Fly Away (Butterfly reprise)

di OnlyHope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doppio gioco ***
Capitolo 2: *** Nuova vita ***
Capitolo 3: *** Come piace a me ***
Capitolo 4: *** Fermo immagine ***
Capitolo 5: *** Sensi ***
Capitolo 6: *** Buon compleanno ***
Capitolo 7: *** Fulmine a ciel sereno ***
Capitolo 8: *** Leggere tra le righe ***
Capitolo 9: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 10: *** Ultima notte d'estate ***
Capitolo 11: *** Kronos ***
Capitolo 12: *** Ain't No Mountain High Enough ***
Capitolo 13: *** Tsunami ***
Capitolo 14: *** Le luci di Tokyo ***
Capitolo 15: *** Il bandolo della matassa ***
Capitolo 16: *** Tutto quel che ho ***
Capitolo 17: *** L'aurora ***
Capitolo 18: *** 100 per cento ***



Capitolo 1
*** Doppio gioco ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 1

Doppio gioco




Spalle alla parete fredda e dura, sento le mie scapole premute forte contro il muro.
Nella penombra riesco a vedere ben poco, immagini non definite che metto a fuoco nella mia mente, aiutato dalla familiarità di ogni oggetto nella mia memoria.
Ogni tanto i miei occhi abituati al buio, sono colpiti da un fascio di luce abbagliante proveniente dal cellulare che stringo in mano con forza.
Lo apro sicuro per un attimo, poi lo richiudo veloce, quasi tremante, sentendo quella sicurezza come svanita nel nulla.
E così ancora un’altra volta e questa luce che compare e scompare intermittente, simile ai miei pensieri e alla mia decisione.
Decisione che sembra fatta di pura forza un attimo prima, che si sgretola fragile un secondo dopo.
I miei occhi si chiudono esausti per un po’, poi si riaprono e fissano il rettangolo di carta poggiato a terra, accanto ai miei piedi nudi.
Una serie di parole e numeri messi uno accanto agli altri.
Una sola destinazione, nessuno ritorno...
Sorrido osservando le lettere che compongono il nome della meta del mio viaggio, ciò che per anni è stato l’obiettivo da raggiungere, ma anche la mia ossessione e ricordo con emozione il momento in cui l’impiegato dell’agenzia di viaggi, allungando il braccio teso, mi ha porto questo biglietto.
Entusiasmo e gioia pura sono i sentimenti che mi hanno sopraffatto nel momento in cui l’ho stretto tra le mani, perché è stato un po' come sfiorare una stella che sembrava così lontana e riuscire ad afferrarla.
Sorrido di nuovo se penso a quel momento, non posso proprio farne a meno.
Sorrido…
Almeno fino a quando non arriva il resto.
Il resto dei miei pensieri.
Non è stato il massimo decidere quando partire, fare ogni cosa in silenzio senza parlarne con nessuno, sparare cavolate per riuscire a rimanere solo e correre in agenzia.
E’ stato triste, forse sbagliato o semplicemente da vigliacchi.
Alzo di nuovo lo sguardo, nell’oscurità intuisco ombre ed oggetti, quelle cose familiari che da domani non saranno più parte della mia quotidianità, tramutandosi in ricordo. Istintivamente gli occhi cercano la foto con tutta la nazionale scattata non più di sei mesi fa a Parigi.
Wakabayashi sorride sornione da sotto la visiera, Taro tiene un braccio sulle mie spalle mentre Ishizaki ha sempre la sua solita faccia da scemo.
E così un nuovo tipo di sorriso increspa le mie labbra, stavolta fatto di malinconia, perché è vero che da domani inizierà la vita che ho sempre desiderato, ma questo significa anche che d’ora in poi sarò solo. Non ci saranno più i miei amici con me a sostenermi e aiutarmi.
Solo…
Ed è necessario quindi che incominci ad abituarmi a questa condizione fin da adesso.
Continuo a fissare i volti felici dei miei compagni forse in cerca di comprensione.
Spero che possiate perdonarmi ma non riesco proprio a salutarvi… e in fin dei conti cosa avrei potuto dire per addolcire la pillola? Meglio tenersi i bei ricordi e basta, senza portarsi dietro il peso della separazione.
Così il mio sguardo torna a posarsi sul biglietto ai miei piedi, probabilmente per rimarcare nella mia testa le motivazioni che mi hanno spinto a comportarmi come un ladro nei confronti dei miei amici. E’ un pezzo di carta che vale oro e che mi costerà un prezzo molto alto.
Con un sospiro riapro inconsciamente il cellulare rimanendo abbagliato ancora una volta dalla luce dello schermo.
Mi mordo le labbra mentre le mie dita premono febbrilmente il tasto dello scorrimento della rubrica, dopo qualche secondo si arrestano e trattengo il respiro osservando il nome che compare sul display.
Sanae-chan…
E questo sì che è difficile da fare, questa sì che è una decisione che non riesco a prendere definitivamente. L’unica cosa certa che so è che non posso vederla. No... Lei sicuramente no.
A dirla tutta so che non dovrei nemmeno chiamarla, evitando così parole inutili che tanto non servirebbero a niente.
Ma lei mi perdonerebbe se me ne andassi via così? Senza una parola? Riuscirebbe a capirmi? Forse sì...
Di sicuro però piangerà, ma lo farà comunque anche se...
Ma chi voglio darla a bere!
Sto cercando di pensare a lei e al suo bene per prendere una decisione, ma anch'io non riesco a fare sempre la cosa giusta, né capire quale sia e se seguissi solo ciò che sento allora io …
Vorrei vederla più di qualsiasi cosa.
Vorrei andare da lei pur sentendo che potrebbe essere la cosa più dolorosa di questo mondo d’affrontare.
Vorrei vederla, per guardarla ancora una volta prima di partire.
Ma non sono così forte da poter pensare di riuscire a farlo.
Continuo a fissare il suo nome e il suo numero con una stretta così forte allo stomaco che mi fa sentire come se mi mancasse l’aria.
Devo chiamarla.
Per lei. Per me.
Perché posso arrivare forse a rassegnarmi di non vederla, ma non posso accettare che ieri sia stata anche l'ultima volta che ho sentito la sua voce. Che non rivedrò il suo viso lo devo far entrare ancora bene in testa, ma non ho scelta.
E come un vigliacco ripenso vergognandomi alle volte che per nascondere la partenza ho mentito pure a lei, perché forse avrei dovuto parlarle, senza tenerla all’oscuro di tutto, perché forse glielo dovevo.
Ma mi convinco subito che è stato meglio così, almeno in questo modo l’ultimo ricordo che avrò del suo viso sarà illuminato da quel suo sorriso e così potrò forse riuscire a sorridere anch’io ripensandoci.
Sono un egoista.
E seguendo quelli che sono i miei desideri, prendo un respiro per farmi coraggio, respiro che sembra soffocarmi invece che liberarmi dal peso del mondo che porto sul petto e il mio pollice preme sul tasto verde che avvia la chiamata più difficile della mia breve esistenza.
Deglutendo a fatica osservo la piccola cornetta nera che inizia a lampeggiare affianco al suo nome, i battiti accelerati del mio cuore si confondono al suono monotono e prolungato degli squilli.
Deglutisco ancora quando sento aprire la comunicazione e la sua voce allegra e felice, come ogni volta che ho il piacere di sentirla pronunciare il mio nome.
Chiudo gli occhi stringendo forte le palpebre mentre i polmoni cercano di gonfiarsi ancora di aria, in modo da raccogliere tutta la forza d’animo di cui ho bisogno e di cui di solito vado così tanto fiero.
Sorride…
E mi si spezza il cuore in questo istante perché so che quando aprirò bocca, spazzerò via quel sorriso sereno dalle sue labbra.
Perché sto per dirti addio per telefono e con pochissimo coraggio.
Come un codardo.
Ma perdonami, non avevo altra scelta.
Volevo solo sentirti...




"Fly Away" non è il seguito di B. come avrete capito, né tantomeno la sua copia, ma solo una raccolta di momenti vissuti questa volta da Tsubasa, alcuni già "visti" dal pdv di Sanae, altri completamente inediti perché vissuti solo da lui. Alcune amiche, terminata la FF, mi hanno chiesto più volte cosa pensava, provava o faceva Tsubasa durante alcuni episodi di B. , io ovviamente sapevo cosa rispondere perché nella mia testa la storia comprendeva entrambi i pdv, così mi sono detta che magari poteva essere piacevole mostrare a chi aveva seguito le avventure di Sanae la completezza della storia. Questa "specie di raccolta" quindi vuole essere una sorta di ringraziamento per chi ha seguito B. per tanti mesi. Ci tengo a precisare che non ci saranno comunque 35 capitoli ma più che altro inserirò gli episodi seguendo sì l'ordine cronologico di B. , ma senza ripetere passo passo ogni capitolo. Per ora mando un abbraccio a quelle amiche che hanno "insistito" affinché nascessero questo e i capitoli che man mano inserirò e un saluto a chi magari incuriosito avrà aperto questa pagina...  OnlyHope^^

P.S. un grazie speciale a Manila per l'aiuto... <3












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Capitolo 2
*** Nuova vita ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 2

Nuova vita







Le ore in aereo mi sembrano interminabili.
Non mi va di fare nulla per ammazzare il tempo, né leggere, né giocare con la console, né tantomeno seguire il film proposto ai passeggeri, forse dovrei provare semplicemente a dormire perché qualcosa mi devo pur inventare per riuscire a non pensare troppo.
Già non pensare, come se fosse possibile staccare il cervello quando la tua vita sta per cambiare radicalmente, quando è ormai già cambiata inevitabilmente.
Mi giro verso il finestrino, il mio sguardo si perde, per minuti che sembrano interminabili, nelle nuvole bianche oltre il vetro mentre nelle mie orecchie rimbomba una delle canzoni della playlist che il buon Ishizaki ha caricato nel mio Ipod non più di un paio di giorni fa.
E sembra già passato un secolo…
Nulla di deprimente, gli avevo chiesto con la scusa che mi servisse per andare a correre, e il mio amico ha eseguito, ignaro, alla lettera…  Fortunatamente.
Così grazie alla musica assordante che mi riempie la testa, sto riuscendo pian piano a spengere i miei pensieri e fissando il cielo azzurro sopra la coltre di nuvole che sembrano tanto soffici, mi lascio semplicemente scortare verso la mia meta e le mie ambizioni.
Ed è un bene questo momentaneo estraniamento, perché non so capire fino in fondo quale sensazione prevale nel mio cuore tra l’eccitazione, uno stato confusionale, un po’, tanta, ansia e l’inevitabile dolore.
Sì perché ogni volta che la mia mente parte per lidi di felicità, dove l’euforia per ciò che mi aspetta la fa veramente da padrona, un retrogusto amaro arriva per ricordarmi che non sarà facile iniziare tutto da capo, da solo e che se mi sembra di aver già pagato abbastanza, col distacco, il prezzo del mio futuro successo, il bello deve ancora arrivare.
Perché realizzare i miei sogni, ha anche il sapore salato di quella lacrima che è scesa lungo la mia guancia dopo aver dato l’addio che volevo più di ogni altro evitare.
Perché ricorderò per sempre i suoi occhi gonfi dal pianto e non scorderò mai la morsa che ha serrato forte il mio petto nel momento in cui l’ho stretta a me, consapevole che fosse per l’ultima volta.
Così non va…
Mordo le labbra per un istante, rimproverandomi di aver riportato i miei pensieri .
Staccare il cervello torna a essere la mia priorità assoluta, per preservare la mia sanità mentale e per farlo alzo istintivamente al massimo il volume dell’Ipod, in modo che la mia testa sia piena solo di musica e nient’altro.
Chiudo gli occhi ora, per nascondere alla mia vista anche il minimo particolare di quello che mi circonda, perché mi ricorda che mi sto allontanando, secondo dopo secondo, sempre più da lei.
Li riapro solo quando la musica s’interrompe all’improvviso e non so dire quanto tempo sia passato.
Accecato dal sole, che ora filtra forte dal finestrino, fisso l’Ipod scarico nel palmo della mia mano e non so se sentirmi sollevato per il silenzio nelle mie orecchie o spaventato dal percorso che potrebbero prendere, ancora, i miei pensieri.
Ottimista cerco di optare per la prima ipotesi quando un aiuto mi giunge inaspettato dall’alto.
La voce cordialmente monotona dell’assistente di volo annuncia l’imminente atterraggio e così il mio cuore e i miei sensi si concentrano sul fatto che sto per abbracciare finalmente il mio sogno.
E se non posso allontanare Sanae dalla mia mente, almeno posso tenerla nascosta per un po’, all’ombra della nuova luce che sta per scaldarmi.
Prendo un respiro e socchiudo le palpebre per assaporare questo momento, che sì ora sento così dolce.
Un brivido attraversa la mia schiena.
Allaccio la cintura di sicurezza.
Sorrido.
Sono pronto!




“E questa è camera tua!”
Rispondo con un sorriso, l’ennesimo, che deve quasi distorcere i lineamenti del viso mentre Roberto mi fa strada in quella che sarà, d’ora in poi, la mia nuova stanza.
Appena varcata la soglia, mi guardo intorno un po’ spaesato, la camera comunque non è niente male, arredata con pochi fronzoli e molto spaziosa.
Le pareti color azzurro pastello e completamente spoglie, sono il particolare che attira maggiormente la mia attenzione perché conoscendomi, immagino già che tra un mese non sarà più possibile trovare nemmeno un centimetro libero per capire di che colore siano.
Riempirò tutto di poster e adesivi, proprio come nella mia camera in Giappone, così magari sentirò pure un po’ meno la mancanza di casa.
“Allora raccontami un po’ del viaggio! Ti hanno accompagnato i tuoi?”
Roberto si appoggia alla scrivania appena sotto la finestra, incrociando le braccia mi sorride per invogliarmi a parlare.
Mi accomodo sul letto, tenendo il peso del corpo con le braccia leggermente spostate dietro la schiena e l’osservo per un po’ prima di rispondergli, non che non l’abbia fatto mai da quando sono atterrato, ma mi sembra così incredibile essere veramente qui in Brasile, con lui.
Non è cambiato molto negli ultimi tre anni, me ne sono reso conto anche quando ci siamo riabbracciati a Parigi la scorsa estate, ma credo che questo sia più che normale, probabilmente quello per cui anche solo un mese può fare la differenza, sono sicuramente io.  
E ripensando agli anni passati non posso non congratularmi con me stesso, con un pizzico di compiacimento e soddisfazione, per essere riuscito ugualmente a spuntarla, per non essermi arreso dopo il suo abbandono, appena vinto il campionato delle elementari e per aver man mano capito, in questo lungo periodo che ci ha tenuto separati, cosa lo portò a decidere di lasciarmi in Giappone.
Per essere riuscito a superare la delusione e il dispiacere, ma soprattutto per aver creduto di poter essere alla sua altezza e che un giorno quest’uomo mi avrebbe finalmente preso con sé, per rendere al meglio le mie potenzialità, per far sì che ogni stilla di sudore uscita dalla mia pelle negli allenamenti interminabili che mi sono imposto, non sia stata vana e per aiutarmi a diventare un vero fuori classe, il migliore.
Il quaderno di suggerimenti che mi lasciò più di tre anni fa ora non mi servirà più perché ci sarà lui a guidarmi, ma ho deciso ugualmente di portarlo con me, come talismano di buona sorte.
“No ho deciso di andare da solo, tipo terapia d’urto!” rispondo infine ridacchiando, incassando un po’ il collo nelle spalle.
Roberto mi guarda incredulo prima di domandarmi se ho riservato lo stesso trattamento anche ai miei amici.
Annuisco abbozzando, questa volta, un sorriso malinconico, perché anche se so di aver fatto la cosa migliore, almeno per me, non credo che un giorno non mi pentirò, causa mancanza di casa e nostalgia, di non aver passato con loro un altro po’ di tempo prima di andarmene.
“Quindi non hai salutato nessuno prima di partire?” mi chiede ancora, questa volta visibilmente perplesso per come mi sono comportato.
Rimango in silenzio per alcuni secondi, spiazzato da una semplice e innocente domanda, mentre le immagini del mio addio a Sanae riempiono la mia mente progressivamente, accavallandosi l’una all’altra.
E non so che rispondere, le mie labbra rimangono semiaperte ma dalla mia gola non emerge nessun suono mentre un calore improvviso alle gote si propaga facendosi sentire velocemente in tutto il corpo.
Roberto mi osserva aggrottando leggermente le sopracciglia, poi i suoi lineamenti si addolciscono in un sorriso bonario.
“Magari me lo racconti un’altra volta…” esclama avvicinandosi fino a posare una mano sulla mia spalla “Ora sei stanco, mangiamo un boccone e poi a letto! Da domani comincerà la nostra sfida!”
Annuisco di nuovo, sempre senza aprire bocca, ancora confuso dalle emozioni e dall’imbarazzo che mi hanno travolto all’improvviso e con un sorriso riconoscente, lo ringrazio per aver capito che ancora non è decisamente il momento.
Perché lo strappo è troppo recente, perché davvero non posso parlare di casa mia ora, che non è passato un giorno che l’ho lasciata.
E perché forse, semplicemente, non mi sono reso conto ancora di quanto lei mi mancherà…




E di nuovo non mi ha passato la palla quello!
Riprendo fiato posando le mani all’altezza dei reni, poco sopra i cordini che stringono la mia casacca giallo limone.
Sono i primi giorni d’allenamento e le cose, devo ammetterlo, non è che stiano andando alla grande.
Un po’ me l’aspettavo per carità, ma non posso non rimanerci comunque un po’ male.
Perché in Giappone tutto era semplicissimo, io ero l’allenatore di me stesso e tutti i miei amici e rivali, mi spronavano a fare del mio meglio, senza avere il minimo dubbio sulle mie potenzialità e sulla mia tenacia.
Qua in Brasile invece è tutta un’altra storia e l’ho capito da subito.
I ragazzi che partecipano come me alle selezioni per il Sao Paulo non guardano in faccia nessuno, concentrati come sono solo su loro stessi e non hanno il benché minimo interesse a sapere chi io sia o quanto possa essere stato bravo nel mio Paese.
Anzi proprio il fatto che sia giapponese, li porta a disinteressarsi completamente a me, con una nota di superiorità dovuta al fatto di essere nati nella parte giusta del mondo, calcisticamente parlando.
Roberto poi, che a casa è come un padre con me, una volta arrivati qui al campo, si trasforma in un allenatore impassibilmente severo, facendomi sgobbare almeno quattro volte più degli altri.
E non perché posso essere considerato il suo pupillo, non solo per quello almeno, visto che devo ancora dimostrare tutto qua in Brasile e soprattutto a lui, ma perché oggettivamente, il calcio del mio Paese non mi ha messo nelle stesse condizioni degli altri ragazzi che sono qui a pretendere un posto in squadra come me.
Parto un gradino indietro, è un dato di fatto e non posso farci niente, se non rimboccarmi le maniche e impegnarmi.
Eccolo di nuovo con quello sguardo torvo… penso osservando l’unico ragazzo che sembra degnarmi un minimo a differenza degli altri, peccato che la sua attenzione non sia mossa minimamente dalla voglia di fare amicizia.
Non mi rivolge parola, proprio come tutti, ma invece che limitarsi a ignorarmi, è così gentile da regalarmi, spesso e volentieri, sguardi al vetriolo ogni volta che incrocio il suo sguardo.
E non fa proprio nulla per nascondere la sua ostilità ed io nemmeno posso restituirgli il piacere, visto che ogni volta che vorrei farlo, mi torna in mente la gaffe involontaria, che mi ha innalzato ai suoi occhi da essere invisibile, anonimo numero sulla tabella dei rivali da far fuori, a emerito pezzo di merda.
Abbassando lo sguardo, fisso la punta dei miei scarpini nuovi ai quali associo immediatamente lo sguardo assassino che questo ragazzo dalla pelle scura mi ha lanciato la prima volta che ho messo piede, con Roberto, in questo campo e avverto così la stessa sensazione di disagio che mi ha colpito quando il mio sguardo incredulo, è sceso dal suo volto incazzato agli scarpini ai suoi piedi, completamente consumati e logori.
Perché qui in Brasile non si gioca solo per passione, ma purtroppo spesso anche per fame e le mie scarpe di marca nuove temo siano per lui un continuo schiaffo in faccia, visto che ignora completamente che io invece le indosso solo perché sono un regalo di Sanae.
Per questo non ci riesco ad avercela con questo ragazzo, che ovviamente non ci ha tenuto proprio a presentarsi, visto che crede io sia l’ennesimo stronzo con i soldi venuto a rubargli il posto e il pane.
Con un sospiro sconsolato, mi concentro di nuovo sulla partita d’allenamento e una volta rimessi gli occhi sul pallone, scatto deciso verso la porta avversaria e quando mi trovo a pochi passi dal difensore in possesso di palla, scivolo sull’erba senza esitazione, rubando la sfera ai suoi piedi.
Mi rialzo e continuo la mia corsa, ostacolata nemmeno qualche metro dopo, da un altro avversario.
Mi fermo di fronte a lui, il piede destro sulla palla, e simulo un paio di finte che però non l’ingannano, così non mi resta che cercare aiuto e con la coda dell’occhio noto proprio il ragazzo incazzato con me che si sta smarcando da un avversario.
E fregandomene del fatto che mi gambizzerebbe volentieri e che lui, al posto mio, meglio segnerebbe un autogol che fare un assist sotto porta proprio a me, gli passo la palla che, tracciando una parabola in aria, attera precisa sul suo petto e cade poi ai suoi piedi.
E’ forte… penso seguendo la sua corsa che finisce però malamente, sotto la poderosa gomitata al petto che gli ha rifilato il tizio alto due metri con la casacca verde che arriva a malapena ai fianchi.
La palla rotola così lontano da loro incustodita ed io, che proprio non so cosa voglia dire arrendersi, mi getto al suo inseguimento dando sfogo a tutte le mie energie.
Riesco a raggiungerla anticipando un avversario, velocemente giro su me stesso per proteggere il pallone e poi di nuovo di corsa verso la porta.
Un terzino mi si para davanti, con lo sguardo cerco ancora aiuto intorno a me ma poi il varco tra le sue gambe mi sembra troppo invitante per non tentare un tunnel.
La sfera gli passa tra i piedi mentre lo sorpasso e quando ne sono di nuovo in possesso, proseguo la mia corsa fino a vedere il portiere a pochi metri da me e so che è il momento.
Certo la mia posizione non è delle migliori ma potrei comunque farcela, tanto vale provare ma mentre sto caricando il tiro, scorgo di nuovo, diagonalmente a me, il ragazzo incazzato completamente smarcato, con il portiere spiazzato e tenuto in gioco di un soffio da un difensore.
Lui è nella posizione ideale, è un goal assicurato.
E così senza pensarci due volte, quello che doveva essere un tiro, e magari un goal da annuario vista la posizione, diventa un assist per il mio nemico, che con stupore stoppa di nuovo di petto e con decisione poi tira al volo … e segna.
Salto felice con il pugno in aria e preso dalla mia solita euforia, che mi annebbia completamente il cervello, corro istintivamente incontro al mio compagno che ha segnato.
Circondo il suo collo con un braccio, congratulandomi spontaneamente in portoghese, completamente dimentico del fatto che il ragazzo non mi sopporta proprio.
Ma è più forte di me, non so controllarmi e mi rendo conto d’aver esagerato solo quando il fischio del secondo di Roberto ci richiama a centrocampo.
Ok Tsubasa! Con questa simpatica iniziativa hai decretato definitivamente la tua condanna a morte…
Sorridendo imbarazzato e grattandomi la testa mi allontano così dal ragazzo incazzato senza il coraggio di guardarlo in faccia, mentre mentalmente continuo a darmi dello stupido.
Mi fermo stupito e mi volto però, quando lo sento pronunciare il mio nome, storpiato un po’, un bel po’, dal suo accento.
“Tsubasa!” ripete avvicinandosi con lo sguardo sempre serio, ma meno ostile mi sembra di capire.
“Io sono Pepe!” e mi porge la mano con fare deciso che io, ancora stupito, fisso per un po’ prima di stringerla sorridendo allegramente.
Lo sento rispondere alla mia stretta con decisione poi con un cenno del capo si allontana di nuovo, senza aggiungere un’altra parola e mentre osservo la sua schiena allontanarsi mentre si dirige al centro del campo, avverto per la prima volta una sensazione di speranza.
Perché il pallone è il mio migliore amico, ma non può e non deve essere l’unico.






Vorrei semplicemente ringraziare tutte le persone che si sono avvicinate al precedente primo capitolo. Come sempre mi mancano le parole adeguate per esprimere la mia gioia e l’entusiasmo che mi avete trasmesso. Spero di fare del mio meglio con questa storia e di non deludere le aspettative di nessuno, in particolare di chi ha seguito B. Ringrazio le mie amiche che mi hanno incoraggiata ad intraprendere questa nuova avventura, per gli stimoli, l’affetto e l’aiuto. Ringrazio le “nuove conoscenze” per l’interesse e l’attenzione.
Al prossimo capitolo!
Un abbraccio, OnlyHope^^



 







 



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Capitolo 3
*** Come piace a me ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 3

Come piace a me







Quella dello schermo è la sola luce che illumina la mia stanza.
Le mie dita scorrono sulla tastiera mentre nelle cuffie dell’Ipod suona una canzone brasiliana, che Pepe ha voluto ad ogni costo passarmi.
Scrivere di notte a Sanae mi permette di isolarmi, come se creassi una bolla sospesa nel tempo e nello spazio, dove scompare il presente ed io vivo solo dei miei sentimenti per lei.
Sentimenti che tento in qualche modo di gestire, ora che mi trovo in un altro continente, migliaia di chilometri distante da lei.
Nelle mail che le mando non faccio altro che parlare degli allenamenti e del mio impegno, non mi soffermo mai sulle difficoltà che incontro ogni giorno, sarebbe inutile farla preoccupare, aggiungerebbe solo altra sofferenza a uno stato che ne è già saturo.
Così mi faccio forza e mi sprono a essere ottimista, per lei ma anche per me, come ora che mi soffermo maggiormente a scriverle del mio primo amico qua in Brasile, perché so che ne sarà felice e sollevata, come mi sento io.
Ma quando esaurisco il resoconto delle mie giornate, sono tante altre le cose che vorrei continuare a scrivere.
Vorrei dirle che spesso mi sento solo e che mi manca la nostra vita in Giappone, gli amici e che vorrei abbracciarla.
Ma mi trattengo, perché dopo averla lasciata, non è giusto farle scontare anche questo peso, non mi posso permettere il lusso di fare di lei la mia confidente e per questo mi sto imponendo una linea di condotta.
Non mentire mai su come mi sento o su quello che mi succede, ma limitarsi a non dar troppo peso alle cose, perché questo è tutto ciò che posso fare per lei da quaggiù.
E tutto quello che sento, lo concentro alla fine, in un semplice “mi manchi” che racchiude il mio stato d’animo in una semplice verità.
Che dice tutto e allo stesso tempo poco, la via di mezzo che cercavo.
Anche ora che le mie dita digitano quelle due semplici parole spero tanto che quando Sanae le leggerà, potrà sentirsi come nel mio abbraccio, perché è quello che vorrei davvero ora.
Le mani si alzano dalla tastiera e si posano sotto il mento, a sorreggere la mia testa.
Rileggo la mail prima d’inviarla e quando alla fine sto per farlo, un tocco sulla mia spalla mi fa balzare il cuore in gola e saltare dalla sedia.
Sfilando le cuffie dalle orecchie mi volto e la mia visuale è completamente riempita dal viso di Roberto, ampiamente deformato da una risata, perché il mio mezzo infarto deve essere stata davvero una cosa divertente da vedere.
“Scusa non volevo spaventarti!” si giustifica cercando di riprendere contegno, io mi limito a scusarlo con un gesto della mano.
“Non la mandi più?” aggiunge poi indicando lo schermo, io solo ora prendo coscienza del fatto che la mia mail per Sanae è ancora in bella mostra davanti al suo naso e che, ancora peggio, non so da quanto tempo Roberto fosse alle mie spalle prima di farmi infartare.
Mi volto senza rispondere e veloce invio, rimanendo a fissare la piccola busta bianca e l’indicatore che scorre, tracciando la distanza Brasile - Giappone in una manciata di secondi.
Ruoto di nuovo sulla sedia e fisso Roberto che rimane impassibile nella stessa posizione a scrutarmi.
“Il ticchettio dei tasti, per questo sono entrato.”
“Ah! Scusa!”
“Niente.”
E non se ne va, ma continua a fissarmi, cosa che mi fa credere sempre più che abbia realmente sbirciato cosa scrivevo e a chi.
E per fortuna che c’è poca luce, perché sono sicuro che sto arrossendo come non mai.
“Magari non è proprio l’ora adatta, ma non pensi sia arrivato il momento di parlarmi di qualcosa o qualcuno in Giappone, che non sia strettamente collegato al calcio?” mi chiede infine, sorridendo bonariamente e sedendosi sul mio letto, ancora intatto.
Sposto lo sguardo di lato, mentre sento la temperatura del mio corpo alzarsi tanto da sentire all’improvviso la voglia di togliermi la felpa.
“Hai letto vero?” chiedo retoricamente, così, tanto per prendere tempo.
“Quanto basta, ma non l’ho fatto di proposito, mi è caduto l’occhio.”
Annuisco perché so che non si sarebbe mai messo a sbirciare volutamente, scemo io che mi faccio cogliere in fallo.
“Da dove inizio…” borbotto strofinando l’indice sotto il naso.
“Chi è Sanae?” mi chiede Roberto a bruciapelo, tanto per non farla lunga e tagliare la testa al toro.
“E’ Anego. Te la ricordi, no? La ragazzina che ci seguiva a ogni partita. Lei da tre anni a questa parte è diventata la manager del club di calcio e…”
“E’ la tua ragazza?” m’interrompe sbuffando affettuosamente e guardandomi come se dovesse insegnarmi proprio tutto, oltre al calcio.
Sospiro, consapevole che non ho via di scampo.
“Sì.”
“L’hai baciata?” ed io cado quasi dalla sedia, mi aggrappo giusto al bracciolo mentre il cervello va in pappa e credo di non essermi mai sentito così imbarazzato, nemmeno con Ishizaki!
“Ok l’hai baciata.”
Spiritoso! Si risponde anche da solo ora!
“E’ lei che hai salutato prima di partire?” chiede ancora, ma stavolta invece dell’imbarazzo, è la malinconia che s’impadronisce di me e che mi fa abbassare lo sguardo.
“Già…” mormoro fissando il pavimento e incoraggiato da questo stato d’animo, che mi spinge a cercare qualcosa di lei, a evocarla anche solo con le parole, per la prima volta mi sento pronto a parlare e a dar sfogo a tutti quei sentimenti che reprimo, non sapendo a chi confidarli.
E mi sembra ieri che l’ho vista, parlando di lei.
E mi sento più leggero, parlando di lei.
E mi sento vicino a Sanae, parlando di lei.



Il getto d’acqua calda scivola sulla mia muscolatura indolenzita, dandomi un minimo di sollievo, dopo l’allenamento decisamente massacrante al quale ci ha sottoposto Roberto.
Sono dentro, sono in squadra ma ancora lontano dall’essere nella rosa di titolari.
Ma non importa, non mi do per vinto, perché so che ce la farò, se come oggi, ogni giorno, mi spezzerò la schiena sul campo.
Butto la testa sotto lo scroscio e chiudo gli occhi, l’acqua oltre che a portare beneficio al mio corpo, mi aiuta in questo caso, anche a ovattare i suoni che provengono dalla doccia accanto alla mia.
Mi estraneo per un attimo dal ciarlare continuo di Pepe che mi sta ripetendo lo stesso concetto da circa cinque minuti, preso com’è dall’euforia e l’eccitazione.
Da quando siamo diventati amici, ho imparato un sacco di cose sul suo carattere e ho potuto capire che siamo opposti come il giorno e la notte, perché se io ho una maniacale tendenza a essere riservato, Pepe al contrario mi rende partecipe di ogni cosa gli passi per la testa e diciamo che il suo argomento preferito non è esattamente il calcio.
Chiudo il getto d’acqua ed esco dalla doccia, lo sento fare lo stesso e mentre mi avvicino agli armadietti avvolgendomi i fianchi con un asciugamano, me lo ritrovo affianco che ancora parla di quanto sia al settimo cielo per essere riuscito ad avere un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni.
Ragazza che è nel suo immaginario da non più di quindici giorni, visto che un mese fa sembrava non avesse occhi che per la nipote del massaggiatore.
“Stasera spero che sia una serata devastante, al diavolo se domani non mi reggo in piedi!” sghignazza dando colpetti all’anta del mio armadietto mentre mi sto vestendo.
Sorrido alzando gli occhi al cielo mentre infilo la roba da riportare a casa nel borsone.
“Ti rendi conto Tsubasa? E’troppo carina! Troppo, troppo, troppo!”
Forse lo preferivo quando mi odiava…
“Ma senti, amico mio…” e si siede sulla panca, proprio accanto alla mia borsa, un piede poggiato al legno mentre cerca di infilarsi i calzini.
“Dimmi...”
“Hai visto qualcuna che ti piace in giro?”
Ecco, ti pareva…
Mi limito a rispondere negativamente con un gesto del capo, senza alzare lo sguardo nella sua direzione, tecnica che ho sapientemente messo appunto in Giappone con un altro compagno di squadra decisamente impiccione.
Fare finta di niente e non tradire emozioni, nei limiti, ecco la mia collaudata strategia di difesa da questo genere di domande.
Pepe rimane in silenzio per alcuni secondi, tanto da darmi il tempo di rilassarmi di nuovo mentre finisco di spostare le mie cose nell’armadietto.
“Senti potrei chiedere alla mia ragazza se ha qualche amica da presentarti. T’immagini? Magari usciamo pure in quattro un giorno!”
Mi volto di scatto a guardarlo, alzando leggermente un sopracciglio e scuotendo nuovamente la testa ma questa volta in modo più deciso per essere più convincente.
“E poi non è ancora la tua ragazza!” aggiungo per distogliere l’attenzione da me e da un mio improbabile appuntamento combinato.
Pepe mi scruta come se all’improvviso mi fosse cresciuta una proboscide al posto del naso.
“Dettagli!” mi risponde sventolando una mano davanti al viso mentre con l’atra tira la zip della felpa fino al mento.
“Ma l’hai vista quant’è bella? Di sicuro le sue amiche sono dello stesso livello, non fare lo schizzinoso!”
Arrossisco stavolta, la mia tecnica a volte ha delle falle di sistema, specialmente quando sono messo alle strette.
“Non m’interessa!” sbotto disegnando in aria una croce con le dita, tanto per fargli capire che voglio che il discorso muoia all’istante.
Il mio amico aggrotta le sopracciglia, poi sgrana gli occhi come se ora avessi ben due proboscidi in faccia.
“Nel senso che non t’interessano le ragazze?”
Sì era molto meglio quando mi odiava…
Alzo gli occhi al cielo e riabbasso lo sguardo seguendo il movimento delle mie spalle che si curvano in un moto di desolazione.
“Nel senso che a me piace una in particolare e basta!” rispondo sbuffando mentre chiudo l’armadietto, con la coda dell’occhio osservo la sua reazione che mi strappa un sorriso perché sta sospirando di sollievo.
“Ah sì?! E chi è? Chi è?” m’incalza ora sbattendo l’anta del suo di armadietto, la serratura s’incastra chiudendosi con un piccolo tonfo sonoro.
E come ogni volta che involontariamente il suo ricordo è riportato dall’esterno alla mia mente, una serie d’immagini e sensazioni che riguardano solo lei prende a riempire la mia testa.
Il volto sorridente di Sanae.
Le sue piccole mani calde.
Il suo profumo.
Le labbra screpolate dal freddo.
Come se si aprisse leggermente il coperchio di una scatola colma che non vede l’ora di esplodere, così lei scivola fuori da quella fessura che la gente inconsapevole ha creato, prendendo possesso di tutto lo spazio a disposizione nella mia testa.
E come ogni volta che mi permetto di soffermarmi sulla sua mancanza, divento all’improvviso malinconico e il mio sorriso si spenge, diventando una smorfia amara, proprio come quella che sto mostrando in questo momento al mio amico, che mi osserva curioso.
“Non la conosci. Non la puoi conoscere…” rispondo arcuando un lato della bocca e sospirando, tanto vale fargli capire le cose come stanno.
“Ah! Capisco!” esclama così Pepe, che tutto è tranne che un ragazzo poco sveglio “Un problema da niente, eh amico mio?” aggiunge poi dandomi una pacca sulla spalla.
Abbozzo un sorriso di ringraziamento, poi per sviare il discorso, lo esorto allegramente ad andare al dormitorio per cambiarsi e raggiungere la ragazza dei suoi sogni.  
Pepe si rianima del suo consueto entusiasmo e agganciato lo zaino con la mano sinistra, si allontana canticchiando festoso, ma quando raggiunge la soglia dello spogliatoio, si ferma e si volta a guardarmi.
“Tieni duro amico!” esclama accentuando le parole con il pugno chiuso scosso sotto il mento, sorrido riconoscente annuendo.
“E non credere di essertela cavata con così poco, domani mi racconti ogni particolare!” aggiunge sghignazzando facendomi l’occhiolino, prima di scoppiare a ridere e scomparire oltre la porta.
E ora che sono rimasto solo, avverto ancora di più la sensazione di vuoto che mi ha colto solo qualche minuto fa.
A testa china, cercando di non pensarci, carico il borsone sulla spalla e mi dirigo veloce fuori.
Attraverso la soglia dello spogliatoio e istintivamente mi guardo intorno, come se inconsciamente avessi spostato il mio presente in un altro posto, in un altro momento.
Ma nessun suono rompe il silenzio che mi circonda, non c’è nessuno ad aspettarmi e mi sento improvvisamente solo.
E come a non volerci credere, rimango imperterrito ad ascoltare, nell’attesa assurda di sentire la sua voce che mi chiama per tornare a casa.
Abbasso lo sguardo sul terreno e faccio lo stesso con la vista, aspetto che un’ombra si avvicini a me per prendermi per mano, ma i secondi passano e l’unica immagine davanti ai miei occhi rimane quella dell’erba tinta di rosso dai raggi del tramonto.
Rialzo lo sguardo e osservo il campo.
Ascolto il silenzio e mi chiedo se mi abituerò mai a tutto questo.
Mi siedo a terra senza staccare lo sguardo dalla porta vuota, la rete dondola mossa dal vento.
Mi sdraio e appoggio la testa al borsone che ho sistemato sotto la nuca.
E solo ora chiudo gli occhi, cercando nei ricordi tutto quello che mi viene negato ma di cui sento follemente il bisogno.



“Certo che Kumi è davvero carina, eh?” esclama Taki con un sorriso, osservando la ragazza, che poco distante, strofina forsennatamente una divisa sporca d’erba.
I ragazzi seduti attorno a lui annuiscono ridacchiando divertiti.
“Beh dobbiamo proprio rendere giustizia alle nostre manager! Siamo stati fortunati, nessuna delle tre è una cozza inguardabile, anzi!” aggiunge Kisugi alimentando ancora l’ilarità generale, perché ora tutta la squadra scoppia allegramente a ridere.
Anch’io lo faccio mentre in piedi dietro di loro, sorseggio dell’acqua minerale e mi tampono la fronte sudata con i lembi dell’asciugamano che ho intorno al collo.
Li ascolto in silenzio, mentre presi dall’euforia, trascinano il discorso inevitabilmente sulle ragazze in generale.
“Ma secondo voi come dovrebbe essere la ragazza ideale?” chiede innocentemente Morisaki, le guance colorate di rosa per l’imbarazzo, che mi fa pensare che al mondo esista un ragazzo più timido di me in queste cose, ringraziando il cielo.
“L’importante è che sia carina e gentile!”
“Deve avere i capelli lunghi, lisci e il naso all’insù!”
“Non deve essere noiosa e nemmeno appiccicosa! Sai che palle se no!”
“Per me c’è solo un requisito importante da tener conto!” esclama all’improvviso nella confusione Ishizaki, i miei compagni si ammutoliscono e si voltano a guardarlo.
Ryo rimane ancora per qualche secondo in silenzio, sguardo basso, testa inclinata e braccia incrociate.
“Una bella coppa C! Ma anche una D non mi dispiacerebbe!” aggiunge poi ridendo e facendo con le dita il segno di vittoria, tutti scoppiano di nuovo a ridere aggiungendo commenti sulla stessa linea della sua bella uscita.
Io approfitto del momento di delirio per tagliare la corda, per quanto mi riguarda, mi sono trattenuto fin troppo, me ne sarei dovuto andare già dal momento in cui le ragazze sono diventate l’argomento di conversazione.
Perché non fanno per me questo genere di discussioni, gli altri finiscono sempre per mettermi in mezzo e faccio delle figure di merda da guinness dei primati.
Così mi volto silenziosamente prendendo di nuovo la direzione del campo, con la ferma intenzione/scusa di fare ancora qualche tiro, perché se il mio obiettivo è vincere il campionato delle medie per il terzo anno consecutivo, devo allenarmi, allenarmi e ancora allenarmi.
Ma faccio in tempo ad allontanarmi di soli tre passi, perché mi sento chiamare per nome a squarciagola.
“Ehi non ci hai ancora detto come la pensi tu, capitano!”
Izawa ma i cazzi tuoi mai, eh?
Mi fermo senza voltarmi, alzando gli occhi al cielo e già so che le mie guance sono diventate probabilmente di quel colore tanto di moda tra le ragazze ma che io odio, il fucsia.
E mentre sto elaborando mentalmente una risposta sensata e possibilmente non ridicola, che possa tirarmi fuori da queste cose che detesto e che magari non mi faccia fare la solita figura da imbecille, il buon Ishizaki interviene al posto mio con una delle sue perle, che di solito ottengono il risultato di rendermi proprio ridicolo e imbecille.
“Tanto li conosciamo già i gusti di Tsubasa, vero ragazzi?”
Appunto…
E giù tutta la squadra che mi ride dietro, bel rispetto per il vostro capitano!
Sbuffo ignorandoli e afferrando con la mano destra la cesta dei palloni, la trascino malamente dietro di me finché non raggiungo il cerchietto dei calci di rigore.
Posiziono il primo pallone e prendendo una piccola rincorsa, lo calcio cercando d’imprimere effetto alla palla, che s’insacca all’angolo sinistro della porta.
Vado avanti così meccanicamente per un paio di volte, ma la mia mente non si scollega dai discorsi dei ragazzi di poco fa.
La ragazza ideale.
Come piace a me…
Involontariamente il mio sguardo si sposta dalla porta al bordo del campo.
E si posa su Sanae.
Mi fermo a osservarla mentre parla animatamente con la Nishimoto, di tanto in tanto sorride, sembra una conversazione divertente ma che comunque non m’interessa, preso, sì preso, come sono da fissare il suo sorriso.
Arriccia il naso quando questo si trasforma in una risata allegra, le gote si colorano di un tono di rosso così caldo, da farmi pensare che non è poi così male arrossire.
Perché quando è lei a farlo, non c’è nulla di ridicolo o stupido, è solo… bello.
E mi viene da sorridere, ancora un’altra azione che non sto gestendo io, mentre la guardo e mi sprono a distogliere lo sguardo, riprendendo un pizzico di lucidità, solo quando mi rendo conto che la sto fissando già da un po’.
Imbarazzato, ma con ancora quel sorriso da stupido che sento tirarmi le guance, riprendo ad allenarmi e un pallone dietro l’altro finisce in porta fino a svuotare la cesta.
Per riempirla di nuovo e svuotarla ancora, sentendo il sudore sulla fronte e la fatica che mi mozza il fiato.
Ancora e ancora, imperterrito ne insacco un altro, cercando subito con lo sguardo il successivo pallone da posizionare sul dischetto.
“Tsubasa!” mi volto in direzione della voce che mi ha chiamato, la sua voce.
Sanae si avvicina a me, non indossa più la tuta da manager noto ma l’uniforme scolastica e in mano stringe la cartella.
Stordito, mi guardo intorno e mi rendo conto che al campo non c’è più nessuno, in lontananza infatti posso scorgere gli ultimi ragazzi della squadra, anche loro docciati e cambiati, in prossimità dei cancelli.
“Ma che ore sono?” le chiedo perplesso, grattandomi una tempia con l’indice.
Sanae scoppia a ridere divertita, scuotendo la testa e i suoi capelli ondeggiano delicati intorno al suo viso sorridente.
“Vai a cambiarti, è tardi! Ti ho lasciato un asciugamano pulito davanti al tuo armadietto!”
E a me non resta che annuire imbarazzato, grattandomi il ciuffo ribelle sulla nuca, sia per la mia palese mancanza di attaccamento alla realtà quando si tratta del pallone che, devo ammetterlo, per i pensieri che mi hanno per un po’ distolto dal mio allenamento.
“Ok vado… Grazie per l’asciugamano!” borbotto cercando di sfoderare un sorriso convinto e quando sto per salutarla, Sanae mi anticipa mettendomi al corrente di come la squadra e le manager sia siano nel frattempo organizzati per passare la domenica, ossia domani, tutti insieme al Luna Park.
“Vieni anche tu?”mi chiede alla fine del discorso, così a bruciapelo, la testa leggermente inclinata di lato e il sorriso più incoraggiante che potesse fare.
“Mi spiace ma domani avevo deciso di allenarmi comunque!” rispondo anche fin troppo sinceramente, perché è davvero il programma che mi sono prefissato per la domenica di riposo.
Sanae sorride ancora, ma in modo diverso mi pare e annuisce.
“Io vado allora, sbrigati e torna a casa anche tu!” mi esorta e con un gesto della mano, mi saluta voltandosi.
E non so nemmeno io che mi prende, perché all’improvviso sento una sensazione molto simile al panico, molto vicina a quando si pensa velocemente a qualcosa che possa rimediare a qualcos’altro andato storto.
“Sanae!” la chiamo per fermarla, lei si volta e mi guarda con aria interrogativa.
“Non penso di fare troppo tardi, domani intendo…” e lei non sa che dentro di me ho già programmato che mi alzerò due ore prima per anticipare il rientro a casa, la doccia e la corsa per raggiungerli.
Per raggiungerla.
“Magari appena ho fatto chiamo Ishizaki per farmi dire dove siete di preciso…” e prendendo fiato, leggi coraggio, aggiungo “… o chiamo te, se non ti disturbo!”
Ecco l’ho detto e imbarazzato, non so se riesco a nasconderlo ora, mi gratto di nuovo la nuca aspettando la sua risposta.
Sanae mi guarda stupita per un attimo, poi annuisce convita e i lineamenti del suo viso si distendono in quel sorriso incredibile che le illumina il volto e che mi fa pensare, non so perché, al sole d’estate.
Mi saluta di nuovo allegramente, dandomi questa volta, appuntamento per il giorno dopo ed io rimango immobile a osservarla mentre si allontana da me.
E sorrido perché a me posso dirlo, con me stesso posso ammetterlo.
Lei non è semplicemente come piace a me.
Sanae è la ragazza che credo di amare…






Semplicemente GRAZIE, OnlyHope^^




 
 

 

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Capitolo 4
*** Fermo immagine ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 4

Fermo immagine








Le manine paffute stringono i bordi delle lenzuola con così tanta forza da diventare rosse per lo sforzo mentre la piccola bocca si dilata nello sbadiglio più sgraziato che abbia mai visto.
Se escludiamo quelli di Ishizaki nelle ore di matematica ovviamente.
Mio fratello Daichi sbatte le palpebre sugli occhietti lacrimosi e mi fissa per qualche secondo aggrottando le sopracciglia spelacchiate, perplesso.
“Ciao!” esclamo sorridendogli e accennando un movimento della mano, il bambino arriccia il naso continuando a fissarmi, sempre con quell’espressione dubbiosa dipinta in faccia.
E mi chiedo se mentre mi osserva, stia capitando la stessa cosa a lui o se sia troppo piccolo per cogliere che davanti a sé c’è la sua copia identica, solo qualche anno più grande.
Perché a me fa un certo effetto vedere una mia miniatura che urla, piange e sbavetta con le mani ficcate perennemente in bocca, ma per Daichi probabilmente sono solo un estraneo al quale si deve abituare, indipendentemente dal fatto che siamo identici come due gocce d’acqua.
Come mi suona strano essere diventato un fratello maggiore, dato che me ne sono andato che di lui non c’era nemmeno il pancione di mia madre e mi viene da sorridere, perché per me è come se Daichi fosse stato trovato sotto a un cavolo o portato dalla cicogna all’improvviso.
Imbarazzato, perché sì mio fratello che non ha nemmeno un anno un po’ m’intimidisce, dato che non so assolutamente gestirlo, continuo a sorridergli nella speranza che faccia di tutto tranne che piangere, quando di punto in bianco quella sua boccuccia che solo un attimo fa era spalancata quasi innaturalmente, diventa il sorriso più carino e adorabile che abbia mai visto in vita mia.
Se escludiamo quelli di Sanae ovviamente.
Le sue braccia si distendono verso di me, le dita delle mani allargate come a sottolineare la sua tacita richiesta ed io non so proprio come fare.
Mi guardo intorno imbarazzato grattandomi la nuca ripetutamente, poi i miei occhi tornano su mio fratello che continua a guardarmi sorridente e speranzoso.
E adesso che faccio?
Di chiamare la mamma ora che si è appena addormenta non se ne parla proprio, visto che sembra non riesca ad adattarsi bene al fuso orario a differenza di papà, quindi prendendo un bel respiro, mi faccio coraggio e raggiungo il minuscolo corpicino di Daichi.
Ora che è tra le mie mani però mi sembra fin troppo delicato e fragile, tanto che arrivo alla conclusione che su ogni bavaglino, invece della scritta ‘coccolami’, dovrebbe campeggiare un bel 'maneggiare
con cura’.
Lo tiro su dal passeggino cercando di imitare i gesti di mia madre e un po’ goffamente, lo stringo al petto rimanendo immobile qualche secondo in attesa della sua reazione, perché sono sicuro che il piccoletto si rende perfettamente conto di essere tra le braccia di un emerito incapace in materia.
Daichi però si porta tranquillamente le manine alla bocca, soddisfatto di essere stato preso in braccio, perché in fondo quello era il suo unico scopo.
Così sollevato dall’assenza di urla e strilli ma ancora sicuramente per niente a mio agio, mi avvicino cauto al televisore al quale ho collegato la videocamera dei miei, prendo il telecomando e mi siedo al bordo del mio letto, facendo aderire la schiena di Daichi al mio torace.
Allungo di poco la mano verso l’apparecchio con una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Sensazione molto simile a quella che mi torturava nei miei primissimi approcci con lei, ma prima di premere il pulsante del play attendo qualche secondo.
Sto per rivedere Sanae.
Rivedere non è proprio il verbo azzeccato al cento per cento, però per me è effettivamente così, dato che dalla scorsa primavera, da quando cioè me ne sono andato, non ho più visto il suo viso se non nei ricordi.
Così ora mi sento emozionato all’idea di rivederla appunto, in carne e ossa, anche se solo attraverso uno schermo.
Di certo non sarà mai come averla rincontrata di persona, ma mi devo accontentare, perché io ho deciso di non tornare in Giappone per non interrompere gli allenamenti, costringendo i miei a partire, raggiungermi in Brasile e farmi così conoscere il mio fratellino.
Scuoto la testa, deciso a dare un taglio a questo genere di pensieri, che so portano sempre inevitabilmente a riflessioni più dolorose che ora proprio non mi va di affrontare.
Voglio solo godermi questo momento, quel qualcosa in più di lei che ho ora, rispetto al poco e niente che fa parte della mia routine, perché sono impaziente di vedere il suo viso.
Il fatto che mio padre sia fuori con Roberto e che la mamma sia collassata sul letto, arrivando quasi a russare, ovviamente la dicono lunga su quanto abbia aspettato il momento giusto per vedere questo filmato, che Daichi si sia svegliato sul più bello poco conta, visto che fortunatamente usa ancora la lingua al massimo per ciucciarsi il pollice, come in questo preciso istante.
Sorrido consapevole che è finalmente giunta l’ora di rivederla e sospirando premo il tasto sul telecomando.
La prima immagine che compare sullo schermo è quella dell’organo di una chiesa e di un palco per il momento vuoto, di sottofondo solo il rumore del borbottio della gente, mia madre che ordina qualcosa a mio padre e nel mio presente, quello della bocca di Daichi alle prese con il suo pollice.
Le luci si abbassano leggermente ora mentre da destra dei ragazzi, vestiti con delle tuniche azzurre perfettamente identiche, entrano in ordine occupando man mano tutto lo spazio disponibile.
Febbrilmente i miei occhi scrutano quelle figure alla ricerca di Sanae mentre mi chiedo, imprecando sotto voce, come mai mio padre si sia dimenticato completamente della funzione ZOOM della videocamera.
Un signore dai capelli brizzolati entra per ultimo e si siede allo strumento dalle lunghe canne grigie, le sue mani prendono a scorrere sulla tastiera e dall’organo esce una classica melodia natalizia.

*Silent night, holy night!
All is calm, All is bright
Round yon Virgin, Mother and Child
Holy Infant so Tender and mild,
Sleep in heavenly peace,
Sleep in heavenly peace.

Una figura si stacca dal coro di un passo e inizia a cantare in controcanto.  

Silent night, Holy night!
Son of God, love's pure light
Radiant beams from Thy holy face,
With the dawn of redeeming grace,
Jesus Lord at thy birth;
Jesus Lord at thy birth.


Lo zoom, finalmente, inquadra ora perfettamente il suo viso sorridente…
Il telecomando mi scivola dalle mani, per fortuna non faccio lo stesso con mio fratello, lo recupero prima che tocchi terra e velocemente premo il tasto pausa.
Osservo lo schermo senza che nella mia testa riesca a formulare un solo pensiero di senso compiuto, mi viene solo da ripetere il suo nome mentre i miei occhi sono calamitati sul suo volto.
E mi rendo conto che potrei rimanere a fissarlo all’infinito se non fosse per la smania che ho di avere anche altro di lei.
Faccio ripartire il nastro e la stanza si riempie della sua voce calda.
Ascoltandola mi sembra di tornare indietro nel tempo, quel suono melodioso nel pronunciare il mio nome o nel leggere ad alta voce in classe un brano di letteratura inglese.
O quelle poche volte che l’avevo già sentita cantare, al karaoke nei rari pomeriggi senza il pallone.
Se ci riuscissi chiuderei gli occhi ora, per lasciarmi cullare dalla sua dolce voce, ma proprio non riesco a staccarli dallo schermo e dalla sua immagine.
E non ho parole ora Sanae, semplicemente non me ne servono.
Devo solo guardare, guardarti.
Sentire la tua voce e sentire amplificato quello che provo per te.





“Dici che ce l’abbiamo fatta?”
Alzo le spalle per rispondere a Pepe, non tanto per insicurezza, ma per non deconcentrarmi da Roberto, che esamina per un’ultima volta il foglio con appuntata la formazione della squadra, che affronterà la prossima partita di campionato.
Il suo volto è una maschera di serietà dalla quale non traspare nulla, a me non resta che aspettare in silenzio, forte però del fatto che, questa volta, sono convinto di aver dimostrato che merito di poter giocare da titolare e dal primo minuto.
Roberto schiarisce la voce e nello spogliatoio cala il silenzio più assoluto, il mio cuore accelera i battiti quando inizia a elencare i giocatori partendo da porta e difesa.
La squadra è rimasta invariata rispetto alle altre partite finora, serro le labbra in una smorfia impaziente, facendomi un po’ prendere dalla tensione e dentro di me sto già elaborando in piano di allenamento peggiore del precedente, tanto per ottimizzare il tempo e non farmi trovare impreparato da una mia eventuale esclusione dalla rosa.
“Tsubasa!”
Non distolgo lo sguardo dall’allenatore, nemmeno un battito di ciglia tradisce la mia emozione mentre il mio cuore batte martellando contro il petto.
“Numero dieci, complimenti!”
E nonostante me lo sentissi, nonostante sapessi davvero d’aver dato il massimo in questi mesi, non riesco a trattenere un’esclamazione mista a gioia e stupore, che prende il posto dell’espressione da duro, che ho cercato di mantenere fino a questo momento.
Mi avvicino a Roberto, che mi osserva soddisfatto e compiaciuto, per ricevere dalle sue mani la mia maglia da titolare nuova di zecca.
Il mio di sguardo si posa ora concentrato sulla stoffa bianca tesa verso di me, sulla quale campeggia il mio nome e il mio adorato numero dieci.
Afferro la maglia con decisione, come se mi appropriassi di qualcosa che mi aspettava di diritto per le mie qualità e per tutta la fatica che ho fatto in questi anni e ritorno al mio posto continuando a fissarla, distratto solo da Pepe, che mi sorpassa euforico, dandomi una pacca sulle spalle, per andare a prendere la sua maglia del Sao Paulo.
Ce l’ho fatta!
E immagino il viso dei miei appena metterò piede a casa, felice della fortunata coincidenza che li vede ancora qua in Brasile con me e in momento così importante.
Ce l’ho fatta!
E immagino, perché in questo caso solo questo posso fare veramente, quando lo saprà Sanae e quanto potrà essere orgogliosa di me.





Scarto il pacchetto color sabbia con impazienza e quando ne estraggo il contenuto, sorrido perché forse ho proprio esagerato stavolta.
Sfoglio le foto velocemente e con aria professionale, come se volessi sincerarmi della qualità della stampa, quando in realtà sono semplicemente euforico.
Non che non mi ci sia voluta una buona dose di coraggio per chiedere a Pepe di estrarle dal filmato e stamparne una quantità industriale senza badare a spese, ho ancora impressa nella mente la sua espressione divertita quando mi ha letteralmente strappato la chiavetta usb di mano, stanco della mia titubanza.
Appallottolo la carta con una mano e la lancio in aria, con un colpo di tacco finisce sulla mia scrivania accanto al pacco che manderò a Sanae via mamma Natsuko.
Osservo il pacchetto confezionato con cura continuando a stringere le mie preziose foto tra le mani e ringrazio mentalmente mia madre per avermi assolto dal compito di preparare il mio regalo, perché di certo da solo non avrei ottenuto lo stesso risultato veramente grazioso e femminile.
Prima di allontanarmi, sfioro con le dita la carta colorata immaginando l’espressione del volto di Sanae nel momento che si ritroverà tra le mani la mia sorpresa.
Perché avrei potuto darle la bella notizia subito, ma scrivere un paio di righe su una mail non mi sembrava sufficiente a esaltare l’importanza della mia promozione che tanto mi…
Ci è costata.
Non potrò godermi dal vivo la sua reazione, ma so già che così sarà perfetto, come se le facessi un doppio regalo.
Sorrido soddisfatto tornando a sfogliare le sue foto e mi dirigo con decisione verso la parete che circonda il mio letto, armato di puntine da disegno e nastro adesivo.
Salgo a piedi nudi sul materasso, lasciando sul pavimento un tappeto di poster e gagliardetti che ho dovuto rimuovere per far posto a lei e con precisione inizio a tappezzare il muro di sue immagini, soprapponendole appena le une alle altre, nei bordi, per recuperare più spazio.
E ogni volta che le mie mani sfiorano i suoi capelli, il suo viso o gli occhi, è come se riuscissi ad accarezzarla, come sei lei fosse davvero qui.
Perché è proprio questa la sensazione che ho, come se per oggi riuscissi ad averla con me, come se fosse realmente nella mia stanza.
Attacco l’ultima foto e indietreggiando fino al bordo del letto, osservo soddisfatto il mio lavoro.
So che tutto questo mi costerà un periodo più o meno breve di continue prese per il culo e sorrisetti allusivi da più elementi, compresa quella tremenda di mia madre, ma proprio non m’importa, ne vale troppo la pena.
“E adesso il tocco finale…” sussurro, posando gli occhi di lato, accanto alla finestra, su una porzione di muro che ho volutamente tenuto libera.
Con un salto scendo dal letto e mi avvicino alla mia borsa, ne estraggo un plico più grande, imballato sempre con la stessa carta color sabbia.
Con delicatezza, aprendo i bordi incollati, faccio scivolare un ingrandimento racchiuso dentro una semplice cornice a giorno e mi avvicino a quello che ho deciso sia il suo posto d’onore.
L’appendo al muro sfruttando il chiodo del calendario, che ora giace per terra, in mezzo tutte le altre cianfrusaglie che non mi servono più.
Indietreggio di un passo per osservare meglio il suo volto sorridente e mentre delineo attentamente i suoi lineamenti, mi sento invadere dalla malinconia.
La nostalgia poi prevarica dolcemente qualsiasi altra sensazione nel mio cuore, perché questa che ho davanti agli occhi è l’espressione di Sanae che preferisco.
A differenza delle altre foto più piccole, ho scelto appositamente questo fermo immagine, perché qui riesco a riconoscere perfettamente la ragazza di cui mi sono innamorato.
Le sue gote sono imporporate per l’emozione, i suoi occhi arcuati, brillano radiosi e il suo sorriso…
Il suo sorriso è semplicemente meraviglioso.
Lo sfioro con le dita tendendo il braccio, come se potessi raggiungerla davvero.
E sento ancora di più quanto mi manchi da morire.







*Silen Night – Joseph Mohr  (1818)

Come prima cosa mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo!^^’
Doveva essere on line a Natale ma una serie di circostanze, fortunate e no, mi ha tenuta lontana dal PC. Volevo sinceramente ringraziare chi ha segnalato le mie storie, compresa questa, per la sezione delle Scelte, anche se non trovo davvero le parole adatte per esprimere al meglio la mia gratitudine. Un grazie anche a chi ha recensito fin a d’ora, a chi ha messo la storia tra le preferite e/o in quelle seguite. E un ringraziamento speciale va a Eos75 per aver accettato (non con l’accetta xD) la mia Sanae e soprattutto il mio Tsubasa, non immaginando quanto questo mi inorgoglisca!^^
Questo capitolo è dedicato alle mie amiche speciali di Internet che spesso trascuro causa forza maggiore (leggi ADSL singhiozzante, lavoro, impegni della mia sfera privata) ma che hanno un posto speciale nel mio cuore…
E a proposito del capitolo, chi ha letto B. sa già cosa c’è nel pacco per Sanae (tre cose in tutto), qui ho lasciato intendere la sorpresa più importante, anche se penso ci si possa arrivare facilmente, se non fosse così, andatevi a leggere il capitolo 8 di Butterfly “Cose inaspettate” per scoprire i regali di Tsubasa! ^_______^

Un abbraccio, a presto…  OnlyHope^^

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Capitolo 5
*** Sensi ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 5

Sensi









Sto facendo molto probabilmente violenza a me stesso in questo momento.
Mi costringo a rimanere immobile una manciata di secondi tra la folla ad osservarla, senza che mi scorga, mentre spaesata si guarda intorno abbassando gli occhi, ad intervalli regolari, sull’orologio da polso.
In questo periodo d’attesa, che va dalla mail che annunciava il suo arrivo a stamattina che ho varcato la porta di casa, ho passato le mie giornate confuso da una sorta di euforia adrenalinica costante.
Giorni interi sono passati con un unico obbiettivo nella mia mente ovvero arrivare a questa data, che nel calendario appeso in cucina, è evidenziata con un enorme cerchio, marcato più volte, di un rosso cangiante.
E stranissimo a dirsi ma me n’è importato un po’ meno di tutto in questo lasso di tempo: degli allenamenti, delle prese per i fondelli di Pepe, quando mi beccava, con la testa tra le nuvole, in un momento in cui avevo abbassato la guardia e delle risatine allusive di Roberto, ogni qual volta incontravo il suo sguardo tra le pareti domestiche.
Ma oggi il gran giorno è arrivato e dopo aver corso come un matto, per coprire la semplice distanza tra l’autobus da cui sono sceso all’ingresso dell’aeroporto, mi sono bloccato, appena i miei occhi l’hanno riconosciuta tra la folla, improvvisamente nervoso.
Piacevolmente nervoso.
Fino ad un minuto fa ero convinto di sapere cosa avrei provato nel momento che l’avrei rivista, ma ora so che era solo l’infinitesima parte di un tutto che non so spiegare.
Ho solo sedici anni e mezzo, ho pochissima dimestichezza nelle faccende amorose e ho provato qualcosa per qualcuno, solo una volta in vita mia e solo per Sanae, quindi non riesco davvero a definire tutto quello che si sta muovendo dentro di me.
Ma quello che sento lo so riconoscere.
E’ l’accelerazione del mio battito, che manda in circolo il sangue ancora più velocemente nelle vene e che mi fa sentire caldo al viso.
E’ quel sorriso, che proprio non vuole sentirne di distendersi e di tornare normale, nemmeno per un attimo.
E’ quella vocina dentro di me che mi sta dando dell’idiota, a stare ancora fermo qui in disparte ad osservarla.
E’ quella spinta che cresce, che sale e che mi fa tendere verso di lei.
Finalmente decido che la tortura, se pure piacevole, può arrivare a termine e con passo deciso, mi appresto a coprire la distanza che ci separa, senza comunque distogliere lo sguardo da lei.
Il suo volto si gira e all’improvviso i suoi occhi incrociano i miei.
E quel tutto dentro di me prende a vorticare come un uragano nel mio petto.
La raggiungo fermandomi giusto a un passo da lei e le sorrido.
“Ciao, benvenuta!”
Lei abbassa gli occhi ora, emozionata.
Solo qualche secondo e la spinta mi permette di stringerla tra le mie braccia.
Ora sento il suo profumo, la consistenza del suo corpo tra le mie mani e la sua risata felice nelle mie orecchie.
Il tutto smette all’improvviso di girare e si blocca per un attimo, poi esplode nel mio petto, diffondendosi uniformemente in tutto il mio corpo.
E mi accorgo che basta semplicemente solo una parola per descrivere questa sensazione.
Felicità.






Alzo il viso verso il sole caldo, i suoi raggi bollenti mi scaldano e non reprimo un sorriso soddisfatto.
Ieri ero quasi entrato nel panico, in pratica in una sola giornata avevo esaurito i posti dove portare Sanae poi un’illuminazione, davanti al suo albergo, mi ha riportato la calma.
Una giornata in spiaggia.
Perché in fondo il Brasile è famoso anche per questo, no?
Osservo per un secondo la confusione generale che ci circonda poi con fare deciso, afferro il mio borsone da calcio e tiro fuori gli asciugamani da stendere a terra.
L’operazione mi ruba solo qualche secondo e il risultato non è un granché ma questi sono solo dettagli, rispetto al resto.
Già, perché da ieri ogni cosa mi sembra superflua, se paragonata alla sensazione di benessere, che ho ritrovato stando vicino a Sanae.
Come quando ero in Giappone, come se non ci fossimo mai separati.
Felice ma accaldato, decido di togliermi la maglia e di tornare a dedicarmi a lei, che se ne sta in silenzio, già da un po’, alle mie spalle.
Mi volto disinvolto senza chiamarla, solo con l’intenzione di raggiungerla ma stavolta, non è la mia volontà a bloccare i miei movimenti, ma qualcos’altro.
Sanae non indossa più la maglietta ma solo un semplice bikini rosso, allacciato sul collo e sulla schiena, da fascette dello stesso colore ma nere sotto.
Le sue mani ora fanno scivolare la gonna corta lungo in fianchi, la seguo cadere a terra, come ipnotizzato.
Continuo ad osservarla mentre di spalle riordina gli indumenti accanto all’asciugamano, la sua pelle candida è un bellissimo contrasto con le tinte decise del suo costume.
Questo particolare mi ridesta dal mio torpore per un attimo e mi ricordo della protezione solare, che le ho comprato prima di andare a prenderla in albergo.
“Ti ho preso la crema, tieni.”
Sanae si gira, risponde al mio sorriso ringraziandomi e si volta di nuovo.
Involontariamente mi ritrovo a fare lo stesso e a compiere lo stupido ed inutile gesto, di risistemare gli asciugamani a terra.
Mi sento improvvisamente impacciato, mentre tiro, senza prestarci attenzione, gli angoli di cotone colorati della spugna, ma allo stesso tempo sono fortemente attratto da ciò che è alle mie spalle.
Cercando di fare l’indifferente, sbircio tentato con la coda dell’occhio in direzione di Sanae e di nuovo sono assalito da quella sensazione di intontimento di poco prima.
Rimango immobile a fissare le sue mani che spalmano la crema sul collo, poi le seguo scendere lente sul petto, lungo l’attaccatura del seno.
Deglutisco, rendendomi conto pienamente solo ora di quanto lei sia diversa, di quanto sia cambiata rispetto all’ultima volta che l’ho vista, ormai quasi due anni fa.
Continuo a fissarla mentre ignara fa scorrere le dita sul ventre piatto, le gambe snelle, fino a risalire i fianchi morbidi.
Nella mia testa riemerge involontariamente il ricordo delle sue labbra sulle mie, la notte prima, davanti al suo albergo.
Per un secondo solo, il contatto della sua bocca.
Sanae ora cerca invano di raggiungere la sua schiena ma con scarsi risultati.
“Vuoi una mano?” e non mi capacito subito di aver parlato, il tono della voce un po’ incerto però è proprio il mio.
Le sorrido impacciato quando si volta, in attesa di una sua risposta.
Sanae mi ringrazia accettando il mio aiuto e veloce si gira di nuovo di spalle.
Mi avvicino alla sua schiena, prendo il tubetto che mi porge da sopra una spalla poi le sue mani raccolgono i capelli all’altezza della nuca, scostandoli di lato.
Di riflesso, senza che ci sia mia volontà, o forse mi sbaglio, ce n’è pure troppa, raccolgo una ciocca ribelle sfuggitale e l’appoggio oltre la sua spalla.
Mi ritrovo per qualche secondo ad osservare la sua schiena nuda, avvertendo una sensazione di caldo ancora maggiore in tutto il corpo.
Deglutendo di nuovo, raccolgo una noce di crema sul palmo della mano poi con delicatezza, come se stessi toccando qualcosa di troppo bello per essere raggiungibile, le mie dita sfiorano la sua pelle candida.
Sorrido quando Sanae rabbrividisce a contatto con la crema fredda ma più per non pensare alla tensione che sento, che per divertimento.
Le mie mani scivolano sulla sua schiena, sulle spalle e credo che il mio cuore stia andando in aritmia.
Non mi sono mai sentito così, mai in vita mia ma è una sensazione che mi piace e più sento il contatto con la sua pelle, sotto le mie dita e più mi rendo conto che non vorrei smettere mai di toccarla.
In questa bolla nel quale il mio cervello si è isolato c’è solo la percezione incredibile di Sanae, del contatto con lei.
Mi sveglio da questo stato solo quando ho la percezione che i miei sensi, seguiti fedelmente dai miei gesti, mi stiano portando a fantasticare un po’ troppo.
“Fatto!” esclamo all’improvviso, staccando le mie mani dalla sua pelle, come se questa fosse fatta di carboni ardenti e mi allontano di qualche passo, cercando di ritornare in me.
Scombussolato dalle mie sensazioni mi do mentalmente del cretino.
Sanae si volta ed io per il momento continuo a guardarla, poi preso dall’imbarazzo distolgo lo sguardo, che si abbassa sulla sabbia dorata.
Ma mi rendo conto ben presto di non poter fare a meno di posarlo ancora su di lei, combattuto da questa strana sensazione, che si è fatta strada dentro di me.
Questa emozione che comunque, nonostante l’imbarazzo, mi spinge ad avvicinarmi di nuovo a lei, goffamente, ma con una strana sicurezza in contrasto.
“Facciamo il bagno?” chiedo accarezzando la nuca con una mano e sorridendole, pregustando il momento che ci porterà ancora vicini.
Sanae annuisce rispondendo al mio sorriso, poi tende la mano, che stringo felice mentre mi avvicino alle onde calme dell’oceano.






Ho baciato Sanae altre volte o almeno così credevo, fino ad oggi.
Ho sentito altre volte salire quel brivido lungo la schiena, un attimo prima di sforare le sue labbra, ma non ne avevo mai provati una cascata percorrere tutto il mio corpo.
Conoscevo la morbidezza della sua bocca ma ignoravo quanto potesse essere incredibile il suo sapore, quanto potesse sembrarmi sconosciuto ma allo stesso tempo, l’unico gusto certo mai provato.
Sapevo che se l'avessi abbracciata, avrei sentito un calore rassicurante pervadermi ma solo ora posso affermare di conoscere come brucia l’inferno e che non è poi così male.
Avevo una cotta per lei, poi mi sono innamorato ma ora lo sento davvero che è così.
Il tutto è dentro di me, il tutto ora è tra le mie mani.
Domani svanirà, ma non ci posso pensare.
Dimentica gli aerei Tsubasa, scordati dei continenti.
Cancella il tempo, lo spazio ed elimina la distanza.
Stringo più forte le braccia intorno al suo corpo, le mie dita immerse nei suoi capelli.
Il suo respiro si fonde con il mio, il suo sapore è il mio.
Sento...






Sono passate appena tre ore dal mio rientro a casa dall’aeroporto.
Tre ore che già sembrano giorni, non capisco poi come sia possibile.
Mi guardo intorno un po’ spaesato, all’idea che solo ieri Sanae era in questa stanza e mi distendo sul letto sopraffatto dalla solitudine.
Mi giro a guardare il suo volto che mi sorride dalla parete, perché è a questo che devo necessariamente tornare.
Respiro col naso all’insù, come se volessi sentire nell’aria tracce del suo odore, tracce della sua presenza, del suo passaggio nel mio mondo.
Sorrido amaramente a quest’ultimo pensiero, perché a partire da ora so che i nostri mondi effettivamente non coincidono più.
Non che prima non ne avessi idea ma ora che l’ho rivista, tutto mi pare più netto all’improvviso.
Un sospiro desolato sgonfia d’aria il mio torace e per l’ennesima volta, da quando ho rimesso piede nella mia camera, faccio partire il cd che mi ha lasciato Sanae poco prima di salire sull’aereo, che la sta riportando in Giappone.
Le note del piano riempiono di nuovo la stanza e la sua voce calda torna a cantare ancora per me, come se sussurrasse al mio orecchio.
Chiudo gli occhi ascoltando le parole nate dal cuore di Sanae.
Non ha assecondato le sue paure, non ha preteso di tenermi sotto vetro.
Ha aperto le sue mani e mi ha guardato spiccare il volo.
I miei genitori mi hanno dato delle ali quando sono nato, lei le ha trasformate in quelle di una farfalla.
E non può pretendere che lacrime smettano di riversarsi sul suo viso, né che il dolore la sovrasti ma resiste e torna ogni volta a dirmi addio, perché vuole che io sia libero di diventare ed essere, ciò in cui credo.
Mentre sento la sua voce incitarmi ancora a volare con le mie ali di farfalla, compro gli occhi per nascondere la lacrima che sento scendere a bagnarmi una tempia.
Sì Sanae…
Aprirò le mie ali…
E volerò…
Come una farfalla…










In questo capitolo ho fatto un grosso salto temporale, visto che gli avvenimenti che ho riassunto si verificano in Butterfly nei capitoli 12 e 13.
In B. avevo bisogno di creare da zero la vita di Sanae dopo la partenza di Tsubasa, mentre in Fly Away non ho questa necessità visto che gli obbiettivi di quest’ultimo sono ben noti a tutti.
Tsubasa qui è cresciuto e si trova per la prima volta ad avere a che fare con la fisicità dei sentimenti, emozione che amplificherà ancor di più d’ora in poi la distanza che lo separa a Sanae.
Nel finale ho deciso di non riproporre il testo di “Butterfly” ma semplicemente di far esprimere a Tsubasa i concetti fondamentali perché in fondo sono quelli che lo riguardano e che riguardano l’amore di Sanae.
Spero di trovare al più presto altri ritagli di tempo che mi permettano di andare avanti più velocemente, nel frattempo ringrazio ancora di cuore tutte quelle persone fantastiche che seguono la storia e chi ha speso un po’ del suo tempo per farmi avere, privatamente e non, le sue impressioni.
Questo capitolo in particolare è per Sara che inconsapevolmente mi ha aiutata a metterlo su “carta”… chissà se si ricorderà mai… ^______^
Grazie ancora per l’attenzione,
OnlyHope^^

















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Capitolo 6
*** Buon compleanno ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 6

Buon compleanno







Ma come ho fatto a farmi convincere?
Mi guardo intorno un po’ spaesato, circondato da monili di ogni tipo e di ogni fattura, i borsoni da calcio vicino alla porta d’ingresso due note stonate, che proprio non c’entrano nulla in questa specie di bazar.
Pepe discute vivacemente con la ragazza del negozio, da ormai un quarto d’ora, mentre lei sciorina tutte le qualità dei sui prodotti artigianali, unici nel suo genere.
Ora gli sta mostrando un bracciale con tante pietruzze colorate come ciondoli, fatto con le sue stesse mani, Pepe mugugna in silenzio mentre lei continua a gesticolare entusiasta, con movimenti che mettono continuamente in scompiglio la lunga chioma riccia, tenuta malamente a freno da una fascia colorata.
Attendo la risposta del mio amico, osservando il suo volto serio mentre rigira il bracciale tra le dita, sconsolato, emetto un sospiro quando lo vedo scuotere la testa chiedendo di vedere altro.
La ragazza, che scopro chiamarsi Dinà, non si scompone ma orgogliosa, prende a stendere un’altra infinita serie di sue creazioni sul banco.
Ma quanto ci vuole a prendere un cavolo di regalo?
Mi metto così a curiosare per il piccolo negozio, tanto per ammazzare il tempo, sentendomi però come un elefante in una cristalleria, tanto è pieno di roba estremamente fragile.
Passo vicino a un piccolo tavolo, che mi arriva poco sotto a un fianco e osservo dei vasi di varia misura, tempestati di vetri colorati, a fianco una mensola trabocca di scatole quadrate, più o meno grandi, decorate alla stessa maniera.
Mi avvicino poi a una bacheca, dove sono esposti dei ciondoli dalle forme più disparate: dai delfini alle stelle marine, dai segni zodiacali ai fiori tropicali e no.
Più li guardo e più non ne capisco assolutamente niente, ma mi sembrano carini o meglio, credo che a una ragazza potrebbero proprio piacere.
Mi allontano sorridendo, pensando alla reazione di Sanae in mezzo a tutto questo femminile ben di Dio, quando, con la coda dell’occhio, noto qualcosa che attira la mia attenzione.
Un piccolo ciondolo diverso da tutti gli altri, che superficialmente non avevo notato.
Prendo in mano il piccolo oggetto, la sua forma di farfalla mi strappa un altro sorriso ma stavolta un po’ malinconico.
Lo faccio dondolare, prendendo l’anellino, che serve per appenderlo, tra pollice e indice, le ali decorate di cristalli incominciano a brillare, proprio come se stessero sbattendo nell’aria.
“Dinà?” chiamo senza pensarci due volte e dando direttamente del tu confidenziale alla ragazza del negozio, che è anche più grande di me, ma ormai sono abituato a non usare le buone maniere giapponesi in Brasile.
“Dimmi!” mi risponde con un sorriso solare sul viso mulatto.
Mi avvicino di qualche passo e le porgo il ciondolo.
“Avresti anche una catenina per questo?”
“Lo prendi?” mi chiede allegra, sistemando meglio l’oggetto nel palmo della sua mano, un po’ come se fosse un vero essere vivente.
Annuisco sorridendo, la ragazza mi chiede di aspettare un attimo e si sposta nel retrobottega.
E non so perché, ma mi sento all’improvviso contento per una cosa forse un po’ stupida.
Sto comprando un regalo per una persona che non ho assolutamente modo di vedere, regalo che rimarrà in camera mia per non so quanto tempo.
Ma questo mi rende felice.
Solo ora mi accorgo che Pepe mi sta osservando con aria perplessa.
“Che c’è?” chiedo sbattendo le palpebre.
“Che hai comprato?”
“Un regalo!” rispondo sfoderando un sorriso allegro.
“Per chi?”
Rispondo ancora, ma stavolta abbassando le spalle ed emettendo uno sbuffo.
“Dammi una mano se sei così bravo!”
“Non sono bravo a fare regali!”
“Sì che lo sei!Ci hai messo un minuto!”
“E’ il tuo regalo, pensaci da solo!”
Dinà rientra dal retro in questo istante, Pepe grugnisce scocciato, tornando ai suoi monili.
“Ecco qua! Ti piace?” mi chiede la ragazza, dondolando davanti al mio naso il ciondolo appeso a una fine catenina d’argento, le ali brillanti riprendono a volare.
“E’ perfetto!” esclamo, annuendo soddisfatto.
Dinà sorride compiaciuta mentre prende della carta velina e inizia ad avvolgerla delicatamente, intorno alla farfalla di cristalli.
“Ti farò un bello sconto per la decisione con cui hai scelto!” esclama poi mentre posa il piccolo involucro bianco dentro una scatolina di carta da zucchero colorata, un sorriso divertito rivolto al mio amico, che nel frattempo ha rialzato lo sguardo imbronciato su di noi.
“Pure a me lo farai! Sono il tuo migliore cliente!”
Dinà scoppia a ridere dandogli del moccioso perditempo.
“Dovresti prendere dal tuo amico asiatico!” aggiunge poi ghignando contro Pepe, che inizia a blaterare su quanto questa frase abbia davvero poco senso.
E sorrido anch’io divertito, perché in fondo, ha ragione lui.
Consigliare a qualcuno di prendere da me per le faccende di cuore, è una cosa che fa oggettivamente ridere.





“Come immaginavo! E’ una semplice lesione di primo grado.”
Il dottore sentenzia così, posando la mia cartella sulla scrivania, l’ecografia del mio tricipite surale, ossia polpaccio, in bella vista.
“Hai un po’ esagerato con l’allenamento, ma le fibre lacerate sono appunto meno del 5%. Dovresti farli riposare, ogni tanto, questi muscoli!”
Imbarazzato, mi gratto il ciuffo ribelle sulla nuca mentre il dottor Sampaio prende il ricettario e inizia a scrivere.
“Devi stare a riposo per almeno una settimana, poi vedremo se sarà il caso di prolungare…”
Uno sbuffo deluso esce dalle mie labbra.
Odio gli infortuni, odio dover star fermo.
Mi fa sentire inutile e non fa bene al mio umore, è l’unica cosa che non riesco a prendere poi tanto con filosofia.
Già mi vedo impaziente, tornare qui tra sette giorni, con la speranza di sentire che posso tornare a giocare.
Detesto queste situazioni, è frustrante.
“Dovrai assumere antinfiammatori e miorilassanti, ti segno qua il dosaggio e i tempi. Farai solo ed esclusivamente un po’ di stretching per accelerare il recupero del tessuto di riparazione cicatriziale. Tutto chiaro?”
Annuisco serio, prendendo dalle mani del dottore il foglio bianco con su scritta la mia condanna e lo saluto ringraziando, dandogli appuntamento tra una settimana esatta.
A passi calmi, senza alcuna fretta, attraverso il corridoio bianco che porta all’uscita, oltre il portone verde della clinica c’è Roberto, che mi aspetta appoggiato al cofano posteriore dell’auto.
Lo saluto abbozzando un sorriso mentre mi butto sul sedile, non prima di aver letteralmente lanciato il borsone nel bagagliaio.
“Non mi pare sia andata bene…” borbotta Roberto mentre mette in moto e fa retromarcia, ha l’aria davvero preoccupata.
Sconsolato gli spiego delle mia distrazione muscolare di primo grado come se stessi parlando di qualcosa d’incurabile.
Lo so che sono melodrammatico in questo momento, ma poi pian piano mi passa.
“Poteva andare peggio! Una settimana di stop è una barzelletta!”
Roberto ridacchia, tirando un sospiro di sollievo ed io mi limito ad annuire imbarazzato, rendendomi conto delle mie reazioni un po’ esagerate a volte.
Ammutolito, decido così di concentrarmi sulle immagini fuori dal finestrino, ostentando un silenzio prolungato.
Roberto mi lascia fare, senza disturbarmi e guida anche lui silenzioso, finché non arriviamo a casa.
L’andazzo rimane lo stesso per tutta la serata, finché dopo cena, non mi chiudo in camera mia di pessimo umore.
Mi sdraio sul letto a pancia in giù, sospirando rumorosamente e chiudendo gli occhi.
Inspiro forte col naso contro il cuscino, prima di riaprirli e nel mio campo visivo appare il pacchetto colorato, poggiato sul mio comodino.
“Non posso allenarmi, Sanae, e nemmeno giocare…” mormoro sospirando ancora, come se potesse realmente sentirmi e mi torna in mente l’ultimo infortunio, ben più grave però, che mi ha tenuto a riposo per un sacco di tempo, subito dopo aver vinto il terzo campionato nazionale delle scuole medie.
E mi ricordo di un pomeriggio d’estate, il giorno in cui sarebbe tornato mio padre e di noi due soli nella mia stanza.
Se almeno potessi vederti…
Ed eccola la famosa lampadina che s’illumina!
Spalanco gli occhi sorpreso dalla mia intuizione, poi facendo forza sulle braccia, mi tiro su dal letto, andando ad afferrare il telefonino, poggiato accanto al pacchetto multicolori.
Un rapido calcolo sul fuso orario e un altro per verificare le ore che avrò a mia disposizione, per andare e venire.
Sorrido beato mentre faccio partire la chiamata.
“Tsubasa?!”
Taro risponde con nella voce un mix di stupore e allegria, di sottofondo il rumore del cortile della scuola, nell’ora di pausa pranzo.
“Ascoltami! Sabato è il compleanno di Sanae, mi sono infortunato e ho deciso di farle una sorpresa!”
Taro scoppia a ridere dall’altro capo del telefono, e del mondo, avvertendomi che la Nishimoto ha già organizzato, per lo stesso motivo, una festa a casa sua.
“Perfetto! Voi non ditele niente, sabato mattina sono in Giappone!” esclamo al settimo cielo, dimentico delle mie disgrazie muscolari.
“Ok ricevuto! Ora attacca che se mi beccano sono cavoli!”
“Hai ragione! Scusa!” esclamo ridendo imbarazzato, perché a questo non avevo proprio pensato.
Ma perché lo tiene acceso lo stesso allora?
E all’improvviso credo di sapere la ragione.
“Ah! Taro!”
“Uh?”
“Ryo mi ha detto che ti sei fatto un viaggetto a Parigi. Mi sono perso qualcosa?” chiedo maliziosamente.
Il mio amico rimane in silenzio per una manciata di secondi.
“Ti racconto tutto sabato! Ciao!” e ridacchiando, chiude la comunicazione senza darmi tempo di aggiungere altro.
Osservo per qualche secondo, sbattendo le palpebre, il cellulare muto tra le mie dita poi la mia euforia si manifesta in un’allegra risata.
Felice, mi butto di schiena sul letto e per la prima volta in vita mia, colgo il lato positivo in un infortunio, che non mi permette di fare quello che amo di più, ma mi regala il tempo necessario per tornare a casa.





Casa mia.
La mia stanza.
Il mio cortile.
Sono passati due anni dalla partenza ma tutto è uguale.
Ed è fantastica la sensazione che si prova quando si ritorna, anche se per veramente poco.
Un misto di tempo mai passato e nostalgia, un mix di colori e profumi che, all’improvviso, mi circondano, risucchiandomi in una vita che non è più la stessa, ma che ora sembra sempre uguale.
La mamma si è messa a piagnucolare al telefono, quando le ho detto che sarei tornato per qualche ora, poi mi ha abbracciato stretto felice, quando ci siamo trovati faccia a faccia e infine mi ha sorriso maliziosamente, quando ha esclamato che “Certe cose si fanno solo da giovani e solo per amore!”.
Ovviamente sono scappato dalla sua vista come un ladro, imbarazzato e senza nulla di furbo da ribattere.
La sua risata divertita mi ha seguito finché non ho chiuso la porta d’ingresso alle mie spalle ma nell’istante esatto in cui ho varcato la soglia, me ne sono subito dimenticato, perché mi è sembrato di essere di nuovo il ragazzino di qualche anno fa, che scappava al campetto con il pallone al piede.
E mentre attraverso il quartiere ancora deserto nelle prime ore del pomeriggio e mi guardo intorno, sento di nuovo la contrastante impressione che tutto sia uguale ma allo stesso tempo diverso.
Ma forse sono semplicemente io a non essere più quello di prima.
Non sogno più il Brasile ora ma cerco di conquistarlo.
In lontananza scorgo finalmente la casa della Nishimoto, ovvero il luogo del nostro appuntamento, mio e dei ragazzi.
D’impatto riconosco subito le fisionomie dei miei amici, dei miei più cari amici, che mi stanno aspettando, radunati davanti al cancelletto d’ingresso.
Ishizaki si volta in questo istante verso di me, mi vede e la sua risata si dilata in quell’espressione buffa, che conosco da una vita.
“Tsubasa!” grida a squarciagola, anche gli altri si girano così per guardare nella mia direzione.
Li saluto sbracciandomi, sentendo dentro di me un’emozione fortissima.
Tempo una manciata di secondi, sono accerchiato e abbracciato in mezzo al chiasso assordante, che mi ricorda tanto, quando segnavo un goal in una partita importante e loro erano i miei fidati compagni di squadra.
“Lasciatelo animali! Così lo soffocherete e a noi serve vivo stasera!”
E’ la Nishimoto a parlare, riconosco la sua voce in mezzo alla confusione, poi riesco anche a vederla mentre si fa largo tra i ragazzi, che mi liberano così dal loro abbraccio collettivo.
“Ciao Tsubasa!” mi saluta allegra, le rispondo con un gran sorriso mentre ho ancora Ishizaki che mi penzola dal collo e Taro, che continua a darmi sonore pacche sulla schiena.
“Entriamo dentro su! Non vorrei che a Sanae fosse venuta voglia di gironzolare da queste parti e allora, addio sorpresa!”
Obbedienti e con una certa fretta, ci accavalliamo gli uni agli altri nel cortile e subito dopo, all’interno dell’abitazione.
Una volta riuniti in soggiorno, tutti seduti in circolo come quando facevamo una pausa durante gli allenamenti, i ragazzi prendono a domandarmi qualsiasi cosa sulla mia vita calcistica in Brasile.
Rispondo alle loro domande di buon umore, facilitato dall’argomento e dalla sensazione incredibile di benessere che mi circonda, perché mi sento davvero a casa, in questo momento.
Non tralascio nessun particolare, nemmeno il più stupido e il mio racconto, partito dalla mia solitaria partenza, che ho menzionato proprio per permettermi di scusarmi, è giunto all’ultima partita di campionato, vinta contro il Cruzeiro e al mio sciocco infortunio durante gli allenamenti, senza che mi rendessi conto del tempo che scorre.
“Così ho approfittato per venire un po’ in Giappone!” concludo ridacchiando e grattandomi la testa.
“Da Sanae vorrai dire!” esclama divertito Izawa, dandomi una leggera gomitata sul braccio, io abbasso lo sguardo sentendomi arrossire e annuisco, continuando a tormentarmi i capelli sulla nuca.
“Che romanticone che sei! Proprio non ti ci facevo!” questa volta è Ishizaki a parlare, prendendo la palla al balzo per tornare a giocare al suo sport preferito, dopo il calcio, ovvero Mille modi di tormentare Tsubasa Ozora nelle faccende di cuore.
Tutti scoppiano a ridere vedendo l’espressione imbarazzata sul mio volto mentre osservo il mio compagno, che continua ad ammiccare annuendo e mimando con le dita un cuore pulsante contro il petto.
Ma non ce la faccio proprio ad arrabbiarmi.
“Ti sono mancato tanto, eh Ryo?”
“Non immagini nemmeno quanto!” mi risponde, facendo finta di essersi disperato in mia assenza.
“Ma in compenso il buon Misaki ci ha dato di che parlare!”
Repentinamente non mi faccio scappare l’occasione di distogliere l’attenzione da me e mi volto verso Taro, che ostenta un’espressione di placida indifferenza.
“E’ vero! Tu mi devi raccontare molte cose o sbaglio?” gli chiedo facendo un po’ il gradasso.
Misaki temporeggia, stando sul vago, per cercare di prendere tempo ma fortunatamente in suo aiuto, arriva la Nishimoto, che con tempismo calcolatamente perfetto, inizia a esortare il resto della squadra a seguirla in cucina, per preparare tutto l’occorrente per la festa.
I ragazzi cercano di sottrarsi, borbottando delle scuse, ma Yukari non si scompone di una virgola e li minaccia, senza mezzi termini, di farli rimanere tutti senza cena.
“Forza di corsa di là con me! Tanto questa storiella già la conoscete a memoria! E voi ragazzi…” si volta verso Taro e me “… parlate pure, ma non fate aspettare troppo Sanae, ok?” e strizza l’occhio solo nella mia di direzione ora.
Annuisco sorridendo e la mia attenzione torna a concentrarsi su Misaki.
“Allora?” lo incito, ma stavolta con fare meno malizioso, una semplice domanda interessata al bene del mio amico.
“Il merito è principalmente di Sanae, se non fosse stato per la sua testardaggine, forse non ci sarebbe stato nessun viaggio a Parigi.”
Sorrido all’idea di lei che punta i piedi, con le mani sui fianchi, cercando d'imporsi alla timidezza del mio amico.
“Sanae si è offerta di ospitare Azumi a casa sua, benché non la conoscesse per niente e così ho potuto fare la prima mossa, invitandola in città e passare del tempo con lei.”
“E cosa vi siete detti?”
“Ecco, non è che la cosa si sia svolta proprio a parole…”
Sorrido arcuando un lato delle labbra.
“Diciamo che ho usato molto la bocca ma non proprio per parlare…”
Arrossisco leggermente mentre faccio segno d’aver capito, l’espressione di Taro cambia, facendosi un po’ più seria.
“E’ stato tutto naturale, niente discorsi imbarazzanti, ci siamo semplicemente avvicinati.”
Annuisco sorridendogli.
“Quindi perché non approfittare delle vacanze di primavera?”
Il mio amico sorride allegro ora, facendo un po’ lo scemo ed io sono felice per lui, perché so quanto tenesse a quella ragazza.
Non che Taro sia un gran chiacchierone, in fondo ci assomigliamo in questo, ma di solito, ci bastano un paio di parole per comprenderci al meglio.
“Poi in Francia c’è stato anche quello…” torna per un attimo a parlarmi, serio ora, ma con un pizzico d’imbarazzo in più, che prima proprio non aveva.
“Uh?” lo guardo perplesso, aggrottando le sopracciglia, rimuginando sull’ultima parolina uscita dalla sua bocca.
Quello!” ripete con un cenno della mano aperta verso di me, per sottolineare un concetto che momentaneamente mi sfugge.
Sesso!
E la mia bocca si spalanca per lo stupore, rimanendo poi aperta come quella di una carpa in procinto di mangiarsi un tozzo di pane, lanciato nel laghetto.
“Oh… Ecco… Wow!” farfuglio, preso un po’ dall’imbarazzo mentre Taro ridacchia, strofinando l’indice sotto il naso.
Ho perso proprio le parole.
“Ma ora basta parlare di me! Va da Sanae, ha già aspettato troppo!” mi esorta infine, dandomi una pacca sulla spalla e tirandomi poi per un braccio, in direzione della porta.
“Ok, ok!” protesto divertito dal suo d’imbarazzo mentre mi caccia, letteralmente, sul pianerottolo, mi volto nella sua direzione arrivato al cancello.
“Vai!” grida ancora dalla porta e senza che lo debba ripetere un’altra volta, lo saluto e mi metto a correre il più veloce che posso.
I miei piedi sanno da soli dove devono andare, un po’ come quando in campo cercano la porta.




Davanti al suo portone.
Riprendo fiato per la corsa impaziente, che mi ha fatto volare fino a qua.
In casa c’è solo lei, me l’ha assicurato la Nishimoto, che ha intelligentemente avvertito i suoi genitori, per non rovinare l’effetto sorpresa.
Sollevato dall’idea di salutare la mamma e il papà di Sanae in qualità di fidanzato, tiro un sospiro, pregustando quello che sta per accadere.
Suono il campanello, ponendo fine alla mia attesa, in silenzio mi metto ad ascoltare i rumori della casa.
Qualche secondo ancora, poi le mie dita impazienti tornano a premere sul pulsante bianco e di nuovo, tendo le orecchie per percepire i movimenti di Sanae.
La sua voce ovattata, oltre la porta, che chiama sua madre, mi regala un brivido caldo lungo la schiena.
Divertito e allo stesso tempo eccitato, torno a suonare per la terza volta il campanello ma questa volta riesco a sentire distintamente il suo “Arrivo!” perché rivolto proprio a me, o meglio, alla Yukari che dovrebbe aspettare sul pianerottolo.
Rumore di passi per le scale, poi la porta d’ingresso si spalanca con poca grazia davanti ai miei occhi.
Ho il tempo di scorgere il viso di Sanae solo per un attimo, perché lei si gira subito, armeggiando con un orecchino mentre si scusa, sempre con Yukari, domandandosi dove sia finita sua madre.
Ma la frase rimane sospesa, interotta a metà, perché lei si blocca di colpo ed io sorrido compiaciuto, nell’attesa che si volti.
Si gira di scatto, poi mi fissa stupita e mi viene da pensare e credere, che potrei anche morire in questo momento, se non l’abbraccio forte subito, ma desisto dal farlo, godendo ancora dello stupore dipinto sul suo viso.
“Sorpresa!” esclamo con voce allegra, allargando le braccia le sorrido dolcemente.
Sanae rimane imbambolata a guardarmi, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia scure.
“Se davvero tu…?” mi chiede sussurrando mentre la sua bocca rimane socchiusa, sempre in un moto di incredulità.
E qui non resisto più.
Azzero la distanza che ci divide e come calamitate, le mie mani afferrano il viso di Sanae.
Un secondo dopo, mosse dalla stessa forza, le mie labbra sono premute contro le sue.
Inspiro forte prima di lasciarle andare, ma senza allontanarmi troppo, per guardarla negli occhi.
“Direi di sì!” rispondo così alla sua domanda buffa, completamente vinto dalla felicità che provo in questo momento.
“Buon compleanno!” esclamo stringendola un po’ più forte a me.
Sanae inizia a piangere silenziosamente mentre risponde alla mia stretta, poi le lacrime lasciano il posto a una risata allegra.
E quando i suoi occhi tornano a guardare i miei, riesco a leggerci ogni stilla del suo amore per me.
E sono felice di non averti fatto aspettare troppo stavolta.
Sono felice di essere volato da te.





La festa per il compleanno di Sanae è stata esattamente come dovrebbe essere una riunione di vecchi amici. Perfetta.
Ho parlato per tutta la sera come non ho mai fatto in vita mia, quasi da perdere la voce o renderla rauca per lo sforzo.
Ho riso alle battute dei miei compagni, ho sogghignato vendendo come Ishizaki possa diventare assillante come un mastino, quando si tratta della Nishimoto e sono arrossito, quando inevitabilmente toccava a me essere lo zimbello di turno.
Ho sentito il mio cuore farsi più leggero, nel vedere il sorriso sereno di Sanae mentre scherzava con i nostri amici, mentre lo rivolgeva a me.
E la sensazione di stare di nuovo tutti insieme mi ha fatto sentire come se non me ne fossi mai andato e ho previsto, allo stesso tempo, che domani in Brasile, mi sentirò un po’ più malinconico.
Ma nulla vale il prezzo della gioia di Sanae quando ha sentito che sarei tornato d’estate, per la Nazionale e così la paura della nostalgia si è allontanata veloce da me, come n’è venuta.
Ora però è il momento di lasciare tutti, è il momento di restare un po’ da soli, lei ed io.
Mi congedo dai miei amici con la consapevolezza che non passerà molto e saremo di nuovo insieme.
Mi offro di accompagnare Sanae a casa, come se ci fosse davvero bisogno di farlo, come se non fosse scontato.
Ma anche questo fa parte del mio tuffo nel passato e mentre la mia mano stringe le sue dita, passeggiando di nuovo per vie familiari, mi tornano in mente le volte che facevamo la stessa strada usciti da scuola.
“Domani verrai all’aeroporto?” le chiedo però, ricordandomi che ci troviamo in una situazione ben diversa da quella di un tempo.
Sanae mi guarda di sottecchi poi alza gli occhi al cielo e sorride malinconicamente.
“Non vuoi?” mi risponde semplicemente con un’altra domanda, che mi porta a riflettere sulle mie decisioni in merito, prese due anni fa.
“Non è come quando sono partito ora…”
Sanae si ferma trattenendomi per la mano, mi giro a guardarla mentre mi fissa seria.
“Possiamo non parlarne ora? Puoi accompagnarmi a casa e basta, solo godendoci il momento?”
Nei suoi occhi come un velo di tristezza a incupirli, cosa che non deve accadere oggi, che è il suo compleanno, non stasera che siamo insieme.
Ho preso un aereo per renderla felice, non per rimarcare quanto siamo distanti.
Annuisco per rispondere alle sue domande, che suonano tanto come una richiesta di aiuto.
“Ti va di allungare per il parco?” le chiedo poi sorridendo, per dissipare la tristezza e per cercare di prolungare il più possibile il tempo da passare insieme.
Sanae annuisce convinta a sua volta e riprende a camminare, la sua mano inizia a dondolare stringendo la mia.
Una folata di vento muove i suoi capelli, il suo profumo si propaga nell’aria che mi circonda e posso sentirlo più distintamente, ora che Sanae si stringe al mio braccio sospirando.
Questa semplice gesto mi emoziona tanto che sento che sto arrossendo.
E mi rendo conto che il ragazzino che si limitava ad accompagnarla a casa è sempre dentro di me, ma anche che ora, non si accontenta più.
Ho voglia di baciarla…
Quando raggiungiamo il ponte di legno sul fiumiciattolo che costeggia il parco, Sanae si ferma, come sempre da quando la conosco, per sporgersi a guardare l’acqua che scorre sotto di lei.
Io mi avvicino, col cuore che batte più forte contro il petto, quando lei si volta e mi sorride, mi limito solo ad avvicinarmi ancora e a baciarla dolcemente.
Non c’è nessuna titubanza nella sua risposta, ma solo un’accogliente esigenza.
E più sento le sue labbra muoversi con le mie, più sento sparire tutto ciò che mi circonda.
Il suo sapore mi è mancato da morire, come mi è mancata la sua pelle, che ora le mie mani cercano di raggiungere, infilandosi sotto il suo maglione.
Quando ne avverto il calore vellutato sotto il mio tocco, istintivamente mi stringo di più a lei, come se in nostri corpi dovessero per forza incastrarsi perfettamente.
La mia bocca scivola poi sul suo collo, dal sapore buono come quello delle sue labbra.
Sfioro con le dita la sua gola, quando torno a baciarla sulla bocca, il suo respiro profondo mi fa sentire come se potessi tutto a questo mondo.
Con il pollice accarezzo quella parte di lei, che custodisce la sua preziosa voce e mi ricordo, all’improvviso, di non averle ancora dato il mio regalo.
Mi separo da Sanae quel tanto che basta per pronunciare il suo nome e guardarla negli occhi, che ora mi fissano languidi e dolci.
Frugo nella tasca del giacchetto con una mano e n’estraggo la mia scatolina colorata, che le porgo sotto il naso.
Sanae la scarta emozionata, chiedendomi di che si tratta, rimango in silenzio in attesa della sua reazione.
Arrossisce di più quando prende il ciondolo tra le dita e i suoi occhi si velano di lacrime commosse, quando lo fa dondolare davanti ai suoi occhi.
L’aiuto a indossarlo, sempre senza dire una parola, perché mi sembra che quella piccola farfalla riesca a parlare per me.
“Grazie…” sussurra, stringendo il ciondolo tra le dita “… la porterò sempre!”
Le sorrido, sentendo che il mio cuore esiste stasera, non per farmi correre su un campo, ma per battere per lei.
“Buon compleanno Sanae…” e torno a baciarla, amando incredibilmente la morbidezza delle sue labbra, amando semplicemente lei.
 










Prima di tutto i soliti dovuti ringraziamenti a chiunque si trovi sotto gli occhi questa pagina!
Mille grazie per l’attenzione, la disponibilità e anche la costanza di seguirci!^^
Questo capitolo è un po’ lunghetto, ma mi serviva in questo modo per spiegare cosa c’era dietro alla sorpresa di compleanno.
A differenza del precedente, al quale ho voluto dare un taglio molto intimo e legato solo alle sensazioni di Tsubasa, qui troviamo passo per passo cosa ha fatto e provato il capitano.
Manila nella recensione ha fatto delle osservazioni molto giuste però, avrei potuto descrivere e raccontare di più nello scorso capitolo, ma ho sempre pensato di aver “dato” tutto in quel frangente quando scrissi i capitoli di B. e non mi andava di fare in FA un capitolo gemello.
Fly Away mi “serve” per esprimere lo Tsubasa che s’intuisce in B. per questo spesso tendo a non ripercorrere gli stessi episodi o a sottintendere molto, dimenticando che non necessariamente B. è il punto di partenza e che già si conosca.
Ho scelto la via che piaceva a me insomma, come ho sempre usato fare ogni volta che ho impostato un capitolo, tralasciando cosa potessero desiderare gli altri.
E’ una mia vena “egoistica” che spero mi sia perdonata.^^
Chiedo quindi scusa a chi leggendo a volte si sente un po’ escluso dal tutto che do forse per scontato.
Ringrazio Manila per avermi fatto riflettere su queste cose che mi hanno permesso di spiegare qui il mio punto di vista.
Alla prossima, OnlyHope ^___^


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Capitolo 7
*** Fulmine a ciel sereno ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 7

Fulmine a ciel sereno












Perplesso.
Aggrotto le sopracciglia, gli occhi fissi sullo schermo ora prendono a risalire la mail di Ishizaki, per arrivare giusto qualche riga più su.
Rileggo la frase, un periodo composto da una manciata di parole ma che lascia una nota stonata, in quello che è il solito raccontare divertito del mio vecchio amico.
“Un’ultima cosa! C’è un tizio che si sta appiccicando a Sanae come una cozza, per il momento sembra inoffensivo, ma non ti preoccupare, ci sono io a tenerlo d’occhio!”
Involontariamente il mio naso si arriccia in un’espressione contrariata e i miei occhi tornano a leggere quel punto della mail di nuovo, un paio di volte, come per capacitarmi realmente di che cosa si stia parlando.
Poggio la schiena alla spalliera della sedia, le mie braccia s’incrociano sul petto, mentre il mio cervello incomincia a elaborare l’informazione ricevuta.
“Mmm…” mugugno sentendomi ormai infastidito, ma cercando comunque di razionalizzare il tutto.
Sanae è una ragazza molto carina, non dovrei quindi stupirmi che qualcun altro s’interessi a lei.
Ma già solo formularla questa ipotesi, mi innervosisce e mi ribello, perché no, nessuno dovrebbe nemmeno prenderla in considerazione come ragazza.
Ok così non va però!
Cercando di ignorare il mio stato d’animo, che in questo momento non mi lascia riflettere lucidamente, torno a valutare la cosa per quella che semplicemente è: a un ragazzo, a un altro ragazzo, forse piace Sanae.
La mia Sanae.
Ma per quanto mi stia sforzando di vedere la questione oggettivamente, proprio non riesco a prenderla bene o perlomeno credo sia normale, che la cosa non mi vada a genio.
Com’è normale però, tento di ripetermi, che qualcuno si sia accorto di lei, visto che Sanae non vive in un eremo o rinchiusa in una torre e che questo qualcuno veda, almeno superficialmente, quello che io conosco di lei, ma nel profondo.
Poi dovrei pur saperlo che Ishizaki tende a esagerare a volte, un po’ come quando prende di mira qualcuno per le sue battute.
E’ molto probabile che una semplicissima conoscenza possa passare, ai suoi occhi, come un approccio a qualcosa di più, perché lui è il classico uomo d’onore in questi casi e la sua lealtà, nei miei confronti, l’ha portato, forse, a vedere più di quello che c’è in realtà.
Di certo non posso biasimarlo per questo, anzi mi ritrovo a essere felice nel costatare che la sua amicizia, nonostante la distanza, sia ancora così salda e sincera.
Devo solo ricordarmi, ogni tanto, che è un tipo un po’ teatrale, cui piace tanto aprire la bocca, non dico a vanvera, ma troppo.
Come mi deve entrare in testa, che sia normale che una ragazza carina abbia degli ammiratori.
Tutti finiscono per piacere a qualcuno, chi più e chi meno.
Jun Misugi non aveva già il suo fan club di ragazzine adoranti, quando eravamo solo alle elementari?
E anch’io, nel mio piccolo, non ho dovuto rifiutare la dichiarazione di Kumi?
Ma il primo si è poi innamorato di Yayoi Aoba ed io lo ero già di Sanae.
Ed è qui che sta la differenza.
Quindi non mi resta che esortare il mio cervello, e non solo, a farsi una ragione di questo spasimante sconosciuto e pretendere che questa notizia non rovini troppo il mio umore o le giornate.
Basta rimuginare!
Chiudo la mail e spengo il computer, tralasciando così di rispondere subito al mio amico, per non dover affrontare ancora il problema, proprio adesso che sono riuscito ad arginarlo.
Uno sguardo distratto al DVD che volevo vedere stasera, poggiato sopra il televisore e decido di lasciar perdere, ormai mi è proprio passata la voglia.
Credo che mi metterò semplicemente a dormire.
M’infilo sotto le lenzuola, rigirandomi poi di fianco e m’impongo di far diventare il pensiero degli allenamenti di domani, l’unica riflessione concessa, prima di chiudere gli occhi.





“Merda!” esclamo scocciato, vedendo la palla che sfiora la traversa, oltrepassando la porta.

Pepe mi guarda indicando la sua posizione, io mi scuso, con un gesto rapido della mano, per non averlo notato in tempo.
Retrocedo di qualche metro mentre il secondo portiere rinvia il pallone, calciando lungo, oltre il centrocampo.
Oggi le gambe non mi tirano proprio, sarà che ho riposato malissimo, ma stamani mi sento come se avessi attaccate alle caviglie, non una, ma ben due palle di ferro, come quelle dei carcerati costretti ai lavori forzati, nei vecchi film occidentali.
Un cerchio alla testa poi, dovuto sempre al mancato sonno, mi opprime le tempie e lo sento stringere come una morsa all’altezza degli occhi.
E per completare il mio pessimo stato sono anche nervoso, stranamente, perché è difficile davvero che mi senta così.
E non mi piace per niente sapere che non lo sono solo per via della mia brutta nottata, che poi è una conseguenza dei pensieri che mi turbano da ieri.
Ma la distanza mina un po’ la mia sicurezza ora, me ne rendo conto e non mi riesce essere distaccato come vorrei.
Più ripenso a quella frase nella mail di Ishizaki, buttata così, senza una parola in più o in meno su cui riflettere, su cui poter contare per capire meglio e più mi sento disturbato.
Che poi, cos’è che dovrei capire, oltre all’essenziale concetto, che c’è uno che va dietro alla mia ragazza?
Rimproverandomi, tento di rimettere le idee in carreggiata per riuscire ad allenarmi seriamente e possibilmente, raggiungere qualche buon risultato.
L’azione ora si svolge a centrocampo, con decisione corro verso Nuno, che gestisce il pallone poco lontano da me.
Quando gli sono davanti, non si scompone e simula un paio di finte, che nonostante oggi non sia in piena forma, non riescono comunque a sorprendermi.
All’improvviso però mi scarta agilmente, sorpassandomi sulla sinistra.
Spazientito, mi volto per inseguirlo, un paio di metri ed entro in scivolata decisa su di lui.
Ma manco completamente la palla, piantando i miei tacchetti sul suo polpaccio semicoperto dal parastinchi.
Nuno rotola sull’erba mentre pronuncio il mio secondo, irritato “Merda!” della giornata.
Mi avvicino a lui e tendendo la mano l’aiuto ad alzarsi, scusandomi.
“Eh niente! Ma vacci piano Tsubasa!”
Borbotto altre scuse, lo sguardo torvo rivolto di lato mentre viene decretata una punizione a suo favore, che rischia di farmi imprecare ancora.
Roberto ne approfitta per proporre momentaneamente il mio cambio, scocciato, mi avvicino a bordo campo e afferrando una bottiglietta d’acqua, mi siedo mollemente a terra, rimanendo in silenzio.
Ma perché questa storia mi deve dare così noia?
Sposto gli occhi sull’azione che intanto è ripresa, ma mi rendo conto subito, di non riuscire a prestarci veramente attenzione.
Non sono mai stato geloso, nemmeno una volta, forse per superficialità o troppa sicurezza, ma ora mi sembra di provare, in minima parte, questo sentimento, che è davvero completamente irrazionale.
Perché non ho nulla di cui dubitare, Sanae è la ragazza più incredibile e bella della Terra e se ne possono accorgere in migliaia, ma ama me e nulla più scalfire l’incrollabile fiducia che nutro nei suoi confronti, perché so, che in questo, siamo fatti della stessa pasta.
Ma allo stesso tempo non riesco a non sentirmi infastidito da questo ragazzo, che sembra avere interesse per lei e a provare nei suoi confronti, una smisurata curiosità.
Mi chiedo chi sia e come abbia conosciuto Sanae.
Se riesca a passare del tempo con lei e come sia fisicamente.
Con eccessiva forza, stappo la bottiglietta d’acqua e ne bevo a grandi sorsate, nel frattempo Pepe, che ha ceduto il posto anche lui a un compagno, si siede accanto a me sull’erba.
Rimango in silenzio a fissare il campo, fin quando non sento la pesantezza del suo sguardo sul mio collo, che mi costringe a guardarlo.
“Che cavolo ti prende oggi?” mi chiede, aggrottando le sopracciglia scure con aria perplessa.
Gli rispondo limitandomi a scrollare le spalle, piegando il labbro inferiore all’ingiù.
“Cazzo Tsubasa! Non eri così nervoso nemmeno quando ci scannavamo con gli altri per un posto in squadra e ti ricordo che in quel periodo, mi stavi bellamente sulle palle!”
Oddio, oggi proprio non ce la faccio ad abbozzarlo…
“Tranquillo Pepe! E’ solo una giornata no, domani sarà di nuovo tutto ok.”
Gli sorrido per rassicurarlo, così che non si senta in dovere di farmi il suo classico terzo grado.
In fondo non ho nulla di cui parlare, o su cui chiedere aiuto, né ho la minima intenzione di sfogarmi.
Sono urtato e basta.
Il mio compagno di squadra annuisce, ancora visibilmente perplesso ma decide, saggiamente, di lasciarmi in pace stavolta, intuendo che forse non sono tanto in vena di giochetti oggi.
Riprendo a seguire l’allenamento, cercando allo stesso tempo il modo di togliermi da questa situazione.
All’improvviso capisco che non ho alternative.
E’ proprio il caso di saperne di più e da una persona che abbia un po’ più di sale in zucca di Ishizaki.
E chi può aiutarmi in questo, meglio del mio fidato amico Taro Misaki?
Decido di chiamarlo stasera stessa, al diavolo se mi dovesse costare la paga del mese.
Più sereno, per aver trovato una scappatoia al mio problema, decido di dare un taglio alla mia pessima prestazione di oggi e di mettermi sul serio a lavorare.
Mi alzo così di scatto e rivolgendomi a Roberto, chiedo di poter tornare in campo, per allenarmi ancora.
Con la coda dell’occhio osservo Pepe che, a bocca aperta, mi guarda come se fossi uno psicopatico, soggetto a repentini sbalzi di umore.
Roberto annuisce, chiamando subito un cambio per me, quando riprendo posto sull’erba verde, ritrovo il mio solito spirito agguerrito, che mi esorta a fare del mio meglio e a non sprecare altro tempo prezioso, in stupidi tentennamenti.





“Come si chiama ‘sto tizio?”
Nonostante cerchi di darmi un tono, la mia voce suona leggermente irritata.
Taro sorride, in parte divertito, dalla mia malcelata ansia di sapere.
“Credo di aver capito di chi ti ha parlato Ishizaki. Seii. Takeshi Seii. Si chiama così il tizio.”
Incamero così la prima informazione della lista ma anche la più banale e rimango in silenzio, aspettando che il mio amico aggiunga altre notizie, ben più importanti.
Taro comprende al volo il significato del mio mutismo e si prodiga ad aggiungere subito altro, per aiutarmi a inquadrare il ragazzo, che scodinzola dietro a Sanae.
“Ha la nostra età e frequenta lo stesso club di musica delle ragazze. Molte compagne di scuola lo trovano un bel ragazzo e oggettivamente non si può dargli torto. E’ un bravo musicista, sempre in base alle chiacchiere di corridoio e sembra che abbia un grande talento come compositore. A me sembra un tipo tranquillo a vederlo, di quelli che ti salutano sempre con il sorriso e che non creano problemi.”
“Ok ho capito. Vieni al punto ora!” lo esorto, immagazzinando le ulteriori informazioni appena ricevute e attendo quasi impaziente, che mi venga detto quello che voglio sapere più di tutto.
“Vedi Tsubasa, la gente ama spettegolare! La nostra scuola poi, sembra debba vincere qualche competizione nazionale in merito. Sta di fatto, che questo Seii stava insieme a una ragazza fissa, fin dal primo anno. Quando i due si sono mollati, pochissimo tempo fa, o meglio quando lui ha lasciato lei, tutti hanno preso a confabulare e a fare congetture sulle motivazioni.  La vicinanza con Sanae, a quel punto, è saltata agli occhi e lo sai quanto possono essere maliziose le persone.”
Sospiro meditando sulle sue parole e su quanto effettivamente la gente ami sparlare.
Il comportamento di Ishizaki è un po’ lo specchio di questo modo di fare, seppur il mio amico, sia stato mosso da buone intenzioni.
Ma anche alla luce di questo, non riesco comunque a tranquillizzarmi completamente.
“Ma tu che ne pensi?” chiedo dopo aver schiarito la voce con un colpo di tosse.
Taro rimane in silenzio una manciata di secondi, fin troppi dal mio punto di vista, alimentando così in me, il sospetto che qualcosa di vero ci sia, nella voce che mi è arrivata.
“Tsubasa sarò sincero. Credo che Ishizaki non sia andato lontano dalla verità. Indipendentemente dalle chiacchiere, Seii passa molto più tempo con Sanae ultimamente, l’ho notato anch’io e Yukari non fa che ripetere, che spesso trova dei pretesti per vederla anche fuori dalla scuola. Sanae non credo abbia il minimo sospetto della situazione, lei sembra non badarci proprio, con tutte le altre cose che ha nella testa e si comporta gentilmente come sempre. Ma stai tranquillo, è una cosa che non si spinge oltre a queste scemenze, non credo che ti debba preoccupare.”
“Non sono preoccupato!” mi sbrigo a chiarire, perché non è una questione che si limita a questa sensazione.
“Infastidito sì però e questo è più che normale!” ribatte Taro e lo sento sorridere.
“Sì…” ammetto senza girarci intorno, perché è chiaro che questa telefonata è stata mossa da questo stato d’animo.
Così è tutto vero…
“Ti ringrazio, Taro e scusami se ti ho stressato con questa storia.”
“Ma di che? Non dire idiozie, Tsubasa! Solo molla questo pensiero, non ci badare troppo! Io avevo scelto di non dirti nulla, proprio per questo motivo. E’ una cosa da niente!”
Abbozzo un sorriso prima di dargli ragione e ringraziarlo ancora per il suo buon senso.
“Allora sto tranquillo? Ti lascio sereno?”
Gli rispondo di non preoccuparsi e così ci salutiamo.
Rimasto di nuovo solo con i miei pensieri, cerco subito di assecondare i consigli del mio migliore amico.
Chiuderò l’idea di questo Seii, che ha una cotta per Sanae, in un cassetto remoto della mia testa.
E’ l’unica cosa che posso fare e anche fossi stato in Giappone, mi rendo conto, che sarei dovuto lo stesso limitarmi a questo.
Forse se fossi stato presente però, non si sarebbe nemmeno sognato di avvicinarsi a lei…
Ma con la stessa velocità con cui ho formulato quest’ultimo pensiero, lo allontano di nuovo.
Non devo soffermarmi su certi particolari inutili, con i se non si arriva da nessuna parte e si rischia di rendere inutili anche le poche certezze, che ci sono appena state date da un amico fidato.
Sospiro, sentendomi all’improvviso ancora più stanco.
Mi stendo sul letto e appena il mio corpo si rilassa contro le coperte, un leggero torpore mi fa scoprire che sono esausto.
In pochi secondi le mie palpebre si fanno pesanti per la stanchezza e cado subito addormentato, in un sonno profondo e senza sogni.





Quando tempo fa Sanae mi ha parlato della sua audizione, mi sono sentito davvero felice.
Orgoglioso di lei, ho preso a immaginare tutte le cose belle che sarebbero potute accadere nella sua vita e mi sono stupito dell’imprevedibilità della sorte.
Io sono nato per giocare a pallone, non ho mai visto altro e sapevo fin da piccolo, che la mia passione sarebbe diventata la mia fonte di sostentamento, una volta diventato adulto.
Giocare a calcio è l’unica cosa che avrei potuto e voluto fare nella vita e questa idea è cresciuta con me e mi ha accompagnato, come se fosse una parte del mio essere o un pezzo del mio corpo.
Sanae si divertiva, semplicemente, a cantare al karaoke con gli amici.
La sua voce forte e cristallina strappava applausi entusiasti a chi aveva la fortuna di sentirla e lei sorrideva imbarazzata ringraziando, prima di tornare tranquillamente a sedere.
Ma dopo che me ne sono andato, la musica ha pian piano preso spazio nelle sue giornate, riempiendo forse un po’ del vuoto, che io avevo lasciato alle mie spalle.
E qualcosa nato per gioco è diventato la sua passione e il modo più corretto per esprimere le sue grandi potenzialità.
Riesco a capirlo meglio, ogni qual volta ascolto il cd con la mia canzone.
Lo sento ogni volta che la sua voce sussurra per poi alzarsi, diventando acuta, dando così forma alle sue emozioni.
Tutto questo mi fa sentire che ce la farà, ne sono più che sicuro.
Con una punta di gelosia, ma benevola, penso che presto la mia Sanae non sarà più solo mia e questo pensiero mi strappa un sorriso divertito, perché a volte divento davvero sciocco.
E mi dispiace non aver potuto anticipare il mio rientro in Giappone, mi sarebbe piaciuto accompagnare Sanae all’audizione, soprattutto dopo che per tanti anni, è stata sempre e solo lei, a seguirmi per gli stadi, partita dopo partita.
Ma ora c’è anche dell’altro a farmi rammaricare della mia mancata partenza.
Come accaduto un paio di mesi fa, mi ritrovo di nuovo davanti al computer, a rileggere più volte una mail, ma anche stavolta, non proprio per il piacere di farlo.
Sanae mi avverte che c’è stato un problema con la preparazione dell’audizione, perché il suo professore, che avrebbe dovuto accompagnarla con gli strumenti, si è fatto male a un polso.
Aggiunge poi subito, per non farmi allarmare credo, che fortunatamente, un suo compagno di corso si è gentilmente offerto di sostituirlo e d’imparare tutto il repertorio in una settimana.
Ancora prima di leggerne il nome, sapevo di chi stava parlando.
“Si chiama Seii ed è davvero molto bravo, l’unico che può riuscire nell’impresa, in così poco tempo. Quindi non preoccuparti, è tutto risolto!”
Sanae mi parla di lui con tranquillità, ignara del fatto che ho già avuto il piacere di sentir nominare questo suo compagno di club e forse, ancora inconsapevole dell’interesse di quest’ultimo nei suoi confronti.
Così questo ragazzo torna di nuovo a fare capolino nella mia vita, nonostante io viva in un altro continente e non sappia neppure che faccia abbia.
Ma la sua presenza suscita ugualmente in me un fastidio enorme.
Nonostante i miei buoni propositi, conditi di raziocinio e i consigli rassicuranti dei miei più cari amici, Takeshi Seii rimane una spina nel fianco.
Specialmente se penso che invece di eclissarsi, continua a farsi avanti, importunando la mia ragazza e la mia esistenza, di per sé, già abbastanza complicata.
In questo momento l’unica cosa che riesce a sollevarmi, è il fatto concreto che alla fine del mese tornerò a casa, per via delle eliminatorie per le qualificazioni ai mondiali.
E sono ancora più felice di aver preso la decisione di trattenermi ancora un po’ in Giappone, una volta terminate.
Ho veramente bisogno di un periodo, se pur breve, di riposo e Roberto, fortunatamente, mi ha dato il suo consenso a prolungare la permanenza a casa.
Soprattutto però ho davvero bisogno di stare con Sanae, ma questo l’ho tenuto per me.
E ora, dopo aver letto la sua mail, sono convinto che la mia presenza male non farà, anche a qualcuno, che sta diventando decisamente di troppo.  










Anche in questo capitolo l’azione è davvero poca e prevalgono i pensieri e gli stati d’animo del protagonista.
E’ un capitolo forse un po’ monotono, ma che doveva per forza esserci, perché Tsubasa non arriva in Giappone ignaro dell’esistenza di Seii.
Ho cercato di mettermi nei suoi panni, descrivendo le sue emozioni a riguardo, dimenticando il mio carattere e tenendo sempre bene in mente quello di Tsubasa.
Ringrazio, come sempre, per le recensioni e l’attenzione che mi viene accordata, aver avuto un po’ più di tempo in questo periodo, mi ha permesso di essere più costante nell’aggiornare e mi auguro di poter continuare su questa linea.
Dal prossimo capitolo arriveranno le parti più “succulente”della storia e quelle che credo, stimolino di più la curiosità di chi ha letto B.
Un saluto in particolare alle persone con cui ho avuto il piacere di parlare privatamente!Grazie!
Alla prossima, OnlyHope^^
 







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Capitolo 8
*** Leggere tra le righe ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 8

Leggere tra le righe










“Congratulazioni per la qualificazione!”

Il bicchiere del mio cocktail analcolico, con tanto di bandierina e frutta decorative, tintinna rumorosamente urtando contro quello di Roberto, che a differenza del mio, trabocca di rhum.
Sorrido prima di portare il vetro alle labbra, il sapore dolce della mia bevanda però mi ricorda che con il caldo, sarebbe meglio ordinare qualcosa di diverso e soprattutto più rinfrescante.
“Ma chi te l’ha fatto fare a venire fin qua?” chiedo ancora, stupito per la presenza del mio allenatore in Asia, il rumore delle chiacchiere della gente e quello della musica degli altoparlanti, mi costringono ad alzare la voce per farmi sentire.
“Devo tenervi d’occhio, Tsubasa!” risponde Roberto, accentuando la frase facendo l’occhiolino.
Ridacchio, euforico all’idea di aver raggiunto, per l’ennesima volta, un obbiettivo che mi ero prefissato.
Quello di questo periodo era, appunto, qualificarmi con i ragazzi per i prossimi mondiali giovanili e ora che ce l’ho fatta, non posso non sentirmi pienamente soddisfatto.
Da stasera poi mi aspetta un periodo, se pur breve, di vacanza a casa e non vedo l’ora di passare del tempo con gli amici di sempre e la mia ragazza.
A proposito di Sanae!
Non che me ne sia dimenticato, ma guardando l’orologio, mi viene spontaneo riflettere sul fatto che a quest’ora, sarei già dovuto essere da lei.
Oggi pomeriggio non ho preso il treno con gli altri, per parlare con Roberto delle sue impressioni sulla prestazione della nostra nazionale, solo che contavo di riuscire a prendere almeno il successivo.
Ma ora si è fatto davvero tardi, non c’è più tempo per tornare a casa, quindi sarà meglio avvertire Sanae e alla svelta.
Prendo così il cellulare dalla tasca dei jeans e meccanicamente faccio partire la chiamata.
Giusto un paio di squilli e mi risponde, con quel tono felice della voce, come ogni volta che si rivolge a me.
Non riesco a sentire bene però, a causa della confusione e con un gesto della mano, avverto Roberto che mi sto allontanando all’esterno.
Con la coda dell’occhio lo vedo sghignazzare mentre esco dal locale.
“Sanae, mi senti meglio ora?”
“Sì…"
“Scusami se non sono riuscito ad avvisarti prima, ma non ce la faccio a rientrare per stasera.”
Rimango in silenzio per qualche istante in attesa della sua risposta, che però non arriva, così mi sento in dovere di spiegarle meglio il motivo del mio rientro solo domani.
“Sai, anche Roberto è qui in Giappone e dato che non tornerò in Brasile ancora per un po’, mi sono fermato qua con l’idea di partire un po’ più tardi. Ma ora è decisamente troppo tardi!” esclamo ridendo e grattandomi la nuca, un po’ imbarazzato per la mia sbadataggine.
“Ci vediamo domani, ok Sanae?” le chiedo infine, veramente contento all’idea di poterla riabbracciare, anche se con un po’ di ritardo, rispetto ai programmi che mi ero prefissato.
“Ok.” e chiude la comunicazione.
Sorrido sereno e con il pensiero felice delle prossime giornate che mi aspettano, rimetto in tasca il cellulare, rientrando poi nel locare.
Roberto è sempre lì che mi aspetta e appena lo raggiungo, riprendiamo subito a parlare del nostro argomento preferito, il calcio ovviamente.






Palleggio sotto il sole nel vecchio campetto da calcio, nel parco del quartiere D.
Con i ragazzi abbiamo messo insieme una partitella tra amici, così per ammazzare il tempo e sto giocando solo per il gusto di farlo, nell’attesa che arrivi Sanae.
Dopo aver parlato con lei ieri sera, non l’ho più sentita.
Nonostante oggi abbia provato a chiamarla più volte, non c’è stato nulla da fare, aveva sempre il cellulare spento e pensare che avrei tanto voluto vederla già da stamattina, anche per recuperare il tempo perduto ieri notte.
E non è proprio da lei non farsi viva per tutto questo tempo e specialmente ora che sono a casa, mi sembra ancora più strano che non abbia provato a richiamarmi.
Mi dirigo palla al piede verso la porta, senza nemmeno farci caso, come se fosse un’azione involontaria del mio corpo, un po’ come il respirare.
Quando sono nell’area di rigore, colpisco con un calcio preciso la sfera, che s’insacca sotto la traversa, centralmente.
Sorrido spontaneamente, come ogni volta che riesco a violare una porta, indipendentemente da dove mi trovi.
Mi volto poi alla ricerca dei miei compagni ma prima che possa incontrarne uno, incrocio proprio lo sguardo della persona, che volevo più di tutti vedere.
Sanae mi osserva, un po’ distante dal bordo del campo, sulla piccola altura che sovrasta il perimetro di gioco.
Senza pensarci un secondo, mi precipito nella sua direzione correndo e scavalcando, a grandi falcate, la piccola salita che mi separa da lei.
Quando mi ritrovo davanti a Sanae, sorrido ancora, ma questa volta in maniera davvero diversa da prima, mosso da sentimenti ben più dolci che la riguardano.
“Ciao…” mormoro mentre non resisto e sfioro il suo viso con una carezza, un attimo appena e la stringo forte tra le braccia.
“Tsubasa! Piano che la sciupi! Non è mica abituata!”
E’ la voce squillante di Ishizaki a interrompere prontamente il mio idillio, così mi trovo costretto a separarmi da lei, se non voglio sentirlo continuare su questo tono, per il resto della giornata.
“Come mai avevi il cellulare spento oggi?” le chiedo, imbarazzato per essermi fatto cogliere in fallo in quella situazione.
“Così…” Sanae risponde alzando leggermente le spalle, noto un tono distaccato nella sua voce, che non le ho mai sentito usare prima d’ora.
Stupito, la seguo con lo sguardo mentre mi sorpassa indifferente, cominciando ad allontanarsi.
Perplesso, butto l’occhio verso il campo, nella speranza di non dare troppo nell’occhio, poi d’istinto la seguo e quando sono vicino a lei, le cingo le spalle con un braccio, camminandole affianco.
Rimango in silenzio, aspettando che mi rivolga la parola e quando i suoi occhi incrociano i miei, le sorrido nella speranza che m’illumini su quello che sta succedendo.
Oggi è davvero strana…
Avverto tensione tra noi, ma non ha nulla a che fare con il piacere di essere vicini, è più negativa direi e questo mi destabilizza, perché non mi era mai capitato di avvertirla prima.
Sanae torna a guardare avanti a sé, senza minimamente ricambiare il mio sorriso.
Non sarò di certo un genio in certe cose, ma ora mi sembra più che ovvio, che sia arrabbiata per qualcosa.
E con me.
Faccio mente locale per un attimo e l’unico episodio che mi viene in mente, che possa aver scatenato in lei questa reazione, è il nostro appuntamento saltato di ieri sera.
Socchiudo gli occhi, mentre la mia bocca si deforma nella smorfia tipica, di chi ha fatto qualcosa di veramente stupido e se n’è accorto troppo tardi.
Non ci sono alternative, devo scusarmi, magari poi le passa.
“Mi dispiace per il nostro appuntamento… Sei arrabbiata?” le chiedo schiarendomi la voce.
Sanae si blocca di colpo, poi voltandosi, mi fissa seria arcuando le sopracciglia.
“Arrabbiata? E perché dovrei?” risponde, senza mascherare il tono sarcastico nella sua domanda.
Rimango a fissarla sbattendo le palpebre, senza avere nulla di pronto, e intelligente, da ribattere e così è lei a riprendere a parlare.
Le sue parole mi travolgono, accavallandosi l’una all’altra, come un fiume in piena.
“In fin dei conti non abbiamo mai avuto modo di stare insieme da SOLI, da quando sei rientrato! Dovrei essere arrabbiata perché ho passato il pomeriggio a cucinare per te? Perché ho passato due ore davanti allo specchio, per essere carina per te? O perché pensavo che noi…” s’interrompe bruscamente, mordendosi le labbra, le guance colorate di rosso acceso.
“Dovrei essere arrabbiata, secondo te, per queste cose? Non ne vedo il motivo!” aggiunge poi, calcando ancora con il sarcasmo e fissandomi con aria di sfida.
E a me non rimane che sentirmi una specie di mostro, per aver sottovalutato il nostro appuntamento e per aver deluso le sue aspettative.
“Mi dispiace. Non immaginavo avessi organizzato tutto questo…” sussurro imbarazzato.
“Oh, ovvio! Ma sarebbe cambiato qualcosa se l’avessi saputo?” la sua voce ora è decisamente più alta di un tono.
Mi scuso ancora e con maggior convinzione, perché non voglio che abbia il minimo dubbio sul fatto che sono davvero dispiaciuto per il malinteso.
“Cosa ti dispiace, Tsubasa? Ieri sera o di mettermi sempre in secondo piano?”
Mi arriva come una pugnalata al petto.
Fisso Sanae stupito, soffermando lo sguardo sui suoi occhi, che si sono velati di lacrime.
E no! Questo non lo devi pensare!
Mi avvicino a lei con decisione, fin quando il mio viso non si trova a pochi centimetri dal suo.
“Questo non è vero, Sanae! E lo sai…”
La sua bocca si distende in un sorriso, ancora, sarcastico, che mi spiazza di nuovo, tanto che stento a riconoscere la ragazza davanti ai miei occhi.
“Davvero? E che cosa dovrebbe lasciarlo intendere? La tua venerazione per Roberto? Il fatto che più di due anni fa sei andato da lui in Brasile? No! Aspetta! Sicuramente dovrei capirlo dal fatto che la tua passione ti ha spinto a separarti da me, andandotene a vivere in un altro continente!”
E qui mi arriva il secondo colpo, sempre ben mirato all’altezza del cuore.
Sentire così chiara la sua rabbia, il suo dolore.
Sapevo che potesse soffrire, ma non immaginavo quanto.
Non immaginavo che ci fosse tutto questo dentro di lei e a causa mia.
Però perché buttarmelo in faccia così?
Lo so da solo che è tutta colpa mia, ma anch’io pago le conseguenze della mia scelta, ogni giorno che passo sentendo la sua mancanza.
“Sei ingiusta, Sanae…” mormoro, quasi come se stessi parlando con me stesso e con nessun altro.
Lei però è qui, davanti a me e mi sente più che bene, posso chiaramente vedere sul suo volto la collera che aumenta.
“Io sono ingiusta?! E’ il tuo sogno a essere tremendamente ingiusto con me, Tsubasa!”
E ora al senso di colpa si mischia la mia di rabbia.
Perché passi che è tutta colpa mia, passi che sono io a essermene andato ma lei sapeva benissimo cosa comportava stare con me.
Non mi sono mai nascosto dietro maschere, sono sempre stato schietto e sincero, soprattutto con lei.
Io sono lo Tsubasa che corre dietro al pallone!
“Credevo che mi amassi anche per questo! La mia passione… Sono io! Di chi ti sei innamorata allora, Sanae?”
E questa volta sta a me guardarla con severità, come non mi era mai capitato prima, perché mi sento ferito e deluso.
Perché mi sento in colpa.
E non so cosa provo, ora che i suoi occhi sembra non riescano più a trattenere le lacrime.
L’arrivo di Taro diventa la mia doccia fredda e il salvagente a cui aggrapparmi.
Lo trattengo, quando scusandosi, forse intuendo che stiamo litigando, cerca di andarsene per lasciarci soli.
“Non preoccuparti, Taro. Vengo con te! Andiamo!” esclamo, con l’esigenza nel cuore di scappare lontano da lei, sensazione che non avevo mai provato prima, che mi turba e che allo stesso tempo, non mi piace per niente.
M’incammino a passo deciso, senza rivolgere nemmeno un ultimo sguardo in direzione di Sanae.
Taro mi segue, visibilmente perplesso e forse indeciso sul lasciarla da sola, senza aspettare.
Io penso solo ad andarmene, confuso e arrabbiato.
Smarrito per la perdita del mio porto calmo, per la perdita del sorriso d’amore di Sanae.






E’ stato un orrendo pomeriggio, iniziato male e finito pure peggio.
Ho trascorso le ore svogliatamente e appena scemata la rabbia, mi sono reso conto di quanto sia triste litigare con Sanae.
Ho cercato con tutte le mie forze di non attirare l’attenzione dei ragazzi, ma il mio mutismo è risultato comunque sospetto, solo il buon Taro poteva salvarmi, inventandosi la scusa del calo di tensione post qualificazioni.
Tutti se la sono bevuta e, fortunatamente, non ho dovuto dare spiegazioni a nessuno, almeno finora.
Guardo scoraggiato, per l’ennesima volta, il cellulare muto da un pezzo e indeciso, mi chiedo se sia il caso di chiamare Sanae.
Sbuffo rivolgendo il mio sguardo imbronciato al cielo, amareggiato per la litigata avuta con lei e rassegnato alla mia indecisione.
Semplicemente non era mai successo che litigassimo e come mi ha stupito trovarmi in questa situazione, così non riesco a capire quali pesci prendere per rimediare.
I ragazzi mi salutano, allontanandosi per tornare a casa, io ritorno con la testa alla realtà e abbozzo un sorriso per risposta, accompagnato da un gesto sbrigativo della mano.
Taro si volta e invece di seguire gli altri, si avvicina, sedendosi poi accanto a me sulla staccionata di legno consumato.
“Ok ora che siamo da soli, mi vuoi dire che diavolo è successo?” mi chiede senza girarci intorno, mentalmente lo ringrazio ancora, per aver avuto la geniale intuizione di non toccare l’argomento prima.
“Abbiamo litigato…” borbotto, osservando ancora lo schermo del telefonino, che non ha ancora nulla da comunicarmi.
“Eh ma dai! Non c’ero arrivato!”
Mi volto a guardarlo torvo, per rimproverarlo del suo sarcasmo, ne ho avuto fin troppo in questa giornata.
Taro non si scompone, ma mi sorride, come per invitarmi ad allentare la tensione, poi mi porge di nuovo la stessa domanda.
“Ieri sera avevamo un appuntamento ed io le ho dato buca...” rispondo, omettendo dove sia andato a degenerare poi il discorso.
“Dove dovevate vedervi?”
“A casa sua.”
Taro rimane in silenzio ma il suo sguardo mi sembra all’improvviso divertito.
“Oh cenetta con i suoceri?” esclama sorridendo come uno scemo, a mio avviso.
Scuoto la testa e lui arcua le sopracciglia, sempre con quel sorrisetto del cavolo stampato in faccia.
“No, i suoi non c’erano ieri sera…” termino la frase e istantaneamente un campanellino inizia a tintinnare nella mia testa, tanto per farmi collegare un paio di passaggi interessanti.
Taro mi fissa, presumibilmente serio per un attimo, poi inizia a sghignazzare.
“Ci credo che s’è incazzata!”
“Che intendi?” chiedo, ignorando una vocina che mi ronza in testa e che mira in una certa direzione.
“Devo farti un disegnino?”
Taro allarga le braccia, girando i palmi delle mani verso il cielo e incassando leggermente il collo nelle spalle, inclinando la testa.
Io sento un calore improvviso salire dalla punta dei piedi fino alle orecchie.
Sopra la mia testa immagino ci debbano essere nuvolette di vapore, tanto sono arrossito.
“Tsubasa io te lo dico con tutto l’affetto del mondo, ma delle volte mi fai cadere le braccia!” e mi rifila una poderosa pacca sulle spalle, ridendo allegro.
Lo ignoro, perso nel mio imbarazzo e nella considerazione che non possa essere vero che Sanae volesse…
Ecco, solo a sfiorare quel pensiero, sento che arrossisco di più.
Ok calma, Tsubasa! Torniamo con i piedi per terra!
“Taro ma ti pare che lei…? Su, fai il serio!”
Il mio migliore amico mi guarda con aria paziente, ma sempre altamente divertita poi passa un braccio intorno al mio collo e si fa più vicino.
“Ti faccio un riassuntino, Tsubasa, in mancanza di carta e penna. La tua ragazza t’invita a casa sua a cena, dopo mesi di lontananza, chiamiamola così, fisica. I suoi non ci sono e sarete soli fino a notte tarda. Tu le dai buca e la tua ragazza è molto alterata con te, per essere buoni con i termini. Tu cosa pensi stia a significare? Che le girano perché ha dovuto buttare via il dessert?”
Rimango in silenzio senza rispondere, che poi tanto non ce n’è bisogno e nella mia mente risuona a ripetizione la frase interrotta da Sanae durante il nostro litigio.
“O perché pensavo che noi…”
“Non è possibile che Sanae…” borbotto incredulo, ma anche piacevolmente elettrizzato al pensiero di un’evoluzione fisica del mio rapporto con lei.
Taro sorride, scrollando leggermente le spalle.
“Perché non può essere così? Sanae non è un’entità astratta, ma un essere umano. Ti ama da sempre ed è normale che voglia continuare a farlo in tutti i modi possibili, compreso il sesso. E’ come te, Tsubasa ricordatelo. Solo che tu sei un ragazzo e lei una ragazza. E in questo caso, è proprio qui che viene il bello!”
Con il gomito bussa contro la mia spalla, sorridendo provocatorio ora.
Io mi sento anche più confuso di prima adesso, perché una parte di me si maledice per la mia idiozia e l’altra è disperata per aver litigato con lei.
“Sì ma ora non sognare ad occhi aperti! Hai un problema da risolvere, prima!” esclama il mio amico, picchiettando con l’indice sul cellulare, stretto ancora tra le mie mani.
“Già…” mormoro, memore di nuovo del mio litigio e del modo pessimo in cui ci siamo lasciati, Sanae ed io, questo pomeriggio.
“Fa pace con lei prima di tutto. Credo che anche per Sanae, oggi sia stata la peggior giornata in assoluto. Non lasciarla così per molto, già è dura quando non ci sei.”
Il ricordo dei suoi occhi colmi di lacrime, della sua voce vinta dalla rabbia e l’eco delle sue parole, mi rimbomba dentro, come se la scena fosse ancora davanti ai miei occhi.
E il senso di colpa, che all’inizio divideva lo spazio nel mio cuore con la rabbia, torna a stringermi il petto, come una morsa soffocante.






Nel campo da calcio sono la persona più risoluta del mondo ma nella vita privata, ho ancora tanto da imparare.
Appena nel tardo pomeriggio mi ero ripromesso di fare pace con Sanae, è passata quasi un'ora da quando siamo arrivati in questo locale, ma ancora non sono riuscito nemmeno ad avvicinarmi a lei.
Ho solo il timore di non trovare le parole giuste, di sentire ancora la sua collera su di me.
La osservo dall’altra parte della stanza, appoggiata al bancone, si guarda intorno con aria annoiata, i lineamenti del suo viso visibilmente tirati, nonostante il trucco.
I suoi occhi ora incrociano i miei, colto di sorpresa, mi volto dandole le spalle, in un gesto forse un po’ vigliacco.
Faccio finta d’interessarmi alle chiacchiere di Ishizaki, ma il mio cervello è completamente concentrato su di lei.
Mi volto di nuovo per cercarla ma adesso è Sanae a darmi la schiena, circondata da Taro e la Nishimoto, seduti affianco a lei.
Ok basta con questa storia! Va da lei!
Faccio per muovere un passo, stanco di questa situazione, quando sento picchiettare sul mio braccio insistentemente.
Abbasso lo sguardo e noto un paio di ragazze che, a occhio e croce, avranno la mia età.
Sorridono fissandomi, stringendo le mani sotto il mento, con fare quasi adorante.
“Tu sei Tsubasa Ozora, vero?” mi chiede la più piccoletta di statura, annuisco imbarazzato grattando il ciuffo sulla nuca.
Le due prendono a saltellare sul posto, battendo le mani entusiaste.
“Ed io sono Ishizaki! Ryo Ishizaki! Il difensore della nazionale, mi riconoscente?” interviene il mio amico, mettendosi in mezzo e indicando il suo faccione sornione, con l’indice della mano destra.
Le ragazze lo ignorano, degnandolo solo di uno sguardo di sfuggita, rimanendo sempre concentrate su di me.
“Possiamo fare una foto con te?”
Imbarazzato, annuisco ancora, la piccoletta allunga il telefonino a Ishizaki, chiedendogli in maniera sbrigativa di fotografarci.
Lui accetta borbottando mentre sono circondato dalle due ragazze, che si avvinghiano alle mie braccia ridendo e facendo segni di vittoria.
“Ci firmi questi?” chiedono ancora, una volta ripreso il cellulare, mostrandomi due fazzolettini del locale, leggermente sporchi di rossetto.
Arriccio il naso per un istante, capendo però che prima le accontento, prima posso andare da Sanae per chiarire.
Quando risoluto a sbrigarmi, sto per afferrare la penna che mi porge sempre la piccoletta, noto però con la coda dell’occhio proprio Sanae, che esce come un fulmine dal locale.
Preso letteralmente dal panico, mi rimprovero per le buone maniere che ogni tanto dovrei smettere di usare, specialmente con gli sconosciuti.
Mi scuso velocemente con le due ammiratrici, tentando di svincolarmi subito da loro.
Le due però non demordono, anzi non contente, chiamano altre amiche per ripetere con loro il rito della foto e dell’autografo.
Perdo così altro tempo prezioso, che a me sembra lunghissimo e appena riesco a congedarmi dal gruppetto rumoroso, mi precipito da Taro.
“Dov’è andata?” chiedo appena l’ho raggiunto.
“Se n’è andata a casa!” è Yukari a rispondermi, precedendo il mio amico.
“Raggiungila! Corri!” mi esortano poi, quasi all’unisono.
Non me lo faccio ripetere due volte e scappo letteralmente, lanciandomi all’inseguimento di Sanae.

 




La raggiungo quando è all’altezza del ponte di legno che costeggia il parco.
L’ultima volta che sono stato in questo posto, eravamo sempre insieme, ma non così distanti, perché la baciavo, fin quasi a perdere il fiato.
Osservo la sua figura appoggiata al legno scuro, il mento poggiato sulle mani e lo sguardo triste rivolto alla luna.
E vederla così, mi fa riflettere ancora, come se non fosse stato il mio unico pensiero nelle ultime ore, su quanto possa soffrire a causa mia e per colpa della lontananza.
Non conoscevo, fino a questo pomeriggio, tutta la frustrazione che potesse avere dentro.
E’ brava a tenere tutto per sé.
Sapevo che non era facile per lei vivere così, ma non immaginavo fino a questo punto.
Questa nuova consapevolezza mi fa sentire in bilico e permette alla paura di fare capolino nel mio cuore.
Quanto può sopportare una ragazza per amore?
Scuoto la testa, cercando di allontanare pensieri ancora più dolorosi e mi concentro unicamente sul fatto che ora abbiamo la possibilità di stare insieme per un po’ e che non devo perdere nemmeno un secondo in più, senza vivere Sanae come vorrei.
“Che ci fai qui da sola?” chiedo titubante, rompendo il silenzio e palesando la mia presenza alle sue spalle.
Sanae sussulta appena, poi si volta nella mia direzione.
“Ti ho vista uscire di corsa. Dove stai andando?” aggiungo mentre lei si morde il labbro inferiore, per evitare, temo, il pianto.
“A casa…” risponde in tono freddo, prima di voltarsi di nuovo e osservare il cielo.
Non mi faccio abbattere dal suo atteggiamento, che ora mi è così chiaro e mi avvicino a lei, appoggiandomi al legno, proprio accanto al suo fianco destro.
Silenzio.
Che detesto quando si frappone tra noi due, perché mi sembra innaturale, cattivo.
Poi un suo gesto sconvolge tutte le mie emozioni.
Si appoggia alla mia spalla ed io sento i muscoli, fino a un secondo fa contratti e tesi, rilassarsi all’improvviso, grazie al contatto con lei.
Ed è di nuovo Sanae a venire incontro a Tsubasa.
Come sempre.
E’ ancora lei che mi dimostra quanto possa essere generosa con me.
D’istinto circondo le sue spalle con un braccio e le sfioro i capelli con un bacio.
“La nostra prima discussione…” mormoro, ispirando il suo profumo, la mia bocca ancora vicina alla sua fronte.
“Io non volevo…”
La interrompo immediatamente, posando due dita sulle sue labbra e scuotendo la testa.
“Lo so, Sanae. Non sei tu a doverti scusare…” l’abbraccio forte, per sottolineare i miei sentimenti che forse non sono capace di esprimere bene a parole.
“Scusami tu per l’appuntamento di ieri sera e per la cena che non ho mai mangiato. Scusami per tutte le volte che ti senti triste ed io non ci sono. Scusami per le mie scelte e per essere partito.”
La stringo di più sentendo che ha preso a singhiozzare, poi le chiedo la cosa che conta di più in questo momento.
“Non odiarmi per questo!” e nascondo il viso tra i suoi capelli.
“Non potrei mai odiarti, stupido!”
Lo dice come se fosse una verità assoluta ed io so che probabilmente è davvero così.
Torno a guardarla ora, incoraggiato dalle sue poche parole.
Fisso i suoi occhi con serietà perché non voglio che abbia più dubbi su quello che provo.
Voglio che sappia che ho capito, davvero, come si sente.
“Scusami di tutto, Sanae. Di tutto!”
Lei accarezza con dolcezza una mia guancia, poi sorride, continuando a rassicurarmi.
Come se fossi io quello da proteggere, come se venissi prima di tutto, prima di lei.
“Però dobbiamo fare pace per bene, Tsubasa!” e m’invita a chiudere gli occhi.
La assecondo, felice di sentire ancora il suo tono allegro e rivolto di nuovo a me.
Non immaginavo potesse mancarmi così tanto.
Le sue labbra sfiorano le mie con delicatezza.
Le mie emozioni, che mi hanno sopraffatto per tutta la giornata, mutando d’aspetto e forma ora dopo ora, prevaricano ancora sulla mia volontà ma questa volta coincidendo con essa.
Cingo i suoi fianchi con le braccia e rispondo al suo bacio con passione.
Non voglio più litigare con te e non voglio più deluderti.
Non voglio più dare per scontata la tua forza.
E anche se so che non sarà possibile, non voglio più che tu pianga.
Ma voglio solo renderti felice…










Ecco so già che lo Tsubasa di questo capitolo, specie nella prima parte, perché forse nel finale si ripiglia un pochino, sarà riempito d’insulti. xD
Bisogna però ricordarsi che non è il principe azzurro, per quanto io abbia sempre cercato di giustificare certi atteggiamenti scomodi del suo carattere.
Credo che questi suoi difetti, evidenziati in questa parte della storia, ci siano e che completino il quadro generale su di lui, o almeno, quello che io ho sempre visto nel personaggio.
A differenza degli altri capitoli, qui era necessario riproporre scene e dialoghi di B. proprio per poter evidenziare meglio Tsubasa e il percorso emotivo che lo porta a capire meglio la sua Sanae. Ringrazio, come sempre doverosamente, chi ha letto, recensito o scritto a me personalmente.
Approfitto di quest’aggiornamento per augurare una serena Pasqua a tutti e rimandare l’appuntamento con il prossimo capitolo, al 20 Aprile circa, visto che mi concederò una vacanza di un paio di settimane fuori città.^^
Grazie ancora per l’attenzione,
OnlyHope^^

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Capitolo 9
*** Sotto la pioggia ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 9

Sotto la pioggia










Il rumore della pioggia scrosciante, che cadendo batte ritmica sul tetto di plastica della pensilina nella fermata dell’autobus.
I fulmini che rischiarano l’aria, per poi esplodere nel fragore assordante che rimbomba nelle orecchie.
Sono bagnato da testa a piedi, anche Sanae al mio fianco sembra appena uscita dalla doccia.
E pensare che era già da un po’ che brontolava per via dei nuvoloni neri sopra le nostre teste, forse avrei dovuto darle retta e tornare indietro prima che ci si rovesciasse addosso il finimondo.
“Mi sa che avevi ragione tu, Sanae!” esclamo memore anche della nostra recente litigata.
Non mi va proprio d’indispettirla ancora, fosse anche solo per cretinate.
“Come mi sa?! Guarda in che stato siamo! E non accenna minimamente a smettere!” mi risponde ridendo mentre allungando un braccio, tende il palmo della mano oltre il nostro riparo.
Osservo le gocce d’acqua rincorrersi sulla sua mano aperta, poi il mio sguardo sale fino a raggiungere il suo corpo, messo in evidenza dagli indumenti bagnati.
Posso chiaramente distinguere le rotondità del suo petto, stretto nelle coppe chiare del reggiseno.
“Già…” mormoro quasi inconsciamente, continuando a fissarla in quel punto.
Sanae si volta a guardarmi e mi risveglio dal mio semi stato di trance.
Imbarazzatissimo per essermi fatto beccare a sbirciare, distolgo lo sguardo fissando un punto lontano all’orizzonte, mentre sento che sto arrossendo vistosamente.
Con la coda dell’occhio colgo la sua espressione perplessa poi il suo viso si abbassa per osservare la sua maglietta bagnata, terribilmente aderente.
Pochi istanti e le sue braccia s’incrociano velocemente sul petto.
Distolgo di nuovo completamente lo sguardo, sentendomi ancora più imbarazzato.
Un fulmine rischiara per un attimo il cielo poi il rombo del tuono, ancora più forte dei precedenti.
Sanae starnutisce rumorosamente ed è chiaro che, zuppi come siamo, rischieremo sicuramente di prenderci un malanno se non ci muoviamo da qui.
Calcolo velocemente dove ci convenga rifugiarci per asciugarci e aspettare che spiova.
Casa mia è abbastanza vicina, così propongo a Sanae di raggiungerla e prendendola per mano, dimentico dell’imbarazzo di poco prima, la trascino di nuovo sotto la pioggia, cercando di fare il prima possibile.
Corriamo alzando schizzi d’acqua dalle pozzanghere e percorriamo ogni scorciatoia mi venga in mente, soprattutto perché Sanae mi sembra piuttosto affaticata, oltre che completamente bagnata.
Quando raggiungiamo l’ingresso di casa mia, tiro un sospiro di sollievo mentre la mia ragazza respira affannosamente tenendo una mano sul petto.
Suono il campanello prolungatamente e attendo che ci vengano ad aprire.
Non ricevendo una risposta repentina, premo ancora il pulsante bianco insistentemente, mentre Sanae mi ricorda, rimproverandomi, che Daichi potrebbe dormire a quest’ora.
Ancora silenzio oltre la porta e ora le lamentele della mia ragazza sono tornate sull’assurdità della scelta di essere venuta a correre con me.
Spazientito dall’inutile attesa, mi ricordo che dovrei aver preso le chiavi di casa stamattina e mi metto a cercarle nelle tasche della tuta.
Quando le trovo, le faccio dondolare davanti al suo viso, che s’illumina di felicità.
Velocemente le infilo nella serratura e apro la porta.
Entro togliendomi rapidamente le scarpe con la punta dei piedi, mollandole sul pianerottolo sbadatamente e mi affaccio in cucina per vedere se ci sono messaggi di mia madre.
Quando abitavo ancora in Giappone, ne lasciava sempre attaccati al frigo, quando usciva senza avvertirmi.
Stacco un foglietto color caramello, indirizzato appunto a me, dall’elettrodomestico, spostando la calamita a forma di pallone e leggo il breve messaggio che mi avverte che la mamma e il mio fratellino sono da una zia e che non rientreranno prima di cena.
Appena letta l’ultima parola scritta sull’appunto, una sorta di fibrillazione prende a torturare piacevolmente il mio cuore, perché questo vuol dire che Sanae ed io saremo soli per tutto la giornata.
Soli con la casa tutta per noi.
Istantaneamente mi tornano in mente le supposizioni di Taro sulla cena saltata a casa della mia ragazza, solo qualche giorno fa e su quello che sarebbe potuto accadere.
“Tutto ok?” mi chiede Sanae appoggiandosi allo stipite della porta, la osservo per un attimo mentre stringe ancora le braccia sul petto, forse involontariamente.
“Sono fuori.” rispondo sorridendole e la invito ad andare di sopra, per cambiarci.
Mentre saliamo le scale, non riesco a non pensare che saremo soli per molto tempo e mi chiedo ripetutamente come ci si dovrebbe comportare in questi casi.
Sono innamorato di lei e fisicamente mi piace da morire, sono dati di fatto, ma ciò non basta a suggerirmi che pesci prendere.
Poi le braccia incrociate ancora sul seno, mi sembra possano essere un chiaro segnale da parte sua, o forse è stata davvero solo una casualità.
Sono confuso.
Entriamo in camera mia e Sanae si mette a gironzolare per la stanza, osservando attentamente ogni particolare, un po’ come se fosse la prima volta che ci entra.
La seguo con lo sguardo, i miei occhi si posano istintivamente sul suo sedere e sull’allacciatura del reggiseno, che spicca sulla sua schiena, sotto il cotone bianco della maglia.
Imbarazzato, apro rapidamente l’armadio e mi nascondo dietro all’anta, cercando così anche il cambio per entrambi.
Ma che diavolo mi prende?! Calmo, cerca di calmarti!
Afferro un paio di T-shirt e dei pantaloni e riemergo dal mobile cercando di recuperare un po’ di lucidità.
Quando incrocio il suo sguardo, sento però che sto vacillando ancora.
Sono troppo confuso se c’è lei, così capisco che mi ci vuole un attimo di riflessione tra me e me, per schiarirmi bene le idee e tornare a più miti consigli, visto che il mio cervello, e non solo, sembra essersi inspiegabilmente fissato su un certo punto.
“Aspettami, vado a prendere degli asciugamani!” esclamo sorridendo, facendo finta di niente e in meno di un secondo sono in corridoio e poi in bagno.
Mi tolgo la maglietta bagnata lanciandola in un angolo e mi appoggio al lavandino, sostenendo il mio peso con le braccia.
Mi guardo allo specchio per cercare un briciolo di sicurezza e decisione, che in questo frangente farebbero proprio al caso mio, ma nel riflesso vedo solo un ragazzino agitato, che respira affannosamente.
Che cosa dovrei fare ora?
Andare di là e…
Siamo seri, non so nemmeno da dove cominciare e poi chi mi dice che anche lei abbia i miei stessi desideri?
Si aspetta forse qualcosa da me? Ora?
Il discorso di Taro sull’invito di Sanae a casa sua non fa una piega, ma in fondo non è detto che sia necessariamente quello il senso della serata che aveva organizzato.
E se fosse stata solo una cenetta romantica e stop?
E se andassi di là e ci provassi, iniziando da dove, proprio non si sa e sbagliassi tutto?
Non voglio offenderla, non voglio che se la prenda ancora con me.
Come non voglio ferire la sua sensibilità, facendo cavolate in un frangente così delicato.
Non fare cazzate, Tsubasa!
Mi fisso allo specchio, come se stessi ammonendo un mio amico, cercando in tutti i modi di mettermi l’anima in pace.
Devo solo ignorare che ci sia l’occasione, lo spazio e i tempi giusti per farlo e comportarmi con lei come sempre, come il solito Tsubasa.
Afferro un asciugamano e inizio a strofinarmi i capelli bagnati, credendo di aver ritrovato almeno un briciolo di normalità, poi ne prendo un altro per Sanae e mi sbrigo a raggiungerla, visto che mi sta aspettando con ancora i vestiti zuppi addosso.
Entro di nuovo in camera mia e deciso a non voler assecondare i miei sensi ma la ragione, lancio l’asciugamano destinato a Sanae nella sua direzione.
Sorpresa, lo riceve in faccia con scarsi riflessi.
“Che grazia, Tsubasa! Mica sono un tuo compagno di squadra!” esclama imbronciata incominciando a passare la spugna sui capelli bagnati.
Rido allegro avvicinandomi instintivamente a lei.
“Hai ragione! Un mio compagno non sarebbe mai stato lento come te a correre!” rispondo divertito quando sono a un passo da Sanae, che mi osserva sbuffando da sotto l’asciugamano.
E qui la mia volontà vacilla ancora e il mio istinto la prevarica, anche se di poco, con un gesto di per sé semplice, ma che in questo momento, vale quanto un guinness dei primati.
Le tolgo la spugna dalle mani e prendo a massaggiarle le tempie e poi la nuca.
Con delicatezza, come se avessi tra le mani della porcellana antichissima e preziosa, che desideravo da tanto toccare con mano.
Chiude gli occhi e non riesco a distogliere lo sguardo dai lineamenti del suo viso.
Le ciglia lunghe e nere curvate perfettamente e la bocca morbida e rosa, protesa verso di me, come un invito sottinteso.
Deglutisco poggiando l’asciugamano intorno al suo collo, Sanae apre gli occhi piano, come se stesse svegliandosi ora da un sonno prolungato.
Ci fissiamo senza battere ciglia, per secondi così lunghi che posso sentirli scorrere intorno a me.
E il mio respiro riprende a essere irregolare, dopo che avevo tanto cercato di calmarlo.
Vorrei baciarla, come non ho mai desiderato e potrei anche farlo, non è qualcosa di sconosciuto che non ho mai affrontato.
Baciarla andrà più che bene, sì.
Ma poi…
Facendo forza incredibilmente su me stesso, mi ripeto che ho promesso che non avrei più fatto nulla di sbagliato con lei e che devo rimettermi alle decisioni prese in bagno, solo qualche minuto fa.
Distolgo lo sguardo fissando la finestra rigata dalla pioggia, che sferza rumorosa contro il vetro e deglutisco nel tentativo estremo di ignorare l’attrazione e l’eccitazione, che scorrono tra Sanae e me.
“Esco un attimo, così puoi metterti i vestiti asciutti…” mormoro con un filo di voce per mantenere i miei buoni propositi, ma quando incrocio di nuovo il suo sguardo, dubito di riuscire a essere credibile e coerente con quanto è appena uscito dalla mia bocca.
Sanae rimane in silenzio, qualcosa d’indefinito nei suoi occhi.
Con un gesto lento tira l’asciugamano ancora intorno al suo collo, facendolo scorrere di lato, poi me lo porge.
Prendo la spugna dalle sue mani con un gesto meccanico, non riuscendo a staccare i miei occhi dai suoi, attratto da quell’incognita nel suo sguardo.
Poi accade quello che non mi sarei mai e poi mai aspettato.
Le sue braccia s’incrociano sulla vita e con delicatezza le sue mani tirano i lembi della sua maglietta, che alzandosi, scopre man mano centimetri di pelle nuda.
Il ventre piatto e morbido, poi il reggiseno color pesca che costringe il seno rotondo in una bellissima morsa.
Rimango imbambolato a guardarla, dimenticando completamente nell’arco di pochi secondi, ogni dubbio, indecisione e contorto ragionamento, che hanno affollato la mia mente nell’ultima mezz’ora.
Continuo a fissare la curva dei seni che si alza e si abbassa per colpa del respiro irregolare e non mi ricordo di aver mai visto nulla di più attraente, di più bello.
Vorrei anche sentire oltre che vedere.
Mi faccio scudo con l’asciugamano, viziato da un ultimo briciolo di timidezza, come se avessi ancora bisogno di un pretesto per arrivare a lei, al suo corpo.
Esitante avvicino la spugna sotto il suo collo e la paura è solo un ricordo, ora che con decisione la lascio scivolare fino a raggiungere il suo seno.
Ed è bellissima ora che la sfioro, ora che sto per baciarla abbandonando per sempre la mia innocenza di ragazzino.
Quando le mie dita sfiorano i suoi capelli e la nuca, avverto la più potente elettricità mai sentita, attraversare come una scossa i miei polpastrelli per accendere poi tutto il mio corpo.
E il piacere del sapore della sua bocca ora so che è solo l’inizio del mio amore con lei.






Sanae è morbida.
Sanae è calda.
Sanae è come velluto accogliente.
Sanae profuma.
Sanae ha mille sapori.
Sanae è fatta per me.
Io sono fatto per lei.
Mi stringe, la stringo.
Mi muovo, si muove.
Contro, insieme e sopra di lei.
Sanae mi accoglie, mi perdo in lei.
E lei si fonde in me.
Niente separazioni, niente distanze.
Lei ed io.
Profumo di pioggia, di pelle, di lei.
I fianchi, il seno e il sapore della pioggia.
Gli occhi socchiusi, il sorriso di miele dalle labbra morbide e turgide, divorato dai baci che proprio non so smettere.
Sanae è amore.
Sanae ama me.
Ed io amo lei.
Con il cuore.
Fisicamente.
Incondizionatamente.






Una luce chiara filtra dalla finestra, il cinguettio degli uccelli ha preso il posto del rumore ripetuto della pioggia.
Mi stringo di più alle sue spalle, cingendo con più decisione intorno al suo seno, le sue braccia intrecciate alle mie.
Guardo il fascio di luce che si proietta sul soffitto, sorridendo inebetito, incredulo che questo pomeriggio sia già trascorso.
Stamattina dovevo semplicemente andare a correre con Sanae, stasera mi ritrovo ad aver passato la giornata con lei nel mio letto.
A fare l’amore.
Solo a pensarlo il mio sorriso si distende ulteriormente, non mi sembra ancora possibile che sia accaduto sul serio, che l’abbiamo fatto.
E rifatto un’altra volta.
Con un sospiro, chiudo gli occhi inspirando il suo profumo attraverso l’incavatura del suo collo.
Sanae ride, solleticata dal mio respiro sulla pelle, d’istinto le poso un bacio sonoro sulla guancia.
“Devo andare ora…” mormora poi voltandosi, allentando la mia presa le permetto di girarsi più facilmente verso di me.
Ha i capelli arruffati dalla pioggia e dalla permanenza prolungata a letto, ma non l’ho mai vista così bella come ora.
Mi sorride e le sue gote s’imporporano così armoniosamente con il suo viso, da farmi sentire la voglia di baciarla ancora.
“Di già?” chiedo scansandole i capelli da una spalla e portandoli sulla sua schiena, il lenzuolo appena appoggiato sul suo petto, mi permette di intravedere ancora la curva morbida del suo seno.
“Due ore fa andava bene un di già! E’ tardi davvero, tra un po’ tornerà tua madre e miei mi avranno già data per dispersa!”
“Uh…” non mi va proprio che se ne vada, ma in fondo ha ragione lei, a malincuore la devo lasciare andare.
Mi sorride prima di tirarsi su, un braccio a tenere fermo il lenzuolo sul torace prima di scorgere gli indumenti puliti e asciutti abbandonati sulla mia scrivania.
Fa per alzarsi, portandosi dietro le lenzuola, quando si volta verso di me, imbarazzata perché consapevole che in questo modo, finirà col lasciarmi a letto completamente nudo.
“Se vuoi te li prendo io…”
Sanae annuisce sorridendomi, ma quando faccio per alzarmi, sono colto dal suo stesso imbarazzo.
E mi viene proprio da sorridere, perché abbiamo passato il pomeriggio nudi, pelle a pelle, a letto e non è possibile che possiamo vergognarci di nuovo, arrivati al momento di rivestirci.  
Sanae ride divertita, probabilmente presa dallo stesso pensiero assurdo e un po’ ridicolo.
“Ci penso io!” esclama, piegandosi oltre il bordo del letto e risalendo con uno dei due asciugamani, abbandonati a terra, stretto in mano.
“Tieni!” e me lo passa con un sorriso incoraggiante, alzandomi, lo lego veloce sui fianchi.
Sanae piega le gambe, circondandole con le braccia e appoggia il mento alle ginocchia, mentre mi osserva prendere i vestiti dalla scrivania e inginocchiarmi a raccogliere la sua biancheria intima.
M’inchino davanti a lei per porgerle il fagotto d’indumenti, mi ringrazia con un altro bel sorriso e un bacio a fior di labbra, che mi fa maledire di nuovo lo scorrere del tempo che la costringe ad andarsene.
Girando intorno al letto mi distendo di nuovo al mio posto, per farla rivestire tranquillamente.
Sanae scivola fuori dalle lenzuola, posando i piedi nudi a terra e dandomi la schiena nuda.
Arrossendo, ma non per l’imbarazzo stavolta, seguo con lo sguardo la linea della colonna vertebrale che sale dalla rotondità dei suoi fianchi fino alle scapole sfiorate dai capelli scuri.
Quando le sue braccia si alzano, intravedo la curva del seno e non so cosa mi trattenga dal trascinarla di nuovo sotto di me.
Il pensiero di mia madre che entra in camera con in braccio Daichi proprio sul più bello, è sufficiente però a tenere a bada i miei istinti.
Prima che la sua meravigliosa schiena mi venga di nuovo celata dalla maglietta, non resisto comunque dallo sfiorarla con la punta delle dita, accarezzando poi un fianco con il dorso della mano.
Sanae si volta appena e mi sorride.
Bellissima…
Veloce mi rivesto anch’io, o meglio, m’infilo semplicemente i pantaloni asciutti e sono in piedi quando lei si volta, un po’ infagottata nei vestiti decisamente abbondanti.
Mette le mani in tasca e poi le allontana con i pugni chiusi dai fianchi, i pantaloni sono enormi e le coprono completamente i piedi.
Ride felice mentre finge di camminare come un pinguino, rido anch’io vedendola fare certe mosse buffe.
Mi avvicino a lei e inginocchiandomi, arrotolo un po’ di stoffa fino a scoprirle i polpacci leggermente dorati dall’abbronzatura estiva.
“Così va meglio no?” le chiedo alzandomi di nuovo e trovandomi così vicinissimo a lei.
“Perfetto!” esclama felice mettendosi sulle punte e poi circondando il mio collo con le braccia.
D’istinto le cingo la vita attirandola un po’ di più a me.
“Finisco di vestirmi e ti accompagno a casa…” mormoro sfiorando il suo naso con il mio, tentato di baciarla ancora.
Sanae arcua le sopracciglia poi inclina la testa leggermente, voltandosi verso il letto sfatto.
“Credo che sia meglio che tu rimanga qui a mettere in ordine e a occultare le prove!”
Non mi lascia il tempo di ribattere, confondendomi con un bacio.
Si separa dalle mie labbra con uno schiocco, mi prende per mano invitandomi a seguirla al piano di sotto e quando varchiamo la porta di camera mia, mi sembra proprio un’ingiustizia doverci separare.
La osservo in silenzio mentre si rimette le scarpe, poi le porgo il fagotto con i suoi vestiti umidi.
“Altre prove!” esclamo sorridendo, Sanae scoppia proprio a ridere divertita invece.
Apre la porta di casa ed esce sul pianerottolo, un raggio di sole rosso come il tramonto la illumina e a me sembra che sia appena uscita da un sogno.
“Allora a domani!” e mi saluta con un cenno della mano, poi il suo sorriso si distende dolcemente come a sottintendere ogni emozione provata in questo pomeriggio.
Faccio altrettanto, sempre senza accorgermene mentre sento che vorrei che rimanesse qui con me.
Perché sarà irripetibile questa giornata, perché chissà se avremo ancora modo di stare di nuovo insieme come oggi.
Ma non voglio rovinare il giorno in cui siamo diventati adulti insieme, con pensieri come questi.
Abbiamo fatto l’amore ed è semplicemente fantastico.
“Scappo!” esclama voltandosi e allontanandosi di qualche passo.
“Sanae!” la chiamo, costringendola a fermarsi poi la raggiungo e la sorprendo con l’ennesimo bacio.
“Vediamoci anche stasera…” sussurro vicinissimo alle sue labbra.
Sanae mi sorride e mi sembra di scorgere nei suoi occhi il riflesso dell’arcobaleno.










Come promesso eccomi qua!^^
Premetto che mi sento come i personaggi dello spot della Costa Crociere, se penso che domani si torna al lavoro… ^^’ Vabbè questa è una mia inutile divagazione. xD
Ringrazio come sempre i lettori silenziosi e ovviamente quelli che si fanno sentire.^^
Alla prossima settimana, OnlyHope

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Capitolo 10
*** Ultima notte d'estate ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 10

Ultima notte d’estate









Gli occhi fissi sulla preda, bianca come la neve e rossa come i coralli, che ignara continua a rincorrere le altre, nel loro silenzioso e umido passeggio.
Il mio braccio destro si alza lentamente sopra la testa, aguzzo la vista prima di calare con rapidità il mio attacco.
Con un gesto deciso cerco di portare la preda in superficie, avvicinando la ciotola color muschio stretta nell’altra mano.
In una frazione di secondo la carta si sfalda, aprendosi in due.
“Oh noooo!” esclama Sanae ridendo divertita mentre osservo il pesciolino che mi è appena scappato, riprendere a nuotare nella tinozza di legno.
Sbuffo rigirando la paletta bucata nelle mani, lei non smette di ridacchiare quando l’appoggio insieme alle altre tre, che hanno avuto la stessa misera fine.
“Ok un’altra! Riproviamo!”
“Tsubasa arrenditi!” mi esorta appoggiando il mento sottile sulla mia spalla, mettendo un po’ a repentaglio il suo precario equilibrio, visto che sono dieci minuti che siamo accovacciati davanti alla vasca con i pesci.
“No stavolta ci riesco!” e porgendo un’altra manciata di spiccioli al proprietario della bancarella, ricevo subito la mia nuova paletta, convinto che sarà quella giusta stavolta.
“Non si può essere i migliori in tutto, fattene una ragione!”
Sanae ride ancora, divertita dalla mia insistenza, credendo probabilmente che mi sono intestardito per una questione di orgoglio.
Invece io vorrei prendere semplicemente un pesciolino, solo per regalarglielo, per lasciarlo qua con lei, al posto mio.
Domani parto…
Questa che stiamo trascorrendo è l’ultima sera che passeremo insieme, dopo un periodo che mi è sembrato un’eternità, in confronto a ciò cui siamo abituati solitamente.
E il mio sguardo ritorna su Sanae, che osserva l’acqua sotto i suoi occhi, illuminata dalle luci delle lanterne colorate, che dondolano appese sopra le nostre teste.
Sorrido dolcemente osservandola nel kimono giallo chiaro, ricamato di fiori rossi e bianchi.
I capelli tirati su, in un’acconciatura simile a quelle tradizionali ma allo stesso tempo moderna e carina, proprio come lei.
Come una giovane donna giapponese.
La seta colorata del suo vestito, oltre a donarle incredibilmente, ha però anche il potere di rimarcare ancora di più la distanza che ci separerà di nuovo, ricordandomi allo stesso tempo, quali siano le mie origini e il luogo cui appartengo.
Sanae incrocia il mio sguardo e mi sorride, poi la piega delle sue labbra prende a velarsi di malinconia, come sta capitando sempre più spesso in questa serata.
Ed è palese che ogni risata che ha spezzato la tristezza in questa notte di festa sia solo l’estremo tentativo di ricacciarla e di far finta che tutto sia normale, che il domani non porti cambiamenti.
Ma la tristezza riesce comunque a predominare e a eclissare ogni piccolo attimo di precario  buonumore.
E’ una sensazione chiara quella che mi sento sulla pelle, come se stessi già partendo fin da adesso, come se fossi già sopra quel volo intercontinentale, che riporta tutto al vecchio, doloroso ordine di cose.
Facendo appello al mio coraggio, mi sprono a non lasciarmi vincere dallo sconforto, sia per me ma soprattutto per Sanae.
Sfodero un sorriso il più possibile disteso, senza distogliere il mio sguardo dal suo, con la tacita richiesta che lei faccia altrettanto.
Sanae socchiude leggermente gli occhi e inspira profondamente, il suo torace di gonfia lentamente, mi sembra quasi che tremi.
Quando le sue palpebre si aprono di nuovo, risponde al mio sorriso, imitandomi.
“Allora riprovi, sì o no?” mi chiede con un’espressione di nuovo divertita a vivacizzare i bei lineamenti del viso.
D’istinto prendo il cellulare dalla tasca e le scatto una foto.
Osservo il suo sorriso formato dai piccoli pixel dello schermo, l’abito tradizionale e le ciocche di capelli tenute strette dai nastri colorati.
La mia bellissima ragazza giapponese…
Sorrido compiaciuto e salvo come sfondo.
Quando rimetto il cellulare in tasca, torno a guardare la Sanae in carne e ossa davanti a me, che mi osserva perplessa ma ancora sorridente.
Mi porto più vicino a lei e prendo la sua mano destra, stranamente fredda, in modo che combaci con il mio palmo.
“Proviamo insieme…” mormoro al suo orecchio, le sue dita s’intrecciano alle mie intorno al legno scuro della paletta.
Le sue gote s’imporporano e i suoi occhi s’illuminano di divertimento, segno che siamo tornati di nuovo, entrambi, a mettere la testa sotto la sabbia.
Vicinissimi ci sporgiamo sulla vasca per adocchiare la nostra preda e così la finzione torna a camuffare questa serata.
Si riprende a far finta che sia una notte qualunque, in un giorno di festa, in una calda notte d’estate.






Mi ero ripromesso di fare un paio di cose, una volta arrivato in Giappone.

Una decisamente importante ma che poi ho abbandonato, preso come sono stato dal mio vecchio mondo che mi riassorbiva.
Preso dagli amici, dalla vita di un tempo che è tornata prepotente a farmi ricordare che amo questo posto, radicato com’è nel mio cuore.
L’amore che provo per Sanae poi ha fatto il resto, annullando completamente tutto ciò che poteva distrarre da lei la mia attenzione, compreso, paradossalmente, qualcuno che ci riguardava.
Sono atterrato nel mio Paese un mese fa con la netta convinzione d’imbattermi, casualmente e per vie traverse, nel terzo incomodo che ronza fastidiosamente nel mio orecchio, ormai da diversi mesi.
Giusto per curiosità e per quel tanto di disturbo, che il suo interesse per la mia ragazza suscita in me.
Gli eventi però hanno preso il sopravvento, portandomi a dimenticare la sua esistenza.
Ho litigato con Sanae durante questa vacanza, cosa che non avevo mai fatto prima.
L’ho amata poi come non ero ancora riuscito a fare, nel modo che ora, mi sembra il più giusto per esprimere cosa si sente dentro.
Dopo aver fatto l’amore con lei, potevo ricordarmi o riflettere ancora sul suo insignificante corteggiatore?
La mia mente ha annullato con la sicurezza il suo ricordo.
L’orgoglio ha fatto il resto perché mi rendo conto che non sarei mai andato da lui a fare le dovute presentazioni, dimostrando così di essere intimorito, perlomeno ai suoi occhi, dalla sua presenza intorno a Sanae.
Avevo archiviato Takeshi Seii, ma il caso o forse no, ha riportato in superficie il problema, permettendomi comunque di trovarmelo davanti, in maniera fortuita.
Non era quello che volevo?
“Tsubasa lui è Seii, un mio compagno di corso al club di musica. E’ il ragazzo che ha sostituito il prof. all’audizione il mese scorso.”
Gli tendo la mano, facendo finta di non aver notato il modo in cui mi ha squadrato, appena mi sono voltato passando da bere a Sanae.
La mia sorpresa è durata il tempo di incrociare il suo sguardo, poi si è dissolta, lasciando posto all’istinto.
E così questa è la tua faccia…
“Piacere!” esclamo stingendo deciso intorno alle sue dita, Seii sorride tranquillo ricambiando la mia stretta con altrettanta forza.
Involontariamente il mio cervello inizia a immagazzinare veloce ogni particolare che riguarda il ragazzo avanti a me: dalla polo nera che indossa all’espressione del viso, dal colore degli occhi, più chiari dei miei, alla sua altezza.
Mi sembra di conoscerlo da tempo eppure è un perfetto estraneo, potere dell’immaginazione e di giornate passate a riflettere su di lui.
“Nakazawa ho chiesto al professor Tadai di partecipare alle sessioni d’incisione, quindi quando andrete a Tokyo per registrare sarò dei vostri!”
E noto, non si potrebbe non farlo, che le sorride in modo appariscente.
Gli angoli delle labbra piegati allegramente e gli occhi due fessure estremamente cordiali, fin troppo entusiaste.
“E' un vero peccato Ozora, che tu stia in un altro continente mentre noi saremo chiusi in uno studio a suonare giorno e notte! Ti saresti divertito ad ascoltarci. Beh, contando i tuoi tempi, la prossima volta che tornerai in Giappone l' album sarà già esaurito nei negozi di dischi!"
Il suo sorriso ora rivolto a me, all’apparenza cordiale ma sfacciato, dal mio punto di vista.
Alla faccia del fair play.
Non sono scemo, mi sta mandando un messaggio impossibile da fraintendere e senza rendermene conto, istintivamente, la mia curiosità nei suoi confronti si trasforma in esigenza di mettere le cose in chiaro.
Non mi aspettavo comunque che fosse lui a sfidarmi, avevo immaginato che se ci fossimo incontrati, sarebbe spettato a me introdurre la questione, mandandogli chiari ma discreti messaggi subliminali.
Mi adatto senza svelare lo stupore, scoprendo in me l’innata forza che scioglie la lingua e suggerisce soluzioni, quando sono sfiorate le cose care, quando qualcuno vuole anche solo avvicinarsi a chi ami.
Alla ragazza che ami, senza girarci intorno.
Questa è una questione di amore, gelosia e possesso, quest’ultimo inteso nel senso più positivo del termine.
"Sanae è brava, non credo ci metterete tutto questo tempo. Magari con quello che avanza, potrà venire un po' di tempo da me in Brasile!"
Lo fisso negli occhi, facendo bene attenzione che nemmeno un battito di ciglia distolga la fissità del mio sguardo e la mia bocca si distende in un sorriso sicuro, imperturbabile.
Tutto mi viene spontaneo, mi sento semplicemente capace di farlo.
Perché devo essere io il più forte tra i due.
Io sono il più forte.
E Sanae è mia.
Non dovresti nemmeno sfiorarla, perché è oltre le tue possibilità, è troppo per te.
"Scuola permettendo però!" ribatte Seii senza scomporsi e senza mollare la presa sulla questione, sul suo viso campeggia un sorriso sornione, provocatorio.
Entrambi sappiamo che gioco stiamo conducendo.
"Ovvio, scuola permettendo!" e istintivamente, ancora, la mia mano si appoggia sulla spalla di Sanae, il mignolo a sfiorarle il collo in una micro carezza, tanto per rafforzare il concetto.
"Beh, ora sarà meglio che vada. Non vorrei rubarvi ancora tempo prezioso, già ne avete così poco!" e si avvicina a me di un passo, sorridendo allegro stavolta.
Stronzo! Penso ma al di fuori sono una maschera di serenità.
"E' stato un piacere, Ozora. E congratulazioni per le qualificazioni, capitano!"
E' lui a tendere la mano verso di me stavolta, il mio sguardo si posa un secondo sulle sue dita lunghe da musicista, cercando di glissare sul tono provocatorio con cui ha accentuato l’ultima parola.
“Piacere mio. Ero proprio curioso di conoscerti..." esclamo tornando a guardarlo con convinzione negli occhi.
So chi sei e quello che hai in mente, attenzione...
Seii non si controlla stavolta e sgrana leggermente gli occhi, confuso.
Rimango impassibile godendo internamente del moto di stupore dipinto sul suo volto, ora che ha commesso un errore.
E mi è chiaro che ha colto il messaggio, che poi è quello che volevo.
La nostra tacita battaglia finisce in questo momento.
Seii si ricompone e ci saluta facendo finta di niente, quando si allontana, osservo ancora per qualche secondo la sua schiena, prima che scompaia tra la folla.
Sanae ed io riprendiamo a gironzolare per le bancarelle, senza fare commenti sull’incontro appena concluso.
Inizio silenziosamente a rimuginare su cosa è accaduto: ho incontrato il mio pseudo rivale, o chi ambisce a esserlo, e lo stupore torna a fare capolino nella mia testa.
Osservo Sanae che silenziosa mastica una caramella presa dal sacchetto che le ho comprato al chiosco.
Mi rendo conto solo ora, che ero così intento a difenderla da non aver prestato molta attenzione proprio a lei, mentre ammettiamolo, marcavo il mio territorio e definivo tacitamente il mio possesso su di lei.
Possesso che espresso così fa tanto maschilista, ma che non lo è per niente.
Considero Sanae mia, non come un oggetto.
Lei è semplicemente l’incarnazione dell’amore che posso provare, come se personificasse il mio cuore.
Che appunto è solo mio.
E suo.
Una cosa nostra.
Un briciolo di gelosia rende comunque tutto questo possesso terreno.
Un ragazzo di diciassette anni non può compiacersi del fatto che un altro abbia emozioni, pensieri e desideri sulla propria ragazza.
Sanae continua a non parlare, un’espressione pensierosa sul volto incupisce costantemente i suoi lineamenti.
E’ tesa dopo quello che è appena successo, probabilmente a causa mia.
Per mesi non ha fatto altro che difendermi, tenendomi nascosto l’interesse di Seii, per non farmi preoccupare inutilmente.
Raggiungiamo un posto isolato per vedere i fuochi d’artificio indisturbati, solo in lontananza si scorgono tante testoline rivolte in alto, in attesa che lo spettacolo inizi.
"E così quello era Takeshi Seii..." mormoro mentre mi appoggio con il sedere alla staccionata che costeggia il viale che porta al tempio, decidendo che forse è ora di parlare dell’accaduto, perché sono stanco di rimuginare con me stesso e che lei si preoccupi per qualcosa che so già.
Siamo stati faccia a faccia tutti e tre, tanto vale smettere di fingere.
"Ryo dice che ti viene dietro..." lo dico quasi a volermi liberare da un peso, sentendomi però allo stesso tempo confuso, mente pronuncio queste poche parole, come se fosse anomalo parlarne con lei.
Come se fosse assurdo parlare di altri nei discorsi di noi.
Il mio sguardo non si sposta da un punto lontano nel panorama, non posso così vedere la reazione di Sanae ma intuisco un po’ di agitazione nella sua voce, quando tenta di minimizzare dando la colpa alla lingua lunga di Ishizaki.
"Anche Taro lo dice."
La guardo negli occhi ora, istintivamente e con serietà e mi rendo conto che la mia risposta può sembrare, detta così, un rimprovero, ma non è nella mia intenzione.
Sono solo stufo di tenere per me la cosa e stanco che lei debba preoccuparsi.
Takeshi Seii non è un problema, ma riguarda comunque Sanae e Tsubasa, è giusto affrontarlo insieme.
“E’ vero…” ammette abbassando gli occhi dispiaciuta, poi torna a guardarmi, ritrovando la decisione persa.
"Ma io non te l’ho mai detto perché riesco benissimo a gestire la cosa da sola, senza che tu debba preoccuparti di niente. Per me quella persona non è importante! Volevo solo che tu fossi tranquillo..."
La sua espressione preoccupata, all’idea che possa avere avuto un’opinione sbagliata sul suo comportamento, paradossalmente mi rende all’improvviso sollevato.
Perché ora che ne stiamo parlando, saremo liberi entrambi da queste paranoie.
Sei proprio una scema anche solo a farti sfiorare dal pensiero che io possa dubitare di te.
“Lo so…” le sorrido per rassicurarla “Ero solo veramente curioso di vedere che tipo fosse... Penso che sia normale!” ammetto con imbarazzo, svelando se pur di poco, la mia gelosia nei suoi confronti.
Sanae mi rassicura stringendo le mie mani tra le sue, visibilmente sollevata, credo le sia costato molto non dirmi niente in questi mesi.
Probabilmente Seii non sa che con la sua comparsata, ha alleviato una piccola parte delle nostre sofferenze.
E quando domani partirò, saremo entrambi più leggeri non avendo più segreti stupidi tra di noi.
Domani, già…
E il pensiero della partenza riprende a martellarmi nel cervello, come il rumore assordante dei fuochi che hanno appena preso a scoppiare in mille colori, sopra la mia testa.







Non riesco a dormire.
L’ennesima vibrazione del cellulare, giusto un paio di secondi, a ricordarmi che nemmeno lei riesce a farlo.
Che anche lei sta pensando a me.
La promessa che ci siamo fatti quando l’ho riaccompagnata, per l’ultima volta, a casa, credevo sarebbe servita a spronarci a riposare, invece si è trasformata nel pretesto cui attaccarci per sentirci vicini.
“Uno squillo se non riesci a dormire e se mi pensi! Se ti squillo io e non mi rispondi perché dormi, forse allora mi addormenterò anch’io poi…”
Sanae l’ha detto cercando di essere convinta e convincente, negando a se stessa e a me, che saremo stati incapaci di accettare la mia partenza.
Prendo in mano il cellulare e faccio partire il mio squillo di risposta.
Sì, ti penso anch’io…
Nella semioscurità le mie valige pronte accanto alla porta, sono un pugno nello stomaco continuo.
Sono felice di poter tornare a giocare in Brasile, mi sono mancati lo stadio e le corse sull’erba verde, circondato dalle urla dei tifosi.
Ma ora è tremendamente dura ripartire, ancora peggio della prima volta.
L’idea di separarmi da Sanae, per non so quanto tempo, sfiora l’inaccettabile.
Ma è la realtà, il prezzo che ho acconsentito a pagare in cambio della mia carriera e del mio futuro successo.
Amore per il calcio pagato con l’amore.
Gli affari non sono sicuramente il mio forte.
Il telefonino vibra ancora e mi accorgo che gli intervalli di tempo che passano tra uno squillo e l’altro, si assottigliano sempre di più.
E’ la smania di sentirsi vicini, la ribellione che c’è concessa ma che non porterà a cambiamenti.
Quella sofferenza che ci ha fatto decidere di eliminare gli aeroporti dai posti in cui essere insieme, nello stesso momento.
Perché ogni volta fa più male, perché sono uno strazio gli addii nell’attesa di un volo che sta per essere annunciato.
Questa volta però la buona volontà e i buoni propositi, la razionalità e i discorsi sensati, sembra non abbiano un briciolo di forza.
Credevo di amare Sanae con tutte le mie forze e tutto il mio coraggio prima di tornare in Giappone.
Ora ne sono assuefatto, conscio che fino a un mese fa non avevo provato ancora che la metà di ciò che sono in grado di sentire per lei.
Il sesso c’entra in tutto questo.
Dal quel giorno di pioggia mi sembra che tra noi non esistano più veli capaci di separarci, che non ci sia un essere vivente sulla faccia della terra così perfetto per me, destinato a Tsuabsa.
Disperatamente riemerge dentro di me la voglia di averla vicino e l’angoscia per l’intollerabile idea di non poter più tendere la mano verso di lei e raggiungerla.
Prendo il cellulare e invece di interrompere la chiamata al primo squillo, lascio che continui a chiedere di lei.
Esigente di sentirla, perché contrasti il vuoto che mi circonda.
“Tsubasa…” la sua voce è debolmente sussurrata, vorrei toccarla per tentare di farla smettere di tremare.
“Sanae…”
L’ho chiamata io, ma mi mancano le parole, sento solo la necessità di colmare il vuoto, di sentire che c’è.
E mi manca il fiato quando il silenzio è rotto dai suoi singhiozzi, sempre più disperati.
E non c’è nulla che possa fare o dire.
Mi resta solo ascoltare.
Il suo pianto come un temporale.
Nella mia stanza, al buio ascolto la pioggia.
Che non è fatta stavolta d’amore ma solo di lacrime…










Sono terribilmente in ritardo, almeno secondo la mia tabella di marcia che mi sono prefissata.
Ma la vita di tutti i giorni, fortunatamente a volte, non lascia molto spazio, quindi mi è mancato il tempo necessario per scrivere.
Ringrazio di cuore i lettori “vecchi e nuovi” e chi ha avuto la gentilezza di ritenere le mie storie degne di nota inserendole nei propri account.
Spero di non tardare con il prossimo capitolo, un abbraccio
OnlyHope^
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Capitolo 11
*** Kronos ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 11

Kronos








Sono passati dieci mesi, tredici giorni e sedici ore dall’ultima volta che ho visto Sanae.
E non avevo mai contato il tempo prima d’ora, non così minuziosamente almeno.
Di cose ne sono cambiate in questo periodo e non tanto nella mia vita, che è fatta sempre di corse elettrizzanti sul campo, la mia adrenalinica routine, ma più che altro in quella di Sanae.
O forse è più giusto dire che anche nella mia esistenza qualcosa si è spostato, portandomi a osservare le cose da altre angolazioni.
Non più solo il mio statico punto di vista, fatto di ciò che mi appartiene e che sento di poter gestire, ma quello di una nuova incognita, che m’incuriosisce, mi elettrizza e allo stesso tempo turba.
Basti pensare che ora accendendo un canale satellitare musicale, sì mi sono accorto, per forza di cose, che esistono altre frequenze oltre a quelle dedicate allo sport, ho la possibilità di vederci dentro la mia ragazza.
Solo adesso mi rendo conto dell’effetto che possa aver avuto in lei il vedermi attraverso uno schermo, lontano e alla mercé di tutti.
Lo dico con una punta d’amarezza, lo so, come so che queste emozioni sono amplificate dalla distanza e dal distacco.
Perché non credevo sarebbe passato tutto questo tempo, né avevo la pretesa assurda di sperare in meglio, ma quando li conto, questi dieci mesi, tredici giorni e sedici ore, mi sembra siano davvero troppi.
Troppi da passare senza di lei, troppi da gestire da solo, troppi da somatizzare nella mia vita perfetta di calciatore professionista, nell’esistenza che ho sempre desiderato.
Quella che ho sempre voluto…
Sì perché quando si è mocciosi, si guarda solo in una direzione.
Si vede solo l’obbiettivo, la meta da raggiungere.
Il sogno.
Perché non si conoscono altre cose, perché non s’immagina di quale mancanza si potrà soffrire, né la portata dei sentimenti futuri, che un giorno diventeranno più forti che mai.
Ignoravo un sacco di cose da bambino.
Me ne sono omesse, o le ho semplicemente ignorate, tante altre qualche anno dopo.
Sapevo, è una certezza scontata che hanno tutti, che prima o poi mi sarei innamorato, ma non sapevo né di chi e nemmeno m’interessava un granché quando sarebbe successo.
Una cosa scontata ripeto, come quando le bambine si chiedono tra loro a che età si sposeranno, sono solo delle bimbe ma danno per appurato che quel giorno arriverà.
Avevo quindi questa certezza, senza rifletterci nemmeno un briciolo del mio tempo, perché a cos’altro poteva pensare un ragazzino con un sogno tanto grande quanto il mio?
In che assurdo modo potevano i sentimenti anche solo offuscare la magnificenza del mio desiderio più grande?
Stupido ragazzino…
Tutto sembrava semplice, tutto poteva filare liscio e lo credevo davvero.
Quando il mio cuore ha mancato un battito per lei, mi sono detto che sì, ci poteva stare, che era arrivato il momento e che, in quello stesso istante me ne sono reso pienamente conto, poteva essere solo lei.
Chi altre, se non Sanae?
Quando è completamente impazzito per lei, ho preteso di ignorarlo e di far finta di nulla.
Non me lo potevo permettere, ripetevo, ma poi ho preteso ancora di vivere quello che provavo e che questo non potesse farmi male.
Volevo prenderne solo il meglio, per quel poco tempo che avevo.
E me ne sono andato, con la consapevolezza che sarebbe stata dura, che ogni cosa bella provata con lei, grazie a lei, mi si sarebbe rivoltata contro nella solitudine, ma anche con la presunzione, che mi è tipica, di farcela, di potercela fare.
Mi sono comportato così anche anni dopo, anche l’ultima volta, nell’ultimo periodo a casa.
Dagli errori non sempre s’impara…
Ma si può chiamare errore qualcosa di così bello?
Doloroso, ora, ma estremamente bello…
Si può evitare di amare?
Se l’oggetto del tuo amore, colei che lo muove, è a un passo da te?
Si può, mi chiedo, ignorare ogni fibra del tuo corpo che ti spinge verso di lei, che non desidera che lei, che sente solo lei?
Può l’amore mandarmi così in alto per poi buttarmi maledettamente all’infermo?
Sono passati dieci mesi, tredici giorni e sedici ore.
E non mi sono mai sentito così schifosamente di merda…







Sono passati dieci mesi, ventotto giorni e tredici ore e ho la possibilità di rivederla!
Quanto potrà essere fantastica un’amichevole della nazionale?
Posso vederla, non quanto avrei voluto, ma mi so accontentare.
Ci vedremo subito dopo la gara, al mio albergo.
Perché lei ha da fare…
Con una vena di dispiacere mi rendo conto che non era mai successo prima, che non potesse vedermi dal vivo allo stadio, che non fosse presente mentre gioco.
Perlomeno quando sono in Giappone.
Deve cantare lontana da Tokyo e può raggiungermi solo per cena, così avremo giusto qualche ora da passare insieme, da soli.
Prima che io debba riprendere l’aereo per Sao Paolo, che non posso prorogare.
Perché anch’io ho da fare.
Non mi lascio scoraggiare però, da tutto questo da fare, non me lo posso permettere davvero.
In cerca di lei accendo il PC e attendo che la connessione si avvii.
Un semplice click ed entro nel suo mondo, che fa comunque un po’ stano chiamarlo suo, come se in parte ne fossi tagliato fuori.
Il suo sguardo che emana luce e il sorriso radioso, rivolti a un punto indefinito oltre lo schermo.
Leggo quasi avidamente le ultime novità che la riguardano e che scorrono lampeggianti appena sotto il suo viso, in un tripudio di colori vivaci in campo bianco.
Gli occhi cadono sull’icona della mail, il link per mettersi in contatto con la “giovane stella”.
E di nuovo quella strana sensazione di qualcosa che sfugge, che mi fa pensare, che no, non dovrebbe essere così facile arrivare a lei.
Infastidito, più da me stesso e dalle mie assurde riflessioni, che dall’esistenza di una stupida newsletter, punto il cursore altrove, cercando l’area video del sito ufficiale di Sanae Nakazawa.
Clicco sul suo primo videoclip, quello che preferisco, come ogni sera.
La musica che arriva alle mie orecchie è ormai così familiare che mi strappa un sorriso.
Come se entrassi effettivamente in contatto con lei.
Mi perdo nelle immagini, un parco di divertimenti di Tokyo credo.
E mi sembra di essere lì e mi sento pure un po’ ridicolo per questo, ma me ne frego davvero.
La osservo guardare in camera sorridente, mentre le parole che escono dalle sue labbra mi portano indietro nel tempo, giusto qualche anno fa.
E senza che me ne accorga effettivamente, prendo a canticchiare sottovoce, con lei…
“But it's just a… Sweet, sweet fantasy, baby… When I close my eyes… You come and you take me…
On and on and on… So deep in my daydreams… But it's just a sweet, sweet fantasy, baby… Fantasy...”*







Undici mesi, quindici giorni, diciotto ore e trentotto minuti…
Sono appena rientrato in albergo e come uno stupido, fanatico narciso mi sono buttato di nuovo sotto la doccia.
Come se non l’avessi già fatta negli spogliatoi, come se effettivamente ce ne fosse ancora bisogno.
Ma devo ammazzare il tempo, sciogliere la tensione dei muscoli, non solo per lo sforzo cui li ho sottoposti per novanta minuti in campo e preparami per vederla.
Vorrei che fosse tutto perfetto stasera, che questa manciata di ore diventi indelebile per tutti i mesi a venire in cui sarà l’assenza, l’unica compagna con cui trascorrere le notti.
Mentre l’acqua calda scorre sul mio corpo, cerco di contenere l’adrenalina che sento passarmi nelle vene all’idea di poterla toccare ancora.
L’adrenalina da calcio ancora attiva si unisce a quella di ben altro tipo e mi chiedo se potrei desiderare altro in questa notte.
In questa giornata sto per racchiudere il mio mondo in ciò che amo di più, il pallone e Sanae.
La vita ideale.
Esco dalla doccia e quando passo davanti allo specchio, osservo per un attimo l’espressione sorridente sul mio viso.
Ciao Tsubasa! Ma quanto tempo!
Il mio sorriso si allarga ancora di più e felice, sì proprio così, felice, corro a vestirmi nell’attesa, ansiosa ma eccitante, che lei arrivi.
Mi vesto con cura, con molta più attenzione del solito, non che sia mai stato trasandato ma oggi, forse perché è passato troppo tempo o forse perché ho lo sciocco desiderio di essere bello ai suoi occhi, presto attenzione a ogni insignificante particolare.
Sistemo la camicia bianca dentro i jeans a vita bassa, che stringo sul bacino con una cintura di pelle scura.
Di nuovo davanti a uno specchio, nel giro di pochi minuti e non mi era mai successo.
Sbottono il primo bottone nella camicia, appena sotto il colletto, compiacendomi del contrasto tra la mia pelle ormai quasi costantemente abbronzata e il candore del cotone.
Arrotolo i polsini lungo le braccia, leggermente sotto i gomiti mentre prendo a canticchiare sommessamente.
Allegro, decisamente.
E felice, sì l’ho già detto.
Eccitato, completamente.
Bussano alla porta, con una stretta allo stomaco controllo l’ora, appurando che non possa essere lei, è ancora troppo presto.
Che incredibile controsenso…
Apro la porta e un facchino mi porge, ammiccando spudoratamente, tanto da farmi arrossire fino alla punta dei capelli, un enorme fascio di rose rosse.
Lo ringrazio e calato completamente nella parte dell’uomo di mondo stasera, gli rifilo pure una bella mancia che riesce a renderlo ancora più allegro, sicuramente.
Mi chiudo la porta alle spalle con un piede, facendo molta attenzione a tenere in bilico i fiori sulle mie braccia.
Li poso delicatamente sul comò, inspirandone il profumo intenso.
L’imbarazzo s’impadronisce ancora di me mentre osservo i boccioli vermigli, perché mi sembra d’aver esagerato.
No, non l’ho assolutamente fatto, mi correggo subito nel giro di un secondo.
Mi allontano di un passo senza distogliere lo sguardo dalle rose, andando a sedermi sul letto.
Di riflesso mi volto in direzione dei cuscini appoggiati alla testata color mogano.
Accarezzo il copriletto di seta chiudendo piano gli occhi.
Un sorriso increspa le mie labbra all’idea di come disfare le lenzuola, accuratamente piegate, sotto il palmo della mia mano.
L’eccitazione sale, seguendo le immagini proposte dalla mia fantasia.
Mi butto indietro sul letto, allargando le braccia.
Sospiro.
Un ultimo sguardo all’orologio e nella mia testa è appena iniziato il più sentito conto alla rovescia della mia vita.







L’eccitazione, la felicità e quell’ansia piacevole che stringeva il mio stomaco.
Tutte trasformate in un unico sentimento di amarezza.
E delusione.
Dispiacere, rabbia.
Disperazione.
Non avevo poi chiesto tanto, no?
Giusto qualche ora, a fronte di questi fottutissimi undici mesi, quindi gior…
Oh AL DIAVOLO!
Era una concessione troppo grande?
Prendo il viso tra le mani dopo aver buttato un occhio al cellulare poggiato sul copriletto, quando vorrei spaccarlo contro la parete.
Non è riuscita ad arrivare in tempo…
Ed io sto aspettando fino all’ultimo momento per andarmene, completamente messo sotto scacco da quell’assurdità che si chiama spiacevole inconveniente, o contrattempo.
Merda, ecco come la chiamo io.
E non sono più un uomo di mondo ora, mi viene da piangere.
Dalla rabbia e perché sto male.
Da cani.
E il cuore mi si stringe dentro il petto all’idea di quanto starà male lei, entrando qui senza trovarmi.
Forse se lo aspetta ma sicuramente starà scongiurando che non sia così.
Che non sia andato tutto storto, a puttane, mentre continuo a sentirmi addosso ogni secondo che passa, come la goccia che corrode e mi viene da imprecare.
Tempo di merda ti vuoi fermare?! Cazzo!
Ma non è così che funziona e il silenzio che mi circonda sembra scandire ancora di più che è ora di andare, che non è cambiato nulla e che è stata tutta una grandissima illusione.
Il mio pensiero torna a Sanae, che non ho abbracciato, che non ho sentito, che non sono riuscito a toccare, ad amare.
Alla Sanae che si dispererà trovando degli stupidi fiori al posto mio.
A quella che non si darà pace pensando che è tutta colpa sua.
No!
E mi metto a frugare come un matto nei cassetti, alla ricerca della classica carta da lettere intestata degli alberghi, nella speranza che internet non abbia spazzato via anche questo.
Quando la trovo, mi sembra d’aver scovato un tesoro, mi appoggio al letto di corsa, perché davvero è finito il mio tempo, ora.
Scrivo di getto.

Non piangere... Se stai leggendo queste righe significa che non sei riuscita ad arrivare in tempo e che non ci siamo potuti riabbracciare. Che non ho potuto baciarti, né parlarti guardandoti negli occhi. Dio solo sa quanto avevo bisogno di tutto questo... Voglio però che tu non ti senta in colpa, perché non ne hai. Perché la colpa è più di quell’aereo che mi aspetta e che devo prendere, per forza. Mi sei mancata in questi mesi ancora di più, con un'intensità mai sentita prima... Cerca di essere forte, Sanae e ricordati sempre che ti amo. Quindi ti prego, non piangere...

Non piangere…
Ripeto.
Non piangere…
Alzo gli occhi al soffitto.
Non piangere…
Le mie mascelle si contraggono.
Non piangere…
Afferro il manico del trolley.
Non piangere…
Esco dalla porta.
Non piangere…
E me ne sono già andato…

Sono passati undici mesi, quindici giorni, ventidue ore, trenta minuti e quindici secondi…
Sedici…
Diciassette…
Diociotto…











* “Fantasy” – M. Carey, C. Frantz, T. Weymounth, D. Hall, A. Bellew, S. Stanley © 1995 Sony Music Entertainment Inc.
Il video di questa canzone è realmente stato girato in un parco giochi, non a Tokyo ovvio, ma in quel di New York (credo xD).

Kronos: Titano dio greco del tempo e dei secoli.

E’ il capitolo più triste della storia, di entrambe le storie, forse nemmeno nella versione di Butterfly (“Profumo di rose”) avevo calcato così tanto la mano.
Come ogni volta, ho cercato di “essere Tsubasa” e mi sono messa nei suoi panni per cercare di sentire i suoi sentimenti, spero tanto di essere riuscita nel mio intento.
E come sempre mi sono fatta aiutare dalla musica, che riesce a diventare spesso guida dei miei pensieri.
Ho mandato a ruota, mentre scrivevo, “Never Again” di Justin Timberlake, il testo non c’entra assolutamente nulla con la trama del capitolo, è tutt’altro, ma la melodia e il timbro di voce sono così struggenti da essere perfetto sottofondo di tanta tristezza.
Se l’ascolto poi, *sentendo* anche le parole, è una canzone che mi strappa sempre una lacrima.
Ringrazio come sempre chi sta leggendo questa FF e m’inchino, alla maniera giapponese, davanti a chi è così cortese da lasciarmi la sua opinione, in qualsiasi forma si tratti.
Colgo l’occasione per aggiungere ai dovuti ringraziamenti anche tutto ciò che riguarda “lo sclero”, ovvero “Take It From Here”! Grazie infinite di cuore!
Ultimamente è un periodo buono per scrivere, cercherò di cogliere l’attimo!^^
Un abbraccio, OnlyHope^^ 

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Capitolo 12
*** Ain't No Mountain High Enough ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 12

Ain't No Mountain High Enough*










Noia.
Tedio.
Fastidio.
Un lacrimone sborda copioso dall’occhio destro, mi asciugo la guancia con il dorso della mano mentre la mia bocca si deforma nell’ennesimo sbadiglio.
Odio i giorni di pausa per spezzare gli allenamenti durante la settimana, perché in linea di massima mi ritrovo a girarmi i pollici e a pensare, cosa quest’ultima, che dovrei evitare accuratamente.
Non che stamattina non mi sia alzato all’alba per andare a correre, il mio solito giro da sessanta minuti, tanto per essere fisicamente impegnati nei maledetti giorni di break, ma la giornata è lunga da passare poi...
Un altro sbadiglio e Roberto si volta a guardarmi un po’ perplesso, è difficile vedermi inattivo e ciondolante dentro casa, ma ultimamente va così quando non devo allenarmi con la squadra e oggi mi è presa davvero peggio delle altre volte.
Mi sento malinconico, come un nonno triste e depresso, che rimugina sui tempi andati davanti a un bicchierino fumante di sakè.
Solo che io non sono né vecchio né depresso, o almeno spero ma mi ritrovo lo stesso, senza alcolici, a ricordare imperterrito, come un disco rotto, ogni giornata passata in Giappone, ormai una vita fa, come se veramente non mi rimanesse altro da fare.
E come una sciocca ragazzina liceale mi porto dietro il cellulare senza staccarmene un attimo, lo abbandono solo per gli impegni calcistici, perché non ne posso fare a meno.
Tsubasa a volte è un vecchietto anacronistico e poi una femminuccia schiava del telefono, mi chiedo come ho fatto ad arrivare a tanto e mi scappa un sorriso ironico accompagnato a uno sbuffo.
“Che fai oggi?” mi chiede Roberto, probabilmente ho attirato fin troppo la sua attenzione con l’ultimo sospiro esasperato.
“Mah... Non ho in mente nulla...” rispondo alzando con aria distratta le spalle, il mio allenatore, nonché mentore, non demorde e riprende a parlarmi, sciorinando un ventaglio d’ipotesi per passare la giornata.
Credo, e temo, che si senta in dovere di stimolare positivamente il ragazzino dall’aria annoiata che gironzola per casa sua.
Ogni alternativa che mi propone però invece di darmi sollievo, ha il potere di innervosirmi un po’ e ogni volta che scuoto la testa negativamente, mi sembra che debba fare uno sforzo enorme per compiere un gesto così stupido.
Sono apatico, ecco e mi piacerebbe essere lasciato in pace a crogiolarmi nel mio stato.
Ogni tanto sono debole anch’io, rarissimamente, ma sono pur sempre un essere umano.
Roberto comunque è un osso duro e non demorde, proponendomi infine un allenamento speciale, conscio che forse l’unico balsamo per le mie ferite, può essere solo ed esclusivamente il pallone.
E ora che ci penso in fondo non ha tutti i torti e allenarmi da solo poi, l’ho fatto già un sacco di volte in vita mia.
Sono tentato mentre il mio cervello, fisso sulla mancanza di Sanae, incomincia ad annebbiarsi nascondendo tutto sotto una coltre grigia che addormenta le emozioni, anche se solo per un po’.
Faccio per chiedergli se gli va di venire con me per allenarmi, quando il mio cellulare prende a vibrare nella tasca della tuta.
Nessun batticuore da mocciosa liceale però, il fuso orario che mi salta meccanicamente in testa, mi ricorda che semplicemente non può essere lei e che, come minimo, sarà il solito Pepe, pronto a raccontarmi qualcuna delle cose folli che capitano solo a lui.
Sto quasi per rispondere svogliatamente quando con la coda dell’occhio scorgo il nome di chi è all’altro capo del telefono.
Ma non dovrebbe essere lei!    
Il batticuore arriva, inevitabilmente, un leggero bussare contro il mio torace.
“Sanae?” rispondo non riuscendo a nascondere il tono stupito della mia voce.
“Dove sei?” mi chiede a bruciapelo senza nemmeno salutarmi.
Rimango un po’ spiazzato dalla domanda, che ecco non rientra nella conversazione che mi aspettavo di affrontare ma che soprattutto, non ha alcun senso, dato il nostro stato di separati intercontinentali.
“... In Brasile? Sanae, ti senti bene?”
“Sì lo so, ovvio ma, dove di preciso?”
Un’altra domanda decisamente strana, per non chiamarla assurda.
Reprimo la mia perplessità assecondando lo strano quiz della mia ragazza, chiedendomi comunque dove voglia andare a parare.
“A casa...”
Un paio di secondi di silenzio, strani anche loro come tutta la conversazione.
“Sei veramente a casa?”
Ok.
Non la seguo.
Non ci sto capendo nulla ma soprattutto: a cosa diavolo le serve sapere dove sono?
Le rispondo calcando volutamente sul tono dubbioso stavolta, è inevitabile.
“Ehm... Sì. Ma Sanae sei sicura di stare bene, mi stai facendo preoccupare, io...”
“Sto arrivando! Aspettami, sono da te tra qualche minuto!”
Lo dice tutto di un fiato e ora sono io a rimanere senza parole.
Arrivare dove?!
Qui!
Tra qualche minuto, qui!
No, devo aver capito male...
Oddio allora sono depresso davvero visto che il mio cervello perso nell’instabilità emotiva, ha incominciato a perdere colpi facendomi avere le mie prime allucinazioni auditive.
Sto per domandare altro, tutto, cioè che si spieghi meglio, ma la comunicazione cade senza darmi il tempo di dare sfogo alla mia agitazione.
Mi gratto la nuca osservando il cellulare.
Guardo Roberto che a sua volta mi fissa con aria interrogativa.
Da me tra qualche minuto...
E non so che mi prende ma decido all’improvviso di assecondare la mia pazzia e mi alzo da tavola scappando letteralmente dalla cucina, senza dare la benché minima spiegazione al mio allenatore.
Mi precipito in strada spalancando il portone d’ingresso, un paio di passi e mi ritrovo sul bordo del marciapiede a guardarmi intorno senza sapere bene cosa cercare.
O meglio sto cercando lei sì, anche se so che è impossibile...
Impossibile davvero che possa essere qui.
Impossibile in Brasile.
Impossibile...
La mia attenzione è calamitata da un taxi che si avvicina nella mia direzione, lo fisso d’istinto senza sapere il perché, senza una ragione precisa.
Quando noto il lampeggiare della freccia come se stesse a indicare proprio me, sento il famoso batticuore di prima, rullarmi contro il petto ora, altro che timido ticchettio.
Scorgo una figura fin troppo familiare nel sedile posteriore e la mia bocca si spalanca seguendo il moto d’incredulità che si è impadronito completamente di me.
Così totalmente da farmi rimanere immobile, senza poter far nulla.
Nemmeno lasciarmi andare alla gioia perché no, ancora non riesco davvero a crederci.
Non la vedo in volto, non chiaramente, mentre armeggia con la piccolissima valigia scendendo dal taxi.
La vettura riparte allontanandosi qualche secondo dopo e lei rimane sempre di spalle, tanto che la mia incredulità mi suggerisce di sfiorarla, tanto per sapere se è proprio vera, nella speranza poi che al mio tocco, non svanisca in una nuvola di fumo.
Si volta ora, mi sorride.
Bella...
Continuo a fissarla, inebetito.
E’ qui!
Sanae è qui!
“Ciao! Lo so, sono una pazza, ma non ce la facevo più, così...”
La bacio.
Semplicemente perché non ci capisco più nulla.
La stringo.
Perché anche la distanza di un solo passo mi sembra intollerabile ora.
Perdo il fiato nelle sue labbra.
Mi sei mancata...
Mancata da morire...
Tutto il grigio nella mia testa scompare accecato dal bagliore della sua presenza, le sue mani sul mio viso, il tocco più vero che mi abbia mai sfiorato.
E la bacio ancora.
La bacio e basta.
E sento che il mio mondo è di nuovo colmo di significato...








Me ne frega qualcosa delle prese in giro di Roberto?
Assolutamente nulla.
Di aver saltato la cena?
Ancora meno.
C’è qualcosa nella mia testa che non abbia il profumo, la morbidezza e le sembianze di Sanae?
Zero assoluto.
Mi stringo a lei senza essere più capace di pensare, nel buio riesco a malapena a intravederla ma ciò che conta più di tutto, è che riesco a sentirla.
Di carne e ossa sotto il peso del mio corpo, reale e concreta come la pelle che accarezzo avidamente, mosso dal desiderio incontrollabile di essere con lei.
Quel desiderio che mi ha spinto a baciarla sulla porta della mia camera, che mi ha permesso di aprirla a tentoni senza mai staccarmi da lei e di spogliarla senza nessun tipo d’imbarazzo.
Io, Tsubasa, quello che arrossisce per un non nulla e che è convinto solo in campo.
Avevo un bisogno incredibile di tutto questo, lo sapevo, ma ne avverto la potenza solo ora.
Ora che ci amiamo nel mio letto, ora che lei si è materializzata davanti ai miei occhi e nel palmo delle mie mani, come nel più incredibile dei miei sogni.
Ma il suo respiro contro la mia pelle mi da la conferma che è tutto vero, la sua voce bassa al mio orecchio mi ricorda che a volte i desideri si avverano davvero.
Sono felice in questo momento.
Euforico.
Sovraeccitato.
E non mi sentivo così da troppo tempo ormai e ora non m’importa nemmeno quanto potrà durare questo stato.
Qualche ora, il tempo di una notte ma non ci rifletto più di tanto, perché semplicemente non m’interessa sapere altro, concentrato come sono solo nel piacere di avere Sanae con me, di sentire che sì, sta veramente rispondendo ai miei baci, che sta assecondando il mio corpo.
Sono mosso da una sola, indiscutibile volontà che mi suggerisce ogni movimento, ogni bacio e ogni carezza.
Percepisco Sanae, la sua presenza, con ogni mio senso e non mi manca assolutamente nulla in questo momento.
Ho il corpo in fiamme, il cervello che bolle nella febbre di lei.
Non mi manca davvero nulla.
Voglio solo continuare così, per ore, tutta la notte.
Lei ed io a fare l’amore.
Fare l’amore...








“Quando ti è venuta in mente questa pazzia?”
Sanae sorride ma non mi risponde, il suo sguardo concentrato sul soffitto mentre attorciglia una ciocca di capelli, ormai decisamente lunghi, intorno all’indice destro.
“Perché sei consapevole vero della tua follia?” la incalzo appoggiando la testa sul palmo della mano e lei prende a ridacchiare, nascondendo le labbra sotto il lenzuolo.
Divertito alzo gli occhi al cielo emettendo uno sbuffo di rimprovero e quando torno a guardarla, incrocio il suo sguardo proprio nell’istante in cui la sua espressione si fa, di un tratto, seria.
“Credevo di impazzire, giuro! Come se di tutta l’aria a disposizione riuscissi solo a prenderne un minimo! Una specie d’apnea voluta, come quando c’è tanto fumo in una stanza e ci s’impone di trarre giusto qualche respiro per sopravvivere e non finire intossicati...”
La fisso in silenzio riflettendo sulle sue parole e rimuginando sull’apatia che mi ha investito nelle ore d’inattività, in questi lunghi mesi senza di lei.
Sì... forse anch’io ho respirato appena per tutto questo tempo...
“Non so, ecco, se riesco a spiegarmi bene...” aggiunge poi sorridendo con un velo d’imbarazzo, forse dovuto alla mia mancata risposta.
“Ho capito benissimo...” mormoro sorridendole dolcemente.
Sanae annuisce scusandosi per il suo discorso, a detta sua, strambo e mi spiega poi che a suggerirle questa pazzia, come l’ho definita io, altri non sono stati che Taro e la sua ragazza Azumi.
Mi racconta per filo e per segno della sorpresa fattale dal mio migliore amico a Tokyo, partendo dalla telefonata misteriosa ricevuta mentre era in macchina e dall’appuntamento sotto un anonimo palazzo nella zona residenziale.
Divertita, mi descrive il suo ingresso nell’appartamento e con una serie di esempi buffi cerca di descriversi nel momento in cui si è trovata davanti proprio la sua ormai amica Azumi.
“Hai presente quei pupazzetti di gomma che se gli stringi la pancia strabuzzano gli occhi? Ecco quella era la mia faccia!” esclama ridendo allegra, prima che le sue labbra disegnino un’espressione dolce sul suo viso, nel momento in cui prende a parlarmi delle sue impressioni sulla nostra coppia d’amici.
E’ sinceramente felice per loro, specie per Taro e si capisce non solo da come ne parla ma anche, appunto, dalle espressioni tenere che si avvicendano sul suo volto nel descrivere quella complicità trai due, che è riuscita a costatare proprio con i suoi occhi.
Si prodiga poi a raccontarmi quanto siano stati carini con lei e di come l’abbiano spronata a non abbattersi e convinta che la cosa giusta da fare, l’unica che avesse un senso, fosse proprio prendere il primo aereo e volare in Brasile.
“Può sembrare assurdo che non ci abbia mai pensato prima per conto mio...” sembra giustificarsi “... ma ho un’agenda talmente fitta d’impegni ora, che spesso mi stupisco di trovare il tempo di mangiare un boccone al volo! Poi ho sempre dato per scontato che anche per te fosse lo stesso, tra allenamenti, ritiri, partite. Insomma so che vita fai e che per questo non riesci a tornare mai in Giappone.”
Mi sorride sospirando, lo sguardo velato di malinconia perché nonostante l’euforia che ci ha regalato questo incontro, sappiamo entrambi che è solo una parentesi di breve durata.
Molto breve.
“Per fortuna ho potuto contare su Mendo per organizzare questa fuga!” aggiunge rapida per allontanare questo tipo di pensieri, tornando a sorridere divertita.
“Il tuo famoso assistente?” chiedo curioso.
“Il mio famosissimo assistente personale Keysuke Mendo!” ribatte allegra con un gesto plateale del braccio, che si alza in aria e volteggia come in un’ipotetica riverenza.
Rido divertito, così Sanae si sente libera di continuare a giocare.
“Colui che non solo risolve ogni mi problema, dal look ai miei pasti a volte frugali, ma che mi tratta come la principessa che regna nel suo sfavillante immaginario regno glamour!”
“Oh addirittura!”
“Sì, Tsubasa! Lui è la mia fatina buona delle fiabe con tanto di bacchetta magica, l’unica differenza è che non porta nessun cappello a punta ma fantastici completi di Armani o Prada!”
“E così ha accontentato la sua graziosa principessa anche in questo caso, procurandole una zucca con le ali il più veloce possibile! Ma che animo nobile!”
“Lo trovi anche tu?” mi chiede con aria sognante sospirando soddisfatta ed io non mi trattengo più dal ridere, divertito per la piega che ha preso la nostra conversazione.
“Ma veramente non ti ha ostacolato nemmeno per un momento?” chiedo con curiosità, non capacitandomi del tutto del modo accondiscendente con cui viene trattata Sanae dal suo assistente personale.
In fondo anche lui è un adulto, dubito che non le abbia fatto un micro predica da persona matura e responsabile.
Sanae scuote la testa in maniera decisa.
“Mendo vuole che io sia prima di tutto felice e lui sa che c’è solo una persona in grado di farmi sentire così...”
Abbasso leggermente lo sguardo, un po’ imbarazzato ma di sicuro lusingato dal potenziale che mi è concesso.
“Anzi mi ha proprio spronata, anche lui, a venire da te usando le parole giuste come sempre...”
“E cosa ti ha detto di preciso?” chiedo tornando a guardarla negli occhi.
Sanae sorride poi trae un respiro profondo e intona una melodia.
If you need me, call me. No matter where you are. No matter how far, just call my name. I'll be there in a hurry... You don't have to worry... ‘Cause baby there...
La sua mano sfiora il mio viso e mi sorride.
Ain't no mountain high enough... Ain't no valley low enough... Ain't no river wide enough...
Avvicina il suo volto al mio sfiorando le mie labbra, arrossisco.
...To keep me from getting to you...”*











*“Ain't No Mountain High Enough”- Nickolas Ashford & Valerie Simpson © 1967 Universal Motown

Scrivere FF è prima di tutto divertimento ma anche, almeno per me, una piacevole bolla in cui immergersi per staccare il cervello, liberarlo dai pensieri e “giocare” ancora, nonostante la veneranda età, con personaggi familiari che ci portiamo, per svariati motivi, nel cuore.
Ci vuole impegno e dedizione, ma anche quel briciolo di spensieratezza costante, requisito fondamentale per me,  che permetta appunto di intraprendere il “gioco”.
Se questa manca, parlo sempre esclusivamente della mia esperienza, passano i mesi senza poter scrivere nemmeno una riga...
Questo capitolo ho iniziato a buttarlo giù all’inizio dell’estate ma ho potuto completarlo solo nelle ultime ore. Di questo mi scuso, ma non si poteva fare altrimenti.
Ringrazio di cuore tutte le persone che nel corso di questi mesi si sono avvicinate alle mie storie e per i commenti lasciati al precedente capitolo.
Mi divertirò, tanto per riprendere il tema di cui sopra, a scrivere quest’ultima parte della FF perché potrò finalmente dire tante cose su Tsubasa che in B. potevo solo far intravedere.
Saluto e ringrazio ancora chi è arrivato alla fine di questo capitolo e mi sta ancora leggendo, con la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa da dire dopo tanta assenza, ma con la speranza di essere comunque compresa... l’età avanza!^^’
A presto, OnlyHope^^

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Capitolo 13
*** Tsunami ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 13

Tsunami








“Cerca di prenderla!” esclamo divertito.
Daichi corre verso la palla con un piglio deciso, quando la raggiunge, calcia di punta e la sfera si alza da terra in direzione di Taro, che la ferma con il polpaccio.
Sembrerebbe un pomeriggio come tanti, gli amici in cortile, tuo fratello che ti rincorre dappertutto e la tua ragazza che parla eccitata, con la sua amica del cuore, sui gradini della veranda.
Un banale pomeriggio d’estate, niente di speciale, se non fosse che tutta questa normalità per me rappresenta una rarissima eccezione e mi rende felice e sereno, come in un giorno di festa importante.
Mi guardo ancora intorno e lascio un sospiro, segno d’approvazione, crogiolandomi nella piacevole sensazione di completezza che mi regala essere in Giappone, a casa mia e con le persone che amo di più.
“Ma ci pensate che a breve ci ritroveremo come avversari il resto del mondo?” chiede Ishizaki tenendo in alto il pallone, mio fratello saltella sul posto, nell’inutile tentativo di raggiungerlo.
Osservo i suoi movimenti scoordinati e mi meraviglio che non si arrenda mettendosi a piangere.
Mi stupisce il suo atteggiamento concentrato, mentre cerca d’arrampicarsi sul torace del mio amico, che per lui è come affrontare una scalata, vera e propria.
“Non vedo l’ora!” rispondo rubandogli la palla di mano e passandola con gesto complice a Daichi, che si volta verso Ryo, mostrando l’occhio destro e tirando fuori la lingua.
“Chissà quando arriveranno i francesi?” si domanda Taro, alzando gli occhi al cielo.
“Forse per la festa... Ostriche e champagne!” ribatte Ishizaki con aria vogliosa mentre si strofina il ventre piatto, nonostante la sua proverbiale ingordigia.
“Stai pensando a un nuovo match contro Le Blanc?” chiedo al mio migliore amico, che annuisce con aria sicura.
“Sono anni che aspetto l’occasione di confrontarmi ancora con lui e finalmente potrò farlo!”
Capisco al mille per mille questo suo stato d’animo e mentre, elettrizzato, passo in rassegna tutti gli avversari che mi piacerebbe affrontare, durante questo mondiale, il mio sguardo si posa su Sanae, che confabula ancora con Yukari.
Per un attimo abbandono i miei pensieri per seguire il filo del loro discorso, mi bastano poche parole per avvertire un leggero, leggerissimo moto di fastidio.
Sanae parteciperà alla festa d’inaugurazione per cantare e questo mi riempie di gioia e orgoglio, ma non lo farà da sola.
E’ in programma un duetto e proprio con Seii.
Non che questo fatto mi tolga il sonno, ma con tutti i cantanti che c’erano in giro...
Cercando di darmi un tono, sollevo le spalle con un leggero sbuffo ma quando sto per riprendere il discorso Giappone – Resto del mondo, come l’ha definito Ishizaki, proprio quest’ultimo mi spiazza.
"A proposito Sanae, tutto ok con quello?" chiede alla mia ragazza, con aria all’improvviso truce, in contrasto alla spensieratezza che ha caratterizzato, fino a ora, questo pomeriggio.
Ammutolisco e non so perché il mio cuore inizia ad accelerare i battiti.
D’istinto mi volto verso di lei, rendendomi conto che, in questo momento, non c’è un briciolo di raziocinio in me.
Risponde con un semplice gesto affermativo del capo e un sorriso, a mio avviso, un po’ tirato.
Ishizaki sta per aggiungere qualcosa ma quando incrocia il mio sguardo attento su di lui, le parole sembrano morirgli sulle labbra.
Cosa diavolo...?!
Cala un silenzio fastidioso, durante il quale tutti sembrano concentrarsi su tutto, tranne che guardare in faccia gli altri.
Con uno sforzo enorme cerco di rimanere impassibile, nonostante i lineamenti del mio volto si siano contratti, lo sento, in un’espressione cupa e seria.
Ancora silenzio, nessuno apre bocca e questa manciata di secondi di mutismo, mi sembra sia lunga come l’eternità.
All’improvviso avverto la voglia di cedere alla tentazione di urlare.
Ma che cavolo c’è sotto?!
"Mi sta proprio antipatico quello, si crede chissà chi solo perché ha ricevuto più voti di me come più bello della scuola! Tsè!"
Ryo spezza il silenzio inaspettatamente e quando mi soffermo sulla sua faccia, mi accorgo che è tornata quella buffa e sorniona di sempre.
Non abbasso comunque la guardia e rimango vigile.
"Credo che nemmeno la Nishimoto abbia votato per te, rassegnati Ryo!" aggiunge Taro per prenderlo in giro.
“Ah puoi dirlo forte! Ho votato per quel gran figo del capitano del club di Kendo!”
Ishizaki diventa paonazzo e incomincia a sbracciare.
“Tu! Maledetta traditrice!”
Tutti scoppiano a ridere e di riflesso, sento che anche il mio volto si distende in un sorriso.
La tensione sembra spazzata via ma faccio bene attenzione a non guardare negli occhi Sanae, perché con lei non riuscirei a nascondere bene il moto d’apprensione, che mi ha colto e che ancora agita il mio cuore.
Per fare il vago, nella speranza che mi riesca bene, mi metto a prendere in giro, con gli altri, il povero Ishizaki, preso inevitabilmente in mezzo.
“Sentite ragazzi!” esclama all’improvviso Yukari “Ma se facessimo un salto in piscina? Fa un caldo!”
“Ci sto!” urla Ryo alzando un braccio in alto, la mano tesa, proprio come se fosse a scuola “Anche se non meriti la mia compagnia!” aggiunge poi verso la sua ragazza, continuando a fare il permaloso.
La Nishimoto lo ignora alzando gli occhi al cielo e incomincia a impartire ordini.
Spedisce a casa tutti i ragazzi della vecchia Nankatsu, per prendere costumi e borsoni, poi si raccomanda di essere puntuali, fissando l’appuntamento all’ora X nel posto Y.
Come un Generale li mette tutti sugli attenti, con un gesto della mano saluto i miei amici che si apprestano a lasciare casa mia, seguiti, ultima di una scomposta carovana, proprio da Yukari.
Taro è ancora al mio fianco e quando rivolgo lo sguardo verso di lui, mi fissa serio per un attimo prima di annuire.
Ci capiamo al volo noi della Golden Combi...
“Tsubasa prima di andare uso un attimo il bagno, ok?” ed entra in casa senza aspettare risposta, salutando velocemente Sanae ferma ancora sulla veranda.
“A dopo!” gli risponde lei con un bel sorriso.
“Ti aspetto?” chiede poi rivolgendosi a me.
Scuoto la testa sorridendo e prendendo in braccio Daichi.
“Questo piccoletto deve dormire ora e se ci sei anche tu, non molla di sicuro.”
“Ok, allora scappo!” e mi saluta ma prima che si allontani, la trattengo d’istinto, afferrando la sua mano con il braccio libero.
Le sfioro una tempia con un bacio e Sanae sorride felice.
Saluta mio fratello poi, che in risposta, protende verso di lei e le schiocca un bacio sonoro sulla bocca.
Ride divertita scompigliandogli i capelli e se ne va via anche lei.
Per un attimo guardo Daichi e mi ritrovo convinto a pensare, che da grande non avrà alcun problema di timidezza con le ragazze, a differenza di suo fratello maggiore.
Veloce, entro in casa e salgo al piano di sopra.
Riconsegno Daichi a mia madre, con riluttanza e qualche capriccio, abbandona le mie braccia per il pisolino pomeridiano.
Ridiscendo le scale con una certa urgenza e quando sono di nuovo in cortile, Taro è lì che mi aspetta, lo sguardo serio che non promette nulla di buono.
“Che cazzo succede?” chiedo quando sono a un passo da lui, abbandonando definitivamente la mia maschera d’imperturbabilità.
Taro inspira una grossa boccata d’aria chiudendo gli occhi e no, anche questo non è per niente un buon segno.
“Parecchio tempo fa è successa una cosa, Tsubasa...”
Lo fisso senza battere ciglio, invitandolo così tacitamente a continuare.
“Sanae ha chiesto in ginocchio che non ti fosse detto nulla e si è disperata per settimane senza darsi pace...”
“Che cazzo è successo?” sibilo sentendo montare dentro di me la più grossa incazzatura della mia vita.
“Quando Sanae è tornata da Tokyo, dopo aver inciso il primo disco, abbiamo organizzato una festa di bentornata, alla quale ha partecipato un po’ tutta la scuola.”
“Taro, ti prego, vieni al punto!”
“C’era anche Seii e quella sera...”
“Quella sera cosa?” incalzo, l’incazzatura intanto galoppa, pestando forte contro il mio petto.
“L’ha baciata, Tsubasa! Seii ha baciato Sanae in mezzo alla sala piena di gente!”
La mia bocca si spalanca per un attimo poi tutta la rabbia che ho dentro esplode, scaricandosi sulla prima cosa a portata di mano.
“STRONZO!” e calcio il pallone vicino ai miei piedi con tutta la forza che ho.
La sfera rimbalza forte contro il muro, facendo cadere pezzetti d’intonaco e torna poi verso di me.
La colpisco ancora un’altra volta, lanciando un’imprecazione.
“Eravamo tutti impietriti! Sanae gli ha mollato uno schiaffo da spezzarsi un polso e poi è scoppiata in lacrime. Ishizaki ha perso la testa e si è lanciato su Seii, prendendolo a pugni! Ho faticato come un matto per separarli, è stato un casino!”
Mi mordo le labbra, il respiro corto e affannoso.
Non riesco, per la prima volta in vita mia, a calmare la rabbia.
Ammesso che sia mai riuscito a provarne tanta fino a ora.
“Mi dispiace, Tsubasa. Se ce l’hai con me ora ti capisco, ma anche se Sanae non avesse supplicato il silenzio, io non ti avrei detto nulla comunque.”
Lo guardo, incazzato come una belva.
Non con lui, ma furioso.
Non riesco a spiccicare una parola e vorrei solo far scoppiare il pallone a forza di calci contro il muro.
E se solo la mia mente tenta d’immaginare quello che è successo...
Calcio di nuovo la sfera con una violenza tale che mi viene da urlare, quando questa ritorna rapida contro di me, la colpisco al volo, mandandola a finire lontano stavolta, oltre il muro che cinge il cortile.
Appoggio le mani alle ginocchia, piegandomi appena, mentre il respiro agitato strapazza i miei polmoni, come se avessi appena giocato i novanta minuti più duri della mia esperienza calcistica.
Taro si avvicina ma io non alzo lo sguardo.
Sono troppo incazzato per riuscire a farlo.
“Calmati, Tsubasa...”
Alzo di scatto la testa verso di lui, guardandolo allibito ora.
“Tu mi spieghi come cazzo faccio a calmarmi?”
Il mio migliore amico non si scompone e posa una mano sulla mia spalla.
“Invece devi farlo! Sei fuori di te! Capisci perché non ti abbiamo detto nulla? Perché Sanae era così maledettamente disperata all’idea che lo venissi a sapere?”
“Quel pezzo di merda...” mi mordo le labbra spostando lo sguardo di lato, tutto corre nella mia testa e gira, come travolto da un tornado.
Mi chiudo nel mutismo mentre Taro cerca, in tutti i modi e con il massimo impegno, di sminuire la cosa.
Di spiegarmi che è successa e basta, che non ci si può far nulla.
Di convincermi a non rimuginarci e di concentrarmi sull’amore che mi lega a Sanae, che è la cosa più importante e che nulla può scalfire.
Tutti bellissimi discorsi certo, che filano e hanno senso.
Ma un altro ha baciato Sanae!
E mi sembra impossibile.
E quando mi focalizzo sulla cosa...
Inspiro, trattenendo poi l’aria nei polmoni e posando le dita alle tempie.
Non immaginarlo! Non farlo!
E vorrei correre da lei e stringerla forte, poi guardarla negli occhi per vedere se è sempre la stessa, se è sempre la mia Sanae.
Ma che cazzo sto pensando?!
“Quindi ora che provano insieme, cantano insieme... Che combina quell’emerito stronzo? E come cavolo fa lei a...?” mi trattengo.
“Questo è un altro motivo per cui non ti ho detto nulla. Sanae ha interrotto ogni tipo di rapporto con lui, appena successo quello che successo. E’ passato tanto tempo e quando si sono rincontrati per lavoro...” fa una pausa a effetto “... oh la tua ragazza era già pronta sul piede di guerra!”
Questa immagine di Sanae riesce in qualche modo a sollevarmi appena, ma giusto un po’, quel tanto che basta per sentirmi leggermente riscattato.
“Ma a quel punto non c’era più nessuna battaglia da intraprendere, perché Seii era cambiato. Gli è passata, la cotta per lei intendo e non ha fatto più nulla che potesse disturbarla, nulla che potesse compromettere i loro rapporti, ormai solo strettamente professionali.”
Alzo un sopracciglio scetticamente, arcuando un lato della bocca.
Taro sorride inclinando la testa.
“Gli è passata e devi crederci. Anche se so che ti sembra impossibile poter smettere di voler bene a Sanae...”
Arrossisco, nonostante non sia proprio il momento giusto di cadere nel mio classico imbarazzo.
“Seii non ha più nessun interesse per la tua ragazza, è un capitolo chiuso.”
Sto per ribattere ma Taro mi toglie le parole di bocca.
“E anche se ti fa rodere il culo da morire il fatto che sia riuscito a rubarle un bacio, questo non c’entra nulla con voi due!”
“Se fossi stato qui, non si sarebbe azzardato...” mormoro abbassando lo sguardo e sentendo che la rabbia muta gradatamente in tristezza.
E per la prima volta i miei pensieri si concentrano su Sanae.
Su quanta sofferenza possa aver provato anche in quel frangente e sempre per colpa mia.
Sì, colpa mia.
Perché alla fine, ogni cosa spiacevole che le capita, dipende dalla mia assenza.
Perché dovrei essere presente nella sua vita, anche per proteggerla, se necessario.
“Se la sa cavare da sola, credimi!”
Torno a guardare Taro che mi sorride, come se avesse appena letto tra i miei pensieri.
“E picchia anche di brutto! Davvero credevo l’avrebbe steso!”
“Taro...” borbotto, lontano mille miglia dalla voglia di scherzare.
“Ishizaki, per la precisione, le ha detto chiaramente che manesca era e manesca è rimasta!”
Rimango in silenzio, impassibile.
Il mio migliore amico sospira e mi dà una piccola gomitata sul braccio.
“Sorridi...” bisbiglia vicino al mio orecchio, passando un braccio sulle mie spalle “... anche Sanae ha riso quando Ryo l’ha presa in giro così!”
Ma non ci riesco, davvero.
Stavolta non riesco a riprendere in un batter d’occhio il mio stranoto ottimismo.
Oggi no.
Ho bisogno di somatizzare la cosa, di arrabbiarmi ancora po’ e di restare da solo.
“Senti... Io non vengo più in piscina, trova una scusa per me con gli altri, una qualsiasi.”
Taro mi fissa per un attimo serio poi, capita l’antifona, annuisce, senza cercare più di forzarmi.
“A dirlo a Sanae però ci pensi tu?”
“Sì. Ci penso io a lei.”
“Se ti serve qualcosa, sai dove trovarmi...”
Un mezzo sorriso inclina le mie labbra, come segno di ringraziamento e riconoscenza.
Si volta un’altra volta a guardarmi, prima di attraversare il cortile per raggiungere il cancello di casa mia.
Un ultimo cenno con la mano ed esce, richiudendo dietro di sé l’inferriata, che sbatte con un tonfo secco.
Senza esitare oltre, prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e inizio a scrivere il messaggio per avvisare Sanae.
Mentre batto veloce sui tasti, mi stupisco della rapidità con cui il mio cervello ha partorito una scusa credibile, per non essere costretto a vedere nessuno.
Daichi non vuol saperne di dormire e sta facendo un mondo di capricci. Mi sento in colpa a lasciarlo mentre piange, così rimango con lui. Tu divertiti in piscina con gli altri, mi raccomando! Ci sentiamo stasera! Un bacio
Rileggo, invio e sospiro.
Entro in casa ma all’improvviso l’idea di queste quattro mura che mi circondano, diventa altamente claustrofobica.
Devo uscire, sì.
E devo correre, pure.
Il tempo d’infilare le scarpe da running e sono fuori in strada.
Inizio a correre, senza sentire il sole sulla pelle, senza vedere il cielo azzurro.
Corro e basta.
Lontano, per spengere il cervello, per annullare le emozioni.
Corro come mai fatto prima e ringrazio il mio fiato spezzato da una vita, che mi permettere di spingere la corsa oltre i limiti.
Corro verso la periferia, allontanandomi poi dalle case, dal rumore, dalle macchine.
Attraverso le stradine che costeggiano i prati ricoperti di erba verde e incolta.
Mi fermo in prossimità della ferrovia sentendo il cuore nella gola.
Esausto, mi lascio cadere sulle ginocchia e poggio le mani a terra.
Il sudore cade a gocce dalla mia fronte mentre non riesco a riportare il respiro alla normalità.
“L’ha baciata, Tsubasa! Seii ha baciato Sanae...”
E tutta la rabbia riemerge dal mio stomaco conficcandosi come pugnali, nel petto e nella testa.
Disperato, stringo i pugni e alzo la testa contro il cielo.
E l’urlo che esce dalla mia bocca, forte e prolungato, non sembra nemmeno appartenere a me.

















Questo capitolo è un po’ diverso dal solito. Avendo letto molti manga pretendo, di norma, di dividere i capitoli in scene distinte, un po’ come se fosse un piccolo albo da sfogliare, per poter così raccontare più cose e muovermi in più ambienti o nel tempo.
Questa volta però ho dovuto fare un’eccezione perché tutto il capitolo esigeva di rimanere fermo in quest’unica scena, visti l’importanza e il peso emotivo di quello che accade a Tsubasa.
Mi scuso per aver usato, nei pensieri e dialoghi dei personaggi, delle espressioni più colorite del solito, ma quando penso a un ragazzo di diciannove anni che “perde le staffe”, non riesco a credere che possa esprimersi come un’educanda.
La parte finale di FA, partendo proprio da questo capitolo, mi permetterà di aggiungere tanti tasselli mancanti a B. che erano lì, nella trama generale, ma che per forza di cose non ho potuto mostrare.
Ringrazio, doverosamente come sempre, chi dedica un po’ del suo tempo alla lettura delle mie FF e le mie amiche “di CT” che sono la mia più grande fonte di motivazione e stimoli.
Un grazie particolare a Sara per le sue correzioni mentre “sbirciava”... perché con me, rileggere non è MAI abbastanza!xD
A presto, OnlyHope^^
 

 
 



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Capitolo 14
*** Le luci di Tokyo ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 13

Le luci di Tokyo










Alzo lo sguardo e la mia testa s’inclina tanto, che sento la nuca sfiorarmi le spalle.
La vetta dell’edificio lontanissima, quasi a sfiorare le nuvole, mi dà un senso di vertigine, nonostante io sia con i piedi ben piantati al marciapiede.
Attendo ancora qualche secondo davanti all’ingresso dell’albergo The Peninsula* poi decido di entrare e appena varcata la soglia, mi trovo immerso in un ambiente decisamente di lusso.
I colori che predominano la hall sono caldi, sfumati tra l’ocra e l’oro e l’insieme non ha nulla di pacchiano o ostentato.
E’ sicuramente raffinato, per quel che ne può capire un ragazzo di diciannove anni che vive la sua vita tra l’erba verde dei campi di calcio.
Non che non sia mai stato in alberghi rinomati, ma questo li batte tutti di gran lunga.
Mi avvicino alla reception, una bella donna mi accoglie con un sorriso, dandomi cordialmente il benvenuto.
Leggermente imbarazzato, rispondo inchinando il busto e la testa.
“Salve! Potrebbe avvisare gentilmente Sanae Nakazawa del mio arrivo?”
“Certamente...” e fa una pausa squadrandomi attentamente “Lei è il signor?” mi chiede infine, più per prassi e per sottolineare la sua discrezione, che per vera esigenza di conoscere le mie generalità.
“Ozora. Sono Tsubasa Ozora.”
“Attenda un attimo per piacere...” e prende la cornetta del telefono posto alla sua sinistra, le dita curate digitando il numero dell’interno desiderato.
Rimane in attesa di risposta, regalandomi un altro sorriso cordiale e rassicurante.
“Signorina Nakazawa, buonasera. Volevo informarla che il signor Ozora è appena arrivato...” un’altra piccola pausa mentre ascolta la risposta dall’altro capo del telefono.
Annuisce professionale prima di salutare Sanae e rivolgersi di nuovo a me.
“Signor Ozora, la signorina tarderà qualche minuto e si scusa. Mi ha chiesto di farla accomodare allo Sky Bar al ventiquattresimo piano e dirle di attenderla lì, la raggiungerà al più presto.”
Sorpreso per l’inaspettata attesa, mi chiedo con curiosità come potrà essere il bar di quest’albergo, vista la premessa della hall e dopo aver ringraziato la receptionist, mi dirigo verso gli ascensori deciso a scoprirlo.
Con un cenno del capo saluto l’addetto all’ascensore, che impettito nella sua divisa inamidata, rimane immobile accanto alla pulsantiera dei piani.
“Ventiquattresimo. Sky Bar.”
Lo dico con una voce così impostata, tipo film di spie, che mi viene da ridere di me stesso mentre l’ascensore sale veloce di piano in piano.
Arrivati a destinazione, le porte si aprono e davanti ai miei occhi compare un altro ambiente decisamente suggestivo, tanto che credo che lo stupore sia chiaramente impresso nella mia faccia.
Il bar è accogliente sì ma sempre di gran lusso.
Le pareti dello stesso tono della hall sono illuminate da faretti che emanano una tenue luce color lavanda.
Tra i tavoli bassi, eleganti e discreti per disposizione, spiccano degli alberelli di metallo stilizzati, con piccole foglie argentate, che catturano la luce brillando ma mantenendo l’ambiente ovattato, nel tono soft che predomina la vista.
Le vetrate che circondano tutto il perimetro della sala, incorniciano il panorama di Tokyo, illuminata dalle prime luci nell’ora del crepuscolo.
Mi avvicino a un tavolo un po’ in disparte e sedendomi su una poltroncina, rimango a fissare la vista da capogiro oltre il vetro perfettamente trasparente.
Per ammazzare il tempo ordino poi qualcosa di analcolico da bere e sorseggiando il mio drink, mi metto a curiosare intorno, osservando gli altri avventori del bar.
Il più vicino al mio tavolo è un uomo sulla trentina che sfoglia un’agenda di pelle nera, annotando di tanto in tanto qualcosa con una penna color argento, o meglio, probabilmente d’argento.
E’ vestito in maniera elegante, almeno per quanto ne possa sapere di moda e inspiegabilmente continuo a fissarlo, mosso da un’altrettanto inspiegabile sensazione di conoscenza.
Aggrottando le sopraciglia, mi arrovello nel tentativo di ricordare dove e come possa aver incontrato quest’uomo, o perlomeno se al massimo mi ricordi qualcuno, ma proprio non mi viene in mente nulla.
Alla fine mi rassegno e distolgo lo sguardo con un’alzatina di spalle.
Torno a fissare il panorama di luci oltre la vetrata, nel mio primo giorno nella Capitale a causa dell’imminente mondiale giovanile.
Tra una settimana ci sarà la festa per le federazioni ospiti e un paio di giorni dopo l’inaugurazione ufficiale del campionato e la prima partita.
Sono elettrizzato e impaziente all’idea di affrontare di nuovo vecchie conoscenze come il Kaiser, ma spero soprattutto di poter giocare contro il Brasile di Roberto.
E’ la mia sfida più grande batterlo, insieme all’obbiettivo della vittoria del campionato ovviamente, e non c’è nulla che non tenterò per raggiungere questo scopo, dovessi anche sputare sangue in campo e massacrarmi nel tentativo di perfezionare il mio tiro.
Con la coda dell’occhio, noto l’uomo di prima alzarsi così il filo dei miei pensieri calcistici è momentaneamente interrotto.
Stringe al petto l’agenda nera e prende a camminare nella mia direzione.
I nostri sguardi s’incrociano casualmente una frazione di secondo quando mi passa accanto per poi sorpassarmi.
Torno a guardare fuori, ricominciando a pensare a quale strategia d’allenamento adottare per rendere imbattibile il mio tiro, quando l’uomo vestito bene, tornato veloce sui suoi passi, si para dinanzi al mio tavolo e mi fissa.
I suoi occhi sono spalancati in un moto di meraviglia, davvero ben poco giustificabile.
Lo fisso confuso sbattendo le palpebre.
Che sia un tifoso?
Il suo sguardo, sempre posato su di me, cambia e se non fossi nel pieno delle mie facoltà mentali, giurerei che è appena diventato...
Sognante?!
Arcuo un sopracciglio, avvertendo un brivido scorrermi lungo tutta la schiena.
Sorride il pazzo, mostrandomi la bella dentatura bianca sfavillante e perfettamente regolare.
Le mani intrecciate sotto il mento come una fan girl davanti al cantante preferito.
Mi chiedo preoccupato quale sia la via di fuga più vicina da raggiungere.
Sto per alzarmi per defilarmi il più veloce possibile quando una voce familiare chiama distintamente il mio nome.
“Tsubasa!” ripete Sanae mentre si avvicina sorridente, ma non mi rilasso.
“Mendo!” esclama poi quando si trova vicino a quello che, con un po' di paranoia lo ammetto, ho bollato come psicopatico.
Mendo?!
Stupito, la mascella che arriva fino al mio petto, temo.
Mi volto a guadare quello che dovrebbe essere l’assistente personale della mia ragazza.
“Mendo?”
L’uomo annuisce gioiosamente, non prima d’aver scoccato un bacio sonoro sulla guancia di Sanae, che ride divertita.
“Ma che deliziosa intromissione del fato! Che incantevole coincidenza!”
Intontito e ammutolito per la sorpresa mi limito ad annuire, mentre nella mia testa continuo a darmi dello scemo.
“Ok! Facciamo le presentazioni come si deve! Tsubasa questo è Keysuke Mendo.”
“Piacere!” esclamo uscendo dal mio mutismo, riprendendo il mio solito fare cordiale.
Quest’uomo si prende tanta cura di Sanae, ma come ho fatto a prenderlo per un pazzo!
L’assistente sfodera un altro dei suoi sorrisi da copertina e mi stringe vigorosamente la mano.
“Bella camicia, taglio impeccabile! Il colore poi dona al tuo carnato, anche se avrei osato con un tono un po’ più deciso, tipo un indaco...”
Porto la mano alla nuca, imbarazzato.
“Ma anche così it’s perfect! Non è vero, Sanae?”
La mia ragazza ride divertita mentre mi chiedo da quale assurdo universo provenga Keysuke Mendo.
“Ma tesoro, che te lo chiedo a fare! Tu adori questo giovane uomo dalla promettente carriera! E poi cara, nemmeno lo avessi fatto di proposito, guarda come s’intona il tuo vestito alla sua camicia! Mettiti vicino a lui! Corri!”
Sanae asseconda il suo assistente alzando gli occhi al cielo ma estremamente divertita, quando è vicina al mio braccio sinistro, lo cinge fingendo di mettersi in posa.
“Oh... Sublime!” esclama Mendo, visibilmente estasiato.
Le mie guance vanno in fiamme e quando cerco lo sguardo di Sanae, noto con stupore, che sul suo viso non c’è nessuna traccia d’imbarazzo ma solo un rossore leggero, procurato dalle risate divertite.
In questo momento è semplicemente serena e...
Felice...
“Dato che siamo piacevolmente tutti e tre qui riuniti, fato o destino che sia, non ci resta che approfittare e cenare insieme nella sala ristorante! Voi godetevi un po’ d’intimità a questo incantevole piano e non preoccupatevi di nulla, penso a tutto io. Vado subito a prenotare!”
Mendo si allontana a grandi falcate senza darci il tempo di rispondere.
Entra in ascensore e si rivolge all’addetto in modo così teatrale, che sembra gli stia rivelando il segreto dell’eterna giovinezza invece che indicargli il piano desiderato.
Sanae ed io ci guardiamo un attimo negli occhi, la mia ragazza alza le spalle e mi sorride, arcuando leggermente un lato della bocca.
A quel punto non resisto più e scoppio a ridere.
“E’ fatto così...” borbotta alzando di nuovo gli occhi al cielo “Non si sarebbe fatto scappare l’occasione per niente al mondo!”
Continuo a ridere senza ritegno, Sanae sbuffa dandomi un leggero pugno sul braccio.
“Oh ma quando ti metterà sottotorchio, chiedendoti ogni particolare della nostra relazione, voglio vedere se avrai ancora voglia di ridere...” esclama sfidandomi con lo sguardo.
La provocazione va a segno e il riso cessa immediatamente di deformarmi il viso.
“Eh?” chiedo, sbattendo le palpebre preoccupato e questa volta è Sanae a scoppiare in una fragorosa risata.







La festa di benvenuto per il World Youth è iniziata ormai da qualche ora.
Nonostante alcune squadre non siano ancora arrivate nel nostro Paese, tra cui proprio il Brasile di Roberto, la sala brulica di calciatori e avversari, che sarà un onore affrontare.
Mi guardo intorno e a stento riesco a contenere la mia eccitazione.
Incrocio facce nuove e volti familiari, che mi ricordano vecchie battaglie superate e vinte, ma ugualmente mai concluse.
Perché nel calcio le sfide non finiscono mai, al massimo si ripetono ma senza togliere nulla all’emozione di viverle.
La competizione è sempre a livelli altissimi.
Genzo Wakabayashi, poco distante da me, scherza sorridendo con Hermann Kaltz e Karl Heinz Schneider.
Shingo Aoi discute animatamente, forse un po’ brillo, con Salvatore Gentile, sotto lo sguardo attento di Gino Hernandez.
Vicino al buffet c’è quasi tutta la nazionale francese, riesco a intravedere Pierre LeBlanc e Luis Napoleon.
Juan Diaz sorseggia da bere insieme agli altri ragazzi della compagine argentina.
Finalmente il mondiale sta per iniziare, non faccio che ripeterlo.
Ho voglia di misurarmi con tutti questi avversari, vecchi e nuovi.
Ho bisogno di questi stimoli come dell’aria che respiro, perché il calcio è davvero la mia vita.
Mi sento così pronto ad affrontare questa nuova avventura, che un sospiro soddisfatto e impaziente esce spontaneo dalla mia bocca.
Mi volto ancora e noto tra la gente, lontana da me, l’altra mia fonte d’eccitazione.
Sanae parla con Mendo dandomi leggermente le spalle.
L’abito corto dorato e i capelli pettinati mossi, che non le avevo mai visto portare prima di stasera.
Siamo arrivati alla festa separatamente, lei con il suo entourage ed io con la nazionale giapponese e avremo scambiato al massimo un paio di parole in queste ore.
Non che non abbia desiderato passare del tempo con lei, ma con tutta questa gente, ho preferito non metterci troppo in mostra.
Mi guardo intorno per l’ennesima volta, distogliendo l’attenzione da lei ma questa volta il mio sguardo non è alla ricerca di qualche rivale calcistico da sfidare.
L’oggetto del mio cercare è un personaggio scomodo.
La mia personale fastidiosa presenza, che sembra non essersi ancora materializzata.
Non ho digerito del tutto Takeshi Seii, mi sono fatto una ragione di quello che è successo, ma non l’ho mandato giù completamente.
Non ne ho più parlato con nessuno, nemmeno con Sanae perché lei è l’ultima che deve sapere che sono a conoscenza di come si è comportato quell’idiota nei suoi confronti.
E mi sono convinto che sia acqua passata, come ha detto Taro quel pomeriggio nel cortile di casa mia.
Ma questa sera, sapendo che deve esserci anche lui, non posso evitare di cercarlo tra la gente.
Per incrociare semplicemente il suo sguardo, per capire guardandolo negli occhi, che è davvero un capitolo chiuso.
Voglio eliminare questa sensazione sgradevole dal mio petto che mi fa sentire sospeso e tornare pienamente sicuro, come il mio solito.
Per allontanare questo disagio, decido di raggiungere Sanae e quando sono alle sue spalle, Mendo ridacchia ammiccando nella mia direzione.
Si volta curiosa e le sorrido sicuro, ora che i miei occhi sono colmi della sua immagine.
Non resisto e mi avvicino a lei, sussurrando al suo orecchio quanto sia bella stasera.
"Grazie, anche tu. Immagino ti stia divertendo da matti, eh?"
“Puoi dirlo forte! Ma non vedo l’ora che la festa diventi privata per sentirmi più a mio agio."
D’istinto le sfioro la mano, un gesto semplice ma che mi regala un brivido caldo lungo la schiena.
“Come non vedo l’ora di sentirti cantare!" aggiungo con un sorriso incoraggiante mentre noto le sue gote colorarsi leggermente per l’imbarazzo.
L’idea della sua esibizione però riporta inevitabilmente la mia attenzione su Seii, che torna prepotente, a farsi spazio tra i miei pensieri.
Guardo Sanae sorridermi dolcemente e mi sembra sempre la stessa ragazzina che alle medie mi seguiva a bordo campo durante gli allenamenti e le partite.
E’ sempre lei, nonostante il trucco e i lineamenti più adulti.
Nonostante ora ci sia una donna davanti a me.
E quella di Seii mi appare all’improvviso come la più stonata delle intrusioni.
“Quel ragazzo... Quel Seii, è già arrivato? Mi sembra di non averlo visto.”
Mi rendo conto, appena la mia lingua ha pronunciato l’ultima sillaba, di aver parlato di getto, senza pensare.
Distolgo lo sguardo da Sanae, fissando la sala gremita di gente, per nasconderle il mio imbarazzo.
"Non ci ho fatto caso, dovrebbe essere già qui anche lui."
E non so come mai, ma sentire la sua voce che parla di lui, mi rende nervoso.
"Gli piaci ancora?" chiedo ancora senza filtrare i pensieri, voltandomi verso di lei.
Perché è giusto non averne parlato con Sanae ma mi rendo conto solo ora, che non ho bisogno di vedere Seii per capire che è finito tutto.
E’ da lei che devo sentirlo dire, chiaramente.
Leggo un leggero moto di sorpresa sul suo volto poi la sua espressione diventa seria e convinta, imperturbabile.
“No.”
Chiudi questa storia, Tsubasa...
Dimenticatene...
"Come mai me lo chiedi?"
Hai avuto la tua risposta, basta così...
“Tempo fa aveva una cotta per te, no? Mi domandavo se fosse ancora così, tutto qui."
Le sorrido ora, perché nei suoi occhi posso scorgere un velo di preoccupazione e non mi va che le mie insicurezze passeggere, minino il suo equilibrio, facendola impensierire.
Sanae mi fissa per un altro attimo ancora, sbattendo le palpebre ripetutamente poi torna a sorridermi, come se nulla fosse.
E da questo istante giuro che sarà così anche per me.
Osservo la piega morbida delle sue labbra, maledicendo tutta questa gente che con la sua presenza, non mi permette di prendere e baciarle.
E quell’elettricità magnetica, che mi pervade quando sono vicino a lei, riesco ad avvertirla tutta intorno a noi e mi stupisco del fatto che gli altri non riescano a sentirla, tanto è forte.
“Sanae! Angelo mio, è ora di cambiarsi per l’esibizione!”
La voce di Mendo interrompe il momento magico riportandomi alla realtà.
La mia ragazza si congeda da me velocemente ma a malincuore ed io, che proprio non resisto, le sfioro di nuovo la mano prima che si allontani.
E un’altra nuova eccitazione riempie il mio petto.
Sto per sentirla cantare...







Le luci si abbassano, deglutisco per l’emozione.
Una luce si accende illuminando un pianoforte a coda nero, il pubblico applaude incoraggiante mentre il pianista saluta con un lieve sorriso e un cenno del capo.
Cala il silenzio e Seii poggia le mani sulla tastiera iniziando a suonare.
Quando la sua voce è amplificata dagli altoparlanti, riempie la sala con il suo tono basso e profondo.
L’osservo serio, cercando di evitare che la sua presenza rovini questo momento che appartiene, almeno per me, solo a Sanae.
E quando lei entra in scena, è come se un’altra luce prendesse a illuminare il palco.
Un applauso caloroso l’accoglie, lei sorride visibilmente compiaciuta.
Ha un vestito diverso ora, lungo fino alle caviglie e con una sola spalla.
Quando cammina, uno spacco laterale mette in mostra la gamba destra, dalla pelle tonica e lievemente abbronzata e slanciata dai tacchi alti.
Mi sorride per un attimo prima di raggiungere il pianoforte mentre la sua voce calda, cristallina e dolce come una carezza, riempie l’aria.
Lei è lì su quel palco e mi sembra bella come il sole.
Lei che è la mia stella luminosa.
La fisso immune dai commenti, perso nella sua voce che mi ricorda, come un ritornello, cosa si prova a essere innamorati.
Cosa si sente ad amare lei.
E la amo, sì.
E la sua voce...
Mi riempie d’orgoglioso, ne sono così fiero.
E ho come la sensazione che finalmente i nostri mondi si bilancino e che possa essere io ora, quello che gioisce delle sue vittorie, dei suoi successi.
Come un vaso comunicante che finalmente si è colmato allo stesso livello, come giusto che fosse.
Quando la melodia termina, le luci aumentano di nuovo d’intensità e nella sala scoppia un applauso entusiasta.
Mi alzo in piedi senza distogliere lo sguardo da lei, come ipnotizzato e batto le mani con decisione.
Sanae s’inchina per ringraziare il pubblico e quando il suo sguardo si posa su di me, le sorrido con la disperata intenzione di trasmetterle ogni emozione che provo.
E’ un momento magnifico, non mi ero mai sentito così.
Non immaginavo di potermi sentire tanto fiero di lei.
Di essere così felice per lei.
Ma l’incanto si rompe.
Come uno specchio che all’improvviso va in frantumi, in mille pezzi.
L’immagine di Seii inchinato, le labbra poggiate sulla mano di Sanae, trasforma la mia visione dorata in un frammento che non scorre, immobile, in bianco e nero.
Tutto si ferma intorno a me, non avverto più alcun rumore.
E all’improvviso sento e so che il capitolo Seii è tutt’altro che chiuso.







La musica del DJ rimbomba nelle casse, tutti si agitano come scimmie, ebri d’euforia perché ora è davvero una festa.
Sanae è di nuovo al mio fianco, lei e il suo vestito corto.
Lei e i suoi capelli mossi che profumano di buono.
Lei che sorride e festeggia.
Le cingo il collo con un braccio, possessivamente e la sua mano raggiunge la mia, oltre la sua spalla, intrecciando le dita alle mie.
Inclina il capo e mi sorride, mi limito a continuare a fissarla, seguendo i lineamenti del suo viso, avvertendo, fin troppo bene, la pressione del suo fianco contro il mio.
Con la punta dei polpastrelli accarezzo quelle dita affusolate, che la mia mano troppo grande riesce a nascondere quando vorrei estendere questa carezza a tutto il suo corpo.
Istintivamente mi porto avanti a lei, staccando la mia mano ma lasciando che questa l’accarezzi, fino a posarsi con l’altra sui suoi fianchi.
La stringo a me, poggiando la mia fronte contro la sua.
Indifferente a tutto tranne che a lei...
Che mi veda il mondo intero e si scateni con tutte le lingue lunghe della sala...
Non esiste musica, non esistono altri sguardi...
Al diavolo anche il pallone stanotte...
“Cos’è vuoi ballare?” mi chiede cingendo il mio collo con le mani e una scossa attraversa la mia spina dorsale.
I brividi si rincorrono lungo tutta la mia pelle, terminando la loro corsa nelle punte dei capelli.
“No, voglio stare con te.”
Lo dico senza filtri perché è la sacrosanta verità e non sono mai stato così dannatamente sincero in vita mia come ora.
E in contrasto mi sento libero e prigioniero.
Libero di spingermi verso di lei, senza freni né riserve, lontano dall’imbarazzo che solitamente mi domina.
Prigioniero del mio sentimento, che stasera sento delirare quasi, nella smania di possesso.
“Da solo...” aggiungo mormorando, stringendo di più la sua vita e senza distogliere lo sguardo, schiavo ora come non mai, di una possessività che non sapevo di avere.
Sanae annuisce, guardandomi con aria imbambolata.
Senza perdere altro tempo mi sciolgo dal suo abbraccio e afferrandola per la mano, la trascino dietro di me.
Lontano dalla sala piena di gente, dalla festa, da un mondo che stasera mi sembra così insignificante rispetto a noi.
Rispetto a lei.
Usciamo in giardino senza che mi volti nemmeno una volta a guardarla, troppo preso dalla voglia di allontanarmi da tutto e di essere soli.
Scendiamo le scale veloci, le do giusto il tempo di discendere l’ultimo gradino e mi lascio andare.
Mi volto e la bacio.
Con un’esigenza fatta di tante cose, con una passione diversa da quella, se pur meravigliosa, provata fino a ora.
Con egoismo mentre sento le sue labbra, la sua bocca e ripeto dentro di me quel mia che è più forte di tutto, che mi turba e manda in confusione.
Che avevo già sentito ma mai così forte.
Quel mia che racchiude tutto l’amore che provo per lei, che è forte, sincero ma che può essere anche doloroso.
E disperato e folle, come mi sento io, tra le altre mille emozioni, in questa notte d’estate.
Mi stringo forte a lei, le mie mani scivolano sulla sua schiena poi risalgono le spalle nude e il contatto con la sua pelle mi fa sentire l’esigenza di stringerla ancora di più.
Le sue mani tra i miei capelli una scarica adrenalinica senza precedenti.
La spingo contro il muro, imprigionandola materialmente e la mia bocca continua a sentire la sua tradendo i miei respiri, che non hanno più nulla di normale.
E all’improvviso ho voglia di vederla, come se i miei occhi volessero la conferma della sua autenticità, della sua presenza tra le mie braccia.
Come se non bastasse quanto la sento.
Allontano la mia bocca dalla sua, il fiato corto alza ritmicamente il mio petto, piacevolmente in affanno e la guardo.
Gli occhi chiusi, i capelli scomposti e le gote in fiamme.
Le labbra socchiuse, arrossate e protese ancora verso di me.
Socchiudo per un attimo gli occhi per poi tornare a guardare la donna davanti a me.
La mia donna.
La mia Sanae.
“Devo ricordarmi di cantare un po' più spesso davanti a te, se ti fa questo effetto...” mormora guardandomi negli occhi ora e sorridendo maliziosamente.
Rimango in silenzio perché c’è così tanto oltre questo, oltre all’averla vista bella come non mai, cantare sotto la luce dei riflettori.
Un mondo sommerso di emozioni che sentivo a malapena, che provavo ma conoscendone solo un aspetto, solo una faccia.
E sono così tante queste cose che non riesco a dire una parola, perché non so come spiegarle.
Perché semplicemente non è necessario che lo faccia, che parli.
Con una mano risalgo la sua schiena ancora inclinata sotto la mia stretta e le sfioro il seno.
La mia attrazione è innegabile ma c’è sempre dell’altro...
Le sfioro il viso con la punta delle dita, seguendo la linea della fronte, gli zigomi e non riesco a distogliere lo sguardo.
E' come se mi fosse concesso di vedere solo lei mentre il resto è buio pesto.
Con le labbra seguo il percorso disegnato dalle mie mani, sfiorando la sua pelle delicatamente, perché la cosa più preziosa che si possiede va inevitabilmente trattata con ogni cura.
Ritorno sulla sua bocca, controllando, questa volta, l’impeto di prima e abbandonandomi a un bacio che assomiglia più a una dichiarazione silenziosa.
Perché effettivamente è questo che sta accadendo.
Mi sento come se fossi per la prima volta davanti a lei con i miei sentimenti, cercando di dichiararli e mostrarli per quello che sono.
Amore...
Mi separo dalle sue labbra e la stringo forte a me, le mie mani immerse nei suoi capelli.
Lei si aggrappa al mio petto e sento di poter parlare ora.
“Sanae...” mormoro piano, quasi sottovoce e senza rivolgermi direttamente a lei.
Pronuncio solo il suo nome, che riassume un mio mondo.
Quello fatto di emozioni, quello che è più forte di me.
Il suo nome per ribadire che è lei che voglio, lei che mi appartiene.
Lei che amo.
E stasera non ho le forze per separarmi, nemmeno per un minuto, non ce la posso fare.
Semplicemente non voglio.
“Scappiamo al The Peninsula...” sussurro al suo orecchio e il mio non è un invito, ma più un dato di fatto, qualcosa che non può essere messo in discussione.
Qualche secondo di silenzio, solo il rumore dell’acqua, che zampilla dalla fontana poco distante da noi, accompagna i nostri respiri.
“Sì...”
E nella mia mente prende forma l’immagine delle luci di Tokyo riflesse sulla sua pelle...











*The Peninsula esiste realmente, ha cinque stelle e si trova nel quartiere centrale di Giza, Tokyo.
Esteticamente rientra proprio nei miei canoni, perché è lussuoso ma sobrio e com’è facilmente immaginabile, sono innamorata del suo Sky Bar che trovo delizioso (come direbbe Mendo xD) per arredamento, colori e vista panoramica... Per non parlare poi delle camere e il centro benessere!*__* Spero un giorno di poterci soggiornare, fosse solo per una notte! xD
Ma come mai questo spot direte voi? E’ semplice: mi sono soffermata tanto sulla descrizione di questo magnifico posto, non tanto per gusto personale ma per rimarcare il cambio di qualità di vita di Sanae. Non che prima fosse una poveretta xD ha avuto sempre una vita dignitosa e serena ma il suo mondo ora è fatto anche di questo lusso e di queste possibilità.^^

Altra piccola nota: i nomi dei giocatori francesi sono gli unici ripresi dall’anime in italiano, per quelli delle altre nazioni ho usato gli originali del manga. E’ una scelta strettamente soggettiva, semplicemente mi piacciono di più così.^^

Vorrei ringraziare Kara per avermi dato un ottimo consiglio riguardo al precedente capitolo, che ho potuto correggere eliminando una frase e rendendo così migliore quello che avevo scritto.^^
Un altro grazie, come sempre, ai lettori silenziosi e a quelli che hanno recensito, ora che c’è la possibilità di rispondere nello spazio delle recensioni cercherò di farlo lì, anche se non credo che lo farò sistematicamente, mi piacerebbe scrivere cose intelligenti nelle risposte e spesso mi viene solo un semplice “grazie” che comunque non è poco...^^
Alla peggio continuerò a ringraziare come ho sempre fatto a fine capitolo, generalizzando un po’ lo so, ma sentendo quella semplice parola venire dritta dal cuore e credo che sia quello ciò che conta di più.^^
Spero di non tardare con il prossimo capitolo, se non fosse così, abbiate un po’ di pazienza, la vita di tutti i giorni incalza e il tempo è quello che è!^^
A presto, OnlyHope^^



 

 

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Capitolo 15
*** Il bandolo della matassa ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 15

Il bandolo della matassa











Semifinale World Youth.
Giappone - Olanda ancora zero a zero.
Impreco mentalmente contro questo maledetto terzino che mi tallona, senza darmi modo di liberarmi.
La situazione non si sblocca e nel primo tempo abbiamo rischiato, in un paio di occasioni, di andare anche sotto.
A ridosso della linea difensiva, cerco di organizzare il gioco di squadra, nonostante le difficoltà imposte dai nostri avversari.
Non posso perdere questa partita, non devo assolutamente mancare la finale, il Brasile deve essere il mio ultimo avversario e devo batterlo, a tutti i costi.
Seguo l’azione di gioco che si svolge ora nella nostra difesa, con uno scatto mi avvicino all’area di rigore, mentre un attaccante olandese cerca di superare Ishizaki.
Con un ottimo intervento, Ryo prende possesso della palla e guardandosi velocemente intorno, la passa a Taro, libero pochi metri avanti a lui.
Mi volto veloce e prendo a correre, come il resto dei miei compagni, in direzione della porta avversaria.
L’uomo che mi tiene sotto stretta marcatura non demorde, seguendomi come un'ombra.
Taro passa la palla a Matsuyama, che subito supera un contrasto con un avversario.
Approfitto di un attimo di distrazione del mio marcatore e con uno scatto deciso, riesco finalmente a distanziarlo di qualche metro.
Hikaru se ne accorge e rapido calcia il pallone nella mia direzione, stoppo con il polpaccio.
Avverto chiaramente il boato dei tifosi tutto intorno a me.
Devo vincere! Dobbiamo vincere!
Supero un paio di difensori, al limite della difesa avversaria, il terzo lo evito con una finta e un passaggio preciso a Taro, che stoppa di petto alla mia sinistra.
Entriamo in area quasi all’unisono, mi smarco controllando la linea dei difensori, per non cadere in fuori gioco.
Taro si volta ed effettua un assist perfetto nella mia direzione, quando la palla si trova vicinissima, la calcio al volo.
Il pallone s’impenna leggermente descrivendo un’immaginaria parabola nell’aria, poi s’insacca come un proiettile alle spalle del portiere, gonfiando una parte della rete.
Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!
Nello stadio esplode il caos più totale e la gioia dei tifosi mi arriva dritta nel corpo, come una scossa tra me e loro.
Alzo i pugni al cielo poi di corsa mi lancio verso le tribune, seguendo un percorso ben preciso.
Salto i cartelli pubblicitari, ignorando per una volta i miei compagni che mi seguono euforici e mi fermo solo quando intravedo Sanae sopra la mia testa.
Quando i nostri sguardi s’incrociano le sorrido, perché il gesto che sto per compiere, l’avrei già dovuto fare da qualche tempo.
E’ un messaggio solo per lei e solo Sanae è in grado di riceverlo.
Perché sotto il cerotto adesivo che circonda il mio anulare, è lei che tengo con me, nascosta agli sguardi altrui.
Il mio amuleto portafortuna.
Con un movimento lento, in modo che lei possa ben seguirlo, porto la mano sinistra all’altezza della bocca e socchiudendo gli occhi, bacio il suo nome tracciato dalle sue dita sulla mia pelle.
Torno a guardare il suo viso, alzando il braccio nella sua direzione, quasi a indicarla e poggiando l’altra mano sul petto.
Le sorrido di nuovo dedicandole questo goal, che poi è ciò che meglio mi rappresenta e tutto quello che sono.
Capisco che il messaggio è arrivato, quando la vedo stupirsi emozionata e le sue mani corrono a coprirle la bocca.
Buona parte della squadra ora mi ha raggiunto, circondandomi festante e così perdo di vista Sanae.
Euforico, condivido questa gioia con i miei compagni e nessuno può avvertire il legame che ci unisce. 
Essere una squadra è questo.

Condividere nel bene o nel male.
Il goal che ho appena marcato è la carica che ci aspettavamo per credere davvero nella vittoria, perché la partita non è ancora finita.
Rientriamo tutti in campo ancora più determinati e ci schieriamo in formazione, ognuno al suo posto e al suo ruolo.
A centrocampo aspetto che il capitano olandese rimetta in gioco la palla, lo sfido risoluto con lo sguardo.
Sono carico e, se possibile, ancora più motivato di prima.
Non potrà battermi nessuno ora.
La finale sarà nostra.
Preparati Roberto, sto arrivando!








Mi butto sul letto sfinito da questa incredibile giornata.
Ishizaki e Taro, che dividono la camera con me, sono usciti a fare un giro, nonostante la partita di oggi abbia bruciato tutte le nostre energie.
Non me la sono sentita di seguirli, nonostante le insistenze, perché voglio riposare e recuperare le forze già da subito per la finale.
Devo essere in perfetta forma per scontrarmi con nazionale verde-oro di Roberto e batterla.
Ma ho bisogno di essere forte anche per affrontare l’altro scontro, fuori dai campi di calcio, che ho in programma di avere, il prima possibile.
Non so ancora come e quando, ma presto incontrerò Seii perché ora è diventata un’esigenza vitale, trovarmi faccia a faccia con lui.
Ho lasciato correre per troppo tempo, è giunto il momento di mettergli dei paletti intorno e confinarlo, una volta per tutte.
E devo essere sicuro che capisca bene l’antifona, senza dover tornare in Brasile con il pensiero che gli venga l’ennesima bravata in testa.
Al pensiero del mio rientro in Sud America, il mio stomaco si contorce un po’.
Ultimamente mi sento molto a disagio quando, in rari momenti, mi soffermo a riflettere sulla doppia valenza della finale.
Diventare campione del mondo, si spera, e fine del mondiale e della mia permanenza in Giappone.
Dovrò tornare in Brasile e tutto sarà come prima.
La mia vita sentimentale subirà l’ennesima battuta d’arresto e non rivedrò Sanae, per non so quanto tempo.
Insopportabile...
Non posso però lasciarmi prendere dallo sconforto ora, non devo aggiungere agli altri, anche il pensiero della separazione.
Anche se adesso sento che è giunta l’ora di occuparsi anche di questo problema...
Un passo per volta, Tsubasa...
Involontariamente i miei occhi si posano sul cerotto che compre parte del mio anulare.
Facendo attenzione, lo srotolo piano dal dito e gli ideogrammi che compongono il nome di Sanae, tornano vistosamente a circondare la mia pelle.
Un’associazione balena veloce nella mia testa ma sono subito distolto da quel lampo, quando qualcuno bussa alla mia porta.
Mi alzo e con passo lento mi avvicino all’ingresso della stanza, immaginando che si tratti di Ryo e Taro, di rientro dal loro giro.
Quando però mi ritrovo davanti Sanae, un dolce stupore mi strappa un sorriso, perché Il cielo mi ha mandato proprio la migliore delle compagnie.
Sto per domandarle cosa ci fa qui quando, con uno slancio affettuoso, me la ritrovo attaccata al collo, che mi riempie di baci.
Non che non gradisca, ma mi chiedo ugualmente cosa le prenda.
Un attimo dopo mi ricordo, dandomi dello scemo, che oggi pomeriggio le ho dedicato uno dei goal più belli della mia carriera.
“Grazie...” ripete tra un bacio e l’altro.
All’improvviso smetto di essere passivo e ricambio ogni attenzione, dimenticando tutti i pensieri uggiosi e rimandando la ricerca di soluzioni a poi.
Con un calcio chiudo la porta e stringendo i fianchi di Sanae, l’abbraccio sollevandola da terra.
I piccoli baci che fino a quel momento avevano tempestato il mio viso e la bocca, diventano un unico movimento delle mie labbra nelle sue, così intenso da togliermi il fiato.
E capace di scollegare qualsiasi neurone del mio cervello dal suo centro nervoso, lasciando attivi, solo ed esclusivamente, i sensi, che non mai apprezzato tanto, come quando mi ritrovo corpo a corpo con la mia ragazza.
Sanae sorride, in quei pochi momenti in cui la sua bocca si separa dalla mia ed io la cerco di nuovo, sentendo che sto respirando ansimando.
E non sento più la stanchezza ora, anzi mi ritengo terribilmente pronto ad affrontare un altro tipo di prova fisica.
Ai baci si aggiungono carezze ben poco timide e l’unico oggetto che riesco a focalizzare in questa stanza, è il letto a pochi passi da noi.
Il mio letto che sarebbe così facile, e bello, raggiungere.
Senza pensarci due volte indietreggio sostenendo sempre tra le braccia il peso di Sanae e senza distogliere la mia bocca dalla sua.
Mi lascio cadere all’indietro e precipitiamo sul materasso morbido, la mia ragazza scoppia a ridere divertita, prima di tornare a baciarmi.
Le mie mani scivolano sulla sua schiena arcuata su di me, una finisce la sua corsa all’interno dei suoi pantaloni, poco sotto la cintura.
E ora ci sono solo due pensieri fissi dentro la mia testa.
Il primo è di ovvia natura, il secondo coincide con l’esigenza di evitare spiacevoli interruzioni.
Devo solo lasciarla un momento, prendere la chiave e chiudere fuori gli altri.
E le conseguenze di un gesto simile non mi sfiorano minimamente, voglio solo non essere disturbato.
Sto raccogliendo tutte le mie forze per riuscire a smettere di baciare Sanae e perseguire il mio intento, quando dal corridoio, delle voci odiosamente familiari, giungono alle mie orecchie.
Ryo e Taro stanno rientrando proprio ora!Ma porc...
Sanae si separa dalle mie labbra mettendosi in ascolto, poi mi sorride, sbuffando sconsolata.
“Abbiamo visite...” mormora piano ed io non posso evitare che il mio sguardo rotei in alto, posandosi sul lampadario del soffitto.
Ci rialziamo veloci dal letto, cercando di ricomporci frettolosamente.
Sanae corre allo specchio vicino all’ingresso, per sistemarsi i capelli e controllare che il trucco non sia troppo compromesso.
Pochi attimi e Taro apre la porta della camera senza bussare.
Entra nella stanza, seguito da Ishizaki che ride, per non so quale battuta appena sentita.
I due s’immobilizzano, gli occhi fuori dalle orbite, quando scorgono Sanae.
“Abbiamo interrotto qualcosa?” chiede subito Ryo, che prende al volo un’occasione così ghiotta, per iniziare a fare lo scemo e mettermi in imbarazzo.
Non ho il tempo di trovare qualcosa di sensato da dire, perché il mio rossore risponde per me.
Ishizaki sorride sornione, dando forti gomitate al braccio di quello che dovrebbe essere il mio migliore amico.
Dovrebbe perché il sorrisino che gli tira le labbra, non mi sembra affatto solidale, alla faccia della Golden Combi.
“Oh ma il nostro Tsubasa ultimamente è davvero cambiato! Non torna a dormire in albergo...”
“E’ successo una volta sola!” ribatto concitato, sempre più paonazzo temo.
“Una o dieci non cambia nulla, il senso è quello!” interviene Taro, anche lui estremamente divertito dalla situazione.
Grazie per il sostegno, amico mio!
“Poi fa cose veramente strane, tipo baciare cerotti dopo un goal!”
Prima che Ishizaki riesca a intercettare con lo sguardo la mano incriminata, la porto dietro la schiena, fingendo indifferenza.
“E la colpa è solo tua, Sanae!” aggiunge Taro, in uno scambio di battute davvero molto divertente, almeno per loro.
“Mia? Io che c’entro!” esclama la mia ragazza, alzando le spalle e il mento, in una posa teatrale.
Sorride poi, ammiccando verso gli altri due.
Ma si sta divertendo anche lei?!
“Oh c’entri eccome! Tutte le notti non ci fa dormire questo qui! Si gira e si rigira nel letto, chiamando il tuo nome!”
“Non è vero!” esclamo imbarazzato fino alla punta dei capelli ora, anche se devo ammetterlo, nonostante l’impegno di Taro, nessuno batte Ishizaki nelle prese per i fondelli, un dono di natura il suo.
“Sì invece! Abbracci il cuscino e lo baci pure!”
“Non è vero!” ripeto senza trovare nulla di più intelligente da replicare per difendermi.
“Davvero?” mi chiede proprio la mia ragazza, guardandomi sbattendo le palpebre sugli occhi marroni, fingendo di credere veramente alle cretinate di Ryo.
“Sanae... Ma da che parte stai?” le chiedo sconsolato e lei non si trattiene più, scoppiando in una fragorosa risata, seguita subito dopo, da quelle di Taro e Ryo.
Ed io, che fino a qualche minuto fa mi sentivo un leone, torno a essere, per la gioia dei miei amici, il ragazzo un po’ imbranato di sempre.








Il luogo di un appuntamento non è mai uno qualsiasi.
Si sceglie di andare in un posto rispetto a un altro, per tanti motivi e di natura completamente diversa.
Chiedere a Sanae di vederci alla sua casa discografica non è stato quindi casuale.
Ci sono delle occasioni che vanno cercate, in un modo o nell’altro e certe coincidenze, a volte, si spinge affinché possano accadere.
Sono arrivato alla sede sella sua label con un buon anticipo e contando sul fatto che riuscirò a recuperare ancora un po’ di tempo poi.
La Sanae di Tokyo tende ad accumulare mostruosi ritardi, se s’impegna.
Mi sono presentato alla segretaria nell’ingresso, che dopo avermi subito riconosciuto, mi ha fatto accomodare, indicandomi l’ufficio di Akane Minase, al sesto piano, come luogo dove aspettare l’arrivo della signorina Nakazawa.
Ho seguito le sue indicazioni e sono entrato in ascensore, ma al primo piano mi sono fermato e sono uscito di nuovo, risoluto a trovare Seii il prima possibile, pur non sapendo da che parte cominciare a cercarlo.
Forse avrei fatto prima a chiedere di lui alla segretaria, ma non voglio che all’arrivo di Sanae, le sia spifferata la mia richiesta.
Lei non deve sospettare nulla perché non voglio che si preoccupi.
Questa è una questione tra me e Seii.
E tra noi due va risolta, nonostante Sanae sia il soggetto del contendere.
Inizio la mia ricerca girando per i corridoi, che brulicano di gente indaffarata.
Mi guardo intorno, ma niente, a questo piano di Seii non sembra esserci nemmeno l’ombra.
Faccio per tornare all’ascensore quando, poco distante, noto un ragazzo vagamente familiare, che parla con una donna elegante.
Quando incrocio il suo sguardo, mi blocco.
Seii mi sorride e con un paio di battute, congeda veloce la signora in tailleur.
Appena rimane solo, non perdo tempo e mi avvicino a lui con passo sicuro e senza smettere di fissarlo serio.
Quando sono a un metro da lui, mi fermo, rimanendo in silenzio, non c’è spazio per i convenevoli.
“Ce ne hai messo di tempo, Capitano! Pensavo che ti saresti fatto vivo un po’ prima, francamente...”
Sorride ancora, come se niente fosse.
Come se mi stesse dando il benvenuto, nel modo più educato del mondo.
“Dobbiamo parlare...” proclamo secco.
“Lo immaginavo. Anche se questo non mi sembra il posto ideale per farlo...” si guarda intorno per un attimo “... credo che avremo bisogno di un angolo un po’ meno affollato, con più privacy.”
Con un cenno mi suggerisce di seguirlo.
Irritato e senza alternative, dato che non sono padrone dell’edificio in cui ci troviamo, lo assecondo entrando in ascensore al suo fianco.
Non posso evitare di osservarlo e notare che sul suo viso campeggia sempre un sorriso impassibile.
Smorfia che comincia a darmi sui nervi.
Preme il pulsante del quarto piano fischiettando, quando le porte metalliche si chiudono, inizia candidamente a fare conversazione.
“Ho visto la partita, Capitano. Immagino che sia il caso che mi congratuli con te, non capita tutti i giorni di giocare una finale mondiale!”
Rimango in silenzio, basito dalla faccia tosta di Seii, che sembra intenzionato a farmi perdere le staffe, a tutti i costi.
“Sarà una bella sfida il Brasile, eh? Vorrei proprio trovare i biglietti in tribuna, sarà una partita emozionante! Il nostro Paese campione del mondo! Non ci posso credere, sarebbe un miracolo! E...”
“Dacci un taglio!” esclamo, stufo dei suoi falsi convenevoli e Seii sorride in maniera diversa ora, compiaciuto d’aver provocato la mia reazione.
L’ascensore termina finalmente la sua corsa, rimanendo in silenzio seguiamo un lungo corridoio.
Entriamo in una stanza buia e oltrepassiamo un’altra porta ancora.
Seii preme l’interruttore e quando la luce illumina l’ambiente, mi ritrovo in quella che deve essere una sala d’incisione.
“Allora da dove vogliamo partire?” mi chiede, mantenendo un tono distaccato ma sottilmente ironico.
“Stabiliamo il termine di tutta questa storia, decidendo dove vada messa la parola fine...” rispondo sicuro di me, stufo di tutti i suoi giochetti idioti, presenti e passati.
Seii non si scompone, alza lo sguardo verso il soffitto e si appoggia a uno sgabello, tenendo le braccia distese sulle gambe, le mani unite a metà coscia.
“E dove vogliamo metterla?”
“Qui, ora. Mi sembrano il posto e il momento ideali.”
“E se io non volessi?” e torna a guardarmi, incupisco lo sguardo fissando i suoi occhi.
“Io non ho la minima voglia di smettere.”
Traggo un respiro profondo e le mie braccia s’incrociano sul petto, cercando di arginare l’ira che sento montare dentro di me.
“Te lo sto chiedendo con le buone...” soffio, stringendo le labbra e le dita intorno ai bicipiti.
Seii mi guarda impassibile poi alza le spalle, con menefreghismo.
“Siamo nella stessa barca, Capitano. Sai benissimo cosa si prova quando c’è di mezzo la Nakazawa. Mettiti nei miei panni, come faccio a rinunciare a lei?”
Lo dice ridendo, come se stesse parlando a un amico, non a un rivale.
Mi sta prendendo proprio per il culo!
“Tu non la conosci Sanae, non sai nulla di lei...” esclamo serio, cercando di controllare ancora le mie emozioni.
“Quello che so basta e avanza...” replica facendo ancora spallucce “... e tu che la conosci così bene, non mi sembra abbia fatto del tuo meglio per renderla felice!”
Accuso il colpo, che questa volta è andato a segno, ma imparando da lui, faccio buon viso a cattivo gioco.
"Sai, quando ho conosciuto la Nakazawa, eravamo in aula di musica e lei aveva quell'aria un po' distante, che ho imparato a riconoscere nel corso del tempo... "
Seii parla con tono sempre calmo, ma nella sua espressione posso ugualmente cogliere dell’ironia che, mista alla sua sfacciataggine, crea ancora un mix esplosivo per i miei nervi.
Continuo a fissarlo cupo, stringendo involontariamente le mascelle.
“A quei tempi avevo una ragazza e da un sacco di tempo, ma più i mesi passavano, più m’incuriosiva questa persona di cui si parlava tanto a scuola. Diciamo che generalmente il giudizio su di lei si divideva in due blocchi distinti. C’era chi la considerava pazza e masochista, per voler tenere in piedi una relazione con qualcuno dall’altra parte del mondo. Molti la vedevano votata alla sofferenza e destinata a sicuri tradimenti... " e all’ultima parola ghigna, guardandomi di traverso, sotto le ciglia nere.
Stronzo!
“Altri la ammiravano profondamente per la sua forza e la determinazione. Per tante ragazze, specialmente le più piccole, si era trasformata in una sorta di mito romantico, una specie di eroina. Pensandoci bene, la tenacia è stata la prima qualità a colpirmi in lei, la prima cosa che mi ha fatto innamorare. Non si trovano in giro ragazze disposte a tanto per un uomo!"
Adesso mi hai proprio rotto le palle!
“Dacci un taglio, Seii!” sbotto nervoso, le forze incominciano a cedere sotto il peso dell’incazzatura che sta crescendo dentro di me.
"Calma Ozora, non ti scaldare! Devo spiegarmi come si deve, anche perché non credo che i tuoi amichetti del pallone, ti abbiano mai raccontato la versione ufficiale dei fatti. Ammettilo, sono schifosamente parziali!" e ride ancora, beffardo, allargando le sbraccia e alzando le spalle.
Non sono mai stato un violento, ma in questo momento vorrei tanto...
Tsubasa non fare stronzate, calmati!
Pensa a Sanae, pensa a lei...
“L’ho baciata!”
Un flash compare nella mia mente.
Il cortile di casa mia, la rabbia.
L’immaginazione che crea un’odiosa visione dell’accaduto nella mia mente.
“Lo so!” esclamo collerico, bruciando però così la sua provocazione.
Mi avvicino a lui, facendo ben attenzione al livello della mia capacità di controllo e mi fermo solo quando sono a pochi centimetri dalla sua bella faccia da cazzo.
“E mi auguro che non ti venga in mente un altro giochetto del genere, perché non credo riuscirò a compiere una seconda volta lo stesso miracolo, che adesso mi permette di non metterti le mani addosso."
Seii rimane sempre impassibile ma il suo sguardo ora trabocca arroganza da vendere.
"E che farai mai? Mi mandi un paio di pugni per corrispondenza dal Brasile, eh campione?"
“Non provocarmi...” sibilo contro il suo volto, sempre vicinissimo al mio.
"Sono un signore io, stai tranquillo. La tua ragazza è in buone mani... "
Non ci vedo più.
Le mie mani scattano da sole, andando ad afferrare con forza il colletto della sua camicia.
Non si deve avvicinare mai più a lei, non la deve nemmeno sfiorare, non deve più accadere nulla!
“Che intenzioni hai?”
Seii allontana con uno strattone le mie mani dal suo collo, un gesto capace d’innervosirmi ancora di più.
"Aspetto che il tempo passi, signor Capitano e che faccia il suo corso naturale. Quanto pensi possa resistere ancora quella ragazza? E' solo una questione di tempo, tempo e pazienza da parte mia. Sei talmente assente dalla sua vita Ozora, che nemmeno ti renderai conto della fine."
Di nuovo la rabbia prende possesso delle mie azioni e involontariamente torno a farmi sotto, con la voglia disumana di mettergli le mani addosso.
Gli chiedo, la voce alta e forte, cosa cazzo ne sai lui di me, di Sanae e della nostra vita.
"Hai mai visto i suoi occhi spenti, persi lontano? Così tristi, giorno dopo giorno, tanto da sembrare completamente assente? Rispondi campione!"
Il senso di colpa emerge prepotente dal mio petto, mettendosi a sgomitare con la rabbia, per avere il primato nelle mie emozioni.
"Credi che sia tutto bello per me? Che sia tutto facile? IO me ne sono andato, IO l’ho lasciata sola! Credi davvero che non ci pensi mai? Che non sappia di essere l’unica causa del suo dolore? Ma perché diavolo devo giustificarmi con te poi!"
"Se avessi le palle, la lasceresti libera..." e questa sacrosanta verità mi colpisce, come uno schiaffo in pieno viso.
Il fatto che sia uscita dalla bocca di Seii poi, non fa che renderla più amara, oltre che dolorosa.
Mi volto dandogli le spalle, immerso per un attimo nei miei pensieri più intimi, nel mio mondo fatto di complicazioni, amore e solitudine.
Quel mondo che mi porto dietro da quattro anni e che mi ricorda in continuo, che il campione, fuori dal campo, altri non è che un ragazzo debole, vigliacco e tremendamente egoista.
Che ama pretendendo troppo e riuscendo a dare in cambio ben poco.
Quello che a breve se ne andrà di nuovo, lasciando la parte migliore di sé dietro le sue spalle, ancora una volta.
"Mi sono chiesto migliaia di volte se senza di me sarebbe stata più felice... Se fosse uscita con qualcun altro, se si fosse innamorata di uno come te, avrebbe avuto di certo tutto quello che hanno le altre, ogni cosa che le ho tolto... Avrebbe pianto di meno, non si sarebbe mai sentita così sola e sarebbe rimasta la ragazza spensierata di tanti anni fa. Ma che ne sarebbe stato di me?"
Le parole mi escono dalla bocca da sole, senza controllo e non m’interessa minimamente che sia Seii a sentirle.
Ho solo bisogno di pronunciarle ad alta voce.
Mi volto verso il mio interlocutore, senza sentire l’esigenza di nascondere la mia sofferenza.
"Sarei capace di stare senza di lei? Senza sapere che mi sta pensando, senza sapere che lei c'è..."
Sorrido malinconico e la mia situazione mi sembra quasi patetica, oltre che enormemente triste.
"Probabilmente hai ragione tu. Non ho il coraggio di stare senza di lei e sono così egoista da tenerla vicina a me nonostante tutto, ma tutto questo ha un prezzo, quindi non venirmi a parlare di dolore, come se io non lo conoscessi..."
"ORA BASTA!"
Mi volto stupito verso la porta.
Sanae entra nella piccola stanza come una furia, il volto rigato dalle lacrime.
Lei non doveva essere qui! Non avrebbe mai dovuto sentire nulla!
Sconvolto, la osservo urlare contro Seii e intimargli di andarsene.
Osservo la scena come se non fossi qui, ancora troppo turbato dalla presenza della mia ragazza, in quest’odiosa situazione.
Seii cerca di giustificarsi ma all’ennesimo “Vattene!”, abbassa la testa e sferrando un calcio alla porta, esce finalmente di scena.
Sanae si volta verso di me, i suoi occhi sono così tristi che mi sento un vero idiota.
E’ sempre colpa mia se piange...
Si avvicina ed io sono ancora così stupito, da non riuscire a pronunciare una sillaba.
“Vieni qua...” sussurra piano e con così tanta dolcezza, che il mio corpo si muove da solo.
Mi ritrovo in attimo stretto a lei, tenendola per la vita.
Sanae circonda le mie spalle con le braccia così posso chiaramente sentire che sta piangendo ancora.
La sua voce è incrinata dall’emozione, quando mi chiede come mi sento.
“A casa...” rispondo spontaneo, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.
Perché è così che lei mi fa sentire.
Lei è casa mia.
E non voglio più sentirmi debole e smarrito, perché lei non è con me.
E Sanae non deve più soffrire perché io non sono con lei.
“Scusa se non ti ho protetta...” mormoro al suo orecchio.
Lei scuote la testa, un singhiozzo fa sussultare il suo torace, stretto sempre tra le mie braccia.
E nella mia testa prende forma la più importante decisione della mia vita.
“Farò in modo che non accada mai più, te lo prometto...”











La storia di Tsubasa sta giungendo al termine, manca davvero poco.
Non ho molto da dire stavolta, credo che sia tutto chiaro nel capitolo e sono davvero felice di aver potuto esplicare meglio il significato di quel “a casa”, che nel capitolo corrispettivo di Butterfly era vincolato a quella semplice frase.
Ringrazio sempre di cuore tutte le persone che continuano a interessarsi alla storia di questo ragazzo speciale, almeno per me.^^
Alla prossima, OnlyHope^^

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Capitolo 16
*** Tutto quel che ho ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 16

Tutto quel che ho











Un mondo di emozioni, richiuso in pochi centimetri quadrati di velluto blu.
Un oggetto per sempre, come se fosse così semplice sintetizzare questi anni, in una cosa così piccola e dentro l’eternità.
Un periodo più o meno lungo di riflessioni, su cosa fosse giusto o sbagliato, su cosa ero in grado di chiedere o fare, finisce dentro quest’involucro, che entra giusto nel palmo della mia mano.
Le scuse sparite nel nulla e l’età che davvero non conta niente.
A cosa serve posticipare qualcosa, che può rendermi tremendamente felice, quando è chiaro, logico, che un giorno accadrà comunque?
Perché indugiare nella sofferenza, quando la felicità è a portata di mano?
Basta solo un gesto per afferrarla e dopo non resta che goderne.
E il coraggio deve essere trovato, anche se è difficile chiedere così tanto.
Chiederle, ancora una volta, il suo mondo, in cambio di tutto quel che ho.
Che non è allettante come sembra, che non appare, almeno ai miei occhi, come qualcosa da desiderare e ottenere, sacrificando tutto.
E la paura prende di nuovo un po’ il sopravvento, non posso evitarlo.
Perché quello che ho da offrire, da darle, è solo amore.
Amore in cambio di una moltitudine di addii.
Amore al modico prezzo della separazione da tutti gli altri affetti, della distanza da casa e del distacco dal proprio mondo.
E quello che mi spaventa di più, non è tanto la sua risposta, il timore di vedere infrante le mie speranze, ma la capacità che sento di avere per chiederle così infinitamente tanto.
Ma ormai non ho più alternative.
Non posso più vivere nemmeno un giorno senza di lei al mio fianco.
Non posso più accettare neanche un’ora di solitudine, né pochi metri di distanza.
Il mio cervello si rifiuta di pensare, anche solo un istante, all’idea di tornare come prima, alla vita grigia di un tempo.
E se lei vorrà accettarlo, tutto questo mio pretendere, allora io, giuro, non chiederò più altro.
E amerò ogni istante della nostra vita insieme, ogni secondo che mi ricorderà, scaldando il mio cuore, che non ci saranno mai più addii.
Se potrò sentire tutto il suo amore costantemente vicino, se potrò smettere di desiderarlo come un miraggio, mentre arranco tra le dune, ne sarò grato per sempre.
E’ un sogno così bello da accelerare i miei battiti, solo ammirandolo da lontano.
Solo sperando che si possa avverare, che lei possa accettarlo.
Mi sento a un passo dalla conquista del mondo.
Solo una sua parola e sarà mio.
Fisso la scatola di velluto, stretta sempre tra le mie mani e con un sospiro nervoso, rimugino sul come donare il suo contenuto, all’unica che abbia mai amato.
La mia attenzione si distoglie solo all’ingresso di Taro nella stanza.
Mi sorride, il suo sguardo si posa poi sull’oggetto tra le mie dita.
Torna a guardarmi e le sue labbra si addolciscono in un altro sorriso.
E non c’è un briciolo d’imbarazzo in me, non sento di nascondere nulla dietro la schiena, provo solo questa leggera ansia, che chiude leggermente il mio stomaco.
“E così l’hai fatto davvero...”
Annuisco, memore della nostra conversazione di ieri, dove come un folle, gli rivelavo il mio desiderio, tutte le motivazioni e la mia decisione finale.
Quella importante, che cambia la vita e che può renderla perfetta.
“Quando glielo darai?” chiede sedendosi accanto a me.
“Una volta finito il mondiale, quando sarò libero di concentrarmi solo su questo...”
Taro annuisce e sorride ancora.
“Ne sarà così felice...” mormora con l’aria soddisfatta, pregustando mentalmente la reazione di Sanae.
Vorrei poter essere pienamente d’accordo con lui, ma non ho questa sicurezza.
Sospiro alzando le spalle, attirando così un’occhiata curiosa del mio amico, che poggia una mano sulla mia spalla.
“Sarà felice...” e lo dice con tanto sentimento, che riuscirei a crederci del tutto anch’io in questo momento, se non fosse per le mie incertezze.
Perché so che Sanae mi ama, lo so davvero, ma questo non mi permette di dare per scontato che quest’amore la spinga ad arrivare a sposarmi.
Non così velocemente almeno, così presto e senza alcun preavviso.
Ma il desiderio di portarla via con me adesso, ha la stessa intensità del mio sogno da ragazzino di volare in Brasile.
E ho imparato, nella mia breve esistenza, che se si crede davvero tanto in qualcosa, prima o poi, questa si avvera davvero.
E Tsubasa crede nel suo sogno, è fuori discussione.
E con tutto il suo cuore...
Ci crede perché siamo noi due, Sanae ed io.








Il tiro in rovesciata è stato il primo insegnamento di Roberto.
Con una rovesciata ho battuto il mio maestro.
Con quel tiro che da piccolo avevo provato tanto, andando a sbattere, il più delle volte, la schiena al suolo e che ora mi regala il titolo più ambito, la gioia più grande.
Natureza caduto al mio fianco, la delusione dipinta sul volto mulatto.
Lo stadio un’esplosione, che mi risucchia dentro il suo trambusto, fatto del mio nome e di cori esultanti.
Mi unisco al coro gridando forte, le ginocchia sull’erba e i pugni alzati al cielo.
Mi volto a guardare il mio allenatore di sempre, l’uomo che mi ha insegnato tutto quello che so su questo sport e che ha dato massimo rilievo alle mie potenzialità.
Roberto Hongo.
Il mio maestro, che ho battuto sì, ma non del tutto.
Perché lo Tsubasa Ozora che ha appena segnato, è frutto di anni di fatiche, allenamenti e insegnamenti, che conducono a quest’uomo.
Il merito è anche suo, sua quindi una parte di vittoria, gli spetta di diritto.
E questo momento è mio, suo ma soprattutto nostro.
Del Capitano e dei suoi compagni di squadra.
I ragazzi mi circondano in un abbraccio collettivo e sono avvolto da un groviglio di mani, braccia, sorrisi e lacrime di commozione.
E non mi sono mai sentito così fiero di far parte di questo gruppo, come in questo momento.
Orgoglioso di essere il Capitano di questa incredibile squadra di talenti.
La mia euforia si mischia a quella dei ragazzi, diventando un tutt’uno e mossi da un’unica, comune volontà, corriamo verso la nostra panchina.
Dopo aver ringraziato a gran voce il mister Gamo, lo inglobiamo nel nostro abbraccio e lo lanciamo in aria, non senza qualche difficoltà.
L’allenatore tutto d’un pezzo, si commuove fino alle lacrime, strappandoci sorrisi riconoscenti.
Quando arriva il momento della premiazione, capisco di non aver ancora provato nulla in confronto.
Quando le mie mani alzano in alto la coppa, lo stadio emette un boato, che ha il potere di farmi sentire invincibile.
Sono il Padrone del campo verde davanti ai miei occhi.
Ebro di gioia e carico di autostima.
Orgoglioso della mia squadra e delle medaglie al loro collo.
Con un primo imbarazzo, accetto di parlare davanti a tutto lo stadio gremito, migliaia di occhi puntati su di me.
Man mano che le parole escono dalla mia bocca, acquisisco sempre più sicurezza e alla fine riesco a trasmettere agli altri l’entusiasmo che nutro per questo magnifico sport, che amo incondizionatamente.
Quando il mio discorso giunge al termine, lo stadio si unisce in un applauso collettivo e il cerimoniale si conclude.
Le autorità escono dal campo, la solennità del momento finisce ma non i nostri festeggiamenti.
Da piccolo ho sempre sognato di vincere il campionato mondiale.
Con la coppa in mano avrei corso, con i miei compagni, sotto le tribune e la curva, portando in trionfo il trofeo appena conquistato.
Immaginavo che sarei stato felice in un momento simile, ma non potevo prevedere quanta gioia mi avrebbe invaso.
E’ un momento incredibile, unico e irripetibile.
Non ci sono parole per descriverlo.
E’ semplicemente un meraviglioso momento di gloria.








Ora che il campionato è finito.
Ora che mi rimane poco tempo.
Ora, che non ne posso più di vivere con il dubbio atroce di non rivederla.
E’ giunto il momento.
Quello che mi divide in due.
Quello che bramo ma che, allo stesso tempo, temo.
In questi giorni dopo la finale ho avuto molte cose da sbrigare, come capitano della nazionale.
Interviste, incontri con le varie autorità e passaggi televisivi.
Come vincitore del mondiale anche la mia carriera ha preso una nuova piega, perché i miei risultati personali, non sembrano essere passati inosservati agli addetti del settore.
Roberto parla di contratti nuovi, dell’eventualità di cambiare squadra, addirittura continente.
L’idea mi elettrizza, devo ammetterlo, ma non posso pensarci adesso.
Non ho la testa per farlo.
Perché ora è il momento di dichiararsi, ancora una volta e in un incredibile parallelismo, che mi riporta indietro nel tempo, al periodo successivo alla vittoria del torneo di Parigi.
Lo Tsubasa di allora doveva confessare i propri sentimenti alla ragazza del suo cuore.
Quello nel presente, si appresta a chiederle di diventare sua moglie.
E sono passati solo poco più di quattro anni...
E con questa idea in testa ho scelto sempre lo stesso posto.
L’unico possibile dove porle la fatidica domanda.
Sotto quest’albero, che è stato testimone del nostro primo bacio.
Qui è ufficialmente iniziata la mia storia con Sanae e se la mia nuova vita con lei deve vedere la luce, non c’è altro luogo al mondo, dove farla nascere.
E’ partito tutto da qui e il cerchio qui si deve chiudere.
Ho lasciato Sanae ad aspettarmi, davanti al magnifico panorama della sua città natale.
Ho sorriso, leggendo la perplessità della sua espressione quando mi sono allontanato.
Solo, davanti all’interruttore delle luci, che il tecnico mi ha mostrato qualche ora fa, desisto un attimo dal premerlo.
Un attimo d’esitazione, perché so che poi non potrò più tornare indietro.
Perché quando le fronde dell’albero s’illumineranno, come in un sogno, come se fosse magico, nulla sarà più come prima.
Deglutisco nervoso e raccogliendo le forze, sposto la leva dell’interruttore.
Le mille luci bianche, che ciondolano dai rami, abbagliano per un secondo la mia vista.
Quando i miei occhi si abituano, mi ritrovo immerso in un luogo irrealmente bello.
Emozionato, m’intrufolo tra le luci e raggiunto il tronco, mi appoggio alla corteccia, aspettando che la mia farfalla arrivi, attratta dalla luce.
La mia attesa dura poco.
Una mano emerge facendosi spazio tra i fili luminosi, un passo e Sanae è dentro il mondo fantastico, che ho creato per lei.
Si guarda intorno meravigliata, girando su se stessa.
Sorrido vedendo la sua reazione, compiaciuto che sia esattamente quella che cercavo.
Mi guarda ora e il mio stomaco si contorce piacevolmente per l’ansia.
“Come diavolo hai fatto?”
Rimango in silenzio, perché non ho intenzione di banalizzare il tutto, raccontandole della mia visita al sindaco e della mia richiesta per un favore strettamente personale.
Portando un dito alle labbra, le rispondo che si tratta semplicemente di magia.
Sanae abbozza un sorriso e imbarazzata, torna ad accarezzare le piccole luci che la circondano.
“A cosa devo tutto questo? Perché se l’intento era essere romantico, allora ci sei proprio riuscito!”
Questa volta non rispondo, ma perché sono sopraffatto dalle emozioni ora.
Il respiro nel mio petto prende a essere un po’ irregolare e l’ansia continua a martoriarmi lo stomaco.
“Se lo sapesse Ishizaki, poi! Oh saresti sistemato a vita!” esclama ridendo, un briciolo di nervosismo trapela comunque nella sua voce.
Ho la gola secca, le mani sudate.
Mentalmente mi preparo a intraprendere l’impresa più importante della mia esistenza.
La osservo mentre si avvicina e in silenzio, si appoggia all’albero, proprio accanto a me.
E ora tutto il bel discorso che mi ero preparato, tutte le frasi ripetute dentro la mia testa, come una filastrocca da imparare a memoria, svaniscono, dissolvendosi in un baleno.
L’emozione annulla la razionalità.
Cancella ogni parola preparata.
Ma non mi preoccupo e prendo la decisione più saggia, o semplicemente quella più giusta.
Parlare a Sanae seguendo la scia delle mie emozioni.
Farlo subito, ora.
Adesso.
In un gesto un po’ insicuro mi sposto, andando a nascondermi dietro al tronco.
Lei fa per seguirmi, la blocco stendendo un braccio.
Non ce la posso fare guardandola subito negli occhi, sono troppo nervoso.
Troppo agitato.
Sospiro per buttar fuori l’ultima incertezza e cercando nei ricordi, inizio la mia nuova dichiarazione d’amore.
“Sono passati più di quattro anni dall’ultima volta che siamo stati qui insieme...”
Parto dall’inizio e quando li nomino questi anni, mi scorrono davanti agli occhi in una serie interminabile di eventi, emotivamente forti.
La sofferenza provata spicca tra tutte le altre emozioni, facendo da filo conduttore, purtroppo, tra i mesi trascorsi lontani l’uno dall’altra.
“Siamo stati pochissimo insieme in questo periodo, troppo poco. E non è stato facile. No. Per niente.”
L’oceano, il Brasile e il suo compleanno.
L’amore in quel giorno di pioggia, nel mio letto a Sao Paulo e la notte dopo la festa di benvenuto.
Il mio dolore solo in quella stanza d’albergo a Tokyo, la rabbia per quel bacio rubato e le lacrime di Sanae.
Gli aerei, gli stadi senza di lei e la casa vuota.
Sono tutte immagini marchiate a fuoco nella mia mente.
“Fa male stare così. Davvero male...”
Il cuore mi batte forte contro il petto e credo che morirò a breve, perché non è umanamente possibile sopportare tanto bussare.
“Ma c’è una soluzione. Ci ho pensato tanto...” mi bagno le labbra con la punta della lingua e alzo lo sguardo alle fronde illuminate di luce bianca.
“E’ la soluzione ideale per me...” faccio una pausa e traggo un respiro silenzioso, con la coda dell’occhio osservo il tronco, che mi divide da Sanae.
“E spero... che lo sia anche per te...”
Un sorriso carico di speranza distende le mie labbra.
Ora forse dovrei guardarla negli occhi.
Dovrei chiederglielo con fare sicuro, senza distogliere lo sguardo.
Ma ho paura...
Così tanta che quasi tremo...
Appoggio la nuca contro la corteccia ruvida, il cuore impazzito e chiudo gli occhi.
“Sposiamoci!”
Lo dico senza esitazione nella voce.
L’unica cosa che voglio ora è dividere la mia vita con lei.
Senza dovermene separare mai più.
Arrossisco violentemente quando, all’improvviso, Sanae si materializza davanti a me.
Entro leggermente nel panico vedendo la sua espressione incredula.
“Così non saremo più lontani!” aggiungo per rafforzare la mia posizione e questa volta la fisso, senza distogliere lo sguardo.
“E’ una proposta Tsubasa? Adesso... Questa... E’ una proposta?” la sua voce trema per l’emozione.
Mi guarda, come se da me dipendesse tutto il suo mondo.
Come se dalle mie labbra potesse uscire la sua salvezza o la condanna.
Posso vederlo chiaramente.
E ora so che anche lei lo vuole...
Che mi ama tanto, da essere talmente pazza da mollare tutto per me...
E’ chiaro che entrambi non desideriamo altro che commettere quella che molti definirebbero follia, soprattutto a causa della nostra età.
E le paure non esistono più.
Esiste solo un mondo fatto di certezze.
Le sorrido dolcemente.
“Sì...”
I suoi occhi tornano a illuminarsi di emozione, mente le sue mani corrono a coprire la sua bocca, aperta in un moto di sorpresa.
Rimane immobile a fissarmi, mi avvicino, poggiando le mie mani alla base della sua schiena, le braccia intorno alla vita e il mio viso vicinissimo al suo.
“Se tu mi vuoi...” sussurro e ora anche la mia voce è incrinata dall’emozione.
Dimmi di sì...
Voglio sentirlo...
Gli occhi di Sanae si colmano di lacrime.
Scoppia in un pianto a dirotto, che ha tanto il senso della liberazione.
Piange come se tutto il male che ha provato, all’improvviso, decidesse di abbandonarla e corresse lontano da lei, via da lei.
I suoi singhiozzi, che non hanno nulla di disperato, mi commuovono.
“Dammi la mano...” e la prendo tra le mie, mentre le sue piccole dita tremano per l’emozione.
Faccio scorrere l’anello lungo il suo anulare.
Sanae fissa la sua mano, alzandola davanti agli occhi e le sue lacrime sembrano, per un attimo, aver smesso di cadere sulle guance arrossate.
Ancora quell’espressione dolcemente sorpresa sul suo volto, poi ricomincia il pianto.
Prendo la sua mano tra le mie, guardandola negli occhi.
“Questo è un sì, Sanae?”
Un attimo mi separa dal paradiso.
Annuisce.
E mi sento libero...
Annuisce ancora, guardandomi negli occhi e c’è tanto amore in quello sguardo, che mi sento un po’ sciocco per aver preteso una risposta dalle sue labbra.
E come se il peso del mondo si fosse sollevato dal mio petto, sorrido.
Quando Sanae mi bacia, circondando di slancio il mio collo con le braccia, sento il sapore salato delle sue lacrime.
E non provo più dolore, né sofferenza.
Non mi spaventa più nulla.
Perché il mio mondo è racchiuso in questo piccolo corpo di ragazza.
Lo tengo stretto a me, con l’incredibile, meravigliosa consapevolezza che, d’ora in poi, non mi sfuggirà mai più.
Sorrido di nuovo quando i nostri sguardi s’incrociano ancora.
“Quindi ora siamo fidanzati!” esclamo tirando gli angoli delle labbra.
Ora che la tensione è svanita, sento montare dentro di me un’euforia tale da farmi sentire al settimo cielo.
Sanae annuisce, mentre tira su col naso e sorride divertita.
“Pensa quando lo saprà Ryo!” e alzo gli occhi al cielo.
Per la prima volta sento finalmente la sua risata, alla quale si unisce presto la mia.
Sono così felice!
E il suo sorriso è così bello...
Lo vedrò ogni giorno d’ora in poi...
E sarà stupendo...
Proprio come lei...
Un’esigenza incontrollabile prende all’improvviso possesso di me.
“Sanae...” la chiamo, tornando serio.
Lei mi guarda dolcemente, un sorriso incoraggiante distende le sue labbra.
Mi avvicino e le sfioro con le mie, socchiudendo appena le palpebre.
Senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, che lasciano trasparire le sue emozioni.
Mi sento perso in lei.
E anche se non c’è bisogno di dirglielo, lo faccio lo stesso.
Perché devo farlo, voglio farlo.
Deglutisco prima di parlare, mentre sento nei miei occhi, qualcosa che assomiglia tanto alle lacrime.
Sanae... ascoltami...
“Ti amo...”










Ringrazio tutte le persone che hanno letto lo scorso capitolo e in particolare chi ha lasciato un commento.
Mi scuso per non aver risposto alle recensioni con il nuovo form ma non ho molto tempo e quello che riesco ad avere, lo investo nella scrittura.
Vi sono comunque, come sempre, molto grata... grazie di cuore!
Un abbraccio, a presto OnlyHope^^

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Capitolo 17
*** L'aurora ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 17

L’aurora












Non che non me lo aspettassi, insomma conosco i miei amici come le mie tasche, ma vedere Ryo Ishizaki che balla con i ventagli in mano, agitando il bacino in piedi sul tavolo, è uno spettacolo che ha dell’incredibile!
Rido, non posso proprio evitarlo.
La scena è troppo bella e la serata è carica di quell’atmosfera, un po’ fuori di testa, che solo con gli amici più stretti si riesce a sentire.
Rido, perché sono semplicemente eccitato all’idea di quello che sta per succedere, al cambiamento che sta per stravolgere, in meglio, la mia vita e perché, sì lo ammetto, l’alcool amplifica, dilatandola, l’euforia di cui mi sento colmo.
Mi guardo intorno, osservo i visi allegri che compongono la tavolata.
I ragazzi della squadra, Sanae e Yukari, che messe in posa davanti al cellulare, scattano foto ridendo divertite, sullo sfondo lo spettacolo demenziale di Ryo, che balla e canta una vecchia canzone giapponese, con voce in falsetto, leggermente impastata.
Certo confesso che oggi pomeriggio, quando ho sganciato la bomba del matrimonio, ho faticato poi sette camicie per riportare all’ordine i miei amici, per non parlare del fatto che credo di aver subito il peggio, ovvero meglio, dipende dai punti di vista, del già vastissimo e collaudato repertorio delle loro prese per i fondelli.
La punta massima di questo bonario accanimento nei miei confronti, si è raggiunta però solo di sera, nel momento esatto in cui ho messo piede in questo locale con Sanae.
I nostri carissimi amici, infatti, hanno avuto l’esaltante idea d’incontrarsi poco prima dell’appuntamento prefissato e di mettersi comodi in sala ad aspettarci.
Così abbiamo avuto il nostro ingresso in solitaria e loro hanno potuto godere dello spettacolo dei nostri volti color porpora, una volta che siamo stati accolti dalle loro urla festanti.
Con gli occhi di tutto il locale addosso, sarei voluto sprofondare.
Sanae si è girata verso di me con un “Ok... io me ne vado, buona fortuna!” facendo qualche passo indietro, proprio come se volesse davvero filarsela, poi però, quando si è girata di nuovo, ho visto nei suoi occhi quanto anche tutto questo la rendesse felice e allora, da quell’istante, non me n’è importato più nulla delle prese in giro.
Il rumore di vetro che tintinna contro il mio bicchiere mi scuote, distraendomi dai miei pensieri e il volto sorridente di Taro campeggia, impadronendosi di tutta la mia visuale.
Sorrido al mio migliore amico.
“Se penso che solo cinque anni fa ero in Francia a leggermi le tue lettere dal Giappone...”
Ridacchio divertito al ricordo di quando mi mettevo seduto alla mia scrivania, a scrivere chilometri di parole sul calcio, a quell’amico che se n’era andato tanto lontano e dopo troppo poco tempo che lo conoscevo.
Taro mi mancava davvero molto in campo.
“Ti ricordi di quando ti ho scritto dalla Germania? Dopo aver incontrato Wakabayashi?”
Annuisco e ritorno per un attimo a sentire l’emozioni di quel ragazzino, che forse aveva, nell’intimo, invidiato tanto i due amici, che si erano potuti riabbracciare in Europa.
Quel ragazzino che sentiva il Giappone così stretto e ammirava tanto l’amico portiere, per essere stato capace, così presto, di lasciarselo alle spalle, per andare dove il calcio conta davvero e scalare la vetta del professionismo, fin da giovanissimo.
“Sai che ho ancora tutte le tue lettere conservate?” mi chiede ancora, sorridendo.
“Anch’io!”
“Oggi le ho rilette, per curiosità, per vedere cosa era cambiato in questi anni...”
Fisso Taro stupito e d’improvviso mi rendo conto che c’è un abisso tra questa realtà e quella che vivevamo, solo qualche anno fa.
“Quando ho cominciato a incontrare qua e là il nome di Sanae, mi sono ricordato di quanto fossi imbranato, sai!”
E già, perché Taro mi mancava tanto, anche fuori dal campo, decisamente.
Sorrido, abbassando lo sguardo e sentendo un po’ di caldo salire a imporporarmi le gote.   
“Non sapevo come intavolare il discorso su di lei, facevo dei tentativi...” mormoro al ricordo di me, penna in mano, che tentenno imbarazzato davanti al foglio.
Guardo negli occhi del mio amico di nuovo, sorridendo ancora.
“Oh non me ne ero mai accorto, sai!” esclama ironico “Alla quinta lettera con il suo nome e nulla di rilevante accanto, a parte la sua presenza costante ai tuoi allenamenti, ho deciso di spronarti un po’...”
“Già... all’improvviso nelle tue risposte compariva sempre quella domandina!”
Come sta Sanae?
Annuisco e scoppiamo a ridere, divertiti dei noi stessi di qualche anno fa, come se fossimo davvero diventati tutt’altro.
“Ci sono riuscito però, alla fine hai vuotato il sacco!”
“Svuotato, capovolto e scosso ben bene!”
“E ti sei dichiarato a lei...”
“Così sembra...”
Taro osserva per qualche secondo il bicchiere semivuoto tra le sue mani e diventa serio.
All’improvviso si volta a guardarmi, corrucciando le sopracciglia scure.
“Quindi... quello che ti sta per accadere è in parte anche colpa mia?” mi chiede serio, allungando il collo verso di me.
“Bèh le tue spintarelle sono servite al primissimo passo. Se mi sposo è perché sono partito da lì, dall’inizio, dalla dichiarazione... o no?”
Taro sembra rifletterci su, poi annuisce.
“Ha del senso, sì...”
Lo fisso per un attimo, prima di cogliere al volo l’occasione per comunicargli la notizia del matrimonio, ma quella che riguarda strettamente lui.
“E dopo che avrai firmato i documenti, la tua colpa sarà ufficializzata, messa nero su bianco...” e sorrido, guardandolo di sottecchi, aspettando la sua reazione.
Si volta di scatto di nuovo, lo sguardo carico di stupore.
“Come?” chiede incredulo.
“Taro Misaki, ti sto chiedendo... vuoi essere il mio testimone di nozze?”
Ancora un attimo di esitazione, poi il suo sorriso si distende felice.
“Certo Tsubasa! Ovvio!” lo dice di getto, visibilmente euforico.
“Grazie per aver pensato a me!” aggiunge e mi sembra commosso in questo momento.
Poggio una mano sulla sua spalla e lo guardo dritto negli occhi, serio ora.
“Grazie a te, per essere mio amico...”
Taro mi fissa, poi alza il bicchiere nella mia direzione.
“Al mio migliore amico!” brinda sorridendo.
“Al mio testimone!” rispondo sicuro, ricambiando il sorriso, prima che mille bollicine dorate scendano a solleticarmi la gola, ancora una volta.







“Prego...”
“Ah grazie...”
M’infilo la giacca dell’abito, lasciando che il sarto mi aiuti a indossarla.
L’osservo nel riflesso dello specchio mentre, con gesti sicuri, la sistema sulle spalle.
Centimetro in mano, misura la distanza tra collo e manica, poi prende un po’ di stoffa tra le dita e l’appunta con uno spillo dalla capocchia gialla.
“Mmm...” sento mormorare alle mie spalle, inclino leggermente la testa per scorgere lo sguardo corrucciato di Mendo, che ispeziona il lavoro del sarto.
“Non potremo modificare in questo punto?”chiede secco avvicinandosi e indicando con l’indice la mia schiena.
Mi chiedo ancora, per l’ennesima volta, come ho fatto a farmi convincere da Sanae a portarmelo dietro, visto che sarà già la decima volta, in poco più di due ore, che gli sento pronunciare questa richiesta.
“Sì, si potrebbe fare...” sento rispondere e vorrei proprio chiedere in ginocchio al sarto, di non assecondare più Mendo.
“A me sembra che vada bene così...” azzardo, con un filo di voce, stufo di tutte queste prove, che mi bloccano i muscoli delle gambe... sento quasi i crampi!
“Non credo proprio!” è la risposta secca dell’assistente della mia ragazza, che continua a ispezionare la giacca, senza rivolgermi nemmeno uno sguardo.
“Ma sono proprio necessarie tutte queste modifiche impercettibili?” chiedo ora, guardandomi allo specchio e non vedendo proprio nulla che non vada, nel mio vestito da cerimonia nuovo di zecca.
Non ricevo nessuna risposta, eccetto il percettibile alzarsi al cielo degli occhi di Mendo.
Questa volta sbuffo, stanco di starmene qui impalato, immobile per ore, quando si sa che l’inattività non è proprio il mio forte.
Ho comprato quest’abito a Tokyo la settimana scorsa, in noto negozio del centro, di uno stranoto stilista italiano e mi ci sono voluti solo dieci minuti per sceglierlo, misurarlo e strisciare la carta di credito.
Che bisogno c’è ora di fare tutti questi ritocchi, per un centimetro di stoffa qua e là?
“E solo un vestito!” esclamo ad alta voce, dando fiato ai miei pensieri, pentendomi immediatamente di averlo fatto, quando lo sguardo truce e scandalizzato di Mendo, mi trapassa da parte a parte nel riflesso dello specchio.
Deglutisco intimorito mentre continua a fissarmi.
“Sei stressato e farnetichi, giovane promesso sposo. Ma ti voglio ricordare che questo non è un abito ma l’abito più importante della tua vita!”
Sto per ribattere che la divisa da calcio è il mio vestito per eccellenza ma mi mordo le labbra, perché questa specie di fanatico della moda, sembra saper leggere nel pensiero e m’interrompe ancora prima di prendere fiato.
“Ti prego, evita di martoriare le mie povere orecchie con infelici accostamenti tra il Glamour e... tute da...” non finisce la frase, semplicemente lo vedo inorridire, contraendo i muscoli del viso e del collo, solo al pensiero di aver associato un Armani a una divisa della Reebok, sporca d’erba e terra.
Ok, ci rinuncio...
Ammutolisco del tutto e riprendo a osservarli di nuovo, Mendo e il sarto, mestamente, mentre confabulano intorno a me, o meglio al mio abito, perché credo di aver capito ormai, che il vero protagonista della faccenda, sia proprio lui.
Il suono del mio cellulare però mi ridesta, creando un’inaspettata pausa a questo calvario cui sono sottoposto dalle tre di questo pomeriggio.
“Scusate!” esclamo felice, scendendo dallo scalino che mi ha fatto da piedistallo per due ore, ignorando Mendo e le sue mani che si sono andate a parare sui fianchi.
E’ Wakabayashi! Giuro che appena lo vedo gli offro da bere!
“Genzo!” lo saluto allegro, appena aperta la comunicazione.
“Tsubasa, ehi! Disturbo?”
Guardo alle mie spalle il sarto e Mendo, che discutono appoggiati a un tavolo da lavoro, sopra a dei quadrati di carta velina, che ho scoperto solo di recente chiamarsi cartamodelli.
“No, no! Anzi!” ridacchio sollevato, aprendo un bottone della camicia per liberare un po’ il collo.
“Ho appena visionato la mia posta... quella tradizionale intendo...”
“Ah ah...” sorrido all’idea che abbia letto l’invito al matrimonio, che dovrebbe essergli arrivato in questi giorni appunto, pronto a ricevere qualche sfottò ma anche le congratulazioni del mio amico e soprattutto, la conferma che lui ci sarà quel giorno.
“Stavolta Ishizaki l’ha fatta grossa, non ci giro intorno, amico!”
“Eh?” borbotto sorpreso, spiazzato dalla sua frase senza senso.
“E’ fuori di testa, quel soggetto! Anche se, devo ammetterlo, ha superato se stesso sta volta! Mai vista una presa per il culo così ben fatta!” e ride divertito.
“Ma di che parli?” chiedo sempre più perplesso.
“Tsubasa, non t’incazzare... ma io ho davanti agli occhi l’invito per il tuo matrimonio e ti giuro che è fatto talmente bene, da sembrare quasi autentico! Quello scemo ha anche investito soldi in tipografia, malato di mente!” e un'altra risata divertita riempie l’apparecchio al mio orecchio.
Stavolta sorrido e quasi lascio un respiro di sollievo, divertito all’idea che Wakabayashi sia completamente fuori strada.
Credo che sia il caso di schiarirgli le idee e mi appresto a godermi il momento, con un sorriso sornione.
“Genzo...”
“Tsubasa non prendertela, è un genio del crimine Ryo!”
“Genzo... ehm... sei seduto?”
“Spaparanzato sul divano per la precisione!”
“Mi sposo davvero, non è uno scherzo di Ishizaki.”
Ok sganciata, vediamo come la prende.
“...”
“Te l’ho mandato io l’invito, o meglio, Sanae ed io ti vogliamo al nostro matrimonio...”
“...”
“Genzo sei morto?” rido, divertito dal suo mutismo.
“Frena! Ok. Da capo. Ripeti.”
Ora sono io a scoppiare a ridere.
“Mi sposo, sì. Data, ora e luogo li trovi in quel fantomatico biglietto e spero davvero che tu ci sia!”
“Non è uno scherzo?” chiede ancora, forse un po’ scioccato.
“Eh no...”
“TI sposi davvero?”
“Eh sì...” non posso non ridere di nuovo.
“Te lo ricordi vero, che hai appena compiuto diciannove anni?”
“Vagamente... mi sembra che mia madre mi abbia fatto anche una torta, il ventotto di luglio...” alzo gli occhi al cielo ora, non so quante volte ho sentito ripetere la storia dei miei scarsi vent’anni, in queste poche settimane.
Wakabayashi rimane in silenzio per qualche istante ancora, poi lo sento ridere allegro nel cellulare.
“Tsubasa, tu sei il più fuori di testa in assoluto!” rimango sbigottito ad ascoltarlo “E sai che ti dico?” aggiunge retoricamente “Che sei fottutamente nel giusto, amico!”
“Detta così sembra una cosa per cui ci vuole o un gran fegato o una malattia mentale!” rispondo ridendo imbarazzato, grattandomi la nuca ripetutamente.
“Sei un matto, Tsubasa! L’ho sempre pensato, ho sempre creduto che fossi il più pazzo tra tutti noi, anche più di Ryo!”
“Fa piacere sentirti dire quanto mi stimi!” rispondo, corrugando la fronte e lasciando che una smorfia deformi il mio sorriso.
“Ed io amo le pazzie e visto che sono matto quasi quanto te, vado subito a prenotare il volo per venire a vederti folleggiare e ubriacarmi alla tua salute! Tua e di Anego!”
Sorrido compiaciuto, felice all’idea che anche Genzo sarà con me quel giorno.
“Grazie amico...”
“Grazie a te...” risponde e sento nel tono della sua voce qualcosa di caldo e solenne.
“Grazie anche per avermi rallegrato la mattinata! Ad Amburgo c’è un tempo da schifo, da ficcarsi a letto tutto il giorno, depressi!” conclude, tornando a scherzare ancora.
Una mano picchietta sulla mia spalla, mi volto e Mendo batte l’indice sul polso, ricordandomi con il labiale, che tra un po’ deve correre dal vestito di Sanae.
“Amico ti lascio, ci vediamo presto allora!” esclamo per salutare Genzo.
“Contaci!” è la sua risposta secca, prima di chiudere la comunicazione.
Ripongo il cellulare nella tasca e a piccoli passi m’isso di nuovo sul piedistallo davanti allo specchio.
La pausa è finita e ricomincia il tormento, ma almeno ora so che anche Wakabayashi tornerà in Giappone per il matrimonio.
Mendo si sfrega le mani con fare sinistro, mentre il sarto riprende lesto ad armeggiare con la mia giacca, le asole e tutto il resto.
Mi guardo allo specchio, alzando un sopracciglio.
Ha ragione Genzo... devo essere proprio un pazzo per lasciare che mi facciano tutto questo!
Poi il sorriso di Sanae mi torna in mente e la pazzia mi sembra una cosa così giusta.
E sono fiero di essere il Cappellaio Matto in visita al mondo monotono dei sani di mente!







I miei passi di corsa rimbombano decisi nel silenzio della notte calda che mi avvolge.
Non so se quello che sto facendo sia lecito, se vada contro qualche improbabile superstizione, che francamente ignoro e se me ne dovrei stare buono a casa, aspettando domani, che sorga il sole.
Se c’è una cosa che ho imparto in questa estate, su di me, su i miei sentimenti, è che una volta sdoganati i miei desideri, non c’è verso che riesca a tornare indietro, che voglia arginarli.
Da quando mi sono liberato della mia vecchia vita, da quando ho deciso che no, non l’avrei più vissuta per niente al mondo, ho lasciato andare ogni freno e tutto quello che mi passa per la testa, sento ed esigo, che vada soddisfatto.
Così stanotte morivo dalla voglia di vederla di nuovo, un’ultima volta, prima che il capitolo della separazione si chiudesse e una pagina bianca, invitante, ne occupasse il posto, pronta per essere riempita di cose bellissime.
E non ci ho pensato troppo, mi sono infilato le scarpe, sono uscito e ho preso a correre.
Ma senza fretta, un moto leggero e ritmico, come il riscaldamento prima dell’allenamento vero e proprio, come una corsa serena in riva al mare.
Non mi sono nemmeno chiesto se starà dormendo e cosa fare, una volta giunto sotto casa sua.
Mi sono solo messo in movimento verso di lei.
Corro mentre l’aria leggermente rinfrescata dalla notte, m’invade i polmoni.
Il vento calmo soffia nelle mie orecchie, come se mi sussurrasse che d’ora in poi sarò felice, sempre.
Mi bisbiglia di non temere più nulla ed io sorrido, beandomi di questa consapevolezza.
Arrivo sotto casa sua, alzo gli occhi verso la sua finestra dalle luci spente, proprio come tutte le altre dell’abitazione.
Non mi scoraggio, forse perché mi basta sapere di essere a un passo da lei e che domani, quel passo, non esisterà più.
Mi concedo un tentativo e le invio un sms.
Poi aspetto.
Se sarà sveglia, se mi risponderà, se la vedrò.
Abbasso gli occhi e pugni in tasca, prendo a piccoli calci un sassolino sull’asfalto.
Senza particolari pensieri nella testa, sono solo in attesa.
Alzo di nuovo lo sguardo, attratto da un rumore sopra la mia testa.
La vedo sporgersi dalla finestra, ora spalancata e la saluto felice, sventolando un braccio verso di lei mentre i miei occhi seguono il movimento dei suoi capelli, mossi dalla brezza che le solletica il viso.
Le sorrido mentre un leggero imbarazzo mi coglie e la mia mano prende, come al solito, a torturare la mia nuca.
Quando le sue dita si muovo armoniosamente per rispondere al mio saluto, mi concentro di nuovo sulle sue labbra, piegate in un sorriso.
Nel silenzio continuo il nostro muto dialogo e con un cenno la invito a raggiungermi.
Sanae annuisce, ridendo divertita e scompare nel buio della sua camera.
Smanioso, mi dirigo veloce al cancelletto d'ingresso al cortile.
Quando la serratura scatta, afferro un pezzo d’inferriata, avvertendo il freddo del ferro tra le dita, nonostante la temperatura estiva.
I miei occhi fissano il portone che poco dopo si apre.
Sanae esce sul pianerottolo ed io apro il cancello, muovendomi di nuovo verso di lei.
E quando la guardo, ancora prima di parlarle, ricordo che per me domani sarà un giorno completamente nuovo.
Il primo di una vita che d’ora in poi vivrò davvero a pieno.
Un giorno che cambierà tutto... in meglio...
E davanti ai miei occhi...
C’è l’aurora che lo precede.











Mi scuso per averci messo tanto, ma è sempre così che va, quando penso di poter rispettare un programma, fanficsticamente parlando xD, questo inevitabilmente salta e si procrastina a data da destinarsi.^^’
Ringrazio di cuore chi segue le mie FF e chi ha la costanza, perseveranza quasi diabolica direi xD, di continuare a seguirmi, nonostante il mio va e vieni continuo.
Il prossimo capitolo è l’ultimo e non dico nulla, per scaramanzia, su quanto ci metterò a scriverlo, perché nella mia testa ho in mente una cosa, ma se la dico, temo la sopraggiunta di contrattempi...^^’
Ovviamente il resto dell’incontro tra Tsubasa e Sanae potete leggerlo in Butterfly, capitolo 33 – Fujisawa, ho preferito non riprenderlo anche qui, diceva già tutto a suo tempo e sarebbe stato uno sterile copia e incolla.^^
Grazie ancora per l’attenzione, OnlyHope^^
   

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Capitolo 18
*** 100 per cento ***


FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 18

100 per cento












Mi guardo intorno per l’ennesima volta, in attesa, com’è giusto che sia e come vuole la tradizione.
La chiesa è semideserta, sono quasi tutti all’esterno, in attesa di lei mentre io sono confinato all’interno, come mi ha ordinato mia madre, per evitare che il caldo mi faccia sudare e rovini il mio aspetto.
Eccola di nuovo, si affretta a raggiungermi per l’ennesima volta.
Sistema la cravatta al mio collo, aggiusta il colletto della camicia, poi si allontana di nuovo, sorridendomi dolcemente e dandomi un buffetto delicato sul petto.
Grazie, mamma...
Finito di occuparsi, per il momento, del figlio maggiore, si dedica al più piccolo, che adrenalinico, non ne vuole sapere di stare fermo.
Sorrido divertito, godendomi la scena di mia madre che cerca di raggiungere Daichi, che sfugge dalle sue mani, come un gattino dispettoso.
Papà interviene, finalmente e lo acciuffa per il colletto della camicia, proprio come se fosse la sua collottola.
Daichi non protesta ma ride divertito, tra le braccia di papà, mentre la mamma si pone l’indice alle labbra, per intimargli il silenzio.
Mio fratello imita il suo gesto con il piccolo indice paffuto, ridacchiando e incassando il collo nelle spalle, fasciate nella giacchetta blu elegante.
Distolgo lo sguardo dalla mia famiglia e torno a guardare i banchi occupati da qualche anziana parente, i girasoli che illuminano la navata e il viavai di persone, che mi salutano con gesti d’incoraggiamento.
Al mio fianco Taro, vestito di tutto punto, da perfetto testimone, m’incoraggia con un sorriso disteso, anche se lo vedo benissimo che è agitato, e una stretta vigorosa all’altezza della spalla.
Rispondo sorridendo e liberando un leggero sbuffo, carico di attesa e agitazione.
Colmo di quell’incredibile emozione, che a stento riesco a contenere.
D’improvviso però noto un trambusto proprio in direzione dell’ingresso.
La morsa che attanaglia il mio stomaco, si stringe un po’ di più, tanto per gradire.
Mi volto a guardare il mio migliore amico, che con occhi stupiti, fissa in direzione della confusione, sistemandosi involontariamente la giacca, i polsini e il minuscolo fiore all’occhiello, identico al mio.
Quando si volta, mi sorride di nuovo.
Abbozzo una smorfia, mentre le mie mani sono diventate gelide e respiro un po’ a fatica.
“Ci siamo!” bisbiglia allontanandosi di qualche passo, lasciandomi così solo davanti all’altare.
Sto entrando nel panico ora, lo ammetto.
Tutti gli invitati si sistemano veloci nelle panche di legno scuro ed io vorrei che rallentassero questa loro corsa, ma non per posticipare l’evento, semplicemente perché mi agitano da morire, tutti questi gesti frettolosi.
Ciliegina sulla torta, in lontananza scorgo una figura familiare precipitarsi in chiesa, con aria circospetta.
Auricolare all’orecchio, vestito impeccabile e maniacale ossessione per il particolare, fosse anche una foglia leggermente sproporzionata in una decorazione, che nessuno mai noterà.
Mendo si aggira con fare deciso per la navata centrale, osservando, anche, la disposizione degli invitati.
Lo vedo sbuffare, osservando un punto preciso tra la folla.
Temo che abbia notato qualche accostamento di colore sbagliato nelle sedute, se potesse, temo ancora, farebbe spostare parenti e amici, in base alle sue regole cromatiche.
A un tratto nota l’anziano sacerdote, che con passo calmo, si appresta a raggiungere l’altare.
Lo affianca sicuro, prendendolo a braccetto per accelerare la sua camminata.
“Per fortuna che per i matrimoni indossate questi adattissimi paramenti bianchi! Non oso immaginare se fosse stato il viola, il colore di rito! L’avrei obbligata a cambiarsi!” lo sento distintamente mormorare all’orecchio del parroco, quando sono davanti a me.    
Il povero prete lo guarda perplesso, la bocca aperta in un moto d’incredulità.
“Oh carissimo e devotissimo servo del Signore! Avrebbe fatto a pugni con il giallo dei fiori!” e sorride ammiccante, come se l’avesse l’illuminato, su non so quale dogma o mistero.
Il sacerdote aggrotta le sopracciglia bianche e folte, fissandolo interdetto.
Mendo alza gli occhi al cielo, come se avesse appena finito di parlare con un marziano, perdendo preziosissimo tempo e si congeda da noi, non prima, però, di aver lisciato ben bene il paramento dell’allibito celebrante e, ovviamente, aver sistemato il mio fiore all’occhiello.
“Eccola che entra!” esclama in maniera stridula, quando raggiunge Tadai e la Minase.
D’istinto mi volto a guardare dalla parte opposta alla mia.
Dall’entrata, ora completamente libera, entra un bagliore accecante, che non permette di distinguere nulla all’esterno.
Deglutisco nervoso, vendendo delle piccole ombre, stanziarsi contro la luce.
Ok... ci siamo...
Per l’ultima volta, per farmi forza, forse, mi volto in direzione di Taro, della mia famiglia seduta nei primi banchi e della famiglia di Sanae, al lato opposto.
Torno a guardare la luce, le ombre si fanno più nette.
Ora le distinguo bene, ma mi concentro solo su una.
Riesco a vedere solo lei.
Lei distinta, tutto il resto sfocato e confuso.
Si avvicina, deglutisco.
Quando è a un passo da me, mi sorride.
Rispondo al sorriso e sento gli occhi velarsi di lacrime emozionate.
Perché in nessun momento ancora, avevo avvertito così forte il senso di quello che sta per accadere.
Ora, in quest’istante, che la vedo vestita di bianco, mi rendo davvero conto che sto per sposarmi.
E che non mi separerò più da lei.
Sanae è al mio fianco, il sacerdote inizia il rito.
La guardo ancora e le stringo la mano, fredda come la mia.
Da oggi sarà per sempre.
Le sorrido, di nuovo.
Per sempre.







Sanae si allontana da me sorridendo allegra, la ringrazio simulando con il labiale, per avermi risparmiato l’imbarazzo di un ballo al centro pista, con gli occhi di tutti puntati addosso.
Raggiunge Mendo, Tadai e la signorina Minase accanto alla piccola orchestra, che sta suonando un repertorio di classici, altamente romantici, degni di un matrimonio.
“Tsubasa!” mi volto in direzione della voce inconfondibile, che ha pronunciato il mio nome.
Roberto sorride avvicinandosi e quando mi raggiunge, circonda affettuosamente le mie spalle.

“Allora come procedono le grandi manovre in Brasile, sarà tutto pronto per il nostro arrivo?” gli chiedo, senza tanti preamboli.
Oltre all’organizzazione del matrimonio lampo, ho avuto pochissimo tempo per sistemare le cose a Sao Paulo ma, per fortuna, Roberto mi ha aiutato tantissimo, specialmente nella ricerca dell’appartamento, dove andare a vivere con Sanae.
Prima che si mettesse in moto, però, ho dovuto aspettare che si riprendesse dallo choc di dover tornare in Giappone in brevissimo tempo, per il mio matrimonio.
“Stanno impacchettando le tue cose a casa nostra, cioè mia, ormai...” lo dice con un tono di voce un po’ mesto, immagino che per lui sia come vedere un figlio, andare via di casa.
“Eh prima o poi dovevo pur spiccare il volo dal nido, no?” chiedo con fare allegro, per sdrammatizzare.
Roberto annuisce sorridendo.
“Solo che tu tendi leggermente ad accelerare i tempi, rispetto alla media... mondiale!” esclama infine, ridendo divertito.
Arrossisco, portando la mano alla nuca, nel mio classico gesto d’imbarazzo.
“E’ tutto ok anche per la sorpresa, la consegneranno in tempo...” aggiunge, riferendosi al mio regalo di nozze per Sanae.
Un pianoforte a coda Steinway & Sons, che mi è costato una fortuna e che mi ha suggerito Mendo, visto la mia ignoranza in materia, dichiarando pomposamente che, se volevo regalarle quello strumento, dovevo puntare sull’eccellenza.
Sorrido all’idea di mostrarlo a Sanae, nella nostra nuova casa, curioso di vedere l’espressione del suo volto, di fronte a tanta magnificenza.
Con la coda dell’occhio la cerco di nuovo e la scovo mentre si dirige verso il palco dell’orchestra.
Bellissima nel suo vestito candido e con le gote arrossate dalla gioia.

“Roberto... Pensi che Sanae si troverà bene in Brasile?” chiedo, quasi non rendendomi conto di aver lasciato emergere un po’ di ansia.
Il mio allenatore mi guarda serio poi si volta verso il palco.
L’orchestra ha smesso di suonare e Tadai sta aiutando Sanae a salire i gradini, per raggiungere, noto, il microfono vicino al piano.
“E’ una ragazza forte e coraggiosa, se la caverà alla grande...”
Annuisco, continuando a fissarla curioso mentre sistema, visibilmente imbarazzata, l’asta avanti a sé.
“E vivace da morire, si divertirà da matti!” mi rassicura il mio allenatore, mentre continuo a fissare l’orchestra.
Tadai si siede al pianoforte, guarda Sanae e con un cenno d’assenso, una melodia prende a riempire l’aria, diffondendosi per tutto il parco.
Sanae mi guarda sorridendo, gli occhi irradiati di luce brillante e le gote ancora più rosse.
La guardo imbambolato, sbattendo le palpebre più volte.
“E questo credo che sia il tuo, regalo di nozze...” sussurra Roberto al mio orecchio, prima di allontanarsi di qualche passo e confondersi tra gli altri.
Sanae inizia a cantare.
“Treated me kind, sweet destiny, carried me through desperation, to the one that was waiting for me...”*
Per me...







La notte è calda, piacevole.
Ma mai come la sensazione della sua pelle contro la mia.
Una leggera brezza estiva attraversa la stanza.
Ma non è nulla a confronto del suo respiro, che mi solletica il petto.
Mi stringo a Sanae, baciandole la fronte, gli zigomi e scoprendo il suo corpo nudo, allontanando le lenzuola dalla sua pelle accaldata.
La guardo mentre mi sorride e si stringe a me.
Lei è mia moglie ora e quest’appellativo esalta in maniera incredibile, quel possesso di cui sono un po’ vittima, quando c’è di mezzo lei.
“Non riesci a dormire?” mi chiede innocentemente, come se fosse possibile addormentarsi dopo questa giornata, dopo aver fatto l’amore da sposati.
“Come te...” rispondo, Sanae guarda di traverso ridendo, colta in fallo.
Assaporo questa sensazione magnifica di pace.
Come se fosse la prima volta che la sento, come se riuscissi, per la prima volta ancora, a provare la tranquillità.
Sanae si muove tra le mie braccia, strofinando il suo corpo al mio.
All’improvviso però, si separa da me e scende dal letto.
Perplesso, sbatto le palpebre osservandola mentre nuda, armeggia con la piccola valigia, accanto al comò.
Ne estrae un indumento bianco e quando lo indossa con gesti veloci, mi rendo conto che si tratta di una vestaglia da camera corta.
Si volta verso di me, chiudendo i lembi di tessuto davanti al petto e mi sorride, mentre stringe in vita la cintura di seta, in un morbido fiocco sproporzionato.
Mi dà le spalle di nuovo e lentamente si dirige verso la terrazza, dalla quale entra un venticello tiepido.
Il tempo di vederla scomparire oltre la vetrata semiaperta e mi precipito anch’io fuori dalle lenzuola.
Afferro i pantaloni dell’abito, abbandonati a terra e una volta indossati, la raggiungo in terrazza.
Sanae è appoggiata alla balaustra di pietra e guarda il panorama notturno del parco.
Non si volta quando la raggiungo alle spalle, circondando la sua vita e il mio mento si posa leggero sulla sua testa.
Si limita a stringersi di più nel mio abbraccio, posso chiaramente distinguere però che sta sorridendo.
“Non è bellissimo?” mi chiede, continuando a osservare la lussureggiante vegetazione davanti ai suoi occhi, colma di richiami orientali, in contrasto con l’edificio in stile occidentale che ci ospita.
Le fronde degli aceri giapponesi si muovono dolcemente seguendo il vento che li spinge, il loro riflesso si specchia nelle acque calme di un laghetto sottostante.
Annuisco, spostando il mio viso nell’incavo del suo collo.
“Bellissimo...” ripete piano, la voce leggermente velata da un’indefinibile sfumatura.
Scorgo tra gli alberi un luccichio debole, fatto di fiammelle mosse dal vento.
“Scendiamo in giardino!” esclamo, attirato dalle luci, come se fossi un bambino attratto dalle lucciole.
Sanae mi guarda per un attimo, perplessa, poi i suoi occhi s’illuminano d’entusiasmo e annuisce allegra.
La prendo per mano con fare sicuro e velocemente usciamo dalla stanza.
In piena notte.
Senza badare a come siamo vestiti, o meglio, svestiti.
Ci infiliamo in ascensore, ridacchiando come due mocciosi che stanno per combinarne delle belle e quando le porte si chiudono, bacio Sanae come succede nei film romantici, quando gli innamorati si trovano soli, a scendere i piani, lentamente.
Quando le porte si aprono a piano terra, faccio capolino per vedere se la via è libera.
Non notando nessuno, riprendo mia moglie per mano e di corsa, letteralmente, oltrepassiamo la veranda che porta al giardino.
Corriamo scalzi sull’erba morbida, ridendo divertiti, andando incontro a quelle luci tremule, nascoste tra gli alberi.
Quando le raggiungiamo, le nostre lucciole misteriose, prendono la forma di lanterne di carta.
Bianche e dalla luce calda ma tenue, emanata dalla piccola candela all’interno di ognuna.

Sanae si avvicina agli aceri, dalle foglie simili a mani aperte, tese verso di noi e prende una lanterna, staccandola dal ramo basso cui oscillava.
Poco lontano da noi, avverto il rumore dell’acqua che cade nel laghetto circondato dagli alberi, che abbiamo visto dalla terrazza della nostra camera.
Mi avvicino anch’io all’acero e prendo un’altra lanterna.
“Vieni con me...” sussurro all’orecchio di Sanae, che continua a osservare quella piccola luce che trema tra le sue mani.
Insieme ci avviciniamo all’acqua placida del piccolo lago, quando siamo sul bordo, mi abbasso e lascio che la mia lanterna sfiori la superficie, lasciandola galleggiare.
In silenzio, Sanae si mette al mio fianco, accovacciandosi e m’imita, abbandonando la sua cupola di carta, accanto alla mia.
Rimaniamo a osservare le luci tenui, che rischiarano debolmente la superficie dell’acqua.
Sanae si sporge e con un gesto delicato spinge le lanterne, che dondolando, si allontanano dalla riva, danzando sulla superficie dell’acqua.
Seguiamo il loro volteggiare, sempre senza dire una parola.
Mi guardo intorno e mi sento circondato dal mio Paese.
Che non è solo grattacieli e luci, ma anche silenzio.
Natura e lanterne che galleggiano nelle notti di agosto.
Osservo Sanae, che segue il movimento delle luci sull’acqua, sorridendo dolcemente.
Pensavo che il Giappone non mi sarebbe più mancato, perché lei lo rappresentava e ci teneva legati, indissolubilmente.
Quel legame sta per spezzarsi ora e adesso ho la certezza che sentirò più netta la mancanza.
Degli aceri dalle dita lunghe e rosse.
Della neve sul Monte Fuji quando è inverno.
E di quel sole che sorge rosso a levante...






Le ore in aereo non sono così interminabili.
Sorvoliamo il Pacifico, immersi nelle nuvole candide, che come cuscini, accompagnano il nostro viaggio, quasi volessero renderlo il più confortevole possibile.
Non siamo partiti da soli stavolta, non ce n’era bisogno, anche se non è mai bello separarsi da chi si ama.
Mentre il tapis roulant ci allontanava dai nostri affetti, ci siamo presi per mano, Sanae ed io, continuando a scorgere, sempre più lontani, le nostre famiglie e gli amici, stretti in un saluto collettivo.
Sanae ha pianto.
Una piccola lacrima ha solcato la sua guancia ma le mie dita l’hanno asciugata, nel ricordo di quella che bagnò, un tempo, il mio viso.
Ha sorriso quando ha incrociato il mio sguardo, poi i suoi polmoni si sono gonfiati d’aria e con un sospiro, è tornata a guardare avanti a sé, senza più voltarsi.
Ho stretto di più la sua mano e non mi sono più voltato, nemmeno io.
Stiamo puntando al futuro.
Una nuova vita, ancora.
“Ehi ti va di ascoltare un po’ di musica?”
Mi volto a guardare Sanae che mi sorride, appoggiata al bracciolo che divide il suo sedile dal mio.
Annuisco convinto e lei prende a frugare nel bagaglio a mano, estraendo un Ipod bianco, dalle cuffiette tutte attorcigliate.
La osservo per qualche tempo, senza degnarmi di reprimere un sorriso divertito, cercare di venire a capo del groviglio di fili.
Quando temo che tirando troppo, strappi i fili ricoperti di gomma, riesce finalmente a venire a capo della matassa.
Mi passa una cuffietta mentre appoggia l’altra al suo orecchio destro.
La imito e dopo poco sento partire la musica, Sanae appoggia la testa al mio braccio e chiude gli occhi.
Guardo fuori dal finestrino mentre mi lascio trasportare dalle note di una canzone, che Sanae canticchia di continuo negli ultimi tempi.
Un po’ troppo spesso, a essere sinceri.
Quando la sua canzone preferita però parte da capo, per la seconda volta, alzo gli occhi al cielo.
“Ehi ancora!” mi volto verso di lei, per rimproverarla bonariamente ma mi blocco.
La sua cuffietta giace abbandonata sulla sua spalla, mentre le sue labbra sono socchiuse, come Daichi quando dorme esausto, dopo un pomeriggio di giochi al parco.
Chiedo all’assistente di volo di darmi una coperta, sorrido quando la copro e Sanae si sposta nel sonno, rannicchiandosi sul sedile.
Le sfioro la fronte con un bacio leggero, poi m’impossesso dell’Ipod, rimettendo entrambe le cuffie alle orecchie.
Scorro le canzoni nella memoria, mi fermo incuriosito da un titolo sconosciuto, nel senso che proprio non c’è e dalla scritta demo.
Faccio partire la traccia e la voce di Sanae arriva decisa alle mie orecchie.
Non ho mai sentito questa canzone, ma ascoltandola è come se mi appartenesse...
Appoggio la testa al finestrino e chiudo gli occhi sereno.
Al cento per cento...

**My life ain’t defined by limits
I Don’t need no permission to live it
I’m a break thru the door til I get in
Everything that I got I’m a give it
100 Percent and I ain’t stopping til I reach the finish

I’m a believer not just a dreamer
I’m givin everything I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
Cuz I’m walking out of here a champion either way babe
I am givin 100 Percent
So go on put your ones up

If you’re putting in a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this feel, your ones up, your ones up
If you’re walking into victory keep on shining
One hundred percent

You can only do it if you do it like I did
Cause’ suffering ain’t easy
But if you can turn your wounds into living proof that you’ve survived the fight and you no longer defined

My life ain’t defined by limits
I Don’t need no permission to live it
I’m a break thru the door til I get in
Everything that I got I’m a give it
100 Percent and I ain’t stopping til I reach the finish

I’m a believer not just a dreamer
I’m givin everything I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Nothing can discourage me)
Cuz I’m walking out of here a champion either way babe (Eh)
I am givin 100 Percent so go on put your ones up

If you’re putting in a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is something, put your ones up, ones up (Everybody)
If you really comprehend this feel, your ones up, your ones up (Put your ones up)
If you’re walking into victory keep on shining (One hundred)
One hundred percent

Don’t you ever be discouraged, let nobody take your courage
If you gonna pray don’t worry,
If ya gonna wait don’t pray
You just keep the faith and listen to me

If you’re putting in a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is something, put your ones up, ones up (If you know you were)
If you really comprehend this feel, your ones up, your ones up (If you ever hear something)
If you’re walking into victory keep on shining
One hundred percent

I’m a believer not just a dreamer
I’m givin everything I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Percent I will share with you)
Cuz I’m walking out of here a champion either way babe (Either way)
I am gotta givin 100 Percent
So go on put your ones up

If you’re putting in a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this feel, your ones up, your ones up
If you’re walking into victory keep on shining
One hundred percent







*"Vision of Love" - Parole & Musica: Mariah Carey, Ben Marguiles © 1990 Sony Music Entertainment Inc.
** “100 Percent” – Parole & Musica: Mariah Carey, Crystal Johnson, Jermaine Dupri, Bryan-Michael Cox  © 2010 Island Records



Tutti i personaggi originali di "Captain Tsubasa" sono © di Yoichi Takahashi e Shueshia.
I personaggi di Keysuke Mendo, Takeshi Seii, Akane Minase e Yoichi Tadai sono invece frutto della mia immaginazione e appartengono a me.^^



In Giappone ad agosto si celebra l’Obon, ovvero la commemorazione dei defunti.
Si accendo lanterne nei giardini, si lasciano scivolare nei fiumi...
Il terremoto ha distrutto tante vite, proprio in questi giorni, in quel Paese lontano, che io amo tanto.
La scena delle lanterne non esisteva, l’ho inserita solo ora.
Le mani di due giovani giapponesi hanno lasciato la mia lanterna nell’acqua... lascio che galleggi.
In ricordo di chi non c’è più, sicura che il Giappone risorgerà... ancora una volta...  




I miei Tsubasa e Sanae si congedano, da me e da chi ha seguito la mia/loro storia. Tutto quello che avevo da dire su di loro, ora è davvero stato detto, nel completo, al 100%. Mi separo definitivamente da loro, con un po’ di malinconia ma con la consapevolezza che mi hanno regalato tante cose importanti. Ringrazio tutti i lettori di Fly Away, chi ha recensito, chi ha segnalato, a suo tempo, questa storia per le Scelte e l’amministrazione che l’ha inserita. Ne sono infinitamente grata. Ringrazio Tsubasa e Sanae per avermi dato la possibilità di mettermi in gioco, di crescere e migliorare. Li ringrazio per avermi dato modo di far entrare nella mia vita delle persone favolose, che stimo e adoro. Che mi sono vicine, nonostante i chilometri di distanza tra noi.

Grazie infinite di cuore a tutti, questo non è un addio ma solo un arrivederci...

A Sara, Elena, Betta e Grazia... che sono molto di più di un nickname!^^


Dont’be afraid to fly, open up the door, so much more outside...
OnlyHope

 

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