improvviso
capisco che non ho alternative.
E’ proprio
il caso di saperne di più e da una persona che abbia un
po’ più di sale in zucca di Ishizaki.
E chi può
aiutarmi in questo, meglio del mio fidato amico Taro Misaki?
Decido di chiamarlo stasera stessa, al diavolo se mi dovesse costare la paga del mese.
Più sereno,
per aver trovato una scappatoia al mio problema, decido di dare un
taglio alla mia pessima prestazione di oggi e di mettermi sul serio a
lavorare.
Mi alzo
così di scatto e rivolgendomi a Roberto, chiedo di
poter tornare in campo, per allenarmi ancora.
Con la coda
dell’occhio osservo Pepe che, a bocca aperta, mi guarda come
se fossi uno psicopatico, soggetto a repentini sbalzi di umore.
Roberto annuisce,
chiamando subito un cambio per me, quando riprendo posto
sull’erba verde, ritrovo il mio solito spirito agguerrito, che
mi esorta a fare del mio meglio e a non sprecare altro tempo prezioso,
in stupidi tentennamenti.
“Come si
chiama ‘sto tizio?”
Nonostante cerchi di
darmi un tono, la mia voce suona leggermente irritata.
Taro sorride, in parte
divertito, dalla mia malcelata ansia di sapere.
“Credo di
aver capito di chi ti ha parlato Ishizaki. Seii. Takeshi Seii. Si
chiama così il tizio.”
Incamero
così la prima informazione della lista ma anche la
più banale e rimango in silenzio, aspettando che il mio
amico aggiunga altre notizie, ben più importanti.
Taro comprende al volo
il significato del mio mutismo e si prodiga ad aggiungere subito altro,
per aiutarmi a inquadrare il ragazzo, che scodinzola dietro a Sanae.
“Ha la
nostra età e frequenta lo stesso club di musica delle
ragazze. Molte compagne di scuola lo trovano un bel ragazzo e
oggettivamente non si può dargli torto. E’ un
bravo musicista, sempre in base alle chiacchiere di corridoio e sembra
che abbia un grande talento come compositore. A me sembra un tipo
tranquillo a vederlo, di quelli che ti salutano sempre con il sorriso e
che non creano problemi.”
“Ok ho
capito. Vieni al punto ora!” lo esorto, immagazzinando le
ulteriori informazioni appena ricevute e attendo quasi impaziente, che
mi venga detto quello che voglio sapere più di tutto.
“Vedi
Tsubasa, la gente ama spettegolare! La nostra scuola poi, sembra debba
vincere qualche competizione nazionale in merito. Sta di fatto, che
questo Seii stava insieme a una ragazza fissa, fin dal primo anno. Quando
i due si sono mollati, pochissimo tempo fa, o meglio quando lui ha
lasciato lei, tutti hanno preso a confabulare e a fare congetture sulle
motivazioni. La vicinanza con Sanae, a quel punto,
è saltata agli occhi e lo sai quanto possono essere
maliziose le persone.”
Sospiro meditando
sulle sue parole e su quanto effettivamente la gente ami sparlare.
Il comportamento di
Ishizaki è un po’ lo specchio di questo modo di
fare, seppur il mio amico, sia stato mosso da buone intenzioni.
Ma anche alla luce di
questo, non riesco comunque a tranquillizzarmi completamente.
“Ma tu che
ne pensi?” chiedo dopo aver schiarito la voce con un colpo di
tosse.
Taro rimane in
silenzio una manciata di secondi, fin troppi dal mio punto di vista,
alimentando così in me, il sospetto che qualcosa di vero ci
sia, nella voce che mi è arrivata.
“Tsubasa
sarò sincero. Credo che Ishizaki non sia andato lontano
dalla verità. Indipendentemente dalle chiacchiere, Seii
passa molto più tempo con Sanae ultimamente, l’ho
notato anch’io e Yukari non fa che ripetere, che spesso trova
dei pretesti per vederla anche fuori dalla scuola. Sanae non credo
abbia il minimo sospetto della situazione, lei sembra non badarci
proprio, con tutte le altre cose che ha nella testa e si comporta
gentilmente come sempre. Ma stai tranquillo, è una cosa che
non si spinge oltre a queste scemenze, non credo che ti debba
preoccupare.”
“Non sono
preoccupato!” mi sbrigo a chiarire, perché non
è una questione che si limita a questa sensazione.
“Infastidito
sì però e questo è più che
normale!” ribatte Taro e lo sento sorridere.
“Sì…”
ammetto senza girarci intorno, perché è chiaro
che questa telefonata è stata mossa da questo stato
d’animo.
Così
è tutto vero…
“Ti
ringrazio, Taro e scusami se ti ho stressato con questa
storia.”
“Ma di che?
Non dire idiozie, Tsubasa! Solo molla questo pensiero, non ci badare
troppo! Io avevo scelto di non dirti nulla, proprio per questo motivo.
E’ una cosa da niente!”
Abbozzo un sorriso
prima di dargli ragione e ringraziarlo ancora per il suo buon senso.
“Allora sto
tranquillo? Ti lascio sereno?”
Gli rispondo di non
preoccuparsi e così ci salutiamo.
Rimasto di nuovo solo
con i miei pensieri, cerco subito di assecondare i consigli del mio
migliore amico.
Chiuderò
l’idea di questo Seii, che ha una cotta per Sanae, in un cassetto
remoto della mia testa.
E’
l’unica cosa che posso fare e anche fossi stato in Giappone,
mi rendo conto, che sarei dovuto lo stesso limitarmi a questo.
Forse
se fossi stato presente però, non si sarebbe nemmeno sognato
di avvicinarsi a lei…
Ma con la stessa
velocità con cui ho formulato quest’ultimo
pensiero, lo allontano di nuovo.
Non devo soffermarmi
su certi particolari inutili, con i se non si arriva da nessuna parte e
si rischia di rendere inutili anche le poche certezze, che ci sono
appena state date da un amico fidato.
Sospiro, sentendomi
all’improvviso ancora più stanco.
Mi stendo sul letto e
appena il mio corpo si rilassa contro le coperte, un leggero torpore mi
fa scoprire che sono esausto.
In pochi secondi le
mie palpebre si fanno pesanti per la stanchezza e cado subito
addormentato, in un sonno profondo e senza sogni.
Quando tempo fa Sanae
mi ha parlato della sua audizione, mi sono sentito davvero felice.
Orgoglioso di lei, ho
preso a immaginare tutte le cose belle che sarebbero potute accadere
nella sua vita e mi sono stupito
dell’imprevedibilità della sorte.
Io sono nato per
giocare a pallone, non ho mai visto altro e sapevo fin da piccolo, che
la mia passione sarebbe diventata la mia fonte di sostentamento, una
volta diventato adulto.
Giocare a calcio
è l’unica cosa che avrei potuto e voluto fare
nella vita e questa idea è cresciuta con me e mi ha
accompagnato, come se fosse una parte del mio essere o un pezzo del mio
corpo.
Sanae si divertiva, semplicemente, a cantare al karaoke con gli amici.
La sua voce forte e
cristallina strappava applausi entusiasti a chi aveva la fortuna di
sentirla e lei sorrideva imbarazzata ringraziando, prima di tornare
tranquillamente a sedere.
Ma dopo che me ne sono
andato, la musica ha pian piano preso spazio nelle sue giornate,
riempiendo forse un po’ del vuoto, che io avevo lasciato alle mie
spalle.
E qualcosa nato per
gioco è diventato la sua
passione e il modo più corretto per esprimere le sue
grandi potenzialità.
Riesco a capirlo
meglio, ogni qual volta ascolto il cd con la mia canzone.
Lo sento ogni volta
che la sua voce sussurra per poi alzarsi, diventando acuta, dando
così forma alle sue emozioni.
Tutto questo mi fa
sentire che ce la farà, ne sono più che sicuro.
Con una punta di
gelosia, ma benevola, penso che presto la mia Sanae non
sarà più solo mia e questo pensiero mi strappa un
sorriso divertito, perché a volte divento davvero sciocco.
E mi dispiace non aver
potuto anticipare il mio rientro in Giappone, mi sarebbe piaciuto
accompagnare Sanae all’audizione, soprattutto dopo che per
tanti anni, è stata sempre e solo lei, a seguirmi per gli
stadi, partita dopo partita.
Ma ora
c’è anche dell’altro a farmi rammaricare
della mia mancata partenza.
Come accaduto un paio
di mesi fa, mi ritrovo di nuovo davanti al computer, a rileggere
più volte una mail, ma anche stavolta, non proprio per il
piacere di farlo.
Sanae mi avverte che
c’è stato un problema con la preparazione
dell’audizione, perché il suo professore, che avrebbe dovuto
accompagnarla con gli strumenti, si è fatto male a un polso.
Aggiunge poi subito,
per non farmi allarmare credo, che fortunatamente, un suo compagno di corso
si è gentilmente offerto di sostituirlo e
d’imparare tutto il repertorio in una settimana.
Ancora prima di
leggerne il nome, sapevo di chi stava parlando.
“Si
chiama Seii ed è davvero molto bravo, l’unico che
può riuscire nell’impresa, in così poco
tempo. Quindi non preoccuparti, è tutto risolto!”
Sanae mi parla di lui
con tranquillità, ignara del fatto che ho già
avuto il piacere di sentir nominare questo suo compagno di club e forse,
ancora inconsapevole dell’interesse di
quest’ultimo nei suoi confronti.
Così questo
ragazzo torna di nuovo a fare capolino nella mia vita, nonostante io
viva in un altro continente e non sappia neppure che faccia abbia.
Ma la sua presenza
suscita ugualmente in me un fastidio enorme.
Nonostante i miei
buoni propositi, conditi di raziocinio e i consigli rassicuranti dei
miei più cari amici, Takeshi Seii rimane una spina nel
fianco.
Specialmente se penso
che invece di eclissarsi, continua a farsi avanti, importunando la mia
ragazza e la mia esistenza, di per sé, già
abbastanza complicata.
In questo momento
l’unica cosa che riesce a sollevarmi, è il fatto
concreto che alla fine del mese tornerò a casa, per via
delle eliminatorie per le qualificazioni ai mondiali.
E sono ancora
più felice di aver preso la decisione di trattenermi ancora
un po’ in Giappone, una volta terminate.
Ho veramente bisogno
di un periodo, se pur breve, di riposo e Roberto, fortunatamente, mi ha
dato il suo consenso a prolungare la permanenza a casa.
Soprattutto
però ho davvero bisogno di stare con Sanae, ma questo
l’ho tenuto per me.
E ora, dopo aver letto
la sua mail, sono convinto che la mia presenza male non
farà, anche a qualcuno, che sta diventando decisamente di troppo.
Anche
in questo capitolo l’azione è davvero poca e
prevalgono i pensieri e gli stati d’animo del protagonista.
E’
un capitolo forse un po’ monotono, ma che doveva per forza
esserci, perché Tsubasa non arriva in Giappone ignaro
dell’esistenza di Seii.
Ho
cercato di mettermi nei suoi panni, descrivendo le sue emozioni a
riguardo, dimenticando il mio carattere e tenendo sempre bene in mente
quello di Tsubasa.
Ringrazio,
come sempre, per le recensioni e l’attenzione che mi viene
accordata, aver avuto un po’ più di tempo in
questo periodo, mi ha permesso di essere più costante
nell’aggiornare e mi auguro di poter continuare su questa
linea.
Dal
prossimo capitolo arriveranno le parti più
“succulente”della storia e quelle che credo,
stimolino di più la curiosità di chi ha letto B.
Un
saluto in particolare alle persone con cui ho avuto il piacere di
parlare privatamente!Grazie!
Alla
prossima, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Leggere tra le righe ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 8
Leggere
tra le righe
“Congratulazioni per la qualificazione!”
Il bicchiere del mio
cocktail analcolico, con tanto di bandierina e frutta decorative,
tintinna rumorosamente urtando contro quello di Roberto, che a
differenza del mio, trabocca di rhum.
Sorrido prima di
portare il vetro alle labbra, il sapore dolce della mia bevanda
però mi ricorda che con il caldo, sarebbe meglio ordinare qualcosa di diverso e soprattutto più rinfrescante.
“Ma chi te
l’ha fatto fare a venire fin qua?” chiedo ancora,
stupito per la presenza del mio allenatore in Asia, il rumore delle
chiacchiere della gente e quello della musica degli altoparlanti, mi
costringono ad alzare la voce per farmi sentire.
“Devo
tenervi d’occhio, Tsubasa!” risponde Roberto,
accentuando la frase facendo l’occhiolino.
Ridacchio, euforico
all’idea di aver raggiunto, per l’ennesima volta,
un obbiettivo che mi ero prefissato.
Quello di questo
periodo era, appunto, qualificarmi con i ragazzi per i prossimi
mondiali giovanili e ora che ce l’ho fatta, non posso non
sentirmi pienamente soddisfatto.
Da stasera poi mi
aspetta un periodo, se pur breve, di vacanza a casa e non vedo
l’ora di passare del tempo con gli amici di sempre e la mia
ragazza.
A
proposito di Sanae!
Non che me ne sia
dimenticato, ma guardando l’orologio, mi viene spontaneo
riflettere sul fatto che a quest’ora, sarei già
dovuto essere da lei.
Oggi pomeriggio non ho
preso il treno con gli altri, per parlare con Roberto delle sue
impressioni sulla prestazione della nostra nazionale, solo che contavo di
riuscire a prendere almeno il successivo.
Ma ora si è
fatto davvero tardi, non c’è più tempo
per tornare a casa, quindi sarà meglio avvertire Sanae e
alla svelta.
Prendo così
il cellulare dalla tasca dei jeans e meccanicamente faccio partire la
chiamata.
Giusto un paio di
squilli e mi risponde, con quel tono felice della voce, come ogni volta
che si rivolge a me.
Non riesco a sentire
bene però, a causa della confusione e con un gesto della
mano, avverto Roberto che mi sto allontanando all’esterno.
Con la coda
dell’occhio lo vedo sghignazzare mentre esco dal locale.
“Sanae, mi
senti meglio ora?”
“Sì…"
“Scusami se
non sono riuscito ad avvisarti prima, ma non ce la faccio a rientrare
per stasera.”
Rimango in silenzio
per qualche istante in attesa della sua risposta, che però
non arriva, così mi sento in dovere di spiegarle meglio il
motivo del mio rientro solo domani.
“Sai, anche
Roberto è qui in Giappone e dato che non tornerò
in Brasile ancora per un po’, mi sono fermato qua con
l’idea di partire un po’ più tardi. Ma
ora è decisamente troppo tardi!” esclamo ridendo e
grattandomi la nuca, un po’ imbarazzato per la mia
sbadataggine.
“Ci vediamo
domani, ok Sanae?” le chiedo infine, veramente contento
all’idea di poterla riabbracciare, anche se con un
po’ di ritardo, rispetto ai programmi che mi ero prefissato.
“Ok.”
e chiude la comunicazione.
Sorrido sereno e con il pensiero felice
delle prossime giornate che mi aspettano, rimetto in tasca il cellulare, rientrando poi nel locare.
Roberto è
sempre lì che mi aspetta e appena lo raggiungo, riprendiamo
subito a parlare del nostro argomento preferito, il calcio ovviamente.
Palleggio sotto il
sole nel vecchio campetto da calcio, nel parco del quartiere D.
Con i ragazzi abbiamo
messo insieme una partitella tra amici, così per ammazzare
il tempo e sto giocando solo per il gusto di farlo,
nell’attesa che arrivi Sanae.
Dopo aver parlato con
lei ieri sera, non l’ho più sentita.
Nonostante oggi abbia
provato a chiamarla più volte, non c’è
stato nulla da fare, aveva sempre il cellulare spento e pensare che
avrei tanto voluto vederla già da stamattina, anche per
recuperare il tempo perduto ieri notte.
E non è
proprio da lei non farsi viva per tutto questo tempo e specialmente ora
che sono a casa, mi sembra ancora più strano che non abbia
provato a richiamarmi.
Mi dirigo palla al
piede verso la porta, senza nemmeno farci caso, come se fosse
un’azione involontaria del mio corpo, un po’ come
il respirare.
Quando sono
nell’area di rigore, colpisco con un calcio preciso la sfera,
che s’insacca sotto la traversa, centralmente.
Sorrido
spontaneamente, come ogni volta che riesco a violare una porta,
indipendentemente da dove mi trovi.
Mi volto poi alla
ricerca dei miei compagni ma prima che possa incontrarne uno, incrocio proprio
lo sguardo della persona, che volevo più di tutti
vedere.
Sanae mi osserva, un
po’ distante dal bordo del campo, sulla piccola altura che
sovrasta il perimetro di gioco.
Senza pensarci un
secondo, mi precipito nella sua direzione correndo e scavalcando, a
grandi falcate, la piccola salita che mi separa da lei.
Quando mi ritrovo
davanti a Sanae, sorrido ancora, ma questa volta in maniera davvero
diversa da prima, mosso da sentimenti ben più dolci che la
riguardano.
“Ciao…”
mormoro mentre non resisto e sfioro il suo viso con una carezza, un
attimo appena e la stringo forte tra le braccia.
“Tsubasa!
Piano che la sciupi! Non è mica abituata!”
E’ la voce
squillante di Ishizaki a interrompere prontamente il mio idillio,
così mi trovo costretto a separarmi da lei, se non voglio
sentirlo continuare su questo tono, per il resto della giornata.
“Come mai
avevi il cellulare spento oggi?” le chiedo, imbarazzato per
essermi fatto cogliere in fallo in quella situazione.
“Così…”
Sanae risponde alzando leggermente le spalle, noto un tono distaccato
nella sua voce, che non le ho mai sentito usare prima d’ora.
Stupito, la seguo con
lo sguardo mentre mi sorpassa indifferente, cominciando ad allontanarsi.
Perplesso, butto
l’occhio verso il campo, nella speranza di non dare troppo
nell’occhio, poi d’istinto la seguo e quando sono
vicino a lei, le cingo le spalle con un braccio, camminandole affianco.
Rimango in silenzio, aspettando che mi rivolga la parola e quando i suoi occhi incrociano i
miei, le sorrido nella speranza che m’illumini su quello che
sta succedendo.
Oggi
è davvero strana…
Avverto tensione tra
noi, ma non ha nulla a che fare con il piacere di essere vicini,
è più negativa direi e questo mi destabilizza,
perché non mi era mai capitato di avvertirla prima.
Sanae torna a guardare
avanti a sé, senza minimamente ricambiare il mio sorriso.
Non sarò di
certo un genio in certe cose, ma ora mi sembra più che ovvio,
che sia arrabbiata per qualcosa.
E con me.
Faccio mente locale
per un attimo e l’unico episodio che mi viene in mente, che
possa aver scatenato in lei questa reazione, è il nostro
appuntamento saltato di ieri sera.
Socchiudo gli occhi,
mentre la mia bocca si deforma nella smorfia tipica, di chi ha fatto
qualcosa di veramente stupido e se n’è accorto
troppo tardi.
Non ci sono
alternative, devo scusarmi, magari poi le passa.
“Mi dispiace
per il nostro appuntamento… Sei arrabbiata?” le
chiedo schiarendomi la voce.
Sanae si blocca di
colpo, poi voltandosi, mi fissa seria arcuando le sopracciglia.
“Arrabbiata?
E perché dovrei?” risponde, senza mascherare il
tono sarcastico nella sua domanda.
Rimango a fissarla
sbattendo le palpebre, senza avere nulla di pronto, e intelligente, da
ribattere e così è lei a riprendere a parlare.
Le sue parole mi
travolgono, accavallandosi l’una all’altra, come un
fiume in piena.
“In fin dei
conti non abbiamo mai avuto modo di stare insieme da SOLI, da quando sei
rientrato! Dovrei essere arrabbiata perché ho passato il
pomeriggio a cucinare per te? Perché ho passato due ore
davanti allo specchio, per essere carina per te? O perché
pensavo che noi…” s’interrompe
bruscamente, mordendosi le labbra, le guance colorate di rosso acceso.
“Dovrei
essere arrabbiata, secondo te, per queste cose? Non ne vedo il
motivo!” aggiunge poi, calcando ancora con il sarcasmo e
fissandomi con aria di sfida.
E a me non rimane che
sentirmi una specie di mostro, per aver sottovalutato il nostro
appuntamento e per aver deluso le sue aspettative.
“Mi
dispiace. Non immaginavo avessi organizzato tutto
questo…” sussurro imbarazzato.
“Oh, ovvio!
Ma sarebbe cambiato qualcosa se l’avessi saputo?”
la sua voce ora è decisamente più alta di un tono.
Mi scuso ancora e con
maggior convinzione, perché non voglio che abbia il minimo
dubbio sul fatto che sono davvero dispiaciuto per il malinteso.
“Cosa ti
dispiace, Tsubasa? Ieri sera o di mettermi sempre in secondo
piano?”
Mi arriva come una
pugnalata al petto.
Fisso Sanae stupito,
soffermando lo sguardo sui suoi occhi, che si sono velati di lacrime.
E
no! Questo non lo devi pensare!
Mi avvicino a lei con
decisione, fin quando il mio viso non si trova a pochi centimetri dal
suo.
“Questo non
è vero, Sanae! E lo sai…”
La sua bocca si
distende in un sorriso, ancora, sarcastico, che mi spiazza di nuovo, tanto che
stento a riconoscere la ragazza davanti ai miei occhi.
“Davvero? E
che cosa dovrebbe lasciarlo intendere? La tua venerazione per Roberto?
Il fatto che più di due anni fa sei andato da lui in
Brasile? No! Aspetta! Sicuramente dovrei capirlo dal fatto che la tua
passione ti ha spinto a separarti da me, andandotene a vivere in un
altro continente!”
E qui mi arriva il
secondo colpo, sempre ben mirato all’altezza del cuore.
Sentire
così chiara la sua rabbia, il suo dolore.
Sapevo che potesse
soffrire, ma non immaginavo quanto.
Non immaginavo che ci
fosse tutto questo dentro di lei e a causa mia.
Però
perché buttarmelo in faccia così?
Lo so da solo che
è tutta colpa mia, ma anch’io pago le conseguenze
della mia scelta, ogni giorno che passo sentendo la sua mancanza.
“Sei
ingiusta, Sanae…” mormoro, quasi come se stessi
parlando con me stesso e con nessun altro.
Lei però
è qui, davanti a me e mi sente più che bene, posso
chiaramente vedere sul suo volto la collera che aumenta.
“Io sono
ingiusta?! E’ il tuo sogno a essere tremendamente
ingiusto con me, Tsubasa!”
E ora al senso di
colpa si mischia la mia di rabbia.
Perché
passi che è tutta colpa mia, passi che sono io a essermene
andato ma lei sapeva benissimo cosa comportava stare con me.
Non mi sono mai
nascosto dietro maschere, sono sempre stato schietto e sincero,
soprattutto con lei.
Io
sono lo Tsubasa che corre dietro al pallone!
“Credevo che
mi amassi anche per questo! La mia passione… Sono io! Di chi
ti sei innamorata allora, Sanae?”
E questa volta sta a
me guardarla con severità, come non mi era mai capitato
prima, perché mi sento ferito e deluso.
Perché mi
sento in colpa.
E non so cosa provo,
ora che i suoi occhi sembra non riescano più a trattenere le
lacrime.
L’arrivo di
Taro diventa la mia doccia fredda e il salvagente a cui aggrapparmi.
Lo trattengo, quando
scusandosi, forse intuendo che stiamo litigando, cerca di andarsene per
lasciarci soli.
“Non
preoccuparti, Taro. Vengo con te! Andiamo!” esclamo, con
l’esigenza nel cuore di scappare lontano da lei, sensazione
che non avevo mai provato prima, che mi turba e che allo stesso tempo,
non mi piace per niente.
M’incammino
a passo deciso, senza rivolgere nemmeno un ultimo sguardo in direzione
di Sanae.
Taro mi segue,
visibilmente perplesso e forse indeciso sul lasciarla da sola, senza
aspettare.
Io penso solo ad
andarmene, confuso e arrabbiato.
Smarrito per la
perdita del mio porto calmo, per la perdita del sorriso
d’amore di Sanae.
E’ stato un
orrendo pomeriggio, iniziato male e finito pure peggio.
Ho trascorso le ore
svogliatamente e appena scemata la rabbia, mi sono reso conto di quanto
sia triste litigare con Sanae.
Ho cercato con tutte
le mie forze di non attirare l’attenzione dei ragazzi, ma il
mio mutismo è risultato comunque sospetto, solo il buon Taro
poteva salvarmi, inventandosi la scusa del calo di tensione post
qualificazioni.
Tutti se la sono
bevuta e, fortunatamente, non ho dovuto dare spiegazioni a nessuno,
almeno finora.
Guardo scoraggiato, per
l’ennesima volta, il cellulare muto da un pezzo e indeciso, mi
chiedo se sia il caso di chiamare Sanae.
Sbuffo rivolgendo il
mio sguardo imbronciato al cielo, amareggiato per la litigata avuta con
lei e rassegnato alla mia indecisione.
Semplicemente non era
mai successo che litigassimo e come mi ha stupito trovarmi in questa
situazione, così non riesco a capire quali pesci prendere
per rimediare.
I ragazzi mi salutano,
allontanandosi per tornare a casa, io ritorno con la testa alla
realtà e abbozzo un sorriso per risposta, accompagnato da un
gesto sbrigativo della mano.
Taro si volta e invece
di seguire gli altri, si avvicina, sedendosi poi accanto a me sulla
staccionata di legno consumato.
“Ok ora che
siamo da soli, mi vuoi dire che diavolo è
successo?” mi chiede senza girarci intorno, mentalmente lo
ringrazio ancora, per aver avuto la geniale intuizione di non toccare
l’argomento prima.
“Abbiamo
litigato…” borbotto, osservando ancora lo schermo
del telefonino, che non ha ancora nulla da comunicarmi.
“Eh ma dai!
Non c’ero arrivato!”
Mi volto a guardarlo
torvo, per rimproverarlo del suo sarcasmo, ne ho avuto fin troppo in
questa giornata.
Taro non si scompone,
ma mi sorride, come per invitarmi ad allentare la tensione, poi mi
porge di nuovo la stessa domanda.
“Ieri sera
avevamo un appuntamento ed io le ho dato buca...” rispondo,
omettendo dove sia andato a degenerare poi il discorso.
“Dove
dovevate vedervi?”
“A casa
sua.”
Taro rimane in
silenzio ma il suo sguardo mi sembra all’improvviso divertito.
“Oh cenetta
con i suoceri?” esclama sorridendo come uno scemo, a mio
avviso.
Scuoto la testa e lui arcua le sopracciglia, sempre con quel sorrisetto del
cavolo stampato in faccia.
“No, i suoi
non c’erano ieri sera…” termino la frase
e istantaneamente un campanellino inizia a tintinnare nella mia testa,
tanto per farmi collegare un paio di passaggi interessanti.
Taro mi fissa,
presumibilmente serio per un attimo, poi inizia a sghignazzare.
“Ci credo
che s’è incazzata!”
“Che
intendi?” chiedo, ignorando una vocina che mi ronza in testa e
che mira in una certa direzione.
“Devo farti
un disegnino?”
Taro allarga le
braccia, girando i palmi delle mani verso il cielo e incassando
leggermente il collo nelle spalle, inclinando la testa.
Io sento un calore
improvviso salire dalla punta dei piedi fino alle orecchie.
Sopra la mia testa
immagino ci debbano essere nuvolette di vapore, tanto sono arrossito.
“Tsubasa io
te lo dico con tutto l’affetto del mondo, ma delle volte mi
fai cadere le braccia!” e mi rifila una poderosa pacca sulle
spalle, ridendo allegro.
Lo ignoro, perso nel
mio imbarazzo e nella considerazione che non possa essere vero che
Sanae volesse…
Ecco, solo a sfiorare
quel pensiero, sento che arrossisco di più.
Ok
calma, Tsubasa! Torniamo con i piedi per terra!
“Taro ma ti
pare che lei…? Su, fai il serio!”
Il mio migliore amico
mi guarda con aria paziente, ma sempre altamente divertita poi passa un
braccio intorno al mio collo e si fa più vicino.
“Ti faccio
un riassuntino, Tsubasa, in mancanza di carta e penna. La tua ragazza
t’invita a casa sua a cena, dopo mesi di lontananza,
chiamiamola così,
fisica. I suoi non ci sono e sarete soli fino a notte
tarda. Tu le dai buca e la tua ragazza è molto alterata con
te, per essere buoni con i termini. Tu cosa pensi stia a significare?
Che le girano perché ha dovuto buttare via il
dessert?”
Rimango in silenzio
senza rispondere, che poi tanto non ce n’è bisogno
e nella mia mente risuona a ripetizione la frase interrotta da Sanae
durante il nostro litigio.
“O
perché pensavo che noi…”
“Non
è possibile che Sanae…” borbotto
incredulo, ma anche piacevolmente elettrizzato al pensiero di
un’evoluzione fisica del mio rapporto con lei.
Taro sorride,
scrollando leggermente le spalle.
“Perché
non può essere così? Sanae non è
un’entità astratta, ma un essere umano. Ti ama da
sempre ed è normale che voglia continuare a farlo in tutti i
modi possibili, compreso il sesso. E’ come te, Tsubasa
ricordatelo. Solo che tu sei un ragazzo e lei una ragazza. E in questo
caso, è proprio qui che viene il bello!”
Con il gomito bussa
contro la mia spalla, sorridendo provocatorio ora.
Io mi sento anche
più confuso di prima adesso, perché una parte di
me si maledice per la mia idiozia e l’altra è
disperata per aver litigato con lei.
“Sì
ma ora non sognare ad occhi aperti! Hai un problema da risolvere, prima!”
esclama il mio amico, picchiettando con l’indice sul
cellulare, stretto ancora tra le mie mani.
“Già…”
mormoro, memore di nuovo del mio litigio e del modo pessimo in cui ci
siamo lasciati, Sanae ed io, questo pomeriggio.
“Fa pace con
lei prima di tutto. Credo che anche per Sanae, oggi sia stata la peggior
giornata in assoluto. Non lasciarla così per molto,
già è dura quando non ci sei.”
Il ricordo dei suoi
occhi colmi di lacrime, della sua voce vinta dalla rabbia e
l’eco delle sue parole, mi rimbomba dentro, come se la scena
fosse ancora davanti ai miei occhi.
E il senso di colpa,
che all’inizio divideva lo spazio nel mio cuore con la
rabbia, torna a stringermi il petto, come una morsa soffocante.
Nel campo da calcio
sono la persona più risoluta del mondo ma nella vita privata,
ho ancora tanto da imparare.
Appena nel tardo
pomeriggio mi ero ripromesso di fare pace con Sanae, è
passata quasi un'ora da quando siamo arrivati in questo locale, ma
ancora non sono riuscito nemmeno ad avvicinarmi a lei.
Ho solo il timore di
non trovare le parole giuste, di sentire ancora la sua collera su di me.
La osservo
dall’altra parte della stanza, appoggiata al bancone, si
guarda intorno con aria annoiata, i lineamenti del suo viso
visibilmente tirati, nonostante il trucco.
I suoi occhi ora
incrociano i miei, colto di sorpresa, mi volto dandole le spalle, in un
gesto forse un po’ vigliacco.
Faccio finta
d’interessarmi alle chiacchiere di Ishizaki, ma il mio
cervello è completamente concentrato su di lei.
Mi volto di nuovo per
cercarla ma adesso è Sanae a darmi la schiena, circondata
da Taro e la Nishimoto, seduti affianco a lei.
Ok
basta con questa storia! Va da lei!
Faccio per muovere un
passo, stanco di questa situazione, quando sento picchiettare sul mio
braccio insistentemente.
Abbasso lo sguardo e
noto un paio di ragazze che, a occhio e croce, avranno la mia
età.
Sorridono fissandomi,
stringendo le mani sotto il mento, con fare quasi adorante.
“Tu sei
Tsubasa Ozora, vero?” mi chiede la più piccoletta
di statura, annuisco imbarazzato grattando il ciuffo sulla nuca.
Le due prendono a
saltellare sul posto, battendo le mani entusiaste.
“Ed io sono
Ishizaki! Ryo Ishizaki! Il difensore della nazionale, mi
riconoscente?” interviene il mio amico, mettendosi in mezzo e
indicando il suo faccione sornione, con l’indice della mano
destra.
Le ragazze lo
ignorano, degnandolo solo di uno sguardo di sfuggita, rimanendo sempre
concentrate su di me.
“Possiamo
fare una foto con te?”
Imbarazzato, annuisco
ancora, la piccoletta allunga il telefonino a Ishizaki, chiedendogli in
maniera sbrigativa di fotografarci.
Lui accetta
borbottando mentre sono circondato dalle due ragazze, che si
avvinghiano alle mie braccia ridendo e facendo segni di vittoria.
“Ci firmi
questi?” chiedono ancora, una volta ripreso il cellulare,
mostrandomi due fazzolettini del locale, leggermente sporchi di
rossetto.
Arriccio il naso per
un istante, capendo però che prima le accontento, prima
posso andare da Sanae per chiarire.
Quando risoluto a
sbrigarmi, sto per afferrare la penna che mi porge sempre la
piccoletta, noto però con la coda dell’occhio
proprio Sanae, che esce come un fulmine dal locale.
Preso letteralmente
dal panico, mi rimprovero per le buone maniere che ogni tanto dovrei
smettere di usare, specialmente con gli sconosciuti.
Mi scuso velocemente
con le due ammiratrici, tentando di svincolarmi subito da loro.
Le due però
non demordono, anzi non contente, chiamano altre amiche per ripetere
con loro il rito della foto e dell’autografo.
Perdo così
altro tempo prezioso, che a me sembra lunghissimo e appena riesco a
congedarmi dal gruppetto rumoroso, mi precipito da Taro.
“Dov’è
andata?” chiedo appena l’ho raggiunto.
“Se
n’è andata a casa!” è Yukari
a rispondermi, precedendo il mio amico.
“Raggiungila!
Corri!” mi esortano poi, quasi all’unisono.
Non me lo faccio
ripetere due volte e scappo letteralmente, lanciandomi
all’inseguimento di Sanae.
La raggiungo quando
è all’altezza del ponte di legno che costeggia il
parco.
L’ultima
volta che sono stato in questo posto, eravamo sempre insieme, ma non
così distanti, perché la baciavo, fin quasi a
perdere il fiato.
Osservo la sua figura
appoggiata al legno scuro, il mento poggiato sulle mani e lo sguardo
triste rivolto alla luna.
E vederla
così, mi fa riflettere ancora, come se non fosse stato il mio
unico pensiero nelle ultime ore, su quanto possa soffrire a causa mia e
per colpa della lontananza.
Non conoscevo, fino a
questo pomeriggio, tutta la frustrazione che potesse avere dentro.
E’ brava a
tenere tutto per sé.
Sapevo che non era
facile per lei vivere così, ma non immaginavo fino a questo
punto.
Questa nuova
consapevolezza mi fa sentire in bilico e permette alla paura di fare
capolino nel mio cuore.
Quanto
può sopportare una ragazza per amore?
Scuoto la testa,
cercando di allontanare pensieri ancora più dolorosi e mi
concentro unicamente sul fatto che ora abbiamo la
possibilità di stare insieme per un po’ e che non
devo perdere nemmeno un secondo in più, senza vivere Sanae
come vorrei.
“Che ci fai
qui da sola?” chiedo titubante, rompendo il silenzio e
palesando la mia presenza alle sue spalle.
Sanae sussulta appena,
poi si volta nella mia direzione.
“Ti ho vista
uscire di corsa. Dove stai andando?” aggiungo mentre lei si
morde il labbro inferiore, per evitare, temo, il pianto.
“A
casa…” risponde in tono freddo, prima di voltarsi
di nuovo e osservare il cielo.
Non mi faccio
abbattere dal suo atteggiamento, che ora mi è
così chiaro e mi avvicino a lei, appoggiandomi al legno,
proprio accanto al suo fianco destro.
Silenzio.
Che detesto quando si
frappone tra noi due, perché mi sembra innaturale, cattivo.
Poi un suo gesto
sconvolge tutte le mie emozioni.
Si appoggia alla mia
spalla ed io sento i muscoli, fino a un secondo fa contratti e tesi,
rilassarsi all’improvviso, grazie al contatto con lei.
Ed è di
nuovo Sanae a venire incontro a Tsubasa.
Come sempre.
E’ ancora
lei che mi dimostra quanto possa essere generosa con me.
D’istinto
circondo le sue spalle con un braccio e le sfioro i capelli con un
bacio.
“La nostra
prima discussione…” mormoro, ispirando il suo
profumo, la mia bocca ancora vicina alla sua fronte.
“Io non
volevo…”
La interrompo
immediatamente, posando due dita sulle sue labbra e scuotendo la testa.
“Lo so,
Sanae. Non sei tu a doverti scusare…”
l’abbraccio forte, per sottolineare i miei sentimenti che
forse non sono capace di esprimere bene a parole.
“Scusami tu
per l’appuntamento di ieri sera e per la cena che non ho mai
mangiato. Scusami per tutte le volte che ti senti triste ed io non ci
sono. Scusami per le mie scelte e per essere partito.”
La stringo di
più sentendo che ha preso a singhiozzare, poi le chiedo la
cosa che conta di più in questo momento.
“Non odiarmi
per questo!” e nascondo il viso tra i suoi capelli.
“Non potrei
mai odiarti, stupido!”
Lo dice come se fosse
una verità assoluta ed io so che probabilmente è
davvero così.
Torno a guardarla ora,
incoraggiato dalle sue poche parole.
Fisso i suoi occhi con
serietà perché non voglio che abbia
più dubbi su quello che provo.
Voglio che sappia che
ho capito, davvero, come si sente.
“Scusami di
tutto, Sanae. Di tutto!”
Lei accarezza con
dolcezza una mia guancia, poi sorride, continuando a rassicurarmi.
Come se fossi io
quello da proteggere, come se venissi prima di tutto, prima di lei.
“Però
dobbiamo fare pace per bene, Tsubasa!” e m’invita a
chiudere gli occhi.
La assecondo, felice
di sentire ancora il suo tono allegro e rivolto di nuovo a me.
Non immaginavo potesse
mancarmi così tanto.
Le sue labbra sfiorano
le mie con delicatezza.
Le mie emozioni, che
mi hanno sopraffatto per tutta la giornata, mutando d’aspetto
e forma ora dopo ora, prevaricano ancora sulla mia volontà
ma questa volta coincidendo con essa.
Cingo i suoi fianchi
con le braccia e rispondo al suo bacio con passione.
Non
voglio più litigare con te e non voglio più
deluderti.
Non
voglio più dare per scontata la tua forza.
E
anche se so che non sarà possibile, non voglio
più che tu pianga.
Ma
voglio solo renderti felice…
Ecco
so già che lo Tsubasa di questo capitolo, specie nella prima
parte, perché forse nel finale si ripiglia un pochino,
sarà riempito d’insulti. xD
Bisogna
però ricordarsi che non è il principe azzurro,
per quanto io abbia sempre cercato di giustificare certi atteggiamenti
scomodi del suo carattere.
Credo
che questi suoi difetti, evidenziati in questa parte della storia, ci
siano e che completino il quadro generale su di lui, o almeno, quello
che io ho sempre visto nel personaggio.
A
differenza degli altri capitoli, qui era necessario riproporre scene
e dialoghi di B. proprio per poter evidenziare meglio Tsubasa e il
percorso emotivo che lo porta a capire meglio la sua Sanae. Ringrazio,
come sempre doverosamente, chi ha letto, recensito o scritto a me
personalmente.
Approfitto
di quest’aggiornamento per augurare una serena Pasqua a tutti
e rimandare l’appuntamento con il prossimo capitolo, al 20
Aprile circa, visto che mi concederò una vacanza di un paio
di settimane fuori città.^^
Grazie
ancora per l’attenzione,
OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Sotto la pioggia ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 9
Sotto la pioggia
Il
rumore della pioggia scrosciante, che cadendo batte ritmica sul tetto
di plastica della pensilina nella fermata dell’autobus.
I fulmini che rischiarano l’aria, per poi esplodere nel
fragore assordante che rimbomba nelle orecchie.
Sono bagnato da testa a piedi, anche Sanae al mio fianco sembra appena
uscita dalla doccia.
E pensare che era già da un po’ che brontolava per
via dei nuvoloni neri sopra le nostre teste, forse avrei dovuto darle
retta e tornare indietro prima che ci si rovesciasse addosso il
finimondo.
“Mi sa che avevi ragione tu, Sanae!” esclamo memore
anche della nostra recente litigata.
Non mi va proprio d’indispettirla ancora, fosse anche solo
per cretinate.
“Come mi sa?! Guarda in che stato siamo! E non accenna
minimamente a smettere!” mi risponde ridendo mentre
allungando un braccio, tende il palmo della mano oltre il nostro riparo.
Osservo le gocce d’acqua rincorrersi sulla sua mano aperta,
poi il mio sguardo sale fino a raggiungere il suo corpo, messo in
evidenza dagli indumenti bagnati.
Posso chiaramente distinguere le rotondità del suo petto,
stretto nelle coppe chiare del reggiseno.
“Già…” mormoro quasi
inconsciamente, continuando a fissarla in quel punto.
Sanae si volta a guardarmi e mi risveglio dal mio semi stato di trance.
Imbarazzatissimo per essermi fatto beccare a sbirciare, distolgo lo
sguardo fissando un punto lontano all’orizzonte, mentre sento
che sto arrossendo vistosamente.
Con la coda dell’occhio colgo la sua espressione perplessa
poi il suo viso si abbassa per osservare la sua maglietta bagnata,
terribilmente aderente.
Pochi istanti e le sue braccia s’incrociano velocemente sul
petto.
Distolgo di nuovo completamente lo sguardo, sentendomi ancora
più imbarazzato.
Un fulmine rischiara per un attimo il cielo poi il rombo del tuono,
ancora più forte dei precedenti.
Sanae starnutisce rumorosamente ed è chiaro che, zuppi come
siamo, rischieremo sicuramente di prenderci un malanno se non ci
muoviamo da qui.
Calcolo velocemente dove ci convenga rifugiarci per asciugarci e
aspettare che spiova.
Casa mia è abbastanza vicina, così propongo a
Sanae di raggiungerla e prendendola per mano, dimentico
dell’imbarazzo di poco prima, la trascino di nuovo sotto la
pioggia, cercando di fare il prima possibile.
Corriamo alzando schizzi d’acqua dalle pozzanghere e
percorriamo ogni scorciatoia mi venga in mente, soprattutto
perché Sanae mi sembra piuttosto affaticata, oltre che
completamente bagnata.
Quando raggiungiamo l’ingresso di casa mia, tiro un sospiro
di sollievo mentre la mia ragazza respira affannosamente
tenendo una mano sul petto.
Suono il campanello prolungatamente e attendo che ci vengano ad aprire.
Non ricevendo una risposta repentina, premo ancora il pulsante bianco
insistentemente, mentre Sanae mi ricorda, rimproverandomi, che Daichi
potrebbe dormire a quest’ora.
Ancora silenzio oltre la porta e ora le lamentele della mia ragazza
sono tornate sull’assurdità della scelta di essere
venuta a correre con me.
Spazientito dall’inutile attesa, mi ricordo che dovrei aver
preso le chiavi di casa stamattina e mi metto a cercarle nelle tasche
della tuta.
Quando le trovo, le faccio dondolare davanti al suo viso, che
s’illumina di felicità.
Velocemente le infilo nella serratura e apro la porta.
Entro togliendomi rapidamente le scarpe con la punta dei piedi,
mollandole sul pianerottolo sbadatamente e mi affaccio in cucina per
vedere se ci sono messaggi di mia madre.
Quando abitavo ancora in Giappone, ne lasciava sempre attaccati al
frigo, quando usciva senza avvertirmi.
Stacco un foglietto color caramello, indirizzato appunto a me,
dall’elettrodomestico, spostando la calamita a forma di
pallone e leggo il breve messaggio che mi avverte che la mamma e il mio
fratellino sono da una zia e che non rientreranno prima di cena.
Appena letta l’ultima parola scritta
sull’appunto, una sorta di fibrillazione prende a torturare
piacevolmente il mio cuore, perché questo vuol dire che
Sanae ed io saremo soli per tutto la giornata.
Soli con la casa tutta per noi.
Istantaneamente mi tornano in mente le supposizioni di Taro sulla cena
saltata a casa della mia ragazza, solo qualche giorno fa e su quello che sarebbe
potuto accadere.
“Tutto ok?” mi chiede Sanae appoggiandosi allo
stipite della porta, la osservo per un attimo mentre stringe ancora le
braccia sul petto, forse involontariamente.
“Sono fuori.” rispondo sorridendole e la invito ad
andare di sopra, per cambiarci.
Mentre saliamo le scale, non riesco a non pensare che saremo soli per
molto tempo e mi chiedo ripetutamente come ci si dovrebbe comportare in
questi casi.
Sono innamorato di lei e fisicamente mi piace da morire, sono dati di
fatto, ma ciò non basta a suggerirmi che pesci prendere.
Poi le braccia incrociate ancora sul seno, mi sembra possano essere un
chiaro segnale da parte sua, o forse è stata davvero solo
una casualità.
Sono confuso.
Entriamo in camera mia e Sanae si mette a gironzolare per la stanza,
osservando attentamente ogni particolare, un po’ come se
fosse la prima volta che ci entra.
La seguo con lo sguardo, i miei occhi si posano istintivamente sul suo
sedere e sull’allacciatura del reggiseno, che spicca sulla
sua schiena, sotto il cotone bianco della maglia.
Imbarazzato, apro rapidamente l’armadio e mi nascondo dietro
all’anta, cercando così anche il cambio per
entrambi.
Ma che diavolo mi
prende?! Calmo, cerca di calmarti!
Afferro un paio di T-shirt e dei pantaloni e riemergo dal mobile
cercando di recuperare un po’ di lucidità.
Quando incrocio il suo sguardo, sento però che sto
vacillando ancora.
Sono troppo confuso se c’è lei, così
capisco che mi ci vuole un attimo di riflessione tra me e me, per
schiarirmi bene le idee e tornare a più miti consigli, visto
che il mio cervello, e non solo, sembra essersi inspiegabilmente
fissato su un certo punto.
“Aspettami, vado a prendere degli asciugamani!”
esclamo sorridendo, facendo finta di niente e in meno di un secondo
sono in corridoio e poi in bagno.
Mi tolgo la maglietta bagnata lanciandola in un angolo e mi appoggio al
lavandino, sostenendo il mio peso con le braccia.
Mi guardo allo specchio per cercare un briciolo di sicurezza e
decisione, che in questo frangente farebbero proprio al caso mio, ma
nel riflesso vedo solo un ragazzino agitato, che respira affannosamente.
Che cosa dovrei fare ora?
Andare di là e…
Siamo seri, non so nemmeno da dove cominciare e poi chi mi dice che
anche lei abbia i miei stessi desideri?
Si aspetta forse qualcosa da me? Ora?
Il discorso di Taro sull’invito di Sanae a casa sua non fa
una piega, ma in fondo non è detto che sia necessariamente quello il senso
della serata che aveva organizzato.
E se fosse stata solo una cenetta romantica e stop?
E se andassi di là e ci provassi, iniziando da dove, proprio
non si sa e sbagliassi tutto?
Non voglio offenderla, non voglio che se la prenda ancora con me.
Come non voglio ferire la sua sensibilità, facendo cavolate
in un frangente così delicato.
Non fare cazzate,
Tsubasa!
Mi fisso allo specchio, come se stessi ammonendo un mio amico, cercando
in tutti i modi di mettermi l’anima in pace.
Devo solo ignorare che ci sia l’occasione, lo spazio e i
tempi giusti per farlo
e comportarmi con lei come sempre, come il solito Tsubasa.
Afferro un asciugamano e inizio a strofinarmi i capelli bagnati,
credendo di aver ritrovato almeno un briciolo di normalità,
poi ne prendo un altro per Sanae e mi sbrigo a raggiungerla, visto che
mi sta aspettando con ancora i vestiti zuppi addosso.
Entro di nuovo in camera mia e deciso a non voler assecondare i miei
sensi ma la ragione, lancio l’asciugamano destinato a Sanae
nella sua direzione.
Sorpresa, lo riceve in faccia con scarsi riflessi.
“Che grazia, Tsubasa! Mica sono un tuo compagno di
squadra!” esclama imbronciata incominciando a passare la
spugna sui capelli bagnati.
Rido allegro avvicinandomi instintivamente a lei.
“Hai ragione! Un mio compagno non sarebbe mai stato lento
come te a correre!” rispondo divertito quando sono a un
passo da Sanae, che mi osserva sbuffando da sotto
l’asciugamano.
E qui la mia volontà vacilla ancora e il mio istinto la
prevarica, anche se di poco, con un gesto di per sé
semplice, ma che in questo momento, vale quanto un guinness dei primati.
Le tolgo la spugna dalle mani e prendo a massaggiarle le tempie e poi
la nuca.
Con delicatezza, come se avessi tra le mani della porcellana
antichissima e preziosa, che desideravo da tanto toccare con mano.
Chiude gli occhi e non riesco a distogliere lo sguardo dai
lineamenti del suo viso.
Le ciglia lunghe e nere curvate perfettamente e la bocca morbida e
rosa, protesa verso di me, come un invito sottinteso.
Deglutisco poggiando l’asciugamano intorno al suo collo,
Sanae apre gli occhi piano, come se stesse svegliandosi ora da un sonno
prolungato.
Ci fissiamo senza battere ciglia, per secondi così lunghi
che posso sentirli scorrere intorno a me.
E il mio respiro riprende a essere irregolare, dopo che avevo tanto
cercato di calmarlo.
Vorrei baciarla, come non ho mai desiderato e potrei anche farlo, non
è qualcosa di sconosciuto che non ho mai affrontato.
Baciarla andrà più che bene, sì.
Ma poi…
Facendo forza incredibilmente su me stesso, mi ripeto che ho promesso
che non avrei più fatto nulla di sbagliato con lei e che
devo rimettermi alle decisioni prese in bagno, solo qualche minuto fa.
Distolgo lo sguardo fissando la finestra rigata dalla pioggia, che
sferza rumorosa contro il vetro e deglutisco nel tentativo estremo di
ignorare l’attrazione e l’eccitazione, che scorrono
tra Sanae e me.
“Esco un attimo, così puoi metterti i vestiti
asciutti…” mormoro con un filo di voce per
mantenere i miei buoni propositi, ma quando incrocio di nuovo il suo
sguardo, dubito di riuscire a essere credibile e coerente con quanto
è appena uscito dalla mia bocca.
Sanae rimane in silenzio, qualcosa d’indefinito nei suoi
occhi.
Con un gesto lento tira l’asciugamano ancora intorno al suo
collo, facendolo scorrere di lato, poi me lo porge.
Prendo la spugna dalle sue mani con un gesto meccanico, non riuscendo a
staccare i miei occhi dai suoi, attratto da quell’incognita
nel suo sguardo.
Poi accade quello che non mi sarei mai e poi mai aspettato.
Le sue braccia s’incrociano sulla vita e con delicatezza le
sue mani tirano i lembi della sua maglietta, che alzandosi, scopre man
mano centimetri di pelle nuda.
Il ventre piatto e morbido, poi il reggiseno color pesca che costringe
il seno rotondo in una bellissima morsa.
Rimango imbambolato a guardarla, dimenticando completamente
nell’arco di pochi secondi, ogni dubbio, indecisione e
contorto ragionamento, che hanno affollato la mia mente
nell’ultima mezz’ora.
Continuo a fissare la curva dei seni che si alza e si abbassa per colpa del respiro
irregolare e non mi ricordo di aver mai visto nulla di più
attraente, di più bello.
Vorrei anche sentire
oltre che vedere.
Mi faccio scudo con l’asciugamano, viziato da un ultimo
briciolo di timidezza, come se avessi ancora bisogno di un pretesto per
arrivare a lei, al suo corpo.
Esitante avvicino la spugna sotto il suo collo e la paura è
solo un ricordo, ora che con decisione la lascio scivolare fino a
raggiungere il suo seno.
Ed è bellissima ora che la sfioro, ora che sto per baciarla
abbandonando per sempre la mia innocenza di ragazzino.
Quando le mie dita sfiorano i suoi capelli e la nuca, avverto la
più potente elettricità mai sentita, attraversare
come una scossa i miei polpastrelli per accendere poi tutto
il mio corpo.
E il piacere del sapore della sua bocca ora so che è solo
l’inizio del mio amore
con lei.
Sanae è morbida.
Sanae è calda.
Sanae è come velluto accogliente.
Sanae profuma.
Sanae ha mille sapori.
Sanae è fatta per me.
Io sono fatto per lei.
Mi stringe, la stringo.
Mi muovo, si muove.
Contro, insieme e sopra di lei.
Sanae mi accoglie, mi perdo in lei.
E lei si fonde in me.
Niente separazioni, niente distanze.
Lei ed io.
Profumo di pioggia, di pelle, di lei.
I fianchi, il seno e il sapore della pioggia.
Gli occhi socchiusi, il sorriso di miele dalle labbra morbide e
turgide, divorato dai baci che proprio non so smettere.
Sanae è amore.
Sanae ama me.
Ed io amo lei.
Con il cuore.
Fisicamente.
Incondizionatamente.
Una luce chiara filtra dalla finestra, il cinguettio degli uccelli ha
preso il posto del rumore ripetuto della pioggia.
Mi stringo di più alle sue spalle, cingendo con più
decisione intorno al suo seno, le sue braccia intrecciate alle mie.
Guardo il fascio di luce che si proietta sul soffitto, sorridendo
inebetito, incredulo che questo pomeriggio sia già trascorso.
Stamattina dovevo semplicemente andare a correre con Sanae, stasera mi
ritrovo ad aver passato la giornata con lei nel mio letto.
A fare l’amore.
Solo a pensarlo il mio sorriso si distende ulteriormente, non mi sembra
ancora possibile che sia accaduto sul serio, che l’abbiamo
fatto.
E rifatto un’altra volta.
Con un sospiro, chiudo gli occhi inspirando il suo profumo attraverso
l’incavatura del suo collo.
Sanae ride, solleticata dal mio respiro sulla pelle,
d’istinto le poso un bacio sonoro sulla guancia.
“Devo andare ora…” mormora poi
voltandosi, allentando la mia presa le permetto di girarsi
più facilmente verso di me.
Ha i capelli arruffati dalla pioggia e dalla permanenza prolungata a
letto, ma non l’ho mai vista così bella come ora.
Mi sorride e le sue gote s’imporporano così
armoniosamente con il suo viso, da farmi sentire la voglia di baciarla
ancora.
“Di già?” chiedo scansandole i capelli
da una spalla e portandoli sulla sua schiena, il lenzuolo appena
appoggiato sul suo petto, mi permette di intravedere ancora la curva
morbida del suo seno.
“Due ore fa andava bene un di già!
E’ tardi davvero, tra un po’ tornerà tua
madre e miei mi avranno già data per dispersa!”
“Uh…” non mi va proprio che se ne vada,
ma in fondo ha ragione lei, a malincuore la devo lasciare andare.
Mi sorride prima di tirarsi su, un braccio a tenere fermo il lenzuolo
sul torace prima di scorgere gli indumenti puliti e asciutti
abbandonati sulla mia scrivania.
Fa per alzarsi, portandosi dietro le lenzuola, quando si volta verso di
me, imbarazzata perché consapevole che in questo modo,
finirà col lasciarmi a letto completamente nudo.
“Se vuoi te li prendo io…”
Sanae annuisce sorridendomi, ma quando faccio per alzarmi, sono colto
dal suo stesso imbarazzo.
E mi viene proprio da sorridere, perché abbiamo passato il
pomeriggio nudi, pelle a pelle, a letto e non è possibile
che possiamo vergognarci di nuovo, arrivati al momento di rivestirci.
Sanae ride divertita, probabilmente presa dallo stesso pensiero assurdo
e un po’ ridicolo.
“Ci penso io!” esclama, piegandosi oltre il
bordo del letto e risalendo con uno dei due asciugamani, abbandonati a
terra, stretto in mano.
“Tieni!” e me lo passa con un sorriso
incoraggiante, alzandomi, lo lego veloce sui fianchi.
Sanae piega le gambe, circondandole con le braccia e appoggia il mento
alle ginocchia, mentre mi osserva prendere i vestiti dalla scrivania e
inginocchiarmi a raccogliere la sua biancheria intima.
M’inchino davanti a lei per porgerle il fagotto
d’indumenti, mi ringrazia con un altro bel sorriso e un bacio
a fior di labbra, che mi fa maledire di nuovo lo scorrere del tempo che
la costringe ad andarsene.
Girando intorno al letto mi distendo di nuovo al mio posto, per farla
rivestire tranquillamente.
Sanae scivola fuori dalle lenzuola, posando i piedi nudi a terra e
dandomi la schiena nuda.
Arrossendo, ma non per l’imbarazzo stavolta, seguo con lo
sguardo la linea della colonna vertebrale che sale dalla
rotondità dei suoi fianchi fino alle scapole sfiorate dai
capelli scuri.
Quando le sue braccia si alzano, intravedo la curva del seno e non so
cosa mi trattenga dal trascinarla di nuovo sotto di me.
Il pensiero di mia madre che entra in camera con in braccio Daichi
proprio sul
più bello, è sufficiente
però a tenere a bada i miei istinti.
Prima che la sua meravigliosa schiena mi venga di nuovo celata dalla
maglietta, non resisto comunque dallo sfiorarla con la punta delle
dita, accarezzando poi un fianco con il dorso della mano.
Sanae si volta appena e mi sorride.
Bellissima…
Veloce mi rivesto anch’io, o meglio, m’infilo
semplicemente i pantaloni asciutti e sono in piedi quando lei si volta,
un po’ infagottata nei vestiti decisamente abbondanti.
Mette le mani in tasca e poi le allontana con i pugni chiusi dai
fianchi, i pantaloni sono enormi e le coprono completamente i piedi.
Ride felice mentre finge di camminare come un pinguino, rido
anch’io vedendola fare certe mosse buffe.
Mi avvicino a lei e inginocchiandomi, arrotolo un po’ di
stoffa fino a scoprirle i polpacci leggermente dorati
dall’abbronzatura estiva.
“Così va meglio no?” le chiedo alzandomi
di nuovo e trovandomi così vicinissimo a lei.
“Perfetto!” esclama felice mettendosi sulle punte e
poi circondando il mio collo con le braccia.
D’istinto le cingo la vita attirandola un po’ di
più a me.
“Finisco di vestirmi e ti accompagno a
casa…” mormoro sfiorando il suo naso con il mio,
tentato di baciarla ancora.
Sanae arcua le sopracciglia poi inclina la testa leggermente,
voltandosi verso il letto sfatto.
“Credo che sia meglio che tu rimanga qui a mettere in ordine
e a occultare le prove!”
Non mi lascia il tempo di ribattere, confondendomi con un bacio.
Si separa dalle mie labbra con uno schiocco, mi prende per mano
invitandomi a seguirla al piano di sotto e quando varchiamo la porta di
camera mia, mi sembra proprio un’ingiustizia doverci separare.
La osservo in silenzio mentre si rimette le scarpe, poi le porgo il
fagotto con i suoi vestiti umidi.
“Altre prove!” esclamo sorridendo, Sanae scoppia
proprio a ridere divertita invece.
Apre la porta di casa ed esce sul pianerottolo, un raggio di sole rosso
come il tramonto la illumina e a me sembra che sia appena uscita da un
sogno.
“Allora a domani!” e mi saluta con un cenno della
mano, poi il suo sorriso si distende dolcemente come a sottintendere
ogni emozione provata in questo pomeriggio.
Faccio altrettanto, sempre senza accorgermene mentre sento che vorrei
che rimanesse qui con me.
Perché sarà irripetibile questa giornata,
perché chissà se avremo ancora modo di stare di
nuovo insieme come oggi.
Ma non voglio rovinare il giorno in cui siamo diventati adulti insieme,
con pensieri come questi.
Abbiamo fatto l’amore ed è semplicemente
fantastico.
“Scappo!” esclama voltandosi e allontanandosi di
qualche passo.
“Sanae!” la chiamo, costringendola a fermarsi poi
la raggiungo e la sorprendo con l’ennesimo bacio.
“Vediamoci anche stasera…” sussurro
vicinissimo alle sue labbra.
Sanae mi sorride e mi sembra di scorgere nei suoi occhi il riflesso
dell’arcobaleno.
Come promesso eccomi
qua!^^
Premetto che mi sento
come i personaggi dello spot della Costa Crociere, se penso che domani
si torna al lavoro… ^^’ Vabbè questa
è una mia inutile divagazione. xD
Ringrazio come sempre i
lettori silenziosi e ovviamente quelli che si fanno sentire.^^
Alla prossima settimana,
OnlyHope
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Ultima notte d'estate ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo 10
Ultima
notte d’estate
Gli occhi fissi sulla preda, bianca come
la neve e rossa come i coralli, che ignara continua a rincorrere le
altre, nel loro silenzioso e umido passeggio.
Il mio braccio destro
si alza lentamente sopra la testa, aguzzo la vista prima di calare con rapidità il mio attacco.
Con un gesto deciso
cerco di portare la preda in superficie, avvicinando la ciotola color
muschio stretta nell’altra mano.
In una frazione di
secondo la carta si sfalda, aprendosi in due.
“Oh
noooo!” esclama Sanae ridendo divertita mentre osservo il
pesciolino che mi è appena scappato, riprendere a nuotare
nella tinozza di legno.
Sbuffo rigirando la
paletta bucata nelle mani, lei non smette di ridacchiare quando
l’appoggio insieme alle altre tre, che hanno avuto la stessa
misera fine.
“Ok
un’altra! Riproviamo!”
“Tsubasa
arrenditi!” mi esorta appoggiando il mento sottile sulla mia
spalla, mettendo un po’ a repentaglio il suo precario
equilibrio, visto che sono dieci minuti che siamo accovacciati davanti
alla vasca con i pesci.
“No stavolta
ci riesco!” e porgendo un’altra manciata di
spiccioli al proprietario della bancarella, ricevo subito la mia nuova
paletta, convinto che sarà quella giusta stavolta.
“Non si
può essere i migliori in tutto, fattene una
ragione!”
Sanae ride ancora,
divertita dalla mia insistenza, credendo probabilmente che mi sono
intestardito per una questione di orgoglio.
Invece io vorrei
prendere semplicemente un pesciolino, solo per regalarglielo, per
lasciarlo qua con lei, al posto mio.
Domani parto…
Questa che stiamo
trascorrendo è l’ultima sera che passeremo
insieme, dopo un periodo che mi è sembrato
un’eternità, in confronto a ciò cui
siamo abituati solitamente.
E il mio sguardo
ritorna su Sanae, che osserva l’acqua sotto i suoi occhi,
illuminata dalle luci delle lanterne colorate, che dondolano appese
sopra le nostre teste.
Sorrido dolcemente
osservandola nel kimono giallo chiaro, ricamato di fiori rossi e
bianchi.
I capelli tirati su,
in un’acconciatura simile a quelle tradizionali ma allo
stesso tempo moderna e carina, proprio come lei.
Come una giovane donna
giapponese.
La seta colorata del
suo vestito, oltre a donarle incredibilmente, ha però anche
il potere di rimarcare ancora di più la distanza che ci
separerà di nuovo, ricordandomi allo stesso tempo, quali
siano le mie origini e il luogo cui appartengo.
Sanae incrocia il mio
sguardo e mi sorride, poi la piega delle sue labbra prende a velarsi di
malinconia, come sta capitando sempre più spesso in questa
serata.
Ed è palese
che ogni risata che ha spezzato la tristezza in questa notte di festa
sia solo l’estremo tentativo di ricacciarla e di far finta
che tutto sia normale, che il domani non porti cambiamenti.
Ma la tristezza riesce
comunque a predominare e a eclissare ogni piccolo attimo di
precario buonumore.
E’ una
sensazione chiara quella che mi sento sulla pelle, come se stessi
già partendo fin da adesso, come se fossi già
sopra quel volo intercontinentale, che riporta tutto al vecchio,
doloroso ordine di cose.
Facendo appello al mio
coraggio, mi sprono a non lasciarmi vincere dallo sconforto, sia per me
ma soprattutto per Sanae.
Sfodero un sorriso il
più possibile disteso, senza distogliere il mio sguardo dal
suo, con la tacita richiesta che lei faccia altrettanto.
Sanae socchiude
leggermente gli occhi e inspira profondamente, il suo torace di gonfia
lentamente, mi sembra quasi che tremi.
Quando le sue palpebre
si aprono di nuovo, risponde al mio sorriso, imitandomi.
“Allora
riprovi, sì o no?” mi chiede con
un’espressione di nuovo divertita a vivacizzare i bei
lineamenti del viso.
D’istinto
prendo il cellulare dalla tasca e le scatto una foto.
Osservo il suo sorriso
formato dai piccoli pixel dello schermo, l’abito tradizionale
e le ciocche di capelli tenute strette dai nastri colorati.
La
mia bellissima ragazza giapponese…
Sorrido compiaciuto e
salvo come sfondo.
Quando rimetto il
cellulare in tasca, torno a guardare la Sanae in carne e ossa davanti a
me, che mi osserva perplessa ma ancora sorridente.
Mi porto
più vicino a lei e prendo la sua mano destra, stranamente
fredda, in modo che combaci con il mio palmo.
“Proviamo
insieme…” mormoro al suo orecchio, le sue dita
s’intrecciano alle mie intorno al legno scuro della paletta.
Le sue gote
s’imporporano e i suoi occhi s’illuminano di
divertimento, segno che siamo tornati di nuovo, entrambi, a mettere la
testa sotto la sabbia.
Vicinissimi ci
sporgiamo sulla vasca per adocchiare la nostra preda e così
la finzione torna a camuffare questa serata.
Si riprende a far
finta che sia una notte qualunque, in un giorno di festa, in una calda
notte d’estate.
Mi ero ripromesso di fare un paio di cose, una volta arrivato in
Giappone.
Una decisamente
importante ma che poi ho abbandonato,
preso come sono stato dal mio vecchio mondo che mi riassorbiva.
Preso dagli amici,
dalla vita di un tempo che è tornata prepotente a farmi
ricordare che amo questo posto, radicato com’è nel
mio cuore.
L’amore che
provo per Sanae poi ha fatto il resto, annullando completamente tutto
ciò che poteva distrarre da lei la mia attenzione, compreso,
paradossalmente, qualcuno che ci
riguardava.
Sono atterrato nel mio
Paese un mese fa con la netta convinzione d’imbattermi,
casualmente e per vie traverse, nel terzo incomodo che
ronza fastidiosamente nel mio orecchio, ormai da diversi mesi.
Giusto per
curiosità e per quel tanto di disturbo, che il suo interesse
per la mia ragazza suscita in me.
Gli eventi
però hanno preso il sopravvento, portandomi a dimenticare la
sua esistenza.
Ho litigato con Sanae
durante questa vacanza, cosa che non avevo mai fatto prima.
L’ho amata
poi come non ero ancora riuscito a fare, nel modo che ora, mi sembra il
più giusto per esprimere cosa si sente dentro.
Dopo aver fatto
l’amore con lei, potevo ricordarmi o riflettere ancora sul
suo insignificante corteggiatore?
La mia mente ha
annullato con la sicurezza il suo ricordo.
L’orgoglio
ha fatto il resto perché mi rendo conto che non sarei mai
andato da lui a fare le dovute presentazioni, dimostrando
così di essere intimorito, perlomeno ai suoi occhi, dalla
sua presenza intorno a Sanae.
Avevo archiviato
Takeshi Seii, ma il caso o forse no, ha riportato in superficie il problema,
permettendomi comunque di trovarmelo davanti, in maniera fortuita.
Non
era quello che volevo?
“Tsubasa lui
è Seii, un mio compagno di corso al club di musica.
E’ il ragazzo che ha sostituito il prof.
all’audizione il mese scorso.”
Gli tendo la mano,
facendo finta di non aver notato il modo in cui mi ha squadrato, appena
mi sono voltato passando da bere a Sanae.
La mia sorpresa
è durata il tempo di incrociare il suo sguardo, poi si
è dissolta, lasciando posto all’istinto.
E
così questa è la tua faccia…
“Piacere!”
esclamo stingendo deciso intorno alle sue dita, Seii sorride tranquillo
ricambiando la mia stretta con altrettanta forza.
Involontariamente il
mio cervello inizia a immagazzinare veloce ogni particolare che
riguarda il ragazzo avanti a me: dalla polo nera che indossa
all’espressione del viso, dal colore degli occhi,
più chiari dei miei, alla sua altezza.
Mi sembra di
conoscerlo da tempo eppure è un perfetto estraneo, potere
dell’immaginazione e di giornate passate a riflettere su di
lui.
“Nakazawa ho
chiesto al professor Tadai di partecipare alle sessioni
d’incisione, quindi quando andrete a Tokyo per registrare
sarò dei vostri!”
E noto, non si
potrebbe non farlo, che le sorride in modo appariscente.
Gli angoli delle
labbra piegati allegramente e gli occhi due fessure estremamente
cordiali, fin troppo entusiaste.
“E' un vero
peccato Ozora, che tu stia in un altro continente mentre noi saremo
chiusi in uno studio a suonare giorno e notte! Ti saresti divertito ad
ascoltarci. Beh, contando i tuoi tempi, la prossima volta che tornerai
in Giappone l' album sarà già esaurito nei negozi
di dischi!"
Il suo sorriso ora
rivolto a me, all’apparenza cordiale ma sfacciato, dal mio
punto di vista.
Alla faccia del fair play.
Non sono scemo, mi sta
mandando un messaggio impossibile da fraintendere e senza rendermene
conto, istintivamente, la mia curiosità nei suoi confronti
si trasforma in esigenza di mettere le cose in chiaro.
Non mi aspettavo
comunque che fosse lui a sfidarmi,
avevo immaginato che se ci fossimo incontrati, sarebbe spettato a me
introdurre la questione, mandandogli chiari ma discreti messaggi
subliminali.
Mi adatto senza
svelare lo stupore, scoprendo in me l’innata forza che
scioglie la lingua e suggerisce soluzioni, quando sono sfiorate le cose
care, quando qualcuno vuole anche solo avvicinarsi a chi ami.
Alla ragazza che ami,
senza girarci intorno.
Questa è
una questione di amore, gelosia e possesso, quest’ultimo
inteso nel senso più positivo del termine.
"Sanae è
brava, non credo ci metterete tutto questo tempo. Magari con quello che
avanza, potrà venire un po' di tempo da me in Brasile!"
Lo fisso negli occhi,
facendo bene attenzione che nemmeno un battito di ciglia distolga la
fissità del mio sguardo e la mia bocca si distende in un
sorriso sicuro, imperturbabile.
Tutto mi viene
spontaneo, mi sento semplicemente capace di farlo.
Perché devo
essere io il più forte tra i due.
Io sono il
più forte.
E Sanae è
mia.
Non
dovresti nemmeno sfiorarla, perché è oltre le tue
possibilità, è troppo per te.
"Scuola permettendo
però!" ribatte Seii senza scomporsi e senza mollare la presa
sulla questione, sul suo viso campeggia un sorriso sornione,
provocatorio.
Entrambi sappiamo che
gioco stiamo conducendo.
"Ovvio, scuola
permettendo!" e istintivamente, ancora, la mia mano si appoggia sulla
spalla di Sanae, il mignolo a sfiorarle il collo in una micro
carezza, tanto per rafforzare il concetto.
"Beh, ora
sarà meglio che vada. Non vorrei rubarvi ancora tempo
prezioso, già ne avete così poco!" e si avvicina
a me di un passo, sorridendo allegro stavolta.
Stronzo! Penso ma
al di fuori sono una maschera di serenità.
"E' stato un piacere,
Ozora. E congratulazioni per le qualificazioni, capitano!"
E' lui a tendere la
mano verso di me stavolta, il mio sguardo si posa un secondo
sulle sue dita lunghe da musicista, cercando di glissare sul tono
provocatorio con cui ha accentuato l’ultima parola.
“Piacere
mio. Ero proprio curioso di conoscerti..." esclamo tornando a guardarlo
con convinzione negli occhi.
So
chi sei e quello che hai in mente, attenzione...
Seii non si controlla
stavolta e sgrana leggermente gli occhi, confuso.
Rimango impassibile
godendo internamente del moto di stupore dipinto sul suo volto, ora che
ha commesso un errore.
E mi è
chiaro che ha colto il messaggio, che poi è quello che
volevo.
La nostra tacita
battaglia finisce in questo momento.
Seii si ricompone e ci
saluta facendo finta di niente, quando si allontana, osservo ancora per
qualche secondo la sua schiena, prima che scompaia tra la folla.
Sanae ed io
riprendiamo a gironzolare per le bancarelle, senza fare commenti
sull’incontro appena concluso.
Inizio silenziosamente
a rimuginare su cosa è accaduto: ho incontrato il mio pseudo
rivale, o chi ambisce a esserlo, e lo stupore torna a fare capolino
nella mia testa.
Osservo Sanae che
silenziosa mastica una caramella presa dal sacchetto che le ho
comprato al chiosco.
Mi rendo conto solo
ora, che ero così intento a difenderla da non
aver prestato molta attenzione proprio a lei, mentre ammettiamolo,
marcavo il mio territorio e definivo tacitamente il mio possesso su di
lei.
Possesso che espresso
così fa tanto maschilista, ma che non lo è per
niente.
Considero Sanae mia,
non come un oggetto.
Lei è
semplicemente l’incarnazione dell’amore che posso
provare, come se personificasse il mio cuore.
Che appunto
è solo mio.
E suo.
Una cosa nostra.
Un briciolo di gelosia
rende comunque tutto questo possesso terreno.
Un ragazzo di
diciassette anni non può compiacersi del fatto che un altro
abbia emozioni, pensieri e desideri sulla propria ragazza.
Sanae continua a non
parlare, un’espressione pensierosa sul volto incupisce
costantemente i suoi lineamenti.
E’ tesa dopo
quello che è appena successo, probabilmente a causa mia.
Per mesi non ha fatto
altro che difendermi, tenendomi nascosto l’interesse di Seii,
per non farmi preoccupare inutilmente.
Raggiungiamo un posto
isolato per vedere i fuochi d’artificio indisturbati, solo in
lontananza si scorgono tante testoline rivolte in alto, in attesa che
lo spettacolo inizi.
"E così
quello era Takeshi Seii..." mormoro mentre mi appoggio con il sedere
alla staccionata che costeggia il viale che porta al tempio, decidendo
che forse è ora di parlare dell’accaduto,
perché sono stanco di rimuginare con me stesso e che lei si
preoccupi per qualcosa che so già.
Siamo stati faccia a
faccia tutti e tre, tanto vale smettere di fingere.
"Ryo dice che ti viene
dietro..." lo dico quasi a volermi liberare da un peso, sentendomi
però allo stesso tempo confuso, mente pronuncio queste poche
parole, come se fosse anomalo parlarne con lei.
Come se fosse assurdo
parlare di altri nei
discorsi di noi.
Il mio sguardo non si
sposta da un punto lontano nel panorama, non posso così
vedere la reazione di Sanae ma intuisco un po’ di agitazione
nella sua voce, quando tenta di minimizzare dando la colpa alla lingua
lunga di Ishizaki.
"Anche Taro lo dice."
La guardo negli occhi
ora, istintivamente e con serietà e mi rendo conto che la
mia risposta può sembrare, detta così, un
rimprovero, ma non è nella mia intenzione.
Sono solo stufo di
tenere per me la cosa e stanco che lei debba preoccuparsi.
Takeshi Seii non
è un problema, ma riguarda comunque Sanae e Tsubasa,
è giusto affrontarlo insieme.
“E’
vero…” ammette abbassando gli occhi dispiaciuta,
poi torna a guardarmi, ritrovando la decisione persa.
"Ma io non te
l’ho mai detto perché riesco benissimo a gestire
la cosa da sola, senza che tu debba preoccuparti di niente. Per me
quella persona non è importante! Volevo solo che tu fossi
tranquillo..."
La sua espressione
preoccupata, all’idea che possa avere avuto
un’opinione sbagliata sul suo comportamento, paradossalmente
mi rende all’improvviso sollevato.
Perché ora
che ne stiamo parlando, saremo liberi entrambi da queste paranoie.
Sei
proprio una scema anche solo a farti sfiorare dal pensiero che io possa
dubitare di te.
“Lo
so…” le sorrido per rassicurarla “Ero
solo veramente curioso di vedere che tipo fosse... Penso che sia
normale!” ammetto con imbarazzo, svelando se pur di poco, la
mia gelosia nei suoi confronti.
Sanae mi rassicura
stringendo le mie mani tra le sue, visibilmente sollevata, credo le sia
costato molto non dirmi niente in questi mesi.
Probabilmente Seii non
sa che con la sua comparsata, ha alleviato una piccola parte delle
nostre sofferenze.
E quando domani
partirò, saremo entrambi più leggeri non avendo
più segreti stupidi tra di noi.
Domani,
già…
E il pensiero della
partenza riprende a martellarmi nel cervello, come il rumore assordante
dei fuochi che hanno appena preso a scoppiare in mille colori, sopra la
mia testa.
Non riesco a dormire.
L’ennesima
vibrazione del cellulare, giusto un paio di secondi, a ricordarmi che
nemmeno lei riesce a farlo.
Che anche lei sta
pensando a me.
La promessa che ci
siamo fatti quando l’ho riaccompagnata, per
l’ultima volta, a casa, credevo sarebbe servita a spronarci a
riposare, invece si è trasformata nel pretesto cui
attaccarci per sentirci vicini.
“Uno
squillo se non riesci a dormire e se mi pensi! Se ti squillo io e non
mi rispondi perché dormi, forse allora mi
addormenterò anch’io poi…”
Sanae l’ha
detto cercando di essere convinta e convincente, negando a se stessa e
a me, che saremo stati incapaci di accettare la mia partenza.
Prendo in mano il
cellulare e faccio partire il mio squillo di risposta.
Sì,
ti penso anch’io…
Nella
semioscurità le mie valige pronte accanto alla porta, sono
un pugno nello stomaco continuo.
Sono felice di poter
tornare a giocare in Brasile, mi sono mancati lo stadio e le corse
sull’erba verde, circondato dalle urla dei tifosi.
Ma
ora è tremendamente dura ripartire, ancora peggio
della prima volta.
L’idea di
separarmi da Sanae, per non so quanto tempo, sfiora
l’inaccettabile.
Ma è la
realtà, il prezzo che ho acconsentito a pagare in cambio
della mia carriera e del mio futuro successo.
Amore per il calcio
pagato con l’amore.
Gli affari non sono
sicuramente il mio forte.
Il telefonino vibra
ancora e mi accorgo che gli intervalli di tempo che passano tra uno
squillo e l’altro, si assottigliano sempre di più.
E’ la smania
di sentirsi vicini, la ribellione che c’è concessa
ma che non porterà a cambiamenti.
Quella sofferenza che
ci ha fatto decidere di eliminare gli aeroporti dai posti in cui essere
insieme, nello stesso momento.
Perché ogni
volta fa più male, perché sono uno strazio gli
addii nell’attesa di un volo che sta per essere annunciato.
Questa volta
però la buona volontà e i buoni propositi, la
razionalità e i discorsi sensati, sembra non abbiano un
briciolo di forza.
Credevo di amare Sanae
con tutte le mie forze e tutto il mio coraggio prima di tornare in
Giappone.
Ora ne sono
assuefatto, conscio che fino a un mese fa non avevo provato ancora che
la metà di ciò che sono in grado di sentire per
lei.
Il sesso
c’entra in tutto questo.
Dal quel giorno di
pioggia mi sembra che tra noi non esistano più veli capaci
di separarci, che non ci sia un essere vivente sulla faccia della terra
così perfetto per me, destinato a Tsuabsa.
Disperatamente
riemerge dentro di me la voglia di averla vicino e l’angoscia
per l’intollerabile idea di non poter più tendere
la mano verso di lei e raggiungerla.
Prendo il cellulare e
invece di interrompere la chiamata al primo squillo, lascio che
continui a chiedere di lei.
Esigente di sentirla,
perché contrasti il vuoto che mi circonda.
“Tsubasa…”
la sua voce è debolmente sussurrata, vorrei toccarla per
tentare di farla smettere di tremare.
“Sanae…”
L’ho
chiamata io, ma mi mancano le parole, sento solo la
necessità di colmare il vuoto, di sentire che
c’è.
E mi manca il fiato
quando il silenzio è rotto dai suoi singhiozzi, sempre
più disperati.
E non
c’è nulla che possa fare o dire.
Mi resta solo
ascoltare.
Il suo pianto come un
temporale.
Nella mia stanza, al
buio ascolto la pioggia.
Che non è
fatta stavolta d’amore
ma solo di lacrime…
Sono
terribilmente in ritardo, almeno secondo la mia tabella di marcia che
mi sono prefissata.
Ma
la vita di tutti i giorni, fortunatamente a volte, non lascia molto
spazio, quindi mi è mancato il tempo necessario per scrivere.
Ringrazio
di cuore i lettori “vecchi e nuovi” e chi ha avuto
la gentilezza di ritenere le mie storie degne di nota inserendole nei
propri account.
Spero
di non tardare con il prossimo capitolo, un abbraccio
OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Kronos ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
11
Kronos
Sono passati dieci mesi, tredici
giorni e sedici ore dall’ultima volta che ho
visto Sanae.
E non avevo mai
contato il tempo prima d’ora, non così
minuziosamente almeno.
Di cose ne sono
cambiate in questo periodo e non tanto nella mia vita, che è
fatta sempre di corse elettrizzanti sul campo, la mia adrenalinica
routine, ma più che altro in quella di Sanae.
O forse è
più giusto dire che anche nella mia esistenza qualcosa si
è spostato, portandomi a osservare le cose da altre
angolazioni.
Non più
solo il mio statico punto di vista, fatto di ciò che mi
appartiene e che sento di poter gestire, ma quello di una nuova
incognita, che m’incuriosisce, mi elettrizza e allo stesso
tempo turba.
Basti pensare che ora
accendendo un canale satellitare musicale, sì mi sono
accorto, per forza di cose, che esistono altre frequenze oltre a quelle
dedicate allo sport, ho la possibilità di vederci dentro la
mia ragazza.
Solo adesso mi rendo
conto dell’effetto che possa aver avuto in lei il vedermi
attraverso uno schermo, lontano e alla mercé di tutti.
Lo dico con una punta
d’amarezza, lo so, come so che queste emozioni sono
amplificate dalla distanza e dal distacco.
Perché non
credevo sarebbe passato tutto questo tempo, né avevo la
pretesa assurda di sperare in meglio, ma quando li conto, questi dieci mesi, tredici giorni e
sedici ore, mi sembra
siano davvero troppi.
Troppi da passare
senza di lei, troppi da gestire da solo, troppi da somatizzare nella
mia vita perfetta di calciatore professionista,
nell’esistenza che ho sempre desiderato.
Quella
che ho sempre voluto…
Sì
perché quando si è mocciosi, si guarda solo in
una direzione.
Si vede solo
l’obbiettivo, la meta da raggiungere.
Il sogno.
Perché non
si conoscono altre cose, perché non s’immagina di
quale mancanza
si potrà soffrire, né la portata dei sentimenti
futuri, che un giorno diventeranno più forti che mai.
Ignoravo un sacco di
cose da bambino.
Me ne sono omesse, o
le ho semplicemente ignorate, tante altre qualche anno dopo.
Sapevo, è
una certezza scontata che hanno tutti, che prima o poi mi sarei
innamorato, ma non sapevo né di chi e nemmeno
m’interessava un granché quando sarebbe successo.
Una cosa scontata
ripeto, come quando le bambine si chiedono tra loro a che
età si sposeranno, sono solo delle bimbe ma danno per
appurato che quel giorno arriverà.
Avevo quindi questa
certezza, senza rifletterci nemmeno un briciolo del mio tempo,
perché a cos’altro poteva pensare un ragazzino con
un sogno tanto grande quanto il mio?
In che assurdo modo
potevano i sentimenti anche solo offuscare la magnificenza del mio
desiderio più grande?
Stupido
ragazzino…
Tutto sembrava
semplice, tutto poteva filare liscio e lo credevo davvero.
Quando il mio cuore ha
mancato un battito per
lei, mi sono detto che sì, ci poteva stare, che
era arrivato il momento e che, in quello stesso istante me ne sono reso
pienamente conto, poteva essere solo lei.
Chi
altre, se non Sanae?
Quando è
completamente impazzito per
lei, ho preteso di ignorarlo e di far finta di nulla.
Non me lo potevo
permettere, ripetevo, ma poi ho preteso ancora di vivere quello che
provavo e che questo non potesse farmi male.
Volevo prenderne solo
il meglio, per quel poco tempo che avevo.
E me ne sono andato,
con la consapevolezza che sarebbe stata dura, che ogni cosa bella
provata con lei, grazie a lei, mi si sarebbe rivoltata contro nella
solitudine, ma anche con la presunzione, che mi è tipica, di
farcela, di potercela fare.
Mi sono comportato
così anche anni dopo, anche l’ultima volta,
nell’ultimo periodo a casa.
Dagli
errori non sempre s’impara…
Ma si può
chiamare errore qualcosa di così bello?
Doloroso, ora, ma
estremamente bello…
Si può
evitare di amare?
Se l’oggetto
del tuo amore, colei che lo muove, è a un passo da te?
Si può, mi
chiedo, ignorare ogni fibra del tuo corpo che ti spinge verso di lei,
che non desidera che lei, che sente
solo lei?
Può
l’amore mandarmi così in alto per poi buttarmi
maledettamente all’infermo?
Sono
passati dieci mesi, tredici giorni e sedici ore.
E non mi sono mai
sentito così schifosamente di merda…
Sono passati dieci mesi,
ventotto giorni e tredici ore e ho la
possibilità di rivederla!
Quanto
potrà essere fantastica un’amichevole della
nazionale?
Posso vederla, non
quanto avrei voluto, ma mi so accontentare.
Ci vedremo subito dopo
la gara, al mio albergo.
Perché
lei ha da fare…
Con una vena di
dispiacere mi rendo conto che non era mai successo prima, che non
potesse vedermi dal vivo allo stadio, che non fosse presente mentre
gioco.
Perlomeno quando sono
in Giappone.
Deve cantare lontana
da Tokyo e può raggiungermi solo per cena, così
avremo giusto qualche ora da passare insieme, da soli.
Prima che io debba
riprendere l’aereo per Sao Paolo, che non posso prorogare.
Perché
anch’io ho da fare.
Non mi lascio
scoraggiare però, da tutto questo da fare, non me lo
posso permettere davvero.
In cerca di lei
accendo il PC e attendo che la connessione si avvii.
Un semplice click ed
entro nel suo mondo, che fa comunque un po’ stano chiamarlo suo, come se in
parte ne fossi tagliato fuori.
Il suo sguardo che
emana luce e il sorriso radioso, rivolti a un punto indefinito oltre lo
schermo.
Leggo quasi avidamente
le ultime
novità che la riguardano e che scorrono
lampeggianti appena sotto il suo viso, in un tripudio di colori vivaci
in campo bianco.
Gli occhi cadono
sull’icona della mail, il link per mettersi in contatto con
la “giovane
stella”.
E di nuovo quella
strana sensazione di qualcosa che sfugge,
che mi fa pensare, che no, non dovrebbe essere così facile
arrivare a lei.
Infastidito,
più da me stesso e dalle mie assurde riflessioni, che
dall’esistenza di una stupida newsletter, punto il cursore
altrove, cercando l’area video del sito ufficiale di Sanae
Nakazawa.
Clicco sul suo primo
videoclip, quello che preferisco, come ogni sera.
La musica che arriva
alle mie orecchie è ormai così familiare che mi
strappa un sorriso.
Come se entrassi
effettivamente in contatto con lei.
Mi perdo nelle
immagini, un parco di divertimenti di Tokyo credo.
E mi sembra di essere
lì e mi sento pure un po’ ridicolo per questo, ma
me ne frego davvero.
La osservo guardare in
camera sorridente, mentre le parole che escono dalle sue labbra mi
portano indietro nel tempo, giusto qualche anno fa.
E senza che me ne
accorga effettivamente, prendo a canticchiare sottovoce, con
lei…
“But
it's just a… Sweet, sweet fantasy, baby… When I
close my eyes… You come and you take me…
On
and on and on… So deep in my daydreams… But it's
just a sweet, sweet fantasy, baby… Fantasy...”*
Undici
mesi, quindici giorni, diciotto ore e trentotto minuti…
Sono appena rientrato
in albergo e come uno stupido, fanatico narciso mi sono buttato di
nuovo sotto la doccia.
Come se non
l’avessi già fatta negli spogliatoi, come se
effettivamente ce ne fosse ancora bisogno.
Ma devo ammazzare il
tempo, sciogliere la tensione dei muscoli, non solo per lo sforzo cui
li ho sottoposti per novanta minuti in campo e preparami per vederla.
Vorrei che fosse tutto
perfetto stasera, che questa manciata di ore diventi indelebile per
tutti i mesi a venire in cui sarà l’assenza,
l’unica compagna con cui trascorrere le notti.
Mentre
l’acqua calda scorre sul mio corpo, cerco di contenere
l’adrenalina che sento passarmi nelle vene all’idea
di poterla toccare
ancora.
L’adrenalina
da calcio ancora attiva si unisce a quella di ben altro tipo e mi
chiedo se potrei desiderare altro in questa notte.
In questa giornata sto
per racchiudere il mio mondo in ciò che amo di
più, il pallone e Sanae.
La
vita ideale.
Esco dalla doccia e
quando passo davanti allo specchio, osservo per un attimo
l’espressione sorridente sul mio viso.
Ciao
Tsubasa! Ma quanto tempo!
Il mio sorriso si
allarga ancora di più e felice, sì proprio
così, felice, corro a vestirmi nell’attesa,
ansiosa ma eccitante, che lei arrivi.
Mi vesto con cura, con
molta più attenzione del solito, non che sia mai stato
trasandato ma oggi, forse perché è passato troppo
tempo o forse perché ho lo sciocco desiderio di essere bello ai suoi
occhi, presto attenzione a ogni insignificante particolare.
Sistemo la camicia
bianca dentro i jeans a vita bassa, che stringo sul bacino con una
cintura di pelle scura.
Di nuovo davanti a uno
specchio, nel giro di pochi minuti e non mi era mai successo.
Sbottono il primo
bottone nella camicia, appena sotto il colletto, compiacendomi del
contrasto tra la mia pelle ormai quasi costantemente abbronzata e il
candore del cotone.
Arrotolo i polsini
lungo le braccia, leggermente sotto i gomiti mentre prendo a
canticchiare sommessamente.
Allegro, decisamente.
E felice,
sì l’ho già detto.
Eccitato,
completamente.
Bussano alla porta,
con una stretta allo stomaco controllo l’ora, appurando che
non possa essere lei, è ancora troppo presto.
Che
incredibile controsenso…
Apro la porta e un
facchino mi porge, ammiccando spudoratamente, tanto da farmi arrossire
fino alla punta dei capelli, un enorme fascio di rose rosse.
Lo ringrazio e calato
completamente nella parte dell’uomo di mondo
stasera, gli rifilo pure una bella mancia che riesce a renderlo ancora
più allegro, sicuramente.
Mi chiudo la porta
alle spalle con un piede, facendo molta attenzione a tenere in bilico i
fiori sulle mie braccia.
Li poso delicatamente
sul comò, inspirandone il profumo intenso.
L’imbarazzo
s’impadronisce ancora di me mentre osservo i boccioli
vermigli, perché mi sembra d’aver esagerato.
No, non l’ho
assolutamente fatto, mi correggo subito nel giro di un secondo.
Mi allontano di un
passo senza distogliere lo sguardo dalle rose, andando a sedermi sul
letto.
Di riflesso mi volto
in direzione dei cuscini appoggiati alla testata color mogano.
Accarezzo il
copriletto di seta chiudendo piano gli occhi.
Un sorriso increspa le
mie labbra all’idea di come disfare le lenzuola,
accuratamente piegate, sotto il palmo della mia mano.
L’eccitazione
sale, seguendo le immagini proposte dalla mia fantasia.
Mi butto indietro sul
letto, allargando le braccia.
Sospiro.
Un ultimo sguardo
all’orologio e nella mia testa è appena iniziato
il più sentito
conto alla rovescia della mia vita.
L’eccitazione,
la felicità e quell’ansia piacevole che stringeva
il mio stomaco.
Tutte trasformate in
un unico sentimento di amarezza.
E delusione.
Dispiacere, rabbia.
Disperazione.
Non avevo poi chiesto
tanto, no?
Giusto qualche ora, a
fronte di questi fottutissimi undici mesi, quindi gior…
Oh
AL DIAVOLO!
Era una concessione
troppo grande?
Prendo il viso tra le
mani dopo aver buttato un occhio al cellulare poggiato sul copriletto,
quando vorrei spaccarlo contro la parete.
Non
è riuscita ad arrivare in tempo…
Ed io sto aspettando
fino all’ultimo momento per andarmene, completamente messo
sotto scacco da quell’assurdità che si chiama spiacevole inconveniente,
o contrattempo.
Merda, ecco come la
chiamo io.
E non sono
più un uomo di mondo ora, mi viene da piangere.
Dalla rabbia e
perché sto male.
Da cani.
E il cuore mi si
stringe dentro il petto all’idea di quanto starà
male lei, entrando qui senza trovarmi.
Forse se lo aspetta ma
sicuramente starà scongiurando che non sia così.
Che non sia andato
tutto storto, a puttane, mentre continuo a sentirmi addosso ogni
secondo che passa, come la goccia che corrode e mi viene da imprecare.
Tempo
di merda ti vuoi fermare?! Cazzo!
Ma non è
così che funziona e il silenzio che mi circonda sembra
scandire ancora di più che è ora di andare, che
non è cambiato nulla e che è stata tutta una
grandissima illusione.
Il mio pensiero torna
a Sanae, che non ho abbracciato, che non ho sentito, che non sono riuscito
a toccare, ad amare.
Alla Sanae che si
dispererà trovando degli stupidi fiori al posto mio.
A quella che non si
darà pace pensando che è tutta colpa sua.
No!
E mi metto a frugare
come un matto nei cassetti, alla ricerca della classica carta da
lettere intestata degli alberghi, nella speranza che internet non abbia
spazzato via anche questo.
Quando la trovo, mi
sembra d’aver scovato un tesoro, mi appoggio al letto di
corsa, perché davvero è finito il mio tempo, ora.
Scrivo di getto.
Non
piangere... Se stai leggendo queste righe significa che non sei
riuscita ad arrivare in tempo e che non ci siamo potuti riabbracciare.
Che non ho potuto baciarti, né parlarti guardandoti negli
occhi. Dio solo sa quanto avevo bisogno di tutto questo... Voglio
però che tu non ti senta in colpa, perché non ne
hai. Perché la colpa è più di
quell’aereo che mi aspetta e che devo prendere, per forza. Mi
sei mancata in questi mesi ancora di più, con
un'intensità mai sentita prima... Cerca di essere forte,
Sanae e ricordati sempre che ti amo. Quindi ti prego, non piangere...
Non
piangere…
Ripeto.
Non
piangere…
Alzo gli occhi al
soffitto.
Non
piangere…
Le mie mascelle si
contraggono.
Non
piangere…
Afferro il manico del
trolley.
Non
piangere…
Esco dalla porta.
Non
piangere…
E me ne sono
già andato…
…
Sono
passati undici mesi, quindici giorni, ventidue ore, trenta minuti e
quindici secondi…
Sedici…
Diciassette…
Diociotto…
*
“Fantasy” – M. Carey, C. Frantz, T.
Weymounth, D. Hall, A. Bellew, S. Stanley © 1995 Sony Music
Entertainment Inc.
Il
video di questa canzone è realmente stato girato in un parco
giochi, non a Tokyo ovvio, ma in quel di New York (credo xD).
Kronos:
Titano dio greco del tempo e dei secoli.
E’
il capitolo più triste della storia, di entrambe le storie,
forse nemmeno nella versione di Butterfly (“Profumo di
rose”) avevo calcato così tanto la mano.
Come
ogni volta, ho cercato di “essere Tsubasa” e mi
sono messa nei suoi panni per cercare di sentire i suoi sentimenti,
spero tanto di essere riuscita nel mio intento.
E
come sempre mi sono fatta aiutare dalla musica, che riesce a diventare
spesso guida dei miei pensieri.
Ho
mandato a ruota, mentre scrivevo, “Never Again” di
Justin Timberlake, il testo non c’entra assolutamente nulla
con la trama del capitolo, è tutt’altro, ma la
melodia e il timbro di voce sono così struggenti da essere
perfetto sottofondo di tanta tristezza.
Se
l’ascolto poi, *sentendo* anche le parole, è una
canzone che mi strappa sempre una lacrima.
Ringrazio
come sempre chi sta leggendo questa FF e m’inchino, alla
maniera giapponese, davanti a chi è così cortese
da lasciarmi la sua opinione, in qualsiasi forma si tratti.
Colgo
l’occasione per aggiungere ai dovuti ringraziamenti anche
tutto ciò che riguarda “lo sclero”,
ovvero “Take It From Here”! Grazie infinite di
cuore!
Ultimamente
è un periodo buono per scrivere, cercherò di
cogliere l’attimo!^^
Un
abbraccio, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Ain't No Mountain High Enough ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 12
Ain't
No Mountain High Enough*
Noia.
Tedio.
Fastidio.
Un lacrimone sborda copioso dall’occhio destro, mi asciugo la
guancia con il dorso della mano mentre la mia bocca si deforma
nell’ennesimo sbadiglio.
Odio i giorni di pausa per spezzare gli allenamenti durante la
settimana, perché in linea di massima mi ritrovo a girarmi i
pollici e a pensare, cosa quest’ultima, che dovrei evitare
accuratamente.
Non che stamattina non mi sia alzato all’alba per andare a
correre, il mio solito giro da sessanta minuti, tanto per essere
fisicamente impegnati nei maledetti giorni di break, ma la giornata
è lunga da passare poi...
Un altro sbadiglio e Roberto si volta a guardarmi un po’
perplesso, è difficile vedermi inattivo e ciondolante dentro
casa, ma ultimamente va così quando non devo allenarmi con
la squadra e oggi mi è presa davvero peggio delle altre
volte.
Mi sento malinconico, come un nonno triste e depresso, che rimugina sui
tempi andati davanti a un bicchierino fumante di sakè.
Solo che io non sono né vecchio né depresso, o
almeno spero ma mi ritrovo lo stesso, senza alcolici, a ricordare
imperterrito, come un disco rotto, ogni giornata passata in Giappone,
ormai una vita fa, come se veramente non mi rimanesse altro da fare.
E come una sciocca ragazzina liceale mi porto dietro il cellulare senza
staccarmene un attimo, lo abbandono solo per gli impegni calcistici,
perché non ne posso fare a meno.
Tsubasa a volte è un vecchietto anacronistico e poi una
femminuccia schiava del telefono, mi chiedo come ho fatto ad arrivare a
tanto e mi scappa un sorriso ironico accompagnato a uno sbuffo.
“Che fai oggi?” mi chiede Roberto, probabilmente ho
attirato fin troppo la sua attenzione con l’ultimo sospiro
esasperato.
“Mah... Non ho in mente nulla...” rispondo alzando
con aria distratta le spalle, il mio allenatore, nonché
mentore, non demorde e riprende a parlarmi, sciorinando un ventaglio
d’ipotesi per passare la giornata.
Credo, e temo, che si senta in dovere di stimolare positivamente il
ragazzino dall’aria annoiata che gironzola per casa sua.
Ogni alternativa che mi propone però invece di darmi
sollievo, ha il potere di innervosirmi un po’ e ogni volta
che scuoto la testa negativamente, mi sembra che debba fare uno sforzo
enorme per compiere un gesto così stupido.
Sono apatico, ecco e mi piacerebbe essere lasciato in pace a
crogiolarmi nel mio stato.
Ogni tanto sono debole anch’io, rarissimamente, ma sono pur
sempre un essere umano.
Roberto comunque è un osso duro e non demorde, proponendomi
infine un allenamento speciale, conscio che forse l’unico
balsamo per le mie ferite, può essere solo ed esclusivamente
il pallone.
E ora che ci penso in fondo non ha tutti i torti e allenarmi da solo
poi, l’ho fatto già un sacco di volte in vita mia.
Sono tentato mentre il mio cervello, fisso sulla mancanza di Sanae,
incomincia ad annebbiarsi nascondendo tutto sotto una coltre grigia che
addormenta le emozioni, anche se solo per un po’.
Faccio per chiedergli se gli va di venire con me per allenarmi, quando
il mio cellulare prende a vibrare nella tasca della tuta.
Nessun batticuore da mocciosa liceale però, il fuso orario
che mi salta meccanicamente in testa, mi ricorda che semplicemente non
può essere lei e che, come minimo, sarà il solito
Pepe, pronto a raccontarmi qualcuna delle cose folli che capitano solo
a lui.
Sto quasi per rispondere svogliatamente quando con la coda
dell’occhio scorgo il nome di chi è
all’altro capo del telefono.
Ma non dovrebbe essere
lei!
Il batticuore arriva, inevitabilmente, un leggero bussare contro il mio
torace.
“Sanae?” rispondo non riuscendo a nascondere il
tono stupito della mia voce.
“Dove sei?” mi chiede a bruciapelo senza nemmeno
salutarmi.
Rimango un po’ spiazzato dalla domanda, che ecco non rientra
nella conversazione che mi aspettavo di affrontare ma che soprattutto,
non ha alcun senso, dato il nostro stato di separati intercontinentali.
“... In Brasile? Sanae, ti senti bene?”
“Sì lo so, ovvio ma, dove di preciso?”
Un’altra domanda decisamente strana, per non chiamarla
assurda.
Reprimo la mia perplessità assecondando lo strano quiz della
mia ragazza, chiedendomi comunque dove voglia andare a parare.
“A casa...”
Un paio di secondi di silenzio, strani anche loro come tutta la
conversazione.
“Sei veramente a casa?”
Ok.
Non la seguo.
Non ci sto capendo nulla ma soprattutto: a cosa diavolo le serve sapere
dove sono?
Le rispondo calcando volutamente sul tono dubbioso stavolta,
è inevitabile.
“Ehm... Sì. Ma Sanae sei sicura di stare bene, mi
stai facendo preoccupare, io...”
“Sto arrivando! Aspettami, sono da te tra qualche
minuto!”
Lo dice tutto di un fiato e ora sono io a rimanere senza parole.
Arrivare dove?!
Qui!
Tra qualche minuto, qui!
No, devo aver capito
male...
Oddio allora sono
depresso davvero visto che il mio cervello perso
nell’instabilità emotiva, ha incominciato a
perdere colpi facendomi avere le mie prime allucinazioni auditive.
Sto per domandare altro, tutto, cioè che si spieghi meglio,
ma la comunicazione cade senza darmi il tempo di dare sfogo alla mia
agitazione.
Mi gratto la nuca osservando il cellulare.
Guardo Roberto che a sua volta mi fissa con aria interrogativa.
Da me tra qualche
minuto...
E non so che mi prende ma decido all’improvviso di
assecondare la mia pazzia e mi alzo da tavola scappando letteralmente
dalla cucina, senza dare la benché minima spiegazione al mio
allenatore.
Mi precipito in strada spalancando il portone d’ingresso, un
paio di passi e mi ritrovo sul bordo del marciapiede a guardarmi
intorno senza sapere bene cosa cercare.
O meglio sto cercando lei sì, anche se so che è
impossibile...
Impossibile davvero che possa essere qui.
Impossibile in Brasile.
Impossibile...
La mia attenzione è calamitata da un taxi che si avvicina
nella mia direzione, lo fisso d’istinto senza sapere il
perché, senza una ragione precisa.
Quando noto il lampeggiare della freccia come se stesse a indicare
proprio me, sento il famoso batticuore di prima, rullarmi contro il
petto ora, altro che timido ticchettio.
Scorgo una figura fin troppo familiare nel sedile posteriore e la mia
bocca si spalanca seguendo il moto d’incredulità
che si è impadronito completamente di me.
Così totalmente da farmi rimanere immobile, senza poter far
nulla.
Nemmeno lasciarmi andare alla gioia perché no, ancora non
riesco davvero a crederci.
Non la vedo in volto, non chiaramente, mentre armeggia con la
piccolissima valigia scendendo dal taxi.
La vettura riparte allontanandosi qualche secondo dopo e lei rimane
sempre di spalle, tanto che la mia incredulità mi suggerisce
di sfiorarla, tanto per sapere se è proprio vera, nella
speranza poi che al mio tocco, non svanisca in una nuvola di fumo.
Si volta ora, mi sorride.
Bella...
Continuo a fissarla, inebetito.
E’ qui!
Sanae è qui!
“Ciao! Lo so, sono una pazza, ma non ce la facevo
più, così...”
La bacio.
Semplicemente perché non ci capisco più nulla.
La stringo.
Perché anche la distanza di un solo passo mi sembra
intollerabile ora.
Perdo il fiato nelle sue labbra.
Mi sei mancata...
Mancata da morire...
Tutto il grigio nella mia testa scompare accecato dal bagliore della
sua presenza, le sue mani sul mio viso, il tocco più vero
che mi abbia mai sfiorato.
E la bacio ancora.
La bacio e basta.
E sento che il mio mondo è di nuovo colmo di significato...
Me ne frega qualcosa delle prese in giro di Roberto?
Assolutamente nulla.
Di aver saltato la cena?
Ancora meno.
C’è qualcosa nella mia testa che non abbia il
profumo, la morbidezza e le sembianze di Sanae?
Zero assoluto.
Mi stringo a lei senza essere più capace di pensare, nel
buio riesco a malapena a intravederla ma ciò che conta
più di tutto, è che riesco a sentirla.
Di carne e ossa sotto il peso del mio corpo, reale e concreta come la
pelle che accarezzo avidamente, mosso dal desiderio incontrollabile di
essere con lei.
Quel desiderio che mi ha spinto a baciarla sulla porta della mia
camera, che mi ha permesso di aprirla a tentoni senza mai staccarmi da
lei e di spogliarla senza nessun tipo d’imbarazzo.
Io, Tsubasa, quello che arrossisce per un non nulla e che è
convinto solo in campo.
Avevo un bisogno incredibile di tutto questo, lo sapevo, ma ne avverto
la potenza solo ora.
Ora che ci amiamo nel mio letto, ora che lei si è
materializzata davanti ai miei occhi e nel palmo delle mie mani, come
nel più incredibile dei miei sogni.
Ma il suo respiro contro la mia pelle mi da la conferma che
è tutto vero, la sua voce bassa al mio orecchio mi ricorda
che a volte i desideri si avverano davvero.
Sono felice in questo momento.
Euforico.
Sovraeccitato.
E non mi sentivo così da troppo tempo ormai e ora non
m’importa nemmeno quanto potrà durare questo stato.
Qualche ora, il tempo di una notte ma non ci rifletto più di
tanto, perché semplicemente non m’interessa sapere
altro, concentrato come sono solo nel piacere di avere Sanae con me, di
sentire che sì, sta veramente rispondendo ai miei baci, che
sta assecondando il mio corpo.
Sono mosso da una sola, indiscutibile volontà che mi
suggerisce ogni movimento, ogni bacio e ogni carezza.
Percepisco Sanae, la sua presenza, con ogni mio senso e non mi manca
assolutamente nulla in questo momento.
Ho il corpo in fiamme, il cervello che bolle nella febbre di lei.
Non mi manca davvero nulla.
Voglio solo continuare così, per ore, tutta la notte.
Lei ed io a fare l’amore.
Fare l’amore...
“Quando ti è venuta in mente questa
pazzia?”
Sanae sorride ma non mi risponde, il suo sguardo concentrato sul
soffitto mentre attorciglia una ciocca di capelli, ormai decisamente
lunghi, intorno all’indice destro.
“Perché sei consapevole vero della tua
follia?” la incalzo appoggiando la testa sul palmo della mano
e lei prende a ridacchiare, nascondendo le labbra sotto il lenzuolo.
Divertito alzo gli occhi al cielo emettendo uno sbuffo di rimprovero e
quando torno a guardarla, incrocio il suo sguardo proprio
nell’istante in cui la sua espressione si fa, di un tratto,
seria.
“Credevo di impazzire, giuro! Come se di tutta
l’aria a disposizione riuscissi solo a prenderne un minimo!
Una specie d’apnea voluta, come quando
c’è tanto fumo in una stanza e ci
s’impone di trarre giusto qualche respiro per sopravvivere e
non finire intossicati...”
La fisso in silenzio riflettendo sulle sue parole e rimuginando
sull’apatia che mi ha investito nelle ore
d’inattività, in questi lunghi mesi senza di lei.
Sì... forse
anch’io ho respirato appena per tutto questo tempo...
“Non so, ecco, se riesco a spiegarmi bene...”
aggiunge poi sorridendo con un velo d’imbarazzo, forse dovuto
alla mia mancata risposta.
“Ho capito benissimo...” mormoro sorridendole
dolcemente.
Sanae annuisce scusandosi per il suo discorso, a detta sua, strambo e mi spiega
poi che a suggerirle questa pazzia, come l’ho definita io,
altri non sono stati che Taro e la sua ragazza Azumi.
Mi racconta per filo e per segno della sorpresa fattale dal mio
migliore amico a Tokyo, partendo dalla telefonata misteriosa ricevuta
mentre era in macchina e dall’appuntamento sotto un anonimo
palazzo nella zona residenziale.
Divertita, mi descrive il suo ingresso nell’appartamento e
con una serie di esempi buffi cerca di descriversi nel momento in cui
si è trovata davanti proprio la sua ormai amica Azumi.
“Hai presente quei pupazzetti di gomma che se gli stringi la
pancia strabuzzano gli occhi? Ecco quella era la mia faccia!”
esclama ridendo allegra, prima che le sue labbra disegnino
un’espressione dolce sul suo viso, nel momento in cui prende
a parlarmi delle sue impressioni sulla nostra coppia d’amici.
E’ sinceramente felice per loro, specie per Taro e si capisce
non solo da come ne parla ma anche, appunto, dalle espressioni tenere
che si avvicendano sul suo volto nel descrivere quella
complicità trai due, che è riuscita a costatare
proprio con i suoi occhi.
Si prodiga poi a raccontarmi quanto siano stati carini con lei e di
come l’abbiano spronata a non abbattersi e convinta che la
cosa giusta da fare, l’unica che avesse un senso, fosse
proprio prendere il primo aereo e volare in Brasile.
“Può sembrare assurdo che non ci abbia mai pensato
prima per conto mio...” sembra giustificarsi “...
ma ho un’agenda talmente fitta d’impegni ora, che
spesso mi stupisco di trovare il tempo di mangiare un boccone al volo!
Poi ho sempre dato per scontato che anche per te fosse lo stesso, tra
allenamenti, ritiri, partite. Insomma so che vita fai e che per questo
non riesci a tornare mai in Giappone.”
Mi sorride sospirando, lo sguardo velato di malinconia
perché nonostante l’euforia che ci ha regalato
questo incontro, sappiamo entrambi che è solo una parentesi
di breve durata.
Molto breve.
“Per fortuna ho potuto contare su Mendo per organizzare
questa fuga!” aggiunge rapida per allontanare questo tipo di
pensieri, tornando a sorridere divertita.
“Il tuo famoso assistente?” chiedo curioso.
“Il mio famosissimo assistente personale Keysuke
Mendo!” ribatte allegra con un gesto plateale del braccio,
che si alza in aria e volteggia come in un’ipotetica
riverenza.
Rido divertito, così Sanae si sente libera di continuare a
giocare.
“Colui che non solo risolve ogni mi problema, dal look ai
miei pasti a volte frugali, ma che mi tratta come la principessa che
regna nel suo sfavillante immaginario regno glamour!”
“Oh addirittura!”
“Sì, Tsubasa! Lui è la mia fatina buona
delle fiabe con tanto di bacchetta magica, l’unica differenza
è che non porta nessun cappello a punta ma fantastici
completi di Armani o Prada!”
“E così ha accontentato la sua graziosa
principessa anche in questo caso, procurandole una zucca con le ali il
più veloce possibile! Ma che animo nobile!”
“Lo trovi anche tu?” mi chiede con aria sognante
sospirando soddisfatta ed io non mi trattengo più dal
ridere, divertito per la piega che ha preso la nostra conversazione.
“Ma veramente non ti ha ostacolato nemmeno per un
momento?” chiedo con curiosità, non capacitandomi
del tutto del modo accondiscendente con cui viene trattata Sanae dal
suo assistente personale.
In fondo anche lui è un adulto, dubito che non le abbia
fatto un micro predica da persona matura e responsabile.
Sanae scuote la testa in maniera decisa.
“Mendo vuole che io sia prima di tutto felice e lui sa che
c’è solo una persona in grado di farmi sentire
così...”
Abbasso leggermente lo sguardo, un po’ imbarazzato ma di
sicuro lusingato dal potenziale che mi è concesso.
“Anzi mi ha proprio spronata, anche lui, a venire da te
usando le parole giuste come sempre...”
“E cosa ti ha detto di preciso?” chiedo tornando a
guardarla negli occhi.
Sanae sorride poi trae un respiro profondo e intona una melodia.
“If you need
me, call me. No matter where you are. No matter how far, just call my
name. I'll be there in a hurry... You don't have to worry...
‘Cause baby there...”
La sua mano sfiora il mio viso e mi sorride.
“Ain't no
mountain high enough... Ain't no valley low enough... Ain't no river
wide enough...”
Avvicina il suo volto al mio sfiorando le mie labbra, arrossisco.
“...To keep me
from getting to you...”*
*“Ain't No
Mountain High Enough”- Nickolas Ashford & Valerie
Simpson © 1967 Universal Motown
Scrivere FF è
prima di tutto divertimento ma anche, almeno per me, una piacevole
bolla in cui immergersi per staccare il cervello, liberarlo dai
pensieri e “giocare” ancora, nonostante la
veneranda età, con personaggi familiari che ci portiamo, per
svariati motivi, nel cuore.
Ci vuole impegno e
dedizione, ma anche quel briciolo di spensieratezza costante, requisito
fondamentale per me, che permetta appunto di intraprendere il
“gioco”.
Se questa manca, parlo
sempre esclusivamente della mia esperienza, passano i mesi senza poter
scrivere nemmeno una riga...
Questo capitolo ho
iniziato a buttarlo giù all’inizio
dell’estate ma ho potuto completarlo solo nelle ultime ore.
Di questo mi scuso, ma non si poteva fare altrimenti.
Ringrazio di cuore tutte
le persone che nel corso di questi mesi si sono avvicinate alle mie
storie e per i commenti lasciati al precedente capitolo.
Mi divertirò,
tanto per riprendere il tema di cui sopra, a scrivere
quest’ultima parte della FF perché
potrò finalmente dire tante cose su Tsubasa che in B. potevo
solo far intravedere.
Saluto e ringrazio
ancora chi è arrivato alla fine di questo capitolo e mi sta
ancora leggendo, con la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa
da dire dopo tanta assenza, ma con la speranza di essere comunque
compresa... l’età avanza!^^’
A presto, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Tsunami ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
13
Tsunami
“Cerca di
prenderla!” esclamo divertito.
Daichi corre verso la
palla con un piglio deciso, quando la raggiunge, calcia di punta e la
sfera si alza da terra in direzione di Taro, che la ferma con il
polpaccio.
Sembrerebbe un
pomeriggio come tanti, gli amici in cortile, tuo fratello che ti
rincorre dappertutto e la tua ragazza che parla eccitata, con la sua
amica del cuore, sui gradini della veranda.
Un banale pomeriggio
d’estate, niente di speciale, se non fosse che tutta questa
normalità per me rappresenta una rarissima eccezione e mi
rende felice e sereno, come in un giorno di festa importante.
Mi guardo ancora
intorno e lascio un sospiro, segno d’approvazione,
crogiolandomi nella piacevole sensazione di completezza che mi regala
essere in Giappone, a casa mia e con le persone che amo di
più.
“Ma ci
pensate che a breve ci ritroveremo come avversari il resto del
mondo?” chiede Ishizaki tenendo in alto il pallone, mio
fratello saltella sul posto, nell’inutile tentativo di
raggiungerlo.
Osservo i suoi
movimenti scoordinati e mi meraviglio che non si arrenda mettendosi a
piangere.
Mi stupisce il suo
atteggiamento concentrato, mentre cerca d’arrampicarsi sul
torace del mio amico, che per lui è come affrontare una
scalata, vera e propria.
“Non vedo
l’ora!” rispondo rubandogli la palla di mano e
passandola con gesto complice a Daichi, che si volta verso Ryo,
mostrando l’occhio destro e tirando fuori la lingua.
“Chissà
quando arriveranno i francesi?” si domanda Taro, alzando gli
occhi al cielo.
“Forse per la
festa... Ostriche e champagne!” ribatte Ishizaki con aria
vogliosa mentre si strofina il ventre piatto, nonostante la sua
proverbiale ingordigia.
“Stai
pensando a un nuovo match contro Le Blanc?” chiedo al mio
migliore amico, che annuisce con aria sicura.
“Sono anni
che aspetto l’occasione di confrontarmi ancora con lui e
finalmente potrò farlo!”
Capisco al mille per
mille questo suo stato d’animo e mentre, elettrizzato, passo
in rassegna tutti gli avversari che mi piacerebbe affrontare, durante
questo mondiale, il mio sguardo si posa su Sanae, che confabula ancora
con Yukari.
Per un attimo abbandono
i miei pensieri per seguire il filo del loro discorso, mi bastano poche
parole per avvertire un leggero, leggerissimo moto di fastidio.
Sanae
parteciperà alla festa d’inaugurazione per cantare
e questo mi riempie di gioia e orgoglio, ma non lo farà da
sola.
E’ in
programma un duetto e proprio con Seii.
Non che questo fatto mi
tolga il sonno, ma con tutti i cantanti che c’erano in giro...
Cercando di darmi un
tono, sollevo le spalle con un leggero sbuffo ma quando sto per
riprendere il discorso Giappone – Resto del mondo, come
l’ha definito Ishizaki, proprio quest’ultimo mi
spiazza.
"A proposito Sanae,
tutto ok con quello?" chiede alla mia ragazza, con aria
all’improvviso truce, in contrasto alla spensieratezza che ha
caratterizzato, fino a ora, questo pomeriggio.
Ammutolisco e non so
perché il mio cuore inizia ad accelerare i battiti.
D’istinto mi
volto verso di lei, rendendomi conto che, in questo momento, non
c’è un briciolo di raziocinio in me.
Risponde con un
semplice gesto affermativo del capo e un sorriso, a mio avviso, un
po’ tirato.
Ishizaki sta per
aggiungere qualcosa ma quando incrocia il mio sguardo attento su di
lui, le parole sembrano morirgli sulle labbra.
Cosa diavolo...?!
Cala un silenzio
fastidioso, durante il quale tutti sembrano concentrarsi su tutto,
tranne che guardare in faccia gli altri.
Con uno sforzo enorme
cerco di rimanere impassibile, nonostante i lineamenti del mio volto si
siano contratti, lo sento, in un’espressione cupa e seria.
Ancora silenzio,
nessuno apre bocca e questa manciata di secondi di mutismo, mi sembra
sia lunga come l’eternità.
All’improvviso
avverto la voglia di cedere alla tentazione di urlare.
Ma che cavolo
c’è sotto?!
"Mi sta proprio
antipatico quello, si crede chissà chi solo
perché ha ricevuto più voti di me come
più bello della scuola! Tsè!"
Ryo spezza il silenzio
inaspettatamente e quando mi soffermo sulla sua faccia, mi accorgo che
è tornata quella buffa e sorniona di sempre.
Non abbasso comunque la
guardia e rimango vigile.
"Credo che nemmeno la
Nishimoto abbia votato per te, rassegnati Ryo!" aggiunge Taro per
prenderlo in giro.
“Ah puoi
dirlo forte! Ho votato per quel gran figo del capitano del club di
Kendo!”
Ishizaki diventa
paonazzo e incomincia a sbracciare.
“Tu!
Maledetta traditrice!”
Tutti scoppiano a
ridere e di riflesso, sento che anche il mio volto si distende in un
sorriso.
La tensione sembra
spazzata via ma faccio bene attenzione a non guardare negli occhi
Sanae, perché con lei non riuscirei a nascondere bene il
moto d’apprensione, che mi ha colto e che ancora agita il mio
cuore.
Per fare il vago, nella
speranza che mi riesca bene, mi metto a prendere in giro, con gli
altri, il povero Ishizaki, preso inevitabilmente in mezzo.
“Sentite
ragazzi!” esclama all’improvviso Yukari
“Ma se facessimo un salto in piscina? Fa un caldo!”
“Ci
sto!” urla Ryo alzando un braccio in alto, la mano tesa,
proprio come se fosse a scuola “Anche se non meriti la mia
compagnia!” aggiunge poi verso la sua ragazza, continuando a
fare il permaloso.
La Nishimoto lo ignora
alzando gli occhi al cielo e incomincia a impartire ordini.
Spedisce a casa tutti i
ragazzi della vecchia
Nankatsu, per prendere costumi e borsoni, poi si raccomanda di essere
puntuali, fissando l’appuntamento all’ora X nel posto Y.
Come un Generale li
mette tutti sugli attenti, con un gesto della mano saluto i miei amici
che si apprestano a lasciare casa mia, seguiti, ultima di una scomposta
carovana, proprio da Yukari.
Taro è
ancora al mio fianco e quando rivolgo lo sguardo verso di lui, mi fissa
serio per un attimo prima di annuire.
Ci capiamo al volo noi della
Golden Combi...
“Tsubasa
prima di andare uso un attimo il bagno, ok?” ed entra in casa
senza aspettare risposta, salutando velocemente Sanae ferma ancora
sulla veranda.
“A
dopo!” gli risponde lei con un bel sorriso.
“Ti
aspetto?” chiede poi rivolgendosi a me.
Scuoto la testa
sorridendo e prendendo in braccio Daichi.
“Questo
piccoletto deve dormire ora e se ci sei anche tu, non molla di
sicuro.”
“Ok, allora
scappo!” e mi saluta ma prima che si allontani, la trattengo
d’istinto, afferrando la sua mano con il braccio libero.
Le sfioro una tempia
con un bacio e Sanae sorride felice.
Saluta mio fratello
poi, che in risposta, protende verso di lei e le schiocca un bacio
sonoro sulla bocca.
Ride divertita
scompigliandogli i capelli e se ne va via anche lei.
Per un attimo guardo
Daichi e mi ritrovo convinto a pensare, che da grande non
avrà alcun problema di timidezza con le ragazze, a
differenza di suo fratello maggiore.
Veloce, entro in casa e
salgo al piano di sopra.
Riconsegno Daichi a mia
madre, con riluttanza e qualche capriccio, abbandona le mie braccia per
il pisolino pomeridiano.
Ridiscendo le scale con
una certa urgenza e quando sono di nuovo in cortile, Taro è
lì che mi aspetta, lo sguardo serio che non promette nulla
di buono.
“Che cazzo
succede?” chiedo quando sono a un passo da lui, abbandonando
definitivamente la mia maschera d’imperturbabilità.
Taro inspira una grossa
boccata d’aria chiudendo gli occhi e no, anche questo non
è per niente un buon segno.
“Parecchio
tempo fa è successa una cosa, Tsubasa...”
Lo fisso senza battere
ciglio, invitandolo così tacitamente a continuare.
“Sanae ha
chiesto in ginocchio che non ti fosse detto nulla e si è
disperata per settimane senza darsi pace...”
“Che cazzo
è successo?” sibilo sentendo montare dentro di me
la più grossa incazzatura della mia vita.
“Quando Sanae
è tornata da Tokyo, dopo aver inciso il primo disco, abbiamo
organizzato una festa di bentornata, alla quale ha partecipato un
po’ tutta la scuola.”
“Taro, ti
prego, vieni al punto!”
“C’era
anche Seii e quella sera...”
“Quella sera
cosa?” incalzo, l’incazzatura intanto galoppa,
pestando forte contro il mio petto.
“L’ha
baciata, Tsubasa! Seii ha baciato Sanae in mezzo alla sala piena di
gente!”
La mia bocca si
spalanca per un attimo poi tutta la rabbia che ho dentro esplode,
scaricandosi sulla prima cosa a portata di mano.
“STRONZO!”
e calcio il pallone vicino ai miei piedi con tutta la forza che ho.
La sfera rimbalza forte
contro il muro, facendo cadere pezzetti d’intonaco e torna
poi verso di me.
La colpisco ancora
un’altra volta, lanciando un’imprecazione.
“Eravamo
tutti impietriti! Sanae gli ha mollato uno schiaffo da spezzarsi un
polso e poi è scoppiata in lacrime. Ishizaki ha perso la
testa e si è lanciato su Seii, prendendolo a pugni! Ho
faticato come un matto per separarli, è stato un
casino!”
Mi mordo le labbra, il
respiro corto e affannoso.
Non riesco, per la
prima volta in vita mia, a calmare la rabbia.
Ammesso che sia mai
riuscito a provarne tanta fino a ora.
“Mi dispiace,
Tsubasa. Se ce l’hai con me ora ti capisco, ma anche se Sanae
non avesse supplicato il silenzio, io non ti avrei detto nulla
comunque.”
Lo guardo, incazzato
come una belva.
Non con lui, ma furioso.
Non riesco a spiccicare
una parola e vorrei solo far scoppiare il pallone a forza di calci
contro il muro.
E se solo la mia mente
tenta d’immaginare quello che è successo...
Calcio di nuovo la
sfera con una violenza tale che mi viene da urlare, quando questa
ritorna rapida contro di me, la colpisco al volo, mandandola a finire
lontano stavolta, oltre il muro che cinge il cortile.
Appoggio le mani alle
ginocchia, piegandomi appena, mentre il respiro agitato strapazza i
miei polmoni, come se avessi appena giocato i novanta minuti
più duri della mia esperienza calcistica.
Taro si avvicina ma io
non alzo lo sguardo.
Sono troppo incazzato
per riuscire a farlo.
“Calmati,
Tsubasa...”
Alzo di scatto la testa
verso di lui, guardandolo allibito ora.
“Tu mi
spieghi come cazzo faccio a calmarmi?”
Il mio migliore amico
non si scompone e posa una mano sulla mia spalla.
“Invece devi
farlo! Sei fuori di te! Capisci perché non ti abbiamo detto
nulla? Perché Sanae era così maledettamente
disperata all’idea che lo venissi a sapere?”
“Quel pezzo
di merda...” mi mordo le labbra spostando lo sguardo di lato,
tutto corre nella mia testa e gira, come travolto da un tornado.
Mi chiudo nel mutismo
mentre Taro cerca, in tutti i modi e con il massimo impegno, di
sminuire la cosa.
Di spiegarmi che
è successa e basta, che non ci si può far nulla.
Di convincermi a non
rimuginarci e di concentrarmi sull’amore che mi lega a Sanae,
che è la cosa più importante e che nulla
può scalfire.
Tutti bellissimi
discorsi certo, che filano e hanno senso.
Ma un altro ha baciato
Sanae!
E mi sembra impossibile.
E quando mi focalizzo
sulla cosa...
Inspiro, trattenendo
poi l’aria nei polmoni e posando le dita alle tempie.
Non immaginarlo! Non farlo!
E vorrei correre da lei
e stringerla forte, poi guardarla negli occhi per vedere se
è sempre la stessa, se è sempre la mia Sanae.
Ma che cazzo sto pensando?!
“Quindi ora
che provano insieme, cantano insieme... Che combina
quell’emerito stronzo? E come cavolo fa lei a...?”
mi trattengo.
“Questo
è un altro motivo per cui non ti ho detto nulla. Sanae ha
interrotto ogni tipo di rapporto con lui, appena successo quello che
successo. E’ passato tanto tempo e quando si sono rincontrati
per lavoro...” fa una pausa a effetto “... oh la
tua ragazza era già pronta sul piede di guerra!”
Questa immagine di
Sanae riesce in qualche modo a sollevarmi appena, ma giusto un
po’, quel tanto che basta per sentirmi leggermente riscattato.
“Ma a quel
punto non c’era più nessuna battaglia da
intraprendere, perché Seii era cambiato. Gli è
passata, la cotta per lei intendo e non ha fatto più nulla
che potesse disturbarla, nulla che potesse compromettere i loro
rapporti, ormai solo strettamente professionali.”
Alzo un sopracciglio
scetticamente, arcuando un lato della bocca.
Taro sorride inclinando
la testa.
“Gli
è passata e devi crederci. Anche se so che ti sembra
impossibile poter smettere di voler bene a Sanae...”
Arrossisco, nonostante
non sia proprio il momento giusto di cadere nel mio classico imbarazzo.
“Seii non ha
più nessun interesse per la tua ragazza, è un
capitolo chiuso.”
Sto per ribattere ma
Taro mi toglie le parole di bocca.
“E anche se
ti fa rodere il culo da morire il fatto che sia riuscito a rubarle un
bacio, questo non c’entra nulla con voi due!”
“Se fossi
stato qui, non si sarebbe azzardato...” mormoro abbassando lo
sguardo e sentendo che la rabbia muta gradatamente in tristezza.
E per la prima volta i
miei pensieri si concentrano su Sanae.
Su quanta sofferenza
possa aver provato anche in quel frangente e sempre per colpa mia.
Sì, colpa
mia.
Perché alla
fine, ogni cosa spiacevole che le capita, dipende dalla mia assenza.
Perché
dovrei essere presente nella sua vita, anche per proteggerla, se
necessario.
“Se la sa
cavare da sola, credimi!”
Torno a guardare Taro
che mi sorride, come se avesse appena letto tra i miei pensieri.
“E picchia
anche di brutto! Davvero credevo l’avrebbe steso!”
“Taro...”
borbotto, lontano mille miglia dalla voglia di scherzare.
“Ishizaki,
per la precisione, le ha detto chiaramente che manesca era e manesca
è rimasta!”
Rimango in silenzio,
impassibile.
Il mio migliore amico
sospira e mi dà una piccola gomitata sul braccio.
“Sorridi...”
bisbiglia vicino al mio orecchio, passando un braccio sulle mie spalle
“... anche Sanae ha riso quando Ryo l’ha presa in
giro così!”
Ma non ci riesco,
davvero.
Stavolta non riesco a
riprendere in un batter d’occhio il mio stranoto ottimismo.
Oggi no.
Ho bisogno di
somatizzare la cosa, di arrabbiarmi ancora po’ e di restare
da solo.
“Senti... Io
non vengo più in piscina, trova una scusa per me con gli
altri, una qualsiasi.”
Taro mi fissa per un
attimo serio poi, capita l’antifona, annuisce, senza cercare
più di forzarmi.
“A dirlo a
Sanae però ci pensi tu?”
“Sì.
Ci penso io a lei.”
“Se ti serve
qualcosa, sai dove trovarmi...”
Un mezzo sorriso
inclina le mie labbra, come segno di ringraziamento e riconoscenza.
Si volta
un’altra volta a guardarmi, prima di attraversare il cortile
per raggiungere il cancello di casa mia.
Un ultimo cenno con la
mano ed esce, richiudendo dietro di sé
l’inferriata, che sbatte con un tonfo secco.
Senza esitare oltre,
prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e inizio a scrivere il
messaggio per avvisare Sanae.
Mentre batto veloce sui
tasti, mi stupisco della rapidità con cui il mio cervello ha
partorito una scusa credibile, per non essere costretto a vedere
nessuno.
Daichi non vuol saperne di
dormire e sta facendo un mondo di capricci. Mi sento in colpa a
lasciarlo mentre piange, così rimango con lui. Tu divertiti
in piscina con gli altri, mi raccomando! Ci sentiamo stasera! Un bacio
Rileggo, invio e
sospiro.
Entro in casa ma
all’improvviso l’idea di queste quattro mura che mi
circondano, diventa altamente claustrofobica.
Devo uscire,
sì.
E devo correre, pure.
Il tempo
d’infilare le scarpe da running e sono fuori in strada.
Inizio a correre, senza
sentire il sole sulla pelle, senza vedere il cielo azzurro.
Corro e basta.
Lontano, per spengere
il cervello, per annullare le emozioni.
Corro come mai fatto prima e ringrazio il mio fiato spezzato da una vita, che mi permettere di
spingere la corsa oltre i limiti.
Corro verso la
periferia, allontanandomi poi dalle case, dal rumore, dalle macchine.
Attraverso le stradine
che costeggiano i prati ricoperti di erba verde e incolta.
Mi fermo in
prossimità della ferrovia sentendo il cuore nella gola.
Esausto, mi lascio
cadere sulle ginocchia e poggio le mani a terra.
Il sudore cade a gocce
dalla mia fronte mentre non riesco a riportare il respiro alla
normalità.
“L’ha
baciata, Tsubasa! Seii ha baciato Sanae...”
E tutta la rabbia
riemerge dal mio stomaco conficcandosi come pugnali, nel petto e nella
testa.
Disperato, stringo i
pugni e alzo la testa contro il cielo.
E l’urlo che
esce dalla mia bocca, forte e prolungato, non sembra nemmeno
appartenere a me.
Questo capitolo è un
po’ diverso dal solito. Avendo letto molti manga pretendo, di
norma, di dividere i capitoli in scene distinte, un po’ come
se fosse un piccolo albo da sfogliare, per poter così
raccontare più cose e muovermi in più ambienti o
nel tempo.
Questa volta però ho
dovuto fare un’eccezione perché tutto il capitolo
esigeva di rimanere fermo in quest’unica scena, visti
l’importanza e il peso emotivo di quello che accade a Tsubasa.
Mi scuso per aver usato, nei
pensieri e dialoghi dei personaggi, delle espressioni più
colorite del solito, ma quando penso a un ragazzo di diciannove anni
che “perde le staffe”, non riesco a credere che
possa esprimersi come un’educanda.
La parte finale di FA, partendo
proprio da questo capitolo, mi permetterà di aggiungere
tanti tasselli mancanti a B. che erano lì, nella trama
generale, ma che per forza di cose non ho potuto mostrare.
Ringrazio, doverosamente come
sempre, chi dedica un po’ del suo tempo alla lettura delle
mie FF e le mie amiche “di CT” che sono la mia
più grande fonte di motivazione e stimoli.
Un grazie particolare a Sara per
le sue correzioni mentre “sbirciava”...
perché con me, rileggere non è MAI abbastanza!xD
A presto, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Le luci di Tokyo ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo 13
Le luci di
Tokyo
Alzo lo sguardo e la mia testa
s’inclina tanto, che sento la nuca sfiorarmi le spalle.
La vetta
dell’edificio lontanissima, quasi a sfiorare le nuvole, mi
dà un senso di vertigine, nonostante io sia con i piedi ben
piantati al marciapiede.
Attendo
ancora qualche secondo davanti all’ingresso
dell’albergo The
Peninsula* poi decido di entrare e appena varcata la soglia,
mi trovo immerso in un ambiente decisamente di lusso.
I colori
che predominano la hall sono caldi, sfumati tra l’ocra e
l’oro e l’insieme non ha nulla di pacchiano o
ostentato.
E’
sicuramente raffinato, per quel che ne può capire un ragazzo
di diciannove anni che vive la sua vita tra l’erba verde dei
campi di calcio.
Non che non
sia mai stato in alberghi rinomati, ma questo li batte tutti di gran
lunga.
Mi avvicino
alla reception, una bella donna mi accoglie con un sorriso, dandomi
cordialmente il benvenuto.
Leggermente
imbarazzato, rispondo inchinando il busto e la testa.
“Salve!
Potrebbe avvisare gentilmente Sanae Nakazawa del mio arrivo?”
“Certamente...”
e fa una pausa squadrandomi attentamente “Lei è il
signor?” mi chiede infine, più per prassi e per
sottolineare la sua discrezione, che per vera esigenza di conoscere le
mie generalità.
“Ozora.
Sono Tsubasa Ozora.”
“Attenda
un attimo per piacere...” e prende la cornetta del telefono
posto alla sua sinistra, le dita curate digitando il numero
dell’interno desiderato.
Rimane in
attesa di risposta, regalandomi un altro sorriso cordiale e
rassicurante.
“Signorina
Nakazawa, buonasera. Volevo informarla che il signor Ozora è
appena arrivato...” un’altra piccola pausa mentre
ascolta la risposta dall’altro capo del telefono.
Annuisce
professionale prima di salutare Sanae e rivolgersi di nuovo a me.
“Signor
Ozora, la signorina tarderà qualche minuto e si scusa. Mi ha
chiesto di farla accomodare allo Sky Bar al ventiquattresimo piano e
dirle di attenderla lì, la raggiungerà al
più presto.”
Sorpreso
per l’inaspettata attesa, mi chiedo con curiosità
come potrà essere il bar di quest’albergo, vista
la premessa della hall e dopo aver ringraziato la receptionist, mi
dirigo verso gli ascensori deciso a scoprirlo.
Con un
cenno del capo saluto l’addetto all’ascensore,
che impettito nella sua divisa inamidata, rimane immobile accanto alla
pulsantiera dei piani.
“Ventiquattresimo.
Sky Bar.”
Lo dico con
una voce così impostata, tipo film di spie, che mi viene da
ridere di me stesso mentre l’ascensore sale veloce di piano
in piano.
Arrivati a
destinazione, le porte si aprono e davanti ai miei occhi compare un
altro ambiente decisamente suggestivo, tanto che credo che lo stupore
sia chiaramente impresso nella mia faccia.
Il bar
è accogliente sì ma sempre di gran lusso.
Le pareti
dello stesso tono della hall sono illuminate da faretti che emanano una
tenue luce color lavanda.
Tra i
tavoli bassi, eleganti e discreti per disposizione, spiccano degli
alberelli di metallo stilizzati, con piccole foglie argentate, che
catturano la luce brillando ma mantenendo l’ambiente
ovattato, nel tono soft che predomina la vista.
Le vetrate
che circondano tutto il perimetro della sala, incorniciano il panorama
di Tokyo, illuminata dalle prime luci nell’ora del crepuscolo.
Mi avvicino
a un tavolo un po’ in disparte e sedendomi su una
poltroncina, rimango a fissare la vista da capogiro oltre il vetro
perfettamente trasparente.
Per
ammazzare il tempo ordino poi qualcosa di analcolico da bere e
sorseggiando il mio drink, mi metto a curiosare intorno, osservando gli
altri avventori del bar.
Il
più vicino al mio tavolo è un uomo sulla trentina
che sfoglia un’agenda di pelle nera, annotando di tanto in
tanto qualcosa con una penna color argento, o meglio, probabilmente d’argento.
E’
vestito in maniera elegante, almeno per quanto ne possa sapere di moda e
inspiegabilmente continuo a fissarlo, mosso da un’altrettanto
inspiegabile sensazione di conoscenza.
Aggrottando
le sopraciglia, mi arrovello nel tentativo di ricordare dove e come
possa aver incontrato quest’uomo, o perlomeno se al massimo
mi ricordi qualcuno, ma proprio non mi viene in mente nulla.
Alla fine
mi rassegno e distolgo lo sguardo con un’alzatina di spalle.
Torno a
fissare il panorama di luci oltre la vetrata, nel mio primo giorno
nella Capitale a causa dell’imminente mondiale giovanile.
Tra una
settimana ci sarà la festa per le federazioni ospiti e un
paio di giorni dopo l’inaugurazione ufficiale del campionato
e la prima partita.
Sono
elettrizzato e impaziente all’idea di affrontare di nuovo
vecchie conoscenze come il Kaiser, ma spero soprattutto di poter
giocare contro il Brasile di Roberto.
E’
la mia sfida più grande batterlo, insieme
all’obbiettivo della vittoria del campionato ovviamente, e
non c’è nulla che non tenterò per
raggiungere questo scopo, dovessi anche sputare sangue in campo e
massacrarmi nel tentativo di perfezionare il mio tiro.
Con la coda
dell’occhio, noto l’uomo di prima alzarsi
così il filo dei miei pensieri calcistici è
momentaneamente interrotto.
Stringe al
petto l’agenda nera e prende a camminare nella mia direzione.
I nostri
sguardi s’incrociano casualmente una frazione di secondo
quando mi passa accanto per poi sorpassarmi.
Torno a
guardare fuori, ricominciando a pensare a quale strategia
d’allenamento adottare per rendere imbattibile il mio tiro,
quando l’uomo
vestito bene, tornato veloce sui suoi passi, si para
dinanzi al mio tavolo e mi fissa.
I suoi
occhi sono spalancati in un moto di meraviglia, davvero ben poco
giustificabile.
Lo fisso
confuso sbattendo le palpebre.
Che
sia un tifoso?
Il suo
sguardo, sempre posato su di me, cambia e se non fossi nel pieno delle
mie facoltà mentali, giurerei che è appena
diventato...
Sognante?!
Arcuo un
sopracciglio, avvertendo un brivido scorrermi lungo tutta la schiena.
Sorride il
pazzo, mostrandomi la bella dentatura bianca sfavillante e
perfettamente regolare.
Le mani
intrecciate sotto il mento come una fan girl davanti al cantante
preferito.
Mi chiedo
preoccupato quale sia la via di fuga più vicina da
raggiungere.
Sto per
alzarmi per defilarmi il più veloce possibile quando una
voce familiare chiama distintamente il mio nome.
“Tsubasa!”
ripete Sanae mentre si avvicina sorridente, ma non mi rilasso.
“Mendo!”
esclama poi quando si trova vicino a quello che, con un po' di paranoia
lo ammetto, ho bollato come psicopatico.
Mendo?!
Stupito, la
mascella che arriva fino al mio petto, temo.
Mi volto a
guadare quello che dovrebbe essere l’assistente personale
della mia ragazza.
“Mendo?”
L’uomo
annuisce gioiosamente, non prima d’aver scoccato un bacio
sonoro sulla guancia di Sanae, che ride divertita.
“Ma
che deliziosa intromissione del fato! Che incantevole
coincidenza!”
Intontito e
ammutolito per la sorpresa mi limito ad annuire, mentre nella mia testa
continuo a darmi dello scemo.
“Ok!
Facciamo le presentazioni come si deve! Tsubasa questo è
Keysuke Mendo.”
“Piacere!”
esclamo uscendo dal mio mutismo, riprendendo il mio solito fare
cordiale.
Quest’uomo si prende tanta cura di Sanae, ma come ho fatto
a prenderlo per un pazzo!
L’assistente
sfodera un altro dei suoi sorrisi da copertina e mi stringe
vigorosamente la mano.
“Bella
camicia, taglio impeccabile! Il colore poi dona al tuo carnato, anche
se avrei osato con un tono un po’ più deciso, tipo
un indaco...”
Porto la
mano alla nuca, imbarazzato.
“Ma
anche così it’s
perfect! Non è vero, Sanae?”
La mia
ragazza ride divertita mentre mi chiedo da quale assurdo universo
provenga Keysuke Mendo.
“Ma
tesoro, che te lo chiedo a fare! Tu adori questo giovane uomo dalla
promettente carriera! E poi cara, nemmeno lo avessi fatto di proposito,
guarda come s’intona il tuo vestito alla sua camicia! Mettiti
vicino a lui! Corri!”
Sanae
asseconda il suo assistente alzando gli occhi al cielo ma estremamente
divertita, quando è vicina al mio braccio sinistro, lo cinge
fingendo di mettersi in posa.
“Oh...
Sublime!” esclama Mendo, visibilmente estasiato.
Le mie
guance vanno in fiamme e quando cerco lo sguardo di Sanae, noto con
stupore, che sul suo viso non c’è nessuna traccia
d’imbarazzo ma solo un rossore leggero, procurato dalle
risate divertite.
In questo
momento è semplicemente serena e...
Felice...
“Dato
che siamo piacevolmente tutti e tre qui riuniti, fato o destino che
sia, non ci resta che approfittare e cenare insieme nella sala
ristorante! Voi godetevi un po’
d’intimità a questo incantevole piano e non
preoccupatevi di nulla, penso a tutto io. Vado subito a
prenotare!”
Mendo si
allontana a grandi falcate senza darci il tempo di rispondere.
Entra in
ascensore e si rivolge all’addetto in modo così
teatrale, che sembra gli stia rivelando il segreto
dell’eterna giovinezza invece che indicargli il piano
desiderato.
Sanae ed io
ci guardiamo un attimo negli occhi, la mia ragazza alza le spalle e mi
sorride, arcuando leggermente un lato della bocca.
A quel
punto non resisto più e scoppio a ridere.
“E’
fatto così...” borbotta alzando di nuovo gli occhi
al cielo “Non si sarebbe fatto scappare l’occasione
per niente al mondo!”
Continuo a
ridere senza ritegno, Sanae sbuffa dandomi un leggero pugno sul braccio.
“Oh
ma quando ti metterà sottotorchio, chiedendoti ogni
particolare della nostra relazione, voglio vedere se avrai ancora
voglia di ridere...” esclama sfidandomi con lo sguardo.
La
provocazione va a segno e il riso cessa immediatamente di deformarmi il
viso.
“Eh?”
chiedo, sbattendo le palpebre preoccupato e questa volta è
Sanae a scoppiare in una fragorosa risata.
La festa di
benvenuto per il World Youth è iniziata ormai da qualche ora.
Nonostante
alcune squadre non siano ancora arrivate nel nostro Paese, tra cui
proprio il Brasile di Roberto, la sala brulica di calciatori e
avversari, che sarà un onore affrontare.
Mi guardo
intorno e a stento riesco a contenere la mia eccitazione.
Incrocio
facce nuove e volti familiari, che mi ricordano vecchie battaglie
superate e vinte, ma ugualmente mai concluse.
Perché
nel calcio le sfide non finiscono mai, al massimo si ripetono ma senza
togliere nulla all’emozione di viverle.
La
competizione è sempre a livelli altissimi.
Genzo
Wakabayashi, poco distante da me, scherza sorridendo con Hermann Kaltz
e Karl Heinz Schneider.
Shingo Aoi
discute animatamente, forse un po’ brillo, con Salvatore
Gentile, sotto lo sguardo attento di Gino Hernandez.
Vicino al
buffet c’è quasi tutta la nazionale francese,
riesco a intravedere Pierre LeBlanc e Luis Napoleon.
Juan Diaz
sorseggia da bere insieme agli altri ragazzi della compagine argentina.
Finalmente
il mondiale sta per iniziare, non faccio che ripeterlo.
Ho voglia
di misurarmi con tutti questi avversari, vecchi e nuovi.
Ho bisogno
di questi stimoli come dell’aria che respiro,
perché il calcio è davvero la mia vita.
Mi sento
così pronto ad affrontare questa nuova avventura, che un
sospiro soddisfatto e impaziente esce spontaneo dalla mia bocca.
Mi volto
ancora e noto tra la gente, lontana da me, l’altra mia fonte
d’eccitazione.
Sanae parla
con Mendo dandomi leggermente le spalle.
L’abito
corto dorato e i capelli pettinati mossi, che non le avevo mai visto
portare prima di stasera.
Siamo
arrivati alla festa separatamente, lei con il suo entourage ed io con
la nazionale giapponese e avremo scambiato al massimo un paio di parole
in queste ore.
Non che non
abbia desiderato passare del tempo con lei, ma con tutta questa gente,
ho preferito non metterci troppo in mostra.
Mi guardo
intorno per l’ennesima volta, distogliendo
l’attenzione da lei ma questa volta il mio sguardo non
è alla ricerca di qualche rivale calcistico da sfidare.
L’oggetto
del mio cercare è un personaggio scomodo.
La mia
personale fastidiosa presenza, che sembra non essersi ancora
materializzata.
Non ho digerito del tutto
Takeshi Seii, mi sono fatto una ragione di quello che è
successo, ma non l’ho mandato giù completamente.
Non ne ho
più parlato con nessuno, nemmeno con Sanae perché
lei è l’ultima che deve sapere che sono a
conoscenza di come si è comportato quell’idiota
nei suoi confronti.
E mi sono
convinto che sia acqua passata, come ha detto Taro quel pomeriggio nel
cortile di casa mia.
Ma questa
sera, sapendo che deve esserci anche lui, non posso evitare di cercarlo
tra la gente.
Per
incrociare semplicemente il suo sguardo, per capire guardandolo negli
occhi, che è davvero un capitolo chiuso.
Voglio
eliminare questa sensazione sgradevole dal mio petto che mi fa sentire sospeso e tornare
pienamente sicuro, come il mio solito.
Per
allontanare questo disagio, decido di raggiungere Sanae e quando sono
alle sue spalle, Mendo ridacchia ammiccando nella mia direzione.
Si volta
curiosa e le sorrido sicuro, ora che i miei occhi sono colmi della sua
immagine.
Non resisto
e mi avvicino a lei, sussurrando al suo orecchio quanto sia bella
stasera.
"Grazie,
anche tu. Immagino ti stia divertendo da matti, eh?"
“Puoi
dirlo forte! Ma non vedo l’ora che la festa diventi privata
per sentirmi più a mio agio."
D’istinto
le sfioro la mano, un gesto semplice ma che mi regala un brivido caldo
lungo la schiena.
“Come
non vedo l’ora di sentirti cantare!" aggiungo con un sorriso
incoraggiante mentre noto le sue gote colorarsi leggermente per
l’imbarazzo.
L’idea
della sua esibizione però riporta inevitabilmente la mia
attenzione su Seii, che torna prepotente, a farsi spazio tra i miei
pensieri.
Guardo
Sanae sorridermi dolcemente e mi sembra sempre la stessa ragazzina che
alle medie mi seguiva a bordo campo durante gli allenamenti e le
partite.
E’
sempre lei, nonostante il trucco e i lineamenti più adulti.
Nonostante
ora ci sia una donna davanti a me.
E quella di
Seii mi appare all’improvviso come la più stonata
delle intrusioni.
“Quel
ragazzo... Quel Seii, è già arrivato? Mi sembra
di non averlo visto.”
Mi rendo
conto, appena la mia lingua ha pronunciato l’ultima sillaba,
di aver parlato di getto, senza pensare.
Distolgo lo
sguardo da Sanae, fissando la sala gremita di gente, per nasconderle il
mio imbarazzo.
"Non ci ho
fatto caso, dovrebbe essere già qui anche lui."
E non so
come mai, ma sentire la sua voce che parla di lui, mi rende nervoso.
"Gli piaci
ancora?" chiedo ancora senza filtrare i pensieri, voltandomi verso di
lei.
Perché
è giusto non averne parlato con Sanae ma mi rendo conto solo
ora, che non ho bisogno di vedere Seii per capire che è
finito tutto.
E’
da lei che devo sentirlo dire, chiaramente.
Leggo un
leggero moto di sorpresa sul suo volto poi la sua espressione diventa
seria e convinta, imperturbabile.
“No.”
Chiudi
questa storia, Tsubasa...
Dimenticatene...
"Come mai
me lo chiedi?"
Hai
avuto la tua risposta, basta così...
“Tempo
fa aveva una cotta per te, no? Mi domandavo se fosse ancora
così, tutto qui."
Le sorrido
ora, perché nei suoi occhi posso scorgere un velo di
preoccupazione e non mi va che le mie insicurezze passeggere, minino il
suo equilibrio, facendola impensierire.
Sanae mi
fissa per un altro attimo ancora, sbattendo le palpebre ripetutamente
poi torna a sorridermi, come se nulla fosse.
E da questo
istante giuro che sarà così anche per me.
Osservo la
piega morbida delle sue labbra, maledicendo tutta questa gente che con
la sua presenza, non mi permette di prendere e baciarle.
E
quell’elettricità magnetica, che mi pervade quando
sono vicino a lei, riesco ad avvertirla tutta intorno a noi e mi
stupisco del fatto che gli
altri non riescano a sentirla, tanto è forte.
“Sanae!
Angelo mio, è ora di cambiarsi per
l’esibizione!”
La voce di
Mendo interrompe il momento magico riportandomi alla realtà.
La mia
ragazza si congeda da me velocemente ma a malincuore ed io, che proprio
non resisto, le sfioro di nuovo la mano prima che si allontani.
E
un’altra nuova eccitazione riempie il mio petto.
Sto
per sentirla cantare...
Le luci si
abbassano, deglutisco per l’emozione.
Una luce si
accende illuminando un pianoforte a coda nero, il pubblico applaude
incoraggiante mentre il pianista saluta con un lieve sorriso e un cenno
del capo.
Cala il
silenzio e Seii poggia le mani sulla tastiera iniziando a suonare.
Quando la
sua voce è amplificata dagli altoparlanti, riempie la sala
con il suo tono basso e profondo.
L’osservo
serio, cercando di evitare che la sua presenza rovini questo momento
che appartiene, almeno per me, solo a Sanae.
E quando
lei entra in scena, è come se un’altra luce
prendesse a illuminare il palco.
Un applauso
caloroso l’accoglie, lei sorride visibilmente compiaciuta.
Ha un
vestito diverso ora, lungo fino alle caviglie e con una sola spalla.
Quando
cammina, uno spacco laterale mette in mostra la gamba destra, dalla
pelle tonica e lievemente abbronzata e slanciata dai tacchi alti.
Mi sorride
per un attimo prima di raggiungere il pianoforte mentre la sua voce
calda, cristallina e dolce come una carezza, riempie l’aria.
Lei
è lì su quel palco e mi sembra bella come il sole.
Lei che
è la mia stella luminosa.
La fisso
immune dai commenti, perso nella sua voce che mi ricorda, come un
ritornello, cosa si prova a essere innamorati.
Cosa si
sente ad amare lei.
E la amo,
sì.
E la sua
voce...
Mi riempie
d’orgoglioso, ne sono così fiero.
E ho come
la sensazione che finalmente i nostri mondi si bilancino e che possa
essere io ora, quello che gioisce delle sue vittorie, dei suoi
successi.
Come un
vaso comunicante che finalmente si è colmato allo stesso
livello, come giusto che fosse.
Quando la
melodia termina, le luci aumentano di nuovo
d’intensità e nella sala scoppia un applauso
entusiasta.
Mi alzo in
piedi senza distogliere lo sguardo da lei, come ipnotizzato e batto le
mani con decisione.
Sanae
s’inchina per ringraziare il pubblico e quando il suo sguardo
si posa su di me, le sorrido con la disperata intenzione di
trasmetterle ogni emozione che provo.
E’
un momento magnifico, non mi ero mai sentito così.
Non
immaginavo di potermi sentire tanto fiero di lei.
Di essere
così felice per lei.
Ma
l’incanto si rompe.
Come uno
specchio che all’improvviso va in frantumi, in mille pezzi.
L’immagine
di Seii inchinato, le labbra poggiate sulla mano di Sanae, trasforma la
mia visione dorata in un frammento che non scorre, immobile, in bianco
e nero.
Tutto si
ferma intorno a me, non avverto più alcun rumore.
E
all’improvviso sento
e so che il capitolo Seii è
tutt’altro che chiuso.
La musica
del DJ rimbomba nelle casse, tutti si agitano come scimmie, ebri
d’euforia perché ora è davvero una festa.
Sanae
è di nuovo al mio fianco, lei e il suo vestito corto.
Lei e i
suoi capelli mossi che profumano di buono.
Lei che
sorride e festeggia.
Le cingo il
collo con un braccio, possessivamente e la sua mano raggiunge la mia,
oltre la sua spalla, intrecciando le dita alle mie.
Inclina il
capo e mi sorride, mi limito a continuare a fissarla, seguendo i
lineamenti del suo viso, avvertendo, fin troppo bene, la pressione del
suo fianco contro il mio.
Con la
punta dei polpastrelli accarezzo quelle dita affusolate, che la mia
mano troppo grande riesce a nascondere quando vorrei estendere questa
carezza a tutto il suo corpo.
Istintivamente
mi porto avanti a lei, staccando la mia mano ma lasciando che questa
l’accarezzi, fino a posarsi con l’altra sui suoi
fianchi.
La stringo
a me, poggiando la mia fronte contro la sua.
Indifferente
a tutto tranne che a lei...
Che mi veda
il mondo intero e si scateni con tutte le lingue lunghe della sala...
Non esiste
musica, non esistono altri sguardi...
Al diavolo
anche il pallone stanotte...
“Cos’è
vuoi ballare?” mi chiede cingendo il mio collo con le mani e
una scossa attraversa la mia spina dorsale.
I brividi
si rincorrono lungo tutta la mia pelle, terminando la loro corsa nelle
punte dei capelli.
“No,
voglio stare con te.”
Lo dico
senza filtri perché è la sacrosanta
verità e non sono mai stato così dannatamente
sincero in vita mia come ora.
E in
contrasto mi sento libero e prigioniero.
Libero di
spingermi verso di lei, senza freni né riserve, lontano
dall’imbarazzo che solitamente mi domina.
Prigioniero
del mio sentimento, che stasera sento delirare quasi, nella smania di
possesso.
“Da
solo...” aggiungo mormorando, stringendo di più la
sua vita e senza distogliere lo sguardo, schiavo ora come non mai, di
una possessività che non sapevo di avere.
Sanae
annuisce, guardandomi con aria imbambolata.
Senza
perdere altro tempo mi sciolgo dal suo abbraccio e afferrandola per la
mano, la trascino dietro di me.
Lontano
dalla sala piena di gente, dalla festa, da un mondo che stasera mi
sembra così insignificante rispetto a noi.
Rispetto a
lei.
Usciamo in
giardino senza che mi volti nemmeno una volta a guardarla, troppo preso
dalla voglia di allontanarmi da tutto e di essere soli.
Scendiamo
le scale veloci, le do giusto il tempo di discendere l’ultimo
gradino e mi lascio andare.
Mi volto e
la bacio.
Con
un’esigenza fatta di tante cose, con una passione diversa da
quella, se pur meravigliosa, provata fino a ora.
Con egoismo
mentre sento le sue labbra, la sua bocca e ripeto dentro di me quel mia che
è più forte di tutto, che mi turba e manda in
confusione.
Che avevo
già sentito ma mai così forte.
Quel mia che racchiude
tutto l’amore che provo per lei, che è forte,
sincero ma che può essere anche doloroso.
E disperato
e folle, come mi sento io, tra le altre mille emozioni, in questa notte
d’estate.
Mi stringo
forte a lei, le mie mani scivolano sulla sua schiena poi risalgono le
spalle nude e il contatto con la sua pelle mi fa sentire
l’esigenza di stringerla ancora di più.
Le sue mani
tra i miei capelli una scarica adrenalinica senza precedenti.
La spingo
contro il muro, imprigionandola materialmente e la mia bocca continua a
sentire la
sua tradendo i miei respiri, che non hanno più nulla di
normale.
E
all’improvviso ho voglia di vederla, come se i miei occhi
volessero la conferma della sua autenticità, della sua
presenza tra le mie braccia.
Come se non
bastasse quanto
la sento.
Allontano
la mia bocca dalla sua, il fiato corto alza ritmicamente il mio petto,
piacevolmente in affanno e la guardo.
Gli occhi
chiusi, i capelli scomposti e le gote in fiamme.
Le labbra
socchiuse, arrossate e protese ancora verso di me.
Socchiudo
per un attimo gli occhi per poi tornare a guardare la donna davanti a
me.
La mia donna.
La mia Sanae.
“Devo
ricordarmi di cantare un po' più spesso davanti a te, se ti
fa questo effetto...” mormora guardandomi negli occhi ora e
sorridendo maliziosamente.
Rimango in
silenzio perché c’è così
tanto oltre questo, oltre all’averla vista bella come non
mai, cantare sotto la luce dei riflettori.
Un mondo
sommerso di emozioni che sentivo a malapena, che provavo ma
conoscendone solo un aspetto, solo una faccia.
E sono
così tante queste cose che non riesco a dire una parola,
perché non so come spiegarle.
Perché
semplicemente non è necessario che lo faccia, che parli.
Con una
mano risalgo la sua schiena ancora inclinata sotto la mia stretta e le
sfioro il seno.
La mia
attrazione è innegabile ma c’è sempre
dell’altro...
Le sfioro
il viso con la punta delle dita, seguendo la linea della fronte, gli
zigomi e non riesco a distogliere lo sguardo.
E' come se
mi fosse concesso di vedere solo lei mentre il resto è buio
pesto.
Con le
labbra seguo il percorso disegnato dalle mie mani, sfiorando la sua
pelle delicatamente, perché la cosa più preziosa
che si possiede va inevitabilmente trattata con ogni cura.
Ritorno
sulla sua bocca, controllando, questa volta, l’impeto di
prima e abbandonandomi a un bacio che assomiglia più a una
dichiarazione silenziosa.
Perché
effettivamente è questo che sta accadendo.
Mi sento
come se fossi per la prima volta davanti a lei con i miei sentimenti,
cercando di dichiararli e mostrarli per quello che sono.
Amore...
Mi separo
dalle sue labbra e la stringo forte a me, le mie mani immerse nei suoi
capelli.
Lei si
aggrappa al mio petto e sento di poter parlare ora.
“Sanae...”
mormoro piano, quasi sottovoce e senza rivolgermi direttamente a lei.
Pronuncio
solo il suo nome, che riassume un mio mondo.
Quello
fatto di emozioni, quello che è più forte di me.
Il suo nome
per ribadire che è lei che voglio, lei che mi appartiene.
Lei che amo.
E stasera
non ho le forze per separarmi, nemmeno per un minuto, non ce la posso
fare.
Semplicemente
non voglio.
“Scappiamo
al The Peninsula...”
sussurro al suo orecchio e il mio non è un invito, ma
più un dato di fatto, qualcosa che non può essere
messo in discussione.
Qualche
secondo di silenzio, solo il rumore dell’acqua, che zampilla
dalla fontana poco distante da noi, accompagna i nostri respiri.
“Sì...”
E nella mia
mente prende forma l’immagine delle luci di Tokyo riflesse
sulla sua pelle...
*The Peninsula esiste realmente,
ha cinque stelle e si trova nel quartiere centrale di Giza, Tokyo.
Esteticamente
rientra proprio nei miei canoni, perché è
lussuoso ma sobrio e com’è facilmente
immaginabile, sono innamorata del suo Sky Bar che trovo delizioso (come
direbbe Mendo xD) per arredamento, colori e vista panoramica... Per non
parlare poi delle camere e il centro benessere!*__* Spero un giorno di
poterci soggiornare, fosse solo per una notte! xD
Ma
come mai questo spot direte voi? E’ semplice: mi sono
soffermata tanto sulla descrizione di questo magnifico posto, non tanto
per gusto personale ma per rimarcare il cambio di qualità di
vita di Sanae. Non che prima fosse una poveretta xD ha avuto sempre una
vita dignitosa e serena ma il suo mondo ora è fatto anche di
questo lusso e di queste possibilità.^^
Altra
piccola nota: i nomi dei giocatori francesi sono gli unici ripresi
dall’anime in italiano, per quelli delle altre nazioni ho
usato gli originali del manga. E’ una scelta strettamente
soggettiva, semplicemente mi piacciono di più
così.^^
Vorrei
ringraziare Kara per avermi dato un ottimo consiglio riguardo al
precedente capitolo, che ho potuto correggere eliminando una frase e
rendendo così migliore quello che avevo scritto.^^
Un
altro grazie, come sempre, ai lettori silenziosi e a quelli che hanno
recensito, ora che c’è la possibilità
di rispondere nello spazio delle
recensioni cercherò di farlo lì, anche
se non credo che lo farò sistematicamente, mi piacerebbe
scrivere cose intelligenti nelle risposte e spesso mi viene solo un
semplice “grazie” che comunque non è
poco...^^
Alla
peggio continuerò a ringraziare come ho sempre fatto a fine
capitolo, generalizzando un po’ lo so, ma sentendo quella
semplice parola venire dritta dal cuore e credo che sia quello
ciò che conta di più.^^
Spero
di non tardare con il prossimo capitolo, se non fosse così,
abbiate un po’ di pazienza, la vita di tutti i giorni incalza
e il tempo è quello che è!^^
A
presto, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Il bandolo della matassa ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 15
Il bandolo della matassa
Semifinale
World Youth.
Giappone -
Olanda ancora zero a zero.
Impreco
mentalmente contro questo maledetto terzino che mi tallona, senza darmi
modo di liberarmi.
La
situazione non si sblocca e nel primo tempo abbiamo rischiato, in un
paio di occasioni, di andare anche sotto.
A ridosso
della linea difensiva, cerco di organizzare il gioco di squadra,
nonostante le difficoltà imposte dai nostri avversari.
Non posso
perdere questa partita, non devo assolutamente mancare la finale, il
Brasile deve essere il mio ultimo avversario e devo batterlo, a tutti i
costi.
Seguo
l’azione di gioco che si svolge ora nella nostra difesa, con
uno scatto mi avvicino all’area di rigore, mentre un
attaccante olandese cerca di superare Ishizaki.
Con un
ottimo intervento, Ryo prende possesso della palla e guardandosi
velocemente intorno, la passa a Taro, libero pochi metri avanti a lui.
Mi volto
veloce e prendo a correre, come il resto dei miei compagni, in
direzione della porta avversaria.
L’uomo
che mi tiene sotto stretta marcatura non demorde, seguendomi come
un'ombra.
Taro passa
la palla a Matsuyama, che subito supera un contrasto con un avversario.
Approfitto
di un attimo di distrazione del mio marcatore e con uno scatto deciso,
riesco finalmente a distanziarlo di qualche metro.
Hikaru se
ne accorge e rapido calcia il pallone nella mia direzione, stoppo con
il polpaccio.
Avverto
chiaramente il boato dei tifosi tutto intorno a me.
Devo vincere! Dobbiamo
vincere!
Supero un
paio di difensori, al limite della difesa avversaria, il terzo lo evito
con una finta e un passaggio preciso a Taro, che stoppa di petto alla
mia sinistra.
Entriamo in
area quasi all’unisono, mi smarco controllando la linea dei
difensori, per non cadere in fuori gioco.
Taro si
volta ed effettua un assist perfetto nella mia direzione, quando la
palla si trova vicinissima, la calcio al volo.
Il pallone
s’impenna leggermente descrivendo un’immaginaria
parabola nell’aria, poi s’insacca come un
proiettile alle spalle del portiere, gonfiando una parte della rete.
Ce l’ho fatta! Ce
l’ho fatta! Ce l’ho fatta!
Nello
stadio esplode il caos più totale e la gioia dei tifosi mi
arriva dritta nel corpo, come una scossa tra me e loro.
Alzo i
pugni al cielo poi di corsa mi lancio verso le tribune, seguendo un
percorso ben preciso.
Salto i
cartelli pubblicitari, ignorando per una volta i miei compagni che mi
seguono euforici e mi fermo solo quando intravedo Sanae sopra la mia
testa.
Quando i
nostri sguardi s’incrociano le sorrido, perché il
gesto che sto per compiere, l’avrei già dovuto
fare da qualche tempo.
E’
un messaggio solo per lei e solo Sanae è in grado di
riceverlo.
Perché
sotto il cerotto adesivo che circonda il mio anulare, è lei
che tengo con me, nascosta agli sguardi altrui.
Il mio
amuleto portafortuna.
Con un
movimento lento, in modo che lei possa ben seguirlo, porto la mano
sinistra all’altezza della bocca e socchiudendo gli occhi,
bacio il suo nome tracciato dalle sue dita sulla mia pelle.
Torno a
guardare il suo viso, alzando il braccio nella sua direzione, quasi a
indicarla e poggiando l’altra mano sul petto.
Le sorrido
di nuovo dedicandole questo goal, che poi è ciò
che meglio mi rappresenta e tutto quello che sono.
Capisco che
il messaggio è arrivato, quando la vedo stupirsi emozionata
e le sue mani corrono a coprirle la bocca.
Buona parte
della squadra ora mi ha raggiunto, circondandomi festante e
così perdo di vista Sanae.
Euforico,
condivido questa gioia con i miei compagni e nessuno può
avvertire il legame che ci unisce.
Essere una squadra è questo.
Condividere
nel bene o nel male.
Il goal che
ho appena marcato è la carica che ci aspettavamo per credere
davvero nella vittoria, perché la partita non è
ancora finita.
Rientriamo
tutti in campo ancora più determinati e ci schieriamo in
formazione, ognuno al suo posto e al suo ruolo.
A
centrocampo aspetto che il capitano olandese rimetta in gioco la palla,
lo sfido risoluto con lo sguardo.
Sono carico
e, se possibile, ancora più motivato di prima.
Non
potrà battermi nessuno ora.
La finale
sarà nostra.
Preparati Roberto, sto
arrivando!
Mi butto
sul letto sfinito da questa incredibile giornata.
Ishizaki e
Taro, che dividono la camera con me, sono usciti a fare un giro,
nonostante la partita di oggi abbia bruciato tutte le nostre energie.
Non me la
sono sentita di seguirli, nonostante le insistenze, perché
voglio riposare e recuperare le forze già da subito per la
finale.
Devo essere
in perfetta forma per scontrarmi con nazionale verde-oro di Roberto e
batterla.
Ma ho
bisogno di essere forte
anche per affrontare l’altro scontro, fuori dai
campi di calcio, che ho in programma di avere, il prima possibile.
Non so
ancora come e quando, ma presto incontrerò Seii
perché ora è diventata un’esigenza
vitale, trovarmi faccia a faccia con lui.
Ho lasciato
correre per troppo tempo, è giunto il momento di mettergli
dei paletti intorno e confinarlo, una volta per tutte.
E devo
essere sicuro che capisca bene l’antifona, senza dover
tornare in Brasile con il pensiero che gli venga l’ennesima
bravata in testa.
Al pensiero
del mio rientro in Sud America, il mio stomaco si contorce un
po’.
Ultimamente
mi sento molto a disagio quando, in rari momenti, mi soffermo a
riflettere sulla doppia valenza della finale.
Diventare
campione del mondo, si spera, e fine del mondiale e della mia
permanenza in Giappone.
Dovrò
tornare in Brasile e tutto sarà come prima.
La mia vita
sentimentale subirà
l’ennesima battuta d’arresto e non
rivedrò Sanae, per non so quanto tempo.
Insopportabile...
Non posso
però lasciarmi prendere dallo sconforto ora, non devo
aggiungere agli altri, anche il pensiero della separazione.
Anche se adesso sento che è giunta l’ora di occuparsi anche di questo
problema...
Un passo per volta, Tsubasa...
Involontariamente
i miei occhi si posano sul cerotto che compre parte del mio anulare.
Facendo
attenzione, lo srotolo piano dal dito e gli ideogrammi che compongono
il nome di Sanae, tornano vistosamente a circondare la mia pelle.
Un’associazione
balena veloce nella mia testa ma sono subito distolto da quel lampo,
quando qualcuno bussa alla mia porta.
Mi alzo e
con passo lento mi avvicino all’ingresso della stanza,
immaginando che si tratti di Ryo e Taro, di rientro dal loro giro.
Quando
però mi ritrovo davanti Sanae, un dolce stupore mi strappa
un sorriso, perché Il cielo mi ha mandato proprio la
migliore delle compagnie.
Sto per
domandarle cosa ci fa qui quando, con uno slancio affettuoso, me la
ritrovo attaccata al collo, che mi riempie di baci.
Non che non
gradisca, ma mi chiedo ugualmente cosa le prenda.
Un attimo
dopo mi ricordo, dandomi dello scemo, che oggi pomeriggio le ho
dedicato uno dei goal più belli della mia carriera.
“Grazie...”
ripete tra un bacio e l’altro.
All’improvviso
smetto di essere passivo e ricambio ogni attenzione, dimenticando tutti
i pensieri uggiosi e rimandando la ricerca di soluzioni a poi.
Con un
calcio chiudo la porta e stringendo i fianchi di Sanae,
l’abbraccio sollevandola da terra.
I piccoli
baci che fino a quel momento avevano tempestato il mio viso e la bocca,
diventano un unico movimento delle mie labbra nelle sue,
così intenso da togliermi il fiato.
E capace di
scollegare qualsiasi neurone del mio cervello dal suo centro nervoso,
lasciando attivi, solo ed esclusivamente, i sensi, che non mai
apprezzato tanto, come quando mi ritrovo corpo a corpo con la mia
ragazza.
Sanae
sorride, in quei pochi momenti in cui la sua bocca si
separa dalla mia ed io la cerco di nuovo, sentendo che sto respirando
ansimando.
E non sento
più la stanchezza ora, anzi mi ritengo terribilmente pronto ad
affrontare un altro tipo di prova
fisica.
Ai baci si
aggiungono carezze ben poco timide e l’unico oggetto che
riesco a focalizzare in questa stanza, è il letto a pochi
passi da noi.
Il mio
letto che sarebbe così facile, e bello, raggiungere.
Senza
pensarci due volte indietreggio sostenendo sempre tra le braccia il
peso di Sanae e senza distogliere la mia bocca dalla sua.
Mi lascio
cadere all’indietro e precipitiamo sul materasso morbido, la
mia ragazza scoppia a ridere divertita, prima di tornare a baciarmi.
Le mie mani
scivolano sulla sua schiena arcuata su di me, una finisce la sua corsa
all’interno dei suoi pantaloni, poco sotto la cintura.
E ora ci
sono solo due pensieri fissi dentro la mia testa.
Il primo
è di ovvia
natura, il secondo coincide con l’esigenza di
evitare spiacevoli interruzioni.
Devo solo
lasciarla un momento, prendere la chiave e chiudere fuori gli altri.
E le
conseguenze di un gesto simile non mi sfiorano minimamente, voglio solo
non essere disturbato.
Sto
raccogliendo tutte le mie forze per riuscire a smettere di baciare
Sanae e perseguire il mio intento, quando dal corridoio, delle voci odiosamente
familiari, giungono alle mie orecchie.
Ryo e Taro stanno rientrando
proprio ora!Ma porc...
Sanae si
separa dalle mie labbra mettendosi in ascolto, poi mi sorride,
sbuffando sconsolata.
“Abbiamo
visite...” mormora piano ed io non posso evitare che il mio
sguardo rotei in alto, posandosi sul lampadario del soffitto.
Ci
rialziamo veloci dal letto, cercando di ricomporci frettolosamente.
Sanae corre
allo specchio vicino all’ingresso, per sistemarsi i capelli e
controllare che il trucco non sia troppo compromesso.
Pochi
attimi e Taro apre la porta della camera senza bussare.
Entra nella
stanza, seguito da Ishizaki che ride, per non so quale battuta appena
sentita.
I due
s’immobilizzano, gli occhi fuori dalle orbite, quando
scorgono Sanae.
“Abbiamo
interrotto qualcosa?” chiede subito Ryo, che prende al volo
un’occasione così ghiotta, per iniziare a fare lo
scemo e mettermi in imbarazzo.
Non ho il
tempo di trovare qualcosa di sensato da dire, perché il mio
rossore risponde per me.
Ishizaki
sorride sornione, dando forti gomitate al braccio di quello che dovrebbe essere il
mio migliore amico.
Dovrebbe
perché il sorrisino che gli tira le labbra, non mi sembra
affatto solidale, alla faccia della Golden Combi.
“Oh
ma il nostro Tsubasa ultimamente è davvero cambiato! Non
torna a dormire in albergo...”
“E’
successo una volta sola!” ribatto concitato, sempre
più paonazzo temo.
“Una
o dieci non cambia nulla, il senso è quello!”
interviene Taro, anche lui estremamente divertito dalla situazione.
Grazie per il sostegno, amico
mio!
“Poi
fa cose veramente strane, tipo baciare cerotti dopo un goal!”
Prima che
Ishizaki riesca a intercettare con lo sguardo la mano incriminata, la
porto dietro la schiena, fingendo indifferenza.
“E
la colpa è solo tua, Sanae!” aggiunge Taro, in uno
scambio di battute davvero molto
divertente, almeno per loro.
“Mia?
Io che c’entro!” esclama la mia ragazza, alzando le
spalle e il mento, in una posa teatrale.
Sorride
poi, ammiccando verso gli altri due.
Ma si sta divertendo anche
lei?!
“Oh
c’entri eccome! Tutte le notti non ci fa dormire questo qui!
Si gira e si rigira nel letto, chiamando il tuo nome!”
“Non
è vero!” esclamo imbarazzato fino alla punta dei
capelli ora, anche se devo ammetterlo, nonostante l’impegno
di Taro, nessuno batte Ishizaki nelle prese per i fondelli, un dono di
natura il suo.
“Sì
invece! Abbracci il cuscino e lo baci pure!”
“Non
è vero!” ripeto senza trovare nulla di
più intelligente da replicare per difendermi.
“Davvero?”
mi chiede proprio la mia ragazza, guardandomi sbattendo le palpebre
sugli occhi marroni, fingendo di credere veramente alle cretinate di
Ryo.
“Sanae...
Ma da che parte stai?” le chiedo sconsolato e lei non si
trattiene più, scoppiando in una fragorosa risata, seguita
subito dopo, da quelle di Taro e Ryo.
Ed io, che
fino a qualche minuto fa mi sentivo un leone, torno a essere, per la
gioia dei miei amici, il ragazzo un po’ imbranato di sempre.
Il luogo di
un appuntamento non è mai uno qualsiasi.
Si sceglie
di andare in un posto rispetto a un altro, per tanti motivi e di natura
completamente diversa.
Chiedere a
Sanae di vederci alla sua casa discografica non è stato
quindi casuale.
Ci sono
delle occasioni che vanno cercate, in un modo o nell’altro e
certe coincidenze, a volte, si spinge affinché possano
accadere.
Sono
arrivato alla sede sella sua label
con un buon anticipo e contando sul fatto che riuscirò a
recuperare ancora un po’ di tempo poi.
La Sanae di Tokyo tende ad
accumulare mostruosi ritardi, se s’impegna.
Mi sono
presentato alla segretaria nell’ingresso, che dopo avermi
subito riconosciuto, mi ha fatto accomodare, indicandomi
l’ufficio di Akane Minase, al sesto piano, come luogo dove
aspettare l’arrivo della signorina Nakazawa.
Ho seguito
le sue indicazioni e sono entrato in ascensore, ma al primo piano mi
sono fermato e sono uscito di nuovo, risoluto a trovare Seii il prima
possibile, pur non sapendo da che parte cominciare a cercarlo.
Forse avrei
fatto prima a chiedere di lui alla segretaria, ma non voglio che
all’arrivo di Sanae, le sia spifferata la mia richiesta.
Lei non
deve sospettare nulla perché non voglio che si preoccupi.
Questa
è una questione tra me e Seii.
E tra noi
due va risolta, nonostante Sanae sia il soggetto del
contendere.
Inizio la
mia ricerca girando per i corridoi, che brulicano di gente indaffarata.
Mi guardo
intorno, ma niente, a questo piano di Seii non sembra esserci nemmeno
l’ombra.
Faccio per
tornare all’ascensore quando, poco distante, noto un ragazzo
vagamente familiare, che parla con una donna elegante.
Quando
incrocio il suo sguardo, mi blocco.
Seii mi
sorride e con un paio di battute, congeda veloce la signora in tailleur.
Appena
rimane solo, non perdo tempo e mi avvicino a lui con passo sicuro e
senza smettere di fissarlo serio.
Quando sono
a un metro da lui, mi fermo, rimanendo in silenzio, non
c’è spazio per i convenevoli.
“Ce
ne hai messo di tempo, Capitano!
Pensavo che ti saresti fatto vivo un po’ prima,
francamente...”
Sorride
ancora, come se niente fosse.
Come se mi
stesse dando il benvenuto, nel modo più educato del mondo.
“Dobbiamo
parlare...” proclamo secco.
“Lo
immaginavo. Anche se questo non mi sembra il posto ideale per
farlo...” si guarda intorno per un attimo “...
credo che avremo bisogno di un angolo un po’ meno affollato,
con più privacy.”
Con un
cenno mi suggerisce di seguirlo.
Irritato e
senza alternative, dato che non sono padrone dell’edificio in
cui ci troviamo, lo assecondo entrando in ascensore al suo fianco.
Non posso
evitare di osservarlo e notare che sul suo viso campeggia sempre un
sorriso impassibile.
Smorfia che
comincia a darmi sui nervi.
Preme il
pulsante del quarto piano fischiettando, quando le porte metalliche si
chiudono, inizia candidamente a fare conversazione.
“Ho
visto la partita,
Capitano. Immagino che sia il caso che mi congratuli con
te, non capita tutti i giorni di giocare una finale mondiale!”
Rimango in
silenzio, basito dalla faccia tosta di Seii, che sembra intenzionato a
farmi perdere le staffe, a tutti i costi.
“Sarà
una bella sfida il Brasile, eh? Vorrei proprio trovare i biglietti in
tribuna, sarà una partita emozionante! Il nostro Paese
campione del mondo! Non ci posso credere, sarebbe un miracolo!
E...”
“Dacci
un taglio!” esclamo, stufo dei suoi falsi convenevoli e Seii
sorride in maniera diversa ora, compiaciuto d’aver provocato
la mia reazione.
L’ascensore
termina finalmente la sua corsa, rimanendo in silenzio seguiamo un
lungo corridoio.
Entriamo in
una stanza buia e oltrepassiamo un’altra porta ancora.
Seii preme
l’interruttore e quando la luce illumina
l’ambiente, mi ritrovo in quella che deve essere una sala
d’incisione.
“Allora
da dove vogliamo partire?” mi chiede, mantenendo un tono
distaccato ma sottilmente ironico.
“Stabiliamo
il termine di tutta questa storia, decidendo dove vada messa la parola fine...”
rispondo sicuro di me, stufo di tutti i suoi giochetti idioti, presenti e passati.
Seii non si
scompone, alza lo sguardo verso il soffitto e si appoggia a uno
sgabello, tenendo le braccia distese sulle gambe, le mani unite a
metà coscia.
“E
dove vogliamo metterla?”
“Qui,
ora. Mi sembrano il posto e il momento ideali.”
“E
se io non volessi?” e torna a guardarmi, incupisco lo sguardo
fissando i suoi occhi.
“Io
non ho la minima voglia di smettere.”
Traggo un
respiro profondo e le mie braccia s’incrociano sul petto,
cercando di arginare l’ira che sento montare dentro di me.
“Te
lo sto chiedendo con le buone...” soffio, stringendo le
labbra e le dita intorno ai bicipiti.
Seii mi
guarda impassibile poi alza le spalle, con menefreghismo.
“Siamo
nella stessa barca, Capitano.
Sai benissimo cosa si prova quando c’è di mezzo la
Nakazawa. Mettiti nei miei panni, come faccio a rinunciare a
lei?”
Lo dice
ridendo, come se stesse parlando a un amico, non a un rivale.
Mi sta prendendo proprio per
il culo!
“Tu
non la conosci Sanae, non sai nulla di lei...” esclamo serio,
cercando di controllare ancora le mie emozioni.
“Quello
che so basta e avanza...” replica facendo ancora spallucce
“... e tu che la conosci così bene, non mi sembra
abbia fatto del tuo meglio per renderla felice!”
Accuso il
colpo, che questa volta è andato a segno, ma imparando da
lui, faccio buon viso a cattivo gioco.
"Sai,
quando ho conosciuto la Nakazawa, eravamo in aula di musica
e lei aveva quell'aria un po' distante, che ho imparato a riconoscere
nel corso del tempo... "
Seii parla
con tono sempre calmo, ma nella sua espressione posso ugualmente
cogliere dell’ironia che, mista alla sua sfacciataggine, crea
ancora un mix esplosivo per i miei nervi.
Continuo a
fissarlo cupo, stringendo involontariamente le mascelle.
“A
quei tempi avevo una ragazza e da un sacco di tempo, ma più
i mesi passavano, più m’incuriosiva questa persona
di cui si parlava tanto a scuola. Diciamo che generalmente il giudizio
su di lei si divideva in due blocchi distinti. C’era chi la
considerava pazza e masochista, per voler tenere in piedi una relazione
con qualcuno dall’altra parte del mondo. Molti la vedevano
votata alla sofferenza e destinata a sicuri tradimenti... " e
all’ultima parola ghigna, guardandomi di traverso, sotto le
ciglia nere.
Stronzo!
“Altri
la ammiravano profondamente per la sua forza e la determinazione. Per
tante ragazze, specialmente le più piccole, si era
trasformata in una sorta di mito romantico, una specie di eroina.
Pensandoci bene, la tenacia è stata la prima
qualità a colpirmi in lei, la prima cosa che mi ha fatto
innamorare. Non si trovano in giro ragazze disposte a tanto per un
uomo!"
Adesso mi hai proprio rotto le
palle!
“Dacci
un taglio, Seii!” sbotto nervoso, le forze
incominciano a cedere sotto il peso dell’incazzatura che sta
crescendo dentro di me.
"Calma
Ozora, non ti scaldare! Devo spiegarmi come si deve, anche
perché non credo che i tuoi amichetti del pallone,
ti abbiano mai raccontato la versione ufficiale dei fatti. Ammettilo,
sono schifosamente parziali!" e ride ancora, beffardo, allargando le
sbraccia e alzando le spalle.
Non sono
mai stato un violento, ma in questo momento vorrei tanto...
Tsubasa non fare stronzate,
calmati!
Pensa a Sanae, pensa a lei...
“L’ho
baciata!”
Un flash
compare nella mia mente.
Il cortile
di casa mia, la rabbia.
L’immaginazione
che crea un’odiosa visione dell’accaduto nella mia
mente.
“Lo
so!” esclamo collerico, bruciando però
così la sua provocazione.
Mi avvicino
a lui, facendo ben attenzione al livello della mia capacità
di controllo e mi fermo solo quando sono a pochi centimetri dalla sua
bella faccia da cazzo.
“E
mi auguro che non ti venga in mente un altro giochetto del genere,
perché non credo riuscirò a compiere una seconda
volta lo stesso miracolo, che adesso mi permette di non metterti le
mani addosso."
Seii rimane
sempre impassibile ma il suo sguardo ora trabocca arroganza da vendere.
"E che
farai mai? Mi mandi un paio di pugni per corrispondenza dal Brasile, eh campione?"
“Non
provocarmi...” sibilo contro il suo volto, sempre vicinissimo
al mio.
"Sono un
signore io, stai tranquillo. La tua ragazza è in buone
mani... "
Non ci vedo
più.
Le mie mani
scattano da sole, andando ad afferrare con forza il colletto della sua
camicia.
Non si deve avvicinare mai
più a lei, non la deve nemmeno sfiorare, non deve
più accadere nulla!
“Che
intenzioni hai?”
Seii
allontana con uno strattone le mie mani dal suo collo, un gesto capace
d’innervosirmi ancora di più.
"Aspetto
che il tempo passi, signor
Capitano e che faccia il suo corso naturale. Quanto pensi
possa resistere ancora quella ragazza? E' solo una questione di tempo,
tempo e pazienza da parte mia. Sei talmente assente dalla sua vita
Ozora, che nemmeno ti renderai conto della fine."
Di nuovo la
rabbia prende possesso delle mie azioni e involontariamente torno a
farmi sotto, con la voglia disumana di mettergli le mani addosso.
Gli chiedo,
la voce alta e forte, cosa cazzo ne sai lui di me, di Sanae e della
nostra vita.
"Hai mai
visto i suoi occhi spenti, persi lontano? Così tristi,
giorno dopo giorno, tanto da sembrare completamente assente? Rispondi campione!"
Il senso di
colpa emerge prepotente dal mio petto, mettendosi a sgomitare con la
rabbia, per avere il primato nelle mie emozioni.
"Credi che
sia tutto bello per me? Che sia tutto facile? IO me ne sono andato, IO
l’ho lasciata sola! Credi davvero che non ci pensi mai? Che
non sappia di essere l’unica causa del suo dolore? Ma
perché diavolo devo giustificarmi con te poi!"
"Se avessi
le palle, la lasceresti libera..." e questa sacrosanta
verità mi colpisce, come uno schiaffo in pieno viso.
Il fatto
che sia uscita dalla bocca di Seii poi, non fa che renderla
più amara, oltre che dolorosa.
Mi volto
dandogli le spalle, immerso per un attimo nei miei pensieri
più intimi, nel mio mondo fatto di complicazioni, amore e
solitudine.
Quel mondo
che mi porto dietro da quattro anni e che mi ricorda in continuo, che
il campione, fuori dal campo, altri non è che un ragazzo
debole, vigliacco e tremendamente egoista.
Che ama
pretendendo troppo e riuscendo a dare in cambio ben poco.
Quello che
a breve se ne andrà di nuovo, lasciando la parte migliore di
sé dietro le sue spalle, ancora una volta.
"Mi sono
chiesto migliaia di volte se senza di me sarebbe stata più
felice... Se fosse uscita con qualcun altro, se si fosse innamorata di
uno come te, avrebbe avuto di certo tutto quello che hanno le altre,
ogni cosa che le ho tolto... Avrebbe pianto di meno, non si sarebbe mai
sentita così sola e sarebbe rimasta la ragazza spensierata
di tanti anni fa. Ma che ne sarebbe stato di me?"
Le parole
mi escono dalla bocca da sole, senza controllo e non
m’interessa minimamente che sia Seii a sentirle.
Ho solo
bisogno di pronunciarle ad alta voce.
Mi volto
verso il mio interlocutore, senza sentire l’esigenza di
nascondere la mia sofferenza.
"Sarei
capace di stare senza di lei? Senza sapere che mi sta pensando, senza
sapere che lei c'è..."
Sorrido
malinconico e la mia situazione mi sembra quasi patetica, oltre che
enormemente triste.
"Probabilmente
hai ragione tu. Non ho il coraggio di stare senza di lei e sono
così egoista da tenerla vicina a me nonostante tutto, ma
tutto questo ha un prezzo, quindi non venirmi a parlare di dolore, come
se io non lo conoscessi..."
"ORA BASTA!"
Mi volto
stupito verso la porta.
Sanae entra
nella piccola stanza come una furia, il volto rigato dalle lacrime.
Lei non doveva essere qui! Non
avrebbe mai dovuto sentire nulla!
Sconvolto,
la osservo urlare contro Seii e intimargli di andarsene.
Osservo la
scena come se non fossi qui, ancora troppo turbato dalla
presenza della mia ragazza, in quest’odiosa situazione.
Seii cerca
di giustificarsi ma all’ennesimo “Vattene!”,
abbassa la testa e sferrando un calcio alla porta, esce finalmente di scena.
Sanae si
volta verso di me, i suoi occhi sono così tristi che mi
sento un vero idiota.
E’ sempre colpa mia
se piange...
Si avvicina
ed io sono ancora così stupito, da non riuscire a
pronunciare una sillaba.
“Vieni
qua...” sussurra piano e con così tanta dolcezza,
che il mio corpo si muove da solo.
Mi ritrovo
in attimo stretto a lei, tenendola per la vita.
Sanae
circonda le mie spalle con le braccia così posso chiaramente
sentire che sta piangendo ancora.
La sua voce
è incrinata dall’emozione, quando mi chiede come
mi sento.
“A
casa...” rispondo spontaneo, nascondendo il viso
nell’incavo della sua spalla.
Perché
è così che lei mi fa sentire.
Lei è casa mia.
E non
voglio più sentirmi debole e smarrito, perché lei
non è con me.
E Sanae non
deve più soffrire perché io non sono con lei.
“Scusa
se non ti ho protetta...” mormoro al suo orecchio.
Lei scuote
la testa, un singhiozzo fa sussultare il suo torace, stretto sempre tra
le mie braccia.
E nella mia
testa prende forma la più importante decisione della mia
vita.
“Farò
in modo che non accada mai più, te lo prometto...”
La storia di Tsubasa sta
giungendo al termine, manca davvero poco.
Non ho molto da dire stavolta,
credo che sia tutto chiaro nel capitolo e sono davvero felice di aver
potuto esplicare meglio il significato di quel “a
casa”, che nel capitolo corrispettivo di Butterfly era
vincolato a quella semplice frase.
Ringrazio sempre di cuore
tutte le persone che continuano a interessarsi alla storia di questo
ragazzo speciale, almeno per me.^^
Alla prossima, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Tutto quel che ho ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 16
Tutto quel che ho
Un mondo di emozioni, richiuso
in pochi centimetri quadrati di velluto blu.
Un oggetto per sempre, come se
fosse così semplice sintetizzare questi anni, in una cosa
così piccola e dentro l’eternità.
Un periodo
più o meno lungo di riflessioni, su cosa fosse giusto o
sbagliato, su cosa ero in grado di chiedere o fare, finisce dentro
quest’involucro, che entra giusto nel palmo della mia mano.
Le scuse sparite nel
nulla e l’età che davvero non conta niente.
A cosa
serve posticipare qualcosa, che può rendermi tremendamente
felice, quando è chiaro, logico, che un giorno
accadrà comunque?
Perché
indugiare nella sofferenza, quando la felicità è
a portata di mano?
Basta solo
un gesto
per afferrarla e dopo non resta che goderne.
E il
coraggio deve essere trovato, anche se è difficile chiedere
così tanto.
Chiederle,
ancora una volta, il suo
mondo, in cambio di tutto quel che ho.
Che non
è allettante come sembra, che non appare, almeno ai miei
occhi, come qualcosa da desiderare e ottenere, sacrificando tutto.
E la paura
prende di nuovo un po’ il sopravvento, non posso evitarlo.
Perché
quello che ho da offrire, da darle, è solo amore.
Amore in
cambio di una moltitudine di addii.
Amore al modico prezzo della
separazione da tutti gli altri affetti, della distanza da casa e del distacco
dal proprio mondo.
E quello
che mi spaventa di più, non è tanto la sua
risposta, il timore di vedere infrante le mie speranze, ma la
capacità che sento di avere per chiederle così
infinitamente tanto.
Ma ormai
non ho più alternative.
Non posso
più vivere nemmeno un giorno senza di lei al mio fianco.
Non posso
più accettare neanche un’ora di solitudine,
né pochi metri di distanza.
Il mio
cervello si rifiuta di pensare, anche solo un istante,
all’idea di tornare come
prima, alla vita grigia di un tempo.
E se lei
vorrà accettarlo, tutto questo mio pretendere, allora io,
giuro, non chiederò più altro.
E
amerò ogni istante della nostra vita insieme, ogni secondo
che mi ricorderà, scaldando il mio cuore, che non ci saranno
mai più addii.
Se
potrò sentire tutto il suo amore costantemente vicino, se
potrò smettere di desiderarlo come un miraggio, mentre
arranco tra le dune, ne sarò grato per sempre.
E’
un sogno così bello da accelerare i miei battiti, solo
ammirandolo da lontano.
Solo
sperando che si possa avverare, che lei possa accettarlo.
Mi sento a
un passo dalla conquista del mondo.
Solo una
sua parola e sarà mio.
Fisso la
scatola di velluto, stretta sempre tra le mie mani e con un sospiro
nervoso, rimugino sul come
donare il suo contenuto, all’unica che abbia mai amato.
La mia attenzione si distoglie solo all’ingresso di Taro nella stanza.
Mi sorride,
il suo sguardo si posa poi sull’oggetto tra le mie dita.
Torna a
guardarmi e le sue labbra si addolciscono in un altro sorriso.
E non
c’è un briciolo d’imbarazzo in me, non
sento di nascondere nulla
dietro la schiena, provo solo questa leggera ansia, che chiude
leggermente il mio stomaco.
“E
così l’hai fatto davvero...”
Annuisco,
memore della nostra conversazione di ieri, dove come un folle, gli
rivelavo il mio desiderio, tutte le motivazioni e la mia decisione
finale.
Quella
importante, che cambia la vita e che può renderla perfetta.
“Quando
glielo darai?” chiede sedendosi accanto a me.
“Una
volta finito il mondiale, quando sarò libero di concentrarmi
solo su questo...”
Taro
annuisce e sorride ancora.
“Ne
sarà così felice...” mormora con
l’aria soddisfatta, pregustando mentalmente la reazione di
Sanae.
Vorrei
poter essere pienamente d’accordo con lui, ma non ho questa
sicurezza.
Sospiro
alzando le spalle, attirando così un’occhiata
curiosa del mio amico, che poggia una mano sulla mia spalla.
“Sarà
felice...” e lo dice con tanto sentimento, che riuscirei a
crederci del tutto anch’io in questo momento, se non fosse
per le mie incertezze.
Perché
so che Sanae mi ama, lo so davvero, ma questo non mi permette di dare
per scontato che quest’amore la spinga ad arrivare a sposarmi.
Non
così velocemente
almeno, così presto e senza
alcun preavviso.
Ma il
desiderio di portarla via con me adesso, ha la stessa
intensità del mio sogno da ragazzino di volare in Brasile.
E ho
imparato, nella mia breve esistenza, che se si crede davvero tanto in
qualcosa, prima o poi, questa si avvera davvero.
E Tsubasa
crede nel suo sogno,
è fuori discussione.
E con tutto
il suo cuore...
Ci crede
perché siamo noi due, Sanae ed io.
Il tiro in
rovesciata è stato il primo insegnamento di Roberto.
Con una
rovesciata ho battuto il mio maestro.
Con quel
tiro che da piccolo avevo provato tanto, andando a sbattere, il
più delle volte, la schiena al suolo e che ora mi regala il
titolo più ambito, la gioia più grande.
Natureza
caduto al mio fianco, la delusione dipinta sul volto mulatto.
Lo stadio
un’esplosione, che mi risucchia dentro il suo trambusto,
fatto del mio nome e di cori esultanti.
Mi unisco
al coro
gridando forte, le ginocchia sull’erba e i pugni alzati al
cielo.
Mi volto a
guardare il mio allenatore di sempre, l’uomo che mi ha
insegnato tutto quello che so su questo sport e che ha dato massimo
rilievo alle mie potenzialità.
Roberto
Hongo.
Il mio
maestro, che ho battuto sì, ma non del tutto.
Perché
lo Tsubasa Ozora che ha appena segnato, è frutto di anni di
fatiche, allenamenti e insegnamenti, che conducono a
quest’uomo.
Il merito
è anche suo, sua quindi una parte di vittoria, gli spetta di
diritto.
E questo
momento è mio, suo ma soprattutto nostro.
Del
Capitano e dei suoi compagni di squadra.
I ragazzi
mi circondano in un abbraccio collettivo e sono avvolto da un groviglio
di mani, braccia, sorrisi e lacrime di commozione.
E non mi
sono mai sentito così fiero di far parte di questo gruppo,
come in questo momento.
Orgoglioso
di essere il Capitano di questa incredibile squadra di talenti.
La mia
euforia si mischia a quella dei ragazzi, diventando un
tutt’uno e mossi da un’unica, comune
volontà, corriamo verso la nostra panchina.
Dopo aver
ringraziato a gran voce il mister Gamo, lo inglobiamo nel nostro
abbraccio e lo lanciamo in aria, non senza qualche
difficoltà.
L’allenatore
tutto d’un pezzo, si commuove fino alle lacrime, strappandoci
sorrisi riconoscenti.
Quando
arriva il momento della premiazione, capisco di non aver ancora provato
nulla in confronto.
Quando le
mie mani alzano in alto la coppa, lo stadio emette un boato, che ha il
potere di farmi sentire invincibile.
Sono il
Padrone del campo verde davanti ai miei occhi.
Ebro di
gioia e carico di autostima.
Orgoglioso
della mia squadra e delle medaglie al loro collo.
Con un
primo imbarazzo, accetto di parlare davanti a tutto lo stadio gremito,
migliaia di occhi puntati su di me.
Man mano
che le parole escono dalla mia bocca, acquisisco sempre più
sicurezza e alla fine riesco a trasmettere agli altri
l’entusiasmo che nutro per questo magnifico sport, che amo
incondizionatamente.
Quando il
mio discorso giunge al termine, lo stadio si unisce in un applauso
collettivo e il cerimoniale si conclude.
Le
autorità escono dal campo, la solennità del
momento finisce ma non i nostri festeggiamenti.
Da piccolo
ho sempre sognato di vincere il campionato mondiale.
Con la
coppa in mano avrei corso, con i miei compagni, sotto le tribune e la
curva, portando in trionfo il trofeo appena conquistato.
Immaginavo
che sarei stato felice in un momento simile, ma non potevo prevedere
quanta gioia mi avrebbe invaso.
E’
un momento incredibile, unico e irripetibile.
Non ci sono
parole per descriverlo.
E’
semplicemente un meraviglioso momento di gloria.
Ora che il
campionato è finito.
Ora che mi
rimane poco tempo.
Ora, che non
ne posso più di vivere con il dubbio atroce di non
rivederla.
E’
giunto il momento.
Quello che
mi divide in due.
Quello che
bramo ma che, allo stesso tempo, temo.
In questi
giorni dopo la finale ho avuto molte cose da sbrigare, come capitano
della nazionale.
Interviste,
incontri con le varie autorità e passaggi televisivi.
Come
vincitore del mondiale anche la mia carriera ha preso una nuova piega,
perché i miei risultati personali, non sembrano essere
passati inosservati agli addetti del settore.
Roberto
parla di contratti nuovi, dell’eventualità di
cambiare squadra, addirittura continente.
L’idea
mi elettrizza, devo ammetterlo, ma non posso pensarci adesso.
Non ho la testa per farlo.
Perché
ora è il momento di dichiararsi, ancora una volta e in un
incredibile parallelismo, che mi riporta indietro nel tempo, al periodo
successivo alla vittoria del torneo di Parigi.
Lo Tsubasa
di allora doveva confessare i propri sentimenti alla ragazza del suo
cuore.
Quello nel
presente, si appresta a chiederle di diventare sua moglie.
E sono
passati solo poco più di quattro anni...
E con
questa idea in testa ho scelto sempre lo stesso posto.
L’unico
possibile dove porle la fatidica domanda.
Sotto
quest’albero, che è stato testimone del nostro
primo bacio.
Qui
è ufficialmente iniziata la mia storia con Sanae e se la mia
nuova vita con lei deve vedere la luce, non c’è
altro luogo al mondo, dove farla nascere.
E’
partito tutto da qui e il cerchio
qui si deve chiudere.
Ho lasciato
Sanae ad aspettarmi, davanti al magnifico panorama della sua città natale.
Ho sorriso,
leggendo la perplessità della sua espressione quando mi sono
allontanato.
Solo,
davanti all’interruttore delle luci, che il tecnico mi ha
mostrato qualche ora fa, desisto un attimo dal premerlo.
Un attimo
d’esitazione, perché so che poi non
potrò più tornare indietro.
Perché
quando le fronde dell’albero s’illumineranno, come
in un sogno, come se fosse magico,
nulla sarà più come prima.
Deglutisco
nervoso e raccogliendo le forze, sposto la leva
dell’interruttore.
Le mille
luci bianche, che ciondolano dai rami, abbagliano per un secondo la mia
vista.
Quando i
miei occhi si abituano, mi ritrovo immerso in un luogo irrealmente
bello.
Emozionato,
m’intrufolo tra le luci e raggiunto il tronco, mi appoggio
alla corteccia, aspettando che la mia farfalla arrivi, attratta dalla
luce.
La mia
attesa dura poco.
Una mano
emerge facendosi spazio tra i fili luminosi, un passo e Sanae
è dentro il mondo fantastico, che ho creato per lei.
Si guarda
intorno meravigliata, girando su se stessa.
Sorrido
vedendo la sua reazione, compiaciuto che sia esattamente quella che
cercavo.
Mi guarda
ora e il mio stomaco si contorce piacevolmente per l’ansia.
“Come
diavolo hai fatto?”
Rimango in
silenzio, perché non ho intenzione di banalizzare il tutto,
raccontandole della mia visita al sindaco e della mia richiesta per un
favore strettamente
personale.
Portando un
dito alle labbra, le rispondo che si tratta semplicemente di magia.
Sanae
abbozza un sorriso e imbarazzata, torna ad accarezzare le piccole luci
che la circondano.
“A
cosa devo tutto questo? Perché se l’intento era
essere romantico, allora ci sei proprio riuscito!”
Questa
volta non rispondo, ma perché sono sopraffatto dalle
emozioni ora.
Il respiro
nel mio petto prende a essere un po’ irregolare e
l’ansia continua a martoriarmi lo stomaco.
“Se
lo sapesse Ishizaki, poi! Oh saresti sistemato a vita!”
esclama ridendo, un briciolo di nervosismo trapela comunque nella sua
voce.
Ho la gola
secca, le mani sudate.
Mentalmente
mi preparo a intraprendere l’impresa più
importante della mia esistenza.
La osservo
mentre si avvicina e in silenzio, si appoggia all’albero,
proprio accanto a me.
E ora tutto
il bel discorso che mi ero preparato, tutte le frasi ripetute dentro la
mia testa, come una filastrocca da imparare a memoria, svaniscono,
dissolvendosi in un baleno.
L’emozione
annulla la razionalità.
Cancella
ogni parola preparata.
Ma non mi
preoccupo e prendo la decisione più saggia, o semplicemente
quella più giusta.
Parlare a
Sanae seguendo la scia delle mie emozioni.
Farlo
subito, ora.
Adesso.
In un gesto
un po’ insicuro mi sposto, andando a nascondermi dietro al
tronco.
Lei fa per
seguirmi, la blocco stendendo un braccio.
Non ce la
posso fare guardandola subito negli occhi, sono troppo nervoso.
Troppo
agitato.
Sospiro per
buttar fuori l’ultima incertezza e cercando nei ricordi,
inizio la mia nuova
dichiarazione d’amore.
“Sono
passati più di quattro anni dall’ultima volta che
siamo stati qui insieme...”
Parto
dall’inizio e quando li nomino questi anni, mi scorrono
davanti agli occhi in una serie interminabile di eventi, emotivamente
forti.
La
sofferenza provata spicca tra tutte le altre emozioni, facendo da filo
conduttore, purtroppo, tra i mesi trascorsi lontani l’uno
dall’altra.
“Siamo
stati pochissimo insieme in questo periodo, troppo poco. E non
è stato facile. No. Per niente.”
L’oceano,
il Brasile e il suo compleanno.
L’amore in quel
giorno di pioggia, nel mio letto a Sao Paulo e la notte dopo
la festa di benvenuto.
Il mio
dolore solo in quella stanza d’albergo a Tokyo, la rabbia per
quel bacio rubato
e le lacrime di Sanae.
Gli aerei,
gli stadi senza di lei e la casa vuota.
Sono tutte
immagini marchiate a fuoco nella mia mente.
“Fa
male stare così. Davvero male...”
Il cuore mi
batte forte contro il petto e credo che morirò a breve,
perché non è umanamente possibile sopportare tanto bussare.
“Ma
c’è una soluzione. Ci ho pensato
tanto...” mi bagno le labbra con la punta della lingua e alzo
lo sguardo alle fronde illuminate di luce bianca.
“E’
la soluzione ideale per me...” faccio una pausa e traggo un
respiro silenzioso, con la coda dell’occhio osservo il
tronco, che mi divide da Sanae.
“E
spero... che lo sia anche per te...”
Un sorriso
carico di speranza distende le mie labbra.
Ora forse
dovrei guardarla negli occhi.
Dovrei
chiederglielo con fare sicuro, senza distogliere lo sguardo.
Ma ho
paura...
Così
tanta che quasi tremo...
Appoggio la
nuca contro la corteccia ruvida, il cuore impazzito e chiudo gli occhi.
“Sposiamoci!”
Lo dico
senza esitazione nella voce.
L’unica
cosa che voglio ora è dividere la mia vita con lei.
Senza
dovermene separare mai più.
Arrossisco
violentemente quando, all’improvviso, Sanae si materializza
davanti a me.
Entro
leggermente nel panico vedendo la sua espressione incredula.
“Così
non saremo più lontani!” aggiungo per rafforzare
la mia posizione e questa volta la fisso, senza distogliere lo sguardo.
“E’
una proposta Tsubasa? Adesso... Questa... E’ una
proposta?” la sua voce trema per l’emozione.
Mi guarda,
come se da me dipendesse tutto il suo mondo.
Come se
dalle mie labbra potesse uscire la sua salvezza o la condanna.
Posso
vederlo chiaramente.
E ora so
che anche lei lo vuole...
Che mi ama
tanto, da essere talmente pazza da mollare tutto per me...
E’
chiaro che entrambi non desideriamo altro che commettere quella che
molti definirebbero follia, soprattutto a causa della nostra
età.
E le paure
non esistono più.
Esiste solo
un mondo fatto di certezze.
Le sorrido
dolcemente.
“Sì...”
I suoi
occhi tornano a illuminarsi di emozione, mente le sue mani corrono a
coprire la sua bocca, aperta in un moto di sorpresa.
Rimane
immobile a fissarmi, mi avvicino, poggiando le mie mani alla base della
sua schiena, le braccia intorno alla vita e il mio viso vicinissimo al
suo.
“Se
tu mi vuoi...” sussurro e ora anche la mia voce è
incrinata dall’emozione.
Dimmi di sì...
Voglio sentirlo...
Gli occhi
di Sanae si colmano di lacrime.
Scoppia in
un pianto a dirotto, che ha tanto il senso della liberazione.
Piange come
se tutto il male che ha provato, all’improvviso, decidesse di
abbandonarla e corresse lontano da lei, via da lei.
I suoi
singhiozzi, che non hanno nulla di disperato, mi commuovono.
“Dammi
la mano...” e la prendo tra le mie, mentre le sue piccole
dita tremano per l’emozione.
Faccio
scorrere l’anello lungo il suo anulare.
Sanae fissa
la sua mano, alzandola davanti agli occhi e le sue lacrime sembrano,
per un attimo, aver smesso di cadere sulle guance arrossate.
Ancora
quell’espressione dolcemente sorpresa sul suo volto, poi
ricomincia il pianto.
Prendo la
sua mano tra le mie, guardandola negli occhi.
“Questo
è un sì, Sanae?”
Un attimo
mi separa dal paradiso.
Annuisce.
E mi sento libero...
Annuisce
ancora, guardandomi negli occhi e c’è tanto amore
in quello sguardo, che mi sento un po’ sciocco per aver
preteso una risposta dalle sue labbra.
E come se
il peso del mondo si fosse sollevato dal mio petto, sorrido.
Quando
Sanae mi bacia, circondando di slancio il mio collo con le braccia,
sento il sapore salato delle sue lacrime.
E non provo
più dolore, né sofferenza.
Non mi
spaventa più nulla.
Perché
il mio mondo è racchiuso in questo piccolo corpo di ragazza.
Lo tengo
stretto a me, con l’incredibile, meravigliosa consapevolezza
che, d’ora in poi, non mi sfuggirà mai
più.
Sorrido di
nuovo quando i nostri sguardi s’incrociano ancora.
“Quindi
ora siamo fidanzati!” esclamo tirando gli angoli delle labbra.
Ora che la
tensione è svanita, sento montare dentro di me
un’euforia tale da farmi sentire al settimo cielo.
Sanae
annuisce, mentre tira su col naso e sorride divertita.
“Pensa
quando lo saprà Ryo!” e alzo gli occhi al cielo.
Per la
prima volta sento finalmente la sua risata, alla quale si unisce presto
la mia.
Sono così felice!
E il suo
sorriso è così bello...
Lo
vedrò ogni giorno d’ora in poi...
E
sarà stupendo...
Proprio
come lei...
Un’esigenza
incontrollabile prende all’improvviso possesso di me.
“Sanae...”
la chiamo, tornando serio.
Lei mi
guarda dolcemente, un sorriso incoraggiante distende le sue labbra.
Mi avvicino
e le sfioro con le mie, socchiudendo appena le palpebre.
Senza
distogliere lo sguardo dai suoi occhi, che lasciano trasparire le sue
emozioni.
Mi sento
perso in lei.
E anche se
non c’è bisogno di dirglielo, lo faccio lo stesso.
Perché
devo farlo, voglio farlo.
Deglutisco
prima di parlare, mentre sento nei miei occhi, qualcosa che assomiglia
tanto alle lacrime.
Sanae... ascoltami...
“Ti
amo...”
Ringrazio tutte le persone che
hanno letto lo scorso capitolo e in particolare chi ha lasciato un
commento.
Mi scuso per non aver risposto
alle recensioni con il nuovo form ma non ho molto tempo e quello che
riesco ad avere, lo investo nella scrittura.
Vi sono comunque, come sempre,
molto grata... grazie di cuore!
Un abbraccio, a presto
OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** L'aurora ***
FLY AWAY
(Butterfly reprise)
Capitolo
17
L’aurora
Non che non
me lo aspettassi, insomma conosco i miei amici come le mie tasche, ma
vedere Ryo Ishizaki che balla con i ventagli in mano, agitando il
bacino in piedi sul tavolo, è uno spettacolo che ha
dell’incredibile!
Rido, non posso
proprio evitarlo.
La scena è
troppo bella e la serata è carica di
quell’atmosfera, un po’ fuori di testa, che solo
con gli amici più stretti si riesce a sentire.
Rido,
perché sono semplicemente eccitato all’idea di
quello che sta per succedere, al cambiamento che sta per stravolgere,
in meglio, la mia vita e perché, sì lo ammetto,
l’alcool amplifica, dilatandola, l’euforia di cui
mi sento colmo.
Mi guardo intorno,
osservo i visi allegri che compongono la tavolata.
I ragazzi della
squadra, Sanae e Yukari, che messe in posa davanti al cellulare,
scattano foto ridendo divertite, sullo sfondo lo spettacolo demenziale
di Ryo, che balla e canta una vecchia canzone giapponese, con voce in
falsetto, leggermente impastata.
Certo confesso che
oggi pomeriggio, quando ho sganciato la bomba del matrimonio, ho
faticato poi sette camicie per riportare all’ordine i miei
amici, per non parlare del fatto che credo di aver subito il peggio, ovvero meglio,
dipende dai punti di vista, del già vastissimo e collaudato
repertorio delle loro prese per i fondelli.
La punta massima di
questo bonario accanimento nei miei confronti, si è
raggiunta però solo di sera, nel momento esatto in cui ho
messo piede in questo locale con Sanae.
I nostri carissimi
amici, infatti, hanno avuto l’esaltante idea
d’incontrarsi poco prima dell’appuntamento
prefissato e di mettersi comodi in sala ad aspettarci.
Così
abbiamo avuto il nostro ingresso in solitaria e loro hanno potuto
godere dello spettacolo dei nostri volti color porpora, una volta che
siamo stati accolti dalle loro urla festanti.
Con gli occhi di tutto
il locale addosso, sarei voluto sprofondare.
Sanae si è
girata verso di me con un “Ok... io me ne vado, buona
fortuna!” facendo qualche passo indietro,
proprio come se volesse davvero filarsela, poi però, quando
si è girata di nuovo, ho visto nei suoi occhi quanto anche tutto questo
la rendesse felice e allora, da quell’istante, non me
n’è importato più nulla delle prese in
giro.
Il rumore di vetro che
tintinna contro il mio bicchiere mi scuote, distraendomi dai miei
pensieri e il volto sorridente di Taro campeggia, impadronendosi di
tutta la mia visuale.
Sorrido al mio
migliore amico.
“Se penso
che solo
cinque anni fa ero in Francia a leggermi le tue lettere dal
Giappone...”
Ridacchio divertito al
ricordo di quando mi mettevo seduto alla mia scrivania, a scrivere
chilometri di parole sul calcio, a quell’amico che se
n’era andato tanto lontano e dopo troppo poco tempo che lo
conoscevo.
Taro mi mancava
davvero molto in campo.
“Ti ricordi
di quando ti ho scritto dalla Germania? Dopo aver incontrato
Wakabayashi?”
Annuisco e ritorno per
un attimo a sentire l’emozioni di quel ragazzino, che forse
aveva, nell’intimo, invidiato tanto i due amici, che si erano
potuti riabbracciare in Europa.
Quel ragazzino che
sentiva il Giappone così stretto e ammirava tanto
l’amico portiere, per essere stato capace, così
presto, di lasciarselo alle spalle, per andare dove il calcio conta
davvero e scalare la vetta del professionismo, fin da giovanissimo.
“Sai che ho
ancora tutte le tue lettere conservate?” mi chiede ancora,
sorridendo.
“Anch’io!”
“Oggi le ho
rilette, per curiosità, per vedere cosa era cambiato in
questi anni...”
Fisso Taro stupito e
d’improvviso mi rendo conto che c’è un
abisso tra questa realtà e quella che vivevamo, solo qualche
anno fa.
“Quando ho
cominciato a incontrare qua e là il nome di Sanae, mi sono
ricordato di quanto fossi imbranato, sai!”
E già,
perché Taro mi mancava tanto, anche fuori dal campo,
decisamente.
Sorrido, abbassando lo
sguardo e sentendo un po’ di caldo salire a imporporarmi le
gote.
“Non sapevo
come intavolare il discorso su di lei, facevo dei
tentativi...” mormoro al ricordo di me, penna in mano, che
tentenno imbarazzato davanti al foglio.
Guardo negli occhi del
mio amico di nuovo, sorridendo ancora.
“Oh non me
ne ero mai accorto, sai!” esclama ironico “Alla
quinta lettera con il suo nome e nulla di rilevante accanto, a parte la
sua presenza costante ai tuoi allenamenti, ho deciso di spronarti un
po’...”
“Già...
all’improvviso nelle tue risposte compariva sempre quella
domandina!”
“Come sta Sanae?”
Annuisco e scoppiamo a
ridere, divertiti dei noi stessi di qualche anno fa, come se fossimo
davvero diventati tutt’altro.
“Ci sono
riuscito però, alla fine hai vuotato il sacco!”
“Svuotato,
capovolto e scosso ben bene!”
“E ti sei
dichiarato a lei...”
“Così
sembra...”
Taro osserva per
qualche secondo il bicchiere semivuoto tra le sue mani e diventa serio.
All’improvviso
si volta a guardarmi, corrucciando le sopracciglia scure.
“Quindi...
quello che ti sta per accadere è in parte anche colpa
mia?” mi chiede serio, allungando il collo verso di me.
“Bèh
le tue spintarelle sono servite al primissimo passo. Se mi sposo
è perché sono partito da lì,
dall’inizio, dalla dichiarazione... o no?”
Taro sembra
rifletterci su, poi annuisce.
“Ha del
senso, sì...”
Lo fisso per un
attimo, prima di cogliere al volo l’occasione per
comunicargli la notizia del matrimonio, ma quella che riguarda
strettamente lui.
“E dopo che
avrai firmato i documenti, la tua colpa
sarà ufficializzata, messa nero su bianco...”
e sorrido, guardandolo di sottecchi, aspettando la sua reazione.
Si volta di scatto di
nuovo, lo sguardo carico di stupore.
“Come?”
chiede incredulo.
“Taro
Misaki, ti sto chiedendo... vuoi essere il mio testimone di
nozze?”
Ancora un attimo di
esitazione, poi il suo sorriso si distende felice.
“Certo
Tsubasa! Ovvio!” lo dice di getto, visibilmente euforico.
“Grazie per
aver pensato a me!” aggiunge e mi sembra commosso in questo
momento.
Poggio una mano sulla
sua spalla e lo guardo dritto negli occhi, serio ora.
“Grazie a
te, per essere mio amico...”
Taro mi fissa, poi
alza il bicchiere nella mia direzione.
“Al mio
migliore amico!” brinda sorridendo.
“Al mio
testimone!” rispondo sicuro, ricambiando il sorriso, prima
che mille bollicine dorate scendano a solleticarmi la gola, ancora una
volta.
“Prego...”
“Ah
grazie...”
M’infilo la
giacca dell’abito, lasciando che il sarto mi aiuti a
indossarla.
L’osservo
nel riflesso dello specchio mentre, con gesti sicuri, la sistema sulle
spalle.
Centimetro in mano,
misura la distanza tra collo e manica, poi prende un po’ di
stoffa tra le dita e l’appunta con uno spillo dalla capocchia
gialla.
“Mmm...”
sento mormorare alle mie spalle, inclino leggermente la testa per
scorgere lo sguardo corrucciato di Mendo, che ispeziona il lavoro del
sarto.
“Non potremo
modificare in questo punto?”chiede secco avvicinandosi e
indicando con l’indice la mia schiena.
Mi chiedo ancora, per
l’ennesima volta, come ho fatto a farmi convincere da Sanae a
portarmelo dietro, visto che sarà già la decima
volta, in poco più di due ore, che gli sento pronunciare
questa richiesta.
“Sì,
si potrebbe fare...” sento rispondere e vorrei proprio
chiedere in ginocchio al sarto, di non assecondare più Mendo.
“A me sembra
che vada bene così...” azzardo, con un filo di
voce, stufo di tutte queste prove, che mi bloccano i muscoli delle
gambe... sento quasi i crampi!
“Non credo
proprio!” è la risposta secca
dell’assistente della mia ragazza, che continua a ispezionare
la giacca, senza rivolgermi nemmeno uno sguardo.
“Ma sono
proprio necessarie tutte queste modifiche impercettibili?”
chiedo ora, guardandomi allo specchio e non vedendo proprio nulla che
non vada, nel mio vestito da cerimonia nuovo di zecca.
Non ricevo nessuna
risposta, eccetto il percettibile alzarsi al cielo degli occhi di Mendo.
Questa volta sbuffo,
stanco di starmene qui impalato, immobile per ore, quando si sa che
l’inattività non è proprio il mio forte.
Ho comprato
quest’abito a Tokyo la settimana scorsa, in noto negozio del
centro, di uno stranoto stilista italiano e mi ci sono voluti solo
dieci minuti per sceglierlo, misurarlo e strisciare la carta di credito.
Che
bisogno c’è ora di fare tutti questi ritocchi, per
un centimetro di stoffa qua e là?
“E solo un
vestito!” esclamo ad alta voce, dando fiato ai miei pensieri,
pentendomi immediatamente di averlo fatto, quando lo sguardo truce e
scandalizzato di Mendo, mi trapassa da parte a parte nel riflesso dello
specchio.
Deglutisco intimorito
mentre continua a fissarmi.
“Sei
stressato e farnetichi, giovane promesso sposo. Ma ti voglio ricordare
che questo non è un
abito ma l’abito
più importante della tua vita!”
Sto per ribattere che
la divisa da calcio è il mio vestito per eccellenza ma mi
mordo le labbra, perché questa specie di fanatico della
moda, sembra saper leggere nel pensiero e m’interrompe ancora
prima di prendere fiato.
“Ti prego,
evita di martoriare le mie povere orecchie con infelici accostamenti
tra il Glamour
e... tute da...” non finisce la frase, semplicemente lo vedo
inorridire, contraendo i muscoli del viso e del collo, solo al pensiero
di aver associato un Armani a una divisa della Reebok, sporca
d’erba e terra.
Ok,
ci rinuncio...
Ammutolisco del tutto
e riprendo a osservarli di nuovo, Mendo e il sarto, mestamente, mentre
confabulano intorno a me, o meglio al mio abito, perché
credo di aver capito ormai, che il vero protagonista della faccenda,
sia proprio lui.
Il suono del mio
cellulare però mi ridesta, creando un’inaspettata
pausa a questo calvario cui sono sottoposto dalle tre di questo
pomeriggio.
“Scusate!”
esclamo felice, scendendo dallo scalino che mi ha fatto da piedistallo
per due ore, ignorando Mendo e le sue mani che si sono andate a parare
sui fianchi.
E’
Wakabayashi! Giuro che appena lo vedo gli offro da bere!
“Genzo!”
lo saluto allegro, appena aperta la comunicazione.
“Tsubasa,
ehi! Disturbo?”
Guardo alle mie spalle
il sarto e Mendo, che discutono appoggiati a un tavolo da lavoro, sopra
a dei quadrati di carta velina, che ho scoperto solo di recente
chiamarsi cartamodelli.
“No, no!
Anzi!” ridacchio sollevato, aprendo un bottone della camicia
per liberare un po’ il collo.
“Ho appena
visionato la mia posta... quella tradizionale
intendo...”
“Ah
ah...” sorrido all’idea che abbia letto
l’invito al matrimonio, che dovrebbe essergli arrivato in
questi giorni appunto, pronto a ricevere qualche sfottò ma
anche le congratulazioni del mio amico e soprattutto, la conferma che
lui ci sarà quel giorno.
“Stavolta
Ishizaki l’ha fatta grossa, non ci giro intorno,
amico!”
“Eh?”
borbotto sorpreso, spiazzato dalla sua frase senza senso.
“E’
fuori di testa, quel soggetto! Anche se, devo ammetterlo, ha superato
se stesso sta volta! Mai vista una presa per il culo così
ben fatta!” e ride divertito.
“Ma di che
parli?” chiedo sempre più perplesso.
“Tsubasa,
non t’incazzare... ma io ho davanti agli occhi
l’invito per il tuo matrimonio e ti giuro che è
fatto talmente bene, da sembrare quasi autentico! Quello scemo ha anche
investito soldi in tipografia, malato di mente!” e un'altra
risata divertita riempie l’apparecchio al mio orecchio.
Stavolta sorrido e
quasi lascio un respiro di sollievo, divertito all’idea che
Wakabayashi sia completamente fuori strada.
Credo che sia il caso
di schiarirgli le idee e mi appresto a godermi il momento, con un
sorriso sornione.
“Genzo...”
“Tsubasa non
prendertela, è un genio del crimine Ryo!”
“Genzo...
ehm... sei seduto?”
“Spaparanzato
sul divano per la precisione!”
“Mi sposo
davvero, non è uno scherzo di Ishizaki.”
Ok sganciata, vediamo
come la prende.
“...”
“Te
l’ho mandato io l’invito, o meglio, Sanae ed io ti
vogliamo al nostro matrimonio...”
“...”
“Genzo sei
morto?” rido, divertito dal suo mutismo.
“Frena! Ok.
Da capo. Ripeti.”
Ora sono io a
scoppiare a ridere.
“Mi sposo,
sì. Data, ora e luogo li trovi in quel fantomatico biglietto
e spero davvero che tu ci sia!”
“Non
è uno scherzo?” chiede ancora, forse un
po’ scioccato.
“Eh
no...”
“TI sposi
davvero?”
“Eh
sì...” non posso non ridere di nuovo.
“Te lo
ricordi vero, che hai appena compiuto diciannove anni?”
“Vagamente...
mi sembra che mia madre mi abbia fatto anche una torta, il ventotto di
luglio...” alzo gli occhi al cielo ora, non so quante volte
ho sentito ripetere la storia dei miei scarsi vent’anni, in
queste poche settimane.
Wakabayashi rimane in
silenzio per qualche istante ancora, poi lo sento ridere allegro nel
cellulare.
“Tsubasa, tu
sei il più fuori di testa in assoluto!” rimango
sbigottito ad ascoltarlo “E sai che ti dico?”
aggiunge retoricamente “Che sei fottutamente nel giusto,
amico!”
“Detta
così sembra una cosa per cui ci vuole o un gran fegato o una
malattia mentale!” rispondo ridendo imbarazzato, grattandomi
la nuca ripetutamente.
“Sei un
matto, Tsubasa! L’ho sempre pensato, ho sempre creduto che
fossi il più pazzo tra tutti noi, anche più di
Ryo!”
“Fa piacere
sentirti dire quanto mi stimi!” rispondo, corrugando la
fronte e lasciando che una smorfia deformi il mio sorriso.
“Ed io amo
le pazzie e visto che sono matto quasi quanto te, vado subito a
prenotare il volo per venire a vederti folleggiare e ubriacarmi alla
tua salute! Tua e di Anego!”
Sorrido compiaciuto,
felice all’idea che anche Genzo sarà con me quel giorno.
“Grazie
amico...”
“Grazie a
te...” risponde e sento nel tono della sua voce qualcosa di
caldo e solenne.
“Grazie
anche per avermi rallegrato la mattinata! Ad Amburgo
c’è un tempo da schifo, da ficcarsi a letto tutto
il giorno, depressi!” conclude, tornando a scherzare ancora.
Una mano picchietta
sulla mia spalla, mi volto e Mendo batte l’indice sul polso,
ricordandomi con il labiale, che tra un po’ deve correre dal
vestito di Sanae.
“Amico ti
lascio, ci vediamo presto allora!” esclamo per salutare Genzo.
“Contaci!”
è la sua risposta secca, prima di chiudere la comunicazione.
Ripongo il cellulare
nella tasca e a piccoli passi m’isso di nuovo sul piedistallo
davanti allo specchio.
La pausa è
finita e ricomincia il tormento, ma almeno ora so che anche Wakabayashi
tornerà in Giappone per il matrimonio.
Mendo si sfrega le
mani con fare sinistro, mentre il sarto riprende lesto ad armeggiare
con la mia giacca, le asole e tutto il resto.
Mi guardo allo
specchio, alzando un sopracciglio.
Ha
ragione Genzo... devo essere proprio un pazzo per lasciare che mi
facciano tutto questo!
Poi il sorriso di
Sanae mi torna in mente e la pazzia mi sembra una cosa così
giusta.
E sono fiero di essere
il Cappellaio Matto
in visita al mondo monotono dei sani di mente!
I miei passi di corsa
rimbombano decisi nel silenzio della notte calda che mi avvolge.
Non so se quello che
sto facendo sia lecito, se vada contro qualche improbabile
superstizione, che francamente ignoro e se me ne dovrei stare buono a
casa, aspettando domani, che sorga il sole.
Se
c’è una cosa che ho imparto in questa estate, su
di me, su i miei sentimenti, è che una volta sdoganati i
miei desideri, non c’è verso che riesca a tornare
indietro, che voglia arginarli.
Da quando mi sono
liberato della mia vecchia vita, da quando ho deciso che no, non
l’avrei più vissuta per niente al mondo, ho
lasciato andare ogni freno e tutto quello che mi passa per la testa,
sento ed esigo, che vada soddisfatto.
Così
stanotte morivo dalla voglia di vederla di nuovo, un’ultima
volta, prima che il capitolo della separazione si chiudesse e una
pagina bianca, invitante, ne occupasse il posto, pronta per essere
riempita di cose bellissime.
E non ci ho pensato
troppo, mi sono infilato le scarpe, sono uscito e ho preso a correre.
Ma senza fretta, un
moto leggero e ritmico, come il riscaldamento prima
dell’allenamento vero e proprio, come una corsa serena in
riva al mare.
Non mi sono nemmeno
chiesto se starà dormendo e cosa fare, una volta giunto
sotto casa sua.
Mi sono solo messo in
movimento verso di lei.
Corro mentre
l’aria leggermente rinfrescata dalla notte,
m’invade i polmoni.
Il vento calmo soffia
nelle mie orecchie, come se mi sussurrasse che d’ora in poi
sarò felice, sempre.
Mi bisbiglia di non
temere più nulla ed io sorrido, beandomi di questa
consapevolezza.
Arrivo sotto casa sua,
alzo gli occhi verso la sua finestra dalle luci spente, proprio come
tutte le altre dell’abitazione.
Non mi scoraggio,
forse perché mi basta sapere di essere a un passo da lei e
che domani, quel passo, non esisterà più.
Mi concedo un
tentativo e le invio un sms.
Poi aspetto.
Se
sarà sveglia, se mi risponderà, se la
vedrò.
Abbasso gli occhi e
pugni in tasca, prendo a piccoli calci un sassolino
sull’asfalto.
Senza particolari
pensieri nella testa, sono solo in attesa.
Alzo di nuovo lo
sguardo, attratto da un rumore sopra la mia testa.
La vedo sporgersi
dalla finestra, ora spalancata e la saluto felice, sventolando un
braccio verso di lei mentre i miei occhi seguono il movimento dei suoi
capelli, mossi dalla brezza che le solletica il viso.
Le sorrido mentre un
leggero imbarazzo mi coglie e la mia mano prende, come al solito, a
torturare la mia nuca.
Quando le sue dita si
muovo armoniosamente per rispondere al mio saluto, mi concentro di
nuovo sulle sue labbra, piegate in un sorriso.
Nel silenzio continuo
il nostro muto dialogo e con un cenno la invito a raggiungermi.
Sanae annuisce,
ridendo divertita e scompare nel buio della sua camera.
Smanioso, mi dirigo
veloce al cancelletto d'ingresso al cortile.
Quando la serratura
scatta, afferro un pezzo d’inferriata, avvertendo il freddo
del ferro tra le dita, nonostante la temperatura estiva.
I miei occhi fissano
il portone che poco dopo si apre.
Sanae esce sul
pianerottolo ed io apro il cancello, muovendomi di nuovo verso di lei.
E quando la guardo,
ancora prima di parlarle, ricordo che per me domani sarà un
giorno completamente nuovo.
Il primo di una vita
che d’ora in poi vivrò davvero a pieno.
Un giorno che
cambierà tutto... in meglio...
E davanti ai miei
occhi...
C’è
l’aurora
che lo precede.
Mi
scuso per averci messo tanto, ma è sempre così
che va, quando penso di poter rispettare un programma, fanficsticamente
parlando xD, questo inevitabilmente salta e si procrastina a data da
destinarsi.^^’
Ringrazio
di cuore chi segue le mie FF e chi ha la costanza, perseveranza quasi
diabolica direi xD, di continuare a seguirmi, nonostante il mio va e
vieni continuo.
Il
prossimo capitolo è l’ultimo e non dico nulla, per
scaramanzia, su quanto ci metterò a scriverlo,
perché nella mia testa ho in mente una cosa, ma se la dico,
temo la sopraggiunta di contrattempi...^^’
Ovviamente
il resto dell’incontro tra Tsubasa e Sanae potete leggerlo in
Butterfly, capitolo 33 – Fujisawa, ho preferito non
riprenderlo anche qui, diceva già tutto a suo tempo e
sarebbe stato uno sterile copia e incolla.^^
Grazie
ancora per l’attenzione, OnlyHope^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 100 per cento ***
FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 18
100 per cento
Mi guardo intorno per
l’ennesima volta, in attesa, com’è
giusto che sia e come vuole la tradizione.
La chiesa è
semideserta, sono quasi tutti all’esterno, in attesa di lei mentre io sono
confinato all’interno, come mi ha ordinato mia madre, per
evitare che il caldo mi faccia sudare e rovini il mio aspetto.
Eccola di nuovo, si
affretta a raggiungermi per l’ennesima volta.
Sistema la cravatta al
mio collo, aggiusta il colletto della camicia, poi si allontana di
nuovo, sorridendomi dolcemente e dandomi un buffetto delicato sul petto.
Grazie,
mamma...
Finito di occuparsi,
per il momento, del figlio maggiore, si dedica al più
piccolo, che adrenalinico, non ne vuole sapere di stare fermo.
Sorrido divertito,
godendomi la scena di mia madre che cerca di raggiungere Daichi, che
sfugge dalle sue mani, come un gattino dispettoso.
Papà
interviene, finalmente e lo acciuffa per il colletto della camicia,
proprio come se fosse la sua collottola.
Daichi non protesta ma
ride divertito, tra le braccia di papà, mentre la mamma si
pone l’indice alle labbra, per intimargli il silenzio.
Mio fratello imita il
suo gesto con il piccolo indice paffuto, ridacchiando e incassando il
collo nelle spalle, fasciate nella giacchetta blu elegante.
Distolgo lo sguardo
dalla mia famiglia e torno a guardare i banchi occupati da qualche
anziana parente, i girasoli che illuminano la navata e il viavai di
persone, che mi salutano con gesti d’incoraggiamento.
Al mio fianco Taro,
vestito di tutto punto, da perfetto testimone, m’incoraggia
con un sorriso disteso, anche se lo vedo benissimo che è
agitato, e una stretta vigorosa all’altezza della spalla.
Rispondo sorridendo e
liberando un leggero sbuffo, carico di attesa e agitazione.
Colmo di
quell’incredibile emozione, che a stento riesco a contenere.
D’improvviso
però noto un trambusto proprio in direzione
dell’ingresso.
La morsa che
attanaglia il mio stomaco, si stringe un po’ di
più, tanto per gradire.
Mi volto a guardare il
mio migliore amico, che con occhi stupiti, fissa in direzione della
confusione, sistemandosi involontariamente la giacca, i polsini e il
minuscolo fiore all’occhiello, identico al mio.
Quando si volta, mi
sorride di nuovo.
Abbozzo una smorfia,
mentre le mie mani sono diventate gelide e respiro un po’ a
fatica.
“Ci
siamo!” bisbiglia allontanandosi di qualche passo,
lasciandomi così solo davanti all’altare.
Sto entrando nel
panico ora, lo ammetto.
Tutti gli invitati si
sistemano veloci nelle panche di legno scuro ed io vorrei che
rallentassero questa loro corsa, ma non per posticipare
l’evento, semplicemente perché mi agitano da
morire, tutti questi gesti frettolosi.
Ciliegina sulla torta,
in lontananza scorgo una figura familiare precipitarsi in chiesa, con
aria circospetta.
Auricolare
all’orecchio, vestito impeccabile e maniacale ossessione per
il particolare, fosse anche una foglia leggermente sproporzionata in
una decorazione, che nessuno mai noterà.
Mendo si aggira con
fare deciso per la navata centrale, osservando, anche, la disposizione
degli invitati.
Lo vedo sbuffare,
osservando un punto preciso tra la folla.
Temo che abbia notato
qualche accostamento di colore sbagliato nelle sedute, se potesse, temo
ancora, farebbe spostare parenti e amici, in base alle sue regole
cromatiche.
A un tratto nota
l’anziano sacerdote, che con passo calmo, si appresta a
raggiungere l’altare.
Lo affianca sicuro,
prendendolo a braccetto per accelerare la sua camminata.
“Per fortuna
che per i matrimoni indossate questi adattissimi paramenti bianchi! Non
oso immaginare se fosse stato il viola, il colore di rito!
L’avrei obbligata a cambiarsi!” lo sento
distintamente mormorare all’orecchio del parroco, quando sono
davanti a me.
Il povero prete lo
guarda perplesso, la bocca aperta in un moto
d’incredulità.
“Oh
carissimo e devotissimo servo del Signore! Avrebbe fatto a pugni con il
giallo dei fiori!” e sorride ammiccante, come se
l’avesse l’illuminato, su non so quale dogma o
mistero.
Il sacerdote aggrotta
le sopracciglia bianche e folte, fissandolo interdetto.
Mendo alza gli occhi
al cielo, come se avesse appena finito di parlare con un marziano,
perdendo preziosissimo tempo e si congeda da noi, non prima,
però, di aver lisciato ben bene il paramento
dell’allibito celebrante e, ovviamente, aver sistemato il mio
fiore all’occhiello.
“Eccola che
entra!” esclama in maniera stridula, quando raggiunge Tadai e
la Minase.
D’istinto mi
volto a guardare dalla parte opposta alla mia.
Dall’entrata,
ora completamente libera, entra un bagliore accecante, che non permette
di distinguere nulla all’esterno.
Deglutisco nervoso,
vendendo delle piccole ombre, stanziarsi contro la luce.
Ok...
ci siamo...
Per l’ultima
volta, per farmi forza, forse, mi volto in direzione di Taro, della mia
famiglia seduta nei primi banchi e della famiglia di Sanae, al lato
opposto.
Torno a guardare la
luce, le ombre si fanno più nette.
Ora le distinguo bene,
ma mi concentro solo su una.
Riesco a vedere solo
lei.
Lei distinta, tutto il
resto sfocato e confuso.
Si avvicina,
deglutisco.
Quando è a
un passo da me, mi sorride.
Rispondo al sorriso e
sento gli occhi velarsi di lacrime emozionate.
Perché in
nessun momento ancora, avevo avvertito così forte il senso
di quello che sta per accadere.
Ora, in
quest’istante, che la vedo vestita di bianco, mi rendo
davvero conto che sto per sposarmi.
E che non mi
separerò più da lei.
Sanae è al
mio fianco, il sacerdote inizia il rito.
La guardo ancora e le
stringo la mano, fredda come la mia.
Da oggi
sarà per sempre.
Le sorrido, di nuovo.
Per
sempre.
Sanae si allontana da
me sorridendo allegra, la ringrazio simulando con il labiale, per
avermi risparmiato l’imbarazzo di un ballo al centro pista,
con gli occhi di tutti puntati addosso.
Raggiunge Mendo, Tadai
e la signorina Minase accanto alla piccola orchestra, che sta suonando
un repertorio di classici, altamente romantici, degni di un matrimonio.
“Tsubasa!”
mi volto in direzione della voce inconfondibile, che ha pronunciato il
mio nome.
Roberto sorride avvicinandosi e quando mi raggiunge, circonda
affettuosamente le mie spalle.
“Allora come
procedono le grandi manovre in Brasile, sarà tutto pronto
per il nostro arrivo?” gli chiedo, senza tanti preamboli.
Oltre
all’organizzazione del matrimonio lampo, ho avuto pochissimo
tempo per sistemare le cose a Sao Paulo ma, per fortuna, Roberto mi ha
aiutato tantissimo, specialmente nella ricerca
dell’appartamento, dove andare a vivere con Sanae.
Prima che si mettesse
in moto, però, ho dovuto aspettare che si riprendesse dallo
choc di dover tornare in Giappone in brevissimo tempo, per il mio
matrimonio.
“Stanno
impacchettando le tue cose a casa nostra,
cioè mia,
ormai...” lo dice con un tono di voce un po’ mesto,
immagino che per lui sia come vedere un figlio, andare via di casa.
“Eh prima o
poi dovevo pur spiccare il volo dal nido, no?” chiedo con
fare allegro, per sdrammatizzare.
Roberto annuisce
sorridendo.
“Solo che tu
tendi leggermente ad accelerare i tempi, rispetto alla media...
mondiale!” esclama infine, ridendo divertito.
Arrossisco, portando
la mano alla nuca, nel mio classico gesto d’imbarazzo.
“E’
tutto ok anche per la sorpresa, la consegneranno in tempo...”
aggiunge, riferendosi al mio regalo di nozze per Sanae.
Un pianoforte a coda
Steinway & Sons, che mi è costato una fortuna e che
mi ha suggerito Mendo, visto la mia ignoranza in materia, dichiarando
pomposamente che, se volevo regalarle quello strumento, dovevo puntare
sull’eccellenza.
Sorrido
all’idea di mostrarlo a Sanae, nella nostra nuova casa,
curioso di vedere l’espressione del suo volto, di fronte a
tanta magnificenza.
Con la coda
dell’occhio la cerco di nuovo e la scovo mentre si dirige
verso il palco dell’orchestra.
Bellissima nel suo vestito candido e con le gote arrossate dalla gioia.
“Roberto...
Pensi che Sanae si troverà bene in Brasile?”
chiedo, quasi non rendendomi conto di aver lasciato emergere un
po’ di ansia.
Il mio allenatore mi
guarda serio poi si volta verso il palco.
L’orchestra
ha smesso di suonare e Tadai sta aiutando Sanae a salire i gradini, per
raggiungere, noto, il microfono vicino al piano.
“E’
una ragazza forte e coraggiosa, se la caverà alla
grande...”
Annuisco, continuando
a fissarla curioso mentre sistema, visibilmente imbarazzata,
l’asta avanti a sé.
“E vivace da
morire, si divertirà da matti!” mi rassicura il
mio allenatore, mentre continuo a fissare l’orchestra.
Tadai si siede al
pianoforte, guarda Sanae e con un cenno d’assenso, una
melodia prende a riempire l’aria, diffondendosi per tutto il
parco.
Sanae mi guarda
sorridendo, gli occhi irradiati di luce brillante e le gote ancora
più rosse.
La guardo imbambolato,
sbattendo le palpebre più volte.
“E questo
credo che sia il tuo,
regalo di nozze...” sussurra Roberto al mio orecchio, prima
di allontanarsi di qualche passo e confondersi tra gli altri.
Sanae inizia a cantare.
“Treated
me kind, sweet destiny, carried me through desperation, to the one that
was waiting for me...”*
Per me...
La notte è
calda, piacevole.
Ma mai come la
sensazione della sua pelle contro la mia.
Una leggera brezza
estiva attraversa la stanza.
Ma non è
nulla a confronto del suo respiro, che mi solletica il petto.
Mi stringo a Sanae,
baciandole la fronte, gli zigomi e scoprendo il suo corpo nudo,
allontanando le lenzuola dalla sua pelle accaldata.
La guardo mentre mi
sorride e si stringe a me.
Lei è mia moglie ora e
quest’appellativo esalta in maniera incredibile, quel
possesso di cui sono un po’ vittima, quando
c’è di mezzo lei.
“Non riesci
a dormire?” mi chiede innocentemente, come se fosse possibile
addormentarsi dopo questa giornata, dopo aver fatto l’amore
da sposati.
“Come
te...” rispondo, Sanae guarda di traverso ridendo, colta in
fallo.
Assaporo questa
sensazione magnifica di pace.
Come se fosse la prima
volta che la sento, come se riuscissi, per la prima volta ancora, a
provare la tranquillità.
Sanae si muove tra le
mie braccia, strofinando il suo corpo al mio.
All’improvviso
però, si separa da me e scende dal letto.
Perplesso, sbatto le
palpebre osservandola mentre nuda, armeggia con la piccola valigia,
accanto al comò.
Ne estrae un indumento
bianco e quando lo indossa con gesti veloci, mi rendo conto che si
tratta di una vestaglia da camera corta.
Si volta verso di me,
chiudendo i lembi di tessuto davanti al petto e mi sorride, mentre
stringe in vita la cintura di seta, in un morbido fiocco sproporzionato.
Mi dà le
spalle di nuovo e lentamente si dirige verso la terrazza, dalla quale
entra un venticello tiepido.
Il tempo di vederla
scomparire oltre la vetrata semiaperta e mi precipito anch’io
fuori dalle lenzuola.
Afferro i pantaloni
dell’abito, abbandonati a terra e una volta indossati, la
raggiungo in terrazza.
Sanae è
appoggiata alla balaustra di pietra e guarda il panorama notturno del
parco.
Non si volta quando la
raggiungo alle spalle, circondando la sua vita e il mio mento si posa
leggero sulla sua testa.
Si limita a stringersi
di più nel mio abbraccio, posso chiaramente distinguere
però che sta sorridendo.
“Non
è bellissimo?” mi chiede, continuando a osservare
la lussureggiante vegetazione davanti ai suoi occhi, colma di richiami
orientali, in contrasto con l’edificio in stile occidentale
che ci ospita.
Le fronde degli aceri
giapponesi si muovono dolcemente seguendo il vento che li spinge, il
loro riflesso si specchia nelle acque calme di un laghetto sottostante.
Annuisco, spostando il
mio viso nell’incavo del suo collo.
“Bellissimo...”
ripete piano, la voce leggermente velata da un’indefinibile
sfumatura.
Scorgo tra gli alberi
un luccichio debole, fatto di fiammelle mosse dal vento.
“Scendiamo
in giardino!” esclamo, attirato dalle luci, come se fossi un
bambino attratto dalle lucciole.
Sanae mi guarda per un
attimo, perplessa, poi i suoi occhi s’illuminano
d’entusiasmo e annuisce allegra.
La prendo per mano con
fare sicuro e velocemente usciamo dalla stanza.
In piena notte.
Senza badare a come
siamo vestiti, o meglio, svestiti.
Ci infiliamo in
ascensore, ridacchiando come due mocciosi che stanno per combinarne
delle belle e quando le porte si chiudono, bacio Sanae come succede nei
film romantici, quando gli innamorati si trovano soli, a scendere i
piani, lentamente.
Quando le porte si
aprono a piano terra, faccio capolino per vedere se la via è
libera.
Non notando nessuno,
riprendo mia moglie
per mano e di corsa, letteralmente, oltrepassiamo la veranda che porta
al giardino.
Corriamo scalzi
sull’erba morbida, ridendo divertiti, andando incontro a
quelle luci tremule, nascoste tra gli alberi.
Quando le
raggiungiamo, le nostre lucciole misteriose, prendono la forma di
lanterne di carta.
Bianche e dalla luce calda ma tenue, emanata dalla piccola candela
all’interno di ognuna.
Sanae si avvicina agli
aceri, dalle foglie simili a mani aperte, tese verso di noi e prende
una lanterna, staccandola dal ramo basso cui oscillava.
Poco lontano da noi,
avverto il rumore dell’acqua che cade nel laghetto circondato
dagli alberi, che abbiamo visto dalla terrazza della nostra camera.
Mi avvicino
anch’io all’acero e prendo un’altra
lanterna.
“Vieni con
me...” sussurro all’orecchio di Sanae, che continua
a osservare quella piccola luce che trema tra le sue mani.
Insieme ci avviciniamo
all’acqua placida del piccolo lago, quando siamo sul bordo,
mi abbasso e lascio che la mia lanterna sfiori la superficie,
lasciandola galleggiare.
In silenzio, Sanae si
mette al mio fianco, accovacciandosi e m’imita, abbandonando
la sua cupola di carta, accanto alla mia.
Rimaniamo a osservare
le luci tenui, che rischiarano debolmente la superficie
dell’acqua.
Sanae si sporge e con
un gesto delicato spinge le lanterne, che dondolando, si allontanano
dalla riva, danzando sulla superficie dell’acqua.
Seguiamo il loro
volteggiare, sempre senza dire una parola.
Mi guardo intorno e mi
sento circondato dal mio Paese.
Che non è
solo grattacieli e luci,
ma anche silenzio.
Natura e lanterne che
galleggiano nelle notti di agosto.
Osservo Sanae, che
segue il movimento delle luci sull’acqua, sorridendo
dolcemente.
Pensavo che il
Giappone non mi sarebbe più mancato, perché lei
lo rappresentava e ci teneva legati, indissolubilmente.
Quel legame sta per
spezzarsi ora e adesso ho la certezza che sentirò
più netta la mancanza.
Degli aceri dalle dita lunghe e rosse.
Della neve sul Monte
Fuji quando è inverno.
E di quel sole che sorge rosso a levante...
Le ore in aereo non sono
così interminabili.
Sorvoliamo il
Pacifico, immersi nelle nuvole candide, che come cuscini, accompagnano
il nostro viaggio, quasi volessero renderlo il più
confortevole possibile.
Non siamo partiti da
soli stavolta, non ce n’era bisogno, anche se non
è mai bello separarsi da chi si ama.
Mentre il tapis
roulant ci allontanava dai nostri affetti, ci siamo presi per mano,
Sanae ed io, continuando a scorgere, sempre più lontani, le
nostre famiglie e gli amici, stretti in un saluto collettivo.
Sanae ha pianto.
Una piccola lacrima ha
solcato la sua guancia ma le mie dita l’hanno asciugata, nel
ricordo di quella che bagnò, un tempo, il mio viso.
Ha sorriso quando ha
incrociato il mio sguardo, poi i suoi polmoni si sono gonfiati
d’aria e con un sospiro, è tornata a guardare
avanti a sé, senza più voltarsi.
Ho stretto di
più la sua mano e non mi sono più voltato,
nemmeno io.
Stiamo
puntando al futuro.
Una
nuova vita, ancora.
“Ehi ti va
di ascoltare un po’ di musica?”
Mi volto a guardare
Sanae che mi sorride, appoggiata al bracciolo che divide il suo sedile
dal mio.
Annuisco convinto e
lei prende a frugare nel bagaglio a mano, estraendo un Ipod bianco,
dalle cuffiette tutte attorcigliate.
La osservo per qualche
tempo, senza degnarmi di reprimere un sorriso divertito, cercare di
venire a capo del groviglio di fili.
Quando temo che
tirando troppo, strappi i fili ricoperti di gomma, riesce finalmente a
venire a capo della matassa.
Mi passa una cuffietta
mentre appoggia l’altra al suo orecchio destro.
La imito e dopo poco
sento partire la musica, Sanae appoggia la testa al mio braccio e
chiude gli occhi.
Guardo fuori dal
finestrino mentre mi lascio trasportare dalle note di una canzone, che
Sanae canticchia di continuo negli ultimi tempi.
Un po’
troppo spesso, a essere sinceri.
Quando la sua canzone
preferita però parte da capo, per la seconda volta, alzo gli
occhi al cielo.
“Ehi
ancora!” mi volto verso di lei, per rimproverarla
bonariamente ma mi blocco.
La sua cuffietta giace
abbandonata sulla sua spalla, mentre le sue labbra sono socchiuse, come
Daichi quando dorme esausto, dopo un pomeriggio di giochi al parco.
Chiedo
all’assistente di volo di darmi una coperta, sorrido quando
la copro e Sanae si sposta nel sonno, rannicchiandosi sul sedile.
Le sfioro la fronte
con un bacio leggero, poi m’impossesso dell’Ipod,
rimettendo entrambe le cuffie alle orecchie.
Scorro le canzoni
nella memoria, mi fermo incuriosito da un titolo sconosciuto, nel senso
che proprio non c’è e dalla scritta demo.
Faccio partire la
traccia e la voce di Sanae arriva decisa alle mie orecchie.
Non
ho mai sentito questa canzone, ma ascoltandola è come se mi
appartenesse...
Appoggio la testa al
finestrino e chiudo gli occhi sereno.
Al
cento per cento...
**My life ain’t
defined by limits
I Don’t need no
permission to live it
I’m a break thru the
door til I get in
Everything that I got
I’m a give it
100 Percent and I
ain’t stopping til I reach the finish
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe
I am givin 100 Percent
So go on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is
something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
You can only do it if you do
it like I did
Cause’ suffering
ain’t easy
But if you can turn your
wounds into living proof that you’ve survived the fight and
you no longer defined
My life ain’t
defined by limits
I Don’t need no
permission to live it
I’m a break thru the
door til I get in
Everything that I got
I’m a give it
100 Percent and I
ain’t stopping til I reach the finish
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Nothing can discourage me)
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe (Eh)
I am givin 100 Percent so go
on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is
something, put your ones up, ones up (Everybody)
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up (Put your ones up)
If you’re walking
into victory keep on shining (One hundred)
One hundred percent
Don’t you ever be
discouraged, let nobody take your courage
If you gonna pray
don’t worry,
If ya gonna wait
don’t pray
You just keep the faith and
listen to me
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is
something, put your ones up, ones up (If you know you were)
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up (If you ever hear something)
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Percent I will share with you)
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe (Either way)
I am gotta givin 100 Percent
So go on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is
something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
*"Vision
of Love" - Parole & Musica: Mariah Carey, Ben Marguiles
© 1990 Sony Music Entertainment Inc.
**
“100 Percent” – Parole & Musica:
Mariah Carey, Crystal Johnson, Jermaine Dupri, Bryan-Michael
Cox © 2010 Island Records
Tutti
i personaggi originali di "Captain Tsubasa" sono © di Yoichi
Takahashi e Shueshia.
I
personaggi di Keysuke Mendo, Takeshi Seii, Akane Minase e Yoichi Tadai
sono invece frutto della mia immaginazione e appartengono a me.^^
In
Giappone ad agosto si celebra l’Obon, ovvero la
commemorazione dei defunti.
Si
accendo lanterne nei giardini, si lasciano scivolare nei fiumi...
Il
terremoto ha distrutto tante vite, proprio in questi giorni, in quel
Paese lontano, che io amo tanto.
La
scena delle lanterne non esisteva, l’ho inserita solo ora.
Le
mani di due giovani giapponesi hanno lasciato la mia lanterna
nell’acqua... lascio che galleggi.
In
ricordo di chi non c’è più, sicura che
il Giappone risorgerà... ancora una volta...
I
miei Tsubasa e Sanae si congedano, da me e da chi ha seguito la
mia/loro storia. Tutto quello che avevo da dire su di loro, ora
è davvero stato detto, nel completo, al 100%. Mi separo
definitivamente da loro, con un po’ di malinconia ma con la
consapevolezza che mi hanno regalato tante cose importanti. Ringrazio
tutti i lettori di Fly Away, chi ha recensito, chi ha segnalato, a suo
tempo, questa storia per le Scelte e l’amministrazione che
l’ha inserita. Ne sono infinitamente grata. Ringrazio
Tsubasa e Sanae per avermi dato la possibilità di mettermi
in gioco, di crescere e migliorare. Li ringrazio per avermi dato modo
di far entrare nella mia vita delle persone favolose, che stimo e
adoro. Che mi sono vicine, nonostante i chilometri di distanza tra noi.
Grazie
infinite di cuore a tutti, questo non è un addio ma solo un
arrivederci...
A
Sara, Elena, Betta e Grazia... che sono molto di più di un
nickname!^^
Dont’be
afraid to fly, open up the door, so much more outside...
OnlyHope
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=422083
|