Vivere nella cenere

di slice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Autore: slice.
Frase scelta: “si muore una volta sola ma per tanto tempo” Molière.
Titolo: vivere nella cenere.
Personaggi: Shikamaru, Kiba, Ino, Chouji, Shino, Hidan, Kakuzu.
Pairing(s): Shikamaru/Kiba.
Genere: drammatico, romantico, triste.
Rating: arancione.
Avvertimenti: AU, yaoi. Alcune scene possono essere un tantino forti, ma il rating è arancione perché niente di quel che ho scritto mi ha fatto pensare al rosso.
Breve introduzione alla storia: Kiba è un semplice ragazzo che fa il poliziotto, nella stessa centrale dove lavorano madre e sorella, per pagarsi gli studi universitari. Shikamaru è un vampiro, un ragazzo morto secoli prima che ha perso speranze e fiducia in quasi tutto, specialmente nell'umanità. Non hanno niente in comune, apparentemente, ma scavando un po' si scopre che entrambi stanno cercando qualcosa di preciso, qualcosa che troveranno nell'altro. A farli incontrare ci penserà una serie di eventi ed omicidi notturni.
Note dell’autore: le vicende sono trattate in tre capitoli distinti. Il momento in cui si incontrano, le circostanze e il rifiuto di Shikamaru ad ogni contatto, tratto poco di loro due assieme in questo primo capitolo, ma molto di più singolarmente e nel loro ambiente, la loro 'famiglia'. Mi è servito a mostrare il loro reale comportamento, il loro essere, al naturale, per poi far risaltare l'anomalia comportamentale quando nel secondo capitolo si vedranno assieme. Nel terzo ho tirato le somme, credo di averlo fatto senza fretta, facendovi gustare anche quello che è di contorno senza per forza farlo prevalere, ma mi rimetto alla Giudicia. Altre vicende, apparentemente inutili, sono servite da contorno e da piedistallo per la storia che regge il pairing. Il secondo capitolo è meno segmentato e più vissuto dai due, più intenso e decisamente pregnante, il terzo non può che essere denso di colpi di scena e ovviamente risolutivo. Credo di aver esagerato con le comparse, ma sono convinta anche del fatto che togliendoli avrei reso la storia più sterile e meno affascinante. Magari è una cosa soggettiva e la riscontro solo io, ma nel dubbio ho preferito gestire la storia in termini più ampi, e rischiare di andare fuori tema, piuttosto scrivere qualcosa che non sentivo fluire bene, che non sentivo mio. Tanto sarei arrivata comunque decima u.u!

Non mi appartiene niente e non c'è lucro.




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Prologo



L'aria gelida venne inquinata da uno sbuffo di fumo, l'oscurità della notte si screziò di tentacoli chiari, la sigaretta ebbe un fremito e della cenere cadde sul manto bianco dell'inverno; un piccolo animale, forse una lepre o un coniglio, fece frusciare dei cespugli vicini prima di scappare rincorso solo dalla sua paura.
Dita magre, che stringevano il filtro, si avvicinarono nuovamente alle labbra di un ragazzo che ad occhio e croce non avrebbe potuto avere più di una ventina d'anni.
Un lieve alito di vento scompigliò le cime degli alberi che, guardiani di tanta quiete, non osarono lamentarsi.
La maglia scura a maniche lunghe creava un netto contrasto con la neve, che invece andava a sposarsi con la pelle candida del suo ospite; l'abbigliamento semplice e blando per quel freddo avrebbe dovuto far tremare il ragazzo, invece lui sembrava curarsi solo dello sfrigolio che gli investiva le orecchie, ogni volta che aspirava una boccata di fresco veleno.
Passi leggeri si unirono a quel suono sedante e poco dopo una seconda figura fece la sua comparsa.
“Non dovresti stare qui, è quasi l'alba. - Sussurrò quello che, sotto un mantello nero con annesso cappuccio, sembrava essere un ragazzo in carne più o meno della stessa età - Lei si preoccuperebbe se sapesse.” L'altro dette l'impressione di smettere anche di respirare per un'istante, la temperatura sembrò scendere ulteriormente.
“E tu non dirglielo.” Sbuffò in fine senza poggiare gli occhi sul suo interlocutore, troppo impegnato a guardare le stelle sopra la sua testa, oltre le fronde appesantite di gelido candore.
“Dico davvero Shikamaru, dovremmo rientrare.” Guardò con sconsolato rammarico il cielo che andava schiarendosi ad est, prima di voltarsi ed incamminarsi verso un luogo più buio e nascosto di quanto avrebbe voluto.
“Chouji... - la sigaretta lasciò le sue dita e sì posò senza rimbalzo sulla neve con un ultimo agonizzante sfrigolio, le spalle si staccarono dal tronco dell'albero, ma il ragazzo non si mosse, come non tolse il suo sguardo dalla volta ancora stellata - Cosa daresti per vedere l'alba ancora una volta?” L'altro si fermò senza voltarsi.
Il silenzio quasi li corrose in quei pochi attimi in cui l'aria andava riscaldandosi leggermente, in cui tutto si illuminava di vita. Chouji chiuse gli occhi e si morse il labbro, aggrottando le sopracciglia in un'espressione addolorata, alzò il viso permettendo a quella poca luce di sfiorargli i lineamenti paffuti.
“Morirei.” Scandì prima di riprendere a camminare, lasciando quella risposta nell'etere, come se avesse avuto troppa poca importanza ciò che lui avrebbe voluto.



Vivere nella cenere

di slice

Capitolo 1



Indubbiamente odiava la scuola. Senza possibilità di eccezioni, la odiava, tutta. Odiava i professori, i supplenti, gli stupidi pochi gradini per entrare in mensa. Odiava anche le aule e quelle porte odiosamente scassate dei bagni che non si chiudevano mai, o all'occorrenza ti ci intrappolavano dentro e neanche i pompieri potevano sperare di aiutarti. Odiava il portone che nelle mattine più sonnolente gli appariva come una bocca piena di denti aguzzi ed odiava, odiava, odiava lui. Più di tutti, odiava quell'essere strano che continuava a strusciarsi impunemente sulle sue preziose gambe.
“Va via, maledetto gattaccio.” Sibilò, scocciato.
Il gatto si limitò a sbadigliare e prese in pieno un adorabile calcio nei denti.
“Kiba.” Venne ammonito dall'ameba che lo accompagnava da che avesse ricordo. L'ameba, come lo chiamava scherzosamente da anni, era il migliore amico per eccellenza, quello delle fiabe e dei film, la classica persona che per te si getterebbe nelle fiamme, ma anche un pizzico atipica con quell'aria impassibile ed impossibile che predominava sulla sua indole. Cosa avessero in comune quei due sfuggiva alla comprensione umana.
Shino, l'ameba, era un ragazzo alto, moro, con gli occhiali da sole incollati al viso; era buono oltremodo e pacato all'inverosimile. Una di quelle persone calme, che si prendono tutto il tempo necessario e anche qualcosa di più per fare ogni genere di cosa, dal bere il caffè a scrivere una relazione, uno di quei tipi che possono snervare fino a farti venire le bolle, ma che poi ti rendi conto non vorresti cambiare con nessun altro, tanto meno qualcuno più nevrotico.
“Senti, se le cerca. Con tutta la gente e lo spazio che c'è, perché cavolo deve sempre venire tra i piedi a me che lo odio?”
Kiba invece era il classico casinista, l'anima della festa e assolutamente non aveva niente di pacato, nemmeno i capelli, che sembravano andargli in ogni direzione senza tanti sforzi o aiuti gelatinosi. Anche lui l'amico delle fiamme che si butta per te nei film... ma solo dopo un paio di gin tonic e una serata in discoteca, perché prima di morire è d'obbligo. Spesso veniva soprannominato cagnaccio perché passava dall'adorazione per il sonnellino fino ad arrivare direttamente al maniacale bisogno di movimento, saltando tutto ciò che ci poteva essere nel mezzo.
Kiba, inoltre, sembrava avere l'olfatto e l'udito un po' più sviluppati del normale e spesso, quando erano bambini, il loro gioco preferito era nascondersi e farsi trovare da lui bendato, per mettere alla prova i due sensi anomalmente più presenti.
“Forse si è innamorato.” L'occhiataccia che seguì fu assorbita con invidiabile e snervante calma.
“Sai cosa dovresti fare tu? Provare a correre come un invasato per tutto il cortile, urlando a pieni polmoni qualcosa come 'vi odio tutti e quando meno ve lo aspetterete sarò lì per gioire pacatamente del vostro dolore, inflitto ovviamente da me e la mia schizofrenia latente', secondo me rimorchieresti di brutto!” Ci fu un attimo di quasi assoluto silenzio rotto soltanto dalle fusa del gattaccio, poi la campanella della prima ora suonò.
“Magari un'altra volta.” Rispose quello alla fine evitando di scomporsi.





La notte perdura anche nel giorno se si sceglie come dimora una cripta di un vecchio cimitero fuori da ogni qualsivoglia centro abitato.
I pochi lembi di luce in quell'atmosfera spettrale erano delle candele; il loro tremolio, grazie a qualche spiffero, creava giochi di luce sulle pareti grezze e spoglie, fredde, cupe. Una bellissima tomba deflorata con molto poco rispetto per chi ormai non temeva più ire divine.
Una stanza fredda con due giacigli e un sacco di libri più o meno vecchi che formavano pile, a volte fino al soffitto, comunque non troppo alto, era tutto quello che si potevano permettere di avere e dopo qualche decennio non era nemmeno poi così male. Una piccola porta di un legno marcio e bucherellato che odorava di muffa, come solo la muffa stessa poteva fare, era l'unica cosa che spiccava. Pochi scalini, che formavano una leggera curva, portavano ad una seconda piccola stanza. Qui la porta rimaneva sempre chiusa e da dietro di essa spesso arrivavano strani lamenti; forse il vento giocava con le fessure del legno malconcio, oppure qualcuno cantava una nenia, a far compagnia a chi non vedeva la luce da secoli.
Un letto somigliante ad un vero baldacchino, nonostante fosse stato creato con un materasso vecchio, cuscini vari e teli di ogni genere, stava al centro della stanza dove la concentrazione di candele andava diminuendo e la nenia cresceva d'intensità.
Shikamaru si avvicinò aspettando di essere notato e, poco dopo, infatti, la canzone cessò.
“Ciao!” Molta enfasi per un tono fin troppo lieve, quasi impercettibile.
“Ciao. - Non c'era allegria nella sua voce anche se davvero avrebbe voluto che ci fosse, magari solo per un momento - Dovresti dormire, è l'alba.”
“Vieni!” La voce soave della fanciulla si fece udire ancora, soffice come una brezza calda in quella stanza morta.
Lui le si avvicinò piano e prese delicatamente la pallida manina scarna che fuoriusciva dalle coltri. Ciocche chiare macchiavano d'oro le federe dei cuscini di un rosso molto scuro, come piaceva a lei.
Ino un tempo era una ragazza allegra, solare, vivace in modo quasi irritante, forse a volte un po' ingenua, ma indubbiamente semplice e genuina, di un'intelligenza fine e volutamente poco sfruttata. Figlia di un personaggio di spicco nel suo amato villaggio, aveva un occhio di riguardo ovunque e da chiunque anche dal momento che era la veggente di corte.
Una notte, tornando a casa dopo un importante seduta con il Daymio, Ino si era trovata davanti, all'alba dei suoi vent'anni, una persona malvagia e poco incline a voler vedere il suo splendido sorriso. Il suo insegnante Sarutobi Asuma sentendone le grida cercò di soccorrerla, ma ottenne solo lo stesso trattamento della giovane. Shikamaru e Choji amici d'infanzia della ragazza, ed entrambi cresciuti sotto l'ala dello stesso maestro, dopo attenta e irritante vivisezione della faccenda, chiesero a gran voce la stessa fine per mano proprio di quest'ultimo: mai avrebbero lasciato sola la piccola Ino, mai avrebbero permesso che vivesse un'eternità accompagnata solo dai suoi ricordi.
Asuma purtroppo non ebbe vita lunga: il villaggio aveva iniziato già da tempo a dare la caccia a quelli come loro, e l'uomo si frappose proprio tra gli abitanti muniti di forconi e la fuga dei propri allievi.
“Come ti senti oggi Ino?” Le capacità della ragazza, mischiate con il nuovo sangue e i nuovi poteri, avevano creato come un sovraccarico nel minuto corpo della ventenne, dando inizio ad una penosa malattia senza fine grazie all'immortalità della sua specie.
Tutto ciò che successe dopo fu uno scappare da una parte all'altra del globo fino a quando le notizie su di loro non divennero semplici leggende, innocue favole tramandate per sollecitare il sonno dei propri pargoli.
“Come sempre, ma grazie di continuare a chiedermelo.” Due occhioni blu come solo – Shikamaru lo ricordava a stento - il mare di giorno poteva essere, fecero capolino da dietro una pesante coperta dello stesso colore dei cuscini.
“Forse dovrei smettere e vedere che succede, magari allora staresti meglio.” Accennò un sorriso, contento di scorgere il suo viso illuminarsi, mentre una risata di bambina riecheggio gioviale e corroborante in quel nulla che loro chiamavano casa.





“Dovrei rigargli la macchina.” Kiba si stiracchiò contro lo schienale di una delle tante panchine del parco che frequentava di solito con gli amici, nel dolce-far-niente del doposcuola. Un autobus si fermò poco distante da loro e un ragazzo biondo ne uscì con una ragazza mora subito al seguito.
“Dovresti metterti a studiare.” Shino aveva un modo unico di fare dell'ironia, tanto che spesso Kiba pensava neanche fosse vera ironia, probabilmente il suo era umorismo inglese, vai a capire. L'irrequieto ragazzo si voltò con un sopracciglio alzato, mentre i due nuovi venuti si scambiavano tenere effusioni prima di unirsi a loro.
“Ma tu da che parte stai?” Chiese al compagno di peripezie, guardando male la mano del suo amico Naruto sul sedere della vecchia compagna di giochi, Hinata. Chissà che espressione avrebbe fatto il padre della suddetta davanti ad una scena del genere?, pensò distrattamente prima di venir preso dalle parole dell'amico.
“Era solo un'idea.” Shino celò un po' di disappunto dietro ai suoi spessi occhiali da sole, per la solita mano di Naruto, ed evitò di guardare i lineamenti del compagno deformati da una smorfia d'incomprensione.
“Le tue idee fanno schifo.” Decise quello, prima di salutare i due piccioncini ormai divisi da ben dieci centimetri di neutra aria.
Naruto ed Hinata si sedettero in mezzo ai due vecchi amici.
“Allora?, questa festa? Eh?” La voce squillante ed inconfondibile del biondo fece sorridere un poco Shino, che si parò nel suo giubbotto visto solo dalla piccola Hinata, la sola a cui erano concessi certi privilegi.
“Ci sarà ovviamente! Il prossimo Venerdì sera, tra una settimana esatta, al capannone alle nove. Non è obbligatorio portare niente, ma se proprio devi, fa' che siano alcolici!” Sbraitò quasi Kiba ampiamente dimentico di tutto il resto e soprattutto del brutto voto appena ricevuto.
“Fantastico! Ci saremo! Hinata ha detto a casa che dorme da un'amica, eh!”
Hinata era figlia del famoso imprenditore Hiashi Hyuga e ovviamente 'decoro' era la parola d'ordine, dove questa si collocasse nell'immagine d'insieme che offriva il biondo non era affar loro.
“Grande Hina-chan! Perfetto allora, ci vediamo là!” Effettivamente dire che aveva pensato ad altro per tutta la settimana oltre che alla festa, era davvero ridicolo, per lui, ma anche per gli altri che conoscendolo non ci avrebbero creduto nemmeno per mezzo insignificante secondo.
I due piccioncini si alzarono, di nuovo pronti ad un'altra lunga serie di effusioni e si incamminarono per il loro sdolcinato giro nel parco, mano nella mano.
Breve ma intenso, avrebbe detto Shino se la voce di Naruto non fosse stata ancora ad un volume coprente, anche a decine di metri di distanza, mentre li salutava.
“Hinata la sentivamo poco già prima: adesso, con Naruto intorno che urla la metà del tempo, e solo perché l'altra metà mangia e dorme, credo che non la sentiremo parlare mai più.”
Kiba sorrise, erano cambiati tutti: dalla piccola Hinata che balbettava prima di svenire al solo nominare il suo principe azzurro, a quell'imbecille del suo amico che ora spiccicava qualche parola in più.
“A te non succede mai.” Ecco, qualche parola di troppo, a volte.
“Quasi quasi rigo la tua di macchina.” Sorrise ferino l'Inuzuka, senza preoccuparsi dell'aura omicida che emanava l'amico.

Tsume Inuzuka era una donna in gamba, di carattere non per forza dittatoriale, ma con il pugno indubbiamente di ferro. Era stata anche dolce e permissiva un tempo, più di quanto fosse diventata con l'abbandono da parte del marito per lo meno. Lo era stata con i suoi figli e col marito stesso, ma evidentemente non era bastato a farlo rimanere.
Era successo tutto piuttosto in fretta: Kiba aveva ricordi confusi perché era ancora troppo piccolo, mentre sua sorella maggiore Hana si ricordava tutto molto bene. Era maggio e c'era un leggero tepore, nonostante in quel luogo non ci fosse mai una temperatura tale da poter chiamare caldo. C'era mamma che piangeva sul letto e c'erano le valigie di papà vicino alla porta. C'era un silenzio fastidioso e c'erano due occhioni e un pollice in bocca tra le sue braccia. Kiba se ne stava lì a guardare il padre osservarli con rammarico per un'ultima volta, attraverso le fessure del legno delle scale che portavano al piano di sopra. Il ragazzo aveva ben chiaro in mente quel momento, perché stava correndo ad abbracciare suo padre e magari chiedergli di rimanere con loro. “Sarò più buono, non ti disturberò!”, aveva già detto qualche ora prima, tra le lacrime. Invece la sorella lo aveva preso in braccio a metà scalinata e si era seduta lì a guardare il genitore con malcelato odio, stringendo sempre di più il bambino che, rimasto senza lacrime, stanco e triste, si succhiava il pollice e faceva di tutto per non far cedere le palpebre su una visuale così buia e liquida.
Erano passati più di quindici anni, ma ancora tutto ciò bruciava, dentro, nascosto, ma presente.
Kiba raggiunta la maturità, per pagarsi gli studi universitari senza gravare sulle spalle della genitrice single, aveva fatto domanda con successo nel corpo della polizia, nella stessa stazione della madre e della sorella.
Il ragazzo entrò nell'ufficio della donna con l'irruenza tipica della loro famiglia e le lanciò un foglio sulla scrivania, proprio sotto al naso.
Tsume lo guardò con sospetto, lesse le prime righe e dopo lo accartocciò.
“Te lo scordi.” Soffiò riprendendo a leggere alcuni rapporti datati.
Kiba arricciò il naso, sapeva già che sarebbe stata quella la prima reazione, si era preparato.
“Ragiona. Ti serve aiuto, hai pochi uomini a disposizione, senza contare che io e mia sorella abbiamo già un'intesa particolare, per ovvie ragioni; conosco il caso, perché ho duplicato le chiavi dello schedario l'altra settimana. Non fare quella faccia. Siamo all'inizio dell'anno scolastico ed ho tutto il tempo che vuoi. Infine, invece di pensare alla mia inesperienza e basta, pensa a quanto ti possono essere utili il mio fisico ed i miei riflessi di ventenne.”
Ci fu un attimo di silenzio in cui il figlio prese fiato e la madre lo trattenne.
Il caso sembrava orribilmente semplice: c'era uno squilibrato che se ne andava in giro a dissanguare persone nel cuore della notte, con cosa lo facesse o perché le mordesse prima, era ancora un tremendo mistero. All'inizio avevano ipotizzato fosse opera di un animale di grossa taglia, magari scappato a qualche zoo o circo, ma nessuno ne aveva denunciato la fuga; in più, le indagini che seguirono non rilevarono impronte ferine nella neve fresca, ma bensì umane. Le autopsie, inoltre, avevano confermato che quella che rimaneva sul collo delle vittime, morse sempre nel solito punto, era saliva umana. La ricerca nel database non aveva però dato nessun riscontro del DNA e si brancolava - era il caso di dirlo - nel buio assoluto.
Sua madre sembrò pensarci su, non era andata così male dunque?
“No. - Rispose alla fine con un tono che non ammetteva repliche - Esci, devo lavorare.” Irremovibile, come sempre.
“Già! - Borbottò il ragazzo, uscendo sconsolato - Anch'io, in teoria.” Ma non fece in tempo a chiudere la porta a vetri con su scritto “Capitano”, che la voce della donna lo richiamò.
“Kiba, delinquente, lascia qui le chiavi che hai duplicato.” Meno male che ne aveva fatte più di una copia, si disse, mentre poggiava quelle che aveva dietro, sulla caotica scrivania della madre.





La città era un grumo di luci, rumori e frenesia che rimaneva su uno sfondo scuro e stellato, silenzioso ed immobile. Spesso stavano delle ore a fissare i grattacieli più alti: le piccole lucine che indicavano le finestre, spegnersi poco alla volta e i fari sulla cima dove, se erano abbastanza fortunati, potevano scorgere un elicottero atterrarvi. Il rumore aveva un ché dei primi fucili che la storia aveva partorito, ma era anche così lontano da risultare quasi rilassante.
Shikamaru sbadigliò indolente, cercò di scorgere la figura dell'amico, ma di lui non trovò alcuna traccia. Era convinto fosse nei paraggi.
Si stiracchiò allora e fece per alzarsi, pur contro voglia, deciso ad andargli incontro, ma non fece in tempo a raddrizzarsi che Chouji gli si presentò davanti; il respiro veloce, doveva aver corso, e un'espressione decisamente pocoda buona notizia.
Nara aggrottò la fronte in una muta richiesta di chiarimenti.
“Ino... è scomparsa.” Il viso del giovane uomo mutò rapidamente da perplesso ad angosciato, e poi tornò ad essere perplesso.
“Scomparsa? Chouji, Ino è malata. Non so neanche se i suoi muscoli siano in grado di tenerla eretta, com'è possibile che sia scomparsa?” L'altro pensò un momento, freneticamente; scosse la testa, infine si arrese con aria di incredibile dispiacere.
“Non so cosa dirti Shikamaru: a letto non c'è, nella cripta non c'è, ho girato tutto il cimitero e non c'è, o almeno, non riesco a trovarla.” Concluse più irritato e sconvolto di quanto potesse trasparire.
“Ok, senti, analizziamo la situazione: nessuno sa che siamo qui, non possono averla rapita, senza contare che avrebbe comunque cercato di difendersi e avremmo sentito il fragore dello scontro. Magari si è svegliata, non c'era nessuno e aveva fame o semplicemente, senza i suoi due simpatici carcerieri“Di sicuro non può essere lontana?” Chiese tra il retorico e il fiducioso. Shikamaru si guardò intorno prima di cogliere l'ansia nel tono dell'altro.
“Non preoccuparti, la troveremo; magari si è stancata troppo e si è fermata per riposarsi un momento. Se non dovessimo trovarla tornerà lei, in ogni caso l'alba è lontana. Dividiamoci.” Chouji annuì ancora, l'aiuto del Nara era sempre stato prezioso come la loro amicizia e da secoli la sua presenza, non faceva altro che rassicurarlo. E, Chouji non aveva dubbi, rassicurava anche lei.
“Che seccatura...” Sentì il Nara sbuffare ed uscì dalla nebbia di pensieri e preoccupazione in cui la sua mente lo costringeva, poi avvertì lo spostamento d'aria che segnalava il salto spiccato dall'amico e l'inizio delle ricerche.





C'erano un sacco di porte che davano su quel corridoio, buio e deserto grazie all'ora tarda, ma lui conosceva l'esatta ubicazione di ogni singolo ufficio e/o spogliatoio. Si guardò rapidamente attorno prima di spingere la porta, una volta dentro chiuse piano e tirò fuori la torcia. Non che gli servisse poi a molto, dal momento che conosceva anche la posizione dell'armadietto di sua sorella, infatti ci si diresse a colpo sicuro e lo aprì. La combinazione era da sempre, nonostante il suo proclamato odio per quell'essere, la data di nascita di loro padre.
All'interno l'armadietto era spoglio, privo di foto o qualsivoglia monito cartaceo, non c'erano cianfrusaglie, ma solo oggetti in dotazione o comunque utili al servizio. E anche un infinità di proiettili di scorta, un po' nascosti dietro il giubbotto anti-proiettili, ma c'erano. Era proprio da Hana: semplice e indispensabile.
Sua sorella era di pattuglia quella sera, assegnata allo stesso caso che avrebbe voluto lui; prese un piccolo blocco, insignificante, adagiato nella desolazione di quell'armadietto, e lo sfogliò alla ricerca di dettagli. Si annotò mentalmente un paio di strani avvenimenti ed altrettante descrizioni delle vittime, poi udì delle voci in avvicinamento.
Ripose il blocco, chiuse l'armadietto senza fare alcun rumore e, spegnendo la torcia, si nascose nella zona docce. Un secondo dopo la porta si aprì e la luce fu accesa.
“Quel dannato moccioso ci farà diventare matte entrambe.”
“Non lo pensi, tua madre è sempre felice di averlo intorno e quando si allontana un po' di più diventa insopportabile. Solo che tu e tua madre vi assomigliate molto e dovete per forza ringhiare a tutti.”
“Vuoi un pugno Hatake? Dillo subito invece di girarci intorno.” Hana agitava un pugno nella sua direzione, quando vide dei ciuffi castani oltre il muro che separava la zona spogliatoio dalle docce.
“No no, grazie, mi accontento di guardarlo da qui. Senti che ne dici se andiamo subito invece di attendere?”
“Ci sto... Come mai così arzillo oggi Hatake? Stai attento a non tirarmi brutti scherzi.” Ed ecco di nuovo quel famoso pugno davanti al suo naso.
Kakashi tirò su le mani in segno di resa.
“Promesso!” Disse sorridendo e socchiudendo gli occhi.
Mentre uscivano Kiba pensò che chi sopportava sua sorella avrebbe avuto bisogno di un incentivo statale oltre che di un aiutino divino. Poi, realizzando che lui era tra i candidati, si passò una mano sugli occhi, teatralmente affranto.
Uscì con discrezione e si diresse verso la zona della periferia indicata dagli appunti del mastino.





Davanti a lui si ergevano le prime abitazioni, dopo la desolazione e la bellezza della campagna, la periferia sembrava così caotica da non volerci entrare nemmeno sotto compenso; girava infatti intorno ad essa, avvicinandosi e poi ritraendosi, come un animale che studia il nemico. Così poco abituato a tutta quella vita si agitava sbirciando nelle vie senza davvero guardarci, come se avesse potuto nuocergli. Come se da tanto fervore non potesse venire niente di buono.
La città di notte, addormentata nei mesi più freddi, diveniva un formicaio nelle serate più calde e così anche la periferia vomitava in strada stormi di ragazzi e ragazzini, più o meno spensierati. Settembre era un mese che sfornava un'aria ancora mite e, in quell'ultimo sprazzo d'estate, le feste dei giovani si trovavano, confusionarie ed alcoliche, un po' ovunque.
Avevano regole precise nel loro piccolo e strambo gruppo: nessun contatto con esseri umani, eccezion fatta per casi estremi e, se succedeva, gli altri dovevano essere messi al corrente.
Avevano visto l'umanità crescere, evolversi e smarrire la strada sempre di più, sempre più lontani da un qualsivoglia buon senso, sempre più vicini ad essere massa piuttosto che individuo. Si erano fidati poche volte e, pur fornendo il loro sovrannaturale aiuto, l'unica moneta di ricambio era sempre stata la persecuzione; e, forse per distinguersi dallo sfacelo umano, si erano impegnati per imparare dagli errori decidendo a conti fatti di volerne, o doverne, rimanere fuori. Il loro intervento in quell'epoca non sarebbe stato nemmeno giusto, loro non avrebbero dovuto esistere, non avrebbero dovuto essere lì e quindi interagire avrebbe significato alterare il corso degli eventi. Di contro, Shikamaru credeva ché entrare nel mondo dei viventi un privilegio che a loro non spettava più. In fondo erano solo vampiri, si nutrivano di quella stessa vita tanto bramata, come parassiti. No, Shikamaru ne era convinto, non sarebbe stato giusto.
Il suo istinto gli diceva che Ino era là in quei campi coltivati a materialismo e consumismo, forse era davvero uscita a farsi due passi, ma allora perché non avvertirli?
Prese a camminare verso quel marasma di frivolezze e luci al neon, sbuffando e imprecando a denti stretti; non aveva mai adorato particolarmente il caos dei centri abitati, nemmeno quando il sole poteva rischiarare la sua pelle senza procurargli l'incenerimento della cute, con conseguenti dolorose ustioni.
L'aria fredda e l'oscurità facevano sì che dalle sue labbra uscisse del vapore molto somigliante al fumo.Perché fingere?, pensò infilandosi una sigaretta tra le labbra.





La radio dava solo schifezze a quell'ora e, all'ennesima canzoncina rigurgitata dalle classifiche di venti o trenta anni prima, decise che ne aveva avuto abbastanza; portò la mano in basso, e fece per spegnere, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un uomo ed una donna, abbastanza anziani, correvano, abbracciati e singolarmente scossi.
Kiba accostò la macchina, accese la torcia e si diresse nel vicolo da cui aveva visto uscire i due.
C'era abbastanza luce, ma essa veniva tagliata bruscamente, creando una fetta di oscurità dal momento che il lampione stava al di là del muro di cinta di una villetta. A terra un uomo era riverso a faccia in giù in una pozzanghera, poco sangue aveva dato una tinta rosea all'acqua stagnante. Dissanguato. Un altro. E il ragazzo era arrivato decisamente troppo tardi.
Nel rammarico e la frustrazione del momento, il piccolo rumore che seguì gli sembrò un enorme frastuono. Si voltò di scatto, puntando la torcia e l'arma d'ordinanza in faccia ad una ragazza bionda, coetanea avrebbe detto, seminascosta dietro ad un palo della luce.
“Ciao. Tutto bene? - Fece qualche passo verso di lei, dopo aver riposto l'arma, cercando di avere un tono il più gentile possibile, scrutandola per vedere se aveva segni di maltrattamento sulla sua esile persona - Stai bene?” Chiese ancora, sentendo il silenzio addensarsi ed appesantirsi nelle orecchie. Si fermò poi vedendola indietreggiare, gli parve così fragile che si meravigliò stesse in piedi da sola. Piedi. Solo ora notava la ragazza fosse scalza. Inoltre la veste di seta che indossava, per quanto graziosa, non doveva essere stata una scelta azzeccata per la temperatura.
“Sei al sicuro adesso, sono della polizia, non avere paura.” Kiba tese una mano senza avvicinarsi oltre, lasciandole intuire che poteva decidere lei se prenderla o meno, ma la ragazza rise, realmente divertita e l'Inuzuka pensò che era davvero una risata da bambina, solo un po' più fine e composta.
“Come ti chiami?” Chiese all'improvviso la giovane.
“Kiba. - Attimo di smarrimento - e tu?” Si sentì chiedere prima ancora di capire cosa c'entrassero le presentazioni.
“Mi piace il tuo nome.” Non vi fu risposta, ma un'altra risata gioviale e composta, poi quando tornò il silenzio, lei si appoggiò al palo e finse un mancamento.
L'Inuzuka, preoccupato, le si fece subito vicino per sorreggerla, abbracciandola quasi.
Ino sorrise tra il dolce e il birichino, appoggiò le mani sugli avambracci del ragazzo, lo annusò sul collo avvicinando le labbra ad esso.
“Ino.”
La voce di Shikamaru risuonò bassa e monocorde nel vicolo scuro e freddo, tanto che Kiba sentì un brivido correre amorevolmente lungo la spina dorsale.
La ragazza tra le sue braccia sembrò rimpicciolirsi e quasi guaire, dispiaciuta di qualcosa che sfuggiva al poliziotto, la vide rintanarsi al suo petto, ma senza paura alcuna.
Si voltò fissando l'oscurità da cui aveva sentito provenire quella voce atona.
“La conosci?, credo sia sotto shok: è pallida e chiaramente in stato confusionale.” Un movimento nel buio catturò la sua attenzione.
Shikamaru lo guardò a lungo, con sospetto, prima di entrare nel fascio di luce del lampione.
Kiba lo osservò a sua volta, camminare lentamente mentre scrutava la vittima e una nota stonò: non sembrava allarmato, spaventato o scomposto alla vista del cadavere. Questo lo insospettì.
“È molto che siete qui?” Domandò con tono pacato.
Nara non rispose, ma seguì i suoi movimenti mentre cercava di sostenere meglio Ino senza rischiare di toccare dove non avrebbe dovuto. Ma notò anche che questo non era motivo di imbarazzo per il poliziotto.
“Sentite, dovreste venire in centrale con me. Niente di strano, solo qualche domanda.” Kiba contemplò il viso di Ino che le era così vicina e alla quale ancora non aveva prestato la dovuta attenzione. Aveva una fisionomia graziosa, con qualcosa di audace nel nasino all'in su e nelle guanciotte rosee rispetto all'incarnato pallido. Era una ragazza molto magra, non anoressica, ma indubbiamente con qualche problema alimentare, stava per chiederle se mangiava abbastanza quando venne interrotto bruscamente.
“No.”
Kiba ci mise qualche secondo a riprendere il filo del discorso poi, passandosi una mano sulla fronte, sospirò comprensivo.
“Lo so che non è stata una serata da ricordare, ma sareste d'aiuto per le indagini.” Neanche chiuse la bocca che l'altro sbuffò, quasi fosse annoiato da tutto quello.
“Non ci interessa aiutare, non è affar nostro.” L'Inuzuka storse il naso, stordito da quell'affermazione, ma come se l'altro stesse giocando sulla tempistica del suo comprendonio, non ebbe tempo di aprire bocca. Lo vide avvicinarsi alla ragazza e di contro sentì lei irrigidirsi e ritrarsi leggermente, emettendo un altro mugolio dispiaciuto.
“Ino. Non sono arrabbiato. Andiamo.” Lei ridacchiò mettendo la sua piccola manina candida in quella dell'amico.
Kiba assistette a tutto con una strana sensazione addosso, come se fosse di troppo, come se stesse vedendo qualcosa che non avrebbe dovuto.
Vide i lineamenti del ragazzo distendersi, forse rasserenato dal sorriso dell'amica e pensò di getto che fosse davvero molto carino. Lo sentì rilassato al punto che, gli venne il dubbio, prima fosse teso perché l'amica era tra le sue braccia.
“Sono un poliziotto. E anche se non lo fossi stato... Che volevi che facessi?” Mormorò credendo di averlo solo pensato. Si riscosse vedendo i loro occhi su di sé e riprese il filo della conversazione con le risatine della ragazza nelle orecchie ed uno strano gridolino che assomigliava troppo ad un “ pensa che sei davvero molto carino”.
“Come sarebbe? Non vi interessa prendere lo squilibrato che sta facendo questo?- Domandò quasi retorico, ignorando forzatamente la ragazza e indicando il cadavere ad un paio di metri da loro -non volete aiutare la polizia a proteggere i civili?”
“No.” Kiba si stranì ulteriormente.
“Vuoi dire che la cosa non ti tange minimamente? - Chiese ancora, facendo qualche passo verso la vittima - Lo hai guardato prima, ho visto che lo hai guardato. Ci sono dei fori sul collo. Contusioni su tutto il corpo, segno che era ancora vivo quando lo hanno aggredito ed ha cercato di difendersi. Quest'uomo non sembra aver bisogno di aiuto per difendersi. Tutti i cadaveri sono stati ritrovati in periferia, non oltre. Quindi, ricapitolando, abbiamo un uomo, perché mi rifiuto di credere che una donna possa avere tanta forza, un uomo ben piazzato, un camionista forse, che nella sua follia non vuole destare sospetti... un maniaco depressivo con manie di persecuzione? Un gigantesco maniaco depressivo con manie di persecuzione che morde le sue vittime sul collo.” Ci fu un attimo di silenzio in cui i due ragazzi si guardarono in faccia, come studiando l'altro.
“Non ci prendiamo in giro. Non può esistere, non regge, per quanto mi sforzi, e sembri incredibilmente assurdo, non riesco nemmeno a trovare spiegazioni razionali, ma solo logiche: non è umano. E questo è semplicemente ridicolo.”
Ino sobbalzò leggermente nel blando abbraccio di Shikamaru ed iniziò a piagnucolare e a strofinare il viso sulla spalla dell'amico.
“Se dovete dirmi qualcosa, sarebbe bene voi lo faceste ora, prima che capiti di nuovo. - Kiba guardò la ragazza prima di aggiungere qualcosa che fece stringere i denti a Shikamaru tanto da fargli male - Prima che possa succedere a qualcuno che conoscete.”
In quel preciso istante la sirena di una volante in avvicinamento fece voltare la testa all'Inuzuka di riflesso, lasciando il tempo al Nara di levare le tende. Quando Kiba tornò su i due strani individui trovò solo il vicolo deserto davanti a lui.





L'ascensore avrebbe scricchiolato e cigolato e ruggito abbastanza da svegliare tutto il palazzo, così prese le scale, con grande gioia dei suoi piedi doloranti.
Girò la chiave con lentezza, cercando di fare meno rumore possibile, quando la serratura fece il suo dovuto scatto, entrò senza accendere la luce. Si richiuse il portone dietro con la stessa calma e la stessa accortezza.
“Dove diavolo sei stato?” La luce si accese e lui quasi cadde a terra incespicando nella coda di Akamaru, suo fedele ed inimitabile compagno di giochi, ozio e passeggiate.
“Che cavolo, che ci fai ancora alzata?” Tsume digrignò i denti mentre suo figlio guardava ovunque tranne che nella sua direzione.
“Non cambiare discorso Inuzuka, dove sei stato?” Le unghie curate e un po' lunghe picchiettarono velocemente, a scalare dal mignolo all'indice sul bracciolo della poltrona di pelle.
“In giro.” Temporeggiò, accarezzando il fidato amico perpetuamente scodinzolante.
“In quel tipo di giro che ti fa portare appresso arma e torcia? Ti avevo detto di starne fuori, mi sembra.”
Kiba sbuffò spostando di poco il deretano del peloso quadrupede e sedendosi sul divano. Fin da piccolo gli era sempre sembrato che quella poltrona fosse usata per incutere timore, sua madre ci si sedeva sempre per sgridarlo e anche sua sorella negli ultimi anni aveva preso a rompere dall'alto di quell'accozzaglia di stoffe floreali. Oltretutto quel pezzo stonava col resto dell'arredamento, quindi il motivo per il quale ancora si ergeva in quel suo tetro angolino, era per incutere un po' di sano timore. Solo un po', perché il resto ce lo metteva volentieri quel soldato sadico che era sua madre.
“Perché non posso semplicemente essere stato a fare un giro con Shino e gli altri?”
“Perché Shizune-san e Tenzo-san ti hanno visto correre via dalla scena dell'ultimo delitto.”
“Uffa... Chi è di turno stasera a parte loro?”
“Non sono affari tuoi. Comunque Hana è stata incaricata di parlare alla famiglia e di farsi dare informazioni, magari le vittime sono scelte in base ad una qualche logica.”
La luce tremò e lo sguardo di entrambi si posò su una falena, con il suo sbattere le ali vicino alla luce creava forme strane sul muro.
“O magari no.” Borbottò il ragazzo osservando la farfalla appoggiarsi sul pezzo di stoffa dell'abat-jour.
Tsume lo guardò aggrottando le sopracciglia. Si grattò la testa ed ispirò.
“C'è qualcosa che non so e che dovrei sapere?” Indagò senza tanti preamboli, facendo sobbalzare il figlio che si alzò dirigendosi verso la sua stanza.
“No no, dicevo così, per dire.”
“Certo. Kiba. - La donna lo richiamò con un filo d'apprensione nella voce e lui si fermò lanciandole uno sguardo neutro ed assonnato - Sta’ molto attento. E non voglio assolutamente che tu e i tuoi amici andiate in giro da soli di notte, anche in centro, potrebbe essere solo un caso che le vittime siano state ritrovate in periferia. Sono stata chiara?”
“Sì, signora.”





“Non è questo il punto Ino.” Urlò guardando la compagna arretrare e imbronciarsi, miagolando scuse.
“Avevi detto di non essere arrabbiato.” Gli ricordò, con una nota di fanciullesco risentimento nella vocina leggera.
Il ragazzo si massaggiò una tempia respirando a fondo e pentendosi di aver alzato la voce.
“Lo so. Ed è vero! Scusa, non dovevo alzare la voce.” Le disse, realmente dispiaciuto, mentre le prendeva una manina portandosela oltre il collo e la abbracciava, con la sua risatina felice e senza tempo nelle orecchie.
All'incirca quattro ore più tardi Ino dormiva nella sua stanza, dopo aver mangiato. Il sole era ormai sorto da una decina di minuti. Chouji, incaricato di far provviste, aveva svolto bene il suo compito e si era messo ad ascoltare tutto con malcelata apprensione, prosciugando un intero piccolo ed indifeso capriolo. Shikamaru seduto davanti a lui aveva riassunto l'episodio con una strana espressione sul viso e non aveva toccato cibo.
“Quindi fammi un favore Chouji: - stava finendo di dire il Nara - Non lasciare sola Ino per nessun motivo, a maggior ragione quando sarò fuori, dobbiamo trovare chi miete vittime in tempo, prima che la cosa diventi troppo grande e faccia scoprire anche noi.” Il ragazzo cicciottello di fronte smise improvvisamente di ingozzarsi e, tutto sporco di sangue, pose una domanda irritante:
“Allora intendi aiutare davvero quell'umano?”
Shikamaru si toccò la fronte e il suo sguardo vagò per la stanza. Al centro della suddetta un raggio di luce filtrava dal tetto crepato della vecchia cripta; spesso veniva circondato da pile di libri o da cerchi di candele più o meno alte per evitare di incapparci, magari sovra pensiero, ma a volte niente recintava quello spruzzo di luce che, come fosse animato, illuminava un minimo quell'antro buio.
Quell'umano sembrava davvero come quel raggio di luce e, qualcosa nel suo insieme, lo attirava quasi più del sangue, che perdeva attrattiva al confronto con il suo odore.
“Che seccatura.” Soffiò, facendo sorridere l'altro anche al ricordo di quello che Ino aveva detto, a proposito dei pensieri dell'umano.





Nell'oscurità di una fognatura qualcosa si muoveva, agitandosi e grugniva, scontento.
“Smettila di fare tutto questo baccano idiota, mi stai irritando.” La voce bassa e pacata non destava però sicurezza, ma intensi brividi, a volte persino al suo compagno di viaggio.
“Kakuzu! Non penserai che oltre a mangiare poco debba anche evitare di lamentarmi?” Un pugno si agitò nell'aria con distinta ferocia.
“Ho fame anch'io, ma non per questo sbraito e mugolo tutto il tempo. Inoltre credevo di averti spiegato che siamo già troppo in vista così, senza fare decine di vittime come vorresti tu.” Il tono spazientito e leggermente più veloce, unico segno di alterazione, venne ignorato dall'interlocutore.
“Una volta non era così...” Piagnucolò ancora, lasciandosi scivolare sul pavimento umido, chiudendo gli occhi su un fascio di luce che filtrava da un tombino poco più in là.
“Hidan, una volta non eravamo nel ventunesimo secolo.” Puntò gli occhi al cielo, soffiando però un tono invariato.
“Mi piacevano di più quei tempi! Era anche semplice cavarsela, un gioco da ragazzi!” Sorrise quello, mettendosi seduto e ricordando forse bei tempi andati, fatti di luoghi da scoprire e carneficine a cui partecipare.
“Parla quello che si è fatto staccare la testa.” Hidan in un attimo si fece serio.
“E sta’ zitto. - Sbraitò tornando sdraiato -anche senza testa ce l'ho fatta ad evitare il paletto.”
“Complimenti.” Commentò con poca intonazione e nemmeno il minimo interesse, il gigante seduto accanto a lui.
Fuori di lì l'aria andava riscaldandosi.





Sono arrivata ultima T.T ergo mi servirebbe un po' di supporto morale (leggersi: vi prego, commentate!). Grazie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo 2



Sua madre gli aveva detto di starsene lontano da quella faccenda: forse allora era proprio per quello che lui era lì a godersi l'ennesimo spettacolo raccapricciante. Questa volta l'aveva fatta grossa, rubando la radio alla volante di Yamato-san; le due donne di casa Inuzuka gliela avrebbero fatta pagare cara, ma adesso tutto quello a cui riusciva a pensare era un modo per risolvere la situazione.
La vittima questa volta era una ragazza, probabilmente di qualche anno più grande di lui, forse addirittura una decina, ma comunque molto, troppo, giovane.
Le ginocchia lisciarono il tessuto dei pantaloni della divisa quando si piegò; osservò le mani curate, i vestiti firmati, i capelli lucenti e di un colore insolito, poi gli occhi blu, sbarrati, allucinati, privi di vita. Il conato si fece strada improvviso e violento, si voltò per non inquinare la scena del delitto, ma principalmente per rispetto. Quando lo stomaco smise di contrarsi alzò la testa e si ritrovò davanti due occhi conosciuti, ma così malinconici e privi di luce da far male.
“Non avvicinarti tanto se ti fanno questo effetto.”
Kiba si morse il labbro, voltando il capo nella direzione del corpo inerme nell'ennesimo vicolo di periferia.
“Credevo la cosa non ti toccasse affatto, sai che potrei infilarti nei sospettati, dal momento che sembra tu ti diletti a gironzolare sulle scene dei crimini, senza provare alcun tipo di malessere alla vista di tali scene?”
Finito di parlare si voltò nuovamente per accogliere la risposta dell'altro; lo trovò invece ancora più vicino di quello che già era pochi istanti prima.
Shikamaru scrutava il viso di quell'umano: gli occhi ora sorpresi, ora spaventati, ora adirati o frustrati, ed era bellissimo vedere tanto fervore, tanta vita, era bellissimo stargli così vicino. Tanto vicino da sentirne il calore e l'odore. Odore che lui non poteva permettersi di inalare, vita che lui non poteva osare sfiorare con quelle sue dita sporche di morte e cenere.
“Forse non hai azzeccato il lavoro, dopotutto.” Ignorando il suo tono confidenziale e la voglia di smorzare l’atmosfera davanti allo schifo della vita, lui optò per l’indifferenza immortale, schermandosi così da ogni riverbero che quella persona vera, viva ed incredibilmente diversa dalle altre, emanava prepotentemente.
Il poliziotto rimase fermo, un odore strano gli si intrufolò nelle narici. Sapeva di antico come i libri della biblioteca comunale, sapeva di resa come la nonna che era spirata in compagnia di un cancro e sapeva di sigaretta come, ricordava bene, suo padre, quando un tempo lo era stato. Odorava di cose conosciute, diverse tra loro e difficili da trovare insieme, ma anche di qualcosa che non riusciva a ricordare. C'era forse paura da qualche parte?
Shikamaru si sentì male ad essere così vivisezionato e compreso da qualcuno tanto distante da lui, ma allo stesso tempo quel che lesse in quella mente semplice fu qualcosa di ristoratore, qualcosa che, per la prima volta dopo centinaia di anni e nonostante i suoi due insostituibili amici, lo fece sentire confortato, compreso. Meno solo.
Distolse lo sguardo puntandolo a terra, colpevole, colpito.
No, non avrebbe più letto quella mente, aveva fatto un giuramento e lo avrebbe onorato ogni singolo giorno della sua eterna vita.
Si voltò facendo qualche passo avanti.
“Ehi, aspetta! Chi sei? Dove abiti?” Ma quello non sembrava intenzionato a fermarsi e tanto meno a rispondere. “Posso sapere almeno il tuo nome?”
Il Nara si fermò di colpo. Il suo nome.
Importava davvero come si chiamava? Ad una vita mortale probabilmente cose come nome, cognome, luogo e data di nascita erano indispensabili, ma lui non aveva motivo di confidare in regole e convenzioni sociali. Il tempo, comunque, avrebbe sbiadito tutto ciò che lo circondava, incluso quel ragazzo di una bellezza semplice, quasi selvaggia; con quegli occhi, dal taglio leggermente ferino, di quel verde-marrone così chiari da risultare del colore del miele, da risultare gialli, come quelli di un lupo.
“Dovresti provare ad arrivare prima che muoiano.” suggerì con un tono molto poco sarcastico, prima di sparire nell'oscurità di un parco, lasciando l'altro alla fioca luce di un lampione.
Così sarebbe andata: il giovane sarebbe rimasto sotto la luce a consumarsi mentre lui avrebbe camminato, immutato, nell'oscurità, fino alla fine dei tempi.





Era furioso.
Una volta rientrato aveva ricevuto IL trattamento completo da madre e sorella e, solo dopo quarantasette minuti di sani e cordiali scambi di insulti misti a categoriche proibizioni, era riuscito a svignarsela in camera sua.
Come aveva potuto pensare che quell'essere insensibile avrebbe potuto aiutarlo in un qualsiasi modo? Era già tanto che gli avesse fatto il favore di elargirgli quelle poche parole odiosamente sarcastiche.
Qualcosa comunque stonava, qualcosa di quel ragazzo lo stordiva, lo faceva sentire attratto e le sue difese si abbassavano sempre in sua presenza, come se non vi fosse pericolo alcuno, come se tutto quello che di più giusto ci potesse essere fosse avvicinarsi a lui.
In qualche modo gli ricordava quelle folli creature ubriacate dal senso di onnipotenza che poteva dare l'immortalità, che popolavano i libri che leggeva sempre la piccola Hinata che, più coraggiosa di tutti, si avventurava nei meandri della letteratura cupa di questi personaggi e spesso sembrava capirne l'essenza con fine e rispettoso fangirlismo.
Fuori albeggiava e la sua giornata libera sembrava improvvisamente qualcosa di fin troppo denso e pesante da inghiottire in sole ventiquattro ore. Piano, lasciò che il torpore del sonno mancato lo cullasse in un caldo dormiveglia. Guardando la luna che cedeva il posto al chiarore dell'enorme e vitale astro, gli venne da chiedersi che cosa spingesse un suo coetaneo a frequentare scene di crimini orribili.
L'attimo che venne dopo questa sua domanda, sembrò dilatarsi come le sue pupille, di scatto si alzò a sedere, improvvisamente lucido. Si ritrovò il respiro affannato e sentì la sudorazione aumentare quando realizzò quanto assurdo e stupido e reale poteva essere ciò che stava pensando.
In un attimo di follia prese il cellulare e digitò un numero che conosceva da troppi anni per non saperlo a memoria. Seduto sul bordo del letto si passò una manica sulla fronte imperlata di sudore, tamburellando con i piedi sul pavimento, ascoltando con nevrotica attenzione il suono che dava libero che usciva dal telefonino.
“Eee... pronto? Hinata? Disturbo?” Certo che disturbava: erano appena le sette, quale mostro si sarebbe alzato a quell'ora di Domenica? In quelle mattine gelide poi.
Ma Hinata, gentile come solo la gentilezza stessa avrebbe potuto essere, ascoltò con leggera ed assonnata curiosità i farfugliamenti dell'amico.
“Ti volevo chiedere, cioè, scusa per l'orario, è che... vedi... ipotizziamo per un momento... Hinata ci sei?” Nessun tipo di rassicurazione poteva farlo sentire meglio, perché non era paura di ciò che poteva essere quella che sentiva, ma paura di ciò che non avrebbe potuto avere. Troppo distante, in ogni singolo aspetto delle loro esistenze, come linee parallele che mai si sarebbero potute sfiorare. “Ecco, ipotizziamo per un attimo che... che... oddio, che possa esistere uno... uno di quegli esseri che tu tanto adori.” Il silenzio dall'altra parte invece di agitarlo lo rasserenò un minimo e lo incoraggiò a continuare. Hinata non lo stava deridendo, lo ascoltava come aveva sempre fatto con tutti.
“Che...? Insomma, come...? Sarebbe, ecco, possibile verificare? Evitando soluzioni drastiche però. Stiamo... stiamo sempre ipotizzando eh! Eheheh.” ridacchiò, sentendosi ancora più stupido di quanto avesse potuto suonare la sua risatina isterica.
La vocina angelica che aveva sempre avuto la sua piccola amica gli accarezzò l'orecchio con parole precise ed assurdamente professionali, tanto da lasciarlo confuso. Solo dopo che il silenzio arrivò anche dall'altra parte dell'apparecchio si arrischiò a respirare di nuovo.
“Grazie, Hinata-chan, scusa se ti ho disturbata. Ti prego, torna a dormire.” chiuse così la telefonata, sussurrando le ultime parole come se avesse avuto timore di dire qualcosa di sbagliato.
Nel silenzio della sua camera, le poche e precise parole che l'amica gli aveva riferito, rimbalzavano ovunque, creando un'immensa confusione dentro di lui.





La sera giunse troppo in fretta secondo il Nara, avrebbe voluto ritardare il più possibile.
Uscì di corsa, subito dopo il tramonto, gli ultimi riverberi nel cielo multicolore accarezzavano la sua pelle senza danno alcuno. Entrò nella periferia e, a passo svelto, si diresse nella piccola piazza al centro di quell'insieme periferico. Da lì avrebbe preso a fare tutte le strade circostanti. Una volta arrivato però, un grumetto di vestiti destò la sua blanda curiosità.
Senza divisa, con tanto di giaccone imbottito e giubbotto antiproiettili, gli strati di vestiti si ammonticchiavano sulla figura del poliziotto e, in un primo momento, non lo aveva riconosciuto.
“Ti cercavo.” disse il grumo e due occhioni dorati uscirono fuori da uno spesso cappuccio.
Shikamaru non rispose, ma percepì improvvisamente qualcosa che non sentiva da tanto di quel tempo da averlo dimenticato: calore.
Kiba strinse l'oggetto che aveva in tasca.
“Volevo darti un portafortuna.”
Il Nara sbuffò e finalmente degnò l'altro di qualche parola.
“Non ho bisogno di una cosa così. Tienilo tu.”
“Non so se ne hai bisogno o meno, quel che so è che sei tu quello che gira di notte disarmato.” Detto questo Kiba allungò il pugno chiuso verso l'altro.
Shikamaru osservò la mano tesa poi, la sua attenzione scivolò sul ragazzo. Si era ripromesso di non leggergli nel pensiero e così avrebbe fatto. Però era davvero un bel ragazzo, e più lo guardava più aveva voglia di avvicinarsi; prendere qualcosa da lui non gli avrebbe fatto male, lo avrebbe comunque ricordato per tutta l'estenuante durata della sua non vita, ma avere qualcosa di suo gli avrebbe fatto piacere.
Aprì, così, la mano sotto il pugno chiuso dell'altro.
Kiba tentennò. Sospirò agitato, il ragazzo davanti a lui continuava a guardarlo, senza mettergli alcuna fretta. Abbassò il pugno di poco e sfiorò quella mano, sobbalzando leggermente nel sentirla così fredda.
Quel tipo si stava fidando di lui: se avesse voluto fargli del male lo avrebbe già fatto, non era comunque il ragazzo che aveva di fronte a portare la morte nella sua tranquilla periferia. Chiuse gli occhi interrompendo il contatto visivo e ritirò la mano.
Il Nara si accigliò.
“Che c'è? Ci hai ripensato?” Ma l'altro non diede risposta a quella domanda anzi, la ignorò.
“Mi dispiace.” Shikamaru confuso alzò un sopracciglio. “Non voglio farlo. Non voglio farti male, sono abbastanza sicuro di quel che sei. Voglio sentirtelo dire.” Questa fu la volta del Nara di trasalire.
Non si aspettava quella conversazione, non si aspettava niente del genere. La mano dell'Inuzuka si aprì sotto i suoi occhi e un ciondolo argentato a forma di croce fece capolino nell'oscurità.
Si guardarono ancora come se parlare fosse superfluo, ma Kiba aveva ragione: a volte è necessario dire certe cose, anche se sono già più che ovvie.
“Sono un non morto, un vampiro.” rivelò Shikamaru, abbassando gli occhi sulla croce. Prese la mano del ragazzo e la portò più vicino al suo corpo freddo; Gli tolse il ciondolo e portò quella mano calda sul proprio petto. “Il mio cuore non batte più da secoli.”
Kiba rimase fermo, gli occhi gli si erano sgranati e la bocca era rimasta leggermente aperta. Tremava senza sapere come smettere. Pensava che quelle tonnellate di cinismo e menefreghismo fossero dovute alla noia che, un essere come lui, poteva provare nel misurarsi con degli insignificanti mortali. Pensava che, la sua immortalità, lo avesse reso impermeabile al fiume di emozioni che perfino lui, una volta, doveva aver provato. Credeva che niente facesse più male di un cuore che batte.
Ed invece, realizzò con infinita amarezza, un cuore che non batte è devastante e non c'è rimedio; Non sentire è peggio, molto peggio, di sentire troppo. Quando un velo nebbioso gli scorse davanti, Kiba uscì da quella catatonica situazione e si ritrovò a fissare la mano del ragazzo che bruciava, sfrigolava, creando del fumo.
In un gesto veloce gli strappò il ciondolo, guardando la pelle rigenerarsi mentre il braccio tornava accostato al fianco.
Kiba si sentì invaso da un'onda anomala di rabbia e tristezza per quello che avrebbe dovuto capire da subito.
Quel ragazzo non era affatto menefreghista e cinico, non era esaltato all'idea dell'eternità che aveva davanti, non amava quella condizione.
La sua era solo una difesa, un modo per tenere lontani quelli come lui, che non sarebbero sopravvissuti, che non avrebbero potuto fargli compagnia in eterno. Solo, era così che doveva sentirsi: enormemente, incredibilmente e insostenibilmente solo.
Alzò lo sguardo dalla sua mano ormai rigenerata e lo puntò in quelle iridi stanche. Il suo corpo si mosse e, prima che l'altro potesse reagire, lo abbracciò.
La pelle fredda del viso a contatto con quella calda del suo, gli provocò un brivido e gli odori che aveva avvertito la sera prima si riproposero più limpidi. Sentì l'altro sobbalzare, sorpreso, e strinse ancora di più le braccia con cui gli aveva circondato i fianchi.
Dopo un po' avvertì le mani dell'altro sulla propria schiena, si sentì stringere a sua volta e ne fu felicissimo. Qualcosa si sciolse dentro di lui: percepì la voglia di non farlo mai più sentire solo farsi strada a gomitate, fino alla vetta delle sue priorità.
Si staccò da quel corpo freddo tenendo gli occhi bassi, si vergognava di ciò che aveva fatto, magari l'altro non aveva neanche gradito.
“Scusa. Mi dispiace.” disse con una smorfia, sentendo la nausea salire, sentendosi uno schifo.
Shikamaru guardò la piccola goccia che uscì dalle ciglia dell'altro con apparente indifferenza, ma avrebbe tanto voluto abbracciarlo di nuovo.
“Non preoccuparti.” mormorò assente, senza riuscire a trattenersi dal raccogliere la lacrima sulla guancia calda dell'umano. “Dovrei ritenermi fortunato, in fondo: si muore una volta sola ma per tanto tempo.” finì, in un sussurro che sembrava crepare la sua gola come il tempo fa con le montagne, lentamente, straziandole e lacerandole in secoli e secoli. Così, Kiba capì in quel momento, con quella frase, come si sentiva quel ragazzo. Questo doveva sopportare: di essere già morto, e di non poterlo fare ancora. Questa era la sua dannazione.

Seduti sulla scalinata, si osservavano quando l'altro non guardava, chiusi in un silenzio che non era affatto silenzioso.
Kiba prese la mano dell'altro e la sfiorò: non era rimasto niente della bruciatura, nemmeno una piccola traccia.
“Posso sapere il tuo nome?- Soffiò a voce bassa, senza distogliere l'attenzione dalla pelle chiara e liscia del giovane seduto accanto a lui -per favore.” Aggiunse poi, voltandosi.
L'altro torse il polso fino a prendere la mano del poliziotto.
Qualcosa era cambiato: sentirsi compreso gli faceva provare una strana sensazione di completezza, lo faceva sentire meno solo, meno abbandonato. Meno disumano.
Kiba guardò le loro mani toccarsi, godendo dei brividi che la temperatura corporea dell'altro gli procurava.
Voltandosi nuovamente, si trovò il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo. Rimase immobile chiudendo gli occhi.
Nara si avvicinò piano e, quando arrivò ad una distanza ridicola, si fermò.
“Shikamaru.” sussurrò flebile, prima di allontanarsi un poco e far scivolare lo sguardo sulle labbra dell'Inuzuka.
Lo vide avvicinarsi inconsapevolmente: le labbra leggermente aperte, gli occhi chiusi. Sentì chiara la voce che gli urlò di spostarsi, di portarsi ad una distanza di sicurezza, ORA!, urlò quella voce a pieni polmoni. Si scansò alzandosi e scendendo quei due o tre gradini del monumento che faceva sfoggio in mezzo alla piccola piazza, lo spostamento d'aria creato da quel gesto destò Kiba dalla trance in cui si era sentito catapultato.
“Dì ai tuoi colleghi che questo tipo potrebbe essere fotosensibile, digli di portarsi dietro delle torce ad ultravioletti.” proferì composto, prima di accendersi una sigaretta, “ci vediamo.” e sparì in una coltre di nebbia, lieve ed improvvisa.





“Senti Hatake non discutere, non vi costa niente, gli ultravioletti sono in dotazione e non hanno un peso ed un ingombro eccessivo.”
“Ma non ha senso! Il fatto che non faccia vittime di giorno non sta automaticamente a significare che sia fotosensibile, allora perché non portarsi dietro dell'aglio? Magari è un vampiro!” ridacchiò l'uomo portandosi la sigaretta alle labbra.
“Potrebbe essere. - Rispose Kiba inacidito - Dovresti comprare anche dell'argento: se è un licantropo l'aglio lo userà per condirti.”
“Calma ragazzi, o le prendete tutti e due.” li ammonì Hana, “effettivamente Kiba non abbiamo validi motivi per pensare che abbia quel raro tipo di disturbo, ma dal momento che, è vero, non ci costa fatica, ci muniremo ugualmente di torce ad ultravioletti. La riunione è conclusa.” Hana si alzò e lanciò uno sguardo al fratellino. A volte avrebbe davvero voluto aprire quella testolina, per vedere che diavolo ci potesse essere dentro da farlo sembrare un tipo tanto anomalo quanto contorto.





Kiba era finalmente riuscito a strappare un permesso alla madre. Non era entrato nel caso, ma almeno poteva pattugliare per dare un po' d'aiuto. Un contentino, insomma.
Mentre camminava per quelle strade deserte si chiedeva che cosa stesse facendo Shikamaru, magari non era davvero un vampiro, magari usciva di notte perché gli serviva tutta la luce diurna per farsi quello strano codino. Ridacchiò delle idiozie che la sua mente, malata, riusciva a partorire. Il secondo dopo, infatti, stava pensando a quanto sexy avrebbe potuto essere con indosso solo il laccio del codino, oppure con i capelli sciolti, nudo e il laccio in bocca da cui spuntavano i canini. Si morse le labbra schiaffeggiandosi mentalmente: non avrebbe dovuto distrarsi in quel modo, probabilmente non avrebbe fatto la differenza neanche con tutti i sensi all'erta, ma distrarsi sarebbe stato un macabro invito.
Fu proprio in quel momento che udì del tramestio provenire da dietro l'angolo della via che stava percorrendo.
Si avvicinò cauto, l'arma in una mano, carica, e la torcia nell'altra. Si sporse con la testa oltre l'angolo e gli occhi gli si sgranarono sulla scena di un uomo che strattonava quello che doveva essere un ragazzo.
Avanti kiba, che stai facendo? Sveglia! Si staccò dal muro e puntò l'arma sul carnefice.
“EHI, FERMO! Sono della polizia, sei circondato, arrenditi!” L'uomo si voltò sorpreso ed irritato per essere stato interrotto, facendo cadere la vittima al suolo. “tieni in alto le mani, allontanati da lui lentamente, o giuro che ti fotto un occhio.”
L'altro, come se l'Inuzuka non avesse neanche parlato, lasciò le braccia lungo i fianchi, il viso tutto sporco di sangue si deformò in un ghigno e una risata folle riempì l'aria.
“Brutta testa di cazzo, io sono immortale, non puoi uccidere un immortale! Fottermi un occhio, AH! Fammi vedere come fai.” sibilò un momento prima di saltargli addosso.
Kiba si lasciò cadere spalle a terra, tenendo il vampiro lontano con le gambe giusto il tempo di puntargli la torcia ad ultravioletti nell'occhio sinistro. Un urlo animalesco squarciò la quiete della notte.
“Piccola puttana mortale, come hai osato? IL MIO OCCHIO! IL MIO OCCHIO!” ululò la bestia ferita, “me la pagherai scarafaggio! ME LA PAGHERAI CARA, stanne certo.” e scomparve in una folata di vento.
Il poliziotto che era in lui si sentì fiero del suo operato, il ragazzo invece rilassandosi per poco non se la fece addosso.
Si alzò, le gambe e le mani tremanti, si spolverò la divisa e poi spostò lo sguardo sull'ennesima vittima, immobile. Era arrivato in ritardo, ancora una volta. Si avvicinò al neo cadavere, preferendo essere ovunque tranne che lì, lo voltò e lo stomaco si accartocciò su se stesso mentre la nausea improvvisa lo costrinse a deglutire. Cadde in ginocchio sentendosi risucchiare da un vortice di malessere, la testa gli dolse tanto da portarlo a premere istintivamente le dita nel punto dolorante, si voltò e vomitò copiosamente. Puntando una mano a terra per non cadere, portò l'altra alla bocca mentre il primo singhiozzo si fece spazio nella sua gola facendo male come una coltellata: sdraiato supino, nella pozza creata dal suo sangue, quel poco che il vampiro non aveva fatto in tempo a bere, c'era il suo migliore amico, Shino.
Si sentì gridare tante cose, ma non ebbe cognizione alcuna dell'entità delle parole dette; si sentì trascinare via di peso, ma non seppe chi ringraziare per avergli tolto quell'immagine da davanti agli occhi.
Sotto shock, si sentì stringere ed accarezzare quando ancora lacrime intrise di dolore scendevano senza fine, mentre tutto sembrava assumere sfumature sempre più chiare, mentre tutto sembrava sbiadire e perdere importanza. Mentre la sua mente spossata, distorta dall'orrore e la disperazione, si chiudeva su quell'osceno teatrino.





La prima cosa che vide fu rosso, rosso ovunque. La stanza sarebbe stata buia se non fosse stato per qualche cero mezzo consumato, quindi strizzò gli occhi. Mise a fuoco e, prendendo coscienza degli altri sensi, si accorse che giaceva in un letto che non era il suo: rosso, a baldacchino.
Sobbalzò sentendo qualcosa muoversi in quel letto e voltandosi scoprì che la ragazza bionda dormiva placida accanto a lui.
Si sentiva consumato come il suo cuore, come se lo avessero usato per pulire le aule dell'università che frequentava, come se non avesse mai fatto altro che correre. Shino. Non c'era più, e non sarebbe più tornato. Non lo avrebbe rivisto. Mai più.
Un paio di lacrime sfuggirono al suo blando controllo.
Avrebbe voluto tirarsi a sedere, ma si accorse di avere una mano bloccata e voltandosi si trovò la testa di Shikamaru appoggiata a qualche centimetro dal suo fianco; i capelli sciolti, il viso rilassato, le braccia incrociate sotto la testa e la mano stretta nella sua. Non resistette alla tentazione e spostò, in una carezza, una ciocca d'ebano che gli era finita sul viso.
Il vampiro aprì gli occhi e si voltò incrociando quelli arrossati e spenti dell'umano. Le guance rigate, la pelle anch'essa arrossata e lo sguardo perso, quasi vacuo.
Kiba gli fece un'altra carezza e Shikamaru mandò al diavolo quella stupida ed insistente vocina, si sporse in avanti e lo abbracciò. Kiba si lasciò scappare un lamento e fece una leggera pressione affinché l'altro capisse che voleva si sdraiasse con lui. E il Nara, ancora una volta, si lasciò guidare dall'istinto.
Poggiò la fronte sulla sua osservando da vicino quegli occhi dorati brillare, lucidi di dolore.
“Mi dispiace.” sussurrò ed abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere tutta la devastazione che aveva visto e che leggeva nell'anima dell'Inuzuka.
Le sue grida lo avevano raggiunto così disperate che non aveva fatto altro che correre, prima di trovarlo sporco di sangue, abbracciato al corpo senza vita di quello che, aveva capito dalle poche parole cacciate tra i singhiozzi, era il suo migliore amico. Era rimasto una manciata di secondi quasi scioccato a sentirlo piangere e urlare, devastato, dilaniato. Poi era corso a tirarlo su, lo aveva chiamato per nome, Kiba lo aveva guardato, ne era sicuro, ma forse neanche lo aveva riconosciuto; lo aveva però abbracciato, tanto forte da fargli sentire le ossa scricchiolare, in barba al fatto che quello con più forza fisica avrebbe dovuto essere il vampiro.
Shikamaru lo aveva poi trascinato via da quel posto che puzzava di morte e sangue, come solo il luogo in cui era morto Asuma-sensei aveva fatto. Arrivati nella cripta aveva chiesto aiuto e i suoi compagni erano stati molto disponibili, anche se stava chiedendo loro di trasgredire ad una regola da lui stesso imposta. Ino aveva pulito l'umano, Chouji era andato nel bosco e aveva trovato foglie indicate per fare una tisana. Il Nara lo aveva accarezzato e cullato tutto il tempo, perché appena uno degli altri due aveva cercato di far allontanare il poliziotto dall'amico, quello cominciava ad urlare rifiutando di staccarsi. Alla fine, stremato, gli si era addormentato tra le braccia, con ancora le lacrime che uscivano grandi come sfere di cristallo in cui si scorgeva solo sconforto.
“Dimmi che sto facendo un brutto sogno, dimmi che mi sveglierò e che Shino tornerà a rompermi le scatole con le sue frasette criptiche.” Il bisbiglio del ragazzo lo riportò al presente, alzò gli occhi su di lui, desiderando davvero potergli dire che, sì, il suo amico sarebbe tornato perché quella era solo una morte apparente. Ma non lo avrebbe mai fatto, non lo avrebbe mai illuso, anche se non riuscì neanche a dirgli il contrario. Riuscì solo a stringerlo di nuovo, in un abbraccio gelido che non avrebbe mai potuto scaldarlo come avrebbe voluto fare. Inaspettatamente però, Kiba sembrò rilassarsi in quella gradita manifestazione di un affetto richiesto a gran voce dal suo cuore, strangolato da un dolore troppo forte per essere smaltito in solitudine.
“Shikamaru.” sussurrò il suo nome al suo orecchio aspettando che voltasse il viso e lo guardasse, “aiutami, ti prego, aiutami a prenderlo.” Un'ennesima lacrima solcò la pelle arrossata della sua guancia e il Nara si maledisse più di quanto già non fosse per cedere in quel modo a quel fragile umano.
Annuì, ricevendo in cambio un bacio vicino alle labbra che gli fece chiudere gli occhi e stringere la mano sul fianco dell'altro.
Kiba gli regalò un sospiro e lui si morse l'interno guancia con forza, sentendo i pantaloni divenirgli un poco più stretti.
Si guardarono negli occhi, anche nella semi oscurità si poteva distinguere il rossore per la pelle irritata dal pianto e quello dell'imbarazzo che invece colorava, in quel momento, quel visetto triste.
“Sei bellissimo con i capelli sciolti.” disse Kiba in un bisbiglio, che sembrò rimbombare ovunque, mentre infilava le dita in quei fili neri.
Anche tu, anche tu, Shikamaru avrebbe tanto voluto dirgli che non aveva mai visto niente di più bello della persona che era, volendo tralasciare che fosse davvero un bel ragazzo. Ma come al solito non lo disse, anche se non riuscì ad evitarsi di lasciargli un bacio freddo sulla fronte bollente.
“Adesso dovresti tornare a casa, i tuoi genitori saranno in pena da morire.”
“Ma chi? Mia madre e mia sorella? Staranno festeggiando, probabilmente.” fece un sorriso tirato, amaro.
“Non dire sciocchezze.” quasi si sentì urlare il Nara, addolcendo il tono subito dopo, “vieni.” disse, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
L'Inuzuka osservò la ragazza dormiente accanto a lui, trovando anomalo che non si fosse svegliata, con tutto il baccano che erano riusciti a fare, anche solo bisbigliando.
“Non preoccuparti, Ino dorme come un sasso: praticamente niente riuscirebbe a destarla.”

Quando fu pronto salirono le poche scale per andare alla stanza superiore, qui vi trovarono Chouji che dormiva e russava come un trombone, il fascio di luce che filtrava nel mezzo alla stanza stupì Kiba.
“Credevo fosse notte.” disse stropicciandosi un occhio.
“La nostra notte è il tuo giorno.” spiegò, anche se ovvio, togliendo la mano dell'umano dal suo occhio già arrossato.
“Giusto.” sorrise mesto l'Inuzuka “Allora mi aiuterai?” Shikamaru lo accompagnò alla porta e lo guardò serio.
“Ti aiuterò.” promise, lasciandolo andare. Si allontanò dalla porta e quando fu aperta si rintanò maggiormente nell'oscurità minacciata da quella fetta di luce accecante. Kiba si voltò un'ultima volta.
“Grazie.” e se ne andò, facendo calare ancora una volta le tenebre nel mondo di Shikamaru.
Camminò senza realmente vedere niente di quello che lo circondava, camminò per inerzia, fino a trovarsi davanti al portone del suo palazzo. Quando aprì, la signora del terzo piano ne uscì con un sorriso sdentato ed un “buonasera” che venne ampiamente ignorato. Gli scricchiolii ed i cigolii emessi dall'ascensore gli ricordarono dei lamenti strazianti, chiuse gli occhi sospirando. Dire che era stanco era un eufemismo.
La chiave non fece in tempo a girare nella toppa che la porta di casa si spalancò e Tsume Inuzuka lanciò un lamento peggiore di quello dell'ascensore, abbracciandolo di slancio e piagnucolando una nenia simile a “grazie al cielo sei qui, stavo per impazzire, dove cacchio sei stato? Ora ti spezzo tutte le ossa che ti ho fatto.”
Sua sorella, comparsa oltre la porta, aveva più o meno la stessa cera, la stessa aria stropicciata e gli stessi occhi rossi.
“Dio Kiba, ci dispiace un sacco per Shino.” la voce si incrinava, gli occhi bassi, le mani strette all'altezza dello stomaco.
“Santo cielo Kiba, ci dispia...” si bloccò sua madre avvertendo l'inutilità di tutto quello, “lo prenderemo Kiba. Fosse l'ultima cosa che faccio. Lo prenderò” Esplose risoluta e minacciosa come solo sua madre poteva essere, anche in momenti come quello, anche con le lacrime agli occhi e la voce rotta.
“Grazie.” la strinse forte a sé, cogliendola in fallo, dopo anni di distanza, perché il suo bambino le ricordava in modo impressionante l'uomo che l'aveva abbandonata, perché avevano lo stesso odore e gli stessi occhi, perché avevano la stessa capacità di farla uscire dai gangheri. “Scusate, ma vorrei farmi una doccia.” Concluse flebile e sconsolato, ma sentendosi un filino meno teso.
“Oh certo! Certo, ti preparo il bagno.”
“E il letto Hana, sarà spossato. Ma dove sei stato amore mio? Me la sono fatta addosso.”
Che bella la famiglia! Anche se non era completa, anche se non poteva essere del tutto sincero, anche se spesso si urlavano dietro; le due matte erano comunque sempre quelle che lo amavano di più, in assoluto.





Ino squittì una risatina mentre Chouji, serio come la morte, chiese a Shikamaru se aveva bevuto vino al posto del sangue.
“No, Chouji, per l'ultima volta, sono sanissimo. Vogliamo concentrarci un attimino per cortesia?” urlò portando un silenzio di tomba. Inacidito il Nara tirò su gli occhi al cielo mentre i suoi due amici si guardavano, una esilarata, l'altro perplesso e preoccupato.
“Lo prenderemo, lo prenderemo!” gioì la bionda fanciulla, nel suo chiaro abitino di seta, ilare come non le succedeva da tempo, “mi piace! Io ci sto!” continuò ad agitarsi sul divano dove era appollaiata. Chouji arricciò il naso, scontento.
“Ecco, lo sapevo, visto che hai fatto? Adesso vorrà andare là in mezzo a farsi impalare.”
“Smettila Chouji, per l'amor del cielo, ti sto dicendo che non correrete pericoli, ho solo bisogno che mi aiutiate materialmente a fare delle cose, non dovrete prendere a pedate un orso che non mangia da settimane.” Shikamaru si alzò dalla poltrona logora su cui era seduto, sbuffando si massaggiò le tempie, cercando di rimanere calmo.
“Una volta ci hai detto...” iniziò l'Akimichi, pacato.
“Lo so che cosa ho detto Cho, voglio solo che vi fidiate di me come avete sempre fatto.” Si guardarono tutti e tre per un istante. “Vi prego, è importante per me.” Ino scoppiò in una risatina maligna.
“Il signorino si è innamorato hihihi...” e continuò a ridacchiare mentre l'amico paffuto sorrideva complice.
“Sì, va bene, ok, a parte questo?” l'interessato agitò in aria, in un gesto vago, la mano libera, quella che non teneva premuta sugli occhi, “mi darete una mano?”
Chouji gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla facendogli alzare il viso.
“Farei di tutto per poterti veder sorridere di nuovo come facevi un tempo. E Ino già non vede l'ora.”
Il suo amico sembrava davvero la reincarnazione del Buddha quando si comportava in quel modo ed assumeva quell'espressione da illuminato, con quel faccione rubicondo che esprimeva bontà da ogni lato, Shikamaru pensò che sarebbe stata davvero dura, passare attraverso tutti quei secoli, se accanto a lui non ci fossero stati quei due raggi di sole inestinguibili.





Si svegliò di soprassalto per la quinta volta in due ore. Era ormai sera inoltrata e quello non era riposare, non ci si avvicinava nemmeno, e lui ne aveva le tasche piene.
Prese l'arma e la torcia, la radio e tutto il suo coraggio e si buttò dalla finestra finendo sul terrazzo dell'anziano signore del piano di sotto. Un'orchidea dondolò sul ciglio del vuoto, prima che lui la prendesse al volo. Il tetto della palazzina di fronte era molto vicino e con un balzo ci fu sopra, la strada era accessibile da lì tramite un'arrugginita scala antincendio. Una volta in strada sentì l'aria farsi più fredda, come se essere davvero là in mezzo, in quelle stesse strade dove era morto il suo migliore amico, lo facesse sentire più male, come se gli ricordasse che era colpa sua, che non era arrivato in tempo.
Si scosse di dosso la voglia di piangere che aveva ancora radicata nel cuore, e prese a camminare nelle vie più grandi e frequentate, almeno di giorno.
Fuori, la campagna sembrava ingoiarlo in un gelo asciutto che gli seccava la gola ed il cimitero era molto più lugubre e spettrale di quel che ricordava. Trovò subito la cripta giusta e bussò con decisione.
Dopo pochi istanti la porta cigolò e gli occhi scuri che tanto si era accorto di amare fecero capolino.
“Ehi, potevo non essere io. Dovresti stare più attento.” Shikamaru alzò un sopracciglio facendolo passare.
“Lo dice uno che è appena entrato in una cripta con tre vampiri dentro.” Kiba mise il broncio come i bambini, gonfiando leggermente le guance.
“Sì, ok, come facevi a sapere che ero io?” bofonchiò risentito, incrociando le braccia al petto.
Il Nara gli si avvicinò sporgendo il naso verso il suo collo.
“Riconoscerei il tuo odore a miglia di distanza.” sussurrò poi incontrando il suo sguardo sorpreso.
L'Inuzuka colse l'occasione per avvicinarsi, lo prese per un polso un momento prima che si allontanasse.
“Perché ti avvicini e poi scappi appena tento di farlo io?”
Shikamaru indietreggiò, colpito.
“Perché lo fai?”
La testa già gli faceva male prima.
“Che cosa ti spaventa?”
“Io sono morto Kiba.” urlò alla fine, riportando il silenzio, “vivrò per sempre, senza vita, senza sole e senza anima. E tu? Tu vivrai una vita piena, vera, ma mortale. E mi lascerai solo. E ti dovrò guardare invecchiare e morire.” Finì con un tono basso e amaro che fece venire la nausea ad entrambi.
Il silenzio ancora una volta andò in frantumi mentre Kiba fece un passo avanti.
“Sono io quello che dovrà morire, se non interessa a me perché è così frenante per te?”
“Perché sono io che ti perderò, che vivrò il resto di questo schifo senza di te.”
“Allora preferisci vivere solo per sempre, piuttosto che lasciarti amare per il tempo di una vita mortale?” quasi urlò Kiba e sentì la sua voce incrinarsi sulla fine della frase. Vide chiaramente gli occhi dell'altro seguire lentamente il percorso di una goccia salata che scendeva dai suoi, e stufo di quella sua debolezza, stufo di quel nulla, di quella distanza, si avvicinò facendo un altro passo. Prese la mano del ragazzo che aveva di fronte e di cui, sentiva, non poteva più fare a meno, e la portò sul suo petto, avvicinandosi ancora. “Non so se te lo ricordi, ma di solito non va così veloce.” mormorò ad un paio di centimetri dal viso dell'altro. Lasciò lì la sua mano e portò le sue a sfare lo strano codino. Infilò le dita in quel mare di petrolio che profumava di tabacco sentendo una mano fredda toccargli il viso.
Shikamaru imprecò mentalmente mentre chiudeva quella stupida distanza; premette le labbra sulle sue sentendo l'altro sciogliersi tra le sue braccia, avvertendo mani calde infilarglisi nei capelli, dandogli brividi.
Kiba non riuscì a non pensare che avrebbe voluto di più, così poggiò una mano sul suo collo e si spinse contro di lui. Dischiuse le labbra e sfiorò la sua lingua.
L'altro, in quel momento, superò il limite: prese Kiba in braccio e lo portò nella stanza di Ino, lo lasciò andare solo quando si trovarono sul letto e senza smettere di baciarlo lo privò dei pesanti indumenti.
“Accidenti, sei freddissimo...” ridacchiò, senza fiato, alla sensazione delle mani fredde del vampiro sulla sua pelle calda.
“E tu sai di buono.” si lasciò sfuggire Shikamaru mentre faceva passare la lingua sul collo del ragazzo, fino all'orecchio, mentre lottava contro la sua natura e frenava il desiderio di morderlo, pensando a quanto quell'umano si stava fidando di lui. Pensando a quanta vita aveva tra le mani, e che non poteva non essere rispettata.
Kiba buttò la testa indietro ed un gemito uscì dalla sue labbra. Strinse i fianchi del ragazzo sopra di lui e li spinse contro i suoi, sentendo la durezza dell'altro cozzare con la sua.
Shikamaru, accantonata l'idea dei preliminari con l'ultima prodezza di quel ragazzino, si succhiò due dita prima di tornare a baciarlo.
“No,” lo interruppe, sfuggendo al bacio, “non ho bisogno di questo.”
Il Nara si leccò ugualmente una mano e si toccò l'erezione, inumidendola un po'. Nonostante le parole dell'altro, fece entrare un dito sentendosi scivolare dentro con facilità.
Allo sguardo interrogativo che ricevette, Kiba si sentì in debito di spiegazioni. Si alzò sui gomiti e sospirò.
“Shino non è stato solo il mio migliore amico: con lui ho scoperto di essere gay. Poi ci siamo resi conto che era amore fraterno e non c'era nessun altro tipo di coinvolgimento, quindi siamo tornati ad essere amici come un tempo, forse eravamo ancora più uniti.” spiegò con un po' di tristezza nella voce.
Shikamaru annuì spiccio, e il bacio che venne dopo fu accompagnato da un gemito più alto e soffocato. Portandosi nuovamente sopra di lui si appoggiò all'entrata sentendosi poi inghiottire dal calore dell'altro ed ansimando pesantemente nel suo orecchio. Kiba mosse il bacino facendolo scivolare dentro di un altro paio di centimetri, facendoli boccheggiare entrambi. E, prima che la razionalità lo abbandonasse, riuscì solo a pensare ad un ultima cosa: quello che sentiva provenire dal vampiro, per quanto potesse risultare assurdo, era inequivocabilmente calore.
Si sentirono morire e rinascere, con le dita di uno che cercavano quelle dell'altro, con baci roventi e spinte mirate a togliere la ragione, e sospiri e gemiti e mugolii lussuriosi.
Si amarono senza misura e, mentre si rotolavano tra le lenzuola rosse come il peccato, ad entrambi era ben chiaro che stavano facendo l'errore più grande della storia degli errori. E nessuno dei due riusciva a pentirsene.

Chouji e Ino dormirono insieme quella volta, lasciando i due aggrovigliati insieme, senza disturbare tanto amore anche in un posto morto come quello in cui vivevano.
Fuori, nella piccola piazza, tutto era pronto.







Oooh sono commossa... sigh. Ben due recensioni!
Dico sul serio, non me le aspettavo. Magari mi aspettavo quella di Nali; perché lei è una pazza che si rilegge i miei papponi anche tre o quattro volte, non so come faccia - e se rientri nel masochismo semplice o ne sia una forma evoluta - ma lo fa e va rinchiusa.
La frase scelta per il contest probabilmente è stata trattata poco e in maniera superficiale, ma cambiare ora quella parte, che credo sia comunque cruciale, mi sembra sbagliato e neanche mi riuscirebbe senza creare disordine con le altre parti già esistenti. Mi dispiace, ma non la cambierò, spero se ne colga il significato e l'importanza che non è riuscita a cogliere la giudicia, per vari motivi - esclusa ovviamente la sua competenza - tra cui la mancanza di tempo adeguata.



Urdi: lo sai che ci pensavo qualche giorno prima di postare lo scorso capitolo? Tu davvero mi segui dalla prima fic che ho postato XD. Che cosa carina, no? Cioè, è banale. Però mi fa piacere aver legato con qualcuno fin dall'inizio: aver trovato tante cose in comune, oltre che tante idee simili, sulla vita in generale come anche su concetti un po' più complicati ed astratti, che però non ci risparmiamo u.u - perché siamo delle masochista, in realtà. Sono contenta che la trovi carina questa scemata ^ ^, la sento un po' distante a volte perché non è un argomento facile, almeno se ci infili personaggi di un manga. Poi però lo trovo vicino, quasi inaspettatamente perché sono abbastanza contenta di quel che è venuto fuori. La storia in sé non sembra presentare quelle melensità proprie del mio stile e questo mi rallegra. La virgola dopo il punto esclamativo ed interrogativo è colpa di suni XD lei la mette così e siccome mi piaceva come suonava la frase una volta letta, ho provato anch'io! Se non copicchio un po' mica ce la posso fare, sono un sacco vuoto, per lo meno di ortografia e sintassi, quindi devo riempirmi XDD ok paragone infelice, ma non è per schernirmi eh. E' per dire che voglio e devo imparare e quando nessuno mi insegna o non posso attingere da qualche parte raccatto un po' in qua e in là, quindi scusa se ti faccio ammattire con il betaggio di cose assurde lol. Ciao cara, grazie mille davvero.

_Resha_: oh santi numi! Quanti complimenti! Che gioia sapere che a qualcuno che non mi conosce nemmeno come writer - anche se di cazzate, si scrive così u.u' - ha letto e gradito una mia storia. Spero che questo capitolo sia almeno sulla stessa linea dell'altro e che riesca a collegarcisi in modo fluido. Spero anche di aver mantenuto l'ic il più possibile. Cammino sul filo del confine tra ic e ooc, lo so, ma la situazione, la au e un sacco di altre cose, non mi permettono di fare altrimenti. Se facessi vedere un essere umano forte e baldanzoso davanti, o rispetto, ad un vampiro sarei fuori luogo e l'ic mi servirebbe a ben poco. Ti ringrazio dal profondo del mio cuoricino sonnacchioso per tutte le belle parole che hai detto, non sai quanto mi ha fatto piacere cara. Ino è adorabile, infantile sì, perché diciamo che ho preso come modello Drusilla, di Buffy. Non avendo letto libri su vampiri ed avendo visto anche pochi film, non ho potuto che basarmi sul vecchio e caro Dracula, su 'intervista col vampiro' e Buffy. E' una forza il fatto che abitiamo così vicine, davvero! Mi ha fatto uno strano effetto scoprire una cosa del genere e - siccome sono sempre a corto di amiche ç__ç - farò un salto al Minas Tirith, una di queste sere, molto volentieri. Kakuzu e Hidan sono odiosi e viscidi, ma sono i cattivi perfetti ed in questo caso anche i vampiri perfetti, immortali e disgustosi. E zombie-osi XD.
Ps: grazie mille anche per la recensione che mi hai lasciato a “Farei di tutto”. Quando ti vedrò ti abbraccerò stritolandoti. Sei stata avvisata! u.u



Grazie anche a chi ha messo questa scemenza tra i preferiti, che sono: girlstreet e Urdi.
Un grazie anche a chi l'ha messa nelle seguite, ovvero: lady moon, Bel Oleander, Urdi, _Resha_.



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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***






Capitolo 3



Kiba camminava semi tranquillo per le strade della periferia, la radio spenta per non far udire le comunicazioni degli altri. A sentir parlare sua madre sembrava ci dovesse essere l'intero corpo di polizia, schierato, nascosto in ogni anfratto, cassonetto e buca delle lettere presenti in quelle dannate vie deserte; in realtà erano in cinque: quattro umani e un vampiro.
Tsume digrignò i denti quando sua figlia insieme a quello scansafatiche di Kakashi le chiesero per l’ennesima volta perché si erano dovuti ricoprire di fango. Per coprire l'odore, aveva detto Kiba poche ore prima.
Quello stesso ragazzo, arrivato nei pressi della piazza si sentì gelare fin nelle ossa da una voce che non avrebbe mai potuto dimenticare.
“Ciao frugoletto, che ci fai tutto solo soletto?” sghignazzò il vampiro, contento di aver fatto la sua inquietante rima, “sei venuto a risparmiarmi la fatica di cercarti, scarafaggio?”
Rimani calmo, non farti prendere dal panico o dall'odio per quell'essere, usa la torcia per tenerlo distante e corri verso la piazza, non ti fermare, non cercare di ferirlo da solo e non credere a niente di quel che dirà, le raccomandazioni di Shikamaru gli apparvero nel cervello come flash di qualcosa di distante, ma lo svegliarono in tempo.
Gli sparò un colpo in fronte, rallentandolo ed attirando l'attenzione dei suoi, l'attimo dopo si voltò e corse con tutte le energie che aveva in corpo verso la piccola piazza al centro dell'abitato periferico.
Quando l'inseguitore lo fece rovinare a terra si accorse di non essere stato colto dal panico, ma di avere tanta di quell'adrenalina in corpo da poter far venire un cardiopalmo ad un cavallo.
Rotolò sul selciato umido e parzialmente ricoperto da neve sporca, evitando per un soffio la specie di falce che il vampiro aveva con sé. Gli puntò la torcia contro, bruciandogli la cute dell'avambraccio destro e ricevendo così il tempo necessario a rialzarsi.
“Dove scappi topolino? Non vuoi giocare con me?” rise sguaiato l'immortale, riprendendo a corrergli dietro.
Quando arrivò nella piazza Kiba aspettò che il vampiro comparisse dal buio del vicolo dal quale era uscito, per poi puntargli la torcia ad ultravioletti nell'altro occhio.
L'urlo arrivò, distorto e animalesco, insieme ad una sfilza di insulti più o meno fantasiosi. Appena si riprese, l'isteria nella sua voce lo fece sembrare ancora più squilibrato.
“Non mi importa... Ahahahah... tanto so dove sei topolino, riconoscerei il tuo buon odore ovunque! Ihihih... sei già morto, scarafaggio...” Il suo delirio però non durò poi molto. Shikamaru atterrò tra lui e Kiba che, dalla sua posizione, riuscì comunque a vedergli comporre alcuni sigilli mentre le iridi si tinsero di rosso e canini affilati spuntarono dalle labbra.
Hidan si fermò, intrappolato in una posa innaturale.
“Che cosa sta succedendo? Non riesco a muovermi, cazzo.” sbraitava l'altro.
Il Nara lo trattenne a stento con quella che sembrava essere un'arte magica che controllava le ombre, di sicuro era molto potente quel vampiro, più di lui. Di contro il Nara vantava un'intelligenza sopra la media, di sicuro, sopra quella di quel pazzo.
“Un momento,” sorrise il vampiro annusando l'aria, “io conosco quest'odore. Sei tu? Quel moccioso che liberò quella ragazzina e che viaggia sempre con quel ciccione, non è vero?” rise ancora come se qualcuno gli avesse raccontato una barzelletta.
Quello non rispose mordendosi il labbro per non urlargli di chiudere quella bocca e di non nominarli, di non nominare lei e nemmeno il maestro.
“E dimmi, a parte la mocciosa, come sta il tuo maestro?”
Kiba seguiva sconcertato quelle rivelazioni come se fosse stato al cinema, passivo, incapace di muoversi o di fare alcunché. Ma nell'istante in cui Shikamaru si mosse non seppe trattenersi dall'urlare il suo nome.
“Shikamaru, no! Ti sta provocando, non vedi?”
Certo che lo vedeva, lo sapeva, ma quando un vecchio kunai del suo maestro tagliò di netto la testa dell'altro si sentì bene. O, indubbiamente, meglio.
“Mi sembra di averla già vista questa scena.” commentò vago mentre spingeva il corpo inerme nella trappola che aveva fatto preparare da Ino e Chouji, “e devo ammettere che è uno spettacolo che mi emoziona ogni volta.” concluse serafico, calciando la testa nella cella in legno.
“Probabilmente, la prima volta che ti decapitai e piantai un paletto nel tuo cuore, ero troppo inesperto per aver fatto centro, ma questa volta non lascerò niente al caso.”
“Oooh e come pensi di fare? Uccidendomi di chiacchiere?”
“No. Il sole sorgerà tra un'ora esatta. Questo è il primo punto della piazza che verrà illuminato.”
A niente ovviamente valsero le suppliche e le maledizioni miste a parolacce ed espressioni sempre più colorite che gli vennero rivolte contro, Shikamaru passò il braccio intorno alle spalle di Kiba e se ne andò senza voltarsi.

Tsume, Hana e Kakashi, rimasti in stato catatonico più o meno da quando Kiba aveva schivato, con una freddezza inquietante, una lama di mezzo metro lanciata verso di lui ad una velocità da mani nei capelli, assistettero alla disintegrazione totale del corpo dell'assassino che era stato catturato da.. da... da non sapevano nemmeno chi. Cose inspiegabili e fastidiose da scrivere in un rapporto; infatti, il giorno dopo, avevano tutti e tre picchiato la testa da qualche parte ed erano stati colti da una leggera amnesia che comprendeva - sorpresa! - giusto quelle due o tre ore che racchiudevano tutta la vicenda.





In silenzio, abbracciati, i loro passi li riportarono al cimitero. C'era un vento tiepido, strano per quell'ora, che rendeva l'atmosfera più piacevole, mitigando anche gli umori.
“Ci sono cose di cui non voglio parlare nemmeno con me stesso, ma ce ne sono altre che vorrei tu sapessi, o meglio, c'è una persona che vorrei presentarti.”
Kiba annuì, senza aggiungere altro, lasciandosi guidare dal vampiro. La sua mano stringeva alcune sue dita e, quel piccolo contatto, sarebbe bastato a Shikamaru per portarselo dietro, ovunque avesse voluto andare.
Il vampiro gli fece strada tra angeli incrostati, Madonne ederose, bambinetti mutilati e scheletri di corone o articolate composizione floreali, gli fece strada tra le lapidi di un cimitero più morto di chi vi giaceva, fermandosi all'unica tenuta in buone condizioni.
L'Inuzuka lesse il nome sopra di essa e, anche se quelle lettere non gli dicevano niente, capì subito di chi si trattava.
“Era il mio maestro.” Istintivamente Kiba strinse la mano del ragazzo. “Cioè, mio e di Chouji, e di Ino. È morto per salvarci.”
“Credo che quando si ama tanto qualcuno sia normale volerlo solo per sé. Credo sia normale essere egoisti quando chi ci lascia ci obbliga a sentire tanto dolore. Non sarà giusto, ma fa stare meglio. Un minimo.”
Il Nara lo tirò a sé baciandolo su una guancia.
“Era il mio maestro. È morto per salvarmi.” Disse puntando i suoi occhioni neri in quelli chiari dell'umano.
Il poliziotto gli sorrise, lasciando la sua mano e dirigendosi ad un groviglio di rovi dove spuntavano, faro e monito di vita in quella desolazione, delle rose bianche. Ne colse una, per poi tornare verso l'ultima dimora dell'insegnante.
“Piacere di conoscerla Asuma-sensei... Si sarebbe arrabbiato se lo avessi chiamato così?”
“No,”sorrise il vampiro, “credo proprio di no.”
Kiba si accucciò, annusando la rosa, e la posò all'angolo della pietra di cemento, sotto gli occhi di Shikamaru.
“Grazie.” mormorò sfiorando i bassorilievo del nome inciso, “grazie di averlo protetto, di averlo salvato. Grazie di averlo fatto arrivare a me. Adesso lo proteggerò io. Promesso.”
Il Nara si abbassò a sua volta, e gli sfiorò i capelli, spingendoli dietro l'orecchio mentre il venticello annullava i suoi sforzi.
“Penso tu gli piaccia.” Gli sussurrò, a pochi centimetri dall'orecchio, per poi baciarlo ancora sulla guancia e stringerselo addosso.

Sarebbe dovuto tornare a casa, sua madre e sua sorella probabilmente, anche senza il vampiro in giro, si sarebbero preoccupate, ma i baci di Shikamaru valevano ogni sgridata, ogni punizione. La roccia su cui era seduto, o semi sdraiato, non dava più fastidio da quando il Nara gli aveva morso l'orecchio, il gelo aveva smesso di pungerlo ovunque nell'istante esatto in cui la lingua del vampiro gli era entrata dove non avrebbe dovuto. E quando lo aveva sentito spingere e mangiargli le labbra in un bacio denso di passione, non aveva potuto neppure pensare di andarsene, o anche ad una qualsiasi altra cosa che non fossero quelle mani, sui suoi fianchi, sul suo viso, sulla sua erezione; intrecciate nei suoi capelli o con le sue.
Se qualcuno gli avesse detto di quella settimana, se qualcuno gli avesse detto che avrebbe trovato l'amore e che avrebbe perso il suo migliore amico, gli avrebbe riso in faccia. Gli avrebbe probabilmente detto, tra una lacrima d'ilarità e l'altra, che Shino avrebbe mandato al manicomio il vampiro con le sue frasettine e quel modo di fare irritante. Gli avrebbe detto che lui non credeva nell'amore come invece credeva nell'amicizia, perché quella l'aveva trovata ed era la cosa più bella che avesse.
Lo era ancora, semplicemente adesso credeva anche nell'amore. Che cosa sdolcinata da dire, pensò mentre Shikamaru fumava e lui gli dormicchiava addosso, anche in quel gelo.
“Mi dispiace di non poter venire al funerale.” il Nara espirò, facendogli una carezza sulla testa.
“Non preoccuparti, lo sapevo già: non so altrove, ma qui non usa fare funerali di notte. Puoi sempre fare un salto alla festa, doveva essere la solita festa in cui si beve anche dai bicchieri degli altri e da cui si esce camminando a quattro zampe, ma è stata trasformata in una specie di commemorazione, un po' strana e accompagnata da musica punk, ma a Shino sarebbe piaciuta.” disse, prima di stirare le labbra in un sorriso amaro, sentendo lo stomaco chiudersi. E un'altra carezza sfiorò i suoi ciuffi castani.
“Credo che non sarò nemmeno lì, Ino e Chouji hanno deciso di volere un dettagliato resoconto di quello che è successo.”
“Oh santi numi! Non verrai nemmeno lì? Imperdonabile, imperdonabile.” scherzò Kiba, scuotendo la testa, convinto che la cosa facesse davvero poca differenza.
Shikamaru puntò gli occhi al cielo.
“Che seccatura.” disse espirando fumo e tirando il mozzicone nella neve, a pochi metri da loro.





“Allora, io vorrei sapere: perché c'è ancora dell'alcool qui?” Naruto quasi urlò puntando il dito su un bancone improvvisato e sulle bottiglie mezze piene che vi erano state poggiate sopra.
“Perché è una festa commemorativa, non una gara a chi beve di più, anche se c'è qualcuno che crede siano sinonimi.” sbuffò Kiba, mentre guardava Kankuro fare pipì in un cappello strano, pensando forse fosse una pianta.
“Senti, a Shino sarebbe piaciuto vederci tutti cappottati dall'esagerazione tipica della nostra età. Sarebbe stato lì,” sbraitò ancora Naruto, dondolando verso destra ed indicando una sedia un po' più isolata, “e avrebbe sorriso a tutte le cagate che avremmo fatto, convinto tra l'altro che noi non facessimo a gara per chi riusciva a farlo sorridere di più.” concluse, inciampando in quello che una volta era Rock Lee, un pazzo, fanatico dello sport, che frequentava la sua facoltà. Astemio.
L'Inuzuka sorrise pensando che nessuno di loro aveva mai sentito Shino ridere davvero o che nessuno di loro lo aveva mai visto sorridere senza occhiali. Privilegi dei migliori amici, si disse buttando giù qualcosa che non aveva sapore, ma che strinava per bene la gola.
Seduto su una poltrona, si godeva, al posto del compagno perduto, le scene incredibilmente idiote che nessuno si sarebbe ricordato il giorno dopo. Il sorso che bevve dopo però, lo costrinse ad alzarsi e a farsi due passi fuori, cercando di non vomitare anche l'anima.
Beh, in quel caso l'avrebbe regalata a Shikamaru che ci teneva tanto! A lui in quel momento dava solo fastidio perché la sentiva lacerata da un dolore che non riusciva a lenire, né con l'alcool né con altro.
Si appoggiò ad un albero sul retro del capannone e tirò la testa indietro, volgendo lo sguardo alla luna quasi piena, le stelle e qualche sporadica nuvola.
Spostò l'attenzione sui lumini del nuovo cimitero, in lontananza, e poi nella direzione del vecchio, chiedendosi distrattamente se i vampiri potessero prendersi una sbronza.
“Certo che possiamo.” Una voce cavernosa lo fece gelare sul posto. Sentì un dolore acuto al fianco e l'attimo dopo si ritrovò spiaccicato contro la parete del capannone. “Tsz, moccioso.” sbottò la voce, in avvicinamento.
L'alcool attutì il dolore, ma lo lasciò stordito il doppio, si toccò il retro della nuca trovandosi la mano inzuppata in qualcosa di vischioso, dall'odore acre. Scosse la testa riuscendo a scorgere del rosso sulle dita irradiate dalla luce della luna, poggiò quella stessa mano per terra facendo forza per tirarsi su, ma qualcosa di freddo lo afferrò al collo. I piedi non toccarono più il suolo e sbatté la schiena contro il muro alle sue spalle. Un suono strozzato gli uscì dalle labbra, insieme a del sangue.
“Ehi Kiba, tutto be...” Naruto si fermò, agghiacciato.
“Scappa...” riuscì a rantolare l'Inuzuka mentre la presa dell'altro stringeva maggiormente. Naruto, ubbidì, scappando e urtando praticamente tutto quello che si parava tra la sua situazione alcolica ed il suo cammino.
Kakuzu digrignò i denti.
“Non che la cosa mi interessi più di tanto, ma come ha fatto,” sbatté ancora Kiba al muro, facendolo tossire nuovamente, “un insetto, a distruggere un signore della notte come quel cretino di Hidan?”
L'umano trasse un respiro, faticosamente, lo guardò in quelle iridi tendenti al rosso e lo vide snudare i canini, arma primaria della sua specie.
“Non sei stato tu, non è vero? Chi è stato? Come si chiama il vampiro che ti ha aiutato? Dove si trova?” Kakuzu strinse gli occhi collerico, un vampiro che uccide un altro vampiro: era inammissibile. “Lo so che è ancora qui, e tu mi dirai dove. O morirai.” Kiba gli sputò in faccia sangue e saliva.
Adesso lo proteggerò io, aveva promesso, e lui non era suo padre, lui manteneva le sue promesse. Mai avrebbe venduto Shikamaru. Mai, a nessuno. A nessun prezzo.
“Allora... uccidimi.” Strinse il polso del vampiro, tentando invano di fargli allentare la presa. Kakuzu si pulì il viso, schifato.
“Che c'è moscerino? Vuoi morire per un essere come me? Per un essere uguale a quello che ha ucciso il tuo amico?”
Kiba riusciva a non pensare a niente che riguardasse Shikamaru ma, troppo impegnato a fare questo, non riuscì a tenere il vampiro all'oscuro degli altri avvenimenti.
“Non valeva e... e non varrai mai... nemmeno la metà della metà... di lui.”
Quello rise, di una risata bassa, inquietante.
“Ti morderà. Ti morderà e ti prosciugherà, come fanno tutti i vampiri.”
“No.” tossì, mugolando di dolore ed esasperazione, sentendo gli occhi pizzicare, “non lo farà.”
Il vampiro rise ancora, senza allegria, rise di lui e della sua debolezza come essere umano, avvicinando il viso al suo.
“Allora lo farò io.” grugnì senza intonazione.
Kiba sentì chiaramente i canini far pressione sulla sua pelle troppo morbida, li sentì entrare nella carne come se essa fosse stata burro. Urlò forte sentendo il dolore lancinante diramarsi ovunque nel suo esile corpo, avvertì il rumore disgustoso che faceva l'essere mentre beveva la sua linfa vitale, come se fosse stata una qualsiasi brodaglia.
Tutto si fece più sfuocato, più lontano, gli sembrò di non avere più forze. In un attimo di lucidità pensò che non avrebbe più rivisto la sua famiglia, che non avrebbe più rivisto Shikamaru e quello fece più male di ogni altra cosa.
Naruto tornò in quel momento con tutti gli invitati, più o meno sbronzi, al seguito.
“Lascialo andare, mostro!” gli urlò colpendolo con un sasso, seguito anche da altri.
Il gigante, infastidito, lasciò cadere a terra Kiba senza riguardo. Il ragazzo aprì gli occhi sui sassolini e i filetti d'erba che uscivano dalla neve e dal terreno dismesso sul retro del capannone, ma non riuscì a tenerli aperti per molto, crollando davanti al viso di quella che avrebbe giurato essere Hinata.
Il vampiro, voltatosi per pararsi dai sassi, non sentì la ragazza piegarsi e raccogliere un frammento della staccionata poco distante, dilaniata dal tempo, ma avvertì distintamente quel frammento entrargli nella carne. Non sentì altro, poiché quella che si librò nell'aria dopo, in caduta libera verso il suolo, fu solo cenere.





Spostò la mano da sotto il raggio di luce, osservando la sua pelle rigenerarsi, disumana.
“Perché vuoi farti male per forza?” chiese Chouji, retorico, che non alludeva solo al dolore fisico che l'amico si imponeva, ma ad una visione più ampia, che lo avrebbe portato a soffrire maggiormente e senza possibilità di rigenerarsi.
Shikamaru fissò prima la mano e poi il fascio di luce, meno assorto di quanto sembrasse.
“Perché non riesco più a farne a meno.” mormorò, mentre l'Akimichi, che non si aspettava una risposta, rimaneva a contemplare i suoi movimenti.
Ino si avvicinò all'amico e gli accarezzò la testa.
“Shikamaru, sei sicuro che non ci siano altri vampiri in giro?”
“Ma che dici Ino, non essere ridicola, sarebbe davvero sfiga della sfiga: di solito i vampiri sono esseri solitari e sfuggevoli. Siamo noi ad essere atipici.” brontolò Chouji dalla sua comoda postazione.
“Lo so, ma sarebbe stato prudente accertarsene prima di lasciare che una festa, senza alcuna scorta, avesse luogo nel mezzo del nulla.”
Il Nara si alzò piano, la mente che vagava a vari collegamenti, mentre le parole dell'amica sfumavano nella sua testa, sempre più lontane. Non c'erano altri vampiri con quell'essere, non aveva avvertito nessun altro odore oltre a quello di Hidan, poi lui non era solito viaggiare in compagnia. Non c'era da preoccuparsi. O si stava autoconvincendo?
Colpi forti e decisi si abbatterono sulla porta della cripta e il silenzio calò nella stanza.
“State fermi qui.” ordinò Nara, raggiungendo la porta, “chi sei?” domandò allora, deciso.
“Sono Hinata, un'amica di Kiba, ti prego, vieni con me.” La voce di ragazza, fine e decisa insieme, che arrivò alle sue orecchie, lo fece sentire male: dov'era Kiba?
Shikamaru aprì la porta, rimanendo dietro e quindi lontano dal fascio di luce. La fanciulla entrò, risoluta.
Quando la porta si chiuse e l'oscurità riprese possesso di tutto, il Nara si avvicinò scrutandola.
“Perché dovrei fidarmi?”
“Perché io l'ho appena fatto.”
Silenzio. Ingombrante, odioso, pregnante silenzio.
“Dov'è Kiba?”
“È stato morso.” Shikamaru si sentì risucchiare il cervello in uno stato di trance dove quelle poche parole rimbombavano sempre più forte. “E' stato portato in ospedale ma, dopo avergli fatto due trasfusioni senza alcun segno di miglioramento, hanno detto che non c'è più niente da fare, che non conoscono la causa del suo male. Sua madre lo ha portato a casa.”
Ci fu silenzio dopo, perché uno avrebbe preferito morire ancora, come minimo, dieci volte piuttosto che ricevere quella notizia e perché l'altra avrebbe preferito tenere un comizio, su un argomento a lei sconosciuto, davanti a tutta la città piuttosto che dover riferire quelle cose.
“Per questo devi venire con me, mi ha chiesto di trovarti e di portarti da lui.”
Shikamaru si leccò le labbra, aride, cercando di non cedere allo sconforto, cercando di ragionare.
“È giorno.” riuscì ad articolare nella confusione.
Hinata allungò la mano, mostrando quello che aveva portato.
Il vampiro lo prese e lo aprì riconoscendovi un telo nero impermeabile, abbastanza lungo da potersi coprire fino ai piedi. Neanche ci pensò. Se lo mise addosso e aprì la porta.
“Dovrai guidarmi tu.” disse alla ragazza prima di coprirsi del tutto.

Il viaggio non fu lunghissimo, ma nemmeno breve, nel bagagliaio, coperto da un ulteriore telo, il vampiro sentiva i due ragazzi chiacchierare.
“Sei sicura di aver fatto la cosa giusta, Hina-chan?”
“Mai stata così sicura Naruto, poi non mi sembra che abbiamo molte alternative.”
“Forse... facendolo vedere ad un medico più bravo?”
“No, abbiamo poco tempo, in più non è qualcosa che la nostra medicina può curare, però forse lui può farlo.”
La macchina frenò bruscamente.
“Siamo arrivati. Io aiuto lui, tu aprimi le porte.”
Naruto aprì il bagagliaio con cautela.
“Ehi, sto aprendo, sta attento.” disse prima di aprirlo del tutto.
Aiutò il ragazzo a fare i gradini senza scoprirsi troppo, fino all'ascensore, mentre Hinata faceva loro strada.
Arrivati al giusto piano Hinata bussò e la porta si spalancò velocemente.
“Hinata, cos...”
Ma Hana venne zittita.
“Ti prego Hana-san, devi fidarti di me adesso, chiudi tutte le finestre, accendi più candele che hai. Se hai dell'aglio in cucina mettilo in una busta di plastica e portalo fuori. Non avete croci in casa vero?”
La donna rimase a guardare il telo nero senza capire.
“Hana, hai sentito? Forza, non metterci tutto il giorno.” Tsume, affacciata dalla stanza del figlio, la destò dal suo torpore d'incomprensione, prima di rientrare, “il tuo principe azzurro è arrivato, amore mio.”
Kiba sorrise mesto e dolorante.
“Nero mamma, il mio principe nero.”
Hinata entrò per prima.
“Puoi entrare.” disse al vampiro, aiutandolo poi, una volta che le operazioni furono svolte, a togliersi il telo di dosso.
Due occhi color pece fecero capolino e si guardarono intorno con circospezione. Non era mai stato in una casa moderna.
Naruto lo toccò con un dito.
“Ehi, sembri davvero umano!”
“Vieni. Per di qua.” lo condusse Hinata, prendendogli la mano.
Hana si portò le mani alla bocca quando quello strano ragazzo passò davanti allo specchio del corridoio e lei non vide il suo riflesso, ma solo la manina di Hinata che stringeva l'aria.

La stanza era buia, ovviamente, illuminata da alcune candele.
Tsume si fece indietro permettendo al vampiro di avvicinarsi; Hinata le aveva spiegato, ma ancora stentava a crederci, anche se, doveva ammettere, tante cose cominciavano a quadrare solo dopo quelle assurdità. Fece il giro del letto e si tenne più lontana per lasciargli il loro spazio.
Vide Shikamaru accarezzare il viso di suo figlio, lo vide piegarsi e lasciargli un bacio, lieve.
Hana si rannicchiò sulla poltrona in fondo alla stanza.
“Puoi aiutarlo?” domandò flebile.
Il vampiro alzò gli occhi su di lei poi sulla madre, prima di riabbassarli su quelli lucidi del compagno.
“Stai morendo Kiba.” Tsume articolò un no supplice tra i singulti, tappandosi la bocca e appoggiandosi alla parete alle sue spalle, Hana riuscì soltanto a rannicchiarsi ancora di più, premendosi le ginocchia al petto come quando era bambina. “Io posso salvarti, ma quella che ti donerò non sarà una benedizione, al contrario: sarà una maledizione. Dovrai nasconderti, non vedrai più la luce del giorno, non avrai più la possibilità di avvertire né freddo né caldo, non ti ciberai che di sangue. E sarai costretto a vedere chi ami lasciare questo mondo prima di te.”
Cadde il silenzio, rotto solo dai singhiozzi della madre e dallo scricchiolare della sedia sulla quale si dondolava la sorella.
Kiba lo guardò negli occhi e lui si avvicinò, continuando a parlare con un tono più basso.
“Se sceglierai di morire avrai la pace eterna, se chiederai il mio aiuto la tua sarà una condanna eterna. Sarai la morte, circondato dalla vita. Sarai come la cenere che giace sotto il fuoco. Vivrai nella cenere. Che cosa scegli Kiba?”





Hinata sospirò ansiosa.
“Tranquilla, vedrai che si sistemerà tutto.” Le disse Naruto, sfiorandole la fronte con bacio leggero. Probabilmente non era vero, ma sentirselo dire, sentirlo dire da lui, dal suo lui, la fece rilassare non poco.
La porta della stanza del suo amico d'infanzia si aprì, Tsume e Hana uscirono, affrante, si sostenevano a vicenda. Hana fece sedere la madre sul divano e si diresse in cucina armeggiando per preparare qualcosa di caldo e rilassante.
“Kiba?” chiese Naruto, un’overdose di ansia nella voce.
La donna, che fissava il vuoto con i suoi occhioni scuri, voltò il capo leggermente verso di loro.
Il cane Akamaru che si strusciava alle sue gambe, guaendo e porgendole la zampa in segno di conforto.
“Non vivrà.” riuscì a dire, prima di tornare a fissare davanti a sé.
In cucina qualcosa si ruppe e il suono di un sospiro intriso di tristezza vagò per la casa, rimbalzando come se fosse stata vuota.
“Mamma!” sembrò ammonirla la figlia, “stai parlando di tuo figlio, di mio fratello, cerca di farlo con po' di abnegazione dei tuoi diritti di madre.”
“Non lo rivedrò più.”
“Certo che lo rivedrai. Che razza di discorsi, non voglio sentirli.”
Naruto guardò Hinata e solo allora capì, dal suo timido sorriso, che poteva rilassarsi.





Kiba lo guardava.
Il suo vampiro era bellissimo, così, concentrato, mentre cercava di non lasciarsi sfuggire quella lacrima che gli solcò comunque il viso; lo baciò a tradimento.
“Sei triste perché mi avrai sempre fra i piedi?” ridacchiò, facendosi male da solo.
Shikamaru sbuffò, stropicciandosi il viso con la manica per cancellare la sua felicità, il suo egoismo.
“Stupido. Non è una cosa di cui gioire.” Sbottò senza guardarlo. Non lo aveva ancora fatto.
L'Inuzuka gli toccò i capelli, gli sfece la coda e fece dondolare il laccio davanti agli occhi.
“Adesso potresti spogliarti e tenere questo tra i denti, per favore? Volevo realizzare una mia fantasia erotica prima di diventare un animale notturno.”
Il Nara sorrise, anche in quei momenti faceva lo scemo, anche in quei momenti non riusciva a smettere di volerlo.
“Puoi fare il serio almeno per cinque minuti? Almeno fin quando non ti avrò morso.” finì, guardandolo finalmente negli occhi.
L'altro trasalì.
“Dovrai mordermi?” gli sorrise affascinato dall'idea, convinto che con lui sarebbe stato diverso che con quell'energumeno.
“Beh, tecnicamente no, però,” si tolse la maglia e la appoggiò allo schienale della sedia vicina al letto, riavvicinandosi poi alla sua vittima “sono troppo curioso di sapere che sapore ha il tuo sangue.” sussurrò prima di baciarlo. Kiba pensò che era una cosa molto sensuale quella che aveva appena detto, ma non pensava che gli si sarebbe trasformato davanti.
Appena lasciò le sue labbra Shikamaru gli rimase vicino col viso, per fargli vedere i cambiamenti, forse per avvertirlo, forse per essere sicuro che volesse rimanere. Con lui.
Le iridi sfumarono verso il rosso, con una calma indecente, e i canini si fecero più pronunciati.
“Sei bello anche così!” Un ringhio basso ruppe la quiete, mentre l'Inuzuka lo baciava su una guancia. Che impertinente.
Shikamaru si abbassò sul suo collo, un fascio di luce azzurrina andò a far scomparire i segni lasciati da quell'odioso essere, e Kiba avvertì del beneficio. L'attimo dopo un gemito di dolore riempì la stanza, e i canini del vampiro affondarono nella pelle del suo collo con facilità, come avevano fatto quelli dell’altro.
Ma non vi fu nessuno strattone, nessun dolore lancinante, solo fastidio, ma nessun rumore sgradevole. Anzi, Kiba si accorse di uno strano calore che andò formandosi nel suo addome, fino a scendere nel suo basso ventre, fino a farlo sospirare di piacere. Shikamaru passò una mano sul suo fianco, arrivò ai pantaloni e continuò passando sopra alla semi erezione dell'altro, sfiorandola fin quando non ricevette dei gemiti di piacere; gemiti a tratti frustrati.
Smise di nutrirsi della sua linfa vitale e lo baciò. Il sapore del suo sangue disgustò un po' Kiba, ma rispose al bacio con impeto. Quando si separarono, la carezza che ricevette sopra i pantaloni lo fece boccheggiare e poi ansimare, e tenne gli occhi chiusi per godersi tutto al meglio con gli altri sensi.
Shikamaru lo baciò ancora e questa volta il sangue era in una quantità quasi eccessiva.
Kiba mugolò infastidito, ma si fidò dell'altro ed ingoiò tutto. Aveva un gusto diverso, pensò distrattamente prima di sentirsi incredibilmente pesante e stanco, quel sangue sapeva di vecchio.





Forse tutto avrebbe potuto fermarsi lì ed avere più senso di qualunque altra cosa, ma il significato della vita stessa perde importanza davanti all'amore e, per quanto suoni banale, per quanto la cosa sappia di frivolo, di favola, tutti lo cerchiamo. Tutti cerchiamo l'amore, qualcuno che ci ami e che si lasci amare da noi per camminare insieme fino alla fine, se fine non vi fosse, non sarebbe necessariamente un male. O forse bisognerebbe essere immortali per dirlo, forse queste affermazioni necessiterebbero di verifica. O, forse, siamo degli sciocchi se pensiamo che l'immortalità o la mortalità possano dare un significato a quello che solo l'individuo, con la sua personale visione del mondo e delle cose, con la sua passione e la sua dedizione, può fare. Forse però, morire senza una persona che ci ama accanto è molto peggio, e scegliere tra l'immortalità e la mortalità non avrebbe senso. È allora vero che è l'amore il protagonista? È dunque vero che lui, e soltanto lui, sa fare la differenza?
Questo Shikamaru se lo sarebbe chiesto per centinaia di anni, senza sapere che Kiba aveva le stesse domande prive di risposta.

Il sole era calato da un po', ma Shikamaru ancora dormiva.
L'Inuzuka, già sveglio, passò le dita tra i fili neri dell'altro, sparsi sulle federe rosse. Avrebbe dovuto fare una statua ad Ino, per avergli concesso quel letto stupendo due volte a settimana. Dovevano procurarsi qualcosa di più decente della brandina su cui il Nara dormiva, nella stessa stanza di Chouji, prima che arrivasse lui.
Stanco di aspettare, lo strattonò impunemente. Niente.
Gli montò mezzo addosso per guardarlo da più vicino. Per rompere da più vicino.
“Signor vampiro? Potrebbe farmi la cortesia di svegliarsi, visto che il suo ragazzo vorrebbe ricevere attenzioni?” Ma non ci fu neanche un minuscolo movimento, tutto rimase immobile, “magari prima di Natale prossimo eh!” si imbronciò, falsamente offeso l'Inuzuka.
“Che seccatura. Ma non conosci il significato della parola poltrire?” biascicò quello, aggrottando la fronte in un'espressione scocciata.
“Ma Nara, hai tutta l'eternità per poltrire, io te lo do adesso! Prendere o lasciare.”
Shikamaru aprì un occhio, facendo ridere l'amante, e sbuffò dando un colpo di reni per ribaltare la situazione.
Kiba tornò serio, seguendo con un dito il contorno delle labbra del ragazzo sopra di lui.
“Sei il solito esagerato.” mormorò assorto, sereno, “non è affatto male.”
“Che cosa?” gli chiese Shikamaru lasciandogli un bacio leggero, lasciandosi spostare un ciuffo d'ebano dal viso.
“Vivere nella cenere.” sorrise il neo vampiro, prima di essere baciato.



Owari





Allora... grazie mille, a tutti quelli che l'hanno letta, recensita, messa nei preferiti - Urdi - e nelle seguite - Urdi, Aya88, Bel Oleander, Eldrion300, _Resha_, lady moon.
Grazie mille a Nali, la beta delle beta, e a _Resha_ che ho visto qualche giorno dopo aver postato il secondo capitolo e mi ha incoraggiata. Grazie davvero.

_Resha_: ciao cara, grazie davvero per le parole di conforto e per il tempo che mi hai dedicato. Spero che sia un finale degno dei precedenti chappy o che, se non altro, ti piaccia almeno un po'. Shikamaru e Kiba sono pucciolosissimi e ispirano tante tantissime lemon XD devo davvero scriverne ancora! Tra pochi giorni uscirà “Hot and dogs”, non perdertela ^^.
Qui abbiamo uno Shikamaru decisamente attivo che però non credo esca dall'ic, perché come abbiamo visto con Hidan e Kakuzu nel manga non si tira affatto indietro. Anche perché essere pigri non significa non avere palle. Giusto? Bene! Credo che verrò al Minas tra un po', magari ci facciamo una bevuta seria 'sta volta XD comunque, ti farò sapere su msn quando verrò. Bacioni. Grazie ancora, ciao topina.

Eldrion300: ciao cara, non ti conosco, ma mi fa piacere ti sia piaciuta (O.o?) la storiella che ho postato. Spero sia di tuo gradimento anche quest'ultimo capitolo e spero davvero mi dirai cosa ne pensi. Le Shikamaru Kiba mi piacciono, ma mi piacciono anche le Kiba Shikamaru XD e la mia coppia preferita sono Itachi e Shikamaru. Su Kiba e Shikamaru tra qualche giorno posterò una shot che ha partecipato al contest “Daily moment” su EFP, dacci un occhio magari ti piace. ^^ Grazie dei complimenti, sei stata davvero molto dolce. Ciao stella.

Mi fareste molto felice se almeno all'ultimo capitolo mi diceste che ne pensate. Sarebbe davvero carino e mi tirerebbe su di morale, che ora è un po' a terra. Grazie comunque.



Qui, il giudizio:

Quarta classificata: “Vivere nella cenere” di slice.

Correttezza grammaticale e sintattica, ortografia: 12,5/15 Ho riscontrato parecchi errori in questa fic dal punto di vista grammaticale e sintattico, soprattutto per quanto concerne l’uso delle virgole. In molti, troppi, passaggi dove andava il punto hai messo la virgola, unendo due periodi in realtà separati. Ho trovato inoltre un apostrofato di fronte a nome maschile, che è un errore che non potevo sorvolare. Credo che comunque sia dovuto al fatto di aver dovuto gestire una fic molto lunga. È una cosa difficile e lo capisco.

Stile, forma e lettura scorrevole: 13/15 Lo stile è semplice, ma corretto e piacevole, solo che la lettura è risultata spezzata in molti punti da quegli errori che ti ho corretto su. Inoltre ho trovato qualche termine non proprio adeguato al contesto. Peccato perché la storia come idea merita molto.

Originalità: 9/10 La fic è originale, soprattutto per l’accenno alla morte di Asuma e alla spiegazione del perché Shikamaru sceglie di restare con i suoi due compagni. In realtà l’idea di investigare su omicidi misteriosi frutto di attacchi di vampiri non è nuova, ma mi è piaciuto come i personaggi si sono mossi nella storia e gli ambienti che hai creato. Inoltre l’idea di un’alleanza fra un umano ed un vampiro è intrigante, che poi sfoci in amore è ancor più bello.

Caratterizzazione dei personaggi (il vampiro e la sua vittima): 8/10 Mi è piaciuto molto Kiba, davvero è stato trattato bene, anche se a volte è stato troppo dolce secondo me. E’ vero che è un tipo emotivo, ma non così fragile. Shikamaru invece poteva essere sicuramente trattato meglio: non ho capito molto di lui, ma secondo me questo è dovuto al fatto che hai scelto di inserire molti personaggi, quindi non li hai trattati tutti in modo profondo.

Scelta della frase: 7/10 Frase bellissima, ma sfruttata molto poco: due righe in tutto in effetti. Potevi fare molto meglio. La frase è piuttosto ampia come significato se riferita ai vampiri, quindi potevi spaziare, ma mi è sembrato come se Shikamaru l’avesse pronunciata lì e basta, come se non sentisse veramente proprio il significato in essa racchiuso.

Giudizio personale: 9,5/10 Una bella storia, intrigante e con quell’elemento di giallo/horror che ti tiene incollato allo schermo. Se a questo si aggiunge l’atmosfera di nero romanticismo che, in un ritmo sempre crescente invade la fic ,viene fuori un bel lavoro. Curata meglio poteva arrivare molto più in alto.

Totale 59/70



*Inchino*



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