Vivere nella cenere di slice (/viewuser.php?uid=41375)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Autore: slice. Frase scelta: “si
muore una volta sola ma per tanto tempo” Molière. Titolo:
vivere nella cenere. Personaggi: Shikamaru, Kiba, Ino, Chouji,
Shino, Hidan, Kakuzu. Pairing(s): Shikamaru/Kiba. Genere:
drammatico, romantico, triste. Rating: arancione. Avvertimenti:
AU, yaoi. Alcune scene possono essere un tantino forti, ma il rating è
arancione perché niente di quel che ho scritto mi ha fatto
pensare al rosso. Breve introduzione alla storia: Kiba è un
semplice ragazzo che fa il poliziotto, nella stessa centrale dove
lavorano madre e sorella, per pagarsi gli studi universitari.
Shikamaru è un vampiro, un ragazzo morto secoli prima che ha
perso speranze e fiducia in quasi tutto, specialmente nell'umanità.
Non hanno niente in comune, apparentemente, ma scavando un po' si
scopre che entrambi stanno cercando qualcosa di preciso, qualcosa che
troveranno nell'altro. A farli incontrare ci penserà una serie
di eventi ed omicidi notturni. Note dell’autore: le vicende
sono trattate in tre capitoli distinti. Il momento in cui si
incontrano, le circostanze e il rifiuto di Shikamaru ad ogni
contatto, tratto poco di loro due assieme in questo primo capitolo,
ma molto di più singolarmente e nel loro ambiente, la loro
'famiglia'. Mi è servito a mostrare il loro reale
comportamento, il loro essere, al naturale, per poi far risaltare
l'anomalia comportamentale quando nel secondo capitolo si vedranno
assieme. Nel terzo ho tirato le somme, credo di averlo fatto senza
fretta, facendovi gustare anche quello che è di contorno senza
per forza farlo prevalere, ma mi rimetto alla Giudicia. Altre
vicende, apparentemente inutili, sono servite da contorno e da
piedistallo per la storia che regge il pairing. Il secondo capitolo è
meno segmentato e più vissuto dai due, più intenso e
decisamente pregnante, il terzo non può che essere denso di
colpi di scena e ovviamente risolutivo. Credo di aver esagerato con
le comparse, ma sono convinta anche del fatto che togliendoli avrei
reso la storia più sterile e meno affascinante. Magari è
una cosa soggettiva e la riscontro solo io, ma nel dubbio ho
preferito gestire la storia in termini più ampi, e rischiare
di andare fuori tema, piuttosto scrivere qualcosa che non sentivo
fluire bene, che non sentivo mio. Tanto sarei arrivata comunque
decima u.u!
Non mi appartiene niente e non c'è
lucro.
Prologo
L'aria
gelida venne inquinata da uno sbuffo di fumo, l'oscurità della
notte si screziò di tentacoli chiari, la sigaretta ebbe un
fremito e della cenere cadde sul manto bianco dell'inverno; un
piccolo animale, forse una lepre o un coniglio, fece frusciare dei
cespugli vicini prima di scappare rincorso solo dalla sua paura. Dita
magre, che stringevano il filtro, si avvicinarono nuovamente alle
labbra di un ragazzo che ad occhio e croce non avrebbe potuto avere
più di una ventina d'anni. Un lieve alito di vento
scompigliò le cime degli alberi che, guardiani di tanta
quiete, non osarono lamentarsi. La maglia scura a maniche lunghe
creava un netto contrasto con la neve, che invece andava a sposarsi
con la pelle candida del suo ospite; l'abbigliamento semplice e
blando per quel freddo avrebbe dovuto far tremare il ragazzo, invece
lui sembrava curarsi solo dello sfrigolio che gli investiva le
orecchie, ogni volta che aspirava una boccata di fresco veleno. Passi
leggeri si unirono a quel suono sedante e poco dopo una seconda
figura fece la sua comparsa. “Non dovresti stare qui, è
quasi l'alba. - Sussurrò quello che, sotto un mantello nero
con annesso cappuccio, sembrava essere un ragazzo in carne più
o meno della stessa età - Lei si preoccuperebbe se sapesse.”
L'altro dette l'impressione di smettere anche di respirare per
un'istante, la temperatura sembrò scendere ulteriormente. “E
tu non dirglielo.” Sbuffò in fine senza poggiare gli
occhi sul suo interlocutore, troppo impegnato a guardare le stelle
sopra la sua testa, oltre le fronde appesantite di gelido
candore. “Dico davvero Shikamaru, dovremmo rientrare.”
Guardò con sconsolato rammarico il cielo che andava
schiarendosi ad est, prima di voltarsi ed incamminarsi verso un luogo
più buio e nascosto di quanto avrebbe voluto. “Chouji...
- la sigaretta lasciò le sue dita e sì posò
senza rimbalzo sulla neve con un ultimo agonizzante sfrigolio, le
spalle si staccarono dal tronco dell'albero, ma il ragazzo non si
mosse, come non tolse il suo sguardo dalla volta ancora stellata -
Cosa daresti per vedere l'alba ancora una volta?” L'altro si
fermò senza voltarsi. Il silenzio quasi li corrose in quei
pochi attimi in cui l'aria andava riscaldandosi leggermente, in cui
tutto si illuminava di vita. Chouji chiuse gli occhi e si morse il
labbro, aggrottando le sopracciglia in un'espressione addolorata,
alzò il viso permettendo a quella poca luce di sfiorargli i
lineamenti paffuti. “Morirei.” Scandì prima di
riprendere a camminare, lasciando quella risposta nell'etere, come se
avesse avuto troppa poca importanza ciò che lui avrebbe
voluto.
Vivere nella
cenere
di slice
Capitolo
1
Indubbiamente odiava la scuola. Senza possibilità di
eccezioni, la odiava, tutta. Odiava i professori, i supplenti, gli
stupidi pochi gradini per entrare in mensa. Odiava anche le aule e
quelle porte odiosamente scassate dei bagni che non si chiudevano
mai, o all'occorrenza ti ci intrappolavano dentro e neanche i
pompieri potevano sperare di aiutarti. Odiava il portone che nelle
mattine più sonnolente gli appariva come una bocca piena di
denti aguzzi ed odiava, odiava, odiava lui. Più di
tutti, odiava quell'essere strano che continuava a strusciarsi
impunemente sulle sue preziose gambe. “Va via, maledetto
gattaccio.” Sibilò, scocciato. Il gatto si limitò
a sbadigliare e prese in pieno un adorabile calcio nei
denti. “Kiba.” Venne ammonito dall'ameba che lo
accompagnava da che avesse ricordo. L'ameba, come lo chiamava
scherzosamente da anni, era il migliore amico per eccellenza, quello
delle fiabe e dei film, la classica persona che per te si getterebbe
nelle fiamme, ma anche un pizzico atipica con quell'aria impassibile
ed impossibile che predominava sulla sua indole. Cosa avessero in
comune quei due sfuggiva alla comprensione umana. Shino, l'ameba,
era un ragazzo alto, moro, con gli occhiali da sole incollati al
viso; era buono oltremodo e pacato all'inverosimile. Una di quelle
persone calme, che si prendono tutto il tempo necessario e anche
qualcosa di più per fare ogni genere di cosa, dal bere il
caffè a scrivere una relazione, uno di quei tipi che possono
snervare fino a farti venire le bolle, ma che poi ti rendi conto non
vorresti cambiare con nessun altro, tanto meno qualcuno più
nevrotico. “Senti, se le cerca. Con tutta la gente e lo
spazio che c'è, perché cavolo deve sempre venire tra i
piedi a me che lo odio?” Kiba invece era il classico
casinista, l'anima della festa e assolutamente non aveva niente di
pacato, nemmeno i capelli, che sembravano andargli in ogni direzione
senza tanti sforzi o aiuti gelatinosi. Anche lui l'amico delle fiamme
che si butta per te nei film... ma solo dopo un paio di gin tonic e
una serata in discoteca, perché prima di morire è
d'obbligo. Spesso veniva soprannominato cagnaccio perché
passava dall'adorazione per il sonnellino fino ad arrivare
direttamente al maniacale bisogno di movimento, saltando tutto ciò
che ci poteva essere nel mezzo. Kiba, inoltre, sembrava avere
l'olfatto e l'udito un po' più sviluppati del normale e
spesso, quando erano bambini, il loro gioco preferito era nascondersi
e farsi trovare da lui bendato, per mettere alla prova i due sensi
anomalmente più presenti. “Forse si è
innamorato.” L'occhiataccia che seguì fu assorbita con
invidiabile e snervante calma. “Sai cosa dovresti fare tu?
Provare a correre come un invasato per tutto il cortile, urlando a
pieni polmoni qualcosa come 'vi odio tutti e quando meno ve lo
aspetterete sarò lì per gioire pacatamente del vostro
dolore, inflitto ovviamente da me e la mia schizofrenia latente',
secondo me rimorchieresti di brutto!” Ci fu un attimo di quasi
assoluto silenzio rotto soltanto dalle fusa del gattaccio,
poi la campanella della prima ora
suonò. “Magari un'altra volta.” Rispose
quello alla fine evitando di scomporsi.
La notte perdura anche nel giorno se si sceglie come dimora una
cripta di un vecchio cimitero fuori da ogni qualsivoglia centro
abitato. I pochi lembi di luce in quell'atmosfera spettrale erano
delle candele; il loro tremolio, grazie a qualche spiffero, creava
giochi di luce sulle pareti grezze e spoglie, fredde, cupe. Una
bellissima tomba deflorata con molto poco rispetto per chi ormai non
temeva più ire divine. Una stanza fredda con due giacigli e
un sacco di libri più o meno vecchi che formavano pile, a
volte fino al soffitto, comunque non troppo alto, era tutto quello
che si potevano permettere di avere e dopo qualche decennio non era
nemmeno poi così male. Una piccola porta di un legno marcio e
bucherellato che odorava di muffa, come solo la muffa stessa poteva
fare, era l'unica cosa che spiccava. Pochi scalini, che formavano una
leggera curva, portavano ad una seconda piccola stanza. Qui la porta
rimaneva sempre chiusa e da dietro di essa spesso arrivavano strani
lamenti; forse il vento giocava con le fessure del legno malconcio,
oppure qualcuno cantava una nenia, a far compagnia a chi non vedeva
la luce da secoli. Un letto somigliante ad un vero baldacchino,
nonostante fosse stato creato con un materasso vecchio, cuscini vari
e teli di ogni genere, stava al centro della stanza dove la
concentrazione di candele andava diminuendo e la nenia cresceva
d'intensità. Shikamaru si avvicinò aspettando di
essere notato e, poco dopo, infatti, la canzone cessò. “Ciao!”
Molta enfasi per un tono fin troppo lieve, quasi
impercettibile. “Ciao. - Non c'era allegria nella sua voce
anche se davvero avrebbe voluto che ci fosse, magari solo per un
momento - Dovresti dormire, è l'alba.” “Vieni!”
La voce soave della fanciulla si fece udire ancora, soffice come una
brezza calda in quella stanza morta. Lui le si avvicinò
piano e prese delicatamente la pallida manina scarna che fuoriusciva
dalle coltri. Ciocche chiare macchiavano d'oro le federe dei cuscini
di un rosso molto scuro, come piaceva a lei. Ino un tempo era una
ragazza allegra, solare, vivace in modo quasi irritante, forse a
volte un po' ingenua, ma indubbiamente semplice e genuina, di
un'intelligenza fine e volutamente poco sfruttata. Figlia di un
personaggio di spicco nel suo amato villaggio, aveva un occhio di
riguardo ovunque e da chiunque anche dal momento che era la veggente
di corte. Una notte, tornando a casa dopo un importante seduta con
il Daymio, Ino si era trovata davanti, all'alba dei suoi vent'anni,
una persona malvagia e poco incline a voler vedere il suo splendido
sorriso. Il suo insegnante Sarutobi Asuma sentendone le grida cercò
di soccorrerla, ma ottenne solo lo stesso trattamento della giovane.
Shikamaru e Choji amici d'infanzia della ragazza, ed entrambi
cresciuti sotto l'ala dello stesso maestro, dopo attenta e irritante
vivisezione della faccenda, chiesero a gran voce la stessa fine per
mano proprio di quest'ultimo: mai avrebbero lasciato sola la piccola
Ino, mai avrebbero permesso che vivesse un'eternità
accompagnata solo dai suoi ricordi. Asuma purtroppo non ebbe vita
lunga: il villaggio aveva iniziato già da tempo a dare la
caccia a quelli come loro, e l'uomo si frappose proprio tra
gli abitanti muniti di forconi e la fuga dei propri allievi. “Come
ti senti oggi Ino?” Le capacità della ragazza, mischiate
con il nuovo sangue e i nuovi poteri, avevano creato come un
sovraccarico nel minuto corpo della ventenne, dando inizio ad una
penosa malattia senza fine grazie all'immortalità della sua
specie. Tutto ciò che successe dopo fu uno scappare da una
parte all'altra del globo fino a quando le notizie su di loro non
divennero semplici leggende, innocue favole tramandate per
sollecitare il sonno dei propri pargoli. “Come sempre, ma
grazie di continuare a chiedermelo.” Due occhioni blu come solo
– Shikamaru lo ricordava a stento - il mare di giorno poteva
essere, fecero capolino da dietro una pesante coperta dello stesso
colore dei cuscini. “Forse dovrei smettere e vedere che
succede, magari allora staresti meglio.” Accennò un
sorriso, contento di scorgere il suo viso illuminarsi, mentre una
risata di bambina riecheggio gioviale e corroborante in quel nulla
che loro chiamavano casa.
“Dovrei rigargli la macchina.” Kiba si stiracchiò
contro lo schienale di una delle tante panchine del parco che
frequentava di solito con gli amici, nel dolce-far-niente del
doposcuola. Un autobus si fermò poco distante da loro e un
ragazzo biondo ne uscì con una ragazza mora subito al
seguito. “Dovresti metterti a studiare.” Shino aveva
un modo unico di fare dell'ironia, tanto che spesso Kiba pensava
neanche fosse vera ironia, probabilmente il suo era umorismo
inglese, vai a capire. L'irrequieto ragazzo si voltò con
un sopracciglio alzato, mentre i due nuovi venuti si scambiavano
tenere effusioni prima di unirsi a loro. “Ma tu da che parte
stai?” Chiese al compagno di peripezie, guardando male la mano
del suo amico Naruto sul sedere della vecchia compagna di giochi,
Hinata. Chissà che espressione avrebbe fatto il padre della
suddetta davanti ad una scena del genere?, pensò
distrattamente prima di venir preso dalle parole dell'amico. “Era
solo un'idea.” Shino celò un po' di disappunto dietro ai
suoi spessi occhiali da sole, per la solita mano di Naruto, ed evitò
di guardare i lineamenti del compagno deformati da una smorfia
d'incomprensione. “Le tue idee fanno schifo.” Decise
quello, prima di salutare i due piccioncini ormai divisi da ben dieci
centimetri di neutra aria. Naruto ed Hinata si sedettero in mezzo
ai due vecchi amici. “Allora?, questa festa? Eh?” La
voce squillante ed inconfondibile del biondo fece sorridere un poco
Shino, che si parò nel suo giubbotto visto solo dalla piccola
Hinata, la sola a cui erano concessi certi privilegi. “Ci
sarà ovviamente! Il prossimo Venerdì sera, tra una
settimana esatta, al capannone alle nove. Non è obbligatorio
portare niente, ma se proprio devi, fa' che siano alcolici!”
Sbraitò quasi Kiba ampiamente dimentico di tutto il resto e
soprattutto del brutto voto appena ricevuto. “Fantastico! Ci
saremo! Hinata ha detto a casa che dorme da un'amica, eh!” Hinata
era figlia del famoso imprenditore Hiashi Hyuga e ovviamente 'decoro'
era la parola d'ordine, dove questa si collocasse nell'immagine
d'insieme che offriva il biondo non era affar loro. “Grande
Hina-chan! Perfetto allora, ci vediamo là!”
Effettivamente dire che aveva pensato ad altro per tutta la settimana
oltre che alla festa, era davvero ridicolo, per lui, ma anche per gli
altri che conoscendolo non ci avrebbero creduto nemmeno per mezzo
insignificante secondo. I due piccioncini si alzarono, di nuovo
pronti ad un'altra lunga serie di effusioni e si incamminarono per il
loro sdolcinato giro nel parco, mano nella mano. Breve ma intenso,
avrebbe detto Shino se la voce di Naruto non fosse stata ancora ad un
volume coprente, anche a decine di metri di distanza, mentre li
salutava. “Hinata la sentivamo poco già prima:
adesso, con Naruto intorno che urla la metà del tempo, e solo
perché l'altra metà mangia e dorme, credo che non la
sentiremo parlare mai più.” Kiba sorrise, erano
cambiati tutti: dalla piccola Hinata che balbettava prima di svenire
al solo nominare il suo principe azzurro, a quell'imbecille del suo
amico che ora spiccicava qualche parola in più. “A te
non succede mai.” Ecco, qualche parola di troppo, a
volte. “Quasi quasi rigo la tua di macchina.” Sorrise
ferino l'Inuzuka, senza preoccuparsi dell'aura omicida che emanava
l'amico.
Tsume Inuzuka era una donna in gamba, di carattere non per forza
dittatoriale, ma con il pugno indubbiamente di ferro. Era stata anche
dolce e permissiva un tempo, più di quanto fosse diventata con
l'abbandono da parte del marito per lo meno. Lo era stata con i suoi
figli e col marito stesso, ma evidentemente non era bastato a farlo
rimanere. Era successo tutto piuttosto in fretta: Kiba aveva
ricordi confusi perché era ancora troppo piccolo, mentre sua
sorella maggiore Hana si ricordava tutto molto bene. Era maggio e
c'era un leggero tepore, nonostante in quel luogo non ci fosse mai
una temperatura tale da poter chiamare caldo. C'era mamma che
piangeva sul letto e c'erano le valigie di papà vicino alla
porta. C'era un silenzio fastidioso e c'erano due occhioni e un pollice in
bocca tra le sue braccia. Kiba se ne stava lì a guardare il
padre osservarli con rammarico per un'ultima volta, attraverso le
fessure del legno delle scale che portavano al piano di sopra. Il
ragazzo aveva ben chiaro in mente quel momento, perché stava
correndo ad abbracciare suo padre e magari chiedergli di rimanere con
loro. “Sarò più buono, non ti disturberò!”,
aveva già detto qualche ora prima, tra le lacrime. Invece la
sorella lo aveva preso in braccio a metà scalinata e si era
seduta lì a guardare il genitore con malcelato odio,
stringendo sempre di più il bambino che, rimasto senza
lacrime, stanco e triste, si succhiava il pollice e faceva di tutto
per non far cedere le palpebre su una visuale così buia e
liquida. Erano passati più di quindici anni, ma ancora
tutto ciò bruciava, dentro, nascosto, ma presente. Kiba
raggiunta la maturità, per pagarsi gli studi universitari
senza gravare sulle spalle della genitrice single, aveva fatto
domanda con successo nel corpo della polizia, nella stessa stazione
della madre e della sorella. Il ragazzo entrò nell'ufficio
della donna con l'irruenza tipica della loro famiglia e le lanciò
un foglio sulla scrivania, proprio sotto al naso. Tsume lo guardò
con sospetto, lesse le prime righe e dopo lo accartocciò. “Te
lo scordi.” Soffiò riprendendo a leggere alcuni rapporti
datati. Kiba arricciò il naso, sapeva già che
sarebbe stata quella la prima reazione, si era preparato. “Ragiona.
Ti serve aiuto, hai pochi uomini a disposizione, senza contare che io
e mia sorella abbiamo già un'intesa particolare, per ovvie
ragioni; conosco il caso, perché ho duplicato le chiavi dello
schedario l'altra settimana. Non fare quella faccia. Siamo all'inizio
dell'anno scolastico ed ho tutto il tempo che vuoi. Infine, invece di
pensare alla mia inesperienza e basta, pensa a quanto ti possono
essere utili il mio fisico ed i miei riflessi di ventenne.” Ci
fu un attimo di silenzio in cui il figlio prese fiato e la madre lo
trattenne. Il caso sembrava orribilmente semplice: c'era uno
squilibrato che se ne andava in giro a dissanguare persone nel cuore
della notte, con cosa lo facesse o perché le mordesse prima,
era ancora un tremendo mistero. All'inizio avevano ipotizzato fosse
opera di un animale di grossa taglia, magari scappato a qualche zoo o
circo, ma nessuno ne aveva denunciato la fuga; in più, le
indagini che seguirono non rilevarono impronte ferine nella neve
fresca, ma bensì umane. Le autopsie, inoltre, avevano
confermato che quella che rimaneva sul collo delle vittime, morse
sempre nel solito punto, era saliva umana. La ricerca nel database
non aveva però dato nessun riscontro del DNA e si brancolava -
era il caso di dirlo - nel buio assoluto. Sua madre sembrò
pensarci su, non era andata così male dunque? “No.
- Rispose alla fine con un tono che non ammetteva repliche - Esci,
devo lavorare.” Irremovibile, come sempre. “Già!
- Borbottò il ragazzo, uscendo sconsolato - Anch'io, in
teoria.” Ma non fece in tempo a chiudere la porta a vetri con
su scritto “Capitano”, che la voce della donna lo
richiamò. “Kiba, delinquente, lascia qui le chiavi
che hai duplicato.” Meno male che ne aveva fatte più di
una copia, si disse, mentre poggiava quelle che aveva dietro, sulla
caotica scrivania della madre.
La città era un grumo di luci, rumori e frenesia che
rimaneva su uno sfondo scuro e stellato, silenzioso ed immobile.
Spesso stavano delle ore a fissare i grattacieli più alti: le
piccole lucine che indicavano le finestre, spegnersi poco alla volta
e i fari sulla cima dove, se erano abbastanza fortunati, potevano
scorgere un elicottero atterrarvi. Il rumore aveva un ché dei
primi fucili che la storia aveva partorito, ma era anche così
lontano da risultare quasi rilassante. Shikamaru sbadigliò
indolente, cercò di scorgere la figura dell'amico, ma di lui
non trovò alcuna traccia. Era convinto fosse nei paraggi. Si
stiracchiò allora e fece per alzarsi, pur contro voglia,
deciso ad andargli incontro, ma non fece in tempo a raddrizzarsi che
Chouji gli si presentò davanti; il respiro veloce, doveva aver
corso, e un'espressione decisamente pocoda buona notizia. Nara
aggrottò la fronte in una muta richiesta di
chiarimenti. “Ino... è scomparsa.” Il viso del
giovane uomo mutò rapidamente da perplesso ad angosciato, e
poi tornò ad essere perplesso. “Scomparsa? Chouji,
Ino è malata. Non so neanche se i suoi muscoli siano in grado
di tenerla eretta, com'è possibile che sia scomparsa?”
L'altro pensò un momento, freneticamente; scosse la testa,
infine si arrese con aria di incredibile dispiacere. “Non so
cosa dirti Shikamaru: a letto non c'è, nella cripta non c'è,
ho girato tutto il cimitero e non c'è, o almeno, non riesco a
trovarla.” Concluse più irritato e sconvolto di quanto
potesse trasparire. “Ok, senti, analizziamo la situazione:
nessuno sa che siamo qui, non possono averla rapita, senza contare
che avrebbe comunque cercato di difendersi e avremmo sentito il
fragore dello scontro. Magari si è svegliata, non c'era
nessuno e aveva fame o semplicemente, senza i suoi due simpatici
carcerieri“Di sicuro non può essere
lontana?” Chiese tra il retorico e il fiducioso. Shikamaru si
guardò intorno prima di cogliere l'ansia nel tono
dell'altro. “Non preoccuparti, la troveremo; magari si è
stancata troppo e si è fermata per riposarsi un momento. Se
non dovessimo trovarla tornerà lei, in ogni caso l'alba è
lontana. Dividiamoci.” Chouji annuì ancora, l'aiuto del
Nara era sempre stato prezioso come la loro amicizia e da secoli la
sua presenza, non faceva altro che rassicurarlo. E, Chouji non aveva
dubbi, rassicurava anche lei. “Che seccatura...” Sentì
il Nara sbuffare ed uscì dalla nebbia di pensieri e
preoccupazione in cui la sua mente lo costringeva, poi avvertì
lo spostamento d'aria che segnalava il salto spiccato dall'amico e
l'inizio delle ricerche.
C'erano un sacco di porte che davano su quel corridoio, buio e
deserto grazie all'ora tarda, ma lui conosceva l'esatta ubicazione di
ogni singolo ufficio e/o spogliatoio. Si guardò rapidamente
attorno prima di spingere la porta, una volta dentro chiuse piano e
tirò fuori la torcia. Non che gli servisse poi a molto, dal
momento che conosceva anche la posizione dell'armadietto di sua
sorella, infatti ci si diresse a colpo sicuro e lo aprì. La
combinazione era da sempre, nonostante il suo proclamato odio per
quell'essere, la data di nascita di loro padre. All'interno
l'armadietto era spoglio, privo di foto o qualsivoglia monito
cartaceo, non c'erano cianfrusaglie, ma solo oggetti in dotazione o
comunque utili al servizio. E anche un infinità di proiettili
di scorta, un po' nascosti dietro il giubbotto anti-proiettili, ma
c'erano. Era proprio da Hana: semplice e indispensabile. Sua
sorella era di pattuglia quella sera, assegnata allo stesso caso che
avrebbe voluto lui; prese un piccolo blocco, insignificante, adagiato
nella desolazione di quell'armadietto, e lo sfogliò alla
ricerca di dettagli. Si annotò mentalmente un paio di strani
avvenimenti ed altrettante descrizioni delle vittime, poi udì
delle voci in avvicinamento. Ripose il blocco, chiuse l'armadietto
senza fare alcun rumore e, spegnendo la torcia, si nascose nella zona
docce. Un secondo dopo la porta si aprì e la luce fu
accesa. “Quel dannato moccioso ci farà diventare
matte entrambe.” “Non lo pensi, tua madre è
sempre felice di averlo intorno e quando si allontana un po' di più
diventa insopportabile. Solo che tu e tua madre vi assomigliate molto
e dovete per forza ringhiare a tutti.” “Vuoi un pugno
Hatake? Dillo subito invece di girarci intorno.” Hana agitava
un pugno nella sua direzione, quando vide dei ciuffi castani oltre il
muro che separava la zona spogliatoio dalle docce. “No no,
grazie, mi accontento di guardarlo da qui. Senti che ne dici se
andiamo subito invece di attendere?” “Ci sto... Come
mai così arzillo oggi Hatake? Stai attento a non tirarmi
brutti scherzi.” Ed ecco di nuovo quel famoso pugno davanti al
suo naso. Kakashi tirò su le mani in segno di
resa. “Promesso!” Disse sorridendo e socchiudendo gli
occhi. Mentre uscivano Kiba pensò che chi sopportava sua
sorella avrebbe avuto bisogno di un incentivo statale oltre che di un
aiutino divino. Poi, realizzando che lui era tra i candidati, si
passò una mano sugli occhi, teatralmente affranto. Uscì
con discrezione e si diresse verso la zona della periferia indicata
dagli appunti del mastino.
Davanti a lui si ergevano le prime abitazioni, dopo la desolazione
e la bellezza della campagna, la periferia sembrava così
caotica da non volerci entrare nemmeno sotto compenso; girava infatti
intorno ad essa, avvicinandosi e poi ritraendosi, come un animale che
studia il nemico. Così poco abituato a tutta quella vita si
agitava sbirciando nelle vie senza davvero guardarci, come se avesse
potuto nuocergli. Come se da tanto fervore non potesse venire niente
di buono. La città di notte, addormentata nei mesi più
freddi, diveniva un formicaio nelle serate più calde e così
anche la periferia vomitava in strada stormi di ragazzi e ragazzini,
più o meno spensierati. Settembre era un mese che sfornava
un'aria ancora mite e, in quell'ultimo sprazzo d'estate, le feste dei
giovani si trovavano, confusionarie ed alcoliche, un po'
ovunque. Avevano regole precise nel loro piccolo e strambo gruppo:
nessun contatto con esseri umani, eccezion fatta per casi estremi e,
se succedeva, gli altri dovevano essere messi al corrente. Avevano
visto l'umanità crescere, evolversi e smarrire la strada
sempre di più, sempre più lontani da un qualsivoglia
buon senso, sempre più vicini ad essere massa piuttosto che
individuo. Si erano fidati poche volte e, pur fornendo il loro
sovrannaturale aiuto, l'unica moneta di ricambio era sempre stata la
persecuzione; e, forse per distinguersi dallo sfacelo umano, si erano
impegnati per imparare dagli errori decidendo a conti fatti di
volerne, o doverne, rimanere fuori. Il loro intervento in quell'epoca
non sarebbe stato nemmeno giusto, loro non avrebbero dovuto esistere,
non avrebbero dovuto essere lì e quindi interagire avrebbe
significato alterare il corso degli eventi. Di contro, Shikamaru
credeva ché entrare nel mondo dei viventi un privilegio che a
loro non spettava più. In fondo erano solo vampiri, si
nutrivano di quella stessa vita tanto bramata, come parassiti. No,
Shikamaru ne era convinto, non sarebbe stato giusto. Il suo
istinto gli diceva che Ino era là in quei campi coltivati a
materialismo e consumismo, forse era davvero uscita a farsi due
passi, ma allora perché non avvertirli? Prese a camminare
verso quel marasma di frivolezze e luci al neon, sbuffando e
imprecando a denti stretti; non aveva mai adorato particolarmente il
caos dei centri abitati, nemmeno quando il sole poteva rischiarare la
sua pelle senza procurargli l'incenerimento della cute, con
conseguenti dolorose ustioni. L'aria fredda e l'oscurità
facevano sì che dalle sue labbra uscisse del vapore molto
somigliante al fumo.Perché fingere?, pensò
infilandosi una sigaretta tra le labbra.
La radio dava solo schifezze a quell'ora e, all'ennesima
canzoncina rigurgitata dalle classifiche di venti o trenta anni
prima, decise che ne aveva avuto abbastanza; portò la mano in
basso, e fece per spegnere, quando qualcosa attirò la sua
attenzione. Un uomo ed una donna, abbastanza anziani, correvano,
abbracciati e singolarmente scossi. Kiba accostò la
macchina, accese la torcia e si diresse nel vicolo da cui aveva visto
uscire i due. C'era abbastanza luce, ma essa veniva tagliata
bruscamente, creando una fetta di oscurità dal momento che il
lampione stava al di là del muro di cinta di una villetta. A
terra un uomo era riverso a faccia in giù in una pozzanghera,
poco sangue aveva dato una tinta rosea all'acqua stagnante.
Dissanguato. Un altro. E il ragazzo era arrivato decisamente troppo
tardi. Nel rammarico e la frustrazione del momento, il piccolo
rumore che seguì gli sembrò un enorme frastuono. Si
voltò di scatto, puntando la torcia e l'arma d'ordinanza in
faccia ad una ragazza bionda, coetanea avrebbe detto, seminascosta
dietro ad un palo della luce. “Ciao. Tutto bene? - Fece
qualche passo verso di lei, dopo aver riposto l'arma, cercando di
avere un tono il più gentile possibile, scrutandola per vedere
se aveva segni di maltrattamento sulla sua esile persona - Stai
bene?” Chiese ancora, sentendo il silenzio addensarsi ed
appesantirsi nelle orecchie. Si fermò poi vedendola
indietreggiare, gli parve così fragile che si meravigliò
stesse in piedi da sola. Piedi. Solo ora notava la ragazza fosse
scalza. Inoltre la veste di seta che indossava, per quanto graziosa,
non doveva essere stata una scelta azzeccata per la temperatura. “Sei
al sicuro adesso, sono della polizia, non avere paura.” Kiba
tese una mano senza avvicinarsi oltre, lasciandole intuire che poteva
decidere lei se prenderla o meno, ma la ragazza rise, realmente
divertita e l'Inuzuka pensò che era davvero una risata da
bambina, solo un po' più fine e composta. “Come ti
chiami?” Chiese all'improvviso la giovane. “Kiba. -
Attimo di smarrimento - e tu?” Si sentì chiedere prima
ancora di capire cosa c'entrassero le presentazioni. “Mi
piace il tuo nome.” Non vi fu risposta, ma un'altra risata
gioviale e composta, poi quando tornò il silenzio, lei si
appoggiò al palo e finse un mancamento. L'Inuzuka,
preoccupato, le si fece subito vicino per sorreggerla, abbracciandola
quasi. Ino sorrise tra il dolce e il birichino, appoggiò le
mani sugli avambracci del ragazzo, lo annusò sul collo
avvicinando le labbra ad esso. “Ino.” La voce di
Shikamaru risuonò bassa e monocorde nel vicolo scuro e freddo,
tanto che Kiba sentì un brivido correre amorevolmente lungo la
spina dorsale. La ragazza tra le sue braccia sembrò
rimpicciolirsi e quasi guaire, dispiaciuta di qualcosa che sfuggiva
al poliziotto, la vide rintanarsi al suo petto, ma senza paura
alcuna. Si voltò fissando l'oscurità da cui aveva
sentito provenire quella voce atona. “La conosci?, credo sia
sotto shok: è pallida e chiaramente in stato confusionale.”
Un movimento nel buio catturò la sua attenzione. Shikamaru
lo guardò a lungo, con sospetto, prima di entrare nel
fascio di luce del lampione. Kiba lo osservò a sua volta,
camminare lentamente mentre scrutava la vittima e una nota stonò:
non sembrava allarmato, spaventato o scomposto alla vista del
cadavere. Questo lo insospettì. “È molto che
siete qui?” Domandò con tono pacato. Nara non
rispose, ma seguì i suoi movimenti mentre cercava di sostenere
meglio Ino senza rischiare di toccare dove non avrebbe dovuto. Ma
notò anche che questo non era motivo di imbarazzo per il
poliziotto. “Sentite, dovreste venire in centrale con me.
Niente di strano, solo qualche domanda.” Kiba contemplò
il viso di Ino che le era così vicina e alla quale ancora non
aveva prestato la dovuta attenzione. Aveva una fisionomia graziosa,
con qualcosa di audace nel nasino all'in su e nelle guanciotte rosee
rispetto all'incarnato pallido. Era una ragazza molto magra, non
anoressica, ma indubbiamente con qualche problema alimentare, stava
per chiederle se mangiava abbastanza quando venne interrotto
bruscamente. “No.” Kiba ci mise qualche secondo a
riprendere il filo del discorso poi, passandosi una mano sulla
fronte, sospirò comprensivo. “Lo so che non è
stata una serata da ricordare, ma sareste d'aiuto per le indagini.”
Neanche chiuse la bocca che l'altro sbuffò, quasi fosse
annoiato da tutto quello. “Non ci interessa aiutare, non è
affar nostro.” L'Inuzuka storse il naso, stordito da
quell'affermazione, ma come se l'altro stesse giocando sulla
tempistica del suo comprendonio, non ebbe tempo di aprire bocca. Lo
vide avvicinarsi alla ragazza e di contro sentì lei
irrigidirsi e ritrarsi leggermente, emettendo un altro mugolio
dispiaciuto. “Ino. Non sono arrabbiato. Andiamo.” Lei
ridacchiò mettendo la sua piccola manina candida in quella
dell'amico. Kiba assistette a tutto con una strana sensazione
addosso, come se fosse di troppo, come se stesse vedendo qualcosa che
non avrebbe dovuto. Vide i lineamenti del ragazzo distendersi,
forse rasserenato dal sorriso dell'amica e pensò di getto che
fosse davvero molto carino. Lo sentì rilassato al punto che,
gli venne il dubbio, prima fosse teso perché l'amica era tra
le sue braccia. “Sono un poliziotto. E anche se non lo fossi
stato... Che volevi che facessi?” Mormorò credendo di
averlo solo pensato. Si riscosse vedendo i loro occhi su di sé
e riprese il filo della conversazione con le risatine della ragazza
nelle orecchie ed uno strano gridolino che assomigliava troppo ad un
“ pensa che sei davvero molto carino”. “Come
sarebbe? Non vi interessa prendere lo squilibrato che sta facendo
questo?- Domandò quasi retorico, ignorando forzatamente la
ragazza e indicando il cadavere ad un paio di metri da loro -non
volete aiutare la polizia a proteggere i civili?” “No.”
Kiba si stranì ulteriormente. “Vuoi dire che la cosa
non ti tange minimamente? - Chiese ancora, facendo qualche passo
verso la vittima - Lo hai guardato prima, ho visto che lo hai
guardato. Ci sono dei fori sul collo. Contusioni su tutto il corpo,
segno che era ancora vivo quando lo hanno aggredito ed ha cercato di
difendersi. Quest'uomo non sembra aver bisogno di aiuto per
difendersi. Tutti i cadaveri sono stati ritrovati in periferia, non
oltre. Quindi, ricapitolando, abbiamo un uomo, perché mi
rifiuto di credere che una donna possa avere tanta forza, un uomo ben
piazzato, un camionista forse, che nella sua follia non vuole destare
sospetti... un maniaco depressivo con manie di persecuzione? Un
gigantesco maniaco depressivo con manie di persecuzione che morde le
sue vittime sul collo.” Ci fu un attimo di silenzio in cui i
due ragazzi si guardarono in faccia, come studiando l'altro. “Non
ci prendiamo in giro. Non può esistere, non regge, per quanto
mi sforzi, e sembri incredibilmente assurdo, non riesco nemmeno a
trovare spiegazioni razionali, ma solo logiche: non è umano. E
questo è semplicemente ridicolo.” Ino sobbalzò
leggermente nel blando abbraccio di Shikamaru ed iniziò a
piagnucolare e a strofinare il viso sulla spalla dell'amico. “Se
dovete dirmi qualcosa, sarebbe bene voi lo faceste ora, prima che
capiti di nuovo. - Kiba guardò la ragazza prima di aggiungere
qualcosa che fece stringere i denti a Shikamaru tanto da fargli male
- Prima che possa succedere a qualcuno che conoscete.” In
quel preciso istante la sirena di una volante in avvicinamento fece
voltare la testa all'Inuzuka di riflesso, lasciando il tempo al Nara
di levare le tende. Quando Kiba tornò su i due strani
individui trovò solo il vicolo deserto davanti a lui.
L'ascensore avrebbe scricchiolato e cigolato e ruggito abbastanza
da svegliare tutto il palazzo, così prese le scale, con grande
gioia dei suoi piedi doloranti. Girò la chiave con
lentezza, cercando di fare meno rumore possibile, quando la serratura
fece il suo dovuto scatto, entrò senza accendere la luce. Si
richiuse il portone dietro con la stessa calma e la stessa
accortezza. “Dove diavolo sei stato?” La luce si
accese e lui quasi cadde a terra incespicando nella coda di Akamaru,
suo fedele ed inimitabile compagno di giochi, ozio e
passeggiate. “Che cavolo, che ci fai ancora alzata?”
Tsume digrignò i denti mentre suo figlio guardava ovunque
tranne che nella sua direzione. “Non cambiare discorso
Inuzuka, dove sei stato?” Le unghie curate e un po' lunghe
picchiettarono velocemente, a scalare dal mignolo all'indice sul
bracciolo della poltrona di pelle. “In giro.”
Temporeggiò, accarezzando il fidato amico perpetuamente
scodinzolante. “In quel tipo di giro che ti fa portare
appresso arma e torcia? Ti avevo detto di starne fuori, mi
sembra.” Kiba sbuffò spostando di poco il deretano
del peloso quadrupede e sedendosi sul divano. Fin da piccolo gli era
sempre sembrato che quella poltrona fosse usata per incutere timore,
sua madre ci si sedeva sempre per sgridarlo e anche sua sorella negli
ultimi anni aveva preso a rompere dall'alto di quell'accozzaglia di
stoffe floreali. Oltretutto quel pezzo stonava col resto
dell'arredamento, quindi il motivo per il quale ancora si ergeva in
quel suo tetro angolino, era per incutere un po' di sano timore. Solo
un po', perché il resto ce lo metteva volentieri quel
soldato sadico che era sua madre. “Perché non posso
semplicemente essere stato a fare un giro con Shino e gli
altri?” “Perché Shizune-san e Tenzo-san ti
hanno visto correre via dalla scena dell'ultimo delitto.” “Uffa...
Chi è di turno stasera a parte loro?” “Non sono
affari tuoi. Comunque Hana è stata incaricata di parlare alla
famiglia e di farsi dare informazioni, magari le vittime sono scelte
in base ad una qualche logica.” La luce tremò e lo
sguardo di entrambi si posò su una falena, con il suo sbattere
le ali vicino alla luce creava forme strane sul muro. “O
magari no.” Borbottò il ragazzo osservando la farfalla
appoggiarsi sul pezzo di stoffa dell'abat-jour. Tsume lo guardò
aggrottando le sopracciglia. Si grattò la testa ed
ispirò. “C'è qualcosa che non so e che dovrei
sapere?” Indagò senza tanti preamboli, facendo
sobbalzare il figlio che si alzò dirigendosi verso la sua
stanza. “No no, dicevo così, per dire.” “Certo.
Kiba. - La donna lo richiamò con un filo d'apprensione nella
voce e lui si fermò lanciandole uno sguardo neutro ed
assonnato - Sta’ molto attento. E non voglio assolutamente che
tu e i tuoi amici andiate in giro da soli di notte, anche in centro,
potrebbe essere solo un caso che le vittime siano state ritrovate in
periferia. Sono stata chiara?” “Sì, signora.”
“Non è questo il punto Ino.” Urlò guardando la
compagna arretrare e imbronciarsi, miagolando scuse. “Avevi
detto di non essere arrabbiato.” Gli ricordò, con una
nota di fanciullesco risentimento nella vocina leggera. Il ragazzo
si massaggiò una tempia respirando a fondo e pentendosi di
aver alzato la voce. “Lo so. Ed è vero! Scusa, non
dovevo alzare la voce.” Le disse, realmente dispiaciuto, mentre
le prendeva una manina portandosela oltre il collo e la abbracciava,
con la sua risatina felice e senza tempo nelle orecchie. All'incirca
quattro ore più tardi Ino dormiva nella sua stanza, dopo aver
mangiato. Il sole era ormai sorto da una decina di minuti. Chouji,
incaricato di far provviste, aveva svolto bene il suo compito e si
era messo ad ascoltare tutto con malcelata apprensione, prosciugando
un intero piccolo ed indifeso capriolo. Shikamaru seduto davanti a
lui aveva riassunto l'episodio con una strana espressione sul viso e
non aveva toccato cibo. “Quindi fammi un favore Chouji: -
stava finendo di dire il Nara - Non lasciare sola Ino per nessun
motivo, a maggior ragione quando sarò fuori, dobbiamo trovare
chi miete vittime in tempo, prima che la cosa diventi troppo grande e
faccia scoprire anche noi.” Il ragazzo cicciottello di fronte
smise improvvisamente di ingozzarsi e, tutto sporco di sangue, pose
una domanda irritante: “Allora intendi aiutare davvero
quell'umano?” Shikamaru si toccò la fronte e il suo
sguardo vagò per la stanza. Al centro della suddetta un raggio
di luce filtrava dal tetto crepato della vecchia cripta; spesso
veniva circondato da pile di libri o da cerchi di candele più
o meno alte per evitare di incapparci, magari sovra pensiero, ma a
volte niente recintava quello spruzzo di luce che, come fosse
animato, illuminava un minimo quell'antro buio. Quell'umano
sembrava davvero come quel raggio di luce e, qualcosa nel suo
insieme, lo attirava quasi più del sangue, che
perdeva attrattiva al confronto con il suo odore. “Che
seccatura.” Soffiò, facendo sorridere l'altro anche al
ricordo di quello che Ino aveva detto, a proposito dei pensieri
dell'umano.
Nell'oscurità di una fognatura qualcosa si muoveva,
agitandosi e grugniva, scontento. “Smettila di fare tutto
questo baccano idiota, mi stai irritando.” La voce bassa e
pacata non destava però sicurezza, ma intensi brividi, a volte
persino al suo compagno di viaggio. “Kakuzu! Non penserai
che oltre a mangiare poco debba anche evitare di lamentarmi?”
Un pugno si agitò nell'aria con distinta ferocia. “Ho
fame anch'io, ma non per questo sbraito e mugolo tutto il tempo.
Inoltre credevo di averti spiegato che siamo già troppo in
vista così, senza fare decine di vittime come vorresti tu.”
Il tono spazientito e leggermente più veloce, unico segno di
alterazione, venne ignorato dall'interlocutore. “Una volta
non era così...” Piagnucolò ancora, lasciandosi
scivolare sul pavimento umido, chiudendo gli occhi su un fascio di
luce che filtrava da un tombino poco più in là. “Hidan,
una volta non eravamo nel ventunesimo secolo.” Puntò gli
occhi al cielo, soffiando però un tono invariato. “Mi
piacevano di più quei tempi! Era anche semplice cavarsela, un
gioco da ragazzi!” Sorrise quello, mettendosi seduto e
ricordando forse bei tempi andati, fatti di luoghi da scoprire e
carneficine a cui partecipare. “Parla quello che si è
fatto staccare la testa.” Hidan in un attimo si fece serio. “E
sta’ zitto. - Sbraitò tornando sdraiato -anche senza
testa ce l'ho fatta ad evitare il paletto.” “Complimenti.”
Commentò con poca intonazione e nemmeno il minimo interesse,
il gigante seduto accanto a lui. Fuori di lì l'aria andava
riscaldandosi.
Sono arrivata ultima T.T ergo mi servirebbe un po' di supporto
morale (leggersi: vi prego, commentate!). Grazie.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Sua madre gli aveva detto di starsene lontano da quella faccenda:
forse allora era proprio per quello che lui era lì a godersi
l'ennesimo spettacolo raccapricciante. Questa volta l'aveva fatta
grossa, rubando la radio alla volante di Yamato-san; le due donne di
casa Inuzuka gliela avrebbero fatta pagare cara, ma adesso tutto
quello a cui riusciva a pensare era un modo per risolvere la
situazione. La vittima questa volta era una ragazza, probabilmente
di qualche anno più grande di lui, forse addirittura una
decina, ma comunque molto, troppo, giovane. Le ginocchia
lisciarono il tessuto dei pantaloni della divisa quando si piegò;
osservò le mani curate, i vestiti firmati, i capelli lucenti e
di un colore insolito, poi gli occhi blu, sbarrati, allucinati, privi
di vita. Il conato si fece strada improvviso e violento, si voltò
per non inquinare la scena del delitto, ma principalmente per
rispetto. Quando lo stomaco smise di contrarsi alzò la testa e
si ritrovò davanti due occhi conosciuti, ma così
malinconici e privi di luce da far male. “Non avvicinarti
tanto se ti fanno questo effetto.” Kiba si morse il labbro,
voltando il capo nella direzione del corpo inerme nell'ennesimo
vicolo di periferia. “Credevo la cosa non ti toccasse
affatto, sai che potrei infilarti nei sospettati, dal momento che
sembra tu ti diletti a gironzolare sulle scene dei crimini, senza
provare alcun tipo di malessere alla vista di tali scene?” Finito
di parlare si voltò nuovamente per accogliere la risposta
dell'altro; lo trovò invece ancora più vicino di quello
che già era pochi istanti prima. Shikamaru scrutava il viso
di quell'umano: gli occhi ora sorpresi, ora spaventati, ora adirati o
frustrati, ed era bellissimo vedere tanto fervore, tanta vita, era
bellissimo stargli così vicino. Tanto vicino da sentirne il
calore e l'odore. Odore che lui non poteva permettersi di inalare,
vita che lui non poteva osare sfiorare con quelle sue dita sporche di
morte e cenere. “Forse non hai azzeccato il lavoro,
dopotutto.” Ignorando il suo tono confidenziale e la voglia di
smorzare l’atmosfera davanti allo schifo della vita, lui optò
per l’indifferenza immortale, schermandosi così da ogni
riverbero che quella persona vera, viva ed incredibilmente diversa
dalle altre, emanava prepotentemente. Il poliziotto rimase fermo,
un odore strano gli si intrufolò nelle narici. Sapeva di
antico come i libri della biblioteca comunale, sapeva di resa come la
nonna che era spirata in compagnia di un cancro e sapeva di sigaretta
come, ricordava bene, suo padre, quando un tempo lo era stato.
Odorava di cose conosciute, diverse tra loro e difficili da trovare
insieme, ma anche di qualcosa che non riusciva a ricordare. C'era
forse paura da qualche parte? Shikamaru si sentì male ad
essere così vivisezionato e compreso da qualcuno tanto
distante da lui, ma allo stesso tempo quel che lesse in quella mente
semplice fu qualcosa di ristoratore, qualcosa che, per la prima volta
dopo centinaia di anni e nonostante i suoi due insostituibili amici,
lo fece sentire confortato, compreso. Meno solo. Distolse lo
sguardo puntandolo a terra, colpevole, colpito. No, non avrebbe
più letto quella mente, aveva fatto un giuramento e lo avrebbe
onorato ogni singolo giorno della sua eterna vita. Si voltò
facendo qualche passo avanti. “Ehi, aspetta! Chi sei? Dove
abiti?” Ma quello non sembrava intenzionato a fermarsi e tanto
meno a rispondere. “Posso sapere almeno il tuo nome?” Il
Nara si fermò di colpo. Il suo nome. Importava davvero come
si chiamava? Ad una vita mortale probabilmente cose come nome,
cognome, luogo e data di nascita erano indispensabili, ma lui non
aveva motivo di confidare in regole e convenzioni sociali. Il tempo,
comunque, avrebbe sbiadito tutto ciò che lo circondava,
incluso quel ragazzo di una bellezza semplice, quasi selvaggia; con
quegli occhi, dal taglio leggermente ferino, di quel verde-marrone
così chiari da risultare del colore del miele, da risultare
gialli, come quelli di un lupo. “Dovresti provare ad
arrivare prima che muoiano.” suggerì con un tono molto
poco sarcastico, prima di sparire nell'oscurità di un parco,
lasciando l'altro alla fioca luce di un lampione. Così
sarebbe andata: il giovane sarebbe rimasto sotto la luce a consumarsi
mentre lui avrebbe camminato, immutato, nell'oscurità, fino
alla fine dei tempi.
Era furioso. Una volta rientrato aveva ricevuto IL trattamento
completo da madre e sorella e, solo dopo quarantasette minuti
di sani e cordiali scambi di insulti misti a categoriche proibizioni,
era riuscito a svignarsela in camera sua. Come aveva potuto
pensare che quell'essere insensibile avrebbe potuto aiutarlo in un
qualsiasi modo? Era già tanto che gli avesse fatto il favore
di elargirgli quelle poche parole odiosamente sarcastiche. Qualcosa
comunque stonava, qualcosa di quel ragazzo lo stordiva, lo faceva
sentire attratto e le sue difese si abbassavano sempre in sua
presenza, come se non vi fosse pericolo alcuno, come se tutto quello
che di più giusto ci potesse essere fosse avvicinarsi a
lui. In qualche modo gli ricordava quelle folli creature ubriacate
dal senso di onnipotenza che poteva dare l'immortalità, che
popolavano i libri che leggeva sempre la piccola Hinata che, più
coraggiosa di tutti, si avventurava nei meandri della letteratura
cupa di questi personaggi e spesso sembrava capirne l'essenza con
fine e rispettoso fangirlismo. Fuori albeggiava e la sua giornata
libera sembrava improvvisamente qualcosa di fin troppo denso e
pesante da inghiottire in sole ventiquattro ore. Piano, lasciò
che il torpore del sonno mancato lo cullasse in un caldo dormiveglia.
Guardando la luna che cedeva il posto al chiarore dell'enorme e
vitale astro, gli venne da chiedersi che cosa spingesse un suo
coetaneo a frequentare scene di crimini orribili. L'attimo che
venne dopo questa sua domanda, sembrò dilatarsi come le sue
pupille, di scatto si alzò a sedere, improvvisamente lucido.
Si ritrovò il respiro affannato e sentì la sudorazione
aumentare quando realizzò quanto assurdo e stupido e reale
poteva essere ciò che stava pensando. In un attimo di
follia prese il cellulare e digitò un numero che conosceva da
troppi anni per non saperlo a memoria. Seduto sul bordo del letto si
passò una manica sulla fronte imperlata di sudore,
tamburellando con i piedi sul pavimento, ascoltando con nevrotica
attenzione il suono che dava libero che usciva dal
telefonino. “Eee... pronto? Hinata? Disturbo?” Certo
che disturbava: erano appena le sette, quale mostro si sarebbe alzato
a quell'ora di Domenica? In quelle mattine gelide poi. Ma Hinata,
gentile come solo la gentilezza stessa avrebbe potuto essere, ascoltò
con leggera ed assonnata curiosità i farfugliamenti
dell'amico. “Ti volevo chiedere, cioè, scusa per
l'orario, è che... vedi... ipotizziamo per un momento...
Hinata ci sei?” Nessun tipo di rassicurazione poteva farlo
sentire meglio, perché non era paura di ciò che
poteva essere quella che sentiva, ma paura di ciò che
non avrebbe potuto avere. Troppo distante, in ogni singolo
aspetto delle loro esistenze, come linee parallele che mai si
sarebbero potute sfiorare. “Ecco, ipotizziamo per un attimo
che... che... oddio, che possa esistere uno... uno di quegli esseri
che tu tanto adori.” Il silenzio dall'altra parte invece di
agitarlo lo rasserenò un minimo e lo incoraggiò a
continuare. Hinata non lo stava deridendo, lo ascoltava come aveva
sempre fatto con tutti. “Che...? Insomma, come...? Sarebbe,
ecco, possibile verificare? Evitando soluzioni drastiche però.
Stiamo... stiamo sempre ipotizzando eh! Eheheh.” ridacchiò,
sentendosi ancora più stupido di quanto avesse potuto suonare
la sua risatina isterica. La vocina angelica che aveva sempre
avuto la sua piccola amica gli accarezzò l'orecchio con parole
precise ed assurdamente professionali, tanto da lasciarlo confuso.
Solo dopo che il silenzio arrivò anche dall'altra parte
dell'apparecchio si arrischiò a respirare di nuovo. “Grazie,
Hinata-chan, scusa se ti ho disturbata. Ti prego, torna a dormire.”
chiuse così la telefonata, sussurrando le ultime parole come
se avesse avuto timore di dire qualcosa di sbagliato. Nel silenzio
della sua camera, le poche e precise parole che l'amica gli aveva
riferito, rimbalzavano ovunque, creando un'immensa confusione dentro
di lui.
La sera giunse troppo in fretta secondo il Nara, avrebbe voluto
ritardare il più possibile. Uscì di corsa, subito
dopo il tramonto, gli ultimi riverberi nel cielo multicolore
accarezzavano la sua pelle senza danno alcuno. Entrò nella
periferia e, a passo svelto, si diresse nella piccola piazza al
centro di quell'insieme periferico. Da lì avrebbe preso a fare
tutte le strade circostanti. Una volta arrivato però, un
grumetto di vestiti destò la sua blanda
curiosità. Senza divisa, con tanto di giaccone imbottito e
giubbotto antiproiettili, gli strati di vestiti si ammonticchiavano
sulla figura del poliziotto e, in un primo momento, non lo aveva
riconosciuto. “Ti cercavo.” disse il grumo e
due occhioni dorati uscirono fuori da uno spesso cappuccio. Shikamaru
non rispose, ma percepì improvvisamente qualcosa che non
sentiva da tanto di quel tempo da averlo dimenticato: calore. Kiba
strinse l'oggetto che aveva in tasca. “Volevo darti un
portafortuna.” Il Nara sbuffò e finalmente degnò
l'altro di qualche parola. “Non ho bisogno di una cosa così.
Tienilo tu.” “Non so se ne hai bisogno o meno, quel
che so è che sei tu quello che gira di notte disarmato.”
Detto questo Kiba allungò il pugno chiuso verso
l'altro. Shikamaru osservò la mano tesa poi, la sua
attenzione scivolò sul ragazzo. Si era ripromesso di non
leggergli nel pensiero e così avrebbe fatto. Però era
davvero un bel ragazzo, e più lo guardava più aveva
voglia di avvicinarsi; prendere qualcosa da lui non gli avrebbe fatto
male, lo avrebbe comunque ricordato per tutta l'estenuante durata
della sua non vita, ma avere qualcosa di suo gli avrebbe fatto
piacere. Aprì, così, la mano sotto il pugno chiuso
dell'altro. Kiba tentennò. Sospirò agitato, il
ragazzo davanti a lui continuava a guardarlo, senza mettergli alcuna
fretta. Abbassò il pugno di poco e sfiorò quella mano,
sobbalzando leggermente nel sentirla così fredda. Quel tipo
si stava fidando di lui: se avesse voluto fargli del male lo avrebbe
già fatto, non era comunque il ragazzo che aveva di fronte a
portare la morte nella sua tranquilla periferia. Chiuse gli occhi
interrompendo il contatto visivo e ritirò la mano. Il Nara
si accigliò. “Che c'è? Ci hai ripensato?”
Ma l'altro non diede risposta a quella domanda anzi, la ignorò. “Mi
dispiace.” Shikamaru confuso alzò un sopracciglio. “Non
voglio farlo. Non voglio farti male, sono abbastanza sicuro di quel
che sei. Voglio sentirtelo dire.” Questa fu la volta del Nara
di trasalire. Non si aspettava quella conversazione, non si
aspettava niente del genere. La mano dell'Inuzuka si aprì
sotto i suoi occhi e un ciondolo argentato a forma di croce fece
capolino nell'oscurità. Si guardarono ancora come se
parlare fosse superfluo, ma Kiba aveva ragione: a volte è
necessario dire certe cose, anche se sono già più che
ovvie. “Sono un non morto, un vampiro.” rivelò
Shikamaru, abbassando gli occhi sulla croce. Prese la mano del
ragazzo e la portò più vicino al suo corpo freddo; Gli
tolse il ciondolo e portò quella mano calda sul proprio petto.
“Il mio cuore non batte più da secoli.” Kiba
rimase fermo, gli occhi gli si erano sgranati e la bocca era rimasta
leggermente aperta. Tremava senza sapere come smettere. Pensava che
quelle tonnellate di cinismo e menefreghismo fossero dovute alla noia
che, un essere come lui, poteva provare nel misurarsi con degli
insignificanti mortali. Pensava che, la sua immortalità, lo
avesse reso impermeabile al fiume di emozioni che perfino lui, una
volta, doveva aver provato. Credeva che niente facesse più
male di un cuore che batte. Ed invece, realizzò con
infinita amarezza, un cuore che non batte è devastante e non
c'è rimedio; Non sentire è peggio, molto peggio, di
sentire troppo. Quando un velo nebbioso gli scorse davanti, Kiba uscì
da quella catatonica situazione e si ritrovò a fissare la mano
del ragazzo che bruciava, sfrigolava, creando del fumo. In un
gesto veloce gli strappò il ciondolo, guardando la pelle
rigenerarsi mentre il braccio tornava accostato al fianco. Kiba si
sentì invaso da un'onda anomala di rabbia e tristezza per
quello che avrebbe dovuto capire da subito. Quel ragazzo non era
affatto menefreghista e cinico, non era esaltato all'idea
dell'eternità che aveva davanti, non amava quella
condizione. La sua era solo una difesa, un modo per tenere lontani
quelli come lui, che non sarebbero sopravvissuti, che non
avrebbero potuto fargli compagnia in eterno. Solo, era così
che doveva sentirsi: enormemente, incredibilmente e insostenibilmente
solo. Alzò lo sguardo dalla sua mano ormai rigenerata e lo
puntò in quelle iridi stanche. Il suo corpo si mosse e, prima
che l'altro potesse reagire, lo abbracciò. La pelle fredda
del viso a contatto con quella calda del suo, gli provocò un
brivido e gli odori che aveva avvertito la sera prima si riproposero
più limpidi. Sentì l'altro sobbalzare, sorpreso, e
strinse ancora di più le braccia con cui gli aveva circondato
i fianchi. Dopo un po' avvertì le mani dell'altro sulla
propria schiena, si sentì stringere a sua volta e ne fu
felicissimo. Qualcosa si sciolse dentro di lui: percepì la
voglia di non farlo mai più sentire solo farsi strada a
gomitate, fino alla vetta delle sue priorità. Si staccò
da quel corpo freddo tenendo gli occhi bassi, si vergognava di ciò
che aveva fatto, magari l'altro non aveva neanche gradito. “Scusa.
Mi dispiace.” disse con una smorfia, sentendo la nausea salire,
sentendosi uno schifo. Shikamaru guardò la piccola goccia
che uscì dalle ciglia dell'altro con apparente indifferenza,
ma avrebbe tanto voluto abbracciarlo di nuovo. “Non
preoccuparti.” mormorò assente, senza riuscire a
trattenersi dal raccogliere la lacrima sulla guancia calda
dell'umano. “Dovrei ritenermi fortunato, in fondo: si muore
una volta sola ma per tanto tempo.” finì, in un
sussurro che sembrava crepare la sua gola come il tempo fa con le
montagne, lentamente, straziandole e lacerandole in secoli e secoli.
Così, Kiba capì in quel momento, con quella frase, come
si sentiva quel ragazzo. Questo doveva sopportare: di essere già
morto, e di non poterlo fare ancora. Questa era la sua dannazione.
Seduti sulla scalinata, si osservavano quando l'altro non
guardava, chiusi in un silenzio che non era affatto silenzioso. Kiba
prese la mano dell'altro e la sfiorò: non era rimasto niente
della bruciatura, nemmeno una piccola traccia. “Posso sapere
il tuo nome?- Soffiò a voce bassa, senza distogliere
l'attenzione dalla pelle chiara e liscia del giovane seduto accanto a
lui -per favore.” Aggiunse poi, voltandosi. L'altro torse il
polso fino a prendere la mano del poliziotto. Qualcosa era
cambiato: sentirsi compreso gli faceva provare una strana sensazione
di completezza, lo faceva sentire meno solo, meno abbandonato. Meno
disumano. Kiba guardò le loro mani toccarsi, godendo
dei brividi che la temperatura corporea dell'altro gli
procurava. Voltandosi nuovamente, si trovò il viso del
ragazzo a pochi centimetri dal suo. Rimase immobile chiudendo gli
occhi. Nara si avvicinò piano e, quando arrivò ad
una distanza ridicola, si fermò. “Shikamaru.”
sussurrò flebile, prima di allontanarsi un poco e far
scivolare lo sguardo sulle labbra dell'Inuzuka. Lo vide
avvicinarsi inconsapevolmente: le labbra leggermente aperte, gli
occhi chiusi. Sentì chiara la voce che gli urlò di
spostarsi, di portarsi ad una distanza di sicurezza, ORA!,
urlò quella voce a pieni polmoni. Si scansò alzandosi e
scendendo quei due o tre gradini del monumento che faceva sfoggio in
mezzo alla piccola piazza, lo spostamento d'aria creato da quel gesto
destò Kiba dalla trance in cui si era sentito catapultato. “Dì
ai tuoi colleghi che questo tipo potrebbe essere fotosensibile, digli
di portarsi dietro delle torce ad ultravioletti.” proferì
composto, prima di accendersi una sigaretta, “ci vediamo.”
e sparì in una coltre di nebbia, lieve ed improvvisa.
“Senti Hatake non discutere, non vi costa niente, gli
ultravioletti sono in dotazione e non hanno un peso ed un ingombro
eccessivo.” “Ma non ha senso! Il fatto che non faccia
vittime di giorno non sta automaticamente a significare che sia
fotosensibile, allora perché non portarsi dietro dell'aglio?
Magari è un vampiro!” ridacchiò l'uomo portandosi
la sigaretta alle labbra. “Potrebbe essere. - Rispose Kiba
inacidito - Dovresti comprare anche dell'argento: se è un
licantropo l'aglio lo userà per condirti.” “Calma
ragazzi, o le prendete tutti e due.” li ammonì Hana,
“effettivamente Kiba non abbiamo validi motivi per pensare che
abbia quel raro tipo di disturbo, ma dal momento che, è vero,
non ci costa fatica, ci muniremo ugualmente di torce ad
ultravioletti. La riunione è conclusa.” Hana si alzò
e lanciò uno sguardo al fratellino. A volte avrebbe davvero
voluto aprire quella testolina, per vedere che diavolo ci potesse
essere dentro da farlo sembrare un tipo tanto anomalo quanto
contorto.
Kiba era finalmente riuscito a strappare un permesso alla madre.
Non era entrato nel caso, ma almeno poteva pattugliare per dare un
po' d'aiuto. Un contentino, insomma. Mentre camminava per quelle
strade deserte si chiedeva che cosa stesse facendo Shikamaru, magari
non era davvero un vampiro, magari usciva di notte perché gli
serviva tutta la luce diurna per farsi quello strano codino.
Ridacchiò delle idiozie che la sua mente, malata, riusciva a
partorire. Il secondo dopo, infatti, stava pensando a quanto sexy
avrebbe potuto essere con indosso solo il laccio del codino,
oppure con i capelli sciolti, nudo e il laccio in bocca da cui
spuntavano i canini. Si morse le labbra schiaffeggiandosi
mentalmente: non avrebbe dovuto distrarsi in quel modo, probabilmente
non avrebbe fatto la differenza neanche con tutti i sensi all'erta,
ma distrarsi sarebbe stato un macabro invito. Fu proprio in quel
momento che udì del tramestio provenire da dietro l'angolo
della via che stava percorrendo. Si avvicinò cauto, l'arma
in una mano, carica, e la torcia nell'altra. Si sporse con la testa
oltre l'angolo e gli occhi gli si sgranarono sulla scena di un uomo
che strattonava quello che doveva essere un ragazzo. Avanti
kiba, che stai facendo? Sveglia! Si staccò dal muro e
puntò l'arma sul carnefice. “EHI, FERMO! Sono della
polizia, sei circondato, arrenditi!” L'uomo si voltò
sorpreso ed irritato per essere stato interrotto, facendo cadere la
vittima al suolo. “tieni in alto le mani, allontanati da lui
lentamente, o giuro che ti fotto un occhio.” L'altro, come
se l'Inuzuka non avesse neanche parlato, lasciò le braccia
lungo i fianchi, il viso tutto sporco di sangue si deformò in
un ghigno e una risata folle riempì l'aria. “Brutta
testa di cazzo, io sono immortale, non puoi uccidere un immortale!
Fottermi un occhio, AH! Fammi vedere come fai.” sibilò
un momento prima di saltargli addosso. Kiba si lasciò
cadere spalle a terra, tenendo il vampiro lontano con le gambe giusto
il tempo di puntargli la torcia ad ultravioletti nell'occhio
sinistro. Un urlo animalesco squarciò la quiete della
notte. “Piccola puttana mortale, come hai osato? IL MIO
OCCHIO! IL MIO OCCHIO!” ululò la bestia ferita, “me
la pagherai scarafaggio! ME LA PAGHERAI CARA, stanne certo.” e
scomparve in una folata di vento. Il poliziotto che era in lui si
sentì fiero del suo operato, il ragazzo invece rilassandosi
per poco non se la fece addosso. Si alzò, le gambe e le
mani tremanti, si spolverò la divisa e poi spostò lo
sguardo sull'ennesima vittima, immobile. Era arrivato in ritardo,
ancora una volta. Si avvicinò al neo cadavere, preferendo
essere ovunque tranne che lì, lo voltò e lo stomaco si
accartocciò su se stesso mentre la nausea improvvisa lo
costrinse a deglutire. Cadde in ginocchio sentendosi risucchiare da
un vortice di malessere, la testa gli dolse tanto da portarlo a
premere istintivamente le dita nel punto dolorante, si voltò e
vomitò copiosamente. Puntando una mano a terra per non cadere,
portò l'altra alla bocca mentre il primo singhiozzo si fece
spazio nella sua gola facendo male come una coltellata: sdraiato
supino, nella pozza creata dal suo sangue, quel poco che il vampiro
non aveva fatto in tempo a bere, c'era il suo migliore amico,
Shino. Si sentì gridare tante cose, ma non ebbe cognizione
alcuna dell'entità delle parole dette; si sentì
trascinare via di peso, ma non seppe chi ringraziare per avergli
tolto quell'immagine da davanti agli occhi. Sotto shock, si sentì
stringere ed accarezzare quando ancora lacrime intrise di dolore
scendevano senza fine, mentre tutto sembrava assumere sfumature
sempre più chiare, mentre tutto sembrava sbiadire e perdere
importanza. Mentre la sua mente spossata, distorta dall'orrore e la
disperazione, si chiudeva su quell'osceno teatrino.
La prima cosa che vide fu rosso, rosso ovunque. La stanza sarebbe
stata buia se non fosse stato per qualche cero mezzo consumato,
quindi strizzò gli occhi. Mise a fuoco e, prendendo coscienza
degli altri sensi, si accorse che giaceva in un letto che non era il
suo: rosso, a baldacchino. Sobbalzò sentendo qualcosa
muoversi in quel letto e voltandosi scoprì che la ragazza
bionda dormiva placida accanto a lui. Si sentiva consumato come il
suo cuore, come se lo avessero usato per pulire le aule
dell'università che frequentava, come se non avesse mai fatto
altro che correre. Shino. Non c'era più, e non sarebbe più
tornato. Non lo avrebbe rivisto. Mai più. Un paio di
lacrime sfuggirono al suo blando controllo. Avrebbe voluto tirarsi
a sedere, ma si accorse di avere una mano bloccata e voltandosi si
trovò la testa di Shikamaru appoggiata a qualche centimetro
dal suo fianco; i capelli sciolti, il viso rilassato, le braccia
incrociate sotto la testa e la mano stretta nella sua. Non resistette
alla tentazione e spostò, in una carezza, una ciocca d'ebano
che gli era finita sul viso. Il vampiro aprì gli occhi e si
voltò incrociando quelli arrossati e spenti dell'umano. Le
guance rigate, la pelle anch'essa arrossata e lo sguardo perso, quasi
vacuo. Kiba gli fece un'altra carezza e Shikamaru mandò al
diavolo quella stupida ed insistente vocina, si sporse in avanti e lo
abbracciò. Kiba si lasciò scappare un lamento e fece
una leggera pressione affinché l'altro capisse che voleva si
sdraiasse con lui. E il Nara, ancora una volta, si lasciò
guidare dall'istinto. Poggiò la fronte sulla sua osservando
da vicino quegli occhi dorati brillare, lucidi di dolore. “Mi
dispiace.” sussurrò ed abbassò lo sguardo, non
riuscendo a sostenere tutta la devastazione che aveva visto e che
leggeva nell'anima dell'Inuzuka. Le sue grida lo avevano raggiunto
così disperate che non aveva fatto altro che correre, prima di
trovarlo sporco di sangue, abbracciato al corpo senza vita di quello
che, aveva capito dalle poche parole cacciate tra i singhiozzi, era
il suo migliore amico. Era rimasto una manciata di secondi quasi
scioccato a sentirlo piangere e urlare, devastato, dilaniato. Poi era
corso a tirarlo su, lo aveva chiamato per nome, Kiba lo aveva
guardato, ne era sicuro, ma forse neanche lo aveva riconosciuto; lo
aveva però abbracciato, tanto forte da fargli sentire le ossa
scricchiolare, in barba al fatto che quello con più forza
fisica avrebbe dovuto essere il vampiro. Shikamaru lo aveva poi
trascinato via da quel posto che puzzava di morte e sangue, come solo
il luogo in cui era morto Asuma-sensei aveva fatto. Arrivati nella
cripta aveva chiesto aiuto e i suoi compagni erano stati molto
disponibili, anche se stava chiedendo loro di trasgredire ad una
regola da lui stesso imposta. Ino aveva pulito l'umano, Chouji era
andato nel bosco e aveva trovato foglie indicate per fare una tisana.
Il Nara lo aveva accarezzato e cullato tutto il tempo, perché
appena uno degli altri due aveva cercato di far allontanare il
poliziotto dall'amico, quello cominciava ad urlare rifiutando di
staccarsi. Alla fine, stremato, gli si era addormentato tra le
braccia, con ancora le lacrime che uscivano grandi come sfere di
cristallo in cui si scorgeva solo sconforto. “Dimmi che sto
facendo un brutto sogno, dimmi che mi sveglierò e che Shino
tornerà a rompermi le scatole con le sue frasette criptiche.”
Il bisbiglio del ragazzo lo riportò al presente, alzò
gli occhi su di lui, desiderando davvero potergli dire che, sì,
il suo amico sarebbe tornato perché quella era solo una morte
apparente. Ma non lo avrebbe mai fatto, non lo avrebbe mai illuso,
anche se non riuscì neanche a dirgli il contrario. Riuscì
solo a stringerlo di nuovo, in un abbraccio gelido che non avrebbe
mai potuto scaldarlo come avrebbe voluto fare. Inaspettatamente però,
Kiba sembrò rilassarsi in quella gradita manifestazione di un
affetto richiesto a gran voce dal suo cuore, strangolato da un dolore
troppo forte per essere smaltito in solitudine. “Shikamaru.”
sussurrò il suo nome al suo orecchio aspettando che voltasse
il viso e lo guardasse, “aiutami, ti prego, aiutami a
prenderlo.” Un'ennesima lacrima solcò la pelle arrossata
della sua guancia e il Nara si maledisse più di quanto già
non fosse per cedere in quel modo a quel fragile umano. Annuì,
ricevendo in cambio un bacio vicino alle labbra che gli fece chiudere
gli occhi e stringere la mano sul fianco dell'altro. Kiba gli
regalò un sospiro e lui si morse l'interno guancia con forza,
sentendo i pantaloni divenirgli un poco più stretti. Si
guardarono negli occhi, anche nella semi oscurità si poteva
distinguere il rossore per la pelle irritata dal pianto e quello
dell'imbarazzo che invece colorava, in quel momento, quel visetto
triste. “Sei bellissimo con i capelli sciolti.” disse
Kiba in un bisbiglio, che sembrò rimbombare ovunque, mentre
infilava le dita in quei fili neri. Anche tu, anche tu,
Shikamaru avrebbe tanto voluto dirgli che non aveva mai visto niente
di più bello della persona che era, volendo tralasciare che
fosse davvero un bel ragazzo. Ma come al solito non lo disse, anche
se non riuscì ad evitarsi di lasciargli un bacio freddo sulla
fronte bollente. “Adesso dovresti tornare a casa, i tuoi
genitori saranno in pena da morire.” “Ma chi? Mia
madre e mia sorella? Staranno festeggiando, probabilmente.”
fece un sorriso tirato, amaro. “Non dire sciocchezze.”
quasi si sentì urlare il Nara, addolcendo il tono subito dopo,
“vieni.” disse, porgendogli la mano per aiutarlo ad
alzarsi. L'Inuzuka osservò la ragazza dormiente accanto a
lui, trovando anomalo che non si fosse svegliata, con tutto il
baccano che erano riusciti a fare, anche solo bisbigliando. “Non
preoccuparti, Ino dorme come un sasso: praticamente niente
riuscirebbe a destarla.”
Quando fu pronto salirono le poche scale per andare alla stanza
superiore, qui vi trovarono Chouji che dormiva e russava come un
trombone, il fascio di luce che filtrava nel mezzo alla stanza stupì
Kiba. “Credevo fosse notte.” disse stropicciandosi un
occhio. “La nostra notte è il tuo giorno.”
spiegò, anche se ovvio, togliendo la mano dell'umano dal suo
occhio già arrossato. “Giusto.” sorrise mesto
l'Inuzuka “Allora mi aiuterai?” Shikamaru lo accompagnò
alla porta e lo guardò serio. “Ti aiuterò.”
promise, lasciandolo andare. Si allontanò dalla porta e quando
fu aperta si rintanò maggiormente nell'oscurità
minacciata da quella fetta di luce accecante. Kiba si voltò
un'ultima volta. “Grazie.” e se ne andò,
facendo calare ancora una volta le tenebre nel mondo di
Shikamaru. Camminò senza realmente vedere niente di quello
che lo circondava, camminò per inerzia, fino a trovarsi
davanti al portone del suo palazzo. Quando aprì, la signora
del terzo piano ne uscì con un sorriso sdentato ed un
“buonasera” che venne ampiamente ignorato. Gli
scricchiolii ed i cigolii emessi dall'ascensore gli ricordarono dei
lamenti strazianti, chiuse gli occhi sospirando. Dire che era stanco
era un eufemismo. La chiave non fece in tempo a girare nella toppa
che la porta di casa si spalancò e Tsume Inuzuka lanciò
un lamento peggiore di quello dell'ascensore, abbracciandolo di
slancio e piagnucolando una nenia simile a “grazie al cielo sei
qui, stavo per impazzire, dove cacchio sei stato? Ora ti spezzo tutte
le ossa che ti ho fatto.” Sua sorella, comparsa oltre la
porta, aveva più o meno la stessa cera, la stessa aria
stropicciata e gli stessi occhi rossi. “Dio Kiba, ci
dispiace un sacco per Shino.” la voce si incrinava, gli occhi
bassi, le mani strette all'altezza dello stomaco. “Santo
cielo Kiba, ci dispia...” si bloccò sua madre avvertendo
l'inutilità di tutto quello, “lo prenderemo Kiba. Fosse
l'ultima cosa che faccio. Lo prenderò” Esplose risoluta
e minacciosa come solo sua madre poteva essere, anche in momenti come
quello, anche con le lacrime agli occhi e la voce rotta. “Grazie.”
la strinse forte a sé, cogliendola in fallo, dopo anni di
distanza, perché il suo bambino le ricordava in modo
impressionante l'uomo che l'aveva abbandonata, perché avevano
lo stesso odore e gli stessi occhi, perché avevano la stessa
capacità di farla uscire dai gangheri. “Scusate, ma
vorrei farmi una doccia.” Concluse flebile e sconsolato, ma
sentendosi un filino meno teso. “Oh certo! Certo, ti preparo
il bagno.” “E il letto Hana, sarà spossato. Ma
dove sei stato amore mio? Me la sono fatta addosso.” Che
bella la famiglia! Anche se non era completa, anche se non poteva
essere del tutto sincero, anche se spesso si urlavano dietro; le due
matte erano comunque sempre quelle che lo amavano di più, in
assoluto.
Ino squittì una risatina mentre Chouji, serio come la
morte, chiese a Shikamaru se aveva bevuto vino al posto del
sangue. “No, Chouji, per l'ultima volta, sono sanissimo.
Vogliamo concentrarci un attimino per cortesia?” urlò
portando un silenzio di tomba. Inacidito il Nara tirò su gli
occhi al cielo mentre i suoi due amici si guardavano, una esilarata,
l'altro perplesso e preoccupato. “Lo prenderemo, lo
prenderemo!” gioì la bionda fanciulla, nel suo chiaro
abitino di seta, ilare come non le succedeva da tempo, “mi
piace! Io ci sto!” continuò ad agitarsi sul divano dove
era appollaiata. Chouji arricciò il naso, scontento. “Ecco,
lo sapevo, visto che hai fatto? Adesso vorrà andare là
in mezzo a farsi impalare.” “Smettila Chouji, per
l'amor del cielo, ti sto dicendo che non correrete pericoli, ho solo
bisogno che mi aiutiate materialmente a fare delle cose, non dovrete
prendere a pedate un orso che non mangia da settimane.”
Shikamaru si alzò dalla poltrona logora su cui era seduto,
sbuffando si massaggiò le tempie, cercando di rimanere
calmo. “Una volta ci hai detto...” iniziò
l'Akimichi, pacato. “Lo so che cosa ho detto Cho, voglio
solo che vi fidiate di me come avete sempre fatto.” Si
guardarono tutti e tre per un istante. “Vi prego, è
importante per me.” Ino scoppiò in una risatina
maligna. “Il signorino si è innamorato hihihi...”
e continuò a ridacchiare mentre l'amico paffuto sorrideva
complice. “Sì, va bene, ok, a parte questo?”
l'interessato agitò in aria, in un gesto vago, la mano libera,
quella che non teneva premuta sugli occhi, “mi darete una
mano?” Chouji gli si avvicinò e gli posò una
mano sulla spalla facendogli alzare il viso. “Farei di tutto
per poterti veder sorridere di nuovo come facevi un tempo. E Ino già
non vede l'ora.” Il suo amico sembrava davvero la
reincarnazione del Buddha quando si comportava in quel modo ed
assumeva quell'espressione da illuminato, con quel faccione rubicondo
che esprimeva bontà da ogni lato, Shikamaru pensò che
sarebbe stata davvero dura, passare attraverso tutti quei secoli, se
accanto a lui non ci fossero stati quei due raggi di sole
inestinguibili.
Si svegliò di soprassalto per la quinta volta in due ore.
Era ormai sera inoltrata e quello non era riposare, non ci si
avvicinava nemmeno, e lui ne aveva le tasche piene. Prese l'arma e
la torcia, la radio e tutto il suo coraggio e si buttò dalla
finestra finendo sul terrazzo dell'anziano signore del piano di
sotto. Un'orchidea dondolò sul ciglio del vuoto, prima che lui
la prendesse al volo. Il tetto della palazzina di fronte era molto
vicino e con un balzo ci fu sopra, la strada era accessibile da lì
tramite un'arrugginita scala antincendio. Una volta in strada sentì
l'aria farsi più fredda, come se essere davvero là in
mezzo, in quelle stesse strade dove era morto il suo migliore amico,
lo facesse sentire più male, come se gli ricordasse che era
colpa sua, che non era arrivato in tempo. Si scosse di dosso la
voglia di piangere che aveva ancora radicata nel cuore, e prese a
camminare nelle vie più grandi e frequentate, almeno di
giorno. Fuori, la campagna sembrava ingoiarlo in un gelo asciutto
che gli seccava la gola ed il cimitero era molto più lugubre e
spettrale di quel che ricordava. Trovò subito la cripta giusta
e bussò con decisione. Dopo pochi istanti la porta cigolò
e gli occhi scuri che tanto si era accorto di amare fecero
capolino. “Ehi, potevo non essere io. Dovresti stare più
attento.” Shikamaru alzò un sopracciglio facendolo
passare. “Lo dice uno che è appena entrato in una
cripta con tre vampiri dentro.” Kiba mise il broncio come i
bambini, gonfiando leggermente le guance. “Sì, ok,
come facevi a sapere che ero io?” bofonchiò risentito,
incrociando le braccia al petto. Il Nara gli si avvicinò
sporgendo il naso verso il suo collo. “Riconoscerei il tuo
odore a miglia di distanza.” sussurrò poi incontrando il
suo sguardo sorpreso. L'Inuzuka colse l'occasione per avvicinarsi,
lo prese per un polso un momento prima che si allontanasse. “Perché
ti avvicini e poi scappi appena tento di farlo io?” Shikamaru
indietreggiò, colpito. “Perché lo fai?” La
testa già gli faceva male prima. “Che cosa ti
spaventa?” “Io sono morto Kiba.” urlò
alla fine, riportando il silenzio, “vivrò per sempre,
senza vita, senza sole e senza anima. E tu? Tu vivrai una vita piena,
vera, ma mortale. E mi lascerai solo. E ti dovrò guardare
invecchiare e morire.” Finì con un tono basso e amaro
che fece venire la nausea ad entrambi. Il silenzio ancora una
volta andò in frantumi mentre Kiba fece un passo avanti. “Sono
io quello che dovrà morire, se non interessa a me perché
è così frenante per te?” “Perché
sono io che ti perderò, che vivrò il resto di questo
schifo senza di te.” “Allora preferisci vivere solo
per sempre, piuttosto che lasciarti amare per il tempo di una vita
mortale?” quasi urlò Kiba e sentì la sua voce
incrinarsi sulla fine della frase. Vide chiaramente gli occhi
dell'altro seguire lentamente il percorso di una goccia salata che
scendeva dai suoi, e stufo di quella sua debolezza, stufo di quel
nulla, di quella distanza, si avvicinò facendo un altro passo.
Prese la mano del ragazzo che aveva di fronte e di cui, sentiva, non
poteva più fare a meno, e la portò sul suo petto,
avvicinandosi ancora. “Non so se te lo ricordi, ma di solito
non va così veloce.” mormorò ad un paio di
centimetri dal viso dell'altro. Lasciò lì la sua mano e
portò le sue a sfare lo strano codino. Infilò le dita
in quel mare di petrolio che profumava di tabacco sentendo una mano
fredda toccargli il viso. Shikamaru imprecò mentalmente
mentre chiudeva quella stupida distanza; premette le labbra sulle sue
sentendo l'altro sciogliersi tra le sue braccia, avvertendo mani
calde infilarglisi nei capelli, dandogli brividi. Kiba non riuscì
a non pensare che avrebbe voluto di più, così poggiò
una mano sul suo collo e si spinse contro di lui. Dischiuse le labbra
e sfiorò la sua lingua. L'altro, in quel momento, superò
il limite: prese Kiba in braccio e lo portò nella stanza di
Ino, lo lasciò andare solo quando si trovarono sul letto e
senza smettere di baciarlo lo privò dei pesanti
indumenti. “Accidenti, sei freddissimo...” ridacchiò,
senza fiato, alla sensazione delle mani fredde del vampiro sulla sua
pelle calda. “E tu sai di buono.” si lasciò
sfuggire Shikamaru mentre faceva passare la lingua sul collo del
ragazzo, fino all'orecchio, mentre lottava contro la sua natura e
frenava il desiderio di morderlo, pensando a quanto quell'umano si
stava fidando di lui. Pensando a quanta vita aveva tra le mani, e che
non poteva non essere rispettata. Kiba buttò la testa
indietro ed un gemito uscì dalla sue labbra. Strinse i fianchi
del ragazzo sopra di lui e li spinse contro i suoi, sentendo la
durezza dell'altro cozzare con la sua. Shikamaru, accantonata
l'idea dei preliminari con l'ultima prodezza di quel ragazzino, si
succhiò due dita prima di tornare a baciarlo. “No,”
lo interruppe, sfuggendo al bacio, “non ho bisogno di
questo.” Il Nara si leccò ugualmente una mano e si
toccò l'erezione, inumidendola un po'. Nonostante le parole
dell'altro, fece entrare un dito sentendosi scivolare dentro con
facilità. Allo sguardo interrogativo che ricevette, Kiba si
sentì in debito di spiegazioni. Si alzò sui gomiti e
sospirò. “Shino non è stato solo il mio
migliore amico: con lui ho scoperto di essere gay. Poi ci siamo resi
conto che era amore fraterno e non c'era nessun altro tipo di
coinvolgimento, quindi siamo tornati ad essere amici come un tempo,
forse eravamo ancora più uniti.” spiegò con un
po' di tristezza nella voce. Shikamaru annuì spiccio, e il
bacio che venne dopo fu accompagnato da un gemito più alto e
soffocato. Portandosi nuovamente sopra di lui si appoggiò
all'entrata sentendosi poi inghiottire dal calore dell'altro ed
ansimando pesantemente nel suo orecchio. Kiba mosse il bacino
facendolo scivolare dentro di un altro paio di centimetri, facendoli
boccheggiare entrambi. E, prima che la razionalità lo
abbandonasse, riuscì solo a pensare ad un ultima cosa: quello
che sentiva provenire dal vampiro, per quanto potesse risultare
assurdo, era inequivocabilmente calore. Si sentirono morire e
rinascere, con le dita di uno che cercavano quelle dell'altro, con
baci roventi e spinte mirate a togliere la ragione, e sospiri e
gemiti e mugolii lussuriosi. Si amarono senza misura e, mentre si
rotolavano tra le lenzuola rosse come il peccato, ad entrambi era ben
chiaro che stavano facendo l'errore più grande della storia
degli errori. E nessuno dei due riusciva a pentirsene.
Chouji e Ino dormirono insieme quella volta, lasciando i due
aggrovigliati insieme, senza disturbare tanto amore anche in un posto
morto come quello in cui vivevano. Fuori, nella piccola piazza,
tutto era pronto.
Oooh sono commossa... sigh. Ben due recensioni! Dico sul serio,
non me le aspettavo. Magari mi aspettavo quella di Nali; perché
lei è una pazza che si rilegge i miei papponi anche tre o
quattro volte, non so come faccia - e se rientri nel masochismo
semplice o ne sia una forma evoluta - ma lo fa e va rinchiusa. La
frase scelta per il contest probabilmente è stata trattata
poco e in maniera superficiale, ma cambiare ora quella parte, che
credo sia comunque cruciale, mi sembra sbagliato e neanche mi
riuscirebbe senza creare disordine con le altre parti già
esistenti. Mi dispiace, ma non la cambierò, spero se ne colga
il significato e l'importanza che non è riuscita a cogliere la
giudicia, per vari motivi - esclusa ovviamente la sua competenza -
tra cui la mancanza di tempo adeguata.
Urdi: lo sai che ci pensavo qualche giorno prima di postare
lo scorso capitolo? Tu davvero mi segui dalla prima fic che ho
postato XD. Che cosa carina, no? Cioè, è banale. Però
mi fa piacere aver legato con qualcuno fin dall'inizio: aver trovato
tante cose in comune, oltre che tante idee simili, sulla vita in
generale come anche su concetti un po' più complicati ed
astratti, che però non ci risparmiamo u.u - perché
siamo delle masochista, in realtà. Sono contenta che la trovi
carina questa scemata ^ ^, la sento un po' distante a volte perché
non è un argomento facile, almeno se ci infili personaggi di
un manga. Poi però lo trovo vicino, quasi inaspettatamente
perché sono abbastanza contenta di quel che è venuto
fuori. La storia in sé non sembra presentare quelle melensità
proprie del mio stile e questo mi rallegra. La virgola dopo il punto
esclamativo ed interrogativo è colpa di suni XD lei la mette
così e siccome mi piaceva come suonava la frase una volta
letta, ho provato anch'io! Se non copicchio un po' mica ce la posso
fare, sono un sacco vuoto, per lo meno di ortografia e sintassi,
quindi devo riempirmi XDD ok paragone infelice, ma non è per
schernirmi eh. E' per dire che voglio e devo imparare e quando
nessuno mi insegna o non posso attingere da qualche parte raccatto un
po' in qua e in là, quindi scusa se ti faccio ammattire con il
betaggio di cose assurde lol. Ciao cara, grazie mille davvero.
_Resha_: oh santi numi! Quanti complimenti! Che gioia
sapere che a qualcuno che non mi conosce nemmeno come writer - anche
se di cazzate, si scrive così u.u' - ha letto e gradito una
mia storia. Spero che questo capitolo sia almeno sulla stessa linea
dell'altro e che riesca a collegarcisi in modo fluido. Spero anche di
aver mantenuto l'ic il più possibile. Cammino sul filo del
confine tra ic e ooc, lo so, ma la situazione, la au e un sacco di
altre cose, non mi permettono di fare altrimenti. Se facessi vedere
un essere umano forte e baldanzoso davanti, o rispetto, ad un vampiro
sarei fuori luogo e l'ic mi servirebbe a ben poco. Ti ringrazio dal
profondo del mio cuoricino sonnacchioso per tutte le belle parole che
hai detto, non sai quanto mi ha fatto piacere cara. Ino è
adorabile, infantile sì, perché diciamo che ho preso
come modello Drusilla, di Buffy. Non avendo letto libri su vampiri ed
avendo visto anche pochi film, non ho potuto che basarmi sul vecchio
e caro Dracula, su 'intervista col vampiro' e Buffy. E' una forza il
fatto che abitiamo così vicine, davvero! Mi ha fatto uno
strano effetto scoprire una cosa del genere e - siccome sono sempre a
corto di amiche ç__ç - farò un salto al Minas
Tirith, una di queste sere, molto volentieri. Kakuzu e Hidan sono
odiosi e viscidi, ma sono i cattivi perfetti ed in questo caso anche
i vampiri perfetti, immortali e disgustosi. E zombie-osi
XD. Ps: grazie mille anche per la recensione che mi hai lasciato a
“Farei di tutto”. Quando ti vedrò ti abbraccerò
stritolandoti. Sei stata avvisata! u.u
Grazie anche a chi ha messo questa scemenza tra i preferiti, che
sono: girlstreet e Urdi. Un grazie anche a chi l'ha messa nelle
seguite, ovvero: lady moon, Bel Oleander, Urdi, _Resha_.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Kiba camminava semi tranquillo per le strade della periferia, la
radio spenta per non far udire le comunicazioni degli altri. A sentir
parlare sua madre sembrava ci dovesse essere l'intero corpo di
polizia, schierato, nascosto in ogni anfratto, cassonetto e buca
delle lettere presenti in quelle dannate vie deserte; in realtà
erano in cinque: quattro umani e un vampiro. Tsume digrignò
i denti quando sua figlia insieme a quello scansafatiche di Kakashi
le chiesero per l’ennesima volta perché si erano dovuti
ricoprire di fango. Per coprire l'odore, aveva detto Kiba
poche ore prima. Quello stesso ragazzo, arrivato nei pressi della
piazza si sentì gelare fin nelle ossa da una voce che non
avrebbe mai potuto dimenticare. “Ciao frugoletto, che ci fai
tutto solo soletto?” sghignazzò il vampiro, contento di
aver fatto la sua inquietante rima, “sei venuto a risparmiarmi
la fatica di cercarti, scarafaggio?” Rimani calmo, non
farti prendere dal panico o dall'odio per quell'essere, usa la torcia
per tenerlo distante e corri verso la piazza, non ti fermare, non
cercare di ferirlo da solo e non credere a niente di quel che dirà,
le raccomandazioni di Shikamaru gli apparvero nel cervello come flash
di qualcosa di distante, ma lo svegliarono in tempo. Gli sparò
un colpo in fronte, rallentandolo ed attirando l'attenzione dei suoi,
l'attimo dopo si voltò e corse con tutte le energie che aveva
in corpo verso la piccola piazza al centro dell'abitato
periferico. Quando l'inseguitore lo fece rovinare a terra si
accorse di non essere stato colto dal panico, ma di avere tanta di
quell'adrenalina in corpo da poter far venire un cardiopalmo ad un
cavallo. Rotolò sul selciato umido e parzialmente ricoperto
da neve sporca, evitando per un soffio la specie di falce che il
vampiro aveva con sé. Gli puntò la torcia contro,
bruciandogli la cute dell'avambraccio destro e ricevendo così
il tempo necessario a rialzarsi. “Dove scappi topolino? Non
vuoi giocare con me?” rise sguaiato l'immortale, riprendendo a
corrergli dietro. Quando arrivò nella piazza Kiba aspettò
che il vampiro comparisse dal buio del vicolo dal quale era uscito,
per poi puntargli la torcia ad ultravioletti nell'altro
occhio. L'urlo arrivò, distorto e animalesco, insieme ad
una sfilza di insulti più o meno fantasiosi. Appena si
riprese, l'isteria nella sua voce lo fece sembrare ancora più
squilibrato. “Non mi importa... Ahahahah... tanto so dove
sei topolino, riconoscerei il tuo buon odore ovunque! Ihihih... sei
già morto, scarafaggio...” Il suo delirio però
non durò poi molto. Shikamaru atterrò tra lui e Kiba
che, dalla sua posizione, riuscì comunque a vedergli comporre
alcuni sigilli mentre le iridi si tinsero di rosso e canini affilati
spuntarono dalle labbra. Hidan si fermò, intrappolato in
una posa innaturale. “Che cosa sta succedendo? Non riesco a
muovermi, cazzo.” sbraitava l'altro. Il Nara lo trattenne a
stento con quella che sembrava essere un'arte magica che controllava
le ombre, di sicuro era molto potente quel vampiro, più di
lui. Di contro il Nara vantava un'intelligenza sopra la media, di
sicuro, sopra quella di quel pazzo. “Un momento,”
sorrise il vampiro annusando l'aria, “io conosco quest'odore.
Sei tu? Quel moccioso che liberò quella ragazzina e che
viaggia sempre con quel ciccione, non è vero?” rise
ancora come se qualcuno gli avesse raccontato una barzelletta. Quello
non rispose mordendosi il labbro per non urlargli di chiudere quella
bocca e di non nominarli, di non nominare lei e nemmeno il
maestro. “E dimmi, a parte la mocciosa, come sta il tuo
maestro?” Kiba seguiva sconcertato quelle rivelazioni come
se fosse stato al cinema, passivo, incapace di muoversi o di fare
alcunché. Ma nell'istante in cui Shikamaru si mosse non seppe
trattenersi dall'urlare il suo nome. “Shikamaru, no! Ti sta
provocando, non vedi?” Certo che lo vedeva, lo sapeva, ma
quando un vecchio kunai del suo maestro tagliò di netto la
testa dell'altro si sentì bene. O, indubbiamente, meglio. “Mi
sembra di averla già vista questa scena.” commentò
vago mentre spingeva il corpo inerme nella trappola che aveva fatto
preparare da Ino e Chouji, “e devo ammettere che è uno
spettacolo che mi emoziona ogni volta.” concluse serafico,
calciando la testa nella cella in legno. “Probabilmente, la
prima volta che ti decapitai e piantai un paletto nel tuo cuore, ero
troppo inesperto per aver fatto centro, ma questa volta non lascerò
niente al caso.” “Oooh e come pensi di fare?
Uccidendomi di chiacchiere?” “No. Il sole sorgerà
tra un'ora esatta. Questo è il primo punto della piazza che
verrà illuminato.” A niente ovviamente valsero le
suppliche e le maledizioni miste a parolacce ed espressioni sempre
più colorite che gli vennero rivolte contro, Shikamaru passò
il braccio intorno alle spalle di Kiba e se ne andò senza
voltarsi.
Tsume, Hana e Kakashi, rimasti in stato catatonico più o
meno da quando Kiba aveva schivato, con una freddezza inquietante,
una lama di mezzo metro lanciata verso di lui ad una velocità
da mani nei capelli, assistettero alla disintegrazione totale del
corpo dell'assassino che era stato catturato da.. da... da non
sapevano nemmeno chi. Cose inspiegabili e fastidiose da scrivere in
un rapporto; infatti, il giorno dopo, avevano tutti e tre picchiato
la testa da qualche parte ed erano stati colti da una leggera amnesia
che comprendeva - sorpresa! - giusto quelle due o tre ore che
racchiudevano tutta la vicenda.
In silenzio, abbracciati, i loro passi li riportarono al cimitero.
C'era un vento tiepido, strano per quell'ora, che rendeva l'atmosfera
più piacevole, mitigando anche gli umori. “Ci sono
cose di cui non voglio parlare nemmeno con me stesso, ma ce ne sono
altre che vorrei tu sapessi, o meglio, c'è una persona che
vorrei presentarti.” Kiba annuì, senza aggiungere
altro, lasciandosi guidare dal vampiro. La sua mano stringeva alcune
sue dita e, quel piccolo contatto, sarebbe bastato a Shikamaru per
portarselo dietro, ovunque avesse voluto andare. Il vampiro gli
fece strada tra angeli incrostati, Madonne ederose, bambinetti
mutilati e scheletri di corone o articolate composizione floreali,
gli fece strada tra le lapidi di un cimitero più morto di chi
vi giaceva, fermandosi all'unica tenuta in buone
condizioni. L'Inuzuka lesse il nome sopra di essa e, anche se
quelle lettere non gli dicevano niente, capì subito di chi si
trattava. “Era il mio maestro.” Istintivamente Kiba
strinse la mano del ragazzo. “Cioè, mio e di Chouji, e
di Ino. È morto per salvarci.” “Credo che
quando si ama tanto qualcuno sia normale volerlo solo per sé.
Credo sia normale essere egoisti quando chi ci lascia ci obbliga a
sentire tanto dolore. Non sarà giusto, ma fa stare meglio. Un
minimo.” Il Nara lo tirò a sé baciandolo su
una guancia. “Era il mio maestro. È morto per
salvarmi.” Disse puntando i suoi occhioni neri in quelli chiari
dell'umano. Il poliziotto gli sorrise, lasciando la sua mano e
dirigendosi ad un groviglio di rovi dove spuntavano, faro e monito di
vita in quella desolazione, delle rose bianche. Ne colse una, per poi
tornare verso l'ultima dimora dell'insegnante. “Piacere di
conoscerla Asuma-sensei... Si sarebbe arrabbiato se lo avessi
chiamato così?” “No,”sorrise il vampiro,
“credo proprio di no.” Kiba si accucciò,
annusando la rosa, e la posò all'angolo della pietra di
cemento, sotto gli occhi di Shikamaru. “Grazie.”
mormorò sfiorando i bassorilievo del nome inciso, “grazie
di averlo protetto, di averlo salvato. Grazie di averlo fatto
arrivare a me. Adesso lo proteggerò io. Promesso.” Il
Nara si abbassò a sua volta, e gli sfiorò i capelli,
spingendoli dietro l'orecchio mentre il venticello annullava i suoi
sforzi. “Penso tu gli piaccia.” Gli sussurrò, a
pochi centimetri dall'orecchio, per poi baciarlo ancora sulla guancia
e stringerselo addosso.
Sarebbe dovuto tornare a casa, sua madre e sua sorella
probabilmente, anche senza il vampiro in giro, si sarebbero
preoccupate, ma i baci di Shikamaru valevano ogni sgridata, ogni
punizione. La roccia su cui era seduto, o semi sdraiato, non dava più
fastidio da quando il Nara gli aveva morso l'orecchio, il gelo aveva
smesso di pungerlo ovunque nell'istante esatto in cui la lingua del
vampiro gli era entrata dove non avrebbe dovuto. E quando lo aveva
sentito spingere e mangiargli le labbra in un bacio denso di
passione, non aveva potuto neppure pensare di andarsene, o anche ad
una qualsiasi altra cosa che non fossero quelle mani, sui suoi
fianchi, sul suo viso, sulla sua erezione; intrecciate nei suoi
capelli o con le sue. Se qualcuno gli avesse detto di quella
settimana, se qualcuno gli avesse detto che avrebbe trovato l'amore e
che avrebbe perso il suo migliore amico, gli avrebbe riso in faccia.
Gli avrebbe probabilmente detto, tra una lacrima d'ilarità e
l'altra, che Shino avrebbe mandato al manicomio il vampiro con le sue
frasettine e quel modo di fare irritante. Gli avrebbe detto che lui
non credeva nell'amore come invece credeva nell'amicizia, perché
quella l'aveva trovata ed era la cosa più bella che avesse. Lo
era ancora, semplicemente adesso credeva anche nell'amore. Che
cosa sdolcinata da dire, pensò mentre Shikamaru fumava e
lui gli dormicchiava addosso, anche in quel gelo. “Mi
dispiace di non poter venire al funerale.” il Nara espirò,
facendogli una carezza sulla testa. “Non preoccuparti, lo
sapevo già: non so altrove, ma qui non usa fare funerali di
notte. Puoi sempre fare un salto alla festa, doveva essere la solita
festa in cui si beve anche dai bicchieri degli altri e da cui si esce
camminando a quattro zampe, ma è stata trasformata in una
specie di commemorazione, un po' strana e accompagnata da musica
punk, ma a Shino sarebbe piaciuta.” disse, prima di stirare le
labbra in un sorriso amaro, sentendo lo stomaco chiudersi. E un'altra
carezza sfiorò i suoi ciuffi castani. “Credo che non
sarò nemmeno lì, Ino e Chouji hanno deciso di volere un
dettagliato resoconto di quello che è successo.” “Oh
santi numi! Non verrai nemmeno lì? Imperdonabile,
imperdonabile.” scherzò Kiba, scuotendo la testa,
convinto che la cosa facesse davvero poca differenza. Shikamaru
puntò gli occhi al cielo. “Che seccatura.”
disse espirando fumo e tirando il mozzicone nella neve, a pochi metri
da loro.
“Allora, io vorrei sapere: perché c'è ancora
dell'alcool qui?” Naruto quasi urlò puntando il dito su
un bancone improvvisato e sulle bottiglie mezze piene che vi erano
state poggiate sopra. “Perché è una festa
commemorativa, non una gara a chi beve di più, anche se c'è
qualcuno che crede siano sinonimi.” sbuffò Kiba, mentre
guardava Kankuro fare pipì in un cappello strano, pensando
forse fosse una pianta. “Senti, a Shino sarebbe piaciuto
vederci tutti cappottati dall'esagerazione tipica della nostra
età. Sarebbe stato lì,” sbraitò ancora
Naruto, dondolando verso destra ed indicando una sedia un po' più
isolata, “e avrebbe sorriso a tutte le cagate che avremmo
fatto, convinto tra l'altro che noi non facessimo a gara per chi
riusciva a farlo sorridere di più.” concluse,
inciampando in quello che una volta era Rock Lee, un pazzo, fanatico
dello sport, che frequentava la sua facoltà.
Astemio. L'Inuzuka sorrise pensando che nessuno di loro aveva mai
sentito Shino ridere davvero o che nessuno di loro lo aveva mai visto
sorridere senza occhiali. Privilegi dei migliori amici, si
disse buttando giù qualcosa che non aveva sapore, ma che
strinava per bene la gola. Seduto su una poltrona, si godeva, al
posto del compagno perduto, le scene incredibilmente idiote che
nessuno si sarebbe ricordato il giorno dopo. Il sorso che bevve dopo
però, lo costrinse ad alzarsi e a farsi due passi fuori,
cercando di non vomitare anche l'anima. Beh, in quel caso
l'avrebbe regalata a Shikamaru che ci teneva tanto! A lui in quel
momento dava solo fastidio perché la sentiva lacerata da un
dolore che non riusciva a lenire, né con l'alcool né
con altro. Si appoggiò ad un albero sul retro del capannone
e tirò la testa indietro, volgendo lo sguardo alla luna quasi
piena, le stelle e qualche sporadica nuvola. Spostò
l'attenzione sui lumini del nuovo cimitero, in lontananza, e poi
nella direzione del vecchio, chiedendosi distrattamente se i vampiri
potessero prendersi una sbronza. “Certo che possiamo.”
Una voce cavernosa lo fece gelare sul posto. Sentì un dolore
acuto al fianco e l'attimo dopo si ritrovò spiaccicato contro
la parete del capannone. “Tsz, moccioso.” sbottò
la voce, in avvicinamento. L'alcool attutì il dolore, ma lo
lasciò stordito il doppio, si toccò il retro della nuca
trovandosi la mano inzuppata in qualcosa di vischioso, dall'odore
acre. Scosse la testa riuscendo a scorgere del rosso sulle dita
irradiate dalla luce della luna, poggiò quella stessa mano per
terra facendo forza per tirarsi su, ma qualcosa di freddo lo afferrò
al collo. I piedi non toccarono più il suolo e sbatté
la schiena contro il muro alle sue spalle. Un suono strozzato gli
uscì dalle labbra, insieme a del sangue. “Ehi Kiba,
tutto be...” Naruto si fermò, agghiacciato. “Scappa...”
riuscì a rantolare l'Inuzuka mentre la presa dell'altro
stringeva maggiormente. Naruto, ubbidì, scappando e urtando
praticamente tutto quello che si parava tra la sua situazione
alcolica ed il suo cammino. Kakuzu digrignò i denti. “Non
che la cosa mi interessi più di tanto, ma come ha fatto,”
sbatté ancora Kiba al muro, facendolo tossire nuovamente, “un
insetto, a distruggere un signore della notte come quel cretino di
Hidan?” L'umano trasse un respiro, faticosamente, lo guardò
in quelle iridi tendenti al rosso e lo vide snudare i canini, arma
primaria della sua specie. “Non sei stato tu, non è
vero? Chi è stato? Come si chiama il vampiro che ti ha
aiutato? Dove si trova?” Kakuzu strinse gli occhi collerico, un
vampiro che uccide un altro vampiro: era inammissibile. “Lo so
che è ancora qui, e tu mi dirai dove. O morirai.” Kiba
gli sputò in faccia sangue e saliva. Adesso lo
proteggerò io, aveva promesso, e lui non era suo padre,
lui manteneva le sue promesse. Mai avrebbe venduto Shikamaru. Mai, a
nessuno. A nessun prezzo. “Allora... uccidimi.”
Strinse il polso del vampiro, tentando invano di fargli allentare la
presa. Kakuzu si pulì il viso, schifato. “Che c'è
moscerino? Vuoi morire per un essere come me? Per un essere uguale a
quello che ha ucciso il tuo amico?” Kiba riusciva a non
pensare a niente che riguardasse Shikamaru ma, troppo impegnato a
fare questo, non riuscì a tenere il vampiro all'oscuro degli
altri avvenimenti. “Non valeva e... e non varrai mai...
nemmeno la metà della metà... di lui.” Quello
rise, di una risata bassa, inquietante. “Ti morderà.
Ti morderà e ti prosciugherà, come fanno tutti i
vampiri.” “No.” tossì, mugolando di
dolore ed esasperazione, sentendo gli occhi pizzicare, “non lo
farà.” Il vampiro rise ancora, senza allegria, rise
di lui e della sua debolezza come essere umano, avvicinando il viso
al suo. “Allora lo farò io.” grugnì
senza intonazione. Kiba sentì chiaramente i canini far
pressione sulla sua pelle troppo morbida, li sentì entrare
nella carne come se essa fosse stata burro. Urlò forte
sentendo il dolore lancinante diramarsi ovunque nel suo esile corpo,
avvertì il rumore disgustoso che faceva l'essere mentre
beveva la sua linfa vitale, come se fosse stata una qualsiasi
brodaglia. Tutto si fece più sfuocato, più lontano,
gli sembrò di non avere più forze. In un attimo di
lucidità pensò che non avrebbe più rivisto la
sua famiglia, che non avrebbe più rivisto Shikamaru e quello
fece più male di ogni altra cosa. Naruto tornò in
quel momento con tutti gli invitati, più o meno sbronzi, al
seguito. “Lascialo andare, mostro!” gli urlò
colpendolo con un sasso, seguito anche da altri. Il gigante,
infastidito, lasciò cadere a terra Kiba senza riguardo. Il
ragazzo aprì gli occhi sui sassolini e i filetti d'erba che
uscivano dalla neve e dal terreno dismesso sul retro del capannone,
ma non riuscì a tenerli aperti per molto, crollando davanti al
viso di quella che avrebbe giurato essere Hinata. Il vampiro,
voltatosi per pararsi dai sassi, non sentì la ragazza piegarsi
e raccogliere un frammento della staccionata poco distante, dilaniata
dal tempo, ma avvertì distintamente quel frammento entrargli
nella carne. Non sentì altro, poiché quella che si
librò nell'aria dopo, in caduta libera verso il suolo, fu solo
cenere.
Spostò la mano da sotto il raggio di luce, osservando la
sua pelle rigenerarsi, disumana. “Perché vuoi farti
male per forza?” chiese Chouji, retorico, che non alludeva solo
al dolore fisico che l'amico si imponeva, ma ad una visione più
ampia, che lo avrebbe portato a soffrire maggiormente e senza
possibilità di rigenerarsi. Shikamaru fissò prima la
mano e poi il fascio di luce, meno assorto di quanto
sembrasse. “Perché non riesco più a farne a
meno.” mormorò, mentre l'Akimichi, che non si aspettava
una risposta, rimaneva a contemplare i suoi movimenti. Ino si
avvicinò all'amico e gli accarezzò la
testa. “Shikamaru, sei sicuro che non ci siano altri vampiri
in giro?” “Ma che dici Ino, non essere ridicola,
sarebbe davvero sfiga della sfiga: di solito i vampiri sono esseri
solitari e sfuggevoli. Siamo noi ad essere atipici.” brontolò
Chouji dalla sua comoda postazione. “Lo so, ma sarebbe stato
prudente accertarsene prima di lasciare che una festa, senza alcuna
scorta, avesse luogo nel mezzo del nulla.” Il Nara si alzò
piano, la mente che vagava a vari collegamenti, mentre le parole
dell'amica sfumavano nella sua testa, sempre più lontane. Non
c'erano altri vampiri con quell'essere, non aveva avvertito
nessun altro odore oltre a quello di Hidan, poi lui non era solito
viaggiare in compagnia. Non c'era da preoccuparsi. O si stava
autoconvincendo? Colpi forti e decisi si abbatterono sulla porta
della cripta e il silenzio calò nella stanza. “State
fermi qui.” ordinò Nara, raggiungendo la porta, “chi
sei?” domandò allora, deciso. “Sono Hinata,
un'amica di Kiba, ti prego, vieni con me.” La voce di ragazza,
fine e decisa insieme, che arrivò alle sue orecchie, lo fece
sentire male: dov'era Kiba? Shikamaru aprì la porta,
rimanendo dietro e quindi lontano dal fascio di luce. La fanciulla
entrò, risoluta. Quando la porta si chiuse e l'oscurità
riprese possesso di tutto, il Nara si avvicinò
scrutandola. “Perché dovrei fidarmi?” “Perché
io l'ho appena fatto.” Silenzio. Ingombrante, odioso,
pregnante silenzio. “Dov'è Kiba?” “È
stato morso.” Shikamaru si sentì risucchiare il cervello
in uno stato di trance dove quelle poche parole rimbombavano sempre
più forte. “E' stato portato in ospedale ma, dopo
avergli fatto due trasfusioni senza alcun segno di miglioramento,
hanno detto che non c'è più niente da fare, che non
conoscono la causa del suo male. Sua madre lo ha portato a casa.” Ci
fu silenzio dopo, perché uno avrebbe preferito morire ancora,
come minimo, dieci volte piuttosto che ricevere quella notizia e
perché l'altra avrebbe preferito tenere un comizio, su un
argomento a lei sconosciuto, davanti a tutta la città
piuttosto che dover riferire quelle cose. “Per questo devi
venire con me, mi ha chiesto di trovarti e di portarti da
lui.” Shikamaru si leccò le labbra, aride, cercando
di non cedere allo sconforto, cercando di ragionare. “È
giorno.” riuscì ad articolare nella confusione. Hinata
allungò la mano, mostrando quello che aveva portato. Il
vampiro lo prese e lo aprì riconoscendovi un telo nero
impermeabile, abbastanza lungo da potersi coprire fino ai piedi.
Neanche ci pensò. Se lo mise addosso e aprì la
porta. “Dovrai guidarmi tu.” disse alla ragazza prima
di coprirsi del tutto.
Il viaggio non fu lunghissimo, ma nemmeno breve, nel bagagliaio,
coperto da un ulteriore telo, il vampiro sentiva i due ragazzi
chiacchierare. “Sei sicura di aver fatto la cosa giusta,
Hina-chan?” “Mai stata così sicura Naruto, poi
non mi sembra che abbiamo molte alternative.” “Forse...
facendolo vedere ad un medico più bravo?” “No,
abbiamo poco tempo, in più non è qualcosa che la nostra
medicina può curare, però forse lui può
farlo.” La macchina frenò bruscamente. “Siamo
arrivati. Io aiuto lui, tu aprimi le porte.” Naruto aprì
il bagagliaio con cautela. “Ehi, sto aprendo, sta attento.”
disse prima di aprirlo del tutto. Aiutò il ragazzo a fare i
gradini senza scoprirsi troppo, fino all'ascensore, mentre Hinata
faceva loro strada. Arrivati al giusto piano Hinata bussò e
la porta si spalancò velocemente. “Hinata, cos...” Ma
Hana venne zittita. “Ti prego Hana-san, devi fidarti di me
adesso, chiudi tutte le finestre, accendi più candele che hai.
Se hai dell'aglio in cucina mettilo in una busta di plastica e
portalo fuori. Non avete croci in casa vero?” La donna
rimase a guardare il telo nero senza capire. “Hana, hai
sentito? Forza, non metterci tutto il giorno.” Tsume,
affacciata dalla stanza del figlio, la destò dal suo torpore
d'incomprensione, prima di rientrare, “il tuo principe azzurro
è arrivato, amore mio.” Kiba sorrise mesto e
dolorante. “Nero mamma, il mio principe nero.” Hinata
entrò per prima. “Puoi entrare.” disse al
vampiro, aiutandolo poi, una volta che le operazioni furono svolte, a
togliersi il telo di dosso. Due occhi color pece fecero capolino e
si guardarono intorno con circospezione. Non era mai stato in una
casa moderna. Naruto lo toccò con un dito. “Ehi,
sembri davvero umano!” “Vieni. Per di qua.” lo
condusse Hinata, prendendogli la mano. Hana si portò le
mani alla bocca quando quello strano ragazzo passò davanti
allo specchio del corridoio e lei non vide il suo riflesso, ma solo
la manina di Hinata che stringeva l'aria.
La stanza era buia, ovviamente, illuminata da alcune candele.
Tsume si fece indietro permettendo al vampiro di avvicinarsi;
Hinata le aveva spiegato, ma ancora stentava a crederci, anche se,
doveva ammettere, tante cose cominciavano a quadrare solo dopo quelle
assurdità. Fece il giro del letto e si tenne più
lontana per lasciargli il loro spazio. Vide Shikamaru accarezzare
il viso di suo figlio, lo vide piegarsi e lasciargli un bacio,
lieve. Hana si rannicchiò sulla poltrona in fondo alla
stanza. “Puoi aiutarlo?” domandò flebile. Il
vampiro alzò gli occhi su di lei poi sulla madre, prima di
riabbassarli su quelli lucidi del compagno. “Stai morendo
Kiba.” Tsume articolò un no supplice tra i
singulti, tappandosi la bocca e appoggiandosi alla parete alle sue
spalle, Hana riuscì soltanto a rannicchiarsi ancora di più,
premendosi le ginocchia al petto come quando era bambina. “Io
posso salvarti, ma quella che ti donerò non sarà una
benedizione, al contrario: sarà una maledizione. Dovrai
nasconderti, non vedrai più la luce del giorno, non avrai più
la possibilità di avvertire né freddo né caldo,
non ti ciberai che di sangue. E sarai costretto a vedere chi ami
lasciare questo mondo prima di te.” Cadde il silenzio, rotto
solo dai singhiozzi della madre e dallo scricchiolare della sedia
sulla quale si dondolava la sorella. Kiba lo guardò negli
occhi e lui si avvicinò, continuando a parlare con un tono più
basso. “Se sceglierai di morire avrai la pace eterna, se
chiederai il mio aiuto la tua sarà una condanna eterna. Sarai
la morte, circondato dalla vita. Sarai come la cenere che giace sotto
il fuoco. Vivrai nella cenere. Che cosa scegli Kiba?”
Hinata sospirò ansiosa. “Tranquilla, vedrai che si
sistemerà tutto.” Le disse Naruto, sfiorandole la fronte
con bacio leggero. Probabilmente non era vero, ma sentirselo dire,
sentirlo dire da lui, dal suo lui, la fece rilassare non
poco. La porta della stanza del suo amico d'infanzia si aprì,
Tsume e Hana uscirono, affrante, si sostenevano a vicenda. Hana fece
sedere la madre sul divano e si diresse in cucina armeggiando per
preparare qualcosa di caldo e rilassante. “Kiba?”
chiese Naruto, un’overdose di ansia nella voce. La donna,
che fissava il vuoto con i suoi occhioni scuri, voltò il capo
leggermente verso di loro. Il cane Akamaru che si strusciava alle
sue gambe, guaendo e porgendole la zampa in segno di conforto. “Non
vivrà.” riuscì a dire, prima di tornare a fissare
davanti a sé. In cucina qualcosa si ruppe e il suono di un
sospiro intriso di tristezza vagò per la casa, rimbalzando
come se fosse stata vuota. “Mamma!” sembrò
ammonirla la figlia, “stai parlando di tuo figlio, di mio
fratello, cerca di farlo con po' di abnegazione dei tuoi diritti di
madre.” “Non lo rivedrò più.” “Certo
che lo rivedrai. Che razza di discorsi, non voglio sentirli.” Naruto
guardò Hinata e solo allora capì, dal suo timido
sorriso, che poteva rilassarsi.
Kiba lo guardava. Il suo vampiro era bellissimo, così,
concentrato, mentre cercava di non lasciarsi sfuggire quella lacrima
che gli solcò comunque il viso; lo baciò a
tradimento. “Sei triste perché mi avrai sempre fra i
piedi?” ridacchiò, facendosi male da solo. Shikamaru
sbuffò, stropicciandosi il viso con la manica per cancellare
la sua felicità, il suo egoismo. “Stupido. Non è
una cosa di cui gioire.” Sbottò senza guardarlo. Non lo
aveva ancora fatto. L'Inuzuka gli toccò i capelli, gli
sfece la coda e fece dondolare il laccio davanti agli occhi. “Adesso
potresti spogliarti e tenere questo tra i denti, per favore? Volevo
realizzare una mia fantasia erotica prima di diventare un animale
notturno.” Il Nara sorrise, anche in quei momenti faceva lo
scemo, anche in quei momenti non riusciva a smettere di
volerlo. “Puoi fare il serio almeno per cinque minuti?
Almeno fin quando non ti avrò morso.” finì,
guardandolo finalmente negli occhi. L'altro trasalì. “Dovrai
mordermi?” gli sorrise affascinato dall'idea, convinto che con
lui sarebbe stato diverso che con quell'energumeno. “Beh,
tecnicamente no, però,” si tolse la maglia e la appoggiò
allo schienale della sedia vicina al letto, riavvicinandosi poi alla
sua vittima “sono troppo curioso di sapere che sapore ha
il tuo sangue.” sussurrò prima di baciarlo. Kiba pensò
che era una cosa molto sensuale quella che aveva appena detto, ma non
pensava che gli si sarebbe trasformato davanti. Appena lasciò
le sue labbra Shikamaru gli rimase vicino col viso, per fargli vedere
i cambiamenti, forse per avvertirlo, forse per essere sicuro che
volesse rimanere. Con lui. Le iridi sfumarono verso il rosso, con
una calma indecente, e i canini si fecero più
pronunciati. “Sei bello anche così!” Un ringhio
basso ruppe la quiete, mentre l'Inuzuka lo baciava su una guancia.
Che impertinente. Shikamaru si abbassò sul suo collo, un
fascio di luce azzurrina andò a far scomparire i segni
lasciati da quell'odioso essere, e Kiba avvertì del beneficio.
L'attimo dopo un gemito di dolore riempì la stanza, e i canini
del vampiro affondarono nella pelle del suo collo con facilità,
come avevano fatto quelli dell’altro. Ma non vi fu nessuno
strattone, nessun dolore lancinante, solo fastidio, ma nessun rumore
sgradevole. Anzi, Kiba si accorse di uno strano calore che andò
formandosi nel suo addome, fino a scendere nel suo basso ventre, fino
a farlo sospirare di piacere. Shikamaru passò una mano sul suo
fianco, arrivò ai pantaloni e continuò passando sopra
alla semi erezione dell'altro, sfiorandola fin quando non ricevette
dei gemiti di piacere; gemiti a tratti frustrati. Smise di
nutrirsi della sua linfa vitale e lo baciò. Il sapore del suo
sangue disgustò un po' Kiba, ma rispose al bacio con impeto.
Quando si separarono, la carezza che ricevette sopra i pantaloni lo
fece boccheggiare e poi ansimare, e tenne gli occhi chiusi per
godersi tutto al meglio con gli altri sensi. Shikamaru lo baciò
ancora e questa volta il sangue era in una quantità quasi
eccessiva. Kiba mugolò infastidito, ma si fidò
dell'altro ed ingoiò tutto. Aveva un gusto diverso,
pensò distrattamente prima di sentirsi incredibilmente pesante
e stanco, quel sangue sapeva di vecchio.
Forse tutto avrebbe potuto fermarsi lì ed avere più
senso di qualunque altra cosa, ma il significato della vita stessa
perde importanza davanti all'amore e, per quanto suoni banale, per
quanto la cosa sappia di frivolo, di favola, tutti lo cerchiamo.
Tutti cerchiamo l'amore, qualcuno che ci ami e che si lasci amare da
noi per camminare insieme fino alla fine, se fine non vi fosse, non
sarebbe necessariamente un male. O forse bisognerebbe essere
immortali per dirlo, forse queste affermazioni necessiterebbero di
verifica. O, forse, siamo degli sciocchi se pensiamo che
l'immortalità o la mortalità possano dare un
significato a quello che solo l'individuo, con la sua personale
visione del mondo e delle cose, con la sua passione e la sua
dedizione, può fare. Forse però, morire senza una
persona che ci ama accanto è molto peggio, e scegliere tra
l'immortalità e la mortalità non avrebbe senso. È
allora vero che è l'amore il protagonista? È dunque
vero che lui, e soltanto lui, sa fare la differenza? Questo
Shikamaru se lo sarebbe chiesto per centinaia di anni, senza sapere
che Kiba aveva le stesse domande prive di risposta.
Il sole era calato da un po', ma Shikamaru ancora
dormiva. L'Inuzuka, già sveglio, passò le dita tra i
fili neri dell'altro, sparsi sulle federe rosse. Avrebbe dovuto fare
una statua ad Ino, per avergli concesso quel letto stupendo due volte
a settimana. Dovevano procurarsi qualcosa di più decente della
brandina su cui il Nara dormiva, nella stessa stanza di Chouji, prima
che arrivasse lui. Stanco di aspettare, lo strattonò
impunemente. Niente. Gli montò mezzo addosso per guardarlo
da più vicino. Per rompere da più
vicino. “Signor vampiro? Potrebbe farmi la cortesia di
svegliarsi, visto che il suo ragazzo vorrebbe ricevere attenzioni?”
Ma non ci fu neanche un minuscolo movimento, tutto rimase immobile,
“magari prima di Natale prossimo eh!” si imbronciò,
falsamente offeso l'Inuzuka. “Che seccatura. Ma non conosci
il significato della parola poltrire?” biascicò quello,
aggrottando la fronte in un'espressione scocciata. “Ma Nara,
hai tutta l'eternità per poltrire, io te lo do adesso!
Prendere o lasciare.” Shikamaru aprì un occhio,
facendo ridere l'amante, e sbuffò dando un colpo di reni per
ribaltare la situazione. Kiba tornò serio, seguendo con un
dito il contorno delle labbra del ragazzo sopra di lui. “Sei
il solito esagerato.” mormorò assorto, sereno, “non
è affatto male.” “Che cosa?” gli chiese
Shikamaru lasciandogli un bacio leggero, lasciandosi spostare un
ciuffo d'ebano dal viso. “Vivere nella cenere.”
sorrise il neo vampiro, prima di essere baciato.
Owari
Allora... grazie mille, a tutti quelli che l'hanno letta,
recensita, messa nei preferiti - Urdi - e nelle seguite - Urdi,
Aya88, Bel Oleander, Eldrion300, _Resha_, lady moon. Grazie mille
a Nali, la beta delle beta, e a _Resha_ che ho visto qualche giorno
dopo aver postato il secondo capitolo e mi ha incoraggiata. Grazie
davvero.
_Resha_: ciao cara, grazie davvero per le parole di conforto e per
il tempo che mi hai dedicato. Spero che sia un finale degno dei
precedenti chappy o che, se non altro, ti piaccia almeno un po'.
Shikamaru e Kiba sono pucciolosissimi e ispirano tante tantissime
lemon XD devo davvero scriverne ancora! Tra pochi giorni uscirà
“Hot and dogs”, non perdertela ^^. Qui abbiamo uno
Shikamaru decisamente attivo che però non credo esca dall'ic,
perché come abbiamo visto con Hidan e Kakuzu nel manga non si
tira affatto indietro. Anche perché essere pigri non significa
non avere palle. Giusto? Bene! Credo che verrò al Minas tra un
po', magari ci facciamo una bevuta seria 'sta volta XD comunque, ti
farò sapere su msn quando verrò. Bacioni. Grazie
ancora, ciao topina.
Eldrion300: ciao cara, non ti conosco, ma mi fa piacere ti sia
piaciuta (O.o?) la storiella che ho postato. Spero sia di tuo
gradimento anche quest'ultimo capitolo e spero davvero mi dirai cosa
ne pensi. Le Shikamaru Kiba mi piacciono, ma mi piacciono anche le
Kiba Shikamaru XD e la mia coppia preferita sono Itachi e Shikamaru.
Su Kiba e Shikamaru tra qualche giorno posterò una shot che ha
partecipato al contest “Daily moment” su EFP, dacci un
occhio magari ti piace. ^^ Grazie dei complimenti, sei stata davvero
molto dolce. Ciao stella.
Mi fareste molto felice se almeno all'ultimo capitolo mi diceste
che ne pensate. Sarebbe davvero carino e mi tirerebbe su di morale,
che ora è un po' a terra. Grazie comunque.
Qui, il giudizio:
Quarta classificata: “Vivere nella cenere” di
slice.
Correttezza grammaticale e sintattica,
ortografia: 12,5/15 Ho riscontrato parecchi errori in questa fic
dal punto di vista grammaticale e sintattico, soprattutto per quanto
concerne l’uso delle virgole. In molti, troppi, passaggi dove
andava il punto hai messo la virgola, unendo due periodi in realtà
separati. Ho trovato inoltre un apostrofato di fronte a nome
maschile, che è un errore che non potevo sorvolare. Credo che
comunque sia dovuto al fatto di aver dovuto gestire una fic molto
lunga. È una cosa difficile e lo capisco.
Stile,
forma e lettura scorrevole: 13/15 Lo stile è semplice, ma
corretto e piacevole, solo che la lettura è risultata spezzata
in molti punti da quegli errori che ti ho corretto su. Inoltre ho
trovato qualche termine non proprio adeguato al contesto. Peccato
perché la storia come idea merita molto.
Originalità:
9/10 La fic è originale, soprattutto per l’accenno
alla morte di Asuma e alla spiegazione del perché Shikamaru
sceglie di restare con i suoi due compagni. In realtà l’idea
di investigare su omicidi misteriosi frutto di attacchi di vampiri
non è nuova, ma mi è piaciuto come i personaggi si sono
mossi nella storia e gli ambienti che hai creato. Inoltre l’idea
di un’alleanza fra un umano ed un vampiro è intrigante,
che poi sfoci in amore è ancor più bello.
Caratterizzazione dei personaggi (il vampiro e la sua
vittima): 8/10 Mi è piaciuto molto Kiba, davvero è
stato trattato bene, anche se a volte è stato troppo dolce
secondo me. E’ vero che è un tipo emotivo, ma non così
fragile. Shikamaru invece poteva essere sicuramente trattato meglio:
non ho capito molto di lui, ma secondo me questo è dovuto al
fatto che hai scelto di inserire molti personaggi, quindi non li hai
trattati tutti in modo profondo.
Scelta della frase: 7/10
Frase bellissima, ma sfruttata molto poco: due righe in tutto in
effetti. Potevi fare molto meglio. La frase è piuttosto ampia
come significato se riferita ai vampiri, quindi potevi spaziare, ma
mi è sembrato come se Shikamaru l’avesse pronunciata lì
e basta, come se non sentisse veramente proprio il significato in
essa racchiuso.
Giudizio personale: 9,5/10 Una bella
storia, intrigante e con quell’elemento di giallo/horror che ti
tiene incollato allo schermo. Se a questo si aggiunge l’atmosfera
di nero romanticismo che, in un ritmo sempre crescente invade la fic
,viene fuori un bel lavoro. Curata meglio poteva arrivare molto più
in alto.
Totale 59/70
*Inchino*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=411583
|