Storia Di Un Amore

di SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amici...O Nemici? ***
Capitolo 2: *** Promessa ***
Capitolo 3: *** Kelly & Jacob ***
Capitolo 4: *** Bacio ***
Capitolo 5: *** Giù La Maschera ***
Capitolo 6: *** La Scelta ***
Capitolo 7: *** Epilogo: Per Sempre ***



Capitolo 1
*** Amici...O Nemici? ***


Storia Di Un Amore

Capitolo Uno: Amici…O Nemici?

“Bella!” Le urla insistenti di Jennifer mi costrinsero a distogliere l’attenzione dal libro.

“Arrivo!” Urlai, continuando a leggere. Quando mi richiamò per la seconda volta però fui costretta a chiudere il libro e a scendere in salone, dove la mia matrigna mi osservava irritata.

“Domattina arriverà Kelly, preparale la stanza e vai a fare la spesa!” Jennifer continuò a leggere sdraiata sul divano. Il suo corpo snello e abbronzato dalle innumerevoli lampade a cui si è sottoposta aveva ormai dato forma ai cuscini del sofà.

“D’accordo, dopo ci vado…” Mormorai, voltandomi verso le scale, pronta a risalire nella mia stanza.

“Non dopo! Subito!” Presi un profondo respiro, cercando di sbollire la rabbia. Con uno strattone afferrai la borsa e uscii di casa.

Il tempo era stranamente migliorato nell’ultimo mese, e non pioveva da ben ventisette giorni, cosa che iniziava a preoccupare parecchio la popolazione di Forks, paese conosciuto per il più alto tasso di giorni piovosi in tutta America. Il prato – solitamente di un verde acceso – aveva già iniziato a ingiallire.

Salii a bordo della Mercedes di Jennifer e raggiunsi il supermercato. Non potei non notare la Volvo argentata di fianco alla quale parcheggiai. Stranamente il mio cuore accelerò i suoi battiti e sentii le guance imporporarsi.

Scesi dall’auto ed entrai nel locale climatizzato. Presi un cestino e iniziai il mio giro.

Ogni tanto mi lanciavo occhiate ansiose intorno.

Quando raggiunsi il bancone dell’affettato sbuffai. Il cartello esposto indicava una pausa di dieci minuti, ma fortunatamente nel giro di poco la commessa sarebbe dovuta rientrare.

Rimasi in attesa, fino quando un ombra si accostò a me.

“Anche tu in attesa?” Domandò una voce morbida e melodiosa. Sorrisi.

“A quanto pare sì…” Mi voltai verso il mio interlocutore.

“Come mai in un posto come questo Edward?” Sorrisi guardandolo scettica.

“Immagino per il tuo stesso motivo, Bella.” Mi sorrise di rimando. I capelli bronzei ricadevano spettinati con alcuni ciuffi sulla fronte. Gli occhi verdi mi fissavano intensamente, rispecchiandosi nei miei, color del cioccolato.

Si lanciò uno sguardo preoccupato intorno, poi alzò una mano, all’altezza del mio viso.

Poco prima che le nostre pelli venissero a contatto una voce squillante interruppe quel momento.

“Edward! Dove sei?” Il suo sguardo allarmato e allo stesso tempo triste mi avvisò che ci saremmo dovuti separare.

“Devo andare…” Disse sbrigativamente. Annuii con un cenno del capo.

Velocemente si allontanò da me, mostrandosi improvvisamente interessato alla scelta dei cereali. Mi voltai verso il bancone, dove sopraggiunse una donna con indosso un grembiule e una cuffia. Mentre l’inserviente prendeva il mio ordine dietro di me sentii sopraggiungere qualcuno. Alice, sicuramente.

“Eccoti, finalmente!” Rimproverò il fratello, “Si può sapere che stai facendo?”

“Scelgo i cereali, non si vede?” Lo sentii rispondere.

“Mmm…” Non era forse convinta di quel che le diceva il fratello? “Ehi, ciao Bella!” In quel momento mi voltai, incrociando lo sguardo allarmato di Edward e quello luminoso di sua sorella Alice. Le sorrisi amichevolmente.

“Ciao, Alice!” Guardai indecisa Edward, ma alla fine salutai solo lei.

“Uff… Alice, possiamo andare?” Domandò Edward, fingendosi perfettamente irritato dalla mia presenza.

Alice guardò in cagnesco il fratello, per poi lanciarmi uno sguardo carico di dispiacere.

“Scusaci Bella, ci vediamo domani a scuola…” Annuii e mentre se ne andavano vidi Edward voltarsi e mimarmi uno ‘scusa’. Sorrisi, ma ben presto appena tornai in camera le lacrime invasero le mie gote arrossate, e mi persi in un pianto disperato.

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Capitolo 2
*** Promessa ***


Storia Di Un Amore  

Capitolo Due: Promessa

Dopo essermi liberata dalle lacrime mi apprestai a preparare la camera alla mia sorellastra Kelly, di appena quindici anni ma già estremamente irritante. Jennifer l’aveva fatta rinchiudere in un collegio, incapace di badare a una figlia troppo piccola, già all’età di otto anni, ovvero dal momento in cui mio padre ci lasciò. Irritata scesi al piano di sotto, in quella che un tempo era la mia stanza. Quando mio padre ci lasciò a causa di un cancro venni trasferita dalla mia matrigna alla soffitta, disposta solo di una finestra con davanti una grossa quercia che mi riparava dal sole e dagli occhi indiscreti. Mentre spolveravo i mobili mi arrivò un messaggio sul cellulare. Improvvisamente agitata lo lessi.

‘Mi dispiace per prima, non avevo scelta… Perdonami…’ Edward, pensai dolcemente. Sapevo bene che tutta quella segretezza era in parte causa mia: Jennifer non doveva assolutamente sapere che frequentavo Edward Cullen, altrimenti mi avrebbe segregata in casa a vita. Odiava Edward Cullen tanto quanto suo padre Carlisle, dopo che quest’ultimo si rifiutò di avere una relazione con lei. Il dottor Cullen si infuriò tantissimo con lei, ma nonostante tutto non fu lui a proibire al figlio di frequentarmi – per lo meno pubblicamente – : era una sua decisione…

Stremata finii di mettere a posto la stanza e raggiunsi la mia stanza, chiudendomi dentro a chiave. Mi sdraiai sul letto e prima che potessi accorgermene caddi nel mondo dei sogni.

 

Ero a scuola. I lunghi corridoi scolastici si stavano man mano svuotando: tutti accorrevano a una delle tante partite di baseball della scuola. Per quanto mi riguardava avrei voluto vedere la partita ma l’idea di essere circondata da tutti i ragazzi della scuola non mi attirava affatto, però ci avrei tenuto a vedere almeno un pezzo di partita. Assicurandomi che nessuno mi seguisse uscii nel cortile e attraversando il prato rinsecchito raggiunsi il casotto degli attrezzi posto in cima ad una collinetta in rilievo – utilizzato massimo una volta ogni quattro mesi per falciare l’erba quando questa diveniva troppo lunga. Mi richiusi la porta verniciata di verde alle spalle e raggiunsi la scala in legno. Facendo attenzione a non scivolare a terra riuscii a raggiungere il tetto della struttura, ma appena sollevai lo sguardo rimasi impietrita. Una figura era accovacciata sul muretto e fissava verso il campo da baseball, perfettamente visibile da quella posizione. Preferii voltarmi e tornare indietro, ma la voce della persona mi immobilizzò.

“Ehi, che ci fai qui?” Mi voltai lentamente. Il suono melodioso della voce mi fece perdere per un momento la cognizione del tempo. Un ragazzo a dir poco perfetto mi osservava incuriosito. La brezza leggera accarezzava e scompigliava dolcemente i suoi capelli bronzei con riflessi rossicci, le sopracciglia erano corrugate in una espressione confusa e gli occhi… Beh, gli occhi erano di un verde talmente intenso e profondo che avrei potuto perdermi dentro essi. Tutto questo aveva un nome, ed io lo conoscevo bene: Edward Cullen.

“Ecco…io…” Balbettai, dalla sua espressione non dovevo piacergli.

“Sei qui per portarmi alla partita non è vero?! Ho già detto che non voglio giocare! Può prendere Tyler il mio posto…” Corrugai le sopracciglia. Cosa dovevo dirgli?

“Ehm…va bene… Non so di cosa stai parlando, comunque va bene…” Inarcò le sopracciglia, ma le sue labbra si incurvarono in un sorriso.

“Quindi non sei una cheerleader?” Domandò evidentemente sorpreso.

“Ti sembro una cheerleader?!” Chiesi schifata. Quello sì che era un insulto bello e buono!

“A giudicare dalla tua faccia direi di no…” Ammise alzandosi dal muretto.

“Allora piacere, sono Edward.” Mi porse la mano, che indecisa strinsi. Sentii una leggera scossa e come scottata ritirai la mano.

“Bella, piacere…” Sorrisi timidamente. Solo allora notai i suoi vestiti: una camicia bianca e un paio di jeans scuri. Quindi era vero: non voleva giocare a baseball. Evitai di chiedergli conferma, data la sua reazione di poco prima.

“Come mai sei venuta qui, Bella?” Sussultai quando pronunciò il mio nome.

“Beh…diciamo che ero venuta qui per stare un po’ da sola e per vedere la partita…” Mi guardò preoccupato.

“Ti do fastidio? Se vuoi me ne vado…” Scossi immediatamente il capo con forza, arrossendo.

“No, no, resta pure, se vuoi me ne vado via io…” Sorrise.

“Non ti preoccupare, mi fa piacere la tua compagnia.” Arrossii.

“Come fai a dirlo? Ci conosciamo da un paio di minuti… Chi ti dice che non sono una delle tante che ti viene dietro?” Oddio, ma cosa stavo dicendo?!

Sorrise saccente.

“Perché altrimenti non avresti tentato di andartene di nascosto e ti saresti avvicinata a me, invece che allontanarti sempre di più…” In quel momento mi accorsi di essere arrivata a una passo dalla botola che portava al piano di sotto.

Arrossii nuovamente e abbassai lo sguardo.

“Perché non resti a vedere la partita con me?” Mi sorrise, facendo battere ancora di più il mio cuore impazzito. Se avessi parlato di certo avrei balbettato, perciò annuii solamente.

Edward si accomodò nuovamente sul muretto, facendomi segno di raggiungerlo. Per tutto il resto della partita parlammo in continuazione, e scoprii parecchie cose di lui. Sebbene volessi tenere un minimo di segretezza, ogni cosa con lui mi usciva spontanea, incontrollata. E irrimediabilmente da quel giorno iniziò una fase che mai avrei pensato di passare: la fase dell’innamoramento.

 

Mi risvegliai intontita, mentre il rumore assordante delle urla della mia matrigna risuonava nella mia testa. I colpi alla porta mi costrinsero ad alzarmi dal letto. Un capogiro mi prese alla sprovvista, facendomi cadere a terra e sbattere il braccio contro il comodino. Una fitta all’avambraccio mi fece bruciare gli occhi. Barcollante mi rialzai da terra e raggiunsi la porta, chiusa a chiave. Davanti a me Jennifer mi osservava severa.

“Devi preparare la cena! Questa sera inoltre Mike verrà a farci visita, quindi vedi di darti una sistemata!” Lanciò uno sguardo accigliata alla mia stanza e poi sparì giù per le scale.

Newton sarebbe venuto a trovarci… Un moto di irritazione prese il sopravvento e sbattei un pugno contro il muro. Brutta scelta. Le nocche mi si arrossarono, sbucciandosi.

Mi accasciai a terra, mentre alcune lacrime presero il sopravvento.

Perché non potevo avere una vita come tutte le altre ragazze? Oltre ad avere una vita da inferno mi ero pure innamorata del ragazzo più sbagliato e allo stesso tempo perfetto dell’universo! Mi rialzai da terra, scacciando le lacrime dalle gote arrossate. Basta piangere, mi dissi. Scesi al piano di sotto, mentre ripensavo al sogno di poco prima. Avevo nuovamente sognato il giorno in cui incontrai Edward, il giorno in cui tutto iniziò. Sebbene fossi dovuta correre a casa appena finita la partita eravamo riusciti a scambiarci i numeri di telefono. Da quel giorno ogni sera passavamo ore intere a mandarci messaggi, e talvolta mi telefonava, specialmente quando intuiva che il mio umore era a terra.

Appena finii di cenare lavai i piatti e corsi nella mia stanza, afferrando il cellulare. Un messaggio.

‘Che ne dici di vederci?’ Il mio cuore sussultò. Era impazzito? Voleva uscire con me in pubblico?

Gli risposi: ‘Non è più un problema farci vedere in pubblico?’ Inviai. Aspettai impaziente la sua risposta, che non tardò ad arrivare.

‘Sì, infatti io intendevo adesso…’ Come adesso? Inarcai un sopracciglio e mi apprestai a rispondergli ma un colpo alla finestra mi costrinse a voltarmi.

Per poco non mi venne un infarto: Edward era seduto a cavallo di un grosso ramo della quercia, all’altezza della mia finestra.

Il suo sorriso sghembo mi tolse il respiro per alcuni secondi. Corsi alla finestra.

“Edward,” bisbigliai – se Jennifer ci avesse visti saremmo finiti entrambi nei guai – “Cosa stai facendo?” Spalancai la finestra, facendomi da parte per farlo entrare. Con un agile balzo atterrò nella mia stanza.

“Vengo a trovarti.” Disse, come se fosse la cosa più normale del mondo entrare da una finestra dopo essersi arrampicato su un albero a chissà quanti metri di altezza.

Richiusi la finestra.

“Quindi è questo il tuo piccolo regno…” Disse guardandosi intorno curioso.

“Già…” Ammisi in imbarazzo. Nessuno era mai entrato nella mia stanza.

Si voltò a guardarmi, un tenue rossore tradiva la sua apparente disinvoltura. Dovetti ammettere che quando arrossiva diventava ancora più tenero e bello.

“Che stavi facendo?” Mi chiese cercando di rompere quel silenzio imbarazzante.

“Niente, ho appena finito di mangiare e sono venuta in camera…”

“Mmm…” Si voltò ad osservare nuovamente la mia stanza.

“Tu invece? Niente allenamenti questa sera?” Sapevo benissimo che non li aveva ma non trovavo altro da chiedergli. Mi lanciò un’occhiata nervosa.

“No… Non ho ancora trovato il modo di dire alla squadra che voglio abbandonare…” Ammise mentre un’ombra di tristezza oscurò il suo viso. Mi accomodai a gambe incrociate sul letto, facendogli segno di sedersi accanto a me.

“Hai paura di deluderli…” Non era una domanda, ma una supposizione.

“Sì, soprattutto Jacob… – mi rivolse un’occhiata nervosa quando pronunciò il nome del suo migliore amico – Non hai idea di quante volte ogni giorno mi parli di quanto sia emozionato all’idea di entrare in una vera squadra di baseball insieme a me…” Gli accarezzai un braccio, facendo scivolare il mio indice lungo tutto l’avambraccio. Mi piaceva quel tocco. “Ogni volta che cerco di parlargli seriamente tira di nuovo in ballo questa storia, e tutta la mia determinazione sparisce…” Fermo la mia mano, risalendo con gli occhi ai suoi, puntati verso il fogliame della quercia.

Dopo un attimo che mi sembrò eterno i suoi occhi saettarono ai miei, guardandomi intensamente.

“Bella…Ti giuro che prima o poi riuscirò a dirgli la verità… Te lo prometto…” Nonostante le sue parole, lessi nei suoi occhi una grande indecisione. La sua mano sfiorò la mia guancia, imporporata.

“Bella io…” Sussurrò. In quel momento il bussare improvviso alla porta mi fece alzare in piedi. Edward si staccò velocemente da me, correndo alla finestra.

“Ci vediamo a scuola…” Sussurrò, poi lo vidi nascondersi nel fogliame della quercia e infine raggiungere terra. Sollevata corsi ad aprire la porta.

Mike Newton si presentò davanti a me con in mano un mazzo di rose rosse. Sgranai gli occhi.

“Mike…ciao…” Balbettai esterrefatta. Ma ben presto allo stupore si sostituì la rabbia.

Mi sorrise sgargiante.

“Ciao Bella! Vedo che ti ho sorpreso! Sai, sono passato davanti al fioraio e ho pensato…” Lo interruppi bruscamente.

“Vattene via Mike.” Digrignai i denti. A causa sua Edward è dovuto scappare a gambe levate per non farmi correre rischi. Newton mi guardò stupito.

“Ma…Bells, cosa c’è che non va?” Forse se non mi avesse chiamata Bells avrebbe ancora potuto salvarsi dalla mia furia, ma non sopportai oltre. Gli chiusi la porta in faccia con un botto sordo e la chiusi a chiave.

Nessuno doveva permettersi di usare quel soprannome con me. Nessuno. Tranne lui: mio padre.

I ricordi della mia infanzia iniziarono a perseguitarmi e alla fine mi abbandonai sul letto in lacrime, cadendo in un sonno profondo.

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Capitolo 3
*** Kelly & Jacob ***


Storia Di Un Amore 

Capitolo Tre: Kelly & Jacob

La mattina quando mi svegliai mi sentivo malissimo. Quella notte non dormii affatto bene, anzi, continuai ad agitarmi nel sonno, svegliandomi continuamente.

Quando scesi per fare colazione Jennifer – ovviamente – era ancora a letto. Chissà se si sarebbe ricordata che Kelly sarebbe arrivata quello stesso giorno. Purtroppo i suoi docenti l’avevano rispedita a casa per il suo comportamento indisciplinato, anche se ovviamente sua madre riteneva fossero le regole del collegio ad essere inadatte ad un ‘animo libero e spensierato’ come quello della mia sorellastra. Sbuffai. Nelle poche volte che ci vedevamo non facevamo altro che lanciarci occhiate avvelenate e insulti, litigando per ogni minima cosa.

Terrorizzata dal poterla vedere arrivare prima del previsto uscii di casa con enorme anticipo, raggiungendo la scuola a piedi. Per Jennifer non valeva la pena spendere soldi per comprarmi un’auto, e di certo non mi avrebbe permesso di andare a scuola con la sua costosissima Mercedes.

Il cortile della scuola era ancora deserto e le auto nel parcheggio erano quasi sicuramente degli impiegati. Mi fermai quando notai una di esse che mi era tremendamente famigliare. O no…

Cercai di allontanarmi il più velocemente possibile, dirigendomi verso il capanno degli attrezzi.

“Ehi, Bella!” Una voce mi costrinse a fermarmi. Presi un profondo respiro e mi voltai.

“Ehi, Jacob!” Sorrisi. Un ragazzo dai capelli neri cortissimi e la pelle bronzea mi raggiunse correndo. Il bianco dei denti risaltava sulla sua pelle scura.

“Come mai già qui?” Mi chiese, fermandosi a pochi centimetri da me. Scrollai le spalle.

“Mi sono svegliata presto.” Sorrise. “E tu?”

“Pensavo di dare una controllata al campo, stasera c’è la semifinale, e oggi pomeriggio devo prepararmi per una verifica, quindi non ho tempo…” Iniziammo a dirigerci verso il campo da baseball, camminando lentamente. “Vieni stasera a vedermi?”

“Non so…” Mormorai.

“E dai… Solo per due orette!” Il suo sguardo da cucciolo bastonato spezzò tutte le mie difese. Mi lasciai andare a un sospiro.

“D’accordo.” Sperai solo che Kelly non si accollasse a me.

“Evviva!” Esultò Jacob Black, raggiante. “Così non avrai più modo di dubitare della mia bravura!” Rise e mi unii a lui.

“Da quando in qua saresti bravo?” Una voce mi fece sussultare. Improvvisamente smisi di ridere, mentre Jacob si voltava verso il proprietario di quella voce melodiosa.

“Ehi Edward! Indovina un po’ chi verrà a vederci questa sera?” Mi voltai lentamente, incontrando il suo sguardo verde.

“Isabella?” Chiese il suo migliore amico, inarcando un sopracciglio, evidentemente sorpreso.

“Bella.” Lo corresse Jacob, rivolgendogli un’occhiataccia. “Sono appena riuscito a convincerla, quindi vedi di non farle cambiare idea, chiaro?” L’ammonì, assottigliando gli occhi.

Un sorriso comparve spontaneo sulle mie labbra. Quando voleva Jacob sapeva essere estremamente buffo.

Edward rimase impassibile, limitandosi a scrollare le spalle.

Il suono della campanella rimbombò fino allo stadio di baseball.

“Dobbiamo andare.” Disse Edward, apatico.

“Sì… Allora ci vediamo stasera Bella, d’accordo?” Annuii, mentre loro si dirigevano verso l’entrata dello stadio. Edward rimase fermo a guardarmi, accennando un sorriso a cui risposi immediatamente. Subito dopo si voltò raggiungendo l’amico. Rimasi a fissarli mentre si allontanavano. Edward Cullen e Jacob Black. Come potevano quei due ragazzi essere amici? Anzi, migliori amici?

Velocemente mi diressi verso la scuola, pronta ad affrontare un’altra noiosa mattinata chiusa in aula.



Appena entrai in casa quattro grosse valigie rosse rischiarono di farmi rovinare a terra. Irritata le spostai dall’ingresso. Entrai in salotto, dove trovai la mia matrigna e la mia sorellastra sedute sul divano che conversavano di abiti, sfogliando alcune riviste di moda.

“Ciao…” Mormorai, passando vicino a loro.

“Bella, perché non saluti tua sorella come si deve? Del resto è da Natale che non vi vedete!” Mi richiamò Jennifer. Mi voltai lentamente, giusto in tempo per notare la faccia schifata di Kelly.

“Bella, potresti portarmi su le valigie? Sono troppo pesanti per me…” Kelly alzò appena gli occhi, per poi riportarli velocemente alla rivista che teneva fra le mani.

Non era affatto cambiata. I lunghi capelli biondi le ricadevano lungo la schiena e le labbra carnose erano piegate nella solita smorfia che la caratterizzava. Nonostante tutto non si poteva dire che fosse una brutta ragazza, anzi.

“Dopo dovresti accompagnare Kelly a scuola, io ho un impegno e non posso proprio rimandarlo.” Io e la mia sorellastra ci voltammo a fissare senza parole Jennifer.

“Cosa?!” Urlammo all’unisono. Lei ci lanciò un’occhiataccia, facendoci zittire.

Infuriata salii al piano di sopra. Le valigie di quella vipera potevano anche aspettare.

Mi chiusi in camera, sdraiandomi sul letto. Ci mancava solo un pomeriggio in compagnia di una delle persone che meno sopportavo al mondo! Non poteva andarsene in un altro collegio invece che dover frequentare la mia stessa scuola?!

Afferrai il cellulare, che aveva iniziato a vibrare.

‘Lo sai che dovrai stare sugli spalti stasera?’ Sorrisi.

‘Purtroppo sì… Infatti sto pensando a una scusa da dare a Jacob, così non sono costretta a restare in mezzo a tutta quella gente.’ Appena finii di rispondere attesi trepidante la sua risposta. Avrei tanto voluto che provasse a convincermi ad andare per potermi vedere.

‘Ma se non vieni poi non ci possiamo vedere… Sicura di non voler venire?’ Il mio cuore batteva come impazzito.

‘Mmm… Ci ho ripensato, ma solo se mi prometti che ci vediamo.’

‘Promesso, però tu vieni, d’accordo?’ Sorrisi nuovamente.

‘D’accordo.’ Riposi il cellulare sul comodino, e mi alzai dal letto, scendendo le scale.

Andai in cucina e presi dal davanzale il libretto degli assegni di Jennifer. Agguantai una penna e mi diressi in salotto. Kelly non c’era.

“Jennifer, devi firmare l’assegno.” Le porsi la penna e il libretto.

“Mi raccomando Bella, voglio che Kelly si trovi bene nella tua scuola, quindi vedi di non darle noie.” Disse firmando con la sua grafia illeggibile. Aggrottai le sopracciglia. Piuttosto era lei che non doveva darmi noie!

“Kelly!” Richiamai la mia sorellastra, che scese le scale agitata. Il cellulare!

“Aspetta, ho dimenticato una cosa… Inizia ad andare in auto, arrivo subito.” Corsi su per le scale, raggiungendo la mia camera e afferrando il cellulare dal comodino.

Una volta in auto Kelly iniziò a chiedermi informazioni sulla scuola. Il solo pensiero di doverla sopportare anche là mi rendeva insofferente.

Il mio più grande timore però era un altro: come avrei fatto a nasconderle che mi vedevo di nascosto con Edward? Nessuno sapeva dei nostri incontri nel capanno degli attrezzi oppure delle sue entrate nella mia stanza la sera… Nemmeno Angela Weber, che potevo considerare come la mia unica vera amica. Più volte ero sul punto di confessarle il mio piccolo segreto, ma il timore di ricevere giudizi mi aveva sempre fermata.

Fortunatamente non avremmo di certo avuto lezione insieme, essendo lei al primo anno mentre io ero già al terzo. Mi costrinse a farle fare un giro turistico della scuola, e questo occupò mio malgrado quasi un’ora, in quanto volle ispezionare da cima a fondo il campo da baseball e gli spogliatoi. Ovviamente non le riferii che quella stessa sera si sarebbe tenuta una partita e che io sarei andata a vederla…

“Allora Bellina…” Digrignai i denti. Odiavo quello stupido diminutivo che mi aveva affibbiata. “Ce l’hai il ragazzo?” Chiese, maliziosa.

“N-No.” Esitai un attimo, presa alla sprovvista. In fondo però dissi la verità…mio malgrado. Non avevo ancora capito cosa potevamo considerarci io ed Edward…

“Ah.” Disse solo, rimuginando su qualcosa. “Non c’è nessuno che ti piace?”

Perché tutta questa curiosità? “Non credo.” Meglio restare vaghe…

Per il resto del pomeriggio sembrò meditare sulle mie risposte scarne, senza però chiedermi altro, anche se a volte sembrava sul punto di farlo.

La sera mi preparai ad uscire, dicendo a tutti che sarei andata a casa di Angela, così che Jennifer non mi desse noie. Fortunatamente convinsi Kelly a restare a casa.

Quando uscii però non mi accorsi di essere inseguita dalla mia sorellastra.

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Capitolo 4
*** Bacio ***


Storia Di Un Amore

 

Capitolo Quattro: Bacio

Arrivai a scuola giusto in tempo per vedere i giocatori entrare in campo. Gli spalti erano sovraffollati e nella confusione riuscii fortunatamente a scorgere Angela, andando a sedermi vicino a lei. Jessica Stanley, capo cheerleader, iniziò a dirigere una complicata coreografia, sorridendo a tutti. Sapevo della sua cotta per Edward, ma a quanto pare non aveva mai avuto successo, così come tutte le altre ragazze che gli avevano fatto la corte. Speravo ardentemente che fossi io la causa dell’insofferenza di Edward verso le altre ragazze. In fondo non ci eravamo mai dichiarati, e nemmeno baciati, sebbene i miei sentimenti fossero ormai più che chiari.

“Bella, c’è Black che ti sta salutando.” Disse Angela, facendomi cenno di guardare il campo. Effettivamente Jacob mi stava sorridendo, anche se alcune ragazze vicino a me pensavano si stesse rivolgendo a loro.

Jacob, così come Edward, era uno dei ragazzi più carini della scuola, e le ragazze si facevano la guerra per avere l’opportunità di uscire con loro. Molte ragazze però mi guardavano con ira, in quanto ero amica di Jacob. Molte ritenevano che si fosse preso una cotta per me, ma io ero ben lungi dal pensarla come loro. Per me Jacob era solo un caro amico, anche se a volte era un po’ troppo insistente.

La partita durò più di due ore, e come previsto la squadra di Edward e Jacob vinse.

Salutai Angela, e mi rifugiai nell’unico spogliatoio inutilizzato, in attesa che tutti andassero a casa.

Quando ormai le voci erano scomparse uscii allo scoperto, appoggiandomi al muro vicino alla porta dello spogliatoio utilizzato dalla squadra di baseball.

Finalmente dopo pochi minuti Edward apparve al mio fianco.

“Ciao.” Il suo solito sorriso sghembo mi fece sciogliere senza che me ne rendessi conto.

“Ciao.” Balbettai, imbarazzata.

“Piaciuta la partita?” Rise, prendendomi la mano e incamminandosi verso l’uscita dagli spogliatoi con me.

“Sì…davvero spettacolare…” Tentai di essere convincente, ma ovviamente non ci riuscii.

“Sei una pessima attrice.” Sghignazzò, fermandosi. I miei occhi si soffermarono sulle nostre mani intrecciate.

Quando alzai lo sguardo lo trovai intento a fissarmi, con un’intensità stupefacente.

“Bella?!” Sussultai. Non era senz’altro la voce di Edward.

Entrambi ci voltammo di scatto verso il fondo del corridoio, sciogliendo immediatamente la presa.

“Kelly…?” Cosa ci faceva mia sorella negli spogliatoi?! “Che… che ci fai qui?”

“Ti ho seguita.” Scrollò le spalle, avvicinandosi a noi. Puntò il suo sguardo su Edward, irritandomi.

“Beh, ci vediamo Swan.” Sbottò, Edward, fingendo come al solito.

Non risposi. Kelly non doveva assolutamente vederci insieme…

“Torniamo a casa.” Dissi, irritata.

“Chi era quel ragazzo?” Subito all’attacco…

“Cullen. È nella squadra di baseball.” Risposi, cercando di essere indifferente.

“Perché stavate parlando?” Forse è addirittura peggio di Jessica Stanley…

“Lavoro nel giornalino della scuola, quindi dovevo fargli alcune domande sulla partita.” Wow, brava Bella, meglio di quanto immaginassi!

Kelly sembrò credere alla mia bugia.

Quando arrivammo a casa Jennifer era già a dormire, quindi non abbiamo dovuto sopportare le sue lamentele.

“Non dirò alla mamma che sei andata alla partita.” Disse Kelly, sorprendendomi.

Non risposi, e andai a dormire.

 

Era passata una settimana da quando mia cugina si era trasferita nella mia scuola. Ovviamente appena arrivata aveva stretto amicizia con Jessica Stanley e il resto delle cheerleader, ma la cosa che mi fece ancora di più infuriare era che tentava in tutti i modi di parlare con Edward, e gli stava sempre appiccicata.

Stavo camminando tranquilla per il corridoio del seminterrato della scuola – Kelly era come se mi stesse pedinando, quindi ogni occasione era buona per nascondersi in luoghi poco frequentati –, quando all’improvviso Edward mi passò vicino, e dopo essersi guardato bene intorno – era la pausa mensa e in giro non c’era nessuno – mi cinse un fianco, spingendomi dentro lo sgabuzzino dei bidelli.

L’unica luce filtrava da una finestra in alto, da cui si potevano scorgere i passi delle persone che passavano.

“Che succede?” Gli chiesi. Le sue braccia mi stavano stringendo contro lo scaffale pieno di secchi e prodotti per la pulizia.

“Bella, ho appena detto a mio padre che non ho intenzione di entrare nella squadra di baseball nazionale, quando finiremo il liceo!” Rimasi sorpresa, e un sorriso comparve sulle mie labbra.

“Davvero? E lui come l’ha presa?” Ero emozionata per lui, e sperai che suo padre non fosse stato troppo severo nei suoi confronti.

“Bene, almeno credo… Era venuto a scuola per parlare al coach, e quindi abbiamo iniziato a discutere, e alla fine gli ho detto tutto! E… avevi ragione! Non si è affatto arrabbiato! Anzi, mi sembrava abbastanza soddisfatto!” Sorrisi, soddisfatta. Ero certa che il signor Cullen avrebbe preso bene la decisione di suo figlio. “Grazie mille Bella, è stato solo merito tuo!”

Prima che me ne potessi rendere conto le sue labbra sfiorarono le mie, in un gesto delicato e timido.

Stupendo perfino me reagii con foga al bacio, sollevando le braccia e affondando le dita nei suoi capelli setosi.

Con quel movimento però feci crollare a terra alcuni secchi, che crearono un suono metallico che si propagò nell’aria.

Entrambi ci staccammo, guardando il mio danno.

“Ops!” Dissi solo, portandomi una mano alla bocca.

“Sei un disastro Bella.” Sghignazzò, senza accennare a raccogliere nulla.

“È meglio se raccogliamo, no?” Domandai, aggrottando le sopracciglia.

Edward si riavvicinò a me, tornando serio.

“Dopo.” Disse solo, e le sue labbra tornarono a lambire le mie, e questa volta le mie mani percorsero il suo petto, mentre le sue circondavano il mio corpo, disegnando linee immaginarie lungo la mia schiena.

Sentii la testa girare, mentre il mondo intorno a noi scompariva.

Finalmente ero felice. Ma nella semiombra di quello sgabuzzino, con gli occhi chiusi per non perdere neanche la più piccola sensazione che quel bacio mi stava donando, non notai l’ombra che era scesa nel piccolo stanzino, e che non avrebbe fatto altro che portare seri guai.

 

Entrai nel laboratorio di informatica trafelata. Non mi ero ancora ripresa del tutto dal bacio, e probabilmente avevo ancora le guancie rosse.

Camminai lungo le file di banchi, raggiungendo il mio computer. L’ora di giornalino era una delle poche che mi consentivano di saltare le lezioni.

“Ehi Bella, stai male? Non è che ti sei presa la febbre? Sei tutta rossa…” Commentò Angela, evidentemente preoccupata. Scossi la testa, sorridendo.

Avevo deciso: avrei raccontato ogni cosa ad Angela, non meritava tutti questi misteri.

Entrai nel sito di chat, e le mandai un messaggio: ‘Dopo ti devo raccontare una cosa.’

Angela annuì, sebbene fosse all’oscuro di tutto, sembrava essere già a conoscenza di cosa le avrei parlato.

Verso la fine dell’ora entrò in aula Kelly. Aveva deciso di entrare anche lei nel gruppo del giornalino, ma ovviamente non seguiva quasi mai le nostre riunioni. La sua unica fortuna era che a dirigere il giornalino era la capo cheerleader Jessica Stanley, una delle sue amiche. A volte mi stupivo di quanto fosse influente Jessica, e soprattutto trovavo strano che una come lei fosse la direttrice di un giornale, ma del resto l’argomento principale del nostro settimanale erano i pettegolezzi, e lei nella nostra scuola ne era la regina.

Sbuffai. Kelly si diresse verso Jessica, lanciandomi un sorrisino. Non lo interpretai subito, ma del resto non mi interessava molto sapere cosa aveva fatto quella piccola serpe.

La vidi confabulare con Jessica al computer principale, mentre osservavano delle fotografie. Immaginai fossero quelle della festa di Tyler della sera precedente.

Quando uscii dalla classe decisi di andare con Angela a prendere un gelato, visto che le lezioni erano finite da un bel pezzo.

Durante la strada le raccontai del mio innamoramento per Edward Cullen, dei nostri incontri segreti e del nostro primo bacio, di poche ore prima.

Angela non diede giudizi, ed ascoltò in silenzio tutta la storia.

“Confesso che avevo capito che c’era qualcosa sotto… Ma ho sempre preferito non chiederti niente, perché sapevo che se avessi voluto parlarne avresti iniziato te il discorso.” Ammise Angela, mentre tornavamo a casa.

L’abbracciai forte. Era una vera amica.

Quella sera mi addormentai felice, ripensando al bacio di Edward, ma senza sapere che il giorno dopo nulla sarebbe andato bene.

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Capitolo 5
*** Giù La Maschera ***


 Storia Di Un Amore

 

Capitolo Cinque: Giù La Maschera

Quella mattina mi risvegliai con un brutto presentimento. Il cielo era coperto da fitti nuvoloni neri, ma nonostante tutto la pioggia non aveva ancora dato segni di voler scendere. La popolazione di Forks tirò un sospiro di sollievo quando le previsioni meteorologiche annunciarono un bel temporale, che avrebbe finalmente colmato la grave siccità di quel mese. Tuttavia in città si poteva benissimo avvertire una grande afa.

Uscii di casa con il sorriso sulle labbra, scacciando i brutti pensieri. Il giorno prima finalmente tra me ed Edward c’era stata una grande svolta: ci eravamo scambiati il nostro primo bacio. Un brivido di eccitazione mi percorse al solo ricordo delle sue labbra morbide sulle mie.

Per strada incontrai Angela, e insieme ci dirigemmo verso la scuola. Quel pomeriggio si sarebbe tenuta la finale di baseball, e già da dietro l’angolo riuscivo ad avvertire i canti d’incitamento delle cheerleader. Infatti davanti all’entrata principale tutto il gruppo si stava esibendo in complicate acrobazie, attorniando alcuni giocatori, tra cui Jacob Black. Di Edward invece nessuna traccia: probabilmente non era ancora arrivato per evitare di essere accerchiato dai fans. Molti ragazzi avevano già tra le mani il nuovo numero del giornalino, e sbuffai. Chissà quale altro falso pettegolezzo aveva deciso di rendere pubblico Jessica, pur di attirare più gente possibile a leggere i suoi articoli.

“Non è fissata per dopodomani l’uscita del giornalino?” Mi chiese Angela, aggrottando la sopracciglia. In effetti aveva ragione, non avevamo nemmeno finito di correggere tutti gli articoli!

“Probabilmente avrà scoperto qualche cosa e l’avrà messa in una pagina tutta sua...” Borbottai. Ma... un momento. E se avesse scoperto di me ed Edward?! Scossi il capo. No, è impossibile.

Iniziammo a camminare sull’erba verde, dirigendoci verso il mucchio di ragazzi. Jessica Stanley si alzò in piedi su uno dei tavoli da picnic del cortile, con un megafono tra le mani. Alcune ragazze sistemarono alle sue spalle un grosso cartellone con il logo della scuola.

“Ragazzi, guardate, è arrivata Isabella Swan!” Urlò con la sua voce stridula. Mi immobilizzai all’istante, avvampando quando tutti gli sguardi dei presenti si puntarono su di me. Molti ragazzi iniziarono a confabulare.

“Bella, coraggio, vieni qui!” Mi disse Jessica, con un sorriso mellifluo dipinto sul suo viso. Alcuni ragazzi mi vennero alle spalle, dandomi alcune leggere spinte e facendomi avanzare verso il gruppo delle cheerleader.

“Bella!” Gridò Angela, sconvolta. Cosa sta succedendo?!

Quando arrivai davanti al tavolo che Jessica usava da piedistallo rimasi intimorita dagli sguardi pieni di astio del gruppo delle cheerleader.

“Non hai niente da dire a tutti noi?” Mi chiese una di loro, Lauren.

“N-Non credo...” Borbottai, spiazzata da quella domanda così strana.

Kelly apparve alle sue spalle, sorridendo trionfante.

“Avanti, Bella, perché non riveli a tutti quanti cosa è successo ieri pomeriggio?” Urlò, facendosi sentire da tutti. Sgranai gli occhi. Non si starà riferendo a...

“Dovete sapere ragazzi che la nostra Isabella anche se finge di essere una ragazza tranquilla e silenziosa in realtà è l’esatto contrario...” Iniziò Jessica, rivolgendosi a tutti i ragazzi attorno a lei. Jacob uscì dalle file dei suoi compagni, venendomi vicino.

“Cosa stai blaterando Jess?!” Sbottò, infuriato. Mi guardò preoccupato. Probabilmente sono diventata più pallida di come lo sono normalmente.

“Voleva far credere di non avere alcun interesse verso i ragazzi, ma la verità è un’altra...” Continuò l’oca, imperterrita.

“Bella, di cosa sta parlando?!” Mi chiese Jacob, iniziando a innervosirsi. Rimasi immobile, pronta a sprofondare sottoterra.

“Che sta succedendo?!” Esclamò, seccata, la ‘sua’ voce. Alzai di poco lo sguardo, incontrando i suoi occhi verdi che mi osservavano preoccupati. Si trovava proprio al fianco di Jake. Perché doveva arrivare proprio in quel momento?!

“Edward!” Trillò, Jessica, soddisfatta. Doveva aver organizzato tutto nei minimi particolari.

“Isabella?” Chiese Edward, osservandomi con aria di sufficienza come quando eravamo in mezzo alla gente.

“Oh, andiamo Edward, è inutile che continui a fingere. Ormai abbiamo scoperto tutto!” Esclamò, melliflua. Edward si irrigidì, cercando nonostante tutto di fingere indifferenza.

“Non capisco di cosa tu stia parlando.” Ribatté, secco.

“Non fare il finto tonto. Sappiamo benissimo che te e Isabella avete una storia!” Urlò. Tutti i ragazzi intorno a noi rilasciarono alcuni urletti di sorpresa. No, no, no!

Jacob alternò lo sguardo costernato tra me e il suo migliore amico.

“Non dire stupidaggini Jess.” Sghignazzò Edward, più teso di un elastico sul punto di spezzarsi.

“Allora come lo spieghi questo?” Si spostò all’estremità del tavolo, mentre Kelly e un’altra ragazza tolsero il cartellone con il logo della scuola che era alle sue spalle. Al suo posto fece la sua comparsa una foto. Una grande foto. Sentii la folla alle mie spalle sussultare e iniziare a confabulare. Jacob fece un passo indietro. Edward abbandonò la sua espressione fredda e distaccata, sostituita da una sorpresa e terrorizzata. Ed io sentii il mondo crollarmi addosso.

“Cosa... cosa significa?” Chiese con vece tremante Jacob, voltandosi verso il suo migliore amico e lanciandomi un’occhiata di sottecchi.

I miei occhi rimasero puntati sulla fotografia ingrandita. Una foto che riprendeva me ed Edward nello sgabuzzino, mentre ci baciavamo. Repressi a stento l’impulso di gettarmi a terra in ginocchio, in lacrime.

“Cosa significa?!” Urlò Jacob, afferrando Edward per il colletto della camicia. Rimase in silenzio. Poi il suono di un pugno. Mi voltai terrorizzata. Edward era a terra in ginocchio, con la guancia arrossata.

“Mi dispiace.” Sussurrò Edward, con lo sguardo basso.

“Addio Edward.” Ribatté Jacob, e seguito dal resto della squadra si diresse verso l’ingresso. La campanella suonò proprio in quel momento, e gli spettatori se ne andarono poco alla volta e rimasi sola, con Edward a pochi metri da me. Il cartellone che riprendeva il nostro bacio era sparito, con il gruppo delle cheerleader.

“Edward, io...” Mormorai, avvicinandomi a lui che si stava rialzando.

“No, è stato tutto un errore. Spero solo che la tua matrigna non venga a sapere niente. Scusami.” Disse velocemente, ferendomi. Si diresse verso l’ingresso.

“Cosa significa che è stato tutto un errore?!” Urlai, sentendo il mio cuore andare in frantumi.

“Che non possiamo stare insieme.” Ribatté, freddo, voltandosi verso di me. “Per colpa di ‘questo’ - sottolineò, quasi con disprezzo - ho perso il mio migliore amico e tutta la scuola non farà altro che parlarmi dietro.”

“Quindi è di questo che ti preoccupi solamente?!” Strillai, con voce incrinata. Non mi rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo. “Quindi... non ti importa di me...?” Singhiozzai, sentendo un nodo alla gola.

Nemmeno questa volta, però, ebbi una risposta. “Ho capito.” Mormorai, affranta, e corsi dentro la scuola.

“Aspetta Bella!” Urlò, ma a quel punto ero già dentro.

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Capitolo 6
*** La Scelta ***


Storia Di Un Amore 

Capitolo Sei:La Scelta

Gli sguardi curiosi degli studenti mi stavano infastidendo, ma quel mattino non avrei sprecato fiato né mi sarei voltata a rivolgergli un’occhiataccia. Perché sapevo che in fondo mi meritavo quella penitenza. Ero stata una sciocca a credere che per me ed Edward ci sarebbe stato un futuro. Non eravamo fatti per stare insieme. Lui bello e popolare; io sciocca e al fondo della catena alimentare della scuola. Era troppo per me. Angela mi camminava affianco, rimproverando chi si fermava a fissarmi. Per il corridoio incontrammo anche Jessica Stanley, che ovviamente colse l’occasione per rinfacciarmi il fatto che Edward aveva chiaramente scelto di non continuare a frequentarmi.

“Mi dispiace che Jacob sia esploso così...” Mormorò Angela, mentre uscivamo dalla classe.

“Non riesco a capire per quale motivo però abbia reagito in quel modo...” Commentai, ricordando perfettamente il suo volto sfigurato dalla rabbia e l'indignazione. Cosa gli poteva importare a lui se io ed Edward ci frequentavamo? Potevo capire che era deluso dal fatto che il suo migliore amico abbia mantenuto per sé un segreto, ma non era il caso di reagire così!

Angela sospirò, attirando la mia attenzione. “Bella, possibile che non l'hai ancora capito?”

La osservai con le sopracciglia aggrottate. “A cosa ti riferisci?”

“Jacob è innamorato di te. Per questo Edward era restio a raccontargli di voi.”

Spalancai la bocca, esterrefatta. Non ci credevo.

“Pensi che sia davvero così?”

“Bella, lo sanno tutti che Jacob è cotto di te da quando siete bambini. Tutte le volte che Edward diceva di non voler farsi vedere in giro con te era per evitare che lo scoprisse come è successo oggi. Probabilmente aspettava l'occasione migliore per potergli parlare senza scatenare così la sua ira.”

Abbassai lo sguardo, triste. “Non l'avevo capito...”

Tutte le volte che Edward giurava di riuscire a dire a Jacob che aveva intenzione di lasciare la squadra di baseball quindi intendeva anche dire che doveva trovare il coraggio di dirgli che usciva con me... Ero stata una sciocca a non capirlo prima.

“Comunque adesso Edward non mi vuole più vedere...” Mormorai con voce tremula.

“È colpa di Jacob. È stato costretto a scegliere fra te e lui...” Sussurrò tristemente la mia amica. Repressi un singhiozzo.

“Coraggio Bella, andrà tutto bene...” Mi posò una mano sulla spalla, in un gesto di conforto. Proprio in quel momento lo vidi. Edward. Era solo, e camminava lungo il corridoio, circondato da sguardi curiosi. Era impassibile. Mi passò accanto, ignorandomi. Sentii il cuore stretto in un'orribile morsa.

Non era giusto.

“Vieni Bella, andiamo in bagno...” Sussurrò Angela, mentre calde lacrime salate scendevano lungo il mio viso.

 

Edward's PoV

Non era giusto, ma dovevo fare la mia scelta, sebbene ne soffrissi.

Osservai di sottecchi Bella, che appena mi vide si strinse contro l'armadietto, ansiosa. Ero un mostro.

Le passai accanto, ignorandola – mio malgrado – e dirigendomi con passo felpato verso la palestra. Sapevo che Jacob era lì.

Quando spalancai la porta ritrovandomi all'interno della struttura infatti il passaggio che portava al cortile della palestra era aperto. Presi un profondo respiro, mentre il rumore dello spara palline rimbombava nella sala. Quando fui all'aperto trovai Jacob intento a colpire con la sua mazza da baseball tutte le palline che la macchina gli lanciava contro.

“Vattene.” Sputò, senza nemmeno girarsi.

“No. Ho bisogno di parlarti.” Sbottai, avvicinandomi a lui.

“E per dirmi cosa? Altre bugie?!” Ribatté, colpendo con maggiore forza un'altra palla.

“No! Voglio spiegarti i motivi per cui non ti ho mai detto niente!” Urlai, sempre più infuriato.

“Non mi interessano. Tu sai benissimo cosa provo per Bella da parecchi anni, eppure non mi hai mai detto di essere nella mia stessa situazione e il giorno in cui ti chiesi se anche a te piaceva mi hai chiaramente risposto di no!”

“L'ho fatto per te, possibile che non lo capisci?!” Urlai ancora. “È vero, ti ho mentito e avrei dovuto parlarti fin dall'inizio di lei, ma non ho mai trovato il coraggio perché sapevo che avresti reagito male!” Tuttavia mi sentivo ancora estremamente in colpa. Era successo tutto per colpa mia, lo sapevo bene.

“È vero, forse mi sarei un po' arrabbiato, ma visto che eri mio amico avrei accettato di averti anche come rivale!” La palla che colpì finì oltre il recinto. Ormai tutti colpi della macchina erano terminati, ed essa si spense con un rumore sordo, facendoci catapultare nel silenzio totale.

“Tu... la ami?” Mi chiese, cogliendomi di sorpresa. Il suo tono era tranquillo, anche se nascondeva un tormento. Arrossii, sospirando.

“Non ha più importanza ormai. A me interessa solo che la nostra amicizia non finisca.”

“Cosa significa? L'hai lasciata?!” I suoi occhi scuri si scontrarono con i miei.

“Non voglio litigare con te per amore.” Dissi, con tono fermo. Jacob mi corse vicino, scuotendomi per le spalle.

“Sei un idiota!” Urlò. “Perché l'hai fatto?!”

“Ma... tu...” Provai a ribattere ma mi scosse con maggior forza.

“Sei uno stupido! Bella vuole te! Sono anni che cerco di uscire con lei ma non sono mai riuscito nel mio intento, tu invece che sei riuscito a farla innamorare la fai soffrire così?!” Sgranai gli occhi. Non ci capivo più niente.

“Ma tu vuoi o non vuoi che io stia con Bella?”

“Certo che non voglio, ma allo stesso tempo non voglio nemmeno che voi due soffriate per colpa mia!” Esclamò, lasciandomi le spalle.

Scossi il capo. “Sicuro che non ti farà male vederci insieme?”

“Forse all'inizio un po'... Però tu mi devi promettere che non la farai mai più soffrire, d'accordo?”

“Certo.” Sorrisi. Jacob sì che era un vero amico.

“Ora corri da lei e scusati, idiota.” Sghignazzò, nascondendo la tristezza, e tirandomi una possente pacca sulla schiena.

“Grazie Jake.” Sorrisi amaramente, sentendomi in colpa. “Prima però... c'è un'altra cosa di cui devo parlarti...” Ammisi, mentre i suoi occhi mi squadravano preoccupati.

“Di cosa si tratta...?”

“Ho deciso di iscrivermi alla Julliard... Quindi non verrò a Chicago e non giocherò nella squadra di baseball nazionale...” Mormorai, tenendo lo sguardo basso.

Sentii un sospiro che mi fece alzare il capo. “Lo sapevo sai?” Sorrise Jacob sebbene i suoi occhi fossero spenti.

“Come facevi a...” Iniziai a chiedergli, ma quando alzò gli occhi al cielo mi zittii.

“Edward, è risaputo che sei un fenomeno con il pianoforte, quindi è naturale che tu abbia scelto di iscriverti in una scuola che ti permetta di perfezionarti...” Disse con aria saccente.

“Davvero lo avevi capito? Ma allora perché continuavi a immaginarci al college insieme?” Chiesi non capendo.

“Perché speravo che così facendo ti spronassi a dirmi quello che avevi deciso di fare una volta preso il diploma, ma a quanto pare ho ottenuto solo l'effetto contrario...” Si passò una mano fra i corti capelli neri.

“Mi dispiace.” Mormorai, veramente dispiaciuto.

“Tranquillo, piuttosto, corri subito da Bella! Conoscendola a quest'ora sarà distrutta...” Mi riscossi quando nominò Isabella. Aveva ragione Jacob, mi ero comportato in modo terribile con lei quella mattina...

Annuii, voltandomi verso la porta lasciata spalancata per ritornare in palestra.

“Ah, Edward?” Mi chiamò il mio migliore amico, facendomi voltare. “So che non hai più voglia di giocare a baseball, ma potresti entrare in gioco almeno per un inning?” Mi chiese sorridendo amaramente. Non potevo rifiutare. Non dopo che aveva accettato tutti i cambiamenti e le bugie a cui avevo sottoposto la nostra amicizia. E poi anche per la mia promessa...

“Ci sarò.”

 

Bella PoV

“Bella, vieni alla partita?” Mi chiese Angela, mentre ritiravo le ultime cose nella cartella. Sentii una morsa al petto.

“Non so...” Mormorai.

“Vieni, ti prego. Sono sicura che non è come pensi te.” Mi disse la mia amica, mentre uscivamo dalla classe.

“Cosa te lo fa credere?” Sorrisi amaramente.

“Il fatto che per tutto il giorno abbia cercato di parlarti. Se non fossi scappata ogni volta sono sicura che a quest'ora saresti felice e non vedresti l'ora di vederlo giocare nella sua ultima partita.”

“Scusami Angela, ma non ce la faccio proprio a venire a vederlo...” Sussurrai, abbassando lo sguardo.

“Va bene, vuoi che venga con te a fare un giro?” Mi chiese, dolcemente.

“No, grazie. Preferisco restare sola...”

Appena uscimmo dalla classe ci separammo. I corridoi erano già vuoti poiché tutti gli studenti erano accorsi all'evento dell'anno: la finale di baseball.

Raggiunsi l'ingresso. Edward era riuscito a farmi provare ogni singola emozione in quell’ultimo periodo: amore, gioia, malinconia, tristezza, ira...

Sentii il forte bisogno di vederlo, almeno un'ultima volta per quel giorno. Sarei potuta andare alla partita, così sarei stata certa che non mi avrebbe potuto parlare. Sì, mi sarebbe bastato vederlo dall'ingresso degli spalti per alcuni secondi, poi sarei anche potuta andarmene.

Corsi verso il campo da baseball, da cui arrivavano chiari i canti da stadio e il suono delle trombe e dei tamburi d'incitamento. Quando arrivai quasi in cima alle scale che portavano allo stadio mi fermai, per riprendere fiato. La partita era già incominciata da alcuni minuti. Presi un profondo respiro e salii fino in cima. Gli spalti erano stracolmi di studenti, e il campo – vicinissimo – brulicava di giocatori. Rimasi nascosta vicino alla parete del corridoio, scrutando ogni singolo giocatore. Finalmente lo riconobbi. Non portava la divisa come tutti gli altri ragazzi, aveva solo indossato la giacchetta della squadra sopra alla camicia. Forse si era deciso a dire a tutti che non aveva voglia di giocare...

Era il lanciatore. Davanti a lui c'era un ragazzo dell'altra squadra, che con un tiro potentissimo mandò la palla che Edward gli aveva lanciato dall'altra parte del campo. Il battitore cambiò, ed Edward prima di lanciare fece vagare il suo sguardo sugli spalti. Inconsciamente mi ritrovai a sperare che fossi io la persona che stesse cercando. Sussultai quando i suoi occhi incontrarono i miei, a una decina di metri da lui.

Boccheggiai, mentre la respirazione si era fermata. Distolse lo sguardo, concentrandosi per lanciare. Basta. Mi doveva bastare. Senza aspettare il suo lancio scesi le scale, precipitandomi fuori dallo stadio, e lontano da lui.

I miei piedi percorsero tutta la strada fino a casa, fino a quando non mi richiusi la porta alle spalle.

“Isabella?!” Mi chiamò scioccata Jennifer, comparendo dal salone in accappatoio. Non volevo sapere per quale motivo era conciata in quel modo così...provocante? “Cosa ci fai qui?! Non dovresti essere alla partita?!”

Non le risposi, e la sorpassai per salire le scale e raggiungere la mia camera. Appena mi fui richiusa la porta alle spalle aprii l'armadio, estraendo la valigia e iniziando a riempirla con tutti i vestiti che riuscivo ad afferrare. Ero stufa di quella città. L'unica persona che probabilmente avrebbe sofferto della mia scelta di andarmene da Forks sarebbe stata Angela, che d'altra parte – insieme ad Edward – aveva rappresentato la mia unica ragione di permanenza in quel posto. Richiusi con uno strattone la zip del borsone e me lo issai in spalla. Non lanciai nemmeno un'ultima occhiata alla stanza prima di uscire da quella prigione. Quando tornai al piano terra Jennifer mi lanciò un'occhiataccia.

“Dove credi di andare con quel borsone?!” Sbraitò, ponendosi difronte alla porta.

“Dalla sorella di mia madre.” Calcai con estrema energia sulla parola madre.

“Non puoi.” Commentò Jennifer, incrociando le braccia al petto.

“Oh, sì che posso! Mi ha chiesto proprio lei di andarmene da qui! È da quando papà ci ha lasciati che insiste affinché mi trasferisca, e penso sia giunto il momento di accettare la sua offerta.” Ribattei, seria come non mai.

“Non hai abbastanza soldi per prendere nemmeno un biglietto del pullman, figurati dell'aereo! Jacksonville ti ricordo che è dall'altra parte degli Stati Uniti, Isabella.” Ghignò, muovendo le sue labbra pitturate di rosso.

“Ho lavorato abbastanza nel negozio dei Newton da riuscire a permettermi un biglietto, non ti preoccupare.” Ringhiai, avvicinandomi a lei. “Ora lasciami passare.”

Nei suoi occhi lessi qualcosa di strano. Terrore?

“Bella, io...” Sussultai. Mai mi aveva chiamata così. Il suono del telefono però ci riscosse entrambe.

“Per favore, aspetta. Ne riparliamo dopo, va bene?” Mi chiese, muovendo un passo verso il salone, dove era posizionato il telefono. Rimasi immobile, ma appena la sua mano fu sulla cornetta e la porta senza ostacoli, uscii dalla casa con una corsa. Il cielo era splendente, e rimasi per un attimo abbagliata dai forti raggi solari. Chiusi gli occhi, con l'intenzione di non fermarmi nemmeno per un momento, ma qualcosa contro cui sbattei mi costrinse ad aggrapparmi ad esso per non cadere all'indietro. Due mani mi afferrarono per le spalle, impedendomi di rovinare a terra. Inconsciamente sperai che fossero quelle di...

“Bella?” Mi chiamò una voce morbida. Aprii gli occhi, scioccata.

“Mi-Mi scusi dottor Cullen, non volevo...” Mormorai, allontanandomi da lui di alcuni passi. Non riuscivo ad incontrare i suoi occhi, troppo legati a quelli di Edward. “Devo andare...” Borbottai, per poi scappare via.

Raggiunsi il bordo della strada, in attesa del taxi che prima di uscire dalla mia stanza mi ero premurata di chiamare. Fortunatamente non dovetti attendere molto, e un'auto bianca con l'insegna 'taxi' apparve da dietro un angolo. Appena si fermò davanti a me non feci in tempo ad aprire la portiera che un'altra voce giunse alle mie orecchie.

“Bella!” Non mi voltai a guardare il nuovo arrivato, ma mi limitai ad aprire lo sportello dell'auto e a buttare dentro il borsone.

Una mano afferrò il mio braccio, proprio mentre mi accingevo ad entrare nell'abitacolo. “Cosa stai facendo?!” Sbraitò tormentata la 'sua' voce.

“Lasciami!” Urlai, strattonando con forza l'arto che mi teneva ferma.

“Solo se mi dici dove stai andando!” Questa volta mi girai, incontrando due occhi verdi.

“Via! Sto andando via, contento?!” Confessai, con voce stridula. Distogliendo lo sguardo da quegli occhi così profondi.

“Non puoi andartene!” Mi sgridò, avvicinandosi di più a me. Sussultai per quella vicinanza. “Io non...”

“Isabella Marie Swan, torna subito qui!” La voce di Jennifer si faceva sempre più vicina, e dalla porta di casa comparve la sua chioma bionda, sotto lo sguardo esterrefatto di Carisle Cullen, il padre di Edward, che solo in quel momento sembrò notare la presenza del figlio.

“Edward? Cosa ci fai qui?” Gridò il dottore per cercare di farsi sentire e venendo verso di noi.

“Oh no...” Sentii mormorare Edward, prima che in agitazione tentasse di spingermi dentro l'auto.

“Cosa...?” Tentai di chiedergli, senza successo.

“Sali, ti prego, sbrigati!” Mi esortò, e subito salimmo insieme a bordo dell'auto, mentre i nostri due famigliari si stavano avvicinando.

“Parta!” Incitò all'autista, che così fece, facendo sfrecciare l'auto sull'asfalto, diretto all'aeroporto.

“Cosa sta succedendo?” Sussurrai, sconvolta dalla piega che stavano prendendo gli avvenimenti.

“Mio padre mi ha chiesto di partecipare almeno a quest'ultima partita, e non so come ha preso questa mia assenza sul campo...” Mormorò Edward, incupendosi.

“Dovevi continuare a giocare...” Sussurrai, abbassando lo sguardo sulle mie mani che si contorcevano.

“Quando ho visto che te ne stavi andando sono corso qui...” Ammise, distogliendo lo sguardo e concentrandosi sul paesaggio che sfrecciava intorno a noi.

“Non dovevi...” Dissi sempre sottovoce, timorosa che mi sentisse.

“Ora spiegami cosa stai combinando con questo borsone.” Alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi verdi che mi osservavano ardenti.

“Io...”

“Non avrai intenzione di scappare, vero?!” Sbraitò, avvicinando il suo viso al mio.

“Io non... non...” Singhiozzai, mentre sentivo il petto premuto in una morsa che mi mozzava il fiato. “Non posso continuare a vivere qui... non così... non...”

Le sue braccia mi strinsero a sé, mentre una mano si intrufolò nei miei capelli, adagiando il mio capo sulla sua spalla.

“Scusami.” Sussurrò vicino al mio orecchio, mentre tentavo di soffocare i singhiozzi. “Sono stato uno sciocco questa mattina. Non voglio che te ne vada...”

Sgranai gli occhi. Cosa stava dicendo?

“Ma tu non... E Jacob?” Mormorai, confusa.

“Abbiamo parlato e risolto questa mattina...”

Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto così caldo e protettivo per non so quanto tempo. Ma...

Feci una leggera pressione con le braccia contro il suo petto, allontanandolo.

“Cosa c'è?” Mi chiese, confuso dal mio gesto.

“Non posso...” Sussurrai. In quel momento il taxi si fermò davanti le porte del piccolo aeroporto di Port Angeles. Presi alcune banconote dalla mazzetta di dollari che tenevo in tasca e le allungai al tassista, evitando lo sguardo disorientato di Edward. Afferrai il borsone e scesi dall'auto.

“Perché vuoi scappare?” Mi chiese, raggiungendomi mentre percorrevo con passi svelti l'atrio.

“Non sono fatti che ti riguardano.” Sbottai, acida, arrivando a pochi passi dal bancone delle vendite di biglietti.

“Sì che mi riguardano, accidenti!” Urlò, afferrandomi per un braccio e strattonandomi per farmi fermare. Rimasi voltata verso il bancone, cercando di trattenere le lacrime.

“Ti prego, parlami. Dimmi perché te ne vuoi andare, se posso fare qualcosa per farti cambiare idea...” Mi implorò con voce incrinata.

“Non c'è niente che tu possa fare...” Mormorai, affranta.

“Manca poco più di un mese al diploma... Se è perché non vuoi più vedermi nemmeno a scuola, farò del mio meglio per rendermi invisibile ai tuoi occhi, non...”

Singhiozzai.

“Bella, io non...”

“Zitto.” Sussurrai, trattenendomi dall'urlare. “Possibile che non capisci?”

Mi voltai lentamente, con gli occhi arrossati. Edward sembrava sconvolto, e la bocca era dischiusa.

“Non è per colpa tua che voglio andarmene.” Singhiozzai, sentendo il corpo scosso dai tremiti.

“Ma allora...” Scossi il capo, facendo colare sulle guance alcune lacrime.

“Sono stufa di dovermi nascondere Edward. Sono stanca di essere trattata come una schiava da quella che dovrebbe essere come una madre per me, e di essere lo zimbello di tutti. Non riesco ad avere una vita mia in questa città da quando mio padre è morto, e temo che continuando così non la avrò mai. L'unica ragione per cui finora sono rimasta qui eri tu... ma adesso...” Mi interruppi, singhiozzando. Strinsi i pugni, mentre le parole mi uscivano come un fiume in piena. “Adesso non ho più ragione di restare qui. Praticamente non ho nemmeno un posto che potrei chiamare casa... Perché dovrei...?”

Due braccia mi avvolsero, mentre accompagnavano il borsone a terra, liberandomi dal suo peso ingombrante. Il mio viso si nascose contro una camicia bianca, inzuppandola di lacrime e stropicciandola dove i pugni si stringevano in morse stritolanti.

“Non voglio che te ne vada...” Disse con voce tormentata, stringendomi di più a lui. “Non posso stare senza di te...”

Il mio cuore perse qualche battito, per poi iniziare a battere all'impazzata.

“Ma tu... tu mi odi...” Mormorai, sentendomi presa in giro. Quella mattina non sembrava tanto felice di avermi accanto...

Si allontanò da me tanto da potermi guardare negli occhi, lasciando le mie mani strette alla camicia all'altezza del suo petto, e le sue sulle mie spalle. Mi osservava... adirato?

“Cosa stai dicendo?” Mi chiese. “Sei impazzita? Da quando ti dovrei odiare?”

“Ma questa mattina... davanti la scuola...” Sussurrai, timorosa.

“Ero solo confuso, Bella.” Esclamò, esasperato, alzando gli occhi al cielo. “Con tutto il trambusto che c'è stato mi sembra naturale...”

“Quindi non mi odi?” Gli chiesi, sul punto di credergli.

“Certo che no.” Edward mi sorrise dolcemente. Arrossii. Mi accarezzò una guancia, delicatamente, cancellando la scia di una lacrima.

“Edward, io...” Iniziai, trovando improvvisamente il coraggio per aprirgli il mio cuore, ma una voce mi fece sussultare.

“Isabella! Cosa credi di fare qui in aeroporto?!” Mi voltai verso Jennifer, che avanzava velocemente – per quanto i suoi tacchi vertiginosi le permettessero – verso me ed Edward, che aveva fatto scivolare la sua mano dalla mia guancia al braccio, per stringermi di nuovo a lui.

“Jennifer?” Balbettai, stringendomi al fianco di Edward, che improvvisamente si irrigidì.

“Papà...?” Sgranò gli occhi quando vide il dottor Cullen a poca distanza dalla mia matrigna arrivare verso di noi.

Feci un passo indietro, senza lasciare Edward, inciampando nel borsone. Le braccia del mio 'amico' mi salvarono da una brutta caduta, facendomi tornare a pochi centimetri dal suo viso. Arrossii, dimenticandomi per alcuni secondi del 'pericolo' che incombeva su di noi.

Tuttavia mi riscossi non appena il rumore dei tacchi che sbattevano sul pavimento si fece molto, molto vicino. Rimasi aggrappata alla camicia di Edward, voltandomi verso Jennifer, che si fermò ad appena due metri da noi.

“Smettila di comportarti come una bambina, e torna subito a casa!” Mi ordinò la mia matrigna, portandosi le mani ai fianchi.

“Edward.” Carlisle si mise al fianco di Jennifer, guardando preoccupato suo figlio. “Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?” Chiese, pacato.

“Dottor Cullen, la prego: resti fuori da questa faccenda, è una cosa che riguarda me e mia figlia.” Sbottò la donna.

“Non sono tua figlia!” Urlai, stringendo i pugni e cercando di fare un passo verso di lei, tentando di districarmi dalle braccia di Edward che mi tenevano stretta a lui. “Dimmi quando mi hai anche solo lontanamente trattato come una figlia! Mi hai sempre e solo sfruttato come una schiava! Io non merito un simile trattamento! Non da te! Non dalla donna che ha gioito quando mio padre è morto!”

Jennifer si immobilizzò, mentre Edward e suo padre si voltarono a guardarla allibiti.

“Io amavo tuo padre...” Mormorò, abbassando lo sguardo.

“Certo,” Sbottai, acida, “amavi il fatto che fosse ricco...”

“Non è vero!” Ribatté, risentita.

Rimasi in silenzio, osservandola con aria di sfida.

“Vuoi sapere per quale mi comporto così con te?!” Iniziò, facendo un passo avanti. “Semplicemente perché sono gelosa. Lo sono sempre stata se proprio vuoi saperlo! Tuo padre ti ha sempre messo davanti a tutto! Persino di me e del suo lavoro! Sai per quale motivo mi ha sposata? Perché sperava che tu potessi riprendere una vita normale dopo la morte di tua madre, senza che ti dovessi preoccupare per la casa e tutto il resto! E c'è un'altra cosa che non ti ha mai detto nessuno: è morto in un incidente stradale, non perché aveva ricevuto una chiamata dalla centrale, ma perché aveva deciso di farti una sorpresa per il tuo compleanno: voleva venire a prenderti dopo scuola e portarti a Jacksonville dai tuoi nonni e zii perché sa quanto ti mancano!” Jennifer prese un profondo respiro, mentre io cercavo di immagazzinare tutte le informazioni. “Sei soddisfatta ora?”

Quindi... mio padre è morto a causa mia...

Sentii le gambe molli. Le braccia di Edward mi sostennero, facendomi appoggiare al suo fianco, con il capo sulla spalla.

“Bella?!” La sua voce allarmata mi arrivava ovattata.

“Dobbiamo stenderla... Portiamola in macchina...” Questa doveva essere la voce del dottor Cullen... Chiusi gli occhi, del resto la vista era offuscata. Due braccia – quelle di Edward, supposi, dato che non mi ero ancora staccata da lui – mi sollevarono da terra, iniziando a trasportarmi in mezzo alla gente. Capii che eravamo di nuovo all'aperto quando avvertii la differenza di temperatura da fresca – per via dell'aria condizionata presente in aeroporto – ad afosa, tipica di quell'ultimo periodo.

Dopo circa un minuto di cammino sentii il rumore di una portiera aprirsi, e subito dopo il soffice contatto con il sedile di un'auto. La mia testa venne appoggiata su qualcosa, lasciando le gambe semidistese. Quando il motore dell'auto prese vita aprii lentamente gli occhi. Avevo il capo poggiato sulle gambe di Edward, che fissava ansioso fuori dal finestrino. Ruotai gli occhi, incontrando la figura di Jennifer. Le informazioni di poco prima tornarono alla memoria e questa volta chiusi gli occhi, perdendomi nell'oblio.

 

Mi rivoltai nel letto, senza riconoscere il materasso – troppo morbido per essere il mio. Non avevo ancora riaperto gli occhi ma la valanga di parole che Jennifer mi aveva rivolto il pomeriggio prima tornarono violente a farmi sussultare e tremare.

Singhiozzai, nascondendo il volto nel cuscino che aveva un profumo particolare.

Un tocco delicato alla spalla mi fece urlare per lo spavento.

“Shh... Bella, sono io...” Sussurrò una voce alle mie spalle. La riconobbi subito, e mi voltai tremante.

“S-Scusa... i-io non sape-vo ci fosse qual-cuno qui...” Balbettai, incontrando i suoi occhi verdi.

Edward mi sorrise dolcemente. “Non ti preoccupare, mi dispiace di averti spaventata...”

Abbassai lo sguardo, arrossendo.

“Da quanto sei qui?” Chiesi, con voce un po' più ferma.

Lo vidi abbassare lo sguardo, grattandosi la nuca.

“Da un po'...” Mormorò, arrossendo. In quel momento lo trovai davvero adorabile. “Hai urlato quasi tutta la notte, non volevo lasciarti da sola...”

“Tutta la notte?” Balzai a sedere, guardandomi per la prima volta intorno. Non era la mia stanza: era bianca e spaziosa. Il letto in cui mi trovavo era da una piazza e mezzo, dalla parte opposta c'era un divano di pelle nera, e contro il muro c'erano degli scaffali strapieni di cd. Inoltre un'enorme finestra mostrava il fiume che scorreva poco distante dalla casa in cui ci trovavamo. A giudicare dal sole che splendeva alto nel cielo doveva essere mattina.

“Questa è...” Incominciai, guardando Edward, seduto su una sedia a fianco del letto.

“La mia stanza, sì.” Disse, sorridendomi amaramente. “Avrei preferito mostrartela in un'occasione migliore, ma è andata così...”

“Perché sono qui?” Gli chiesi, curiosa.

“Ieri sei svenuta, e dopo quello che è successo mio padre ha preferito portarti a casa nostra...”

Annuii, abbassando lo sguardo.

“Come ti senti adesso?” Mi domandò, tastandomi la fronte. Arrossii a quel contatto, soprattutto quando il viso si avvicinò al mio.

“B-Bene...” Mormorai, rimanendo incantata da quegli occhi così verdi e profondi in cui avrei potuto perdermi.

“Ieri sera avevi anche qualche linea di febbre ma per fortuna sembra essere tutto a posto ora.” Mi sorrise, allontanandosi e tornando a mettersi comodo sulla sedia.

Rimasi in silenzio, torturando con le mani un lembo di lenzuolo.

“Cosa pensi di fare adesso...?” Mi chiese a un certo punto, esitante. Sussultai.

“I-Io... non lo so...” Sussurrai.

“Hai ancora intenzione di scappare?” Mi chiese con tono duro, stringendo i denti.

“Non sto scappando!” Esclamai, offesa.

“A me invece sembra proprio che sì! Non è scappando che si risolvono i problemi, ne hai avuto la conferma ieri mattina stessa!” Intuii che si riferiva alla sua litigata con Jacob, tuttavia la mia ira permaneva.

“Cosa ne sai te di quello che ho dovuto passare in tutti questi anni?!” Urlai, alzandomi dal letto. “Tu non puoi sapere cosa si prova a perdere i propri genitori e ritrovarsi con una matrigna e una sorellastra che ti trattano come una schiava e una nullità!”

Mentre parlavo mi allontanavo dal letto, infilandomi le mie scarpe vicino alla porta della camera e afferrando il borsone.

“Aspetta Bella!” Urlò Edward, che si era alzato dalla sedia ed era corso al mio fianco. “Non te ne puoi andare!” Disse, stringendomi un braccio.

“Sì, invece, ed è proprio quello che sto facendo adesso!” Sbottai, e con uno strattone mi liberai della sua presa, correndo lungo un corridoio fino alle scale, che scesi sperando di trovare in fretta l'uscita.

Inconsciamente mi ritrovai a sperare che Edward mi corresse dietro per fermarmi e chiedermi di restare per lui, ma mentre scendevo le scale di quella casa bianca capii che non sarebbe stato così. Una grossa porta di legno nel piccolo atrio in cui mi trovai mi indusse a pensare che si trattava dell'ingresso, così abbassai la maniglia d'ottone, ritrovandomi finalmente all'esterno.

Scesi le scale fino a ritrovarmi sulla ghiaia bianca. Accidenti. La casa era circondata dagli alberi, e l'unica strada asfaltata era piccola e sembrava essere abbastanza lunga. Ma non potevo fermarmi, e poiché non conoscevo l'indirizzo della casa di Edward non potevo nemmeno chiamare un taxi per farmi venire a prendere... Così iniziai a correre – sebbene avessi già il fiatone – lungo la strada circondata dagli alberi.

“Bella!” Il mio cuore, che già galoppava per la corsa, perse un battito, e sentii le gambe improvvisamente molli, ma mi ripresi subito. Non dovevo fermarmi. La voce continuava a chiamarmi, e sapevo che presto sarebbe riuscito a raggiungermi. Dopotutto era pur sempre un giocatore di baseball...

“Fermati, ti prego!” Urlò Edward, guadagnando sempre più terreno verso di me.

“Vattene!” Gridai, cercando di non soffocare a causa del fiato corto. Non sentii più rumori, a parte quello dei miei piedi che premevano contro l'asfalto asciutto, così – senza arrestare la mia corsa sfrenata – voltai leggermente il capo da un lato, sbirciando alle mie spalle. Enorme errore.

Incespicai nei miei stessi piedi, ritrovandomi in un attimo a terra. Il bruciore dell'asfalto che stregava contro i polsi e le ginocchia si fece sentire presto, così come i passi veloci del mio inseguitore.

Non tentai nemmeno di alzarmi, e lasciai che le lacrime scorressero veloci sulle mie guance, disegnandone il profilo e scivolando copiose sull'asfalto, creando tante piccole macchie scure.

“Bella!” Edward si inginocchiò al mio fianco, tendendo le mani verso di me.

“Lasciami in pace... Ti prego...” Singhiozzai, ringraziando che alcuni capelli mi fossero volati davanti al viso, coprendolo un poco.

“Per favore, lascia che ti aiuti...” Sussurrò, posando una mano sulla mia schiena.

“Tu non mi capisci...” Sussurrai, facendo forza sugli avambracci per alzarmi – i polsi mi bruciavano incredibilmente. Tenni le mani con il palmo rivolto verso il basso, per evitare che Edward li notasse, ma ovviamente aveva già intuito tutto; infatti, con delicatezza, mi portò ad aprire le mani davanti a noi. Non era niente di troppo grave, solo una leggera sbucciatura da cui fuoriusciva un po' di sangue, ma alcuni pezzi di terriccio rischiavano di infettarla.

“Dobbiamo disinfettare...” Mormorò, senza alzare gli occhi per incontrare i miei.

“Lo farò in aeroporto...” Scrollai le spalle, liberandomi dalla sua delicata presa.

“Per favore, vieni a casa mia. Ti medicherò e se vorrai ti chiamerò un taxi per andare ovunque tu voglia...” Mi supplicò, con il tono intriso di dolore. Sentii dei brividi scuotermi quando incontrai i suoi occhi verde smeraldo. Perché volevo accettare la sua proposta? E per quale motivo nello stesso momento una vocina dentro di me mi suggeriva di andarmene prima che la situazione precipitasse?

“Va-Va bene...” Sussurrai, senza rompere il nostro contatto visivo che mi stava facendo provare una strana sensazione di sconvolgimento dentro lo stomaco, molto simile a quella provata la prima volta che ci eravamo incontrati e a quando ci eravamo... baciati nello sgabuzzino della scuola.

Solo quando notai il suo sorriso e i suoi occhi illuminarsi leggermente capii ciò che avevo appena fatto: gli stavo dando false speranze. Io non avevo alcuna intenzione di restare in quella città... o forse sì?

“Vieni...” Mi aiutò a rialzarmi, ma non appena fui dritta feci una smorfia: da seduta non avevo capito che anche le ginocchia si erano sbucciate. Mi piegai leggermente, cercando di tirare un poco la pelle per alleviare il bruciore che provavo quando la parte lesa si aggrottava, entrando in contatto con altra pelle.

Edward capì il mio problema e mi passò un braccio intorno alla vita, sostenendo gran parte del mio peso, così che a mala pena i miei piedi toccavano terra. Arrossi sentendomi così a stretto contatto con lui, e dovetti cercare di concentrarmi sui miei passi, per evitare di pensare al suo respiro che a volte soffiava contro la mia guancia e i miei capelli, facendomi perdere la cognizione del tempo e dello spazio.

Quando arrivammo dentro casa mi fece accomodare su un enorme divano bianco, proprio come il salone in cui ci trovavamo. Sparì per alcuni minuti, per poi ricomparire con una cassetta del pronto soccorso fra le mani.

Si sedette al mio fianco, iniziando ad armeggiare fra le varie attrezzature mediche. Impregnò un pezzo di cotone idrofilo con dell'acqua ossigenata, e trattenni il respiro quando gli porsi i polsi per farmi medicare.

“Sai che non vorrei farti male ma...” Mormorò, guardandomi con aria colpevole. Scossi il capo, facendolo tacere. Lentamente iniziò a disinfettarmi la ferita, che bruciava più di quanto mi sarei aspettata.

Mentre armeggiava con il cotone osservai il suo volto perfetto, dalla pelle chiara a quegli occhi che mi avevano rapita fin da subito. I capelli erano più scompigliati del solito e la fronte era leggermente aggrottata, nel tentativo di... concentrarsi?

“Cosa...” Iniziò, fermando per un secondo il movimento della mano. “Cosa pensi di fare... dopo?”

Un brivido mi percorse la schiena. “Non lo so...”

“Se...” Strinse con forza il batuffolo sporco di sangue e terriccio, facendo colare un po' di acqua ossigenata. “Se ti chiedessi di restare...” Sussultai a quelle parole, “Cosa mi risponderesti?”

Abbassai lo sguardo, arrossendo. Dovevo cercare un modo per evitare quella domanda.

“Guarda...” Mormorai, afferrando la sua mano stretta a pugno. “L'acqua ossigenata ti sta rovinando la pelle... Vai a sciacquarti...”

“Ti prego, non cambiare discorso.” Mi disse con tono duro. Mi incupii. Sapevo che non sarebbe cascato nel mio tentativo di cambiare discorso. Visto il mio lungo silenzio mi incitò, “Per favore Bella, ho bisogno di sapere... Non voglio che te ne vada da questa città, ma non posso nemmeno costringerti a restare qui, rendendoti infelice...”

Non sarei riuscita a resistere oltre. Trattenendo il respiro mormorai a bassa voce “Devo andare.”

E così feci. Mi alzai dal divano facendo scivolare la mia mano dalle sue, ma questa volta la sua reazione fu immediata. Balzò in piedi, e mi fermò afferrandomi il braccio.

“No. Bella devi darmi una risposta. Una delle cose che ho imparato stando insieme a te in questi mesi è che non si può scappare per sempre ai propri problemi. Io... ho bisogno di sapere se c'è anche solo una piccola speranza che tu resti in questa città. Ti prego, rispondimi.” Disse tutto d'un fiato, mentre io restavo voltata di spalle.

Sentii il cuore in subbuglio. “Perché vuoi che resti?” Mormorai, sentendo il fiato mancarmi.

“Perché non sono in grado di vivere senza di te!” Urlò disperato Edward, facendomi voltare e scuotendomi leggermente.

Sgranai gli occhi, che minacciavano di riempirsi di lacrime. Lui rimase immobile, a fissarmi con il volto leggermente arrossato e le sopracciglia corrugate per la disperazione.

“I-Io...” Balbettai, non sapendo cosa dire, colta alla sprovvista da quella rivelazione. Tuttavia allo stupore iniziale si sostituirono la delusione e... la tristezza. Delusione perché ancora una volta mi stava mentendo, tristezza perché io come una sciocca stavo per credergli nuovamente, ma soprattutto perché avrei voluto che quelle parole fossero sincere. “Non ti credo.” Soffiai, sentendo gli occhi diventare lucidi.

Edward sgranò gli occhi, completamente stupito. “Come?”

“Non ti credo, Edward. Non è necessario che tu dica simili cose per farmi restare, solo perché ti senti in colpa.” Dissi d'un fiato, cercando di trattenere le lacrime. “Davvero, non devi preoccuparti per me, sto bene.”

Edward mi osservò confuso. “Bella, di cosa stai parlando?”

Scossi il capo, allontanandomi dalla sua presa. “Non serve che fingi ancora, ho capito benissimo cosa provi... Ma non devi preoccuparti per me... Sto bene...” Ripetei, sfoderando un sorriso che non esprimeva la benché minima gioia.

Edward mi guardava basito, con la bocca dischiusa e le mani tese a mezz'aria verso di me. Arretrai ancora di qualche passo, continuando a ripetere parole come un mantra. “Sto bene... Sto bene...” Ma ad ogni parola il mio sorriso diveniva sempre più fasullo, fino a trasformarsi in una smorfia di dolore, e le lacrime presero il sopravvento, riversandosi sulle mie guance.

Mi voltai, pronta a scappare per l'ennesima volta, ma mi ritrovai stretta in un caldo abbraccio, con il volto premuto dolcemente contro una camicia, che man mano iniziai ad inzuppare di lacrime. Singhiozzai contro il petto di Edward, sfogandomi di tutta la frustazione che in quel momento provavo, senza che lui si lamentasse.

Tuttavia anche quando terminai le lacrime rimasi stretta nel suo abbraccio. Lì mi sentivo protetta, al sicuro e... amata. Chiusi gli occhi, appoggiando la testa sul petto di lui, in attesa che il mio cuore riprendesse un ritmo normale, ma la sua vicinanza non me lo permise. Quando tornai abbastanza lucida da rendermi conto di quello che stavo facendo mi imposi di separarmi da lui. Non potevo rimanere ancora a lungo o avrei rischiato di cambiare idea e quindi rimanere ferita di nuovo...

Mi separai da lui dolcemente, senza movimenti bruschi.

“Devo andare...” Sussurrai, ma le sue braccia non sembravano volermi lasciare. Dopo alcuni secondo però sciolse la presa, sospirando frustato.

Mi allontanai senza dire una parola, raggiungendo l'ingresso.

“Come puoi non credermi?!” Sbraitò Edward, quando la mia mano era già sulla maniglia della porta. Mi voltai stizzita, ma le sue braccia mi spinsero contro la porta, bloccandomi. La distanza tra i nostri visi era bravissima, così corta che potevo sentire il suo respiro sfiorarmi le labbra. “Come puoi pensare, dopo tutto quello che abbiamo passato, che ti stia mentendo?!”

Fu un attimo. Annullò definitivamente la distanza fra di noi, facendo sfiorare le nostre labbra in un bacio delicato, che subito però divenne molto più profondo, e carico di un bisogno che entrambi provavamo.

Le mie mani corsero ad accarezzargli i capelli, mentre le sue sfioravano delicate il mio collo, infiltrandosi fra i capelli.

Quando le nostre labbra si separarono appoggiò la fronte alla mia, accarezzandomi una guancia accaldata con una mano, mentre l'altra rimaneva sul mio collo.

“Ti amo.” Sussurrò sulle mie labbra, guardandomi negli occhi. Il mio cuore, che già batteva all'impazzata, se possibile aumentò il suo ritmo, mentre un sorriso spontaneo nacque sulle mie labbra. Non mi stava mentendo, quella volta ne ero certa. Nei suoi occhi lessi tutta la sua sincerità, e un'intensità che mi sconvolse.

“Anch'io...” Soffiai, emozionata. Era la verità. L'avevo capito da tempo ormai.

Mi sfiorò dolcemente le labbra con le sue, facendomi venire i brividi.

“Non te ne andare...” Mormorò, stringendomi in un abbraccio.

“Promettimi che mi starai vicino...” Lo implorai, nascondendo il viso nel suo petto.

“Te lo prometto.” Disse. E un altro bacio suggellò quella sua promessa.

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Capitolo 7
*** Epilogo: Per Sempre ***


Storia Di Un Amore 

Epilogo: Per Sempre

“Sei sicura che non vuoi che venga anch'io?” Mi chiese dolcemente Edward, accarezzandomi il polso con il polpastrello della mano intrecciata alla mia.

Sospirai, chiudendo gli occhi. “Sì. È una cosa che devo risolvere da sola.”

Edward annuì, pensieroso. “Ti aspetto qui, allora.”

Sorrisi, e lasciai la sua mano per scendere dall'auto. Mi avviai con passo felpato verso casa, pronta ad affrontare quella che dovrebbe essere la mia famiglia.

Presi un profondo respiro ed entrai in casa. Dal salone proveniva il rumore della televisione accesa, ma dopo pochi secondi la mia matrigna apparve nell'ingresso.

“Bella? Come mai sei tornata? Non volevi trasferirti in Florida?” Jennifer mi osservava con una smorfia sul viso.

“Ho cambiato idea. Resterò qui ancora per un po', fino a quando non prenderò il diploma.” Risposi, scollando le spalle. “Dopotutto questa casa è mia.”

“Bene: il bagno ha proprio bisogno di una bella ripulita, e nel lavandino ci sono alcuni piatti da lavare. Mi risparmi anche il problema di dover cercare una donna delle pulizie.” Sorrise la matrigna, soddisfatta.

“Ah, mi dispiace, ma non credo che lo farò.” Dissi, tranquilla.

“Cosa?!” Strillò lei, portandosi le mani ai fianchi.

“Hai capito benissimo. Non lo farò. Hai finito di usarmi come tua schiava.” Sbottai, dirigendomi verso le scale.

“Ti ricordo che sei sotto il mio tetto, quindi farai tutto quello che ti dico io!”

“Ed io ti ricordo che la casa era di mio padre, che l'ha lasciata in eredità a me. Fra pochi mesi compirò diciotto anni, e tutto questo sarà di mia proprietà! È  vero, adesso sei ancora la mia tutrice, ma non hai alcun diritto di impormi ordini! Questo è sfruttamento!” Finalmente dopo un lungo periodo passato in silenzio a sottostare alle sue richieste ero riuscita a liberarmi di tutto quello che sentivo dentro.

“Come hai detto tu non sei ancora maggiorenne, quindi ho tutto il diritto di sbatterti fuori di casa e mandarti dai tuoi zii in Florida! Hai cinque minuti per sistemarti e metterti al lavoro, non uno di più!”

“Non lo farà.” Disse una voce, sopraggiungendo dalla porta spalancata.

Jennifer si voltò shockata, mentre io mi voltavo sorpresa.

“Ragazzino, non ti impicciare.” Sbottò la bionda. “Cosa ci fai in casa mia?!”

“Edward.” Gemetti, mentre lo vedevo avanzare con i pugni chiusi verso la donna.

“Bella non è la sua schiava personale! Dovrebbe considerarla come una figlia, invece di trattarla come se fosse una semplice donna delle pulizie!” Mentre parlava aveva raggiunto la mia matrigna, e in quel momento la fronteggiava a testa alta. “Come può trattare così un componente della sua famiglia?” Chiese, alzando di alcune ottave il tono della voce. “Ricordo molto bene il suo racconto in aeroporto, e capisco che lei fosse gelosa dell'affetto che il padre di Bella dimostrava verso la figlia, ma non è un buon motivo per trattarla così!”

Jennifer lo osservò furibonda. Temendo una sua reazione corsi verso Edward, prendendolo per un braccio e cercando di allontanarlo, senza successo.

“Edward, ti prego...” Sussurrai, atterrita dallo sguardo di puro odio che la donna stava rivolgendo al mio ragazzo. Lui tuttavia non si muoveva, e restava immobile a fissarla negli occhi.

“Bella è sua figlia dal giorno in cui ha sposato Charlie Swan! Fa parte della sua famiglia!” Esclamò Edward. Sentii i suoi muscoli contrarsi, mentre stringeva con maggior forza i pugni.

“Lei non è mia figlia.” Sussurrò freddamente Jennifer. Sentii una morsa allo stomaco, ma la reazione di Edward fu quella più inaspettata: alzò una mano, pronto a sferrare un colpo verso il volto truccato della donna davanti a lui.

“No, Edward!” Strillai, cercando di aggrapparmi al braccio che stava sollevando, ma mentre il colpo veniva sferrato sentii il suo braccio fermarsi a mezz'aria, con i muscoli ancora tesi. Aprii gli occhi – che avevo chiuso nell'impeto di fermarlo – e notai una nuova presenza nella stanza.

Il dottor Carlisle Cullen fissava con la fronte corrugata il volto del figlio, mentre teneva fermo il suo braccio a mezz'aria. Jennifer non si era mossa, sgomenta.

“Edward.” Il richiamo severo di Carlisle mi fece sussultare. “Cosa ti è saltato in mente? Non sono affari che ti riguardano, e non hai il permesso di alzare le mani su nessuno, a maggior ragione se sono donne.”

Edward strinse i denti, e scosse il capo, distogliendo lo sguardo da quello severo del padre, che rilasciò il suo braccio.

“Le chiedo scusa, signora Swan. Le prometto che non ricapiterà più una cosa del genere.” Disse con tono dimesso Carlisle, mentre Edward si allontanava verso la porta. Lo seguii, preoccupata dall'aria cupa che era scesa su di lui dall'entrata in scena di suo padre.

“Edwa-”

“Scusami Bella.” Mormorò, fermandosi appena fuori dalla porta. “Non so cosa mi sia preso...”

Scossi il capo. “Non è colpa tua, anche se forse era meglio se rimanevi in macchina...” Sorrisi debolmente, mentre i suoi occhi verdi incontravano i miei. “Come mai tuo padre è qui?” Gli chiesi, curiosa, mentre sentivo le voci confuse di Carlisle e Jennifer provenire dall'interno.

“Non lo so. Credo che sia andato a casa per vedere come stavi, ma non trovandoci deve aver pensato che fossimo venuti qui...” Disse Edward, guardando la Mercedes nera del dottore, posteggiata dietro alla sua Volvo. “Per fortuna ho lasciato la porta di casa tua aperta, altrimenti non penso che sarei riuscito a fermarmi prima di schiaffeggiare la tua matrigna...” Ammise, abbassando lo sguardo e rabbuiandosi.

“L'importante è che non sia successo.” Sorrisi, cercando di fargli capire che non mi interessava quanto fosse accaduto. “Parlerò io con tuo padre e gli spiegherò che è stata tutta colpa mia.” Non volevo che questo fatto potesse mettere Edward nei guai con la sua famiglia.

“Non devi, Bella. È successo tutto perché sono troppo impulsivo.” Scosse il capo. “Sarei dovuto rimanere in macchina, ma non sapevo come stessero andando le cose con Jennifer, e avevo paura che potesse costringerti a fare altri lavori per lei...”

Sorrisi involontariamente. Edward si era preoccupato per me. Colta da un'improvvisa euforia lo abbracciai, cingendogli il collo con entrambe le braccia. Rimase imbambolato per alcuni secondi, senza capire.

“Grazie.” Soffiai sul suo collo, rimanendo in punta di piedi e reggendomi a lui per non cadere. “Grazie per esserti preoccupato per me.” Spiegai, arrossendo.

Lo sentii sorridere, mentre ricambiava l'abbraccio. Un colpo di tosse ci fece sussultare. Mi separai di scatto da Edward, avvampando. Purtroppo non calcolai la mia terribile insufficienza di equilibrio, e mi ritrovai barcollante all'indietro, verso il suolo; due mani afferrarono prontamente le mie braccia, reggendomi. Se possibile arrossii ancora di più, e ringraziai con lo sguardo Edward, che mi aveva salvato da quella brutta caduta.

Carlisle ci osservava con un cipiglio divertito sul volto privo di imperfezioni.

“Ragazzi, io vado.” Annunciò, facendo vagare lo sguardo da me a suo figlio; poi tornò a fissarmi. “Bella: come ti senti? Hai ancora la febbre?” Mi chiese, avvicinando una mano per tastarmi la fronte. Lo lasciai fare, e lo vidi annuire. “Bene, mi sembra che la temperatura sia tornata alla normalità. Però ti conviene riposare, non vorrei tornasse.”

“Ehm... S-Sì...” Balbettai.

Il dottore mi sorrise, per poi voltarsi verso Edward. “Ho parlato con la signora Swan. Sono riuscito a farti perdonare, ma guai a te se capiterà ancora una volta che scopro che hai quasi preso a pugni qualcuno. Sai bene che sono contrario a qualsiasi tipo di violenza.” Disse serio, mentre suo figlio rimaneva a bocca aperta. Annuì semplicemente.

“Io vado a casa, ma quando torni dobbiamo parlare.” Lo ammonì Carlisle, allontanandosi e salutandomi prima di salire a bordo della Mercedes.

Quando l'auto sparì dalla visuale mi voltai verso Edward. “Sei preoccupato?” Gli chiesi, sfiorandogli un braccio. Scrollò le spalle.

“Non penso sia arrabbiato come vuole dare a vedere. Dopo quello che Jennifer ha tentato di fare ieri, non credo rientri nelle sue simpatie.” Borbottò, voltandosi a guardarmi.

“Cosa ha cercato di fare?” Gli domandai, aggrottando le sopracciglia.

Edward distolse per alcuni istanti lo sguardo. “Lo aveva chiamato per farsi fare una visita, dicendo di essere malata. In realtà si è presentata alla porta – dopo che tu eri scappata – in accappatoio...” Mormorò, abbassando lo sguardo e lasciando la frase in sospeso. Sgranai gli occhi.

“E...?” Chiesi, temendo il peggio.

“Ha... Ha tentato di sedurlo...” Sussurrò, a disagio, Edward.

Scossi il capo. “Mi dispiace...” Borbottai, abbassando il capo. Tutti quei problemi erano solo causa mia, che mi ostinavo a voler tenere Edward al mio fianco, coinvolgendolo in tutti i miei problemi famigliari.

Mi afferrò il mento con due dita, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Non è colpa tua, Bella.”

Non resistetti: afferrai il suo volto fra le mani, per poi avventarmi su di lui. Lo baciai con foga, trattenendo il suo viso per il timore che scappasse; invece rispose al mio bacio, infilando una mano nei miei capelli, mentre con l'altra mi cinse la vita, attirandomi maggiormente a lui.

In quel momento ignorai che Jennifer poteva apparire da un momento all'altro, così come Kelly poteva scendere le scale e vederci davanti la porta spalancata. Ma non mi importava. Avevo bisogno di sentire che Edward era con me, e che mi avrebbe sostenuta.

Schiusi le labbra con un gemito, inclinando leggermente il capo. Il bacio si approfondì, e lasciai andare il viso di Edward, per cingere il suo collo con le braccia, e affondare una mano fra i suoi morbidi capelli bronzei. Il cuore batteva forsennato un ritmo tutto suo, mentre nell'aria si avvertivano solo i nostri respiri spezzati.

Ci separammo lentamente, facendo aderire le nostre fronti, nel tentativo di regolarizzare il respiro. Chiusi gli occhi, emozionata.

“Devi parlare con Jennifer.” Sussurrò, spezzando il silenzio.

Sospirai, accarezzandogli la nuca. “Non voglio che te ne vai...”

“Ci possiamo vedere dopo che avrete sistemato la situazione... Avevi ragione tu: è una cosa che devi risolvere da sola; ho già combinato un disastro, non voglio ripeterlo...”

Aprii gli occhi, specchiandomi nei suoi. “Ci vediamo dopo allora?” Gli chiesi, speranzosa, sentendo già la sua mancanza. Edward annuì sorridente, facendo sfiorare le punte dei nostri nasi.

Sciolse l'abbraccio, accarezzandomi un fianco. “A dopo...”

Mi voltai verso la porta – ancora aperta –, pronta ad affrontare Jennifer. Ma...

“Ti chiamo io?” Chiesi, voltandomi. In risposta ottenni il suo sorriso sghembo.

“Non sarà necessario.” Sorrise, baciandomi la punta del naso. Rimasi imbambolata ad osservarlo mentre rideva. “Vai, prima sistemi questa faccenda e prima ci potremo vedere.” Mi spinse con delicatezza dentro casa, chiudendomi la porta alle spalle. Mi riscossi del tutto quando sentii la voce di Jennifer.

“Bella...”

Alzai lo sguardo, intontita dalla presenza di Edward. Chissà cosa avrà voluto dire con quel 'non sarà necessario'...

“Sì?” Chiesi, cauta.

“Mi dispiace.” Disse, mostrando per la prima volta un volto triste e consumato. Rimasi sorpresa. Mai aveva detto 'mi dispiace', né a me né a chiunque altro, per quanto ne sapessi. “Mi dispiace di averti detto quelle cose orribili ieri all'aeroporto, e di non averti mai trattato come meriteresti. La gelosia mi ha accecata per tutto questo tempo, e anche... l'odio...” La vidi stringere i pugni, mentre alcune lacrime iniziarono a solcarle le gote. Rimasi spiazzata. “So che non è colpa tua, ma continuo a vederti come la responsabile di quell'incidente d'auto che ha portato via mio marito, e ogni volta che ti guardo mi sembra di vedere il suo sorriso dietro di te. Sento che lui è con te, ma che non mi è accanto.” Singhiozzò.

Abbassai lo sguardo. Forse mi ero sbagliata su di lei... In fondo amava davvero mio padre.

Strinsi i pugni e mi feci forza. Avanzai piano verso di lei, e la strinsi in un goffo abbraccio. Sperai che non mi scacciasse via, che non mi rifiutasse. Invece non si mosse, rimase ferma, singhiozzando.

“Anche a me dispiace.” Sospirai. “Non ho mai provato a capire cosa tu provassi realmente, e non riuscivo a capire la fonte del tuo astio nei miei confronti. Scusami.”

Mi separai goffamente da lei, in imbarazzo.

“Ti prometto che cercherò di comportarmi meglio con te.” Borbottò, asciugandosi il volto con un fazzolettino di stoffa tirato fuori dalla tasca dei pantaloni. “Il dottor Cullen mi ha fatto capire che sto sbagliando e anche... anche quel ragazzo...” Sussultai. Si stava riferendo ad Edward? “Ho... Ho visto come ti guardava in aeroporto ieri... e mi dispiace se non ho mai voluto lasciarti uscire con qualcuno che non fosse Newton...” Disse, con voce tremula.

“Mi... Mi stai dicendo che posso uscire con Edward?” Chiesi, speranzosa.

“Sì... Però ho bisogno di una mano con... la nostra casa... Sai che non sono capace di gestire i lavori domestici...” Sorrise imbarazzata, e non potei far altro che rispondere.

“Potremmo... potremmo dividerci il lavoro... A turni... Così sarà più semplice per tutti...” Mormorai.

“Sì, mi sembra una buona idea...” Annuì, in imbarazzo. Seguirono alcuni istanti di silenzio, in cui nessuna delle due sapeva cosa dire.

“Ehm...” Dissi, indecisa. “Io... vado di sopra...” Mormorai, indicando le scale con un cenno del capo.

“Oh... Sì, sì, certo... Kelly dovrebbe essere in camera sua... Se... se vuoi cambiare stanza io...”

“No, no!” Esclamai, con troppa enfasi, per poi arrossire. “Ehm... No, mi piace la stanza dove sono ora...” Il motivo? Semplice: Edward poteva entrare in qualunque momento in camera mia come aveva fatto già una volta.

“Va bene...” Disse Jennifer, aggrottando le sottili sopracciglia.

“Ho saputo poco fa da una tua amica – Angela mi sembra – cosa ha fatto Kelly... Che ti ha ridicolizzata davanti alla scuola e ha svelato a tutti che uscivi con il figlio del dottor Cullen...” Borbottò, abbassando lo sguardo. “Scusala... ehm... è gelosa...” Lo avevo capito... “Per questo ho cercato di... avvicinarmi al dottor Cullen... Volevo farle conoscere Edward, ma non sapevo che voi due foste così legati...”Arrossii, distogliendo lo sguardo.

“Ehm... Sì...” Mormorai, dirigendomi verso le scale.

“Va bene...” Sussurrò fra sé e sé Jennifer, dirigendosi verso il salotto. Salii le scale con calma, sperando di non attirare l'attenzione di Kelly, che stranamente non si era ancora fatta vedere; ma era meglio così.

Entrai in camera, sospirando. Finalmente si era sistemato tutto.

“Ehi...” Alzai lo sguardo di scatto, incontrando due splendidi occhi verdi che mi osservavano dalla finestra. Sorrisi, avvicinandomi ad Edward, che era seduto sul cornicione della finestra.

“Penso che da adesso potrai benissimo usare la porta d'ingresso, sai?” Risi, mentre si metteva in piedi.

Scrollò le spalle. “Mi piace arrampicarmi.”

Scossi il capo, sorridendo. Con un gesto fluido mi accomodai sul letto, facendogli segno di fare altrettanto.

“Quindi da ora niente più pomeriggi dedicati ai lavori domestici?” Mi chiese, sorridente.

“Non credo, a parte quelli quotidiani; abbiamo deciso che ci divideremo tutti i lavori io, Jennifer e Kelly.” Sorrisi, contenta della discussione avuta con la figura principale di questa famiglia.

“Quindi posso venire a trovarti anche di pomeriggio?” Arrossii.

“Mi piacerebbe...” Mormorai, in imbarazzo. “Però stai alla larga da Kelly!” Esclamai, agitata. La mia sorellastra aveva espresso più volte i suoi pensieri riguardo Edward, e non avevo alcuna intenzione di permetterle di avvicinarsi troppo a lui.

Edward ridacchiò. “Gelosa?” Mi chiese a bruciapelo.

Avvampai. Ci eravamo confessati di amarci a vicenda ma non avevamo ancora chiarito per bene – sempre se c'era qualcosa da chiarire, effettivamente – il rapporto in cui eravamo subentrati.

“So che non dovrei ma...” Biascicai, torturandomi le mani.

“Ehi.” Disse Edward, posando una mano sulle mie attorcigliate. “Non mi arrabbio se mi dici di essere gelosa. Anche io lo sarei al tuo posto.” Alzai lo sguardo, timorosa e stupita.

“Davvero?” Domandai, mordendomi un labbro e trattenendo a stento un sorriso.

“Sì... S-Sei la m-mia ragazza...” Arrossì, abbassando lo sguardo e ammutolendo.

Lo osservai con le guance in fiamme, e potei constatare che quando era in imbarazzo era ancora più dolce e bello di quanto lo fosse già normalmente. Mi morsi un labbro, mentre alzavo lentamente una mano per sfiorargli il viso perfetto. Lo vidi socchiudere gli occhi sotto il mio tocco delicato. Feci scivolare i polpastrelli sulla guancia, fino a raggiungere la fronte; poi tornai verso la gota leggermente rossa, e arrivai a sfiorargli le morbide labbra. Risalii sulla guancia, adagiando il palmo della mano. La sua pelle era soffice e calda, priva di imperfezioni. Gliela accarezzai con il pollice, beandomi della sensazione di pace che mi stava invadendo piano, piano.

Osservai le sue labbra tendersi in un sorriso, mentre una sua mano si posava sulla mia, intenta ad accarezzarlo.

“Bella.” Soffiò.

“Sì?” Chiesi debolmente, spostando lo sguardo sui suoi occhi verde smeraldo.

“Vuoi essere la mia ragazza?” Mi domandò, senza esitazione.

Sorrisi. Ero certa che non avrebbe perso l'occasione di chiedermelo ufficialmente.

“Sì.” Distesi le labbra in un sorriso, mentre le sue labbra si piegavano in un modo particolare, che mi aveva riservato fin dal nostro primo incontro: il suo sorriso sghembo.

Con lentezza studiata si avvicinò a me, e posò una mano sulla mia guancia, accarezzandola dolcemente.

“Ti amo.” Mormorò, fissandomi intensamente.

“Ti amo anch'io.” Sussurrai, con il cuore che tamburellava nel petto. “Niente più segreti?” Gli chiesi, socchiudendo gli occhi, succube della sua vicinanza.

“Niente più segreti.” Decretò, e finalmente fece sfiorare le nostre labbra, legandomi a lui, per sempre.

 

Fine

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