Mission: Hoverboard

di Iryael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** | Capitolo 01 | Hovermission ***
Capitolo 2: *** | Capitolo 02 | Nirmun ***
Capitolo 3: *** | Capitolo 03 | Blackwater City: ospiti di Gazelle ***
Capitolo 4: *** | Capitolo 04 | Il potere di Alastor Gazelle ***
Capitolo 5: *** | Capitolo 05 | A casa di Skid ***
Capitolo 6: *** | Capitolo 06 | La mossa di Huramun ***
Capitolo 7: *** | Capitolo 07 | Risveglio ***
Capitolo 8: *** | Capitolo 08 | Un asso nella manica ***
Capitolo 9: *** | Capitolo 09 | Giornata piena ***
Capitolo 10: *** | Capitolo 10 | Primo giorno di gare: piani d'azione ***
Capitolo 11: *** | Capitolo 11 | Secondo giorno di gare: salvataggio ***
Capitolo 12: *** | Capitolo 12 | Ti dichiaro in arresto! ***
Capitolo 13: *** | Capitolo 13 | Finale amaro ***



Capitolo 1
*** | Capitolo 01 | Hovermission ***


[ 01 ]
Hovermission
4 giugno 5405-PF
Spazio interstellare, astronave USS Phoenix
 
Sasha entrò in plancia, ed in quel preciso istante il brusio sparì.
Sasha Phyronix, il punto di riferimento dell’intero equipaggio: decisa, instancabile, seria, ritenuta dai più il degno successore del precedente capitano. Era una cazar di bell’aspetto: discretamente alta, dal lucido pelo color cioccolato e due grandi occhi azzurri sopralineati dalla tiara che teneva fermi i capelli.
«Buongiorno a tutti.» disse allegramente. Un coro di “Buongiorno, Capitano” si levò dalle varie consolle, mentre il capitano aggirava la propria poltrona per raggiungere la posizione dell’Addetto alle Comunicazioni.
Skid, una cuffia vicino all’orecchio come i vecchi marconisti, non si accorse di Sasha fino a quando gli posò una mano sulla spalla.
«È arrivato nulla?» gli domandò lei.
Il rilgarien aveva la livrea blu, che lo collocava tra gli ufficiali superiori, e sulla spalla sinistra spiccava una omega, il simbolo degli addetti alle comunicazioni (o, come più comunemente detti, adalco). Parlò lentamente, quasi come se avesse sonno.
«Sì, Sasha. Una missione, arrivata dritta dritta dal Comando Centrale.»
Prelevò un dischetto dalla consolle e glielo porse: era lucido, con su scritto “Hovermission” e la data. La cazar prese il dischetto e lo rigirò tra le mani, prima di andare a inserirlo nella consolle della sua poltrona. L’olovisore proiettato dal bracciolo si illuminò ed un testo cominciò a scorrere davanti ai suoi occhi:
 
Hovermission
Pianeta: Rilgar – Blackwater City
Livello di priorità: arancione
Nave assegnata: nessuna
 
Sasha guardò storto il video. Arancione era una priorità alta, come potevano non assegnare alcuna nave alla missione?
Notò che sotto le scritte galleggiava il simbolo di un video, che roteava pigramente su se stesso. Perplessa, fece in modo che il filmato partisse.
Un Ranger del Comando Centrale – riconoscibile per il giglio stampato sulla spalla sinistra – si presentò con il saluto militare.
 
«Capitano Phyronix, se sta guardando questo video significa che ha accettato la missione.»
 
La cazar avrebbe voluto ribattere che non era assolutamente vero, ma non ebbe il tempo necessario.
 
«Come sa, il Comando Centrale ha sempre lottato contro lo spaccio di hayen, la droga che più si è fatta strada tra i vari pianeti della Galassia Solana, e che ultimamente si è imposta con maggior vigore sul mercato...»
 
Lo credo, pensò Sasha. È totalmente sintetica, ai produttori non costa nulla e tra i giovani è sempre una moda.
 
«Ora, mediante alcuni informatori – può leggere le schede allegate – siamo venuti a conoscenza che uno dei maggiori stabilimenti di hayen è intestato a Gazelle, il Sindaco di Rilgar, e siamo sicuri in buona parte che possegga altri stabilimenti con altri nomi. Costui parteciperà con il suo campione alle corse di hoverboard che si terranno tra un mese. Vogliamo che sia assicurato alle autorità: scelga due tra i suoi uomini migliori e li iscriva alle gare di Blackwater City.»
 
Sasha si chiese dove fosse l’inghippo. Non potevano appiopparle un tomo simile senza avere un tornaconto: andare intorno al Sindaco di un pianeta – per di più di uno focoso come Rilgar – non era né semplice né privo di rogne. Per non dire di quel “se hai fatto partire il video hai automaticamente accettato”!
No, doveva esserci la fregatura...
 
«...ovviamente la FSU non è a conoscenza di nulla, e l’operazione sarà condotta da civili che hanno sete di vendetta nei confronti di Gazelle. Come d’uso, se i civili si faranno catturare subiranno l’iter dei criminali comuni...»
 
Sasha spense il video con veemenza. Ma chi si credevano di essere, loro?! CHI?!
E chi era lei per permettersi di perdere così due uomini?! Con che diritto poteva metterli in una situazione così brutta?!
Stava per chiamare suo padre, indignata come poche altre volte, quando Skid si fece avanti.
«Sasha...» disse tentennante, temendo di essere uno dei prescelti. Non aveva più rimesso piede in quel mondo dopo il brutto incidente che lo aveva costretto a ritirarsi.
«No, Skid. Non tu.» rispose Sasha, secca.
«Chi ci vorresti mandare?» chiese con voce quasi rilassata.
«Non so, ci devo pensare.» il Capitano fece un gesto con la mano, quasi a sfarfallarla con nervosismo «Ma vorrei evitare proprio te. Hai sentito il Ranger, no? Saresti solo, laggiù.»
«Infatti non ci voglio andare.» rispose Skid «Volevo solo sapere chi hai intenzione di mandarci.»
Sasha sospirò.
«Te l’ho detto: non lo so...quei maledetti la fanno facile: “hai visto, quindi hai accettato”, ma i soldati sono i miei, e non posso mandarci due Ranger.»
«Posso darti una mano a scegliere.» propose allora il rilgarien «Non posso gareggiare, ma so ancora riconoscere se la tecnica è decente o meno.»
Sasha rimase in silenzio per alcuni istanti.
«D’accordo, scegli tu chi mandare. Dopotutto il tuo giudizio è sicuramente migliore del mio.»
 
Skid la prese in parola, e per tutto il giorno si dedicò all’Arena Hoverboard. C’era sempre qualcuno a svagarsi lì, so­prattutto nei periodi di tranquillità come quello. Se voleva cacciare un buon candidato, quella era una tappa ideale.
In silenzio, invisibile, osservò i soldati che entravano nel circuito e gareggiavano, prendendo nota ogni tanto di questa o quella persona.
Si fece rivedere in plancia solo alla fine della giornata, dopo aver riordinato idee e appunti, per fare rapporto.
«Ebbene?» domandò Sasha.
«Non ho visto nessuno di così geniale, ma un paio potreb­bero essere dei buoni candidati.» rispose lui. «Hanno gareg­giato entrambi in solitaria, ma non mi sono parsi così inefficienti.»
Il rilgarien porse due fogli alla cazar, che li pose sulla con­solle quasi senza guardarli.
«Che c’è? Non vanno bene?» chiese Skid.
«Non è questo il punto...» cominciò Sasha. A Skid non piacque per niente quel tono: lasciava intuire solo guai. «Ho finito di vedere il video, oggi, mentre eri nell’Arena.»
Non dirmi che... pensò.
«Devi andare te.»
Scese un velo di silenzio tra i due, ma fu interrotto quasi subito da una risata isterica del rilgarien.
«Stai scherzando, spero.»
«Per nulla, Skid. Tu sei espressamente indicato dal Coman­do Centrale.» a vederla, sarebbe volentieri sprofondata in un buco. «A questo punto, non si tratta più di scegliere chi mandare, ma chi viene con te.»
«Non è possibile, sapete tutti perfettamente che non posso gareggiare, che ho un ginocchio mezzo maciullato!» protestò. «Oppure fa comodo solo quando interessa?!»
«Skid, mi spiace, non ho scelta e lo sai! Ti devo mandare per forza. Lo so che non puoi, ma non posso fare altrimenti!»
«MALEDIZIONE!» il rilgarien uscì in fretta dalla plancia, lasciando Sasha sola con i fogli che gli aveva consegnato.

 

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Capitolo 2
*** | Capitolo 02 | Nirmun ***


[ 02 ]
Nirmun
7 giugno 5405-PF
USS Phoenix, Arena Hoverboard
 
Dopo due giorni passati ad osservare e brontolare, quel pomeriggio Skid adocchiò una xarthar.
Ad attirare la sua attenzione fu l’hoverboard che portava sottobraccio: arancione con fiamme bianche e oro. La diceva lunga sulla cura che la giovane vi prestava, e lui – da professionista qual era – lo prese per un ottimo segno.
Decise di abbandonare il mediocre cazar che seguiva da una giornata ed osservare la nuova arrivata.
Alta ad occhio e croce poco meno di Skid, era una coniglia dal vello marrone scuro. Aveva grandi occhi fucsia, che spiccavano sul nero della divisa da soldato. Le lunghe orecchie cadevano compostamente fino in fondo alla schiena e terminavano con un pelo rossiccio, lo stesso colore del codino, del pelo intorno agli occhi e dei capelli.
Raggiunse un gruppo di corridori che Skid aveva visto gareggiare il giorno precedente. Caso volle che fra essi ci fosse il cazar che seguiva. Meglio di così non poteva andargli per confrontare le loro abilità, si disse.
 
Intanto, ignari di essere osservati, i quattro si spostarono vicino alla linea di partenza.
«Al solito, ragazzi: dieci bolt a testa e poi via alla gara.» disse il kerwaniano dalla strana capigliatura violetta, gonfia come un pallone. Tutti misero mano alle tasche e tirarono fuori la somma, consegnandogliela. Il kerwaniano contò rapidamente l’esattezza degli accrediti e sancì che potevano raggiungere i blocchi.
«Sicura di voler gareggiare, tata?» chiese lo slademan, poggiando una mano sulla spalla della coniglia.
«Dai, Xavier! Certo che gioco! Sono due settimane che aspetto questo momento!» rispose lei, gioviale, prima di raggiungere la postazione numero quattro.
Il cazar si dispose sulla linea di partenza, in silenzio.
Le barriere si alzarono, chiudendo i contendenti in un circuito simile ad un grande tubo. Tre luci, e poi la sirena di partenza. I quattro hoverboarder schizzarono via lungo il circuito. Skid li osservò attentamente: il kerwaniano aveva tenuto la schiena troppo indietro, ed ora arrancava dietro al cazar, veloce come una scheggia. Dietro, la xarthar era impegnata in un testa a testa con quello Xavier, che cercava di superarla.
Alla prima curva la xarthar si allargò, facendosi superare dallo slademan. In realtà, con quella mossa, lei lo avrebbe recuperato e superato nuovamente presto.
Come previsto, passò su un turbo istantaneo e schizzò lontano da Xavier, piazzandosi dritta dritta al fianco del kerwaniano.
A quel punto la gara rimase pressoché in una fase di stallo fino all’ultima curva, ad “S”. A quel punto il cazar infilò il primo turbo istantaneo e sfrecciò via, mancando di un soffio quello successivo. Il kerwaniano e la xarthar infilarono il turbo praticamente insieme, ma – mentre il primo non riuscì ad infilare il secondo – l’altra si sbilanciò di più e lo centrò perfettamente, schizzando alle spalle del cazar, che stava passando sull’ultimo turbo prima del traguardo. La xarthar, ancora carica dal turbo precedente, lo infilò senza riuscire a controllare la carica. Dovette lasciare che il suo hoverboard scivolasse sulle pareti della protezione, compiendo un giro completo della barriera che circondava la pista. La velocità accumulata la fece arrivare nuova­men­te in pista a fianco al cazar, un attimo prima di tagliare il traguardo.
Skid sorrise tra sé, prima di lasciare l’Arena Virtuale. Il cazar era indubbiamente molto tecnico nei movimenti, ma non rischiava. La xarthar non aveva una tecnica eccellente, ma osava senza paura.
Aveva giusto due ore prima di cena, poteva riordinare per bene le idee.
* * * * * *
Ore 19:30
Secondo ponte servizi, mensa
 
La sala era gremita anche più del solito, quasi fosse un dispetto.
Il rilgarien aveva deciso di essere diretto, ma senza convocazioni ufficiali. Del resto, nemmeno la missione era ufficiale, quindi aveva deciso di agire all’ora di cena, mentre la mensa era piena di persone.
Skid aveva intravisto il suo hoverboarder entrare al primo richiamo e l’aveva seguito, perso di vista e ritrovato due o tre volte. Notò con piacere come il caso giocasse a suo favore, facendo sì che sedesse ad un tavolino vuoto.
Il primo che si siede lì lo incenerisco, pensò attendendo con noncuranza sulla porta. Aveva calcolato i tempi al secondo, e sarebbe entrato di lì a poco, quando il suo hoverboarder avesse cominciato a mangiare. Doveva apparire come un incontro assolutamente casuale.
Quindi, non appena vide il vassoio materializzarsi, si avvicinò con finta calma. Dribblò una serie di tavolini e raggiunse casualmente la meta.
«È libero qui?» chiese a quel punto.
La xarthar non alzò nemmeno gli occhi dal tomo che stava leggendo.
«Sì, fai pure.» rispose, ma era evidente che la sua mente era persa altrove. Skid non disse nulla. Si limitò ad accomodarsi di fronte alla xarthar, ordinò il suo pasto dalla consolle sul tavolino ed attese che gli fosse teletrasportato.
«Cosa leggi?» chiese per rompere il ghiaccio. Di nuovo, la risposta giunse distaccata.
«Studio per diventare un Adalco. Il libro si chiama “Teoria delle Onde Semi-Omicron e compendio di...”» a quel punto, non ricordando la fine, alzò la copertina per leggere il titolo.
«“...Compendio di Comunicazione Pre-Sixhan”.» completò Skid per lei «In bocca al lupo, quel libro è più tosto di quel che sembra, soprattutto il compendio.»
A quel punto la coniglia alzò lo sguardo per vedere con chi aveva a che fare. Quando si trovò faccia a faccia con uno Skid sorridente, il suo volto divenne di tutti i colori ed un attimo dopo cominciò a boccheggiare.
«Cielo! Mi perdoni, signore, non l’avevo riconosciuta! La prego di...» Skid alzò una mano e la interruppe.
«Riposo, riposo.» disse. Notò con piacere che – almeno lei – non era scattata in piedi come una molla a presentare il saluto. «Sono qui per parlare con te, non per farti il terzo grado.»
La xarthar si zittì, ma era chiaro che fosse imbarazzata e allo stesso tempo curiosa.
«Allora, prima di tutto potresti dirmi il tuo nome?»
«Nirmun, signore. Nirmun Tetraciel.»
«Bene, Nirmun. Vorrei parlare con te di ciò che è successo oggi nell’Arena hoverboard.» disse l’ufficiale. La xarthar lo fissò, disorientata.
«Che è successo, signore?» chiese, abbassando di colpo la voce, come se si aspettasse qualche brutta notizia.
«Niente di grave, tranquilla. Volevo parlare della tua prestazione sulla tavola. Ti ho osservata dall’inizio alla fine della gara, e vorrei sapere un tuo parere.»
Nirmun rise leggermente.
«Vuole un parere sull’hoverboard? Da me? Signore, per favore, non mi prenda in giro!»
«Non ti sto prendendo in giro. Ti sto chiedendo di valutarti.» ribatté Skid, e la coniglia tornò seria.
«Va bene. Ho preso male un paio di curve e sono rimasta in coda a Xavier – lo slademan – per troppo tempo, all’inizio. Poi sono riuscita a sbloccarmi. Aaron – il kerwaniano – non mi ha permesso di passare per metà giro di pista, e mi sono dovuta arrangiare al momento della curva finale. Ho avuto parecchia fortuna che né Aaron né Atrèl siano riusciti a prendere il secondo turbo, così ne ho approfittato sbilanciandomi verso l’esterno per poterlo infilare. Il punto è che poi, al terzo, non ho saputo mantenere il controllo e sono finita a fare quel giro inutile che mi ha fatto perdere un sacco di tempo, e sono arrivata seconda per un soffio.» disse. «Posso fare di meglio.»
Skid rifletté per qualche secondo, fissando il vuoto ed annuendo, poi riportò lo sguardo negli occhi della sottoposta.
«Lo penso anch’io.» rispose. «Ma penso anche che tu sia brava, di sicuro ci puoi riuscire.»
La risposta spiazzò Nirmun, che non seppe cosa ribattere. C’era da capirla: il mito degli hoverboard arrivava, le chiedeva di giudicarsi e poi le diceva che era brava, e così facendo troncava il discorso a metà.
«Signore, mi perdoni, ma...il suo discorso non ha senso.» disse, tentennando un po’. Poteva essere ritenuta un’offesa, e se l’ufficiale davanti a lei l’avesse presa come tale, il minimo che le poteva capitare era lucidare i ponti di tutta la nave armata di spazzolino da denti. Il suo, ovviamente.
Ma non immaginava che Skid andasse cercando proprio una frase come quella, infatti quando lo vide sorridere, la sua espressione si fece stranita.
«Hai ragione. Il discorso, lasciato così, non ha molto senso. Beh, quello che voglio dirti è che ho intenzione di portarti con me.»
La frase dell’ufficiale la fece preoccupare.
«Portarmi dove?»
«Prima di tutto ad effettuare una serie di allenamenti che miglioreranno la tua tecnica. Poi, se accetti, in una missione non ufficiale che arriva direttamente dal Comando Centrale.» rispose Skid. Nirmun assunse un’espressione ancora più confusa.
«Può spiegarsi meglio?»
«Mi è stata affidata una missione dal Comando Centrale: devo andare a Blackwater City ed arrestare Gazelle...»
«Il Sindaco di Rilgar?»
Skid annuì.
«Sì, lui. L’unico modo per avvicinarlo sono le gare che si terranno tra un mese a Blackwater, e mi serve qualcuno da far gareggiare.»
Nirmun si fece pensierosa. Chiuse il tomo che stava studiando e si appoggiò coi gomiti sul tavolino.
«Perché arrestarlo? Che crimine ha commesso?»
«Produzione di hayen.» rispose l’altro, svelto. «Se lo tiriamo fuori dal giro, più di tre quarti dell’hayen prodotto su Rilgar verrebbero tolti dal mercato.»
«Accidenti, quanta roba! E lei vorrebbe che io venissi con lei?»
«Esattamente.»
Non appena Skid ebbe finito di pronunciare la parola, Nirmun si fece pensierosa, intenta nei suoi conti personali.
«Mmm...personalmente lo ritengo una canaglia della peggior specie e non mi dispiacerebbe se finisse in galera, però quello ha un potere smisurato...almeno saremo coperti dalla Flotta?»
Skid sospirò.
«No. Per ordine espresso, saremmo due civili a tutti gli effetti. Ogni azione di forza nei confronti di Gazelle sarà trattata come se fosse condotta da civili; quindi, se verremo arrestati, subiremo l’iter standard.»
Nirmun si prese qualche secondo per digerire l’informazione. Più si ripeteva le parole del rilgarien e meno le piaceva.
«Figli di puttana.» borbottò, contrariata. «Se la missione andrà in porto si prenderanno i meriti, e se fallirà saremo noi quelli nei guai. Gran bel ringraziamento per chi rischia il culo.»
«Lo so, ho valutato il rischio.» replicò lui. «Per questo non ti sto convocando ufficialmente.»
«Comunque accetto. La missione ispira un casino.»
Skid tirò silenzioso un sospiro di sollievo.
«Perfetto, passa domattina in plancia. Il capitano potrà darti tutte le informazioni sulla missione, basta che tu le dica la parola “hovermission”.»
Nirmun annuì, e la cena andò avanti con il suo ritmo tran­quillo. Nessuno, nel brusio generale, fece caso a quella convo­ca­zione ufficiosa.
Nessuno tranne un certo lombax dal pelo grigio, seduto pochi tavoli alle spalle della xarthar.
* * * * * *
8 giugno 5405-PF, Ore 9:30
Ponte di comando
 
«Soldato Tetraciel a rapporto.» si annunciò la xarthar, non appena fu entrata. Sasha fece ruotare la sedia e le puntò addosso lo sguardo.
«Mi dica.»
«Sono qui per le informazioni relative all’hovermission, Capitano.»
L’altra non poté trattenersi dallo squadrarla.
Quindi Skid ha scelto lei?
«Sei stata convocata dall’Adalco McMarxx?» chiese, passando istintivamente dal lei al tu.
«Sì signore. Ieri sera a cena; può trovare conferma parlando con l’Ufficiale.» rispose prontamente Nirmun.
«Molto bene, se Skid dice che sei all’altezza, non vedo per­ché no. Suppongo che ti abbia detto i punti salienti della missione, ma comunque...» a quel punto estrasse un dischetto dalla sua consolle e glielo porse «...qui trovi tutte le informazioni che ti servono.»
«La ringrazio, Capitano.»
«E per favore, quando lo vedi di’ a Skid che avrete un supporto non convenzionale. Non vi lascerò andare allo sbaraglio.»
«Certo, Capitano, non me ne dimenticherò.»
Detto questo uscì dalla plancia e, spinta dalla curiosità, si diresse ai ponti alloggi.
Raggiunse la sua cabina e fece volare la mano sul tastierino numerico posto vicino all’ingresso.
Non appena entrò, trovò il lombax dal pelo grigio ad aspettarla.
«Lys! Che ci fai qui?»
Ulysses Yale, suo compagno di squadra e di vita. L’aspettava disteso sulla branda, intento a borbottare contro una copia di Metrofashion.
Non appena si sentì chiamare, chiuse la rivista e si rimise a sedere.
«Beh, considerato che dovevamo vederci più di mezz’ora fa e che non ti sei presentata...» rispose, facendo spallucce. «Ti sono venuto a cercare.»
Nirmun si schiaffò una mano in faccia.
«Oddio, scusami! È che con quello che mi ha detto Skid mi sono completamente dimenticata che dovevamo vederci al poligono!» esclamò. «Però potevi contattarmi telepaticamente...»
Il pilota lasciò cadere la discussione con un gesto della serie “non fa nulla”.
«Avrei sfruttato lo stesso il turno per parlare.» ammise. «Cos’è questa storia della missione?»
Nirmun si accorse subito della totale assenza di ironia. Per riflesso, il suo entusiasmo si smorzò.
«Oh, beh, te lo avrei detto...» asserì, impacciata. «Skid mi ha offerto una missione e io l’ho accettata. Sono andata a ufficializzare giusto prima.»
«Hai...ufficializzato?» Ulysses sgranò gli occhi. «Per una missione in solitaria?»
L’entusiasmo tornò a colorare le guance della xarthar, che gli si sedette vicino con aria confidenziale.
«Sì! Non è un’occasione magnifica?»
No che non lo è! – avrebbe voluto gridare lui. Ma non ci riuscì. Davanti all’entusiasmo che sprizzava lei, tutte le obiezioni gli morirono in gola. Tutto ciò che riuscì a fare fu raddrizzare le spalle e lisciarsi un orecchio con fare teatrale.
«Senza di me? Non credo proprio...»
Nirmun rise, e per un istante nella stanza echeggiò solo la sua risata argentina. Poi gli afferrò una mano e la strinse dolcemente fra le sue. «Lo so che è un rischio, ma andiamo... sono un soldato. Questa roba è il mio lavoro. E poi non mi capiterà più che Skid McMarxx mi chieda di collaborare con lui.»
«Nir, tu hai un bersaglio grosso come una casa sulle spalle.» fece presente il lombax, preoccupato. «E stai per andare a stuzzicare le persone sbagliate.»
«Ma il Capitano non ha obiettato.» replicò. «Vedrai: Blackeye non sarà un problema.»
Ulysses la guardò dritta negli occhi, alla ricerca della fonte del suo ottimismo. Lui era agitato dalla sera precedente, da quando aveva origliato telepaticamente la loro conversazione.
Il Capitano non ha obiettato, si ripeté, significa che non ritiene che ci siano pericoli connessi ai Razziatori. Sì, è così. Avrà sicuramente ragione. Forse dovrei smettere di fare le chiacchiere della buonanotte con Re. Sto vedendo fantasmi ovunque.
Mise da parte la sua preoccupazione e si sforzò di sorridere.
«Hai ragione. Junior non ti rincorrerà e tu farai sicuramente scintille sulla tavola.»
«Certo! Sono l’hoverboarder più tosta della nave, e poi tutto il mese prossimo mi allenerà il grande Skid McMarxx!»
Fu il turno di Ulysses di ridacchiare. «Ehi, non è che poi mi scarichi per lui, vero?»
Nirmun gli cinse le spalle e lo baciò.
«Guarda che sono pazza, non stupida.»
 
Qualche minuto più tardi, i due si erano spostati davanti al terminale dell’alloggio per visionare i dati nel dischetto.
Ascoltarono due volte il messaggio del Ranger col giglio sulla spalla, e più andava avanti a parlare, più le loro espressioni s’incupivano.
«Brutta storia.» commentò Ulysses alla fine.
«Già.» rispose lei. «Quello che mi preoccupa di più è che non potremo avere supporto.»
«Ehi, se vi beccano e vi danno il tentato omicidio, come minimo sono quindici anni in gattabuia!» disse lui, allarmato. «E se poi la polizia fosse dalla parte di Gazelle...»
«Non dirlo, menagramo! La polizia non può essere tutta dalla sua parte, e se anche fosse dovremmo essere giudicati dal tribunale militare...»
«Ma conti sul serio di arrivarci? È una mafia: vi fanno fuo­ri lì sul posto e tante grazie.»
«Amore, per le predizioni di morte, sventura e disgrazie mi sarei rivolta a Reshan.» lo rimbeccò bonariamente lei. «Andrà bene, vedrai. E poi avremo del supporto non convenzionale, me lo ha detto il Capitano.»
«Hn, conoscendo te e i tuoi colpi di testa saresti capace di vanificare anche il supporto non convenzionale...»
Nirmun si fece rossa in viso. «Stammi a sentire, pilotucolo: piantala subito!» esclamò, scornata.
«Soldatina, non ti azzardare a darmi ordini così, eh!» replicò con finta aria autoritaria. «Dopotutto sono un tuo superiore, mi devi rispetto!»
«Ti devo un calcio nel culo, se non finisci di dire che sono buona da niente!»
Ulysses sghignazzò.
«Mai detto questo!» rispose. «Ho solo alluso al tuo essere squinternata, impulsiva e recalcitrante...»
«La tua compagna, insomma.» replicò la xarthar, cogliendo la palla al balzo per chiudere la discussione. «Che ne dici di andare avanti?»
 
La prima cosa che visionarono dopo il video fu la scheda relativa a Gazelle ed i suoi presunti traffici, dove presenziavano cifre a nove zeri, cosa che lasciò i due basiti.
Poi videro la scheda relativa a Zenas Dehyper, il corridore di Gazelle, che a dire il vero si limitava soltanto alle informazioni essenziali; tanto che i due si chiesero che accidenti di faccia potesse avere un tipo con quel nome, visto che mancava addirittura la foto. Per fortuna erano presenti il suo palmarès e la sua cronistoria come hoverboarder, così ebbero modo di farsi un’idea di chi fosse quell’individuo.
Subito dopo visionarono le informazioni sul circuito di Blackwater City e alla villa di Gazelle; infine videro le schede relative ai suoi uomini e per poco a Nirmun non venne un colpo.
Anche Ulysses guardò lo schermo con aria sorpresa.
 
Che ci faceva il fratello di lei, Huramun Tetraciel, su quella lista?

 

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Capitolo 3
*** | Capitolo 03 | Blackwater City: ospiti di Gazelle ***


[ 03 ]
Blackwater City: ospiti di Gazelle
Nelle tre settimane che seguirono la convocazione, Skid e Nirmun si videro tutti i giorni. In quel periodo Nirmun accumulò ore su ore di allenamento intensivo, teoria, preparazione alla missione e studio – non poteva mollare il corso per diventare Adalco proprio a due mesi dall’esame.
Scoprì il piacere di dare del tu ad un ufficiale superiore, e parecchie cose sul conto del suo “maestro”. Ad esempio, sco­prì dell’incidente. Per tutti Skid McMarxx era scomparso mi­ste­riosamente dal mondo delle corse, ma adesso sapeva che, in realtà, aveva subito una brutta caduta durante una gara, a seguito della quale il ginocchio non si era mai riabilitato per bene. Poi aveva scoperto di come fosse stato convocato nella Flotta. E poi tante altre cose ancora, in uno scambio di informazioni continuo e diretto.
Infine, la mattina del 29 giugno, furono pronti a partire.
Non c’era nessuno nell’Hangar Due a salutarli, e la cosa un po’ dispiacque alla soldata.
D’altro canto, solo in tre erano a conoscenza della missione. E, di essi, Ulysses era stato mandato con altri a controllare la sicurezza di un passaggio attraverso la cintura di asteroidi che si stagliava davanti alla Phoenix, la sua compagna di alloggio era in missione e Reshan era scappato verso Metropolis il giorno prima.
 
C’erano solo lei e Skid, che chiacchieravano mentre caricavano i loro bagagli nella biposto che la Flotta aveva messo a disposizione. Entrambi avevano abbandonato le divise in favore di abiti civili: lui indossava dei pantaloni ed una T-shirt decisamente larghi, che assieme alla catena in oro che gli pendeva dal collo gli davano un’aria da guru. Lei aveva invece un abitino arancione con una sottile linea gialla che partiva dal collo e correva lateralmente per sottolineare le forme del corpo.
«Fatto!» esclamò Skid, soddisfatto, mentre finiva di mettere l’ultimo bagaglio nella navetta. «Allora, vediamo di ripassare la parte: tu sei?»
«Sono la tua allieva, e gareggerò in tua vece. Ci siamo co­no­sciuti un paio di anni fa, ad un incontro di hoverboarder tenutosi su Xartha, a cui tu hai gentilmente partecipato.»
Skid annuì.
«Ho capito subito che il tuo stile istintivo era un talento grezzo, così ho deciso di prenderti sotto la mia custodia. Ed oggi eccoci qui.»
«Cosa faremo dopo la gara, maestro?» chiese Nirmun.
«Torneremo su Xartha ad allenarci, o forse tenteremo con i circuiti di Aquatos: dipende da come ti comporterai in queste giornate.» rispose Skid. La xarthar annuì.
«Bene, maestro, allora io cercherò di raccogliere più informazioni e prove possibili, poi agiremo al momento opportuno.»
L’altro annuì.
 
Infine entrarono nell’abitacolo della navetta. Skid era al posto di guida: diede gas ai motori e portò la navetta al di fuori del grande incrociatore.
 
Dopo molte ore di viaggio, Rilgar li accolse con la sua atmosfera cupa: una pesante cortina di nuvole bluastre oscurava il suolo, alti palazzi scorrevano ai lati di strade strette e – a tratti – malamente illuminate da lampade gialle.
Dall’altura su cui erano atterrati si godeva una bella vista di Blackwater City, che si ergeva sulla terraferma ma si inoltrava per una buona metà tra le acque scure e fredde, popo­late per lo più da piranha grandi come hovermoto.
«Benvenuta a Blackwater City, Nirmun.» disse Skid. La xarthar si guardò attorno, spaesata.
«È...è inquietante. Voglio dire, inquietante ma splendida. Dà l’impressione di essere una città cattiva ma al contempo no...» disse dopo un po’. Skid ridacchiò tra sé: non era male come prima descrizione.
«Blackwater City è misteriosa, perché ha in sé il bianco ed il nero della società.» disse, pacato «E poi ha quest’atmosfera particolare che...» non finì la frase che una folla di giornalisti risalì l’altura sulla quale erano atterrati e li accerchiarono schiamazzando frasi come «Eccolo! È lui! È proprio lui!»
«...oh, porca miseria.»
In breve tempo si ritrovarono immersi in un bagno di flash delle macchine fotografiche, mentre più microfoni si facevano avanti.
«Signor McMarxx, è vero che parteciperà alla prossima corsa di hoverboard?»
«Come mai un ritorno sulla scena?»
«Crede che queste gare possano rappresentare una svolta nella sua carriera di hoverboarder?»
Skid agitò le mani come a voler placare le domande. Quasi immediatamente i giornalisti si zittirono per permettere al rilgarien di rispondere.
«Non sarò io a partecipare, ma la mia allieva qui presente. Credo di poter dire di aver ricevuto la svolta della mia vita nel momento in cui ho deciso di mettermi ad allenarla...»
«Signor McMarxx, sappiamo che vi siete incontrati due anni fa su Xartha e che da allora non vi siete mai divisi...non è che tra di voi c’è del tenero?»
A porre questa domanda fu una robot che sul completo portava ricamato il cartiglio di GossiBlog. Visto per chi lavorava, Skid cercò di ponderare bene le parole.
«Ci siamo conosciuti due anni fa, è vero, ma il nostro rapporto è quello che si trova tra un maestro e la sua allieva, tutt’al più buoni amici, e nient’altro.» rispose «Adesso, se poteste scusarci...»
Cercò di dividere in due i giornalisti e proseguire per la via con Nirmun al seguito, quando la calca si divise per lasciar passare una squadra di rilgarien. Quattro erano chiaramente guardie del corpo, ma il loro protetto era di un’altra categoria. Dalle spalle larghe (come minimo il doppio di quelle di Skid, notò Nirmun) scendeva un completo di sartoria privo di qualsiasi piega. I capelli erano raccolti in quattro codini e laccati all’indietro in modo impeccabile, il sorriso era luminoso, da tanto che i denti erano bianchi e lo sguardo era incredibilmente sveglio.
«Skid McMarxx! Amico mio, da quanto tempo!» disse, gioviale, affibbiando a Skid una pacca sulle spalle che avrebbe steso chiunque. Skid ciondolò in avanti, ma riprese in fretta l’equilibrio.
«Alastor! Anche per me è un piacere rivederti!» mentì. Nel frattempo fiumi scroscianti di flash venivano emessi dalle macchine dei giornalisti. Nirmun si fece piccola alle spalle del suo superiore.
«E questa meraviglia qua dietro chi è?» chiese il rilgarien, alludendo a Nirmun.
«Oh, lei è...» cominciò Skid, ma fu anticipato dalla xarthar.
«Nirmun, signor Gazelle, sono l’allieva di Skid. Piacere di conoscerla.» rispose educatamente, porgendogli la mano con l’intenzione di stringergliela. Invece lui la sorprese, afferrandogliela ed inchinandosi al contempo.
«Enchanté.» disse, facendole il baciamano. Nirmun cercò di dissimulare l’imbarazzo, ma non poté essere certa che l’indomani sui quotidiani non sarebbero uscite foto che la ritraevano con le gote arrossate. Di sicuro rispose con un sorriso aggraziato, sperando di dimenticarsi presto dell’inconveniente. Quando Gazelle distolse l’attenzione da lei per riportarla su Skid, la xarthar tirò un segreto sospiro di sollievo.
«Allora, Skid, se sei tornato con un’allieva significa che par­teciperai alle gare che si terranno tra una settimana, non è così?»
«Sì, è esatto. Ma non parteciperò io, sarà Nirmun a farlo. Sarà il suo banco di prova per le piste di Aquatos.»
Gazelle fece la faccia di chi la sapeva lunga.
«Mhh, Aquatos...beh, allora la tua coniglietta dev’essere davvero in gamba se la vuoi portare là!»
Nirmun dovette ricordarsi che non poteva ucciderlo solo perché l’aveva chiamata coniglietta, o l’equilibrio fragile in cui erano lei e Skid sarebbe crollato come un castello di carte: obiettivo raggiunto, sì, ma con annesso carcere a vita.
«Ma vabbé, lasciamo questi discorsi a dopo...sono fiero di avervi come miei ospiti per tutto il tempo che rimarrete sul pianeta!» annunciò il Sindaco, afferrandoli per le spalle ed attirandoli a sé in un abbraccio fin troppo premuroso. Una volta che l’ebbe sciolto, si fece largo tra i giornalisti fino alla sua limousine. Skid e Nirmun si guardarono un momento negli occhi prima di seguirlo, rifiutandosi categoricamente di rispondere alle domande.
 
Quella limousine era il mezzo più comodo su cui Nirmun avesse mai viaggiato. La pelle dei sedili era morbidissima, e la radica gli dava quello stile un po’ retrò che tutto sommato non era sgradevole. Lei sedeva di fianco a Skid, e Gazelle era seduto di fronte a loro, vicino ad una guardia del corpo.
«Ehi, Alastor.» chiamò Skid non appena la limousine ebbe cominciato a muoversi.
«Sì?»
«Capisco che tu sia a caccia di voti, ma non c’è bisogno di ospitarci. Dopotutto, sono anch’io di Blackwater e qui ho una bella casa.» disse.
«Non credo proprio...» rispose l’altro, incolore. «Qualche tempo fa è stata saccheggiata e seriamente danneggiata.»
«Cosa???»
«Non sappiamo chi sia il colpevole o se siano più di uno, ma sta di fatto che la tua casa è inagibile. Pare addirittura che per qualche tempo sia stata utilizzata come magazzino per stivare merci di contrabbando o forse droga...la polizia non ti ha contattato?»
Skid scosse debolmente la testa. Gazelle sbuffò sonoramente.
«Quelle merde...stavolta pianterò un bel casino alla centrale! Ah, se mi sentiranno! Il miglior cittadino di Blackwater rimane assente per un po’, gli devastano la casa e lui manco lo viene a sapere!» brontolò. Sembrava inorridito dalle sue stesse parole.
Skid e Nirmun si scambiarono un’occhiata veloce e per­plessa. Senza poter utilizzare la casa di Skid come base ope­rativa, per di più alloggiando in casa del loro nemico, avrebbero dovuto fare molta più attenzione.
* * * * * *
29 giugno 5405-PF, Ore 18:30
Blackwater City, quinto settore
 
La villa dove risiedeva Gazelle era a dir poco immensa. Situata nel quartiere ricco della città, aveva un giardino popolato da piante eliofobe e statue di pietra chiara. La costruzione era moderna, tutta vetro ed acciaio, e non superava i tre piani. L’ingresso era ampio, illuminato da grandi plafoniere di cristallo opaco ed era arredato con mobili bassi nei toni del bianco e del nero. Più che un ingresso era un salotto, a giudicare dall’arredamento.
Ed era un salotto abitato.
L’olovisione, simile ad uno schermo cine­matogra­fico, era accesa e dal divano antistante sbucava un paio di piedi.
«Zenas, abbiamo ospiti.» annunciò il Sindaco. Dal divano emerse una testa chiaramente cazar, dal corto pelo castano e gli occhi blu profondo. Poco dopo lo videro riemergere, in piedi, ed avvicinarsi all’ingresso. Indossava una camicia spiegazzata ed un paio di pantaloni scuri.
«È il tuo corridore?» chiese Skid, vedendolo avvicinarsi. Gazelle attese che fosse abbastanza vicino da poterlo afferrare per le spalle e scrollare con fare paterno, esibendosi in una delle sue risate profonde.
«No, lui è il futuro campione delle gare!»
Nirmun storse la bocca.
Modestia a profusione, vedo.
Intanto Gazelle proseguì: «Skid, lui è Zenas Dehyper; Zenas, ti presento Skid McMarxx.»
Udita la presentazione, Zenas strabuzzò gli occhi.
«Il grande Skid McMarxx? Il rilgarien dei dodici hoverboard d’oro?» chiese, stupito.
«In persona.» ribatté lui, orgoglioso.
«E allora, caro il mio Alastor, dubito di essere il futuro campione delle gare!» disse Zenas, facendo spallucce.
«A-ah, regola numero uno ragazzo: mai dare prospettive di sconfitta al proprio finanziatore, è un modo sicuro di rimanere al verde.» rispose Skid con aria complice. «E poi non sarò io a gareggiare. Ci penserà Nirmun a farti mangiare la polvere.» aggiunse con un sorriso orgoglioso. Copertura o no, l’animo di hoverboarder di Nirmun si gonfiò come un pal­loncino. Il cazar non le dedicò più di un’occhiata, ma quando incontrò gli occhi della xarthar, volarono letteral­mente scintille.
«Dubito che riuscirà a starmi dietro.» rispose semplicemente «Spero ti piaccia il mio lato B, bambola.» disse poi, rivolto a Nirmun.
«Dillo al terzo classificato.» rispose Nirmun, esibendo il suo migliore sorriso. «Io non avrò nessuno davanti.»
«O-ho! Partiamo bene!» disse Gazelle per interromperli. «Zenas, ti dispiace far vedere agli ospiti le loro camere? Io intanto andrò da Grace a dirle di preparare per più persone.»
Il cazar sbuffò.
«Sono un hoverboarder, non la tua serva. Mandaci Irina od un’altra delle tue robot cameriere.» rispose, secco.
Ma il Sindaco non era disposto a tollerare certe risposte.
Un’occhiataccia lo raggiunse all’istante: Zenas sapeva cosa significasse e sudò freddo.
«D’accordo.» disse infine «Seguitemi.»
Li condusse lungo i corridoi della casa fino al primo piano, dove assegnò una camera ciascuno. Quindi li lasciò da soli e se ne tornò al piano di sotto. Nirmun e Skid appoggiarono i loro bagagli nelle camere, poi la xarthar raggiunse Skid nella sua camera.
«Posso parlarti liberamente?» chiese, appena entrata.
«Certo.»
«Da quanto conosci il Sindaco?»
«Perché?»
«Siete molto in confidenza.» rispose lei, secca. Non le aveva detto che si conoscevano: potenzialmente, questo complicava le cose.
«Eravamo compagni di scuola, anni fa. Ne abbiamo combinata qualcuna insieme, ma mai niente di pericoloso. Poi le nostre strade si sono divise fino ad oggi.»
«Okay, hai altro da dire?» incalzò xarthar, svelta. Stavolta Skid le scoccò un’occhiataccia.
«Rilassati, Nirmun. Siamo appena arrivati, e ne avremo ancora per una settimana o forse dieci giorni. Non conviene farsi saltare i nervi per una sciocchezza simile.» ammonì. Nirmun si morse la lingua e si limitò ad annuire.
«Hai ragione, scusami. È che non riesco a fermarmi, se devo dire una cosa la dico.»
«Ti smusserai col tempo, vedrai.» le rispose Skid gentilmente, pensando a quanto quel lato del carattere fosse simile a quello di un certo lombax dal pelo biondo. «Dovevi dirmi solo quello?»
«Ehm...veramente no. Hai notato che occhiata ha lanciato a Zenas, quando si è rifiutato di accompagnarci?»
«No, non ci ho fatto caso.» rispose il rilgarien.
«No?» chiese stupita. «Te lo dico io: era un’occhiata assassina, e Zenas ha avuto paura. È sbiancato, e poi ci ha portato su più docile di un cagnolino.»
«Vero. Quindi?»
«Quindi Zenas sa qualcosa.»
Skid le lanciò un’occhiata eloquente.
«E tu hai capito tutto ciò da una semplice occhiata?» chiese con tono leggermente ironico. «Cosa vorresti fare, metterlo all’angolo e puntargli la tua pistola al petto per fargli sputare qualcosa? Nirmun, non farti prendere la mano. Procediamo per gradi: domani andremo a verificare a casa mia.»
La xarthar si limitò ad un lieve «Sì signore.» con aria scor­nata.

 

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Capitolo 4
*** | Capitolo 04 | Il potere di Alastor Gazelle ***


[ 04 ]
Il potere di Alastor Gazelle
29 giugno 5405-PF, ore 21:00
Quinto settore, villa del Sindaco
 
La cena fu servita con puntualità impeccabile. Una schiera di cameriere robotiche alternavano piatti di pesce a piatti di carne, gusti esotici a cibi tipici di Blackwater City, mentre i commensali mangiavano e chiacchieravano. Ad essere precisi, erano solo Skid e Gazelle a chiacchierare, mentre Nirmun e Zenas non facevano altro che lanciarsi occhiatacce di tanto in tanto.
In quel momento Skid aveva appena finito di raccontare un episodio del passato – peraltro senza mascherarlo molto – quando Gazelle rispose con una delle sue risate profonde.
«Dai Skid, tu non me la racconti giusta...ero convintissimo che fossi nella Flotta...»
«Nella Flotta io? Andiamo, mi hanno chiamato per quel lavoretto con Nefarious, è vero, ma ti pare che possa rimanere attaccato a quelli?» rispose lesto il rilgarien. Gazelle sembrò soddisfatto dalla risposta, soprattutto dal tono disgustato con cui aveva pronunciato l’ultima parola.
Ci fu un altro scambio di occhiate tra Nirmun e Zenas, uno di quelli che all’Accademia definivano “squadratura di studio”. Per la precisione, l’ottavo da quando la cena aveva cominciato ad essere servita. Gazelle sembrò notare quest’occhiata, ed interpretò il gesto brusco di Nirmun come un segno d’irritazione.
«Zenas, suvvia, non è gentile osservare con insistenza una signorina.» lo ammonì. «Perché piuttosto non le fai fare un giro del giardino?»
Skid colse al volo l’opportunità.
«Già, perché non cercate di conoscervi? Magari potreste scoprire lati di voi che non credevate esistessero.» disse. Nirmun lo avrebbe trucidato volentieri con lo sguardo.
Si sforzò di guardare il piatto e desiderò che Ulysses avesse preso parte alla missione. Quando era con lui certe battute non doveva sopportarle. O non venivano a galla o venivano deviate con qualche battuta tagliente. In ogni caso, non la infastidivano così nel profondo.
Scoprì di non essere l’unica infastidita dalla proposta: anche Zenas storse la bocca con aria contrariata.
«Dopo, semmai. Ho ancora fame.» rispose. Sia Skid che Gazelle annuirono, ma il secondo non digerì molto bene la nuova rispostaccia del cazar.
«Senti, Alastor...»
Gazelle focalizzò lo sguardo su Skid con la rapidità di un furetto.
«Sì?»
«Vorrei andare a vedere com’è ridotta casa mia, domani. Pensi che sia fattibile?» chiese con l’aria più ingenua possibile. Sapeva che sarebbe bastata solo una parola del Sindaco per poterci entrare come e quando voleva.
Tuttavia Gazelle diede segno di pensarci su.
«Non saprei, Skid. Posso andare dal responsabile della polizia e piantare un casino, ma non so se ti renderanno le chiavi di casa.» rispose infine.
«Andiamo, Alastor, quando è successo il fattaccio?»
«Circa un mese e mezzo fa...»
«E dopo tutto questo tempo tu, che sei Sindaco del pianeta, non hai voce in capitolo?» chiese Skid fingendosi stupito. «Andiamo, sono convinto che tu possa metterci parola...»
Gazelle si esibì in un nuovo sorriso.
«Ah, Skid, vecchio volpone! Non è certo adulando me che rientrerai in casa tua!» ribatté. «Comunque proverò ad ottenere qualcosa, anche se ovviamente non posso garantire nulla.»
«Capisco...» s’affrettò a rispondere Skid «Pur essendo Sindaco, non hai il controllo delle forze di polizia e pertanto devi andare ad inchinarti di fronte a loro.»
«Esattamente.» rispose Gazelle.
«...deve essere una seccatura terribile.» riconobbe l’ex hoverboarder, prima di sfoggiare una faccia dispiaciuta. «Mi dispiace di averti procurato questo problema, ma in fondo ero convinto di avere il diritto di rivedere casa mia, e magari di riprendere qualche affetto personale, se non me li hanno rubati tutti.»
Gazelle fece una faccia contrita.
«Già, è un diritto sacrosanto che dovrebbero avere tutti, per questo farò quanto in mio potere, te lo assicuro.» assentì, serio. Probabilmente, si disse Skid in un primo momento, meditava su come sfruttare la vicenda a suo vantaggio nelle successive elezioni.
Se ci andrà, alle prossime elezioni, aggiunse mentalmente.
Frattanto Nirmun continuava a mangiare, ascoltando ogni parola. Zenas aveva smesso di guardarla di sottecchi, ed anche lei non aveva più motivo di squadrarlo. Aveva già fatto le sue considerazioni su di lui: era uno stronzo tronfio ed egocentrico, e di sicuro non avrebbe pianto per lui nel momento in cui gli avrebbe assicurato le manette ai polsi.
Tuttavia, fu proprio Zenas a rompere il ghiaccio tra i due.
«Ti va una sfida, coniglietta?» chiese, indicando un punto imprecisato alle sue spalle con il pollice.
Nirmun scambiò un’occhiata con Skid, che annuì.
«Va bene, cazar. Fammi vedere di che pasta sei fatto.»
E mentre Zenas si diverte con la coniglietta, io vedrò di chiamare la Centrale Maggiore, si disse Gazelle. Skid non deve rientrare in casa sua, per nessuna ragione. Ma prima devo saperne di più.
 
Quella sera, quando fu solo nella sua camera, Gazelle estrasse un cellulare dalla tasca e digitò un numero. La risposta avvenne al primo squillo.
«Falcon.»
«Mi servono informazioni su due persone: Skid McMarxx e una xarthar di nome Nirmun. Bassa, sottorazza coniglio, pelo castano e rossiccio, occhi fucsia.»
«Sarà fatto.»
«Portamele per domattina ed avrai paga doppia, Falcon.»
«Mi metto subito al lavoro, Signore.»
«Bene.»
Detto questo, chiuse la comunicazione.
* * * * * *
30 giugno 5405-PF, ore 9:45
Blackwater City, nono settore
 
L’accoglienza che la centrale di polizia riservò ad Alastor e Skid fu tiepida. I due dovettero aspettare per tre quarti d’ora in una saletta sovraffollata, prima di essere ricevuti da un poliziotto piuttosto impaziente di toglierseli dai piedi.
«I vostri nomi?» chiese.
«Alastor Gazelle e Skid McMarxx.» rispose il Sindaco.
«Sì, ed io sono Curtney Gears.» ribatté ironicamente il poliziotto «Per favore, siate seri. I vostri nomi?»
«Skid McMarxx e Alastor Gazelle.» rispose educatamente Skid, sebbene leggermente irritato dal fatto che non gli avesse creduto.
Il poliziotto roteò gli occhi. A quel punto, Gazelle afferrò il giornale e gli mise sotto il naso la prima pagina, dove una foto gigantesca li ritraeva nell’abbraccio amichevole della sera prima.
«Puoi confrontare, se vuoi.» disse. Il poliziotto scrutò bene i loro volti e li confrontò con quelli della foto, e dovette ammettere che, se erano impostori, allora le maschere le avevano elaborate proprio bene.
«Allora?» chiese il Sindaco, palesemente irritato. Il poliziotto fece un ultimo e molto rapido controllo, incredulo, prima di rimettere via il giornale.
«I-io sono mortificato, signori...ditemi tutto.»
«Tanto per cominciare, portaci dal massimo responsabile qui dentro. Poi scordati la promozione per un bel po’.» disse Gazelle, con un tono basso che sapeva di minaccia. Una minaccia che – il poliziotto lo sapeva – sarebbe diventata realtà nell’arco di poco tempo.
Cercando di salvare il salvabile, scattò in piedi e si affrettò a condurli nell’ufficio dai vetri affumicati del commissario capo.
«Signore, il Sindaco Gazelle e Skid McMarxx chiedono di lei.» annunciò entrando nell’ufficio. L’altro lo fissò con tanto d’occhi, ma poi il suo dovere s’impose ed ordinò di lasciarli passare. Il poliziotto aprì la porta e li fece accomodare nell’ufficio.
«Menomale che almeno qui c’è qualcuno che crede che siamo chi diciamo di essere.» commentò Gazelle. Il commissario capo fece loro cenno di accomodarsi, mentre il poliziotto spariva in corridoio.
«Come posso aiutarvi?» chiese
«Vorrei poter rientrare in casa mia.» dichiarò Skid «È possibile?»
«Ah, lei si riferisce al caso di furto con scasso subito un mese e mezzo fa, giusto? Beh, si stanno ancora facendo gli accertamenti e...»
«Accertamenti? ACCERTAMENTI? Che razza di discorso è?!» sbottò Gazelle «Ma vi rendete conto della qualità del servizio che state offrendo?! Andreste denunciati solo perché lui non ha saputo nulla fino a ieri sera!!! A Skid McMarxx, una delle stelle più brillanti di Blackwater City, viene svaligiata la casa e lui non solo non viene informato, ma dopo un mese e mezzo gli viene negato il diritto di rientrare in casa sua solo per degli accertamenti che andavano fatti un mese e mezzo fa!!!»
Il rilgarien dietro la scrivania assottigliò lo sguardo.
«Sindaco, per favore, non venga a parlare a me della qualità del servizio di polizia, perché sa benissimo che Blackwater è una città difficile e che ogni notte contiamo dei feriti tra i nostri agenti.» rispose con sdegno. «A mio parere, il servizio che offriamo è più che valido per gli abitanti della città.»
«Già, a suo parere! Ma sa quanto conta il suo parere?» a quel punto Gazelle fece una pausa brevissima, dardeggiando l’interlocutore con lo sguardo. «Conta meno di zero! Là fuori ci sono centinaia di criminali e lei si lagna!»
«Lagnarmi?! Se lei destinasse più fondi al servizio di polizia, magari i criminali sarebbero in galera ed io le potrei dare quelle maledette chiavi!»
«Quindi non ci da il permesso per ripicca!» concluse Gazelle, svelto.
«Magari fosse per quello! Non ve lo posso consegnare per via delle leggi che lei, Sindaco, ha varato!» rispose l’altro.
«Insomma che casa mia la devo vedere in cartolina per quanto?» chiese Skid, spazientito, ma senza alzare la voce. Il commissario capo gli scoccò un’occhiata di fuoco.
«Non lo so, signor McMarxx. Non lo so davvero.»
«E allora è perfettamente inutile continuare a fare a chi grida più forte.» concluse, alzandosi dalla sedia. «Buona giornata, signore.»
E detto questo, uscì.
Gazelle scambiò un’ultima occhiata con il commissario capo, stavolta carico di soddisfazione.
«Questi te li sei meritati.» mormorò, allungando una busta sul tavolino.
«Sempre ai suoi ordini, Sindaco.» rispose lui, facendo sparire la busta in un cassetto.
Gazelle rimise la maschera di rabbia ed uscì, inveendo la polizia per il suo servizio scadente.
* * * * * *
Ore 11:45
Quinto settore, villa del Sindaco
 
«È andata male, vero?»
Nirmun raggiunse Skid in giardino, vicino alla piscina. Lui era steso su una sdraio e rifletteva con le braccia incrociate dietro la testa.
«Già. C’è davvero molto attrito tra Alastor e la polizia.» commentò piattamente «A te com’è andata?»
«Zenas è un vero bastardo. Bara in ogni forma possibile, accidenti! Per poco stamani non mi ammazzavo perché mi ha manomesso un condotto ionico!» rispose lei, infervorata.
«Non ti sei fatta niente, spero.»
«Tranquillo, ho solo battuto la culata peggiore della mia vita. E quel bastardo si è messo a sghignazzare dicendo “certo che se non sai stare nemmeno in piedi non potrai vincere. Meglio così, tesoro”. Galassia, che nervi! Giuro che lo polverizzo!»
Skid sorrise, divertito dall’imitazione.
«E tu cosa gli hai risposto?» domandò.
«Che è un maledetto bastardo e che la prossima volta gli trasformo l’intero clarino dei condotti ionici in una supposta.»
Skid se la rise di gusto.
«Sì, ti ci vedo proprio a fare una cosa simile!» disse infine. «Vai e stendilo!»
Nirmun non riuscì a trattenersi dal ridere.
«Ti va di fare un giro per Blackwater?» chiese poi Skid «Così ti dico le novità.»
«Volentieri.» rispose lei annuendo e scattando in piedi. Con un gesto rapido si assicurò l’hoverboard a tracolla, facendo sorridere Skid.
«Te lo porti dietro?» chiese.
«Con una carogna come Zenas in circolo, è il minimo che possa fare!»
Skid sogghignò per poi rialzarsi.
«Ci tieni davvero a quell’hoverboard, eh?»
«Certo che ci tengo, è il nostro lasciapassare qui! Tu no?»
Skid lasciò cadere la discussione, ritenendo che fossero troppo vicini al nemico. Nel giro di pochi minuti furono fuori dal perimetro della villa.
 
Dall’alto del suo studio, Gazelle osservò i due uscire dalla villa. Una volta che ebbero varcato il cancello, afferrò il suo cellulare e digitò un numero. Come con l’informatore, la risposta avvenne al primo squillo.
«Huramun.»
«Skid e la coniglia sono appena usciti dirigendosi in città. Seguili e scopri cosa tramano.»
«Sì signore.»
La comunicazione si chiuse con la stessa rapidità con cui era cominciata. Gazelle ripose il telefono sulla scrivania e lo sguardo cadde sui fascicoli che vi erano sopra. Uno recitava a chiare lettere “Skid McMarxx”, mentre l’altro “Nirmun Tetraciel”.
Gazelle riconobbe che Falcon aveva fatto un ottimo lavoro, e fu soddisfatto di non aver buttato via trentamila bolt: il suo informatore gli aveva procurato proprio dei bei fascicoli. Grazie a lui aveva scoperto che Skid aveva mentito spudoratamente, e che anche la sua “allieva” non era che un soldato della Flotta.
Ah, Skid...sei proprio scaduto, pensò.

 

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Capitolo 5
*** | Capitolo 05 | A casa di Skid ***


[ 05 ]
A casa di Skid
30 giugno 5405-PF, ore 14:00
Blackwater City, 22esimo settore
 
Nirmun e Skid camminavano per il centro cittadino da un paio d’ore, parlando di argomenti futili. Non appena il rilgarien ritenne di essere pronto, passò ad argomenti più seri. In quel momento entrarono in una via leggermente meno trafficata.
«Gazelle sostiene di avere molti attriti con la polizia, ma sono convinto che la sua sia solo una messinscena.» disse. Nirmun gli rivolse un’occhiata incuriosita. «È esploso troppo in fretta stamani, e ha adottato un modo di fare troppo aggressivo, invece che chinare il capo e adularli come avrebbe dovuto fare. Sarebbe dovuto scendere a compromessi, invece è partito a muso duro senza cedere un passo. Eppure è un politico accorto, certe cose le capisce e le sa meglio di me.»
«Pensi che lo abbia fatto apposta?» chiese Nirmun. Skid arricciò le labbra, pensieroso.
«Sì.» rispose. «Il che significa che non vuole che io rimetta piede in casa mia.»
«Ehi, stavolta non pensi di essere tu a correre un po’ troppo?»
«No, se Alastor non è cambiato da quando ci siamo conosciuti.»
«Sì, ma...»
«Niente ma, Nirmun. Adesso stammi a sentire: stasera andremo a casa mia, che Alastor lo voglia o no.»
«Sì, ma...» tentò nuovamente la xarthar. Skid la bloccò con un’occhiataccia.
«Ancora! Soldato Tetraciel, il mio è un ordine!»
Ma allora sei scemo! pensò spazientita Nirmun, tappando la bocca al suo superiore con una mano.
«Maestro, siamo seguiti. Non è il caso di dire cosacce.» disse, trattenendo il tono. Non le era sfuggito il tizio che li pedinava da quando avevano lasciato la villa di Gazelle. Era un tipo alto, col cappuccio della felpa tirato su e un paio di occhiali da sole. L’aveva colpita perché Blackwater City non era mai baciata dalla luce di una stella, quindi perché portare un paio di occhiali da sole? E soprattutto, come accidenti faceva a vederci?
«Chi è?» chiese piano Skid, non appena Nirmun tolse la mano.
«Venti metri dietro di noi, il tipo alto con la felpa e gli occhiali da sole. Probabile xarthar, non ne sono sicura. È entrato in ogni posto dove siamo entrati e ha consumato qualcosa nello stesso bar dove ci siamo fermati. Dubito sia un caso.»
«No, sarebbe nello stile di Alastor.» commentò il rilgarien, voltandosi appena. Individuò quasi subito il tipo, intento a fissare qualcosa in una vetrina. «Vieni.»
Skid l’afferrò per un braccio e cominciò a correre. Subito il tipo si discostò dalla vetrina e cominciò a correre per stargli dietro, confermando i loro dubbi.
Il rilgarien sgusciò tra le vie trascinandosi dietro Nirmun, cercando strade sempre più affollate nel tentativo di disperdere le proprie tracce, ma il tizio riusciva sempre in qualche modo a stargli dietro. Lasciarono alle loro spalle vie larghe e strette, più o meno trafficate, di mercato e non. Poi Nirmun si accorse che Skid ansimava fortemente.
Non è un atleta, accidenti! pensò, prima di affiancarlo con uno scatto.
«Prendo io il comando!» esclamò e, sciolta la stretta di Skid, fu lei a trascinarlo. Alla prima svolta a destra, entrò nel vicolo e, correndo, sfilò l’hoverboard dalla cintura che lo assicurava alla schiena.
«Che vuoi fare?!»
«Lo seminiamo con l’hoverboard!»
«Cosa?! Non c’è tempo sufficiente!»
La xarthar si fermò di colpo e gettò l’hoverboard a terra.
Il tizio comparve all’ingresso del vicolo.
«Salta su!» gridò, e salendo sulla tavola fece in modo di avviare l’accensione. Il propulsore si accese con la sua solita pigrizia: Nirmun sapeva che non si sarebbe acceso correttamente fino allo scadere dei sei secondi successivi.
Il tizio si avvicinava velocemente. Doveva essere allenato, o forse addestrato da molto tempo.
La xarthar imprecò contro la lentezza del propulsore. Erano passati sì e no tre secondi, ed il tipo aveva già macinato quasi la metà della distanza che li separava.
Muoviti! Muoviti! fu il pensiero comune.
La tavola cominciò a levitare, mentre il tipo aveva macinato un altro po’ della distanza che li separava.
Mancavano due secondi.
Al tipo calò il cappuccio, e due lunghe orecchie da coniglio fluirono dietro la schiena.
Mancava un secondo.
Nirmun si voltò all’indietro per vedere dove fosse il tizio.
La tavola cominciò a muoversi.
Il tizio si levò gli occhiali.
Mancavano pochi metri.
Gli sguardi s’incrociarono.
 
La tavola partì.
 
I due sfrecciarono verso il cielo aperto, ed allo xarthar non restò che smettere di correre. Tranne che per qualche pigro foglio di carta svolazzante, nel vicolo tornò la pace.
«Merda.» biascicò, ansimando.
 
Cinque minuti dopo Skid e Nirmun stavano sorvolando il tetto di uno degli alberghi della città. Nirmun atterrò, trovando il posto difficilmente rintracciabile dallo xarthar.
Ansimavano ancora quando si sedettero contro il basamento delle antenne. La coniglia si passò una mano sugli occhi e sulla fronte. Il cuore in petto batteva ancora forte.
«Sembri sconvolta... -anf- È la tua... -anf- prima missione?» chiese Skid, che ansimava più di lei.
«Era Hura.»
Skid non recepì subito la risposta.
«Chi?»
«Il tipo di prima.» rispose Nirmun. Era palesemente nervosa.
 
Al tipo calò il cappuccio, e due lunghe orecchie da coniglio fluirono dietro la schiena.
(Bionde, con la punta castana)
 
Mancava un secondo.
Il tizio si levò gli occhiali.
(Le iridi erano azzurre, fredde come la pietra)
 
Mancavano pochi metri.
Gli sguardi s’incrociarono.
(Le pupille si dilatarono per la sorpresa)
 
La tavola partì.
 
«Era mio fratello.»
Skid aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Passarono alcuni secondi prima che riuscisse a parlare.
«Ne sei... -anf- davvero sicura?»
La xarthar annuì.
Quindi non era omonimia, suo fratello stava dalla parte di Gazelle.
Bene, magnifico! pensò con stizza.
«Questo rende le cose... -anf- più difficili.» constatò lui. «Accidenti... -anf- Non si può dire che... -anf- questa missione sia cominciata... -anf- sotto la buona stella.»
«No. Direi di no.» rispose atona lei.
«Ad ogni modo, io... -anf- stasera devo andare a vedere... -anf- la situazione a casa mia.» disse Skid «Se vuoi stare alla villa... -anf- fai pure...»
«Vengo con te. Se mi focalizzo sul pensiero “Hura lavora per Gazelle” divento un peso e nient’altro.» ribatté Nirmun. «E poi non sei un centometrista con quel ginocchio, me ne sono accorta. Vedrò di fornirti un passaggio d’emergenza.»
«Oppure un diversivo... -anf-» osservò il rilgarien.
«Oppure un diversivo.» concordò lei.
* * * * * *
Ore 0:00
Quinto settore, villa del Sindaco
 
Skid e Nirmun uscirono di nascosto, stando attenti a non farsi scoprire dalle guardie.
Il rilgarien guidò la xarthar per le vie di Blackwater City con esperienza consumata, conducendola attraverso viottoli e scorciatoie che evitassero in ogni modo le strade principali. La sua villa sorgeva nel terzo settore, tra un giardino pieno di piante eliofobe ed una piscina olimpionica. Era Aveva due soli piani e un tetto-giardino incolto che, ai suoi tempi, doveva essere stato invitante.
«Quant’è che non torni?» chiese la xarthar.
«Da quando Ratchet è finito nella DreadZone. Quattro anni, all’incirca.» rispose lui, sussurrando, prima di farle cenno di stare zitta. Potevano esserci delle guardie in giro.
Attraversarono il vialetto silenziosi come felini, e si fermarono davanti al portone. Skid estrasse dai pantaloni un mazzo di chiavi e le fece entrare nelle serrature, sbloccandole una dopo l’altra. Quando anche l’ultima fu scattata, un lampo di luce divertita gli passò per gli occhi, ma sparì quasi subito alla vista di una seconda porta d’ingresso blindata.
«Questa non l’ho fatta mettere io.» commentò, notando che l’apertura della porta richiedeva l’impronta della mano. «E scommetto che alla porta della cantina la storia si ripete. Vieni, passeremo dall’ingresso anti-giornalisti.»
«Dove?»
Skid non rispose: l’afferrò per un braccio e la trascinò fuori dal perimetro della villa con la stessa perizia di quando erano entrati.
«Ma...» cercò di protestare Nirmun, mentre scavalcavano il muro di cinta.
«Ssst! Fidati.» la zittì lui. Una volta scesi dal muro di cinta, aggirarono l’abitazione verso est e si infilarono in un vicolo anonimo. Più o meno a metà c’era un tombino che recava il nome della società dell’acqua, e fu lì che Skid condusse Nirmun.
«Dammi una mano, per favore.» disse, e cominciò a far scivolare il tombino su un perno tirandolo per la maniglia. Nirmun non commentò e si apprestò ad aiutare il suo superiore. Il tombino si rivelò molto più pesante del normale, ma svelò un corridoio in cemento armato. I due vi scivolarono dentro, richiudendosi dietro il tombino, e seguirono il percorso illuminando la strada con le torce che si erano procurati prima di partire dalla villa.
«I miei complimenti, signore. Ma non potevamo passare subito da qui?» chiese Nirmun.
«Mi è venuto in mente davanti al portone blindato. Speriamo che non siano state impiantate nuove telecamere nel frattempo.» rispose Skid.
«Ah, certo. Speriamo.»
Quando giunsero alla fine del corridoio, si trovarono di fronte ad una porticina non più alta di un metro. La aprirono e, passatala, si ritrovarono nel camino del salone di villa McMarxx. Era effettivamente tutto in disordine come se ci fossero passati i ladri: quadri mancanti o caduti, il tavolino era stato ribaltato e così anche le poltrone ed il divano, i mobili erano aperti e c’era una marea di cose, fogli e cocci per terra.
«Ugh...la mia collezione di ceramiche Ghish...la mia roba...accidenti! Cadessero le palle a chi ha fatto una cosa simile!» mormorò tra i denti il padrone di casa.
Decise che non era il caso di ammirare oltre lo scempio che avevano compiuto in salotto, quindi si fece strada tra gli oggetti in terra. «Vieni, dai...»
Oltrepassarono il salotto e giunsero in fondo ad un corridoio per poi svoltare a destra. Davanti a loro c’era una porta.
«Sopra deve sembrare uno sfacelo ad opera dei ladri; per cui, se Gazelle trama qualcosa, lo fa in cantina. Quindi scendiamo.»
Nirmun annuì e mise mano alla maniglia, calandola lentamente. La porta si aprì senza emettere il minimo suono, rivelando una rampa.
Io qui avevo una scala, pensò Skid, scendendo con la xarthar al seguito. Scoprirono che la rampa portava ad un primo piano interrato, la cantina, ma proseguiva verso un secondo piano interrato di cui Skid ignorava la presenza.
«Dividiamoci» disse il rilgarien «Tu controlla qui, io vado di sotto. Ci rivediamo tra mezz’ora al tombino da cui siamo entrati, intesi?»
«Sì signore.»
E si divisero.
 
Mezz’ora dopo si rividero al tombino, come avevano stabilito. Una volta richiusa l’entrata, s’incamminarono velocemente verso la villa di Gazelle, scambiandosi le informazioni.
Cominciò Nirmun: «Il piano che ho esplorato era una semplice cantina, tuttavia ci sono alcuni dettagli che non mi tornano. Ci sono alcuni armadi blindati, coperti da vecchie tende, ed un paio di freezer a torre troppo nuovi per essere lì da quattro anni.»
«Solo quello?» chiese Skid. Nirmun annuì. «Non hai provato ad aprirli per vedere che cosa contenevano?»
«No signore, erano provvisti di codice a dieci cifre, non ho potuto.»
«Anch’io ho trovato una porta blindata, ma per fortuna non era bloccata a dovere, così sono entrato. Credimi, quello scantinato è una vera e propria raffineria: ci sono forni, presse, polverizzatrici, freezer, alambicchi per la distillazione e tanta di quella materia prima da intonacarci le pareti della villa di Alastor. E quel piano non dovrebbe nemmeno esserci, è lì il bello.» disse Skid. «Alastor è stato abbastanza furbo da usare casa mia come laboratorio per la produzione di hayen, così – se la polizia scopre qualcosa – sarò io ad essere incriminato.»
«Ma la polizia non avrebbe già dovuto scoprirlo quando c’è stato il furto?» chiese Nirmun.
«Già. Ma pare che non l’abbia fatto.»
«Quindi o sono ciechi tutti quanti...»
«...o sono tutti dalla parte di Alastor, che è molto più probabile.»
Nirmun fece un cenno ironico con la testa. Le tornarono in mente le parole che aveva scambiato con Ulysses quando avevano visionato le informazioni, e maledisse il suo troppo ottimismo.
«Non c’è che dire: hai proprio una bella spada di Damocle sulla testa.» commentò.
«Ci sei anche tu sotto, Soldato. Se Alastor venisse a sapere che sono un adalco, senza dubbio farebbe ricerche anche su di te, e in quel caso non basteranno gli occhioni dolci a salvarti la vita. Sempre che non abbia già fatto le debite ricerche.»
«Se fosse come dici tu, se avesse fatto le ricerche intendo, a quest’ora non saremmo qui, ti pare?»
«Mhh...può darsi.» rispose il rilgarien, anche se non ne era del tutto convinto. Non lo era per il semplice fatto che tutta Blackwater City sapeva che lui era lì per gareggiare e che erano ospiti del Sindaco: non avrebbe fatto buona pubblicità uccidere il favorito prima del giorno delle gare.
Ma anche vista così...non era affatto una bella situazione.
* * * * * *
1 luglio 5405-PF, ore 0:50
Spazio interstellare, sistema Ti’chaq
 
«Sasha, dimmi perché
Ratchet, con uno dei suoi bronci migliori, era alla guida di una navetta anonima, diretto a Rilgar assieme all’inseparabile robottino Clank.
Non avevano fatto in tempo a rimettere piede sulla Phoenix che erano stati rimbalzati verso Blackwater City.
«Uuh, Ratchet, andiamo! Perché Skid ed il soldato Tetraciel sono nei guai fino al collo.» sbottò la cazar, spazientita. «Al si è dimenticato di oscurare le loro cartelle dagli archivi della Flotta, per cui – se Gazelle per disgrazia avesse fatto ricerche – sarebbe l’equivalente di averli mandati al patibolo. E poi avevo promesso un supporto non convenzionale.»
«Ed allora che accidenti sei rimasta a fare sulla nave? Potevi muoverti anche te, no?» rimbeccò il lombax. «Un bel viaggetto in notturna, con arrivo previsto alle tre passate...come fai a rinunciarci?» domandò, sarcastico.
Lei sorrise, enigmatica, e Ratchet si chiese se non fosse stata trattenuta dai famosi “impegni di un ufficiale superiore”.
«Non dirmi che avresti preferito sul serio accompagnare Qwark in vacanza.» rispose Sasha.
«Piuttosto che rimettere piede su Rilgar, direi proprio di sì.» rispose il lombax, spiazzando Sasha. «Insomma, mi stai chiedendo di confrontare il sole caldo di Pokitaru con la notte perenne di Blackwater City!»
«Oh, perfetto. E io che credevo di averti fatto un favore.» rispose secca la cazar. Ratchet si sentì in dovere di mitigare la situazione.
«Beh, dai, da una parte sì. Dieci giorni con Qwark non li auguro nemmeno al mio peggior nemico.»
«Lo so, per questo ti ho tolto dall’incarico.» disse lei. «Takami non era la faccia della felicità, ma l’ha accettato.»
«L’hai dato a lei? E l’ha accettato?» chiese ad occhi sgranati lui. «Porca miseria, di cosa l’hai minacciata?»
«Di niente.» si difese Sasha. Ratchet le scoccò un’occhiata obliqua che sembrava dire “sì, e io sono la fatina dei denti da latte”.
«Ha accettato e basta.»
«Vuoi vedere che è successo qualcosa col pipistrello?» mormorò tra sé il lombax pensando che, se era così depressa da accettare dieci giorni con Qwark, l’ufficiale Jure doveva incastrarci di sicuro.
«Impossibile, l’Ufficiale Jure è a Metropolis per l’apertura del testamento di suo padre.» rispose Sasha.
«È morto?»
«Già.» spiegò la cazar. «Anzi, l’ufficiale doveva rientrare stamani, ma non si è ancora fatto vivo e non ha mandato comunicazioni.»
Ratchet fischiò di ammirazione. «Non avrei mai detto che il pipistrello si sarebbe fatto disertore!» commentò. «Non lo credevo capace.»
«Per questo ho mandato Takami a riprenderlo. Sono sicura che con lei tornerà indietro, qualunque sia il problema.»
«E allora vedi che ho ragione!» esclamò lui. «Il damerino c’entra eccome!»
«Ma lei non deve stare con Qwark a Pokitaru?» chiese Clank, entrando nella conversazione.
«Per l’amor del cielo, no! Lo deve solo portare sul pianeta, poi proseguirà assieme al pilota Yale fino a Metropolis, dove andranno a ripescare l’ufficiale disperso.»
«Quindi non è da sola.» constatò Ratchet, sollevato. «Meglio così, da sola ho paura che tenterebbe qualche stupidata.»
«Andiamo, è molto più intelligente di quello che credi. Non credo che si getterebbe nel primo burrone così, tanto per fare.»
«Comincia ad essergli legata, e lei è un tipo di quelli che si getterebbe in un vulcano, se servisse ad aiutare qualcuno a cui è legata.» rispose il lombax.
«E tu sei come lei, solo un po’ meno pessimista.» lo rimbeccò la cazar.
«In effetti, molto più ottimista.» commentò il robottino. «E molto più legato a lei di quanto voglia farci credere.»
«Comunque, tornando all’hovermission: ma non avevi nessun altro da mandare al buio?» chiese Ratchet per tagliare quel discorso che non avrebbe portato da nessuna parte.
Sul video Sasha fece una smorfia disperata.
«Oh, Ratchet!»

 

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Capitolo 6
*** | Capitolo 06 | La mossa di Huramun ***


[ 06 ]
La mossa di Huramun
I giorni successivi Nirmun e Skid si allenarono alla pista di Gazelle. Dovunque andassero, però, avevano sempre qualcuno con loro: che fosse Zenas, Gazelle oppure uno dei suoi tirapiedi, erano sempre tenuti d’occhio. Nirmun lo trovava snervante, così durante una seduta di allenamento cacciò fuori tutti letteralmente a calci, prendendosela soprattutto con un rilgarien che era lì per tenerli d’occhio.
«Sei terribile, lo sai?» aveva commentato Skid dopo averla vista sbraitare e mandare fuori quel povero ficcanaso. Per poco Nirmun non aveva sbattuto fuori anche lui.
 
Il fatto più importante avvenne il 2 luglio, tre giorni dopo la visita a casa di Skid. In centro, in modo apparentemente casuale, furono avvicinati da un turista che chiese informazioni. Un cosa che poteva essere normale, se non fosse stato per la domanda che gli fu posta a metà della conversazione.
«Ragazzi, come va?»
Lì per lì non capirono a chi fosse rivolta la domanda, sussurrata come un tabù.
«Come?» chiese Nirmun, disorientata.
«Non fatemi tirare fuori i distintivi, dai! Sono Ratchet!»
«T-tu sei chi???» sbottò la xarthar. Aveva di fronte un umano – un umano alto, non un lombax nanerottolo.
«È lui. Non vedi che c’è anche Clank, a mo’ di zaino?» le rispose Skid, stirando un sorriso, prima di rispondere alla domanda. «Non siamo messi bene. Casa mia è stata chiusa dalla polizia perché “svaligiata” oltre un mese fa, ma in realtà è diventata un laboratorio per la produzione di droga. Noi siamo a casa di Gazelle, che si finge ancora mio amico.» spiegò in breve.
«Sospettiamo che sappia chi siamo perché ci fa seguire dappertutto.» aggiunse Nirmun. «Skid pensa che non sia entrato in azione solo perché lui ha un nome nel mondo degli hoverboard.»
«Giusto.» assentì Skid. «E Nirmun è sicura che suo fratello sia uno dei tirapiedi di Alastor.»
Ratchet, che aveva rimbalzato lo sguardo da uno all’altra, lo fissò su Nirmun. «Ne sei certa?»
«Al cento percento.» rispose lei.
«Accidenti, Skid, dovete andarvene da lì!» sbottò l’altro, a quel punto. «Inventati una storia qualunque ma levatevi da quella casa!»
«Non discutiamo ora; non sarebbe saggio.» commentò Clank, immettendosi nel discorso. «Rivediamoci stasera al ristorante dell’hotel Mahne, alle nove. Potreste dire che ve ne andate a mangiare fuori.»
«Sì, è fattibile.» rispose Skid.
«Beh, grazie mille.» disse a quel punto il neo-umano, alzando la voce in modo che si sentisse tutto intorno. «Senza di voi sicuramente mi sarei perso. Grazie mille!»
Quindi si divisero, prendendo due direzioni opposte.
* * * * * *
Ore 21:00
Ottavo settore, Hotel Mahne
 
Skid e Nirmun rimasero fermi all’entrata della sala finché Ratchet non si alzò dal tavolo e li andò a salutare.
«Per di qua, seguitemi. Clank è rimasto di sopra, ma è come se ci fosse. Vede e sente tutto, tranquilli.» disse, portandoseli dietro. Giunti al tavolo, fece loro cenno di accomodarsi. «Siete stati seguiti?»
«Sicuro.» rispose Nirmun. «Vede quel tipo laggiù?» ed indicò l’ingresso con lo sguardo. Ratchet e Skid guardarono dove indicato e videro il cameriere che li aveva accolti parlare amabilmente con un rilgarien dall’aria distinta, giovane, vestito in giacca e cravatta «È lui. L’ho visto più volte nella palestra di Gazelle.»
«Io non l’ho mai visto...» ribatté Skid.
«Sì che l’hai visto. Ieri l’ho cacciato dalla pista.»
Ratchet e Skid seguirono con lo sguardo il rilgarien fino al tavolo. Davanti a lui c’era uno xarthar coniglio: quando Nirmun lo vide, le si spezzò il respiro.
«È tuo fratello?» chiese Ratchet. Nirmun impiegò un momento a rispondere, mentre lo fissava tirare fuori un pc sottile e passarlo all’altro. Annuì.
«Cosa mi sai dire di lui?» chiese ancora il neo-umano.
«Fino a due anni fa era nella polizia di Xartha, poi ha litigato con i capi e ha lasciato il distintivo. Da allora silenzio.»
«Quindi ha un addestramento base dei corpi di polizia.» rifletté Ratchet «Punti deboli? Ha mai avuto delle difficoltà in qualcosa?»
«È leggermente miope, ma non ha mai voluto portare occhiali. L’ultima volta che l’ho visto sparare, aveva delle difficoltà nelle lunghe distanze. Però, con le lenti a contatto, è un cecchino.» rispose atona Nirmun. Lo vide ridacchiare con l’altro, mentre quello smanettava sul pc.
«Oh, Hura...» mormorò.
«Ci serve un piano alla svelta, se quel pc serve a quel che penso io.» disse Ratchet.
Scese il silenzio, mentre un cameriere – credendo erroneamente che avessero finito di discutere su cosa mangiare – si avvicinò per prendere le ordinazioni. I tre fecero finta di niente e chiesero piatti tipici di Rilgar. Non appena il cameriere se ne fu andato, Ratchet fece la sua proposta.
«Dobbiamo fare gioco di squadra: voi portate Gazelle sulla Phoenix, noi andremo a casa di Skid a raccogliere prove materiali da aggiungere alle testimonianze. Lontano da Rilgar non potrà contare sulla protezione di nessuno e dovrà confessare.»
«Sì signore.» disse Nirmun, meccanicamente. «Ma sarebbe meglio arrestare anche il suo corridore, Zenas Dehyper, perché sono sicura che sa qualcosa.»
«Devi esserne certa.» la rimbeccò Ratchet. «Sicura non basta: se quello ci pianta una causa finiamo tutti nei pasticci.»
«...e Alastor sicuramente ne approfitterebbe per sfuggirci.» finì la frase Skid. In quel momento, Huramun si alzò dal tavolo e se ne andò. Nirmun si sforzò di ignorarlo guardandosi l’abito, mentre gli altri due lo seguirono di sottecchi con lo sguardo. Non aveva più il computer con sé.
«Nirmun.»
La xarthar alzò lo sguardo verso Skid.
«Sì, maestro?» chiese con voce spenta.
«Non ti abbattere.»
Nirmun stirò le labbra. Doveva essere un sorriso, ma non le riuscì.
«È l’unico parente che ho, signore. Non mi va giù che sia attaccato a Gazelle.»
«Non ti va di arrestarlo, abbiamo capito.» disse Ratchet. «Ma ha fatto le sue scelte, e se sono sbagliate ne deve pagare le conseguenze. È la legge della vita.»
«Già. La legge della vita.» commentò Nirmun, atona, guardando ora il rilgarien con cui aveva parlato Huramun rispondere al primo squillo di un cellulare. «Comandante, lei ha mai affrontato una situazione come la mia?»
Ratchet dovette pensarci su. Aveva sempre vissuto da solo, prima che arrivasse Clank a stravolgergli la vita. E anche considerando Clank come un fratello acquisito...no, non aveva mai vissuto l’esperienza.
«No.» fu la risposta.
«E allora non spari sentenze.»
La risposta secca di Nirmun prese in contropiede il neo-umano, che si adombrò.
 
Fuori dal locale, intanto, Huramun si collegò alla rete radio di comunicazioni delle guardie di Gazelle tramite la radio della sua vettura.
Aveva portato il pc a Falcon affinché scoprisse chi era l’umano con cui si erano incontrati sua sorella e Skid, ed era uscito pressoché subito. Non aveva dubbi che Nirmun l’avesse riconosciuto, tre giorni prima. E non sarebbe stato facile mantenere la copertura quando sarebbe arrivato l’ordine di uccidere i due – perché tutte le guardie erano state messe a conoscenza delle identità di Skid e Nirmun, e non c’era altra spiegazione che andasse bene per la messa in circolo delle informazioni.
Indubbiamente, non l’avrebbe uccisa. Ma non poteva lasciarla circolare, quando l’ordine poteva arrivare da un momento all’altro.
 
«Squadre Alpha e Beta, convergere al Mahne e creare scompiglio...»
 
Huramun scoccò un’occhiataccia alla radio. Gazelle aveva assoldato trenta malviventi direttamente dalle carceri di Blackwater City, e li aveva organizzati in sei squadre. Ora era lui a dare gli ordini via radio, su una frequenza particolare della polizia, criptata anche per la maggior parte delle volanti.
 
«...e ricordate che Skid McMarxx deve vivere...»
 
Huramun drizzò le orecchie, improvvisamente più attento.
 
«Squadra Alpha: ricevuto.»
«Squadra Beta: ricevuto.»
«Soprattutto: uccidete l’umano e la xarthar che sono con Skid McMarxx.»
«Ricevuto.»
 
Serrò i denti: avrebbe dovuto agire alla svelta.
Gettò uno sguardo sui sedili posteriori, dove aveva lasciato le sue armi e la sua attrezzatura mimetica. Ad occhio e croce avrebbe avuto cinque minuti per cambiarsi e fingersi uno delle squadre.
Ripassò a memoria i volti dei malviventi, per vedere se poteva sostituirne uno.
No, troppo rischioso. Mi mischierò a loro e trascinerò via Nir.
Mentre pensava, si cambiò d’abito ed indossò la tuta scura che aveva preso dai magazzini di Gazelle. Una volta finito, prese due pistole: una la caricò con aghi soporiferi, l’altra – più piccola – la caricò con quattro aghi trattati con il veleno della characha. Quale avrebbe dovuto usare per salvare sua sorella, lo avrebbe deciso sul momento.
Fece in tempo a smaterializzare la pistola piccina nei guanti ed a tirare su il cappuccio alla felpa, prima che la prima vettura degli uomini di Gazelle giungesse nel parcheggio dell’hotel.
Uscì dalla vettura e si infilò nell’albergo, appostandosi all’ingresso della sala ristorante con gli occhi fissi su un tavolino preciso.
 
Nella sala nessuno sospettava quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Skid e gli altri erano impegnati a cercare di mettere su una strategia, quando l’auricolare di Ratchet prese a ronzare. Il neo-umano sussultò.
«Ci sono dei tipi armati nel parcheggio. Venite via.»
Ratchet annuì, cupo, prima di fare un cenno agli altri due.
«Abbiamo visite.» disse a bassa voce. «Venite, saliamo.»
Facendo finta di nulla, si alzarono. Huramun lesse il labiale di Ratchet e s’infilò nell’ascensore: il Mahne contava ottantacinque piani, difficilmente sarebbero saliti su per le scale. Una volta dentro, pigiò il pulsante del primo piano. Quando le porte si riaprirono, poco dopo, lui era già sparito sul tettuccio.
Nirmun, Skid e Ratchet uscirono dalla sala e fecero a malapena in tempo a salire le scale che conducevano al primo piano, quando giunsero rumori di vetri infranti, grida ed i primi colpi d’arma da fuoco.
«Ratchet! Ratchet! Tutto bene?»
Il neo-umano diede un’occhiata all’ascensore e lo vide vuoto.
«Dentro, svelti!» ordinò. Nessuno obiettò, ed una volta dentro Ratchet pigiò il pulsante dell’ottantesimo piano. Fuori si sentivano colpi d’arma da fuoco sempre più vicini, sovrastati dalle grida degli ospiti che cercavano di fuggire, rovesciando il mobilio e correndo in ogni dove.
«Non ci sono!» gridò qualcuno.
«Di sopra! Di sopra!»
«L’ascensore!»
Mentre la cabina cominciava a salire, si udirono forti colpi alle porte esterne.
«Clank! Mi senti? Sono qui per noi!»
«Mi sto infiltrando nel sistema di controllo dell’ascensore... ecco... adesso disattivo la funzione di indicazione del piano... Ed ora... velocità massima attivata!»
Non appena finì la frase, la cabina dell’ascensore raddoppiò la velocità della corsa.
«Cosa...?!» sbottò Nirmun.
«È Clank, ci ha velocizzato la corsa e ha impedito che chi ci da la caccia veda dove siamo diretti.» spiegò Ratchet.
«Ah...menomale...»
Huramun, sul tetto, udì tutto.
Quindi c’è anche un quarto elemento, si disse. Si chiama Clank. Ed è abile con i sistemi elettronici, se si è infilato nel sistema di controllo dell’ascensore. Non può essere con loro, non l’ho sentito parlare. Probabilmente sono in contatto radio o simili.
Lo xarthar guardò in alto, e giudicò di avere a malapena il tempo di un’irruzione nell’ascensore.
Beh, al lavoro! pensò, prima di sfondare la botola dell’ascensore con un calcio.
All’interno della cabina, Ratchet ascoltava un aggiornamento di Clank, quando la botola superiore cedette e gli picchiò in testa, facendolo svenire.
«Ma che...»
Skid non poté finire la frase che Huramun saltò nella cabina con le pistole spianate.
«Tu!» gridò Nirmun, riconoscendolo, tra il deluso e l’arrabbiato «Schifoso pez-»
Huramun non le diede il tempo di continuare e sparò due colpi: a Nirmun con la pistola dagli aghi avvelenati, mentre a Skid con l’arma dagli aghi soporiferi. Fu un’azione veloce: pochi secondi e si accasciarono entrambi, giusto in tempo perché la campanella dell’ascensore segnasse il loro arrivo al piano.
E adesso, andiamo a fare bella figura di sotto! si disse, pigiando il bottone del piano terra. Il piano, sebbene improvvisato, prevedeva che lui tornasse al piano terra e consegnasse un dormiente Skid agli uomini delle squadre Alpha e Beta, mentre lui si sarebbe occupato di far sparire il finto cadavere della sorella, e l’avrebbe portata in un posto sicuro. Ma che fare dell’umano? E del quarto uomo, il misterioso Clank?
Beh, per questo Clank non posso fare niente, ma non ci siamo mai visti e quindi non dovrei temere nulla. E anche se avesse in mano le registrazioni delle telecamere interne dell’albergo, io ho sempre tenuto su il cappuccio, ragionò. Ma con l’umano è diverso. Per lui c’era un esplicito ordine di omicidio: non posso rischiare che si riprenda proprio mentre la polizia trascinerà via il suo corpo, o verrò sospettato immediatamente.
Pensieroso, si accucciò fino ad essere di fronte al volto di Ratchet. Lo studiò per alcuni secondi, quindi estrasse la pistola con gli aghi soporiferi e gli sparò all’addome. In quel modo fu certo di evitare rischi inutili.
 
Quando le porte si riaprirono, si trovò davanti due malviventi della squadra Alpha.
«Tu! Come sapevi che erano in ascensore?!» sbottò il primo.
«Abbassa i toni, idiota.» ringhiò Huramun. «Stavo eseguendo gli ordini del Sindaco.»
«Ordini? Non ci ha parlato di un solitario.» obiettò il secondo.
«Certo, potevano essere a conoscenza delle frequenze di comunicazione. Secondo te come hanno fatto a svignarsela un attimo prima che voi entraste?» chiese sarcastico lo xarthar. «Ad ogni modo, li ho stesi.»
Gli occhi del malvivente si sgranarono fino all’inverosimile.
«E McMarxx? McMarxx doveva rimanere vivo!»
«Oh, ma lui è vivo.» continuò Huramun.
Il malvivente constatò visivamente che Skid respirasse poi, non fidandosi, si avvicinò a sentirne il battito cardiaco. Lo sguardo di Huramun si fece più penetrante mentre i secondi passavano. Infine il malvivente sollevò Ratchet e Nirmun, e sembrò insoddisfatto dalla mancanza di sangue sul pavimento.
«Beh?»
«Tzé! Ma allora sei proprio un idiota! Se fossi uscito da quell’ascensore imbrattato di sangue, come credi che potrei uscire in mezzo alla gente?!»
Con quella risposta, Huramun si guadagnò un’occhiata truce dal malvivente, ma questi non ebbe modo di ribattere: al grido di “Polizia, arrendetevi!”, una selva di rilgarien in divisa fecero irruzione nell’hotel, sparando a tradimento su qualunque membro della squadra Alpha e Beta che vedessero.
«Dovevate solo arrestarci!» obiettò qualcuno, prima di essere trucidato da una sfilza di proiettili e cadere gridando, l’ennesimo grido tra le grida di quella serata.
«Figli di puttana.» commentò il malvivente con cui aveva parlato Huramun, prima di voltarsi per fuggire per le scale: non raggiunse il primo gradino che un proiettile lo raggiunse all’altezza del cuore. Un poliziotto era appena sbucato dalla sala ristorante e aveva sparato con mano sicura. Dopo aver esploso il colpo, rinfoderò l’arma e si accese una sigaretta: quello era l’ultimo della serie.
«Signor Huramun, se non si cambia d’abito e non assume un’aria terrorizzata, difficilmente passerà inosservato.» esordì.
«Certo, ha perfettamente ragione agente.» rispose con altrettanta noncuranza Huramun. «A proposito, come può vedere alle mie spalle ci sono i bersagli. Skid McMarxx è vivo, l’ho messo a nanna con i miei aghi soporiferi, mentre gli altri due li ho sistemati a dovere. Senta, non è che può darmi una mano con il trasporto dei corpi fino alla mia vettura? Sa, il signor Gazelle tiene in modo particolare al fatto che nessuno dei tre fosse presente durante questo episodio increscioso...»
Il poliziotto capì al volo.
«Ma certo. Sarà come se nessuno di quei tre fosse mai stato qui questa sera: i criminali saranno appartenenti ad una nuova banda terroristica, e lei non sarà menzionato in alcun rapporto.» disse con aria rassicurante.
Huramun annuì.
«Bene, vedo che ci capiamo.»
«Qualsiasi cosa per il Sindaco.» rispose cortesemente, prima di farsi portare tre grandi sacchi da cadavere.

 

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Capitolo 7
*** | Capitolo 07 | Risveglio ***


[ 07 ]
Risveglio
2 luglio 5405-PF, ore 21:40
22esimo settore, Hotel Mahne
 
Clank assistette all’azione di Huramun solo attraverso il microfono che Ratchet aveva nel bottone superiore della polo. Con quello a disposizione non capì né chi fosse entrato nell’ascensore, né da dove fosse passato.
Una cosa la capì, però: Ratchet era stato messo fuori combattimento. Quindi era in pericolo, e se era in pericolo lui lo erano anche Skid ed il soldato Tetraciel.
I milioni di circuiti che aveva nella scatola cranica si attivarono per riflettere sulla migliore azione da compiere: dal rumore di sirene che proveniva dall’esterno, doveva essere intervenuta la polizia, quindi ai piani bassi doveva essere successo un tafferuglio pazzesco. Uscire in quel momento avrebbe significato destare sospetti. Però doveva assolutamente ritrovare Ratchet. L’unimimetizzatore che aveva addosso era ancora il prototipo usato un paio di mesi prima; chi poteva dire che non avrebbe causato problemi?
E se l’avessero scoperto? Se lo avessero fatto tornare lombax?
Basta Clank, adesso te ne vai da qui e cerchi Ratchet, s’impose. Senza strafare: sei l’unico ancora libero, e nessuno sa della tua presenza.
Ma come fare ad andarsene?
Lo sguardo vagò per la camera che lui e Ratchet occupavano da qualche giorno. Il robottino era immerso nella penombra, collegato al sistema di controllo dell’ascensore mediante il quadro elettrico della camera, e lo sguardo gli cadde dritto sulla finestra.
Ecco l’uscita. Se non hanno scoperto il microfono-bottone, sfrutterò il segnale e lo utilizzerò per trovarlo.
* * * * * *
Contemporaneamente (ore 21:40)
 
Il primo impulso di Huramun fu quello di correre a nascondere Nirmun da qualche parte e darle l’antidoto alla characha, ma sapeva che farlo avrebbe attirato i sospetti di Gazelle, quindi decise di portargli tutto il trio. Se avesse convinto il Sindaco a fare sì che fosse lui a sbarazzarsi del cadavere di Nirmun, avrebbe potuto nasconderla come e dove meglio credeva.
Tenendo lo sguardo fisso sulla strada, pigiò sull’acceleratore, macinando metro dopo metro la distanza che separava il Mahne dalla villa di Gazelle.
«Si può sapere dov’eri finito?» lo apostrofò Zenas, che lo aveva visto parcheggiare in tutta fretta nel parcheggio sotterraneo della villa. «Al Mahne c’è stato casino.»
«Ero al Mahne, fattorino.» lo rimbeccò nervosamente Huramun. «E ho portato un regalino al Sindaco. Tu, piuttosto, esci?» chiese, indicando l’hoverboard che reggeva in mano.
Zenas serrò i denti a sentirsi chiamare fattorino. Era il corriere per i clienti più importanti di Gazelle, e quel nomignolo gli rodeva l’orgoglio come pochi.
«Porto i ringraziamenti del Sindaco al commissario capo.» rispose, piccato. «E non chiamarmi più fattorino, oppure...»
«See see...» strascicò lo xarthar. «Me lo hai già detto. Occhio agli intoppi, fattorino.»
Huramun lasciò la sala salutando con un cenno della mano il cazar.
Zenas accese il suo hoverboard con malagrazia, macinando rabbia per “quello stronzo d’un coniglio”.
 
Salito ai piani superiori, lo xarthar si diresse subito a fare rapporto a Gazelle.
«Huramun...che ci facevi ancora al Mahne quando le squadre sono intervenute?» chiese il rilgarien, brusco, senza nemmeno attendere che lo xarthar chiudesse la porta.
«Ho sentito la comunicazione radio, signor Sindaco, e mi è parsa un’azione che dava troppo nell’occhio. Avrebbe insospettito la gente, che di sicuro l’avrebbe letta come una manovra atta ad eliminare il favorito delle gare di hoverboard.» rispose schietto lo xarthar. Quando Gazelle lo aveva “assunto”, due anni prima, lo aveva elogiato per la sua schiettezza, ed era l’unico che si poteva permettere il lusso di contraddire il Sindaco.
«Non avevo idea degli accordi con la polizia, che è prontamente intervenuta a sterminare quei malviventi.» continuò.
«E dimmi, dove sono i tre per cui è stata organizzata la sceneggiata?»
«Nella mia vettura, signor Sindaco, nel parcheggio sotterraneo. Ho creduto più saggio mantenerli in vita, perché parlino se messi uno contro l’altro, tuttavia...la xarthar ha osato troppo.»
«L’hai uccisa?»
«Sì.»
Gazelle si voltò verso la vetrata dell’ufficio, pensieroso.
«Con il suo permesso, ho intenzione di occuparmi personalmente del cadavere.» aggiunse lo xarthar, dopo qualche secondo di silenzio.
Passarono altri secondi di silenzio.
«Huramun, quella che hai fatto è una cazzata. Un’immensa cazzata.» esordì il Sindaco, con una quiete sospetta. «Tuttavia comprendo che l’hai fatta a fin di bene, e che sei il mio miglior tirapiedi.» aggiunse, prima di dare sfogo alla sua rabbia. «Non azzardarti mai più a fare di testa tua, o dovrò cercare un sostituto, chiaro?»
Huramun dissimulò un sobbalzo: Gazelle metteva paura quand’era in quello stato.
«Sì, signor Sindaco. Non succederà mai più.»
«Bene. Adesso va’ ed occupati di quel cadavere come meglio credi. Gli altri due portali dove sai.» ordinò Gazelle, dardeggiando con gli occhi. Huramun si affrettò ad eseguire un piccolo inchino col capo prima di uscire dalla stanza.
Incrociò un paio di tirapiedi, a cui ordinò di seguirlo. Giunto nel parcheggio sotterraneo, aprì i sacchi contenenti Ratchet e Skid ed ordinò ai due tirapiedi di portarli in cella, nell’ultimo piano interrato. Fece loro strada aprendo tutte le porte a serratura biologica che si schierarono loro davanti, e tornò indietro una volta assicuratosi che i prigionieri fossero ben rinchiusi e che le attrezzature di sorveglianza funzionassero a dovere.
Per sviare i possibili sospetti prese con sé una tanica di acido, entrò nella sua vettura ed avviò il motore, uscendo dal parcheggio sotto gli occhi vigili di Gazelle.
Sapeva che con quel passo falso aveva perso dei punti agli occhi del Sindaco. Sperava non fossero così tanti da costringerlo a mandargli dietro qualcuno, e tenne lo sguardo attento ai movimenti nello specchietto retrovisore per tutto il tragitto.
Arrestò il motore davanti ad un’abitazione anonima della periferia, quindi si voltò indietro e scoprì il volto di Nirmun per farle prendere aria.
Un paio di minuti dopo entrò in casa sua con il grosso sacco appoggiato su una spalla.
La characha si è rivelata inutile, alla fine, si disse. Pazienza, se non altro sarei stato pronto in caso di un controllo.
Portò il sacco nelle cantine, dove accedette ad uno stanzino segreto mediante una porta camuffata da congelatore. Era un ambiente piccolo: un computer, una scrivania ed uno scaffale pieno di composti chimici erano tutto l’arredo esistente. La lampadina penzolava illuminando a stento la saletta con la sua luce giallastra.
Mi sa che è meglio legarla. Mi crede dalla parte del nemico, cercherebbe di aggredirmi se la lasciassi libera, ragionò. Adagiò delicatamente il sacco a terra e liberò la sorella dall’involucro di plastica nera. Sì, le darò l’antidoto e poi la legherò. Qui dovrebbe essere al sicuro.
Non riuscì a trattenersi dall’aggiungere un “Di certo più al sicuro che tra le mani di Gazelle”, mentre lanciava la solita occhiata nervosa all’ambiente.
Si riscosse dicendosi che non era il caso di divagare, e si adoperò per iniettare l’antidoto direttamente nel collo. Una volta che anche l’ultima goccia di liquido ebbe lasciato la siringa, afferrò il nastro isolante e le legò polsi e caviglie. Si sentì a disagio nel compiere quell’operazione, e continuò a ripetersi per tutto il tempo che era per il suo bene.
Quindi si affrettò a lasciare la stanza.
Aveva quattro ore di sonno da poter consumare prima di dover affrontare Nirmun.
* * * * * *
Ore 22:30
Blackwater City, 13esimo settore
 
Clank si accucciò sotto un molo per cercare riparo dai tipi che avevano fatto irruzione nell’hotel e dalla polizia: dai dati elaborati emergeva che i poliziotti – o perlomeno i piani alti della polizia – fossero schierati con Gazelle.
La passerella sottostante al piccolo molo, di solito utilizzata per la manutenzione, si era rivelata estremamente utile ai suoi fini: lì, chino su un piccolo groviglio di circuiti, tentava di lavorare sul suo comunicatore. I due strumenti – il suo e quello di Ratchet – erano in costante comunicazione, ma se avesse cercato di sfruttare il collegamento così com’era, avrebbe rischiato che qualcuno lo sentisse invocare l’amico. Avrebbero sfruttato il collegamento per tendergli una trappola e lui ci sarebbe cascato in pieno facendogli sapere passo per passo dove si trovasse. Invece, lavorando sulle funzionalità del suo microfono e del suo auricolare, avrebbe mantenuto in vita il collegamento in modo che lui avrebbe solo ricevuto i dati dallo strumento dell’altro.
Quando ebbe finito di lavorare sui cavi, tolse il rivestimento dell’ultima falange delle dita della mano sinistra e li collegò direttamente ai circuiti scoperti, incrociando il segnale ricevuto con una mappa di Rilgar che proiettò sul monitor che aveva sempre con sé.
Ci vollero parecchi minuti per trovare l’emittente del segnale: la mappa ruotò su se stessa e l’inquadratura si avvicinò a Blackwater City. Quando la mappa della città riempì l’intero monitor con i suoi settori quadrati, l’inquadratura ingrandì un settore in particolare, e quando lo portò a tutto schermo Clank riconobbe il quinto settore. Lì un puntino rosso lampeggiava su una delle abitazioni: Clank memorizzò l’indirizzo e, tracciato l’itinerario, decise di lasciare il suo rifugio sicuro.
* * * * * *
Contemporaneamente (ore 22:30)
Quinto settore, villa del Sindaco
 
Alastor Gazelle scese con lentezza quasi trionfale fino all’ultimo piano interrato.
Lì, dietro una porta a serratura biologica, c’erano una cella di ultima generazione ed un laboratorio medico, più alcune stanze per la vita privata del dottor Nith, che da ormai tre anni lavorava lì.
Il poveretto, un rilgarien tarchiato, aveva avuto la sfortuna di contrarre debiti di gioco con il Sindaco: da quando i poliziotti erano andati a prenderlo era stato rinchiuso in quel sotterraneo, e ci sarebbe dovuto rimanere per almeno altri sei anni prima di saldare il debito e sperare nella liberazione.
Gazelle rise tra sé, mentre una delle due guardie armate apriva la porta del laboratorio.
Nith non sarebbe mai stato libero.
Mai.
 
Come si aspettava, trovò i due prigionieri legati ai lettini, ancora dormienti. Evidentemente il medico li aveva tirati fuori dalla cella per sistemarli così, prevedendo cosa lui gli avrebbe ordinato di fare.
«Svegliali.»
All’ordine secco di Gazelle, il medico si fece avanti e nebulizzò qualcosa davanti alle facce di Skid e Ratchet. I due non diedero segno di ripresa per oltre venti secondi.
«Beh? Quanto ci vuole?» chiese Gazelle, nervoso.
«Non posso stabilirlo con precisione, signor Sindaco. Il sonnifero è potente, e gli è stato somministrato un paio d’ore fa. Teoricamente, ciò che gli ho dato potrebbe non funzionare.» rispose lui con voce tremolante.
«Beh, il mio ordine era chiaro: svegliali.»
«Ma signor Sindaco io...» un’occhiata di Gazelle fu più che sufficiente. «...aumenterò la dose adesso. E la dose che sto per dargli risveglierebbe un morto, glielo assicuro.»
Almeno in teoria, si aggiunse sotto lo sguardo compiaciuto del Sindaco. Si affrettò ad afferrare il contenitore dove c’era il liquido che aveva nebulizzato un minuto prima e ripassò a mente gli ingredienti che Huramun aveva utilizzato. Sapeva esattamente quanti e quali fossero, poiché era stato lui ad insegnargli a comporre il sonnifero con cui riempiva gli aghi. Però non sapeva che dose gli avesse iniettato, così aveva puntato sulla più piccola ed aveva realizzato un composto che annullasse gli effetti della dose più piccola di sonnifero. In teoria avrebbe dovuto procedere per gradi e nebulizzare una contro-dose adatta alla mezza dose di sonnifero, tuttavia decise di passare direttamente alla quantità massima consentita dai fattori fisici dei due “ospiti”.
Gazelle non lasciò la stanza e non perse di vista il medico nemmeno per un solo istante dei venti minuti che seguirono, seguendolo nella creazione di due diversi liquidi. Non gli sfuggì nemmeno il gesto scaramantico che fece dopo aver nebulizzato i nuovi intrugli in faccia ai due.
Stavolta gli antidoti fecero effetto: certo, dovettero nuovamente attendere prima che uno dei due aprisse gli occhi, ma in un lasso di tempo relativamente breve il sonno li abbandonò.
«Oh, buonasera.» disse loro con finta cortesia il Sindaco.
Il primo a metabolizzare la situazione fu Skid.
«O cazzo...» mugolò.
«Come sarebbe a dire “o cazzo”?» lo incalzò con finta ingenuità Gazelle.
«Alastor, perché sono legato ad un lettino?»
Da quando si parla ai cattivi come se fossero grandi amici? si chiese Ratchet, riprendendo lucidità mano a mano che i secondi passavano. Istintivamente cercò di stirarsi, ma il movimento fu impedito dalle cinghie che lo imprigionavano. Cercò allora di muovere la coda per vedere dove arrivasse, ma non percepì nulla attaccato al fondoschiena. Un momento di panico lo attanagliò, credendo che gli avessero tagliato il prezioso arto, poi si ricordò dell’unimimetizzatore e smise di agitarsi. Gazelle stava blaterando qualcosa circa la conoscenza di Skid della risposta.
È vero, sono un umano ora...e gli umani non hanno coda. Ma perché il Creatore non gliene ha data una? Sarebbe stato tutto più semplice! si ritrovò a pensare, trattenendo uno sbuffo. Gazelle interpretò il suo gesto come un tentativo di liberarsi e gli si parò davanti.
«Così tu saresti il complice di Skid e della coniglia. Un umano.» l’ultima parola gli uscì dalla bocca con parecchio disgusto. «La Flotta è proprio caduta in basso per rivolgersi ad una razza tanto infima.»
Ratchet lo fissò torvo per prendere tempo. Se avessero saputo chi era, probabilmente lo avrebbero già smascherato, quindi conveniva fare finta di essere stato tirato in mezzo.
«C-complice? Sono solo un turista io! Non so chi sia, ma stia sicuro che non la passerà liscia! Che diavolo sta succedendo?» sbottò in rapida successione. Skid gli lanciò un’occhiata per cercare di capire se non fosse impazzito del tutto. Poi capì che stava cercando di tirarsi fuori giocando sull’ignoranza di Gazelle.
«Alastor, è solo un vecchio amico...non c’entra niente con questa storia. Lascialo andare.» dichiarò. Gazelle si voltò ver­so di lui.
«Solo un vecchio amico, eh? Magari anche hoverboarder, eh? E magari anche tuo compagno di allenamenti su qualche ridicolo pianeta come la Terra, eh Skid?» chiese.
«Esatto, è un crimine avere degli amici e fare il turista?» sbottò nuovamente Ratchet, che non sapeva se Skid sarebbe stato all’altezza di quel duello verbale.
«Ma per favore. Ho le registrazioni del Mahne: so che avete un altro complice di nome Clank e che era in comunicazione proprio con te, umano. So che ti sei registrato in quell’hotel sotto il nome di Sean Techart, ma dubito che sia il tuo vero nome. Il fatto che non hai documenti e che all’anagrafe non risulti esistente confermano la mia teoria. Per non parlare dei gingilli elettronici che avevi addosso. Caro Sean, come turista sei alquanto strano...»
Ratchet stirò le labbra. Perché i cattivi sapevano sempre smontare una messinscena realizzata ad opera d’arte?
«Bene. Perfetto. Hai smontato tutta la mia sceneggiata in un battito di ciglia...e dimmi, cosa ti aspetti che faccia adesso?» chiese, piccato.
«Tu, umano? Tu farai l’esca. Quello che hai addosso è un sistema di comunicazione molto avanzato, che può anche avere funzione di tracciamento se chi indossa la controparte è bravino con i sistemi elettronici.»
Bravino? Clank sarà già qui fuori! Porca merda!
«...Quando avrò anche l’ultimo complice, allora potrò eliminarvi come si conviene...»
 
Skid sgranò gli occhi. Brutta, diamine, bruttissima situazione!
Lasciando Ratchet con i suoi pensieri, il rilgarien si rivolse a Skid. Vedendolo con gli occhi sgranati dalla paura, gongolò.
«Quanto a te, è un crimine uccidere il favorito prima delle gare. Sarai rinchiuso nella tua stanza, ed il tuo amico farà da garanzia per il tuo buon comportamento.» decise «Sono sicuro che, da buon sportivo, saprai perdere con onore.»

 

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Capitolo 8
*** | Capitolo 08 | Un asso nella manica ***


[ 08 ]
Un asso nella manica
2 Luglio 5405-PF, ore 22:45
Blackwater City, quinto settore
 
Clank era fuori dal perimetro della villa del Sindaco. Aveva già localizzato le telecamere della sorveglianza sul perimetro delle mura stando attento a non comparire nelle inquadrature, ed in quel momento era esattamente nel punto cieco della telecamera nord-ovest.
Nel database non aveva alcuna planimetria relativa alla villa, ma dubitava che anche scaricandone una sarebbe stata valida. Gazelle non poteva essere così stupido da lasciare a potenziali malviventi la planimetria di casa propria: sarebbe equivalso a mettere nelle loro mani le chiavi del portone. Però il robottino confidò di ricavare una planimetria approssimativa dell’edificio dalla disposizione delle telecamere. Non era un mistero che Gazelle fosse un maniaco della sicurezza, quindi valeva la pena tentare. Collegò i suoi circuiti a quelli della telecamera, e cercò di ricostruire i collegamenti con le altre all’interno della villa.
Sorprendente... fu l’unico commento che gli balzò tra i circuiti, una volta completato l’insieme. La villa era quasi una riproduzione in miniatura del Palazzo della Galassia di Metropolis. Un po’ troppo alta per le proporzioni del Palazzo, come se il progettista avesse aggiunto un piano di troppo, ma in sostanza molto simile.
«Molto bene… Ratchet, dove ti hanno messo?»
Interfacciò la pseudo-mappa con il segnale che riceveva dal comunicatore ed ottenne un’idea abbastanza precisa del punto dove fosse.
Ultimo seminterrato: se fosse una trappola sarei senza scampo, ragionò. Forse mi conviene presentarmi nella veste dell’agente segreto. Dovrei avere ancora qualche gadget.
Controllò al suo interno e scovò l’olomonocolo e la penna blackout. Quando disperò di trovare altro, spuntò fuori il papirang: avrebbe voluto qualche altra arma, ma avrebbe dovuto accontentarsi di quello che aveva. Ad ogni buon conto, si sentì pronto per entrare in azione.
* * * * * *
3 Luglio 5405-PF, ore 2:15
Periferia sud, casa di Huramun
 
Tornare al mondo fu una tortura pazzesca, decise Nirmun.
Sentiva il fuoco correre nelle vene, una sinfonia di percussioni appena dietro gli occhi e la sensazione che tutti i muscoli si fossero presi contemporaneamente il peggior crampo della loro breve esistenza.
Aprì gli occhi. Il mondo era coperto da un velo opaco e sfocante. Le parole dell’istruttore all’Accademia le tornarono alla mente: se la pelle brucia dall’interno e gli occhi non stanno aperti per il dolore, probabilmente si tratta di veleno. Quale sia, però, è difficile da definire. A Nirmun interessò relativamente definire con cosa fosse stata avvelenata; ciò che contava più di tutto era che ad avvelenarla era stato suo fratello.
Huramun, pensò. Il pensiero non giovò alla sua emicrania. Si mosse con l’intenzione di massaggiarsi le tempie, ma rinunciò quando sentì la fitta terribile dei muscoli alle braccia e si rese conto che qualcuno le aveva legato le mani sul davanti. Di nuovo l’istruttore dell’Accademia fece capolino nella sua mente: se catturate un nemico, disarmatelo e legatelo in modo che non vi possa nuocere in alcuna maniera. Evitate di commettere la cazzata di lasciargli le mani legate sul davanti, perché gli lascereste una possibilità di impugnare un’arma o nuocervi comunque. E soprattutto: tappategli la bocca.
Quindi aveva a che fare con novellini.
«Da quando una volpe come Gazelle assume novellini?» si chiese. Sentì la sua voce arrochita e distante.
«Potrei offendermi, sai?»
Una figura apparve ai margini del suo campo visivo. Alta, sfocata e nera. Una chiazza di biondo dove c’era la testa, ma soprattutto la voce, glielo fecero riconoscere all’istante.
«Huramun! Traditore pezzo di merda, che cazzo ci fai con Gazelle?!» gridò. Quello che le uscì assomigliava vagamente ad un ringhio, e la testa quasi esplose per il dolore. Trattenne un gemito: non poteva mostrarsi debole quanto fosse realmente.
«Lavoro.» rispose semplicemente lo xarthar. «Il mio vero lavoro.» aggiunse.
«Mi prendi anche per il culo?!»
«Non gridare. Non sono certo dell’insonorizzazione di questo bunker, e la tua testa non dovrebbe passarsela troppo bene.»
«Oh, certo…da quando ti preoccupi dei nemici?» sbottò ironicamente Nirmun nel tentativo di essere graffiante, ma una nuova fitta la prese alle tempie e la costrinse a chiudere gli occhi con forza. Non vide Huramun scuotere la testa con lo sguardo basso. Quando riaprì gli occhi lo trovò seduto sull’unica sedia della stanza, una figura sfuocata nera e bionda.
«Adesso mi starai a sentire.» disse semplicemente.
«Come no.» borbottò Nirmun. «Dove sono gli altri?»
«Alla villa di Gazelle. Tu sei al sicuro, qui.»
«Sarei più al sicuro in un reattore sul punto di esplodere.» replicò acidamente la xarthar.
«Tsk! Non ci giurerei troppo, sorellina. Ad ogni modo ho da proporti un accordo.»
«Perché, sei ancora capace di stringere accordi che non prevedano doppigiochi?»
«Sarò anche un doppiogiochista ed un bastardo come dici tu, Nirmun, ma sono pur sempre tuo fratello maggiore. Quindi ora taci ed ascolta bene, perché la situazione è degenerata.» replicò, mantenendo comunque la sua pazienza. Nirmun chiuse la bocca in attesa delle novità.
«Gazelle sa della tua identità e di quella di Skid, ma non sa quasi nulla di quella del vostro amico umano.» Nirmun fu tentata di rispondergli ironicamente che non se n’era accorta, ma lo lasciò proseguire. «A dirla tutta, tu e l’umano sareste dovuti morire ieri sera. Io avrei dovuto portare un computer a Falcon perché scovasse notizie sull’umano ed andarmene, ma mentre ero nella mia vettura ho sentito Gazelle dare l’ordine di attacco e non sono riuscito a trattenermi: sono entrato e vi ho attaccato prima che lo facessero gli squadroni allestiti appositamente. Il mio nome conta qualcosa agli occhi del Sindaco, quindi ha chiuso un occhio sul mio colpo di testa e voi siete vivi.»
«Quindi non hai ucciso Skid?»
«No, assolutamente: lui era l’unico che sarebbe dovuto rimanere in vita...in fondo è uno dei cittadini di spicco di Blackwater, nonché il favorito delle gare. L’ho semplicemente addormentato, mentre quell’altro è svenuto quando ho fatto il mio ingresso nell’ascensore e tu...mi vergogno, ma ho dovuto avvelenarti per rendere più credibile il fatto che fossi morta. Dovevo portarti lontano dai tuoi colleghi, o se si fossero accorti che respiravi ancora e che io avevo mentito...» spiegò Huramun.
«Lo hai fatto per mettermi fuori pericolo?»
Lo xarthar annuì. Nirmun si richiuse un momento in se stessa, decidendo di accordare nuovamente fiducia al fratello: dopotutto, sembrava avesse commesso quegli errori madornali apposta per fargli capire le sue intenzioni senza perdere la faccia.
«Che ne è stato degli altri? E poi, cosa intendi per vero lavoro?»
«I tuoi colleghi sono alla villa del Sindaco, rinchiusi nei sotterranei. Probabilmente Gazelle li farà uccidere dopo le gare...quanto a me, sono un poliziotto di Xartha, l’hai dimenticato?»
«Quello che so è che quel posto lo hai lasciato due anni fa e sei sparito nel nulla...»
«Tutta una copertura.» la interruppe Huramun. «Il mio scopo è raggranellare abbastanza prove da spedire Gazelle al fresco per almeno quindici anni.»
«Noi eravamo venuti per arrestarlo direttamente per il suo traffico di hayen, contando sul fatto che approfittasse delle gare per concludere qualche affare.» rispose Nirmun come se stesse parlando del tempo. «Ma non so perché diavolo ci abbia smascherato così presto.»
«La causa si chiama Falcon.» asserì Huramun. «Se pagato abbastanza, quello scoprirebbe anche quanti peli ha addosso il suo obiettivo. Ad ogni modo, quello che volevo proporti è di lavorare con me.»
«Fammi capire: mi hai tirato fuori dai guai per rinfilarmici poco dopo? Mi hai fatto fare un pit-stop?» chiese ironicamente lei.
«Inizialmente volevo che te ne andassi, ma a tutti gli effetti ti ho fatto diventare un asso nella manica: nessuno si aspetta che tu sia ancora viva...»
«Okay, okay, posso fare altro forse? Ti aiuterò, ma tu dovrai aiutarmi a tirare fuori Ratchet e Skid...e Clank, se fosse là dentro.»
«Chi? È il quarto componente? Ma quanti siete?»
«Quattro.» rispose Nirmun, sentendo il pulsare alla testa attenuarsi un poco. «Dai, liberami e ti aggiorno.»
«Sul serio non mi prenderai a legnate in testa?»
«Ma sei scemo??? Quando mai sono riuscita a prenderti a legnate in testa? E poi sono troppo rintronata dal veleno per riuscire a sopraffarti, se anche avessi un’arma...E poi, se ciò che hai detto è vero, sono il tuo prezioso asso nella manica...che asso sarei se rimanessi legata in uno scantinato?»
«Quindi accetti la cooperazione?» chiese nuovamente lo xarthar.
«Certo: non ho alternative.» rispose in modo asciutto lei. Senza dire nient’altro, Huramun afferrò un cutter sul tavolino e tagliò il nastro con cui le aveva legato polsi e caviglie «Allora: come ti ho detto siamo venuti qui per arrestare Gazelle. Inizialmente eravamo solo io e Skid, ma l’altro giorno sono arrivati Ratchet e Clank.» cominciò a dire, massaggiandosi bene i polsi.
«Chi?»
«Hai presente quei due che hanno salvato Solana da Nefarious e la Bogon dalla minaccia Protopet...» spiegò Nirmun, gesticolando ampiamente.
«Ma quei due non sono un lombax e un robot?» chiese Huramun, perplesso. Lui aveva steso un umano e non aveva trovato alcun robot, sebbene il misterioso quarto elemento avesse lo stesso nome.
«Sì, sono loro...credo che Ratchet abbia usato un nuovo gadget per diventare umano, ma comunque è lui, fidati. Non credo avrà bisogno di più di un tot di protezione, una volta liberato.» rispose lei con energia. Troppa energia, visto che una fitta le trapassò le tempie e si trovò a gemere.
Huramun guardò l’orologio sopra la porta: le tre meno un quarto. Nessuno si aspettava che andasse alla villa del Sindaco, quindi avrebbe potuto rimanere a casa sua e finire di consumare quel po’ di ore di sonno che avrebbe potuto dormire per quella notte.
«Domattina raccoglierò notizie sulla sorte dei tuoi colleghi.» decise, alzandosi per avviarsi all’uscita. «Dubito che Gazelle ucciderà il favorito prima delle gare, quindi dovremmo avere un paio di giorni. Tu cerca di riposare e di rimetterti: la characha non scherza con gli strascichi.»
«Qui sul cemento? Stragalassia, sono già abbastanza anchilosata anche senza stare a dormire per terra!» si lamentò la xarthar.
«Spiacente, ma non ho altri materassi oltre al mio, e che tu esca da qui è fuori discussione. Per questa volta dovrai adattarti, Nir.»
«Bah! Spero che tua moglie ti riservi lo stesso trattamento, un giorno!» borbottò lei in risposta, un momento prima che lui uscisse.

 

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Capitolo 9
*** | Capitolo 09 | Giornata piena ***


[ 09 ]
Giornata piena
3 Luglio 5405-PF, ore 1:45
Villa del Sindaco, ultimo seminterrato
 
«Clank, dimmi come diavolo hai fatto a finire qui dentro anche tu.»
Se avesse potuto, Clank avrebbe sospirato.
«Entrare è stato relativamente facile: ho disattivato un robot della sorveglianza e ne ho preso le sembianze con l’olomonocolo, poi sono entrato nell’edificio passando per il parcheggio privato. I problemi sono sorti quando sono giunto davanti alla porta a serratura biologica...e quella ho pensato di aggirarla passando per i condotti di areazione.»
«...Ma?» chiese Ratchet, intuendo che il tono del robottino presupponesse un “ma”.
«C’erano telecamere anche all’interno del condotto, mi hanno scoperto. Hanno inviato un sacco di minibot con l’input di attaccare...ho cercato di convertirli ai miei comandi come ho già fatto altre volte, ma non ci sono riuscito con tutti, ed alla lunga non ce l’ho più fatta. Mi dispiace.» riassunse lui. Ratchet guardò l’automa e gli rivolse un sorriso. Dopo che Skid era stato “riaccompagnato” nelle sue stanze, lui era stato rinchiuso in una cella adiacente il laboratorio.
Aveva notato che, dovunque andasse, le celle per la prigionia erano tutte uguali: una branda, un servizio igienico, una solida cancellata laser pronta a farlo a fette nel caso in cui avesse deciso di evadere.
«Non hai niente di cui dispiacerti, amico.» disse. «Avrei dovuto essere più attento al Mahne, tutto qui.»
«Spero non ti abbiano fatto niente...»
«Tranquillo, ho soltanto preso uno sportello tra gli occhi.» minimizzò il neo-umano. Clank diede segno di non capire. «Non ti so dire chi fosse o cosa sia successo dopo. So solo che siamo entrati nell’ascensore e a un certo punto lo sportello superiore si è aperto e me lo sono trovato stampato in fronte. Sono svenuto subito: questi umani hanno la fronte fragile, dannazione!» e si tastò la fronte, sulla quale si intravedeva un bernoccolo di dimensioni spropositate.
«Capisco...» rispose l’automa, combinando questo dato a quelli in suo possesso. Finalmente qualcosa sembrava prendere un senso. «Il soldato Tetraciel ha riconosciuto l’aggressore: si tratta di Huramun.»
«Ah, davvero?» chiese ironicamente Ratchet. «Il più grande eroe delle Galassie Unite atterrato da un coniglio e uno sportello! Che incredibile iniezione di autostima!»
Calò il silenzio.
«Come conti di andartene?» chiese Clank dopo un po’.
«Non lo so...non ho ancora trovato un modo.»
«Secondo le mie analisi questa cella è come quelle della prigione volante di Aranos. Te la ricordi?» chiese il robot.
«Oh, certo che me la ricordo. Mi ricordo anche quanto gongolasse il capo dei Thug 4 Less quando ci rinchiuse, e che tu entrasti nel condotto di aerazione per disinserire il generatore principale. Ma hai appena detto che qui i minibot ti strinano appena metti piede nel condotto.» obiettò Ratchet.
«Non se mi fai opportune modifiche. Se soltanto mi rinforzassi il sistema di trasmissione in modo da inviare segnali più forti allora...»
«Scordatelo. Sono un meccanico, non un programmatore. Per quello ci vorrebbe Al.»
«Non ci vuoi neanche provare?» chiese Clank, stupito di quanto rassegnata fosse la voce del suo amico.
«Non se rischio di mandarti in corto circuito.»
«Ma Ratchet...»
«No, Clank. Faremo in un altro modo, vedrai...e poi, se noi fuggissimo Skid sarebbe nei guai fino al collo. C’è ancora il sodato Tetraciel là fuori, vedrai che in qualche modo ce la caveremo.»
«...»
«...»
I due si scambiarono una lunga occhiata.
«...Come sempre?» chiese speranzoso il robottino, apparendo agli occhi di Ratchet come un bambino alla ricerca di qualcosa in cui credere.
«Certo, Clank, come sempre.» assicurò col cuore pesante.
* * * * * *
Ore 5:45
 
Skid si svegliò di colpo, più stanco di quando si era buttato sul letto.
Non aveva dormito quasi per niente, ed quel po’ di ore passate tra gli incubi lo avevano fatto agitare talmente tanto che si era ritrovato con i muscoli indolenziti.
Ma la testa tornò subito al presente.
Domani. La gara d’inizio. Ratchet. Devo aiutarlo, pensò.
«Devo fare qualcosa.» mormorò.
Ma cosa? Cosa posso fare?
Le ultime parole di Gazelle, dette prima di piantargli una guardia davanti alla porta, tornarono alla mente.
 
«Oh, un ultimo pensiero prima della buonanotte...nel caso te lo fossi chiesto, la tua compagna è morta. Non sperare di poter sfuggire alla mia giustizia, adalco.»
 
Ripensò ai momenti passati con la xarthar, dalla convocazione all’assalto all’hotel. Si sentì in colpa per averla trascinata nella missione (peraltro assegnata dal Comando Centrale...possibile che non avessero uomini da mandare, loro?), e si trovò a sorridere ripensando a quanto entusiasmo ci avesse sempre messo tanto in missione quanto in allenamento.
Lo sguardo cadde sull’armadio. Lì, sull’ultima mensola, c’era il suo hoverboard.
Gazelle voleva farlo correre, eh?
Beh, avrebbe dovuto stare attento: lui era pur sempre il rilgarien dai dodici hoverboard d’oro. Ed era ora di spolverare qualche trucchetto per far mangiare la polvere agli avversari.
Perdere con onore? Forse qualche anno prima avrebbe chinato il capo ed avrebbe piagnucolato, ma ora avrebbe di­mostrato di che pasta era fatto. Insomma, aveva sempre avuto ruoli marginali nelle imprese di Ratchet, ma era cresciuto anche lui ed ora era al centro della ribalta. Stavolta sarebbe stato lui a guadagnarsi l’ammirazione dell’eroe.
 
Con decisione si alzò e tirò fuori il suo hoverboard dall’armadio per controllarlo.
* * * * * *
Ore 8:45
 
Quando Huramun si presentò alla villa di Gazelle, fu convocato subito nell’ufficio del Sindaco. Quando Zenas gli diede la notizia lo xarthar fece fatica a mantenere la sua espressione impassibile.
Mi hanno già scoperto? si chiese, avviandosi lungo la scalinata che lo avrebbe portato al primo piano, dove il Sindaco aveva il suo ufficio. Eppure sono stato attento, ho operato nel migliore dei modi.
Giunto davanti alla porta dell’ufficio, bussò.
Non devo tradirmi davanti a Gazelle.
«Avanti.»
Lo xarthar entrò ed avanzò lentamente. Il rilgarien era seduto dietro alla scrivania e parlava al chatter. Era in collegamento con Falcon, lo capì quando lo sentì pronunciare il suo nome, ed era piuttosto irritato con lui. La discussione sembrava vertere sulla parcella del cacciatore di identità, che evidentemente doveva aver tirato sul prezzo.
Quando la discussione finì, il Sindaco appoggiò la cornetta con stizza, quasi a volerla rompere, e non degnò di un’occhiata Huramun.
«Mi ha fatto chiamare, sono qui.» esordì lui dopo un po’.
«Lo vedo, Huramun, non sono cieco.» rispose acidamente Gazelle. «Ti ho fatto chiamare perché voglio sapere che fine hai fatto fare al cadavere della signorina Tetraciel.»
Un brivido freddo colse lo xarthar: che sapesse? Se sì, cosa?
«Ho seguito la procedura standard: squartato e sciolto nell’acido.» rispose, cercando di rimanere più neutrale possibile nel tono.
«E l’operazione è andata a buon fine?»
«Certamente, signor Sindaco. Un cadavere non si ribella.»
Gazelle gli lanciò una lunga occhiata pensierosa. Huramun non si mosse, ma si dominò con fatica. Ritrovò in parte la sua verve con quella frase di circostanza, frase che usava dire alla conclusione di ogni operazione per conto del Sindaco, e si distese un po’.
«Un cadavere non si ribella. Già.» riprese Gazelle, appoggiando i gomiti sulla scrivania ed intrecciando le dita all’altezza del mento. «E un buon sottoposto, Huramun?»
Sotto gli abiti comodi lo xarthar sentì i muscoli irrigidirsi nuovamente.
«Secondo la logica un buon sottoposto non sarebbe tale se si ribellasse.» rispose, cauto.
«Il fatto è...» replicò con calma Gazelle, quasi centellinando le parole. «...che ci ho pensato a lungo. La tua azione di ieri sera è troppo fuori dai tuoi schemi, e sinceramente mi pare un po’...sospetta.»
Gli occhi del Sindaco cercarono quelli di Huramun. Lo xarthar sapeva che avrebbe dovuto mostrare la solita maschera, quella che esibiva tutti i giorni da due anni a quella parte. Freddo, indifferente, duro. Del resto, secondo la sua copertura, era un assassino della peggior specie, e si era forse mai visto un assassino tremare di fronte ad un’occhiata?
Solo se l’occhiata arriva da un assassino peggiore di quello che la riceve, pensò come risposta Huramun, prima di rispondere con calma ben simulata: «Gliel’ho detto, signor Sindaco, ho agito perché la sua azione sarebbe parsa sospetta ai più. Le corse sono l’evento più atteso dell’anno: far fuori il favorito prima della partenza avrebbe rischiato non solo di far insospettire la gente, ma anche di far annullare le corse.»
«Io e soltanto io posso annullare le corse, te ne sei dimenticato?!» sbottò Gazelle.
«Assolutamente, signor Sindaco, ma sarebbe potuto passare sopra anche alla morte di un cittadino illustre di Blackwater City nonché suo amico?» chiese, poi azzardò: «Le ricordo le prime pagine dei giornali di qualche giorno fa, che recitavano a caratteri cubitali quanto foste amici e quanto fosse soddisfatto di riavere Skid McMarxx in città.»
«I giornali non mi preoccupano, e nemmeno le emittenti olovisive, e lo sai.»
«Ma il popolo, signor Sindaco?»
«Il popolo non è mai un problema, Huramun, capito? Sono seduto su questa poltrona da anni: ormai sono il loro punto di riferimento; le mie scelte sono le loro scelte. Mi sarebbe bastato dire “Skid avrebbe voluto così” con aria afflitta e nessuno avrebbe fiatato.»
Nella sala calò un breve silenzio. Gli occhi di Gazelle si illuminarono di un lampo d’ira, subito prima che cominciasse ad urlare: «Ma tu sei dovuto intervenire e mandare tutto all’aria! Tu sei dovuto uscire da ogni tuo schema proprio ieri sera, dannazione! Tu non sei pagato per pensare! Sei pagato per premere il grilletto quando e contro chi decido io!»
Huramun si affrettò ad assumere un’espressione contrita.
«Sì signor Sindaco. Non succederà mai più, mi perdoni.»
«Non esiste un “mi perdoni”, Huramun!» ringhiò. «Adesso la Flotta ci starà ancora di più addosso! Farlo passare per un incidente sarà un’impresa!»
«Ma signore...»
«Niente ma, taci!» gridò, prima di riprendere il controllo e parlare in maniera molto più misurata: «Mi hai deluso.»
Lo xarthar rimase immobile a capo chino, chiuso nella sua espressione contrita. Come tirapiedi, non poteva fare altro che incassare; come poliziotto, però, prima o poi gliel’avrebbe resa.
«Adesso, però, vedrai di rimediare, intesi?»
«Sì signore. Certo, signor Sindaco.» si affrettò a rispondere lo xarthar. Gazelle lo guardò, severo, prima di annuire, convinto che il suo monito fosse stato sufficiente.
«Adesso voglio che tu stia alle costole di Skid McMarxx. Fallo innervosire, rendilo incerto. Sa già che la sua preziosa allieva è morta, e se passa il segno sei libero di minacciarlo di morte. Minacciarlo, intesi? Avrai tra due giorni l’occasione di riparare al tuo danno uccidendolo di persona.»
Huramun eseguì un piccolo inchino, comprendendo dal tono usato dal Sindaco che l’udienza era finita.
«Vado, signor Sindaco.» disse, prima di uscire dall’ufficio.
Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, si trovò faccia a faccia con Zenas, che sembrava aspettarlo. Come al solito esibiva la sua aria sicura di sé.
«Hai tutta l’aria di essere passato sotto la limousine del capo.» notò.
Huramun rispose con uno sbuffo. Probabilmente l’altro lo avrebbe preso per un segno di stizza e lo avrebbe punzecchiato.
«Che c’è, non gli stai più simpatico? Hai perso il podio, coda-batuffolo?»
«Ho di meglio da fare che stare a chiacchierare con te, fattorino.» rispose, stizzito.
Come volevasi dimostrare, aveva cominciato a punzecchiarlo. Non era mistero che quei due non si piacessero, quindi poteva dargli corda.
«Come siamo irascibili...potrei dedurre che finalmente il capo ti abbia fatto una lavata di testa. È un vero peccato che me la sia persa.»
Huramun scosse la testa e si avviò lungo le scale, con Zenas alle costole. Scese al pian terreno e poi prese l’altra rampa di scale, quella che portava ai piani delle camere. Notò che l’hoverboarder non lo aveva lasciato.
«Mi segui, fattorino?»
«Andiamo entrambi nella stessa direzione...che male c’è?» rispose lui con noncuranza.
«Non siamo mai andati nella stessa direzione, io e te. Che mi devi dire?» tagliò corto lo xarthar.
«Io? Niente, orecchie a sventola. Ho semplicemente da fare.»
«Beh, allora fa’ quel che devi senza starmi tra i piedi.» rispose seccamente Huramun, volgendo lo sguardo altrove, assumendo un’aria distaccata.
«Come vuoi, orecchie a sventola, ma ora fatti da parte o non posso andare a chiamare l’orgoglio sportivo di Rilgar.»
Di malavoglia, Huramun si fece superare da Zenas. Giunto in cima alle scale percorse il corridoio e si fermò davanti ad una porta ben precisa. Mentre la guardia armata si spostava ed il cazar bussava, Huramun si appoggiò al muro ed incrociò le braccia.
«Ehi Skid! Non starai ancora dormendo, spero!» esordì con strafottenza. Non ricevendo risposta, bussò ancora più forte.
Huramun sorrise nel vedere l’espressione stizzita farsi largo sul volto del cazar.
«Skid, dannazione! Apri la porta!»
Nessuna risposta. Huramun alzò gli occhi al cielo e si avvicinò. Si allungò verso la maniglia e la calò: la porta si aprì docilmente verso l’interno.
«È aperta.» disse con calma. Zenas lo avrebbe ucciso con lo sguardo, ma se la risolse con un’entrata altezzosa nella stanza. Skid era seduto a gambe incrociate sul letto, in atteggiamento meditativo, e davanti a sé aveva il suo hoverboard. Mormorava una nota bassa e vibrante che suggeriva armonia, e lo faceva in continuo come se stesse recitando un mantra.
«Ehi, tu!» esclamò il cazar, stizzito. «Apri gli occhi e seguimi.»
«È meditazione del cosmo, fattorino.» lo riprese pacatamente Huramun. «C’è un solo modo per indurlo a svegliarsi.»
«Ah sì?»
«Già. Dovresti saperlo
Zenas digrignò i denti, irritato.
Mi mancherà il fattorino. Punzecchiarlo è proprio un piacere, pensò lo xarthar, mentre il cazar si faceva da parte per permettergli di mettersi di fronte a Skid. Con un gesto fluido e misurato applicò una lieve pressione fra gli occhi del rilgarien e si ritrasse. Pochi istanti dopo il mantra cessò e Skid diede segni di uscire dalla trance. Huramun si fece nuovamente da parte.
«Sveglia!» ordinò bruscamente Zenas. «È ora di allenarsi!»
Allenarsi? E per cosa? fu il primo pensiero di Skid, mentre lanciava un’occhiata di sufficienza a Zenas.
«Tu hai bisogno di allenarti, mezza tacca. Al massimo io ho da ripassare.» rispose, risentito. Erano rivali: era inutile girare a braccetto fingendosi amiconi.
Quindi si alzò in piedi e si diresse fuori dalla stanza, conscio della magra figura che stava andando a fare.
* * * * * *
Huramun attese che la giornata passasse, stando attaccato a Skid come una cozza allo scoglio. Non ebbe bisogno di ricordargli alcunché, visto che il fattorino sembrava sguazzare nel rinfacciargli ad ogni occasione in che casino si fosse cacciato. Si era sbizzarrito anche con lui: occhioni, orecchie a sventola, coda-batuffolo, mangiacarote e tutti gli appellativi che gli comparivano in mente doveva assolutamente dirglieli. Lo xarthar non reagì – non poteva farlo davanti a Skid – ma i suoi nervi furono messi a dura prova. Alle quattro del pomeriggio era così nervoso che se avesse sentito la voce del cazar ancora una volta gli avrebbe strappato la coda, poco ma sicuro.
Alla fine della giornata non si azzardò a scendere nell’ultimo seminterrato: dopo la lavata di testa di quella mattina non poteva permettersi un nuovo apparente colpo di testa. E con che pretesto ci sarebbe andato, poi? si chiese durante il viaggio di ritorno al suo appartamento.
Quando rimise piede in casa, il suo primo impulso fu di buttarsi sul divano e dormire, ma si ricordò di Nirmun.
Accesa l’olovisione a volume alto, si diresse nel seminterrato dove si trovava la cella nascosta ed aprì la porta.
La xarthar sembrava aspettarlo con impazienza: aveva una mano premuta sulla pancia e non era completamente eretta: Huramun si preoccupò all’istante.
«Che hai? Ti senti male?» chiese, pensando subito che fosse dovuto alla characha. Se avesse sbagliato le dosi...
«Il bagno...devo andare in bagno...» biascicò lei, smentendo i pensieri del fratello. Lui sbatté un paio di volte le palpebre, sorpreso, prima di indicarle uno stanzino adiacente la cantina in cui era. Nirmun ci si fiondò, si chiuse a chiave e non ne uscì per tutto il quarto d’ora seguente.
E quando ne uscì lo xarthar lesse nel suo sguardo tuoni, fulmini e saette.
«Sei un mostro!!!» sbottò. Sentendo quel volume da cantante lirica, Huramun si fece svelto a tirarla dentro la cella e chiudere la porta dietro di sé.
«Come accidenti hai potuto lasciarmi chiusa lì dentro senza cibo, acqua e il bagno?!» continuò lei, incurante del trattamento. Huramun si guardò intorno nervosamente, prima di prestare attenzione alla sorella.
«E tu ti sei fulminata il cervello a urlare in quel modo???» ringhiò stizzito. «Già non sono sicuro dell’insonorizzazione di questa stanza e Gazelle forse sospetta qualcosa, tu urla come una gallina e se qui fuori c’è una spia sta’ sicura che tra poco verranno a farci la festa!»
«Guarda che è colpa tua se mi trovo in questa situazione!»
«Colpa mia? COLPA MIA?! Dovresti ringraziarmi: se non fosse stato per me tu e Ratchet sareste all’altro mondo!» sbottò. Nirmun fece per dire dell’altro, ma lui l’anticipò. «E menomale che dovevamo collaborare! Già oggi ho dovuto sopportare Dehyper tutto il giorno senza potergli strappare la coda, torno a casa pensando di sentire un “ciao, fratellone”, invece ti ho trovato dolorante e ho pensato di aver sbagliato con le dosi del veleno, ho avuto paura ma per fortuna dovevi solo andare al bagno, ti ho fatto andare ma mi aspettavo un po’ più d’intelligenza visto quello che ti ho detto ieri sera sull’insonorizzazione della cella ma vaffanculo a tutto il mondo perché niente è andato come doveva oggi!»
Alla fine dello sproloquio Huramun era diventato rosso in faccia e per riprendersi si lasciò andare a peso morto sulla sedia. Nirmun lo fissò stranita per un momento: che fine aveva fatto il fratellone sempre paziente che conosceva?
Ignorando la situazione e lo sfogo, si andò ad accoccolare sulle sue ginocchia e lo abbracciò forte, come non faceva da anni. Rimase in silenzio per il tempo necessario a Huramun a metabolizzare il gesto e ricambiarlo.
«Scusa.» disse, carezzandole i capelli con un sorriso mesto.
«Ti ha chiamato occhioni e mangiacarote, vero?» buttò lì lei. E dal grugnito di risposta dedusse di aver indovinato: mangiacarote era un’offesa quasi al pari di occhioni. Solo che occhioni era una dicitura offensiva per tutti gli xarthar, mentre mangiacarote riguardava solo la sottospecie dei conigli.
«Cazar inutile. Meriterebbe davvero che gli strappassero la coda senza anestesia.» commentò asciutta. «Scusami, non volevo aggredirti.»
Huramun fece un gesto pigro con la mano, quasi a dire che non era niente.
«Dovevo sfogarmi.» replicò. «Ah, e per ciliegina non sono riuscito a scoprire niente sui tuoi amici. Da quello che ha detto il Sindaco posso solo sospettare che gli succederà qualcosa dopodomani.»
A quel punto Nirmun sciolse l’abbraccio, pur rimanendo seduta in braccio al fratello, e lo guardò con curiosità.
«Dopodomani?» chiese.
«Già. Quando io ucciderò di persona Skid McMarxx per rimediare al casino che ho fatto al Mahne.»
A quelle parole Nirmun sobbalzò.
«Non starai dicendo sul serio, spero!»
«Ordini del Sindaco, Nir.» replicò lui, piatto.
«Ma-ma...non ti permetterò di ucciderlo! Diamine, è un ufficiale della Flotta!» sbottò lei.
«E io un poliziotto di Xartha.» lui le lanciò una lunga occhiata. Evidentemente la xarthar non aveva ancora capito che non diceva sul serio. «E non ho lavorato tanto per mandare tutto a puttane dopodomani.»
«Quindi si agisce?»
«Per forza. Dammi solo modo di pensare come, però. Le cose, per come le immagino io, sono così: Skid gareggerà con la falsa promessa di mantenere in vita gli altri due. Questo solo per mantenere le apparenze: lui non può non presenziare ad un evento simile, la gente si chiederebbe dov’è finito dopo tutta la pubblicità al vostro arrivo.»
«Quindi gareggerà?» chiese Nirmun, preoccupata.
«Deve, se vuole sperare di mantenere in vita Ratchet.»
«E Clank?»
Huramun alzò le spalle.
«Spiacente, ma stamani ho ricevuto un cazziatone con la maiuscola. Scuriosare non mi avrebbe aiutato, e a me serve che Gazelle mi creda ancora per due giorni.»
Nirmun annuì.
«Domani dovrai darti da fare a scoprire quanto più possibile, fratellone. Come al solito i compiti li fai tutti all’ultimo momento.» rimproverò lei, proprio come aveva fatto tante volte quando erano più piccoli.
«Sennò che gusto c’è?»
Stessa risposta di sempre. I due xarthar sorrisero, complici.
«A proposito, come ti senti?» chiese poi Huramun.
«Ho fame e sete, ma per il resto è tutto a posto.»
«La vista?»
«Dieci decimi.»
«Altri dolori?»
Nirmun fece il gesto del mostrare i muscoli.
«Sono in formissima, Hura! Mi serve solo qualcosa da mettere sotto i denti o mangerò il tavolino!»
Huramun la squadrò. Conoscendola, avrebbe potuto farlo senza farsi scrupoli. Si alzò e si diresse alla porta.
«E va bene, vado a preparare qualcosa da mangiare. E non chiuderò la porta a chiave, se avrai bisogno del bagno. Ma tu cerca di non uscire troppo: ricorda che se si accorgono che sei ancora in vita...»
«Sì, sì, lo so...vai a preparare prima che dia due morsi anche a te!»
Huramun sorrise ed uscì. Aveva detto di sì troppo in fretta: cosa stava tramando?

 

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Capitolo 10
*** | Capitolo 10 | Primo giorno di gare: piani d'azione ***


[ 10 ]
Primo giorno di gare: piani d’azione
4 Luglio 5405-PF
 
Quella mattina tutta la città si riversò per le vie. I preparativi erano stati ultimati, i turbo istantanei piazzati, e nei settori dov’era stata preparata la pista non si poteva accedere se non a piedi.
Nella villa di Gazelle non si riscontrava affatto la festosità che si poteva percepire per le strade. La sorveglianza sembrava aumentata, e solo Zenas sembrava carico. Ovvio, sapeva che quello sarebbe stato il suo primo giorno di gloria: avrebbe vinto sul grande Skid McMarxx, il rilgarien dai dodici hoverboard d’oro. Poco importava come, l’importante sarebbe stato farsi la fama.
Gli unici due che mancavano all’appello, prima della partenza per il circuito, erano Skid e Huramun. Il primo era chiuso nella sua stanza, ed il secondo era fuori dalla camera del primo, che attendeva che il grande campione preparasse la sua tavola.
Aveva già comunicato il contrattempo al Sindaco e quello gli aveva detto di attendere, quindi perché contravvenire?
Mentre attendeva, lo sguardo gli cadde sulla porta socchiusa della camera che era stata riservata a Nirmun. Dallo spiraglio era visibile il fondo del letto ed una sedia, su cui erano gettati alla rinfusa degli abiti.
Lo xarthar guardò l’orologio e bussò alla porta con malagrazia.
«E allora! Ho detto che mi servono almeno altri dieci minuti!» fu la risposta che ricevette, altrettanto sgarbata.
Dieci minuti? Bene, pensò Huramun, prima di abbandonare il suo posto per entrare nella camera della sorella. Era dalla sera prima che ci pensava: qualunque piano avrebbero elaborato, doveva recuperare i bagagli della sorella. Se avesse dovuto correre, le sarebbe servita la tuta apposita, se avesse dovuto sparare...non ne era certo, ma era lecito pensare che Nirmun avesse smaterializzato qualche arma dentro i suoi abiti.
Mentre camminava verso la sedia quasi inciampò nel borsone stracolmo che la xarthar si era portata dietro. Il suo primo pensiero fu che Nirmun fosse completamente fuori di testa a portarsi tanta roba, il secondo fu la decisione di smaterializzare tutto in blocco.
Forse è meglio lasciare qualcosa in giro per non destare sospetti, si corresse subito dopo. Lasciò sparsi sulla sedia ed ai piedi del letto una serie di maglie, pantaloni e gonne e tenne più di tre quarti del vestiario. Infilò tutto nel borsone, quando si accorse che mancava la tuta da hoverboarder. Svelto, si guardò intorno e poi aprì l’armadio: c’era l’intero completo, compresi guanti e stivali. Huramun afferrò tutto e li gettò dentro la borsa, quindi la chiuse e la miniaturizzò dentro un guanto, prima di tornare al suo posto.
Come promesso, cinque minuti dopo Skid uscì dalla camera.
«Andiamo.» lo apostrofò seccamente Huramun, seguendolo lungo la scalinata.
«Sei diventato lento, Skid.» fu il commento di Gazelle, una volta arrivato nell’atrio. Sia il rilgarien che lo xarthar notarono che l’ambiante odorava in maniera eccessiva dell’acqua di colonia utilizzata dal Sindaco.
«Meglio lento in vita che frettoloso e morto.» fu la risposta di Skid. «Un condotto ionico del mio hoverboard era stato manomesso; ho dovuto ripararlo.»
«Zenas, ne sai qualcosa?» chiese il Sindaco, lanciandogli un’occhiataccia.
«So solo che sto per guadagnarmi tutta la fama che merito, capo.» rispose il cazar, avvolgendo le maniche della camicia fin sopra il gomito.
«In tal caso, abbiamo una manifestazione da aprire.»
* * * * * *
La linea di partenza era stata fissata a metà del lungomare. La tribuna dava le spalle alla città e sull’acqua una struttura gigantesca era stata studiata per ospitare la tribuna d’onore, i commentatori ed una piccola sala conferenze.
Quando la limousine del sindaco arrivò nella cosiddetta “zona rossa”, ovvero nell’area più vicina al tracciato, dovette procedere scortata dalla polizia per passare. Dietro di quella, la piccola utilitaria di Huramun fu bersagliata dai colpi dei fan urlanti, che quasi ribaltarono la vettura. L’espressione di Huramun non mutò – ormai aveva imparato a tenere una maschera di impassibilità – ma con un gesto repentino di accelerazione lasciò intendere che quella vettura non era così indifesa come credevano quei fanatici.
Oltretutto, perché diavolo se la prendono con la mia macchinina? pensò. Andate dal Sindaco se volete le star!
Poi il pensiero corse all’hoverboard arancione che aveva smaterializzato nel guanto: lo aveva preso nel deposito assieme ad un plasmaspir e ad un lanciere. Probabilmente qualcuno lo aveva riposto lì dopo la serata al Mahne.
Bene, pensò, mentre oltrepassava la barricata di poliziotti incaricati di tenere a bada la folla. Ho la roba di Nir. Ma se non ci sarà anche un piano siamo fregati. Gazelle ha detto che domani sarò io ad uccidere Skid, ma sono sicuro che dopo quello che ho fatto al Mahne vorrà darmi precise istruzioni. Spero non me le dia domattina...ma no, lo sa anche lui che ci vuole del tempo a prepararsi per bene. E a me serviranno almeno dieci litri di caffè per passare la notte.
Parcheggiò e si diede alla perlustrazione della zona dove avrebbe dovuto sedere il Sindaco. Non si poteva sapere se qualcun altro aveva intenzione di mettere fuori gioco Gazelle – magari con metodi meno ortodossi dell’arresto. Non che non gli avrebbe fatto un favore, ma a quel punto il lavoro di due anni sarebbe andato in fumo.
 
Aveva appena finito di controllare la tribuna d’onore e stava per dirigersi alla sala conferenze, quando la voce amplificata del Sindaco zittì la folla presente sugli spalti.
«Cittadini di Blackwater City e gentili ospiti!»
Huramun immaginò che la folla sulla tribuna si fosse bloccata sul posto. Lui diede le spalle alla tribuna d’onore e, sfruttando le impalcature di servizio a filo dell’acqua, svicolò verso la sala conferenze.
«È con il più grande onore che io, Alastor Gazelle, Sindaco di Rilgar, vi accolgo nella mia città per allietarvi con questo sport che da anni ha preso posto nel cuore della gente! Rilgar più di tutti i pianeti delle Galassie Unite merita di essere nominato portabandiera di questa magnifica manifestazione di lealtà...»
Huramun, che lo ascoltava distrattamente, rimase disgustato dall’ipocrisia del rilgarien. Proprio lui parlava di lealtà?
 
Una guardia lo fermò davanti al primo ingresso della sala conferenze e gli chiese di identificarsi. Huramun eseguì e si ritrovò a passare tra gli ossequi del poliziotto che per una vergognosa dimenticanza non lo aveva riconosciuto.
Arrivato alla seconda porta la scena si ripeté uguale, e lo stesso fu davanti all’ultima soglia, quella della sala vera e propria. Era un ambiente adatto a contenere una quarantina di persone. Alto, rettangolare, di pannelli prefabbricati.
Si chiuse dentro e controllò tutte le sedie, ad una ad una; poi passò al tavolo ed infine, per scrupolo, controllò anche il pannello degli sponsor affisso dietro il tavolo. Quando fu soddisfatto del suo operato uscì e tornò indietro.
Sotto la tribuna d’onore lo attendeva un elevatore che lo avrebbe sollevato nella penombra dietro la sedia del Sindaco. Era pronto per essere utilizzato, tuttavia non lo attivò subito. Notò che l’impalcatura proseguiva anche nell’altra direzione, tracciando un collegamento con il palazzo che dava sull’esterno della curva 16. Non spiegandosi a cosa servisse, risalì. In tribuna d’onore c’erano lui, il capo della polizia ed il Sindaco, e nessun altro.
«...e con questo il regolamento è stato enunciato nella sua interezza! Ora invece sugli schermi potete ammirare il circuito...»
La grande schermata cambiò: al posto del mezzobusto del Sindaco comparve lo schema del tracciato.
Quell’anno, vista la moda del turismo nella Via Lattea, avevano voluto riprodurre uno dei loro circuiti più famosi. Un’ottima imitazione, a detta dei progettisti, ma a cui gli spettatori parevano non aver fatto caso, presi per lo più dai commenti alla forma peculiare e ai nomi («Assurdi!») attribuiti alle curve più importanti.
 
 
Tre giri di circuito, come voleva il regolamento, in cui ogni mezzo era valido per arrivare alla vittoria, purché non prevedesse un attacco diretto agli hoverboarder avversari. Sarebbero passati alla fase successiva soltanto i primi sedici dei ventiquattro corridori in gara, e nessuno era disposto anche solo a pensare che sarebbe potuto finire in fondo alla classifica.
«...ed ora che tutti conosciamo lo splendido circuito di quest’anno non voglio tediarvi oltre, vediamo come i nostri atleti sapranno dare il loro meglio in questo circuito difficile, carico di curve ed insidie! Hoverboarder! Sulla linea di partenza!»
 
I ventiquattro corridori si schierarono nelle loro postazioni. Zenas e Skid, uno al fianco dell’altro al centro della seconda linea, si scambiarono uno sguardo in cagnesco, prima di fissare il semaforo che avrebbe sancito la partenza. Quando le tre luci si accesero nell’aria calò il silenzio più assoluto, in cui il vociare del pubblico e dei commentatori venne sostituito dal ronzio ovattato degli hoverboard accesi. Le luci si spensero ad una ad una, e quando anche l’ultima si fu spenta gli hoverboarder che schizzarono via come schegge impazzite.
Gazelle si finse interessato alla gara per tutto il primo giro e poi, quando i corridori furono passati per la prima volta sulla linea di arrivo, fece un cenno a Huramun affinché si avvicinasse.
«Domani.» disse. «Domani ti apposterai sul palazzo in cima al molo. Sono sicuro che hai notato come l’impalcatura di questa tribuna arrivi fin là: questa sarà la tua via di accesso e di fuga al palazzo. Ucciderai il bersaglio all’ultimo giro e poi tornerai qui. Quando si accorgeranno di quello che è successo, sarà come se non ti fossi mai mosso e parteciperai alle indagini con la polizia.» spiegò il Sindaco, fingendo di seguire la gara. Il capo della polizia era così preso che non sentì nulla.
«Sì signor Sindaco. Posso chiedere cosa succederà all’umano ed al robot?»
«Ci penseranno quattro dei miei al calar della luna al vecchio molo. Pensa al tuo bersaglio, Huramun, e ricorda che non avrai una terza possibilità.»
«Certo, signor Sindaco.» rispose con deferenza, prima di ritornare nel suo angolino in penombra.
 
All’ultimo giro, Zenas aveva buttato fuori gara cinque dei ventitre rivali ed era in testa alla corsa assieme a Skid.
La sua tattica era semplice: si affiancava all’avversario e gli silurava il mezzo con un impulso simile ad un’onda d’urto. Un mezzo conquistato con i suoi proventi da corriere, costosissimo e pressoché irrilevabile, che imprimeva all’hoverboard colpito una spinta tale da far perdere l’equilibrio al suo utilizzatore.
Con le sue azioni sembrava quasi difendere Skid, al momento più avanti di lui di due lunghezze. Visto dall’esterno, dava l’impressione di voler difendere il suo posto dietro al rilgarien.
Skid sapeva perfettamente di aver Zenas alle costole, sapeva di essere avanti a lui di un soffio ed era concentrato sulla pista ricavata dalle strade cittadine. C’erano tuttavia due tarli che continuavano a roderlo: il fatto di dover lasciar vincere il cazar alle sue spalle ed il ginocchio posteriore, che pulsava dolorosamente.
Concentrati, Skid. Se la mezza tacca vuole la vittoria deve sudarla, si ripeteva. Non sentiva il pubblico attorno a lui, non sentiva quasi nemmeno la voce degli staffer che Gazelle gli aveva messo a disposizione e che continuavano a parlargli degli avversari e dell’andamento della gara attraverso gli auricolari. Non aveva niente a che fare con loro. Lui avrebbe dovuto fare da staffer a Nirmun, e questo era quanto.
È morta. Pensa alla pista.
Tornò a concentrarsi sulla strada: mancavano solo le curve 17 e 18 al rettilineo finale e il cazar aveva guadagnato una lunghezza. Lui e Zenas avevano lasciato indietro di parecchio gli altri, quindi il cazar cominciò a farsi sotto, cercando di sorpassarlo. Alla 18 il ginocchio mandò una fitta lancinante che lo costrinse a slargarsi quel tanto che bastò a Zenas per affiancarlo.
Rettilineo: dai gas, fu il pensiero dei due, fianco a fianco. Il cazar pensò di silurare Skid come aveva fatto con i cinque avversari prima, ma non lo fece con la convinzione che vincere sul rilgarien senza silurarlo lo avrebbe umiliato di più.
Se la giocarono fino all’ultimo centimetro disponibile, lasciando con il fiato sospeso tutti gli spettatori, ma alla fine Skid dovette cedere il passo. All’ultimo metro diminuì appena la velocità, in modo che l’altro passasse avanti di quindici centimetri scarsi.
Quando la folla vide il fotofinish, esplose in grida di giubilo.
Zenas si rese conto che Skid lo aveva lasciato vincere e si sentì umiliato come quando, da bambino, suo padre lo lasciava vincere nelle gare in bicicletta.
Skid, dal canto suo, quando sentì la voce di Gazelle all’auricolare che gracchiava “bravo Skid” provò un misto di sollievo e rabbia. Una volta sceso dal suo mezzo si concesse di dare un pugno ad un muro: gli altri tanto lo avrebbero frainteso. Poi prese a camminare verso la sala conferenze, pensando a come fingere per dissimulare quello che provava realmente.
* * * * * *
Ore 22:10
 
Al suo rientro a casa, Huramun trovò Nirmun spaparanzata davanti al computer della saletta sotterranea.
«Che fai?» chiese.
«Scurioso per ammazzare il tempo.» rispose «Hai delle belle informazioni.» commentò poi con l’aria di chi aveva saputo molto, un tono che Huramun riconobbe come “terzo grado in arrivo”.
«Sai com’è, lavorando sul campo le informazioni le prendi per forza.» rispose con aria evasiva. «A proposito, non vuoi sapere le news?»
Nirmun lo guardò e decise che gli avrebbe fatto le sue domande più tardi. Magari – dato che sembrava a pezzi – avrebbe addirittura rimandato del tutto. In quel momento spostò la tastiera ed il mouse e si sedette sulla scrivania, lasciando la sedia al fratello.
«Certo che le voglio sapere.» rispose, indicandogli di sedersi.
«Allora sturati le orecchie.» disse Huramun, lasciandosi cadere sulla seggiola. Non appena ebbe finito di dirlo il sopracciglio sinistro della sorella scattò verso l’alto, disegnando un’espressione sarcastica. «E non mi guardare male, non era una battuta.»
«Dai, spara.» commentò piattamente Nirmun.
«Uno: McMarxx è arrivato secondo, fingendo davvero con maestria.» cominciò a dire lui.
«Come va la gamba? So che il ginocchio gli dà dei problemi.»
«Se gli fa male lo minimizza: io non mi sono accorto di nulla.»
Nirmun annuì. Skid non voleva dimostrare ulteriore debolezza, era comprensibile.
«Ratchet e Clank?»
«Sono la news numero due: li uccideranno domattina presto. Il Sindaco ha già disposto le cose: saranno portati al molo vecchio, scortati da quattro uomini, e lì verranno eliminati, con relativo trattamento all’acido per farli sparire definitivamente.»
«Gazelle ha ragione: il sangue non s’intona con la moquette, non può ucciderli in casa.» commentò ironicamente lei. «Dove ha intenzione di farlo, di preciso?»
«Questo non lo so. Dopo la serata al Mahne il Sindaco non mi vede più così di buon occhio, quindi non mi ha dato i dettagli delle parti che non mi riguardano.» rispose Huramun. «La mia parte domani sarà molto semplice: scorterò tutti come al solito, poi fingerò di andare sotto la tribuna d’onore e in realtà mi piazzerò sul palazzo esterno alla curva La Rascasse. Al terzo giro dovrò sparare a Skid per poi defilarmi alla svelta e tornare in tribuna d’onore, dove sto di solito. A quel punto, allo scatenarsi del putiferio, uscirò facendo finta di niente e parteciperò alle indagini in vece del Sindaco.»
«Non ti beccheranno mai, quindi.»
«Mi temono, Nir. Già oggi quando mi hanno riconosciuto per poco non mi hanno anche lucidato le scarpe per la vergogna di avermi fermato.»
Nirmun lo guardò basita.
«Allora è sicuro che non ti beccheranno. E la morte di Skid sarà opera di qualche fanatico che disgraziatamente si disperderà nella folla, e che la polizia cercherà con ogni forza per i prossimi anni a venire.»
«E se farò una mossa sbagliata il Sindaco mi consegnerà senza pensarci due volte. Me lo ha fatto capire ampiamente durante la gara.» affermò cupo lui. Dopo quella frase calò un lungo silenzio. Nirmun appoggiò un piede sull’altro ginocchio e si puntellò sui gomiti, pensierosa. Huramun si mise a braccia conserte e socchiuse gli occhi.
«Ci dobbiamo dividere, Nir.» sentenziò infine.
«Come? Hai già un piano?» chiese lei stupita.
«Beh, so come lavorano, non ho grandi problemi ad elaborare una bozza. E poi è tutto il giorno che ci penso.»
«Allora parla, dai.» esortò la xarthar, attenta.
«Domani mi devo presentare all’alba per finire delle cose. Posso presentarmi un po’ prima ed attendere che portino fuori i tuoi amici, avvicinarmi con una scusa e lasciarti con loro.» cominciò a spiegare Huramun. «Non potrò seguirvi o Gazelle si insospettirebbe, però...»
«Come conti di presentarmi ai tuoi amici?» chiese Nirmun «Come una di loro? Dovrò travestirmi?»
Huramun denegò.
«Non ti posso procurare una tuta antiproiettile, quindi dovrai indossare la tua tuta da hoverboarder. È l’indumento più sicuro che hai, ho visto.»
«C’è solo un problema: è alla villa.»
Huramun materializzò la borsa e l’hoverboard sul pavimento. «Ora non più.» disse semplicemente. Nirmun sgranò gli occhi.
«Li hai rubati!» al tono entusiasta si sommò un’occhiata carica di gratitudine. «Grande!»
«Come dicevo: la tuta da hoverboarder è l’indumento più protettivo che hai–»
«Quindi conti di presentarmi in tuta da hoverboarder ai tuoi soci?» lo interruppe lei. «Ma non è–?»
Huramun la interruppe a sua volta materializzando un gadget preciso.
«Mai provato questa?» chiese con naturalezza, poggiando sul tavolo la pistola miniaturizzatrice a doppio flusso.
«Certo che sì.» rispose di getto Nirmun, prima di capire cosa intendesse il fratello. «Aspetta un momento: no, così no! Ma sul serio conti di rimpicciolirmi con quella?»
Stavolta Huramun annuì.
«Brava Nir. E con le armi che porterai con te avrai la possibilità di stendere gli uomini del Sindaco ed armare i tuoi amici. Che armi hai?»
«Ho le vipere nella tuta.» rispose «E una tempesta N60, ora che ci penso. Tutte cariche.»
«Ti darò la pimidoflu, un plasmaspir ed un lanciere, non si sa mai.» commentò lo xarthar, pensieroso. Nirmun annuì.
«Va bene.»
«Potrai stendere le guardie con un colpo di plasmaspir alla nuca. Considerate le dimensioni ridotte, probabilmente li metterai fuori combattimento per qualche ora.»
«Ricevuto.»
«Bene. La gara comincerà alle dieci: se tu ti presenterai durante lo svolgimento creerai un po’ di scompiglio, ed io sparerò a Zenas anziché a Skid. Il Sindaco ed il capo della polizia, a quel punto, probabilmente verranno fatti fuggire in mare aperto, dove una vettura in volo li attenderà per portarli al sicuro.»
«Probabilmente? Già non abbiamo tante chance, Hura, mettici anche un paio di probabilmente...»
«Visto che non conosco tutti i dettagli questo è il massimo di quello che posso fare, Nir. I probabilmente ci sono e vanno detti.»
«Vero anche questo, però non aiuta il morale!»
Huramun fece per ribattere, ma lei lo anticipò: «Okay, riassumiamo: domattina vai alla villa del Sindaco con me miniaturizzata e con una scusa mi butti nel mezzo dove trasporteranno Ratchet e Clank, quindi finisci i tuoi comodi e vai alla gara. Prima che cominci la gara io devo liberare i miei superiori e tornare indietro per gettarmi in pista dopo la partenza e creare scompiglio, cosicché tu possa sparare a Zenas. Ho perso qualcosa? E Ratchet e Clank cosa faranno?»
«Si sostituiranno agli uomini nella navetta che attenderà il Sindaco ed il capo della polizia e porteranno via i due in un qualche posto che credono sicuro.» rispose con sicurezza.
«E noi dovremmo rimanere in tre per quello stronzo di Dehyper?» chiese scetticamente Nirmun.
«Beh, la mia era solo una bozza. Si accettano consigli.» si schermì Huramun.
«Vai con Ratchet e Clank, sistemando al tuo posto un fantoccio magari. Non sparerai a nessuno, io seminerò scompiglio e con Skid prendiamo il piccolo bastardo dagli occhi blu. Quanto meno non saranno due contro due, e con te assieme a loro sarà più facile sostituire gli uomini di Gazelle nel mezzo.» suggerì lei.
Huramun soppesò l’idea.
«Sì, è meglio. Ho già un’idea di come allontanarmi dal palazzo senza essere visto.» disse infine.
Nirmun annuì.
«Domani sarà una lunga giornata.»
«Già.» replicò lui «Conviene prepararci e riposare.»

 

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Capitolo 11
*** | Capitolo 11 | Secondo giorno di gare: salvataggio ***


[ 11 ]
Secondo giorno di gare: salvataggio
5 Luglio 5405-PF
 
Nel silenzio della mattina la vettura stava per partire.
Ratchet e Clank furono scortati con malagrazia al suo interno da quattro rilgarien identici, neri come becchini e armati come soldati.
L’interno del furgoncino aveva due panchine nei lati più lunghi, ed i due furono fatti sedere agli estremi opposti della vettura. I posti centrali delle due panche furono occupati da due uomini e vicino alla cabina di guida, di fronte a Ratchet, un terzo non tolse gli occhi di dosso al neo-umano.
Il quarto stava per chiudere i portelli, quando Huramun si avvicinò.
«Signore, comandi!»
Lo xarthar si avvicinò e controllò l’interno della vettura. Ratchet aveva gli occhi segnati dalle occhiaie, e Clank lo fissava con insistenza, come se si aspettasse una sorta di reazione. Huramun, facendo finta di niente, si voltò di nuovo verso il rilgarien vicino al portello e appoggiò Nirmun (in quel momento alta dieci centimetri scarsi) sotto la panca.
«Avete controllato che non abbiano armi nascoste?» chiese.
L’altro annuì. «Ovviamente, signore. Perdoni l’impertinenza, ma lei non doveva arrivare tra due ore?»
«E perdermi l’ultima partenza di questi bastardi della Flotta?» rispose prontamente lo xarthar, fissando dritto negli occhi Ratchet, che digrignò i denti e lo dardeggiò con uno sguardo carico di rabbia.
«Sta’ buono, umano.» rispose gelidamente Huramun. «Conserva le tue energie per il breve resto della tua vita.»
Si rivolse poi ai rilgarien seduti nel vano. «Se parlano uccideteli. Mi assumo io la responsabilità con il Sindaco.»
«Sissignore!» fu la risposta comune. Nirmun, di sotto la panca dove era seduto Ratchet, si stava spostando lentamente verso il centro ma a quella frase si fermò perché il tono e la decisione con cui Huramun fingeva le fecero venire la pelle d’oca.
Poi i portelli furono chiusi e la vettura si mosse. Nirmun contò fino a cento prima di cominciare una lenta ascesa sulla parete interna, facilitata grazie ai magnetoscarponi. Passo dopo passo raggiunse l’apertura tra la panca e la carrozzeria, e da lì contò altri sessanta secondi prima di cominciare a scalare la schiena del rilgarien di fianco a Ratchet. L’impresa si rivelò più difficile del previsto, dato che l’ignaro indossava una giacca di stoffa lucida, scivolosa sotto le mani della coniglia.
Ma perché non indossano una tuta comoda come fa Hura?, pensò, ormai vicina al colletto.
Puntellò le gambe, assicurò la presa con la mano sinistra e materializzò il plasmaspir nella destra. Prese la mira, e quando si sentì pronta a fare fuoco il rilgarien scosse violentemente le spalle. Nirmun spalancò gli occhi per la sorpresa e si aggrappò con tutte le sue forze finché il tizio non si fermò.
«Che hai ora?» gli chiese quello di fronte con arroganza.
«Mah, sento come un prurito alla schiena...»
Ratchet intravide qualcosa con la coda dell’occhio, ma non si voltò a guardare per evitare la reazione dei rilgarien.
Il soldato Tetraciel? si chiese, perplesso, mentre il rilgarien al suo fianco tornava fermo e aggiungeva «Mah, sarà la maglia nuova...»
Nirmun sulla sua schiena ringraziò mentalmente che quel terremoto si fosse fermato. Se fosse durato ancora un po’, poco ma sicuro si sarebbe ritrovata il cervello come un uovo sbattuto.
Maledetto pelleverde, ora ti sistemo io… pensò, puntellandosi nuovamente e prendendo rapidamente la mira con il plasmaspir, ancora saldo nella sua mano. Quando fu sicura fece fuoco e, per sicurezza, sparò due colpi in rapida successione. Furono come due lucciole nel buio del furgone, che attirarono l’attenzione di Clank e Ratchet, che stavolta non poté fare a meno di girarsi. Il rilgarien roteò gli occhi all’indietro e si accasciò contro la carrozzeria, attirando così l’attenzione dei presenti. Nirmun, quando si accorse che sarebbe finita spiaccicata sotto la schiena del suo bersaglio, mollò la presa e si lasciò scivolare lungo la giacca, accucciandosi dietro un risvolto dell’indumento.
«Ehi, Damon!» chiamò il rilgarien di fronte. Non ricevendo risposta, si alzò per controllare. Il terzo rilgarien, quello di fronte a Ratchet, spianò le sue doppie vipere e le puntò sui prigionieri per prevenire ribellioni.
Nirmun serrò la presa sul plasmaspir, e quando il rilgarien che si era alzato scosse troppo quello che lei aveva privato dei sensi, rimase scoperta. Sparò un colpo e strinò il primo corno del rilgarien, il quale si accorse immediatamente di lei.
«E tu chi...» non finì la frase: Nirmun aggiustò la mira e con due colpi tra gli occhi lo fece crollare svenuto.
Il soldato Tetraciel! pensò Ratchet, nuovamente speranzoso. Era stato poco prima che fossero condotti in quel furgoncino che gli avevano detto che Nirmun era stata uccisa. In quel momento le speranze gli erano crollate quasi tutte, ed aveva cominciato a pensare ad un modo per uscire dalla brutta situazione.
Il neo-umano fissò negli occhi il rilgarien davanti a lui, che con le armi ancora spianate gli fece cenno con la testa verso i suoi compagni.
«Guardaci te.» disse seccamente.
«Ho le mani legate, come faccio?» chiese piattamente, subito prima che il rilgarien sparasse un colpo ad un centimetro scarso al suo orecchio.
«Silenzio, umano. Guardaci te.»
Ratchet trattenne un tremito e si sedette più vicino ai due, quindi con i piedi cominciò a stendere meglio quello che era svenuto per secondo, maledicendo la razza pellerosa per la scarsità di doti fisiche. Non avendo a disposizione altri arti oltre le gambe, dovette contorcersi come un verme per riuscire a separare i due incoscienti. Sentì anche qualcosa aggrapparsi al risvolto interno della polo che indossava. Pensando che fosse Nirmun, cercò di concludere alla svelta l’ispezione.
«Allora?» chiese il rilgarien.
«Lì non c’è nulla.»
«Non tentare trucchi, umano.» ribatté, avvicinandogli l’arma al viso. Ratchet si chinò all’indietro per allontanarsi, con evidente divertimento del tiratore. Nirmun sgattaiolò sopra le manette rigide che serravano i polsi al suo comandante e ne cercò la serratura. Le ci volle un attimo ad individuarla: piccola, tonda e meccanica.
Le stelle proteggano il tirchio che non ha voluto quelle a serratura elettronica!
Appoggiò il plasmaspir sulla toppa e fece fuoco una, due, tre volte, finché non si sentì il caratteristico clack e le manette si aprirono di scatto. Credendo che il rumore provenisse dal robottino, l’attenzione del rilgarien si portò su Clank ed in quel momento Ratchet scattò.
Si lanciò in avanti, avventandosi su di lui con insolita ferocia. Menò colpi come una bestia troppo a lungo chiusa in gabbia, e quando il rilgarien – dopo un violento colpo alla testa – crollò sulla panca, Ratchet si lasciò andare ad un sospiro soddisfatto.
Nirmun – che nello scatto del neo-umano era stata lanciata dall’altra parte del furgone – materializzò la pimidoflu, si riportò alle sue dimensioni e liberò anche Clank.
«Salve, signore. È un piacere rivederla.»
«Ma tu non eri morta?» chiese Clank in risposta.
«Già, a noi era stato detto che Huramun ti avesse sparato.» rincarò Ratchet.
«Sparato sì, ma un ago avvelenato.» rispose lei. «Ha fatto finta di avermi messo fuori gioco, mi ha allontanato da voi e sono diventata un asso nella manica.»
«Ha fatto cosa per cosa?» chiese Ratchet. Il mezzo cominciò a rallentare. Nirmun fece un segno veloce con la mano.
«Dopo.» disse solo, materializzando le doppie vipere per porgerle a Ratchet. «Adesso prenda qua: credo che siamo arrivati.»
Ratchet impugnò le armi e di nuovo il sorriso sicuro gli spuntò sul viso, mentre Clank si apprestava a prendere la sua forma a zainetto.
«Grazie, soldato.» disse, togliendo la sicura ed avvicinandosi ai portelli. Nirmun si mise dall’altra parte e gli strizzò l’occhiolino.
«Ehi, Ethan, ne avete fatto di casino!» si sentì da fuori, prima che la serratura dei portelli scattasse. Ratchet serrò la presa sulle pistole, pronto a puntarle sul rilgarien. «Si può sapere che...»
«Sì, abbiamo fatto casino in effetti.» concordò il neo-umano, tenendo sotto tiro il rilgarien. «Ora, grazie per averci aperto il portello...»
Nirmun roteò gli occhi, quindi diede un calcio al portello, non del tutto aperto, mandò il rilgarien assieme agli altri tre. Attesero qualche secondo, per vedere se sarebbero arrivati i rinforzi dello scagnozzo di Gazelle, ma non successe nulla. Scesero dal furgoncino ed ispezionarono la zona: erano in un capannone fatiscente, le cui uniche fonti di luce erano le lampade traballanti al soffitto. Dall’esterno si udiva il rumore del mare, ed ogni passo produceva un’eco cupa ed un nugolo di polvere.
«Soldato!» chiamò Ratchet, risentito.
«Signore, non c’era bisogno di troppi convenevoli!» lo rimbeccò lei. «Abbiamo bisogno di tutto il tempo a nostra disposizione, non potevo permetterle di rivangare i bei vecchi tempi col nemico!»
«Giusto, allora comincia con l’aggiornarmi. Tu non eri morta?»
Nirmun prese respiro, si sedette sul pianale del furgoncino e cominciò a raccontare.
Raccontò di quello che era successo subito dopo al suo svenimento nell’ascensore, del risveglio in casa di suo fratello, del fatto che Huramun fosse un doppiogiochista.
«Che? Doppiogioco?»
«Per conto della polizia di Xartha, sì. L’ho scoperto ieri scuriosando sul suo computer.» confermò la xarthar «Non si preoccupi, ho fatto una copia del disco rigido e l’ho messa al sicuro. Non ho avuto modo di torchiare il mio fratellone come si deve, ma ho tutte le sue informazioni e le prove a carico del Sindaco.»
Poi raccontò del periodo passato nel sotterraneo e del piano che avevano congegnato lei e Huramun. Lo descrisse nei minimi dettagli, così come lo avevano progettato. Ad ogni parola i due si fecero sempre più attenti.
«Ci sono parecchie cose che potrebbero andare storte, lo sa?» chiese Clank alla fine.
«Gliel’ho detto anch’io, ma con le informazioni che aveva era il massimo che si potesse cavare, signore.»
«Veramente io mi riferivo a lei, signorina.» rispose il robottino.
«Mi chiami Nirmun o soldato, signore. E comunque: sì che lo so.» disse «Ma è...»
«È l’unica che possiamo tentare.» rispose per lei Ratchet, afferrando per le spalle il rilgarien con la corporatura più simile alla sua. «Dite che questo mi andrà bene?» chiese, riferendosi al completo del tipo.
«Boh, se lo provi.» rispose Nirmun, voltandosi e dando la schiena a Ratchet. «Prometto che non sbircerò...»
Il neo-umano scambiò un’occhiata con Clank, prima di indicare Nirmun con lo sguardo e tamburellare l’indice sulla tempia. Il robottino se la rise, mentre l’amico cominciò a svestire il rilgarien. Indossò il completo del pelleverde, trovandolo un pochino grande. Le maniche della camicia e della giacca gli coprivano anche metà mano ed i pantaloni toccavano terra (per fortuna nei suoi pantaloni aveva una cintura, così li strinse in vita). Le scarpe, invece, erano completamente fuori misura e dovette tenere le proprie.
«Fatto.» commentò alla fine «Come sto?»
Nirmun si voltò e il suo sguardo – in tutto quel bianco e nero – fu subito attirato dalle scarpe rosse.
«Bene, signore, ma – citando la mia dolce metà – quelle scarpe sono un pugno in un occhio.» rispose.
«Non ho tempo né modo di mettere le scarpe di uno di loro. Mi inventerò una scusa sul momento, nel caso.» rispose Ratchet «Adesso dobbiamo andare, o non facciamo in tempo sul serio.»
«E questi quattro?» chiese Nirmun, indicando i rilgarien «Li lasciamo qui?»
«Ma sei matta? Li leghiamo e ce li portiamo dietro, rinchiusi nel furgoncino.» rispose il neo-umano, adocchiando un rotolo di cavo elettrico gettato vicino alla parete. «Non sia mai che lasciamo a terra quattro potenziali testimoni!»
«Testimoni, dice? Stavano per giustiziarvi!»
Ratchet alzò un sopracciglio, scettico, prima di mutare la sua espressione e rivolgerle un sorriso furbetto.
«Il più grande eroe delle Galassie Unite di certo non si ammazza così facilmente, soldato.» rispose, andando a recuperare il cavo.
«Oh, certo. Scusi se ho messo in dubbio...» ribatté ironicamente Nirmun, roteando gli occhi.
«Clank, hai da tagliare?» chiese l’altro. «Soldato, ho una reputazione da difendere.»
«Okay, l’ha difesa.» tagliò corto Nirmun, afferrando il pezzo di cavo che Ratchet le porse dopo che Clank lo ebbe reciso.
I minuti seguenti li passarono a legare i quattro, per poi sistemarli alla meno peggio sulle panche del furgoncino. Una volta chiusi i portelli a doppia mandata salirono tutti in cabina di guida.
«Okay...come ci arriviamo al lungomare?» chiese Ratchet, davanti al volante. Nirmun gli era di fianco con Clank in braccio.
«Ci dobbiamo vedere in una piazza vicina, si chiama Piazza Shiran...» disse.
«Ti ci guido io.» propose Clank «Ho la versione aggiornata della mappa della città.»
«Molto bene...si parte!»
E, acceso il motore, uscirono dal capannone.
 
Piazza Shiran era vicinissima al lungomare, ma priva di qualsiasi affaccio sulla pista e, pertanto, completamente vuota.
Ratchet spense il motore del furgoncino e si scrutò intorno: tranne che per tre lampioni, non c’era niente. Poi, dalla penombra, uscì Huramun. Aveva la sua solita espressione fredda.
«Siete lenti.»
«Scusa, Hura. Problemi di percorso.» si affrettò a rispondere Nirmun. «Comunque adesso ci siamo.»
Huramun scrutò a lungo Ratchet, e alla fine concluse che poteva andare. In fondo, non avrebbero dovuto vederlo da vicino.
Ad ogni buon conto, materializzò i suoi occhiali da sole e glieli lanciò.
«Mettili. Alle dipendenze di Gazelle ci sono una dozzina di umani, ma nessuno ha gli occhi verdi.» spiegò. «Sono finti: in realtà vedrai come se avessi delle lenti da vista, ma da fuori non si vedranno i tuoi occhi.»
Ratchet li infilò e constatò che fosse tutto vero.
«Okay, come ci muoviamo?»
«Hai un posto sicuro dove portare il Sindaco, una volta catturato?» chiese lo xarthar, asciutto.
«Sì.» fu la risposta altrettanto secca di Ratchet. Inutile dire che lo trovasse ostile.
«Bene, allora andiamo. Nir, la gara comincerà tra due ore. Zenas e il Sindaco saranno qui tra un’ora. Ci sarà anche il sistema di fuga acqua-aria come avevamo previsto. Tuttavia non potremo caricare anche Zenas sulla navetta che useremo, si creerebbero troppi tempi morti che Gazelle ed i suoi potrebbero sfruttare. Dovrete sistemarlo in un’altra maniera.»
Nirmun annuì, seppur scontenta.
Quello era un intoppo. E gli intoppi non erano mai di buon auspicio.
Pensa, Nirmun, pensa! Niente navetta loro, niente navetta di Skid perché è alla villa di Gazelle…forse c’è quella del Comandante, ma di certo Zenas sveglio non lo portiamo dove ci pare... si disse.
«Signore, possiamo utilizzare la vostra navetta?»
Rispose Clank: «Sono io che la metto in moto, di solito. Con il mio sistema è più veloce a partire.» disse.
«Che problema c’è? Diamo loro la scheda d’avviamento ed i codici...» protestò Ratchet.
«Se vado io guadagneremo il trenta percento del tempo solamente bypassando i sistemi di sicurezza. E poi io so come pilotarla, la conosco meglio di loro ed al limite potrei utilizzare le armi. Il soldato o Skid no.»
Ratchet serrò le labbra, indeciso.
«Vada per questa allora.» assentì dopo alcuni secondi «Tu, il soldato e Skid pensate alla cattura di Dehyper, io e lui alla cattura di Gazelle.» aggiunse indicando Huramun con la testa.
«Non sono d’accordo: tre persone dietro a lui sono sprecate e due dietro a Gazelle troppo poche.» protestò Nirmun «Verrò con voi, Signore. Non posso stare alla guida della nave di Gazelle per la stessa ragione della sua, ma Hura dovrebbe saperlo fare. Io invece so sparare, e tenere sotto tiro quel bastardo del Sindaco non mi causerà di certo dei rimorsi. E saremo tre per Gazelle e due per Dehyper: tutti i conti tornerebbero.» spiegò.
Avrebbe preferito andare a lanciare un po’ di polvere in faccia a Zenas, ma la situazione imponeva quella soluzione e lei vi si sarebbe attenuta. E che il cazar andasse al diavolo al più presto.
«Nir, come conti di venire con noi?» chiese Huramun. La xarthar ci pensò su un attimo: in effetti, non poteva accodarsi in divisa da hoverboarder...e Gazelle non aveva alcuna donna alle sue dipendenze, eccetto le cameriere in casa.
«Voi andate avanti, io vi seguo. O se preferite vi faccio da diversivo mentre voi stendete i due sul mezzo che attenderà Gazelle.» buttò lì in risposta.
«Scordatelo, soldato.» replicò Ratchet. «Faremo secondo il piano: a gara iniziata tu porterai Clank a Skid, poi potrai raggiungerci sulla navetta al largo. È il massimo distacco dal piano originale che possiamo concederci. E poi, se ho capito bene, hai da far mangiare la polvere a qualcuno.»
Nirmun sorrise, pregustando il momento in cui sarebbe apparsa davanti a Zenas – perché era sicuro che sarebbe stato in testa alla gara con Skid.
«Già. La ringrazio, signore.»
Dehyper, spero ti piaccia il mio lato B...perché giuro sul mio codino che sarà l’ultimo che vedrai per i prossimi anni.

 

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Capitolo 12
*** | Capitolo 12 | Ti dichiaro in arresto! ***


[ 12 ]
Ti dichiaro in arresto!
5 Luglio 5405-PF, ore 9:15
 
Il motoscafo filava veloce sull’acqua, diretto allo sbocco del porto di Balckwater City. Giunto a duecento metri scarsi dall’obiettivo, Huramun prese la radio e si mise in contatto con la navetta.
«Qui Huramun. C’è un solo uomo con me; dobbiamo controllare che sia tutto a posto. Portateci su.»
«Codice di autorizzazione?»
Huramun serrò i denti: quello non era previsto. Ratchet dovette capirlo al volo, perché gli tolse la radio di mano e improvvisò.
«Vuoi anche il codice fiscale, deficiente che non sei altro? La vita del Sindaco potrebbe dipendere da questo controllo e tu ti perdi dietro a manfrine del genere!»
«E tu chi sei?» chiese quello dall’altra parte.
«MUOVITI!» ruggì il neo-umano.
«Si signore, ricevuto.» fu la risposta gracchiante che uscì dallo strumento. Ratchet lo passò nuovamente a Huramun, che quasi sorrideva. Un momento dopo furono teletrasportati all’interno della navetta, dove un rilgarien li attendeva.
«Il tuo compagno?» chiese Huramun.
«In plancia, Signore. Piuttosto, scusi...»
Huramun gli sparò. Fu un colpo leggero, silenzioso come quello di una cerbottana, e pochi secondi dopo, ancora incredulo, il rilgarien cadde addormentato.
Ratchet alzò un sopracciglio.
«Aghi soporiferi?»
Huramun annuì.
«Pensavo ti trovassi meglio con gli sportelli.» replicò il neo-umano.
«Guarda che avevo un ago anche per te. Che ne sapevo ch’eri sotto la botola?»
«Tzé!» sbuffò lui. «E poi, visto che giri con gingilli come quelle pistole, un paio di occhiali come si deve non avrebbero guastato. Con questi sembro uscito da un vecchio film di gangster.»
 
Ratchet seguì lo xarthar attraverso i tre livelli di cui era composta la navetta. Nel ponte inferiore c’erano la sala motori e quella del teletrasporto, in quello di mezzo c’erano le stanze del Sindaco e, nel ponte superiore, si trovava la plancia.
Dopo aver messo a dormire anche il secondo rilgarien, Huramun rispose a Ratchet.
«Quegli occhiali hanno più di una funzione, ma gli x-ray sarebbero stati inutili in una situazione come quella dell’ascensore. E se ti fai dei problemi per un incidente del genere o per l’estetica degli occhiali, allora spiegami: come hai fatto a sopravvivere alla DreadZone?»
L’altro si morse l’interno della guancia. La risposta corretta prevedeva domande insidiose: solo pensarci gli fece prudere la cicatrice sulla mano.
«Là dentro si sopravvive solo stringendo i denti molto forte.» asserì. «Questi problemi sciocchi aiutano a capire fino a che punto si è diventati dei mostri. Finché te li fai...»
«...sai di non essere un mostro anche te. Bella teoria, mi lascia piacevolmente sorpreso.»
Ratchet lo guardò, stranito.
«Perché?»
«Pensavo che ragionassi con le armi.» rispose lo xarthar, guardandosi intorno. Con quella poteva considerare resa la sparata del neo-umano.
«Grandioso.» commentò piattamente Ratchet. «E io che credevo di poterti trattare da pari...»
L’altro parve non udirlo nemmeno.
«Ora devo andare a prendere posizione. Puoi sistemare i tuoi carcerieri con gli altri nella stiva. E ricordati i codici vocali per quando tornerò, dopo.»
Ratchet annuì.
«Ci vediamo, allora.» borbottò. Huramun rispose con un cenno di mano e sparì nel vano antistante la plancia.
Preferisco il soldato, pensò. Questo qui è troppo contegnoso.
* * * * * *
Ore 10:05
 
Nirmun, nascosta all’ingresso del tunnel, attendeva con Clank in spalla. Si era detto che sarebbe dovuta entrare in pista a gara iniziata, ma – se si fosse fatta vedere al primo giro – di sicuro Gazelle avrebbe dato ordine di far fuori prima lei e poi Skid. Al secondo giro, invece, si poteva dire di avere qualche possibilità in più.
«Accidenti, se penso che dovevo esserci io in pista...» mugolò, rompendo il silenzio.
«Perché, non ci sarà?» domandò il robottino.
«Dovevo gareggiare ufficialmente!» replicò. «Sa che risate si farà Lys, quando glielo dirò?»
Pochi istanti dopo una fila di ombre colorate, miste al ronzio dei motori degli hoverboard, sfrecciò davanti a loro e fece cadere il discorso.
«Un giro è andato. Tempo stimato per il prossimo passaggio?» domandò la coniglia.
«Cinque minuti e trentacinque secondi.» rispose meccanicamente il robottino. Nirmun annuì.
«Sa signore che mi sento onorata di averla in spalla?»
«Onorata? Di avere un robot in spalla?» obiettò Clank.
«Beh, non un robot qualunque, ma il robot, la stella cinematografica degli Studios e la spalla di Ratchet.» rispose lei con entusiasmo. Clank si demoralizzò, e Nirmun se ne accorse per via dell’improvviso e prolungato silenzio. «Signore?»
«Quindi anche tu mi vedi solo come una spalla...» mormorò il robottino. La xarthar si rese conto di aver fatto un brutto passo falso.
«Ah...beh...» mormorò, imbarazzata «Non avevo intenzione di offenderla... mi dispiace...»
«...la spalla...»
«Immagino però che anche lei abbia avuto i suoi momenti di gloria, no?»
«...la spalla...»
«...sì, insomma, non ci credo che il Comandante sia sempre stato così attento da non cadere in nessuna trappola o in nessun agguato... sarebbe troppo perfetto per chiunque!» continuò nel tentativo di ritirarlo su.
«...dove andrò a finire? Oh, per la scheda madre!... Ha ragione, Soldato... Ratchet non è perfetto sotto nessun punto di vista. È impulsivo, irruente e talvolta sbadato, e si può ben dire che gli abbia tolto le castagne dal fuoco più di una volta. Ma per quanti difetti abbia, è pur sempre il mio migliore amico. Lo sa che è stato lui a darmi questo nome?»
«No, mi suona nuova.» rispose lei. «Si dicono un sacco di cose, ma non sapevo che lo avesse scelto Rat...il Comandante
«Oh, tranquilla. Non si arrabbia se lo chiama per nome...» poi ridacchiò: «Di sicuro non lo fa quando è assente. E poi lo chiamano tutti così, senza signore o altri titoli. Non si preoccupi.»
«Okay, allora se dice così...e di quell’umana che gli sta sempre alle costole? Che mi sa dire?» chiese con voce leggera, quasi come se dovesse solo godersi la gara.
«Si riferisce a Takami?»
«Al Consigliere.»
«Sì, Takami.» confermò «Che vorrebbe sapere?»
«Era nella DreadZone con voi, no? Che tipo di eroina è?»
«...oh, beh...diciamo che era nella DreadZone per altri motivi.»
«Tipo?»
«Sono informazioni che non rivela volentieri, soldato. Spero capirà se non gliele dico...» rispose il robottino, prima di cambiare bruscamente discorso. «Stia all’occhio che dovrebbero passare fra trenta secondi.»
Nirmun annuì, quindi si alzò e, con Clank in spalla, andò ad accendere l’hoverboard.
«Sarei proprio curiosa di conoscerla, sa? L’ho vista diverse volte nell’arena virtuale assieme a Reshan, ed al poligono dicono che tiri bene...»
«Vuole sfidarla?»
I motori cominciarono a scaldarsi.
«E perché no? Se fa coppia fissa con Ratchet, dev’essere un avversario interessante.» ribatté lei, sistemandosi auricolare e microfono. Appena in tempo affinché la testa della gara passasse: diede gas e si immise nel circuito.
Finì in coda, con giusto tre o quattro avversari dietro di sé. Significava che tra lei e Skid c’erano una decina di concorrenti. Non metteva in dubbio che fosse in testa alla gara, quindi doveva darci dentro e superarne il più possibile nel tratto di circuito che rimaneva prima dell’ultima curva.
Superò due tizi nel tunnel e scaraventò un terzo a terra quando capì che non l’avrebbe fatta passare a nessuna condizione. Non andò particolarmente fiera di quell’azione, ma si disse che l’aveva fatta per portare a termine la missione.
«Tecnicamente andresti penalizzata per scorrettezza, soldato...» gracchiò la voce di Clank nell’auricolare.
«Perché, adesso figuro in gara?» mormorò la xarthar, avvicinandosi ad un concorrente che assomigliava a Xavier. Lo sorpassò tra le curve Mirabeau. Affrontò abbastanza bene la brusca curva Casinò, infilando uno dopo l’altro i turbo istantaneo che erano stati piazzati sul rettilineo e superando un altro concorrente nella curva Massenet.
«Dove si trova la testa?» chiese, uscendo dalla curva.
«È appena uscita dalla curva 13, Sainte Devote.»
Nirmun fece il conto. Per raggiungere Skid entro quel giro avrebbe dovuto infilare bene curve e turbo con un margine di errore irrisorio.
«Ce la posso fare!»
Ed infilò il turbo istantaneo, sfrecciando verso l’avversario che le stava davanti.
* * * * * *
Skid affrontò la curva La Rascasse con la ferma intenzione di non lasciar passare Zenas per alcun motivo. Sapeva quanto la mezza tacca fremesse per dimostrare chi fosse il migliore, e immaginava quanto l’avesse umiliato la sera precedente, quando di fronte al suo gongolare lui aveva replicato dicendogli che non si stava impegnando nemmeno un terzo di quello che avrebbe dovuto fare.
Infatti, nonostante lo attaccasse e si facesse sotto per superarlo, Skid riusciva sempre a distaccarlo quel tanto che bastava per non essere a tiro del suo congegno. Non sapeva ancora di cosa si trattasse, ma era sicuro che ne dovesse possedere uno, visto come aveva eliminato quei cinque poveretti il giorno prima.
Il ginocchio per il momento non dava fastidi, quindi l’attenzione sulla pista era la massima che riuscisse a dare.
Almeno: ciò successe finché il suo auricolare non smise di aggiornarlo con le voci dei tecnici di Gazelle cominciò a gracchiare grossolanamente.
«...Skid, mi senti? Rispondi! Mi senti?»
Non poteva credere alle sue orecchie. Infatti la sorpresa, per poco, non lo fece affiancare da Zenas. Per allontanarlo dovette dare fondo alla sua abilità sfruttando il turbo istantaneo e filò lontano, sfruttandolo al meglio.
«Nirmun?» mormorò, stupito.
«Non ho tutta la vita, Skid! Stammi a sentire: sto per portarti Clank in pista. Poi insegui quel Dehyper ed arrestalo. Fallo, è chiaro?!»
Skid riconobbe la sua sottoposta: quel piglio e quel timbro vocale erano indiscutibilmente i suoi. Tuttavia, come poteva fare?
«Ma...»
«Siamo d’accordo allora! E non ti preoccupare che stiamo tutti bene! Annienta quel pivello tronfio, per favore!»
Un sorriso determinato apparve sul volto del rilgarien. Ratchet stava bene, Clank stava per arrivare in suo soccorso e Nirmun era viva. Forse non era così disperata la situazione...
«Contaci.»
Diede gas e sfrecciò sulla linea del traguardo.
* * * * * *
Nirmun uscì dall’ultima curva e vide Zenas e Skid oltre il traguardo. Le voci del pubblico le giungevano ovattate: in quel momento c’erano lei ed i suoi obiettivi. E basta.
O quasi.
Quando si avvicinò alla tribuna d’onore non riuscì a trattenersi dal mostrare il medio ai suoi occupanti. Poi infilò un turbo e sfrecciò via.
Che Gazelle l’avesse riconosciuta o meno, in quel momento si sentiva meglio.
* * * * * *
Gazelle serrò i denti: chi era quel miserabile che osava tanto?
«Fatemi vedere un fermo immagine!» ordinò.
I tecnici si adoperarono per accontentarlo, e quando si rese conto che era stata Nirmun, dovette compiere uno sforzo sovrumano per non esplodere davanti al popolo.
Si fece portare una ricetrasmittente, invece, e si mise in contatto con il suo cecchino.
«Huramun!» ruggì. «Posso sapere che hai combinato al Mahne?! Huramun?! Huramun!!!»
Ma il coniglio non lo ascoltava.
Disteso sul tetto del palazzo, in risposta alle urla belluine del Sindaco, spense il dispositivo e lo lanciò nelle acque scure della baia. Poi, con l’ombra di un sorriso, riportò l’attenzione dietro il mirino del fucile fenditore.
 
Sapeva che lo avrebbero scoperto presto, ed attendeva con una certa ansia che il bersaglio arrivasse nella sua area di tiro. Non vedeva l’ora di chiudere la faccenda.
C’era una lievissima brezza, piacevole per placare il caldo terribile che lo aveva colto e irrilevante ai suoi fini di cecchino. Avrebbe sparato agli hoverboard di Zenas e Skid e, successivamente, si sarebbe dileguato in fretta. In seguito agli spari ci sarebbe stato il casino sufficiente a spingere il Sindaco a raggiungere il suo mezzo.
* * * * * *
Raggiungere i due in testa alla corsa fu difficile: anche mettendoci tutta la buona volontà, Skid e Zenas erano dei professionisti veri. Nirmun li raggiunse nella serie di curve e controcurve tra le due Mirabeau.
«Clank, mettimi in contatto con Zenas.» ordinò. «Ho un messaggio da dargli.»
Il robottino eseguì. In capo a pochi secondi la collegò all’auricolare del cazar. Mentre lo scollegava, emerse che stava chiamando i suoi tecnici per sapere chi fosse alle sue calcagna.
«Ti do un indizio: il tuo posteriore fa davvero schifo.»
«Tu! Ma non eri morta?»
«La domanda del giorno!» rise lei, infilando un altro turbo. «Tornando al tuo sedere: perché non te lo rifai? Che so... forse se ne avessi uno come Hura sarebbe meglio. Ti farei un altro esempio, ma non lo conosci.» gli disse ancora.
Dal ruggito che pervenne alle sue orecchie capì di averlo punzecchiato a sufficienza.
«Clank, passami Skid.» l’automa eseguì e poco dopo la collegò ancora con il rilgarien. «Ehi, arrivo alla prossima curva.»
«Sì, occhio a Dehyper...ha un congegno, anche se non so cosa faccia.»
«Ricevuto!»
Alla Casinò Nirmun aumentò il gas e, passando all’interno, sorpassò Zenas. A quel punto si sporse all’indietro e, afferrato Clank, lo lanciò al suo superiore. Skid prese il robottino al volo e si sentì sollevato nel rivedere l’occhiolino di quel soldato tanto bizzarro.
In quel momento, però, uscirono dalla curva.
Nirmun, bloccata tra Skid, in testa, e Zenas, in coda, cercò di rallentare il cazar in ogni modo possibile. Ma alla curva successiva Zenas l’affiancò dall’interno e attivò il congegno. L’ultima cosa che la xarthar vide prima di ruzzolare fuori dalla pista fu il ghigno del rivale.
* * * * * *
Huramun accolse con un certo sollievo la presenza di Clank sulle spalle di Skid, di almeno quattro lunghezze avanti a Zenas.
Sbrigò il suo lavoro in pochi secondi e con la massima professionalità: due colpi, due centri nelle teste degli hoverboard. I due corridori furono sbalzati in avanti, e lo xarthar seguì le conseguenze del suo operato con il mirino del fucile fenditore. Zenas attivò le protezioni e ruzzolò sull’asfalto, rimbalzando più volte fino a finire fuori dalla pista, mentre Skid fu fatto atterrare dolcemente da Clank nei pressi del cazar.
Dopo un volo simile Skid probabilmente si aspettava di sbrigarsela velocemente; invece, contro ogni aspettativa, l’altro ritirò le protezioni e sfoderò una pistola. Fece fuoco a casaccio per intimorire il suo avversario e, nel tempo in cui Skid si riprese, lui riuscì ad infilarsi in una via laterale.
Ma quello era il compito di Skid e Clank.
 
Lo xarthar smaterializzò il fucile e si avviò verso il motoscafo, furtivo come un’ombra. Arrivato, vi trovò la sorella al suo interno.
«Nir! Che diavolo ci fai qui?» chiese, stupito.
Lei gli mostrò due piccoli congegni ottagonali. I suoi contel.
«Li ho presi in prestito a casa tua.» spiegò «Avevo in mente di consegnargli Clank prima di arrivare alla tua postazione, ma per precauzione ho messo il congegno di destinazione qui e ho tenuto quello di attivazione. E per fortuna che ci ho pensato, altrimenti non sarei arrivata in tempo.»
Huramun saltò nel posto di guida ed avviò il mezzo. Avevano una manciata di minuti di vantaggio sul Sindaco, dovevano sfruttarli tutti.
Quella squinternata... per fortuna il fattorino non le ha fatto nulla di male, a parte buttarla fuori pista. Dalle ammaccature direi che l’ha proprio buttata fuori. Probabilmente l’ha provocato. Massì, tanto è un piacere farlo.
 
Raggiunsero la navetta. Spenti i motori, Huramun prese la radio e si mise in collegamento con Ratchet.
«Ehi, testa verde, porta su tutto.»
«Ricevuto, testa verde.»
Una manciata di secondi dopo sentirono il formicolio tipico del teletrasporto e si ritrovarono nella sala teletrasporto della navetta, motoscafo compreso. Huramun lo rimpicciolì con la pimidoflu che aveva dato a Nirmun e lo smaterializzò, quindi fece un cenno svogliato di okay a Ratchet, in piedi dietro la consolle di teletrasporto.
«Testa verde?» chiese la coniglia, che aveva riconosciuto la voce di Ratchet. «Dove lo vedi il verde nella sua testa?»
«Tecnicamente sarebbe per gli occhi...» rispose il neo-umano, abbassando gli occhiali per far vedere le iridi. «Comunque era solo un codice.»
«Hehe, mi scusi signore.» rispose lei, leggermente imbarazzata. «Ora ho capito.»
«Ratchet.» chiamò Huramun. Lui gli rivolse immediatamente l’attenzione. «Sei riuscito a collegare i quadri con quelli della plancia?»
«Mancano due fili e poi è tutto pronto.» rispose distrattamente il neo-umano, riprendendo a smanettare sui cavi della consolle «...fatto.»
«Bene, allora andiamo. Nir, vai ad attendere il Sindaco nel suo salotto privato, al livello superiore. Ratchet, tu stai nelle vicinanze e chiudigli le vie di fuga. Io starò ai comandi, in plancia. Eventualmente vi aiuterò da lì.»
«Okay!» rispose allegramente la xarthar. Ratchet annuì.
«La Phoenix ci attenderà fuori dall’orbita di Rilgar.» informò, prima di sparire con Nirmun al seguito.
Oh, beh, tanto meglio, pensò lo xarthar, uscendo per ultimo.
Di lì a un minuto lo spettacolo avrebbe preso il via.
* * * * * *
Skid non era un centometrista, come aveva riconosciuto Nirmun. Ma con Clank sulle spalle la musica cambiava: il robottino aveva attivato la funzione turbo-zaino, e così – un po’ correndo ed un po’ volando – stava guadagnando terreno su Zenas. Il corriere di Gazelle, però, era bene allenato nella corsa ed aveva il vantaggio di un’arma, di cui si serviva ogni volta che considerava Skid troppo vicino.
 
Il cazar svoltò in un vicolo tra due abitazioni e rovesciò a più riprese i bidoni della spazzatura, nel tentativo di seminare il suo avversario, quindi saltò su un elevatore appena in tempo per cominciare a salire. Skid, dietro di lui, evitò i bidoni con una combinazione di salto e volo grazie alla funzione turbo-zaino di Clank, ma non riuscì a raggiungere Zenas in tempo.
«Puoi portarmi... -anf- lassù?» chiese al robottino, ansimando.
«Spiacente, il dislivello è troppo alto per le mie funzioni. Devi aspettare l’elevatore od intercettarlo.» rispose Clank.
«Andiamo...» rispose il rilgarien, riprendendo a correre. Non tornò indietro: a metà del vicolo ne imbroccò uno lungo e stretto che si svolgeva verso est. «Quell’elevatore conduce... -anf- ad un piano... -anf- con una sola uscita, cioè il... -anf- cantiere del palazzo KiJu...»
Raggiunse il cantiere sfruttando quanto più possibile il turbo-zaino. Sarebbe stato un palazzo altissimo, una volta finito, ma per ora si vedevano solo le impalcature e le travature in acciaio.
«Eccolo!» gridò Clank, individuando il cazar sulle impalcature più basse. Anche Skid lo vide, e saltò oltre le transenne per attraversare il piazzale ingombro di travi e lastre metalliche.
Accidenti! fu il pensiero del cazar, quando scorse i due attraversare il piazzale. Stava scendendo una delle tante scale a pioli che si trovavano tra le impalcature; tuttavia, dopo averli visti, invertì la marcia e prese a salire. Dopotutto, aveva una decina di piani di vantaggio.
Skid cominciò a salire i gradini a due a due per guadagnare tempo, e quando cominciò ad ansimare pesantemente Clank lo sollevò verticalmente in volo di piano in piano, facendogli guadagnare terreno e fiato. In questo modo, livello dopo livello, finirono per raggiungerlo ch’era quasi in cima alle impalcature.
Quando Skid si fu avvicinato abbastanza, lo afferrò per una caviglia e lo trascinò giù dalla scala con uno strattone. Il cazar batté un violento colpo di schiena sull’assito delle impalcatura, che gli fece vedere le stelle. La pistola, mal riposta in una tasca della tuta, scivolò nel vuoto.
«Fermo dove...»
L’altro non gli lasciò finire la frase: scalciò e si dimenò finché non riuscì ad atterrarlo con un calcio al ginocchio malmesso. Distratto così Skid, si rialzò con un colpo di reni e prese a correre sulle travature interne all’edificio in costruzione.
«Vuole scendere dall’altra parte!» esclamò Clank.
Il rilgarien, sebbene a corto di fiato, lo inseguì sulle strette travi di acciaio. Mentre cercava di non pensare di essere a sessanta metri dal suolo, Zenas saltò su una trave tenuta sospesa dalle cinghie di una gru, al centro del piano.
I due incrociarono lo sguardo.
«Zenas... -anf- non peggiorare la situazione... -anf- e costituisciti...» tentò Skid. Zenas scoppiò a ridere.
«Costituirmi?...E per cosa?...»
E saltò dall’altra parte, pronto a fuggire. Tuttavia non aveva percorso che una decina di passi quando qualcosa gli piombò addosso a peso morto, sdraiandolo sull’assito delle impalcature. Era Skid, che aveva realizzato un salto lungo con il turbo-zaino e gli era atterrato sulla schiena. Rapidamente, gli afferrò i polsi e gli torse le braccia dietro la schiena.
«Ti ho dato una possibilità... -anf- e l’hai buttata... -anf- Stavolta non ci sarà Alastor... -anf- a pararti il culo...lo sai?»
Clank scese dalle sue spalle e cavò dal suo scomparto porta-tutto un paio di manette, con cui chiuse i polsi il cazar.
«In nome della Flotta... -anf- Stellare Unita ti... -anf- dichiaro in arresto... -anf- Zenas Dehyper, per possesso... -anf- e spaccio di droga...»
«Spero ti renda conto...che non hai alcuna prova...» rispose il cazar, schiacciato dal peso del rilgarien seduto sulla sua schiena.
«Non ci giurare, mezza tacca... -anf- non ci giurare...»
Lo sguardo gli cadde sul panorama intorno. Quando realizzò davvero l’altitudine cui erano, gli uscì un gemito.
«Oh, miseria... -anf- e adesso come... -anf- lo portiamo giù?»
* * * * * *
Gazelle mise piede nella navetta e qualcosa gli puzzò terribilmente di bruciato. Prima la coniglia rediviva, poi Huramun che non rispondeva, infine Zenas che non usciva dalla curva La Rascasse – anche se nemmeno Skid ne era uscito, come volevano i suoi piani. E, in quel momento, il rilgarien che aveva fatto piazzare nella navetta che non veniva a fare rapporto.
Era giunto alla sua navetta da solo. Ci sarebbe dovuto essere Huramun con lui, ma da quando lo aveva mandato alla sua postazione sembrava scomparso nel nulla.
Uscì dalla sala teletrasporto e si diresse al piano superiore, nel suo salottino privato. Doveva pensare.
Entrò senza badare a niente e si sedette su una delle comode poltroncine di pelle, giusto in tempo perché la navetta prendesse velocità.
«Qualche pensiero che la fa penare, signor Sindaco?»
Gazelle rizzò la schiena, sorpreso, mentre con movenze agili Nirmun lo sorpassava ed andava a sedersi sull’altra poltroncina, tranquilla e sorridente.
«Mi scusi per averla fatta attendere, ma sa, ho un debole per Metrofashion e di là c’era l’ultimo numero.» aggiunse, palesemente divertita.
Gazelle non capì, ma non gli importò: con un movimento rapido estrasse la sua pistola dalla fondina sottospalla e la puntò al volto di Nirmun.
«Come puoi essere viva, tu?» chiese il Sindaco.
«Hai visto forse il mio cadavere da qualche parte?» rispose lei.
«Huramun ti ha ucciso.»
«Mio fratello ti ha preso in giro, e tu gli hai creduto. Molto ingenuo per il re dell’hayen, non credi?»
Gazelle ricompose i pezzi: Huramun era fratello della coniglia, l’aveva lasciata vivere...ma perché ora era lì? Un momento: ti ha preso in giro significava che...
No, impossibile. Non posso aver permesso che un infiltrato diventasse il mio braccio destro, si disse.
«Te lo dirò da amica: arrenditi, sei al capolinea.» proseguì lei con sicurezza.
«C’è Huramun in plancia, vero?» chiese con altrettanta sicurezza il rilgarien. Nirmun assentì e Gazelle le premette la bocca della sua arma poco sotto la gola.
«Allora so che ci sta tenendo d’occhio, e sono sicuro che non gli dispiacerà fermare la corsa, se non vuole che ti uccida.»
Ratchet uscì allo scoperto, tenendolo sotto tiro.
«Non lo farai.» dichiarò. «Posa l’arma a terra, lentamente
Gazelle cercò un modo per uscire dalla situazione, ma l’unica frase che sembrava riempire la sua mente era Mi hanno fregato.
Lentamente, eseguì quanto gli era stato ordinato.
«Adesso alzati e voltati, sempre lentamente.»
Quando si trovò faccia a faccia con lui, un sorriso stirò le labbra del neo-umano.
«Così sei vivo anche te.» commentò. L’altro fece un cenno a Nirmun e quella materializzò le manette, con cui assicurò i polsi del Sindaco di Rilgar.
«A nome della Flotta Stellare Unita, sei in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla produzione e allo spaccio di droga...» dichiarò in risposta Ratchet, abbassando finalmente le armi.
«Non ci giurare, umano. La Flotta non ha prove ed io ho l’immunità diplomatica. Non puoi arrestarmi, e per questo finirai al fresco.» sentenziò con arroganza Gazelle.
«Sei in arresto anche per tentato omicidio di un soldato della Flotta.» aggiunse Nirmun. «Le telecamere della navetta ti hanno filmato, e di fronte a quelle l’immunità diplomatica vale ben poco. Dico bene Signore?»
Ratchet annuì e un sorriso sicuro si allargò per la soddisfazione sul volto della soldatessa.
Per qualunque verso la si fosse vista, Alastor Gazelle sarebbe finito in galera, inchiodato dalle sue stesse telecamere.

 

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Capitolo 13
*** | Capitolo 13 | Finale amaro ***


[ 13 ]
Finale amaro
5 Luglio 5405-PF, ore 12:15
Orbita di Rilgar, astronave USS Phoenix
 
Le navette di Gazelle e di Ratchet atterrarono a pochi minuti una dall’altra. Due manipoli di Ranger presero in custodia Gazelle, Zenas ed i sei rilgarien ch’erano con loro e li condussero nel ponte penitenziario, in attesa di portarli in un posto più adatto.
Il problema sorse quando comparve Huramun. Fu l’ultimo ad uscire, a distanza di svariati secondi da Ratchet e Nirmun, e non appena mise piede nell’hangar, Sasha diede ordine di catturarlo. Un manipolo di Ranger lo circondò e, trovandosi con dodici armi puntate addosso, lo xarthar valutò di tenere le mani bene in vista.
«Ci deve essere un errore...» cominciò a dire. Non capiva: perché lo stavano tenendo sotto tiro?
«Nessun errore!» tuonò la cazar. Stava per entrare nel cerchio dei Ranger quando Nirmun le corse davanti e, ad un passo di distanza, si mise a braccia aperte, allarmata dalla situazione.
«Capitano, no!»
«Soldato, togliti. Costui ha finito di uccidere per conto di Gazelle.»
«Capitano, mio fratello è un poliziotto di Xartha!» esclamò l’altra, tentando una difesa. «Non ha mai lavorato davvero per lui!»
«Ah, sì?» chiese scettica la cazar, puntando lo sguardo in quello di Huramun. Quest’ultimo lo sostenne con un’espressione neutrale, senza battere ciglio, in attesa del giudizio del Capitano.
«Portatelo via.»
«Ma Capitano! Perché?!» chiese Nirmun «Si sta sbagliando!»
Huramun abbassò lo sguardo e dissimulò un sospiro.
«Nir, lascia stare. Si sistemerà tutto.» pronunciò con voce calma e ferma, la stessa che la xarthar ricordava di lui prima che fosse mandato su Rilgar, mentre due Ranger lo afferravano sottobraccio e lo scortavano fuori.
Nirmun guardò a mascelle serrate la scena, sentendo montare la rabbia dentro di sé. Li seguì con lo sguardo finché non sparirono al di fuori dell’hangar, e in quel momento la rabbia mutò in frustrazione.
«Non è giusto.» mormorò a capo chino. Sasha fece per porle una mano sulla spalla ma lei la evitò con un gesto brusco. «Non mi tocchi, Capitano. Non cerco conforto da lei.»
«Ti aspetto fra un’ora in plancia, Soldato.» replicò la cazar, secca, prima di rivolgersi a Ratchet, Clank e Skid. «E lo stesso vale per voi. Tra un’ora sul ponte di comando, e siate puntuali.»
Poi s’incamminò a lunghe falcate fuori dall’hangar.
* * * * * *
Quando le porte del ponte penitenziario si aprirono, per prima cosa Huramun fu condotto in uno stanzino dove fu scannerizzato in lungo e in largo. Fu privato di guanti e scarpe, e in cambio gli fu dato un paio di babbucce di un bianco acceso, che fu costretto ad indossare. Nessun Ranger gli aveva detto nulla, quindi lui ipotizzò che si trattasse della procedura standard.
Dopo di ciò fu scortato fino a una cella che, notò, era identica in tutto e per tutto a quella del seminterrato di Gazelle. Più piccola, ma della stessa fattura. E quando i Ranger se ne furono andati, lasciandolo chiuso dietro una grata laser, si scoprì di fronte al Sindaco, seduto sulla branda della cella davanti alla sua.
«Huramun, Huramun.» disse in tono calante, con la voce dolce di un padre intenzionato a dare una lezione di vita al figlio maldestro «Tu mi hai tradito, ma per cosa?»
«È qui quel bastardo?» si sentì chiedere. Era Zenas, rinchiuso nella cella a fianco a quella di Huramun.
«Ciao fattorino. Sì, sono qui anch’io.» rispose con finta allegria lo xarthar, prima di sdraiarsi sulla branda. Tra una cosa e l’altra, negli ultimi tre giorni aveva dormito quindici ore scarse, e vista la mole di lavoro compiuta si sentiva parecchio stanco.
Prima di cedere al sonno, però, volle dire un’ultima cosa.
«Io non ti ho tradito, Gazelle. Semplicemente, non sono mai stato dalla tua parte.»
«Tzé!» a sentire quella frase il Sindaco di Rilgar si fece una risata. «Hai la mia parola: io andrò a fondo, ma ti trascinerò con me, fosse l’ultima cosa che faccio.»
Parole dette con calma assoluta, ma che col tono cupo che aveva utilizzato suonarono come la campana di un funerale.
* * * * * *
Ore 13:15
USS Phoenix, ponte di comando
 
Puntuali, i partecipanti alla missione si ritrovarono in plancia, dove Sasha li attendeva. Ratchet era tornato un lombax, e ciascuno aveva rimesso la propria divisa.
«Innanzitutto, ragazzi, bentornati.» esordì il Capitano. «Sono felice che siate sani e salvi. Quand’ho scoperto che Al si era dimenticato di occultare le cartelle di Skid e del soldato Tetraciel ho temuto il peggio.»
«Scusa, Sasha, ma non avevi detto che ci avresti dato supporto comunque?» chiese Skid.
«Beh, sì, in effetti è vero.» ammise la cazar. «Però non avrei mandato loro se la situazione non fosse stata quella.»
«Già...i casini lasciali a chi di casini se ne intende.» intervenne Ratchet, la cui modestia evidentemente s’era nascosta sotto qualche consolle. Dal momento in cui era rientrato sulla Phoenix era cambiato: aveva perso l’aria seria – quasi musona – che aveva mostrato su Rilgar in favore della sua solita troppa sicurezza.
«Come se aveste risolto tutto voi, vero?» chiese Nirmun, tagliente. Nonostante avesse provato a convincersi che Huramun sarebbe uscito presto ed avrebbe ricevuto gli onori che gli spettavano, non era riuscita a placare le sensazioni negative che aveva provato quando lo avevano portato via. «Con tutto il rispetto, signore, ma tra tutti lei è proprio quello che ha fatto di meno. A parte farsi salvare.»
«Modera i termini, Soldato. Se sei ancora viva dipende anche da me.» replicò il lombax, piccato. «Su quella navetta non avevi l’aria di essere quella che dominava la situazione.»
«Ma se è stato lei a ordinarmi di andare disarmata!» ribatté la xarthar. «Fosse stato per me, lo avrei costretto a parlare con un’arma puntata addosso.»
«Sai anche tu che una cosa del genere avrebbe mandato al diavolo tutta la missione. Ci serviva qualcosa che ci permettesse di arrestarlo subito, o con la sua carica di Sindaco ci saremmo finiti noi, in galera!»
Quello scambio di battute stava somigliando pericolosamente a quello che Ratchet e Takami avevano avuto subito dopo la missione “Renforce”, a novembre, dialogo che il giorno dopo era sfociato in una rissa. Sasha se ne accorse e s’intromise con foga.
«Basta! Finitela!»
Parole che caddero nel vuoto.
«Ma per favore! Racconti la favola a qualcun altro!»
«La racconto a te, perché te la sei dimenticata!»
 
«HO DETTO BASTA!!!»
Quella volta l’urlo sortì l’effetto desiderato: Ratchet e Nirmun si zittirono, ma non cessarono di guardarsi in cagnesco.
«Cos’è, Rilgar da alla testa? Non voglio un’altra rissa, men che meno di nuovo qui!»
Nirmun non capì a cosa si riferisse la cazar. Anche Ratchet impiegò qualche secondo a comprendere il senso della frase, ma quando ci arrivò fece un gesto svogliato con il braccio.
«Ah, tranquilla. Questa non sarebbe diventata una rissa...» rispose «È qualcun altro che deve calmare i bollenti spiriti.»
«Già, e qualcuno non deve soffiare sulle braci che li scaldano.» replicò Sasha «Non vi ho convocato per assistere ad un incontro di lotta libera. Siete qui perché bisogna stendere un rapporto da inviare al Comando Centrale. E, siccome avete partecipato tutti, tutti mi dovete raccontare cos’è successo laggiù. E vorrei che cominciassero Skid ed il Soldato.»
Skid lanciò un’occhiata a Nirmun, ma lei distolse lo sguardo, arrabbiata.
«Okay, parto io.»
Raccontò del loro arrivo, della villa e di come Nirmun avesse sospettato di Zenas. Poi si inoltrò nei fatti dei giorni successivi, con gli allenamenti, la visita alla polizia ed a casa sua. Quando si arrivò all’incontro con Ratchet e Clank, fu il robottino a prendere la parola e descrivere cosa fosse successo all’Hotel Mahne, con vivaci puntualizzazioni del lombax. Nirmun parlò poco e di malavoglia, rifilando i fatti che la riguardavano come se stesse leggendo la lista della spesa.
Alla fine del racconto, quando tutti ebbero detto la propria sulla cattura di Zenas e Gazelle, Sasha ritenne di aver guadagnato abbastanza elementi per redigere il rapporto da inviare al Comando Centrale. Ordinò che le venisse consegnata la copia dei dati acquisiti da Nirmun e li congedò.
«Soldato, prima che te ne vada...»
La coniglia si fermò e si voltò.
«Sì signore?»
«Riguarda tuo fratello.» puntualizzò. «Alla luce di quanto è emerso la sua posizione ai miei occhi è un po’ meno pessima. Vaglierò i dati non appena me li consegnerai. Intanto contatterò la polizia di Xartha per vedere cosa potrò fare. Sin dall’inizio era stato chiarito: sarà il Comando Centrale a decidere per Gazelle ed i suoi, e loro non vedranno Huramun come lo vedi tu. Oggettivamente, per due anni è stato il cecchino di Gazelle, e nell’ultimo anno il suo braccio destro. Mi dispiace dirlo, ma non gli resta che augurarsi che le buone azioni valgano più di quelle cattive.»
«Aspettare e pregare?» chiese sarcasticamente Nirmun. «Non credo sia sua abitudine.»
«È l’unica cosa che può fare, se non vuole peggiorare la sua situazione.»
Calò un breve silenzio, interrotto quasi subito dalla xarthar.
«È tutto?»
«È tutto. Vai e riposa.»
Nirmun annuì ed uscì dalla plancia un po’ più rilassata.
Tzé! Altro che riposare! Lei doveva parlare con suo fratello, immediatamente!
 
Giunta al ponte penitenziario, chiese di parlare con Huramun e fu fatta accomodare in una sala, dove le fu chiesto di attendere che il prigioniero fosse condotto da lei. Nell’attesa, studiò l’ambiente, visto che non era mai stata in quella zona della nave. La sala era microscopica, sorvegliata da una telecamera in ogni angolo e con tavolo e sedie saldati al pavimento. Era quasi claustrofobica, con le pareti scure, su cui il tavolo spiccava come una sorgente luminosa.
Era così presa dallo studio dell’ambiente che si accorse di Huramun solo quando questo le rivolse la parola.
«La divisa ti sta meglio di quanto ricordassi.»
Nirmun tornò con lo sguardo a livello del tavolo, e davanti al complimento non riuscì a non arrossire.
«Beh, grazie...» biascicò, poi si fermò un momento per squadrare il fratello. Sembrava terribilmente stanco. «Io...sono qui perché volevo chiederti scusa per il trattamento che ti stanno riservando. Mi dispiace tanto, dopo tutto quello che hai fatto a Blackwater City...»
«Dai, su. Era più che normale una reazione del genere; una parte di me se l’aspettava.» rispose lui con gentilezza. «Chronodome ha sempre avuto una cura maniacale dei dettagli, soprattutto quando si tratta di infiltrati.»
«E poi volevo dirti anche che ho parlato con il Capitano.» disse ancora lei. «A dire il vero c’eravamo tutti, ma alla fine ha parlato di te solo con me... Vabbé, insomma, ha detto che ai suoi occhi la tua posizione è migliorata, e che contatterà la polizia di Xartha e vedrà cosa potrà fare per aiutarti.»
Lo xarthar si mostrò stupito. «Non mi può rilasciare dopo che avrà contattato la polizia?»
Nirmun denegò. «No, non può. La missione è stata data dal Comando Centrale, e da loro sarete giudicati tanto te quanto Gazelle, il bastardo ed i suoi tirapiedi.» rispose. «E io ho paura che ti gettino nel mucchio e ti sbattano in galera.» confessò poi. Huramun fece per incrociare le braccia ma, visto che le manette gli impedivano il gesto, rinunciò.
«Beh, speriamo proprio che non succeda. Forse, se il Comando Centrale ricevesse tutte le informazioni che ho raccolto...ma chi ci torna a Blackwater a questo punto?»
Doveva essere una domanda retorica, ma Nirmun lo stupì.
«Veramente...sono già tutte a bordo.»
La rivelazione lasciò di stucco Huramun, che spalancò gli occhi e batté più volte le palpebre, incredulo.
«Quando sono rimasta nascosta in casa tua ho guardato quello che avevi nel computer.» gli ricordò lei con un filo di voce. «E questo dovresti saperlo perché quando sei rientrato mi ci hai visto davanti. Quello che non sai è che ho fatto una copia integrale dell’hard disk e l’ho sempre portata con me.» ammise. «Volevo parlartene quella sera stessa, ma poi tu eri sfatto e il discorso è finito da altre parti e non abbiamo più detto nulla...»
«Dai, allora devo dire che sei stata provvidenziale!» replicò lui, mostrandole un sorriso d’incoraggiamento. «Anche se ti avrò ripetuto un miliardo di volte che le cose mie sono mie e basta!»
Nirmun sorrise, leggermente imbarazzata dal rimprovero che Huramun usava farle quando erano piccoli.
«Dai, Hura! Siamo un po’ cresciuti per quella frase, ti pare?»
«È sempre attuale, direi.» rispose lui, sorridendo. «Ma stavolta sono davvero contento che tu non mi abbia dato retta.»
«Comunque, tornando al discorso serio, spero che ciò che hai a tuo favore sia sufficiente per non farti finire in galera.» disse cupa lei. Il sorriso sparì dal viso di Huramun, e la cappa pesante di pensieri negativi tornò a opprimerli.
«Nir, ho bisogno di incoraggiamento, non di frasi disfattiste.» le rispose, fissandola dritta negli occhi. «Gazelle ha promesso di trascinarmi a fondo con lui...e io non ci voglio finire. Non devo mostrarmi impaurito di fronte a lui, ma se è così sicuro di farmela pagare e tu non mi sostieni...allora sarà dannatamente difficile tenere duro.»
Nirmun lo guardò allibita.
«Che cosa?!» sbottò. Huramun abbassò lo sguardo.
«Sono pur sempre un organico anch’io...per quante maschere possa indossare non è vero che non risento di nulla. E ad essere sinceri, per questa situazione avrei voglia di mettermi ad urlare e prendere a pugni il muro, ma non posso. Se mostrassi anche il più piccolo segno di cedimento...»
«Hura, andiamo, tira fuori le palle!» lo rimproverò lei, saltando in piedi. «Giuro che mi darò da fare al trecento percento, ma tu non dargliela vinta! Non azzardarti a cedere, capito?! Sennò ti sfondo di botte, e la mia è una promessa!» esclamò, minacciosa, puntandogli l’indice tra gli occhi. «Chiaro?!»
Huramun non rispose, ma si limitò a premere il pulsante sul tavolo, quello di chiamata delle guardie.
«Non perdere altro tempo dietro a me.» rispose, subito prima che un Ranger sbloccasse la serratura. «E ricorda: in questa promessa ci siamo impegnati in due. Mantieni la tua parte, che io mantengo la mia.»
Detto ciò il Ranger entrò nella sala con il suo solito rumore di ferraglia e prese lo xarthar nuovamente in custodia.
«Stanne certo, Hura!» rispose lei, con sicurezza, prima che lui lasciasse la sala.
* * * * * *
8 Luglio 5405-PF, ore 11:10
USS Phoenix, alloggio del Capitano
 
Sasha maledì la burocrazia come fosse il peggior demone dell’universo: non il giorno dopo, né quello seguente, ma addirittura al terzo dì venne messa in contatto video con il capo della polizia di Xartha, uno xarthar leone dal vello scuro e gli occhi verdi, il cui volto era attraversato verticalmente da una cicatrice.
«Buongiorno. Sono Sasha Phyronix, capitano della USS Phoenix. È lei il capo della polizia xarthar?» esordì la cazar.
«Buongiorno a lei, Capitano. Sono Derek Thran, capo della polizia di Xartha. In cosa posso aiutarla?» rispose lui con voce grave, pacato.
«Il nome Huramun Tetraciel le dice nulla?» lo xarthar parve sinceramente stupito dalla domanda, e Sasha si affrettò a spiegare «Dice di essere uno dei vostri, infiltrato su Rilgar, a Blackwater City. Xarthar coniglio, alto, vello biondo e castano, occhi azzurri.»
«Aspetti...il nome non mi dice nulla, però posso cercare sul database. Sa, sono qui da sette mesi, ed il mio predecessore non ha fatto in tempo a illustrarmi tutte le missioni esterne in cui sono implicati degli agenti...» rispose lui, digitando rapidamente qualcosa su una tastiera. «Aspetti ancora un momento, prego. Come mai tanto interesse per questo xarthar?»
«Alcuni giorni fa si è conclusa una missione che prevedeva l’arresto di Alastor Gazelle, Sindaco di Rilgar, e dei suoi tirapiedi più in alto. Tra questi si trova lo xarthar in questione, che al momento è alloggiato in una cella. Sono alla ricerca di una conferma del suo ruolo, eventualmente per difenderlo quando sarà giudicato dal Comando Centrale.» rispose Sasha. L’altro annuì, dimostrando di aver capito, poi il suo volto si illuminò.
«Ecco la scheda dello xarthar Huramun Tetraciel. Ventotto anni, vello biondo e castano ed occhi azzurri. Il nucleo familiare comprende solo una sorella di nome Nirmun. A quanto risulta qui è attualmente infiltrato alle dipendenze del Sindaco di Rilgar, Alastor Gazelle, per consentire alla nostra polizia di avere prove sufficienti al suo arresto per il traffico di hayen...» sintetizzò, digitando qualcosa sulla tastiera «Le sto inviando il file.»
«La ringrazio, signor Thran. Ha ancora un minuto?»
«Certo, mi dica.»
«Il suo sottoposto in questi due anni si è fatto strada fra i tirapiedi di Gazelle e ne è diventato il braccio destro...nonché il cecchino di maggior spicco. Ne è al corrente?»
«Non mi occupavo io della missione nello specifico, ma so che l’agente Tetraciel mandava rapporti regolari e dettagliati.»
«Ha intenzione di difenderlo in giudizio?»
Lo xarthar strizzò le labbra, dissimulando un motto di stizza. Forse si sentiva sotto interrogatorio, ragionò Sasha. Ma era anche vero che bisognava strappargli le parole d’in gola per poter sostenere una conversazione!
«Manderò qualcuno di adatto...ma sì, avrà l’appoggio della polizia di Xartha. In fondo stava lavorando per noi prima che interveniste.» rispose, con un tono di voce che lasciava intendere che quel caso era una seccatura per lui.
«La ringrazio.» rispose Sasha.
«Ha ricevuto il file?»
«Sì.»
«Allora, mi scusi, ma devo proprio lasciarla per altre questioni. Cordialità, Capitano.»
«Cordialità, signor Thran.» salutò Sasha, prima che il collegamento cessasse.
Ripensò alla discussione appena avuta.
Dopo sette mesi non sa chi ha sul pianeta e chi fuori? si chiese, stranita.
Quella puzzava di scusa a un anno luce di distanza.
* * * * * *
Ore 11:45
Ponte detenzione, sala colloqui
 
«Quindi manderanno qualcuno a difendermi?»
Stesso tavolo, stessa sedia, stessa postura. Ma stavolta davanti a Huramun c’era Sasha.
«Così ha detto, ma non ce n’è la certezza.» rispose la cazar. «Mi dica: conosce il suo nuovo capo, Derek Thran?»
Huramun increspò le sopracciglia, pensieroso.
«Eeehh, vediamo...non l’ho mai conosciuto di persona, ma quando sono partito – ricordo – faceva la corte a quella poltrona. Aveva la fama di essere un arrivista ed un leccapiedi di prima categoria, secondo certe voci. Quando sono partito io, il capo era Leon Chronodome. Ma dovrebbe esserci ancora lui in carica...cos’è successo mentre ero su Rilgar?»
«Non ne ho idea, signor Tetraciel. Da come ne ha parlato, è presumibile che sia morto.» fu la risposta di Sasha, corredata da spallucce.
Huramun fece due conti e, tratte le conclusioni, sospirò.
«Permette una cosa detta con franchezza, Capitano?» chiese. Sasha acconsentì. «Se ci fosse Chronodome non avrei di che preoccuparmi, ma da Thran non so cos’aspettarmi. Quindi, nel peggiore dei casi, le chiedo di non far sapere a Nirmun in quale carcere finirò.»
«Suvvia, non mi pare il caso di...» Huramun la interruppe con un gesto.
«So come lavora Gazelle, e so che ha una quantità di contatti da fare invidia ad una società telefonica. Ha giurato di tirarmi a fondo e posso assicurarle che lo farà senza risparmiarsi, visto che ve l’ho servito su un piatto d’argento. Se Nir si presenterà al carcere, poco ma sicuro qualcuno la farà fuori. Se invece non saprà nulla...beh, avrà più probabilità di sopravvivere. E io non potrò rimproverarmi nulla.»
Sasha annuì. Capiva quello che voleva dire lo xarthar, era un concetto che toccava più le corde del cuore che non la logica della sopravvivenza.
«Non saprà nulla, ha la mia parola.»
* * * * * *
Giunsero a Marcadia più o meno due settimane dopo, e di lì a tre giorni si tenne il processo a coloro che erano stati arrestati durante l’Hovermission. Sasha e i partecipanti alla missione furono ammessi al processo, che si svolse a porte chiuse.
Fu con amarezza che Sasha constatò come Huramun avesse ragione circa Derek Thran. Aspettarono fino all’ultimo secondo, ma nessun rappresentante della polizia di Xartha arrivò ad aiutare l’agente. Non mandarono nemmeno un avvocato, così lo xarthar dovette affidarsi ad uno assegnato d’ufficio che, da come parlava, doveva essere un novellino. E a giudicare da come Gazelle lo guardava divertito, si sarebbe potuto scommettere senza perdere un solo bolt sul fatto che c’entrasse la sua famosa lista di contatti.
 
Fu un processo lungo e snervante, rimandato a più riprese, in cui prove e testimoni furono viste ed ascoltati talmente tante volte che alla fine anche l’avvocato più incapace avrebbe potuto rigirare i fatti come meglio credeva, intorpidendo la giuria per imporre l’innocenza del proprio assistito.
Ed in un clima di intorpidimento generale, in quell’aula calda come una fornace, la giuria si pronunciò: tutti colpevoli.
Mentre il presidente di giuria leggeva i verdetti, Huramun sentì un peso scivolargli sul cuore. Alla fine aveva vinto Gazelle: aveva vinto con i suoi soldi, i suoi ricatti ed i suoi contatti.
Perché alla fine il Sindaco di Rilgar fu messo ai domiciliari lì a Marcadia, e lo stesso fu per Zenas mentre a lui furono commissionati sette anni di carcere duro senza condizionale.
Perché alla fine lui aveva dato tanto alla polizia di Xartha, e aveva ricevuto un calcio nel momento del bisogno.
Perché alla fine i suoi ideali di giustizia erano stati fatti brutalmente a pezzi dalla realtà dei fatti.
Perché alla fine, per quanto avesse lottato per non cedere, uscì dall’aula con le mascelle contratte ed un’espressione di rabbia pura che divertì Gazelle. E l’esortazione di Nirmun a non desistere, a non arrendersi alla situazione, l’unica voce che gli giunse al cervello nella confusione del momento, gli fece inumidire gli occhi e provare disprezzo per se stesso e per il mondo corrotto che lo circondava.
 
Perché alla fine, dopo tanta fatica, aveva perso su tutta la linea, tradito dall’unico alleato e lasciato in pasto al nemico come sacrificio per mantenere buoni i rapporti tra i vertici. E questo era quello che più lo minava in profondità.
* * * * * *
Dal giorno in cui fu pronunciato il verdetto, Nirmun Tetraciel smise di correre sull’hoverboard.
Perse anche gran parte della sua verve, soppiantata da un’espressione triste e persa nel vuoto, come se la sua anima fosse stata svuotata. A nulla valsero i tentativi di amici e conoscenti, a nulla valsero le sedute psicologiche. Tutto ciò che l’aveva legata alla Hovermission fu preso e buttato via per non avere crisi isteriche.
Ogni tanto, stesa sulla sua branda nelle ore normalmente dedite al sonno, ci ripensava e concludeva che chiunque si sarebbe accorto che suo fratello non era colpevole, che all’udienza doveva obbligatoriamente presenziare un rappresentante della polizia di Xartha e che il suo avvocato non era all’altezza delle due iene che erano state assegnate a Gazelle e Zenas Dehyper.
Concludeva che, per lontano che fosse, Huramun era tutta la sua famiglia e aveva bisogno di lui. Era inconcepibile che fosse dietro le sbarre al posto di Gazelle e del suo fido corriere, che dietro il paravento degli arresti domiciliari continuavano tranquillamente ad inviare ordini e messaggi.
Concludeva che aveva bisogno di parlare con suo fratello, ma per qualche motivo Sasha non le voleva dire dove fosse rinchiuso.
E allora si ritirava in palestra, davanti ad un sacco da boxe, e non ne aveva più per nessuno finché non aveva sfogato la sua frustrazione.
 
Se Gazelle era convinto di aver chiuso la partita con una vittoria, si sbagliava di grosso. Lo avrebbe raggiunto, prima o poi. Lo avrebbe punito lei per i suoi crimini.
E lo avrebbe fatto in maniera esemplare.

 

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