Trovarobe

di Eylis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dove si parla di Spagus ed entra in scena un personaggio misterioso ***
Capitolo 3: *** Dove il trovarobe si trova in impaccio e cerca aiuto per la sua missione ***
Capitolo 4: *** Dove Charles chiede ancora un giorno al suo cliente e ricorda il passato ***
Capitolo 5: *** Dove viene trovata la soluzione ed accadono fatti imprevisti ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ed eccomi con una nuova storia. Anche questa è stata scritta per un concorso, e nonostante sia arrivata "solo" quarta (52 punti su 55 totali) ci tengo molto, sono soddisfatta del mio lavoro. Pensando poi che il tutto è nato dal fatto che non trovavo un orecchino... infatti l'idea che "ogni cosa si può trovare se è in un luogo conosciuto. Se invece quanto si cerca è in un luogo sconosciuto trovarla diventa già più difficile. Ma è quando l’oggetto desiderato non è in nessun luogo che le cose si complicano davvero…" è stata quella che ha fatto nascere il tutto. Unita poi alla citazione che ho scelto tra quelle disponibili per il concorso... Beh, che altro dire... buona lettura!

Credits: la frase “E' solo quando cominci a temere la morte, che impari ad apprezzare la vita”, che dà parte dell’ispirazione alla storia, è una citazione tratta dal film “Leon”

Link al concorso: Dal film alla storia





Prologo



“Trovarobe!” A quell’appello il carrello ambulante si fermò, con un tintinnio di campanelli ed uno sferragliare di oggetti di ogni tipo che finalmente avevano modo di fermarsi dopo tanto tremare a causa della strada dissestata. La figura che lo spingeva, un uomo non troppo grande con un alto cappello a tuba ed un vestito lacero, si volse in direzione della persona che l’aveva chiamato e che stava correndo verso di lui.
“Come posso servirla, Signore?” Ne aveva visti tanti di personaggi come quello. Lord che si recavano fin nei bassifondi della città per trovarlo e chiedergli gli oggetti più impensati, perché la sua fama era vasta. Era l’unico trovarobe ambulante di cui conoscesse l’esistenza, e sapeva trovare ogni cosa che gli veniva richiesta. In genere anche in poco tempo. Per lui in ogni caso erano tutti uguali; signorotti, dame o straccioni che fossero il servizio non cambiava, ed il costo era sempre lo stesso. Un penny per ogni oggetto trovato, che fosse prezioso o meno. Finalmente l’uomo, basso e grasso, lo raggiunse con il respiro affannato.
“Trovarobe, ho bisogno dei tuoi servigi.” Senza tante moine l’uomo estrasse un fazzoletto e vi starnutì sonoramente. Il trovarobe ignorò il gesto com’era abituato a fare.
“Mi dica cosa le serve, e vedrò di procurarglielo, Signore.” Amava aggiungere quel piccolo inchino alla fine delle sue frasi, spesso irritava i clienti con quel modo di fare ossequioso al punto da risultare beffardo. Il Lord agitò il fazzoletto con aria infastidita, ma non replicò. Il trovarobe sapeva il fatto suo, qualunque fosse il suo atteggiamento.
“Ho bisogno che mi trovi qualcosa di molto, molto raro e prezioso. I miei servitori non hanno saputo trovarli da nessuna parte, e…”
“Cosa cerca, Signore?” L’uomo ebbe una smorfia per l’interruzione.
“Sigari. Sigari italiani, i più buoni che esistano al mondo, quasi impossibili da trovare in commercio.” Il trovarobe sorrise dentro di sé per l’ingenuità di quell’uomo, quanto egli cercava era molto più semplice da scovare di quanto pensasse. Ma non diede nulla a vedere e si inchinò di nuovo.
“Signore, la aspetto qui domani a questa stessa ora. Avrà i suoi sigari.” Il Lord lo squadrò, a metà fra il sospetto e la speranza.
“Ma… non li hai già, vero, fra queste cianfrusaglie che ti porti dietro?” A questo punto il trovarobe si concesse un sorrisetto vagamente provocatorio.
“Come ha detto lei, Signore, ciò che cerca è molto raro, non posso permettermi il lusso di possederne delle scatole da portare con me. Domani a quest’ora, Signore, avrà i suoi sigari.” Evidentemente deluso l’uomo ebbe uno scatto secco del capo ed annuì.
“Già, già…” Si volse, allontanandosi lungo la strada dissestata. “Ci rincontreremo domani allora, trovarobe…” La nebbia della sera lo avvolse, ed il trovarobe lo perse di vista. Si allontanò a sua volta fischiettando, diretto verso quella particolare bottega nella quale avrebbe trovato Spagus. Lui sicuramente gli avrebbe procurato i sigari, aveva tutto di quel genere di merce.

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Capitolo 2
*** Dove si parla di Spagus ed entra in scena un personaggio misterioso ***


Ecco il primo vero capitolo di questa storia... Spero potrà incuriosirvi, dato che è adesso che le cose iniziano a farsi interessanti!







Dove si parla di Spagus ed entra in scena un personaggio misterioso

Il campanello fissato sulla porta trillò quando questa si aprì, annunciando al padrone della bottega l’arrivo di un cliente. Arcibald Witterson, notoriamente denominato Spagus, alzò il capo dal libro polveroso nel quale era immerso ed osservò i piedi che stavano scendendo la scala a chiocciola che dall’entrata portava nello scantinato. Ma una voce che ben gli era nota precedette il viso della persona che stava arrivando.
“Buongiorno, Spagus, è permesso?” L’ometto smilzo si drizzò in piedi e raggiunse l’ospite mentre questo arrivava finalmente al termine degli scalini per accoglierlo in un caloroso abbraccio.
“Charles Green! Qual buon vento!” Il trovarobe sorrise e ricambiò la stretta, poi si scostò. Spagus gli diede un leggero buffetto sulla guancia. “E così finalmente ti sei degnato di tornare a trovarmi, eh? Mi hai fatto aspettare a lungo questa volta!”
“Hai ragione, amico mio, non ho scuse.” Mentre diceva questo però il viso del trovarobe assunse un’espressione divertita, e presto l’uomo ebbe estratto una bottiglia dal soprabito. “Proprio per questo ti ho portato qualcosa per farmi perdonare!” Nel vedere quel liquido scuro che sicuramente gli avrebbe dato alla testa Spagus si illuminò, e per un attimo i suoi occhi si fecero avidi. Subito però riprese il sorriso, e con una grossa pacca sulla schiena invitò Charles a farsi avanti fra le mille cianfrusaglie stipate in quello spazio angusto. Mentre schivava i vari libri e gli oggetti ammonticchiati sul pavimento il trovarobe si guardò attorno, constatando soddisfatto che la bottega aveva il solito aspetto disordinato. Le finestre sporche accatastate vicino al soffitto filtravano una luce grigia proveniente dalla strada, inframmezzata da linee di ombra date dalle sbarre fini che proteggevano i vetri. Il locale era piccolo e colmo di ogni oggetto esistente, dai mobili più vecchi che avesse mai visto alle suppellettili più assurde, e quell’aria pareva coprire ogni cosa di un fine strato di polvere. L’unica luce accesa era la piccola lampada ad olio sulla scrivania di Spagus, dove un enorme libro antico era poggiato aperto all’incirca a tre quarti della sua lunghezza.
“Vieni, vieni, dovrei avere un paio di bicchieri da queste parti…” La voce roca dell’amico lo distolse dalla sua osservazione. Spagus aveva perennemente il raffreddore, non l’aveva mai sentito parlare normalmente. Presto la bottiglia fu stappata e i due si sedettero alla scrivania brindando a loro stessi. Un lungo sorso ed il liquore scese nelle loro gole bruciandole e rallegrando i loro animi. Poi Spagus poggiò il proprio bicchiere e fissò il trovarobe con fare inquisitore. “Allora, che ti serve? Perché se sei venuto qui e mi hai portato questa bottiglia significa che sei in cerca di qualcosa…” L’interrogato ridacchiò, divertito.
“Non ti sfugge nulla, eh? Ma questa volta non è niente di speciale. Un signorotto dei quartieri alti è in cerca di sigari italiani, di quelli della migliore marca, ed io ho pensato che sicuramente tu avresti potuto procurarmeli…” Di fronte a queste lodi Spagus batté un pugno deciso sul piano.
“Accidenti a me se non ci riesco! Sigari italiani, eh? Proprio questa sera dovrei incontrare quel commerciante… sta sicuro che li otterrò senza problemi!” Charles sorrise.
“Sarebbe perfetto. Ho promesso che per domani alle sette di sera avrebbe avuto i suoi sigari, e questo mi permetterà di esaudire la sua richiesta.” Spagus era fatto così, Charles lo sapeva. Sembrava un personaggio rozzo, ma in realtà aveva un gran cuore, e soprattutto amava le trattative. Avrebbe riempito la testa di quel commerciante di mille parole fino a che questo gli avrebbe dato i sigari per una sciocchezza, ed il giorno dopo glieli avrebbe presentati con espressione fiera. “Bene, amico mio, questo significa che domani ci rivedremo!” Il trovarobe si alzò in piedi, spolverandosi il soprabito malandato, e tese la mano verso Spagus. Questo lo fissò, deluso.
“Vuoi già andartene? Sei appena arrivato…”
“Hai ragione, ma alcuni affari mi chiamano altrove, mi dispiace. Domani provvederò a fermarmi più a lungo, te lo garantisco.” L’amico lo studiò, indagatore.
“Affari altrove, eh? Devi forse… tornare a casa?” Il trovarobe allora annuì leggermente, pensieroso.
“Già… ormai non posso più rimandare. Ma rimarrò una notte sola, il tempo di un bagno caldo ed un pasto decente e poi tornerò da queste parti, come al solito.” Spagus scosse il capo, rassegnato.
“Io non ti capisco, proprio no. Potresti avere tutto ed invece…” Charles lo bloccò con un gesto gentile della mano.
“Non devi preoccuparti, amico mio. È una scelta mia, ed in ogni caso… sto meglio così.”
“Già, si vede…” Lo guardo ironico di Spagus lasciava intendere che il suo pensiero dicesse l’opposto delle sue parole, ma l’uomo preferì sorvolare su quel discorso che più volte aveva tentato di affrontare senza successo. Così si alzò in piedi a sua volta ed accompagnò l’amico alla scala, dove lo salutò con un altro potente abbraccio. “Mi raccomando, abbi cura di te. Ti aspetto qui, domani, nel pomeriggio.” Il trovarobe annuì.
“A domani, Arcibald Witterson!” Mentre saliva le scale dopo averlo salutato con un gesto sentì Spagus che gli inveiva contro.
“E non chiamarmi in quel modo, te l’ho già ripetuto mille volte!” Ridacchiò divertito, si divertiva sempre a provocare l’amico.

“James, sono a casa!” Nel sentire la voce del suo padroncino James corse verso la porta e gli saltò sulle gambe. “Ciao bello, come stai?” Il cagnolino nero scodinzolò felice, cercando per l’ennesima volta di scrollarsi il pelo lungo dagli occhi per vedere l’umano. Mentre gli stava leccando accuratamente la faccia però fu interrotto da un’altra voce che ben conosceva.
“Bentornato signorino, sono felice di rivederla.” Charles alzò lo sguardo cercando di tenere a bada il cane e sorrise al maggiordomo.
“Mai quanto io sono felice di rivedere te, James II!” L’uomo, alto e magro come si confaceva ad ogni buon maggiordomo, alzò gli occhi al cielo e con santa pazienza aiutò il suo padrone ad alzarsi prendendo in braccio il cagnolino assetato di affetto.
“La prego, signorino, non mi prenda in giro… So bene quanto lei detesti tornare in questa casa, e non dirò nulla su questo fatto. Ma potrebbe almeno chiamarmi in un altro modo?”
“E perché? Dopotutto James è un nome perfetto per un maggiordomo, si chiamano tutti così!” Fece segno di riflettere qualche secondo. “Ma se preferisci ti chiamo William, anche questo potrebbe essere un buon nome…” Il maggiordomo lo guardò con condiscendenza.
“E non potrebbe invece chiamarmi Frederick, come ha fatto mia madre quando sono nato?” Ma Charles sembrava intenzionato a continuare a prendersi gioco del servitore, e scosse il capo con fermezza. Entrambi sapevano che quello era il modo con il quale l’uomo gli dimostrava il suo affetto e la sua gratitudine.
“Suvvia James, poche storie… Ora ti prego, preparami un bagno caldo ed una buona cena, ho un buco nello stomaco per la fame!” Ancora una volta il maggiordomo levò gli occhi al cielo, incapace di comprendere perché un signorino ricco come Charles Green potesse preferire la vita di strada ad un’esistenza ricca di agi. Poi con un inchino di servizio si congedò da Charles e si diresse verso le scale della servitù, mentre il suo padrone si avviava per lo scalone principale che portava al piano superiore. In realtà quella divisione non era necessaria, ma Frederick teneva al rispetto dell’etichetta, almeno quando si trattava di decidere delle proprie azioni.
Arrivato nelle proprie stanze Charles si liberò degli abiti logorati dalle intemperie ed indossò una vestaglia semplice ma morbida. Si affacciò ad una finestra per osservare i propri possedimenti. Ogni volta che tornava in quel posto ricordava cosa significasse vivere una vita vera, ma proprio per questo ogni volta vi sfuggiva nuovamente. Mentre si infilava nella vasca colma di acqua calda e profumata, poco tempo dopo, la sua convinzione a tornare sulla strada il giorno seguente era, se possibile, ancor più salda nel suo cuore.

“La ringrazio, signore, le auguro una buona giornata!” Il vecchio ricambiò il cenno di saluto e si allontanò fischiettando dal carretto ambulante con la propria gabbietta sottobraccio. Il trovarobe lo osservò, soddisfatto dell’affare appena concluso. Per quella vecchia gabbia per uccelli non aveva speso un centesimo, l’aveva trovata in un cumulo di spazzatura qualche mese prima, e da allora la portava ammonticchiata sul suo mezzo di trasporto. Così, quando l’anziano gli aveva chiesto una casa per l’uccello che intendeva regalare alla nipotina, aveva fatto presto ad estrarla dal cumulo di oggetti per mostrargliela. Ma non era il primo acquisto della giornata, nella tasca del vestito nuovo, che aveva accuratamente stracciato e sporcato a casa la sera prima, già tintinnavano diversi pennies. Non che con questi potesse davvero sopravvivere, ma in fondo… i soldi non gli mancavano. Trovava vagamente ipocrita mantenersi con i soldi di quella ricchezza che nella vita cercava di rinnegare, ma almeno gli servivano anche per fare, indirettamente, del bene alle persone che erano povere per davvero e che gli cercavano oggetti che sarebbero costati molto più di un penny.
Si allontanò da quel quartiere per dirigersi in quello vicino, dove spesso trovava ottime occasioni, e camminando prese a canticchiare una vecchia melodia della sua infanzia. Gliel’aveva insegnata la sua tata, che gliela ninnava quando lui si appoggiava al suo petto e tentava di cogliere il battito del suo cuore attraverso tutta quella carne. Da piccolo aveva sempre creduto che tutte le tate fossero così prosperose, ma crescendo aveva scoperto che in realtà quella particolare bambinaia era particolarmente grassa. Così si era convinto che tutta quella mole le serviva a contenere la sua grande allegria.
Era quasi arrivato nel luogo che si era prefissato quando, dallo stretto vicolo che aveva appena percorso, udì un leggero rumore di passi. Così era vero, qualcuno lo stava seguendo… Se ne era accorto da diversi minuti, ma ora ne aveva la conferma. Forse si trattava di un cliente particolarmente timoroso… Sicuramente aveva una richiesta imbarazzante, magari cercava un oggetto particolare per soddisfare una donna, o aveva bisogno di un’arma per compiere qualche azione avventata… Charles trovava tutto, non gli importava cosa poi i clienti ne avrebbero fatto. Cercava unicamente di svolgere al meglio il suo lavoro, poi stava alla coscienza di chi veniva soddisfatto nella propria richiesta di decidere cosa fare dell’oggetto ottenuto. Si girò con un’espressione quasi seducente, parlando al vuoto.
“Si faccia avanti, Signore, da me può trovare tutto ciò che sta cercando!” Per diversi secondi però solo un lungo silenzio gli rispose. Perplesso lanciò un nuovo appello verso il vicolo. “Avanti, non mangio nessuno! C’è qualcuno lì?” Ancora una volta nessuno gli rispose, così, un poco intimorito, cercò di mostrarsi risoluto. “Se c’è qualcuno che si faccia avanti, non ho tempo da perdere!” Vedendo però che anche questa volta non aveva avuto successo decise, con un’alzata di spalle, di andarsene. Afferrò deciso i manici del suo carretto e lo sollevò, prendendo la forza necessaria per farlo ripartire. Fu in quel momento che i passi si fecero risentire e si avvicinarono a lui. Questa volta preoccupato, si voltò nuovamente verso la fonte di quei rumori. Poco distante da lui stava una figura imponente, avvolta in un cappotto scuro di pelle logora ma preziosa, il volto oscurato da un grande cappello e dall’alto collo dell’indumento.
“È lei il trovarobe?” Una voce rauca, quasi unicamente sussurrata. Charles annuì, impaziente.
“Sì, sono io. Mi ha spaventato Signore, cosa cerca?” L’uomo gli si avvicinò, chinandosi per osservarlo in volto.
“Mi dicono che lei sa trovare ogni cosa… È vero? È famoso per questo.” Il trovarobe si congratulò internamente con sé stesso per quel successo.
“Certo Signore, mi dica cosa le serve e la soddisferò certamente in breve tempo!”
“Bene, bene… Allora mi ascolti bene, trovarobe, perché quello che mi serve da lei è qualcosa di davvero raro.”
“Mi dica, Signore…” Charles si chiese se davvero quell’oggetto potesse essere tanto particolare, ma gli restava ancora qualche possibilità che l’uomo fosse un ignorante, seppure non lo sembrasse, e che la sua ricerca si rivelasse più facile di quel che sembrava. Ma certo non si aspettava una risposta simile.
“Ho bisogno che lei mi trovi qualcosa che pare sia molto prezioso, trovarobe. Voglio che le mi trovi la vita.” Il trovarobe rimase sconcertato per qualche istante, poi scoppiò a ridere.
“La vita, Signore? Ma la vita non è qualcosa che si possa trovare!” Ma l’uomo misterioso non rise, ed al contrario la sua voce si fece ancor più seria e bassa.
“Io invece credo di sì, trovarobe… Credo proprio che lei me la troverà. Non ha forse detto che lei può trovare tutto? In caso contrario sarò costretto a fare qualcosa di molto, molto spiacevole…” Di fronte a queste parole Charles sbiancò, e per la prima volta ebbe davvero paura.
“Cosa intende?”
“Per ora non ha importanza, trovarobe… Mi trovi quanto cerco e me lo porti qui, domani, prima che l’orologio suoni le cinque pomeridiane. Se non sarà all’appuntamento la troverò a modo mio, glielo garantisco…”
“Ma…” Lo sconosciuto lo interruppe con un gesto brusco.
“Nessun “ma”, trovarobe… La aspetto domani. Sia puntuale, mi raccomando… Le auguro una buona giornata, ed una buona ricerca.” Prima che Charles potesse trovare le parole per formulare una frase di senso compiuto l’uomo era già sparito nel vicolo dal quale era arrivato, in silenzio.

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Capitolo 3
*** Dove il trovarobe si trova in impaccio e cerca aiuto per la sua missione ***


Dove il trovarobe si trova in impaccio e cerca aiuto per la sua missione

“Spagus!” Charles irruppe nella bottega dell’amico con furia, uccidendosi quasi nel percorrere la stretta scala a chiocciola che conduceva nel seminterrato. L’ometto, di fronte a tanta irruenza, si levò in piedi rovesciando la sedia sulla quale era seduto.
“Mio Dio Charles, che diamine succede? Mi hai spaventato!” Quando vide il volto cereo dell’amico però la sua paura poté solo acuirsi. Gli si avvicinò e mentre questo si prendeva i fianchi, ansante per la corsa, gli parlò con voce insolitamente ferma. “Charles Green, cos’è successo per portarti qui come se il diavolo ti stesse alle calcagna?” Malgrado la situazione il trovarobe sollevò lo sguardo mostrando un piccolo luccichio d’ironia.
“Il diavolo stesso…” Spagus sbuffò, mentre un tremito di preoccupazione ed irritazione lo attraversò.
“Certo, e magari aveva dietro di sé schiere di angeli!”
“Ma questo non sarebbe possibile, gli angeli non seguono i diavoli…” Questa volta il trovarobe si meritò uno scappellotto sulla nuca per il suo modo di deridere persino le situazioni che apparivano fra le peggiori.
“Raccontami che cos’è successo, e smettila di scherzare!”
“D’accordo, d’accordo…” Charles riprese un’aria seria, e fu a quel punto che Spagus iniziò a preoccuparsi davvero. L’amico lo stava ascoltando ed aveva abbandonato il suo solito modo di schernire ogni cosa.
“Forza sediamoci…” I due si sedettero alla scrivania, seppure senza un bicchiere in mano. Spagus aveva finito la bottiglia la sera prima quando era rimasto solo. “Allora?”
“Ho davvero incontrato il diavolo, Spagus…” L’amico alzò un sopraciglio dubbioso. “Poco fa, nel Quartiere dei Mercanti. Un tizio enorme, strano, non sono riuscito a vederlo in faccia. Mi ha chiesto… anzi, mi ha ordinato di trovargli una cosa, o… mi ucciderà, credo.” Il bottegaio sussultò a quella dichiarazione. Deglutì piano, poi prese un respiro.
“E… che cosa ti ha chiesto?” Charles guardò altrove, quasi imbarazzato.
“Devo trovargli la vita.” Il silenzio cadde immobile nella bottega per un lungo minuto. Poi Spagus sbuffò.
“E tu davvero gli credi?! Ma sei diventato pazzo? Questo tizio sarà un folle, uno squinternato, come mai si potrebbe trovare la vita?! Davvero credi che potrebbe ucciderti?” L’uomo era esploso in quel fiume di domande retoriche a metà tra l’isteria e la risata, non sapendo se sentirsi sollevato o preoccupato per la mente del suo amico. Ma quando Charles tornò a guardarlo si sentì ghiacciare il sangue nelle vene per quello sguardo inequivocabile. Non scherzava affatto, e non l’aveva fatto neanche l’uomo misterioso. Che fosse un pazzo od un personaggio eccentrico, pareva avesse davvero spaventato Charles, e per questo anche lui ora provava brividi in tutto il corpo. Dopo qualche istante fiatò di nuovo. “Cosa pensi di fare?”

Il giorno seguente si trovò a camminare verso il Quartiere dei Rovi. Si sentiva alquanto ridicolo nel pensare a quanto stava per fare, ma Spagus gli aveva assicurato che era il migliore, e che da lui sicuramente avrebbe ricevuto le risposte che cercava… Nonostante questo continuava a chiedersi come un indovino - un millantatore, sicuramente, pensava lui - potesse dirgli come trovare la vita e renderla tangibile per poterla consegnare al suo folle cliente.
Malgrado la situazione non aveva rinunciato a portare con sé il proprio carretto, e così durante il suo tragitto, quasi più per sfogare la propria ansia che per affarismo vero e proprio, concluse alcune vendite di poco conto. Una pipa, un vecchio completo elegante, antiche monete straniere… Ogni volta le persone erano meravigliate di quel che il trovarobe aveva sul suo mezzo ambulante, ma Charles sapeva che in realtà quelle poche cose erano solamente sciocchezze. Parlando con i clienti evitava persino di guardarli in volto, limitandosi a giocherellare con la scatola di sigari italiani che portava nell’ampia tasca destra del soprabito. Fortunatamente Spagus era riuscito a mantenere la testa là dove lui l’aveva quasi persa, e poco prima che se ne andasse dalla sua bottega l’aveva richiamato per consegnargli l’oggetto desiderato. L’appuntamento con il grasso Lord del giorno precedente era poco dopo quello con lo sconosciuto, e dopo aver incontrato quest’ultimo… se fosse sopravvissuto, certo, non avrebbe più avuto abbastanza tempo per tornare dall’amico a farsi dare la scatola.
Il Quartiere dei Rovi era un luogo relativamente tetro, dove la nebbia della città veniva forata dalla luce solo raramente a causa dei vicoli stretti che si infilavano fra caseggiati molto alti. Quando arrivò di fronte alla casupola dell’indovino però si rese conto con sorpresa di un fatto davvero curioso: il piccolo edificio era l’unico ad avere un piccolo praticello che lo circondava, e si trovava al centro dell’unica piazza presente nel raggio di un miglio. A causa di questo, la luce del sole riusciva addirittura a colpire parte dell’area, permettendo così anche ad alcuni fiori di sbocciare. Avevano colori tenui, opachi, ed i più si arrampicavano sullo steccato o sulle mura della costruzione per cercare di meglio agguantare quella sorta di dono di Dio. Quasi intimorito da questa visione, Charles si avvicinò con cautela all’ingresso del terreno, e quando vi mise piede come per magia la porta della casupola si aprì.
“C’è… c’è qualcuno?” Passo dopo passo Charles si avvicinò alla porta, incapace di vedere all’interno dell’abitazione a causa del denso fumo bianco che ne usciva.
“Avanti, avanti! Si accomodi signore, la stavo aspettando!” Perplesso Charles si affacciò alla porta scrutando l’interno dell’abitazione, e di colpo si trovò a fissare i profondi occhi scuri di un vecchio. Impiegò qualche secondo a distogliersi da quello sguardo magnetico per notare i tratti vagamente asiatici, un buffo copricapo a turbante e la lunga veste che portava al posto di un normale vestito.
“Buongiorno, io…” L’anziano indovino lo interruppe.
“Mi spiegherà ogni cosa dopo una buona tazza di tè. Venga avanti, la prego!” Il trovarobe si vide così condurre entro la casupola che dall’interno sembrava molto più grande di quanto potesse apparire da fuori, fino a raggiungere una piccola saletta dove il fumo era un poco più rado. La stanza era vuota, se non per un tappeto, un basso tavolino e due cuscini che fungevano da sedili posizionati al centro del pavimento. In alto, un lampadario ricoperto di pesanti stoffe irradiava una luce rosata e tenue. Su invito dell’indovino si sedettero, ognuno ad uno dei lati più lunghi del tavolo, le gambe ripiegate in una scomoda posizione sui cuscini. Charles si guardò attorno per qualche secondo, non sapendo come iniziare e cosa pensare. D’un tratto però gli venne spontanea una domanda, creata dal suo scetticismo.
“Ha detto che mi aspettava, come faceva a sapere che stavo arrivando?” A quella richiesta il vecchio gli sorrise, enigmatico.
“Siete un uomo di terra, vero? Non credete alle superstizioni o agli indovini.”
“Già… Non sarei qui, se non mi avesse convinto un mio amico a venire.” L’indovino annuì solennemente, pensieroso.
“Ma non vi avrebbe convinto se voi aveste creduto che fosse possibile un’altra soluzione. Il che significa che ciò che vi ha condotto qui è un fatto grave.” Charles lo squadrò, sorpreso, poi annuì brevemente. “Ebbene mio signore, vi posso garantire che da me non avrete trucchi da prestigiatore o giochi di carte, ma solo consigli che sarete libero o meno di accettare. Quanto al fatto che vi stavo aspettando… Le persone che arrivano in questo luogo e osservano la mia casa con la vostra perplessità hanno in genere una sola meta, questo luogo. Quindi non è stato difficile per me capire che stavo per avere visite quando vi ho visto dalla finestra.” Nuovamente l’anziano sorrise con sguardo sveglio, e questa volta anche Charles si lasciò sfuggire un’espressione più rilassata e convinta.
“Sono stato uno sciocco a credere che mi avreste presentato una sfera di cristallo, vero?”
“No, signor Green, non è stato uno sciocco. In fondo in un qualsiasi altro luogo come questo sarebbe potuto accadere.” Il trovarobe sorrise nuovamente, poi si zittì. Come poteva quell’uomo conoscere il suo nome quando lui non si era presentato? Aprì bocca per chiederglielo, ma poi si fermò, senza ben capirne il motivo. Chissà, forse un po’ di magia al mondo poteva esistere… Si fissarono in silenzio per qualche tempo, poi, mentre gli serviva del tè in una curiosa tazzina senza manici, l’indovino gli si rivolse nuovamente con garbo.
“Dunque mi dica, signore, qual è il motivo della sua visita?” Imbarazzato Charles sorseggiò la bevanda, seppure fosse bollente, per prendere tempo.
“Ecco, io… vede, di mestiere sono un trovarobe.” L’indovino annuì, invitandolo a continuare senza paura. “Ciò vuol dire che chiunque può venire da me e chiedermi di trovargli qualcosa, più o meno posso procurare qualsiasi cosa… in effetti è il mio vanto.”
“Quindi se io le chiedessi di trovarmi una sfera di cristallo lei me la porterebbe.” Charles fissò l’anziano chiedendosi se lo stesse prendendo in giro, ma il suo viso era imperscrutabile.
“Sì, io… credo di sì. Ma…”
“Ma ora qualcuno le ha chiesto di trovare qualcosa di più complesso.” Il trovarobe abbassò il capo, sconfitto. “Le posso chiedere di cosa si tratta?”
“Ecco, mi hanno chiesto di trovare… di trovare la vita.” Ancora una volta il viso dell’indovino era indecifrabile, e Charles non riuscì ad intuire i suoi pensieri.
“Lei non ha valutato la possibilità di nascondersi a casa sua? Lì potrebbero non trovarla…” Dunque l’indovino sapeva anche questo?
“Credo che… mi troverebbe comunque, mi ha minacciato e ha detto che mi scoverà, non penso che mi sentirei al sicuro, e poi…”
“E poi lei non vuole perdere questa sfida, vero? Vuole mantenere la propria fama.” Charles spalancò gli occhi, sorpreso.
“No, certo che no! Tengo solo alla mia vita!” Ma l’anziano lo guardò interrogativo.
“È così certo di quanto ha appena affermato?” Ammutolito, il trovarobe non seppe come rispondere.
“Ad ogni modo devo trovare una soluzione. Per questo sono qui, lei ha detto che mi avrebbe dato un consiglio, non è vero? Come posso trovare la vita?” Allora il suo interlocutore gli prese le mani, chiuse gli occhi e gli fece cenno di fare altrettanto. Rimasero qualche istante in silenzio, e quando l’indovino gli rispose lo fece con voce lenta e grave, eppure riuscì a trasmettere a Charles un vago senso di tranquillità.
“Mio caro… La vita non è un oggetto qualsiasi come quelli che lei cerca ogni giorno, per quanto rari possano essere. La vita in effetti non è un oggetto, e proprio per questo non è qualcosa che si possa trovare. Si può solo accettare, cosa che tutti noi dovremmo fare. Guardi dentro di sé, nel profondo, saprà cosa fare…” Quando il trovarobe riaprì gli occhi, l’indovino era scomparso.
Si allontanò dal Quartiere dei Rovi ancor più confuso di quando vi era entrato, chiedendosi cosa potessero significare quelle parole, e come avrebbe potuto trovare dentro di sé la vita da donare al misterioso cliente.

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Capitolo 4
*** Dove Charles chiede ancora un giorno al suo cliente e ricorda il passato ***


Dove Charles chiede ancora un giorno al suo cliente e ricorda il passato

Aveva trascorso le restanti ore a riflettere sul consiglio dell’indovino, ma non era riuscito a venire a capo del dilemma. Là dove si era fermato a pensare c’era un massiccio ponte sotto il quale scorreva il fiume che divideva in due parti la città, e Charles l’aveva attraversato centinaia di volte senza nemmeno rendersene conto, camminando da un’estremità all’altra con passi affrettati e silenziosi. Persino il suo prezioso carretto, traboccante di oggetti di ogni tipo, era stato abbandonato accanto alla strada e dimenticato come fosse diventato troppo vecchio. Il trovarobe discorreva a voce alta con sé stesso, per cercare di concludere un’argomentazione logica.
“Ragiona, Charles Green. Se quel tizio ti ha chiesto di trovargli la vita le possibilità sono due, non credi? O è un folle che ti ucciderà qualsiasi cosa tu gli porti, o davvero cerca quello che ha chiesto e quindi un modo di soddisfarlo deve esistere.” Fino a quel punto sicuramente il discorso quadrava. “Vogliamo escludere la prima possibilità che in ogni caso non porterebbe a nulla? Bene, escludiamola. In questo caso non c’è bisogno d’aver paura, vero, Charles Green?” In effetti su questo punto era un pelo più dubbioso, ma scacciò i timori a forza, scrollando violentemente il capo. Le persone che passeggiando lo superavano lo squadravano mormorando, ma lui non se ne accorse nemmeno. Si affacciò al parapetto del ponte per osservare il fiume tumultuoso sotto di lui. Due giorni prima aveva piovuto tanto da provocare una piena che ancora non era stata smaltita. Vedendo l’acqua così sporca e veloce si chiese quanto avrebbe impiegato a morire annegato, se si fosse buttato. In fondo probabilmente la sorte che gli sarebbe toccata non sarebbe stata di molto peggiore, ed almeno avrebbe avuto la dignità di poter decidere… Era così importante la sua vita? Ma subito quel pensiero fu seguito da un brivido, e il pensiero di quel pericolo così vicino lo fece involontariamente allontanare da quella visione. Decise quindi di riprendere il suo discorso.
“Ora, dato che… che non c’è necessità d’avere timore, vero Charles? Ecco, possiamo valutare con calma il da farsi. Ha ragione l’indovino, la vita non è qualcosa di tangibile… Ma se lui volesse semplicemente una manifestazione della vita? Potrei portargli un pollo, o un coniglio, o… qualsiasi altra cosa vivente, sbaglio forse?” Si guardò attorno come a voler cercare conferma delle proprie parole negli occhi dei passanti. Ma questi quando incrociavano il suo sguardo di richiesta affettavano il passo, sicuramente pensando che fosse un accattone che voleva del denaro. Il trovarobe allora si lasciò cadere seduto a terra, affranto. “Ma chi vuoi prendere in giro, Charles Green? Un pollo non è la vita… è solo un volatile irritante e di ben poca utilità. È inutile anche solo cercare di proporlo. Mi chiedo se dovrei davvero nascondermi a casa…” Sospirò. “Ma se poi mi trovasse? E poi… lo sai Charles, tu non ci sai resistere in quel posto per più di un giorno… Ci sono sempre i loro fantasmi in giro, li sento, ho ragione? Mi perseguiteranno fino alla morte, ne sono certo. Anche ora che questa non mi sembra più così lontana.” In quel momento l’occhio gli cadde sulla torre dell’orologio che non molto lontana sovrastava la città, e si accorse che il suo tempo era quasi scorso. Doveva farsi forza ed andare all’appuntamento. Si avviò con lo sguardo basso sul suo carretto - nonostante tutto alla fine non l’aveva abbandonato in quel luogo -, pregando che il Signore gli ispirasse qualche idea geniale lungo la strada.

“Buonasera trovarobe… Mi ha portato quello che le ho chiesto?” La voce sibilata lo fece sobbalzare, ma Charles cercò di contenersi. Si volse verso lo sconosciuto che gli era arrivato silenzioso alle spalle, affrontandolo con coraggio.
“Mi dispiace, io…” A quelle parole lo sconosciuto balzò in avanti e fece il gesto di stringergli la gola con le proprie mani. Il trovarobe lo schivò per pochi centimetri, abbassandosi di scatto con la prontezza data dal panico. “Aspetti, la prego! Non sono ancora riuscito a trovare quanto mi ha chiesto, ma con un altro giorno…”
“Un altro giorno? E a che le serve! Non è l’infallibile trovarobe capace di accontentare tutti in poco tempo?” Tremante, Charles mosse un paio di passi indietro per cercare di allontanarsi dal pericolo.
“Sì, ma… a volte impiego un po’ di più, ecco, non sono sempre così tanto veloce!” Lo sconosciuto lo scrutò negli occhi, o almeno così parve a Charles che si sentì indagato da quelle tenebre che nascondevano il volto del suo spaventoso cliente.
“E sia, trovarobe… le concedo ancora un giorno. Ma che sia uno soltanto, e domani voglio avere ciò che le ho chiesto. In caso contrario…”
“Lo so, lo so. Mi ucciderà…” Il trovarobe fu scosso da un tremito evidente. “La troverò, ho solo bisogno di più tempo, ecco tutto, glielo prometto.”
“Sarà meglio per lei, trovarobe. Ora se ne vada, ci troveremo qui domani, a questa stessa ora.” Ancora una volta lo sconosciuto sparì nell’ombra dei vicoli in silenzio, lasciando Charles affranto e tremante. Si accasciò lì, dove si trovava, e si chiese se non sarebbe stato meglio se si fosse davvero gettato giù da quel ponte.

Si svegliò di soprassalto fra coperte pregiate, nella propria casa. Chi l’aveva portato lì? Non ricordava d’essere tornato nei propri terreni, era convinto di essersi addormentato in un vicolo, appoggiato al suo carretto, distrutto dal troppo riflettere… Sentì un forte abbaiare. James… quel cane non aveva ancora imparato l’educazione! Si alzò per andare a farlo tacere, chiedendosi perché mai Frederick non fosse intervenuto. Ma quando stava per mettere mano sulla maniglia questa si aprì da sola e la porta si spalancò, di colpo. Di fronte a lui stava un uomo maturo, dagli occhi scuri come i suoi ed i capelli leggermente lunghi, come dettava l’ultima moda di quel tempo.
“Buongiorno Charles! Ho una sorpresa per te! Guarda chi ti ho portato?” L’uomo teneva in braccio un cagnolino nero a pelo lungo, ancora cucciolo, che abbaiava mentre scodinzolava frenetico.
“Pensavo di chiamarlo James, che ne dici?” Charles sbiancò totalmente.
“Jeremy!” L’uomo lo guardò, stupito. “Qualche problema, fratellino? Non ti piace? Guarda com’è dolce!” Ma il trovarobe indietreggiò, terrorizzato.
“Ma… ma tu dovresti essere morto! Mi è arrivata quella lettera, dicevano che eri stato attaccato e ti avevano ucciso!” Jeremy lo squadrò, con espressione divertita.
“Io, morto? E quando mai? Non vedi che sono qui? Ecco, guarda, toccami e verifica tu stesso!” Fece per prendergli una mano perché Charles potesse tastarlo, ma questo si tirò indietro di scatto e fuggì fino al lato opposto della camera. Intensi colori iniziarono a vorticare davanti ai suoi occhi, faticava a mantenere la percezione lucida, la voce del fratello si deformava fino ad assumere una sfumatura rauca, sibilante… “Papà? Papà, corri, Charles non sta bene!” Prima di svenire il trovarobe si rese conto che anche suo padre non poteva essere ancora in vita. Si era ucciso lui stesso, impiccandosi ad un lampadario di quella casa.

Si risvegliò con un urlo e si guardò attorno, frenetico. Ancora ansimante, si accorse che era ancora notte fonda, che si trovava nel vicolo nel quale si era rifugiato dopo aver concluso la vendita dei sigari italiani e che il cartone che lo copriva era fradicio. Aveva iniziato a piovere.
“Charles Green, sei uno stupido ed un fallito!” Inveendo contro sé stesso si alzò e si mise a correre per cercare un riparo ed estirpare da sé gli ultimi effluvi di quell’incubo. Era colpa sua, era tutta colpa sua… Se solo non avesse convinto il fratello a partire, se fosse andato lui al suo posto o fossero rimasti tutti a casa Jeremy e loro padre sarebbero stati ancora vivi e lui non avrebbe vissuto per le strade… Trascinato dai sensi di colpa e dal ricordo di quelle immagini ancora vivide nella sua memoria continuò a correre anche dopo aver trovato un riparo, e non si fermò fino a che, esausto, non fu costretto ad accasciarsi a terra. Svenne, come era successo poco prima nel sogno, mentre sentiva le forze che lo abbandonavano.

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Capitolo 5
*** Dove viene trovata la soluzione ed accadono fatti imprevisti ***


Dove viene trovata la soluzione ed accadono fatti imprevisti

I campanelli appesi alla porta della bottega trillarono annunciando l’arrivo del trovarobe, e nel sentirli Spagus balzò in piedi preoccupato.
“Charles? Sei tu?” Il giovane si affacciò dalla scala a chiocciola con fare rassegnato.
“Ciao, Spagus…”
“Come è andato il tuo incontro con quel tizio ieri? Ero preoccupatissimo, perché non ti sei fatto vivo prima?! Ormai ti avevo dato per spacciato!” Di fronte a quella tiritera il trovarobe si limitò a fare spallucce.
“È andato. Terribile come il primo, ma ho ottenuto un giorno in più. Almeno ho avuto altre ventiquatt’ore di vita, prima di morire. Giusto il tempo necessario per riflettere su quanto sia pessima la mia esistenza.” Aveva parlato con tono neutro, ma nel sentire tali parole Spagus, che nel frattempo gli era andato incontro, gli afferrò le spalle e lo scosse con forza.
“Ma ti sei rincitrullito completamente?! Perché diamine la tua esistenza dovrebbe essere pessima?” Allora la maschera che Charles indossava per mascherare i suoi sentimenti cadde, lasciandogli in volto la disperazione.
“Lo sai anche tu… Sei l’unico a sapere ogni cosa.” Lo schiaffo lo colpì diritto in viso, mozzandogli il fiato. Spagus prese un profondo respiro a dimostrare quanto la sua furia fosse grande, poi esclamò:
“Ora sentimi bene, Charles Green: qualunque cosa sia successa tu non potevi prevederlo, tuo fratello non è partito per un guerra, ma solo per un viaggio d’affari. Non aggrapparti a colpe inesistenti per sopravvivere al tuo dolore! E ti garantisco che se ancora una volta oserai dire che la tua vita non vale nulla ti farò cambiare idea io, a suon di pedate nel tuo prezioso deretano!” Il trovarobe lo fissò, ammutolito. Non aveva mai visto Spagus comportarsi in quel modo, e certo non si aspettava di essere rimbeccato quasi come un bambino. Incapace di fare altro annuì, incerto.
“Io… d’accordo.” Spagus lo fissava ancora minaccioso. “Ho capito, ho capito! Ora… ora vado da quel tizio e gli dico che se vuole la vita deve cercarsela da solo, d’accordo?”
“Ecco, bravo. E magari cerca di fargli capire che tu invece tieni alla tua, più di quanto tu stesso pensi!” Ancora una volta Charles non seppe cosa rispondere, così si limitò a mormorare un ringraziamento alzandosi. L’amico lo accompagnò alla scala in silenzio, e quando vi furono arrivati lo indirizzò su per gli scalini con una pacca sulle spalle. Il trovarobe, ancora scosso, capì allora che Spagus non era realmente arrabbiato, ma solo preoccupato, e con quel gesto gli aveva appena espresso il suo incoraggiamento e la sua solidarietà. Finalmente più fiducioso nelle proprie possibilità, si allontanò dalla bottega con una tenue speranza.

Arrivò sul luogo dell’appuntamento in perfetto orario, proprio mentre la torre dell’orologio batteva il primo dei diciassette rintocchi. Si guardò attorno, poi, non vedendo nessuno, lanciò la propria voce nell’aria vicina.
“Dove si trova? Lo so che mi sta aspettando, Signore!” Dovette attendere solo pochi secondi prima di vedere il suo uomo sbucare dal solito vicolo.
“Buonasera, trovarobe… Allora, mi ha trovato quello che le ho chiesto?” Charles si sentì tremare, ma si raddrizzò con forza e sfidò quello sguardo misterioso con coraggio.
“No, Signore.” Convinto che entro un istante si sarebbe trovato le mani dello sconosciuto attorno il collo il trovarobe chiuse gli occhi, ma l’uomo sembrava essere stato impressionato dal suo tono, perché non si avvicinò ulteriormente.
“E perché mai, trovarobe? Non le avevo forse detto che questo sarebbe stato l’incontro definitivo?” Charles riaprì gli occhi, cercando di non mostrare la propria perplessità.
“Sì Signore, ma dopo un lungo ragionamento ho capito che non potrò mai adempiere alla sua richiesta, poiché la vita non è qualcosa di tangibile.” Curiosamente il cliente prese a passeggiare attorno a lui, osservandolo e parlando quasi in un soffio.
“No, trovarobe? Eppure a me sembra che sia invece qualcosa di ben tangibile. Non possiede forse lei la sua stessa vita? Non si può toccare?” Sconvolto il trovarobe si girò per fissarlo.
“Vuole che io le dia la mia vita, Signore?!”
“Perché no, trovarobe… in fondo non mi sembra ci tenga così tanto. L’ho vista ieri, sul ponte… Non vuole morire?” Allora qualcosa nell’animo di Charles si ribellò, con tutte le sue forze. Ripensò a quanto gli aveva appena detto Spagus, nella sua mente rimbalzarono le parole dell’indovino che aveva incontrato il giorno precedente. La risposta gli venne spontanea, e la urlò con quanto fiato aveva in corpo.
“No! Signore, io voglio vivere!”

Lentamente lo sconosciuto si voltò, dando le spalle al trovarobe. Le sue spalle si alzarono in un tremito, come se stesse trattenendo dentro di sé intense emozioni, e quando parlò nuovamente la sua voce pareva quella di un bambino.
“Davvero Charles? Vuoi vivere, finalmente?” Nel sentirlo il trovarobe cadde a terra, inginocchiato, sopraffatto dalle emozioni. Quella voce… quella voce! Ora che era stata lasciata risuonare limpida come poteva non riconoscerla?
“Jeremy? Sei tu?” Allora l’uomo si voltò, e finalmente lasciò che il collo del soprabito gli scoprisse il volto rivelando degli occhi scuri molto simili a quelli del trovarobe.
“Sono io, fratello…” Jeremy Green si inginocchiò accanto al fratello minore e lo abbracciò, stringendolo a sé con la forza data da quegli anni di separazione. Charles si scoprì a balbettare.
“Ma… ma… com’è possibile? Io non… non capisco!” Davvero non capiva, e anzi si chiese se non si trovasse nuovamente in un terribile incubo. Presto si sarebbe risvegliato sotto i suoi cartoni, come sempre, in preda alla disperazione. Ma poi percepì il fiato caldo dell’uomo mentre Jeremy lo baciava in fronte come sempre faceva quando lui era piccolo, e allora calde lacrime caddero dai suoi occhi. “Fratello!”
“Mi dispiace, Charlie… È stata tutta colpa mia, ma durante il mio viaggio c’è stato un terribile malinteso, e quando sono arrivato in città ho scoperto che… che papà si era ucciso distrutto dal dolore per l’avermi creduto morto, e che tu avevi lasciato casa per vagare nelle strade… Non ho avuto il coraggio di mettere piede di nuovo in casa nostra, non dopo quanto era successo!” Afferrato da quella rivelazione Charles si sentì inondare dalla gioia e dal sollievo. Dunque non aveva causato la morte della sua famiglia, non doveva più sentirsi colpevole per quelle tragedie! Suo fratello era vivo ed era lì, con lui! A sua volta lo abbracciò con forza e lasciò che il suo pianto avesse completo sfogo, incurante dei rari passanti che li osservavano bisbigliando.
Solo dopo un lungo momento, quando l’emozione si fece finalmente meno intensa, sollevò di nuovo il capo per guardare il fratello negli occhi.
“Ma allora, perché sei tornato? Perché, dopo tutto questo tempo? E perché questa terribile farsa?” Un sorriso dolceamaro si dipinse sul volto di Jeremy Green.
“Ho capito qualcosa, Charlie… Ho capito che è solo quando cominci a temere la morte, che impari ad apprezzare la vita.” Perlesso Charles gli rivolse uno sguardo interrogativo e timoroso.
“Dunque sei stato davvero in pericolo di vita? Quando?” Ma Jeremy ebbe un cenno di diniego.
“No, fratellino, non io… Tu.”

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo

“Charles? Il pranzo è pronto, scendi!”
“Arrivo subito! Di a James di tenermi caldo il piatto!” Jeremy osservò il maggiordomo che, rassegnato, alzò gli occhi al cielo.
“Il signorino crede che James sia un nome che meglio si adatti ad un maggiordomo…” Jeremy ridacchiò, divertito.
“In effetti non ho mai sentito di un maggiordomo di nome Frederick, all’infuori di te…”
“Signorino, la prego! Non inizi anche lei!” Jeremy sogghignò e tornò nella sala da pranzo sedendosi a tavola, in attesa del fratello. Ma quando questo, pochi minuti dopo, si precipitò nella sala l’uomo rimase molto stupito.
“Charlie! Cosa sono quegli abiti?” Squadrò i vestiti stracciati con aria critica, poi rivolse al fratello uno sguardo oltremodo sospettoso. “Che intenzioni hai?” Charles abbassò il volto, vergognoso, poi si riprese.
“Me ne vado.” Allora Jeremy balzò in piedi, incurante della sedia.
“Cosa significa?! Non avevamo detto…” Ma il fratello lo interruppe.
“Sì, lo so. E avevi ragione. Mi ero dimenticato di quanto la mia vita fosse importante e sfidavo il mio destino sfuggendo dal mio passato e vivendo quasi come un accattone. Ma Jeremy, in questi giorni trascorsi qui a casa, con te, ho capito un’altra cosa.” Prese fiato prima di continuare, procurandosi che il fratello non potesse interromperlo. “Ho capito che… dopotutto, fare il trovarobe mi piace davvero. Anzi, per me è diventata una passione, ogni volta è una piccola prova e questo mi tiene vivo, mi riempie di gioia. Diamine, aveva ragione quell’indovino, persino la tua richiesta mi ha dato l’adrenalina della sfida! Prima non me ne rendevo quasi conto, lo consideravo più un modo per passare il tempo, ma con questa attività sono arrivato a molte conoscenze e soprattutto ho incontrato delle persone. Persone come Spagus, un mio caro amico, che ormai sarà infuriato con me perché non mi sono più fatto sentire. Devo andare, fratellone, ti prego…” A quel fiume di parole Jeremy Green era rimasto totalmente sorpreso, ma nel sentire una simile conclusione non poté non notare che ora suo fratello pareva davvero vivo, reale. Ed onesto con sé stesso e con gli altri. Meditò per qualche istante, incapace di perdere nuovamente l’unico parente rimastogli che aveva appena ritrovato, ma poi sospirò. Non aveva scelta, lo sapeva, lo leggeva nei suoi occhi… Così annuì.
“D’accordo… ad ogni modo non potrei fermarti, non è vero?”
“Già…”
“Ma devi promettermi una cosa, Charlie.” L’uomo annuì, in attesa.
“Che cosa?”
“Voglio che tu torni da me almeno… una volta ogni due settimane, diciamo. E che quando ci vedremo mi concederai di pranzare con te come avremmo dovuto fare ora.” Gli occhi di Charles si illuminarono, felici.
“Certo, fratello!” Gli saltò al collo come un bambino, e lo strinse con tutte le sue forze. Poi, prima di perdere il coraggio di mettere in atto la sua decisione tanto meditata, si rialzò per andarsene. Ma Jeremy lo richiamò.
“Ehi, trovarobe!” Charles si voltò, stupito.
“Che c’è?” Con un sorriso, il fratello gli lanciò una monetina che il trovarobe afferrò con destrezza. La osservò, era una monetina da un penny. “Ma... che significa? Dopotutto non ho trovato quello che mi avevi chiesto!” L’uomo rise, felice.
“Ne sei sicuro?” Allora Charles ricambiò il sorriso e senza più una parola se ne andò, sentendosi finalmente libero.

Prima di appoggiarsi alla maniglia della bottega respirò forte, facendosi coraggio. Spagus gliene avrebbe dette delle belle, pensò… Sicuramente sarebbe stato infuriato con lui, non si era più fatto vedere per quasi una settimana dopo aver ritrovato Jeremy. Con un sorrisetto aprì la porta, facendo tintinnare i campanelli, e si affacciò alle scale.
“Buongiorno, Arcibald Witterson!”

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